Acquarello Maurizio Giussani
Narcissus - Self Publishing made serious
Edizione digitale: ottobre 2011
ISBN: 9788863692211
Edizione digitale realizzata da Simplicissimus Book Farm srl
ACQUARELLO
INDICE
PARTE PRIMA 1. Spiaggia nei pressi di Abukir, testa di ponte se, 1 agosto 1798 2. Nave ammiraglia se Orient, all’ancora, baia di Abukir. Tramonto 1 agosto 1798. 3. Spiaggia nei pressi di Abukir. Testa di ponte se. Tardo pomeriggio del 1 agosto 1798. 4. Nave da battaglia Orient. Tramonto 1 agosto 1798. 5. Golfo di Abukir. 1 agosto 1789. Poco dopo il tramonto. 6. Alessandria in Egitto. 2 Agosto 1789.
PRIMO INTERLUDIO Marak4 - Sala Consiliare del Congresso speciale interspecie – 420.000 cicli standard dall’Unione.
PARTE SECONDA 1. Presso il fiume Beresina al confine fra Regno di Russia e Polonia. 25 Novembre 1812 2. Waterloo, Belgio 17 giugno1815. 3. Marsiglia. 3 agosto 1820, poi Oceano Atlantico meridionale.
SECONDO INTERLUDIO Marak 4 – Sala Consiliare – 442.000 cicli standard dall’Unione.
PARTE TERZA 1. Stati Uniti d’America – Campagna a 40 Km da Princeton Massachussets. 7 Ottobre 1860. 2. Boston. Centro di arruolamento dell’esercito. 24 Febbraio 1861. 3. Gettysburgh Pennsylvania – 3 luglio 1863 e Nei pressi di Three Oaks Massachussets 7 agosto 1863. 4. Three Oaks Massachussets – 4 giugno 1882.
TERZO INTERLUDIO Komarl 5 – Sala Consiliare Provvisoria 442,348 cicli standard dall’Unione.
PARTE QUARTA 1. Isole Azzorre 7 luglio 1984. Residenza Três Carvalhos. 2. Isole Azzorre 7 luglio 1984 ore 18. Residenza Três Carvalhos. 3. Isole Azzorre 7 luglio 1984 ore 22. Residenza Três Carvalhos.
PARTE QUINTA 1. Base H – Monti Anjujskj settentrionali Federazione Russa – 10 agosto 2009. 2. Base H. Monti Anjujskj settentrionali Federazione Russa – 10 agosto 2009.
Base Dati e Materiali - Titano 11 agosto 2009. 3. Repubblica Unita dello Yemen – San’a - 21 agosto 2009. 4. Repubblica Unita dello Yemen – San’a - 24 agosto 2009. 5. Deserto yemenita. 27 agosto 2009.
PARTE SESTA 1. Titano. Base dati e materiali. 3 settembre 2009. 2. Base dati e materiali Titano. 4 settembre 2009 ore 06,00. 3. Base dati e materiali Titano. 21 settembre 2009. 4. Base dati e materiali Titano. 20 dicembre 2009 – ore 06,00.
PARTE SETTIMA 1. Spazio del sistema Glamark - Nave Santa Maria - 21 gennaio 2016 – 12,15 ora di bordo. 2. Superficie di Ter6 – Calotta polare – 15 maggio 2016. 3. Ter6 – Conglomerato urbano Kaksas XXXI – 15 maggio 2016. 4. Ter6 (Terra come era chiamata dai Glamark) – Zona equatoriale – Trakgak XXVII – Congresso internazionale Glamark. 12 ottobre 2016. 5. Terra (Ter6) - Trakgak XXVII – 11 gennaio 2017.
PARTE OTTAVA 1. Base di Titano – 18 aprile 2023.
2. Base di Titano – 23 novembre 2023 – ore 19,00 zulu. 3. Base di Titano. 2 dicembre 2023. 4. Base di Titano – 6 dicembre 2023. 5. Ter6 – Base congiunta umani/glamark a Trakgak XXVII. 1 gennaio 2024. 6. Ter6 - Piana di Madar - lato sud - 3 gennaio 2024 pomeriggio. 7. Spazio interplanetario in prossimità di Ter6 - ore 21.
PARTE NONA 1. New York - Palazzo dell’ONU - 8 gennaio 2024 – ore 9. 2. Ter6 – Base di Bertha – 21 Gennaio 2024. 3. Base di Titano – 3 febbraio 2024.
PARTE DECIMA 1. Marte – città sotto cupola Novaterra 1 – 14 ottobre 2026 Gliese c - 29 ottobre 2024. 2. Base di Titano – 6 novembre 2026. 3. Centro galattico – sistema Marak – orbita di Marak 4 – 3 febbraio 2027. 4. Marak 4 - Ter6 - 8 giugno 2027. 5. Ter6 - città semi abbandonata di Kaksas XXXI - 12 ottobre 2027. 6. Three Oaks - 15 dicembre 2027 - India gennaio 2028.
PARTE UNDICESIMA 1. Ter6 - Kaksas XXXI - 12 marzo 2029. 2. Marte zona equatoriale - Centro di perfezionamento - Città di Glor II – 15 giugno 2029. 3. Marte - Trasporto planetario per Novaterra - Centro di perfezionamento di Glor II - 15 giugno 2029. 4. Marte - Glor II - Centro di perfezionamento - 20 giugno 2029. 5. Sistema di Marak 4 – Nave Santa Maria – 11 ottobre 2029. 6. Marak 1 – Base Inferno – 12 ottobre 2029
PARTE DODICESIMA 1. Marte – Centro di perfezionamento – Glor II – 11 novembre 2029 2. Orbita di Marte – Sistema Solut 14 dicembre 2029 3. Marak 1 - Base Inferno - 29 dicembre 2029. 4. Sistema di Marak - Marak 1 - 18 gennaio 2030.
QUARTO INTERLUDIO In una lontana galassia in un pianeta senza nome
PARTE TREDICESIMA 1. Sistema solare di Gliese – Martin I – Comando planetario – 11 febbraio 2032. 2. Spazio interplanetario presso il sistema Solut – 24 aprile 2032.
3. Marte - Novaterra - Centro di comando - 22 maggio 2032. 4. Sistema Gramalk - Flotta Gialla e Blu - Nave 1. 5. Orlo galattico – Flotta dei Sistemi Uniti – 6 ottobre 2032. 6. Sistema Marak - Flotte riunite del Popolo - 9 marzo 2033.
PARTE QUATTORDICESIMA 1. Sistema inferiore - ammasso stellare degli esterni – 30 giugno 2033. 2. Spazioporto giallo – Pianeta degli esterni. 1 luglio 2033. 3. Livello del suolo - Città degli esterni - Reparto ripopolamento bestiame e macellazione. 1 luglio 2033. 4. Primo livello - Città degli esterni - 2 luglio 2033. 5. Residenza turistica glamark alto deserto del Sahara – 15 giugno 2033. 6. Sistema superiore – Nei pressi del pianeta acquatico degli Innominabili – 5 Luglio 2033.
PARTE QUINDICESIMA 1. Piramide riflettente pianeta degli Innominabili. 5 luglio 2033.
PARTE PRIMA
1. Spiaggia nei pressi di Abukir - Testa di ponte se - 1 agosto 1798.
Due ragazzi, sdraiati sulla duna, osservavano rapiti le manovre dei soldati si.
“Hei! Ahmed! Guarda che meraviglia!”
“Hei dico a te! Sono bellissimi con le loro uniformi bianche, rosse e blu. E i tamburi poi! Pensi che potremmo anche noi...”
“No! Certamente no. Non siamo si, Yusuf!”
“Si, ma tu conosci la loro lingua, vero?”
In gruppo compatto la banda militare volteggiava faticosamente avanti e indietro pestando sui tamburi e soffiando coraggiosamente negli ottoni, sotto il sole impietoso di un agosto africano. Le divise di panno avevano perso il loro originale colore blu, bianco e rosso, la sabbia e la polvere coprivano tutto e solo la fantasia di due ragazzi poteva trasformarle in abiti affascinanti.
Attorno a loro i soldati affaccendati spostavano merci scaricate da poco per rifornire l’esercito del generale Bonaparte. La confusione regnava sovrana. Un luogo altrimenti solitario vibrava di attività. Le artiglierie navali fuori uso sbarcate, venivano sottoposte a manutenzione mentre gruppi di soldati
sondavano il terreno alla ricerca di pozzi necessari al sostentamento idrico dell’esercito.
Alessandria infatti, a tredici chilometri di distanza, non poteva offrire un o sufficiente e tempestivo.
“Ahmed, dobbiamo rientrare a casa subito! Altrimenti mio padre mi castigherà. Domani, prima dell’alba si va a pescare e poi….”
“No, non credo che potreste; non hai visto le navi? Sono troppe! Fanno rumore e i pesci non si faranno acchiappare e poi…credo che un pericolo si stia avvicinando, un grande pericolo: altre grosse navi.”
“Come lo sai? No, non me lo dire. Comunque le bastonate le prendo io, e tu, che sei il mio migliore amico, non puoi certo spartirle con me. Tuo padre è ricco. I mercanti non si alzano prima dell’alba e, soprattutto, non bastonano i figli!”
“Sciocchezze Yusuf! Dobbiamo avvisarli del pericolo, vieni corriamo. Al massimo le bastonate le prenderai da loro! Sento qualcosa, non so, che un… amico sia in pericolo. Vieni, seguimi! Non fare la femminuccia!”.
I due ragazzi rotolarono letteralmente dalla duna sabbiosa verso le tende del comando provvisorio dove vedevano soldati gallonati, con divise ancora più ricche di quelle dei tamburini della banda militare, intenti ad esaminare mappe distese su un tavolo improvvisato.
2. Nave ammiraglia se Orient, all’ancora, baia di Abukir. Tramonto 1 agosto 1798.
Stare di vedetta era meraviglioso. Lontano dalla puzza delle sentine e degli alloggi dell’equipaggio e anche, con quel caldo, dal lavoro in coperta per sbarcare le artiglierie e i materiali. Pierre si sentiva inquieto, percepiva, senza vederlo, un pericolo incombente. Come avvisare il nostromo? Senza prove non avrebbe mai creduto alle parole di un marinaio di quindici anni anche se dotato di occhi buoni.
La nave da battaglia da centoventi cannoni Orient, oscillava pigramente all’ancora come anche le altre unità da combattimento. L’ammiraglio Brueys, comandante della flotta se, aveva ordinato uno schieramento in linea dei vascelli, davanti alle famigerate secche di Abukir: solo quattordici metri nei punti di massima profondità. Nessuno dotato di buon senso avrebbe mai osato attaccare le sue navi sul lato verso terra: troppo rischioso per la facilità di andare in secca e perdere la capacità di governare i velieri. Perciò lo schieramento se avrebbe sicuramente distrutto qualsiasi nemico sopraggiungente alla debole spinta del vento costiero sul lato verso il mare aperto.
“Capitano Casabianca!”
“Si, Ammiraglio.”
“Ho l’impressione che ci sia del movimento su a riva. Il nostro “enfant prodige”, credendo di non essere visto, sta smanacciando, cosa vorrà mai?”
“Non lancia allarmi, è solo insolitamente agitato! Credo che manderò su qualcuno a sentire. Con permesso, Ammiraglio.”
“Ah, Casabianca, segnali anche alle navi di linea di ripetere il segnale di movimento per le fregate. Le voglio a sud est della baia.”
Eseguendo gli ordini del Comandante Casabianca, il nostromo si arrampicò personalmente sul sartiame sino alla coffa dove stava di guardia il giovane Pierre.
“Nostromo, grazie per essere...”
“Non ringraziare me figliolo. L’ammiraglio ti vuole bene, e poi, non parliamo del Comandante Casabianca! Per lui sei come un figlio. Ma io ti scuoio se non hai qualche notizia seria.”
“Io, signor nostromo, vedo delle vele, penso che siano gli inglesi.”
“Come mai io, invece, non vedo nulla? Mah! Saranno questi occhi vecchi e stanchi. Ho già trentasei anni io. Ma bada se non è vero…”
Lesto come un gatto “l’anziano” nostromo ridiscese sul ponte per riferire al comandante il presunto avvistamento della loro migliore vedetta.
Informato dal nostromo il capitano Casabianca, comandante dell’Orient, si
avvicinò all’ammiraglio Brueys.
“Ammiraglio, sembra che gli inglesi ci stiano addosso. Nessuno li ha ancora avvistati da terra ma credo che il nostro ragazzo possa avere ragione come in ato. Ci ha permesso con i suoi sensi raffinati di beffare il nemico ed ora…”
“Certo comandante, può essere. Sono giorni che gli inglesi vagano per il Mediterraneo, hanno anche già toccato Alessandria senza trovarci. Li abbiamo beffati per bene per settimane ma ora, a quanto pare, ci hanno trovato. Faccia preparare una guardia rafforzata ai pezzi. Non credo, comunque, che oseranno are davanti al nostro fuoco di fila. Inoltre mancano meno di due ore al tramonto. Segnali alle altre unità di fare altrettanto.”
“Come comanda Ammiraglio.”
3. Spiaggia nei pressi di Abukir. Testa di ponte se. Tardo pomeriggio del 1 agosto 1798.
“Che vuoi moccioso? Chi li ha fatti are! Portateli via!”
Sfuggendo alla mani dei soldati, Ahmed con tutto il fiato che gli era rimasto si avvicinò all’ufficiale e urlò in se:
“Signore abbiamo visto delle vele, tante! Veniamo da Capo Abukir e…”
“Parli la mia lingua moccioso, è già qualcosa! Dimmi, ma fai in fretta abbiamo molto da fare.”
“Sembrano navi grandi come le vostre, signore. Hanno bandiere rosse con croci bianche e blu, anche se da lontano è difficile da vedere. Sono dodici o tredici, non me ne voglia se sbaglio.”
Yusuf guardò Ahmed con occhi sgranati. L’amico non finiva mai di stupirlo. Sentendo nominare il Capo Abukir in lingua araba, si domandò cosa avesse a che fare con loro. Erano settimane che non vi andavano a scorrazzare nei dintorni. Pregò con tutto il cuore che le successive bastonate fossero lievi come una piuma.
Il tenente colonnello Marchand dei fucilieri si, responsabile della logistica,
credendo alla segnalazione dei due ragazzi, si apprestò a ordinare a quanti aveva vicino che segnalassero alla flotta all’ancora, due miglia al largo presso le secche, l’arrivo del nemico.
“Colonnello è impossibile segnalare con bandiere e per i fuochi è troppo presto, bisogna attendere il tramonto” disse il sergente maggiore Dumas, con ansia ben mascherata.”
“Mandiamo un’imbarcazione ad avvisarli. No, ora che ci penso, non farebbe in tempo. Navigare fra i bassifondi è un’opera difficile, quasi impossibile. E’ come il labirinto di Minosse!”
Ahmed, dimenticato per un attimo, si fece avanti dopo aver bisbigliato a Yusuf: “Fai cenni con la testa quando te lo dirò io, non mi tradire! Se il mio piano funziona domani avremo anche noi delle belle divise bianche, rosse e blu”.
“Signore, il mio amico qui è un esperto pescatore, conosce le acque del golfo come le sue tasche. Credo che potremmo raggiungere le navi al largo in meno di un’ora. Mi serve solo una scialuppa grande e otto rematori forti. Non è vero Yusuf?”
Il ragazzo, al cenno dell’amico sottolineato da un lieve calcio negli stinchi, rispose accennando col capo e pronunciando uno stentoreo e improbabile “OUI” sentito chissà dove.
4. Nave da battaglia Orient. Tramonto 1 agosto 1798.
Le navi inglesi, quattordici vascelli di linea ed un brigantino armato con sedici cannoni, ormai in vista, non sembravano voler attendere l’indomani per la battaglia, ma, peggio, si stavano dividendo il due linee di attacco, allo scopo di tentare la fortuna anche sul lato verso le secche, dove l’ammiraglio Brueys pensava che non avrebbero rischiato di avventurarsi.
Il contrammiraglio Orazio Nelson, con eccezionale freddezza, intendeva sorprendere le navi si su due fronti. Nemmeno lui poteva lontanamente immaginare che i si fossero sguarniti di artiglieria sul lato verso le secche, inoltre, potendo disporre di un pilota a conoscenza delle caratteristiche di profondità della baia, riteneva che l’azzardo fosse giustificato.
Un solo vascello inglese, il Culloden, si incagliò subito sugli infidi banchi di sabbia e lì rimase, impossibilitato a governare e quindi lontano dal combattimento mentre il suo equipaggio tentava affannosamente ogni manovra possibile per recuperare la capacità di governare la nave.
La gioia prodotta da tale incidente inglese, svanì presto sulle navi da battaglia si, tutte all’ancora e senza quasi artiglierie sul lato rivolto a terra, quando gli altri vascelli di Nelson, invece, proseguirono decisi la loro rotta d’attacco.
“Capitano Casabianca, ordini ai posti di combattimento e segnali anche alla flotta di fare altrettanto. Che Dio ci protegga, siamo come papere in uno stagno. Combatteremo e moriremo per la Francia.”
Le navi inglesi si avvicinavano sempre di più: era questione di pochi minuti.
“Ammiraglio! Paul, se posso permettermi. Saremo i più bersagliati. Consiglierei di mandare a terra e in fretta, la documentazione i cifrari, le mappe. Non devono cadere in mano al nemico.”
“Buona idea. Ti prego manda i plichi, con quel tuo marinaio, la vedetta, con una scialuppa e solo due rematori, non possiamo perdere personale.”
“Agli ordini, Ammiraglio!”.
Uno stupito Pierre si trovò, in pochi minuti, padrone di un grosso zaino impermeabile ad arrancare sui remi di una scialuppa con altri due disperati, mentre le navi inglesi sottoponevano la cara Orient e le altre navi della flotta ad un fuoco intenso quanto preciso. Nel buio incipiente, si vedevano i fuochi ardere sulle navi si che rispondevano con colpi isolati al micidiale fuoco delle artiglierie inglesi. La scialuppa si allontanò non vista dal nemico con i marinai piegati sui remi in un ritmo affannoso, mentre il rombo delle artiglierie impediva qualsiasi tipo di comunicazione fra di loro. Oramai, a quattrocento metri di distanza, pensavano di essere sfuggiti alla sorte dei compagni; quando la Orient, all’improvviso, colorò di fuoco la notte esplodendo: una scintilla aveva raggiunto la santabarbara.
Uno spezzone d’albero maestro dalle ragguardevoli dimensione di quasi due metri, proiettato dall’esplosione della Orient, raggiunse la scialuppa con a bordo gli affaticati marinai si e la spezzò in due. Pierre si ritrovò a testa in giù in un turbine di gorghi e, in pochi istanti, dopo aver ingoiato un paio di sorsate d’acqua marina, fu sospinto dall’aria contenuta nello zainetto impermeabile, al quale il ragazzo era abbarbicato tenacemente come l’edera ad un muro secolare, verso il buio della notte illuminato dai fuochi che ardevano sulle povere navi
si.
Stanco e affaticato con affannose bracciate, Pierre nuotò in direzione della lontana spiaggia, non vi era traccia degli sfortunati compagni inghiottiti dai flutti. Era guidato solo dall’istinto che gli indicava la via più sicura per la salvezza mentre la ragione, confusa dagli avvenimenti, non era in grado di funzionare a dovere.
5. Golfo di Abukir. 1 agosto 1798. Poco dopo il tramonto.
“A tribordo! Remiamo in quella direzione!” Urlò Ahmed, per sovrastare il rumore delle cannonate. Dopo un quarto d’ora di affannose remate videro, diritto a prora della piccola scialuppa, illuminata dal riflesso degli incendi, una figura umana che arrancava verso di loro attaccata ad una vescica galleggiante.”
“Tiriamolo a bordo forza! Molla il sacco marinaio o non potremo issarti a bordo!”
Sbuffando come mantici i due ragazzi, con l’aiuto dei soldati ai remi, trassero lo sventurato Pierre dalle acque della baia. Recuperato il fiato ed il prezioso carico, il marinaio Pierre si volse verso gli improbabili salvatori e vide due adolescenti arabi, con abiti semplici, che gli rivolgevano uno sguardo intenso ed incuriosito. Specialmente uno dei due: quello più basso di statura lo fissava con intensità e subito sbottò in un se abile: “ Mi chiamo Ahmed, questo è il mio amico Yusuf, dovevamo avvisare la flotta del pericolo ma, a quanto pare, abbiamo comunque salvato qualcuno. E tu sei?…”
“Pierre Leclerq, marinaio di seconda classe. Grazie per l’aiuto. Devo consegnare i documenti al comando.”
Poi, volgendosi al buio della notte verso i fuochi che ardevano sulle navi si esclamò: “Che disastro tutto è perduto! Il nostromo, il mio comandante…”
“Coraggio marinaio Pierre.” Disse Ahmed. “Hai salvato la pelle, devi eseguire
un ordine e poi hai trovato dei nuovi amici; avrai tempo per dolerti in seguito e per parlare con noi. Non è vero Yusuf?” A quell’apostrofare seguito da calcetto amichevole, Yusuf rispose con un largo sorriso ed un profondo “Oui!”. Ahmed si ripromise di ampliare il vocabolario di se dell’amico. La scialuppa raggiunse presto la riva. Il tenente colonnello Marchand ritrovò il suo umore migliore quando gli riferirono del salvataggio e del recupero dei preziosi documenti.
“Marinaio, ragazzi: ottimo lavoro. Posso dire che il generale Bonaparte sarà felice di incontravi, domattina. Egli apprezza l’audacia e, soprattutto, la fortuna. E di questa voi ne avete avuta da vendere.”
Pierre crollò esausto su di una stuoia, frastornato dalla fatica e dal dolore e scivolò rapidamente in un sonno senza sogni. Gli altri due ragazzi furono ricondotti a casa dalle preoccupate famiglie, ansiosi per l’incontro dell’indomani con il comandante del corpo di spedizione se: il generale Napoleone Bonaparte.
6. Alessandria in Egitto. 2 Agosto 1798.
Ad Alessandria, il quartiere generale delle truppe si occupava il palazzo già di Murad Bey; egli e gli altri precedenti occupanti erano stati rapidamente sfrattati dopo una battaglia rapida e senza perdite, almeno per i si. Il 21 luglio le formazioni mammalucche dell’esercito turco non avevano retto che pochi minuti allo scontro con gli organizzati reggimenti si. Si stavano organizzando accasermamenti e risorse per i trentamila uomini del corpo di spedizione.
La notizia della disfatta se nella battaglia della baia, ancora in corso, serpeggiava per i corridoi, – le sole fregate erano uscite indenni perché erano state allontanate su comando dell’ammiraglio Brueys - tuttavia il generale Bonaparte, con consueto dinamismo, non smetteva di organizzare, incitare, spronare ora gli uni ora gli altri membri del comando per salvare con pragmatismo il risultato comunque conseguito: le truppe si erano saldamente radicate su suolo egiziano, dove i capricci del mare non avrebbero potuto minare la loro supremazia.
I tre ragazzi, condotti al comando, avevano scambiato fra di loro solo poche parole, ed il vocabolario se di Yusuf stava progredendo in maniera vertiginosa: ripeteva in continuazione, arrotando le consonanti, “Il mio nome è Yusuf Ben Haim!”, certo che fosse la formula magica, in quella lingua strana e ostica, per fare un’ottima figura davanti al comandante in capo.
I tre ragazzi furono presentati al generale Bonaparte. Stavano rigidi e impettiti davanti a lui che li guardava con divertita consapevolezza.
“Questi sono soldati!” pensò “ Il coraggio alberga proprio nelle persone più insospettabili!”
Disse: “Sono stato favorevolmente colpito dalla vostra azione. Il risultato, nel buio della perdita della flotta, é solo una piccola luce. Ma utile. Molto utile. Apprezzo il coraggio che avete dimostrato di fronte al nemico. Chiedete, ora! Vi saprò ricompensare.”
Pierre, tossicchiando timidamente, chiese di poter entrare al comando diretto del generale. E Ahmed, con la scontata adesione di Yusuf, chiese che potessero fare parte dell’esercito se nella banda militare. Colpito dal giovanile entusiasmo il Generale Bonaparte rispose:
“E sia! Sto inoltre creando un reggimento scelto: La Guardia. Potrei collocarvi là. Che la fortuna continui ad esservi propizia! Servitemi bene e non mi dimenticherò di voi”. E rivolto all’aiutante di campo.
“Kléber! Ha sentito? Provveda a sistemare questi giovani valorosi.”
PRIMO INTERLUDIO
Marak 4 - Sala Consiliare del Congresso speciale interspecie - 420.000 cicli standard dall’Unione.
La grande sala accarezzata dalle nuvole, a cinque chilometri dalla superficie calda e afosa del pianeta, accoglieva i QUARANTADUE membri rappresentanti delle specie senzienti e consapevoli della Galassia.
Cladl, oratore di turno e rappresentante della specie dei Vladlm, mammiferi acquatici di medie dimensioni, viventi su pianeti con vantaggiosa proporzione della parte liquida su quella delle terre emerse, dalla sua bolla di respirazione, iniziò la sua esposizione, tradotto dalla Intelligenza Artificiale dedicata al protocollo linguistico. Tutti potevano ascoltare nella propria lingua.
“Stimati colleghi, la comunione fra le specie sembra essere mirabile. Mai come oggi l’amicizia ed il commercio sono in armonia. Devo, comunque, segnalare una quinta incursione su vasta scala di esterni agguerriti, anche questa volta non vi è traccia della loro provenienza, ma riteniamo che sia extra galattica. Dopo il loro aggio nulla rimane. E, fino ad oggi, ogni resistenza anche se coraggiosa fino al sacrificio, è stata vana. Le armi usate sembrano spaziare da quelle rudimentali da taglio a quelle ad alta energia: laser, maser, plasma ecc. Nessuno è mai sopravvissuto. Oggi dobbiamo piangere l’annientamento della popolazione Lamak del pianeta KS7. Si accettano proposte: la seduta è aperta!” Concluse, battendo fra loro gli arti manipolatori inguainati, come l’intero corpo, nella tuta di sopravvivenza.
Prese la parola il rappresentante dei piccoli ma agguerriti Marak: lo Stimato e Venerabile Gondar Arck Marak.
“Coordinazione e attacco. Dobbiamo affidare a trasponditori automatici il rilievo delle tracce del nemico. Devono essere disseminati in quantità rilevante in tutto l’arco di sfera in cui sono avvenuti gli attacchi. Uno almeno ogni decimo di rak (1 rak = 1 anno luce). Le nostre forze congiunte devono poter rispondere con certezza e tempestività. Quindi flotte miste schierate in punti equidistanti con la partecipazione di tutti.”
Detto ciò si sedette con tutta la dignità che gli consentivano lo scarso metro e venti di statura e la lunga e fluente coda.
Di seguito l’esile rappresentante umano, una specie speculativa di scienziati e pensatori, molto antica, la Molto Onorevole Goraldar si erse con autorevolezza nei suoi centotrenta centimetri di statura, gli occhi di un indaco luminoso brillavano nell’incarnato diafano, e disse:
“Abbiamo riconosciuto uno schema cronologico! I dati ci dicono che gli attacchi di questi alieni aggressivi che chiamiamo esterni, ricorrono circa ogni diecimila cicli standard. Sembra inoltre che gli intervalli temporali fra gli attacchi stiano diminuendo. Ma non abbiamo immagini o video di alcuno di loro. I sistemi automatici di rilevazione ottica sono stati evidentemente inabilitati. Inoltre, come ovviamente a seguito di esplosioni termonucleari, non vi è nemmeno traccia dei corpi delle vittime se non irrilevanti resti organici che fanno pensare al peggio. Rapimento su vasta scala o utilizzo a fini abbietti di rappresentanti di specie senzienti, quale che sia il delitto commesso dagli esterni, noi non crediamo sia possibile proporre una semplice risposta militare. Nessuna delle specie presenti all’attuale concilio ha mai maturato la sufficiente specifica aggressività e le strutture militari e logistiche, per cercare in qualche modo, non dico di vincere, ma anche solo di contrastare queste insensate aggressioni. E inoltre…”
Fu interrotta da vociferare infuriato: gorgogli, sibili, fischi e suoni di varia natura dei rappresentanti delle altre specie che ad alto volume cercavano di fatto di giustificare la propria debolezza e insufficienza.
“Ascoltate!” Proseguì. “Dico che possiamo rispondere, ma con le armi idonee. Noi stiamo portando avanti un progetto pilota in un pianeta distante, SL3, all’altro capo della galassia, in una zona veramente periferica.”
“Il pianeta è inospitale.” Continuò. “Poca la terra emersa: solo un terzo della superficie, e, per giunta parte di questa è coperta da ghiacci perenni ad un polo del pianeta. La gravità è medio alta; la temperatura ha ampie fluttuazioni stagionali, diverse nelle varie fasce di latitudine. Vi è intensa attività vulcanica e tellurica. Insomma condizioni favorevoli solo in parte a poche delle specie qui presenti. Il pianeta che era abitato da diverse specie di batteri, virus e organismi unicellulari aggressivi, è stato inizialmente inseminato con varie specie inferiori derivate dalle più evolute qui presenti, compresi proto mammiferi, ma anche da, soprattutto, grandi rettili non intelligenti. Il nostro progetto di inseminazione è proseguito con la collocazione di ominidi sviluppati da uno studio genetico accurato. Chiedo scusa all’Onorevole Bralmah dei rettili, per non vere chiesto la vostra partecipazione al progetto di inseminazione.”
“Nulla onorevole collega! Anche noi abbiamo attuato progetti di inseminazione planetaria e studio. Nulla di male quindi. Abbiamo simpatici piccoli mammiferi che fungono da cibo e selvaggina per altre specie all’apice della catena alimentare del nostro esperimento su DH 2. Eh, eh!”
“Voglio dire, Onorevole collega, che ora le specie in evoluzione sul pianeta, il terzo dal suo sole, sono in competizione per la sopravvivenza, rettili compresi. Gli ominidi inseriti continuano a progredire, e anzi, le nuove serie sembrano molto promettenti; purtroppo, i grandi rettili si sono estinti.”
“Cosa significa estinti e perché?” chiese l’Onorevole Bralmah con tono enfatico.
“Devo dire” Proseguì l’Onorevole Goraldar. “Che a seguito di un nostro esperimento ad alta energia sul quinto pianeta, ne abbiamo involontariamente provocato la distruzione e i frammenti hanno destabilizzato l’orbita della luna di SL3. Pochi frammenti hanno raggiunto la superficie planetaria. Uno di questi sfortunatamente, di dimensioni ragguardevoli, raggiunta la superficie, ha provocato tali sconvolgimenti climatici da produrre l’estinzione dei rett…..”
“AAAAAARRRRRGGGGGHHHHH!” Il suono indistinto e intraducibile proveniva dall’Onorevole Bralmah dei rettili che, sceso dal suo scranno, si avvicinò con fare minaccioso verso la minuta rappresentante umana.
“Fermo!” Tuonò lo Speaker Ufficiale Cladl.
“Fate continuare l’umano!” Aggiunse. L’agitato rettile si ricompose con estrema difficoltà, sotto l’attento controllo dei sistemi di contenimento automatici, e l’umana poté riprendere il discorso interrotto.
“Ho descritto il contesto solo per sottolineare l’instabilità intrinseca di tale sistema, al di là degli errori commessi. Ed ora riteniamo, con l’aiuto concreto di tutti, di poter sviluppare il progetto nelle sue fasi terminali. L’aggressività della specie mammifera umanoide è spiccata. Essi potrebbero diventare la nostra arma futura. La durata della vita media è molto breve, anche per le pericolose interferenze dell’ambiente che ha selezionato le caratteristiche più favorevoli alla sopravvivenza, ben al di là delle nostre più rosee aspettative. Hanno fortissime pulsioni sessuali, cosa che giova all’aggressività. E sembrano anche ben promettere dal punto di vista dello sviluppo intellettivo. Quello che manca al progetto è un o tecnologico di controllo e informazione. Dobbiamo allestire una Base Dati e Materiali a loro disposizione, per il momento in cui lasceranno il pianeta con mezzi rigorosamente autoctoni, beh forse con qualche piccolo aiuto, su un pianeta od un satellite del loro sistema solare.”
La riunione si risolse con l’accettazione unanime del progetto, esteso, però, ad altri due pianeti da inseminare da parte dei rettili e dei glamark, creature viventi in pianeti ad altra gravità e ad alta temperatura, dalla massiccia struttura fisica e dalla pelle estremamente coriacea.
Le flotte avrebbero vigilato, spostandosi di quadrante in quadrante, in maniera randomizzata e sarebbero intervenute seguendo l’indicazione dei sistemi di rilevamento automatici ivi.
PARTE SECONDA
1. Presso il fiume Beresina al confine fra Regno di Russia e Polonia. 25 Novembre 1812.
Il capitano Pierre Leclerq della Guardia Imperiale arrancava appiedato nella neve della gelida steppa russa. I suoi due cari amici Armand Adri, già Ahmad El Adri, e Joseph Haim, già Yusuf Ben Haim, sottufficiali della Guardia, lo seguivano dappresso, incitando i resti di quello che era stato un reparto glorioso. La Beresina segnava il confine fra la Polonia e la sconfinata e crudelmente algida steppa russa. Era necessario riportare a casa quei pochi rimasti vivi. L’imperatore Napoleone I era ritornato frettolosamente a Parigi: lì urgeva la sua presenza, perché si vociferava che egli fosse morto ed era necessario quindi ristabilire l’ordine.
I tre amici avevano seguito la sua crescita attraverso mille battaglie. Primo Console, poi Imperatore dei si. Quanta gloria, quanti morti per Lui. Battaglie
Indimenticabili, dai nomi stranieri: Marengo, Elchingen, Austerlitz grande vittoria: gli austro-russi avevano avuto trentacinquemila caduti, perso cinquanta bandiere di guerra e innumerevoli artiglierie, poi fuse nella colonna Vendôme che campeggiava a Parigi a testimoniare la gloria del “Grand Empire” che la “Grand Armée” aveva contribuito a costruire, e come diceva Joseph “Anche noi siamo la gloria della Francia!”.
E poi le campagne successive contro coalizioni di cui si era perso il conto, il macello di Friedland e molte altre sanguinose battaglie. I tre giovani avevano anche partecipato alla sfortunata campagna di Spagna, guidata da Giuseppe Bonaparte, tempra diversa da quella dell’Imperatore che i tre amici si pregiavano di conoscere molto bene. Erano stati sconfitti da un inglese, un certo Arthur Wellesley Duca di Wellington. Pierre si augurava di non doverlo incontrare di
nuovo: quello era un soldato che ci sapeva fare.
La presente campagna di Russia iniziata d’estate era culminata nella vittoriosa battaglia sul fiume Moskova a Borodino, dalla quale purtroppo i russi si erano ritirati con poche perdite ed in buon ordine. Mosca, quando fu raggiunta, ardeva in fiamme: niente rifornimenti, niente cibo ciò che restava era il freddo pungente di un ottobre russo che nulla aveva a che vedere con la Francia dove anche l’inverno era rispettoso degli uomini e mite per gli animali.
Ora si doveva ritornare a casa nell’accogliente sud della Francia. I tre avevano anche avuto tempo per sposarsi e Joseph attendeva notizie di un figlio in arrivo. Se un colpo di baionetta non aveva avuto ragione di lui certamente non l’avrebbe avuta il gelo persistente.
Il comandante di reggimento della Guardia chiamò a rapporto gli ufficiali nei pressi del ponte che attraversava la Beresina.
“Signori ufficiali, abbiamo il gradito compito di proteggere il ripiegamento dell’Armata. Ci attesteremo in tre linee sulla sponda russa del fiume e combatteremo per proteggere il ripiegamento strategico.”
“Comandante!” Disse un ufficiale di stato maggiore. “Proteggeremo la ritirata, altro che ripiegamento strategico, chiamiamo le cose con il loro nome! E poi, chi proteggerà noi della Guardia? Siamo rimasti in tremila, abbiamo perso il la metà degli effettivi ed il resto dell’Armata è ridotta ad un decimo. Eravamo settecentomila e ora siamo meno di sessantamila. Molti sono rimasti nella neve.”
“Non sono cieco, conosco gli avvenimenti come li conoscete voi. Ma un ordine è
un ordine e bisogna eseguirlo, il nostro sacrificio servirà all’Armata. E poi lungo il transito, gli altri reparti potranno sostenerci. Affrettatevi ad eseguire gli ordini! In libertà.”
Pierre informò gli amici, e subito il pessimismo sulla loro sorte si abbatté come un maglio.
“Tuttavia,” Fece Armand. “Credo che abbiamo qualche possibilità. Il nostro destino non è quello di finire come ghiaccioli. Rivedremo la Francia, ve lo dico io! Pierre prende colpi di moschetto come ciliegie da un cesto, tu Joseph hai una vera ione per le baionette ed io la mia parte l’ho fatta, come sapete. Siamo coriacei, resistenti, nessuno è come noi. Dobbiamo farcene una ragione! Sappiamo anche, beh ne abbiamo la sensazione, anche se nessuno di noi ha il coraggio di dirlo, di avere molte altre cose da fare…non so, forse per tutti. E non so nemmeno chi possano essere questi tutti.”
“Hai ragione. Diamoci da fare. E’ solo un’altra battaglia!” Disse Armand battendo le mani ed i piedi per scaldarli.
2. Waterloo, Belgio 17 giugno1815.
La Guardia, stremata, aveva coraggiosamente respinto i ripetuti attacchi della cavalleria e delle fanterie russe. E i mille e cinquecento sopravvissuti erano potuti faticosamente rientrare in patria. I nostri amici raggiunsero le famiglie a Carcassonne, bella cittadina medioevale del Linguadoca, non lontana dalla catena montuosa dei Pirenei.
Il piccolo Pierre Armand, aveva già cinque mesi e non finiva mai di stupire con i suoi gorgheggi il padre e gli zii. La mamma Jeanne, viveva con gioia il ritorno del marito. Insieme a Laurence, moglie di Pierre, e Marie Claire, moglie di Armand, aveva costruito un piccolo mondo ritirato e tranquillo, in cui crescere la piccola amata peste.
I tre amici, dopo aver partecipato alla triste cerimonia di Fontainbleau, nella quale l’imperatore aveva salutato i superstiti della Guardia e baciato la bandiera prima di ritirarsi sconfitto all’isola d’Elba, furono richiamati dai messi di Napoleone che volle ricostituire un esercito potente. Sbarcato ad Antibes con settecento seguaci, fra cui i tre amici, giunse alle Tuileries parigine dando inizio alla riscossa se. Ricostituì l’esercito in fretta e furia. Giunse in Belgio nei pressi Waterloo, con l’esercito schierato e decise di dare battaglia agli inglesi comandati dal Duca di Wellington. Gli altri coalizzati, i prussiani, erano ancora lontani, e l’occasione di sbaragliare i soli inglesi era ghiotta. Tuttavia la pioggia insistente impedì l’attacco fino al primo pomeriggio.
“Neve, pioggia, caldo soffocante, vento del deserto! Ne abbiamo viste di tutti i colori.” Disse il colonnello Pierre agli amici, ora tenenti della Guardia. “Ho un cattivo presentimento: il primo attacco e già fallito ed ora la cavalleria del maresciallo Ney sta attaccando gli inglesi, ma non la vedo bene, sembra faticare contro i ranghi serrati delle giubbe rosse. Noi dobbiamo sopravvivere e
prevalere, fratelli miei!”.
“Per l’Imperatore!” Disse con entusiasmo Joseph. “ No!” replicò Pierre. “Per tuo figlio. E per i nostri che verranno poi. E non dimentichiamo che ci stiamo comportando, inconsapevolmente, come membri di una setta segreta. Perché, tu, Armand, hai cercato quella grotta inaccessibile sui Pirenei? Perché abbiamo stoccato nei suoi recessi nascosti armi, generi di scambio e viveri? Chi temiamo? Che scopo stiamo inconsapevolmente perseguendo? Bha, non so! Questa mi sembra sempre di più un’avventura potenzialmente negativa, con tutto il rispetto possibile per l’Imperatore. Non riconosco me stesso. Ma so che, al momento necessario, il nodo aggrovigliato che ho in testa si dipanerà”.
“Come parla bene il colonnello!” Disse Joseph, con ironia, ma poi improvvisamente serio, aggiunse: “Si, convengo anch’io che non tutto sia chiaro, siamo soldati, certo, col tuo istinto Pierre, riesci a schivare le pallottole, io faccio lo stesso, e, quanto ad Armand, esse cambiano addirittura di traiettoria. Tutto ciò non può essere casuale. Abbiamo un destino segnato, e tutti riconosciamo di avere doti superiori a chiunque, anche agli amici della Guardia. Una notte nuvolosa, alcuni anni fa, di guardia, ho giocato a contare le poche stelle visibili con un coscritto. Mi sono vergognato, pensando che non ci vedesse bene e così ho finto di non vederne come lui; in realtà il cielo era un libro aperto per me. Ho decine di episodi simili da raccontarvi e so che anche voi due non siate da meno.
“Rimandiamo, le chiacchiere!” Sbottò Pierre”. “ Sono arrivati i prussiani di Blucher, ora dobbiamo pensare a sopravvivere! Tornate alla vostra compagnia, e diamoci dentro.”
I ricongiunti eserciti inglese e prussiano, dopo epici combattimenti, ebbero la meglio delle provate truppe Napoleoniche. Il grande uomo, dopo l’inevitabile sconfitta, a scanso di equivoci, venne esiliato in una lontana isola al largo della costa africana: Sant’Elena. Da cui certamente non avrebbe potuto ricostituire alcun esercito ne minacciare le potenze europee.
3. Marsiglia. 3 agosto 1820, poi Oceano Atlantico meridionale.
L’impresa commerciale di basso profilo ma efficiente e remunerativa Pierre & Frère aveva due navi da trasporto che, dal porto di Marsiglia movimentava merci di ogni genere con buon margine di profitto per i soci proprietari. Il loro ambito era il mare Mediterraneo, con qualche puntata verso la costa atlantica del Marocco e talvolta le isole Canarie.
Una nave delle due della compagnia si stava muovendo verso il mare aperto con le vele spiegate per raccogliere tutto il vento possibile. L’atmosfera vibrava a bordo mentre il veliero si allontanava dal porto. I tre eggeri speciali, nonché proprietari della nave, la Nefertiti, in omaggio alla mai dimenticata nazionalità di due di loro, avevano deciso di raddoppiare la paga all’equipaggio. La destinazione era ignota alla maggior parte, ma la paga raddoppiata avrebbe convinto l’equipaggio a navigare fino all’inferno. Dopo lo stretto di Gibilterra, la Nefertiti piegò verso sud, e bordo dopo bordo si diresse a Lanzarote, una delle isole Canarie di proprietà della corona spagnola. Semi disabitata, forniva una protezione speciale per le manovre occulte della vela se, che, al riparo del vento, in una cala protetta, stava cambiando veste. La polena rappresentante la dea egizia Maat, venne rimossa con cura amorevole, allo scopo di rendere irriconoscibile la nave. Così anche il nome a poppa venne cambiato in Bewaker, che in olandese, tale nazionalità doveva infatti simulare il veliero, significa Guardia. Ironia sottile e pericolosa, ma Pierre ne era certo, non avrebbe rappresentato un problema per loro. Egli parlava fluentemente l’olandese e i suoi due amici ne avevano qualche infarinatura. Inoltre come lo stesso Armand sosteneva, lui e Joseph potevano are per due esotici olandesi delle indie orientali. Bisognava solo parlare poco.
La curiosità dell’equipaggio venne ricompensata quando il capitano Martell comunicò che la loro destinazione si trovava nell’atlantico del sud molto al largo della costa: l’isola di Sant’Elena possedimento della corona inglese.
La Nefertiti-Bewaker trasportava vino spagnolo e italiano, medicinali, spezie e tessuti pregiati con i quali Pierre pensava di ingraziarsi le autorità.
Il loro insano progetto consisteva nell’avvicinare sotto mentite spoglie il grande corso, la meteora che aveva riempito di significato la loro esistenza: Napoleone Bonaparte.
Le pratiche doganali si sbloccarono a suon di cassette di vino. Pierre, spacciatosi per il mercante Peter Van Blomqvist, con vera classe olandese, convinse il governatore a consentirgli di visitare il famoso prigioniero nel piccolo villaggio di Longwood. Sant’Elena era governata da sir Hudson Lowe, uomo dal colorito giallognolo e dal carattere altrettanto acido, forse per la scarsa gioia con cui reggeva le sorti di quel ciottolo dimenticato da Dio e perduto nella vastità dell’oceano Atlantico a ben mille e settecento chilometri dalla costa continentale africana.
Joseph a cavallo e gli altri due sopra uno scalcinato calesse trainato da un tiro di ronzini riottosi sopravvissuti a chissà quale epidemia equina, si avventurarono sul sentiero polveroso che conduceva al villaggio.
“Chissà se ci riconoscerà!” disse Armand.
“Non è uomo da dimenticare i propri soldati!” Rispose Pierre. “Scusatemi, ma siamo qui per una mia personale ossessione: voglio a tutti i costi sapere da Lui quale sia stato il suo sogno, e, forse, se ha qualche consiglio per noi. Non perderemo molto tempo, so che tua moglie è a due mesi dal parto, e vedrai che questa volta saremo presenti, e, a proposito sarà una femmina, ne sono certo.”
“Non mi dici nulla di nuovo, lo sapevo già, amico mio; credo che la chiamerò Marie Soleil, suona bene. Marie come la mamma e quanto a Soleil è la stella che scalda la terra come ho letto in un trattato di astronomia, così come la piccola scalderà il mio cuore.”
Raggiunsero la grande casa sull’altura davanti alla quale garriva il tricolore. Un piccolo pezzo di Francia segregato lontano da casa. Si presentarono con le credenziali del governatore, e dopo pochi minuti furono accompagnati nella veranda. Su di una poltrona di vimini sedeva l’uomo che aveva fatto tremare l’Europa. Non appena li vide, egli si alzò e, messa da parte la dignità, li abbracciò stretti uno ad uno.
Volle essere informato su tutti i cambiamenti avvenuti in Francia e nel mondo. Pierre lo accontentò. Poi, di getto, gli chiese: “Maestà, Generale, ci dica per favore del suo disegno, del suo progetto e ci consigli: dobbiamo sapere di più per continuare la nostra strada.”
Dopo avere ponderato per un intero minuto, egli rispose: “Non vi ho mai perso di vista in questi anni; in voi c’era e c’è un fermento speciale che manca alla maggior parte degli altri! Cosa dobbiate fare, non mi è dato sapere. Sono però sicuro che siate tutti e tre legati ad un più alto destino. Quanto al mio sogno poi, era ingrandire la Francia, renderla gloriosa e poi arrivare all’Europa e poi ancora…chissà! Ho avuto la percezione del fallimento poco prima di Waterloo, ma non ne ho tenuto gran conto: la storia deve avanzare con le proprie gambe. C’è fra noi una similitudine che non è casuale. Siamo come i fili intrecciati in una trama quasi inestricabile, ma, vedrete, presto qualcuno vicino a voi saprà dare tutte le risposte”. “Andate ora, soldati miei, ricordatemi e abbiate fede nelle vostre capacità. Quanto a me,” Proseguì “Non mi manca molto, sono malato: ho problemi allo stomaco ed in più gli amici con la giubba rossa mi stanno lentamente avvelenando. Non importa: è il mio destino; addio vecchi amici!”
I tre, commossi, lasciarono la dimora sulla collina e, mesti, tornarono alla nave.
SECONDO INTERLUDIO
Marak 4 – Sala Consiliare – 442.000 cicli standard dall’Unione.
Lo speaker di turno Zamaurl, dei Vladlm esordì: “La preoccupazione cresce in maniera esponenziale, fratelli. Il settore dei rettili è stato spazzato via dopo cruenti combattimenti. Abbiamo ottenuto tracce biologiche di un Esterno, ma il corpo era stato danneggiato fino a renderlo irriconoscibile dai maser automatici che hanno funzionato in maniera autonoma fino all’esaurimento dell’alimentazione. Anche questa volta non abbiamo ottenuto alcun dato significativo: nessuna immagine o video, solo dati grezzi sui vettori di avvicinamento e, per giunta, incompleti. Sono un popolo che si muove con l’ombra e la dissimulazione. La flotta arrivata nel settore undici rotazioni standard dopo l’evento, non ha trovato altro che morte e desolazione. Gli scienziati umani stanno nel frattempo studiando i resti dell’esterno, ma i pochi dati raccolti non sono incoraggianti.”
Fu il turno del rappresentante degli umani il Molto Onorevole Frangavar.
“Non ho molto da aggiungere per quanto riguarda la struttura dell’alieno esterno. Sembra possedere una biochimica completamente diversa da quella delle pur diverse specie della nostra galassia. Data l’azione del maser la carcassa ha un volume probabilmente ridotto al 10% dell’originale, e non sarà facile trarre informazioni da quei tessuti alterati certamente mischiati intimamente a materiali inorganici. Quanto ai progetti in corso , abbiamo preso il controllo del pianeta LB41 a 5670 rak da qui. Ma ci sembra troppo vicino all’area interessata dalla recente incursione per avere possibilità di successo. Invece l’esperimento di inseminazione planetaria dei glamark ci risulta, sebbene in fase iniziale, abbastanza promettente.”
Sender Mar, della popolazione insettoide dei Margolg, chiese lumi sull’esperimento di ingegneria genetica e inseminazione in corso su SL3.
“Procede, fratelli. Abbiamo riscontrato un fiorire di civiltà in diverse parti del pianeta. Tutte ad impronta violenta e guerresca come desiderato. Il tasso di sopravvivenza è leggermente migliorato, considerato che i periodi di pace sono molto brevi. Assistiamo anche ad un crescente miglioramento tecnologico: siamo ora alle prime rudimentali armi da fuoco. Ancora poche centinaia di cicli e credo di poter pensare ad una intervento nostro per indirizzarli verso l’ambito più strettamente tecnologico. I sensori ad alta densità in rete, in orbita geostazionaria, hanno fornito migliaia di ore di registrazioni che chiunque dei presenti potrà visionare al proprio Terminale Personale di Informazione. Un dato è discordante e certamente non voluto in fase di progettazione e sviluppo: le creature stanno manifestando un notevole attaccamento al proprio inospitale territorio, e ai propri compagni e compagne. Rappresentano la propria vita nei più minuti particolari con toni accesi e altamente lirici in pitture, scritti, musiche anche…opere per la verità un po’ insolite ma efficaci ed hanno, inoltre, sviluppato diverse religioni monoteiste alle quali si dedicano con ione in rituali complessi. Esistono poi altre religioni, circa duecentotrentanove all’ultimo censimento dei sensori. Tutte queste ideologie sembrano fornire loro un pretesto in più per combattere. Ciò sembra positivo per i nostri scopi. La conflittualità è grande in loro e molto articolata. La violenza si manifesta sia nei nuclei famigliari, sia a livello di abitazioni comuni, sia ancora nei contesti territoriali vicini ed in quelli lontani geograficamente. Le diverse sfumature ideologiche rappresentano poi un incomprensibile ma fertile terreno di conflitto. La loro vita di individui non vale molto nell’opinione di ogni altro. Temo il momento della loro consapevolezza, quando cioè le loro doti fisiche e quelle mentali saranno operative: essi sanno essere assolutamente privi di qualsiasi scrupolo morale, abbiamo infatti molti record raccapriccianti di sacrifici umani e di sanzioni mortali per infrazioni ridicole, alcune legate perfino al diverso credo religioso o a lievi sfumature ideologiche!”
Il corale disgusto delle TRENTAQUATTRO specie senzienti consapevoli presenti nella sala consiliare era palpabile. Anche i feroci Draal erano stupiti. Essi avevano riti di fertilità e di maturità che richiedevano combattimenti sanguinosi con animali inferiori di grande pericolosità; rituali che erano iniziati milioni di cicli fa, e mai avevano pensato di fare più che praticare l’ostracismo
per gli inadempienti e per chi falliva.
Un brivido percorse la grande sala. Fu come se nubi nere gravide di tempesta si fossero sollevate dalla troposfera planetaria fino all’alto edificio.
“L’ultimo punto da riferire all’assemblea” Proseguì il rappresentante umano il Molto Onorevole Frangavar. “Riguarda la localizzazione della Base Dati e Materiali per il futuro o della specie. È stata felicemente situata sul sesto satellite del sesto pianeta, dato che il quinto è il gigante gassoso successivo alla fascia di detriti, asteroidi direi meglio, involontariamente creata dal nostro esperimento energetico del lontano ato. Viene chiamato Titano dagli astronomi di SL3, ed il pianeta attorno a cui orbita viene chiamato Saturno. Sono nomi che provengono dalle loro capricciose e sanguinarie antiche divinità, anche questo è significativo. La sua atmosfera è di azoto e metano; questo idrocarburo è presente nelle tre fasi fisiche: solido, liquido e gassoso. Titano è un satellite di dimensioni leggermente inferiori a SL3 o Terra come gli umani del pianeta la chiamano, sufficientemente stabile dal punto di vista geologico.
Abbiamo scavato la superficie e creato gigantesche cavità attrezzate con sistemi di ultima generazione. Ivi abbiamo immagazzinato anche i dati culturali e biologici di tutte le specie senzienti. In un futuro, spero non troppo lontano, quando la minaccia degli Esterni sarà eliminata, sarà possibile ridare corpo anche alle specie sfortunatamente soppresse dalla barbarie insensata degli alieni. Abbiamo stoccato circa trentamila Terminali Personali di Informazione, utilizzabili da coloro, fra gli umani, con maggiori capacità.
Ed ora prego lo Speaker di voler schedulare un prossimo incontro tra non più di trecento cicli standard: dovremmo avere notizie del completamento dell’esperimento di inseminazione. Che la pace e la prosperità ci accompagnino!”
PARTE TERZA
1. Stati Uniti d’America – Campagna a quaranta chilometri da Princeton Massachussets. 7 Ottobre 1860.
Il gruppo di amici con relative famiglie si era trasferito negli Stati Uniti in America. Avevano lasciato la vecchia Europa senza ripensamenti, anche perché il loro aspetto fisico molto giovanile stava cominciando a dare nell’occhio. Lungo e meditato era stato il trasferimento. La moglie di Pierre, era morta da poco, e aveva lasciato nel suo cuore un grave vuoto. Solo la preoccupazione per la sicurezza dei ragazzi e propria li aveva spinti a trasferire l’attività nel Nuovo Continente. Le quattro vele da trasporto, compresa la vetusta Nefertiti, erano state iscritte nel registro navale americano di Boston, dove la P.A.Y. Ltd, già Pierre & Frères fioriva con i commerci.
Si era provveduto ad acquisire un tenuta distante due giorni di cavallo dal porto, nel quale invece alcuni capannoni erano stati acquistati per lo stoccaggio e l’immagazzinamento delle “merci” comprese quelle a scoppio. La distanza dalle zone più civilizzate e abitate consentì di progettare un ambiente sicuro e poco appariscente.
I ragazzi ormai prossimi ai quarant’anni avevano ricevuto una formazione eclettica: storia, lingue antiche e moderne, fisica, matematica, tutto ciò che era possibile raccogliere dal campo fertile, ma, poco coltivato, della cultura mondiale. Anche Marie Soleil, sebbene femmina, aveva ricevuto la stessa educazione dei “cugini”, ed era, come loro, anche una provetta tiratrice e abile cavallerizza, caratteristiche che lei cercava di dissimulare nei rari incontri sociali a cui partecipava. Difficile era anche stato per loro, costruire una famiglia. Ma la grande capacità di ciascuno di loro nel valutare le persone, aveva dato i risultati sperati.
La comunione e l’amicizia fra MS, così era chiamata Marie Soleil, e PA, Pierre
Armand e Olly, così veniva affettuosamente chiamato il poco più giovane Olivier, era grande e superava in intensità qualsiasi altra relazione, compresa quella con i propri genitori e i propri compagni. Avevano anche viaggiato molto: Canada, Messico, anche durante il recente conflitto, Brasile e la Vecchia Europa in Spagna e Portogallo. Si era solo evitato di tornare in Francia, perché i loro genitori avevano preferito scomparire nell’ombra, e non era certo il caso di riproporsi in loco per sollevare questioni e sospetti sull’aspetto fisico.
Cominciava a fare freddo in questo inizio d’autunno. La foresta sembrava fiammeggiare alle varie tonalità di rosso e giallo delle foglie. Nella loro abitudinaria e solitaria cavalcata i tre giovani scambiavano sempre informazioni e progettavano il futuro, centellinando volutamente la condivisione delle cose con i genitori che, per conto loro, vivevano serenamente portando avanti l’attività commerciale che avevano costruito.
“Sono stato a Washington!” Disse PA “Ci sono fermenti sulla condizione degli schiavi, i rappresentanti degli stati del sud, non vogliono avere interferenze e non vogliono sentir parlare di abolizionismo. Se sapessero che io ho radici in Egitto, mi getterebbero in una piantagione. L’uomo è ottuso per definizione. Quattro del sud, vedendomi scuro di pelle, all’uscita da una taverna mi hanno seguito con cattive intenzioni!”
“E?” Lo incitò Olly a continuare facendo schioccare le dita.
“Niente amici: solo quattro commozioni cerebrali, ottenute senza mezzi fisici. Ora ho acquisito un maggior controllo. Non ho fatto alcuna fatica.”
“Già, bene, e nessuno ti ha visto, ovviamente!” Aggiunse MS, e continuò “Mio padre vuole arruolarsi per conoscere da vicino le nuove artiglierie, ne ha sempre avuto una grande ione. Temo per lui, ha una buona forma fisica e potrebbe
farcela, ma lui, come anche i vostri padri, non è neanche lontanamente al nostro livello.”
“Che lo faccia!” disse Olly. “Non vorrei mai averlo col muso lungo, sarà per lui un’altra avventura e poi noi abbiamo altro da fare che preoccuparci, come per esempio richiamare dal college i nostri figli per una fase di educazione ulteriore, e poi terminare la messa a punto del telescopio per accertare la posizione di quanto sentiamo tutti e tre…intimamente”.
“Continuiamo a dialogare a mente senza parole, ci sono dei cacciatori nativi nei dintorni, stanno nascosti, ed è meglio non scoprire le nostre carte.” Disse Marie Soleil.
All’improvviso, ma senza cogliere di sorpresa i tre amici, comparve dagli alberi un nativo americano abbigliato all’europea; indiani, venivano chiamati sebbene l’India fosse assai lontana, ed anche “Pellerossa” per la sfumatura bronzea dell’incarnato.”
“Salve!” Esordì. E continuò in perfetto inglese: “Il mio nome è Joseph Red Eagle del popolo degli Ah-ni-yv-wi-ya, ma voi ci chiamate Cherokee. Ho camminato per quattordici giorni e sapevo che vi avrei incontrato qui. Non fatevi ingannare dal mio aspetto: ho ben trentasette anni. Lo so, sembro un ragazzino e voi fratelli” Continuò telepaticamente. “Non sembrate da meno. Dobbiamo organizzarci. Non so voi, ma io ho un presentimento di orrori e preoccupazioni al cui confronto quelle della storia ata sono solo la pallida ombra della cruda realtà, ata, come dicevo, presente e forse futura. Qualcuno ci ha voluto così. Io conosco un’altra lingua foneticamente e sintatticamente diversa da ogni altra conosciuta, e credetemi, ne conosco molte, anche del lontano oriente; come e perché questa stia nella mia mente mi è ignoto, ma so che anche voi tre avete questa conoscenza. Ho viaggiato per mare e per terra con missionari cristiani; ho imparato molti linguaggi e scritture diverse con il loro aiuto. Ho fatto di tutto per proteggerli da se stessi e dagli altri, Non sempre è stato possibile. Ho questa
conoscenza assieme ad altre capacità che, sono certo, voi condividete. Sento anche i pensieri delle persone e non avevo mai trovato nessuno come me. L’ansia in me dopo un recente viaggio nelle Isole Filippine, è aumentata. Dovevo muovermi. Ho camminato senza pensare ed ora eccomi qui. Mi sento a casa.”.
“Lo sei.” Disse Olly e continuò.” In quattro possiamo e dobbiamo metter a punto un protocollo per gestire le informazioni che verranno e per “attivare” i più promettenti dei “Normali”; così noi chiamiamo tutti gli altri che non sono come noi. Vieni con noi a casa tua Joe.”
2. Boston. Centro di arruolamento dell’esercito. 24 Febbraio 1861.
Dopo avere salutato la figlia ed i nipoti l’ultra settantenne Armand Adri, dall’età apparente di quarantacinque anni, si recò a cavallo e senza alcuna fretta al centro di arruolamento dell’esercito di Boston. Non voleva avere ulteriori conoscenze delle artiglierie, come aveva lasciato intendere; in realtà pensava di averne avuto abbastanza di guerre e sangue, Semplicemente gli sembravano sforzi futili e indirizzati peggio. Tuttavia, poiché la figlia lo teneva all’oscuro delle proprie intenzioni, egli sapeva con la sua grande capacità di intuizione che cose di più ampio respiro la preoccupavano e che il suo livello di preparazione era ottimale, aveva quindi deciso di portare avanti, sul campo, gli studi statistici e sociologici che da due decenni conduceva. Quale modo migliore per acquisire informazioni dirette che tornare a fare il soldato, e, in questo caso, per una causa giusta: la lotta alla schiavitù.
Gli stati del sud l’8 febbraio si erano staccati dagli Stati Uniti, creando la Confederazione degli Stati Americani, avevano nominato un nuovo presidente Jefferson Davies un politico del Kentucky e designato Montgomery in Alabama la loro nuova capitale. Alcuni colpi di cannone erano già stati sparati, da stati singoli, ma quello rappresentava l’atto formale di costituzione della Confederazione secessionista.
Tutto faceva presagire che ci sarebbe stato un atto di forza: la guerra stava per divampare.
“Nome e cognome” Chiese il sergente maggiore arruolatore. “William Armand, signor sergente, e sono nato a Lisbona da padre americano e madre portoghese il 5 maggio 1821.” Non era infatti necessario che sapessero il suo vero nome, e data la necessità di arruolare un numero sufficiente di soldati, il sistema non andava troppo per il sottile.
Il plausibile quarantenne venne inquadrato nel 6° Reggimento Massachussets e dotato di divisa blu con berretto. Gli diedero un moschetto Springfield .58 ad avancarica ma con canna rigata. Era un o avanti: il colpo aveva una maggiore portata ed era più preciso a causa della rigatura interna della canna. L’organizzazione sembrava efficiente, anche se la preparazione non ebbe modo di svilupparsi in maniera adeguata soprattutto agli occhi di un ex ufficiale veterano della Guardia Napoleonica. Prima ancora di procedere all’azione Armand, a causa della sua efficienza nel tiro e alla sua capacità innata di fare gruppo, era stato promosso “Corporal” caporale, il grado alla base della piramide dei graduati nell’esercito. Singolare il modo in cui venivano chiamati i soldati: “Private”, forse a significare quanto fosse importante la partecipazione del singolo privato cittadino. “Sono strani questi americani!” Pensava Armand.
Egli riteneva, confrontando e studiando le forze in campo e le risorse disponibili, che avrebbe prevalso, dopo sofferenze iniziali, nel giro di due o tre anni, l’Unione. Ma per vedere le carte in mano alla “Storia” il nostro soldato volle rimanere fino alla fine.
3. Gettysburgh Pennsylvania – 3 luglio 1863 - Nei pressi di Three Oaks Massachussets 7 agosto 1863.
Dopo innumerevoli battaglie contro gli agguerriti confederati, sopravvivendo a stenti e ferite e attraversando a piedi, nella migliore tradizione della fanteria, buona parte del continente, Armand, ora sergente maggiore, era schierato presso Cemetery Ridge a Gettysburgh in Pennsylvania. I confederati al comando del generale Lee, da due giorni cercavano di avere ragione di loro. Attacchi ripetuti avevano creato varchi importanti nello schieramento ed il moschetto di Armand era rovente per
l’uso continuo. Oggi doveva finire tutto, secondo la sua stima. Alle 13, dopo un incredibile cannoneggiamento, una marea grigia salì verso di loro. I moschetti fecero il loro dovere ma l’artiglieria era rimasta senza colpi. Fece la differenza il o ottenuto da nord da Little Round Top da dove altre batterie di artiglieria unionista aprirono dei vuoti incolmabili negli attaccanti in giacca grigia.
I confederati, decimati, cominciarono a ritirarsi. E Armand, con le mani spellate dall’uso continuo del moschetto, decise che la battaglia e la guerra erano finite. Posò l’arma accanto ad un masso, e diede soccorso ai feriti come meglio poté.
“Basta! Il resto della mia vita voglio spenderlo accanto agli amici cari e ai miei famigliari. Ora è il caso che il sergente maggiore “William Armand”, scompaia!”. Cambiò la sua giubba blu con quella grigia di un confederato caduto, e poi, recuperata una sacca con vettovaglie, si allontanò verso sud.
Dopo circa un mese di cammino e diversi cambiamenti di direzione, a sei chilometri dalla tenuta di famiglia “Three Oaks” scorse un cavaliere che
galoppava verso di lui.
Con un volteggio degno di una circense, Marie Soleil balzò da cavallo e corse verso il padre con le braccia spalancate.
“Mi sei mancato tantissimo, anche se sei duro da battere, non sei immortale, sei umano! Più di tanti altri. Solo la mamma nutre l’inguaribile certezza che tu sia d’acciaio. Forse ti ha visto tornare a casa dopo troppe battaglie. Lo sai che si tinge i capelli di nascosto? Vuole essere giovane come te. Devi starle vicino. Dobbiamo stare vicini! Abbiamo grandi cose….”
“Riprendi fiato, piccola mia. Si, mi siete mancate anche voi e molto, moltissimo; ora non vi lascerò più. Voglio veder Peter e Mary sistemati. Nonché Junior e Willy. A proposito, sono tornati dal college?”
“Si, papà. Sono più belli che mai. Siamo orgogliosi di tutti loro dobbiamo solo cercare di istruirli per bene. Devono imparare a gestire le capacità che io, Olly e PA abbiamo affinato in questi anni.”
“Era ora figlia mia che tu mi parlassi delle magie che sai compiere. Come certo sai, anche noi non manchiamo di doti e vorrei tanto darti il mio aiuto per le vostre iniziative, quali che siano”.
“D’accordo, é il momento che tu Pierre e Joseph siate parte del progetto. Quanto alle doti, guarda un piccolo “apéritif.” Lanciò allora in aria una manciata di proiettili per fucile, che rimasero sospesi, circa una quindicina, a due metri da terra.
“So che sai fare di meglio piccola: io stesso riesco a deviare la traiettoria di più d’uno di questi cosi quando, arrabbiati, volano verso di me ad alta velocità. Comunque devo ammettere che saresti un ottimo soldato della Guardia, sicuramente il più carino.” Soggiunse, dopo avere visto lo sciame di piombo formare una rosa nel tronco di una quercia a trecento metri di distanza.
I due, scambiatesi altre simpatiche affettuosità, tornarono a Three Oaks per incontrare tutti gli altri.
4. Three Oaks Massachussets – 4 giugno 1882.
Erano tutti riuniti a commemorare con cibo e bevande, come usano gli americani, la scomparsa di Marie Claire, madre di Marie Soleil. Il dolore era grande per tutti ma era necessario chiudere il cuore ai pensieri e continuare quel percorso che veniva ritenuto sempre più chiaro, almeno per MS, PA, Olly e Joe.
Joe, responsabile sanitario del gruppo, li richiamò all’attenzione battendo le mani. Subito il brusio cessò e si fece silenzio.
“Ho ricevuto informazioni dalla Francia che confortano quanto già sapevamo da decenni; microrganismi che chiameremo virus, ipotizzati ma non visti al microscopio come i batteri, sono stati riconosciuti responsabili di infezioni pericolose come il vaiolo, ma ora, un certo Pasteur, ha messo a punto un sistema di immunizzazione che renderà possibile superare questi pericoli. La ricerca deve continuare. Noi ci stiamo prodigando affinché vengano rese disponibili tramite essa medicine efficaci. Ho il sospetto profetico che la chiave per il successo delle campagne contro le malattie infettive e quelle da altra origine sia la sfrenata ambizione di guadagno: quando le imprese potranno “vendere” medicine ed altro, allora a conseguenza del profitto derivato, molti o tutti potranno approfittare di questi vantaggi. Per il momento, sebbene nessuno di noi sia a rischio per infezioni, anzi tutt’altro, voglio comunque proporvi dei semplici protocolli che dovrete usare per migliorare le condizioni igieniche personali.
Sto anche facendo istallare tubazioni per la fornitura di acqua corrente in ciascun settore del complesso.”
Prese la parola PA, responsabile tecnologico e della specola astronomica della
“Famiglia”.
“Abbiamo identificato attraverso osservazioni telescopiche la sorgente di segnale che tutti percepiamo. Sembra provenire da Titano, come sapete, satellite di Saturno. Cosa possa significare ci è completamente ignoto. Tuttavia ci aspettiamo che la scienza renda disponibile, nei prossimi decenni, qualche strumento che plausibilmente ci potrà aiutare a determinare l’esatta sorgente e, forse, a comunicare con essa.”
“Come, papà?” Chiese William. L’aitante giovane era sempre stato percettivo e curioso fin dalla più tenera età.
“Sapete che il telegrafo porta informazioni tramite filo. Potranno, sicuramente essere commutate in suoni in un futuro vicino. Poi, mi sapete dire quale sia la natura della luce? Non si sa: brancoliamo nel buio, scusate la battuta. Ma possiamo fare ipotesi: qualche tipo di emissione o un qualche genere di particelle minime, o corpuscoli se preferite. In ogni caso ulteriori studi determineranno la sua natura. Posso anche ipotizzare altre emissioni legate al magnetismo ed alla elettricità, della quale si sa ancora poco.” E proseguì con convinzione “Datemi un modo per emettere o ricevere un segnale magneto elettrico ed io vi darò la posizione esatta di ciò che cerchiamo. Ci sono energie che sospettiamo esistere ma delle quali non conosciamo nulla; datemi tempo. Ma sono certo che, nello stesso modo con cui inviamo e riceviamo informazioni con il telegrafo, potremo anche farlo con questi nuovi sistemi senza fili che ho ipotizzato.”
Il suo laboratorio sembrava l’antro di un mago delle fiabe. Era pieno zeppo di meccanismi a metà, e di alcuni in fase di completamento. Gli scaffali traboccavano di ogni strumento che la moderna meccanica potesse avere inventato. Tutto serviva per le ricerche comuni; come il laboratorio di PA, quello di Joe pareva la spelonca di un alchimista medievale. Storte, alambicchi, piastre, forni, vetreria varia: un ambiente affascinante. Era tenuto pulitissimo in maniera ossessiva. Joe minacciava i responsabili delle pulizie di scotennamento con
tortura, d’altronde egli era un vero Cherokee, anche se la pratica della raccolta dello scalpo era piuttosto un retaggio dei conquistadores spagnoli. Era il rispetto, piuttosto che le vane minacce, a rendere il suo desiderio attuato, e tutto funzionava a meraviglia.
Fu il turno di MS a intervenire. Era la responsabile dello studio delle “Capacità” mentali e fisiche.
“Abbiamo finalmente determinato la modulazione delle capacità mentali dei soggetti non affini a noi: i cosiddetti Normali. Definiamo le capacità mentali della nostra generazione e delle successive: Zero, così conviene definirci, anche se perfino fra noi esistono differenze ma non significative. Da questo punto di partenza i miei studi hanno determinato che i “Normali” si possano raggruppare in venti categorie. Solo gli individui dalla prima alla quinta hanno la possibilità di attivare, cioè risvegliare, le doti mentali latenti degli altri. Le altre capacità sono decrescenti fino al livello venti, dove però l’attivazione produce, in ogni caso, individui più longevi, percettivi, forti e vitali degli uomini e delle donne non attivati. Come si intuisce dall’ultima frase e dalla mia presenza fra di voi, essere donna non è un handicap per la gestione del potere mentale e delle doti fisiche.
Aggiungo solo che ritengo utile, per il momento, la sola attivazione dei gruppi da uno a cinque con moderazione. Inoltre altri Zero stanno contattandoci da altri paesi, anche lontani. E’ come se i frutti fossero finalmente giunti a maturazione e volessero cadere dalla stessa parte dell’albero. Secondo una proiezione attendibile saremo circa trentamila nell’Anno Domini 2025. Prima di allora dobbiamo prendere controllo di quanto esiste su Titano. In che modo non so. Uno scrittore se di romanzi fantastici, un certo Jules Verne di Nantes, ha scritto alcuni anni fa un simpatico romanzo intitolato “Dalla terra alla luna”, quindi almeno con la fantasia l’uomo sembra poter andare nello spazio. Per la realtà dei viaggi al di fuori della madre terra credo però ci voglia qualche cosa di più tangibile della fantasia. Il futuro ci svelerà ogni cosa.”
TERZO INTERLUDIO
Komarl 5 – Sala Consiliare Provvisoria 442,348 cicli standard dall’Unione.
Il molto onorevole Gabrvlm del popolo acquatico dei Vladlm, esordì senza alcuna enfasi. La sala del palazzo era situata in una profonda caverna del pianeta alla profondità di diciotto km, dove si pensava, la furia degli “Esterni” non avrebbe potuto raggiungere i rappresentanti riuniti delle QUATTRO specie senzienti superstiti.
“Fratelli, parlare di dolore per le recenti vicende è come dire che la stella che riscalda questo pianeta roccioso e inospitale sia la fiamma di un fiammifero. Combattere sembra essere un’opzione non più praticabile. Le risorse sono sempre più scarse. La nostra ultima nave da battaglia è svanita in una nube di gas sotto i colpi di cento navi nemiche. Il punto della situazione verte sulla raccomandazione di nascondere la nostra presenza al nemico e di evitare ogni contatto futuro fino a quando ci sarà la possibilità di rispondere in modo adeguato alla minaccia. Dati automatici ricevuti dagli umani, poco dopo il loro olocausto, ci raccontano cose positive sull’esperimento di SL3. Gli umanoidi hanno sviluppato l’energia nucleare e guarda caso, l’hanno immediatamente sperimentata su loro nemici locali abitanti su un gruppo di isole chiamato Giappone. In seguito hanno migliorato la tecnologia nucleare con armi a fusione di idrogeno, bomba H la chiamano. Hanno anche costruito centrali energetiche a fissione. Sembra che stiano iniziando i primi timidi tentativi di volo orbitale con propulsione chimica.
Gli scienziati umani “ Continuò.” hanno lasciato tracce per istradare il loro esperimento verso un corretto sviluppo tecnologico. Hanno abbandonato un velivolo interplanetario di piccole dimensioni ridotto in fini frammenti con materiali che hanno rappresentato un input per lo sviluppo informatico e della radaristica. Senza farsi domande sul chi e sul come, alcuni di essi, americani si fanno chiamare, hanno cominciato a sviluppare progetti rudimentali ma convincenti in una località segreta che loro hanno chiamato Area 51.
Crediamo, dallo studio dei dati ricevuti, che essi possano fra breve are al volo orbitale, peraltro già praticato da altri umanoidi in competizione con gli americani, i russky, abitanti le fredde terre e particolarmente inospitali del nord del continente più grande. Hanno sviluppato anche una abile, sebbene rudimentale, forma di medicina, che per quante vite salvi, non sarà crediamo, mai efficiente come le loro armi di distruzione nello svolgere il compito opposto. Una discreta progressione quindi verso lo spazio. Possano le Forze dell’Universo intero salvare chi volesse opporsi al loro primordiale furore. Riteniamo che entro pochi cicli i Terminali Personali possano entrare in contatto con alcuni di loro, partendo dal satellite Titano in cui è nascosta la Base Dati e Materiali, dando così inizio al percorso programmato per loro, verso lo spazio profondo e verso il riscatto di tutti noi. Non essendo ancora in possesso della capacità tecnologica di comunicazione relativistica non proiettano pericolosi segnali che potrebbero essere utili al nemico per tracciarli. Quando anche ne entrassero in possesso in futuro, il o fornito dalla Base Dati e Materiali potrà anche insegnare loro il modo migliore per schermarsi e dissimulare la loro presenza. “
“Onorevole collega, quanto ci puoi dire riguardo all’esperimento dei Gramalk su TER6?” Chiese il molto onorevole Baldar Mar del popolo dei Margolg.
“Non abbiamo feed back recenti a causa del disastro portato dagli esterni.” Rispose il molto onorevole Gabrvlm, agitando nervosamente le appendici prensili superiori, mentre la sua attenzione pareva distratta da quanto appariva sui monitor tre D, collocati davanti alla sua postazione. “Gli ultimi dati parevano incoraggianti. L’aggressività dei simil Gramalk sembrava essere significativa. Essi ano il loro tempo in lotte e aggressioni rituali che offuscano persino la loro capacità di crescita socio culturale e la loro progressione sul cammino della scienza. Date loro un proiettore ionico o un arpione da caccia e farete dei simil Gramalk gli esseri più felici dell’universo. Sono frenati dalla loro smodata ione per la violenza; neanche gli umani sono così ottusi. Forse col tempo potranno essere utilizzabili per i nostri scopi. Chissà!”
“Attenzione tutti. Per favore. I sistemi automatici di difesa hanno ingaggiato una furiosa risposta ad un attacco di sorpresa. Gli esterni sono qui. Oh Acque Profonde! No, no, non è possibile! Dobbiamo procedere con i protocolli. Fratelli quello che vediamo è a dir poco, incredibile, quello che ci rimane, e lo raccomando personalmente, è l’autodistruzione. Consiglio a voi tre deambulanti, di usare le gallerie per raggiungere il settore A dell’innesco ed attivarlo. Quanto a me raggiungerò con il servo mobile ruotato gli ascensori e di lì il settore B dell’innesco. La distruzione che provocheremo almeno distruggerà...”
Interrompendo di colpo il discorso, ruotò rapidamente il servo mobile verso la paratia blindata alla sinistra del salone, mentre gli altri convenuti si precipitavano verso la galleria blindata. Era questione di secondi prima che i nemici prendessero possesso della sala controllo.
L’ascensore scendeva ad una velocità impressionante. La nuda roccia scorreva veloce davanti agli occhi di Gabrvlm.
Temeva, per un soffio, di non riuscire ad attivare il sistema di autodistruzione.
A cinquantasei chilometri dalla superficie, la piattaforma si fermò senza un sussulto, aprendosi sulla piccola saletta blindata del Controllo Detonazione B. Gabrvlm sigillò l’ascensore, facendo esplodere le cariche controllate del tubo verticale con un comando del suo bracciale interfaccia, indossato sulle appendici manipolatrici. Con ansia crescente raggiunse il campo energetico a protezione del controllo detonazione e procedette alla clearance per il riconoscimento e l’accesso. I settantatre parametri personali furono riconosciuti in nanosecondi e Gabrvlm ebbe l’accesso al sistema di detonazione. Sperando che gli altri avessero già provveduto alla loro parte di lavoro, dettò le quarantadue cifre per l’attivazione della detonazione, quarantadue come il numero delle originarie specie senzienti consapevoli. Egli, con una parte del propria mente, dal profondo del torace, stava recitando le gorgoglianti strofe della preghiera dei defunti la “Blavl mvlm dal blm bomd Varmlv” e per non sbagliare, anche preghiere di tutte
le specie di cui ricordava i rituali. Alla quarantaduesima cifra chiuse le triple membrane oculari e assunse un atteggiamento di serena e paziente attesa. Dopo poco più di due battiti di pinne la sua consapevolezza sparì in una vampata nucleare assieme alle incalzanti truppe esterne. Ora il destino delle specie galattiche giaceva nelle inconsapevoli mani degli eredi degli umani e fra i molti arti dei grinzosi e massicci gramalk di Ter6.
PARTE QUARTA
1. Isole Azzorre 7 luglio 1984. Residenza Três Carvalhos.
La famiglia aveva differenziato i propri possedimenti e aveva disposto una occultata base operativa nelle isole Azzorre, in pieno oceano Atlantico, a São Jorge in una zona lontana dai centri abitati e dall’attenzione dei locali e degli eventuali turisti. Sulla terrazza illuminata dal sole PA sedeva con Marie Soleil su un divano di vimini; entrambi sorseggiavano un succo di frutta fresco, e sembravano rapiti dal panorama. Pierre Armand interruppe il silenzio e raschiandosi la voce disse con mestizia “Da quando i vecchi se ne sono andati non è più lo stesso. Mi sento smarrito se penso che non ci siano più.”
“Hanno avuto una vita lunga e fruttuosa.” Gli rispose Marie Soleil con gravità. “Noi siamo i loro frutti e, se devo essere sincera, tu mi sembri un frutto ancora acerbo. A stento si direbbe che hai quarant’anni, mentre la verità è molto diversa.”
“Tu poi,”Rispose PA “Sembri un fiorellino cara mia, chi potrebbe mai dire che sei quadrisavola. Ma non è per dirti che sei ancora bellissima che sono venuto a Três Carvalhos. Abbiamo localizzato l’emissione. Proviene sicuramente da Titano. La portante, è molto difficile da scoprire perché è miscelata ai rumori di fondo. Solo chi ne ha la percezione, come noi, avrebbe avuto la possibilità di tracciarla e decodificarla. Ripeteva continuamente un breve messaggio: SL3 chiama. SL3 chiama. Inutile dire che la decodifica è dovuta al mio bisnipote Martin. Ha della stoffa quel ragazzo! Comunque la nostra risposta è stata altrettanto laconica: SL3 risponde.”
“Immagino che SL stia per una sigla casuale, e che 3 possa significare la nostra posizione sul terzo pianeta del sistema solare.” Rispose MS dopo aver sorseggiato il drink.
“Certamente. E, indovina cosa hanno risposto? Non puoi immaginare! E’ arrivata una sequenza di equazioni di matematica superiore. Alcune delle quali al momento poco comprensibili. Assieme ad un messaggio in chiaro in se. Questa la dice lunga sulla loro conoscenza della situazione. Vuole sicuramente dirci che sanno chi siamo e da dove veniamo.”
“Già i vecchi e la loro avventura nell’Armée!” Puntualizzò Marie Soleil.
Pierre Armand continuò: “Sembra che avremo in arrivo un qualche tipo di dispositivo auto propulso. La distanza Titano Terra ora è di poco più di seicento milioni di chilometri. Non abbiamo idea di quanto possano impiegare per raggiungerci qui nell’isola di São Jorge. Hanno le nostre coordinate. Le abbiamo trasmesse ieri sera quattordici ore fa. Ah, Olly e Joe stanno per raggiungerci, ma lo sai già. Non ti si può nascondere nulla. Certe volte mi domando come mai io e te no ci si sia messi insieme. Non credo di avere con nessuno un rapporto così profondo come quello che ho con te. L’unica risposta che posso darmi e che c’è un terzo incomodo: Olly. Doppio problema: anche con lui ho un rapporto che definire fraterno sarebbe come dire che l’Atlantico stia in questa tazza. Ahimè!.”
“Quello che siamo ci ha limitato, PA; e poi non saprei chi scegliere fra te e Olly. Vi amo entrambi e insieme vi rispetto a tal punto che ho preferito essere in intimità con voi solo spiritualmente. Non è toccarmi fisicamente che farebbe la differenza quando puoi indagare i miei pensieri più segreti; se te lo lascio fare.” Aggiunse Marie Soleil.
2. Isole Azzorre 7 luglio 1984 ore 18. Residenza Três Carvalhos.
Lo scalcinato fuoristrada Willis risalente alla seconda guerra mondiale, raggiunse, rantolando pericolosamente, il piazzale dietro la proprietà. Da esso scesero Olly rosso come un pomodoro maturo e Joe già rosso di suo. Abbracciarono con trasporto gli amici, felici di ritrovarsi dopo una lunga lontananza.
“Sei splendida MS. Vorrei tanto avere una trisnonna come te.” Disse Olly.
“L’uomo bianco dice il vero!” Aggiunse Joe, ridendo. E continuò: “Aspettiamo arrivi entro le prossime ore. Mettiamo qualche cosa sotto i denti. Sono sicuro che ci troveranno anche se stiamo in veranda a sorseggiare un vinho do porto freddo.”
L’atteggiamento conviviale degli amici non nascondeva la preoccupazione per l’arrivo delle sonde da Titano. La conversazione procedeva lenta con frasi superficiali mentre la conversazione telepatica fra i quattro amici era intensa e in lingua standard: nel linguaggio, cioè, che ciascuno di loro aveva come imprint nel proprio corredo genetico di capacità mentali. Il sole era scivolato lentamente nel mare e le stelle cominciavano a scintillare sul terso tappeto blu del cielo, quando PA, che fungeva da ufficiale scientifico del gruppo, esclamò: “Ci siamo, stanno per arrivare, sono circa un trentina di oggetti. Se penso che siano ate solo ventiquattro ore dalla loro partenza! Devono avere usato un qualche tipo di propulsione relativistica. Noi con la propulsione chimica o fosse anche stata nucleare non avremmo mai potuto raggiungere la velocità di questi oggetti in avvicinamento. Presto sapremo tutto!”
Il personale era stato opportunamente messo in libertà, e la grande tenuta era immersa nel buio salvo per l’ampia terrazza con splendida vista sul mare, debolmente illuminata da poche lampadine in cui i nostri amici stavano comodamente centellinando un cognac invecchiato a nobilitare la cena sontuosa.
3. Isole Azzorre 7 luglio 1984 ore 22. Residenza Três Carvalhos.
Si manifestò inizialmente come una vibrazione dell’aria che offuscava la nitidezza della notte. Poi all’improvviso quattro oggetti sferici delle dimensioni di un pallone da soccer si manifestarono ciascuno davanti ad un convenuto, altri invece, nel numero di circa due dozzine, si mantenevano semi visibili, a distanza di circa venti metri.
Era con curiosità e senza paura che gli amici guardavano gli oggetti e tutti rimasero in paziente attesa che dalle opache superfici metalliche si manifestasse un segno.
Dopo circa tre minuti di reciproco silenzio, l’oggetto davanti a Marie Soleil emise un debole ronzio e cominciò a trasmettere dei suoni in perfetta lingua se, assieme ad una proiezione di parole sincrone con i suoni e nella stessa lingua. Le parole scorrevano a mezz’aria ed erano di un incredibile incisività: le immagini sembravano concrete e tangibili.
“Sincronizzazione avvenuta. Proveniamo da Titano, ed il mio nome che potrai cambiare a piacimento è TD1, terminale dati 1, sono, come i miei collegati qui presenti, auto alimentato, auto propulso e dispongo di alcuni semplici sistemi di dissuasione a tua disposizione. Siamo interfacce della Intelligenza Artificiale KDT34219006B di nome semplificato Kadat, che si trova fisicamente su Titano. La nostra comunicazione con l’unità centrale non usa protocolli standard per motivi di occultamento e sicurezza che ti saranno chiari dopo la lunga chiacchierata che faremo nelle ore successive. L’unità centrale, anche se artificiale, ha svariati milioni di anni di età ed è l’ultima sopravvissuta nell’area galattica. E’ dedicata al controllo ed alla gestione della BDT, base dati e materiali, di Titano ed ha la stessa dignità legale di un essere umano o umanoide come nel caso presente.”
“Cosa?” Interloquì Joe, con aria offesa. “Scusa, devo rettificare Joe.” Disse in perfetto Cherokee l’unità davanti a lui. E poi in inglese: “Allo stato delle cose non esistono differenze fra umani e umanoidi. Anzi voi siete gli Umani senza alcun dubbio: gli ultimi! Sulle vostre spalle gravano enormi responsabilità e, a proposito, il mio nome è TD2,”
Ciascuno degli amici si cercò un posto tranquillo nel quale interagire col proprio terminale. Lo spazio non mancava di certo. L’alba giunse rapidamente e colse Marie Soleil, Joe e Olly in sonno profondo, evidentemente essi avevano raggiunto una perfetta integrazione col proprio terminale. Pierre Armand, invece stava ancora interagendo con TD3.
“Ritengo che così possa andare bene. Le modifiche che ho consigliato sono veramente importanti. Dovete diventare terminali dati e combattimento, se quello che dici, e non ho dubbi, è vero. Quanto ci vorrà per le modifiche?”
“Circa sessanta rotazioni standard, ovvero circa ottantanove giorni terrestri. Tieni conto che le unità da trasformare sono trentamila. Non mancano i materiali e la robotistica di integrazione è estremamente avanzata. Non si può paragonare con le vostre fabbriche parzialmente automatizzate in Giappone e in Italia. Tuttavia la tua richiesta, come un ordine, sarà attuata nel più breve tempo possibile. I soggetti cui attribuire un terminale però sono circa un migliaio. Le unità disponibili dovrebbero bastare. Ma ti dico per bocca di Kadat che diecimila altre unità TDC saranno immediatamente messe in produzione per soddisfare la richiesta dei prossimi due secoli terrestri. Ciao, come si dice dalle vostre parti, e a presto!”.
L’unità perse di contorno e forma e raggiunse la trasparenza iniziale. Non era più riconoscibile. Lo sciame delle trenta unità riprese il percorso verso Titano, per
sottoporsi alle importanti modifiche chieste dall’ufficiale scientifico Pierre Armand. Il loro viaggio sarebbe stato rapido e invisibile ad ogni rudimentale istallazione terrestre.
PARTE QUINTA
1. Base H – Monti Anjujskj settentrionali Federazione Russa – 10 agosto 2009.
La località era difficilmente accessibile. L’unica strada per raggiungerla era poco più di un sentiero per capre. Tuttavia anche se i mezzi tecnologici stealth di ultima generazione potevano bastare, la prudenza non era mai in eccesso, e questa giustificava la scelta di tale localizzazione per la base principale. Si era inizialmente pensato all’Antartide, ma essa è difficilmente accessibile con mezzi tradizionali e quindi PA aveva deciso per l’estremità nord orientale della Federazione Russa. Ad emissioni zero, era realmente impossibile per la tecnologia del XXI secolo tracciare tale località e ciò dava la necessaria tranquillità per espletare le attività più congeniali al gruppo Zero, come si facevano chiamare. L’unica parte esposta alla vista era rappresentata da una dimessa e fatiscente capanna che chiunque non in pericolo di vita durante una furiosa tormenta di neve, avrebbe evitato con cura. La montagna era stata scavata dai robot e gli allestimenti avevano richiesto circa dieci anni terrestri per l’approntamento. La base, interamente sotterranea, ospitava circa trecento persone dedite per lo più ai controlli delle comunicazioni e alla gestione dei velivoli ad attività mista orbitale, interplanetaria ed atmosferica. Erano gli unici per il momento disponibili al gruppo in quanto gli altri di maggiori dimensioni erano di base a Titano. Lo up link ed il down link da Titano avveniva tramite antenne dissimulate in normali rocce, con l’aspetto di normali rocce; le trasmissioni avvenivano tramite file compressi nel rumore di fondo, in modo che nessuno, e specialmente gli esterni, dei quali oramai si conosceva l’esistenza e le funeste implicazioni, potesse tracciarle. Pierre Armand si trovava nella sala controllo principale ed era in video conferenza con Joe e Kadat.
“Kadat, come procede l’assemblaggio dei nuovi TDC e dei satelliti da riconoscimento e combattimento?” Chiese PA.
“Cento per cento, Pierre Armand.” Rispose la voce dolce e suadente di Kadat. “Quanto ai satelliti, sai che quelli ivi per l’intelligence, sono operativi da
milioni di anni. Neanche un angolo del pianeta, profondità comprese può sfuggirci. I pianeti, i satelliti e i planetoidi e la fascia degli asteroidi che i vostri lontani parenti hanno inavvertitamente prodotto con un esperimento ad alta energia, sono tutti coperti. Per quanto riguarda l’esterno del sistema solare, abbiamo dei sensori ivi collocati in maniera random, in ogni direzione fino ad un rak di distanza. Riceviamo solo trasmissioni elettromagnetiche molto vecchie che hanno anche milioni di anni. In comunicazione relativistica riceviamo periodicamente un file compresso con un algoritmo veramente all’avanguardia, che proviene dai sistemi automatici di monitoraggio del pianeta dei glamark, Ter6, che indica semplicemente uno stato di sviluppo ancora lontano dall’era tecnologica. Il resto dello spazio è muto. Ho calcolato che la probabilità che le specie senzienti possano essere sopravvissute siano inferiori al due per cento. Vi evito i numeri dopo la virgola, per pietà e comprensione. I sistemi attivi con capacità di riconoscimento e risposta bellica adeguata sono in fase iniziale di allestimento. Certamente non abbiamo minacce immediate, però ritengo sia meglio procedere con celerità. Saremo operativi e discretamente protetti solo fra circa venti anni standard, non possiamo fare meglio, e inoltre l’attività così come viene svolta senza la partecipazione della maggior parte dei cittadini del pianeta, è sicuramente più complessa. Ritengo dobbiate informare tutti non oltre il 2025. Almeno eviterete che risorse utili vadano disperse per la conquista del pianeta rosso, Marte, nel quale sono già presenti quattro nostre piccole basi sotterranee. Le sonde si accendono e spengono come luci sull’albero di Natale per evitare di essere tracciate dalla sia pur rudimentale tecnologia disponibile alla NASA e agli altri enti spaziali terrestri.”
Fu la volta di Joe di intervenire. “La salute del gruppo zero, non si può mettere in discussione: nessuno dei circa ventitremila Zero, ha mai manifestato più di un malessere associabile ai rinovirus del comune raffreddore. Stiamo dirottando però risorse nella maniera più occulta possibile, per provvedere a vaste parti di popolazioni dei cosiddetti terzo e quarto mondo. La fame e le malattie, sembra incredibile all’incipit della nostra campagna contro gli “Esterni”, mietono ancora vittime. E’ un semplice discorso di sensibilità umana. I proto Umani ci volevano, come sappiamo dalle registrazioni, feroci e spregiudicati; lo siamo sicuramente. Non dimenticherò mai una delle più comuni affermazioni dei latini, proposta da Plauto: “Homo homini, lupus.” Semplicemente c’è qualche cosa in più dentro l’uomo, e vorrei che fosse possibile fare emergere queste qualità positive da ciascuno. Gli enti benefici talvolta traggono vantaggi dalle donazioni. Ciò è
scandaloso ma è abbastanza tipico di ciò che è successo negli ultimi millenni. Purtroppo non possiamo ancora regolamentare le attività umane. E’ troppo presto. Comunque il poco che stiamo facendo è meglio di niente.”
“Dimenticavo.” Proseguì Joe. “Pare che il tuo bisnipote Martin sia ancora stato rapito! Mi spiace. So che non corre rischi, ma è infantile questo suo viaggiare casuale per correggere i torti dove ne trovi. E’ meglio un’azione concertata e controllata e...”
“No, Joe.” Disse Kadat. “Martin ha la sensibilità di un Frate scano in un corpo con la forza di una divisione di panzer. Non può farne a meno. E’ empatico. La sofferenza altrui è la sua sofferenza. Egli si muove come lo Shogun della leggenda giapponese. A caso colpisce i negligenti ed i colpevoli per salvare le vittime dell’ingiustizia. Poi, non dimenticate, che è il più dotato di voi tutti, Un doppio zero, lo definirei. Si, zero zero.”
Il bisavolo Pierre Armand si fece una corroborante risata: “Zero zero sette. Kadat. Il suo nome è Bond, James Bond.”
“Robin Hood, suona meglio, PA, che ne dici Kadat?”
“Non so tirare frecce come te Joe, e non riesco ad apprezzare pienamente la tua battuta.” Rispose l’Intelligenza Artificiale. “Ma credo che il paragone sia abbastanza calzante!”
2. Base H. Monti Anjujskj settentrionali Federazione Russa – 10 agosto 2009. Base Dati e Materiali - Titano 11 agosto 2009.
La parete verticale della montagna si aprì lentamente. Un occhio buio della dimensione di un campo di calcio si aprì sulla notte siberiana. Nessuna luce, per non segnalare la propria presenza ad improbabili sguardi. Il terreno era quanto di più impervio si potesse trovare sulla terra. La verticalità della parete non rappresentava certo un ostacolo per intraprendenti scalatori. Del resto sir Edmund Hillary e molti altri dopo di lui, avevano scalato l’Everest ben più alto dei monti Anjujskj settentrionali, ma il gruppo contava soprattutto sulla mediocrità di tali montagne: non avevano nulla da offrire al paragone delle alte vette Himalaiane. La navetta da trasporto, venticinque metri di lunghezza per diametro di sei, si librò silenziosa nella notte e mentre lentamente prendeva quota, la parete della Base si richiuse silenziosamente come si era aperta.
La Cicero, questo era il suo nome, comandata da Klaus Pasqua, un simpatico giamaicano dai folti capelli acconciati rigorosamente alla rasta, un buon livello due mentale, raggiunse presto la stratosfera e in poco altro tempo lo spazio aperto presso la stazione spaziale Alpha, da pochi anni in fase di costruzione ad opera degli enti spaziali terrestri. Era un gioco comune a tutti gli equipaggi del gruppo. Si voleva monitorare a distanza d’occhio lo stato di avanzamento dei lavori sulla stazione spaziale anche per intervenire a risolvere di nascosto i problemi che potessero presentarsi. Si guardavano gli sforzi ufficiali per conquistare lo spazio, senza sufficienza, ma con l’affetto preoccupato con cui si cura un cucciolo inerme.
“Comandante, guarda hanno una piccola crepa nello scafo dell’unità laboratorio!” Disse il secondo ed ultimo dell’equipaggio Guido Pravettoni un livello tre.
“Avviciniamoci a cento metri di distanza, così potrai fare un po’ di attività extra veicolare per aiutarli a loro insaputa.” Rispose il Comandante Pasqua.
La navetta era invisibile da parte di chiunque; sulla sua sagoma si riproducevano i corpi celesti così come si vedevano da diversi punti di osservazione, ed era assolutamente invisibile ai radar ed alle sonde di più recente generazione.
Il secondo ufficiale scivolò fuori dalla navetta e si diresse verso la stazione spaziale con la tuta autopropulsa. Arrivato al punto in cui si trovava la piccola falla, rapidamente la sigillò, con molta minore fatica di quella che avrebbero fatto gli astronauti terrestri nelle loro ingombranti tute e, lanciato un silenzioso quanto ignorato saluto alla stazione Alpha, ritornò sulla Cicero.
La navetta si allontanò rapidamente, raggiunse l’orbita lunare e, protetta dalla massa del satellite, si allontanò a distanza sufficiente per effettuare la prima breve transizione, che l’avrebbe avvicinata a Titano. Le transizioni erano effettuate a distanza relativamente breve per ottenere un’emissione di energia minima e quindi non tracciabile da parte degli Esterni. Dopo quattro brevi transizioni, a circa centomila chilometri da Saturno, la Cicero ò alla propulsione normale e si avvicinò all’orbita di Titano per effettuare il rientro e l’atterraggio.
Ad un migliaio di metri dalla superficie il sistema controllato dall’intelligenza artificiale Kadat, aprì la piattaforma di accesso larga nella parte più piccola solo centocinquanta metri. La Cicero si muoveva leggera come una piuma, sebbene la gravità del satellite, pur inferiore a quella terrestre, fosse comunque elevata, sostenuta dai generatori antigravitazionali. Infatti la sua forma cilindrica, per nulla aerodinamica, mal si sarebbe prestata al volo atmosferico seguendo le leggi fisiche del volo in un campo gravitazionale. Superato l’ingresso, la navetta si addentrò nella base mentre l’apertura si sigillò rapidamente e ermeticamente. Una connessione stagna venne attuata con la navetta e l’equipaggio poté raggiungere la parte abitata della Base Dati e Materiali.
Il volo di ritorno era schedulato per il 15 agosto, quindi avevano tre giorni di riposo da dedicare al solarium della base o agli sport disponibili quali nuoto, tennis, fitness e persino golf, in un bel campo a diciotto buche. La minore gravità rendeva alcune di queste attività sportive estremamente più difficili delle stesse praticate sulla terra, ma l’ambiente era comunque molto confortevole.
Klaus e Guido dopo un breve scambio di battute con il comandante, nonché decano del gruppo, Marie Soleil, si rifugiarono nella proprie stanze per crollare in un sonno ristoratore.
Marie Soleil intendeva organizzare un’esplorazione verso il lontano sole dei glamark, attorno al quale ruotava il pianeta Ter6. Il progetto era in fase d organizzazione: doveva avere un basso profilo energetico e muoversi dissimulando la propria presenza agli ostili alieni.
Contattare i Glamark e riportarne dati attuali avrebbe dato peso all’intenzione del gruppo di informare, nel 2024, tutti gli abitanti della terra, allo scopo di ottenere la collaborazione universale ai progetti di difesa e attacco, fondamentali per la sopravvivenza della specie umana e dei dati delle altre quaranta specie scomparse nell’olocausto galattico provocato dagli “Esterni”.
“Kadat, comincia col selezionare un equipaggio. Scegli i più idonei alla trasferta. Sarà un viaggio lungo tenuto conto della cautela con cui la nave si muoverà. Pensavo a Martin, il bisnipote di Pierre Armand, come comandante, che ne dici?” Chiese MS al proprio T .D. C. terminale dati e combattimento, volteggiante a cinquanta centimetri dalla sua testa in configurazione di visibilità totale.
“Buona idea. Ma al momento Martin è indisponibile. Sta giocando al salvatore dei deboli. Dovrebbe trovarsi dalle parti del deserto saudita. Avrò un riscontro più preciso fra venticinque minuti se vuoi, Marie Soleil.” Rispose Kadat.
“Ti darò, intanto, il progetto tridimensionale della nave da ricerca e combattimento che sto progettando, fra quarantotto ore. Discutine con gli altri per eventuali variazioni e richieste da sottopormi. Ma non dovrebbe dispiacerti troppo. Sto modificando il progetto di una nave da combattimento di medie dimensioni dei rettili. Il modello che ha resistito di più all’ultima battaglia con gli alieni. Anzi, se i dati in nostro possesso sono corretti due o tre carcasse dovrebbero essere ancora in orbita attorno al loro sole, sebbene gli equipaggi siano stati sterminati dalle carenza dei sistemi di sostentamento. Ho migliorato le difese ive ed amplificato le caratteristiche stealth.
Quanto agli armamenti, ho pensato a quanto di più evoluto ci sia nel nostro arsenale, migliorato con i vostri suggerimenti. Specialmente quelli di Pierre Armand. E’ fenomenale, ha molta inventiva. Inoltre la presenza di Martin a bordo e di qualche altro zero, renderà la nave invincibile. O almeno me lo auguro.”
“Questa tua lieve incertezza mi fa venire i brividi. In ogni caso dobbiamo muoverci. Le informazioni sono vitali per noi. Possono fare la differenza fra sopravvivere e soccombere. Se questi Glamark sono formidabili come i video sembrano suggerire, avremo almeno una fanteria di prima classe nei conflitti planetari. Ho pensato al nome con cui battezzare la nave: è una nave da guerra che effettuerà un’esplorazione importante in uno spazio potenzialmente ostile. Ma ciò che deve fare è raccogliere informazioni e scoprire nuove realtà. Se fossero tre proporrei Niňa, Pinta e Santa Maria. Ma è una sola e perciò…”
“Santa Maria. Ho indovinato vero? E poi guarda caso il tuo nome è Marie. Che strana coincidenza! Ma va bene così, sono d’accordo! A proposito, invierò tramite la Cicero altri mille terminali personali dati e combattimento. Con questo
invio dovremmo avere un margine di terminali non ancora sincronizzati utile per i prossimi anni. Buona partita a tennis Marie. Vorrei tanto avere delle braccia e delle gambe per darti una lezione. E chissà che un giorno non si possa migliorare l’integrazione fra un o corporeo biologico artificiale e una IA a rete neurale! Allora vedrai!”
“Si, dai! Fino ad allora accontentati di battermi a scacchi tre D.”
3. Repubblica Unita dello Yemen – San’a - 21 agosto 2009.
Martin era giunto nello Yemen da circa una decina di giorni. Si era comportato come il classico turista sprovveduto, andando in giro per la città con l’indifferenza di un ricco e ignorante turista occidentale, senza nascondere ad alcuno il desiderio di visitare le zone interne, le più impervie del paese, dove avrebbe, forse, trovato, i desiderati rapitori di Al Qaida, il noto gruppo terroristico. Non vedeva l’ora. Il sistema alternativo sarebbe consistito nel saturare la zona con due o tre migliaia di micro sensori a multi tecnologia, per scoprire la loro posizione. Ma Marie Soleil non avrebbe mai acconsentito a distogliere risorse ai progetti principali, e, peggio ancora, il bis bisnonno, sebbene molto affezionato a lui, si sarebbe infuriato come solo un livello zero sa fare. Quindi il buon lavoro di gambe e di occhi e degli altri sensi raffinati di cui era in possesso gli avrebbero consentito di trovare gli organizzatori turistici più idonei ai suoi bisogni. Sospettava, senza essere un esperto della CIA. o dello MI6, che i rapimenti fossero organizzati a partire da informazioni tratte da opportuni basisti in loco. Per lui il rischio fisico era prossimo allo zero, tuttavia temeva che altri turisti, non attrezzati come lui, potessero incorrere in pericoli non sostenibili. Doveva vigilare. Entrò nella piccola agenzia di viaggi ed escursioni che gli era stata indicata in un caffè della città vecchia, sicuro covo di furfanti. Il nome dell’agenzia era un suggestivo Western Tourist Travel Agency, una vera attrattiva a leggerne il nome.
“Buon giorno!” Disse in inglese all’impiegato vestito in abiti occidentali. Martin indossava una sahariana che faceva molto Lawrence d’Arabia, e sfoggiava una lussureggiante Nikon digitale al collo, assieme ad un cronografo Breitling da seimila dollari al polso sinistro.
“Buon giorno a lei, signore o, come diciamo qui: “Salam Aleikum” in cosa posso esserle utile?”
“Sono qui da qualche giorno, ho già visitato la città: molto interessante davvero. Ora vorrei fare un tour che mi desse una visione più completa del paese. Avete qualche proposta? Tenga presente che non ho problemi economici, la mia azienda copre tutte le spese, le raccomando quindi di trovarmi un tour ricco di contenuti e con il massimo del confort. Non vorrei davvero dormire a dorso di cammello, aha, aha!” Rise Martin.
“Maledetta capra infedele!” disse in arabo l’impiegato, senza immaginare che il “turista” conosceva e parlava la lingua meglio di lui se anche non avesse già letto con curiosità i suoi più reconditi pensieri.
“Ci siamo, Banzai!” Pensò Martin, valutando subito il coefficiente dell’impiegato. Era solo un livello 14 non ancora attivato.
“Certo signore, ho qui un prodotto che farà sicuramente al caso suo!” Disse l’impiegato col fare untuoso di un venditore di macchine usate, o per rimanere in tema, di cammelli abusati.
“Lasci che le illustri le principali caratteristiche del tour. La prima cosa che vale la pena di visitare è certamente il Palazzo della Roccia Dar al-Hajar, costruito sette secoli fa e ristrutturato recentemente, solo novant’anni fa, in maniera sontuosa per volere dell’Imam Yahya. Pensi sir, è alto ben sette piani, ed è un florilegio di colonne istoriate ed archi. La roccia su cui sorge ha un pozzo profondo ben centottanta metri. Un lavoro magnifico come solo un popolo orgoglioso e capace sa fare. Ma non aggiungo altro. Dovrà vederlo con i propri occhi. Poi il tour procederà verso Shibam, la Manhattan del deserto, ricca di palazzi a sei e sette, piani tutti color ocra come il deserto che li circonda.”
“Che bellezza!” Pensò Martin Haim. “Case fatte di sabbia del deserto in mezzo al deserto! Grande fantasia. Ma forse sono troppo critico. In fondo la popolazione insettoide estinta dei Margolg, costruiva sul proprio pianeta meraviglie di sabbia compressa a creare forme architettoniche meravigliose”.
E a voce alta: “ Mi ha convinto, non aggiunga altro. L’importante è che le condizioni degli Hotel sul percorso siano adeguate alla mia richiesta. E’ così vero signor Alì, come dice la targhetta sul suo abito?”
“Certamente tutto sarà adeguato sir!” E pensò con intensità: “Maledetto infedele sterco di mille cammelli, vedrai, vedrai!” E ancora con suadente gentilezza. “La verremo a prelevare domani alle ore sei del mattino. E’ l’ora migliore per viaggiare sulle confortevoli Land Rover della nostra agenzia. Vuole cortesemente farmi strisciare la sua carta di credito? Sono solo quattromiladuecento dollari U. S. sconto compreso.”
“Ecco a lei Alì. Raccomando la puntualità.” E aggiunse “Brgintlagr!” Che nella lingua degli scomparsi rettili significa “Cucciolo abbandonato di una covata malata, di padri sconosciuti ma sicuramente pervertiti.”
“Come dice sir?”
“Nulla, Alì! Mi stavo solo raschiando la gola. Sa questo vento caldo, e la sabbia, cielo! C’è sabbia dappertutto! Povera la mia gola!”
4. Repubblica Unita dello Yemen – San’a - 24 agosto 2009.
La visita turistica, doveva dare atto ad Alì, meritava veramente. Il palazzo era meraviglioso. E poi Shibam era estremamente caratteristica. La popolazione era amichevole e disponibile e, incredibilmente, sembrava uscita dalla macchina del tempo da due secoli nel ato: le donne erano velate, coperte da mantelli neri, i bambini scalzi giocavano nella sabbia con l’entusiasmo di tutti i bambini del mondo e gli uomini vestivano, per lo più, con abiti tradizionali. I mercati erano coloratissimi, ricchi di merci pittoresche di ogni tipo e gli edifici presentavano un’architettura apparentemente casuale ma ricca di effetto. Ora l’autista Farouk, un taglia gole della peggior specie, li stava conducendo verso un uadi “Maravigliosso!” diceva, dove sicuramente i turisti sarebbero stati prelevati tutti e undici da predoni collegati con Al Qaida. Le due Land Rover seguirono una pista sabbiosa verso le alture lontane all’orizzonte, mentre il sole iniziava la sua lenta discesa verso la notte. Dopo tre ore di sballottamenti continui, la pista, tale era, non aveva la dignità di strada, mostrò una certa pendenza e si inerpicò fino al vertice delle alte colline desertiche che rappresentavano la loro destinazione. Su di un pianoro i turisti scesero a sgranchirsi le gambe e fare qualche foto: il panorama era veramente suggestivo.
“Manca molto all’arrivo?” Chiese con fare arrogante Martin all’autista.
“No sir! Ma per notte noi fare piccolo accampamento qua! Accendere fuoco e mangiare squisita pietanza di carne di montone con riso e bere the del deserto molto zuccherato. Voi no turisti, voi ora veri beduini del deserto!”
Martin non proferì verbo. Sentiva che presto avrebbe avuto le risposte desiderate. Alcuni uomini, circa una decina, erano acquattati a poche centinaia di metri da loro, sicuramente animati dalle peggiori intenzioni e Martin, vigile e attento come solo un livello zero può essere, attendeva pazientemente. La cena
era stata semplice ma gustosa, ed il chiacchiericcio dei turisti stava ora acquietandosi, predisponendo gli animi al riposo nelle tende montate con professionalità. Martin attese nella propria tenda in vigile attenzione. Dopo due ore di attesa, i banditi si approssimarono al piccolo accampamento e, senza preoccuparsi di fare silenzio, entrarono nelle tende e trascinarono gli ignari e inermi turisti fuori dalle medesime, senza fare complimenti e anzi, per sottolineare la propria posizione, alcuni di loro esplosero in aria raffiche di Kalashnikov allo scopo di spaventare i turisti già frastornati dagli eventi. L’uomo che si stava occupando di Martin, avvertì un improvviso lancinante dolore addominale che si irradiava dai testicoli, che egli sentiva stretti in una morsa ferrea, senza capirne la causa. Dilaniato dal dolore, non si comportò in maniera rude come avrebbe voluto con il cane infedele.
Un turista tedesco, un certo Gunther, agente di polizia di Francoforte, per nulla spaventato, approfittò del momento iniziale di confusione per cercare di sottrarre l’arma ad un terrorista. Ci stava quasi riuscendo, quando uno degli altri, notato il trambusto, alla fioca luce del fuoco dell’accampamento, abbassò l’arma e fece fuoco: una breve raffica da tre metri di distanza. I colpi però si persero nel buio, ed i successivi non esplosero perché l’arma si era inspiegabilmente inceppata. Allora usò la stessa come clava sulla testa del povero turista, ma anche questo tentativo andò a vuoto: la clava improvvisata scivolava senza quasi colpire il bersaglio designato. Infine con l’aiuto di altri quattro beduini, immobilizzò il coraggioso turista tedesco, inconsapevole dell’angelo custode che vigilava su di lui. Il TDC., terminale dati e combattimento, di Martin, nel frattempo, emetteva una frequenza selettivamente direzionata sui terroristi, per produrre in loro un certo disagio fisico, allo scopo di attenuare la loro iniziale aggressività ed evitare azioni sconsiderate e pericolose per la vita degli ostaggi. Ogni protesta dei turisti fu rapidamente zittita, ma con maniere civili, a tutti vennero legate le mani, poi furono caricati rapidamente sulle Land Rover, a cui si unì un furgone Bedford, che non avrebbe sfigurato all’Expo di Parigi del 1900. L’alba li raggiunse nei pressi di un profondo e largo uadi popolato da sporadiche palme, e da poche abitazioni in legno e lamiera. Venne loro incontro un gruppo di terroristi e di donne velate che ululavano di gioia a gole spiegate. Martin pensò che non avrebbero sfigurato nella tribù Cherokee dello zio Joe. Quello che sembrava il capo, agghindato con abito tradizionale e disarmato, ma con un rosario di cui sgranava le pietre con pazienza e concentrazione fra le dita, disse nella propria lingua, un dialetto che Martin non conosceva, di rinchiudere gli ostaggi in una
baracca di lamiera, in attesa di riscontrare l’identità di ciascuno. Doveva essere un’operazione semplice in quanto avevano già i dati dei turisti direttamente dall’agenzia di viaggio che nel frattempo aveva chiuso i battenti, per non lasciare tracce.
Vennero prelevati ad uno ad uno e portati al cospetto del capo. Tutti collaborarono di buon grado, era inutile fare resistenza, i rischi erano grandi. E poi la cortesia che i rapitori manifestarono, fu delle più squisite. Tuttavia il disagio e la malattia aveva colpito i circa centocinquanta guerriglieri: era in atto un’inspiegabile epidemia di violente coliche addominali con concomitante perniciosa flatulenza. I tre quarti di loro erano fuori combattimento. Anche il capo soffriva: dissimulava i rumori addominali con continui colpetti di tosse nervosa, mentre il sudore dovuto alla sofferenza, ruscellava sul suo volto; era in attesa del gruppo di compratori, degli jiadisti fanatici ma dotati di portafoglio rigonfio grazie ai finanziamenti provenienti dall’Arabia Saudita. “Che Allah mi protegga, ma questo dolore è insopportabile!” Pensò, cercando di ricomporsi mentre stava interrogando un cittadino americano: il signor Martin Haim.
Martin stava intanto condizionando i guerriglieri, era già a più di metà dell’opera. Per quindici di loro aveva creato le condizioni per trasformarli in devoti frati scani. Agli altri aveva destinato la partecipazione ad enti umanitari, e un piccolissimo nucleo di cinque, fra cui due donne ed un bambino dopo essere stati ricondizionati ed attivati, sarebbero stati trasportati a Three Oaks per la formazione culturale e l’inserimento nei progetti del gruppo. I sopraggiungenti jihadisti, subodorando qualche trucco, entrarono nel villaggio ad armi spiegate ed aprirono il fuoco sui guerriglieri. Un paio caddero sotto i colpi fratricidi, ma in millisecondi il TDC di Martin ed egli stesso reagirono: tutti e dieci caddero a terra per un improvviso ictus cerebrale e per fori di laser ad alta energia.
5. Deserto yemenita. 27 agosto 2009.
Gli ex guerriglieri, riconquistata la lucidità, sembravano quasi pentiti come persone intossicate dal q’at, una droga locale, devastante, molto usata dai locali che ne masticavano quantità industriali, che avessero deciso di disintossicarsi. Martin caricò sulle Land Rover i turisti spaventati e, date loro delle precise indicazioni, li rispedì sulla pista per San’a. Seguito dai cinque prescelti si allontanò nel deserto. Questi lo seguivano inebetiti, salvo il bimbo che essendo stato attivato ed essendo un livello 4, aveva una capacità di percezione notevole.
L’attività di condizionamento o decondizionamento svolta sapientemente da Martin, seguiva il principio santo del “Primum non nocere!” evitava cioè di fare qualsiasi tipo di danno anche minimo. Funzionava rimuovendo i condizionamenti culturali radicati, che potevano essere di ostacolo al riconoscimento di valori umani oggettivi, fondamentali per poter vivere in un mondo moderno in cui il rispetto per gli altri fosse la colonna portante dell’edificio. Non era pratica per tutti, ma un livello zero, come Martin, che la esercitava da alcuni decenni, poteva risolvere anche i casi più radicati in pochi minuti. Si sedettero all’ombra di una duna in attesa che un trasporto giungesse da Three Oaks per recuperarli e portarli a casa. “Messaggio dalla famiglia! Disse Kadat per bocca del terminale di Martin.
“Ciao Kadat! Come stai?”
“Discretamente bene come sempre, e particolarmente bene quando ti sento e vedo Martin! Ti o il bis bisnonno. E’ ansioso di comunicarti una buona notizia, e, non temere, le tue azioni vengono considerate con rispetto e non con sospetto, in parole povere voglio dirti che non ti faranno il mazzo.”
“Piccolo Martin!” Disse il bis bisavolo. “Ho il gradito onore di convocarti su Titano per farti una proposta che non potrai rifiutare. Non voglio anticiparti nulla, ma, fidati, non sarà per una paternale che ti voglio su Titano, e immediatamente.”
“O K, ci sarò!” fu la laconica risposta del Doppio Zero. Il problema con la famiglia risiedeva tutto nella longevità dei congiunti. Era veramente imbarazzante ritrovarsi davanti il proprio padre con il nonno, il bisnonno ed il trisnonno tutti giovani e furibondi perché ritenevano ottusamente che tu non ti fossi comportato in maniera ortodossa. Il rovescio della medaglia stava nell’affetto che si sentiva come concreto davanti a tutti loro nell’interscambio di pensieri che avveniva fra stretti famigliari. Era per non esagerare con i sentimenti che Martin stava per conto suo, ed anche perché aveva perso la donna della sua vita dodici anni prima per un banale incidente. Rose si chiamava. Era un livello diciannove. Tenera e dolce come nessun’altra donna potrà mai essere nei secoli pensava Martin. Morta in un incidente di montagna sepolta da una slavina per l’intemperanza di alcuni sprovveduti figli di papà (o di altro pensava realmente Martin) che l’avevano provocata a danno altrui.
Da allora attivarsi per correggere i torti era diventata la sua personale ossessione. E ci riusciva bene.
PARTE SESTA
1. Titano. Base dati e materiali. 3 settembre 2009.
La navetta Cato stava scendendo lentamente verso la superficie del satellite di Saturno.
“Che meraviglia!” Pensò Martin osservando dal monitor il grande lago di metano ed etano che si trovava ad alcuni chilometri dall’accesso alla base. “E’ una natura di una bellezza struggente nella sua desolazione. Quando sono lontano non ci vorrei mai venire su questo sasso pieno di idrocarburi, ma quando sono qui devo ammettere che ha una forte capacità di suggestione. Sono curioso di vedere altro, magari fuori dal sistema; che non sia questo il motivo della convocazione! O piuttosto mio padre pensa di avermi trovato la compagna per la vita per produrre altri bravi soldatini zero.”
La Cato atterrò nello spazio dedicatole all’interno della base, e i eggeri si diressero verso il settore residenziale ove Martin, senza sorpresa, vide il comitato famigliare al completo. C’era anche sua madre un livello cinque, che si chiamava Kyala, di ascendenza navajo, una vera mamma ansiosa. Anche se aveva avuto sette figli dal marito Joseph Armand, tutti zero, non poteva fare a meno di sentirsi preoccupata per ciascuno di loro, e soprattutto, per Martin il più piccolo. Era ansia materna a tempo pieno la sua, ma non ci poteva fare nulla.
C’era anche la zia Marie Soleil. Questo la diceva lunga sull’importanza dell’incontro.
Kyala avviluppò l’amato figlio in un abbraccio che avrebbe spezzato in due un coccodrillo, e dopo avergli stampato tre grossi baci gli disse: “Mimmi, tesoro, non vogliamo che tu sia troppo stanco. Rifocillati e riposati avremo modo di
parlare con te di cose importanti domani mattina alle zero sei zero zero, ora standard della base.”
Martin, rosso come un succulento gamberone grigliato, sotto lo sguardo attento e analitico dei parenti, bisbigliò alla madre “Mamma sai che non voglio che mi chiami così! Ho quarantadue anni, non sette, santo cielo! Comunque anche io ti voglio bene.” E poi rivolse a tutti gli altri, un caloroso saluto collettivo con strizzatina d’occhi alla sorella maggiore Jeanne Marie Soleil.
2. Base dati e materiali Titano. 4 settembre 2009 ore 06,00.
Il piccolo anfiteatro era assiepato all’inverosimile. Vi si erano strizzati al suo interno, che conteneva duecento posti a sedere, in duecentocinquanta. I terminali dati e combattimento volteggiavano nei pressi degli zero a cui erano associati, in configurazione visibile, sebbene non vi fosse pericolo alcuno all’interno della base e soprattutto non fosse necessaria la loro presenza in quanto nella base la comunicazione veniva gestita direttamente da Kadat.
Martin stava seduto su di una comoda poltroncina in prima fila, proprio davanti alla piattaforma sulla quale sedevano di solito i conferenzieri. Pierre Armand, Olly, Joe e naturalmente Marie Soleil, la responsabile della base e dei progetti in fase di sviluppo, avevano di diritto occupato tali posti che fronteggiavano l’assemblea.
MS esordì senza preamboli. “Ti abbiamo convocato, Martin, per offrirti l’occasione di coltivare la tua smodata ione per il turismo. Abbiamo approntato un vascello da combattimento ed esplorazione veramente singolare. Non è un prototipo in senso stretto ma è diverso da quelli della sua classe. E’ uno scafo Targalgh V, uno degli ultimi progetti dei rettili, ampliato in lunghezza e diametro di oltre il 20%. Abbiamo istallato a bordo tutti sistemi ivi ed attivi di ultima generazione ed i sensori di prossimità a lunga distanza più perfezionati dell’intera storia della scienza e tecnologia di tutte le scomparse specie galattiche. E’ una nave agile di settecentottanta metri di lunghezza, ti risparmio i dati sulle altre dimensioni. Ha un equipaggio di trenta uomini, tre zero, dodici livelli da uno a cinque e diciassette livello sei, e una nuova Intelligenza Artificiale, attivata ovviamente con l’aiuto di Kadat che si chiama KRL34219006C, o Koral come si autodefinisce. Manca un comandante, Martin. Noi tutti abbiamo pensato al migliore che ora sta davanti a noi. Che ne dici?”
“La risposta è un rispettoso e gioioso si. Stavo cominciando ad annoiarmi, non ci sono più i terroristi di una volta. Da quando ho mandato dal proctologo un intero gruppo di banditi di Sendero Luminoso, assieme al loro lontano ispiratore, il leader comunista di quel paese dell’America del sud che produce petrolio con il nome di una nota città europea, ho perso mordente. La mia ultima avventura nello Yemen, non ha placato la mia ansia di risultati. E quindi ribadisco la mia gioia nel considerarmi a vostra disposizione. Se non avete altro da aggiungere vorrei andare ad occuparmi dell’incarico che mi avete attribuito. Devo assimilare i dati e conoscere l’equipaggio della nave!”
“Non mi hai chiesto il nome e la destinazione, Martin”
“Ho approfittato delle mie capacità zia. Mi scuso. Santa Maria! Quale nome migliore! E la destinazione è Ter6 dei simil Glamark. Abbiamo bisogno di loro per continuare a programmare la nostra riscossa. A proposito, dimenticavo, che stima avete sulla durata della missione?”
“Circa undici anni standard, considerato che dovrai fare un numero elevato di piccole transizioni per azzerare la visibilità e tracciabilità della nave.” Rispose suo padre Pierre Napoleon dalla fila di poltrone subito dietro a lui. “E ti vogliamo di ritorno tutto intero con il target della missione: dati freschi sui Glamark, sul loro livello di sviluppo e sulla loro utilità come compagni nell’impresa di sconfiggere gli esterni. Assieme a tutto quello che potrai trovare, senza esporti, sui perfidi alieni. Vai figlio, con la nostra benedizione e con l’aiuto di Dio”.
Il padre viveva come asceta in una comunità monastica in Israele, aveva sempre avuto la tendenza alla spiritualità, ed era uscito dal suo volontario esilio meditativo perché evidentemente le carte in gioco erano veramente importanti.
3. Base dati e materiali Titano. 21 settembre 2009.
L’allestimento della nave stava procedendo senza intoppi, Martin, comandante designato, aveva fatto conoscenza con l’equipaggio scoprendo con piacere di avere al proprio fianco la sorella Jeanne Marie Soleil. Ella aveva l’incarico di ufficiale agli armamenti e, per questo motivo, da due settimane era inchiodata al terminale per migliorare l’integrazione con Koral, l’unità di Intelligenza Artificiale preposta al controllo della nave, di fatto un primo ufficiale subordinato solo al comandante. Koral, a dimostrazione che le I. A. si differenziano molto fra di loro, aveva un carattere meno tranquillo di Kadat, e spesso riprendeva aspramente gli interfacciati. Poi raccontava barzellette sose con una voce femminile dalla esse sibilante, che era veramente esilarante, ma guai a fargli notare il difetto di pronuncia: si trattava probabilmente di una scelta della stessa Koral.
Diversamente da quanto proposto nelle fiction terrestri, gli astronauti non necessitavano di lunghe permanenze in ibernazione. Essa, di fatto, non aveva mai funzionato nei milioni di anni di esperienza scientifica e di volo interstellare delle specie senzienti. Tutti dovevano, invece, sottostare a rigidi protocolli di attività fisica, poiché la gravità artificiale veniva mantenuta a poco più di 0,50 in rapporto a quella terrestre. E inoltre le innumerevoli transizioni necessarie per raggiungere Ter6 richiedevano lo sforzo congiunto di tutto l’equipaggio, mentre Koral espletava i lunghi e complessi calcoli per la rotta.
L’altro zero a bordo, con il ruolo di secondo ufficiale e addetto alla navigazione, era una giapponese di nome Takeda Kazumi, alta solo un metro e cinquantaquattro, aveva, tuttavia, un’aura tale da incutere soggezione e farla apparire come alta tre metri, ed era inesorabile a golf: se avesse giocato da professionista avrebbe riempito di coppe prestigiose la propria casa a Takanabe, nel sud del Giappone. Per migliorare l’integrazione dell’equipaggio, Martin decise che sarebbero rimasti tutti a bordo nelle ore serali e per il riposo. Tutto ciò
cominciava a dare i frutti desiderati: in un viaggio lungo almeno un decennio era essenziale che l’integrazione fra i membri dell’equipaggio fosse eccellente perché qualsiasi attrito avrebbe provocato disagio e caduta dell’efficienza in un ambiente potenzialmente ostile, dove l’uomo come ingenua gazzella, stava timidamente occhieggiando la pianura popolata da uno sterminato branco di leoni feroci ed affamati.
La partenza era prevista per il 20 dicembre; ci si affrettò ad imbarcare i generi necessari, e ad amplificare il piccolo settore della serra idroponica di soli cinquanta metri per trenta, posto nel settore mediano della Santa Maria sotto la responsabilità di un norvegese livello tre, Andreas Fedreheim, alto come un cipresso, con capelli barba e baffi in perfetto stile vichingo, solo di colore castano scuro. La maggior parte dei generi alimentari veniva stoccata in opportune camere di stasi dove la freschezza del prodotto veniva conservata quasi inalterata per millenni, energia permettendo. Ma il vantaggio psicologico di addentare ogni tanto un pomodoro od una foglia di insalata appena strappata dalla terra, era innegabile.
Vennero anche imbarcati un migliaio di sensori ultra protetti e miniaturizzati per il sistema solare in cui ruotava Ter6, che potessero fungere da allarme avanzato e silenzioso nello sfortunato caso in cui gli alieni Esterni fossero giunti nei pressi del sistema solare dei Glamark. I dati standard potevano essere raccolti dalle sonde orbitali e, si sperava, dal folto numero di sensori troposferici liberati nell’ambiente di Ter6.
4. Base dati e materiali Titano. 20 dicembre 2009 – ore 06,00.
Senza preamboli, non appena i membri dell’equipaggio furono seduti ai propri posti di navigazione e combattimento, Koral iniziò il conto alla rovescia e, mentre Kadat presiedeva all’apertura dell’intero gigantesco portello orizzontale di accesso alla base, fece sollevare la nave verso la tenue atmosfera di Titano. A quota quaranta chilometri, Kazumi, l’ufficiale di navigazione, chiese il permesso per impostare un vettore di rotta che li avrebbe portati fuori dal sistema solare. Così, senza fanfare iniziava l’avventura che avrebbe portato l’uomo, per la prima volta lontano dalla terra nello spazio profondo; lontano da tutte le miserie e dai singolarismi egoistici che avevano caratterizzato i millenni di storia dell’umanità, e per uno scopo superiore, decisamente fondamentale ed unico per la sopravvivenza della specie: ritrovare dei fratelli e possibili alleati anche loro dispersi lontano dalla civiltà, in un piccolo ciottolo distante undicimila rak dalla terra, quale era il caldo e arido Ter6.
Dopo ventitre giorni di navigazione a velocità sub luce, finalmente nello spazio aperto, Martin comandò la prima transizione che li avrebbe avvicinati ai Glamark.
I sistemi, controllati da Koral, davano solo lucette verdi (gli schermi dei rettili avevano altri codici di colori, ma lo scafo Targalgh V era stato ricostruito con un totale adeguamento alle necessità umane, salvo un piccolo settore predisposto per eventuali eggeri Gramalk) e così dopo il consueto conto alla rovescia il comandante diede il via alla prima transizione. Le transizioni quale che fosse la distanza per cui erano programmate, duravano tutte circa due ore, nelle quali l’equipaggio con la nave in assenza di gravità artificiale, perché tutte le risorse energetiche venivano convogliate nei possenti generatori di transizione, cercava di prepararsi ad affrontare eventuali pericoli successivi al ritorno in fase, come improvvise collisioni o eventuali, anche se improbabili, avvistamenti di vascelli degli esterni. Dopo un breve disagio fisico, come quello che si prova sull’otto
volante, i membri dell’equipaggio, che non avevano mai sperimentato tale propulsione, si ritrovarono in piena efficienza al punto che Koral si sentì in dovere di puntualizzare la propria meraviglia con l’ufficiale preposto alla navigazione Kazumi. Schiarendosi la voce come solo una IA sa fare disse: “Cara Kazumi, mi complimento con i vostri progettisti. Avete una insospettabile resistenza fisica! Credo che le nostre possibilità siano in aumento, e comincio ad avere un certo rispetto per tutti voi.”
“Come sei gentile Koral. Ma vorrei puntualizzare che nessuno ci ha costruito. E’ stata solo l’evoluzione indirizzata dall’ambiente a perfezionarci così. I proto umani hanno semplicemente messo sulla bancarella del mercato la loro merce migliore. E, a proposito, conosco suocere acide la metà di te, Koral!”
PARTE SETTIMA
1. Spazio del sistema Glamark - Nave Santa Maria - 21 gennaio 2016 – 12,15 ora di bordo.
La nave si trovava a circa cinquecentomila chilometri da Ter6. Come lasciava intuire il suo nome, era il sesto dal suo sole (una stella di classe F) ed era un pianeta ad alta gravità, 2,2 gravità terrestri, con un diametro di ventitremila chilometri. Le terre emerse occupavano il 68% della superficie del pianeta e la temperatura media all’equatore era di quarantasei gradi centigradi. L’uomo non avrebbe potuto attraversare una delle desolate colline vestito con semplici pantaloncini e maglietta, quindi era previsto di utilizzare delle apposite tute da combattimento pesantemente blindate, anche perché i glamark che eggiavano sulla superficie del ridente pianeta, avevano l’abitudine di attaccare e solo successivamente di chiederti il nome.
Il pianeta aveva due satelliti, chiamati per semplicità Antony e Bertha, ed era su quest’ultimo che Martin, su consiglio di Koral, intendeva far scendere le navette Phobos e Deimos. Si voleva allestire una base provvisoria di prossimità portando materiali e armi dalla base dati e materiali approntata, svariate migliaia di anni prima, entro caverne scavate sul terzo satellite del settimo pianeta del sistema: Ter7. L’escursione termica giorno notte era di centoventi gradi centigradi, ma ciò non avrebbe danneggiato le navette e le strutture della base di prossimità, che, in parte, si intendeva scavare con i robot della Santa Maria nella parete di una collina rocciosa.
Mentre la nave rimaneva in orbita stazionaria, protetta dalla massa del satellite, le navette sbarcarono l’equipaggiamento per l’allestimento della base. Semplici gallerie scavate nella roccia sarebbero bastate alla bisogna, con un minimo di struttura esterna con portello stagno di accesso allo scopo di pressurizzare gli ambienti interni con atmosfera compatibile anche ai Glamark, che necessitavano di una maggiore percentuale di ossigeno rispetto agli umani.
“Martin, ti mando in video le immagini raccolte e decodificate dal loro mainframe. Non capisco perché non abbiano abilitato una IA per la gestione dati!” Disse Koral. “Sono stati dei veri trogloditi!” Aggiunse sibilando ogni “s”.
Martin con la maggior parte dell’equipaggio si dispose alla visione comodamente seduto in plancia comando. Il breve sunto Tre D, mostrò una serie interminabile di lotte cruente fra diverse fazioni. Lotte che non terminarono neanche quando lo sviluppo della tecnologia giunse ai motori a vapore. Tuttavia sembrava evidente che fosse in atto un qualche tipo di timido tentativo di organizzare le feroci creature in un consorzio semi civile.
Per tutti i primi tre mesi si studiarono le registrazioni ottenute dai sensori del sistema: ciò servì a pianificare una strategia per scendere sul pianeta minimizzando i rischi. I glamark erano stati creature dalla pelle spessa e coriacea dal peso stimato medio di settecento chilogrammi, fatte salve le differenze fra i quattro diversi sessi. Le loro creature che scorrazzavano sui monitor della Santa Maria, avevano una massa corporea doppia rispetto agli originali. Erano come elefanti con otto arti frastagliati da spine cornee ed una piccola testa protetta da una tale teoria di zanne da spaventare uno squalo bianco. I quattro occhi davano a loro un’espressione perennemente vigile. Insomma per i canoni umani erano di una bruttezza notevole. Martin era veramente incuriosito: guardandoli gli veniva in mente insistentemente una donna ex ministro di una repubblica europea di bruttezza paragonabile. Ma non si doveva scherzare con simili creature somiglianti a vagoncini ferroviari irti di spine, corna e artigli. Inoltre, avvertiva una forza psichica dalla superficie del pianeta, anche se non forte in intensità come sulla terra. L’analisi, invece, delle trasmissioni dallo spazio continuava a non dare risposta alcuna: le voci dell’intelligenza erano ammutolite. Ciò continuava purtroppo a confortare gli ultimi dati disponibili: l’umanità ed i rozzi Glamark erano soli nella galassia.
2. Superficie di Ter6 – Calotta polare – 15 maggio 2016.
Poiché la base di o avanzato posta su Bertha, allestita dai robot era stata terminata a tempo di record, si diede inizio alla spedizione di ricerca e contatto verso la superficie di Ter6. Cinque operatori in tuta da combattimento scesero nella zona del polo nord magnetico, lontano dai centri abitati, per attuare un avvicinamento graduale ai grossi e feroci glamark. Lo stesso Martin si arrogò la scelta di essere uno del gruppo, anche perché era il più dotato, e riteneva di poter essere d’aiuto alla squadra. Seguivano un cileno di nome Hector, un livello tre, un italiano di nome Giuseppe, un livello quattro, l’ufficiale agli armamenti Jeanne Marie Soleil ed infine il secondo ufficiale agli armamenti un livello uno di nome Lavanya di origine indiana. Si procedeva a trenta metri dal terreno in configurazione stealth alla distanza di circa due chilometri l’uno dall’altro in direzione sud verso un grande agglomerato di edifici in pietra di dimensioni pari a Londra, niente male, quindi, per dei furibondi, spietati e brutti combattenti. Essi avevano evidentemente trovato il tempo per sviluppare l’architettura, anche se parlare di architettura pareva troppo ottimistico per edifici che assomigliavano a bunker tedeschi costruiti a protezione della costa della Normandia. La forma era decisamente tozza, anche forse per fornire protezione durante le furiose bufere di sabbia estive durante le quali il vento soffiava a duecentottanta chilometri all’ora. Il colore era un anonimo sabbia, ma le superfici erano istoriate da infiniti e complessi disegni, incisi sulla superficie delle pietre con pazienza millenaria.
Giuseppe che occupava la posizione più avanzata della pattuglia in ricognizione chiamò i colleghi via radio: “Presenze Glamark rilevate. Un indigeno si trova immobile all’inizio del grande viale nord-sud che attraversa l’intera città, e così via ogni cinquecento metri senza interruzione. Non sembrano attivi, solo fermi in attesa.”
“Raggruppiamoci a distanza di trenta metri l’uno dall’altro!” Ordinò Martin.
“Attivate gli scanner a trecentosessanta gradi e attenzione, non bisogna sottovalutarli, hanno armi da fuoco, rudimentali, ma le hanno:”
Procedettero in fila al traverso a breve distanza l’uno dall’altro, alla stessa quota senza fare rumore alcuno ed in configurazione di assoluta invisibilità.
Il viale, largo quattrocento metri, era interrotto periodicamente da vie laterali di grandezza minore, nelle quali non si scorgeva movimento alcuno.
Martin procedeva con i sensi allertati in maniera spasmodica; continuava ad avvertire la sensazione che aveva già percepito nello spazio prossimo al pianeta, che ci fosse, cioè, almeno una creatura sulla superficie del pianeta con capacità mentali spiccate e paragonabili alle sue. Proseguirono così per circa dieci chilometri, senza avvertire alcun movimento e quasi scortati dai glamark silenziosamente schierati lungo gli edifici. La piazza centrale del centro abitato era larga circa quattromila metri ed era occupata per la maggior parte da un anfiteatro strutturato con una quarantina di semicerchi quasi completi di sedili in pietra che proseguivano verso il basso. Al centro della piazza sbucando come un grattacielo di Manhattan, emergeva una costruzione apparentemente monolitica, che superava di poco con una piattaforma la superficie della piazza. Da essa uno stretto ponte di pietra artisticamente istoriato e leggermente digradante, la connetteva con il piano stradale verso il lato nord da cui provenivano, a trenta metri dal suolo ed in configurazione di totale copertura, i cinque uomini dell’equipaggio della Santa Maria.
3. Ter6 – Conglomerato urbano Kaksas XXXI – 15 maggio 2016.
Arrivati che furono al bordo del grande anfiteatro scavato nella profondità della piazza, videro che era tutto assiepato in ogni spazio possibile da glamark ti tutti i sessi ed età in paziente attesa e senza proferire alcun verso o parola (anche loro disponevano ovviamente della comunicazione verbale). Dalla sommità della piattaforma sovrastante l’anfiteatro e circa a livello con i quattro esploratori, un glamark di piccole dimensioni e colorito grigio rossastro, ma non meno dotato di escrescenze cornee e zanne, scese lentamente per avvicinarsi a loro che mantenevano comunque un assetto di totale invisibilità. A metà dell’arcuato camminamento di pietra, il glamark si fermò e, senza cogliere di sorpresa Martin, iniziò un discorso a voce stentorea, nella antica lingua standard che era stata usata come una sorta di esperanto per la comunicazione fra i senzienti della galassia.
“Salute e abbondanza, fratelli umani! Benvenuti a Kaksas XXXI. Il mio nome è Goo, e sono considerato umilmente il rappresentante di questo settore di Terra, così si chiama il nostro amato pianeta culla della civiltà. Vi stavamo attendendo da secoli. Questo è il motivo del nostro sviluppo un po’…come dire, meditato e paziente. Mostratevi, vi imploro!” E poi telepaticamente: “Mostratevi davvero, fratelli! Ne va della mia incolumità. Negli ultimi secoli è stato come procedere sul filo di un Kraktel, che se non lo sapete è un lungo ed affilato coltello glamark a doppio filo e doppia lama con denti acuminati su ciascun lato.”
Rispose Martin con ione a stento repressa: “O.K., Goo, scenderò sulla piattaforma senza esoscheletro, con la sola tuta di sopravvivenza. Voglio manifestare la mia presenza non solo per aiutarti ma anche per convincere tutti che siamo reali, piccoli, ma reali ed adeguatamente attrezzati come sai.”
“Lungi da me competere, cari fratelli. So che tu hai più esperienza e capacità.
Tieni presente che disponi qui di un potenziale bacino di agguerriti combattenti, e di…come dite voi? Almeno trecento livello zero e cinquantamila livello uno.”
“Hai fatto per troppo tempo il burocrate Goo! Non ho intenzione di contrattare e meno ancora di pregare. Ti offro la possibilità di seguirmi per riabilitare il ricordo d tutte le specie estinte della galassia. Di nobilitare le vostre esistenze con niente meno che il rischio dell’annullamento. Che ne dici sei con noi?”
“Questa cosa dell’annullamento è veramente affascinante, Martin, non posso rifiutarti i miei cuori, ne ho due se non lo sai.”
“Cosa nota, Goo! Ora attendi, per favore.”
Martin ordinò di are alla configurazione totalmente visibile con una fiducia che riteneva ragionevole: loro quattro erano in grado, comunque, di scatenare un’apocalisse in quell’ambiente circoscritto.
Con il suo esoscheletro da combattimento scese lentamente sulla pietra del ponte a cinquanta metri da Goo. Lì arrivato uscì lentamente dalla protezione sicura con la sola tuta di sopravvivenza, nella calura opprimente dei cinquantuno gradi centigradi di Kaksas, mentre l’intero anfiteatro tratteneva il respiro o quello che lì veniva considerato respiro. Il sudore cominciò a scendere lungo il collo della stretta tuta che cercava di fare il possibile per sostenere Martin, che con sprezzo dell’efficienza del sistema, aveva abbassato il cappuccio e la maschera protettiva trasparente su cui normalmente fluttuavano i dati dei sistemi connessi.
Goo, fissandolo con intensità tetraoculare, aprì i quatto arti superiori, ciascuno dotato di otto dita con due pollici opponibili, dita con unghie simili a pugnali, e
spine cornee longitudinali, per la verità, pietosamente limate. “Forse per fare meno male!” Pensò Martin.
Arrivato a fronteggiare Goo, Martin si aprì in un caloroso abbraccio. Goo ricambio con delicatezza. Fu come stringere una sequoia di Muir Woods in California. La stessa ione trasmessa ma con molto più calore: la temperatura corporea di Goo era infatti vicina ai quarantatre gradi centigradi.
4. Ter6 (Terra come era chiamata dai glamark) – Zona equatoriale – Trakgak XXVII – Congresso internazionale Glamark. 12 ottobre 2016.
La buona novella dell’arrivo dei terrestri si era diffusa rapidamente come un incendio nella prateria. Le attività belliche locali furono rapidamente interrotte con un pragmatismo che secondo Koral era eccezionale. Sei umani abitavano come graditi ospiti, un vasto edificio prossimo ad un anfiteatro simile a quello di Kaksas XXXI, solo grande il doppio. I nativi cercavano di allettarli con le prelibatezze dei loro allevamenti: tranci fumanti di vermi delle sabbie che nessun umano sarebbe mai riuscito ad ingerire senza avere usato preventivamente un trituratore laser, accompagnati da frutta secca saporita e non tossica, dalle dimensioni di una gigantesca zucca ma dal colore di un prosaico grigio sabbia. Goo che fungeva da ufficiale di collegamento, li avvisò che era gradita la loro presenza per dare inizio alla riunione plebiscitaria dei Glamark attivi psichicamente.
Esordì Goo, con una breve prolusione introduttiva, necessaria a sedare gli animi dei cittadini normali, i Glamark erano persone abbastanza competitive, i mesi ati erano serviti soprattutto a stabilire le gerarchie per sedere nel gigantesco anfiteatro.
“Glamark di tutto il mondo, ho portato qui i fratelli umani per darvi la possibilità di avere finalmente molto più territorio. L’universo è vasto, e tramite il volo spaziale raggiungeremo…”
Incominciò allora a sentire un dolore diffuso a cui, nonostante i poteri di cui era dotato e che aveva esercitato per più di mille anni standard, non sapeva opporsi. “Perdono Martin!” Soffiò pentito in lingua standard.
“Ho capito chi sei. Non oserò più contraddirti o scontentarti e …”
“Il nostro non deve essere un confronto di forze! Mai! Non ho intenzione di insistere sull’argomento. Continua pure cercando di essere meno ipocrita.” Sollecitò Martin.
“Come dicevo poco fa, i fratelli umani ci eranno perché così fanno i fratelli con i fratelli e noi dormiremo sereni accanto a loro e mangeremo accanto a loro, cacceremo accanto a loro e beh…le altre attività potremo anche praticarle da soli: gli umani hanno solo due sessi e le loro femmine sono veramente brutte hanno solo poche protuberanze di consistenza molliccia e zanne minime, credetemi!”
“Scusa Martin, un apprezzamento negativo mi è servito per umanizzarvi o glamarkizzarvi se vuoi, altrimenti tutti avrebbero pensato che siate divinità. Ciò sarebbe stato negativo per la collaborazione.” Continuò Goo telepaticamente.
“Ho capito,Goo! Sei stato molto carino. Ti darei un calcio se sapessi da che parte iniziare.” Rispose Martin. Continuò ruggendo in Glamark tradotto simultaneamente da Koral, che era riuscito curiosamente ad inserire dei suoni sibilanti anche in quella lingua gutturale.
“Amici e fratelli, è venuto il momento di lottare per proteggere la nostra casa. Un nemico sconosciuto ci minaccia e solo con l’aiuto reciproco potremo avere ragione dei sanguinari esterni che hanno devastato il vostro pianeta originario e forse mangiato, si mangiato e sterminato fino all’ultimo i vostri padri predecessori.”
“Essi non hanno mostrato alcun senso dell’onore. Hanno distrutto e giocato con i vostri padri, le vostre madri e emh…con quanti vi hanno preceduto.” Aggiunse ricordando che la famiglia per i Glamark era un concetto infinitamente più complesso che per gli umani, e continuò. “Datemi il vostro ruggito di assenso e che la vostra voce sia la mia voce!”
Gli rispose un ruggito corale proveniente da ogni rango dell’anfiteatro ma soprattutto dalle postazioni dei livelli zero tutti convenuti all’importante assemblea.
5. Terra (Ter6) - Trakgak XXVII – 11 gennaio 2017.
Fu poi solo questione di organizzare i dettagli. Koral riteneva che almeno dieci anni standard sarebbero stai necessari per attuare un cambiamento epocale nella cultura aggressiva ma sterile dei Glamark. Si diede così il via al trasferimento dei materiali dalla base su Berta alla superficie del pianeta. Sei volontari sarebbero rimasti su Terra, come curiosamente loro chiamavano il proprio pianeta, a fungere da ufficiali di collegamento e per facilitare l’integrazione tecnologica. Furono lasciati a disposizione della pattuglia tutti e tre i terminali dati e combattimento presenti sulla Santa Maria: quello di
Martin, quello di sua sorella e quello di Kazumi e tutte le risorse di cui ci si poteva privare, unitamente a sei esoscheletri da combattimento ed un collegamento dati con il mainframe sito sul terzo satellite di Ter7.
Si trattava solo di scegliere tre volontari Glamark da condurre sulla terra in qualità di rappresentanti della propria specie. Goo si offerse con slancio, propose due suoi pseudo famigliari come compagni. Per un pelo si evitò il conflitto generalizzato: solo dopo faticose discussioni mediate da un sempre più arrabbiato Martin, si giunse al compromesso di inviare due livelli zero di sesso compatibile con Goo, quale che fosse il significato locale di compatibile, di nome Gaark e Vaadak. Goo sembrava gongolare per la scelta e tutto divenne chiaro quando Martin scoprì che il rango di un Glamark era ritenuto tanto più importante quanto più breve era il nome proprio.
Fu laborioso personalizzare una tuta per i tre Glamark. Coperti dalla tuta i tre sembravano dei piccoli carri armati in brodo di giuggiole. Il complesso indumento, nella loro cultura formatasi in un pianeta arido nel quale la protezione individuale era per lo più fornita dalla spessa pelle degli individui, dava loro un senso di importanza difficile da capire per gli umani abituati a
coprirsi dalla culla in poi. Superate tutte le difficoltà tecniche, gli ospiti vennero imbarcati uno per uno sulla Deimos, opportunamente modificata, e trasportati sulla Santa Maria. I quattro occhi di ciascuno si agitavano indipendenti pieni di curiosità verso lo spazio ignoto che avevano solo potuto ipotizzare ma che nessuno di loro aveva mai visto. Quando tutti furono a bordo della nave e pronti alla partenza, i sensori ivi posti a guardia del sistema planetario cominciarono ad animarsi di segnali preoccupanti: cinque navi di forma sconosciuta ma di dimensioni ragguardevoli stavano avvicinandosi al sistema a bassa velocità.
Martin ordinò il silenzio assoluto. Fece approntare un sorta di brulotto esplosivo nelle vesti della navetta Phobos, riempita al massimo del possibile con testate al plasma ed all’idrogeno. La navetta senza equipaggio, venne indirizzata verso la piccola flotta in avvicinamento a fungere da specchietto per le allodole. Allo stesso tempo lanciò quindici torpedini a fusione, dei dispositivi costruiti col solo intento di detonare sul bersaglio designato. Nessun disturbo elettronico avrebbe potuto distogliere questi oggetti mortali dall’eseguire il compito ordinato loro. Erano sufficientemente tecnologiche da sopportare qualsiasi tentativo di interferenza e insieme abbastanza stupide da eseguire puntualmente quanto programmato nel loro semplice sistema elettronico. Si era infatti visto che oggetti guidati da IA ben più efficienti non riuscivano ad ottenere gli stessi risultati delle stupide torpedini spaziali. I bersagli erano solo cinque ed era necessario ottenere un successo totale: qualsiasi risultato parziale non poteva essere contemplato perché un solo sopravvissuto avrebbe significato dare notizia della posizione di Ter6 ai perfidi alieni esterni.
La Santa Maria si spostò dalla superficie del satellite Bertha, per cercare la protezione del campo gravitazionale dell’ultimo pianeta, un gigante gassoso grosso il doppio di Giove, tenendosi pronta ad intervenire con i siluri a velocità relativistica e con i proiettori laser e maser. I sei guerrieri livello zero a bordo, umani e gramalk, si prepararono alla battaglia sotto la guida del comandante Martin Haim.
Agganciata la traccia della navetta esca, le navi degli esterni, enormi per gli standard consueti con un dimensione stimata di oltre tremila metri ciascuna, conversero verso l’interno del sistema e alla distanza di trentamila chilometri lanciarono un numero elevato di piccoli missili veloci contro la Phobos. Quando Koral rilevò la presenza degli oggetti in avvicinamento, impose alla navetta una velocità crescente, cambiando il vettore in una traiettoria parabolica che l’avrebbe allontanata dalla rotta delle navi nemiche, per poi ritornare verso di loro allo scopo di detonare nelle vicinanze attraendo, inoltre, i missili lanciati dal nemico, lontano dalla Santa Maria. Simultaneamente le torpedini spaziali accelerarono verso il proprio bersaglio. Le navi degli Esterni agganciarono la Phobos con le armi a raggi ed in quel momento dalla Santa Maria giunse un’ondata psichica proiettata con la massima forza che si scontrò con un muro di sensazioni così aliene che fecero temere a Martin di non riuscire a fare breccia. Poi all’improvviso Martin ebbe la sensazione che si fosse aperto un diaframma, che un muro invisibile stesse cedendo; intensificò così la sua spinta ed ebbe ragione delle difese mentali degli esterni. La sensazione di disgusto che provò a contattare quelle menti così aliene fu molto forte, ma strinse i denti e intensificò la sua azione, seguito a cascata da tutti i suoi compagni. Mentre immagini disgustose volteggiavano alla periferia della sua coscienza, cercò con forza di fare il maggior danno possibile. E cominciò così ad ottenere il risultato sperato. Alcune di quelle creature si spensero fisicamente, con la mente svuotata da ogni pensiero ed i centri nervosi bruciati dalla potenza dell’attacco.
Il disorientamento provocato si sostanziò in un rallentamento nelle manovre decisionali e in una mancanza di coordinazione fra le cinque navi. Le torpedini andarono inesorabilmente a bersaglio senza che contro misure fossero lanciate, provocando detonazioni sul cento per cento dei bersagli. A completare l’opera, la Phobos, arrivata a distanza utile, detonò assieme allo sciame di missili che la stavano tracciando, producendo la completa distruzione di quattro unità nemiche. La quinta ebbe vita breve sotto l’attacco mentale combinato. Essendo l’unico bersaglio, letteralmente implose sotto la forza mentale del nutrito gruppo di livelli zero.
I festeggiamenti presero un intero mese; l’intera Terra dei Gramalk era in fibrillazione. Feste innaffiate da balli pericolosi e dal forte liquore di “bacche del
verme” che veniva distribuito senza parsimonia ma con partecipazione riluttante da parte degli umani a causa delle piccole larve vive che davano il tocco di classe e arricchivano di sapore la bevanda. Poi tranci di verme flambé, verme alle erbe, verme arrosto, verme stufato con grasso di larve e verdure del deserto: insomma ogni genere di prelibatezza che convinse gli umani della bontà della monotona cucina della nave.
Finalmente, la nave riprese il viaggio di ritorno lasciando la pattuglia di sei consiglieri militari ed il ricordo di un grande successo militare che nella fantasia dei Glamark aveva assunto toni epici.
PARTE OTTAVA
1. Base di Titano – 18 aprile 2023.
La soddisfazione era palpabile. La nave era tornata senza ulteriori problemi seguendo un profilo prudente ed effettuando innumerevoli transizioni, utili a non lasciare traccia del proprio aggio. Era una fortuna che non avessero fatto brutti incontri perché l’arsenale di lancio era stato tutto esaurito dall’ultimo incontro col nemico. Giunti alla base i tre gramalk rappresentarono il nucleo dell’interesse di tutti: girovagavano per la grande base coperti da tuta termica che li faceva sembrare degli enormi cuccioli inoffensivi a chi non avesse notato la teoria di zanne e spine cornee che spuntavano dalla mascella e dal volto: l’unica parte non coperta dei grossi corpi.
Il debriefing fu lungo e laborioso, i dati raccolti dalla missione dovevano servire come dottrina d’attacco per le future esperienze della flotta: altre due unità erano state costruite ed equipaggiate. Si approntarono modifiche in corso di fase finale, approfittando dei dati raccolti dal recente confronto con gli esterni.
Era il momento di manifestare al mondo la propria presenza e Olly con Marie Soleil decisero per il quarto giovedì di novembre, il 23 precisamente, perché negli Stati Uniti si celebrava la festa del Thanksgiving.
Goo e gli altri due glamark vennero fatti transitare in un base approntata a loro uso e consumo nell’alto deserto del Sahara, dove trovarono un clima confortevole, forse un po’ fresco la notte ma di giorno una vera pacchia. Goo ava la maggior parte del tempo cercando di suonare una gigantesca buccina opportunamente modificata nella quale lui soffiava vigorosamente cercando di eseguire le arie musicali umane che ascoltava con ione da intenditore. Lo strazio per gli amici umani dedicati al suo o era tale, a causa dei suoi goffi tentativi, che, e guai a dirglielo, il turn over era cosa molto gradita agli operatori della base G, così veniva chiamata la sistemazione provvisoria dei
gramalk.
Ai primi di novembre i gramalk lasciarono riluttanti il confort dell’alto deserto e vennero trasportati tramite autotreno dal punto di sbarco a Three Oaks sino alla periferia della Grande Mela, dove si istallarono in un grande capannone preparato per accoglierli con condizionamento ambientale idoneo per temperatura, umidità e spazio soprattutto. L’alimentazione non aveva creato grandi problemi alle grosse creature, che dopo il cibo idroponico e liofilizzato della nave gradivano a dismisura il tacchino, o meglio, i tacchini. Infatti la loro dieta ne comprendeva ben cinque a testa. Avevano anche una vera ione per le barbabietole e per il cavolo. Goo poi non si faceva mai mancare dopo il fiero pasto serale un bicchierino, che nel caso suo era delle dimensioni di un grosso secchio, di vodka russa Moskovskaja al peperoncino.
Erano stati scannerizzati e studiati nella maniera più atraumatica possibile, e spiati nei momenti di solitudine, ma non avevano mai dato il via alle performances amorose a cui i curiosi studiosi umani desideravano assistere. Nessuno aveva poi avuto il coraggio di fare domande dirette, neanche Martin, verso il quale Goo, Gaark e Vaadak provavano un rispetto che rasentava il fanatismo.
2. Base di Titano – 23 novembre 2023 – ore 19,00 zulu.
Martin, da Three Oaks, agghindato con una sorta di uniforme blu, con il simbolo di tre stelle novae sul bavero ad indicare il grado di ammiraglio della flotta, assieme ad Olly dalla propria casa in Spagna in Andalusia e Marie Soleil dalla base di Titano, si apprestarono ad entrare nelle case di tutti i terrestri che avessero voluto guardare la maledetta scatola magica: così lo scomparso Pierre Leclerq, già colonnello della Guardia napoleonica, aveva denominato la televisione.
Goo, Gaark e Vaadak si trovavano in una stanza diversa in cui era mantenuta la confortevole temperatura di quarantotto gradi centigradi ad umidità del 10%, seduti, o almeno così sembravano, su settanta metri quadrati di titanio e acciaio coperti da comodi sacchi di kevlar e fibra di plastacciaio riempiti di sabbia del deserto Sahariano. Fissavano con tutti i loro dodici occhi complessivi il mega tre D in cui le immagini del primo contatto “ufficiale” con gli umani sarebbero state trasmesse.
All’ora X prestabilita, le 19,00 zulu, cioè al meridiano di Greenwich, i satelliti di telecomunicazione e le trasmissioni analogiche e digitali via etere furono byate da Kadat. Tutti i sistemi di trasmissione radio e video con l’eccezione dei sistemi basati su cavo che rappresentavano una percentuale insignificante del sistema globale di tele e radio comunicazione furono oscurati per pochi secondi. In perfetta sincronia su tutti i sistemi, dopo un jingle semplice composto da un orgoglioso Goo, comparve un’immagine di Titano presa da satellite, e, dopo una zoomata al gigantesco portello di ingresso, comparve l’immagine di una larga scrivania a cui sedevano Marie Soleil, speaker ufficiale, Olly e Martin, rappresentati assieme in video conferenza sebbene, in realtà, presenti in luoghi diversi. Joe e Pierre Armand si erano tenuti in disparte per non creare confusione nelle presunte gerarchie, e poi avevano veramente troppo da fare sia sul piano sanitario e delle forniture alimentari agli incapienti, per quanto riguardava Joe,
che per la progettazione di un nuovo scafo evoluzione dei due modelli precedenti e più pesantemente protetto, per quanto riguardava l’ufficiale scientifico Pierre Armand.
Marie Soleil si rivolse alle telecamere in inglese dall’accento americano.
“Buona giornata a tutti! Voglio rassicurarvi che questo non sia uno scherzo ma la semplice realtà. Questa trasmissione viene effettuata da Titano, satellite di Saturno da una base di esseri umani in tutto e per tutto uguali a voi. Tutta l’umanità vivente sul pianeta terra, di cui noi siamo parte, discende da una specie di proto umani vissuti milioni di anni fa che ci ha lasciato un immenso regalo di conoscenze scientifiche e culturali. Ora è giunto il momento di condividere questi doni con tutta l’umanità. Gli antichi avevano raggiunto le stelle da molto tempo e la galassia rappresentava la loro casa ed era condivisa con molte altre specie intelligenti con le quali viveva in assoluta armonia. Tutto ciò non deve, ripeto con enfasi, non deve produrre emozioni sui mercati per esempio del grano o del petrolio, o del rame o di qualsiasi altro genere di utilità. I fatti esposti non devono pertanto produrre la fluttuazione della borsa o, peggio ancora, la corsa alla speculazione. Noi non rappresentiamo un pericolo per l’umanità proprio perché ne facciamo parte. Il nostro scopo immediato é quello della condivisione delle informazioni per migliorare le condizioni di vita di tutti, senza distinzione di colore della pelle o di credenze religiose o di differenze linguistiche o di altro. Preciserò presto con canali diretti ai vostri governanti i particolari legati alla nostra presenza che é tale da milioni di anni e vecchia quanto l’uomo stesso. Noi siamo solo dei fratelli un po’ più attrezzati di tutti voi con la volontà di aiutare tutti quanti ne abbiano bisogno. Potreste pensare che siano solo bugie per incantare, con fini diversi da quelli rappresentati. No! A prova della nostra buona fede, in questo momento stanno per essere scaricate due miliardi di dosi giornaliere di cibo a discrezione d’uso da parte delle Nazioni Unite, che stimoliamo a distribuire ai bisognosi il più in fretta possibile e altre seguiranno. Poi, nella stessa località saranno rese disponibili dieci miliardi di dosi di multivaccino, prodotti con tecnologie avanzate di milioni di anni rispetto a quelle attuali della terra. Nessuna azienda, sia essa piccola o media o grossa o multinazionale, avrà a soffrire per gli sconvolgimenti che stanno per manifestarsi sul pianeta. Avremo bisogno dell’aiuto di tutti per conseguire i risultati di cui vi
dirò presto. I dati tecnologici saranno disponibili per tutti sul sito www.zero.kadat e chiunque potrà farne l’uso migliore. Anzi raccomandiamo l’immediato utilizzo delle risorse da parte di tutti. Il sito che ho in precedenza indicato, contiene anche delle informazioni importanti per conoscerci. Diffidiamo chiunque da azioni violente. Nulla sarà nascosto ad alcuno e, anzi, abbiamo intenzione di incontrare i rappresentanti di tutte le nazioni della terra e di tutte le organizzazioni che pensano di dover essere rappresentate, al Palazzo di Vetro di New York, nel prossimo futuro. Ciò che avverrà da questo momento in poi sarà registrato, come di consueto nel ato, nei capaci meandri della memoria dei nostri sistemi, e nulla sarà tralasciato. Con la mia più viva esortazione alla collaborazione nell’interesse generale, vi abbraccio tutti fratelli miei!” Detto questo, chiuse la comunicazione e la consueta programmazione riprese a funzionare.
I giorni successivi furono in turbine di confusione. A dispetto delle buone intenzioni proposte da Marie Soleil, i mercati fibrillarono e speculazioni abiette furono messe in opera senza riguardi per alcuno: l’uomo non si smentiva mai.
Fu con non poca fatica che Kadat, avendo preso il controllo di tutti i sistemi, compresi quelli di controllo degli armamenti, riuscì a rintuzzare ogni tentativo di speculazione, e mantenne i mercati stabili all’insaputa dei più. I responsabili dei tentativi capziosi di sfruttamento immorale del mercato, invece, ebbero qualche sgradita sorpresa, tipo l’azzeramento dei propri conti correnti e le volture dei beni immobiliari di proprietà a favore di enti benefici come la P.A.Y. Ltd di Boston.
Nelle prime ventiquattro ore, Pierre Armand rilevò con piacere, che ben novantatre milioni di adolescenti di tutti i paesi, si erano registrati al sito gestito da Kadat, il quale da quel momento in poi forniva anche protezione informatica totale non solo da eventuali hackers o crackers, ma soprattutto, dalle curiose mani di governi totalitari che facevano della soppressione dell’informazione, il punto di forza della propria sopravvivenza.
La sede di New York, della ditta P.A.Y. Ltd fu assediata da una folla di giornalisti di tutte testate principali e secondarie dell’intero globo terracqueo. La sua localizzazione periferica consentiva, se non altro, il dispiegamento della potenza del quarto potere senza ostacolare la vita normale dei cittadini. La sede era circondata da un’alta rete metallica a prova di tronchese e di flessibile, costruita con filamenti di acciaio cristallizzato ad altissima temperatura. La normale attività non era disturbata dalla frenesia dei media poiché, per la movimentazione dei mezzi e del personale, era stato costruito un tunnel di seicento metri a cinquanta di profondità che sbucava in un capannone vecchio e fatiscente.
Ci fu anche un tentativo di aggressione militare da parte di bande fondamentaliste islamiche contro il governo pakistano. Fu intrapreso il tentativo di far esplodere un’atomica tattica presso il centro di Islamabad. Il tentativo abortì quando i tre volontari suicidi, al secondo tentativo di attivare l’esplosione, si trovarono di fronte un guerriero in esoscheletro da combattimento che si era materializzato nella fetida cantina nella quale stavano cercando di portare a compimento l’insano progetto di distruzione di massa. L’apparizione, che manifestandosi davanti ai terroristi aveva distrutto il soffitto, puntò nella loro direzione un proiettore maser ed un lancia missili di aspetto particolarmente brutale da produrre l’immediata resa incondizionata dei colpevoli.
Alcuni capi di stato, preoccupati per la propria incolumità, abbandonarono i paesi a capo dei quali si trovavano del tutto senza legittimità alcuna. Nessuno perse tempo ed energia a perseguirli: ci sarebbero state altre future occasioni. Non stava nascendo un nuovo ordine mondiale, ma piuttosto stava avvenendo una razionalizzazione dei sistemi umani sull’intero pianeta.
Le comunità religiose, dopo un iniziale brivido, continuarono a svolgere il proprio magistero, infatti, con logica apprezzabile, si sostenne che la fede non dovesse necessariamente essere giustificata dalla storia dell’uomo, ma che la trascendesse al di là del mondo fisico. In conclusione, non esisteva alcuna incongruenza tra fede e scienza: rappresentavano semplicemente i diversi
versanti dell’esistenza.
3. Base di Titano. 2 dicembre 2023.
Pierre Armand si era appisolato, vinto dalla stanchezza, davanti ai tracciati tridimensionali delle navi aliene nella trascorsa battaglia su Ter6. Aveva dato indicazione a Kadat di studiare alcuni particolari legati alla relazione fra tempi e rotta delle navi nemiche. Nel cuore della notte, Kadat con la voce più suadente possibile, cercò di svegliarlo. “PA, PA, sveglia bella addormentata!”
“Che vuoi scocciatore!” Rispose Pierre Armand dal mondo delle Fate.
“Abbiamo un problemino. Ho ricostruito le tracce degli Esterni, e sembra che siano apparsi dal nulla a soli dieci rak da Ter6. Non può trattarsi di una coincidenza, anche perché le cinque navi venivano da punti diversi dello spazio fra i sistemi solari, per poi convergere tutte e cinque a stabilire una rotta con vettore su Ter6. Significa, con probabilità dell’89,7%, che sanno dell’esistenza di un pianeta abitato e che i glamark e nostri uomini rimasti sulla colonia, corrono un pericolo mortale. Considerati i tempi di reazione tratti dalle loro precedenti attività, credo dovrebbero stare addosso a Ter6 nel giro delle prossime trenta rotazioni standard, poco più di un mese terrestre.”
Pierre Armand assunse un’espressione rapita, distante. Dopo tre minuti interi di meditazione, il paziente Kadat interruppe i suoi pensieri con un’esclamazione gioiosa.
“Eureka! PA mi sono interfacciato con Koral e insieme abbiamo calcolato le possibilità per effettuare una sortita con le tre navi di cui disponiamo al momento.”
“A questo stavo pensando. Non in termini scientifici ma in termini di strategia. Se non sbaglio, giocheranno al raddoppio. Almeno dieci navi anche più grosse delle precedenti. Niente lascia però supporre che dispongano, oltre ad una tecnologia più avanzata della nostra, anche di poteri mentali. Propongo di mandare due navi e non tre, perché é meglio non mettere tutte le uova nello stesso paniere. Jeanne Marie Soleil potrebbe comandarne una, e avere i gradi di commodoro, per l’altra pensavo a Klaus Pasqua che è esperto in armamenti e ha comandato navette intra sistema per venti anni almeno. Il personale può essere disponibile in ventiquattro ore e, se tutto va bene, fra trentasei ore le navi saranno nello spazio.”
“Per arrivare in meno di trenta giorni dovranno però fare lunghe transizioni, PA, mettendo a rischio questo sistema solare e la terra stessa!” Rispose Kadat sostenuto da Koral.”
“No! Ecco cosa significa usare la mente in modo creativo e non solo per raccontare barzellette! Le navi faranno trenta giorni di transizioni di lunghezza crescente verso una zona della galassia opposta a quella di Ter6. Poi effettueranno l’ultima transizione alla massima potenza, di lunghezza sufficiente per tornare in fase all’interno del sistema di Ter6. La partenza darà un’indicazione diversa rispetto a quella vera e non correremo rischi. L’unico problema è costituito dai calcoli necessari alla lunga transizione. Ora se tu e Koral attivate immediatamente le IA delle due navi, in quattro potrete effettuare i calcoli necessari da caricare in tempo utile per la partenza della flottiglia.”
“Idea genialissima, Pierre Armand!” Intervenne Koral, sibilando le “s”.
“Mentre terminavi di parlare abbiamo attivato RDM34219006D, che si farà chiamare Radam, come secondo della Iowa, e TNL34219006E, che ha scelto di farsi chiamare Tonal, sulla Victory. Sto già convocando gli equipaggi, Pierre
Armand. I calcoli sono iniziati.” Aggiunse laconico Kadat.
4. Base di Titano – 6 dicembre 2023.
Le navi approntate a tempo di record, ciascuna con equipaggio di quarantacinque uomini e donne, costituito di soli livelli zero e livelli uno, avevano lasciato l’orbita di Saturno dirette verso lo spazio aperto. Tutti erano consapevoli del pericolo e dell’importanza vitale della missione.
Il cuore di Martin sanguinava al pensiero di poter perdere la sorella e tanti amici cari, ma soprattutto era dispiaciuto di non essere della partita, ma non poteva essere ubiquitario. Era necessario che fosse presente alla conferenza presso la sede delle Nazioni Unite che era in fase di prossima attuazione ai primi di gennaio del 2024. Giurò a se stesso che se mai qualcuno avesse fatto del male alla sorella e agli equipaggi avrebbe pagato con gli interessi: ora era una questione personale e sarebbe stato difficile per chiunque, nell’ambito di svariati milioni di anni luce, spegnere il suo furore incipiente.
Nel frattempo le navi avevano raggiunto il punto per iniziare la prima transizione. Si lanciarono nello spazio fiduciose di poter arrivare tempestivamente.
Di lì a dieci rotazioni sarebbe partita anche la nave da trasporto Magellano, sulla quale, dando per scontato l’esito positivo della missione della Iowa e della Victory, erano stati caricati dei perfezionati sistemi multipli di autodifesa satellitari da lanciare in orbita di Ter6 e per servire anche come trasmettitori radio, video e dati, assieme ad attrezzature per iniziare la costruzione di un cantiere navale nell’orbita del satellite di Ter6, Bertha.
5. Ter6 – Base congiunta umani/glamark a Trakgak XXVII. 1 gennaio 2024.
“I sensori danno dieci navi in arrivo. Sono belle grosse, Willy:” Disse Gaabardar, il glamark livello zero che collaborava ai giganteschi monitor tre D, con gli umani. “Si sono messi in orbita di Bertha. Non sembrano voler attaccare. Non hanno evidentemente tracce di navi nostre e secondo la mia opinione, vogliono giocare con noi, come il gatto col topo.” Aggiunse William Torrance Smith, un livello uno comandante del piccolo gruppo di consiglieri umani su Ter6.”
“Se i dati sono concordanti, abbiamo poche speranze. Tuttavia dobbiamo giocarcela al meglio. Dai un allarme generale a tutti e fai schierare con ogni arma disponibile, almeno cinquecentomila guerrieri in file di diecimila nella pianura sabbiosa e arida di Madar. Presto fai come ti dico.”
“Scommetto che vuoi che faccia schierare i guerrieri nella parte sud, vero?”
“Esatto. Io ed i ragazzi in tuta da combattimento, ci sistemeremo dietro le colline pietrose nelle miniere abbandonate di Segak con tutti i livelli zero e cinquecento livelli uno. Non so dove troveremo spazio per nasconderci tutti. Ma per il mio piano, è fondamentale rimanere occultati. Lasceremo agli esterni la prima mossa. E’ probabile che decidano di attaccarci in una battaglia di superficie. Vai a sapere cosa guidi le loro scelte. Ma sembra proprio che in casi analoghi abbiano seguito questo comportamento.”
L’idea di William consisteva nello schierare le truppe subito dietro un vasto terreno infido, dove la sabbia copriva profondi crepacci, e solo il peso congiunto di molte creature o di molti mezzi avrebbe potuto produrre una vasta frana. Vasta come solo le frane di Ter6 potevano essere. Nel ato remoto la funesta piana
aveva inghiottito più di uno sprovveduto esercito. Era un trucco che si poteva usare solo una volta: gli esterni imparavano in fretta. Inoltre poi, davanti al disastro delle proprie fanterie, essi avrebbero sicuramente distrutto l’intera Ter6 con tutti i suoi abitanti. Lo scopo di questo estremo sacrificio consisteva nel portare nelle confortevoli piane sabbiose dell’”Al di là” glamarkiano, il maggior numero possibile di nemici.
6. Ter6 - Piana di Madar - lato sud - 3 gennaio 2024 pomeriggio.
I guerrieri glamark si erano schierati a tempo record. Il comandante di ciascun reggimento disponeva di contatto radio tramite un auricolare adattato alla cavità uditive della specie allo scopo di ripetere gli ordini in maniera più efficiente dello sventolare di bandiere. Allo stesso tempo gli umani in tutta da combattimento e circa cinquecento glamark livello zero e uno, si erano strizzati nella parte superficiale delle miniere di Segak. I terminali dati e combattimento che Martin aveva lasciato a disposizione di quanti sarebbero rimasti sul pianeta, in configurazione d’invisibilità totale a zero emissioni, vigilavano dall’alto della cresta collinare la piana, per avvisare la squadra occultata nelle miniere di quanto stava svolgendosi sul campo di battaglia.
Dopo un’attesa di poco più di un’ora, davanti ai silenziosi glamark schierati, alla distanza di poco più di tre chilometri, si manifestò una sorta di alterazione nell’aria. Essa divenne più densa e poi perse di trasparenza in un settore lineare di poco più di una cinquantina di metri. Dall’opacità sbucarono in ranghi serrati file e file di esterni. Si trattava di combattenti dalle caratteristiche fisiche poco riconoscibili a causa delle tute utilizzate: esse manifestavano un alto tasso di rifrazione e riflessione, erano come cascate di diamanti stesi su corpi da piccoli corti arti inferiori, circondate da un alone luminoso. Portavano quelli che sembravano proiettori a energia sulle spalle, se di spalle si trattava, e impugnavano una sorta di asta con lama di metallo bianco luccicante che forse serviva anche per sparare proiettili ad energia cinetica, come le comuni armi da fuoco umane e glamark. La zona opaca continuò a vomitare guerrieri, e, a periodi fissi, dei grossi corpi dalla forma non riconoscibile, in quanto ancora più scintillanti dei normali guerrieri, che si attestarono alle spalle del fitto e numeroso schieramento.
Nulla era mai parso così alieno agli occhi di William, ma tenne il sangue freddo ed attese che l’operazione di schieramento si completasse: faceva parte del
piano.
Almeno un milione di corpi scintillanti fronteggiavano in silenzio innaturale, lo schieramento glamark, inferiore di numero ma non di determinazione. Wiliam, rilevata la posizione degli alieni, diede l’ordine per la fase uno.
Immediatamente i cinquecento glamark cominciarono a barrire e soffiare all’unisono, agitando contemporaneamente le proprie armi individuali, per lo più coltellacci impugnati a due mani, dall’aspetto e dalle dimensioni tali che avrebbero potuto produrre un sano rispetto anche a un Tirannosaurus Rex imbizzarrito.
Era, in linguaggio universale, un richiamo al combattimento. Bastarono pochi minuti di scenografia per produrre l’effetto desiderato. I corpi scintillanti si misero in marcia all’unisono verso le truppe glamark in attesa. Quando lo spazio fra gli eserciti si ridusse a poco più di un chilometro, a un comando radio impartito da William, che studiava la situazione tattica dal display tre D della tuta, tutti i glamark si misero a pestare furiosamente con i quattro pesanti arti deambulatori sul duro terreno. Si sviluppò un frastuono simile a quello di migliaia di tamburi giganti, e le vibrazioni si trasmettevano al terreno prospiciente lo schieramento. Dopo un interminabile minuto, delle crepe cominciarono ad aprirsi nel terreno davanti ai glamark schierati, e in pochi secondi, mentre il solito venticello serale a temperatura di ottanta gradi centigradi e alla velocità di duecentottanta chilometri orari, cominciava a flagellare entrambi gli schieramenti, gli interi ranghi degli esterni furono inghiottiti dalle profonde, impietose e ferali profondità della piana desertica di Madar, che in glamark significa “Voragini affamate”. Tali erano le voragini sotto la parte settentrionale della piana di Madar. Erano profonde dai tre ai quattromila metri e sul fondo ribollivano caldare di vapore a trecento gradi centigradi che soffiavano dalle profondità del pianeta. Quello che la gravità di Ter6 non fosse riuscito a completare, l’avrebbero sicuramente perfezionato le profondità ribollenti del pianeta. Così fu. Rimaneva sul terreno solo la folta pattuglia di circa cinquemila alieni di grosse dimensioni. Come un sol uomo la forza
psichica dei combattenti occultati nelle vicine miniere, spazzarono la pianura ed ebbero un insperato rapido successo sui nemici rimasti.
I sei terrestri, dopo aver salutato gli amici vittoriosi. si alzarono per combattere l’ultima battaglia nello spazio interno con gli armamenti delle tute individuali ed il o dei tre terminali dati e combattimento. Certamente gli esterni sconfitti sulla superficie avrebbero scatenato l’apocalisse per rappresaglia e il tentativo dei sei umani si poteva paragonare a quello del biblico Davide contro, non già il povero sprovveduto gigante Golia, ma contro un intero schieramento di truppe corazzate del XXI secolo.
Dall’intero schieramento si alzò un grido di saluto, e se gli auspici fossero stati armi, l’intera flotta nemica sarebbe stata ridotta in minuti rottami.
7. Spazio interplanetario in prossimità di Ter6 – 3 gennaio 2024 ore 21.
William con gli altri cinque kamikaze, tali si potevano infatti considerare, a causa dell’elevato rischio nell’affrontare la decina di grossi vascelli spaziali, si attestò in configurazione di totale invisibilità, ad una decina di chilometri dalle navi aliene. Stava per dare
l’ordine di attacco, quando sulla superficie di quella più vicina si aperse una grossa botola circolare. Non si era trattato di un portello scivolato a lato nello scafo della nave, quanto piuttosto di un cambiamento di stato della materia, da solida e compatta a trasparente, attraverso vari stati intermedi. Dall’apertura scivolarono fuori due enormi cilindri di circa cento metri di lunghezza. Subito William intuì che i sigaroni king size non fossero altro che letali proiettili antiplanetari ad energia sconosciuta. Trasmise l’informazione ai combattenti sul pianeta nella speranza che gli zero potessero almeno attenuare l’effetto di alcune di quelle armi letali; dieci navi poteva significare almeno venti grossi missili. Recitando un’apionata preghiera, si apprestò ad ordinare l’attacco agli oggetti balistici, lanciati dalle navi aliene.
“E’ stato un piacere più che un onore lavorare e combattere con tutti voi, ragazzi! Se mai avrò la possibilità di incontrarvi di nuovo, e non nelle verdi praterie…” Scherzò Willy. “Ho intenzione di abbracciare ognuno di voi con la stessa forza di un glamark e poi di mandare il vostro fegato in cirrosi alcolica da spumante millesimato. A voi il mio ultimo saluto e che Dio abbia pietà di noi. Al termine del count down, fuoco libero!”
I glamark dalla superficie in rete con loro, ascoltavano rapiti questo coraggioso ultimo messaggio, preparandosi con orgoglio alla propria inevitabile sorte.
Tutto sembrava perduto quando un turbamento percorse lo spazio, e dalle inequivocabili tracce di una pericolosa transizione intra sistema planetario, comparvero solide e possenti le due navi umane Iowa e Victory. In millisecondi lanciarono un centinaio di torpedini spaziali ad alta velocità dardeggiando lo spazio con le armi a energia in direzione del nemico. In simultanea, gli zero degli equipaggi delle navi umane, col o entusiasta degli increduli glamark sul pianeta, proiettarono tutta la forza mentale che poterono contro i nemici. William da canto suo pensando che poco fosse meglio di niente, ordinò cantando di gioia la marsigliese, in onore dei tre scomparsi fondatori, l’immediato attacco al nemico. Le unità missilistiche furono rapidamente distrutte scongiurando l’olocausto planetario, e il nemico sulle navi cominciò, come nella precedente battaglia, a dare segni di cedimento sotto la sferza mentale degli zero. I sistemi automatici tuttavia continuavano a funzionare, e le esplosioni termonucleari avevano danneggiato la Victory, che comunque continuava a rispondere al fuoco. L’onda d’urto mentale dei molti glamark di tutti i livelli mentali coordinata da William, fece la differenza: i neri scafi nemici collassarono uno per uno per esplodere in lampi di luce bianca troppo intensa da guardare a occhi nudi. Avevano vinto. Un urlo di gioia percorse l’intero sistema e le due coraggiose navi. Avevano avuto vittime sulle navi e a terra più per lo sforzo incredibile profuso che per i danni procurati dalle armi aliene.
Quasi cinquanta glamark erano caduti privi di vita assieme a dodici umani a bordo delle navi: era stato un sacrificio importante, non sarebbe stato dimenticato.
Il commodoro Jeanne Marie Soleil, stanca e soddisfatta, ordinò che le due navi danneggiate si approssimassero a Bertha per ricevere le riparazioni necessarie e inviò una torpedine a transizioni programmate per ritrasmettere i dati della vittoria alla base di Titano.
Ora bisognava, entro pochi anni, smobilitare l’intero sistema perché i nemici si sarebbero ripresentati in numero non arginabile su Ter6 per portarvi morte e distruzione.
PARTE NONA
1. New York - Palazzo dell’ONU - 8 gennaio 2024 – ore 9.
Dopo aver aperto contatti diretti con i dirigenti dei principali paesi del pianeta, quali Cina, India, Russia, Stati Uniti, Unione Europea e Federazione dell’America del Sud, Marie Soleil aveva fissato la data per l’incontro generale al Palazzo di Vetro delle nazioni Unite a New York. Pur vivendo nell’ansia sulla sorte delle navi inviate in soccorso di Ter6, bisognava andare avanti, aspettando, sperava entro trenta, quaranta giorni, buone notizie dal lontano sistema. Tre autoarticolati portarono, nel corso della notte, Goo e gli altri due glamark al Palazzo di Vetro, dove un accesso speciale era stato predisposto con l’aiuto della rappresentanza U.S.A. che giocava in casa.
Puntualmente alle nove Marie Soleil assieme a Martin si approssimò al leggio dello speaker raddoppiato per l’occasione.
Stava davanti a tutta l’assemblea eretta e seria; dopo una breve pausa per ottenere l’attenzione di tutti i delegati che era già totale, iniziò semplicemente: “Buon giorno a tutti, come sapete rappresento un gruppo di uomini e donne con particolari capacità ma in tutto e per tutto simili a voi. Nel corso dei millenni il nostro percorso è stato parallelo a quello di tutti, anzi i nostri progenitori sono stati del tutto inconsapevoli delle doti che ora, in quest’ultima generazione, sono diventate palesi. Tutti voi avete qualità che non sospettate di avere, e alcuni di voi, col nostro aiuto, hanno già raggiunto quel grado di maggiore consapevolezza, che tutti abbiamo ricevuto, come dote genetica dai nostri padri lontani nel tempo e nello spazio e da poco scomparsi. Quello che ritengo necessario che tutti sappiano è che la casa comune è in pericolo, in serio pericolo e non c’è nessun modo per indorare la pillola: o combattiamo uniti o soccombiamo. A voi rappresentanti dei popoli della terra sta la scelta. Non pensiate neanche per un istante che ignorare la mia richiesta possa mettervi al riparo dal pericolo! Sarà solo una veloce corsa all’estinzione collettiva. Una mancata collaborazione alla distanza non farà grande differenza: abbiamo modo
di diffondere le informazioni in maniera capillare e sono certa che tutte le persone che voi qualche volta indegnamente rappresentate, alla fine, saranno dalla nostra parte. Noi siamo sostanzialmente soldati, anzi guerrieri, e non vogliamo rubare la scena ad alcuno. In conclusione desidero ardentemente la vostra partecipazione corale. Ho detto e sottolineo: desidero! Nulla sarà imposto. Il percorso é solo per motivati volontari. Per chi, cioè, vuole lottare per sopravvivere e avere la possibilità per non soccombere. Quello che voglio, invece sono solo cinque cose facili, facili, spesso disattese dalla maggior parte dei governi; sono dei diritti che esigiamo siano estesi a tutti i cittadini della terra, sono i cinque principi fondamentali da sempre garantiti ai cittadini di tutte le scomparse specie della galassia e sono in ordine sparso, il diritto al cibo, all’acqua, alla cure sanitarie (tutte, anche le più sofisticate), all’aria e infine all’ultima, ma non per importanza, alla dignità. Scusatemi per la prolissità e per la ione, la prima era necessaria, della seconda non posso fare a meno.”
Dopo un istante di sconcerto l’intera assemblea proruppe in uno scrosciante applauso.
“Ora é la volta dell’ammiraglio Martin Haim. A lui la parola”.
Smagliante nella divisa blu notte con i simboli delle tre stelle novae sul colletto, di taglio sobrio ed essenziale, Martin affrontò la fossa dei leoni.
“Sono davanti a voi in qualità di comandante della nascente flotta terrestre. I miei compagni ed io, siamo anche gli unici veterani presenti nella galassia di una vittoriosa battaglia contro gli esterni. Così furono chiamati millenni fa i sanguinari alieni responsabili dell’olocausto di tutte le specie senzienti e consapevoli della galassia, e i dati più recenti faticosamente raccolti con il sacrificio di molti, sembrano avvalorare la tesi che essi siano di provenienza extra galattica. Il mio scopo, di sopravvissuto e di veterano, è quello di convincervi sulle importanti motivazioni delle nostre azioni. Non siamo come grano maturo sotto la falce del contadino. Dobbiamo convincerci che, invece,
abbiamo una possibilità e che si debba vincere per sopravvivere. Non prometto gloria o turismo galattico. Vi garantisco solo rischi, paura e forse morte. Ma almeno per la più alta motivazione possibile: la salvezza dell’intera umanità, delle tradizioni, della cultura e della nostra storia. Voglio pensare che gli insegnamenti del ato attraverso il momento presente, possano ispirarci per il futuro. I proto umani avevano inteso mettere a punto un modello di umanità aggressiva, feroce spietata. Sfogliando, le pagine di un libro di storia o peggio, leggendo un giornale quotidiano, si ha la sensazione che la fatica degli scomparsi proto umani sia stata ben spesa. Il risultato finale, però, é andato oltre in maniera essenziale: oltre alla notte, col sangue, con le guerre, con la sopraffazione con l’indifferenza, credo che ci sia anche la luce abbagliante di quanti hanno saputo dare se stessi per il bene comune, di quanti si sono sacrificati per consentirci di godere di un gelato nelle strade di Parigi, o un cappuccino in un bar di Singapore e oggi di combattere la nostra battaglia. Chiedo, quindi, l’aiuto di tutti. Assieme vinceremo!”
Scoppiò un applauso ancora più fragoroso, ed alcuni delegati non nascosero la propria commozione. “Voglio presentarvi degli alleati, di più, degli amici o meglio ancora dei fratelli, con cuori grandi come é grande il loro corpo. Signori, ecco a voi Goo, Gaark e Vaadak!” Continuò Martin con voce tonante.
La cortina alle sue spalle si aprì lentamente per mostrare quello che tutti sulla terra volevano vedere e conoscere: l’alleato gramalk, diverso ma possente ed invincibile. Timidamente, i tre grossi glamark si avvicinarono a Martin e Marie Soleil, avevano i grossi corpi inguainati in sgargianti tute termiche e gli occhi sciabolavano sulla platea per cogliere le espressioni dei delegati.
In inglese corretto Goo ringraziò con voce tonante i presenti e promise, a nome di tutti i glamark, che avrebbero lottato e prevalso accanto agli umani dei quali, del resto, dopo la ata battaglia erano praticamente fratelli. E aggiunse: “Ringrazio anche l’umanità, per quella che noi riteniamo essere una delle più importanti scoperte dell’universo: il gelato al cioccolato!”
La battuta lasciò l’intera platea nello sconcerto, qua e là eruppe qualche isolata risata. “Aha, aha, aha!” Rise da solo Goo. “Era una battuta per scaldare l’ambiente. Qui fa molto freddo per i miei standard. Quello che voglio dirvi in realtà é…” Poi improvvisamente, aiutato da Vaadak, indossò un grosso cappello a stelle e strisce, stile manifesto di arruolamento con lo zio Sam, e disse con voce stentorea: “I want you for U.S. army! Piccola precisazione.” Continuò.” U.S. non significa United States, ma piuttosto United Systems.”
I fatti successivi dimostrarono che più dell’apionata perorazione di Martin, fu la comparsa di Goo e compagni a motivare l’opinione pubblica al punto di raccogliere una serie di corale adesione alle iniziative del gruppo. L’opinione pubblica della terra era orientata decisamente a are le iniziative del gruppo: resistenza e libertà furono le parole più pronunciate.
Martin visse per alcuni giorni con un certo senso di disagio. Riteneva che la loro presentazione avesse assunto un tono smaccatamente demagogico. I suoi timori si acquietarono presto vedendo i risultati dell’adesione entusiastica raccolta dai governi della terra: il fine aveva evidentemente giustificato i mezzi.
2. Ter6 – Base di Bertha – 21 Gennaio 2024.
Le navi, in orbita bassa e vicine poche centinaia di metri l’una dall’altra, venivano sottoposte alle riparazioni necessarie per poter riprendere l’attività di scorta e combattimento. Jeanne Marie Soleil aveva avuto due giorni prima la gradita sorpresa di accogliere un’altra nave terrestre inviata con materiale di o, la Magellano, sotto il comando di Lee Huizhong, un livello zero di origine cinese, con a bordo attrezzature per una base orbitante attrezzata a operare riparazioni. L’officina spaziale era in fase di montaggio: decine di operatori volteggiavano nello spazio allo scopo di allestire in orbita di Ter6 la grande struttura necessaria alle riparazioni. Si era, contemporaneamente, anche ripristinata la dotazione di torpedini spaziali ridotta dalla precedente battaglia. Nella sala controllo della base di Bertha il commodoro Jeanne Marie Soleil accolse due glamark livello zero, Gaabardar e Toogak e il comandante del drappello di umani su Ter6 William T. Smith. In video conferenza un folto gruppo di glamark livello zero seguiva la riunione dalla grande sala del neo approntato palazzo consolare terrestre. Si erano assiepati in una saletta calda al punto giusto e arredata con centocinquanta comodi sedili di pietra orientati a semicerchio verso una distante piattaforma, sulla quale uno dei rimasti terminali D. C., proiettava una suggestiva immagine tre D della scarna sala comando di Bertha.
Gaabardar prese la parola.
“Io e il mio amico qui presente Willy, abbiamo cercato di valutare il rischio di un prossimo arrivo degli esterni. La percentuale della probabilità di un loro arrivo entro i prossimi trenta, quarant’anni di Terra, o come voi la chiamate Ter6, calcolata dalla IA delle tre navi in orbita, fornisce come risultato quasi il 100%. Lo scarto è minimo e pertanto dobbiamo ragionare sulle prossime priorità, dando per scontato che gli infami brakkak, così noi chiamiamo il puteolente escremento del verme giallo del deserto, verranno sicuramente a bussare alla nostra porta.”
“Il problema, cari amici…” Rispose il commodoro. “Sta nel fatto che programmare il futuro a breve è estremamente complesso a causa delle limitazioni che abbiamo nelle comunicazioni con la base di Titano. Dobbiamo quindi subito, cercare una soluzione che possa essere probabilmente condivisa dal comando e sufficientemente modificabile in corso d’opera. Le informazioni sul successo della battaglia recente saranno a disposizione del comando nei prossimi giorni. La nave Magellano giunta alcuni giorni fa, fu inviata al buio senza che alcuno fosse informato degli eventi. Dobbiamo agire nella stessa maniera! Prevenendo, cioè, le necessità locali e generali, cercando di immaginare tutti i possibili scenari.”
“Dobbiamo evacuare il nostro amato pianeta. I dati video che ci hai fornito non lasciano scampo!” Rispose corrucciato Gaabardar. E dardeggiando nervosamente i quattro occhi, proseguì.” Dove andremo Jeanne? Dove è abbastanza lontano dai maledetti brakkak?”
“Penso che questo sia semplice. Il nostro sistema! Sulla terra o su altri pianeti. Venere è abbastanza caldo, anzi forse troppo. Marte, è piccolo rispetto a Ter6 ma è disabitato salvo per tre piccole basi ed alcuni relitti di sonde terrestri, reliquie dei primi i nello spazio.”
“William intervenne. “Credo che sia necessario iniziare subito. La Magellano, che è capiente, può cominciare il rientro trasportando tutti i glamark possibili. Potremmo sistemarne almeno tremila, vero comandante Lee?”
“Anche quattromila, un po’ stretti forse, ma in buona compagnia si viaggia meglio. Siamo solo poco armati, ma non dovrebbero esserci rischi allungando il percorso a tre mesi standard.” Ripose il comandante Lee.
E Klaus Pasqua della Victory aggiunse: “Siamo quasi pronti. Siamo già combat
ready e stiamo ultimando le riparazioni. I glamark hanno imparato benissimo ad usare gli esoscheletri che abbiamo approntato per loro, e quindi potrei tornare a casa trasportando circa cinquecento eggeri, distogliendo il mio equipaggio dai lavori di costruzione del cantiere navale e fungendo da scorta per la Magellano.”
“E sia!” Disse Jeanne. “Preparatevi al distacco, a partire dalle prossime settantadue ore standard.”
Erano state approntate una ventina di tute da combattimento esoscheletri, a dimensione glamark. Disponevano di armamento a raggi per autodifesa e di fini manipolatori da utilizzare nello spazio. Più che ad esoscheletri, assomigliavano di più a piccole navette monoposto, tali erano le dimensioni. Tuttavia i locali si erano impossessati delle tecniche di utilizzo con il consueto pericoloso entusiasmo.
3. Base di Titano – 3 febbraio 2024.
La torpedine era finalmente giunta a poche centinaia di migliaia di chilometri dalla base, e cominciò a trasmettere i dati che erano stati inseriti. La buona novella giunse al momento giusto, quando cioè la crescente preoccupazione stava quasi paralizzando le sorti della trasformazione planetaria. Il nuovo impulso dato dalla notizia in breve sgretolò l’ultimo muro di diffidenza verso le proposte del gruppo. In riunione collegiale tre D, si incontrarono Marie Soleil, Olly e Goo, e le autorità amministrative continentali del pianeta. La riunione, indetta con urgenza, aveva come oggetto la programmazione del futuro di quell’entità che si stava già chiamando Sistemi Uniti. Era, infatti, da poco avvenuta una fusione politica generalizzata, per facilitare le operazioni di crescita e gestione del pianeta.
“Kadat, dall’analisi dei dati ritieni possibile che gli esterni possano tornare a breve nel sistema di Ter6?” Chiese Olly. “Consideralo scontato, caro Olly. Il nostro problema sta nel rischio estremo di comunicare in tempo reale! Dobbiamo quindi pensare a soluzioni condivisibili, ed in fretta.”
Intervenne Marie Soleil. “Bisogna evacuare tutti i glamark dal pianeta, al più presto, mi sembra ovvio. Potremmo alloggiarne la metà assieme ad umani di o, su Marte. Ma siccome non mi piace mettere tutte le uova nello stesso paniere, potremmo cercare, per i rimanenti, un’altra sistemazione su di un sistema ancora più esterno del nostro. Pierre Armand mi dice inoltre che ha impostato altri venti scafi. Le navi saranno operative fra circa dieci mesi da oggi. E’ l’embrione di una piccola flotta. Col tempo, pur senza raggiungere i livelli tecnologici degli alieni, avremo una discreta capacità di risposta. Propongo inoltre di costruire una ulteriore decina di grossi trasporti per la necessaria evacuazione dei glamark. Devo anche segnalare che l’ammiraglio Martin, sta sviluppando un’idea interessante sulla base dei dati ricevuti, che potrebbe dare un colpo forse definitivo al problema degli esterni,”
Conclusa la riunione, Olly contattò Martin per consigliargli di partire per una rotta diversa a transizioni crescenti, verso Ter6, per dare impulso all’evacuazione.
Stava nascendo una fitta rete di andirivieni Terra, Ter6, con rotte ciascuna diversa dall’altra, ma di lunghezza quadrimestrale, secondo consiglio di Kadat, per sviare l’attenzione degli esterni.
PARTE DECIMA
1. Marte – città sotto cupola Novaterra – 14 ottobre 2026. Gliese c - 29 ottobre 2024.
L’ambiente era ancora poco confortevole, mancavano i graffiti. Tuttavia Goo guardò con soddisfazione dalla piattaforma della torre che sorgeva al centro dell’anfiteatro, la distesa di case in pietra di foggia tipicamente glamarkiana, la sua nuova casa, il colore era un po’ diverso, ma era impensabile trasportare da Ter6 anche il materiale da costruzione. Un terzo degli abitanti di Ter6 era stata evacuata su Marte, ora abitato da circa trecento milioni di cittadini fra umani e glamark. Si scavava incessantemente per allestire i nodi necessarie e le infrastrutture cantieristiche per doppiare quelle terrestri e quelle orbitali. Goo si incamminò senza fretta lungo la erella di pietra diretto verso i locali della camera di compensazione, da cui sarebbe salito a bordo della navetta per raggiungere la Santa Maria in orbita, sulla quale l’equipaggio misto e l’ammiraglio Martin Haim lo aspettavano per esplorare il sistema di Gliese 181, una stella nana rossa, distante 20,5 rak. Risultava alla documentazione in possesso del gruppo, che avesse cinque pianeti, il terzo dei quali, Gliese c, avendo una certa quantità d’acqua sulla superficie, poteva essere adeguato alle necessità. Dato lo stato avanzato della costruzione delle città marziane sotto cupola, e l’approntamento della flotta sempre in attività per completare l’evacuazione di Ter6, e ancora dell’allestimento dei sistemi automatici di auto difesa, distribuiti per tutto il sistema solare, rimaneva da colonizzare il pianeta della vicina stella. La massa del pianeta, era circa cinque volte quella terrestre; la gravità era molto confortevole per i glamark poiché, sebbene, leggermente inferiore, era abbastanza simile a quella di Ter6. Non così la temperatura media che oscillava attorno ai cinque gradi centigradi medi. Comunque un ambiente potenzialmente migliorabile, riteneva Goo, e sicuramente non ostile. Dopo circa quattordici giorni standard di viaggio, transizioni comprese, la nave giunse nel sistema di Gliese, e si avvicinò all’orbita del terzo pianeta.
Goo si offrì come volontario per scendere sul suolo del pianeta. La superficie era piuttosto aspra, e non presentava le grandi pianure di Ter6. Catene montuose, formatesi nel corso delle ere geologiche per l’azione del movimento delle zolle
continentali e di un’antica ma possente attività vulcanica, corrugavano quasi tutta la superficie del pianeta, nel quale l’acqua esistente era presente solo nelle zone polari sotto forma di ghiaccio. L’atmosfera era per lo più formata dall’inerte azoto e da tracce di altri gas che assieme sfioravano l’uno per cento. La navetta raggiunse la superficie in un profondo avvallamento, dove la luce del sole, di sfumatura rosso arancione, arrivava a stento. Le ombre dominavano l’ambiente, occultando i particolari del profilo terrestre. Il pilota, come di protocollo, rimase a bordo, mentre Goo e Martin uscirono sulla superficie del pianeta forniti di adeguata protezione. Martin si era infilato in un esoscheletro da combattimento e procedette verso l’imboccatura della stretta valle, anticipato dal terminale dati e combattimento che a trenta metri di quota monitorava attentamente ogni anfratto in rete con Koral dalla nave. Goo seguì l’amico con la sola tuta di sopravvivenza: non riteneva che ci fossero pericoli e, comunque, il suo TDC. vigilava in quota come quello di Martin, pronto a rispondere ad un eventuale pericolo.
“Non capisco perché tu abbia voluto scendere sulla superficie, Goo. Abbiamo la mappatura tre D del pianeta da almeno venticinque milioni di anni, rinnovata automaticamente ogni centomila anni standard. Cosa potrebbe esserci di nuovo!” Ribadì Martin all’amico.
“Io qui ci devo abitare, Martin. Non si compra mai a scatola chiusa. Tu stesso mi hai raccontato che tuo nonno William ha comprato una casa in una zona paludosa infestata dalle zanzare, pagandola il triplo del valore reale.”
“Ascolta Goo, questo pianeta è stato scoperto dai Margolg, non è una casa in vendita da un agente immobiliare truffaldino. E’ nel database galattico da non so quanto tempo!” Rispose Martin piccato.
“E’ la mia piccola ossessione, vedere la mano di carte dell’avversario. Lo sai Martin, a poker perdo sempre! Ma tu che sei un doppio zero, non hai qualche strana sensazione?”
“Per la verità, si. Ho come un senso di disagio da quando siamo arrivati nel sistema. Ecco perché sono così polemico. Ma non so darmene ragione. Se qui ci fossero gli esterni, o ci fossero stati in ato, non avrebbero tardato a scoprire la terra. A soli venti rak di distanza, sarebbe stata una preda ghiotta.”
“Aspetta, Goo, salgo in quota per aumentare il raggio d’orizzonte. Se c’è qualche cosa la troveremo, non temere.”
La comitiva continuò progredire verso sud, scambiando chiacchiere apparentemente futili, ma con viva attenzione all’ambiente circostante. Si trattava di un vero e proprio labirinto, dal quale Goo veniva periodicamente tratto in salvo per il contatto diretto con le unità aeree. La cartografia della superficie a sua disposizione si dimostrò del tutto inutile, risaliva, infatti, all’ultima precedente mappatura risalente a poco più di novantamila anni fa. Per la notte approntarono una bolla di dimensioni acconce, nella quale apprezzarono una cena frugale, almeno per Martin, e triste per Goo, che si lamentò della mancanza della vodka al peperoncino. Martin lasciò vincere Goo a poker, facendone il glamark più soddisfatto dell’universo. Era confortevole giocare con le carte proiettate davanti a loro dal T.D.C. senza toccarle, ma gestendole con la sola voce. Goo era troppo aggressivo a poker, come anche a scacchi: attaccava sempre senza curarsi delle conseguenze, e più di un antagonista si era allontanato dal gioco cedendo la mano ad un imbufalito e per niente sportivo Goo. Solo Martin aveva il carisma per contenere la sua irruenza, e non solo nei giochi. Alle prime luci dell’alba di Gliese c, la spedizione riprese. Fu solo dopo quattro ore di saliscendi per le aspre colline che Goo vide scintillare all’orizzonte un oggetto che non avrebbe dovuto trovarsi lì.
“Martin, cosa vedi a sud sud est a forse undici chilometri da me?”
“Nulla, Goo. Solo rocce e ancora rocce e…aspetta! Metallo di qualche genere. Ti
anticipo, segui il navigatore sul display della tutta. Ti apro una finestra con le immagini della mia telecamera frontale. A più tardi.”
Detto questo Martin prese quota assieme al proprio TDC e si diresse rapidamente verso l’oggetto sconosciuto.
Goo, si maledisse trenta volte nell’antica lingua per non avere indossato l’esoscheletro e di buona lena seguì le istruzioni del navigatore che, curiosamente, aveva la stessa voce aspra e sibilante di Koral.
Se un glamark poteva sudare Goo lo fece con gli interessi. La tuta sembrava fornire fin troppo calore dopo la lunga trottata verso Martin e l’oggetto sconosciuto. Goo arrivò in una profonda radura chiusa da uno incombente sperone roccioso alla fine della quale Martin senza esoscheletro, ma con la sola tuta di protezione, stava esaminando un triangolo di metallo lucidato a specchio delle dimensioni di circa due metri quadrati. Dava la sensazione di essere la parte superficiale di una struttura sepolta da molto tempo. Infatti le rocce attorno e la polvere onnipresente, sembravano intonse.
“Sembra roba degli esterni! Avevi ragione Goo. Non riesco a mappare in profondità. Ci serve o, chiamerò subito la nave.”
In breve una squadra attrezzata lasciò la nave e raggiunse la zona richiesta assieme alla navetta con la quale Goo e Martin erano discesi sulla superficie. Approntarono un perimetro a protezione e subito i robot controllati da Koral iniziarono a scavare. Non era necessario rimanere sul posto. Martin e Goo si trasferirono a bordo in attesa degli sviluppi, congetturando sulla natura dell’oggetto davanti ad un bicchiere di spremuta liofilizzata e rigenerata, corretta vodka per quella di Goo. Dopo ventiquattro ore di caute prospezioni, la sabbia e le rocce vennero rimossa dall’oggetto. Aveva la forma di un parallelepipedo
accartocciato sul lato frontale che aveva colpito la terra, di circa venti metri di lunghezza. Non mostrava segni di aperture nella superficie, salvo quelle prodotte dall’impatto. Non aveva alcun genere di ali per direzionare il volo. Si trattava, quindi, di un oggetto volante, con propulsione sconosciuta, del tutto indifferente alla fisica planetaria e alle leggi dell’aerodinamica. Come in genere anche le navette normalmente in uso. Faceva la differenza il fatto che invece i velivoli atmosferici umani o delle altre scomparse specie avessero un abbozzo di aerodinamicità mentre il veicolo trovato pareva in tutto e per tutto una scatola da scarpe. Fu rapidamente recuperato, mentre i sistemi robotici della nave facevano questa volta una mappatura accurata del pianeta ad uso e consumo degli architetti e degli urbanisti.
2. Base di Titano – 6 novembre 2026.
Il rottame era stato sezionato con estrema cura. Aveva mostrato caratteristiche costruttive insolite, ma decisamente alla portata della scienza e della tecnologia umana attuale. La differenza stava nel sistema di propulsione che mostrava tracce di approssimazione non giustificabile dai normali protocolli di sicurezza in uso nell’intera galassia. Aveva anche un ingegnoso sistema di inversione di polarità della luce che sembrava alla base dell’effetto ottico di alta riflessione e rifrazione visto sulle strutture aliene. Inoltre la mancanza di portelli faceva pensare a un controllo della materia, tale da poter creare spazi e buchi ad hoc quando necessario. La strumentazione era però completamente distrutta in minuti frammenti. Sembrava disarmato e non conteneva tracce organiche di sorta. Kadat riteneva che fosse un vascello degli esterni naufragato non meno di dieci milioni di anni prima. E ciò metteva sicuramente al riparo da eventuali problemi poiché il lungo tempo trascorso senza ritrovamento, faceva pensare ad un veicolo abbandonato di cui si era persa ogni traccia. La colonizzazione di Gliese c poteva cominciare. Vaadak fu nominato responsabile per la colonizzazione di Gliese c, che, su consiglio di Goo, fu ribattezzato Martin I. Comparire sulle mappe galattiche non era cosa da poco e Martin ringraziò il grosso amico con una gita nel deserto del Gobi, caldo e confortevole al punto giusto di giorno, ma freddo e inospitale anche per i vermi delle sabbie, di notte.
Martin stava pensando da tempo al modo per attrarre il nemico in una zona pericolosa dalla quale non avrebbe avuto scampo. Così chiese ed ottenne la Santa Maria per una prospezione verso i sistemi più centrali della galassia.
3. Centro galattico – sistema Marak – orbita di Marak 4 – 3 febbraio 2027.
Il viaggio era stato lento. La lunga durata era dovuta al numero elevato di transizioni a cui la nave si era sottoposta per evitare qualsiasi possibilità di essere tracciata, se non in modo casuale, dagli esterni. Il sistema era stato colpito in ogni parte. Pianeti e satelliti mostravano raccapriccianti crateri da impatto di armi ad alta energia, e lo spazio interplanetario era pieno di frammenti che una volta erano stati navi e stazioni orbitanti. Sulla superficie di Marak 4, una volta coperta da una fitta foresta impenetrabile, si vedevano le cicatrici di aspre battaglie e nessuna vita era stata risparmiata neanche quella delle creature inferiori: era diventato un pianeta sterile dove sterpi malridotti si contendevano le magre risorse di un terreno devastato. Tuttavia in un pozzo minerario profondo furono ritrovati i record dell’attacco al pianeta. Settimane di immagini tre D ad alta risoluzione, filmati, e alcuni esoscheletri alieni funzionanti con la loro strana tecnologia. L’abbozzo di un’idea cominciava a prendere corpo nella mente di Martin. La tratteggiò a Goo, suo compagno d’avventura, che col grado preteso di vice ammiraglio si pavoneggiava per la nave indossando un enorme drappo blu notte con due stelle novae sul bavero, il quale impose la partecipazione dei gramalk nel progetto e se ne disse assolutamente soddisfatto. Goo decise di occuparsi personalmente della prima fase del piano.
“Devi scendere nel pozzo verticale con sicurezza e con la leggerezza di una piuma. Arrivato in posizione a quota meno settanta chilometri, dovrai delicatamente sganciare il carico assicurandoti che sia assolutamente in piano rispetto alle coordinate che ti fornirò momento per momento durante la discesa. Il pozzo ha un diametro medio di ventidue metri e il materiale da lasciare sul fondo è decisamente ingombrante. Attendi che la grafica tre D mostri una coincidenza fra i simboli e poi premi il puls....”
“Non sono cerebroleso Koral!” Ringhiò un risentito Goo. “Devo sganciare il carico bellico esattamente sul fondo e poi, magari, mi dirai di srotolare la
matasse di filo conduttivo che Martin vuole usare per l’innesco. O. K. lo farò Koral!” Proseguì sempre risentito Goo. Doveva posizionare sei cariche nucleari sagomate per detonare all’interno del pozzo della miniera, facendo in modo che l’assetto del carico fosse orientato in maniera calibrata per ottenere la desiderata detonazione che avrebbe distrutto l’intero pianeta assieme a tutti coloro che malauguratamente si fossero trovati nei pressi. Si trattava della fase iniziale della trappola che avrebbe dovuto, secondo l’opinione di Martin, dare impulso ad una serie di eventi fatali per gli attaccanti esterni. Doveva crearsi una catastrofe dalle dimensioni enormi, mai viste nella storia dell’universo, se non per cause naturali dovute, per esempio, all’esplosione di una stella nana bianca. Per sicurezza, ed evitare radio interferenze, l’impulso sarebbe stato inviato alle cariche termonucleari, tramite un lungo filo conduttore, attivato da un semplice comando elettronico autoalimentato a bassissima segnatura.
Con perizia, Goo esegui la discesa, a bassissima velocità. Al fondo trovò, purtroppo dei detriti che ostacolavano la messa in opera delle cariche, e così il suo TDC. dovette provvedere con cautela estrema a polverizzare con il laser le pietre. L’operazione fu lunga e laboriosa. L’esoscheletro doveva essere mantenuto accuratamente in posizione, e poiché i controlli automatici non funzionavano senza rischio a quella profondità, fu tutto un lavoro manuale di enorme pazienza. Dopo quasi ventiquattro ore Goo, ritornò in superficie stanco per la tensione fisica e mentale, e ricevette, questa volta senza traccia di ironia, i complimenti della IA Koral.
La seconda fase richiedeva di applicare cariche su ogni pianeta e satellite del sistema, e soprattutto su Marak 1, il primo pianeta in orbita attorno al sole del sistema, delle dimensioni della terra, che si trovava a distanza minima dal sole, inferiore a quella di Mercurio nel nostro sistema solare e descriveva rivoluzioni con orbite circolari mostrando sempre la stessa faccia. Cariche nucleari di dimensioni gigantesche avrebbero dovuto essere lanciate in sincronia con le esplosioni sugli altri corpi celesti, per produrre l’immane distruzione del sole assieme agli incauti nelle vicinanze. Il processo di dislocazione delle cariche avrebbe richiesto tempo e calcoli accurati. Per il momento solo la prima detonazione con il grilletto per accenderla era stata programmata, il resto sarebbe seguito in tempi brevi. Si trattava della versione gigantesca su scala mai vista di
trappole altrimenti usate in ogni cultura per catturare animali inferiori pericolosi.
Dopo questa fase necessaria, mentre i particolari tecnici dell’intero piano prendevano forma nella memoria di Koral, Martin ordinò il distacco e la partenza verso il sistema di Ter6, allo scopo di verificare lo stato dell’evacuazione e per approntare l’esca che avrebbe condotto il nemico alla distruzione.
4. Marak 4 - Ter6 - 8 giugno 2027.
La Nave iniziò l’interminabile serie di transizioni che un osservatore distratto avrebbe potuto definire a zig zag spazio temporale, ma che avevano il pregio di diminuire il tempo del trasferimento rispetto al primo viaggio interplanetario umano, ugualmente azzerando i rischi di essere avvistati dal nemico.
“Martin, devo parlarti!” Disse con enfasi Goo. Sembrava molto serio, gli occhi non roteavano curiosi come sempre e l’aspetto generale sembrava insolito: era come se il grosso extraterrestre fosse preoccupato o malato. Il grigio rosa della ruvida pelle sembrava grigio più che mai ed essa pareva tesa e lucida. Mai Martin aveva visto Goo in quelle condizioni. Lo scandagliò con apprensione ma il suo tentativo delicato e fraterno venne rintuzzato senza fatica da Goo.
“Scusa. Sono preoccupato. Ebbene parlami. Nessuno ci può sentire a parte l’equipaggio e Koral. Non ci sono segreti su di una nave come ben sai. Sei anche l’unico gramalk, per cui la curiosità é massima. Dai, mi stai facendo preoccupare!” Rispose Martin con disagio. “Andiamo nel settore di poppa Martin. devo parlarti di una cosa molto delicata che poi potrai riferire all’equipaggio. Ma abbi pazienza. Facciamo come dico io.”
I due amici, senza guardarsi attorno, andarono nel compartimento glamark che era stato allestito per migliorare il confort a bordo ai dieci glamark che potenzialmente potevano essere imbarcati sulla Santa Maria. Era stato costruito riducendo del trenta per cento la serra idroponica. Il risultato era una dieta più monotona nonostante la camera di stasi funzionasse egregiamente. Gli ufficiali addetti agli approvvigionamenti sono parchi per definizione ed il criterio guida è sempre stato quello dell’efficienza e della sicurezza. Venivano così stoccati in camera di stasi cibi precotti o liofilizzati allo scopo di diminuire il volume del carico ed aumentare la resa minimizzando i danni che il cibo fresco avrebbe
potuto subire in caso di black out energetico. Fra le poche concessioni alla frivolezza vi erano abbondanti partite di cioccolato svizzero fondente di cui tutti i glamark senza distinzione andavano pazzi e la vodka al peperoncino stoccata in dodici grossi bidoni pressurizzati destinati tutti ad un solo grande fruitore: Goo. Raggiunto il confort della calda zona glamark, Goo si sedette e pregò Martin di fare altrettanto. Il caldo era eccessivo e Martin non avrebbe potuto simulare la tranquillità che mostrava se non avesse indossato l’ingombrante tuta condizionata che invece Goo si era appena sfilato mantenendo solo il mantello blu drappeggiato sul dorso per poter sfoggiare le scintillanti due stelle novae sul colletto.
“Ecco, mmmm...” Disse Goo in contatto mentale. E proseguì. “Quando ci siamo conosciuti io ero...non so come dirlo, perché per noi glamark é assai diverso che per voi umani. Vedi, io porto una vita dentro di me che sta per nascere.”
Martin, scoppiò in una successione di colpi di tosse tanto forti da far temere Goo per la sua salute. “Cooosa? E io ti ho mandato sotto terra in un pozzo verticale molto pericoloso e ancora a trotterellare per chilometri sulla superficie di un pianeta alieno e ancora....”
“Dai, sai che non sono una creatura delicata. E’ solo che sta per giungere il momento. Lascia che ti spieghi. Come sai, noi disponiamo di quattro sessi, forse per rendere più complesso l’accoppiamento e consentire la sopravvivenza del più forte o forse solo per capriccio del creatore e per complicarci la vita. Alla procreazione devono simultaneamente partecipare la pre femmina, il maschio A e il maschio B. Hai capito? Una femmina e due maschi con diversa anatomia e diversi modi di accoppiamento e la pre femmina. Al concepimento segue una fase embrionale di sessanta rotazioni standard. A questo punto per completare il codice genetico del nascituro e lo sviluppo corretto, entra in gioco la femmina che riceve l’embrione dalla pro femmina e ne porta a termine la crescita sino al momento del parto. Ciascuno partecipa al 25% del codice genetico del nascituro e ti risparmio la descrizione della parte fisica. Ti dico solo che è gratificante come per gli umani forse anche di più da quello che abbiamo visto io e Vaadak
sulla tre D, in un programma scientifico sul concepimento fra gli umani; non ricordo come si chiamasse. Aveva un nome tipo stella rossa o forse tenda rossa, aha ecco, luce rossa. Si. Luce rossa si chiamava. C’era un tale caos, rumori, versi di ogni genere. Era un vero scontro fisico. Da noi c’è maggior attenzione. Sarà che siamo grossi e potenti ma devo dire che la delicatezza ci contraddistingue in questo ambito delicato, caro Martin!”
Martin era esterrefatto. Gli alieni avevano sbirciato uno squallido film a luci rosse pensando che si trattasse di una proiezione didattica. Era il colmo. Lasciò volutamente Goo nella sua ignoranza senza chiarire l’equivoco: sarebbe stato troppo imbarazzante.
“Quindi in definitiva, fra tre rotazioni sarò madre di un piccolo glamark. Alla nascita pesano circa venticinque chilogrammi, ma crescono rapidamente i piccoli. Dovrò nutrirlo con il mio dak. Non è latte, Martin: ci sono solo zuccheri e proteine, per lo più. Lo svezzamento avviene dopo un diciotto mesi. Quindi ho bisogno del tuo aiuto perché sarò un po’ impegnata in questo periodo. Ti parlo di me al femminile, ora che sai. A proposito Martin, stai bene? Hai gli occhi quasi fuori dalle orbite. Non che gli umani siano belli, ma tu sembri un drikkel delle pianure!”
“Un che? No lascia perdere. E’ che la notizia mi ha colpito veramente. Sono felice e ti aiuterò meglio che potrò. Mi spiace di non poter modificare la rotta per andare direttamente sulla terra, ma la missione è troppo importante per tutti.”
“Non preoccuparti capisco perfettamente. E poi non dimenticare che Terra e Ter6 come la chiami tu é pur sempre la sua casa e non mi dispiacerebbe che ne conoscesse i profumi e le immagini per portarle con se ovunque andrà nel futuro, se ci sarà un futuro!” Disse Goo con ione.
“Ci sarà! Te lo prometto Goo. Sarò uno zio amorevole e presente durante tutta la sua crescita.” Rispose Martin con affetto.
“Altro che zio, Martin. La tua promessa appena pronunciata, ti impegna come padre putativo. O, almeno così é fra noi gramalk. Non vado molto d’accordo con veri padri del piccolo sebbene apprezzi molto la pro madre. Ma se non ti senti in grado, posso fare da sola. Noi madri gramalk siamo molto legate alla prole. Nulla ce ne distoglie, e possiamo fare anche da sole!” Rispose Goo, piccata.
“Calmati, Goo. Sono solo sopraffatto dall’emozione! Non sono neanche sposato, non ho una fidanzata da non so quanto tempo e sono già padre. E’...fantastico, semplicemente fantastico. Ti ringrazio dell’onore.” “Aspetta a ringraziare! I piccoli gramalk sono spesso pestiferi. E mia figlia sarà anche un livello zero come me.” Rispose Goo.
La notizia si sparse per la nave con la velocità della luce.
In breve tutti sapevano delle condizioni di Goo, e del nuovo status di femmina. Tutti le mostrarono affetto e partecipazione. Anche Koral si dimostrò debitamente colpita, tanto che le promise una culla su cuscino d’aria, per sistemare la piccola dopo la nascita.
La nave pospose la successiva transizione verso la meta per fornire alla futura mamma il massimo confort possibile.
Come preannunciato il parto avvenne dopo settantadue ore. Durò fortunatamente solo tre ore, di vera ansia per Martin, primo padre putativo umano di un alieno glamark di venticinque chilogrammi.
“L’onore del nome spetterebbe a te, Martin. Ma sono sicura che non conosci a sufficienza la mia cultura da poter offrire un soluzione condivisibile per la piccola.” Riferì una provata Goo. Martin non riusciva a farsela quadrare in quel nuovo ruolo, guerriero e madre insieme, ma il suo interesse era massimo, e così disse: “Al contrario! Ho un nome fatto apposta per lei. Si chiamerà Maa.”
“Oh grazie Martin, stai dimostrando una grande sensibilità, non é da tutti!” Rispose Goo con evidente piacere.
“Solo non ho dimenticato la vostra mania per i nomi corti. E poi Maa rappresenta anche la prima sillaba del mio nome. Sono o non sono forse il padre?”
5. Ter6 - città semi abbandonata di Kaksas XXXI - 12 ottobre 2027.
La nave Santa Maria, da poco arrivata, si era collocata in orbita geostazionaria accanto al cantiere spaziale di recente costruzione situato fra Bertha e il pianeta di Ter6.
La superficie di Ter6 era stata scannerizzata minutamente per ripetere nella nuova lontana collocazione i particolari dei graffiti murali che adornavano le città del pianeta. La riunione dei coordinatori e dell’ammiraglio Martin si tenne in una vasta sala di Kaksas XXXI. Non mancavano certo le opportunità immobiliari a basso costo, dato che rimanevano sul pianeta solo un milione circa di soldati e operatori del cantiere spaziale. Goo era presente e sedeva dignitosamente con la piccola accanto. Maa era insolitamente quieta, percepiva l’importanza del momento o forse era solo stanca dopo avere mosso i primi i quadrupli sulla superficie del suo pianeta d’origine.
“Scusate tutti! Vorrei ringraziarvi per lo sforzo profuso. Siamo quasi alla fine dell’opera.” Annunciò Goo, con aria compunta davanti a trenta umani ed altrettanti gramalk.
“La parte restante del personale verrà evacuata solo dopo avere terminato le istallazioni necessarie al piano dell’ammiraglio Martin Haim. Lascio a lui la parola per descrivervi le necessità immediate.”
“Questo pianeta sarà l’esca dell’esca.” Annunciò Martin.
“Lasceremo le forme di vita inferiori nei pressi delle città. Gli alieni dopo l’ultima batosta accorreranno in forze. Forse con cinquanta navi. I sistemi automatici che stiamo istallando scateneranno l’inferno. A questo punto gli esterni cercheranno di distruggere il pianeta senza cercare di giocare al gatto col topo. Dovranno evidentemente riuscire nel loro intento, ma pagheranno pegno. Poi dall’analisi dei dati che lasceremo abbastanza riconoscibili su Bertha e Antony, gli alieni scopriranno una traccia che li porterà diritti fra le fauci del coccodrillo. Per i gramalk che non ne hanno mai visto uno, il coccodrillo é un rettile, il più grande rettile sopravvissuto al gioco energetico degli scienziati proto umani, ha fauci fortissime e non molla mai la preda. E…”
“Ne vorrei tanto incontrare uno Martin, disse Gaabardar.”
“Sono, come dicevo, bestiacce decise. Niente che uno di voi gramalk non possa ridurre in un mucchio di gelatina tremolante. Ma lasciatemi proseguire. La seconda trappola sarà, per intensità e qualità, fatale agli alieni che troveranno nel sistema di Marak la propria nemesi. Potremo anche schierare la nostra flotta per farla intervenire sugli eventuali resti delle navi sopravvissute della flotta aliena. Penso che, se la proiezione di Koral azzecca al 100 %, possano schierare per questa ultima fase, anche due o tremila navi. Nei prossimi vent’anni, al compimento del piano, noi disporremo al massimo di seicento o, al più, settecento vascelli. Ce li faremo bastare.”
La piccola Maa cominciò ad agitarsi, voleva esercitare le forti gambette sulle strade semi desertiche della città soffiando e sbuffando in maniera molto carina secondo la madre. Distratto dalla piccola creatura di centocinquanta chilogrammi, Martin perse il filo del discorso. La platea lo guardò ansiosamente. I convenuti temettero che potesse avere percepito qualche lontana minaccia con le sue doti superiori.
“Scusate! Stavo riflettendo.” Continuò Martin, flettendo il braccio sinistro, ridotto in brutte condizioni dall’esuberante figlia adottiva.
“Stavo pensando alla modalità con la quale le navi nemiche riescono ad attraversare lo spazio per giungere nel punto desiderato con la stessa apparente facilità con cui ciascuno di noi attraversa una porta. Dovrebbero, secondo me, disporre di un qualche tipo di dispositivo sia nel punto di ingresso che nel punto di uscita. Quali sono le probabilità, Koral, che dispongano delle capacità per creare questi portali in pieno spazio, senza un riferimento fisico che dia le coordinate quadridimensionali per determinare il punto di arrivo?
“Prossime allo zero, Martin.” Rispose Koral con sollecitudine. E aggiunse: “ Ci deve essere un dispositivo di qualche genere, che funga da riferimento per l’arrivo nei sistemi. Propendo per un oggetto posto deliberatamente nello spazio fra i sistemi, che dia le necessarie coordinate per il punto di arrivo, dal quale, a propulsione normale o relativistica tramite transizioni come facciamo noi, possano poi avvicinarsi rapidamente ai sistemi ed ai pianeti da attaccare.”
“Bisogna procedere subito alla ricerca dell’unità di focalizzazione del rientro. Subito. Abbiamo navette disponibili?”
“Due per ogni nave, Martin. Quattro navi, nel sistema significa che otto navette sono disponibili. Ma due servono per i trasferimenti da e per la superficie di Ter6.” Rispose Koral.
“Bene. Allora significa che sei navette procederanno alla ricerca, in una sfera di un rak dal sistema solare. Koral provvedi e carica una griglia di ricerca divisa in settori che si intersechino. Dando per scontato che abbiano istallato un sofisticato sistema di autoprotezione e mimetismo, gli equipaggi devono essere formati da livelli zero per scandagliare lo spazio con capacità superiori ai mezzi elettronici.”
“Alla prossima nave che rientra dobbiamo fornire i dati del piano che hai concepito Martin. Il gruppo deve essere informato. Inoltre ci servono le risorse per continuare le fasi di occultamento delle armi su Marak 4 e sul resto del suo sistema.” Propose Goo.
“Certo! Provvedi subito”. Rispose Martin.
“Con piacere. Vieni Maa, abbiamo del lavoro da fare.”
Detto questo Goo, seguita sulle robuste ma incerte gambette dalla Piccola Maa, uscì dall’ampio salone per provvedere alle necessità comandatele.
6. Three Oaks - 15 dicembre 2027 - India gennaio 2028.
Olly era immerso nella decodifica dei dati prodotti dalla nave appena rientrata dal sistema di Ter6. Il piano proposto ed iniziato da Martin sembrava inattaccabile da ogni punto di vista. L’unica variabile incerta era il tempo. Bisognava affrettare la costruzione della flotta e completare le istallazioni sul sistema di Marak4. Bisognava inoltre scandagliare i sistemi vicini per cercare le unità che gli alieni usavano per effettuare il aggio nello spazio normale. Sembrava la ricerca del proverbiale ago nel pagliaio. La colonizzazione di Martin I, era da poco iniziata. L’impegno logistico era complesso, e solo la collaborazione di tutti avrebbe potuto, col tempo, dare i frutti desiderati.
Terminata la lunga valutazione dei dati e dopo avere informato il comando su Titano, Olly decise di prendersi un breve periodo di vacanza girovagando come un semplice turista per attivare quelli che ancora non lo fossero già stati.
Il subcontinente indiano aveva da sempre suscitato la sua curiosità. Ma per un motivo o per l’altro non era mai riuscito a visitarlo. Prese quindi dall’aeroporto Kennedy di New York, un volo sub orbitale con uno dei nuovi vettori atmosferici a propulsione mista. In breve raggiunse New Dehli e cominciò a viaggiare per il paese in maniera casuale, assaporando l’atmosfera di cambiamento in atto, la cultura, la cucina e la gentilezza della gente. Dopo due settimane di semplice girovagare e di esperienze di profonda partecipazione alla religiosità locale nei molti suggestivi ed antichi templi di cui il paese era ricco, attivando qua e là i soggetti idonei, Olly si ritrovò a vagare per le strade affollate di Mumbai sulla costa occidentale. Era una schizofrenia di architetture coloniali, insieme ad edifici ultra moderni. I sobborghi poi, come spesso avviene nelle grandi megalopoli a crescita incontrollata, erano popolati da povera gente che viveva ai confini della civiltà senza farne parte. Le razioni alimentari, almeno quelle, erano state garantite anche a loro dall’impegno personale e dal pugno di ferro di Marie Soleil. Si soffermò sul marciapiede ad osservare una vacca sacra vicina
allo spartitraffico, su una corsia di marcia. Nessuno le dava fastidio, come sarebbe capitato in occidente, ma anzi, con deferenza, le avano accanto con gli autoveicoli, senza infastidirla. I pedoni poi, mostravano segni di raccoglimento andole accanto. Quando l’animale all’improvviso, emise un potente getto di urine, una giovane ragazza vestita all’occidentale con abiti griffati, immerse le mani nel caldo getto beneaugurante. Le si avvicinò quella che sembrava una ragazzetta di circa quindici anni smagrita e male in arnese come solo i fuori casta possono essere, e cercò di provvedersi lo stesso benefico lavaggio. La giovane donna abbigliata all’occidentale, subito la spinse via in malo modo. Olly disgustato dalla evidente discriminazione stava per mettere in atto la forza mentale di cui disponeva in aiuto della mendicante, quando questa, senza fatica apparente, allontanò l’altra giovane, che si diede alla fuga, velocemente. Colpito dall’accaduto Olly cercò di sondare la ragazzetta, ma si trovò davanti un muro impenetrabile, come solo chi ha capacità di alto livello, sa fare. Insistette con pazienza, ma venne preso da improvviso capogiro, e, solo a prezzo di grande fatica, riuscì a sedersi sul marciapiede per riconquistare la propria salute fisica e mentale. Dall’altra parte della strada la ragazza lo fissò con intensità, poi quasi indecisa, gli si avvicinò lentamente. Aveva una carnagione, sotto il sudiciume, bronzea e luminosa, occhi scurissimi viola grandi come fanali contornati da lunghissime ciglia, così lunghe da sembrare finte. Era un’adolescente veramente graziosa e c’era da meravigliarsi che fosse sfuggita ad attenzioni pericolose nell’ambiente degradato in cui era costretta a vivere. Arrivata davanti ad Olly, che, ripresosi, continuava a rimanere seduto sul bordo del marciapiede, gli tese la mano, come per aiutarlo ad alzarsi e in contato mentale, gli disse: “Tu sei come me! Scusa non volevo farti male. Ho agito d’istinto.”
Nello stesso modo Olly le rispose. “Sei forte, devi imparare a controllarti. Il potere di cui disponi può anche uccidere. Credo che mi occuperò di te. Conosco solo un altro con la tua stessa forza, si chiama Martin. A proposito, come ti chiami?”
“Ashakiran. E tu sei?”
“Olivier Leclerq. Per te solo Olly. Vieni con me, faremo un lungo viaggio. Ti porterò in America da amici come me. Diventerai una di famiglia e potrai dimenticare le cose che qui non vanno bene.”
“Ma questa é casa mia. Io non voglio venire. Poi ho degli amici, non voglio lasciarli, sono piccoli e ho sempre badato a loro come una sorella!”
“Quanti sono questi amici Ashakiran? Se sono pochi potremmo portarli con noi.”
“Due, solo due: Kalpita e Bipin. Ti prego, non saprei come fare senza di loro.”
“E sia. Andiamo a cercarli, verranno con noi in America.”
Olly si adeguò al rapido o di Ashakiran, che si muoveva decisa attraverso la città, diretta alla periferia. Le strade asfaltate lasciarono presto il o alla terra battuta. Le case e gli hotel ed il traffico veicolare convulso, vennero presto sostituiti da una tetra baraccopoli. Ogni o in più stava portando Olly in un’altra realtà distante dalla consueta a cui era abituato da più di centocinquanta anni di storia. Il degrado era totale, i liquami scorrevano liberi negli spazi fra le baracche; solo gli abitanti avevano un aspetto abbastanza florido ad indicare che le razioni di cibo distribuite dal gruppo, venivano utilizzate anche in quest’ambiente abbandonato dalla civiltà. Giunsero infine, dopo un tortuoso percorso, che Olly aveva memorizzato con attenzione, ad una piccola capanna vicino a due alberelli stenti, chiusa fra altre centinaia di simili. Davanti una bimba di forse sette anni stava giocando con una palla di stracci con un bimbo di circa tre anni. Mentre ancora si stavano avvicinando, Olly protese i suoi sensi a toccare gentilmente la mente dei due piccoli. Scoprì con piacere che erano entrambi livelli zero, anche se non potenti come Ashakiran. Si ripromise di attivare i canali amministrativi per cancellare l’obbrobrio rappresentato
dall’immensa baraccopoli. Tante erano, comunque, le situazioni simili in tutto il mondo e rappresentavano il risultato del malgoverno di secoli e il retaggio culturale dell’indifferenza dell’uomo verso l’altro uomo. Era poco probabile che gli amministratori potessero o volessero appropriarsi di risorse destinate ai cittadini, come spesso era accaduto in ato, in quanto il rischio di apparire sui network mondiali era reale e quanto alle ritorsioni, il gruppo non aveva mai lesinato calci nel sedere a coloro che si macchiavano di grave irresponsabilità sociale. Era la mancanza di organizzazione che dava il filo da torcere, assieme alla distrazione degli amministratori per ragioni di ideologia o di culto o di pregiudizi sociali radicati da millenni. Raggiunti i bimbi, si soffermò a parlare con loro mentalmente.
“Mi chiamo Olly, so che vi chiamate Bipin e Kalpita. Siete in gamba, si vede subito. Ma vorrei che veniste con me in America. Siete mai saliti su un aereo?”
“No signore!” Rispose Kalpita la più grande, mentre il piccolo lo guardava con occhi sgranati per nulla intimorito. “Verremo volentieri se anche Asha verrà. Certo che verrà, non é vero? Lei é molto forte. Ci ha protetto da grandi pericoli e solo da poco anche io le sto dando una mano. Posso prendere le mie cose?”
“Certo, piccola. Tu, Bipin, vieni qui saltami sulle spalle.” Rispose Olly con gentilezza. Subito il piccolo Bipin salì sulle spalle di Olly prima che lui potesse abbassarsi per facilitarlo.
“Vedo con piacere che alcune cosette da zero le avete imparate da soli. Quanto al resto fra un paio di giorni vi stupirò.”
Fecero a ritroso il percorso dell’andata mentre tutti si accalcavano per salutare i piccoli e la ragazza adolescente. Affetto e calore possono evidentemente esistere anche in ambienti insospettabili, pensò Olly. Giunsero presto in una piazza
periferica dove si misero in paziente attesa della navetta che il TDT di Olly aveva nel frattempo chiamato.
Pochi minuti dopo la navetta trasporto eggeri si staccò da terra e ò al volo orizzontale. Scivolò verso la stratosfera per un volo suborbitale che avrebbe portato i eggeri a Three Oaks in poco meno di un’ora. I piccoli che non parlavano inglese, eruppero in un concitato chiacchiericcio di meraviglia nella propria lingua. Gli oblò mostravano loro un panorama della città e presto dell’intera India, che mai avrebbero sospettato di poter vedere dall’alto. Presa confidenza, Bipin si slacciò l’imbragatura di sicurezza e si avvicinò al pilota per curiosare sulla plancia dove erano proiettati i comandi tre D della navetta e i vari indicatori assieme alle mappe del volo.
“Quanti anni avete, Asha?” Chiese sollecito Olly.
“Io, diciassette. Lo so, Olly. Sono alta solo un metro e sessantadue, ma la mie dieta di orfana, nei primi anni, non era propriamente ricca. Sono sopravvissuta solo grazie all’aiuto di persone disinteressate e di buon cuore e poi quando ho scoperto le mie capacità, non ho mai più saltato un pasto. Bipin non ha ancora tre anni. L’ho trovato in un piccolo paese a quaranta chilometri da Mumbai. La sua piccola mente sofferente per la fame non era certamente facile da ignorare. I suoi genitori erano entrambi morti, e lui era allo stremo. Quanto a Kalpita é orfana da sempre. Non ricorda nulla del suo ato, per fortuna. L’ho presa con me perché é forte con la mente, e avevo bisogno che qualcuno badasse a Bipin. Io ho sempre dovuto occuparmi del cibo. Il centro di distribuzione più vicino é a due ore di cammino.”
“Ti garantisco che non avrai alcun problema del genere in futuro. Ci occuperemo di voi in tutto e per tutto. Le persone come noi, e specialmente quelle come te, sono rare. Abbiamo bisogno di tutti noi per contrastare...”
“Lo so! Gli alieni cattivi, Olly. Contavo di farmi riconoscere quando i bambini fossero un po’ cresciuti. Credi davvero che io possa essere d’aiuto?”
“Certamente. Solo abbi pazienza, il percorso per gestire i poteri di cui disponi é lungo. Io e i miei cugini, abbiamo imparato da soli ma in un tempo molto lungo. Io sono nato nel 1824, quando il tuo paese stava per cadere sotto il controllo della Compagnia inglese delle Indie Orientali e gli innumerevoli stati stavano per perdere la propria indipendenza. Io, assieme a Pierre Armand e Marie Soleil, che è sicuramente ancora bellissima nonostante l’età, ho sviluppato i protocolli necessari per controllare le forze mentali di cui disponiamo. Un amico, Joe, che fra l’altro é anche lui indiano...”
“Che bello!” Esclamò Ashakiran. “Un fratello indiano.”
“Aha, Aha, Aha.” Rise Olly. “Indiano nativo degli Stati Uniti d’America, Asha. Di quelli con le penne, gli archi e le frecce. Solo non dirglielo. Ti farebbe una lunghissima lezione di storia. Comunque dicevo, Joe, che è il responsabile sanitario e quindi uno studioso dell’uomo, ha migliorato di molto le nostre capacità. Poi all’improvviso é arrivato Martin che ha sovvertito i criteri di valutazione. Lui é come te: siete fuori scala. Forti, davvero forti. Tu e lui assieme potreste far volare una nave nello spazio esterno senza bisogno di propulsione. Ma che dico! Dieci navi. Ecco Asha, siamo arrivati a casa nostra.”
La navetta si posò al centro dello spazioporto della grande tenuta, con la leggerezza di una piuma e il portello si aprì con il solito lieve fruscio. I ragazzi furono invitati a scendere al suolo dove trovarono un nutrito comitato di accoglienza. Stavano iniziando una nuova vita.
PARTE UNDICESIMA
1. Ter6 - Kaksas XXXI - 12 marzo 2029.
Le operazioni di evacuazione erano terminate da mesi. Anche la mappatura del pianeta era terminata da tempo: ogni angolo del pianeta, anche il più recondito, era stato inserito con immagini tre D nelle capaci memorie dei sistemi informatici, allo scopo di non perdere nulla delle impressioni visive, della natura, della cultura di una specie la cui casa stava per essere spazzata via dalla furia insensata di alieni le cui motivazioni erano del tutto sconosciute come pure le loro caratteristiche fisiche. Si conosceva solo la loro forza distruttrice che non discriminava mai tra soldati e civili, ma che aveva come unico scopo apparente quello di eliminare fisicamente ogni traccia d’intelligenza dalla galassia. La piccola Maa aveva raggiunto le dignitose dimensioni di un’utilitaria italiana, era ancora esuberante, ma cominciava a comportarsi in maniera civile sotto il controllo della madre e del padre putativo Martin.
Stava calando la sera sulla città e il consueto vento vespertino dalla velocità di centocinquanta chilometri orari, stava iniziando a somministrare le sue folate calde sulla città deserta. Goo osservava la città desolata con commozione, gli spessi muri delle case e dei palazzi, gli intricati graffiti incisi sulle superfici esterne e interne delle pareti che illustravano in modo grafico le vicende e le storie complesse delle creature che le avevano abitate, talvolta millenni prima. La piccola Maa, con empatia verso le emozioni della madre, si astenne dai consueti strilli e sbuffi e dal recitare divertenti filastrocche in americano che aveva imparato dalle memorie del sistema informatico. La notte ormai calata, era illuminata solo dalle luci di posizione della navetta che avrebbe trasportato i tre alla nave in orbita. Dopo pochi minuti ed un ultimo sguardo alla notte sulla città abbandonata, Goo si diresse decisa al portello della navetta, seguita dalla trotterellante Maa e da un pensieroso Martin. La nave in orbita, la Victory del comandante Klaus Pasqua, raccolti gli ultimi tre ritardatari, iniziò il distacco dall’orbita e si diresse verso l’esterno del sistema, per compiere la prima transizione che l’avrebbe condotta, dopo tre mesi di viaggio, allo spazioporto di Marte. Dalla centrale di Marte, Goo avrebbe coordinato la fase finale di ricollocazione dei glamark sui due pianeti assegnati. Prima di effettuare la prima
transizione vennero testati in maniera iva tutti i sistemi d’arma automatici lasciati nel sistema per dare sostanza alla prima fase della trappola, in cui si sperava gli esterni sarebbero caduti. Il mappato tre D, sembrava animato come un abete natalizio. Luci di diverso colore indicanti i differenti sistemi d’arma illuminavano, con diversa intensità, lo spazio di rappresentazione grafica. Le luci gialle indicavano i proiettori a energia mista per gli attacchi ravvicinati, le luci rosse le mine spaziali che accelerando criticamente al aggio del bersagli erano inesorabili nel colpire, le luci violette rappresentavano le torpedini in stand by, pronte a colpire i bersagli, dopo avere effettuato rotte di particolare complessità, allo scopo di sfuggire alla ricerca dei sistemi nemici. Infine dalla superficie dei pianeti e dei satelliti vi erano lanciatori multipli per proiettili ad alta energia, destinati a colpire qualsiasi oggetto balistico fosse penetrato all’interno di una fascia di cinquanta chilometri dalle superfici, rappresentati da luci azzurre. Ora la metà circa di questi dispositivi complessi e integrati, erano inefficienti e modificati per costituire la parte scenografica e teatrale di un grande tentativo di difesa su scala di sistema solare. L’inganno sarebbe consistito nel creare danno al nemico che avrebbe inesorabilmente portato distruzione e morte per le creature inferiori che, purtroppo, non avevano potuto essere evacuate. Ma un danno limitato, sufficiente a stimolare la loro curiosità per ricercare eventuali altre tracce che, una volta identificate, li avrebbe condotti all’abbraccio mortale del sole di Marak4. Tutto il faticoso lavoro svolto per la preparazione della trappola si dimostrò ben eseguito, e, con il conforto di avere pianificato in maniera eccellente la prima parte del piano, Martin ordinò al comandante Pasqua di iniziare la strada per il ritorno a casa.
2. Marte zona equatoriale - Centro di perfezionamento - Città di Glor II – 15 giugno 2029.
Lasciata la nave in orbita presso il nodo cantiere di o, all’assistenza dei robot per il ripristino delle scorte, il personale scese sulla superficie del pianeta con le navette, che, in due viaggi, conclo l’operazione lasciando la nave all’ufficiale agli armamenti e al controllo di Tonal, l’intelligenza artificiale che ne controllava le funzioni in sinergia con l’equipaggio misto umano e glamark. La visione dall’alto era spettacolare, la navetta stava scendendo nella fascia di Marte illuminata dal giorno. La superficie del pianeta si era trasformata da arida e priva di vita e strutture, in uno scintillio di cupole trasparenti che albergavano la vita, collegate l’una all’altra dalle tracce lineari, diritte in maniera innaturale, dei registri del traffico veicolare di superficie. I veicoli di superficie, mossi da propulsori gravitazionali, necessitavano, per il controllo della direzione, di riferimenti sul terreno, ed ecco il motivo dei lunghi muri sottili alti centocinquanta centimetri, che, in tripla fila, a distanza adeguata, tracciavano rette infinite sulla superficie del pianeta. Si intravedevano qua e là, aree ancora in costruzione, nelle quali le attività robotiche, coordinate da glamark o umani, incessantemente sbancavano, posavano, erigevano, tutto ciò che era necessario al progetto. Alcune cupole più grandi contenevano evidentemente specie vegetali utili all’integrazione dietetica di entrambe le specie insediatesi sul pianeta. In profondità, sfruttando tridimensionalmente la crosta marziana, stavano per essere predisposte strutture cantieristiche di varia natura e ambienti bunker ad alta protezione. Anche le difese attive non mancavano: erano già in opera da alcuni anni pronte a rispondere a qualsiasi tipo di aggressione.
La navetta depositò sul pianeta l’ultimo gruppo di viaggiatori. La prima a scendere fu la piccola Maa. I suoi trecento chili di peso saettarono dal portello verso la piattaforma dello spazioporto. Lì si fermò stranita.
L’ambiente era davvero troppo diverso da quello claustrofobico a cui era abituata
e ancora più diverso da quello confortevole della madre patria. Nella sua graziosa tutona rosa, Maa immobile come una statua, pareva un opera scultorea di arte post moderna terrestre. Si agitò solo al benvenuto mentale di un gruppo di persone, umani e glamark, che la stavano avvicinando a titolo di comitato di benvenuto. Gli adulti la raggiunsero presto, e mentre la madre la confortava, Martin con un sorriso sincero si avvicinò al gruppo sopraggiungente, formato dallo zio Olly, dalla mamma Kyala, da Gaabardar e da due ragazzi pre adolescenti e da una giovane donna di circa venti anni.
Allargò le braccia e strinse forte la madre, ricambiato calorosamente. Poi fu la volta dello zio Olly che dopo un abbraccio affettuoso, gli presentò i tre umani che gli stavano alle spalle.
“Caro Martin, ho il grande piacere di farti conoscere Kalpita e Bipin, vengono dall’India. Li ho trovati personalmente mentre mi dedicavo ad un rilassante turismo nel subcontinente indiano. Sono molto dotati, ma ti chiederai chi sia la giovane qui accanto a me. Prova a sondarla, ti prego.”
“Zio, siamo appena arrivati, lasciami il tempo di apprezzare la gravità quasi normale.” Replicò Martin.
Intervenne alle sue spalle Goo, che, facendosi largo fra i presenti con la sua consistente massa corporea, incitò con ione l’amico Martin.
“Ascolta tuo zio! Non sarà un caso se muore dalla voglia di farti conoscere questa ragazzetta tutta pelle e ossa, anche se carina secondo i vostri disgustosi standard umani.”
“E sia!” Rispose Martin. Poi, con delicatezza protese delicatamente la propria mente verso la giovane, per incontrare un imprevisto, invalicabile ostacolo. Non riusciva, anche con maggior impegno, a percepire alcunché. La giovane, volutamente, su questo non vi erano dubbi, era in grado di ostacolare un doppio zero come lui senza apparente fatica. L’evidente conseguenza era che anche l’affascinante giovane ragazza avesse le stesse capacità di Martin. Lasciando perdere i vani tentativi di intrusione, Martin la osservò con mal celato interesse. Due luminosi occhi viola scuro ricambiavano senza timore ne ritrosia il suo sguardo indagatore. I capelli corvini sciolti sulle spalle, un po’ troppo lunghi per gli standard spaziali, le cadevano attorno al capo e all’esile lungo collo. L’abito semplice nascondeva un corpo aggraziato e dalle forme piene. Subito a Martin sovvenne l’immagine della propria moglie scomparsa, ma mai dimenticata, Angela, di origini italiane, scomparsa in un incidente. Questa fanciulla di origine molto diversa, aveva, assieme a doti molto più rimarchevoli, un aspetto che assomigliava alla scomparsa in modo incredibile. “Come ti chiami?” Le chiese in linguaggio verbale in inglese.
La fanciulla, stava osservando con curiosità l’uomo alto che la fronteggiava. Era come se fossero soli e nessuno li stesse osservando. In realtà, la folla attorno a loro, anche se non rumorosa, era numericamente nutrita, per il sopraggiungere del comandante Klaus Pasqua e degli ultimi quattro membri dell’equipaggio. Tutti stavano osservando con curiosità la comunicazione fra i due la maggior parte della quale si stava evidentemente svolgendo a livello non verbale, come le espressioni dei volti lasciavano intendere alla maggior parte dei presenti, dotati di alte capacità.
Ashakiran vide davanti a se un uomo alto di età indefinibile, forse attorno alla quarantina, dalla carnagione abbronzata con un accenno di capelli brizzolati sulle tempie, un fisico asciutto e muscoloso, e due penetranti occhi azzurri contornati da lunghe ciglia e da folte sopracciglia, che attribuivano allo sguardo un’intensità particolare. Le piacque subito quello che vedeva, inoltre, stando a quanto il signor Oliver Leclerq le aveva raccontato, l’uomo era un famoso eroe dei Sistemi Uniti, un pilastro della resistenza contro gli esterni e, soprattutto, aveva un potere mentale simile al suo.
“Mi chiamo Ashakiran, ma sono Asha per gli amici. Tu sei il famoso Martin, vero?” Rispose con voce flautata. L’evoluzione della fanciulla, dalle fatiscenti baracche di Mumbai alle cupole marziane, in poco più di un anno e mezzo era stata strepitosa.
“Immeritatamente famoso. Si sono Martin.”
“Martin caro” Si intromise Goo. “Questa femmina della tua specie ha qualche cosa di famigliare. Standole vicina ho le stese sensazioni che avverto quando ci sei tu. Non è vero Maa?”
Subito la piccola si precipitò verso Ashakiran con intenzioni pericolosamente amichevoli in un campo gravitazionale. Asha si lasciò abbracciare dalla piccola grande glamark, e, anzi ricambiò le effusioni con trasporto. A parte Martin, Asha pareva l’unico umano in grado di controllare l’entusiastica esuberanza del grande fagotto rosa.
“Hai visto, Martin? La fanciulla è sicuramente un doppio zero come te. Deve ancora seguire il corso di formazione ma credo che presto potrà essere di grande aiuto alla causa.” Disse Olly.
“Ne sono certo zio. Ora vorrete scusarmi vorrei riposare e poi interfacciarmi con Kadat per valutare i progressi nella costruzione della flotta. Fra otto mesi, impegni permettendo, vorrei andare su Marak IV, per valutare i lavori, e di ritorno andrei su Martin I se Goo è d’accordo. Al mio ritorno, Asha, spero di rivederti, sarà per me un piacere.” Rispose Martin.
“Certamente, anche per me sarà un piacere. Conterò i giorni Martin.”
Detto questo, l’ammiraglio in capo della flotta ed il suo corpulento vice, seguiti dalla trotterellante Maa, si diressero verso il nodo interscambio dei trasporti planetari di superficie, mentre Olly e Gaabardar assieme ai tre ragazzi si diressero al trasporto locale per raggiungere il centro scolastico di perfezionamento.
3. Marte - Trasporto planetario per Novaterra - Centro di perfezionamento di Glor II - 15 giugno 2029.
Il trasporto internodale aveva le sembianze di un cilindro di cristallo dal diametro di sette metri, con base piatta di metallo, senza ruote come nei classici trasporti terrestri del XXI secolo, né o per monorotaia. La propulsione sfruttava un sistema ibrido a semiconduttori e magnetico gravitazionale. Il controllo era interamente subordinato ad una Intelligenza Artificiale interfacciata con Kadat, dal nome scontato di Ares.
Si era preferito, per il trasporto di persone, dei convogli di soli tre vagoni, mentre per il traffico merci, i convogli erano una teoria infinita di vagoni sigillati per trasportare materiali trasformati o grezzi per le più varie necessità. Gli ambienti dei vagoni eggeri erano condizionati come tutti gli ambienti di Marte a temperatura e umidità di compromesso: troppo alta la prima per gli umani e troppo bassa per i glamark; la sola umidità, tenuta al dieci per cento, soddisfaceva entrambe le specie. Esistevano anche trasporti dedicati alle singole specie, ma dato che Marte rappresentava un pianeta a popolazione mista, erano questi di gran lunga poco consueti. Martin e Goo con la figliola, presero posto comodamente nel primo vagone nel settore anteriore. Non appena si aprirono le doppie porte della cupola della stazione, il trasporto prese velocità e accelerò a circa ottocento chilometri orari che in meno di un’ora li avrebbe portati a Novaterra, dove era situata la base di controllo della flotta spaziale. Goo osservava incuriosita il panorama, a suo modo diverso anche da Ter6, sebbene fosse persino più arido. La terra rossa marziana scorreva veloce ai lati del trasporto assieme alle tracce delle costruzioni lontane e degli onnipresenti cantieri.
“La piccola é rimasta colpita da te Martin. lasciatelo dire da un’esperta. Noi glamark, con i quattro sessi di cui disponiamo, siamo estremamente sensibili ai cambiamenti di umore e mimici e di postura; a tutte quelle vaghe tracce che
possono definire l’apprezzamento di un soggetto per un altro. Se non fossimo così esperti, data la complessità dei nostri corteggiamenti e dei successivi accoppiamenti, ci saremmo estinti da milioni di anni!” Enunciò Goo, con serietà didattica.
“Non so, Goo. E’ invece certo che io sia rimasto colpito. E non poco. Sono ati pochi minuti e mi manca già. Non credi che io sia troppo vecchio? In fondo io ho più di sessant’anni, e lei non ha ancora vent’anni.”
“Ma no. Certo no. L’amore non ha età, scriveva un poeta glamark di epoca lontana. E poi data l’aspettativa di vita di noi livello zero, non credo che qualche insignificante decennio in più o in meno faccia grossa differenza.”
“Mrrttinnnnn!” Esclamò all’improvviso la piccola Maa.
“Meraviglioso!” Intervenne la madre. “Ha pronunciato la sua prima parola. Non avrei mai creduto che potesse essere il tuo nome. Inoltre é un fatto eccezionale, perché i nostri piccoli apprendono a deambulare già a poche settimane di vita e dimostrano un’intelligenza pronta reagendo a stimoli complessi già dopo un mese di vita. L’attività verbale, però, inizia dopo i tre anni assieme all’attività mentale per gli zero. Maa é veramente precoce. E se é vero che ‘il buon giorno inizia dal mattino’ come diceva un saggio glamark millenni fa, la piccola sarà sicuramente un prodigio.”
“Da noi si dice anche che ‘ogni scarrafone é bell’ a mamm’ soje’.” Rispose Martin distratto.
“Come dici Martin?” Non ho afferrato l’ultima frase. In che lingua é?”
“Quale frase? Oh, scusa ero soprappensiero. Una lingua antica di un popolo mediterraneo. E’ una specie di augurio. Niente di importante.”
“Ares, per favore, traduci!” Richiese Goo incuriosita.
“Dato mancante, cara Goo.” Rispose Ares con voce gentile e omertosa. E successivamente in auricolare trasmise al solo Martin: “Me ne devi una. Questa si chiama bugia a fin di bene. Poi so che il tuo pensiero è l’esatto opposto di quello che ti è involontariamente tracimato. Il mio nome non mi da giustizia. Sono la personificazione della pace non della guerra.”
Subito Martin per sviare l’argomento chiese: “Ares, vorrei un contatto video tre D con Marie Soleil, per favore.”
“Ti accontento subito, Martin.” In un attimo la parte anteriore del vagone si opacizzò leggermente e comparve l’immagine dettagliata, vivida e tridimensionale della scrivania a cui sedeva Marie Soleil, affascinante come sempre.
“Zia carissima, come vedi sono tornato!” Salutò Martin.
“Ciao Martin. Non mi aspettavo di sentirti così presto. Se vuoi puoi concederti qualche giorno di riposo. Gli esterni possono aspettare. Abbiamo dei campi da gioco per tennis, calcio, nuoto, e golf che non hanno nulla da invidiare ai loro analoghi terrestri. Pensa che, senza sforzo nella bassa gravità marziana, con il drive riesco fare quasi cinquecento metri. Abbiamo così pensato di limitarne
l’uso e ...”
Martin la interruppe. “Grazie per il pensiero zia. Ma no. Vorrei subito una valutazione del potenziale dei vascelli da combattimento e la proiezione sulla loro disponibilità numerica entro i prossimi dieci anni. Ho delle pessime vibrazioni per quanto riguarda gli alieni esterni. L’abbiamo fatta franca due volte, e, temo, che presto si affacceranno alla nostra porta di casa. La situazione su Ter6, come saprai già dai dati disponibili, é ottimale. Il punto primo del piano é sicuramente predisposto al di là di ogni possibile errore. Vedo che qui avete fatto i da gigante. C’é un fermento di attività notevole su Marte.”
“Anche sulla terra, Martin. E su Martin I. Cinque o sei anni al massimo, e avremo completato lo switch energetico da combustibile fossile all’energia ottenuta da reattori a fusione, ed anche con energia rinnovabile. Sta per diventare operativa la nuova intelligenza artificiale per il controllo del traffico e delle reti che abbiamo chiamato Gea. Per quanto riguarda lo spazio, abbiamo localizzato, seicentoquarantatre dispositivi alieni in altrettanti sistemi, che sicuramente fungono da parte avanzata per il sistema dei portali che gli alieni usano durante i loro spostamenti. Li abbiamo localizzati e avvicinati a bassa velocità senza propulsione, con navette in movimento per semplice inerzia a motori spenti. Uno di essi, il più lontano dalle nostre zone di spazio, é stato studiato con scanner attivi. Non ci crederai! Ha una tecnologia datata. E’ un semplice proiettore di coordinate. Una specie di boa di segnalazione a cui si aggancia un segnale per la localizzazione tetradimensionale del volume di spazio desiderato per l’apertura di quegli strani portali che hai visto in opera. Gli
oggetti sono grossi come una piccola utilitaria umana. Ce ne sono anche alcuni più piccoli, forse costruiti con tecnologia più avanzata. La navetta naufragata su Martin I, e questi oggetti, come dice Pierre Armand, fanno pensare ad una specie non particolarmente evoluta, che utilizzi i sistemi di qualcun altro per rilocalizzarsi e distruggere qualsiasi cosa trovi davanti per scopi impossibili da decifrare al momento. La nostra preoccupazione attuale é che sembrano avere risorse materiali notevoli. Ma vedrai che ne verremo a capo. Nessun dato del
ato, inoltre, riferisce di particolari capacità mentali. Hanno uno spiccato senso dell’onore in combattimento, anche se sembra paradossale dirlo di chi stermina intere specie senza battere ciglio. Hanno accettato singolar tenzone, o scontri con eserciti terrestri, come nell’ultimo caso su Ter6, quando avrebbero invece potuto distruggere tutto dallo spazio senza fatica. Sono un vero enigma! Dimenticavo di dirti che finalmente i giapponesi hanno messo in disarmo le navi baleniere. Ora i cetacei terrestri hanno una speranza di vita, esterni permettendo.”
“Fantastico zia! Sai quanto io tenga alla fauna terrestre. Per quanto riguarda gli esterni, l’importante é che trovino le briciole che abbiamo lasciato nel bosco. Che le seguano con attenzione e che, alla fine, cadano nelle grinfie dell’orco, che questa volta saremo noi, spero.” Rispose Martin, con tono riflessivo.
Il trasporto raggiunse presto la sua destinazione, Novaterra, già visibile a quaranta chilometri di distanza per le alte strutture extra cupola che la rendevano unica su tutto Marte. Martin lasciò il trasporto con Goo e la piccola
Maa per dirigersi al comando centrale per dedicarsi all’organizzazione della flotta unita, impegno che aveva disatteso da troppo tempo.
4. Marte - Glor II - Centro di perfezionamento - 20 giugno 2029.
Il centro di perfezionamento, sorgeva in un’area extra cupola della città di Glor II, al riparo di una cupola propria ed in posizione sopraelevata, sul pendio leggermente digradante di un grande cratere vulcanico. Era raggiungibile tramite una lunga erella mobile di larghezza e robustezza adeguata per sopportare il peso dei grossi studenti glamark e degli umani. Il confort ambientale era mantenuto a livello di compromesso per il gradimento di entrambe le specie. Negli ambienti comuni tutti indistintamente indossavano una tuta di o, per mantenere la temperatura entro gli intervalli graditi da ciascuna specie. Gli studenti presenti nel campus, non erano mai meno di trecento, equamente spartiti fra umani e glamark.
Ashakiran, con Kalpita e Bipin, dopo alcuni giorni per acclimatarsi ed entrare in sintonia con il nuovo ambiente, con grande apprensione per il loro primo giorno di scuola comune, lasciarono il refettorio umano senza quasi avere toccato cibo, per dirigersi all’aula magna dell’istituto che, a forma di emiciclo, protrudeva oltre il margine del campus sul ciglio del vulcano estinto, sostenuta da enormi piloni in multimetallo, regalando agli studenti una vista mozzafiato della sottostante pianura. Tanto che era facile distrarre l’attenzione dal docente seduto alla base dell’emiciclo, dietro una enorme scrivania, e volare con la fantasia verso il rosso orizzonte marziano e il suo cielo terso. Presero posto nelle file più in basso dell’emiciclo nelle quali erano stati predisposti i sedili per gli umani. Il docente era una loro vecchia conoscenza il professor Gaabardar, già combattente per la libertà e fra i primi piloti spaziali fra i gramalk a condurre navette interplanetarie. Era un buon livello uno e la ragione della sua attuale collocazione stava nel fatto che era molto versato nella didattica, già su Ter6, dove svolgeva la professione di Maestro d’arte, in musica e canto, se così si poteva chiamare la complessa cacofonia di sbuffi, soffi, fischi e barriti dei concerti glamark. D’altronde anche la produzione musicale umana non era molto apprezzata fra i glamark, salvo i pezzi a batteria, il suono dei corni e, stranamente, la produzione musicale dei gloriosi e scomparsi Bee Gees.
Con voce stentorea, amplificata dai sistemi ambientali dell’aula, il professor Gaabardar, ammiccando con i quattro occhi nell’intensa luce dell’emiciclo e agitando con eleganza la coppia superiore di arti manipolatori dotati di otto dita ciascuno, con due pollici opponibili, si rivolse in lingua standard, ai trecentodiciotto studenti delle due specie, accomodati ciascuno nei posti a sedere predisposti per la diversa anatomia dei corpi.
“Ho il piacere di accogliervi nell’aula magna del centro scolastico marziano di perfezionamento per livelli zero ed uno. Come sapete altri centri simili sono invece dedicati al perfezionamento dei livelli mentali più bassi. Inutile dire che voi rappresentiate l’eccellenza delle due specie in fatto di poteri mentali; non siete il primo corso e certamente non sarete l’ultimo. Voglio che vi impegniate al massimo perché solo così potrete diventare la spada che proteggerà i Sistemi Uniti. Una spada spuntata, per quanto graziosa, non serve a nessuno. Molte attività mentali di base vi sono già state spiegate precedentemente. Qui, in ogni caso, ripeteremo velocemente le strutture basilari dell’attività mentale, in modo da uniformare le vostre capacità medie e migliorare le capacità specifiche di ciascuno di voi. I più giovani. Che necessitano di formazione culturale generale in fisica, matematica arti figurative e marziali eccetera, seguiranno i propri corsi nel pomeriggio, secondo un calendario preciso, che non terminerà certo nei sei mesi di perfezionamento mentale che vi aspettano qui. Ora, prima di indirizzarvi alle classi di circa trenta studenti a cui siete stati assegnati, notizia che avrete sicuramente ricevuto dai vostri TDC, o dai bracciali terminali di cui disponete, vorrei che mi faceste le domande che avete in mente, relative alle cose che avete sempre voluto sapere relativamente agli sviluppi recenti del nostro impegno comune contro gli esterni, o a notizie di carattere generale se ne avete. Qualsiasi cosa anche semplici curiosità. Forza! Fatevi avanti! Non siate timidi. Comunicare non ha mai fatto del male ad alcuno. Poi vi interrogherò sulle vostre conoscenze generiche dell’attività mentale. Coraggio!”
Un piccolo gramalk di circa quindici anni per seicento chili di peso, inguainato in una tutona verde acido, segnalò di voler intervenire al proprio terminale tre D, posto davanti alla propria postazione. Subito l’immagine tridimensionale del suo
volto si formò presso la cattedra su cui sedeva il professore.
“Buongiorno. Il mio nome é Teekdaagvar. Vorrei sapere chi siano questi esterni e che sembianze abbiano. Non ne ho mai visto uno. Ero troppo piccolo quando li abbiamo battuti sul nostro pianeta madre. Grazie.”
“Bella domanda. Purtroppo alla prima parte non abbiamo risposta esauriente. Sono di sicura provenienza extragalattica, ma da quale galassia se vicina o lontana non si sa. Mancano dati. Spero che presto, dopo che li avremo distrutti si possano avere tutte le risposte. Altro dato certo é che sfruttano una tecnologia che noi non conosciamo, e della quale sono, pare, fruitori beceri, non consapevoli. Faccio questa affermazione perché i resti di una navetta naufragata milioni di anni fa su Martin I, del tutto simile a unità di piccole dimensioni presenti nei nostri database da tempi più recenti, sono di tecnologia paragonabile alla nostra attuale, ma molto meno raffinata. L’aspetto fisico poi rappresenta un’altra questione aperta. I combattenti di superficie deambulano apparentemente su due arti. Ma i resti trovati sono sempre così alterati da non consentire neanche un’approssimazione sul tipo biologico di appartenenza. Gli abbondanti resti recuperati nelle profondità della piana di Madar, sono alterati per l’immenso calore. Pare, inoltre, che la tuta di protezione scintillante di cui sono coperti, all’atto della morte, cancelli qualsiasi traccia biologica. I sei esoscheletri da combattimento trovati su Marak 4, sono non funzionanti e disarmati. L’unica cosa utile sta nel fatto che forse potremo utilizzare la loro tecnologia di dissimulazione, o almeno una tecnologia imparentata per usi futuri. Mi spiace di non potervi fornire dati più soddisfacenti. Prego altra domanda.”
Il piccolo Bipin, dalla prima fila, col viso arrossato dall’emozione, pose la sua domanda.
“Namaste! Mi chiamo Bipin e vengo dall’India.”
“Ti conosco, caro, continua.” Lo incitò Gaabardar con gentilezza.
“Vorrei sapere perché i nostri progenitori hanno pensato che noi potessimo essere la loro arma vincente. Non siamo così feroci come loro volevano. Forse abbiamo solo un istinto di sopravvivenza più spiccato!”
Dopo un momento di riflessione, Gaabardar rispose.
“Il loro intendimento, stando ai dati in nostro possesso dei protocolli genetici, era quello di potenziare il fisico delle specie e, insieme, anche le capacità mentali. Queste ultime, poco conosciute, e poco sviluppate in tutte le quarantadue specie senzienti, erano forse il fiore all’occhiello della nuova ricerca genetica. Il risultato ottenuto supera, evidentemente, ogni aspettativa. La ferocia, l’aggressività, la caparbietà, che sono state istillate in ogni specie, hanno però dimostrato effetti collaterali imprevedibili. L’amore per l’arte, in ogni sua forma, per esempio, presente in maniera casuale fra gli individui delle specie, la capacità di resistenza oltre i limiti naturali insieme con la volontà ferrea di perseguire uno scopo e la disponibilità al sacrificio per il bene comune. La peggior turpitudine ha casa nel cuore dell’uomo e del glamark. Ma anche la più nobile generosità. A tutti gli effetti siamo creature complesse. Riteniamo che i livelli più alti, siano geneticamente predisposti a una maggiore disponibilità verso il prossimo. Che siano cioè, il baluardo invalicabile a protezione delle specie. Tutti gli attivati, anche i livelli venti, salvo eccezioni, dimostrano una maggiore propensione a dedicarsi alla tutela degli altri. Ora che credo di avere risolto le principali curiosità generali, voglio sondare la vostra preparazione generale sulle capacità mentali.
Gli studenti si agitarono sotto il multiplo sguardo indagatore del professore, come formiche inondate da insetticida.
“Non abbiate timore!” Disse Gaabardar. “Qualche volta sono buono. Questa é una di quelle! Vediamo...si! Ashakiran! Illustraci le capacita mentali generali. Siamo curiosi di sapere. Coraggio. E’ proibito fare uso di terminali, quali che siano.”
Un conto era sopravvivere a malintenzionati nella bidonville di Mumbai, lottare contro insetti, topi, stupratori potenziali e malattie in agguato mortale. Altra cosa era parlare davanti a più di trecento studenti e al direttore della scuola di perfezionamento. Rivolse uno sguardo scoraggiato al proprio TDC e iniziò la sua esposizione.
“Dunque, mmmm...il primo punto delle caratteristiche generali delle capacità mentali, o semplicemente delle capacità é indicato con la prima lettera dell’antico alfabeto umano, Aham, e si riferisce alla resistenza fisica di tutti coloro che sono stati attivati o, come per gli zero, che sono già nati così predisposti. Le variazioni di temperatura, e di
umidità sono sopportate dagli individui in maniera decrescente dal livello zero al livello venti.”
“Bene. Ora mi sai dire se questa resistenza sia o meno proporzionale?”
“Il criterio va dal massimo per i livelli zero al minimo per i livelli venti. Ma in ciascun gruppo vi possono essere variabili legate alla specie e a particolari caratteristiche personali. Per esempio se io e lei ci sedessimo su di una graticola, il primo ad alzarsi sarebbe lei, nonostante io sia un’umana femmina di piccole dimensioni.”
“Vero. Ma tu sei un doppio zero, ed io, anche se esperto proprio nella caratteristica Aham, sono un livello uno. Brava. Vediamo ora, là in sesta fila, Baakmar. Vorrei che mi descrivessi rapidamente le altre caratteristiche generali.”
Un grosso maschio gramalk di livello zero, estese il capo verso la cattedra alla base dell’emiciclo e attivò con tranquillità il comando di interazione. Proiettato in immagine e visibile a tutta l’aula, iniziò, con la consumata tranquillità derivante dall’esperienza, a snocciolare le altre caratteristiche generali delle capacità.
“La seconda caratteristica, indicata con la lettera Bak dell’antico alfabeto, indica il consumo di risorse che dal livello zero al livello venti procede in maniera crescente. Poi c’è Ket, per la visione ultra violetta e infrarossa, che decresce dal livello zero al livello cinque. Nei livelli più bassi tale capacità non è presente. Segue Cet, parametro di longevità, aumentata rispetto allo standard ma decrescente dal livello zero al livello cinque. Dal sei al venti, il valore medio è circa di duecento anni standard. Poi ancora abbiamo Dal, che attiene alla conoscenza innata del linguaggio standard. E’ presente solo da zero a cinque. Eder, si riferisce alla aumentata capacità di calcolo e alla possibilità di rappresentazione grafica di parametri nel campo visivo, come velocità, distanza, orientamento eccetera. Solo livelli uno e zero con differenze individuali. In ultimo, con la lettera Fal, viene indicata la capacità e la velocità di apprendimento. E’ massima negli zero e decresce fino al livello venti, dove è pur sempre maggiore della capacità standard dei non attivati.”
“Perfetto. Non avrei saputo essere più sintetico. iamo al secondo gruppo di capacità. Quelle di interazione mentale. Vediamo. Kalpita tocca a te.”
L’adolescente rispose subito con prontezza. Aveva intuito che l’attenzione di Gaabardar, si stava spostando su di lei, e aveva così iniziato a raccogliere le idee per un’esposizione corretta. Con voce sottile ma ferma, cominciò.
“La lettera Gek indica la capacità e la forza di comunicazione mentale. E’ totale da livello zero a livello cinque.” Continuò l’esposizione con contatto mentale che arrivò distintamente ad ogni studente presente nell’aula.
“Dal livello sei al livello venti decresce, proiettando solo schemi, pensieri semplici ed emozioni. E’ totale in ricezione dai livelli principali. Se per esempio nell’aula ci fossero altri mille studenti di livelli diversi, io sarei capace di comunicare con ciascuno di loro, è una qualità nella quale sono molto versata. Dai livelli più bassi, senza un’operazione attiva da parte mia, riceverei solo pensieri semplici. La lettera Gem si riferisce alla capacità di attivazione dei normali che è possibile solo agli zero. Infine Idor definisce la capacità di manipolazione mentale. Massima negli zero, decresce fino al livello cinque. Per esempio Ashakiran, se volesse, ma non vuole certamente, potrebbe manipolarci tutti quanti per ballare la danza indiana chiamata Bharathanatyam.”
Subito una femmina glamark che era una vera giocherellona, alzatasi in piedi, iniziò a gorgheggiare e danzare una versione improbabile della danza indiana Bharathanatyam.
“Vraamkaad, seduta subito. In quest’aula non c’è democrazia. Io comando e voi obbedite.”
Intimidita, la giovane femmina agitando gli occhi in segno d’imbarazzo, si rimise a sedere.
“Visto che ami la visibilità, Vraamkaad, continua ad illustrarci il gruppo delle capacità di proiezione mentale.
“Sono due capacità.” Disse il volto tre D della studentessa. Era difficile per Ashakiran e per gli altri umani capire se fosse intimidita o altro. La mimica facciale glamark non rientrava nelle sue conoscenze dirette. Vraamkaad continuò.
“Sono indicate dalle lettere Lam e Mak. Si riferiscono rispettivamente alla capacità terapeutica e alla capacità di produrre danno biologico. Sono entrambe decrescenti dal livello zero al livello venti.”
“Grazie per la succinta esposizione. Ora mancano le capacità di interazione fisica. Alcune richiedono grande attenzione e studio preventivo prima di poterle applicare, quale che sia il grado mentale. Sono le seguenti cinque, indicate alle lettere Nik, Oder, Pravar, Ravar, Savar. Autolelecinesi la prima, solo livelli zero. Vorrei tanto poterne disporre, e non sentire l’attrazione gravitazionale. Ma sono un livello uno e non dispongo di tale capacità. La seconda lettera si riferisce alla telecinesi, che decresce in intensità dal livello zero al livello venti; poi la termo proiezione per eccitazione molecolare; richiede studio ed esercizio. Anch’essa decresce dai livelli zero ai livelli venti. Segue l’emissione di radiazioni luminose che decresce dal livello zero al livello quindici ed infine, ultima ma non meno importante, l’ultra micro manipolazione. Richiede molto esercizio ed è appannaggio dei soli livelli zero. Seguite ora le indicazioni dei terminali per affluire nelle classi di esercitazione. Il mio gruppo si avvicini ora alla cattedra, prego.”
I tre ragazzi indiani avevano appreso con piacere di fare parte della classe di Gaabardar. Si trattava del primo extra terrestre mai conosciuto da loro e fra le persone più gentili e cortesi che avessero mai incontrato, inoltre, egli si era mostrato particolarmente protettivo con loro tre, al punto da divenire un importante riferimento.
Stare nella sua classe significava quindi avere un rapporto diretto con una persona quasi di famiglia.
“Siete stati assegnati alla mia classe perché siete i più promettenti. Voglio essere orgoglioso di voi. Svolgeremo le lezioni nella scuola, in aule protette, non si sa mai. Ma le attività più pericolose, come la telecinesi di grandi carichi verrà svolta all’aperto sul suolo marziano. L’esame finale, fra sei mesi, verrà tenuto nell’anfiteatro principale marziano, alla presenza delle autorità e probabilmente del comandante della flotta Martin Haim.”
Ashakiran, sentendo pronunciare il nome di Martin, sentì le guance arrossarsi. Non riusciva a dimenticare l’immagine del comandante. L’alchimia dei processi di gradimento fra gli individui della specie, stava completando il suo iter inesorabile.
5. Sistema di Marak 4 – Nave Santa Maria – 11 ottobre 2029.
Il viaggio verso il sistema di Marak, per non lasciare tracce leggibili al nemico, aveva richiesto circa quattro mesi. L’assetto dei lanciatori sulla superficie dei pianeti e dei satelliti negli spazi interplanetari, e dei proiettori di radiazioni, era ottimale e completato. Restava solo da terminare l’istallazione dell’immenso macchinario su Marak 1, che doveva fungere da innesco per l’ecatombe solare che avrebbe dovuto spazzare via gli esterni dalla galassia. Il pianeta presentava una differenza di temperatura fra la faccia sempre esposta al sole e quella mai esposta, salvo oscillazioni di cinque gradi sull’asse, di circa trecento gradi centigradi. Sulla faccia in ombra del pianeta, era stata faticosamente istallata la base per controllare le apparecchiature necessarie a produrre l’immane foro nel quale allestire le cariche multiple da dirigere alla stella, per provocarne la catastrofica esplosione. La base Inferno, nome suggestivo ma calzante a causa della elevata temperatura di superficie, al cui interno lavoravano ininterrottamente trentadue umani e sei glamark, assieme ad una schiera imponente di robot controllati dalle intelligenze artificiali, aveva il minimo confort che la temperatura esterna media di duecentottanta gradi centigradi poteva consentire. I robot avevano scavato quattro grandi tunnel, del diametro di sei chilometri ciascuno. I tunnel attraversavano l’intero corpo celeste con traiettoria leggermente curva, nella crosta superficiale. Enormi cariche nucleari sarebbero state spinte verso la stella, per detonare poche migliaia di chilometri sotto la sua superficie per attivare, si sperava, l’immane esplosione.
La navetta atterrò nella notte di Marak 1. La piattaforma di atterraggio era collegata alla base Inferno tramite una serie di grossi e spessi portelli per tenere al di fuori l’insopportabile calore.
“Per fortuna siamo all’ombra!” Pensò Martin oppresso da un indicibile calore, nonostante la tuta di sopravvivenza condizionata. Il portello si aprì e Martin con andatura saltellante per la bassa gravità, si lasciò ingoiare dall’apparente frescura
della base. Il comandante della base, un gramalk livello uno di nome Zaak, si avvicinò a lui con l’atteggiamento pericolosamente festoso, conferitogli dalla grossa massa corporea.
“Ammiraglio, è un piacere averla qui. Non c’era bisogno della sua presenza. Il piano procede senza intoppi. Abbiamo inserito già tre cariche all’interno dei canali interni. La quarta è in fase di inserimento. E’ come infilare quelle che voi chiamate…non riesco mai a ricordare. Le medicine, insomma, che inserite a fondo nel vostro esile corpo.”
“Ho afferrato l’immagine, capitano. Supposte venivano chiamate. Ma sono in disuso da quindici anni, da quando cioè, abbiamo reso disponibile per tutti la medicina avanzata dei proto umani. Lasci da parte l’umorismo glamark, che lega i denti come il succo di limone. Piuttosto, fa caldino qui. Quanto pensate possa resistere la struttura della base?”
“Le cariche e i controlli indefinitamente. Quanto alla base, credo al massimo altri quattro mesi. I lavori sono stati eseguiti in economia, al solo scopo di provvedere un rifugio momentaneo al personale. Comunque altre venti ore e il lavoro sarà terminato.”
La coppia improvvisata attraversò l’ennesimo portello e raggiunse la camera stagna dell’area comando. Tutti i presenti mostravano segni di stanchezza e questo fece rimpiangere Martin per essere stato sgarbato col capitano Zaak. In fondo stava solo cercando di fare dell’umorismo.
C’erano stati e c’erano comici sulla terra, molto più insipidi e insulsi di lui, che aveva, almeno, l’alibi di essere quotidianamente sottoposto a un lavoro faticoso e stressante. Una grande piattaforma tre D mostrava l’avanzamento del quarto enorme oggetto all’interno del proprio profondo alloggiamento. Enormi cavi
venivano ritirati dalle profondità, mentre la carica missile lentamente penetrava nella crosta del pianeta. La grafica mostrava la nave in orbita, con le navette affiancate. Mostrava anche i grandi motori a fusione che un sistema informatico comandava, necessari per effettuare le delicate operazioni planetarie. La temperatura interna della sala comando era di circa quaranta gradi centigradi, non per cortesia verso i gramalk presenti, ma perché i pur efficienti motori del condizionamento ambientale faticavano a dissipare il calore enorme che avviluppava il pianeta. Martin, vinto dalla stanchezza, si appisolò per alcune ore. Anche un doppio zero aveva necessità di dormire di tanto in tanto. Il sogno più bello di Martin venne interrotto da un flebile allarme sonoro, seguito dalla sibilante voce di Koral, che nonostante fosse sintetizzata, riuscì a trasmettere un senso di preoccupata urgenza.
“Martin, prego svegliati, abbiamo un problema!”
Con uno sbadiglio l’ammiraglio si alzò dalla branda pneumatica, e, raggiunto il centro di comando, osservò preoccupato l’immagine che il tre D mostrava. Tre punti rossi lampeggianti, indicanti navi sconosciute potenzialmente minacciose, erano apparsi da alcuni minuti alla periferia dell’immagine. Si stavano avvicinando a bassa velocità al secondo pianeta del sistema solare.
“Martin, rilevo tre navi degli esterni,” Disse Koral. “Sono navi da battaglia di grosse dimensioni, più di tre chilometri di lunghezza stimata. Mi dovrebbero tracciare entro venti minuti circa da ora. Non abbiamo speranze. Salterà l’intero piano. A meno che non se ne vadano indisturbate. La mia presenza, però, attiverà tutti i loro allarmi. Ho una proposta Martin. Dedicami un pianeta e te lo dico.”
“Koral, non è il momento di scherzare. Dobbiamo trovare una via d’uscita, ci deve essere.” Rispose Martin.
“Dico davvero. Voglio essere ricordato perché quello che sto proponendoti, porterà la mia distruzione. Io sono una creatura artificiale costruita con protocolli vecchi di milioni di anni. Ma devi credermi se ti dico che ho autocoscienza. E odio dovermi spegnere nel buio, senza più ascoltare le barzellette di Goo, o senza chiacchierare con le altre IA. Per noi non è stato ipotizzato un posto in paradiso. In questo momento il personale di bordo è sulle navette, li accoglierete nei prossimi nove minuti. Verranno un po’ sballottati, ma è il rischio che devono correre. Diversamente verrebbero avvistati dai sensori delle navi aliene”
“O. K., ti dedicherò due pianeti Koral. Intuisco cosa stai per propormi. Sono sicuro che un posto in paradiso per te ci sarà sicuramente. Sei più umano di molti umani. Solo un grande uomo o un grande gramalk, ha il coraggio di sacrificare se stesso per il bene di tutti. Addio fratello, non sarai dimenticato. Mai!”
Senza aggiungere altro, la nave si staccò dall’orbita geostazionaria in cui si trovava, e si diresse verso il sole seguendo un’orbita bassa più interna di quella di Marak 1.
Tutto il personale si era raccolto attorno alla piattaforma tattica tre D. Si vide terminare l’operazione di inserimento della carica planetaria, le due navette in rientro velocissimo verso la base e l’impatto contemporaneo della Nave Santa Maria nel grande sole del sistema Marak. Martin, in seguito, giurò di avere sentito un fruscio dagli altoparlanti che somigliava in maniera commovente alla Marsigliese, bisbigliata dalla voce sibilante di Koral.
6. Marak 1 – Base Inferno – 12 ottobre 2029
Tutto era silenzioso. Il personale, raccolto attorno allo schermo tre D, stava trattenendo il fiato osservando le unità nemiche che si avvicinavano al pianeta scandagliando la superficie. Furono minuti interminabili. Koral aveva portato la nave Santa Maria, a scomparire nelle vampe termonucleari del sole di Marak. Il suo sacrificio aveva consentito di mantenere occultato il complesso sistema di inganno che stava per essere messo in opera sull’intero sistema planetario. Le due navette, dopo avere sbarcato l’equipaggio della Santa Maria, avevano assunto una posizione orbitale iva a motori spenti e portelli aperti sul vuoto dello spazio per dare l’idea di essere state abbandonate da lungo tempo. Se fossero state ignorate dagli esterni, esse sarebbero state utili per evacuare il pianeta e tornare lentamente sulla via di casa.
“Maledizione!” Sortì Martin, osservando l’immagine della piattaforma tre D. Due punti si erano staccati dalle navi aliene e stavano accelerando verso le ignare navette. Fu questione di minuti. La sintesi grafica mostrò le due navette avvampare sotto l’esplosione di due grosse torpedini spaziali del tutto sopra misura per due bersagli insignificanti, ma non per questo meno efficaci. La via di casa era stata cancellata. Mentre le navi aliene, soddisfatte, ripercorrevano l’orbita, per tornare da dove erano venute, lo sconforto si abbatté sull’intera base. Il comandante della base, Zaak, mostrò un’aria meditabonda e preoccupata. Rollò per minuti avanti e indietro nell’ampio corridoio che portava al centro di comando. Poi ricompose la mantella con le tre strisce di stelle indicanti il grado di capitano di vascello, e si sedette ad un terminale virtuale, sul quale le sue quattro appendici manipolatrici cominciarono a battere una sequenza rapida di simboli. Dopo una decina di minuti di applicazione continua, si volto verso Martin. “Ammiraglio, abbiamo cinquanta giorni standard, poi i sistemi di sopravvivenza collasseranno.”
“Bene. Ma abbiamo le navette di Marak 6. Possiamo riconfigurare il software e
farle atterrare alla base.”
“No. Sono state demolite. Pensavamo di tornare a casa con la Santa Maria come era stato programmato. Nessuno avrebbe mai immaginato che gli esterni avessero voglia di giocare agli esploratori.” Rispose preoccupato Zaak.
“Abbiamo esoscheletri?” Chiese Martin.
“Li avevamo sulla Santa Maria. Qui abbiamo solo una decina di tute per operare nel vuoto. Il resto del materiale non strettamente necessario è stato dismesso per non lasciare traccia. E, prima che me lo chieda, non possiamo nemmeno riconfigurare le torpedini dei lanciatori multipli per lanciare un messaggio di richiesta di soccorso. Salterebbe l’intera rete d’attacco e neanche funzionerebbe.”
“Allora siamo come naufraghi su un’isola che sta per soccombere ai flutti. Ci comporteremo di conseguenza. Nessuna attività meccanica nei prossimi cinquanta giorni. Motori meccanici fermi ad eccezione dei motori del condizionamento ambientale. Cibo e acqua razionati. Almeno l’aria non mancherà di certo. Vero Zaak?”
“No, certo. Ne abbiamo per due anni, rifiltrata e arricchita di ossigeno durerà più che a sufficienza ammiraglio.”
“Bene. Al lavoro.”
“Quale lavoro?” Chiese uno stupito Zaak.
“Lavoro creativo per trovare una via d’uscita. E preghiera. Non guasta mai.”
L’attività fisica fu ridotta la minimo per ridurre il consumo energetico. Le giornate scorrevano monotone senza che ci fosse alcun segno di eventuali salvatori. Dopo cinquanta giorni, i sistemi erano ancora tutti sul verde, ma lo sconforto cominciò a serpeggiare fra i trentotto membri del personale, umani e glamark, anche se la presenza di Martin infondeva fiducia.
PARTE DODICESIMA
1. Marte – Centro di perfezionamento – Glor II – 11 novembre 2029
L’area di lavoro ed esercitazione si trovava a cinque chilometri dall’istituto. Coperti da tute di sopravvivenza, gli studenti stavano disposti a semicerchio davanti al professor Gaabardar.
“Questa lezione di telecinesi è rivolta ai soli zero della classe. Faremo una prova di spostamento di gravi in maniera razionale. I cubi che vedete davanti a voi, ciascuno dal peso di settanta tonnellate marziane, sono da collocare nel minore tempo possibile all’interno della grande griglia che è posta alla vostra sinistra. Nell’ordine, Teekdaagvar poi Kalpita, Bipin, Dookmaak e infine Ashakiran. Forza.”
Gli studenti spostarono i blocchi nell’ordine prestabilito. Sessantaquattro blocchi su ciascun quadrato dell’enorme scacchiera. Era affascinante vedere gli enormi blocchi sollevarsi con la leggerezza di una piuma e, dopo una traiettoria di alcune decine di metri, scivolare al proprio posto senza un rumore. Teekdagvar sembrò la più veloce, anche se disordinata. I blocchi caddero senza particolare precisione ciascuno al proprio posto. Al contrario Bipin li sollevò e riposizionò con cura maniacale. Erano tutti in fila come ranghi di soldati in una compagnia. Fu il turno di Ashakiran. Pareva distratta. Pensieri oscuri e sensazioni negative attraversavano la sua mente.
“Coraggio principessa! Per te è un gioco da nulla.” La incitò Gaabardar con sollecitudine. Asha era di gran lunga lo studente più dotato dell’intera scuola. Anzi era unica. La sua potenza era fuori scala in tutte le attività comparate. Asha era molto versata in chimica biologica e il giorno precedente era riuscita a neutralizzare simultaneamente dieci composti tossici fra i quali il veleno mortale dell’insetto Suokk, che imperversava nell’emisfero sud di Ter6, e la letale tetradotossina del pesce palla terrestre.
“Martin è in pericolo professore. Lo sento. Devo andare da lui. Subito.” Disse Ashakiran quasi gridando. Poi con impeto sollevò tutti i sessantaquattro blocchi giganteschi e li collocò simultaneamente sulla scacchiera. “Scusatemi tutti. Ora devo andare.” Detto questo. Fece un cenno di saluto a Kalpita e Bipin, e, dopo una breve raccomandazione mentale, lasciò gli esterrefatti compagni di classe e corse verso il lontano istituto con la velocità di un veicolo da trasporto. Giunta alla scuola, chiese una comunicazione con il comando di Novaterra e stabilì un contatto con Pierre Armand che si trovava su Marte per provare dei nuovi apparati magnetici di concezione ardita.
La sua immagine apparve davanti allo stupito PA che distolse subito la sua attenzione dal progetto virtuale tridimensionale che stava esaminando.
“Salve piccola Asha. Qual buon vento?”
“Tempesta, signor Pierre Armand. Martin è in pericolo.”
“Ma no, piccola. Martin dovrebbe essere su Marak 1 per ultimare i preparativi ed evacuare il personale sulla Santa Maria. Dovrebbero arrivare entro il prossimo mese. Credo che…” Asha lo interruppe con veemenza.
“Non è uno scherzo. Si fidi delle mie percezioni, sono o non sono un doppio zero? Dobbiamo partire subito. Non c’è più tempo da perdere.”
“Non sei solo un doppio zero, Asha. Non si fa altro che spettegolare su di te e il
mio bisnipote più dotato. Sei sicura che le tue…emozioni, non ti facciano confondere la realtà delle cose? In fondo sappiamo tutti che sei una donna innamorata. Questo è sempre stato sinonimo di grandi problemi nella storia dell’umanità.”
Osservando però l’espressione seria e preoccupata di Ashakiran, Pierre Armand si convinse a prestare attenzione alla giovane.
“Cosa proponi?” Chiese rassegnato.
“Due navi. Rotta speculare simmetrica per trenta giorni e poi una transizione all’interno del sistema di Marak. I rischi saranno minimi. Propongo due equipaggi di volontari, magari di soli gramalk. Si butterebbero nel fuoco per Martin.”
“Fuori discussione. Saranno i soliti equipaggi misti. Verrò anch’io. Alla peggio proverò i miei dispositivi in un teatro diverso. Muoviamoci. Kadat, per favore predisponi le cose.”
“Stavo già provvedendo da quando Asha ha iniziato a parlare. Al contrario di te io le credo con gli interessi.
Dimentichi che è come Martin. La sua forza è notevole. Il suo cuore anche. Avrà sempre credito presso di me.” Rispose l’intelligenza artificiale.
“Abbiamo otto navi nelle vicinanze agli hub del cantiere marziano di o.
Propongo la Victory del comandante Pasqua e la Trota Ruggente del contrammiraglio Goo. E’ un nuovo scafo di duemilacinquecento metri armato pesantemente anche per gli standard degli esterni, con settanta astronauti a bordo. La nuova classe di vascelli è stata battezzata dalla stessa Goo, che ama la pesca alla trota sui fiumi del continente nord americano. Non avrei mai potuto pensare di lasciarla fuori. Martin oltre che il comandante in capo è anche il cogenitore della piccola Maa.”
2. Orbita di Marte – Sistema Solut - 14 dicembre 2029.
Riuniti gli equipaggi, le due navi si staccarono dalla piattaforma orbitale dopo solo diciotto ore. Goo era veramente preoccupata anche se l’IA della nave Radamar, le aveva continuato a ripetere che nessun dato disponibile poteva far pensare ad un pericolo qualsiasi. Era Asha che invece rinfocolava la sua preoccupazione andando nervosamente avanti e indietro sulle lunghe erelle e fra gli ampi corridoi che raccordavano i settori della nave da battaglia.
Dopo circa un mese di penosa navigazione verso una posizione specularmente distante dal sistema di Marak, al rientro in fase, trovarono a soli centomila chilometri di distanza, tre grosse navi aliene. Goo ordinò a entrambe le navi di lanciare le torpedini e di effettuare una manovra evasiva. Ashakiran intervenne con impeto, implorò Goo di interrompere la corsa delle torpedini.
“Per favore. Avviciniamoci, ci penserò io.”
“Non è il momento di scherzare piccola. E’ questione di secondi e poi…” Replicò Goo con decisione.
“Davvero. Ti prego ascoltami. Questo è il piano.” Rapidamente creò nella mente di Goo, l’immagine grafica del piano. Si basava su un attacco mentale a distanza ravvicinata. Solo Asha sarebbe stata in grado di compiere un’azione di tale portata. L’aiuto degli altri alti livelli mentali non avrebbe comunque guastato. Convinta solo a metà, Goo diede l’ordine di rallentare e fermare la corsa delle torpedini, e di alzare gli scudi difensivi mentre le due navi dei Sistemi Uniti avrebbero accelerato a velocità critica per portarsi il più possibile vicino alle navi nemiche. Giunte a cinquanta chilometri dalle navi nemiche che nel
frattempo avevano lanciato ogni arma possibile verso di loro e proiettato tutte le radiazioni conosciute e sconosciute contro le navi umane, Asha, mentre gli altri zero deviavano il corso delle armi nemiche, liberò la mente e, in trans da combattimento, esplose tutta la sua forza mentale contro gli organismi biologici presenti sulle navi nemiche. Fu questione di pochi secondi. L’impatto contro le menti aliene fu disgustoso per Asha, ma con decisione portò l’attacco fino in fondo. Gli organismi biologici a bordo delle navi nemiche cessarono improvvisamente di esercitare il controllo sulle navi stesse, che senza ordini di guida, continuarono le rotte predisposte, per semplice inerzia.
“Cara piccola Asha, ricordami di non mettermi mai fra una donna innamorata e il suo bersaglio. Bel lavoro ragazza. Ora dobbiamo fermare le navi per ispezionarle.” Gioì Goo.
“Ecco fatto, contrammiraglio.” Come d’incanto i dispositivi di propulsione delle tre navi aliene invertirono la spinta fino a fermare i tre grossi oggetti a breve distanza dalle navi terrestri.
“Goo, ho un piano. Gli esterni sapranno sicuramente dove le navi siano andate. Dobbiamo quindi rimandarle indietro in modo da ingenerare dubbi sul destino dell’equipaggio. Ripuliamole e rispediamole al mittente dopo il tempo necessario allo studio delle loro armi e delle caratteristiche della propulsione. Che ne dici?” Propose eccitata Ashakiran.
Il suo intervento suscitò una risata di apprezzamento da parte di Pierre Armand, che si era autoinvitato a bordo in qualità di ufficiale scientifico.
“Bene. E’ il solo modo per ridurre a zero i loro eventuali sospetti. Brancoleranno nel buio. Ma badate, dovremo anche riconfigurare i loro sistemi informatici. Credo che Radamar possa fare un buon lavoro in copia con Tonal della Victory.”
Suggerì Pierre Armand. La Trota Ruggente e la Victory si avvicinarono lentamente alle navi aliene fino quasi ad accostarsi. Poi Asha con una decina di marinai di o e Pierre Armand, che si era imposto quale esperto scientifico per l’ispezione delle navi nemiche, uscì nello spazio e si avvicinò ai grossi scafi neri.
Non era visibile alcun portello. Si trattava evidentemente di una tecnologia superiore a quella disponibile per agli equipaggi dei Sistemi Uniti. Asha protese la sua mente fino a contattare fisicamente il sistema informatico della nave, per la verità piuttosto semplice. Indirizzò a Radamar alcune richieste e poi...voila. Si aprì nello scafo un’apertura delle dimensioni di un campo da tennis che si restringeva in maniera conica verso un portello di aspetto piuttosto insolito. Aperto il portello, gli umani si introdussero all’interno. Qui trovarono, dopo accurate ricerche, più di novecento corpi irriconoscibili. Le tute probabilmente si degradavano alla morte del proprietario, alterando in maniera totale le caratteristiche biologiche di chi le indossava. I corpi, prelevati campioni, furono allontanati nello spazio, e lì furono ridotti in fini particelle dalle armi di bordo delle due navi terrestri. Mai pulizia fu più accurata. Vennero rimosse anche le tracce degli agenti chimici usati per la pulizia. Lo stesso trattamento fu riservato anche alle altre due unità nemiche, che erano la replica esatta della prima ispezionata. L’accesso al sistema informatico si rivelò piuttosto semplice. Fornì anche le coordinate del punto di accesso dal portale di arrivo, che a quanto risultava era fortunatamente assai lontano. Le armi si rivelarono interessanti, specialmente i proiettori di radiazioni. Non erano laser o maser ma proiettori di radiazioni elettromagnetiche a lunghezza d’onda di dimensione ultra micro, utilizzabili quindi a distanza breve. Le armi da lancio erano abbastanza semplici e meno sofisticate di quelle usate dagli umani e dai glamark, anche se di numero consistente. Incuriosì Pierre Armand la scoperta di serbatoi per il cibo. Il contenuto residuo sembrò essere bilanciato in sali minerali, fattori vitaminici,
amidi, lipidi e proteine. Erano presenti anche macromolecole apparentemente non tossiche di significato sconosciuto. Tutto venne lasciato come si trovava: dalle cuccette di dimensione compatibile con corpi di due metri di altezza, alle disadorne sale comuni, dotate di poltrone antiaccelerazione utili ad un fachiro indiano. La plancia comando, piuttosto piccola di dimensioni, con schermi video
a matrice solida, sembrava la plancia di una nave spaziale per bimbi nei luna park terrestri. Tutti gli spazi visibili e invisibili e ogni superficie vennero filmati in tre D, per avere un record da utilizzare in futuro dopo uno studio accurato. Le navi vennero riprogrammate da Radamar e infine ripartirono per la rotta precedente con a bordo un equipaggio fantasma. Nulla indicava invece, il punto di partenza. Probabilmente i dati venivano raccolti al portale di aggio. Fra i file trovati nelle memorie delle navi furono trovate indicazioni su una rotta da un portale a coordinate sovrapponibili a quelle del sistema di Marak. Questo convinse tutti della necessità di partire subito. L’ipotesi di Ashakiran che il personale fosse in pericolo, diventava più reale ogni secondo che ava.
“Allora PA che idea ti sei fatto sull’equipaggio e sulle navi?” Chiese Goo con curiosità.
“Sono strumenti di qualcuno di superiore, che ha centellinato una tecnologia all’avanguardia e utilizzato l’equipaggio come carne da cannone. Servi, forse. Informati a sufficienza per muoversi autonomamente e combattere in maniera spietata, ma sempre servi. I missili antiplanetari erano veramente grossi. La sale erano disadorne e scomode rispetto ai nostri standard. Le dimensioni dei membri dell’equipaggio parevano compatibili con la maggior parte delle specie di questa galassia, umanità compresa. La cosa più interessante mi é parsa il cibo di cui si nutrivano. A parte l’aspetto e probabilmente il sapore, si trattava di robaccia piuttosto compatibile con quanto utilizziamo noi e voi. Mah! Vorrei mettere le mani su di loro senza dover scrostare la maledetta tuta di protezione o....Certo, Eureka! Non é solo una tuta di o o di combattimento é una tuta di contenzione e controllo. Chiunque siano non sono certo liberi di agire in maniera libera e autonoma come pensavo. Credo che siano le scimmiette di qualcuno. Vengono fatti ballare e saltare a piacimento. Ne sono quasi certo, Goo!” Rispose con enfasi crescente Pierre Armand. Intervenne Asha che chiese con ansia di riprendere la navigazione dato che i calcoli per la transizione all’interno del sistema di Marak erano completi da ore e che le tracce trovate sui sistemi alieni avevano mostrato un accesso al sistema di Marak.
“Cara piccola Asha, non possiamo riprendere la rotta stabilita perché lasceremmo tracce evidenti. Dobbiamo invece procedere a caso in un’altra direzione e poi effettuare la transizione verso Martin e il sistema di Marak.” Rispose Goo con evidente dispiacere.
Le due navi immediatamente attivarono la propulsione relativistica ed effettuarono una transizione non prevista verso un’altra destinazione scelta a caso per poi procedere a piccoli i verso il lontano sistema di Marak.
3. Marak 1 - Base Inferno - 29 dicembre 2029.
“Ragazzi vi comunico con piacere che fra tre giorni festeggeremo il nuovo anno in questa amena e ridente località.” Esclamò Martin con tono giocoso.
“Ammiraglio, le tue barzellette sono peggio delle mie!” Intervenne il capitano Zaak.
“E’ un vero miracolo che le strutture reggano ancora. Anche lei ne é convinto tanto che ha ordinato turni in tuta di sopravvivenza fuori alla superficie.”
“Hai ragione, amico mio. Ma abbiamo ancora cibo e acqua. L’aria non manca e la speranza é l’ultima a morire.”
Zaak a quella parola si attivò in un complesso rituale scaramantico tipicamente di cultura glamark, che comprendeva l’agitare ritmico di tutti e otto gli arti e, per concludere, l’estensione degli otto pollici, due per ciascun arto, a simulare le famose antiche corna scaramantiche di un paese terrestre che si affaccia sul mare Mediterraneo.
“Non serve Zaak. Vedrai che ce la faremo.” Rispose Martin con simulato ottimismo. Stava nel frattempo sottilmente manipolando l’umore del personale. Era convinto che il disastro potesse presentarsi alla porta senza riguardo per lo stato d’animo, e che, quindi, un atteggiamento positivo non fe male.
La temperatura media era salita di cinque gradi centigradi, e i corridoi più profondi della base erano stati sigillati per sicurezza. La resistenza era agli sgoccioli, solo un miracolo poteva salvarli. Stranamente Martin non condivideva la visione negativa e pessimistica della gran parte dell’equipaggio. Anzi cominciava a nutrire un cauto, inspiegabile ottimismo. Lasciati da parte i pensieri sulla sopravvivenza, tornò a rianalizzare i dati sulle navi aliene. Si convinse che in futuro avrebbe avuto la meglio su di loro. Parevano ingessati in protocolli prevedibili. L’unica loro raffinatezza consisteva nel calare il martello con forza bruta. E, stando a quanto aveva potuto conoscere della loro tecnologia, esistevano evidenti incongruenze di carattere logico. Era come se i soldati fossero i burattini di qualche altra intelligenza, perversa, lontana e ferale. Lasciò che pensieri migliori prendessero posto nella sua mente. L’immagine di Asha tornava ricorrente. Sperando con tutto il cuore di avere l’occasione di rivederla, si abbandonò ad un sonno breve e tormentato dall’eccessivo calore.
Era arrivato il nuovo anno. I glamark erano incuriositi dal calendario umano e dalla sua varietà.
“Martin, come fate a sincronizzare i vostri calendari?” Chiese un curioso Zaak.
“Noi glamark siamo molto più razionali. Abbiamo solo due calendari: uno copia quello standard, l’altro i cicli di fertilità dei nostri quattro sessi che come puoi intuire sono piuttosto complessi. Ma voi ne avete decine sovrapposti. Ciascun popolo con lingua e cultura diversa conta il tempo in maniera dissimile. Che specie strana siete!” Esclamo con stupore.
Gli rispose Martin. “Ciascuno ha sempre contato gli anni come meglio pensava. Nessuno é in contrasto con il numero di rotazioni del nostro sole. Piuttosto la differenza sta nell’inizio del calendario. Per alcuni inizia millenni prima per altri dopo. Ma tutto si é miracolosamente uniformato...”
“Con il calendario standard.” Intervenne Zaak.
“No! Con il calendario della Borsa, che era quello delle popolazioni cosiddette occidentali. La logica del profitto economico ha spesso regolato le azioni dell’uomo.”
“Strano, Martin. Da noi é piuttosto la logica del più forte fisicamente a vincere.”
Martin esplose in una risata liberatoria. “E’ la stessa cosa. O meglio, é stata la stessa cosa da noi e per millenni. Il più ricco si é identificato con il più forte, Zaak.”
Il grosso glamark, pensieroso, bisbigliò: “Sono pazzi questi umani!”
4. Sistema di Marak - Marak 1 - 18 gennaio 2030.
Il caldo era atroce, sessantotto gradi centigradi all’interno della base. Gli umani uscivano a rotazione con le tute di sopravvivenza. I glamark, pur nella criticità del momento, a causa della loro elevata resistenza fisica, riuscivano a mantenere una certa operatività alle piattaforme tre D. “Martin. credo che ne avremo per non più di ventiquattro ore. Poi sarà la fine.”
“E’ stato un onore conoscerti Zaak. A parte le tue barzellette, sei proprio un tipo a posto. Parola di ammiraglio.” Rispose Martin.
Le ore avano lentamente. Nella mente stanca del personale si materializzavano immagini fantastiche di icebergs vaganti nell’oceano, bibite gelate con l’ombrellino e giganteschi gelati al cioccolato. Martin, purché gelato, avrebbe bevuto anche l’aperitivo glamark con il verme all’interno. Quando le speranze stavano ormai per abbandonarli, sentirono per radio provenire delle urla dagli umani all’esterno nelle tute di sopravvivenza.
“Poveretti!” Esclamò Zaak.”Non ce l’hanno fatta. Il calore ha vinto la resistenza delle tute. Prepariamoci all’estremo saluto, Martin.”
“Ma no, Zaak. Sembrano grida di gioia, non gemiti di dolore. Te lo garantisco. E’ un modo umano di manifestare gioia. C’é un solo motivo per gioire in questo forno. Sono arrivati i soccorsi. E... c’é anche una mia amica. Una cara amica. Prepariamoci Zaak. Ricomponiamoci. Le uniformi e tutto il resto. Dai svelto! Avvisa gli altri.”
Sullo schermo tre D comparve l’immagine di un Pierre Armand molto preoccupato, dietro al quale Goo cercava spazio per comunicare agitandosi come non pareva possibile un gramalk potesse fare.
“Figliolo, ti trovo bene. Siamo arrivati in tempo?”
“Si nonno, appena in tempo.” Rispose Martin rinvigorito dalla prospettiva del salvataggio.
“Martin, vecchio mio.” Strillò Goo. “Pochi secondi e ti tiro fuori di lì. Dovessi anche abbattere le paratie con le zanne.”
Un pensiero si inserì nella sua mente. Con la forza di un tornado che non risparmia quanto trova sul proprio percorso, Asha giunse diretta a Martin, e gli comunicò quello che aveva in mente di dirgli da mesi ormai. La risposta fu in sintonia e del tutto segreta. Si vide improvvisamente Asha tranquilla come non era stata da settimane, dirigersi verso il proprio alloggio per ‘darsi una rinfrescatina’.
Il personale della base Inferno, fu recuperato rapidamente.
Tutti furono trasportati a bordo delle navi per ricevere le cure necessarie. Il calore all’interno si era fatto insopportabile, ancora poche ore e tutti sarebbero stati vinti dal calore eccessivo che gli impianti di fortuna della base non riuscivano più a controllare. Giunto sulla nave Martin trovò un nutrito comitato di accoglienza. Per non scontentare nessuno, fu prodigo di saluti e ringraziamenti, ma si muoveva per la nave come un automa alla ricerca della sola cosa che l’aveva stimolato a resistere e a galvanizzare gli altri compagni di
sventura. Finalmente trovatisi, si abbracciarono a lungo. Non ci fu bisogno di parole.
Le intelligenze artificiali delle navi Radamar e Tonal, in poche ore controllarono in remoto lo stato di approntamento dei sistemi disseminati sui pianeti e satelliti per l’inganno finale. Riscontrarono una serie di luci verdi e quindi, informati i comandanti delle unità, programmarono la rotta di ritorno per il sistema solare.
QUARTO INTERLUDIO
In una lontana galassia, in un pianeta senza nome.
997S vide comparire sullo schermo d’ordine una inequivocabile luce azzurra che significava convocazione immediata. Si alzò dal giaciglio stiracchiandosi. La confortevole cella, dotata anche di finestra, forniva una certa visione panoramica sulla foresta pluviale, dall’altezza di quarantacinque piani, per un arco di ben trenta gradi. Il resto della visuale era occupato da mura robuste di pietra gialla, e scale infinite dirette in ogni direzione fino a sfidare la forza di gravità e i più consolidati principi architettonici. Infilò con un rapido gesto la tunica a maniche tagliate, sopra le fasce dell’intimo, e, dopo un rinfrescante sorso d’acqua, uscì sul pianerottolo per affrontare i ventinove livelli soprastanti. La pioggia cadeva fitta come al solito di mattina, tanto da ridurre la visibilità e bagnare 997S fino al midollo. Di buon o, seguendo le bande dei codici colorati, si inerpicò di livello in livello fino a giungere ad una ampia terrazza da cui si dipartivano larghe scalinate convergenti verso i tre livelli di eccellenza. Lì identificò il percorso cremisi e salì l’ultima serie di scalini. Non esistevano porte sul pianeta, e 997S si soffermò presso l’arco di insolita ampiezza dell’abitazione in cui era stato convocato. Dalla penombra interrotta da lame di luce proveniente da due enormi finestre non schermate, una voce lo incitò a farsi avanti.
“Vieni 997S. Ti stavo aspettando”.
“Eccomi molto venerabile 23C. Spero di non averti fatto attendere troppo.”
L’uomo entrò e si inchinò con deferenza davanti ad un anziano dai capelli canuti e la pelle rugosa, che, dal portamento fiero ed eretto, faceva pensare di non avere perso nulla della prestanza fisica, nonostante lo scorrere del tempo. Il suo sguardo vagò nell’ampia stanza a misurarne le mirabilie. C’era, oltre al lavabo, anche una grossa vasca piena di liquido per i lavaggi corporei, che esalava un profumo speziato. Poi una imponente plancia comando e controllo che solo i
potenti del pianeta avevano a disposizione. Dietro un tendaggio, cosa insolita e sconcertante, vide una vasca piena di terriccio e un alberello con frutti rossi dal profumo stranamente invitante. Cibo non poteva essere, poiché tutto veniva fornito dai distributori automatici; il semplice concetto di estetica poi, gli era alieno più degli strani nemici che avevano cercato di combattere per centinaia di migliaia di anni.
“Grazioso ambiente 23C. Sono ammirato dalla tua potenza e dai tuoi ampi mezzi.” Disse 997S con atteggiamento servile.
“Lascia da parte l’adulazione, 997S. Ti ho convocato perché hai dimostrato di essere un valoroso che combatte con la propria testa senza ricadere sempre nei luoghi comuni delle regole di ingaggio e della pedissequa obbedienza ai manuali pubblicati eoni fa.”
“No. Ti sbagli molto venerabile 23C. Sono un servo fedele e obbediente che si attiene alle regole. Sono un pilastro della società, fedele ai comandamenti del tempio e devoto agli Innominabili, benedetti siano tutti e ventiquattro.”
“Lascia stare. Non corri rischi. Ti seguo da dieci anni. So che hai servito presso gli allevamenti di bestiame e che ne hai anche approfittato.”
997S, si sentì perduto, l’interazione, così era definito il contatto fisico con gli umanoidi prigionieri, era severamente proibita. Si poteva rischiare anche di finire nelle cisterne di fermentazione e divenire parte della dieta del Popolo, così erano definiti gli umani dei pianeti del sistema solare subordinato. Il sudore scivolò lungo la sua schiena robusta, mentre 23C lo sottoponeva a un’analisi impietosa.
“Non voglio farti spaventare. Se l’avessi voluto saresti già cibo da diverso tempo. Apprezzo, invece, gli spiriti liberi, e, come me, anche il molto venerabile 2C. Centinaia di migliaia di anni sono trascorsi da quando gli Innominabili hanno iniziato questa guerra contro gli alieni che appestano l’universo. Noi siamo il loro strumento. Ma c’è un ma da valutare attentamente. Pare che questi residui di bestiame abbiano una qualche affinità con noi.”
“Bestemmia! Molto venerabile 23C, devo rispettosamente farti notare che rischi di diventare cibo anche tu.”
“No ragazzo! Rilassati. Non ci sono apparati di sorveglianza sotto il livello 1991. Ecco cosa voglio che tu faccia. Devi prendere contatto con questi animali che abitano l’altra galassia. Assaggia, prego questo cibo, forza, non farti pregare!”
997S, che aveva il grado di comandante di raggruppamento, cioè di dieci navi e diecimila soldati, vide davanti a se un oggetto crostoso, apparentemente duro che emanava un profumo, per la verità accattivante.
Facendosi forza allungò una mano, raccolse l’oggetto e vide che era tiepido e compatto. Lo spezzò e subito una fragranza appetitosa si diffuse nell’aria.
“Di cosa si tratta molto venerabile 23C?” Chiese il giovane con curiosità.
“Cibo alieno, caro ragazzo. Costruito in un laboratorio segreto con elementi tratti da una nostra razzia. Sembra che gli alieni lo chiamassero pane. Da solo non completa la dieta giornaliera. Ha poche proteine ma amidi, sali e fibre vegetali. Coraggio assaggialo!” Comandò l’anziano.
997S, si fece forza e introdusse parte del cibo in bocca. Poi iniziò lentamente a masticare. Subito sgranò gli occhi assaporando con piacere il misterioso cibo alieno.
“Buono. Anzi ottimo. Non credo di avere mai assaporato cibo più delizioso.” Disse 997S.
“Così come hai assaporato la selvaggina femminile! Sono anche meglio delle nostre donne. Credo che dipenda dalla dieta. Che ne dici figliolo?”
Il giovane non sapeva più che cosa pensare. Gli era appena stato offerto un cibo alieno, era stato informato che le sue trasgressioni erano note. Stava brancolando nel buio.
“Questa notte verrai con me al livello uno. 2C sarà il nostro ospite. Rimarrai stupito di incontrare anche altre alte cariche. Gli altri 2, a parte il molto venerabile 2A, sono tutti assenti. Stanno coordinando un attacco con 3,14, l’autorità suprema, sul quinto pianeta del sistema. Tieni questa cappa nera. Indossala quando sarai al piano sessanta. Due ore dopo il tramonto. Ricorda non mancare. Ora vai.”
Il giovane soldato lasciò il grande e lussuoso locale con il cuore in subbuglio e lo stomaco stretto in una morsa corrosiva. Giunto al proprio alloggio ò il tempo rimanente analizzando la vicenda da ogni punto di vista senza venirne a capo. Aveva, nove anni prima, interagito con un animale di sesso femminile. A parte il sudiciume di cui la donna era coperta, non poteva certo dire che non fosse umana. Aveva anche imparato qualche parola della sua lingua gutturale. Era nata in cattività e non parlava che poco e malamente la lingua del Popolo. Tuttavia se
ne invaghì, e, di nascosto la amò con trasporto per più di sei mesi. Alla fine rimase molto addolorato quando, per necessità di regolamento, la donna dovette essere inviata alle vasche di fermentazione. Tenne dentro di se il dolore per la perdita e la incapacità di comprensione di logiche alimentari così disumane. Nulla trapelò dalla sue labbra. Fece il proprio dovere senza riluttanza e si guadagnò l’elevato nome attuale. Ora la sua vita stava ancora cambiando ed era appesa a un filo. Era stato meraviglioso assaggiare del cibo che non provenisse dal corpo di specie intelligenti. Dentro di se nacque la timida speranza che potesse essere l’inizio di un cambiamento. Allo scoccare dei tre rituali rintocchi di campana raggiunse al livello sedici, la grande sala comune. Fece finta di mangiare la razione di poltiglia inodore ma nutriente, che gli venne servita. Poi attese con pazienza la lettura interminabile dei i del Libro degli Innominati e, limitando al minimo ogni contatto con femmine o maschi presenti alla mensa comune, lasciò are il tempo, fino a quando poté eclissarsi verso il suo alloggio senza dare nell’occhio.
Nessuna femmina aveva lontanamente l’aspetto di Lal, così volle farsi chiamare, la donna con cui si era incontrato. Anzi le femmine con cui si era sporadicamente accoppiato, e solo dopo autorizzazione superiore, erano di aspetto androgino e poco partecipative alla sessualità. Il suo amico d’infanzia 1319A del dipartimento di scienza, sosteneva bisbigliando in segreto, che la loro dieta abituale fosse arricchita con molecole condizionanti il carattere e inibenti certe funzioni. Infatti era solo da quando era stato elevato a nome inferiore a 3000, che aveva cominciato a percepire timide pulsioni fisiche. In ogni modo raggiunto l’alloggio, si impose con disciplina di attendere l’ora stabilita. Aprì un polveroso manuale di argomento militare in pergamena ottenuta da chissà quale creatura, ma non si fece illusioni, poteva benissimo provenire dagli umanoidi in cattività che usavano come cibo, e si immerse nella noiosa lettura.
All’ora prestabilita uscì dal proprio alloggio e iniziò a risalire le scale. La pioggia cadeva fitta e gelida, come sempre di notte, nascondendo gli oggetti già poco visibili per la scarsa luce, distribuita con parsimonia da bocce incassate a intervalli irregolari nei muri. Al piano ordinato, 997S indossò la cappa nera e abbassò il cappuccio sul viso. Era improbabile che ci fosse qualcuno in giro ma secondo il vecchio adagio la prudenza è l’unica virtù che ti garantisce una vita
lunga e serena. Giunto al penultimo livello trovò due uomini con cappa nera davanti ad un grande accesso che per le dimensioni oggettivamente imponenti, non si poteva definire semplice porta. I due lo osservarono con attenzione e spuntarono il suo nome da una lista estratta da una piccola borsa di pelle. Poi lo invitarono con gesti silenziosi a varcare l’ampia entrata. 997S varcò l’ingresso e cercò di orizzontarsi nel buio pesto dell’androne e seguì il suono di distanti voci. Entrò in una vasta sala riccamente arredata con tendaggi di fibre vegetali, al centro della quale stava una pietra sedile arredata con un drappo bianco, sul quale stavano disposti ordinatamente alcune decine di quegli oggetti alieni commestibili chiamati pane, che aveva assaggiato la mattina. I presenti erano una trentina, tutti alti numeri, anzi più importanti di lui per la maggioranza. Vide con sorpresa anche 1319A che gli si fece incontro con una largo sorriso.
“Caro amico mio. Sono tre anni che non ci vediamo. Hai fatto strada. Ho sentito che sei un valoroso soldato e…dotato di cuore, potrei aggiungere. Chiamami 337A, senza deferenza. Siamo amici da anni e da questa notte, forse, saremo anche congiurati e fratelli fino alla morte.”
Il soldato, frastornato dalle novità, scambiò il consueto segno di amicizia a tre dita con l’antico amico, che aveva inaspettatamente raggiunto una fra le tremila cariche più importanti del sistema inferiore.
Il molto venerabile 2C, si avvicino alla pietra imbandita e battendo le mani attirò l’attenzione dei presenti.
“Accomodatevi amici e amiche. Siamo qui riuniti in assoluta segretezza perché abbiamo deciso che qualche cosa possa cambiare a nostro favore e che molte verità rivelate siano solo un tentativo riuscito di nascondere l’essenza delle cose. Qui davanti a noi abbiamo un prodotto poco elaborato e semplice che i cosiddetti animali alieni di foggia umanoide, producono da milioni di anni. Vi invito a segnalarmi una sola cosa nella nostra vita che sia lontanamente gratificante come questo semplice alimento. L’esercizio del potere è certamente gratificante, come
la scoperta scientifica più utile o come la fisicità di un incontro consentito con l’altro sesso. Ma questo semplice cibo ci trasmette concetti di grande significato. Fa volare la nostra fantasia, quando non è imbrigliata dalle droghe di controllo inserite nella dieta obbligatoria. Le conseguenze che traiamo sono poche ma molto importanti. Primo, noi non siamo liberi. Secondo poiché siamo compatibili con gli umanoidi essi non sono bestie e ancora meno alieni, ma forse fratelli. Terzo siamo l’ignaro strumento fra le mani degli Innominabili. Nessuno sa che aspetto abbiano. Solo 3,14 ha accesso al terminale di comunicazione col sistema solare superiore. Egli allora è solo uno schiavo ben remunerato. Noi oggi abbiamo l’occasione di sollevare la schiena dalla sferza millenaria degli Innominabili e dimostrare che siamo uomini!”
Tutti si batterono il torace con partecipazione. Poi il pane fu distribuito con uno dei frutti rossi che 997S aveva visto in un vaso quella stessa mattina.
“Mangiate. Il cibo rosso si chiama pomodoro. Provatelo. Ma attenti: il suo sugo lascia tracce. Mangiatelo con attenzione.” Continuò 2C.
Mentre 997S addentava con attenzione un pomodoro, arcuando il corpo per evitare che tracce del cibo cadessero sul mantello, 2A, capo del settore scientifico del popolo, si avvicinò alla pietra imbandita e dopo avere chiesto silenzio con un autorevole schiocco di dita, iniziò la sua esposizione.
“Tante sono le cose che ci accomunano ai presunti alieni. Vi assicuro che ogni indagine biologica e biochimica ha dimostrato già da centinaia di migliaia di anni che esiste una appartenenza genetica alla stessa specie. Poche sono le cose che ci differenziano. Sono legate a caratteristiche minime come il colore degli occhi, dei capelli, dei pigmenti cutanei, della struttura fisica. Tutti gli organi sono esattamente li stessi, anche gli antigeni dei gruppi sanguigni. Perciò la conclusione necessaria di queste analisi é che siano umani come noi. Noi ce ne nutriamo da millenni, forse questo é un abominio. Ora che abbiamo aperto gli occhi dobbiamo agire per ribaltare la situazione. Grazie per l’attenzione. Lascio
la parola al molto reverendo 3M, secondo nella gerarchia del tempio.”
Coperto da una candida tonaca, l’anziano sacerdote si avvicinò al centro della sala.
“Forse non sapete che la nostra professione di fede prevede anche la posizione di studiosi di storia. Ebbene, la sola cosa che posso dirvi è che mi vergogno di appartenere ad una umanità strumentalizzata che ha commesso nel corso dei millenni crimini di inaudita ferocia e continua a commetterne tutti i giorni cibandosi del corpo di fratelli e sorelle. Credetemi la sola possibilità che abbiamo per redimerci è quella di combattere chi ci ha costretti alla schiavitù più abbietta: gli Innominabili. Poco sappiamo di loro. La maggior parte delle notizie sono generiche e prive di fondamento storico: servono solo ad attrarre l’attenzione per paura di un popolo povero di idee. Io vi dico: combattiamo insieme!”
Il rumore dei toraci percossi in totale approvazione era simile a quello degli antichi tamburi da battaglia. Riprese la parola il molto venerabile 2C.
“Il vostro entusiasmo è il seme che germogliando ci regalerà la libertà. Do per scontata la vostra adesione al piano. Voglio ricordare che il tradimento significherebbe morte nelle vasche di fermentazione per tutti, anche per il delatore. Non crediate che tradire possa mettere chiunque al riparo da ritorsioni. Anzi! Voi sapete troppo e rappresentate un pericolo per l’ortodossia. Quindi attenzione, seguite il vostro cervello e il vostro cuore e che la paura non vi ottenebri la mente. Ora veniamo alla prima parte del piano. Tre navi inviate da 3,14 sono tornate senza personale a bordo. Il supremo e i suoi collegati, brancolano nel buio. Sta però organizzando una ritorsione contro un sistema abitato da esseri senzienti di grossa taglia fisica, dall’aspetto animalesco, ma dalla squisita creatività, almeno secondo me. Invierà duecento navi da battaglia con centomila guerrieri. Lascerà, come al solito, morte e distruzione. Il nostro compito è quello di combattere, non dall’interno, perché i numeri alti sono
biochimicamente succubi, ma dall’esterno con l’aiuto degli umanoidi e degli altri alieni che stiamo combattendo. Invierò perciò, una nave in esplorazione per cercare il loro aiuto e informarli dei piani che il supremo 3,14 istigato dalle creature Innominabili, sta mettendo in atto. Sono certo che 997S raccoglierà la sfida e si renderà disponibile al piano.”
Poi, fissando con insistenza il malcapitato riluttante volontario, attese un suo cenno di assenso. Il giovane comandante si guardò attorno con freddezza mentre l’ansia lo divorava come un branco di rabal inferociti dal digiuno. Non poteva altro che accettare. Così tirato un forte sospiro di accettazione, pronunciò la parola che tutti attendevano.
“Accetto! Molto venerabile 2C, sarò il tuo uomo.”
“Bene. Ora vi espongo il piano per sommi capi. Partirai con una delle nuove navi classe verde acido, giallo quattro. L’equipaggio e il personale combattente sarà composto da consueti numeri sopra il milione. Porterai con te, come ufficiali di secondo e terzo livello, dieci promettenti giovani già cooptati all’operazione. Il tuo secondo sarà il qui presente 1015S. Una femmina alta e flessuosa leggermente meno androgina della media si avvicinò a 997S.
“E’ un onore conoscere il Designato, 997S.” Gli disse tendendo entrambe le mani con le palme rivolte all’insù.
Dopo aver risposto al saluto, il giovane comandante, si rivolse agli anziani venerabili che gli stavano di fronte.
“Come potrò avvicinare gli alieni con sicurezza avendo a bordo parti di loro
simili in qualità di cibo? E poi l’equipaggio, il rapporto milletrecento a dodici è svantaggioso. E poi…” Il capo del settore scientifico 2A, interruppe l’enumerazione dei dubbi di 997S e intervenne con tono deciso.
“Quanto al cibo, simuleremo il caricamento dei semoventi di fermentazione, senza realmente caricarli a bordo. Nello stesso modo, e per il motivo che tu hai anticipato, non sono stati istallati a bordo gli erogatori automatici di cibo: non farebbero buona impressione presso gli alieni.
L’equipaggio, con una diversa dieta, potrà, nel corso del viaggio, eliminare le molecole tossiche di inibizione comportamentale, e ricominciare a rappresentarsi la realtà con mezzi autonomi. Tu saprai informarli al momento opportuno e nel modo migliore possibile. Ti apriremo un portale ai margini dell’ammasso stellare in cui abitano gli alieni. Da lì, senza fretta, ti avvicinerai alle zone precedentemente abitate da loro, lasciando tracce evidenti del tuo aggio. Dopo il contatto, saprai certamente farti ascoltare da loro, e metterli in guardia.”
“Ho ancora un dubbio, molto venerabili. Cosa mangeremo durante la missione?”
2A gli rispose con un sorriso.
“Questa mattina, nell’alloggio di 2C, hai assaggiato il pane e i pomodori. A bordo verranno caricate razioni composte da pane in forma appiattita, coperto da pomodoro a pezzetti e fagioli lag, che sono prodotti selvatici della foresta pluviale segretamente coltivati da almeno milleduecento cicli planetari completi. Hanno un ricco contenuto in sali minerali, vitamine e soprattutto, proteine. Una dieta composta nel modo descritto, non sarà più monotona di quella solita, e avrà il vantaggio di essere naturale e priva di carne di esseri senzienti.”
“Ho un’altra domanda. Scusate la mia impertinenza. 1015S ha pronunciato la parola ‘Designato’. Vorrei sapere cosa abbia a che fare con me.”
L’anziano mentore 23C, gli si avvicinò, e ,dopo aver posto entrambe le braccia sulle sue spalle, guardandolo fisso, gli disse: “Sei il figlio naturale di 3,14. So che nessuno conosce i propri genitori a causa delle scelte casuali messe in atto dai sacri elaboratori, ma era scritto che ‘Un giovane, discendente da una parte di circonferenza, saprà elevarsi dal fango primordiale e salire all’olimpo per scacciare i fantasmi della trasformazione contro natura.’
Tu sembri essere quel giovane che le antiche tavolette, descrivono. Almeno così tutti noi speriamo ardentemente e che il momento del riscatto giunga presto. Vai, e che tu possa raccogliere insieme al riscatto, gloria e onore.”
337A, gli si avvicinò e dopo averlo preso per un braccio, lo spinse gentilmente ad abbandonare la riunione. Li raggiunse 1015S, e assieme lasciarono i piani alti della città.
PARTE TREDICESIMA
1. Sistema solare di Gliese – Martin I – Comando planetario – 11 febbraio 2032.
Vaadak, poteva dirsi soddisfatto. L’opera era compiuta. Certo, mancavano molti particolari secondari da terminare, ma era un fatto assodato che oltre quattrocento milioni di glamark avessero lì trovato una nuova casa assieme a oltre duecento milioni di umani.
“Vedi Ashakiran, qui il panorama è meraviglioso. Questa alta torre è simile a quella del centro di comando e controllo di Marak 4, distrutta dagli esterni. Guarda che panorama. Non è stupendo?” Le disse con tono incantato indicando il lontano orizzonte che si estendeva al di là degli spessi cristalli di protezione della sala consiliare. Asha dovette ammettere fra se che la vista fosse suggestiva. Certo, l’India e la verde terra erano un’altra cosa. Mai avrebbe fatto trapelare il suo pensiero ribaldo: teneva troppo all’amicizia del vecchio e puntiglioso glamark. Davanti ai suoi occhi, a cinque chilometri dal cristallo che la separava e proteggeva dal vuoto di un pianeta con scarsa atmosfera a base di gas inerti e idrocarburi diversi, un labirinto intricato di creste rocciose, intervallate da profonde spaccature, si stendeva fino all’orizzonte. Tratti di cristallo riflettevano la luce rossa del lontano sole, e si connettevano a cupole scintillanti nella luce dell’alba. A causa dell’orografia totale che corrugava la superficie del pianeta, si era preferito per il trasporto di merci e persone, oltre ai mezzi aerei, praticare gallerie nelle creste rocciose e di connetterle con tunnel di cristallo a totale condizionamento ambientale. L’intelligenza artificiale che si chiamava Mama 124, presiedeva al controllo delle funzioni di sopravvivenza, manutenzione e di difesa.
“E’ uno spettacolo meraviglioso, Vaadak. Indimenticabile. Anche Martin ne è stato compiaciuto. Marie Soleil, poi, ti porta sempre ad esempio di efficienza e di duro lavoro. Bravo!” Il grosso glamark gongolò alle lode della piccola umana, in avanzato stato di gravidanza.”
“Sai Asha, quando vedo quello che abbiamo costruito in poco tempo, la sua essenzialità e anche, perché no, la sua bellezza, vengo rapito dalla fantasia. Come si chiama quel tipo di arte tecnicamente semplice che i piccoli imparano nelle classi primarie? Quella con i colori che si tingono e stingono con semplice acqua?”
“Acquarello?” Gli rispose Asha con tono interrogativo.
“Si. Esatto. Acquarello. Vedi, noi siamo come l’acquarello: è un dipinto di colori meravigliosi che si stingono sotto un semplice getto d’acqua. Ma non solo l’impatto artistico è fenomenale, anche cancellarli completamente è difficile, perché i colori penetrano la trama della carta. Non vi si sovrappongono semplicemente come in altre metodiche. Voglio dire che abbiamo la caducità apparente dell’acquarello ma che siamo ugualmente difficili da cancellare completamente.”
“Ho colto il tuo pensiero saggio Vaadak. Guarda anche tu. Il cielo che si tinge di rosso, verde e indaco: non sembra un acquarello con il pianeta intero come tavolozza? E’ un simbolo forte, devo raccontarlo a Martin!”
“Bene giovane Asha. Seguimi ora agli ascensori, non devi affaticarti tuo figlio sta per nascere.”
I due si diressero quietamente alla piattaforma ascensore trasparente che portava alla base della torre, offrendo ai eggeri una visione panoramica mozza fiato. Mentre si trovavano a circa metà del percorso, il TDC di Ashakiran attirò la sua attenzione con un jingle anni sessanta del secolo precedente.
“Martin, richiede subito la tua presenza Asha.” Disse la voce di Mama 124 attraverso il terminale.
“Abbiamo ricevuto da una torpedine del sistema di allerta, la notizia che una nave degli esterni si sta muovendo allontanandosi dal sistema Solut, senza dissimulare la propria presenza, anzi lasciando tracce evidenti. Quasi volersi far tracciare da noi.”
Asha e Vaadak raggiunsero rapidamente la sala controllo dove Martin aveva interrotto la lezione di storia alla figlioccia Maa, per consultare con attenzione i dati strategici ottenuti da Marte e prontamente ritrasmessi.
“Non so spiegarmelo. Potrebbe essere una trappola. Stavamo aspettando almeno duecento navi e invece ne giunge una sola, grossa, ma una sola. E nel sistema sbagliato. Non ci resta che vedere le carte che ha in mano. Manderemo una sola nave. Il comandante Pasqua con la Victory affiancato da un equipaggio di soli zero. Saranno sufficienti a contenere e rintuzzare qualsiasi tentativo di attacco. Lanciamo anche altre dieci navi che terremo ad un rak di distanza, pronte a intervenire in caso di bisogno.” Detto questo sia avvicinò alla moglie, e, con tenerezza, le posò una mano sull’addome teso.
“Non manca molto. Vero?”
“Poco più di una settimana. Non preoccuparti nostro figlio sta bene. Ha un potenziale mentale formidabile, almeno come noi due e non vede l’ora di conoscere suo padre. A proposito hai deciso il nome?”
“Ecco vedi cara, come sai ho promesso a Goo che sarebbe stata madrina di nostro figlio. Trovare il nome spetta a lei. Non mi ha ancora fatto sapere nulla. E’ in giro esplorativo e di addestramento con una flotta di trenta navi, e non sarà di ritorno prima di un mese. E’ un bel problema, non possiamo lasciare il bimbo senza un nome. Non avere nome è come non essere riconosciuti. Mio figlio non sarà mai un semplice numero,”
“Papi Martin, ascoltami.” Bisbigliò la figlioccia Maa. “Mia madre mi ha dato il nome: Kaksas XXXII.”
Rise alle espressioni stupite dei genitori del nascituro e aggiunse.
“La mamma sa che si tratta di un nome insolito anche se di stirpe gloriosa e allora…”
“Allora?” La incitò Martin.
“Allora ha pensato ad un secondo nome più consueto: Napoleon. Che ne dici Asha, ti va?” Chiese con apprensione.
“Certo che mi va. Eccome. Suona anche bene: Kaksas XXXII Napoleon Haim. Sembra quasi lungo come un nome della mia nativa India. Non dispiacerà a Goo se effettueremo un ulteriore taglio. Napo, potrebbe andare bene.”
Martin intervenne con decisione, prima che la scelta degenerasse verso un nome che il piccolo avrebbe portato come un peso.
“Meglio l’altra metà del nome, Asha: Leone. Nobile fiera delle steppe africane. Il mito lo associa a forza, lealtà e coraggio indomito, anche se la realtà naturale è spesso ben diversa. Si. Sarà Leone. Mi piace. Ora vogliamo occuparci delle sorti dell’universo? Sono un tantino preoccupato.”
La sala comando esplose in risate e sbuffi di ilarità a seconda della specie. Il siparietto famigliare era molto piaciuto a tutti.
2. Spazio interplanetario presso il sistema Solut – 24 aprile 2032.
La nave stellare che 993C aveva segretamente battezzato Lal, a ricordo della donna scomparsa da lui amata profondamente, si muoveva fuori dal sistema Solut, da loro conosciuto con un nome in codice numerico duo duo decimale, dal numero di dita, ventidue, che, si diceva in segreto, fossero sugli arti degli Innominabili. L’equipaggio, dopo trenta giorni di dieta diversa, aveva cominciato a prendere coscienza di sé. Il comandante, modificò i rituali di bordo per dare una sensazione di libertà, mai provata prima, al personale di bordo. Socializzare divenne la carta vincente per recuperare uomini e donne alla causa. In breve, l’entusiasmo serpeggiò per il lungo scafo da prua a poppa, L’unico timore condiviso, stava nella temuta reazione degli umani sui loro vascelli da guerra. Anche il nuovo e saporito cibo aveva incontrato il plauso incondizionato di tutto il personale.
“Comandante, ci siamo. I nemici sono nel raggio dei nostri scanner.”
“Secondo, non chiamarli nemici. Dobbiamo confidare in loro piuttosto che temerli. Vedrai andrà tutto bene.”
Accese il pulsante che lo metteva in comunicazione con ogni compartimento della grande nave lunga cinque chilometri.
“Uomini e donne della nave Lal, abbiamo finalmente un contatto. Non temete. Siamo al sicuro. Che nessuno attivi sistemi di difesa o di offesa. Dobbiamo procedere senza offrire a loro alcuna occasione per attaccare. Calcolate un vettore nella loro direzione e procediamo a bassa velocità.”
A bordo della nave Victory il comandante Klaus Pasqua mosse la testa agitando le corte treccine che aveva intrecciato con fili di rame.
“Finalmente si sono accorti di noi. Devono avere un sistema di rilevazione che funziona a carbonella.”
Tonal gli segnalò immediatamente il cambiamento di rotta del nemico. “Apro i portelli Klaus?” Gli chiese sollecita l’IA.
“Non ancora, Tonal. Lasciali avvicinare. Lancia un impulso radio. Che so, una sequenza casuale di numeri primi, per esempio. Se non hanno ancora attaccato ci deve essere sotto qualcosa. Tutto l’equipaggio pronto. Al minimo sentore di pericolo attaccate con la forza mentale. Avanti così.”
Le due navi con cautela estrema giunsero a pochi chilometri l’una dall’altra senza che alcuno si fe prendere dalla smania di premere il grilletto.
“Comandante, ci stanno bersagliando con segnali radio. Sono numeri primi in sequenza casuale. Forse ci stanno chiamando per nome.” Disse 1015S.
Intervenne l’ufficiale scientifico 337A. “No. E’ solo un modo di comunicare. Loro hanno nomi lunghi diversi, fatti da consonanti e vocali. Anche gli altri alieni di aspetto bestiale. Consiglio di rispondere con i numeri di una progressione geometrica ad esponente cinque, per esempio. Se poi rispondessero, potremmo are ad un contatto voce e video.”
Sulla Victory l’attesa era spasmodica. “Klaus, stanno inviando una progressione numerica. Non sembrano avere intenti ostili. Cosa comandi?” Chiese Tonal.
Rivolgendosi agli zero dell’equipaggio presenti in plancia, il comandante Pasqua chiese conferma sull’istinto ostile del nemico. Ricevendo una risposta tranquillizzante comandò: “Tonal, dammi un canale audio e video normale. Voglio provare a comunicare con loro.”
La gioia serpeggiò sulla nave Lal. Il nemico stava rispondendo senza manifestar intenzioni ostili. 997S si raddrizzò davanti all’immagine sullo schermo che offriva di rimando un uomo dalla pelle scura con una buffa acconciatura. Il Popolo teneva i peli del capo non più lunghi di un centimetro. Questo alieno invece aveva lunghe trecce con riflessi metallici all’interno. Richiamando alla mente le parole raccolte dall’amata che non avrebbe mai potuto dimenticare, 997S lanciò nell’etere una lista di vocaboli in lingua standard, nella quale il più ricorrente era la parola amore. Altri vocaboli non erano identificabili, altri invece si riferivano all’anatomia maschile e femminile.
Le risate squassarono i ponti della Victory. “A tutto l’equipaggio, dal comandante. Gli esterni ci amano. Udite! Udite! Il problema è che danno anche l’idea di volere amore fisico. Non so neanche che faccia abbiano. Prima di acquistare a scatola chiusa vorrei accertarmi della compatibilità.” Aggiunse ridendo. Finalmente Tonal riuscì a ottenere una immagine video dal segnale degli esterni. Fu con enorme stupore che il comandante Klaus Pasqua e l’intero equipaggio umano e glamark osservarono dei volti umani, capelli rasati, nasi piccoli, pelle bruna e occhi grandi di insolito colore chiaro. Abbigliamento non conforme ai criteri spaziali. Gli umani dall’altra parte dello schermo indossavano leggere tuniche a maniche tagliate con collo a V profonda. Sulle tute erano impressi dei simboli colorati indicanti il grado o forse il nome.
Alle spalle dell’interlocutore Klaus intravide una donna dall’aspetto veramente grazioso, si augurò di conoscerla presto.
“Visto? Che ti dicevo?” Sottolineò 337A. “Ora bisogna invitarli a bordo e trovare un modo per comunicare.”
“Va bene hai ragione. Aprite un accesso grande e illuminatelo.” Comandò 997S.
Subito la superficie intatta e continua dello scafo, come per miracolo, si discontinuò e offrì all’occhio della nave dei Sistemi Uniti un’apertura grande come un campo da tennis, illuminata a giorno da una luce giallastra.
Klaus invitò altri quattro astronauti ad indossare la tuta spaziale per superare le poche centinaia di metri che dividevano le due navi e, coraggiosamente, salire a bordo della nave sconosciuta.
“Ad un mio segnale, Tonal, scatena l’inferno. Non preoccuparti per noi, siamo tutti volontari, Non è vero ragazzi?” Gli rispose un grugnito corale di protesta. Le tute non avevano armamenti particolari, in quanto mai avrebbe voluto lasciare agli alieni le caratteristiche tecniche delle armi in dotazione. Giunti nello spazio illuminato, videro un portello al centro. Vi si avvicinarono ed immediatamente questo si aprì in maniera piuttosto convenzionale. Entrarono in quella che pareva una camera di compensazione. E attesero qualche secondo. Sentirono il sibilo dell’aria che veniva immessa nella camera e, quando i segnali dei TDC ne confermarono la respirabilità, il comandante Pasqua ordinò di aprire le tute per respirare liberamente. L’aria aveva un odore acre, insolito, ma, a parte questo, era del tutto respirabile. Il portello interno si aprì lentamente, presentando un vero e proprio comitato di benvenuto. L’uomo e la donna visti in video conferenza erano circondati da circa venti persone abbigliate come loro, con i volti illuminati dalla curiosità. L’inizio sembrava promettente. I feroci
esterni avevano un aspetto umano a dimostrare il vecchio adagio che non vi sia peggior nemico per l’uomo che l’uomo stesso. Il capo, tale sembrava, iniziò a parlare una lingua sconosciuta, con un’inflessione cantilenante. Klaus non capiva una parola, e guardando i compagni si avvide che anche loro non capivano nulla. Mantenne i TDC in configurazione stealth e chiese a Tonal se avesse qualche idea sul tipo di linguaggio parlato.
“Centro, Klaus. E’ una variante locale parlata su un pianeta periferico circa ottocentomila cicli fa. Fu uno dei primi ad essere distrutti dagli esterni. Aveva un’ampia area mineraria anche sui satelliti ed era colonizzato dai rappresentanti di almeno diciotto delle quarantadue specie galattiche. Ti mando sul display bidimensionale della tuta la grafica per i suoni da riprodurre. Non devi fare altro che pronunciare le frasi che vuoi dire e avrai immediatamente l’equivalente alieno sul display e l’eventuale traduzione di quanto detto da loro. Preferisco non fare giochi di prestigio. Questi esterni hanno un aspetto pre tecnologico. Potrebbero rimanere intimiditi se sentissero due voci uscire dalla tua bocca o peggio immagini tre D proiettate davanti a loro.”
Klaus, mentre gli alieni continuavano a parlare incessantemente, si apprestò a fare un breve discorso di benvenuto.
Fu con stupore che 997S udì l’umano parlare nella lingua del Popolo.
“Un saluto dagli umani e dai glamark dei Sistemi Uniti. Mi chiamo Klaus Pasqua e sono il comandante della nave da battaglia Victory. Vi abbiamo accolto in pace perché non avete mostrato volontà di combattere. Spero che questo sia un inizio per conoscerci meglio e appianare le divergenze in atto da tempi immemorabili. Parlare di divergenze è veramente riduttivo se riferito alla distruzione sistematica di specie intelligenti che voi avete attuato senza riguardo. Comunque un inizio è meglio di niente.”
“Grazie per il saluto. Sono il comandante di questa unità da combattimento. Il mio nome è 997S e indica il mio alto ruolo di comandante di flotta. La tua ultima affermazione è il motivo per cui mi trovo qui. Alcuni di noi sono stanchi di combattere una guerra inutile contro creature simili a noi. Ora io voglio darvi le indicazioni che ci aiuteranno a superare tutte le difficoltà del ato. Per credere a me e per accettarmi assieme agli amici che rappresento, avrai bisogno di molto coraggio e molta pazienza. Sappi solo che nessuno di noi ha responsabilità dirette. La mia razza è l’ingenuo sciocco succube di anime perverse. Ora che ti vedo, mi pento del ato. Vieni amico, seguimi per favore nell’area ristorazione. Rifocilliamoci. Klaus seguì con i suoi uomini gli umani della nave attraverso larghi aggi che portarono ad una grande sala nella quale venivano evidentemente consumati i pasti.
Con contatto mentale chiese agli zero che lo seguivano se avessero indicazioni su doti mentali degli esterni.
Confortato dalla risposta negativa e dal fatto che i presenti anche se attivati, sarebbero oscillati dal livello dodici al livello venti, si dispose di buon grado a prendere posto ad una grande tavola centrale. Dalla parte centrale della tavola uscirono dei piatti fumanti su vassoio, contenenti quella che sembrava pizza di infimo ordine. Si dispose con un sorriso ad addentare il cibo caldo, mentre gli esterni lo osservavano con apprensione. Ne prese un pezzo con le mani e dopo aver annusato un profumo di cartone bagnato, con un volteggio lasciò cadere la presunta pizza sulla lingua. Trattenendo un urlo di dolore per l’elevata temperatura, sembrava lava al punto di fusione, masticò con energia. Se l’odore non lasciava presagire nulla di buono, il sapore era anche peggio. Klaus immaginò le anime dei creatori della pizza tormentarsi dal dolore per il figlio illegittimo che veniva spacciato per originale.
“Buono! C’è anche il pomodoro, E cos’è questa verdura marrone che ricopre la pizza?” Chiese con curiosità mentre gli altri quattro si ingegnavano per far finta di mangiare.
“Pizza?” Gli rispose 997S. “Di cosa si tratta Klaus?”
“Scusa pensavo che fosse pizza, E’ molto diffusa in tutto l’universo conosciuto e sconosciuto. Questa è una variante un po’…diversa.”
“Sono bacche ad alto contenuto proteico triturate. Appetitoso vero? Ascolta Klaus. Ricordi quando ho esordito parlando di coraggio? Premetto che noi siamo qui per aiutare e vogliamo l’occasione per riscattarci se possibile. E aiutare, se vorrete.”
997S aiutato da interventi occasionali di 337A, si lanciò in un lungo discorso, ascoltato dalla Victory e dalle altre dieci navi che si erano nel frattempo avvicinate. Klaus attraversò tutti i colori dell’arcobaleno udendo il racconto, e si trattenne dal vomitare perché non sarebbe stato dignitoso. Genocidio, antropofagia, allevamento a fini alimentari di rappresentanti di specie senzienti e altre decine di orridi delitti su scala universale. Klaus pensò che, a parte l’abigeato, gli esterni si fossero macchiati di ogni reato contemplato da centinaia di codici penali di tutte le specie senzienti e consapevoli dell’intero universo.
“997S? Ti chiami così?” Chiese gentilmente Klaus.
“Si.” Rispose l’interessato.
“Cominciamo col cambiare generalità. 997 é solo un numero, un numero primo ma niente di più. Le persone da noi hanno un nome vero; tu hai la faccia da Hans. credo che ti chiamerò Hans. Per cognome che affianca il nome e consente di differenziare maggiormente gli individui, propongo Dupont. Che ne dici?”
Il neo battezzato provò e riprovò i nomi che gli erano appena stati attribuiti, e poi con un cenno di assenso confermò la sua approvazione.
“Mi sembra un buon nome! E’ un nome vero! Sono molto onorato, davvero, Klaus.”
“Non é nulla. Piuttosto ascoltami con attenzione. Il concetto di irresponsabilità, è una cosa già sentita in ato che è sempre servita per scaricarsi dalle spalle colpe pesanti.”
Tutti i presenti pendevano dalle sue labbra, non si sentiva volare un gurk, tipico insetto fastidioso della foresta pluviale che ricopriva il pianeta del Popolo per il 45%.
“Ma nel vostro caso ritengo che voi siate stati tenuti al buio come i famosi funghi nel vivaio, con parallela copertura di letame. Resta però aperta da risolvere la prigionia di milioni di umani, tenuti come bestiame e utilizzati a fini abietti. Per il momento lasciamo il tutto in sospeso. Il comando terrà sicuramente conto della vostra disponibilità. Ora è il momento di tornare a casa. Lascerò a bordo i miei compagni, che sono assolutamente in grado di controllare la situazione nel caso sorgessero problemi e impostare le coordinate di navigazione verso casa.”
Detto questo, ordinò telepaticamente ai compagni di attivare i propri TDC, che si resero visibili suscitando forte impressione negli umani esterni. Il monitor bidimensionale della nave aliena mostrava, comunque, l’incombente presenza delle altre dieci navi che minacciosamente vigilavano lo spazio circostante.
“Non avrai problemi con me Klaus. Voglio solo collaborare. Devo anche darvi tutti i dati che possono essere utili per resistere al prossimo imminente attacco.”
“Abbiamo due settimane di navigazione per questo...Hans.”
Il comandante Pasqua lasciò la nave Lal, nuova recente acquisizione dei Sistemi Uniti, e ordinò di iniziare la rotta
di rientro.
3. Marte - Novaterra - Centro di comando - 22 maggio 2032.
Le navi erano rientrate nel sistema solare precedute da una
torpedine spaziale nella quale erano stati caricati i dati forniti da Hans Dupont, già 997S, e al loro arrivo trovarono un ambiente in fibrillazione per le novità accadute. Un migliaio di astronauti alieni furono sistemati in un campo di contenzione e rieducazione nei pressi di Mombasa in Kenia. Il clima, piovosità a parte, era abbastanza simile a quello di casa. Furono inquadrati in classi per subire una necessaria rieducazione sotto il vigile controllo di umani e glamark di alto livello mentale. I grossi glamark suscitavano terrore in tutti gli alieni indistintamente. Ma lentamente, quando i neo umani recuperati, cominciarono a capire che vivevano in un altro ambiente con diverse coordinate morali ed etiche, si adeguarono alla nuova vita e anche ai giganteschi ma amichevoli glamark.
Adeguandosi alla consuetudine di riunioni plebiscitarie tanto apprezzate dai glamark, Marie Soleil invitò il centinaio di esterni rimasti su Marte, a presentarsi davanti alla platea del grande anfiteatro marziano di Novaterra. Erano stati fatti accomodare sulla piattaforma centrale, sotto i molti occhi di tutti i presenti umani e glamark.
Dalla gradinata inferiore, assiepata da tutti i notabili dei Sistemi Uniti, Marie Soleil si rivolse alle creature di un’altra galassia. La folla, come nelle occasioni veramente importanti, mostrava la massima attenzione. Sotto la gigantesca cupola cristallina, l’unico rumore era rappresentato da quello delle pompe automatiche per il condizionamento ambientale.
“Siamo qui formalmente, per chiedere a tutti voi di entrare a fare parte del nostro mondo e della nostra lotta. Il ato, che non si può attribuire a vostra responsabilità diretta, sarà solo un problema per la vostra coscienza. Analoga cerimonia viene tenuta in diretta anche sulla terra. Volete ritornare a fare parte dell’umanità, con tutti i vantaggi e le responsabilità che questa scelta comporta? Siete disposti a dare la vostra vita per tutti i fratelli e le sorelle dimenticate nel vostro crudele pianeta?”
Il volto serio di Marie Soleil giganteggiava sopra la folla riunita nell’anfiteatro e incombeva sopra il centinaio di umani esterni, rispettosamente i piedi durante la cerimonia del giuramento. Ascoltavano rapiti la donna che aveva il loro destino nelle proprie mani, e, dopo un istante, senza esitazione urlarono tutti la propria entusiastica adesione.
Successivamente si tenne una riunione di programmazione e pianificazione alla sede dl comando.
Martin esordì complimentandosi con gli umani recentemente acquisiti alla causa. E iniziò a prospettare il piano che stava studiando giorno e notte, durante la quale restava sveglio a causa delle necessità del piccolo Leon che aveva confuso il buio della notte marziana con con il giorno illuminato dal sole.
“Attenderemo, come programmato, che le navi nemiche distruggano il sistema gramalk, per trovarvi indicazioni verso il sistema marak, nel quale, Dio volendo, ci libereremo per sempre della minaccia. Il problema é complicato dal fatto, che la simpatica congrega di antropofagi, è costituita da umani in tutto e per tutto simili a noi. Una specie senziente abusata da questi Innominabili dei quali sappiamo solo ciò che sanno Hans e i suoi compagni: poco o niente. Le navi non possono essere salvate, una diversa impostazione metterebbe tutti in pericolo e ci esporrebbe a rischio di distruzione. Non dimenticate che il livello tecnologico sebbene sia tenuto volutamente al di sotto degli standard è, comunque, per quantità di risorse, sufficiente per spazzarci via, o per crearci problemi di
sopravvivenza. Quindi si vada avanti come programmato.”
“Pensavo, Martin, invece, ad una specie di cavallo di Troia riveduto e corretto.” Intervenne Ashakiran, con astuzia femminile.
“Abbiamo risorse aliene utilizzabili, come sei esoscheletri da combattimento, una nave da battaglia di dimensioni ragguardevoli, una navetta che possiamo riadattare e personale volontario che conosce quel mondo dal quale proviene.”
“I portali!” Intervenne Marie Soleil. “Asha cara, sono impossibili da attivare senza codici. Non riusciremmo mai a trovare il punto di arrivo. Ora che abbiamo identificato la galassia di provenienza, sappiamo anche che è troppo lontana per le consuete transizioni, anche per quelle a lunga distanza. E’ Impossibile.”
Un silenzio meditativo scese sulla riunione.
Hans, che sedeva accanto al nuovo amico Klaus Pasqua, si alzò in piedi e, con deferenza, chiese la parola a Marie Soleil.
“Abbiamo le coordinate di alcuni nodi intergalattici, prossimi al nostro ammasso stellare. Con quei codici arriveremmo vicino a sufficienza da poter usare la propulsione relativistica solita. Se partissimo subito potremmo arrivare nel sistema fra un anno circa da oggi, quando cioè, le due fasi pensate da Martin saranno completate. Se andrà tutto come programmato, avremo la possibilità di liberare il nostro sistema. In difetto non farà differenza perché avremmo comunque perso e dovremmo fronteggiare duemila navi da battaglia e vi risparmio i dettagli sugli altri armamenti di offesa che avremmo contro.”
“Si può fare!” Esclamò Martin.
“Questo però, significa che io dovrò rinunciare a coordinare l’attacco delle nostre navi al termine della seconda fase.”
“Farò in modo che non si avverta la tua mancanza, ammiraglio in capo.” Disse convinta Goo. “Distruggerò i nemici, o quello che resterà di loro, per te Martin. Terrò anche d’occhio il piccolo Leon, perché Asha deve essere della partita. Voi due insieme rappresentate un rilevante potenziale bellico. Solo così potrete riuscire. Voglio spingere la proposta di Asha riguardo al cavallo con dentro gli Achei, ho studiato come vedi anche le vostre noiose leggende, Martin, consigliando di modificare delle navi almeno altre quattro, per farle sembrare aliene. Che ne dite?”
“Kadat, provvedi, ti prego, a organizzare quanto esposto.” Disse Martin soddisfatto. E aggiunse, sempre rivolto a Kadat.
“Tempo previsto?”
“Dieci giorni standard, al massimo. Dando priorità ai cantieri. Mi piace lavorare sotto pressione, Martin.” Rispose Kadat.
“Ora vi lascio ai dettagli del personale, cari ragazzi e ragazze. Devo occuparmi delle navi.”
Detto questo Kadat, spense la grafica che indicava la sua presenza, lasciando ad Ares il compito di gestire le richieste dei convenuti, per provvedere alle navi e al calcolo della rotta.
4. Sistema Gramalk - Flotte Gialla e Blu - Nave 1 - 6 ottobre 2032.
La grande flotta di duecentottanta navi da battaglia, aveva riempito lo spazio interplanetario del sistema. Tanti ospiti indesiderati occupavano uno spazio vuoto, senza vita. Gli scanner delle navi spazzavano con attenzione morbosa ogni metro dei satelliti e dei pianeti, senza ignorare i rifiuti spaziali abbandonati nel vuoto, completamente inerti. Non vi era traccia di attività alcuna. Il comandante in capo, designato da 3,14 in persona, il valoroso 269S, era sempre più nervoso. Il nemico, codardo, non si mostrava disponibile alla battaglia. Voleva a tutti i costi una schiacciante vittoria per accontentare il Supremo e godere dei premi elargiti generosamente: l’ambita, compagnia femminile soprattutto.
“Notizie, datemi notizie. Subito!” Impose con prepotente arroganza il comandante. Nulla turbava la superficie dei monitor della flotta. Era come se il nemico fosse fuggito. Avevano bisogno di riempire le vasche dei fermentatori mobili, altrimenti il Supremo si sarebbe infuriato.
“Avanti, ordine a tutte le navi di schierarsi ad una unità di distanza dai primi sei pianeti. Poi sbarcheremo le truppe di fanteria.”
Nelle ampie e disadorne zone residenziali, la fanteria, ricevuto l’ordine, si preparò ad indossare le tute da combattimento, che venivano applicate a ciascun soldato, dall’esterno, in una opportuna cabina di vestizione. Analogamente, per rimuovere le tute, era necessario rientrare nelle cabine di vestizione dove apparati meccanici disattivavano le tute e ne consentivano la rimozione.
Gli scanner evidenziarono, finalmente, tracce di vita biologica presso le città del
sesto pianeta. Con gioia, per la vittoria imminente, 269S, ordinò l’attacco preventivo con armi medio piccole, per consentire alle fanterie di are al pettine le superfici planetarie.
L’istante atteso era finalmente arrivato. La semplice memoria della rete neurale lasciata a presiedere e controllare le armi offensive e difensive dell’intero sistema, diede il via alla risposta programmata. I rifiuti spaziali, si animarono e attivarono mine e torpedini, dirette in grande numero verso le unità nemiche. Dalle profondità dei pianeti e dei satelliti i lanciatori misero nello spazio proiettili a guida iva verso il nemico, mentre proiettori di radiazioni agirono sulla breve distanza polverizzando gli attaccanti. Più di diecimila oggetti erano stati posti nello spazio allo scopo semplice di distruggere i bersagli designati. Terminata la fase di attivazione la rete neurale si autodistrusse, per non lasciare indicazioni utili al nemico che utilizzava componenti elettroniche rudimentali. Si sarebbe probabilmente ottenuto un risultato del 95% di bersagli distrutti se non fosse che una parte importante dei sistemi offensivi era stata calibrata per avere basse velocità e consentire una facile intercettazione e distruzione, altri erano regolati per autodetonare lontano dal bersaglio, altri ancora erano innescati ma resi inoffensivi. Comunque nei primi convulsi minuti più di duecento navi vennero distrutte e con esse anche tutti gli uomini a bordo, vittime sacrificali della insensata e astrusa volontà degli Innominabili. Anche la nave di 269S venne distrutta spegnendo per sempre le sue cruente ambizioni. 857S si trovò così al comando e, pregustando il merito della vittoria e insieme temendo di essere ritenuto in parte responsabile delle perdite, ordinò la distruzione totale dei pianeti, di ogni entità biologica e di ogni struttura con la parvenza di essere stata costruita da esseri senzienti. Il sistema venne messo a ferro e fuoco. Su Ter6 ogni edificio venne distrutto con meticolosità e negli ampie zone desertiche i vermi tanto apprezzati dai glamark, si ridussero a una teoria infinita di grossi arrosti fumanti. Non poteva sfuggire, però, la struttura protetta sul satellite Antony, nella quale, 857S vide il proprio riscatto sociale e motivo di crescita: forse un nome nuovo di valore numerico più basso. Furono raccolte indicazioni, in parte cancellate, nella memoria del sistema informatico lasciato li allo scopo di fuorviare il nemico, che puntavano il dito verso un pianeta del sistema solare di Marak, già conosciuto dal Popolo e già visitato in ato: vi avevano raccolto molti campioni biologici e ampie varietà di specie commestibili, umani compresi. Soddisfatto del risultato, 857S, ordinò alle settantasei navi sopravvissute di raggrupparsi e di procedere verso il vicino portale. Quello che
gli avrebbe riservato il destino sarebbe dipeso dal capriccio del Supremo. “Speriamo che sia di buon umore!” Pensò 857S.
5. Orlo galattico – Flotta dei Sistemi Uniti – 6 ottobre 2032.
Le cinque navi avevano raggiunto e attivato un portale di cui avevano le coordinate. Tanto era stato lungo il viaggio sino al portale, tanto era stato breve il aggio attraverso il portale. A parte un lieve senso di irrealtà, dovuto alla totale assenza di segnali sui display delle navi, il aggio era stato privo di qualsiasi emozionante evento. Esso era avvenuto a propulsione inattiva salvo che per le attività di bordo. La spessa, oscura caligine, aveva risucchiato le navi con la facilità con cui si inghiotte un’oliva, senza dare tempo ad alcuno di preoccuparsi per la propria sorte. Neanche dieci minuti e le navi, risistemate allo scopo di apparire navi degli esterni, erano riapparse nello spazio intergalattico, dove abitava la vuota assenza di corpi celesti. La galassia vicina, mostrava la sua suggestiva sagoma a spirale, mentre gli altri ammassi stellari erano lontani punti luminosi, identificabili per quello che erano solo con ingrandimenti telescopici.
A bordo della Lal, riallestita all’interno per fornire maggior confort, e maggior protezione, Martin stava valutando la situazione tattica con Hans. Gli alieni erano stati distribuiti equamente fra tutte le cinque navi, non per fidelizzare la loro partecipazione alla missione, quanto per avere equamente distribuite le conoscenze del territorio nemico.
“Pochi giorni a propulsione relativistica, Martin, poi attiveremo un portale in disuso da migliaia di anni. Non preoccuparti, si tratta di tecnologia di basso profilo rispetto alla vostra, ma è efficiente e duratura: è predisposta per menti non molto informate, o meglio, disinformate.”
Le altre navi, tutte di grosse dimensioni per reggere il possibile confronto con quelle che simulavano di essere, erano, oltre alla Lal, la Trota Ruggente, ata al comando di Klaus Pasqua, il Persico Sfuggente, il Cefalo Stordito e l’Aguglia Malandrina. Dovevano i loro buffi nomi alla neonata ione di Goo, per la
pesca. Dalle acque dei torrenti canadesi, la simpatica gramalk, era ata alle acque costiere del Mediterraneo. L’attività hobbistica che si era scelta, le dava enormi soddisfazioni, fornendole allo stesso tempo, irritazione e rabbia. Gli strani abitanti dei mari e degli oceani terrestri non ne volevano sapere di partecipare alla gioiosa attività della corpulenta pescatrice, e, diffidando delle esche spesso errate da lei usate, continuavano la loro beata attività natatoria ignorando i richiami pressanti di Goo. Gli scafi erano stati coperti con placche nere, e sagomate per modificarne il profilo e farle apparire come le sgraziate navi aliene. Nello spazio il concetto di grazia e di aerodinamicità non esiste, tuttavia i progetti delle varie specie, avevano incoraggiato l’ergonomia riuscendo a creare strutture non solo semplicemente funzionali, ma spesso gradevoli alla vista. Dopo tre giorni di viaggio nello spazio sconosciuto, fidandosi delle coordinate fornite da Hans, rilevarono il desiderato radiofaro del portale.
“Dopo questo spostamento, giungeremo nei pressi dell’ammasso stellare di cui fanno parte i due sistemi, superiore e inferiore, abitati da noi e dagli Innominabili. I protocolli di comunicazione devono cambiare. Dobbiamo evitare i contatti radio fra le navi, che devono muoversi all’unisono come da comando perentorio e inequivocabile.
E’ importante superare le barriere costituite dai lanciatori automatici posti a difesa del pianeta. Sono quattro, a circa centomila chilometri dalla superficie, due sopra ciascun polo, e gli altri due alla stessa distanza nella zona equatoriale. Effettuano un riconoscimento digitale e visivo delle unità in avvicinamento e, se non viene inviato un codice di riconoscimento a matrice tridimensionale, non lasciano il tempo di un respiro e sparano.”
“Bene Hans, dobbiamo eliminare le minacce prima di avvicinarci alla quota più bassa da cui lanceremo le navette per sbarcare il personale. In questo modo, però, attiveremo le difese di superficie, e non è quello che voglio.” Intervenne Martin.
“Non esiste questo pericolo, Martin. La lontananza è sempre stata la difesa più accreditata. A terra, al massimo, troveremo truppe che si muoveranno di libera iniziativa, a meno che non si faccia credere di essere truppe di rientro dopo una battaglia. Bisogna sperare che la fase due del tuo piano sia andato in porto altrimenti, avremo in area di parcheggio fra il pianeta casa e il penultimo, alcune migliaia di navi in assetto da battaglia.”
Asha si avvicinò a Martin e dopo avergli appoggiato le mani sulle spalle, lo confortò.
“Ce la faremo. Lo sento. E nel caso trovassimo un comitato di benvenuto troppo nutrito, potremo sempre disimpegnarci prima di correre rischi inutili. Anzi programmiamo fin da ora una via d’uscita, che ne dite?”
“Come al solito hai buon senso, Asha. Si. Prepariamoci, abbiamo ancora sei o sette mesi di navigazione per pensare ai particolari.”
A bordo della Trota Ruggente Klaus Pasqua stava tubando amorevolmente con il suo ufficiale in seconda Maria Sanchez, già 1015S.
“Non avrei dovuto portarti a bordo con me Maria!” Esclamo Klaus con evidente rammarico nel tono di voce.
Maria lo guardò con gli enormi occhi chiarissimi, e con l’affetto che provava per lui lo tranquillizzò.
“Non dispiacerti. Siamo due professionisti in missione, da quando ho scoperto il mondo dei sentimenti, prima sopito dalle droghe, ho capito che non potrei vivere senza amore.”
“Aha, ma allora ami l’amore, non il vecchio Klaus. Uscirò di scena lentamente senza darti pensiero alcuno.”
“Non fare l’idiota, Klaus. la ragazza parla sul serio e ti vuole bene, anche se hai dei riccioli orribili.” Lo redarguì l’intelligenza artificiale Tobiya.
“Spia, guardone. Non riesco ad avere privacy sulla mia nave!” Esplose Klaus.
“Come se fosse possibile. Come faccio a fare finta di non sentire. Mi sembra di leggere uno stucchevole romanzo Harmony, e poi, vuoi sapere Klaus?...”
“Basta! Lasciami scherzare in pace con la mia donna, se non erro il turno di guardia tocca al primo ufficiale che guarda caso sei tu!”
“Comandante, come sai, io sono ubiquitario su questa nave. Ho così tante risorse che posso anche tranquillamente chiacchierare con te.”
“Ma io non voglio. E’ la mia cabina, fuori di qui, Tobiya!”
“Va bene, va bene, non te la prendere, a più tardi.” E poi interruppe la comunicazione borbottando e facendo in modo che si sentisse: “Che ingrato! Io
do buoni consigli e lui....”
“Tobiya ha ragione, Klaus. Io amo te, non un umano qualsiasi. La prova è che ti trovo bello. Impossibile vero?”
Il gioco continuò fino a quando scivolarono l’uno nelle braccia dell’altra.
“Ho ancora un’ora di tempo, prima di montare di guardia in plancia.” Disse Maria, sbadigliando. “Nei vecchi film ho visto che dopo l’amore molti usano quei cilindretti che si incendiano, e traggono respiri profondi sbuffando fumo. Deve essere divertente, Klaus.”
“Per niente. Io ho provato, e, sebbene le sostanze cancerogene contenute nella combustione non mi facciano nulla, ho delle resistenze efficaci essendo un livello due, mi sembrava di fumare cartone. E’ molto meglio, un cioccolatino svizzero al liquore. Ne vuoi uno?” Le disse, tendendo un piccolo incarto di stagnola.
Maria, sciolse l’incarto e dopo avere esaminato il piccolo oggetto marrone lo inghiottì masticando con voluttà. Dopo pochi istanti eruppe in colpi di tosse frenetici mentre il volto le si colorava di rosso. Klaus si fece una grassa risata.
“Non hai mai assaggiato alcool, vero, Maria”
“Non ho avuto il tempo necessario per gustare tutte le prelibatezze terrestri. E’ forte, toglie il fiato.”
“Mi spiace, non credevo potesse farti quest’effetto. Pensa che i gramalk ne bevono a damigiane di un tipo al peperoncino e senza cioccolato. Quello lo vogliono sotto forma di gelato. A parte gli scherzi, volevo chiedertelo da tempo. Mi piacerebbe conoscere le caratteristiche sociali organizzative del Popolo, e se vuoi, anche quel po’ di geografia che possa servirmi quando sbarcheremo sulla superficie, sempre che non si finisca in una nuvola di gas ad alta temperatura.”
“Sei giustamente curioso. Comincerei dalla geografia, se non vuoi visionare i dati in tre D che abbiamo scaricato nei vostri sistemi informatici. Il nostro pianeta, il quinto e ultimo del sistema solare, ha un enorme agglomerato urbano nell’intera zona equatoriale, dove si abita, a seconda dell’importanza, dai piani bassi, a quelli più elevati per numeri al di sotto di 2000. Nelle zone sub tropicali ci sono immense foreste pluviali, che sfumano verso i poli in tundra coperta da stenta vegetazione. Non abbiamo ghiacci perenni come sulla terra, il pianeta é troppo caldo. Gli allevamenti di bestiame, in cui sono tenuti in cattività i prigionieri per uso alimentare, sono nelle zone di confine presso gli accessi all’abitato. Gli spazioporti, tutti e venti, sono all’interno dell’abitato al livello 50. Lì dovremo sbarcare. I controlli informatici sono tutti sotterranei, come anche, ahimé, i centri di macellazione e le vasche di fermentazione, da cui si distribuisce l’alimento ai centri di refezione. Dobbiamo smantellare quegli orrori, Klaus. Ho incubi notturni. Non credo che dimenticherò mai. Noi, ci conosci, abbiamo tutti lo stesso simile aspetto. Pelle bronzea, capelli lisci che variano dal castano scuro a l nero corvino. E gli occhi, chiari per tutti.”
“I tuoi sono bellissimi, Maria.”
“Lascia stare, Klaus.” Si schermì Maria.
“Mancano all’appello i nomi. Sotto il duemila abbiamo un ruolo importante, in genere di comando e controllo. Possono coesistere fino a quattro uomini o donne
per ogni attribuzione numerica con una lettera che ne differenzia l’attività. S sta per soldato, C sta per amministrazione e manutenzione, A sta per dipartimento di scienza, e infine M significa reparto religione e adorazione. Di questo ultimo reparto fanno parte tutti i rappresentanti del clero abietto del culto degli Innominabili. Tutta la manovalanza militare e di o di vario genere ha nomi numerici molto elevati, con le solite lettere per il gruppo di appartenenza, salvo il clero, che non necessita di manovalanza di bassa forza.: ordina e gli altri, tutti, eseguono.”
“Quindi, se tutto va bene, balzeremo dalle navette, e incontreremo nella megacittà uomini etichettati come sacchi di patate, alcuni dei quali sono nati per comandare, superati gli umani che ci vorranno assaggiare, spero non come sushi, inattiveremo il centro comando e controllo, interromperemo così la vostra catena alimentare e successivamente occuperemo l’olimpo facendone cadere gli dei. Ho detto bene, Maria?”
“E’ tutto un po’ semplificato, ma mi auguro che la tua sintesi vada in porto punto per punto.”
6. Sistema Marak - Flotte riunite del Popolo - 9 marzo 2033.
Le flotte del Popolo avevano dispiegato la loro potenza e si erano schierate, fino a riempirlo minacciosamente, nel sistema Marak. Più di tremila enormi navi da battaglia si erano trasferite dal portale vicino allo spazio interno. 41S, il comandante in capo, non volle correre alcun rischio e non appena raggiunte le posizioni desiderate, ordinò di lanciare l’armamento di caduta anti planetario. In simultanea, un ruggito di fuoco si sollevò da ogni anfratto del sistema solare. Le armi dei Sistemi Uniti, questa volta senza trucchi, cercarono i bersagli nemici per distruggerli. La ridondanza era tale che ne decimarono la consistenza numerica nei primi minuti. Mente le navi esplodevano e alcune torpedini planetarie proseguivano inesorabili la loro corsa verso i grossi bersagli, gli inneschi su Marak 4, esplosero con tempistica perfetta, attivando il comando radio, che a sua volta comandò l’accensione degli enormi vettori diretti da Marak 1 verso la stella. I primi risultati dell’attacco del Popolo furono la distruzione del pianeta Marak 4 e di alcuni satelliti. Nel frattempo le torpedini che provenivano dai settori più esterni del sistema solare, accelerarono a velocità terminale verso le navi ferme in orbita, intente a distruggere le strutture fisse dei pianeti e trovarono i loro bersagli che scomparvero in un’ecatombe di fuoco. I giganteschi missili solari raggiunsero presto la corona stellare e procedettero inesorabili sopportando le enormi temperature della periferia solare. Al momento stabilito, poco prima del collasso strutturale, esplosero.
Il comandante 41S, si lamentò con i subordinati per le vistose perdite subite, ma nel contempo verificò che la metà della flotta era ancora operativa e aveva portato a termine la completa e sistematica distruzione dell’intero sistema. Cominciò, perciò, a valutare le possibilità di crescita personale al ritorno a casa. Dopo questa gloriosa campagna, avrebbe avuto più potere, forse avrebbe potuto scalzare dal primo livello lo stesso 3,14, chissà. Mentre indulgeva in questi pensieri deliranti lo colse l’immane esplosione solare, e i suoi insignificanti sogni personali arono allo stato gassoso assieme all’intera nave. Solo un centinaio di navi sopravvisse all’esplosione. Fu impossibile stabilire le comunicazioni fra le unità. Lo spazio vasto e la posizione delle sparse navi rese
difficile il raggruppamento. Fu solo dopo ventiquattro ore spasmodiche che i superstiti si accodarono per lasciare il vuoto pieno di detriti una volta abitato da una razza fiera e operosa. Fu con vera sorpresa che novantaquattro unità malconce si trovarono a fronteggiare ottocentosettantatre vascelli da combattimento della flotta dei Sistemi Uniti comandati dall’ammiraglio Goo. La nave 492 lanciò le ultime due torpedini ad alta velocità presenti a bordo e immediatamente scomparve sotto l’immediata ritorsione della flotta.
“I cannibali resistono. Maledetti!” Esplose Goo.
“Inviamo un ultimatum con un piccione viaggiatore. Forse verranno a più miti consigli.” Continuò.
“Con cosa?” Chiese Tonal, l’intelligenza artificiale della Victory, ora ammiraglia della flotta.
“Voi IA avete poca fantasia l’ho sempre detto. Ironia. Si chiama ironia, significa che dei piccoli volatili terrestri potrebbero...oh, insomma, Tonal, non conosci i piccioni viaggiatori?”
“Certo li conosco, Goo. E so che non possono volare nello spazio.”
“Cooosa? Non hai capito la battuta Tonal?”
“No, Goo. Sei tu che non hai capito la mia. Si chiama ironia simmetrica, aha, aha, aha.” E continuò a rimandare dai diffusori il suono graffiante della propria
risata.
“Comandante a primo ufficiale.” Disse Goo, con tono formale.
“Dammi una portante radio che il nemico possa captare.”
“Come comandi, ammiraglio. Ti darò una portante così forte che potranno anche abbronzarsi.”
“Dio mi salvi dalle IA col senso dell’umorismo. E’ meglio avere i rekekr agli stomaci che scherzare con una IA.”
Ottenuta la comunicazione Goo si produsse in una abile imitazione dell’accento della lingua del Popolo.
“Arrendetevi. Siamo in condizioni di distruggervi in ogni momento. Se vi arrenderete vi garantisco salva la vita. Avete a disposizione per decidere il tempo di duecento battiti cardiaci a frequenza normale. Un solo attimo in più e non esiterò a spedirvi all’inferno.”
Per quanto perentoria fosse la richiesta, era anche ragionevolmente comprensibile. Il tempo cominciò a scorrere lentamente e inesorabilmente. Quando Goo cominciò a pensare di fornire una piccola dilazione temporale, per evitare inutili spargimenti di sangue, giunse il messaggio di risposta.
“Qui nave 581, parla il comandante 3111S. A nome di tutti vi comunico la nostra intenzione di non combattere.”
“Bene. Ora schieratevi alla distanza di una lunghezza l’una nave dall’altra. Riceverete a bordo la visita di personale qualificato a controllarvi, che imposteranno le coordinate di rotta verso il luogo che vi sarà indicato in seguito.”
Docilmente le navi nemiche si schierarono come richiesto da Goo, e ricevettero a bordo la visita di una decina di livelli zero ciascuna. Non solo non fecero alcun tentativo di reazione ma cooperarono di buon grado, forse perché la catena di comando era stata interrotta, e anche perché i grossi livelli zero gramalk, che trotterellavano a bordo delle loro navi superstiti, incutevano vero terrore a tutti. Come pecorelle affiancate dal cane pastore, con diligenza le navi degli esterni, effettuarono le transizioni comandate sino a giungere nel sistema di Martin I. Goo aveva pensato che non fosse il caso di offrire l’indirizzo di casa su di un piatto d’argento a potenziali minacce. Il personale venne smistato in un centro di rieducazione approntato sulla superficie e controllato da soli gramalk. Quale modo migliore per l’integrazione che proporre un modello il più dissimile possibile, sempre secondo la filosofia di Goo, condivisa da Marie Soleil e dal gruppo dirigente.
“MS, lascio alla vostra tutela alcune migliaia di cannibali. E’ il caso di are Martin nella sua missione. Vorrei portare solo la metà delle navi: non si sa mai!” Propose Goo.
“Goo, sono PA, ascolta, anche se disponi di coordinate astronomiche precise, con la propulsione relativistica impieghereste troppo tempo a giungere nell’ammasso stellare degli esterni. Ti consiglio di portare con te almeno una nave nemica e parte del suo equipaggio per cercare di utilizzare la tecnologia dei portali. Aha, Joe mi prega di consigliarti di usare maniere morbide con gli umani nemici, se continui a ritenerli colpevoli e cannibali, finirai per non dare loro
alcuna possibilità, Goo.”
“Non temere vecchio mio! ò la vecchia saggezza glamark secondo cui ‘se un artiglio non basta, usane cinque’. Lasciami scherzare. Non sarò tranquilla sino a che non avrò visto Martin e Asha in buona salute.”
PARTE QUATTORDICESIMA
1. Sistema inferiore - ammasso stellare degli esterni – 30 giugno 2033.
Il portale restituì le cinque navi dei Sistemi Uniti con la stessa semplicità con cui le aveva risucchiate. La prima cosa che Martin volle verificare fu la presenza della flotta nemica. Tirò un sospiro di sollievo rilevandone la mancanza assoluta sui monitor della nave.
“A tutti. Manteniamo rotta e velocità da ora nessuna attività radio. Hans prepara la navetta ci imbarcheremo in venti, dieci di voi e dieci livelli zero, me compreso.”
Intervenne Ashakiran. “Martin tu hai il dovere di coordinare e provvedere in caso di problemi. Questo quindi è un lavoro per me. Non credo che incontreremo difficoltà. Lo sai, io sono forte abbastanza per ostacolare qualsiasi reazione.”
“D’accordo. Ricorda Asha, hai solo quindici minuti per disattivare il sistema di controllo, altrimenti tutte quattro le piattaforme di difesa si attiveranno e per noi saranno problemi.”
La navetta della Lal scivolò attraverso un’apertura dello scafo prodotta con la tecnologia aliena che Asha tanto ammirava. Doveva avvicinarsi ad una delle piattaforme equatoriali alla quale le navi erano più vicine e poi disattivare i controlli di sicurezza; sulla carta nessun problema salvo le dimensioni della piattaforma che era di forma sferica con una grossa feritoia equatoriale. Chiamare feritoia il canale profondo e largo circa cinquanta metri che percorreva l’intera struttura liscia e opaca della piattaforma difensiva era riduttivo.
“Stiamo pronti, Hans. Come pensi che faremo a raggiungere la sala operativa della piattaforma?”
“Quella sarà la parte più facile, Asha. Basta seguire il codice colore che per le sale comando e controllo è sempre stato l’arancione. Penso che la difficoltà vera sarà quella di are tra le maglie dei cinquemila occupanti.”
“Cinquemila? Non l’avevi detto prima! Uff...va bene: La prima a sbarcare sarò io. Ecco guarda ci siamo. E’...enorme!”
“Si Asha. Ospita cinquemila soldati e armamenti potenti. Ha un diametro di quattro chilometri. Non può che essere così. Ora invio il codice: dovrebbe aprirsi un aggio nella superficie. La feritoia equatoriale serve solo al aggio della armi da lancio e ai proiettori di raggi.”
Dopo qualche secondo, con la facilità consueta, si aprì un varco sufficiente al aggio della navetta, che lentamente vi si avvicinò e, superato il punto di ingresso, seguì per poche centinaia di metri un percorso rettilineo che terminava con una enorme griglia sulla quale si posò con leggerezza.
“Hei, Hans, dov’è il comitato di benvenuto?”
“Non so, Asha. Qui dovrebbe già esserci qualcuno. Seguimi. Troveremo certamente opposizione dopo il portello di accesso.”
“No. Non credo. Questa struttura è morta. Ne sono certa non avverto alcuna
presenza vivente, a parte noi venti e le menti degli amici che abbiamo lasciato a bordo delle navi. Facci strada.”
Doral, l’IA recentemente istallata sulla Lal, raggiunse tutto il gruppo per comunicare che il tempo scorreva inesorabile e per sollecitarne la fretta. Il gruppetto seguì con apprensione Hans, che a sua volta seguiva la linea arancione con la stessa ione di un cane da tartufo. I corridoi angusti, utili forse solo a personale di manutenzione erano circonvoluti e discendenti.
“Siamo arrivati. Dietro quella paratia dovrebbe esserci il centro di controllo della stazione. Ma non vedo come potremo entrare senza autorizzazione.” Disse Hans.
“Lascia fare a me. Doral cosa mi puoi dire?” chiese Ashakiran alla IA.
“Avete effettuato un percorso a spirale discendente, dal punto di ingresso e avete percorso settecentottantuno metri e cinquantasei centimetri.”
“Dove ci troviamo lo vedo da sola. Puoi aprire l’accesso alla sala controllo, Doral?”
“No mi spiace, Asha. Credo, però, che possiate aprirvi un aggio con una piccola carica posta a sinistra dell’ingresso. Non dovreste attivare nulla di pericoloso. Non ci sono sensori, ivi e attivi, ne armi o trappole varie. Solo strutture ridondanti con cablaggi vecchio stile per il controllo delle armi. Confermo la tua impressione: la stazione non ha vita a bordo.”
Asha applicò una piccola carica come da consiglio di Doral, e, dopo avere fatto allontanare a distanza di sicurezza il gruppo di astronauti, da posizione protetta, attivò la microcarica. Nonostante le piccole dimensioni il botto fu più che soddisfacente, e aprì un varco di un metro quadrato nella paratia che dava accesso ad una claustrofobia posizione di controllo.
“Sono dentro, Doral. Non c’è tastiera per comunicare. Cosa faccio? Mancano poco più di due minuti all’attivazione della stazione.”
“Inserisci il cavetto di cui sei fornita a contatto del foro che vedi sopra il monitor. Me lo farò bastare.”
Asha fece quello che Doral richiedeva. E si allontanò di un o, osservando con attenzione il monitor vecchio stile della postazione di controllo. I secondi scivolavano come granelli nella clessidra. Asha temeva che non solo avrebbe attivato le quattro piattaforme difensive, ma anche difese di qualche genere potenzialmente fatali per tutti loro. Pensò che Martin si sarebbe salvato e, con il conforto di quel pensiero, attese con maggiore pazienza. Il monitor si animò all’improvviso di luci e immagini sfocate. Dopo alcuni secondi, Asha pensò che fossero alla fine, lo schermo tornò buio e la confortante voce di Doral li avvisò che il sistema di difesa globale era completamente disattivato.
“Potete ritornare con calma, Asha. Le quattro piattaforme sono inerti. Ho avuto qualche difficoltà iniziale. Il codice era duo duo decimale. Solo la nostra potenza di calcolo unita, ha potuto avere ragione del sistema. Fortuna che non era criptato. Era in chiaro per creature che non sono umane, Asha. Posso affermarlo con certezza. Ah, inoltre non c’è vita su nessuna delle piattaforme. Lascio a te i pensieri e le supposizioni più fantasiose.”
Il gruppo, senza fretta, guardandosi attorno, questa volta con maggiore
attenzione, tornò alla navetta.”
2. Spazioporto giallo – Pianeta degli esterni. 1 luglio 2033.
Tornato a bordo, Martin comandò di valutare le opportunità che i nuovi dati avevano offerto, per pianificare l’atterraggio in tempo rapido e per effettuare considerazioni tattiche.
“Mi sembra chiaro, Asha, che nessun umano, salvo eventuale sporadica manutenzione, abbia mai messo piede a bordo delle piattaforme difensive.”
“Chiaro, Martin. Ma Hans è certo che del personale venisse periodicamente assegnato alle stazioni.”
“Hans, hai mai conosciuto qualcuno che avesse prestato servizio sulle piattaforme?”
“Qualcuno assegnato. Si. Di ritorno dalle stazioni, sinceramente no. Dove saranno mai andati a finire tutti? Avete qualche idea?” Chiese Hans perplesso appoggiando le spalle allo schienale della poltrona di comando, stanco per la tensione accumulata.
“Caro Hans, il personale designato per le piattaforme difensive, è finito, per così dire, in pentola!” Suggerì Ashakiran.
“Era un modo come un altro per rimpinguare le scorte alimentari senza destar
sospetti. Anche voi, quindi, avete dato un ampio contributo ai fermentatori. Un sistema perverso nella sua genialità bestiale. Mi ricorda un romanzo di fantascienza del secolo scorso che ho nelle mie memorie, oggi la fantascienza non è più di moda. Racconta di un mondo in carenza alimentare nel quale venivano combattute guerre al solo scopo di ottenere cibo commestibile. Grazie allo Spirito dell’universo, sono una creatura sintetica. Le azioni che le creature biologiche hanno compiuto e compiono, spesso, con disinvoltura, mi riempiono di disgusto. Mi scuso con i presenti ma è così!” Questa fu la sensazionale uscita di Doral che lasciò gli occupanti della sala comando della Lal basiti.
“La responsabilità non è mai oggettiva, Doral. Inoltre biologico o sintetico che sia, un organismo intelligente può produrre, oltre che nefandezze incredibili, anche miracoli di generosità e disponibilità, come la storia racconta. Quanto agli intelligenti artificiali, ne ho conosciuto uno che non finirò mai di ringraziare, il suo nome era Koral.”
“Chiedo venia Martin. Anche noi abbiamo sentimenti ed emozioni. Siamo stati pensati così e qualche volta traggo conclusioni incomplete. Non sono un Vulcaniano.”
“Tu leggi troppi romanzi, Doral. Scuse accettate, comunque.”
Si attese la notte sopra lo spazioporto giallo, che era di riferimento per quella zona, e poi il personale si strizzò in gruppi nutriti all’interno delle piccole navette per portare a terra il numero massimo di personale possibile. A bordo rimasero solo poche decine di astronauti fra tutte e cinque le navi, poste sotto il controllo delle vigili IA.
Martin vide la superficie avvicinarsi rapidamente, sul monitor tre D della navetta. Nel buio della notte della fascia equatoriale nulla era visibile. Insolito
che un pianeta tecnologico non sfavillasse di luci ma presentasse fiochi lumi qua e là, in maniera del tutto irregolare. Giunsero a terra per primi, subito raggiunti dalle altre navette. In attesa che tutti sbarcassero, Martin estese la propria mente a trecentosessanta gradi, per scoprire molte creature addormentate in maniera innaturale. Non era necessario fare la guardia laddove era la chimica a fare da padrone. Le navette furono subito rimandate in orbita per fornire un eventuale o aereo.
Il gruppo nutrito di più di trecento uomini si divise in due, una parte si inerpicò per le ripide e viscide scale della città, l’altra si apprestò a discendere verso i recinti di prigionia in cui erano tenute le creature senzienti del più vicino centro di contenzione. La pioggia continuava a cadere senza interrompersi, ma, con l’ausilio del visore notturno che Hans aveva indossato con piacere, in sole due ore portò il suo gruppo alle piattaforme superiori, mentre gli altri, sempre in contatto radio, guidati da Maria, seguita a vista da un ansioso Klaus, continuavano la discesa verso gli inferi di prigionia e agonia di molte creature intelligenti.
Martin giunse col suo gruppo al terzultimo livello, dove Hans li aveva condotti seguendo un percorso colorato visibile al buio solo con il dispositivo di visione notturna e con la memoria di avere già percorso la stessa strada in ato.
Giunto con il gruppo nei pressi di un ingresso insolitamente ampio, vide venire loro incontro un anziano in buone condizioni fisiche, che Martin identificò come 23C, il mentore di Hans. L’uomo reggeva fra le mani una candela che spandeva una calda luce tutt’intorno e la proteggeva dalla pioggia battente con una mano. Gli stavano accanto una decina persone, alti funzionari, pensò Martin. Tutti avevano negli occhi la luce curiosa che anima i cospiratori di tutta la storia e di tutte le civiltà: un insieme di coraggio, speranza, sfrontatezza e indifferenza per eventuali conseguenze negative.
“Benvenuti, vi ho atteso per secoli. Ora comincerà il nostro riscatto.” Detto
questo, l’anziano abbracciò Hans stretto.
“Ce l’hai fatta ragazzo! Sono fiero di te.” E rivolto a tutti. “Venite con me, dobbiamo salire al primo livello per ottenere il controllo della plancia di comando principale!”
“Mi chiamo Martin, sono il responsabile di questa operazione. E’ sicuro che non ci sia qualche altra località sul pianeta con le stesse caratteristiche che possa rendere inutile la nostra operazione?”
“Sicurissimo! L’area abitata equatoriale é enorme, ma i tre livelli superiori esistono solo in questo settore. Al prossimo livello risiede il molto venerabile 2C, con cui ho pianificato l’operazione di richiesta di soccorso di cui fate parte.
“Seguitemi!” Subito l’anziano, con energia insospettabile, li precedette su un ripida e larga scala in pietra che conduceva al livello superiore. All’improvviso la notte buia si illuminò ai lampi improvvisi delle armi a raggi di un nutrito gruppo di soldati con scintillanti tute da combattimento.
“Tutti a terra!” Comandò Martin, tirando Ashakiran dietro di se. I colpi improvvisi avevano aperto dei vuoti negli attaccanti, anche lo stesso 23C era stato leggermente ferito. Rapidamente, protetti dalla ridondante architettura della città, gli attaccanti si organizzarono e risposero al fuoco.
“Doral, fornisci un vettore alle navette. Ho bisogno di copertura dall’alto.”
“Fatto, Martin. Hai molti oppositori sopra di te: almeno diecimila, sparsi su tutti i dieci chilometri quadrati degli ultimi due livelli. C’è anche qualcuno nascosto, che si difende coraggiosamente ma sta per soccombere. Sto anche tracciando un velivolo che si sta staccando da una piattaforma proprio in questo momento, Martin. Cosa faccio?”
“Tiralo giù. Potrebbe essere il capo macellaio in persona!”
“Impossibile, Martin. E’ troppo pericoloso. Le armi di bordo sono troppo potenti, rischierei di colpire anche voi!”
“Seguila, allora. E non mollarla neanche per un istante, Doral. Dammi sul display tattico la posizione del nemico.”
Immediatamente sui display tattici delle tute da combattimento comparvero un elevato numero di puntini luminosi quasi si confondevano l’uno nell’altro a formare grosse macchie rosse sovrapposte alla grafica degli edifici.
“Vieni Asha, adesso tocca a noi. A tutte le squadre, fuoco di copertura.”
I superstiti accentuarono il fuoco contro le truppe incalzanti per consentire a Martin e Asha di esaminare con calma l’ambiente circostante e scatenare la propria potenza mentale. Le navette di o erano ancora lontane ed era necessario interrompere subito il fuoco nemico, altrimenti sarebbero dovuti fuggire incalzati giù alle pericolose e viscide scalinate della città. Martin si augurò che l’altro gruppo diretto ai recinti di prigionia avesse avuto maggior fortuna, e aperta la mente, si immerse in un oceano di quiete come vide fare anche alla compagna; percepì la presenza distinta degli amici preoccupati e dopo
avere incoraggiato tutti i livelli mentali elevati a sostenere la propria attività mentale, diresse la propria dirompente forza verso il nemico. Avvertì la spinta fortissima della mente di Asha, era la prima volta che la vedeva all’opera, e confortato, intensificò l’attacco. I nemici cominciarono a cadere esanimi, si fermavano come congelati e cadevano al suolo senza un lamento, lasciando cadere l’arma di metallo bianco che rappresentava la propria dotazione di combattimento. Gli attaccanti superstiti, guidati da Martin e Asha, salirono con circospezione le scale mentre i colpi del nemico si facevano sempre più sporadici, anche per il o dall’alto delle navette, finalmente arrivate, che selettivamente terminarono chiunque indossasse tute da combattimento scintillanti. Giunti al secondo livello 23C, sorretto da un sollecito Hans, li guidò verso l’ampia dimora di 2C. Trovarono all’interno dell’abitazione solo cadaveri compreso quello dello stesso 2C. 23C stese le mani su di lui, come a recitare una preghiera di commiato, poi si voltò con la determinazione incisa sul volto e chiamò Martin accanto a sé.
“Comandante, le presento l’uomo che più ha sofferto le inumane condizioni di vita nelle quali abbiamo versato per millenni. Lui ha il merito di averci mostrato le incongruenze del sistema perverso in cui abbiamo vissuto.”
“No sarà dimenticato, glielo prometto. Facciamo in modo di soddisfare tutte le sue speranze. Mi indichi ora la strada per il primo livello, quella nave che ci é sfuggita mi preoccupa.”
Raggiunsero il primo livello mentre la luce dell’alba cominciava a rischiarare il cielo e la pioggia insistente si prendeva una pausa di riflessione. Trovarono un vero e proprio palazzo, che nonostante la pietra grezza di cui era costruito mostrava delle comodità paragonabili a quelle di qualsiasi zona residenziale sulla terra. La pianta era insolitamente circolare, dove il resto del pianeta era costruito a linee rette e spigoli vivi, aveva tre piani, con ampie finestre chiuse da vetri a specchio. L’ampio cortile era lastricato con le stesse pietre irregolari delle mura; una vegetazione curata circondava da ogni lato l’edificio, interrompendosi presso il viale di accesso che, dalla parte opposta, si perdeva in lontananza verso
la piattaforma di atterraggio ad uso privato da cui erano sbarcate le truppe appena sconfitte.
“Mi segua, Martin. la plancia di controllo dovrebbe trovarsi al terzo piano.” Lasciati gli amici ad attendere presso l’edificio l’arrivo delle navette, Martin con Asha e Hans seguirono 23C all’interno.
3. Livello del suolo - Città degli esterni - Reparto ripopolamento bestiame e macellazione. 1 luglio 2033.
Maria guidò il nutrito drappello fino al livello decimo, nel quale trovarono i vagoncini su monorotaia predisposti al trasporto delle persone e delle merci. Il buio aveva occultato ogni loro movimento, e lo schermo prodotto dalla pioggia incessante, aveva reso difficile il loro avvistamento. A gruppi di dieci si imbarcarono sui vagoncini, che subito si misero in moto a velocità prodigiosa e soprattutto pericolosa, visto lo scarso livello di sicurezza che generalmente veniva assicurata al personale. Klaus, dopo aver effettuato complessi rituali scaramantici con le mani si aggrappò alla sbarra di o e tenne stretta Maria per aiutarla e per aiutarsi.
“Cosa stai facendo con le mani, Klaus? E’ un rituale della tua gente prima del combattimento?” Gli chiese curiosa Maria.
“Si. Qualcosa del genere. Non proprio giamaicano a dire la verità. Piuttosto mediterraneo. Sai mia madre...”
“Che strano, Klaus. Fare le corna prima del combattimento, voglio dire!” Entrambi, guardati con curiosità dai compagni, eruppero in una sonora risata mentre il vagoncino sembrava superare il muro del suono traballando in modo poco rassicurante.
Giunsero allo snodo desiderato dopo circa trenta minuti, ovvero, come stimò Klaus, circa sessanta chilometri.
“Attenzione a tutti. Per scendere dovrete saltare dal portello mentre il vagone è ancora in movimento. Mi raccomando: occorre tempismo altrimenti finireste alla prossima stazione distante altri trenta minuti circa, e potreste cadere sulla rotaia e farvi male.”
“Mi viene in mente quando ho imparato ha sciare a otto anni. C’era uno skilift perfido che accelerava in fase di sgancio e...”
Il vagone giunse al punto desiderato e Maria seguita dagli altri, con un rapido volteggio atterrò sulla piattaforma di pietra.
“Salta Klaus. Salta. Ora!” Gli gridò.
L’uomo, distratto dai pensieri, colse con un attimo di ritardo il richiamo e cadde pesantemente sulla banchina. Subito si rialzò ferito nell’orgoglio.
“Ecco questo trabiccolo é un parente stretto dello skilift della mia infanzia!” Si giustificò Klaus.
Si incamminarono subito verso i recinti di contenzione che sfumavano nella foresta pluviale, aumentando il loro grado di attenzione: il nemico era vicino. Klaus sentì in auricolare i suoni del combattimento che Martin e Asha stavano affrontando, e inviato un silenzioso pensiero al comandante, spinse i suoi a proseguire. Giunsero al confine della città senza vedere anima viva e senza sentire alcun suono. Poi il vento girò portando raffiche di pioggia tiepida, e con il vento giunse l’odore. A tutti si strinse la gola: nessuno era abituato a un tale fetore di creature costrette a vivere in spazi ristretti per millenni e lì a nutrirsi, procreare e morire a comando per le bestiali necessità degli oppressori. Le
guardie armate li fronteggiarono con arroganza, e non ebbero neanche il tempo di intimare l’alt, che vennero spazzati via con rabbia dai livelli zero del gruppo, ai quali il leader, Klaus, diede la sua entusiastica partecipazione. Anche un buon livello due può essere mortale, se lo vuole. Dopo alcuni concitati minuti di ispezione al territorio attorno all’immenso serraglio, trovarono un percorso con codice di colore rosso, che Maria indicò come quello delle vasche di fermentazione.
“Tobyia, Doral, ascoltatemi. Avete le mie coordinate?”
La risposta corale dalle IA fu affermativa.
“Distruggete tutto. Datemi cinque minuti per allontanare il personale e poi sparate.”
“Ho tracce di umani, Klaus. Forse è il caso di valutare con maggior attenzione...”
“No, Tobyia. Sono gli addetti alla macellazione e i rappresentanti del clero, a quanto pare. Tutti erano consapevoli! Sono nella loro mente e non ho dubbi, sono il loro giudice e voglio anche esserne il carnefice. Non meritano di continuare a vivere. Del resto, i ragazzi che sono con me, siamo in centoventi, come sai, hanno deciso senza margine di dubbio. Procedete!”
Il colloquio era stato seguito in diretta anche da Martin, che dopo avere dato la buona notizia del successo della sua parte di missione si disse d’accordo con Klaus. Dieci minuti e il settore macellazione e trasformazione del cibo venne ridotto in forma gassosa dalle testate al plasma delle navi.
Esultando in parte, Klaus contattò Martin.
“Qui è un’emergenza umanitaria. Solo questo settore conterrà duecentomila creature o più. Le zone di allevamento sono decine. Cosa possiamo fare?”
“Liberane un migliaio. Sarà un atto simbolico, ma mi alleggerirà il cuore.” Comandò Martin.
“Voglio i nove decimi delle scorte di bordo al suolo entro un’ora. Klaus Provvedi alla distribuzione. Un attimo...! 23C, mi sta dicendo che nel settore blu ci sono scorte di bacche proteiche, quelle che vengono usate per le loro pizze. Non basteranno certo per tutti, ma é un inizio. Forza Klaus, ti mando un aiuto con le navette.”
Maria nel frattempo aveva indugiato presso un cancello con codice a cinque colori, mai visto prima. Usando il laser aprì un foro sufficiente al aggio del suo corpo, e vi si introdusse. Una lunga galleria in discesa conduceva verso una zona debolmente illuminata da luce artificiale.
“Presto Klaus, vieni. Ho trovato qualcosa di interessante.”
L’uomo, che preso dall’azione si era completamente dimenticato della compagna, raccolse una decina di soldati e si precipitò dentro il corridoio seguendo Maria. Prima di raggiungerla, colse il rumore di armi ad esplosivo, e con la forza della disperazione, raggiunse Maria accucciata dietro un angolo di muro, sottoposta al tiro di armi robotiche automatiche.
“Presto, Tobyia. Disattiva gli automatismi di tutti i livelli. Fai in fretta.” Senza rispondere l’IA raggiunse Martin, al centro controllo.
“Urgenza assoluta Martin. Devi disattivare le armi automatiche del livello suolo.”
“Come, Tobyia? Qui c’è un guazzabuglio di controlli colorati e neanche 23C sa cosa fare.”
“Fammi entrare in contatto, con il cavo che dovresti avere in dotazione, Presto!”
Asha, anticipando Martin, con urgenza, inserì il proprio cavo in dotazione nella prima feritoia che vide sulla grande consolle della sala controllo.
“No Asha. Riprova. Quella é una griglia di ventilazione.”
Al successivo tentativo Tobyia si disse soddisfatto e, in poco tempo, disattivò gli armamenti automatici del settore richiesto.
“Klaus guarda con attenzione. Ho di ritorno immagini termiche di creature di diverse dimensioni. Potreste essere in pericolo.”
“No, Tobyia. E’ uno zoo. Un maledetto Zoo.”
Klaus e gli altri umani si ritrovarono in un’ampia sala circolare di duecento metri di diametro, contenente una quarantina di aree chiuse da cristallo nelle quali delle creature in penombra di diversa corporatura, svolgevano l’unica attività possibile in ambienti tanto angusti: vegetare.
Klaus giunse davanti alla cella in cui un umano di piccola taglia, circa centotrenta centimetri, dalla pelle grinzosa e grigia per la mancanza d’aria fresca e di alimentazione decente, stava in piedi con le braccia lungo i fianchi e i piccoli pugni serrati.
“Mi capisci?” Chiese Klaus, con gentilezza.
“Certo! Non sono sorda e neanche stupida, se per quello.” Ripose piccata la piccola umana.
“Fammi uscire di qui figliolo. So chi siete. Ho collaborato alla vostra progettazione. Dovreste essere ferocissimi. evidentemente ci siamo sbagliati. Per fortuna. Sfortunatamente sono l’ultima sopravvissuta. Sono prigioniera da quasi tremila anni standard.”
Klaus dardeggiò il laser da combattimento e ridusse il cristallo in minuti frammenti. La vecchia umana, nuda e grinzosa, uscì dalla cella con la dignità e la grazia di una regina. Si avvicinò a Klaus Pasqua e lo strinse a sé.
“Libera anche tutti gli altri, per favore. Sono gli ultimi trentadue rappresentanti di altrettante specie senzienti spazzate via dagli esterni.”
Klaus ripeté per trentadue volte il gesto precedente e liberò altrettante creature felici e grate, specialmente un glamark di taglia insolitamente minuscola che Klaus intuì essere un progenitore di quelli da lui conosciuti nello stesso modo in cui la donna appena liberata lo era per lui e gli altri umani.
“Come ti chiami ragazzo?” Chiese la piccola anziana creatura. Klaus intimidito, le rispose con deferenza.
“Klaus? Mmmm...che nome strano. Da quale radice linguistica proverrà! Sono curiosa. Molto. Scusa ragazzo. Sono sempre stata una paleo biologa e mi sono occupata a tempo perso di paleo etnologia e linguistica, ho anche studiato la vita antica e gli esperimenti dei grandi uomini e delle grandi donne che hanno contribuito al vostro progetto...Cosa stai facendo, Klaus?”
Il comandante Klaus, irritato dall’atteggiamento di superiorità mostrato dalla piccola signora, le stava mostrando immagini mentali del percorso dell’umanità dalla conquista dello spazio in poi, per giungere fino ai tempi recenti della guerra contro gli esterni.
“Mi chiamo Madana. Giovane uomo. Ho peccato di presunzione. Sai, è l’età. Ti prego portami fuori di qui, non indugiare.”
“Madana! Madana! Mi hanno appena detto che ci sono anche i miei ragazzi da qualche parte. Pare che siano meravigliosamente grossi. Hai visto? Tu non hai mai voluto credere che potessero avere qualche possibilità!” Intervenne con voce stranamente grave la piccola glamark che era appena uscita dalla propria gabbia.
“Gentile signore, mi chiamo Ko. Mi conferma che i miei ragazzi sono sopravvissuti?”
“Confermo. E sono tanti e valorosi. Abbiamo combattuto insieme. Ne conosco però una che non sarà molto felice di sapere che ti chiami Ko!”
“Ma no! Ancora quel vecchio vezzo dei nomi corti. Era in disuso da un milione di anni almeno, ai miei tempi! Le spiegherò tutto faccia a faccia, giovanotto. Ora portaci fuori di qui, sono secoli che non sopporto questa luce fioca.”
Il gruppo eterogeneo raggiunse l’aperto. Era commovente vedere queste vecchie creature alzare gli occhi al cielo e ricevere la pioggia cadente come un regalo prezioso.
4. Primo livello - Città degli esterni - 2 luglio 2033.
Martin dal palazzo del supremo 3,14 che era fuggito, probabilmente con alcuni fiancheggiatori, cercava di coordinare l’impresa impossibile di contenere e alimentare alcuni milioni di individui per la maggior parte in condizioni fisiche degradate, e, peggio, abituati a dieta ben diversa.
“Doral, hai seguito la navetta in fuga?”
“Si é diretta verso il grosso cantiere in orbita fra il secondo e il terzo pianeta. Mi dispiace dirti che ci sono almeno cinquanta navi in costruzione. Hanno poco personale, ma possono costituire una minaccia. Si stanno staccando dagli hub del cantiere almeno venti navi proprio in questo momento. Ora si stanno muovendo con un vettore diretto verso do noi. Alla velocità impostata abbiamo meno di un’ora, Martin. Una sola nave si sta dirigendo fuori dal sistema. Vuoi che la segua?”
“No. Starà dirigendosi al sistema superiore, come loro chiamano quello in cui risiedono fisicamente gli Innominabili. Ora abbiamo una minaccia più diretta, Doral. Aumentate gli spazi fra di voi e preparatevi a lanciare.”
“Ricevuto. Se finisce bene, mi devi una birra!”
“Anche una cassa, Doral. Segna pure!”
Dalla proverbiale padella nella brace. Un attacco letale durante un’emergenza umanitaria, con forze insufficienti per contrastarlo. Martin cominciò a sentirsi scoraggiato. Ma la sua buona stella continuava a scintillare impertinente nel cielo. Fu con gioia immensa che udì per radio la voce vibrante di Goo, che stava occupando lo spazio interplanetario con quattrocentottanta vascelli da combattimento.
“Martin, Asha, state bene? Oh cosa vedo sul tre D tattico! Abbiamo compagnia. A tutte le navi, tre torpedini per bersaglio. Tonal coordina il lancio. Non più di tre, potremmo averne bisogno in seguito.”
Le navi aliene, braccate dalle torpedini della flotta dei Sistemi Uniti in fase di accelerazione terminale sui bersagli, cercarono di modificare la propria rotta, ma invano. Accesero la notte del pianeta con luci e colori in una sorta di festa per celebrare la libertà.
“Grazie Goo. Cominciavo a pensare che non ce l’avremmo fatta. Mi spiace farti fretta, ma devo venire a bordo per inseguire una navetta sfuggita al nostro attacco. Manca all’appello il capo macellaio. Dovrebbe essere diretto verso il pianeta degli Innominabili. Quelle creature che sono la causa prima di tutti disastri degli ultimi ottocentomila anni. Mentre veniamo a bordo, contatta Klaus, per l’emergenza umanitaria da risolvere. Non immagini cosa abbiamo trovato in un settore di detenzione. Porterò a bordo con me una persona speciale. Asha ed io, siamo curiosi di leggere la sorpresa sulla tua faccia rugosa, Goo.”
L’emergenza umanitaria era di dimensioni planetarie, al punto che il cibo dei famigerati fermentatori, sebbene di origine detestabile e immonda, fu utilizzato per sostenere il miliardo e a di umanità in cattività. Quanto agli altri, i cittadini, o meglio la carne da cannone, di numero simile, si cercò di disassuefarli dai farmaci precedentemente inseriti nella dieta. Tre navi furono inviate nel sistema solare con richiesta urgente di approvvigionamento di cibo e di sementi per iniziare un ciclo di coltivazioni idroponiche multipiano che
potesse sopperire alle necessità della provata popolazione.
Klaus aveva un diavolo per capello, o meglio cento diavoli per treccia, come diceva sorridendo Maria, tuttavia si dedicò con severo impegno al gravoso e ingrato compito.
Giunto sulla Victory Martin condusse la proto Glamark, Ko al cospetto di Goo. Mai Martin aveva visto l’amica in condizioni simili a quelle che ora mostrava. Mentre Ko, eretta la fronteggiava con serenità e curiosità, Goo, con la bocca aperta, e roteando in agitazione i quattro occhi bulbosi, si chinò con deferenza davanti all’antenata.
“Madre, è un piacere per i tuoi figli, riaverti con loro! E’ un grande onore per me essere la prima glamark a mostrarti il rispetto che meriti. E inoltre…”
“Non pensarci. E poi Madre di chi? Sono forse poco più vecchia di te! Certo ne ho di cose da raccontare! Ascoltami, c’è una cosa che mi frulla nel cervello da secoli, anzi due. E’ ancora in uso il delizioso liquore al verme? Poi, fate ancora i tornei di marrak?”
“Certo! Per la prima domanda rispondo con piacere. Purtroppo sintetizziamo le essenze in laboratorio perché gli esterni hanno distrutto il nostro pianeta, vermi compresi. Alla seconda domanda non so rispondere. Noi facciamo tornei di mallak. Si tratta di un gioco a squadre in un’area di dieci ettari, nel quale…”
“Ma certo, ragazza. E’ la stessa cosa. Vieni mettiamoci comode ho molte cose da raccontarti e molte da farmi raccontare da te.”
Le due glamark si incamminarono verso l’area condizionata al clima da loro preferito per svolgere l’insolita chiacchierata fra gli estremi biologici della propria specie: il ato remoto e il futuro.
“Diamo loro un paio d’ore. Se lo meritano, Asha. Ora Tonal dammi la traccia della navetta in rappresentazione grafica.”
Al comando di Martin, l’IA produsse la traccia tre D della navetta in fuga. La linea gialla rappresentante il percorso, si snodava attraverso il sistema solare per svanire ai suoi margini.
“La direzione è suggestiva, Martin. Stimo che la rotta probabile sia verso l’altro vicino sistema.”
Martin convocò Hans e 23C per avere lumi sul sistema degli Innominabili.
“Molto semplice.” Esordì 23C. “Il sole è una stella luminosa azzurra di grosse dimensioni. Alla distanza media di circa novecentottanta milioni di chilometri, un solo pianeta le orbita attorno. La traiettoria del pianeta è quasi circolare e l’asse di rotazione è assolutamente diritto, senza la consueta inclinazione. In ato ho avuto il sospetto che il pianeta possa essere artificiale, ma non saprei essere più preciso. So che è grande e interamente coperto da acque ad alta concentrazione salina. Un oceano ininterrotto con moto ondoso veramente forte. E abitato da creature fameliche in lotta per la sopravvivenza. Altro non so.”
“Dove avrebbero alloggio gli Innominabili?” Chiese Asha.
“Dimenticavo. L’oceano è ininterrotto salvo la presenza di una elevata torre alta venti chilometri, sormontata da una piattaforma circolare di quattro chilometri di diametro. All’interno della piattaforma sorge una piramide a ventidue lati di metallo ad alta riflessione. Dovrebbe rappresentare la metafora fisica dell’esistenza degli dei Innominabili. Almeno credo. 2C vi era stato con 3,14. Ma ora non ci può dare ragguagli, è spirato durante il vostro attacco.”
“Tonal, provvedi ad allertare altre dieci navi. Solo equipaggi zero. Alle 0600 ora standard, ci muoveremo verso il sistema superiore. Klaus, da ora non solo sei responsabile del piano umanitario, ma ti ho appena nominato vice ammiraglio con decorrenza immediata.”
“Grazie Martin, sono un uomo fortunato.”
“Non scherzare. Voglio solo dirti che mi fido di te al punto da lasciarti le sorti di mezza flotta nelle mani.”
“Non stavo scherzando. Sono un uomo fortunato da che ho incontrato Maria. Le altre sono bazzecole che saprò risolvere con facilità. Piuttosto badate a voi. La storia del pianeta acquatico e della torre con piramide mi suscita cattive vibrazioni. Sarà il mio retaggio giamaicano, ma sono preoccupato.”
5. Residenza turistica glamark alto deserto del Sahara – 15 giugno 2033.
Marie Soleil si stava rilassando nella struggente bellezza del deserto sahariano. Brevi momenti di quiete le erano necessari per rimettere a fuoco le priorità e staccare la mente dalle decine di impegni programmati e dai gravosi compiti gestionali che si era assunta. Rilassarsi era ciò che Marie Soleil avrebbe desiderato, solo pochi giorni, non più di tre, ma c’erano dei simpatici fattori di disturbo ai quali Marie Soleil con l’aiuto di Kyala stava cercando di badare.
La piccola Maa, affidatale da Goo, scatenava la sua esuberanza infantile muovendosi senza sosta, salvo che durante i brevi momenti di didattica ai quali si avvicinava con curiosità. Per fortuna il piccolo Leon non dava problemi, aveva da poco iniziato a sgambettare dando segno di grande controllo. Non era piagnucoloso anzi era interessato a qualsiasi cosa vedesse: sgranava gli occhioni scuri e scrutava con intensità che faceva pensare ad una età più matura. L’unica sua debolezza era l’evidente attaccamento a Maa, dalla quale non si staccava mai se non per dormire e consumare i pasti. L’ambiente desertico, caldo al punto giusto era l’habitat ideale per il turismo
glamark, e la vastità della tenuta, forniva anche la desiderata privacy.
“MS, abbiamo notizie da Martin e Goo?” Chiese Kyala.
“Non ancora è troppo presto. Odio rimanere al buio, ma la distanza è tale che neanche le comunicazioni relativistiche possono giungere al lontano sistema degli esterni. Che strana gente! Quelli che abbiamo portato sulla terra stanno ora integrandosi, guardano tutto con lo stupore di un bimbo che si fosse appena svegliato da un incubo, Chissà se potranno mai dimenticare la dieta con cui si
sono alimentati per anni!” Rispose Marie Soleil.
“Dai Kyala! Portiamo i ragazzi a giocare sulle dune, l’alba è appena ata e per Leon non è troppo caldo, anche se non sembra soffrirlo.”
“Scusa MS, ma da questa notte soffro di un disagio più mentale che fisico. Incubi senza forma mi hanno disturbato per tutta la notte. E’ come se gli spiriti degli antenati cercassero di mettermi in guardia verso un potenziale problema.”
Marie Solei aveva sempre tenuto un’apertura mentale assoluta verso gli aspetti dell’esistenza che non sapeva spiegare. Pertanto ascoltò le preoccupazioni di Kyala con attenzione totale.
“Dimmi di più.” Le chiese con gentilezza.
“Sento che Martin e Asha e tutti corrono un pericolo enorme e che potremmo perdere in poco tempo tutto ciò che abbiamo conquistato. E poi sento che devo raggiungerli al più presto, con i ragazzi! Loro, i piccoli, sono in qualche modo la chiave di tutto. Non chiedermi perché, MS, non ti saprei fornire una risposta razionale.”
“Che il cielo mi aiuti! Ti credo. E’ difficile da accettare, ma é proprio il suo essere irrazionale che mi pungola ad agire immediatamente.”
“Kadat, appronta due navi da battaglia con una delle navi nemiche catturate. Voglio andare nel sistema degli esterni, non chiedermi perché.”
“Un tuo desiderio e un ordine. Io non trovo riscontro alle affermazioni di Kyala, ma le cose strane nell’universo sono tante, e credo che valga la pena dare peso alle sue sensazioni. Alla peggio avrete fatto turismo intergalattico. Me lo auguro con tutto il cuore che non ho!”
Rispose Kadat con partecipazione.
La piccola Maa, informata del viaggio, non stava più nella pelle. Una nuova avventura era ciò che più desiderava, quanto a Leon le stava attaccato come una cozza allo scoglio, e le proporzioni fisiche erano abbastanza rispettate.
6. Sistema superiore – Nei pressi del pianeta acquatico degli Innominabili – 5 Luglio 2033.
Le dieci navi da battaglia avevano raggiunto lo spazio interplanetario del sistema con una breve transizione. Le navi stazionavano a circa trecentomila mila chilometri dal pianeta, e, su ordine di Martin, avevano dispiegato ogni sistema ivo e attivo per avere un’idea della morfologia planetaria e delle caratteristiche della torre, che produceva un riflesso visibile anche alla distanza quasi siderale alla quale si trovavano le navi.
“Non avverto altro che il fluttuare della vita, sotto nell’oceano. Creature affamate e creature che fuggono. La piramide è una struttura impenetrabile, almeno per me.”
Dichiarò Ashakiran, Era noto a tutti che ella fosse la più percettiva del gruppo, tuttavia la struttura scintillante si presentava come un muro invalicabile, inerte, senza vita.
“Posizioniamo le navi in orbita geostazionaria a quarantamila chilometri di distanza. Tonal prepara una navetta, andrò a terra con Asha e Goo. Voglio un secondo gruppo a terra di almeno cinquanta zero dopo un’ora dal nostro sbarco. Tenetevi pronti.”
In meno di un’ora la navetta si posò leggera ai margini della grande piattaforma. La piramide scintillava in modo fastidioso per la vista e solo con la protezione del casco della tuta si riusciva a guardarla. Il casco era indossato per semplice precauzione: l’atmosfera, infatti, era del tutto respirabile e nelle proporzioni idonee all’uomo di un quinto di ossigeno e quattro quinti di gas inerti. Sbarcati i
eggeri, la navetta lasciò immediatamente la superficie della piattaforma per fornire un eventuale o ravvicinato.
Goo si avvicinò al bordo non protetto della superficie dalla quale si vedeva il sottostante oceano ribollente di vita che continuava incessantemente il proprio moto senza fine.
“Non vorrei cascare di qui Martin. Le bestiole che stanno di sotto mi farebbero festa in millisecondi di fame atavica.”
E rivolta al grande edificio incombente: “Guardate la maledetta piramide! Io continuo a non sentire nulla. Non sapevo che potessero esistere materiali in grado di
schermare le sonde mentali!”
“Eppure sento qualche cosa di strano.” Disse Asha. “Come se mancasse qualcosa, non è come sembra. Andiamo è inutile attendere.”
Detto questo si incamminò verso la grande costruzione scintillante seguita da Martin e Goo. Giunti davanti ad uno dei lati della piramide dalla lunghezza stimata di due chilometri, un tratto di dimensioni sufficienti si aprì magicamente davanti a loro come sempre avevano fatto i portelli delle navi aliene. Era una sorta di trasformazione della materia comandato da un tecnologia veramente superiore, della quale non erano ancora venuti a capo anche dopo un accurato esame delle navi catturate. L’interno oscuro, di forte contrasto con la superficie esterna, fredda, era invece stranamente tiepido al tatto. Senza esitazione Martin varcò l’ingresso e attese i compagni. In un istante l’interno si riempi di luce
bianca sopportabile sia agli occhi umani che a quelli dei glamark e mostrò un percorso largo leggermente in salita parallelo alla larga parete esterna. I tre amici si disposero di buon grado alla salita per nulla faticosa. Martin riscontrò l’assenza di qualsiasi segnale radio anche delle comunicazioni fra di loro.
“Non mi piace, ragazze. L’unica consolazione è che le nostre capacità non si siano affievolite per nulla. Stiamo pronti.” Trasmise Martin mentalmente, più per tranquillizzare se stesso che per altro.
Il percorso continuava in leggera salita e piegava agli angoli degli enormi lati della piramide, diminuendo di distanza ad ogni svolta. Dopo due ore di cauto cammino in
pendenza non eccessiva, avendo percorso quanto a o normale avrebbe richiesto la metà del tempo, giunsero davanti ad un pozzo verticale la cui parte superiore si perdeva forse al vertice della piramide. Avvicinatisi all’accesso del pozzo, prima di poter fare alcunché, vennero risucchiati verso l’alto, e in breve, vennero letteralmente espulsi al centro di una grande sala a ventidue lati.
Goo, rialzatasi dalla caduta, esaminò prontamente l’ambiente circostante. Erano circondati a mezzo chilometro di distanza, da statue molto realistiche, o tali sembravano, di creature aliene, dalle fattezze orride, anche per gli standard estetici glamark, non si capiva se per imperizia dell’artista o per bruttezza naturale.
“Ecco, ragazzi miei, delle sculture di creature persino più brutte degli umani. Avviciniamoci.”
“Non sono statue, Goo.” Esclamò Ashakiran.
“Sono, o meglio erano, creature viventi.” I tre amici si avvicinarono con circospezione, salendo una delle ventidue pedane alla sommità delle quali si trovavano assisi i corpi inanimati di creature mai viste.
Asha si avvicinò alla creatura e allungò timidamente la mano sino a toccarla.
“Fredda come la pietra. Guardate quante grinze ha il loro tegumento cutaneo. E le bocche, gli arti! Dio mio! Sembra l’opera di un creatore folle.”
“Sono anche leggermente dissimili l’una dall’altra.” Aggiunse Martin. “Colte nell’ultimo momento dell’agonia poco prima della morte.”
Le creature con le membra scomposte, erano fossilizzate in pose plastiche nel momento del decesso. Martin si attardò ad esaminare le estremità e vide con stupore che ciascun arto aveva ventidue appendici digitiformi.
“Maledizione Asha! Sono gli Innominabili. Non rappresentazioni artistiche ma i corpi degli alieni che hanno manipolato le razze e scatenato il delirio di distruzione che sappiamo. I corpi sono esattamente ventidue. In questa sala di morte ci sono i resti di un popolo. Ma allora…”
“Certo Martin. Il burattinaio è qualcun altro. Non ci teme, ci ha fatto entrare senza difficoltà nella sua tana scintillante e ora ci aspetta chissà dove!” Esclamò una preoccupata Goo.
I tre si guardarono attorno con attenzione e trovarono alle spalle dei due enormi sedili centrali, un accesso ripido che portava chissà dove.
“A quest’ora gli altri saranno entrati. Direi di procedere, la curiosità mi sta bruciando dentro.”
Detto questo Martin anticipò la moglie e l’amica dentro il varco. Quando tutti e tre furono all’interno un ascensore silenzioso si mosse verso l’alto con moto costante, e dopo alcuni minuti giunse nella parte alta della piramide, per fermarsi.
“Benvenuti. Vi stavo aspettando. Siete stati perniciosi per i miei piani. Di peggio non potevate fare. Ora però avrete tutte le risposte che desideravate e saranno le ultime cose che avrete da questo universo ingrato. Oh, non preoccupatevi per gli amici che stanno salendo. Anche tutti assieme coalizzati, non potreste farmi nulla.”
Senza dargli il tempo di inspirare dopo l’ultima sillaba pronunciata, Martin in simultanea con Asha e Goo scagliò tutta la sua forza contro la figura umana assisa che non era altri che il Supremo 3,14. Colui che stava al vertice del popolo di cannibali da loro appena affrancato, ed evidentemente anche signore indiscusso di quella parte di universo.
Fu come cozzare a duecento all’ora contro un muro. L’umano aveva un forza di cui loro tre riuniti non potevano aver ragione. Gli altri zero di o nel frattempo giunti, diedero il loro aiuto, ma senza ottenere altro che un dolore lancinante al capo, un dolore tale da ottenebrare la mente. Uno solo del gruppo entrante proseguì con indifferenza i propri i sino a giungere al cospetto del
Supremo: Hans, già 997S.
“Vuoi eliminare anche me padre?”
“Guarda, guarda! Il cucciolo bastardo.” E puntandogli contro il dito. “Tu sei solo un ibrido, l’esito casuale di un capriccio. Tua madre era bellissima devo dire. E anche buona, gustosa, dato che me ne sono cibato. Tu eri ancora troppo piccolo per significare qualche cosa nella mia dieta, ecco allora l’errore di averti lasciato vivere!”
Hans continuò minacciosamente ad avvicinarsi all’empio genitore con intenzioni di furibonda giustizia. Qualsiasi cosa stesse egli facendo, non sembrava produrre alcun effetto ad Hans che continuò a salire verso il trono di cristallo su cui era assisa la bestia in sembianza d’uomo.
“Meraviglie della genetica! Hai le mie stesse capacità difensive ma non le stesse capacità offensive. Attento! Insignificante creatura. Un o e verrai incenerito! Non
crederai veramente che non abbia tratto frutto dalla tecnologia delle bestiali creature che ho terminato giù nella sala sottostante! Patetiche come te. Volevano trasmutare da corpo fisico in energia, i vecchi rappresentanti di una specie antica come le galassie dell’inizio. Io li ho aiutati. Da corpo fisico a corpo metafisico, manca solo un po’ di energia.” Seguì una folle risata che suscitò ancora più rabbia in Hans, mentre tutti gli altri si agitavano a terra nel dolore.
PARTE QUINDICESIMA
1. Piramide riflettente - Pianeta degli Innominabili. 5 luglio 2033.
Marie Soleil e Kyala erano giunte in tempi rapidi nel sistema degli esterni per trovarvi un affaccendato Klaus Pasqua, preso dall’attività gestionale di quella che era ancora un’emergenza umanitaria.
“Mi spiace MS. Martin è partito due giorni fa. Crede che il capo responsabile dell’opera di bassa macelleria sia fuggito nel sistema superiore. Io sto organizzando la rinascita del pianeta, ho inviato delle navi a casa per ottenere cibo. Non vi siete incontrate per puro caso.”
“Temo per Martin. So che sono in pericolo, devo immediatamente arrivare là.”
Se vuoi posso darti un aggio tramite portale. Abbiamo trovato la stanza dei bottoni e credo che sia molto comodo arrivare pochi secondi dopo essere partiti.”
Le due navi di MS, approfittarono del portale e un’ora
dopo il colloquio con Klaus, stazionavano presso l’unico pianeta del sistema.
“Marie Soleil, qui Victory, sono Tonal. Non Abbiamo risposta da Martin da ore. Abbiano inviato un secondo gruppo con Hans, e niente anche da loro, temo il peggio.”
“Dammi un vettore di discesa Tonal, Ora è compito mio.”
Una navetta scese ad alta velocità verso la grande piattaforma, seguendo le indicazioni fornite dalla IA. In pochi minuti sbarcò i eggeri al suolo, dopo un volo precipitoso, da sconvolgere l’ordine interno delle viscere di un corpo umano, ma, invece, stimolando Maa alla gioia più sfrenata e, quanto al piccolo Leon, non sembrava infastidito dagli scossoni a cui la navetta era sottoposta nel volo atmosferico. Giunti al suolo procedettero senza indugio verso l’ingresso. MS e Kyala cominciarono ad avvertire disagio mentale e un dolore diffuso per tutto il corpo, e, dopo aver progredito per le prime rampe, si accasciarono. I due giovani, Maa e Leon, invece, non sembravano soffrire per la tensione fisica e mentale a cui Marie Soleil e Kyala erano sottoposte.
“Andate avanti. Maa, abbi cura del piccolo. C’é bisogno di voi.” Riuscì faticosamente a dire Kyala alla piccola glamark.
“Non preoccuparti zia. Ci penso io.” Detto questo Maa sollevò Leon e, tenendolo stretto con le braccia inferiori, si incamminò, rapidamente verso l’alto. Al termine della rampa furono risucchiati dal pozzo verticale e restituiti nella grande sala mortuaria degli Innominabili. Senza guardarsi attorno, ma seguendo l’istinto, Maa proseguì velocemente verso l’accesso all’ascensore che li depositò
nella parte alta e terminale della piramide nella quale il Supremo stava annichilendo le forze congiunte di più di cinquanta livelli zero. La loro apparizione distrasse 3,14 dal terminare l’opera. Maa posò a terra il piccolo Leon, che si alzò sulle incerte gambette e lentamente si avvicinò al sedile di cristallo su cui era assiso 3,14, poi fissò i propri occhi neri come la pece negli occhi del carnefice. Maa rimase dove si trovava affaticata e preoccupata per la madre stesa al suolo esanime, poi subito proiettò la sua giovanile energia contro l’uomo, che raggiunto dall’urto, vacillò. L’esperienza maturata in centinaia di
anni lo aiutarono a controbattere la minaccia, almeno all’inizio. Due occhi neri e profondi, generosi e inconsapevoli della propria forza e del proprio destino, stavano però cercando una strada. Fu come un’esplosione liberatoria, Martin, Asha e tutti gli altri lentamente si ripresero: la pressione orrenda su tutti loro era terminata. Un piccolo cucciolo d’uomo era riuscito laddove i membri di una specie stanca avevano solo trovato la propria distruzione. Leon distolse la sua attenzione dal corpo scomposto sul trono di cristallo e raggiunse la madre che si stava rialzando dal suolo. Asha strinse forte il piccolo che li aveva salvati senza nemmeno sapere come. Lentamente tutti i presenti riuscirono a trovare la propria messa a fuoco e tutti ammutolirono vedendo la piramide cambiare di sostanza: da specchio multiriflettente a cristallo trasparente.
Martin vide l’azzurro del cielo e le navette di soccorso che volteggiavano non lontano dall’edificio.
“Asha, amore, come stai?” Chiese sollecito.
“Come se fossi stata calpestata da Goo per due ore!”
“Non lo farei mai cara!” Aggiunse Goo vezzeggiando la figliola.
“Piuttosto lo farei con chi ha fatto sparire la cara salma!”
Martin si girò repentinamente e con orrore vide che il corpo di 3,14 era scomparso. Una accurata ricerca nell’angusta sala diede risultati negativi. Si avvertiva però che qualcosa era cambiato, come se la pressione che opprimeva l’intero universo si fosse improvvisamente rilasciata.
“Tonal, sei in linea?”
“Ora si Martin. Se vuoi avere notizie sugli eventi recenti ti posso dire che la piramide è diventata all’improvviso trasparente, e che tutti i contatti si sono ristabiliti all’unisono dopo l’evento. Trenta secondi prima che tu chiamassi si è aperto un portale nell’area del vertice della piramide che si è subito chiuso. Nonostante le piccole dimensioni era sostenuto da enorme quantità di energia. Chiunque l’abbia attraversato sarà ora molto lontano, virtualmente può essere andato ovunque.”
“Amici è finita, lasciamo per sempre questa tomba vuota. Chissà che non collassi nell’acquario sottostante.”
Un applauso spontaneo giunse dalle decine di presenti e Martin con il piccolo Leon fra le braccia, per nulla turbato dagli eventi, ripercorse all’inverso la strada dell’andata.
Usciti dalla piramide Goo posò una mano sulla spalla di Martin e indicando la piramide trasparente gli disse: “E’ stato un lungo viaggio, sono orgogliosa di averlo fatto con te. I vecchi avevano ipotizzato le cose peggiori riguardo a noi. Noi siamo la sintesi finale della storia, la resistenza e la determinazione alla fine sono state vincenti. Vorrei però
farti notare come sia stato l’uomo a determinare gli orrori della storia ata. E’ stata un’era di sconvolgimenti di morte e di sangue, ma ancora è stato l’uomo contro l’uomo a interrompere il circolo perverso. Per scoprire che la causa fosse inevitabilmente ancora l’uomo, uno solo se vuoi, ma pur sempre un altro uomo che ora è sparito chissà dove. Spero sia finito nei meandri di una transizione
relativistica sbagliata, che un buco nero abbia preso la sua anima altrettanto nera riducendola in dimensioni microscopiche. E’ stata una fortuna Martin, ne sono convinta fermamente.”
“Una fortuna, Goo? Di cosa parli?”
“Che sul cammino dell’umanità ci siano stati i meravigliosi, generosi, forti, incorruttibili e bellissimi glamark. Vieni con me Martin torniamo ad ammirare le stelle!”
Detto questo girò il corpo imponente e con portamento regale, procedette verso la navetta: aveva ancora avuto l’ultima parola.
PERSONAGGI PRINCIPALI
UMANI
Ahmad El Adri - egiziano. Figlio di mercanti. Nato ad Abukir il 12 settembre 1786. Poi Armand Adri nell’armata napoleonica.
Yusuf Ben haim - egiziano. Figlio di pescatore. Nato ad Abukir il 19 marzo 1786. Poi Joseph Haim nell’armata napoleonica.
Pierre Leclerq - se. Figlio di piccola nobiltà decaduta di provincia. Nato a Bordeaux il 6 agosto 1784.
Marie Claire - moglie di Armand.
Jenne - moglie di Joseph.
Laurençe - moglie di Pierre.
Marie Soleil - figlia di Armand. Nata nel 1816. Zero.
Pierre Armand - figlio di Joseph. Nato nel 1814. Zero.
Oliver - figlio di Pierre. Nato nel 1824. Zero.
Pierre Napoleon - nipote di Pierre Armand.
Martin - figlio di Pierre Armand. Nato nel 1967. Doppio zero.
Joseph Red Eagle - Cherokee. Nato nel 1823 detto Joe. Zero.
Klaus Pasqua - Giamaicano. Pilota di navette e comandante navi da battaglia. Due.
Kyala - madre di Martin
Ashakiran - India. Nata nel 2010. Moglie di Martin. Doppio zero.
Bipin - India. Nato nel 2024. Zero.
Kalpita - India. Nata nel 2020. Zero.
Kaksas XXXII Napoleon Haim - Detto Leon. Triplo zero. Figlio di Martin e Ashakiran.
GRAMALK
Goo - Rappresentante ufficiale. Poi vicecomandante flotte riunite. Zero.
Gaark - Rappresentante ufficiale. Zero.
Vaadak - Rappresentante ufficiale. Poi responsabile colonizzazione. Zero.
Gaabardar - Pilota, docente. Uno.
Zaak - Comandante base Inferno.
Maa - figlia di Goo. Doppio zero amplificato.
ESTERNI
997S - Comandante di flotta.
2C - mentore di 997S. Amministratore.
2A - capo dipartimento scientifico.
337A - alto grado dipartimento scientifico. Amico di 997S.
1015S - vicecomandante flotta. Donna.
3,14 - Supremo responsabile planetario.
VLADLM
Cladl - speaker ufficiale.
Zamaurl - speaker ufficiale.
Gabrvlm - ultimo speaker ufficiale.
Frangavar - speaker ufficiale.
INTELLIGENZE ARTIFICIALI
Kadat - Base Titano.
Gea - Terra controllo planetario.
Ares - Marte controllo planetario.
Koral - nave Santa Maria.
Tonal - nave Victory.
Radam - nave Iowa.
Tobiya - nave Trota Ruggente.
Doral – nave Lal