Benedicta, La Figlia Del Boia 466d65

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Ambrose Bierce Benedicta, la figlia del boia

1

Nell’anno del Signore 1680, il primo di maggio, noi, Aegidius, Romanus e Ambrosius, monaci scani della città di au, fummo inviati vicino a Salisburgo, al monastero di Berchtesgaden, su invito dal Padre Superiore. Io, Ambrosius, ero il più giovane dei tre: non avevo ancora compiuto ventidue anni. Sapevamo molto bene che il monastero di Berchtesgaden si trovava in una luogo selvaggio e impervio, tra le montagne, coperte da oscure foreste infestate dagli orsi e dagli spiriti maligni. Eravamo tristissimi all’idea di che cosa sarebbe potuto capitarci in un posto così terrificante. Ma il dovere di ogni cristiano è ubbidire alla Chiesa, e così, senza alcuna recriminazione, addirittura contenti, ci inchinammo davanti al volere del nostro beneamato e rispettato Superiore. Ricevuta la sua benedizione e dopo avere pregato un’ultima volta nella navata consacrata al Santo Patrono, ci infilammo dei sandali nuovi, sollevammo i cappucci e ci mettemmo in viaggio, accompagnati dagli auguri dei nostri fratelli. Eravamo animati da una grande speranza nonostante prevedessimo un viaggio lungo e difficile: ma questa virtù non è solo l’alfa e l’omega di ogni uomo di fede, è anche la forza della gioventù e la consolazione della vecchiaia. Dopo poco tempo, anche per questo, i nostri cuori dimenticarono la tristezza di quell'addio e cominciarono a rallegrarsi davanti allo spettacolo di panorami naturali nuovi e sempre diversi, visioni che ci procuravano la prima reale conoscenza della bellezza del mondo come l'Onnipotente l’ha fatto. L’aria, scintillante e piena di luce, somigliava al mantello della Madonna, il sole brillava come il Sacro Cuore, da cui sgorga ogni luce e ogni vita, e il cielo, sopra le nostre teste, era come un immenso e splendido oratorio sotto il quale ogni filo d’erba, ogni fiore, ogni essere vivente, cantava la grandezza di Dio. ammo tra molti paesi, villaggi e città nel nostro cammino. Erano tutti animati da migliaia di uomini che si affaccendavano nel loro lavoro, una cosa che per noi poveri monaci era uno spettacolo strano, che ci lasciava stupiti e meravigliati.

I nostri cuori traboccavano di felicità e gratitudine al cospetto di tante chiese che sorgevano davanti a noi, così piene della devozione di tante persone che ci acclamavano e si davano da fare per soddisfare anche la più piccola delle nostre necessità. Tutta la Chiesa era ricca e poteva contare su enormi sussidi, cosa che dimostrava che il favore dell’Onnipotente, nostro Signore e Guida, aveva proteso la mano su di lei. I giardini e gli orti dei monasteri erano ben tenuti a testimonianza delle cure continue dei paesani e dei nostri santi fratelli. Era bellissimo sentire le campane suonare a distesa per scandire le ore del giorno. Era proprio come respirare la musica stessa dell’aria mentre la freschezza cristallina del loro suono raggiungeva in bellezza un coro di cherubini che innalzava lodi al Salvatore. Dovunque andassimo, ci rivolgevamo al popolo nel nome del nostro Santo sco. Da tutte le parti ci accoglievano con grande gioia. Donne e bambini si spintonavano al bordo delle strade e ci avvicinavano per baciarci le mani. Qualcuno avrebbe pensato che non fossimo dei semplici servitori di Dio e degli uomini, ma i signori e i padroni di tutta quella magnifica regione. In ogni caso non permettevamo che il nostro spirito si inorgoglisse, e molto spesso ci impegnavamo in un duro esame di coscienza al fine di non allontanarci dalle regole del nostro Ordine e di peccare contro l’insegnamento del nostro sublime protettore. Io, Fratello Ambrosius, devo a questo punto rivelare, vergognandomi e pentendomi, che mi sono lasciato andare a pensieri colpevoli e ben troppo terreni. Ho avuto l’impressione che alcune donne cercassero di baciarmi le mani con più trasporto di quanto non fero nel baciare quelle dei miei accompagnatori, cosa non possibile perché io ero molto più santo di loro. Sono ancora giovane e inesperto delle cose del mondo, e non ho ancora abbastanza interiorizzato né la paura e né comandamenti di Nostro Signore. Allorché vidi l’errore commesso da quelle donne e quando mi resi conto del modo in cui gli occhi di quelle ragazze indugiavano su di me, mi presi paura, e mi domandai se sarei stato capace di resistere alle tentazioni se mi si fossero presentate. Tremando di paura, ogni tanto mi dicevo che i voti, pregare e le penitenze non bastano per fare un santo. Bisogna avere un cuore così puro da trascurare il minimo accenno di tentazione ignorarlo quasi che non esistesse. Eravamo alloggiati nei monasteri durante le nostre soste notturne, luoghi dove eravamo sempre accolti con molte premure. Ci offrivano cibo e bevande in

grande quantità, e non appena ci sedevamo a tavola, al posto riservato agli ospiti, i monaci cominciavano a circondarci chiedendo notizie sul mondo esterno. Eravamo privilegiati, avevamo avuto la fantastica possibilità di vedere e conoscere cose meravigliose. Quando venivano a sapere dove eravamo diretti, di solito compativano il fatto che eravamo obbligati ad andare a vivere in mezzo a montagne tanto inospitali. Parlavano di ghiacciai senza fine e di montagne innevate, di giganteschi speroni rocciosi, di torrenti impetuosi, di caverne e foreste colme di insidie. Parlavano anche di un lago, così terrificante e misterioso che non ne esisteva un altro uguale in nessuna altra parte della terra. Avevamo bisogno dell'aiuto di Dio. Dopo avere lasciato Salisburgo, il quinto giorno di viaggio, contemplammo un paesaggio strano quanto inquietante. Un mare di nuvole enormi, basse, grige e nere si stendeva davanti ai nostri occhi. Fra le nuvole e l’azzurro del cielo si vedeva una seconda volta celeste, di un bianco accecante. Uno spettacolo che ci sorprese molto e ci impaurì. Le nuvole erano come immobili e non riuscimmo a vedere un minimo movimento, anche guardandole per ore. Alla fine del pomeriggio, al tramonto, le nuvole si colorarono di rosso, brillavano e in modo meraviglioso e, alcune di loro, per un momento, sembrarono prendere fuoco. Nessuno può capire la nostra sorpresa quando capimmo che non erano nuvole: erano neve e rocce. Si trattava quindi delle montagne delle quali ci avevano così tanto parlato. Quel cielo di un bianco accecante non era altro che la cima innevata di quella catena montuosa che i Luterani dicono di poter spostare con la loro fede. Cosa di cui io dubito fortemente...

2

Arrivati all’entrata dello stretto sentiero che portava alle montagne, fummo presi dallo sconforto nel vedere qualcosa che somigliava veramente alla porta dell’inferno. Dietro di noi potevamo vedere quel magnifico paese che avevamo appena attraversato e che ora eravamo obbligati a lasciarci alle spalle per sempre. Davanti a noi solo montagne minacciose, foreste infestate da fantasmi che nascondevano ogni cosa e celavano pericoli per il corpo e l’anima. E mille sentieri, inospitali e selvaggi. Fortificammo i nostri cuori pregando e pronunciando gli anatemi contro gli spiriti maligni. Poi imboccammo quel sentiero nel nome di Dio, preparati a subire qualsiasi sventura ci fosse accaduta. Mano a mano che andavamo avanti, sempre con la massima cautela, alberi enormi rallentavano la nostra andatura e un fogliame inestricabile ci nascondeva quasi tutta la luce del giorno. Il buio si faceva sempre più fitto, profondo e gelido. Il rumore dei nostri i e quello delle nostre voci, quando riuscivamo a parlare, veniva amplificato dall'eco che facevano le grandi rocce che fiancheggiavano la strada: era un suono così chiaro e insistente, ripetuto, identico, che facevamo fatica a credere di non essere seguiti da una ciurma di esseri invisibili che si prendevano gioco di noi e si burlavano delle nostre paure e dei nostri timori. Ci guardavano are i grandi uccelli predatori appollaiati nei loro nidi, in cima agli alberi o lungo i dirupi. Ci osservavano con il loro sguardo minaccioso gli avvoltoi e i corvi, animali selvaggi che gracchiavano feroci sopra le nostre teste e che ci facevano gelare il sangue con il loro strepitare. Il nostro pregare non portava ad alcun risultato, non era utile, attirava solo altri volatili che aggiungevano le loro urla al già assordante fracasso. Rimanemmo stupiti nel vedere che molti alberi secolari, giganti della foresta, erano stati sradicati e scaraventati in fondo alle colline. Non potemmo che rabbrividire al pensiero della mano che aveva potuto compiere un simile misfatto.

Di tanto in tanto costeggiavamo profondi precipizi e gli oscuri abissi che si aprivano sotto i nostri piedi erano davvero incredibili da vedere. Durante una tempesta fummo quasi accecati dai lampi e storditi dai tuoni, cento volte più forti di quanto avevamo mai sentito fino ad allora. Eravamo così impietriti dalla paura che ci aspettavamo da un momento all’altro di vedere sbucare da una roccia un demone fuggito dall’inferno, oppure spuntare dal bosco un orso inferocito che ci avrebbe impedito di proseguire. Ma quando più avanti ci imbattemmo soltanto in volpi e daini, i nostri timori si placarono. Comprendemmo che il nostro amatissimo Santo non era meno potente fra quelle montagne che nelle pianure della nostra valle. Sul nostro cammino incontrammo poi le rive di un ruscello, le cui acque cristalline avevano un aspetto a prima vista rinfrescante. Sul fondo, tra le rocce, era possibile vedere le splendide trote dorate, pesci grossi come le carpe dello stagno nel nostro monastero di au. Anche in quelle contrade desolate, il Cielo provvedeva al sostentamento dei credenti fornendogli ogni bene. Sotto ai pini, accanto alle grandi rocce coperte di licheni, crescevano alcuni fiori rari, di un blu profondo o di un giallo dorato. Aegidius, tanto sapiente quanto pio, erborista responsabile del monastero, ci insegnò ad uno ad uno i loro nomi. Dovunque potevamo vedere bellissimi scarabei, di ogni foggia e colore, come pure una miriade di farfalle che avevano lasciato il loro riparo dopo che aveva finito di piovere. Raccogliemmo una gran quantità di fiori e giocammo con i bellissimi insetti che ci circondavano, dimenticando sia le paure e sia le preghiere, gli orsi minacciosi e gli spiriti maligni, abbandonandoci così spontaneamente all'esuberanza della nostra gioia. Da molto tempo non avevamo più visto una casa e nessun essere umano ci aveva salutato lungo il percorso. Più ci inoltravamo fra le montagne, più incontravamo difficoltà a continuare per la nostra strada. I burroni erano sempre più profondi e tutti gli orrori delle solitudini che avevamo già attraversato si ripeterono uguali a prima. Tutto ciò ebbe minore effetto sulle nostre anime perché sapevamo tutti che il Signore ci avrebbe preservato per realizzare i suoi grandi quanto impenetrabili disegni. Molto presto, in un punto in cui quel ruscello svoltava, vedemmo con nostra grande soddisfazione e con gioia i contorni di un ponte. Era rudimentale ma appariva ai nostri occhi molto ben fatto e robusto.

Stavamo per salirci e quindi attraversarlo quando il mio sguardo venne attirato verso l’altra riva, dove vidi uno spettacolo che mi pietrificò per il terrore che istantaneamente provai. Dall’altra parte del ruscello si stendeva una pianura coperta di bellissimi fiori, in mezzo ai quali si elevava un patibolo dal quale penzolava la sagoma di un uomo. Il viso del giustiziato guardava verso di noi, e io fui in grado di vedere bene i suoi lineamenti che, anche se deformati e distorti, dimostravano senza alcun dubbio che la sua morte risaliva a quello stesso giorno. Feci notare quello spettacolo abominevole ai miei compagni ma si verificò uno strano episodio. Comparve una ragazza dai lunghi capelli biondi incoronati da ghirlande di fiori. Vestiva una veste di un colore rosso che mi parve illuminare tutta la scena come avrebbero fatto le fiamme di un improvviso incendio. Dal modo in cui si muoveva era facile comprendere che non aveva la minima paura nel vedere quel cadavere che pendeva dal patibolo. Anzi, si avvicinò quasi allegramente alla forca accarezzando l’erba con i piedi scalzi. Poi si mise a cantare deliziosamente a bassa voce e agitò le braccia per disperdere i grossi uccelli divoratori di cadaveri che si erano già preparati attorno all’impiccato e che sbattevano le ali digrignando il becco. Tutti fuggirono quando la ragazza si avvicinò, con l'unica eccezione di un grande avvoltoio che rimase tranquillamente appollaiato con un'aria minacciosa di sfida. La giovane donna corse verso di lui continuando a saltellare, a ballare e a cantare, fino a quando quell’enorme uccello non aprì le grandi ali e si alzò pesantemente in volo. Solo allora la ragazza smise di gesticolare e, fermatasi sotto al patibolo, fissò pensosa il corpo di quel disgraziato che ondeggiava al vento. Il canto aveva attirato l’attenzione di noi tutti: continuavamo a fissare quella strana creatura troppo stupiti per dire una sola parola. Mentre gli occhi si soffermavano su quella scena sorprendente, sentii un brivido gelido attraversare il mio corpo, un segno inequivocabile che eravamo appena ati dal punto che, un giorno, sarebbe stata la nostra tomba. Strano, ma nel momento in cui la ragazza aveva messo piede sotto la forca, avevo sentito ogni cellula del mio corpo tremare. Questo prova solo quanto siano imbevute di

superstizione anche le più elevate credenze umane. Quando un sincero discepolo di San sco potrà mai essere sepolto sotto un patibolo? «Facciamo in fretta», dissi ai miei compagni. «Preghiamo per l’anima del defunto, raggiungiamolo» Attraversammo il ponte e a occhi bassi cominciammo a pregare. Io, in particolare, sentivo il mio cuore pieno di pietà per quel povero peccatore impiccato. Mi ricordai la parola di Dio che dice che la giustizia non è di questo mondo, e mi ricordai anche che il nostro Salvatore aveva perdonato il ladro crocifisso che era di fianco a lui sul Calvario. Chi non avrebbe provato misericordia e perdono per quel povero disgraziato, morto di una morte così terribile? Mentre ci avvicinavamo, la giovane si era tenuta a una certa distanza, come turbata dalla nostra presenza e intimidita dalle nostre preghiere. Tuttavia compresi, all’improvviso, mentre stavamo pregando, la sua voce squillante e dolce. «L’avvoltoio! L’avvoltoio!». Era agitata e sembrava in preda a una grande paura. Sollevai la testa e vidi un grande uccello grigio che volava sopra i pini e che, improvvisamente, si era gettato in picchiata su di noi. Avrei detto che i salmi sacri non gli ispirassero alcuna paura. I miei fratelli si indignarono per quell’interruzione e cominciarono a inveire contro di lei, dicendole di fare silenzio. «Forse quella ragazza è una parente del morto», dissi io. «Pensate per un attimo, miei fratelli, che quel terribile uccello si accinga a divorare il suo corpo e il suo viso. E fin troppo normale che quella poverina si sia messa a chiedere aiuto». «Ambrosius», mi disse uno di loro, «andate da lei e ordinatele di tacere, solo così potremo pregare in pace per l’anima sfortunata di quel peccatore». Avanzai tra quei fiori profumati e raggiunsi la giovane: aveva ancora gli occhi fissi sull’avvoltoio che continuava a volteggiare sul patibolo descrivendo cerchi sempre più stretti. E fui così pazzo da saggiare di persona che quella ragazza confusa fra i fiori d'argento di un cespuglio era di una bellezza estasiante.

La sconosciuta, imibile, rimase a fissarmi mentre mi avvicinavo a lei, apparentemente immobile, anche se avevo notato un’ombra di terrore nei suoi grandi occhi neri, quasi avesse paura che potessi farle del male. Quando le fui molto vicino non accennò nemmeno a venirmi incontro, come invece facevano di solito le donne e i bambini che si precipitavano a farmi il baciamano. «Chi siete?», le chiesi. «E cosa fate, da sola, in un posto così terribile?». La giovane non rispose e non si mosse. Così ripetei la domanda. «Ditemi, che cosa ci fate qui?» «Faccio scappare gli avvoltoi», rispose con una vocina dolce e musicale che prendeva il cuore. «Siete una parente del condannato?» La sconosciuta disse di no, scuotendo graziosamente la testa. «Sapete chi è? E il vostro cuore ha avuto pietà di questa morte così poco cristiana?». La giovane continuò a dire di no e fui costretto a ripetere di nuovo la domanda. «Come si chiamava? Perché è stato condannato a morte? Che cosa aveva fatto?» «Il suo nome è Nathaniel Alfinger, e ha ucciso un altro uomo per amore di una donna», rispose pacata la ragazza, del tutto indifferente. Come se un delitto e un’impiccagione fossero le cose più normali e quotidiane di questo mondo. Rimasi così stupito che la fissai severo. Ma sembrava che il suo sguardo, sempre calmo e timido, non avesse visto nulla di strano in tutto questo. «Conoscevate Nathaniel Alfinger?» «No». «Però vi prendete la briga di proteggere il suo corpo dagli avvoltoi?» «Sì» «E perché avete questa attenzione per qualcuno che non conoscete nemmeno?»

«Faccio sempre così» «Come...?» «Ogni volta che un uomo viene impiccato vengo qui e spavento gli uccelli perché vadano a cercarsi da mangiare da un'altra parte. Guardate... sta per arrivare un altro avvoltoio!» La ragazza, con un grido selvaggio e stridente, cominciò a correre come una matta per lo spiazzo erboso, agitando freneticamente le braccia sopra la testa, in maniera così forsennata da sembrare davvero impazzita. Il grosso uccello si allontanò, e la ragazza tornò tranquilla verso di me, tenendosi il petto e respirando profondamente, come se fosse molto affannata. «Qual è il vostro nome?», le chiesi con tutta la dolcezza che fui capace di mettere nella mia voce. «Benedicta» «E i vostri genitori?» «Mia madre è morta» «E vostro padre... vostro padre dov’è?» Benedicta non rispose, e allora le chiesi dove abitasse, con l’intenzione di riaccompagnarla a casa e di rimproverare il genitore. Che in futuro si prendesse cura della figlia e non le consentisse più di girovagare in posti così poco raccomandabili. «Dove abitate, Benedicta? Ditemelo» La ragazza allungò un braccio verso i pini e, seguendo la direzione della mano, notai un tugurio che somigliava più alla tana di una bestia che alla casa di un essere umano. Allora compresi molto bene, quasi che me l’avesse detto lei, di chi era figlia. Quando raggiunsi i miei fratelli e questi mi chiesero chi era la ragazza, risposi, senza esitare: «è la figlia del boia».

3

Abbandonammo quel posto maledetto dopo avere affidato l'anima del defunto alla Vergine e ai Santi del Cielo. Mentre ci allontanavamo mi girai un istante per vedere per l'ultima volta la figlia del boia. La ragazza era sempre nello stesso posto dove l’avevo lasciata e guardava quello che stavamo facendo. La sua fronte bianca e pulita era inghirlandata di fiorellini di campo, cosa che aggiungeva ulteriore fascino alla sua bellezza notevolissima, sia nei lineamenti e sia nell’espressione. I grandi occhi neri brillavano come le stelle in una notte fredda d’inverno. La figlia del boia era per i miei fratelli solo una creatura tra le più esecrabili, e proprio per questo mi rimproverarono per l’attenzione che le avevo riservato. Mi rattristò pensare che quella ragazzina così bella e deliziosa potesse essere disprezzata e tenuta lontana senza avere commesso alcuna colpa reale. Perché doveva esserle riservato un trattamento simile solo per colpa della professione del padre? Non era forse vera e concreta carità cristiana quella che spronava quella ragazza ad allontanare gli avvoltoi dal corpo di esseri umani che non aveva mai conosciuto e che tutti avevano respinto per l'orrore che ispiravano? Il suo era un comportamento, io la pensavo così, molto più generoso di quello della maggior parte dei cosiddetti cristiani, per i quali tutta la carità si limita a una misera mancia regalata a chi non ha nulla. Comunicai queste mie osservazioni ai miei fratelli: con grande amarezza mi resi conto che non le condividevano assolutamente. Mi dissero al contrario che ero uno stupido sognatore, un pazzo, che voleva ribaltare le antiche e sane abitudini che costituivano le colonne su cui si poggiava ogni società da quando esiste il mondo. Mi dissero che ogni persona di buon senso non poteva che aborrire la categoria alla quale appartenevano il boia e la sua famiglia, perché chiunque intratteneva anche il minimo rapporto con gente di quel genere, non poteva che ritrovarsi contaminato e abbruttito da quella frequentazione. Fui però così temerario di non recedere dalle mie convinzioni e, in tutta umiltà, mi interrogai sulla giustizia che poteva esserci nel trattare persone del genere alla

stregua dei criminali, e ciò solo perché sono loro stessi ingranaggi dell'implacabile macchina giudiziaria, per mezzo della quale i criminali vengono giustamente puniti. In chiesa la famiglia del boia aveva di sicuro un posto riservato in un angolo buio e defilato, ma questo non ci dispensava per niente dal compiere, nei loro confronti, il nostro dovere di buoni cristiani. Dovevamo invece avvicinarci e far loro conoscere la buona parola, la parola del nostro Dio giusto e misericordioso, dando così l’esempio di amore e di carità che ogni uomo deve riservare al suo prossimo. Fu a quel punto che i miei fratelli se la presero davvero con me e mi ricoprirono di insulti. Così pesanti che incominciai a pensare di avere concepito cattivi pensieri, pur non riuscendo a capire dove avessi potuto realmente sbagliare. Potevo solo rimettermi al giudizio di Dio, sperando che il Cielo avrebbe saputo essere più generoso nei nostri confronti di quanto noi stessi non lo siamo, di solito, verso gli altri. Mi piacere pensare a quella ragazza e sapere che si chiamava Benedicta. Magari i genitori l’avevano battezzata con questo nome allo scopo di attirare, malgrado tutto, qualche attenzione su di lei, bandita di sicuro dalla altre persone della comunità. Forse questa era l'unica benedizione di cui avrebbe mai avrebbe goduto quella ragazza. Ma adesso non posso fare a meno di raccontare in quale luogo incredibile e grandioso eravamo arrivati. Nonostante ci sforzassimo di convincerci che tutta la terra è opera divina, perché Dio ha creato ogni cosa, talvolta non potevamo impedirci di pensare che quel luogo così selvaggio che ci circondava fosse il regno del Maligno. Un fiume a regime torrentizio schiumava fra altissime rocce in una gola che si spalancava ai nostri piedi: le cime delle montagne sembravano perforare la volta del cielo. Sulla nostra sinistra, a mano a mano che uscivamo da quell’abisso, si stendeva un’immensa e oscura foresta di pini, terribile da vedere, mentre dritta davanti a noi si elevava la più alta delle cime. Questa montagna, malgrado l’orrore che comunicava, aveva un aspetto stravagante, grottesco, perché era tutta bianca e appuntita come il copricapo di un buffone, al quale qualcuno aveva appoggiato un sacco di farina sulle spalle. Ma era solo neve. Neve, nel bel mezzo dello splendido mese di maggio...

Le vie del Signore sono veramente infinite e spesso vanno oltre la comprensione di un uomo. All'improvviso mi venne un'idea strampalata: se quella montagna fosse crollata, tutta la regione sarebbe stata sommersa da un finissimo nevischio. Mentre proseguivamo, rimanemmo molto sorpresi nel vedere che, di tanto in tanto, la foresta era stata parzialmente disboscata per costruire un modesto casolare e fare spazio a un piccolo orto. Alcune di queste abitazioni, a prima vista primitive, si trovavano in punti nei quali solo le aquile più coraggiose potevano pensare di fermarsi. Ma è chiaro che non esiste un posto non contaminato dalla mano dell’uomo, che imprime il suo marchio dovunque, anche all’aria aperta. Quando finalmente arrivammo a destinazione e vedemmo il monastero costruito in quella zona solitaria e impervia, al fine di perpetuare il ricordo del Nostro Santo Patrono, i nostri cuori cominciarono a palpitare, eravamo tutti veramente emozionati. Sotto le rocce, tutte ricoperte di conifere, si vedeva un gruppo di casupole raggruppate attorno al monastero, proprio come un pastore circondato dal suo gregge. Costruiti con grossi blocchi di granito, sia la chiesa che l'abbazia erano di pregevole architettura, grandi e confortevoli. Possa Dio benedire il nostro arrivo in quei luoghi così santi.

4

Abito queste regioni selvagge e sperdute ormai da alcune settimane e posso testimoniare che il Signore è qui, come ovunque. La casa del Santo Patrono è allo stesso tempo un baluardo della fede, un rifugio per chi sfugge alla collera del Maligno e un ricovero dove possono riposare tutti coloro che sono toccati e soccombono da pene e problemi esistenziali che li divorano. Non sono in grado di dire granché per quanto riguarda la mia umile persona. La mia salute è eccellente. Sono giovane e, nonostante il mio spirito sia in pace, ho così poca esperienza del mondo e sono così poco avvezzo ai suoi pericoli che mi sento naturalmente portato a sbagliare e vulnerabile dalle tentazioni e dal peccato. Lo scorrere della mia vita è come l'acqua di un ruscello che lascia scorrere pigro il filo argentato della sua corrente fra le pianure fertili e campi ricolmi di fiori. Ma so benissimo che potrebbe non essere sempre così: se il cielo si fe minaccioso, questo ruscello si muterebbe in un torrente impetuoso, diventerebbe una colata di fango che andrebbe a gettarsi nel mare, trascinando con sé le prove della sua potenza e della follia ingovernabile delle sue ioni. Non sono stati né il dolore, né la disperazione a spingermi lontano dal mondo e a farmi entrare nell'orbita santa della Chiesa. Ho sempre avuto un solo desiderio, quello di servire sinceramente il Signore. La mia unica aspirazione è sempre stata quella di appartenere al nostro Beneamato Santo, di ubbidire ai comandamenti della Chiesa e, in qualità di servitore di Dio, mostrarmi caritatevole verso ogni essere mortale, per il quale provo il più grande e profondo amore. In verità la Chiesa è la mia vera madre adorata, perché i miei genitori sono morti quando ero ancora molto piccolo, e io stesso avrei corso il rischio di morire nell’indifferenza generale se la Chiesa non mi avesse dato una mano, se non mi avesse aiutato nutrendomi, vestendomi e allevandomi come uno dei suoi figli prediletti.

Per me che sono un povero monaco, sarà una gioia immensa essere ordinato e consacrato ministro di Dio Onnipotente. Ci penso sempre e cerco di preparare la mia anima a un privilegio così eccezionale, unico e prestigioso. Lo so che non sarò mai degno di una simile felicità, ma spero davvero di diventare un onesto predicatore, in grado di servire Dio e gli uomini seguendo la poco luce che mi verrà dispensate dall'Altissimo. Spesso prego il Cielo di mettermi alla prova, di indurmi in tentazione, perché sono convinto di farcela e uscire indenne dal battesimo del fuoco, con anima e corpo purificati per sempre. In questa silenziosa solitudine, una pace sovrana, il mio spirito è come placato e curato. Tutte le tentazioni e le prove dell'esistenza sembrano remote e lontane, proprio come si allontanano i pericoli del mare per chi può sentire il debole rombare della risacca sulla riva di un porto.

5

Padre Andrea, un uomo dolcissimo e pio, è il nostro padre Superiore. I nostri fratelli vivono in pace e in completa armonia. Non sono scansafatiche né superficiali, men che meno arroganti. Sono sempre dello stesso umore e neanche troppo attirati dai piaceri della tavola, che, da queste parti, è di una moderazione assolutamente lodevole. A dire la verità lo è anche in molti altri posti. Le colline e le valli, il fiume e la foresta, come tutto ciò che contengono, tutto appartiene al monastero. I boschi sono pieni di selvaggina, i cui esemplari più pregevoli finiscono sulle nostre tavole, cosa della quale ci dilettiamo non poco. Al monastero preparano una bevanda a base di malto e di orzo, è forte e amara, e dopo una giornata di lavoro rinfresca non poco. Per i miei gusti è alquanto sgradevole. Almeno a me fa questo effetto. La caratteristica predominante di questa parte della regione sono le miniere di sale. Mi hanno detto che tutta la montagna ne nasconde una quantità immensa e, ancora una volta, non si può fare a meno di pensare che tutto ciò sia opera del Signore. Alla ricerca di questo minerale, l'uomo ha scavato profondamente nelle viscere della terra, ha lavorato nei pozzi e nelle gallerie, allo scopo di riportare alla luce del sole l'amaro raccolto delle rocce. Come ho potuto constatare, il sale si presenta sotto forma di grossi cristalli gialli, rossi o scuri. Il suo sfruttamento consente di dare lavoro alla gente del paese, come pure a diversi lavoratori pagati a giornata che arrivano da fuori. Tutti sono sorvegliati da un capomastro conosciuto con il nome di Maitre Saulnier. È un uomo dall’aspetto severo, che gode di una grande autorità, ma del quale il nostro Superiore e i fratelli non dicono granché bene, non per lo spirito scarsamente cristiano, ma perché tutti hanno una gran paura di lui. Maitre Saulnier ha solo un figlio, si chiama Rochus, è un bel ragazzo ma ha un carattere tenebroso e indisciplinato.

6

La gente di queste parti è orgogliosa e ostinata. Si dice che, nelle vecchie cronache, i nativi siano i diretti discendenti dei Romani i quali, ai loro tempi, hanno scavato moltissime gallerie nelle montagne al fine di estrarre quel sale così prezioso anche allora. Alcune di queste gallerie sono utilizzate ancora oggi. Dalla finestra della mia cella posso vedere le colline, molto alte, e le foreste brune che si infiammano come grandi torce al calare del sole. Gli antenati di questa gente, una volta che i Romani se ne furono andati, continuarono testardamente a praticare l’idolatria anche dopo che tutte le altre popolazioni vicine avevano accettato la Croce di Nostro Signore, il nostro Salvatore. Oggi tutti piegano le loro teste robuste davanti a quel sacro simbolo, e hanno addolcito i loro cuori proprio per poter ricevere la sola e indiscutibile verità. Anche se sono uomini molto alti, sono persone umili e temono la parola di Dio. Da nessun’altra parte, questo è vero, mi hanno baciato le mani con tanto trasporto come la gente di qui, nonostante non sia ancora un prete, una cosa che sta a indicare in maniera inconfutabile la potenza e il trionfo della nostra gloriosa Fede. Questa è una razza fisicamente forte ed eccezionalmente bella nei lineamenti e nel corpo, in modo particolare i giovani. I più anziani camminano a testa alta, con la stessa fierezza di un re. Le donne hanno lunghi capelli biondi che intrecciano e annodano sul capo nelle fogge più strane e fantasiose, e molte di loro amano i gioielli come ornamento. Alcune hanno occhi neri così lucenti che oscurano il riverbero dei rubini e dei granati con i quali di solito ornano il loro collo bianchissimo. Mi hanno detto che i giovani si battono fra loro per le ragazze, proprio come fanno i cervi per conquistare le loro femmine. Quante ioni senza senso si agitano nel cuore degli uomini! Ma dato che non conosco niente di tutto ciò e mai proverò turbamenti così animaleschi, non sta a me né giudicarli né condannarli.

Signore, quale enorme felicità è la pace che regali a piene mani nel cuore di coloro che Ti appartengono. Quando appari per incanto ogni agitazione abbandona il mio cuore e mi sento improvvisamente tranquillo come un bambino. Che possa sempre essere così, mio Eterno Salvatore.

7

Oggi ho rivisto la bella figlia del boia. Mentre le campane del monastero suonavano per annunciare la Messa, all’improvviso l'ho vista, davanti alla porta della chiesa. Stavo tornando dal capezzale di un malato ed ero immerso nei pensieri più cupi. Quando l'ho vista ho provato una grande gioia. Avrei voluto salutarla ma aveva gli occhi bassi e non mi ha neppure visto. Il sagrato della chiesa era invaso da molta gente: c'erano uomini e adolescenti da una parte, donne e ragazze dall’altra, gli uni con grandi cappelli piumati, le donne piene di monili quasi fossero sante reliquie. I fedeli erano disseminati in diversi gruppi ma quando videro arrivare quella povera ragazza, si spostarono tutti, sussurravano qualcosa fra di loro e la guardavano storto, come se parlassero di una lebbrosa infetta e temessero il contagio. La comione si impadronì di me e mi spinse ad avvicinarmi a quella disgraziata. «Che Dio vi benedica, Benedicta», dissi a voce alta. La ragazza indietreggiò come spaventata di molti i e poi alzò gli occhi: mi riconobbe e diede l’impressione di essere molto sorpresa, poi cominciò a diventare rossa, fissandomi senza dire una parola. «Avete paura di parlare con me?», le chiesi. Benedicta non reagì in alcun modo, e allora le parlai di nuovo. «Siate buona, ubbidite a Nostro Signore, non abbiate paura. Solo allora sarete veramente salva» Sentendo queste parole, la ragazza fece un lungo sospiro e mi rispose con una voce così bassa da essere appena poco più che un sussurro: «vi ringrazio, mio signore».

«No, non sono nobile, Benedicta», le dissi. «Sono solo un povero servitore di Dio, che è un Padre generoso e misericordioso per tutte le sue creature, per quanto umile sia la sua origine. Se avete un peso sul cuore, pregate, Lui sarà subito al vostro fianco» Ascoltando queste parole Benedicta sollevò la testa come una bambina triste che viene confortata dalla madre. Io, continuando a parlarle, con il cuore traboccante di affetto cristiano, le presi la mano e la feci entrare per prima in chiesa. San sco benedetto, potrai mai perdonare anche il peccato che ho commesso durante la funzione? Mentre Padre Andrea recitava solennemente la Messa, i miei occhi scivolavano senza sosta verso il punto in cui si trovava la ragazza, sola e abbandonata, inginocchiata in un angolo buio dove isolavano sempre sia lei sia il padre. Benedicta sembrava pregare con grande devozione, e di sicuro avrai diffuso la Tua grazia anche su di lei, poiché proprio per il Tuo amore verso il prossimo sei diventato Santo amato da tutti e hai deposto ai piedi dell’Onnipotente il Tuo immenso cuore, sanguinante per tutti i mali del mondo. Allora perché io, il più umile dei tuoi discepoli, non posso seguire il tuo insegnamento, non avere pietà di quella povera disgraziata, che soffre per peccati che lei non ha mai commesso? Per lei sento una tenerezza particolare, che posso accettare solamente come un segno che mi viene dal Cielo, che mi affida il compito di vegliare su di lei sempre, di proteggerla e, ciò è la cosa più importante, di salvare la sua anima tormentata.

8

Il Superiore mi ha mandato a chiamare e mi ha rimproverato in maniera molto severa, mi ha detto che sono stato motivo di profondo disagio per la gente e la comunità, e mi ha chiesto quale demone ha potuto possedermi per entrare in chiesa in quel modo assieme alla figlia del boia. Che cosa avrei potuto dire se non che provavo molta pietà nei confronti di quella poverina e che non avevo potuto comportarmi in modo diverso? «Perché avete pietà di lei?», mi ha chiesto. «Perché tutti la tengono lontana», ho detto, «come se fosse il peccato in persona. E perché è invece assolutamente pura e senza colpe. Non è giusto colpevolizzarla per il mestiere del padre, perché bisogna per forza che qualcuno faccia il boia» Ah, mio dolce San sco, quali parole mi sono uscite di bocca e in che modo il nostro Superiore ha tuonato contro il Tuo povero servitore! «Almeno vi siete pentito?», mi ha chiesto, chiudendo così la sua invettiva. «Ma come faccio a pentirmi del mio amore verso il prossimo, un affetto, come penso con tutto il mio cuore, dovuto esclusivamente dal nostro Santo?» Il Superiore si è rabbuiato constatando la mia testardaggine. Mi ha sottoposto a un lunghissimo sermone e una pesantissima penitenza. Ho accettato tutto umilmente e non mi sono opposto in alcun modo. Adesso sono prigioniero nella mia cella, nella quale devo digiunare e mortificarmi, cose che non evito nella maniera più assoluta, perché è una gioia soffrire per l’amore di qualcuno trattato con tanta ingiustizia, come quella povera ragazza dimenticata da tutti. Rimango dietro le sbarre della finestra a contemplare le cime che si stagliano

contro il cielo della sera. Dato che non fa molto freddo, ho aperto i vetri dietro le sbarre per fare entrare un po’ d’aria fresca e sentire meglio il rumore del fiume, l’unico amico che la Divina Provvidenza mi ha regalato per parlarmi con dolcezza e consolarmi. Non so se ho già avuto modo di dire che il monastero è stato costruito su uno sperone di roccia che sovrasta il fiume. Le finestre delle nostre celle sono proprio sopra quelle scoscese scarpate che nessuno può pensare di scalare, se non mettendo a rischio la propria vita. Provate quindi a immaginare il mio stupore quando vidi una sagoma umana sbucare dal precipizio con la sola forza delle braccia e, dopo essere salita sulla cima, restare in bilico sul bordo di quell’abisso. Non riuscivo a distinguere, la luce del crepuscolo era tenue, di chi si trattasse. Pensando che fosse qualche spirito diabolico venuto per tentarmi, mi feci il segno della croce e dissi una preghiera. Ma quella persona agitò le braccia e qualcosa volò ando dalla finestra, appena sopra la mia testa, e cadde sul pavimento della cella, brillando come una stella. Mi chinai e vidi che era un mazzo di fiori di una bellezza che non avevo mai visto, erano assolutamente privi di petali, bianchi come la neve, morbidi come il velluto, senza l'ombra di un profumo. Mi avvicinai alla finestra per ammirare meglio quei fiori misteriosi e i miei occhi guardarono ancora verso il dirupo. Fu allora che ascoltai una voce dolcissima: «sono io, sono Benedicta. Sono venuta per ringraziarvi» Era proprio quella ragazzina che, noncurante del pericolo, aveva scalato la roccia per soccorrermi nella solitudine e nella penitenza. Allora sapeva che ero stato punito... punito a causa sua. E sapeva anche dove si trovava la cella in cui ero rinchiuso. Oh, Santo amatissimo, tu solo hai potuto guidarla, e sarei alla stregua di un infedele se dubitassi che il sentimento che provo per lei possa significare qualcosa d’altro all’infuori della missione di redenzione di cui sono stato personalmente investito. Così vidi la ragazza sporgersi su quell’orribile strapiombo. Si voltò un momento, agitò la mano nella mia direzione e poi sparì. Gridai quasi senza accorgermi: se fosse caduta? Afferrai le sbarre della cella e incominciai a scuoterle con tutta la

forza che avevo, ma quelle non si mossero di un solo centimetro. Ero disperato: mi lasciai cadere a terra urlando e pregando tutti i santi del paradiso perché proteggessero quella cara ragazza durante la sua pericolosa discesa, fosse stata ancora viva, e che intercedessero per la sua anima, quell'anima che non aveva avuto il tempo di purificare per mezzo della confessione, casomai fosse già precipitata. Ero sempre in ginocchio quando Benedicta mi fece capire di essere arrivata sana e salva: emise un grido alla maniera dei montanari, il loro modo per esprimere un primordiale amore per la vita. Ma, a dire il vero, il grido di Benedicta arrivava dal fondo della gola unito a un'insolita eco, e non assomigliava a nessun altro grido mai uscito da un essere umano. Ero scosso, come stordito, così tanto che mi misi a piangere inzuppando di lacrime i fiori selvatici che tenevo fra le mani.

9

Sono un discepolo di San sco, e per questo mi è vietato possedere qualsiasi cosa, anche la più cara. Per questa ragione sono stato costretto a disfarmi del mio tesoro più prezioso. Ho regalato al Santo Patrono i fiori che mi ha offerto Benedicta. Ora sono davanti alla sua immagine, nella chiesa del monastero, e ornano il suo povero cuore sanguinante, simbolo del suo amore anche per la più dimenticata delle creature di questo mondo. Adesso conosco come si chiamano quei fiori. Per il loro colore e per la loro delicatezza, superiori a quelli di qualsiasi altro fiore, li chiamano edelweiss, che nella lingua di questa regione vuol dire bianco, nobile, prezioso. L'edelweiss spunta solo in pochi, rari punti, in particolare sulla cima di rocce alte e scoscese, dove un solo o falso può risultare fatale a chi prova a raccoglierlo. Questi fiori splendidi sono davvero degli spiriti diabolici, tipici di questi luoghi selvaggi, poiché attirano molte persone verso una fine terribile. I fratelli mi hanno raccontato che non a anno senza che qualche pastore, qualche cacciatore o qualche giovane troppo disinvolto, attirato dal loro superbo manto bianco e lanoso, non sparisca nel tentativo di impadronirsene. Che Dio possa avere pietà di queste anime imprudenti!

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Devo essere proprio impallidito uno dei fratelli, quando ha riferito, durante la cena, che avevano trovato sull'immagine di San sco un mazzolino di edelweiss di una bellezza così unica che non ne trovavano da nessun’altra parte se non in cima a una roccia, alta mille piedi, appena sopra un terribile lago. Mi hanno detto quanto siano profonde e pericolose le sue acque, e poi hanno aggiunto che sulle sue sponde vivono i più orribili spettri. Per questo i fiori di Benedicta mi hanno così emozionato e mi hanno provocato così tanta ammirazione per lei, perché anche fra i cacciatori più intrepidi ce ne sono proprio pochi che avrebbero osato salire fino su quella cima che si eleva sopra quel lago. Quella tenera ragazza, invece, l’aveva fatto! Si era spinta fin lassù completamente sola e aveva raggiunto il punto dove crescono gli edelweiss. Poi era venuta a offrirmeli allo scopo di illuminare con un raggio di sole la mia solitudine. Non ho dubbi: il Cielo l’ha preservata dai pericoli con il solo scopo di sottolinearmi ancora una volta la missione che mi è stata affidata. Povero agnello senza peccato! Sei maledetta agli occhi degli uomini, ma Dio ha voluto testimoniare così che Lui si preoccupa di te e, per quanto mi riguarda, comincio già a sentire le prime avvisaglie dell’adorazione che deve per forza esserti tributata, poiché Dio riconosce sempre chi è puro e santo. Penso anche che lascerà sui tuoi resti un segno o una testimonianza dei suoi favore, cosicché la Chiesa ti dichiarerà beata fra tutte le donne. Ho saputo anche un’altra cosa, che intendo raccontare. In questa regione, gli edelweiss sono il simbolo della fedeltà in amore: il giovane li offre alla prescelta e questa, a sua volta, ne orna il cappello del suo innamorato. È chiaro che desiderando esprimere la propria gratitudine a un umile servitore di Dio, Benedicta abbia voluto anche comunicare, forse senza neppure saperlo, il suo amore per tutta la Chiesa. L'ha fatto anche se aveva ben pochi motivi per farlo. Mentre percorro questi luoghi, giorno dopo giorno, conosco tutti i segreti della

foresta e gli impervi e scoscesi sentieri che raggiungono le cime dei monti. Non di rado mi mandano dai contadini, dai cacciatori o dai pastori, per portare, ogni tanto, una medicina per chi è malato o qualche parola di conforto per coloro i quali soffrono. Quando sono arrivato al monastero, il Superiore mi aveva detto che sarebbe toccato a me portare i Sacramenti ai malati gravi in punto di morte, perché ero il più giovane e il più robusto dei fratelli. Nelle zone più elevate, talvolta accade che un cacciatore o un pastore cada in qualche burrone e che sia ritrovato, dopo qualche giorno, ancora vivo. In quel caso è dovere del religioso adempiere ai riti prescritti dal nostro Credo e raggiungere il capezzale del peccatore che soffre, di modo che il Salvatore sia lì presente a raccogliere l’anima del defunto. Dato che mi ha giudicato degno di un tale compito, possa il nostro Santo venerato preservare il mio cuore da ogni ione umana e da ogni desiderio tentatore.

11

Il nostro monastero ha celebrato una grande festa che ora proverò a raccontarvi nei minimi dettagli. I preparativi erano già iniziati diversi giorni prima: i fratelli avevano decorato la chiesa accuratamente con rami di pino, di betulla, e con giganteschi, bellissimi mazzi di fiori. I frati, in compagnia di altri uomini, avevano raccolto le più belle rose alpine che avevano potuto trovare, anche perché ce n'erano tantissime, eravamo ormai in piena estate. Tutta la valle era in festa, i miei fratelli erano scesi in giardino e avevano cominciato a preparare meravigliose ghirlande per adornare la nostra chiesa. Anche il Superiore e i Padri erano stati piacevolmente coinvolti in questa gioiosa incombenza, eggiavano sotto gli alberi, intenti a fare piacevoli discorsi e non mancando di spingere l’amministratore del convento a mettere a disposizione senza risparmiarsi il contenuto delle cantine e delle dispense del monastero. Il giorno dopo prese il via la Santa Processione. Era davvero magnifica da vedere, e la nostra Santa Chiesa ne ebbe un enorme ritorno di immagine. Il Superiore avanzava davanti a tutti, sotto un baldacchino di seta rossa, circondato dai Padri illustri mentre fra le mani teneva l’immagine sacra della crocifissione di nostro Signore il Salvatore. Noi tutti, noi frati, li seguivamo tenendo candele accese e cantando i salmi. Vestita a festa, ci seguiva una marea di gente, tutti i fedeli della zona non avevano voluto mancare a questa occasione. I più fieri del corteo erano gli abitanti della montagna e chi lavorava nelle miniere di sale. Maitre Saulnier faceva bella mostra di sé davanti a loro a cavallo di un bel destriero tutto bardato. Era un uomo dall’aspetto imponente, con una grossa spada legata alla cintura e un cappello piumato calcato sulla fronte altera e spaziosa. Dietro di lui Rochus, suo figlio, che avevo già avuto modo di notare quando ci eravamo trovati per cominciare la processione. In quel momento mi era sembrato un uomo furbo e coraggioso: indossava il cappello sulle ventitré e guardava con occhi infuocati tutte le donne e le ragazze, mentre per noi poveri frati aveva solo

sguardi pieni di disprezzo. Temo proprio che non sia un buon cristiano, ma devo confessare che è di gran lunga il più bel ragazzo che abbia mai visto: è agile e slanciato come un pino, ha gli neri occhi brillanti e i capelli biondi. Maitre Saulnier è importante in questa zona almeno quanto il nostro Superiore. È stato nominato dal Duca in persona, e dispone di pieni poteri giuridici, ovvero può derimere personalmente qualsiasi questione legata alla giustizia. Ha di fatto potere di vita e di morte su coloro che sono accusati di omicidio o di qualsiasi altro crimine violento. Ma il Signore gli ha dato fortunatamente grande equilibrio e una invidiabile serenità di giudizio. Inoltre è dotato di grande saggezza. Dopo aver attraversato il villaggio, la processione raggiunse il fondo della valle e l’ingresso delle grandi miniere di sale. Davanti all'ingresso principale era stato installato un altare, e lì il nostro Superiore celebrò una Messa solenne, e in quell'occasione tutto il popolo della zona era inginocchiato ai suoi piedi. Non sfuggì né a me né agli altri miei fratelli che Maitre Saulnier e suo figlio non si erano inginocchiati. Si erano limitati a chinare il capo, una cosa che mi rattristò non poco. Quando la messa fu terminata, la processione continuò verso una montagna denominata Monte Calvario, che è più alta anche di quella su cui è stato edificato il monastero, dall’alto della quale si domina tutta la valle e la regione sottostante. Per allontanare le potenze diaboliche che fra queste montagne sono numerosissime, il Superiore espose il crocifisso. Poi recitò anche alcune preghiere e proferì anatemi contro i demoni che ancora oggi infestano le valli. Le campane rintoccavano e lodavano il Signore, ed ebbi come l’impressione che un cuore celestiale battesse tra quelle lande desolate. Niente avrebbe potuto essere più bello, onesto e buono. Provai a dare un'occhiata intorno per vedere se la figlia del boia era arrivata, ma non riuscii a vederla da nessuna parte. Non sapevo se dovevo essere lieto nel sapere che era lontana e al sicuro dagli insulti e dalle offese della gente, oppure rattristarmi per essere privato della forza spirituale che mi avrebbe dato la possibilità di vedere la sua bellezza celeste. Dopo la cerimonia, cominciò la festa. Al centro di una piana circondata da alberi

noi del monastero avevamo approntato una grande tavolata e tutti si misero a sedere, popolo e clero. Il nostro Superiore e Maitre Saulnier ebbero l'incarico di distribuire la carne servita da alcuni ragazzi del paese. Era un piacere vederli appiccare imponenti fuochi di pini e di aceri, infilzare negli spiedi di legno grandi quarti di bue, rigirarli sulle braci ardenti per cuocerli a puntino e per deporli poi davanti ai Padri e alla gente di quella montagna. Furono cucinate anche tantissime trote di torrente e una gran quantità di carpe. Avevano portato ceste immense ricolme di pane di frumento, e nessuno rischiava di rimanere con la gola secca: sia il nostro Superiore che Maitre Saulnier, avevano regalato all'assemblea un enorme barile di birra. Le due botti, gigantesche, riposavano sugli zoccoli di legno, al riparo di una vecchia quercia. Il popolo e gli accompagnatori di Maitre Saulnier bevevano al barile portato dal capomastro, mentre il fratello economo, ovvero l'amministratore, e gran parte dei nostri giovani monaci spillavano quello del nostro Superiore. Per onore di San sco, devo precisare che la botte monacale era di dimensioni molto più imponenti di quella fornita da Maitre Saulnier. Il Superiore e ai Padri erano seduti in alcune tavolate separate a loro riservate, e altre ancora ospitavano Maitre Saulnier e i suoi intimi collaboratori. Il capomastro e il Padre Superiore si erano sistemati su confortevoli sedili appoggiati su un morbido tappeto ed erano protetti dal caldo da un baldacchino di lino. I compagnia delle loro belle mogli e delle figlie, c'erano anche molti nobili, arrivati dai loro castelli lontani per partecipare a questa grande festa collettiva. Io davo una mano a servire a tavola, portavo i piatti e riempivo i calici. Fu così che ebbi modo di vedere con quale incredibile appetito quelle persone mangiassero, e come gradissero quella bevanda scura e amara. E vidi anche con quali occhiate languide il figlio di Maitre Saulnier fissasse tutte le donne. La cosa mi turbò non poco perché, a ben vedere, non avrebbe certo potuto sposarsele tutte, soprattutto quelle che erano già sposate... Poi fu la volta di un intervallo musicale. Alcuni ragazzi del paese, che nei momenti di svago si dilettavano a suonare parecchi strumenti, cominciarono a suonare. Com'erano allegri quegli zufoli, come erano gioiosi i flauti. Non ho dubbi che la musica sia una buona cosa, ma il Cielo, purtroppo, non mi ha dotato

di un buon orecchio musicale. Sono sicuro che il nostro mai abbastanza venerato Santo è stato largamente soddisfatto nel vedere così tanta gente tutta assieme che mangiava e beveva così tanto da farsi scoppiare letteralmente la pancia. Come si sono abbuffati, quante portate di cibo hanno ingoiato e cacciato nei loro stomaci. In ogni caso nulla al confronto di quello che hanno bevuto. Credo sinceramente che, se ogni montanaro si fosse portato da casa una botte personale, di sicuro l’avrebbe vuotata in totale solitudine. Le donne, soprattutto quelle più giovani di età, sembravano ignorare la birra. Prima di bere, i ragazzi di solito offrivano le loro coppe alle ragazze, ma queste si limitavano a bagnarsi le labbra e, scuotendo la testa in segno di diniego, facevano una smorfia. Non conosco abbastanza bene il comportamento femminile per poter dire, con assoluta sicurezza, se questo significa che quelle signore sono sobrie alla stessa maniera anche in altre occasioni meno conviviali. Dopo mangiato, i giovani si abbandonarono a molti giochi, ciò al fine di dimostrare la loro forza e la loro agilità. E, caro e dolce San sco, che gambe muscolose avevano, che braccia e che colli. Saltavano e lottavano fra di loro e si affrontavano come fossero orsi. Solo vedere quei combattimenti mi faceva letteralmente accapponare la pelle, perché mi davano l’impressione di volersi uccidere e sterminare fra di loro. Davanti a quell'angoscioso spettacolo, le ragazze non sembravano provare né paura né timore. Ridevano nervose e, anzi, sembravano addirittura divertirsi. Era incredibile ascoltare le voci altissime di quei ragazzi di montagna che rovesciavano indietro la testa quasi fossero leoni e gridavano a squarciagola finché l’eco non si diffondeva per tutta la montagna e scendeva per i precipizi, proprio come se quell'urlo fosse uscito dalla gola di un esercito di demoni. A spiccare decisamente fra di loro era il figlio di Maitre Saulnier, che saltava come un daino, si batteva come un diavolo, e muggiva come un toro inferocito. Era il re di tutti i montanari, e compresi che molti erano gelosi della sua forza e della sua bellezza e lo detestavano senza dire una parola, perché in realtà manifestavano una supina ubbidienza. Era meraviglioso vedere come quel giovanotto curvava il corpo agile e scattante, come partecie a tutti i giochi. Raddrizzava fiero la testa in mezzo agli amici, scuotendo la bella capigliatura bionda quasi fosse un fauno in agguato, con le guance rosse e gli occhi che

brillavano. Com'era triste constatare che l’orgoglio e la ione, solo queste, albergavano nel cuore di quell’individuo, un uomo che invece avrebbe dovuto essere solamente tabernacolo di un’anima votata esclusivamente alla gloria di chi lo aveva creato. Stava arrivando la sera quando il Superiore, Maitre Saulnier e i Padri, assieme tutti gli altri ospiti di riguardo, si allontanarono per raggiungere le loro dimore, lasciando gli altri a bere e a danzare. Era mio dovere rimanere in compagnia del frate economo per sorvegliare da vicino la grande botte di birra e servire a richiesta tutta quella gioventù scatenata. Anche Rochus rimase con noi e, non so dire come mai, a un certo punto si fermò davanti a me e mi squadrò con uno sguardo fiero e minaccioso. «Siete voi», mi chiese, «il monaco che l’altro giorno ha offeso così gravemente la gente di queste contrade?» «A che cosa vi riferite?», risposi umilmente, anche se sotto la mia tonaca di frate vibrava una rabbia colpevole. «Come se non lo sapeste!», mi prese in giro lui. «E ora considerate bene quello che vi sto per dire. Se vi prenderete ancora una qualche confidenza nei confronti di quella ragazza, sappiate che vi darò una lezione che non dimenticherete di sicuro molto presto. Voi monaci siete impagabili nella vostra capacità di camuffare la vostra insolenza sotto forma di pregio, ma io le vostre astuzie le conosco tutte e non mi lascio prendere in giro da voi. Mettetevelo bene in testa, moccioso che non siete altro, perché il vostro bel musetto e i vostri occhioni da cerbiatto ferito non vi sarebbero di alcun aiuto» Detto questo si girò sdegnosamente e se ne andò risentito. Poco dopo mi capitò di ascoltare la sua voce tenorile rimbalzare nella notte, quando si mise a cantare e a gridare senza freni assieme agli altri. Ero spaventatissimo per essere venuto a sapere che quel ragazzotto violento aveva adocchiato la figlia del boia. I suoi sentimenti nei confronti della povera ragazza non avevano proprio nulla di onorevole. Perché invece di odiarmi per essere stato gentile nei suoi confronti, avrebbe dovuto essermi riconoscente e addirittura ringraziarmi. Provo molta preoccupazione e paura per quella ragazza e ho promesso al mio Santo Patrono di vegliare su di lei e di proteggerla,

seguendo il miracolo che si è operato in me quando l'ho vista per la prima volta. Con questo irrinunciabile sentimento, un affetto profondo che ormai mi anima, non posso fallire nel compito che mi sono dato e non posso che salvarti, Benedicta! Anima e corpo.

12

Ma lasciatemi proseguire il racconto. I ragazzi buttarono dei rami secchi sul fuoco. Le fiamme illuminavano tutta la radura e facevano rosseggiare tutte le cime degli alberi. Poi presero per mano le ragazze cominciarono a farle volteggiare intorno al braciere. Mio Dio come battevano i piedi, facevano piroette, lanciavano per aria i cappelli, facevano sbattere i talloni e sollevavano le donne da terra, quasi fossero sacchi di piume e non delle robuste ragazze di montagna. Urlavano e sbraitavano tutti quasi fossero indemoniati. Cominciai a desiderare che arrivasse un branco di maiali perché i demoni che abitavano in quegli animali dalle sembianze umane potessero trasferirsi in quelli a quattro zampe. I ragazzotti avevano trangugiato una quantità incredibile di birra scura che, a causa del suo sapore amaro e dell’elevata gradazione alcoolica, non è che una bevanda abominevole e pericolosa. La follia e l'ebbrezza dell’ubriacatura non tardò a possederli. Cominciarono a fare a pugni fra di loro, poi a sfoderare coltelli, come se volessero aggredirsi a vicenda e uccidersi. All'improvviso, il figlio di Maitre Saulnier, che si era accontentato fino ad allora ad osservare gli avvenimenti, saltò in mezzo a loro e afferrò due contendenti per i capelli. Poi sbatté le loro teste una contro l’altra con così tanta violenza da provocare un’abbondante perdita di sangue dal naso. Ho pensato per un attimo che il cranio di quei due disgraziati si fosse spezzato come il guscio di un uovo, ma invece era resistente come legno, perché quasi non fecero una piega per lamentarsi di quel trattamento subito. Dopo essere ricorso in abbondanza alla violenza e al turpiloquio, Rochus riuscì a ristabilire la pace. A me, che sono un povero frate, la cosa parve un’impresa assai meritevole. Di nuovo si sentì la musica, e gli archetti ripresero a stridere e gli zufoli a fischiettare, mentre i giovani con gli abiti a brandelli, i visi stravolti e sanguinanti, si rimettevano a ballare come se nulla fosse accaduto. Una popolazione del genere avrebbe scaldato il cuore di Carlo Magno o di Oloferne, ne sono sicuro.

Mi ero appena ripreso da quello spavento causato da Rochus, quando ne provai subito un altro ancora più grande. Rochus stava ballando con una giovane alta e prosperosa, che sembrava davvero una regina fatta apposta per un re. I due danzavano volteggiando come ossessi, una cosa da far venire le vertigini, pur conservando sempre una eleganza che non potevo fare a meno di ammirare, ero piacevolmente stupito. Un sorriso sensuale illuminava la bocca della ragazza che aveva uno sguardo così sfacciato che sembrava dire: «lo vedete, sono io la donna del suo cuore!». Ma, a un certo punto, Rochus la respinse in maniera brusca, come preso da un'improvvisa repulsione, e abbandonò il gruppo dei ballerini. «Vado a vedere dov'è la mia dama. Chi mi accompagna?», gridò, rivolgendosi ai suoi amici. La giovane, offesa e basita per quell’insulto, lo fulminò con lo sguardo, gli occhi neri che scintillavano come fossero fiamme dell’inferno. Un tale affronto divertì quei ragazzi ubriachi che si misero tutti a ridere sguaiatamente. Poi Rochus prese una torcia accesa e la fece roteare sopra la testa, seminando tutt’attorno a sé una pioggia incandescente di scintille. «Chi mi accompagna?», ripeté. Un attimo dopo prese deciso la via del bosco e scomparve nella foresta. Ognuno dei ragazzi afferrò una torcia e tutti insieme si lanciarono all’inseguimento, sparendo ben presto nel buio e lasciando dietro a loro l’eco delle voci che svanivano lentamente nella notte. Avevo ancora gli occhi puntati nella direzione che aveva preso Rochus, quando la ragazza che lui aveva sbeffeggiato si avvicinò a me e mi bisbigliò qualche parola nell’orecchio, senza neanche avvertire il calore del suo respiro contro la mia guancia. «Se vi interessa in maniera particolare la figlia del boia fate in fretta, muovetevi e salvatela dalle mani di quel miserabile, che in più è anche ubriaco fradicio. Non gli può resistere nessuna donna!» Mio Dio! Rimasi sconvolto e impietrito dalle parole di quella matta! Neanche

per un attimo, comunque, riuscii a dubitare di lei e così cominciai a preoccuparmi molto per quella povera ragazza. «Ma come posso fare a salvarla?» «Andate subito ad avvisarla, a metterla in guardia. Vi ascolterà se sarete voi a parlarle...» «Ma quei pazzi scatenati la troveranno ben prima di me...» «Sbronzi come sono non riescono di certo a camminare in fretta. E poi, io conosco una scorciatoia che ci porterà direttamente, e in fretta, fino alla casa del boia...» «E allora fate in fretta, ditemi qual è!», le gridai. La ragazza cominciò a camminare in silenzio, facendomi segno di seguirla. Ben presto fummo tra i boschi, era così buio che a stento riuscivo a distinguere la sagoma della persona che camminava davanti a me. La ragazza si muoveva rapida e con un o sicuro, come se fossimo in pieno giorno. Sopra le nostre teste riuscivamo a vedere il riverberare delle torce dei ragazzi, cosa che ci dimostrava che avevano preso la strada più lunga, ovvero quella che attraversava il fianco della montagna. Ogni tanto sentivo le loro terribili grida e tremavo di paura per quella ragazzina. Era già molto che avanzavamo in silenzio, dopo esserci lasciata alle spalle quella marmaglia, quando la ragazza cominciò a parlare. Dapprima non compresi il senso di ciò che diceva, ma le mie orecchie non tardarono a cogliere alcune apionate esclamazioni. «Non l’avrà, mai! Che torni all’inferno quella figlia del Diavolo! La disprezzano tutti e tutti sputano dove mette i piedi. E la stessa cosa la fanno con Rochus, ma lui non si preoccupa nemmeno di quello che gli altri possono dire o pensare di lui. Perché la gente la disprezza, lui invece la ama. A dire il vero, quella ragazza ha un viso bellissimo. Mi piacerebbe proprio sistemarglielo a puntino, farla diventare una bella maschera di sangue! E anche se fosse davvero la figlia del Diavolo in persona, quel cocciuto si dannerà l’anima pur di possederla. Ma non ce la farà!» Poi alzò le braccia al cielo e si mise a ridere di gusto, di un riso così selvaggio

che mi fece rabbrividire e pensare alle forze maligne e oscure che si agitano nel profondo del cuore degli uomini, anche se ero così poco esperto in materia, ringraziando il Signore, non ero più esperto di un neonato. Finalmente raggiungemmo la casupola del boia, alla Galgenberg, e dopo un ultimo sforzo, arrivammo molto vicini a quella miserabile dimora. «Ecco dove abita», esclamò la ragazza, segnando a dito quel povero tugurio dietro le cui finestre brillava la luce giallastra di una povera candela di sego. «Correte, andate ad avvertirla», continuò. «Il boia è malato e non sarebbe in grado di proteggere sua figlia, anche se ne avesse mai il coraggio. Comunque sarebbe molto meglio che voi la portaste via da qui... Portatela all’alpeggio di Goll, lì mio padre possiede una baita. Vi garantisco che nessuno andrà mai a cercarla fin là» Detto questo si girò e sparì in un attimo nel buio.

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Sbirciando da una finestra di quella casupola riuscii a vedere il boia, era seduto su una sedia. Sua figlia gli teneva una mano sulla spalla. Lo sentii tossire e lamentarsi, e vidi che la ragazza tentava in tutti i modi di lenire il suo dolore. Sul suo viso, più bello che mai, si leggeva tutta la pena e tutto l’amore del mondo. Non potei comunque fare a meno di notare quanto quel luogo fosse modesto, nonostante l'interno fosse molto pulito e in ordine. Quell’umile dimora somigliava a un luogo reso santo dalla pace divina, nonostante quelle anime senza colpe fossero trattate alla stregua di dannati e evitate con lo stesso orrore che ispira un gravissimo peccato mortale. Mi si riscaldò il cuore vedendo, sul muro di fronte a quello dietro il quale ero nascosto, un’immagine della Vergine. Il quadretto era circondato di fiori di campo e il mantello della Santa Madre era tutto ricoperto di edelweiss. «Non abbiate timore. Sono io... Fratello Ambrosius», annunciai, bussando alla porta. Ebbi come l’impressione che, sentendo la mia voce e il mio nome, il viso di Benedicta si illuminasse di felicità, ma forse questo fu dovuto solo alla sorpresa che doveva provare. La mia visita era inaspettata. Possano tutti Santi del Paradiso preservarmi dal peccato dell’orgoglio. La ragazza si avvicinò alla finestra e un attimo dopo l’aprì. «Benedicta», le dissi dopo avere ricambiato il saluto, «fra poco saranno qui dei ragazzi fuori di sé per la troppa birra bevuta. Ti vogliono portare a ballare. Rochus, che è con loro, dice che vi vuole come sua dama. Sono arrivato prima allo scopo di darvi una mano a scappare» Quando pronunciai il nome di Rochus, le guance di Benedicta diventarono rosse e divamparono, poi tutto il volto di lei si fece di porpora. Accidenti, la mia gelosa guida aveva veramente ragione: nessuna donna era in grado di resistere a quel ragazzo bellissimo, neanche la più pura e virtuosa delle creature. Quando suo padre capì il significato delle mie parole, si alzò a fatica e protese la sue

braccia scarne, quasi volesse proteggerla da un pericolo imminente ma, nonostante l’anima fosse forte, non feci fatica a rendermi conto che il suo fisico era debilitato e molto malato. «Datemi la possibilità di portarla via», gli dissi: «quei ragazzi sono tutti ubriachi fradici e non si rendono neanche conto di quello che fanno. Qualsiasi resistenza da parte vostra non farebbe che aumentare la loro rabbia e potrebbero anche picchiarvi tutti e due. Guardate là! Si vedono già le loro torce e si sentono le voci piene di eccitazione! Fate in fretta, Benedicta, stanno per arrivare, tra non molto saranno qui!» Singhiozzando, Benedicta si avvicinò al vecchio padre e lo abbracciò teneramente. Poi abbandonò la stanza e, dopo avermi ricoperto le mani di baci, scappo correndo verso i boschi e scomparendo nella notte, cosa che mi sorprese non poco, devo ammetterlo. Attesi per qualche minuto che ritornasse, poi entrai nella casupola per proteggere il genitore da quei giovani brutali che, pensavo, avrebbero sfogato su di lui la loro delusione per non avere trovato in casa la ragazza. Ma loro non arrivavano, e aspettai per un bel po'. Poi tesi l’orecchio con maggiore attenzione. Sentii delle grida strazianti di gioia e delle urla che mi fecero tremare i polsi e pregare il nostro Beato sco. Ma questi suoni si udirono sempre più in lontananza e così compresi che la comitiva era ridiscesa per il Galgenberg e intendeva raggiungere di nuovo l’altopiano, quel posto li attendeva con i suoi fuochi e la sua gioia senza freni. Io e il vecchio, entrambi felici e sollevati, lui ebbro di gratitudine, parlammo a lungo del miracolo che aveva mutato i loro cuori. Più tardi ripresi la strada per la quale ero arrivato e, mentre mi avvicinavo alla radura, sentii degli schiamazzi più selvaggi che mai e, tra gli alberi, vidi il riflesso luminoso di un immenso falò, contro il quale si stagliavano le sagome dei giovanotti e di qualche ragazza, che aveva la testa scoperta, i lunghi capelli sciolti sulle spalle e le vesti scompigliate dalla foga dei suoi movimenti bizzarri. Ballavano una ronda attorno al fuoco, si mischiavano e poi separavano in indiavolate sarabande, di volta in volta colorati di nero oppure di rosso per la luce danzante delle fiamme, del tutto simili a demoni infernali caduti sulla terra per celebrare qualche nefasta ricorrenza o per santificare qualche nuova pena da espiare per i dannati. E laggiù, mio potentissimo Salvatore, in mezzo a uno

spiazzo all’interno del quale gli altri si guardavano bene dall’entrare, ballando solo per loro stessi e apparentemente lontani di tutto ciò che li circondava, c’erano loro due, Rochus e Benedicta.

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Santa Madre di Dio, che cosa può esserci di peggiore della caduta di un angelo divino? Osservai quella scena e solo allora compresi che Benedicta aveva lasciato me e suo padre solo per correre libera incontro a quel destino da cui io avrei voluto difenderla a qualsiasi prezzo. «Quella maledetta si è gettata tra le braccia di Rochus», sussurrò qualcuno al mio fianco. Girandomi vidi la ragazza prosperosa e bruna che mi aveva fatto da guida, i lineamenti erano distorti e contratti dall’odio che provava. «Avrei fatto molto meglio ad ammazzarla! Perché lasciate che si prenda gioco di noi, stupido frate?» La allontanai con uno strattone deciso e corsi verso la coppia, senza neppure pensare a quello che stavo facendo. Ma come avrei potuto agire in maniera diversa? In quel preciso momento, non so se con l’intento di anticipare la mia intrusione, oppure perché realmente inconsapevoli che io ci fossi, i giovani ubriachi disegnarono come un cerchio intorno a loro, manifestando la loro ammirazione per mezzo di muggiti animaleschi e battendo le mani per segnare il ritmo. Bisogna ammettere che quei due, allacciati nella danza, erano magnifiche creature, erano davvero uno spettacolo entusiasmante. Lui era alto, agile e dal fisico bellissimo, somigliava a un dio greco, mentre Benedicta avrebbe potuto benissimo essere una fata. Attraverso la tenue nebbiolina che invadeva quello spiazzo, la sua persona delicata, che oscillava da ogni parte, come velata d’oro e di porpora, sembrava addirittura non appartenere a questo mondo. I suoi occhi erano umili, costantemente abbassati. I movimenti erano agili e spontanei, pieni di grazia: il suo viso era illuminato d’eccitazione, e tutta l’anima sembrava essersi impegnata totalmente nella danza. Povera, dolcissima creatura! Mi fece piangere questa sua cecità nei confronti dell'esistenza, ma comunque la perdonai. La sua era una vita così monotona e solitaria. Perché non avrebbe dovuto

divertirsi e provare piacere nella danza? Che il Cielo la benedica! Ma Rochus no, che Dio lo perdoni... Mentre guardavo quella scena e pensavo a ciò che sarebbe stato corretto e doveroso fare, quella ragazza gelosa, Amula, si chiamava così, si sistemò davanti a me imprecando maledizioni e bestemmiando senza ritegno. Quando i ragazzi applaudirono la danza di Benedicta, Amula fece per salterle addosso, con la chiara intenzione di strangolarla. Ma feci un solo o avanti e riuscii a bloccare quella pazza furiosa. «Benedicta!» Sentendo la mia voce, la piccola sussultò, abbassò un po’ la schiena ma continuò comunque a ballare. Amula non riuscì più a trattenersi e, con un urlo selvaggio, si catapultò in avanti, provando a spezzare quel cerchio difensivo di ballerini. Gli uomini si misero in mezzo e la bloccarono, cosa che non fece che esasperarne maggiormente la follia, ragione per cui quell'animale scatenato raddoppiò i suoi sforzi per buttarsi addosso alla sua vittima. Non soddisfatti, quei ragazzi ubriachi cominciarono a prenderla pesantemente in giro. San sco, prega per noi... Perché quando vidi quell’odio terribile brillare negli occhi di Amula, un brivido gelato mi percorse tutto. Che Dio ci benedica! Ero convinto che quell’essere sarebbe stato in grado di ammazzare quella povera creatura con le sue mani, di farsene poi addirittura un vanto... Ormai avrei dovuto già essere tornato al monastero, e invece decisi di rimanere ancora in quel luogo di perdizione. Pensai a quello che sarebbe accaduto una volta finita la danza, perché mi avevano riferito che, di solito, i ragazzi riaccompagnavano a casa le ragazze. La prospettiva di lasciare Rochus e Benedicta da soli nella foresta, di notte, mi faceva rabbrividire solo a pensarci. A questo punto capirete la mia sorpresa quando Benedicta sollevò di colpo la testa, smettendo improvvisamente di ballare, e, dopo avere fissato Rochus con uno sguardo sorridente, gli rivolse la parola, con quella sua voce dolce, così simile al tintinnare di un camlo d’argento. «Signore, vi ringrazio di avermi invitato al ballo così cavallerescamente» Poi, dopo essersi chinata davanti al figlio di Maitre Saulnier, uscì velocemente fuori dal cerchio e sparì nel buio della foresta, prima che chiunque avesse potuto

prevedere quello che stava per fare. All'inizio Rochus sembrò di pietra per lo stupore ma poi, quando capì che Benedicta l’aveva piantato in asso, si trasformò al punto tale da sembrare impazzito. «Benedicta!», cominciò a urlare, supplicandola e chiamandola con i nomignoli più teneri, che andarono tutti persi per aria, dal momento che la ragazza era sparita nel nulla. A quel punto fece capire di volerla immediatamente inseguire, voleva cercarla nella foresta illuminando la strada con le torce, ma i compagni gli fecero subito cambiare idea. Poi notò la mia presenza, prima non mi aveva neppure visto, e sfogò la sua rabbia contro di me, con tanta cattiveria da farmi pensare che, se avesse osato, sarebbe stato benissimo capace di prendermi a pugni. «Un giorno o l'altro finirò per sistemare a dovere quel tuo grugno da miserabile frate da quattro soldi!», minacciò. Ma a me non fece assolutamente paura. Grazie a Dio, Benedicta non aveva fatto nulla di male e potevo rispettarla esattamente come avevo fatto fino ad allora, nonostante tremassi al pensiero di tutti i pericoli che probabilmente già la insidiavano. Lei, poverina, era indifesa contro l’odio di Amula e i bassi e lascivi istinti di Rochus. Ah, se avessi potuto essere sempre vicino a lei per proteggerla e sorvegliarla! Mi raccomando, mio Signore, fai che quell’infelice orfana non invochi mai il Tuo nome senza speranza di essere ascoltata.

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Che destino triste è il mio! Sono stato punito un’altra volta: e un’altra volta sono del tutto incapace di capire in che cosa ho mai sbagliato. Pare che Amula abbia parlato in giro di Rochus e Benedicta. La ragazza bruna è andata di porta in porta, dicendo come Rochus sia corso fino alla misera catapecchia del boia per cercarsi una dama, aggiungendo malignamente che Benedicta si era comportata nel modo più vergognoso nei confronti di quei giovanotti ubriachi. Quando mi hanno riferito l’accaduto ho ritenuto fosse mio dovere raccontare com'erano andate davvero le cose. Ma con questa mia testimonianza, in contraddizione con quella di chi aveva disubbidito a uno dei Comandamenti del Decalogo commettendo falsa testimonianza contro il suo prossimo, pare abbia offeso il nostro Padre Superiore. Così mi hanno portato davanti a lui e sono stato accusato di avere tentato di discolpare la figlia del boia dalle accuse di una donna senza colpa e cristiana. Ho chiesto che cosa avrei dovuto fare a quel punto, umilmente, invece di consentire che fosse calunniata una povera ragazza innocente e indifesa. «Ma che tipo d’interesse», mi ha chiesto il Padre Superiore, «può rappresentare per voi quella figlia del boia? Lo sanno tutti che si è unita a quel gruppo di ubriachi di sua spontanea volontà» «L'ha fatto solo per amore di suo padre», ho risposto senza esitare. «Perché, se quegli scalmanati non l’avessero trovata, avrebbero di sicuro malmenato il padre, che è un vecchio malato e senza forze, al quale Benedicta vuole un bene enorme. Ecco quello che è successo, e che cosa sono in grado di testimoniare» Ma il Reverendo Padre ha continuato a dire che avevo torto e mi ha inflitto una durissima punizione, che subirò senza fiatare, poiché sono felice di soffrire per quella dolce ragazza. Per cui non ho nemmeno tentato di discutere con il nostro venerabile Padre. È un mio Superiore, ribellarmi contro di lui, anche se solo con il pensiero, vorrebbe dire commettere peccato. L’ubbidienza non è il primo comandamento che il nostro amatissimo Santo ha impartito ai suoi discepoli?

Bene, non vedo l’ora di essere ordinato prete e unto dell'olio sacro. Allora sarò veramente in pace e sarò in grado di servire al meglio il Cielo e di sottomettermi sempre e comunque alla sua volontà. Per quanto riguarda Benedicta sono molto in ansia. Se non fossi chiuso e segregato in cella, sarei corso fino in cima al Galgenberg e forse avrei avuto modo di vederla. La sua assenza mi rattrista come se fosse la lontananza da una sorella. Appartengo a Dio e non ho il diritto di amare nessuno, se non Colui che è morto sulla croce per i nostri peccati. Qualsiasi altro amore, di qualsiasi genere, è ispirato dal Demonio. O Santi del Paradiso, che cosa accadrebbe se questo sentimento, che ho accettato esclusivamente e solo come segno e testimonianza della missione a cui ho dedicato l'intera vita, finisse con il rivelarsi un amore sempre più terreno? Caro sco prega per me, prega perché mi sia concessa la luce, perché non mi perda e sia condannato a vagabondare per le strade dell’inferno. Dammi la luce e concedimi la forza, o mio Santo adorato, per proseguire sempre per la diritta via.

16

Sono davanti alla finestra della mia cella. Il sole sta tramontando e le ombre si allungano sfiorando i fianchi delle montagne dall’altra parte dell'abisso, che trabocca di una fitta nebbia la cui superficie gorgogliante assomiglia a quella di un enorme lago. Sto pensando a Benedicta, che ha sfidato questo burrone scosceso per portarmi i fiori. Tendo l’orecchio, cerco di sentire il rumore delle pietre, mosse dal are dei suoi piedi delicati, pietre che cadono nel fondo della gola. Ma le notti ano una dopo l’altra e sento solo il vento che sibila fra i pini e l’acqua che scorre nelle profondità della montagna. Sento anche il lontano cantare dell’usignolo. Non sento mai la voce angelica di Benedicta. Ogni notte, la nebbia si solleva da quel dirupo. Sale dalle viscere della terra e, mulinando, arriva fino in cielo, dove si riforma dando vita a nuvole scure. Quel manto lattiginoso ricopre allora le colline, le valli, le verdi conifere, le cime ricoperte dalla neve. Le ultime luci del tramonto che ancora arrossano le cime più alte sono come soffocate dal suo abbraccio e, poco dopo, la notte scende con il suo scuro mantello. Anche nella mia anima regna una notte scura e profonda, una notte senza stelle e senza alcuna speranza di rivedere mai più l’alba. Oggi è domenica e Benedicta non è nemmeno venuta in chiesa. Il suo angolo buio è rimasto inabitato. Sono stato incapace di concentrarmi sulla Messa, cosa che costituisce un peccato per il quale mi infliggerò volontariamente una dura penitenza. Amula era in mezzo al un gruppo delle ragazze, ma non ho visto Rochus da nessuna parte. Mi è sembrato che gli occhi neri e attenti di Amula costituissero una sufficiente messa in guardia rivolta a una qualsiasi ipotetica rivale, e ho sperato che proprio grazie a questa indomabile gelosia Benedicta potesse finalmente trovare una difesa. Perché Dio è capace di indirizzare le ioni più basse verso i fini più nobili. Tutte queste riflessioni mi procurarono un grande piacere che però, purtroppo, si rivelò di breve durata. Verso la fine della funzione religiosa, i Padri e i novizi abbandonarono la chiesa

in lenta processione e raggiunsero la sacrestia mentre la folla dei fedeli usciva dalla porta d'ingresso principale. Dalla lunga galleria coperta che conduce in sacrestia si ha una panoramica completa della piazza del paese. Mentre noi novizi seguivamo i Padri lungo la galleria, accadde un fatto di cui mi ricorderò per sempre, anche in punto di morte, come di un’azione vigliacca che Dio ha permesso in funzione di non so quale imperscrutabile disegno. Poi ho saputo che i Padri erano già a conoscenza di ciò che stava accadendo, perché si fermarono nella galleria, dando a ciascuno di noi la possibilità di guardare in basso verso la piazza. Dapprima sentii un brusio di voci confuso che si fece sempre più forte, e grida concitate che salirono fino a noi, urla che assomigliavano molto al chiasso di una banda di assatanati. Non ero ancora in grado di vedere che cosa stava succedendo nella piazza perché mi trovavo in fondo, e per questa ragione chiesi a uno dei miei fratelli, che era affacciato a una finestra, il perché di tutto quel trambusto. «Una donna, stanno portando alla gogna una donna», mi rispose. «Una donna? E chi è?» «Una ragazza...» «Che cosa ha fatto?» «Questa è una domanda proprio cretina. Per chi sarebbero una gogna e una frusta se non per una donna perduta, una peccatrice?» Intanto la folla vociante si era riunita in fondo alla piazza, e solo allora riuscii a vedere bene tutta la scena. Alla testa del corteo c’erano alcuni ragazzotti che bestemmiavano, gesticolavano e cantavano canzonacce irripetibili. Sembravano posseduti da una gioia furiosa mentre sbeffeggiavano la creatura distrutta dal dolore e dalla vergogna che accompagnavano. Le ragazze non si comportavano da parte loro con minore furia e non mettevano meno foga nel loro selvaggio vociferare. «Sì, che vada alla gogna quella svergognata! E sia ringraziato il Cielo che ci ha fatto donne pure e virtuose!»

Dietro ai giovani urlanti, circondata da quella calca scalmanata delle donne e delle ragazze... come posso trovare le parole per dirlo e per scriverlo? Come esprimere l’orrore di una situazione del genere? In mezzo a quella gentaglia scatenata, c’era lei, l’adorabile, la dolce, l’immacolata Benedicta... Mio Salvatore Gesù, come ho potuto assistere a tutto questo ed essere ancora vivo per raccontarlo? Ebbi come l’impressione di precipitare davanti alle porte dell’inferno e la galleria, la piazza, la folla, tutto si mise a girare. Il pavimento cedette sotto i miei piedi e, nonostante mi sforzassi di tenere gli occhi aperti, fui come sprofondato in un mare di tenebre. Questo stordimento durò solo un attimo. Mi sono subito ripreso e, quando ho abbassato di nuovo gli occhi sulla piazza, ho visto ancora una volta quella povera creatura indifesa. Le avevano fatto mettere una lunga tunica grigia e le avevano legato la vita con una corda di canapa. La testa era cinta da una corona di paglia e, al collo, le avevano infilato una cordicella alla quale era attaccato un cartello con scritto, a matita, la parola «puttana». Un uomo la tirava per la corda che aveva avvolta intorno alla vita. Cercai di guardarlo meglio e, santo Dio, quali bruti e spietati animali spietati hai creato, mi resi conto che era suo padre, il padre di Benedicta! Avevano obbligato quel poveretto a compiere fino in fondo il suo terribile mestiere e ad accompagnare al patibolo il sangue del suo sangue. Qualche tempo dopo sono venuto a sapere che il padre di Benedicta aveva supplicato in ginocchio il nostro Superiore di non affidargli un lavoro così penoso, ma nessuno l'aveva ascoltato. Il ricordo di quella scena terribile non mi ha mai abbandonato. Il boia non toglieva neanche per un attimo gli occhi dalla figlia la quale, poverina, non smetteva di sorridergli e di dargli segni di conforto e di incoraggiamento. Sia resa grazia a Dio: la ragazza riusciva a sorridere. La folla le gridava sulla faccia ignobili parolacce e la offendeva sputando dove aveva appena messo i piedi. Vedendo che la poverina rimaneva imibile, cominciarono a buttarle addosso terra e polvere. E fu allora che il suo povero padre non riuscì a sopportare oltre e, con un lamento strozzato, cadde a terra svenuto. Erano solo dei miserabili senza nessuna pietà! Avrebbero voluto rimetterlo in piedi per fargli finire quella disumana incombenza, ma Benedicta incominciò a

supplicarli, tendendo insistente le braccia. Aveva un’espressione così tenera che persino quella folla brutale si arrese al suo dolce potere e cominciò ad indietreggiare, abbandonando per terra quell’uomo privo di sensi. La piccola si inginocchiò e appoggiò la testa del padre contro il seno. Gli sussurrò parole dolcissime, gli accarezzò i capelli grigi, baciò le labbra pallide e incominciò a cullarlo. Svenuto com’era, l’uomo pian piano aprì nuovamente gli occhi. Benedicta che Dio ti benedica per tre volte, perché eri stata messa al mondo per essere santa. In verità hai dimostrato la stessa divina pazienza di cui già diede prova il nostro Salvatore portando in silenzio la sua croce e caricandosi in questo modo del pesantissimo macigno di tutti i peccati del mondo. Poi la ragazza aiutò il padre a rialzarsi e continuò a sorridergli finché lui non fu in grado di rimanere in piedi sulle gambe tremanti. Si tolse un po’ di polvere dalla tunica e poi, sempre con un sorriso e mormorando parole di incoraggiamento, gli consegnò la corda. Mentre quel vecchio infelice accompagnava la sua figlioletta innocente fino a quel luogo d’infamia chiamato patibolo, intorno a lei i giovani ballavano e cantavano, mentre le donne urlavano a squarciagola.

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Ritornato nella mia cella mi lasciai cadere sul freddo pavimento e cominciai a piangere e a imprecare, prendendomela con Dio per l’ingiustizia e la cattiveria delle quali ero stato testimone. E fui preso da una rabbia ancora maggiore, una rabbia struggente, quando rividi con gli occhi della mente il padre legare sua figlia al patibolo. Rividi quella gentaglia che sputava odio e sentenze danzare attorno a lei, in preda a un piacere animale. Rividi la malvagia Amula sputare sulla fronte di alabastro di quella povera ragazza. Ho pregato molto per lei, sempre con grande trasporto, sperando che quell’infelice trovasse dentro di sé abbastanza forza per sopportare le pene che le erano state inflitte. Poi mi sono seduto e ho atteso che il sole tramontasse, perché è a quell’ora che solitamente i condannati venivano slegati e liberati. I minuti sembravano ore e le ore un’eternità. Il sole non saliva all'orizzonte e la notte rifiutava di calare su quel giorno di indicibile vergogna. Cercavo invano di comprendere che cosa potesse essere accaduto. Ero annichilito e completamente esausto. Perché Rochus aveva permesso che Benedicta venisse sottoposta a un trattamento del genere? Forse pensava che, quanto più profonda sarebbe stata l’umiliazione di lei, meno avrebbe faticato a renderla sua per sempre? Non ero in grado di farmi un’opinione sicura e, in realtà, non mi interessava sapere quali potevano essere le motivazioni che avevano spinto di quel peccatore a comportarsi in quel modo. Ma ho l’impressione che il supplizio a cui è stata sottoposta Benedicta sia ricaduto sulla mia stessa persona! E poi, Signore, improvvisamente il tuo servo ha avuto la possibilità di vedere finalmente la luce. Il Cielo mi ha rivelato che il mio amore per Benedicta è, allo stesso tempo, più grande e meno nobile di quanto avessi pensato. Un amore terreno... l’amore di un uomo per una donna. Quando questa consapevolezza ha raggiunto all'improvviso la mia coscienza, ho cominciato ad agitarmi e a respirare con fatica, e ho avuto l’impressione di soffocare da un momento

all'altro. Ma il mio cuore e i miei comportamenti sono così fermi che, comprendendo che il Cielo tollerava un’ingiustizia così incredibile, fui incapace di pentirmi fino in fondo. Così rimasi come accecato da questa illuminazione improvvisa e non fui più in grado di determinare con chiarezza i contorni della mia colpa. La marea delle mie emozioni non era poi del tutto spiacevole, e dovetti confessare a me stesso che non ero più capace di farne a meno volontariamente, anche se sapevo benissimo che si trattava di un amore impossibile quanto inaccettabile. Possa la Madonna, Madre di tutte le misericordie intercedere a mio favore! Anche nel momento in cui parlo, sono certo di essere investito da una missione divina, ovvero salvare l’anima di Benedicta e prepararla a una santa esistenza. Ero completamente nell’errore. L’altro desiderio umano... non viene anche quello direttamente da Dio? Non ha per unico fine la felicità completa dell'oggetto a cui si rivolge? E che cosa può esserci di più elevato del benessere di un'anima? Che cosa ci può essere di più grande di una vita santa, cristiana e devota in questo mondo e, come ricompensa, la gloria e la gioia eterna nell’altra persona che amiamo? L'amore spirituale e l’amore carnale non devono essere così radicalmente diversi come mi hanno fatto credere fino ad ora. Probabilmente non sono antitetici e può darsi che entrambi possano proseguire seguendo la stessa guida e un’unica volontà. San sco, in questa grande luce che mi inonda da tutte le parti, guida i miei i e mostra ai miei occhi disorientati il giusto cammino attraverso il quale mi sarà permesso di salvare Benedicta. Il sole finì con lo sparire dietro i profili del chiostro. E tante piccole nuvole invasero l’orizzonte. Una nebbia vaporosa si alzò dall’abisso e le ombre rossastre, che sfuggivano impercettibilmente all’assalto delle montagne, si spensero in un ultimo riverberare che illuminò per un secondo le vette più alte. Ti ringrazio, Signore, adesso lei è libera!

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Sono stato molto ammalato ma, grazie alle valide cure dei confratelli, mi sono ristabilito così bene da poter lasciare il letto. È la volontà di Dio che vuole che continui a vivere per servirlo, perché non ho fatto sicuramente nulla per meritare la sua misericordia e ritornare in salute. Desidero sempre, nel profondo del mio cuore, consacrare e usare tutta la mia miserabile esistenza per celebrare la sua persona e metterla al suo servizio. Vivere nel suo amore e appartenere solo a lui sono i soli desideri che mi rimangono. Non appena sarò stato consacrato con l'olio sacro, tutti questi desideri saranno esauditi, ne sono sicuro. E allora, finalmente, avrò espiato la mia ione terrena per Benedicta e potrò accedere a una nuova vita più vera e più santa. E allora forse sarà possibile, senza offendere il Cielo o cagionare un danno alla mia anima, che io possa vegliare da lontano su di lei e proteggerla in modo molto più efficace di quanto non possa fare oggi, oggi che sono solo un povero monaco ammalato. Devo dire che le mie condizioni fisiche erano molto precarie. Le mie gambe erano deboli e cedevano come quelle di un bambino, non riuscivano nemmeno a sopportare il peso del mio corpo. I fratelli mi accompagnavano tutti i giorni in giardino e, con profonda gratitudine, i miei occhi vagavano ancora nell’azzurro infinito del cielo. Con che rapimento contemplavo le cime ricoperte di neve delle montagne, i loro fianchi rivestiti di scure foreste. Ogni filo d’erba mi sembrava presentasse un interesse del tutto speciale e salutavo ogni piccolo essere vivente, ogni insetto che incontravo come fosse un amico di lunga data. Guardavo verso il Galgenberg, i miei occhi si perdevano verso sud, e pensavo continuamente alla figlia del boia, a quella povera ragazza. Che fine aveva fatto? Era sopravvissuta al disumano trattamento a cui l’avevano sottoposta davanti a tutti, nella pubblica piazza? Che cosa stava facendo in questo preciso momento? Avessi abbastanza forza e coraggio per salire in cima al Galgenberg! Ma non posso abbandonare il monastero e non c’è nessuno qui vicino a cui possa chiedere qualcosa, che sia in grado di informarmi del destino di Benedicta.

I novizi mi squadrano con un'espressione strana e ho l'impressione che non mi considerino neanche più uno di loro. E perché mai fanno questo? A loro voglio un bene enorme e desidero vivere sempre in armonia con tutti. Sono gentili e attenti, soddisfano ogni mia esigenza ma, allo stesso tempo, ho l’impressione che facciano del loro meglio per scansarmi e non rivolgermi la parola. Che cosa vuole dire tutto questo?

19

Sono stato chiamato e poi ricevuto da Padre Andrea, il Superiore. «Vi siete ristabilito in maniera ottima, la vostra ripresa è stata meravigliosa», mi ha detto. «Spero che siate degno di una simile grazia e che abbiate preparato la vostra anima alla grande benedizione che vi attende. Dovete sapere, carissimo, che ho deciso che andrete lontano da noi per una stagione, ciò per ristabilirvi meglio in un luogo appartato, nella solitudine completa delle montagne, con lo scopo duplice di riprendere totalmente le vostre forze e di sondare più in profondità la vostra anima. Fate a un esame di coscienza severo, lontano da tutte le distrazioni e così capirete la gravità del vostro errore. Di questo io sono certissimo. Pregate anche che la luce divina rischiari il vostro cammino e che vi possiate di nuovo avvicinare all'amore del Signore e servirlo con lealtà, stavolta come autentico prete e apostolo, ormai per sempre salvo e immune dalle basse ioni e dagli esecrabili desideri umani» Non sono stato in grado di replicare, non ho avuto la presunzione di dire cosa pensavo. Mi sono inchinato davanti alla volontà del Superiore senza la minima obiezione, perché l’ubbidienza è una delle regole fondamentali del nostro Ordine. E non temo neppure le solitudini desolate della montagna, anche se ho sentito dire che sono infestate dagli animali feroci e dagli spiriti malvagi. Il Superiore ha ragione: il tempo ato lassù, in totale solitudine, sarà come un periodo di prova, di purificazione e di guarigione, cose queste di cui ho estremo bisogno. Perché mi sono spinto forse troppo avanti sulla strada del peccato, ho tenuto solo per me troppe cose che non ho mai confessato. Non avevo paura di una punizione ma non potevo pronunciare il nome di quella ragazza se non soltanto davanti a Te, mio santissimo sco, perché tu sei il solo che può capire e comprendermi. Mi guardi con amore e ascolti le mie pene, sono sicuro che dall’alto dei Cieli vegli su di me. Qualsiasi sia il peccato che possa danneggiare la mia comione nei confronti di quella povera innocente creatura perseguitata dagli uomini. Tu vegli senza chiedere nulla su di me, per amore del Nostro amato Redentore, che ha sofferto come noi per le ingiustizie e per le sventure che ha dovuto patire.

Quando sarò in montagna avrò anche il compito di scavare alla ricerca di particolari radici e di spedirle al monastero. Con questi vegetali preziosi che mi hanno incaricato di raccogliere, i Padri preparano un liquore, famoso in tutta la regione e anche più lontano, è addirittura rinomato nella popolosissima città di Monaco. È così forte e ha un'aroma così intenso che, dopo averlo bevuto, ci si sente bruciare la gola, come se invece di un liquido di fossero inghiottite le fiamme dell’inferno. Ma questa bevanda è molto apprezzata per le sue virtù curative e costituisce un rimedio per ogni tipo di malattia. Si dice perfino che sia un medicinale utile per la guarigione dei mali dell’anima, benché io pensi che un’esistenza pia e santa sia altrettanto valida in quei posti dove non è possibile procurarsi tale liquore. Resta comunque la vendita di questo fortissimo liquore la principale fonte di reddito del monastero. La radice da cui è estratto l’ingrediente principale è quella di una pianta alpina chiamata genziana, che cresce abbastanza di frequente in alta quota. Così durante i mesi di luglio e di agosto i novizi si procurano le radici e le fanno poi seccare. Poi queste vengono imballate e spedite al monastero. In quella zona solamente i Padri del nostro Ordine hanno il diritto di procedere alla raccolta, e la miscela della composizione del liquore è gelosamente custodita come un segreto. Dato che mi è stato ordinato di abitare per un certo periodo di tempo tra quelle cime altissime, il Superiore mi ha raccomandato di dedicarmi ogni tanto alla raccolta delle radici, questo non appena avrò completamente recuperato le mie forze. Un giovane che svolge il compito di domestico al convento dovrà guidarmi fino al luogo del ritiro, prendere in consegna il primo raccolto e portarlo subito dopo ai frati. Poi dovrà ritornare una volta alla settimana per consegnare le provviste e riprendere le nuove radici raccolte nel frattempo. Nessuno ha perso tempo in inutili cerimonie preparative. Mi sono congedato la sera stessa dal Superiore e, una volta tornato in cella, ho preparato un sacco dove ho messo i miei libri più cari, l'Agnus e la Vita di San sco, senza dimenticare di portare con me tutto l’occorrente per scrivere, questo al fine di proseguire e terminare il mio diario. Una volta sbrigate queste faccende, ho pregato per rafforzare la mia anima e adesso sono sicuramente pronto per andare incontro al mio destino qualsiasi sia, sia che debba lottare contro i demoni che contro le bestie feroci.

Mio amatissimo Santo, perdonami il dispiacere che sento nel partire senza aver rivisto Benedicta e senza nemmeno sapere che cosa ne è stato di lei dopo quel giorno terribile. Perché tu lo sai, Santo fra tutti i Santi, e io devo umilmente ammetterlo, che muoio dal desiderio di ritornare al Galgenberg se non altro per vedere la povera casetta dove vive la donna più pura, onesta e buona della terra, anche per un solo istante. Santissimo, non mi condannare con troppa severità, ti supplico, non rimproverarmi duramente per la debolezza del mio cuore così troppo umano e capace di sbagliare.

20

Quando ho abbandonato il monastero con la mia giovane guida, era tutto tranquillo all’interno di quelle mura. Tutti i confratelli dormivano in pace, un sollievo che da tempo tempo non riesco più a provare. Era l'alba da pochi minuti e le nuvole a oriente cominciavano a circondarsi di oro e di rosso mentre ci accingevamo ad affrontare il cammino che conduce fra le montagne. La mia guida, con un sacco sulla spalla, mi faceva strada e io lo seguivo, con la tonaca ben stretta attorno al corpo e con in mano un solido bastone con la punta in ferro che avrebbe potuto essermi utile contro gli animali feroci. Chi mi guidava era un ragazzino giovane dai capelli biondi e gli occhi azzurri, con un corpo agile e armonico, ben contento di camminare su quelle colline dove era nato e di ritrovare le strade che portano in quota, agli alpeggi. A prima vista sembrava non risentire minimamente del peso del sacco che portava. Aveva un o leggero e scattante, e camminava sicuro. Su quel sentiero sconnesso saltava e scartava le difficoltà come un camoscio. Era di ottimo umore e così cominciò a raccontarmi storie fantastiche di fantasmi e di folletti, di fate e di streghe. In verità sembrava davvero intendersi molto di fate e mi raccontò che di solito apparivano sontuosamente adornate di gioielli, mi disse che avevano i capelli biondissimi e delle ali magnifiche, e devo dire che le sue descrizioni corrispondevano in tutto con ciò che è riferito in alcuni trattati scritti dai nostri Padri. Mi disse che erano capaci di conquistare chiunque con i loro trucchi e il loro fascino, tutti quelli dei quali si invaghivano. Nessuno era capace di sottrarsi ai loro malefici, neanche la Santa Vergine. Ma immagino che tutto questo sia vero solo per quelli che vivono in una condizione peccaminosa, che un animo puro non ha nulla da temere da simili sotterfugi. Camminavamo per monti e per valli attraversando canaloni, foreste e meravigliose radure. I torrenti, che precipitavano dalle cime schiumando a valle, sembravano raccontarci le bellezze e le bizzarre avventure nelle quali si erano imbattuti durante il loro corso. Ogni tanto le fiancate delle montagne e le distese

dei boschi risuonavano di innumerevoli voci provenienti dalla natura: erano segnali di richiamo, mormorii, sospiri, manifestazioni che celebravano in questo modo la grandezza di Dio. Ogni tanto superavamo una casa di montagna, davanti alla quale giocavano dei bambini, creature abbandonate a loro stesse dai capelli biondi. Quando vedevano le nostre facce sconosciute scappavano terrorizzati, mentre le donne ci venivano incontro e prendendoli in braccia ci chiedevano di benedirle. Ci offrivano latte, burro, formaggio alle erbe e del pane saraceno. Spesso incontravamo anche degli uomini, seduti all'entrata delle loro case, impegnati a scolpire nel legno immagini di Cristo sulla croce. Queste statuette venivano in un secondo momento inviate a Monaco, dove venivano vendute e, a quanto mi hanno detto, i loro santi esecutori ne avevano un considerevole guadagno economico. Un poco più avanti, mentre stavamo proseguendo sulla nostra strada, ci apparvero all'improvviso le rive di un lago, che la fitta nebbia ci impedì di vedere chiaramente. A riva c’era ormeggiata una piccola imbarcazione, a dire il vero abbastanza grossolana, sulla quale la mia guida mi fece segno di salire. Da quel momento fu come se volassimo nel cielo, in un oceano di nuvole. Era la prima volta che salivo su una barca, non mi era mai capitato prima, e avevo una terribile paura di ribaltarmi e di affogare. Si sentiva solo il rumore delle onde che si infrangevano contro il bordo dello scafo. Di tanto in tanto, all'improvviso, qualche oggetto si faceva qua e là appena vedere per un attimo, poi spariva quasi subito così com’era apparso e di nuovo l’impressione era quella di scivolare sulla superficie di uno spazio completamente vuoto. A tratti la nebbia diminuiva leggermente e così riuscivo a vedere dei grandi alberi che ci lasciavamo alle spalle, qualche volta abbattuti e altri semi sommersi, con i loro rami enormi che assomigliavano alle ossa di uno scheletro terrificante. Il paesaggio era così opprimente che anche la mia guida, che prima era così allegra e spensierata, era diventata silenziosa. Con occhio sempre attento cercava di scrutare fra le nebbia ogni possibile, imprevisto nuovo pericolo. Furono tutti questi segni a farmi capire che stavamo attraversando quel lago orribile che mi avevano detto infestato da demoni e spiriti maligni, e così raccomandai la mia anima a Dio. Perché il potere di Dio va ben oltre l'influenza di qualsiasi demone.

Avevo appena finito di recitare le mie preghiere contro gli spiriti dell'ignoto quando il velo di foschia si aprì all'improvviso e il sole cominciò a splendere, quasi fosse un'enorme rosa di fiamme, illuminando il mondo di lampeggianti tocchi dorati. Il buio venne meno e scomparve davanti all’occhio lucente di Dio. Quel fitto nebbione si mutò in un vapore etereo, e, dopo avere indugiato un attimo sui fianchi delle rocce, scomparve del tutto e non ne restò più alcuna traccia, se non nelle oscure profondità dei burroni. Il lago pareva d’argento liquido e le montagne si erano trasformate in oro zecchino, ricoperte di foreste che somigliavano a un mantello di fiamme. Il mio cuore esultava di meraviglia e traboccava di gratitudine. Man mano che la nostra barca scivolava sull’acqua, ebbi modo di vedere che il lago riempiva una conca stretta e lunga, attorniata sulla destra da alte rocce, con le cime ricoperte da pini, mentre invece, alla nostra sinistra, era ben visibile una pianura verdeggiante in mezzo alla quale spiccava un meraviglioso edificio. Quella maestosa costruzione era Saint-Barthélemy, la residenza estiva di Sua Eccellenza, il nostro Padre Superiore Generale. Si trattava di un luogo non molto vasto, circondato da ogni parte da immensi spuntoni di roccia che svettavano altissimi sulle acque del lago. Proprio davanti a noi, in cima a quella incredibile muraglia, si stendeva quella verde pianura, così bella da somigliare a un grande gioiello scintillante incastonato nel mantello grigiastro della montagna. La mia guida mi disse che quello era il solo luogo, l'unico in tutta la regione, in cui si potevano trovare e raccogliere gli edelweiss. Era lì che Benedicta aveva raccolto i bellissimi fiori che era venuta a portarmi mentre ero in completo isolamento. Alzai gli occhi verso quel luogo magnifico ma terrificante, agitato da sentimenti che non sono capace di esprimere a parole. La mia giovane guida, che adesso era tornato ad avere un umore gioioso come quello della natura circostante, lanciava gridolini pieni di eccitazione e cantava. Intanto le lacrime cominciarono a riempirmi gli occhi e a scivolarmi poi lungo le guance. Così nascosi il mio viso sotto il cappuccio.

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Dopo avere abbandonato la barca, cominciammo a camminare verso la montagna. Mio Dio adorato, nulla viene dalle Tue mani senza una ragione o un motivo, ma la ragione per la quale hai creato quelle montagne, così aspre e terribili, per me è un profondo mistero, perché non vedo alcuna utilità in tutte quelle rocce che non possono essere utili a nessuno, né agli esseri umani, né agli animali. Dopo ore e ore di salita arrivammo a una fonte vicino alla quale mi sedetti con i piedi doloranti e a corto di fiato, stanchissimo. Mi guardai intorno e vidi che il paesaggio corrispondeva in tutto e per tutto a quello che mi avevano raccontato parlandomi di questi luoghi di completo isolamento e solitudine. Attorno a me vedevo solo rocce nude e grige, striate di fessure rossastre, scure o gialle. Si trattava solo di desolate distese di pietrisco dove non cresceva niente, non un filo d’erba né un semplice fiore, solamente spaventosi abissi ricoperti di ghiacci e scintillanti distese di neve che risalivano verso le cime e parevano voler raggiungere l'azzurro del cielo. Ci riposammo per quasi un’ora e poi riprendemmo il cammino. Proseguimmo fino a quando non fui più capace di mettere un piede dopo l’altro. Alla fine arrivammo in un luogo del tutto isolato, circondato da grandi rocce nerissime, in mezzo alle quali era visibile una miserabile casupola di pietra, con un'apertura molto bassa che serviva da entrata. La guida me la indicò: da quel momento sarebbe stata quella la mia reale abitazione. Quando fummo entrati in quel posto ebbi un sussulto e il cuore mi si strinse al pensiero di vivere in un luogo del genere. Non c'era un mobile degno di questo nome. Un largo bancone, su cui stavano seccando delle erbe di montagna, sarebbe stato il mio letto. C’era anche una specie di camino, un focolare fatto con alcune piccole cataste di legna come combustibile, e poi alcuni rudimentali utensili da cucina. La mia guida prese una ciotola e corse fuori. Mi lasciai cadere a terra, all’entrata di quella capanna, e ben presto mi persi nella contemplazione delle selvagge

solitudini dove mi accingevo a preparare la mia anima al servizio dell'Altissimo. Poco dopo il ragazzo ritornò: teneva la ciotola con le mani e lanciò un grido di gioia quando mi vide, la cui eco risuonò come centinaia di voci esplose all'improvviso in tutti gli anfratti più reconditi delle rocce. Anche dopo un così breve periodo di solitudine, fui così felice di vedere di nuovo una persona che provai quasi la tentazione di rispondere alle sue urla con una manifestazione di gioia pagana. Come avrei fatto a sopportare una settimana di completo isolamento in un luogo così lontano dal resto del mondo? Quando il novizio mi mise davanti la ciotola, notai che era piena di latte. Poi il ragazzino tirò fuori un panetto di burro giallo da sotto la tonaca, era deliziosamente ornato di fiori di montagna, e una forma di formaggio bianco come la neve, avvolto nelle erbe aromatiche. Rimasi come incantato da quella visione e non potei fare a meno di pronunciare una battuta innocente. «Allora su queste rocce spuntano burro e formaggi? E c'è anche una fontana dalla quale esce il latte?» «Anche voi stesso sareste in grado di fare un miracolo identico», replicò il giovane frate. «Ma ho preferito correre fino al Lago Nero e chiedere delle provviste a una giovane donna che vive da quelle parti» Poi prese della farina da una specie di credenza e accese il fuoco. Quindi si accinse a preparare una focaccia. «Quindi non siamo soli da queste parti», commentai. «Dimmi dov'è il lago sulle cui rive vive gente così generosa» «Sul Lago Nero», rispose la guida sbattendo gli occhi arrossati per il fumo. «Laggiù, dietro quella montagna, e il loro casolare è costruito su uno sperone di roccia, appena sopra le acque. È un posto che gode di pessima fama. Quel lago porta diritto all'inferno e, tra i crepacci delle rocce, si può sentire il crepitare e il muggire delle fiamme, come pure i lamenti dei dannati. In nessun altro posto di questa regione esistono spiriti così feroci e cattivi. State attento, potreste morire di qualche febbre, nonostante l'inviolabilità della vostra persona. Al Lago Verde, più in giù, è possibile trovare del latte e del burro, ma dirò a quelle brave donne di portarvi su tutto ciò di cui potreste avere necessità. Saranno ben liete di essere gentili con voi e, se vi impegnerete a recitare una breve preghiera per loro la domenica, bene, saranno disponibili anche a combattere per voi il Maligno...»

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Quando riaprii gli occhi il sole era già alto dietro le montagne e rosseggiava sulle vette. Mi sembrava ancora di sognare ma ben presto tornai in me e, distinguendo debolmente in lontananza le urla della mia giovane guida, compresi di essere oramai solo in mezzo a quella desolata solitudine. Quel ragazzino aveva avuto pietà di me perché, invece di disturbarmi, se n’era andato senza dirmi niente, obbligato com’era a raggiungere il Lago Verde prima che arrivasse la notte. Nella capanna trovai un fuoco che scoppiettava allegramente e una quantità di legna ammonticchiata lì vicino. Quel bravo ragazzo non aveva neppure scordato di prepararmi un po’ di pane e di latte. Aveva anche trovato il tempo di sistemare del foraggio sul mio rozzo tavolaccio e l’aveva ricoperto con un panno di lana, una cosa per la quale gli fui molto riconoscente. Ristorato da un lungo sonno, restai fuori della capanna fino a tarda ora. Recitai le preghiere contemplando quelle rocce grige, sotto un cielo nerissimo in cui brillavano festose le costellazioni. Davano l’impressione, a quell'altezza, di splendere con maggiore forza che nelle vallate, ed era tacile immaginare, salendo sulla cima più alta, di poterle quasi toccare con le mani. ai quella notte sotto il cielo e le stelle per molte ore, leggendo nella mia coscienza e scrutando il mio cuore. Era come se mi trovassi in una chiesa, inginocchiato davanti all’altare, compenetrato della temibile presenza di Nostro Signore. Alla fine tutta la mia anima si riempì di una completa pace divina e, proprio come un neonato si stringe al seno della mamma, appoggiai la mia testa contro la tua, natura, tu che sei la madre di tutti gli uomini.

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Non avevo mai visto prima un’alba così meravigliosa! Le montagne erano di un rosso rosato e sembravano quasi trasparenti. L’aria era di una limpidezza cristallina, così pura e fresca che ogni boccata sembrava farmi rivivere di nuova vita. La rugiada, pesante e lenta, colava piangendo da ogni minuscolo filo d’erba, scintillava come perle di pioggia, e gocciolava dai fianchi rocciosi delle montagne. Mentre ero impegnato nelle mie riflessioni mattutine, feci involontariamente la conoscenza dei miei vicini. Le marmotte, disturbandomi molto, avevano fatto rumore per tutta la notte e adesso zampettavano da tutte le parti come conigli. I falchi grigi volteggiavano nel cielo, spiando con bramosia gli uccelli che saltellavano fra i cespugli e i topini che correvano fra le rocce. Ogni tanto mi capitava di vedere un branco di camosci in cerca di cibo e un’aquila solitaria che saliva sempre più in alto, come un’anima che liberata dai suoi peccati salisse leggera verso le nuvole. Ero sempre in ginocchio, quando il silenzio venne interrotto da un rumore di voci. Guardai dovunque intorno a me ma, nonostante riuscissi a sentire benissimo quelle voci e anche a comprendere qualche strofa di canzone, non vidi nessuno da nessuna parte. I suoni parevano arrivare dal cuore stesso della montagna e, pensando ai poteri malefici che infestavano quei posti, recitai una preghiera contro il Maligno e aspettai in silenzio. Delle voci che cantavano: le sentii di nuovo, salivano dall’abisso, e, poco dopo, vidi tre sagome femminili. Queste smisero subito di cantare quando si accorsero di me e cominciarono a gridare qualcosa di poco comprensibile. Mi resi immediatamente conto che erano contadine, buone cristiane, così aspettai che arrivassero più vicine a me. Quando furono non distanti che pochi i mi accorsi che tenevano dei panieri sulla testa. Erano alte, slanciate, con lunghi capelli biondi e grandi occhi neri. Appoggiati i panieri a terra, mi salutarono umilmente e mi baciarono le mani, poi aprirono le ceste e presero tutte le buone cose e i cibi che mi avevano

portato: latte, panna, formaggio, burro e focacce. Poi si sedettero a terra e mi dissero che venivano dal Lago Verde: erano felici di avere un nuovo amico della montagna, così giovane e bello, se devo credere a quanto dichiararono con un sorriso spontaneo e gli occhi brillanti di gioia. La cosa, confesso, mi fece molto, ma molto piacere. Chiesi a loro se non avessero paura di vivere così sole in posti così sperduti e deserti, e questo le fece ridere di gusto. Mi dissero di avere un fucile da caccia in fattoria per tenere lontani gli orsi, e di sapere a memoria diverse formule antichissime per tenere lontani i demoni e gli spiriti maligni. E comunque non erano poi così sole come si sarebbe potuto pensare, dissero, perché tutti i sabati i ragazzi della valle salivano fin lì per la caccia, cosa che spezzava la monotonia delle loro giornate. Poi mi raccontarono che negli alpeggi, tra le rocce, in posti ben riparati, era possibile trovare una piccola casetta dove i pastori e le pastorelle vivevano per tutto il periodo estivo. Mi dissero che gli alpeggi più belli erano di proprietà del monastero, e si trovavano non molto lontano, a poca distanza dalla casupola dove abitavo. La piacevole conversazione con quelle giovani montanare mi fece enormemente felice, e cominciai a trovare la mia solitudine molto meno pesante. Dopo che ebbero ricevuto la benedizione a cui tanto tenevano, quelle sante donne mi baciarono le mani e se ne andarono così come erano arrivate, ridendo e cantando, splendenti nella fresca bellezza della loro giovinezza. Da quanto ho già potuto vedere, la gente di montagna conduce un’esistenza migliore e più felice di quelle delle profonde e umide valli in pianura. Inoltre mi pare che abbia il cuore più puro e lo spirito più tranquillo, penso grazie al fatto di vivere così vicina al Cielo, che da nessun’altra parte è così attaccato alla Terra, come dicono alcuni dei nostri fratelli del monastero, esclusa Roma, è ovvio.

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Dopo che le ragazze se ne furono andate, sistemai le provviste che mi avevano portato e presi un piccone. Con quello mi avviai alla ricerca delle radici di genziana che in quei luoghi crescevano davvero abbondanti, e per questo motivo, continuando senza mai fermarmi a raccoglierle, il mio sacco si fece pesante abbastanza presto. Ma non mi lasciai vincere dalla fatica, perché desideravo spedirne al monastero una quantità tale da dimostrare il mio interesse e il mio senso del dovere. Mi ero di molto allontanato dalla capanna, senza fare molta attenzione alla direzione che avevo preso, quando all’improvviso mi ritrovai sull’orlo di un abisso così profondo e terribile che non potei fare a meno di ritornare indietro, atterrito dalla paura. In fondo al burrone, tanto in basso da farmi venire le vertigini, potevo vedere un laghetto a forma circolare, simile all’occhio di un diavolo. Sulla sua riva, vicino a uno sperone di roccia che puntava sull’acqua, era stata edificata una capanna di fango e di legno, abbastanza piccola. Del fumo celeste chiaro usciva dalla cappa di un camino. Alcune mucche e alcuni montoni pascolavano intorno a quel misero casolare, brucavano e ruminavano avidi i pochi fili d’erba che spuntavano tra i massi. Era un luogo incredibile per costruirci una casa. Avevo sempre gli occhi fissi sul fondo di quell’abisso quando sussultai nuovamente. All’improvviso una voce chiamava distintamente qualcuno. Il rumore mi arrivava da dietro le spalle e la voce era di una dolcezza così incantevole che feci subito il segno della croce per proteggermi dagli incantesimi delle fate, così brave nell'ingannare il prossimo con magie e sortilegi. Poi di nuovo quella voce, e questa volta il mio cuore si mise a battere così forte che ebbi l’impressione di soffocare. Era Benedicta! Io, ero solo io con Benedicta, perso in quelle lande disabitate e desolate! Amato sco, in quel momento avevo bisogno del tuo aiuto se non volevo deviare dal retto cammino tracciatomi dalla Divina Provvidenza. Mi voltai e la vidi. Saltava da una roccia a un'altra, si guardava ansiosa attorno e

ripeteva un nome che non avevo mai sentito. All’improvviso si accorse di me. Si bloccò di colpo e rimase immobile. Così mi avvicinai e la salutai nel nome della Vergine benché fossi capace, Iddio mi perdoni, ma ero troppo emozionato, di articolare a fatica quel Santo Nome. Com'era cambiata quella povera ragazza! Il suo splendido viso era diventato bianco come il marmo, i grandi occhi erano profondamente infossati e terribilmente tristi. Solo i suoi capelli erano sempre gli stessi: come al solito le scendevano lungo le spalle come fluttuanti onde dorate. Eravamo entrambi sorpresi e ci fissammo, immobili, in silenzio. «Benedicta, siete voi che vivete laggiù, in quella capanna vicino al Lago Nero? Vicino alle acque malefiche di quell’inferno? E vostro padre dov'è?» «È morto», rispose la ragazza con una voce flebile, quasi mormorando. Fui preso da un dolore improvviso che mi pugnalò al cuore. Per un momento fui incapace di dire una sola parola, perché il mio cuore traboccava di penosa e umana partecipazione. Benedicta si girò per nascondermi le lacrime, mentre il suo corpo era agitato dai singhiozzi. Non riuscii più a controllarmi: mi avvicinai, le presi la mano nella mia e, cercando di bandire dai recessi più segreti del mio cuore anche il più piccolo slancio di desiderio terreno, cioè di non mettere nelle mie parole altro che una consolazione derivante dal credo religioso, le parlai. «Cara, dolce Benedicta, vostro padre vi ha lasciata, ma c’è sempre un altro Padre che vi protegge, sempre, ogni giorno della vostra vita. Nella misura in cui questo rispetta la sua volontà divina, anch’io vi aiuterò a sopportare questo grande dolore, voi che siete bellissima e dolce. Colui che piangete non c’è più. Dorme in eterno nella misericordia del Salvatore, vicino a Dio, che, come sapete bene, è solo infinito amore e infinita bontà» Ebbi l’impressione che le mie parole consolatrici riaccendessero un dolore segreto: si lasciò cadere e diede libero sfogo alle sue lacrime, singhiozzando così violentemente che mi spaventai davvero tantissimo. Madre Misericordiosa, quasi non riesco a descrivere i miei tormenti nel vedere quella ragazza, bella e innocente, sopraffatta da una simile ondata dolorosa. Mi chinai su di lei e le bagnai di lacrime i capelli biondi. Il cuore mi invitava a

sollevarla da terra, ma le mie mani restavano ferme, senza riuscire a fare un movimento. Poi Benedicta si riprese e cominciò a parlare. Mi dava l’impressione di rivolgersi più a se stessa che a me o a qualcun altro. «Povero padre mio! L'hanno ucciso, gli hanno spezzato il cuore! Sì, è morto... l’hanno ammazzato loro, già da tempo il dolore l’aveva ucciso. Proprio come è successo alla mia bella mamma, che è morta anche lei di crepacuore, distrutta dai rimorsi di un grave peccato che non ho mai saputo quale fosse e che mio padre, comunque, le aveva già perdonato. Quell’uomo era troppo dolce per ammazzare perfino una mosca o schiacciare un piccolo verme. E invece era costretto a uccidere delle persone. Suo padre, e il padre di suo padre, prima di lui, sono sempre vissuti e sono morti sul Galgenberg. Tutti hanno fatto sempre il suo stesso mestiere, il boia, e questa eredità è toccata anche a lui. È impossibile sottrarsi a questo destino, perché la società assegna un posto ben definito a ciascuno di noi, e questo accade già molto prima di nascere. Spesso l’ho sentito dire che era stato tentato di suicidarsi e, senza di me, sono sicuro che l’avrebbe fatto di sicuro. Ha accettato un’esistenza fatta di privazioni solo per amore mio e tuttavia ha dovuto vedermi calunniata e addirittura pubblicamente accusata di un crimine che non avevo nemmeno commesso, la Santa Vergine mi fulmini» Mentre faceva riferimento alla grave ingiustizia di cui era stata vittima, le guance di Benedicta diventarono rosse all’improvviso mentre ricordava l’umiliazione che aveva dovuto sopportare per amore di suo padre. Intanto la ragazza aveva cominciato a sollevarsi, girandosi verso di me a mano a mano che ritrovava sicurezza. Ma subito dopo, all’improvviso, nascose il viso fra i capelli. Sarebbe fuggita via se io non glielo avessi impedito, dicendole alcune parole di conforto. Eppure Dio sa quanto anche il mio cuore fosse sul punto di cedere sentendo il racconto di tali vicissitudini. «Povero padre! Ha visto solo infelicità. Gli è stata persino rifiutata la gioia di vedere battezzata la propria figlia. Siccome ero la figlia del boia ai miei genitori non venne nemmeno concesso di farmi battezzare. E quei disgraziati non furono nemmeno in grado di trovare da qualche parte un sacerdote che accettasse di benedirmi nel nome della Santissima Trinità. Per questo mi hanno chiamato con questo nome, Benedicta, mi hanno benedetto in questo modo loro stessi.

Ero piccolissima quando morì la mia bellissima e dolcissima madre, che è stata sepolta in terra sconsacrata perché quella poveretta non aveva speranza di raggiungere le celesti dimore del Padre, costretta com’era alle fiamme dell’inferno. Durante la sua agonia, mio padre è andato dal Padre Superiore per implorarlo di inviare un prete per impartirle l’estrema unzione. Ma la sua richiesta fu solo ignorata. Non arrivò mai nessun sacerdote e così fu il mio povero padre a chiuderle gli occhi per sempre, mentre i suoi erano accecati dalle lacrime che gli provocava il pensiero di un destino così crudele e ingiusto. Fummo costretti a scavare da soli la tomba per lei. E potemmo seppellirla solo sotto il patibolo, dove già erano stati sepolti tanti criminali e tanti delinquenti maledetti. Mio padre ha dovuto seppellirla in quella terra colpevole con le sue stesse mani, e sopra la sua tomba non venne detta neppure una Messa per la pace futura di quell’anima torturata dalla vita. Ricordo benissimo che allora il mio caro padre mi portò davanti all’immagine della Vergine e mi invitò a inginocchiarmi. Congiungendomi le mani, mi insegnò una preghiera dedicata alla mia povera madre, affinché non si presentasse senza difesa davanti al terribile Tribunale divino e, da quel giorno, io l’ho recitata tutte le mattine e tutte le sere. Ora prego per entrambi. Infatti anche mio padre è morto senza avere avuto la possibilità di confessarsi, non hanno consentito nemmeno a lui di presentarsi davanti a Dio, anche lui prigioniero delle fiamme eterne dell'inferno. Mi sono gettata ai piedi del Padre Superiore, proprio come aveva fatto lui il giorno della morte della mia povera madre. L’ho supplicato, in ginocchio. Ho pregato, ho pianto e gli ho baciato i piedi. Gli avrei anche baciato le mani se lui non le avesse rabbiosamente ritirate, urlandomi di andarmene, di sparire» Mentre procedeva nella narrazione, Benedicta recuperava a poco a poco tutto il coraggio. Si rimise in piedi e assunse un atteggiamento più fiero, gettando all’indietro la magnifica capigliatura e alzando gli occhi al cielo, come se volesse di nuovo raccontare le sue disgrazie agli angeli e agli arcangeli, pregandoli d’intercedere nel giorno del Giudizio Universale. Dalle sue labbra erano uscite parole così spontanee e di una tale bellezza, che io non avrei mai creduto possibile, frasi che non esiterei a considerare ispirate, perché ciascuna di esse rappresentava, Dio lo perdoni a entrambi, un accorato rimprovero verso la Sua Persona e verso la Santa Chiesa, perché sicuramente

mai le labbra avrebbero fatto un discorso così infiammato senza lacuna ispirazione. Davanti a un essere così strano e apionato, all’improvviso provai una tale consapevolezza della mia inadeguatezza che mi sarei inginocchiato davanti a lei, come davanti a un santo da venerare, se quella meravigliosa ragazza non avesse terminato il suo discorso dando prova di un coraggio che fu molto vicino a farmi piangere ancora delle calde lacrime. «Quegli esseri crudeli l'hanno ucciso», continuò Benedicta, con il cuore straziato dai singhiozzi. «E per farlo hanno preso di mira me, la figlia a cui lui voleva tanto bene. Mi hanno ingiustamente accusata di un crimine schifoso. Mi hanno vestito con i simboli dell’infamia, mi hanno messo una corona di paglia sulla fronte e appesa al collo quella scritta disgustosa. Mi hanno sputato addosso, mi hanno offesa e poi trascinata a forza alla gogna dove sono stata frustata e lapidata. È stato tutto questo che ha finito per spezzargli il cuore. Di questo è morto, lasciandomi da sola...»

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Queste furono le ultime parole che pronunciò Benedicta. Io non potei che restare in silenzio, non sapevo proprio che cosa dire davanti a un simile sconforto. La religione non poteva fornire alcun rimedio per ferite dell'anima come le sue. Poi, mentre pensavo alla crudele fatalità che si era accanita su quella famiglia così umile e santa, provai nel profondo del cuore un sentimento di oscura ribellione contro tutto il mondo, contro la Chiesa e addirittura contro Dio, perché tutti, proprio tutti, erano stati ingiusti, sì, in maniera bestiale, orribilmente, diabolicamente ingiusti verso quella poverina. Lo ammetto, ebbi la sensazione che il mondo, la Chiesa e Dio non fossero anch'essi che una palese, tragica fonte di ingiustizia. Anche quei luoghi nei quali ci trovavamo in quel momento, quell’impietoso e disumano deserto attraversato da infiniti precipizi, quelle squallide solitudini sepolte sotto una coltre di nevi eterne, quei confini desolati, mi sembravano essere la prova della pietosa esistenza alla quale quella povera creatura era stata condannata fin dal primo giorno della sua vita. In realtà la morte del padre l’aveva privata di una casa seppure modesta come la catapecchia di un boia, e per questo la ragazza era stata costretta a rifugiarsi in quelle solitudini estreme, spinta dalla miseria mentre, ai nostri piedi, si apriva una vallata piena di graziosi villaggi, con i campi fertili, i giardini lussureggianti e le fattorie dove, per tutto l’anno, regnavano solo la pace, la felicità e la serenità. Dopo alcuni minuti, durante i quali Benedicta sembrò riprendere morale, le chiesi se viveva davvero da sola in quella solitudine, senza essere protetta da nessuno. «Sì, e non ho paura», mi rispose. «Ho sempre abitato in posti isolati», aggiunse, notando il mio sguardo triste, «in posti isolati che la gente evitava con terrore. Io mi sono abituata. Adesso che mio padre è morto, non esiste nessuno che si degni neanche di rivolgermi la parola e non c'è nemmeno anima viva, in fondo, con cui mi piacerebbe scambiare qualche frase, ci siete solo voi. A dire la verità c’è

qualcuno che mi cerca ancora, che desidera la mia compagnia ma...» La ragazza non disse oltre e io non la pregai di spiegarsi ulteriormente, avevo paura di metterla in imbarazzo. «Ieri ho saputo che eravate qui», continuò. «Un ragazzo è venuto a chiedermi un po’ di latte e di burro per voi. Non potevate essere che uno del monastero, altrimenti quel giovane frate non si sarebbe mai presentato a chiedere del cibo. Ma voi siete quello che siete... non potrete essere colpito dalla sfortuna che è legata alla mia persona e a tutto ciò che faccio o dico. Siete certo, nonostante tutto, di non esservi dimenticato di fare il segno della croce prima di mettervi a mangiare, oggi?» «Se avessi saputo che il cibo mi arrivava da voi, questa precauzione sarebbe stata inutile, Benedicta», le risposi. «Come siete gentile, dolcissimo frate!», esclamò quella bella creatura, con gli occhi che si illuminavano di riconoscenza. Queste parole, assieme allo sguardo, mi diedero una gioia grandissima, come del resto tutto ciò che poteva dire o fare quella santa ragazza. Poi le posi qualche domanda, al fine di sapere chi le aveva suggerito di venire a stabilirsi lassù, e le chiesi poi il nome della persona che l’avevo sentita chiamare con insistenza. «Non è una persona quella che chiamavo», rispose la ragazza ridendo. «È solo la capra, la mia capra. È scappata, la stavo cercando fra le rocce...» Poi, facendomi un segno come se fosse sul punto di andare mi voltò le spalle, ma io la trattenni, dicendole che mi avrebbe fatto piacere partecipare con lei alle ricerche. Poco dopo la ritrovammo, era imprigionata in un crepaccio fra le rocce. Benedicta fu così felice di rivedere la sua umile compagna che si inginocchiò ai suoi piedi, le ò il braccio attorno al collo e cominciò a sussurrarle paroline dolcissime. Trovai quella scena deliziosa, e rimasi a contemplarla commosso, con una ammirazione nei suoi confronti che non riuscii a nascondere. «Sua madre è caduta in un canalone e si è rotta l’osso del collo», mi disse

Benedicta, mentre si rendeva conto del mio turbamento. «Sono stata vicina a questa povera bestia, che era rimasta sola al mondo proprio come me, e l'ho nutrita io stessa. Per questo è così tanto legata e affezionata a me. Per una persona che vive da sola come faccio io, l’amore di un animale fedele è una cosa importantissima» Quando la ragazza fu davvero sul punto di andare, presi abbastanza coraggio per farle la domanda che da così tanto tempo avevo intenzione di farle. «Benedicta, il giorno della famosa festa, quando vi siete unita a quei ragazzi ubriachi... l'avete fatto soltanto per paura che accadesse qualcosa a vostro padre?» «E per quale altro motivo pensate che avrei dovuto farlo?», mi ribatté lei, fissandomi negli occhi come allibita. «Infatti, non riuscivo a trovare nessun’altra spiegazione», mi scusai con lei, molto confuso da quell'incidente. «Adesso me ne devo proprio andare», mi disse, mentre già si allontanava. «Benedicta!», le gridai. La giovane si fermò e si girò verso di me. «Domenica ci sarò una funzione tenuta da me alla fattoria del Lago Verde. Ci sarete anche voi?» «Oh no, mio caro Ambrosius», mi rispose Benedicta a bassa voce, dopo una visibile esitazione. «Non ci verrete davvero?» «Mi piacerebbe farlo, ma la mia presenza spaventerebbe le donne e tutti gli altri che la vostra santa persona attirerà in quei posti. La carità di cui volete dare prova vi provocherebbe solamente guai. Non posso che ringraziarvi con tutto il cuore ma mi è davvero impossibile venire» «Allora sarò io a venirvi a trovare»

«Non fatelo, non fatelo nella maniera più assoluta, vi scongiuro!» «Verrò, potete stare sicura»

26

Il giovane frate che mi aveva accompagnato mi aveva insegnato a preparare una focaccia. Sapevo quali ingredienti utilizzare e conoscevo bene tutte le dosi richieste. Ma quando venne il momento, tentai di farmene una, ma non ci riuscii nella maniera più assoluta e fui solo capace di preparare una specie di pasticcio oleoso e bruciacchiato, molto più consono al palato di Satana che a quello di un santo figlio della Chiesa, per giunta un discepolo del grande San sco. Quel fallimento mi demoralizzò parecchio, oltre a non placare assolutamente il mio grande appetito. A quel punto mi dovetti accontentare di un pezzo di pane duro che feci diventare molle immergendolo in un po’ di latte cagliato, cosa che inflisse al mio stomaco la giusta punizione per i suoi tanti peccati. Fu proprio in quel momento che apparve Benedicta: la cara ragazza aveva con sé una cesta piena di buone cose provenienti dal suo modestissimo allevamento. Che cuore generoso. Quel mattino ho paura di non averla ricevuta solo con il cuore. Vedendo la massa fumante che bolliva nella pentola, quella santa ragazza scoppiò a ridere e andò a gettare agli uccelli il contenuto del tegame per poi lavarlo immediatamente alla fonte. Poi cominciò a ravvivare il fuoco e a dosare insieme gli ingredienti per preparare una nuova focaccia. Prese due pugni di farina e li pose in una tazza di terracotta. Poi ci versò sopra un po’ di latte. Quindi aggiunse un pizzico di sale e mescolò con forza il tutto con le sue belle mani bianche e affusolate, finché la pasta non diventò una palla dolce luccicante. Un attimo dopo imburrò le pareti di un recipiente e ci mise l’impasto, quindi lo pose a cuocere sul fuoco, senza dimenticare di picchiettare ogni tanto la sua superficie affinché non bruciasse troppo. Quando la focaccia fu ben cotta, oramai era dorata, la tolse dal fuoco e me la mise davanti, anche se non ne ero degno. Le chiesi di mangiare con me, ma lei non ne volle sapere, insistendo ancora una volta che fi il segno della croce prima di toccare quanto mi aveva portato e cucinato, per la paura che sbucasse

qualche spirito, e ciò a causa della maledizione con cui era stata segnata. Ma io mi rifiutai nella maniera più decisa. Mentre stavo mangiando, andò a raccogliere dei fiori e ne fece una corona, che appese alla croce davanti alla capanna. Più tardi, quando ebbi finito di mangiare, si impegnò a pulire le stoviglie e a rimettere tutto a posto, di modo che, nel giro di pochi minuti, ogni cosa mi apparve molto più comoda e confortevole di prima. Quando non ci fu più nulla da fare, e dato che la mia coscienza mi impediva di inventare un qualsiasi motivo pretestuoso per trattenerla ancora con me, se ne andò. Come la giornata mi sembrò lunga e triste quando lei si fu allontanata. Benedicta, Benedicta, che cosa mi hai fatto? Perché l'opera di servire umilmente Dio, un'opera alla quale mi sono totalmente consacrato, ora mi sembra ad un tratto meno soddisfacente e appagante, meno nobile anche, della semplice vita di un pastore vissuta vicino a te in questa solitudine totale?

27

La vita tra queste montagne è meno sgradevole di quanto pensassi. Quella che fino ad allora mi sembrava essere solo una squallida solitudine, adesso mi pare meno triste e desolante. Erano lugubri queste montagne, all’inizio mi avevano comunicato un senso di quotidiana paura, ma ora mi rivelano a poco a poco aspetti sempre più piacevoli. Ogni cosa qui è bellissima, grandiosa, di una bellezza che fa bene all'anima, la eleva e la purifica. Come in un libro, sono sparse tra queste rocce le migliori lodi al Creatore. Anche se continuo a raccogliere le radici di genziana, non smetto mai di ascoltare la musica di questi luoghi senza fine, una musica che mi rilassa e mi rende migliore ogni giorno che o qui. Tra queste montagne non esistono cantori alati dalle armonie melodiose. In questo posto gli uccelli emettono solamente delle grida stridule. Anche i fiori non hanno profumo, anche se sono di una bellezza meravigliosa e brillano nell'aria come veri e propri astri di fuoco e di ghiaccio. Fra queste altissime cime ho visto molti pendii, molti alpeggi che, con ogni probabilità, non sono mai stati calpestati dal piede di un uomo e tutte queste cose mi sembrano ancora più sacre, quasi che continuassero a rivelare in sé il segno visibile e inconfondibile del Creatore, proprio come dovevano essere le cose il primo giorno in cui Dio portò a termine la creazione dell'universo. C’è così tanta abbondanza di selvaggina che talvolta si vedono interi branchi di camosci. Sono così numerosi da far pensare che le montagne stesse si siano messe a camminare. Poi ci sono anche gli stambecchi, armoniosi, regali. E, nonostante sappia che ci sono, grazie a Dio non ho ancora avuto l'occasione di imbattermi negli orsi. Le marmotte giocano intorno a me come degli allegri gattini, e le aquile, le creature alate più grandi a queste latitudini, vanno a fare il nido fra le rocce, nel posto più vicino possibile al cielo. Quando mi sento un po’ stanco mi sdraio sull’erba delle Alpi, un manto verde profumato come la più rara delle spezie, e chiudo gli occhi, sentendo il vento che

bisbiglia fra gli alberi secolari. È allora che la pace mi prende del tutto e posso finalmente lodare il Signore.

28

Ogni mattina le donne del Lago Verde salgono fino a raggiungere la mia capanna e le loro grida di gioia risuonano tutto intorno, rimbalzando di roccia in roccia. Portano con loro del latte fresco, il burro e il formaggio, parlano un attimo e quindi se ne vanno. Tutti i giorni mi raccontano le ultime notizie, tutto quello che è accaduto fra quelle montagne o che qualcuno ha riferito loro dai paesi di pianura. Sono sempre allegre e di buon umore e aspettano con impazienza che arrivi domenica, quando al mattino si celebrerà la Messa mentre la sera sarà rallegrata dai balli e dagli intrattenimenti. Sono tutte brave persone ma non sono immuni dal peccato della maldicenza. Mi hanno parlato di Benedicta, e l'hanno definita con gli epiteti più offensivi che hanno potuto trovare e hanno precisato, mentre il mio cuore tremava al solo pensiero, che lei e Rochus erano di sicuro amanti. Quella ragazza, come tutte quelle della sua risma, insistevano, è buona solo per la gogna, per nient'altro. Ascoltando quelle ragazze parlare in maniera così poco caritatevole di qualcuno che non conoscevano nemmeno a fondo, sono riuscito a controllare l’indignazione con molta fatica. Poi ho fatto notare loro con il dovuto tatto che sbagliavano nel condannare una persona senza averne prima ascoltato le ragioni. Perché non c'entra assolutamente con lo spirito cristiano sputare sul prossimo alla prima occasione. Ma quelle testarde non solo non hanno capito niente: si sono dette molto sorprese dal fatto che uno come me potesse difendere una poco di buono come Benedicta, che, avevano più volte sottolineato, aveva conosciuto la pubblica condanna e non aveva un solo amico degno di questo nome al mondo.

29

Questa mattina sono andato al Lago Nero. È un luogo orribile, spaventoso, che assomiglia moltissimo, ne sono sicuro, alla dimora dei condannati all'inferno. È qui che vive quella povera ragazza abbandonata da tutti. Mi avvicinato al misero casolare e ho avuto modo di vedere un fuoco che bruciava nel vano del caminetto, e sul fuoco bolliva una padella. Benedicta era seduta su un piccolo sgabello, basso, con il viso per metà girato verso le fiamme, illuminato da un chiarore rossastro e le guance attraversate da grosse lacrime. Non volevo infastidirla in quello stato così sofferente e così feci di tutto per rendere evidente la mia presenza. E cominciai a parlarle con tutta la dolcezza possibile. La ragazza rimase molto sorpresa, sobbalzò, e, riconoscendomi, sorrise e quindi arrossì. Si alzò, mi venne incontro e allora cominciai a raccontarle non so che cosa, con il solo scopo di restituirle un pochino di tranquillità. Le parlai come fa un fratello con una sorella minore, nonostante una certa partecipazione affettiva, perché il mio cuore era traboccante di dolore. «Benedicta», le dissi, «conosco il vostro cuore e so che contiene più amore per quella bestia selvatica di Rochus che per il nostro caro e Santissimo Redentore. So con quale coraggio sopportate sia la disgrazia e sia il disonore, sostenuta in tutto questo dalla certezza che l'Onnipotente sa che siete innocente. Non ho nessuna intenzione, sia chiaro, di condannarvi, Benedicta, perché che cosa c’è di più puro e di più nobile di un amore giovanile? Vorrei solo mettervi in guardia e risparmiarvi le conseguenze di avere affidato il vostro cuore a qualcuno che non ne è assolutamente degno» Benedicta mi ascoltava a capo chino, senza dire una sola parola. Un momento dopo la sentii piangere piano e mi accorsi che stava tremando. «Benedicta», continuai, «la ione che divora il vostro cuore in questo momento può costarvi la vita su questo mondo e forse non consentirvi un domani di potere aspirare nell’aldilà. Quel giovane, Rochus, non farà mai di voi

la sua compagna davanti a Dio e agli uomini. Ditemi, perché non si è alzato per difendervi quando siete stata così ingiustamente accusata e disonorata?» «Perché non c’era», rispose la ragazza, alzando gli occhi verso i miei. «Lui e suo padre erano a Salisburgo. Non sapeva niente, era all’oscuro di tutto finché qualcuno non l'ha raccontato anche a lui» Mi possa Dio perdonare se ho provato in quel momento una gioia insana, perché tutto questo non faceva che confermare i tetri sospetti che nutrivo nei confronti di quel Rochus. Per un attimo non seppi che dire e restai fermo in silenzio, a capo chino. «Ma, Benedicta», ripresi, «credete veramente che quel giovane sia disponibile a prendere in moglie una donna il cui nome è stato trascinato nel fango davanti a tutta la sua famiglia e a tutto il paese? No, non intende stare in vostra compagnia per nessuna finalità degna di lode. Credetemi, Benedicta, non ho forse ragione a parlare così?» Quella dolce creatura si chiuse in un ostinato silenzio e non riuscii a strapparle nessun’altra parola che rivelasse ciò che pensava. Era quasi incapace di proferire parola, gemeva e piangeva. Compresi anche che era troppo vulnerabile per resistere alla tentazione di amare quel ragazzo e non potei non accorgermi che tutto il suo giovane essere era attratto da lui, cosa che fece traboccare la mia anima di pietà verso di lei e di rabbia nei miei confronti, perché ciò mi rese consapevole di non essere in grado di portare a termine la missione che mi era stata affidata. Ero distrutto da un’angoscia così grande che riuscii a fatica a non mettermi a piangere. Era andato spontaneamente fino a quella capanna e non riuscivo più a fare ritorno alla mia. Supplicavo Dio di concedermi più fede e più forza, compresi di essere un cattivo discepolo del Signore e un figlio maledetto della Chiesa. E in modo ancora più acuto di prima, compresi anche la natura terrena del mio amore per Benedicta. Ne colsi anche la natura colpevole e capii di non avere regalato tutto il mio cuore al Signore, perché ero ancora legato a una speranza affettiva temporale e umana. Mi fu chiaro che non avrei mai potuto ricevere i Santi Ordini e pronunciare i Voti, a meno che l’amore per quella dolce creatura non si fosse mutato in un affetto puramente spirituale, lontano da tutte le impurità della ione. In caso contrario sarei rimasto per sempre un povero monaco peccatore. Queste riflessioni mi fecero piombare in uno stato di ansia tormentata

e, tra tanta disperazione, mi lasciai cadere a terra invocando il nome di Dio. «Salvami, Signore», esclamai. «Sto annegando, sono travolto da una ione che non so più controllare. Salvami, salvami, Signore, altrimenti morirò per sempre!» Il combattimento continuò per tutta la notte, pregavo e affrontavo i demoni della mia anima che continuavano a suggerirmi di tradire la Chiesa di cui sono il figlio. La Chiesa, mi dicevano, ha già abbastanza servitori. Non sei ancora totalmente votato al celibato. Puoi chiedere di essere esentato dai voti monastici e restare qui, fra le montagne, come un frate laico. Potrai imparare a cacciare o diventare un pastore, e rimanere così per sempre vicino a Benedicta, per vegliare su di lei e consigliarla. Forse riuscirai addirittura a farle dimenticare il suo amore per Rochus e convincerla a diventare tua moglie. Le mie deboli forze non potevano opporsi a tali tentazioni e tutto l’aiuto che poteva darmi San sco nel mio grande cimento era troppo poco, insufficiente. La lotta fu lunga e straziante e più di una volta, nel buio e nella solitudine che ascoltavano le mie grida, fui sul punto di dire basta e di soccombere. Quando fu l'alba il mio spirito si placò. La pace mi inondò nuovamente il cuore e finalmente le ultime nuvole della notte si dissiparono alla luce del sole che andava a inondare i burroni e le gole della montagna. Si alzò quindi la nebbia e pensai alla ione e alla fine del nostro Signore, morto sulla croce per redimere i peccati del mondo. Allora, con rinnovata fede, pregai che il Cielo che potesse concedermi la benedizione di una morte uguale, nella misura della mia umile persona, anche se ciò significava sofferenza per un solo essere, per Benedicta. Possa il Cielo accogliere la mia preghiera.

30

La notte prima della domenica in cui dovevo tenere la mia funzione furono accesi grandi falò fra le rocce, questo per segnalare ai giovani delle vallate che potevano raggiungere gli alpeggi. Arrivarono in tanti, riempiendo l’aria delle loro grida di gioia e furono accolti dalle ragazze con allegre canzoni ed esclamazioni di felicità. Le giovani pastorelle reggevano le torce accese, le loro luci gettavano ombre gigantesche fra quelle rocce illuminate. Era uno spettacolo meraviglioso e tutta quella gente dava proprio la sensazione di essere molto felice. Della comitiva faceva parte anche la mia guida del monastero, era incaricato di trattenersi fino a domenica e, al ritorno, di portare via le radici che avevo raccolto. Il ragazzo mi raccontò le ultime novità dal convento e mi informò che, in quel momento, il Padre Superiore era a Saint-Barthélemy, dove si stava dedicando ai piaceri della caccia e della pesca. Venni anche a sapere, preoccupandomi non poco, che anche il figlio di Maitre Saulnier, il giovane Rochus, soggiornava fra le montagne, non lontano dal Lago Nero. A quanto pare era il proprietario di una specie di casotto da caccia in alta quota, sul sentiero che portava direttamente al lago. Per fortuna il giovanotto non notò la confusione che mi avevano provocato le sue parole. Possa un angelo armato con una spada di fuoco vegliare il sentiero del lago e vegliare sulla dolce Benedicta.

I canti, i balli e le grida continuarono tutta la notte e, agitato com'ero, non riuscii a chiudere occhio per un minuto. Il giorno dopo di buon’ora arrivarono a gruppi, da ogni parte, altri ragazzi e altre ragazze. Le donne avevano ricchi fazzoletti di seta graziosamente annodati intorno al collo ed erano tutte adornate con una grande quantità di fiori. Non ero stato ancora ordinato prete e quindi, sfortunatamente, non mi era concesso di celebrare la Messa e recitare il sermone, ma mi unii lo stesso alle preghiere e parlai di tutto quello che poteva consentirmi il mio cuore pieno di tormento. Parlai dei peccati che pesano su tutto il genere umano e dell’infinita bontà di Dio, della nostra insensibilità nei confronti del prossimo e dell’amore assoluto del Salvatore verso tutti gli esseri viventi che ha creato. Parlai loro anche della Sua infinita comprensione e mentre le mie parole si levavano sugli abissi e tra le cime, mi sentivo come trasportato oltre questo mondo di sofferenza e di peccato, sulle ali di un angelo che mi conduceva verso le sfere radiose che abitano, così ci dicono, i meravigliosi spazi dei Cieli. Fu comunque un servizio davvero solenne e, dal momento che la mia congregazione mi ascoltava con un'attenzione venata di paura, non mi sembrò per niente diverso dall’assemblea degli Eletti intorno al nostro amatissimo Santo. Finito di parlare diedi la benedizione ai miei fedeli, che se ne andarono a cuore leggero e, dopo un breve tratto, le vallate ricominciarono a risuonare delle loro grida di gioia, una cosa che, detto sinceramente, non mi dispiacque neanche un po'. Perché in fondo non dovrebbero essere contenti? L’allegria non è forse il regalo più prezioso che un cuore possa dare e ricevere? Nel pomeriggio arrivai fino alla capanna di Benedicta e la trovai sulla porta, impegnata a comporre una ghirlanda di edelweiss per l’immagine della Vergine, una ghirlanda fatta di fiori bianchi come la neve e da fiori rossi come il sangue. Mi sedetti di fianco a lei e contemplai in silenzio del suo meraviglioso operare, con l’anima straziata da un’emozione selvaggia e irrefrenabile che avrebbe voluto urlare: «Benedicta, amore mio, anima mia, vi amo più della mia stessa vita! Vi amo più di tutte le cose che abitano la terra e il cielo...»

31

Il Padre Superiore mi mandò di nuovo a chiamare. Sentivo uno strano presentimento nel cuore e seguii il suo messaggero lungo il pericoloso cammino che arriva fino al lago, punto in cui ci imbarcammo. Il mio spirito era così occupato e invaso da lugubri riflessioni e da funeste premonizioni di imminente catastrofe, che quasi non prestai la minima attenzione alla traversata e rimasi quindi sorpreso quando sentii improvvisamente delle grida gioiose, cosa che mi fece capire che eravamo arrivati a Saint-Barthélemy. C’era una folla numerosa, preti, monaci, montanari e cacciatori, nella bella radura che circondava la dimora del Padre Superiore. Molti erano quelli arrivati da lontano, accompagnati da un nutrito seguito di amici e di servitori. Regnava una confusione unica, perché tutti si agitavano da una parte e dall’altra, come fossero a una fiera. Le porte erano state spalancate a doppi battenti. I cani ululavano e abbaiavano da spaccare i timpani e, su una specie di trespolo, era stata poggiata una gigantesca botte di birra, intorno alla quale si accalcava una fila di bevitori. Anche all’interno dell'edificio non si andava piano con le bevute, perché vidi molti uomini, vicino alle finestre, che tracannavano enormi boccali. Entrai e quasi andai a sbattere contro un gruppo di servitori, alcuni che portavano vassoi ricolmi di cacciagione, altri con una varietà infinita di pesce. A uno di loro chiesi a che ora avrei potuto incontrare il Padre Superiore. Mi rispose che Sua Eccellenza sarebbe sceso subito dopo il pasto, ragione per cui decisi di aspettarlo nell'anticamera, le cui pareti erano decorate da acqueforti che raffiguravano enormi pesci che venivano pescati nel lago. Sopra ogni quadretto erano incisi, a grandi lettere, il peso della preda gigantesca, la data della sua cattura e il nome del fortunato quanto abile pescatore. Interpretai quella sfilata di immagini come fosse una specie di museo, e forse, poco caritatevolmente, come un obbligo fatto a ogni vero cristiano di pregare per le anime di coloro dei quali si poteva, grazie a quelle formelle, leggere per sempre i nomi. Il Padre Superiore arrivò solo dopo più di un’ora. Feci qualche o avanti e lo salutai con l’umiltà che si conviene alla mia condizione. Lui scrollò la testa e mi

fissò con un'espressione dura, poi mi ordinò di raggiungerlo nelle sue stanze subito dopo il pranzo. E così ho fatto. «Allora, che cosa state facendo della vostra anima, mio caro Ambrosius, figlio diletto?», mi chiese con un'aria solenne. «Il Signore vi ha concesso la Sua grazia? Pensate di avere superato la prova?» «Mio Reverendo Padre», risposi umilmente, a capo chino, «tra tanta solitudine, il buon Dio si è degnato di condurmi verso una nuova e più fruttuosa conoscenza» «Quale? Quella che siete inevitabilmente colpevole?» Non feci che annuire, con modestia. «Allora sia lodato il Signore!», esclamò il Padre Superiore. «Lo sapevo, figlio mio, che la solitudine sarebbe stata buona consigliera e avrebbe portato alla vostra anima tanto bene, e anche di più, se vogliamo adoperare il linguaggio che avrebbe potuto usare un angelo. Ho ottime notizie per voi. Ho inviato una lettera di raccomandazione a Sua Eccellenza il Vescovo di Salisburgo. Sarà lui in persona ad accogliervi nell’Ordine. Da ora in avanti vivrete a Salisburgo. Ora preparatevi, perché dovrete lasciarci fra tre giorni» In quel momento il Padre Superiore mi ha guardato diritto negli occhi, ma non gli ho consentito di leggere nel cuore. Ho chiesto la sua benedizione e mi sono accomiatato facendo con un inchino. Era per quello che ero stato chiamato! Me ne dovevo andare per sempre e lasciare dietro di me tutto ciò che aveva rappresentato la mia vita fino a quel momento. In questo modo avrei dovuto rinunciare a proteggere e a vegliare su Benedicta. Che Dio ci aiuti, che aiuti entrambi.

32

Sono tornato ancora fra le mie montagne, ma oggi dovrò abbandonarle per sempre. Ma perché sono così triste? Non mi attende forse una grande felicità? Non ho sempre desiderato il momento dell’ordinazione, torturandomi di impazienza, credendo che questo mi avrebbe regalato la gioia suprema della mia intera vita? Adesso che questa grande felicità è quasi arrivata mi sento triste oltre ogni limite. Posso avvicinarmi all’altare del Signore con la bugia sulle labbra? Posso ricevere il Sacramento come un bugiardo impostore? L'olio santo si muterà in fuoco sulla mia fronte e finirò per bruciarmi il cervello. Sarò dannato, fino alla fine dei miei giorni. Devo andare a inginocchiarmi ai piedi di Monsignore il Vescovo e parlargli sinceramente. Mandatemi via, dovrei dirgli. Cacciatemi, io non so che cosa farmene dell’amore di Cristo e delle sante cose che abitano nei Cieli. Vivo e penso al contrario: mi struggo languendo per un amore squallidamente terreno, umano. Se parlerò così mi puniranno di sicuro, ma sopporterò l’inevitabile castigo senza provare alcun rimpianto. Se solo non fossi un peccatore e potessi diventare un prete seguendo le regole, avrei la possibilità di essere di grande aiuto a quella povera ragazza. Potrei farle da confessore, assolverla dai suoi peccati e, se dovessi sopravviverle, che Dio me ne guardi, salvarla con le mie preghiere, spedire e raccomandare la sua anima dal Purgatorio. Potrei anche celebrare delle Messe per il riposo delle anime dei suoi poveri genitori, loro che sono già morti. Ma desidero salvarla da quel peccato grave e pericoloso, a cui lei segretamente aspira, questo più di ogni altra cosa al mondo. Se potessi prenderla con me e metterla sotto la santa protezione della Santissima Vergine, sarebbe veramente il massimo della gioia.

Ma qual è il santuario che accetterebbe di ospitare la figlia di un boia? So fin troppo bene come andrà a finire: quando me ne sarò andato, il Maligno finirà con il vincere, sotto quella forma ingannevole e insinuante che ha voluto assumere. E quella poverina si perderà per sempre, sarà condannata in eterno.

33

Sono andato da Benedicta. «Benedicta», le ho detto, «me ne devo andare e lasciare per sempre questi luoghi, queste montagne... e anche voi...» La ragazza è impallidita ma non ha detto nulla. Per un attimo mi sono lasciato sopraffare dall’emozione e, con un nodo in gola, non sono stato in grado di proseguire. «Mia povera ragazza», riuscii alla fine a dire, «che cosa sarà di voi? Conosco la forza del vostro sentimento per Rochus e so anche, purtroppo, che l’amore è un fiume in piena, contro il quale non si può fare nulla. E nulla vi potrà aiutare, se non rivolgervi alla Croce del nostro Signore. Promettetemi che lo farete. Non lasciatemi partire con il cuore gonfio di preoccupazione, Benedicta...» «Ma sono davvero così cattiva?», mi chiese la ragazza, continuando a tenere gli occhi bassi. «Nessuno avrà mai fiducia in una persona come me?» «Ma, Benedicta, il nemico è potente, e ci sarà sempre un traditore pronto ad aprirgli la porta. Sarà proprio il vostro cuore, piccola mia, a perdersi...» «Quell’uomo non mi farà mai del male, mai», mormorò Benedicta. «Su questo vi sbagliate di grosso, fratello, vi sbagliate proprio...» Ma ero sicuro di non sbagliarmi e avevo abbastanza esperienza per sapere come il lupo sia abile a travestirsi da agnello. Il ragazzo forse non aveva ancora osato dichiarare i suoi desideri più bassi, e lo faceva rispettando, a suo modo, l’immacolata purezza di quella santa creatura. Ma sapevo benissimo che sarebbe venuto il momento in cui la poverina avrebbe avuto bisogno di tutta la sua forza, e non sarebbe riuscita in ogni caso ad averne a sufficienza. Le presi il braccio e la supplicai di giurarmi di annegare nelle acque del Lago Nero piuttosto che finire fra le braccia di Rochus.

Ma lei si rifiutò. Poi continuò a tacere, fissandomi con un’aria di tristezza e di rimprovero che mi fece provare un'indimenticabile malinconia. Così mi voltai e, senza dire altro, me ne andai.

34

Signore, tu che vigili sulla mia anima, dove mi hai portato, alla fine? Mi hanno gettato in una segreta, è strettissima, proprio come fanno per i rei confessi e, domani, allo spuntare del sole, sarò impiccato. Perché chi ha ucciso morirà, e questa è la legge degli uomini e di Dio. E in questo, che è l'ultimo giorno della mia vita, ho chiesto che mi fosse permesso di mettere mano al mio diario per un’ultima volta, e il favore mi è stato accordato. In nome di Dio e della verità, ora bisogna che racconti tutto quanto è veramente accaduto. Dopo aver lasciato Benedicta, ritornai alla mia capanna. Una volta conclusi tutti i preparativi, aspettai che arrivasse il domestico dal convento. Ma lui non si fece vedere e dovetti trascorrere un’altra ora lassù. Non riuscivo a dormire: la capanna mi sembrava troppo piccola per ospitarmi, tanto l’aria era viziata e soffocante. Allora decisi di uscire e di andare a coricarmi su un grosso masso, con gli occhi persi nel cielo tutto nero e brillante di stelle. Purtroppo la mia anima non decise di seguirmi fin lassù, preferì attardarsi sulle rive del Lago Nero. All'improvviso, in lontananza, sentii gridare debolmente, sembrava una voce umana. Mi misi a sedere su quel masso e cercai di prestare attenzione. Era tutto tranquillo: mi dissi che poteva essersi trattato solo del grido di un uccello notturno. Mi accingevo a stendermi di nuovo quando il grido si sentì di nuovo, e questa volta sembrava provenire da tutt’altra parte. Ma era la voce di Benedicta! E ora la sentivo ancora, portata dal vento sulla la mia testa. E il nome che invocava era il mio, o Santa Vergine di Dio, e quanta angoscia c’era in quelle urla! «Benedicta! Benedicta!», gridai, saltando in fretta giù dal masso. Ma nessuno rispose.

«Benedicta, ragazza mia, sto arrivando!» Cominciai a correre in piena notte, saltando e rotolando per il sentiero. Nella corsa sfrenata persi l’equilibrio più volte e caddi fra i sassi e le radici degli alberi. Mi feci male un po' dappertutto e mi lacerai la tonaca senza neanche farci caso. Benedicta era in difficoltà, solo io potevo salvarla. Non mi fermai fino a quando non ebbi raggiunto il Lago Nero. C'era ovunque una grande calma, spettrale, non si vedeva nessuna luce e non si sentiva nessun rumore. Era tutto tranquillo come se mi trovassi in chiesa. Attesi per molto tempo, senza successo. A un certo punto decisi di andarmene. La voce che avevo sentito non doveva essere stata quella di Benedicta ma piuttosto quella di qualche entità maligna che si prendeva gioco del mio grande dolore. A quel punto pensai di tornare alla capanna, ma una mano invisibile guidò i miei i verso un’altra direzione. Nonostante mi abbia condotto alla morte, non ho dubbi: era il cammino tracciato dalla mano del Signore. Andavo avanti rendendomi a malapena conto di dove stessi andando, incapace di tornare sui miei i, quando di colpo mi ritrovai davanti a un precipizio, dal bordo del quale si inerpicava un ripido sentiero che imboccai immediatamente. Dopo avere camminato per diversi metri, sollevai gli occhi e vidi, stagliato contro un cielo disseminato di stelle, una specie di capanna appoggiata proprio sul bordo del burrone. Ebbi un'intuizione: era il casotto da caccia del figlio di Maitre Saulnier, che senz’altro andava da Benedicta facendo proprio quella strada. Padre, Rochus poteva are solo da lì, perché non c’era un altro aggio. A quel punto non mi restava che aspettare. Mi nascosi nell’ombra e aspettai, riflettendo su ciò che gli avrei detto e implorando il Signore di consigliarlo, di ispirargli buone azioni e di sviarlo dai suoi turpi propositi. Fu poco dopo lo sentii sopraggiungere dall’alto del sentiero. Mi arrivò il rumore dei sassi che, spostati dai piedi di quel peccatore, rotolavano giù in fondo alla valle e finivano nelle acque del lago. Allora pregai Dio che, se non fosse riuscito a moderare la rabbia e la violenza di Rochus, gli fe almeno perdere l’equilibrio, che lo fe rotolare anche lui come una pietra. Un tale destino sarebbe stato migliore anche per lui, piuttosto che andare incontro a una morte

improvvisa e violenta, perdendo così anche la sua anima. Era inconcepibile che potesse vivere ancora e continuare a distruggere l’anima di una ragazzina innocente e senza peccato. Sbucando da uno spuntone di roccia mi ò proprio davanti. Mi alzai e feci qualche o sotto la luce tremante della luna nuova. Rochus mi riconobbe e, con un tono ironico, mi chiese che cosa diavolo volessi. Gli risposi con calma, gli spiegai perché lo avevo aspettato lungo la strada e lo pregai di tornare sui suoi i. Lui cominciò a offendermi e a prendermi in giro. «Miserabile prete da quattro soldi», mi disse, «non la finirete dunque mai d’impicciarvi dei fatti miei? Quelle montanare sono state così cretine da infatuarsi dei vostri capelli neri e dei vostri denti bianchi, e adesso credete forse di essere un uomo e non un frate? Guardate che ai loro occhi non siete niente, siete meno di un caprone!» Lo pregai di stare zitto e di ascoltarmi. Mi buttai ai suoi piedi e lo implorai, per quanto avesse dimostrato solo disprezzo verso di me e nei confronti della mia umile, benché santa, condizione, di non mancare di rispetto a Benedicta, di risparmiarla. Ma lui mi respinse, infilandomi la punta dello stivale nel mezzo al petto. Fu allora che, non riuscendo più a trattenermi, mi alzai e gli diedi dell’assassino e del vigliacco. «Ti manderò all’inferno», ruggì lui, tirando fuori un pugnale dalla cintura. La mia mano si alzò rapida come un lampo, e gli presi il polso. Gli strappai la lama dalle mani e la gettai lontano, dietro le mie spalle. «Lasciamo stare le armi e battiamoci da pari a pari», gli dissi. «Lottiamo fino a morire. Dio riconoscerà chi è il suo campione!» Così ci rotolammo l’uno sull’altro come due animali feroci, avvinghiandoci e facendo subito a pugni. Lottammo lungo il sentiero, incastrati fra l’immensa parete rocciosa da una parte e il precipizio dall’altra, quell’abisso che sprofondava nelle acque del Lago Nero. Ci battemmo come pazzi, ciascuno cercando di avere la meglio. Ma il Signore era contro di me. Il mio nemico, a cui Lui aveva consentito di immobilizzarmi con le spalle a terra, avrebbe potuto benissimo scaraventarmi nel precipizio. Il mio destino ora dipendeva dalle mani di un avversario forte e violento, con quegli occhi che scintillavano come

carboni ardenti. Continuava a premermi sul petto con il ginocchio mentre mi faceva penzolare la testa sopra la voragine. Aveva la mia vita fra le sue mani. Pensai che stesse per gettarmi nel vuoto ma, maligno com’era, Rochus mi tenne per alcuni, interminabili istanti fra la vita e la morte. «Lo vedi, prete da strapazzo, lo vedi quel precipizio là in fondo? Bene, se solo ti azzardi a fare un’altra mossa, ti farò cadere da lì come una pietra anche se, in realtà, la tua vita non mi interessa per niente, in quanto non è di nessun ostacolo per i miei progetti futuri. Quella ragazza è mia e voglio che la lasci in pace. Ci siamo capiti?» Dopo queste parole, raddrizzò la schiena e riprese il sentiero che portava al lago, lasciandomi lì ferito e dolorante. L’eco dei suoi i impiegò molto a spegnersi nel silenzio della notte, e mi ci volle molto tempo prima di riuscire a muovere anche solo una mano o un piede. Dio mio! Non meritavo si sicuro un simile affronto, una tale cattiveria, un’umiliazione così grande! Volevo solamente salvare un’anima e il Cielo aveva permesso che fossi umiliato e deriso proprio da colui che stava per distruggerla per sempre! Alzarsi da terra fu un’impresa estremamente dolorosa, perché avevo botte da ogni parte e ancora sentivo la pressione del ginocchio di Rochus sul petto e quella delle sue dita intorno al collo. Scesi verso il lago, procedendo a fatica e, messo male com’ero, spesso fui costretto a fermarmi per riprendere fiato. A quel punto dovevo per forza raggiungere la capanna di Benedicta per farle da scudo con il mio corpo contro chiunque avesse voluto farle del male. Ma riuscivo ad avanzare con mille difficoltà e quando l’alba fu vicina, lasciai perdere tutto, convinto oramai che fosse troppo tardi per fare a quella poverina il misero dono delle poche forze che ancora mi rimanevano in corpo. Spuntò l’alba e sentii Rochus che risaliva per il sentiero, canticchiava allegramente. Mi nascosi dietro un masso, non certo perché avevo paura, e il ragazzo ò senza neppure vedermi. In quel punto preciso si apriva un enorme crepaccio nella roccia, una fenditura che apriva tutta la montagna, come avrebbe fatto l’ascia di un Titano, la cui base era occupata di rocce smosse, ricoperte di muschi e licheni. Attraverso questi scorreva un rigagnolo d’acqua, alimentato dalla fonte delle nevi provenienti dalle cime.

Restai per tre giorni e per due notti in quel posto. Sentii il frate del monastero gridare il mio nome ai quattro venti, lo vidi addirittura battere i sentieri alla mia ricerca, ma mi guardai bene dal dire dov'ero. E non placai la sete bevendo al ruscello, né i morsi della fame con le more che spuntavano a fiotti da ogni fiancata del sentiero. In questo modo mortificai la mia carne peccatrice, eliminai ogni ribellione dell’anima e abbandonai il mio spirito al Signore, finalmente libero da tutti i mali, liberato dalle catene di un amore terreno. Il cuore, la vita, l’anima stessa ora era interamente votata a nessun’altra donna all’infuori di Te, o Vergine Maria! Il Signore aveva compiuto un tale miracolo, e la mia anima si sentiva libera e leggera, come trasportata in Cielo sulle ali di un angelo. Ringraziai Dio a voce alta, gridando la mia felicità, la cui eco risuonava di roccia in roccia. «Osanna! Osanna!» Adesso ero davvero pronto per presentarmi davanti all’altare e a ricevere l'olio santo. Non mi appartenevo più e mi sentivo come trasportato fuori da me stesso, rapito dal profondo della mia anima. Ambrosius, il povero frate vagabondo era morto, non esisteva più. Ero diventato lo strumento della mano destra di Dio, pronto a compiere la Sua volontà. Pregai ancora una volta per la liberazione di Benedicta e, mentre ero tutto coinvolto nella preghiera, ecco apparirmi il Signore in persona, fra lo splendore e la gloria di nuvole altissime, seguito da un corteo di innumerevoli angeli che ricoprivano tutta la metà del cielo. Rapito dalla gioia e dall’estasi, senza parole, caddi in una sorta di delirio ineffabile e, con un sorriso d’infinita, caritatevole bontà, Dio mi parlò: «Poiché sei rimasto sempre fedele alla tua fede e hai superato le numerose prove che ti sono state sottoposte, la salute dell’anima di quella ragazza senza colpa riposa oggi fra le tue mani». «Tu, mio Signore, Tu sai meglio di ogni altro», replicai, «che non sono abbastanza armato per compiere una tale missione, e non so nemmeno come dovrebbe essere portata a termine» Il Signore mi ordinò di alzarmi e di rimettermi in cammino. Distogliendo lo sguardo dalla gloriosa visione che illuminava tutta la montagna, trafitta come un cuore di fuoco, ubbidii umilmente, abbandonai i luoghi del mio nuovo battesimo e imboccai ancora il sentiero che costeggiava la scarpata rocciosa, affrontando la

salita nella grandezza luminosa del crepuscolo che si rifletteva in quelle nuvole sanguinanti. Poi qualcosa mi disse che dovevo fermarmi e abbassare lo sguardo. E così vidi, ai miei piedi, il pugnale affilato di Rochus, rosseggiante alla luce che cadeva dalle nuvole, come fosse sporco di sangue. Allora compresi perché il Signore aveva permesso a quel matto di avere la meglio su di me e perché lo aveva anche incitato a non uccidermi. Ero stato tenuto in serbo per un destino più luminoso, ora mi ritrovavo fra le mani il mezzo per realizzare veramente la mia sacra missione. Mio Dio, mio Salvatore, come sono infinite e misteriose le tue vie!

35

«La devi lasciare in pace!» Così aveva detto quel giovane senza cervello, giocando con la mia vita appena sopra il precipizio. Mi aveva lasciato andare non per carità cristiana, ma perché mi disprezzava: la mia vita, per quel disgraziato, era una cosa così insignificante che non valeva neppure la pena di essere troncata. Era sicuro di catturare la sua preda, e gli importava pochissimo che io vivessi oppure morissi. «La devi lasciare in pace!» Pazzo arrogante! Non lo sai che la mano del Signore protegge anche i fiori dei campi, e persino gli uccellini nei loro nidi? Lasciare Benedicta nelle tue mani? Permetterti di distruggerla, di fare a pezzi il suo corpo e la sua anima? Bene, ti accorgerai come la mano del Signore scenderà su di lei, per proteggerla e per salvarla. L’ora è arrivata. La mia anima è ancora pura e senza colpa. Coraggio, sottomettiamoci ai voleri dell’Onnipotente. Caddi in ginocchio nel punto preciso che mi aveva dato la possibilità di liberare Benedicta con l’anima interamente occupata della missione che mi era stata affidata. Il cuore traboccava di un'estasi completa e già vedevo, come fosse una visione, l'esito trionfale del gesto che ancora mi rimaneva da compiere. Mi alzai e nascondendo il pugnale sotto la tonaca ritornai sui miei i, verso il Lago Nero. La luna nuova somigliava a una ferita divina, come se qualcuno avesse conficcato un pugnale nel cuore stesso del cielo. La porta di Benedicta era appena socchiusa, e restai per un bel pezzo fuori a guardare il quadro meraviglioso che si offriva ai miei occhi. Un grande fuoco bruciava nel camino e illuminava tutta la stanza. Benedicta era seduta davanti alle fiamme, stava pettinandosi i lunghi capelli biondi. Il viso, raggiante, aveva di recente acquisito una nobiltà di cui fino a quel momento non mi ero assolutamente accorto. Un sorriso sensuale le percorreva le labbra, mentre canticchiava piano, con la sua dolcissima voce, cantava una ballata d’amore.

Povero me! Com’era bella! Somigliava a una fidanzata del cielo e, anche se la voce era in tutto e per tutto angelica, mi riempiva comunque di paura e di timori. «Che cosa state facendo, Benedicta, è tardi ormai, è già sera?», le chiesi. «Cantate come se dovesse arrivare un amante da un momento all'altro e vi state pettinando i capelli come se aveste intenzione di andare a ballare. Non sono ati nemmeno tre giorni da quando vi ho lasciata, io, che sono vostro fratello e il vostro unico amico, in un mare di lacrime e di dolore. E adesso vi vedo felice come una giovane sposa» La ragazza si alzò di scatto, come se provasse una grande gioia nel rivedermi, e mi baciò le mani. Ma non appena mi vide bene in viso, le uscì un urlo di terrore e si ritrasse come se fossi stato un diavolo dell’inferno e non io, umile frate. Fui io ad avvicinarmi. «Perché vi addobbate così, a quest’ora di notte? Perché siete così di buon umore? Sono bastati tre giorni a farvi cedere? Siete diventata l’amante di Rochus?» La ragazza mi guardò senza parlare, fissandomi negli occhi con orrore. «Dov’eravate finito?», mi domandò. «E perché siete venuto? Avete un’aria così sofferente. Sedetevi, vi prego, e riposatevi un po’. Siete bianco come un lenzuolo, e tremate per il freddo. Vi farò bere qualcosa di caldo, vi sentirete meglio, dopo» Con un’occhiata cupa quanto esplicita la costrinsi a stare zitta. «Non sono venuto per riposarmi o per farmi coccolare da voi», dissi. «Sono qui per servire il mio Signore. Ditemi perché stavate cantando» Benedicta mi fissò diritto negli occhi con l’espressione innocente di una neonata. «Perché per un momento ero riuscita a dimenticarmi che ve ne eravate andato, e perché ero contenta» «Contenta?» «Sì... lui è venuto qui»

«Lui chi? Di chi parlate? Rochus?» «È così buono», rispose la ragazza, esprimendo la sua approvazione con un cenno del capo. «Chiederà a suo padre il permesso di continuare a venire qui a trovarmi. Forse riuscirà a portarmi anche con lui, nella sua grande casa, se avrà la possibilità di convincere il Padre Superiore a togliermi la scomunica. Non sarebbe splendido? Ma forse allora...», aggiunse abbassando gli occhi, con un tono e un modo di fare che mi sconvolse, «non vorrete più vegliare su una povera ragazza come me, sola e senza protezione» «Che cosa? Quello sciagurato vorrebbe convincere il padre a fare di voi la sua concubina? A prendervi nella sua casa? Voi, la figlia di un boia? Che giovane senza criterio! Lui, dopo avere sfidato Dio e tutti i suoi Ministri, adesso si mette a sfidare la stessa Chiesa! Sono solo una montagna di bugie! Oh, Benedicta, povera ragazza tradita, dalle vostre lacrime e dal vostro sorriso capisco che avete creduto alle promesse senza fondamento di quell’anima dannata» «Sì», rispose la ragazza abbassando il capo, come per fare una professione di fede davanti all’altare di Dio. «Sì, a lui credo» «Adesso inginocchiatevi, avanti!», le gridai. «E pregate il Signore che vi ha mandato uno dei suoi spiriti eletti, allo scopo di salvare la vostra anima dalla perdizione eterna e senza speranza» A queste parole, sempre più impaurita, Benedicta si mise a tremare. «Allora che cosa volete che faccia?», gridò. «Pregate perché vi siano rimessi i vostri peccati» Un improvviso anelito di gioia conquistò tutta la mia anima e il mio corpo. «Sono un prete», urlai. «Unto e consacrato da Dio in persona! In nome del Padre, e del Figlio, e dello Spirito Santo, ti perdono il tuo solo e unico peccato, il tuo amore colpevole. Ti assolvo e non ti do alcuna penitenza. Ti libero l’anima dal peso vergognoso del peccato e, per espiare la tua colpa, pagherai con la tua vita e con il tuo stesso sangue» Detto questo la afferrai per un braccio e la costrinsi a inginocchiarsi. Ma lei voleva vivere, piangeva e si lamentava. Si aggrappò alle mie ginocchia, mi

supplicò nel nome del Signore e della Beata Vergine. Poi si alzò di scatto e cercò di scappare correndo via. Di nuovo la fermai, ma ancora una volta riuscì a divincolarsi e si precipitò verso la porta che era rimasta aperta. «Rochus! Rochus! Aiuto!» Le corsi dietro, la presi per la spalla, la obbligai a girarsi di profilo e le conficcai con forza il pugnale in mezzo al cuore. Poi la presi fra le braccia, la strinsi al petto e sentii colare sulla mia pelle il calore del suo sangue. La piccola aprì gli occhi e mi riservò uno sguardo di rimprovero, come se l’avessi privata di una vita di felicità e di contentezza. Poi chiuse piano gli occhi, ebbe un fremito, scossa da un ultimo, lungo sospiro, e quindi spirò fra le mie braccia. Avvolsi quel corpo meraviglioso in un lenzuolo bianco, lasciandole il viso scoperto, e la stesi per terra. Il tessuto non ci mise molto a inzupparsi di sangue. Le divisi i lunghi capelli biondi in due trecce, e gliele adagiai sul seno. Avevo fatto di lei una sposa celeste e, dopo avere preso dall’immagine della Vergine la corona di edelweiss, la sistemai sulla fronte di Benedicta, ricordandomi dei fiori che era venuta a portarmi per confortarmi nella mia terribile solitudine. Poco dopo riaccesi il fuoco. Le fiamme gettarono una luce insanguinata sul sudario e su quel bellissimo viso, come se la gloria celeste fosse scesa dal paradiso per avvolgerla. La luce delle fiamme si rifletteva sulle trecce dorate che riposavano su quel petto armonioso e stupendo, che brillava di mille fuochi incandescenti. Allora la lasciai.

36

Scesi dal fianco della montagna lungo i più pericolosi sentieri, ma il Signore guidò i miei i e non inciampai né caddi nel precipizio. Quando fu l’alba, avevo già raggiunto le porte del monastero. Tirai la camla all’ingresso e aspettai che venissero ad aprirmi il cancello. Il frate portiere pensò di sicuro che fossi un demonio, perché se ne uscì con un urlo che svegliò tutti i confratelli. Andai diritto alle stanze del Padre Superiore, mi piazzai davanti a lui con quegli abiti sporchi di sangue, lo informai della missione che mi era stata affidata dal Signore e gli dissi che oramai ero un prete veramente consacrato. Fu allora che mi presero e mi gettarono in questa segreta. Poi, dopo avermi sottoposto a un processo sommario, mi condannarono a morte, come se fossi un assassino. Oh, che sciocchi! Che poveri disgraziati! Oggi qualcuno è venuto a trovarmi. Qualcuno che è caduto in ginocchio, mi ha baciato le mani e mi ha adorato come uno strumento scelto dalla mano di Dio. Solo Amula ha capito quale atto eroico e glorioso ho dovuto compiere. Le ho chiesto di allontanare gli avvoltoi dal mio corpo, perché oramai Benedicta è in Cielo. Ben presto sarò ancora con lei. Sia sempre lodato il Signore Dio! Osanna! Amen!

Un’altra mano ha completato il vecchio manoscritto, aggiungendovi le righe che seguono:

Il quindici di ottobre dell’anno 1680 di nostro Signore, in questo stesso luogo, il fratello Ambrosius è stato impiccato. Il suo corpo è stato sepolto il giorno dopo sotto la forca, vicino a quello di Benedicta, la ragazza da lui assassinata. Questa

ragazza, nonostante fosse chiamata la figlia del boia, era, in realtà, come si venne a sapere solo in un secondo tempo dalle dichiarazioni di Rochus, la figlia bastarda di Maitre Saulnier e della moglie del boia. Il giovane Rochus ha anche dichiarato che la giovane provava un amore segreto per colui che doveva diventare il suo assassino, lui che ignorava la ione di lei. Sotto tutti gli altri aspetti il fratello Ambrosius è stato un fedele servo del Signore. Abbiate pietà e pregate per lui.

Crediti

Ambrose Bierce

Benedicta, la figlia del boia (tit. originale: The Monk and The Hangman's Daughter, 1891)

Traduzione integrale a cura di Alberto B. Levorato

Una realizzazione Falsopiano secondo gli standard dell'International Digital Publishing Forum

ISBN 9788893040310

Tra i Fogli volanti

Jack London, Autobiografia alcoolica Edgar Wallace, Il cavallo grigio e la mosca assassina Gustave Le Rouge, Il Dr. Cornelius lo scultore di carne umana Oscar Wilde, Teleny Charles H. Hinton, Il re di Persia Edgar Wallace, La doppia vita di Kate Annie Vivanti, I divoratori Edgar Wallace, La melodia della morte Robert Louis Stevenson, Il Club dei suicidi Edgar Wallace, La maledizione del libro onnipotente Elinor Glyn, Quel certo non so che – It Elinor Glyn, Sei giorni Ambrose Bierce, Dizionario del Diavolo Jack London, I Servi di Mida Rosaria M. Notarsanto, Le mani diverse Edgar Wallace, Il sindacato del crimine Honoré de Balzac, Il capolavoro sconosciuto Ambrose Bierce, Il Club dei parenticidi

Jules Verne, Un biglietto della lotteria Umberto Boccioni, Taccuini futuristi Augusto De Angelis, Il Commissario De Vincenzi. Cinque inchieste Robert Louis Stevenson, La cassa sbagliata Augusto De Angelis, Il Commissario De Vincenzi. Quattro inchieste Filippo Tommaso Marinetti, Come si seducono le donne Marc Bloch, Apologia della storia Augusto De Angelis, La prima inchiesta. Il banchiere assassinato Montesquieu, Riflessioni e pensieri inediti Henri Barbusse, L'inferno Augusto De Angelis, Il Commissario De Vincenzi, Il do tragico George Ohnet, Il padrone delle ferriere. Storia di Claire e Philippe Augusto De Angelis, Il Commissario De Vincenzi, Le sette picche doppiate Ethel Lina White, La scala a chiocciola Augusto De Angelis, Il Commissario De Vincenzi, Il mistero della vergine Augusto De Angelis, Il Commissario De Vincenzi, Sei donne e un libro Augusto De Angelis, Il Commissario De Vincenzi, La barchetta di cristallo Augusto De Angelis, Il Commissario De Vincenzi, Il mistero di Cinecittà Augusto De Angelis, Il Commissario De Vincenzi, Il mistero delle tre orchidee Augusto De Angelis, Il Commissario De Vincenzi, L'impronta del gatto