Umberto Manini
DALL’ALBA AL CREPUSCOLO
una vita sul percorso dell’Arcobaleno
Youcanprint Self - Publishing
Titolo | Dall’alba al crepuscolo Autore | Umberto Manini ISBN | 9788867514946 Prima edizione digitale: 2014
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Ai miei figli perché la mia vita di padre resti come memoria nei loro cuori
Prefazione dell’autore
Perché scrivere un libro? Perché le Confessioni di Agostino, la Divina Commedia, i Promessi Sposi, i trattati di fisica, chimica e nucleari? Le grandi opere musicali e teatrali? Quali sono le motivazioni che spingono la penna a vergare delle pagine di un libro in questo piccolo universo terrestre?
Certamente vi sono molti argomenti da trattare e ciascuno ha uno scopo preciso, una meta da raggiungere.
Tutto ciò che può essere appreso e conosciuto dalla mente umana può essere oggetto di scrittura. Essa può essere definita un sistema di simboli figurati o astratti o di simboli ridotti a segni convenzionali con i quali fissare, comunicare, conservare e trasmettere nel tempo, in forme stabili e in maniera perspicace, procedimenti mentali ed espressioni linguistiche, tecniche, matematiche, ecc.
Colui che scrive, lo può fare come professionista e per guadagno; per innata capacità di trasmettere il vissuto delle verità storiche e delle invenzione più o meno buone; per eccellere o puntare ad ambiti premi letterali.
Ed altro ancora.
Io non appartengo a nessuna di queste categorie poiché non mi è stata data la capacita di essere un talento in materia. Ciò che scrivo, a fatica, non è una ricerca stilistica o linguistica, ma frutto delle fatiche attraversate nella vita e che formano un diario sintetico, di un trascorso vissuto nell’arco storico di una esistenza in apparenza comune, alla quale, se ritenuta di interesse, ci si può
accostare.
Si, perché, oltre alla parte personale, vi è agganciata, in filigrana, quella storica; la vita familiare, la povertà stridente di certi tempi, quella di studio, di guerra, di lavoro, di malattia, dei rapporti umani, ecc.
Questo libro, nel quale è raccolta una testimonianza vissuta nella verità di un ato remoto e recente, nasce nell’intento di mostrare alle generazioni attuali e future, quei valori reali che hanno traato il fianco a quelle ate, le quali, pur vivendo nella povertà di vita e nel sacrificio quotidiano, hanno saputo superare, con dignità, gli eventi ad esse ascritti. La vita è fatta d’ombre e luci; di entusiasmo e freddezza; di salute e malattia; di grandi aspirazioni e vuoti profondi; di religiosità ed empietà; di gioie e tristezze; di pace e di violenza; di glorie e di vergogne.
E’ attraverso questi segni dei tempi che, spesso, la vita dell’uomo trascorre inesorabile senza che ad essa sia dato il valore che merita, trascurando i pregi e le virtù del suo ato, dal quale dovremmo trarne gli insegnamenti.
Oggi viviamo in uno stato di apparente apatia esistenziale perché tutto ciò che desideriamo è a portata di mano e non sappiamo più fare a meno delle più piccole e inutili cose.
Ci interessa poco il ato, perché ritenuto superato; non ci siamo più dentro e quindi possiamo vivere il tempo “dell’oggi” che ci è donato, a nostro piacimento e senza remore.
Oggi siamo ricchi anche se diciamo di essere poveri! Spesso cerchiamo il lavoro
e quando lo troviamo è faticoso… e ne vorremmo uno più leggero; e magari uno fatto da un altro… da un extra-comunitario! Per fortuna non tutti siamo così! Ma ci abbarbichiamo alle nuove scienze e tecnologie informatiche per trovarci in un mondo astratto, irreale, dove tutto è possibile senza fatica e che rende la gioventù scevra dei grandi valori umani, sociali, religiosi, familiari e universali. Siamo invasi dalle televisioni, tablet, telefoni cellulari di ogni tipo, e i nostri occhi e le nostre orecchie sono incollate a questi apparecchi per ore ed ore.
Viviamo un attimo disancorato da ciò che furono i grandi ideali della vita di un tempo, che i nostri progenitori ci hanno tramandato e che sconosciamo quasi del tutto.
Per questo mi chiedo: è giusto che la storicità degli eventi delle nostre famiglie che hanno dato origine alle nostre esistenze, non si debbano conoscere?
Forse un tempo si maltrattavano nelle case o nei ricoveri gli inermi malati bisognosi solo di cure e di amore?
Forse era possibile, un tempo, che una madre bastonasse le maestre perché il figlio non veniva promosso? Perché oggi accoltello chi mi fa un piccolo sgarbo e porto sempre in tasca il coltello o la pistola? Perché posso drogarmi tra i banchi della scuola sull’esempio di chi mi sta vicino, e magari sull’esempio dei genitori?
Perché oggi tutto mi è permesso; perché tutto mi è lecito? E’ giusto che oggi un giovane non debba conoscere le realtà della natura, animate e inanimate a lui vicine, e non ne abbia cura e le dispregi?
E’ giusto che l’uomo d’oggi non debba conoscere quelle radici e quegli eventi familiari che l’hanno reso libero, quasi in autonomia, e quello specchio d’acqua sul quale oggi galleggia, spesso privo dei grandi sentimenti e aspirazioni che hanno invece reso gloriosi i suoi antenati?
Io, qualcosa di antico e moderno, con tutta umiltà, avrei da donarvi e farvi conoscere attraverso una esperienza di vita fatta di sacrifici nella povertà e nel lavoro, nella gioia e nella sofferenza.
Con questo, non desidero e non vorrei che si ritornasse a vivere come nel ato, ma cogliere da esso i grandi valori che ci ha dato. Questo sarebbe il mio scopo! Anche se non sono un maestro e uno scrittore!
Posso continuare? Ma sono sicuro di colpire il bersaglio? Di lasciare una parola che costruisce e non demolisce, che esalti e non mortifichi le situazioni personali che devono lievitare verso gli orizzonti infiniti dell’esistere dove sono nascosti i veri tesori da cogliere?
Questo è il mio forte dubbio perché, come sapete, spetta solo all’uomo, che ha la capacità di intendere e di volere, di orientare le proprie scelte secondo giustizia, cercando di proporsi come modello di vita e di lavoro e strumento di opere di bene per sé e per gli altri. C’è dunque la volontà di fare questo sforzo?
E’ vero che la vita ha le sue difficoltà esistenziali ma ciascuno di noi è chiamato ad operare per superarle, anche sugli esempi che ci vengono da lontano.
E mi rivolgo soprattutto ai giovani, perché sono loro il futuro, la speranza del nuovo tessuto sociale; politico e familiare; quello ambientale e universale;
perché possano misurarsi con le situazioni dei tempi e creare quella marcia in più che oggi sembra mancare e dare ali a quanto di più bello vi è nel bellissimo nostro mondo.
Anche se vi sono alcune cose che non dipendono strettamente dall’uomo, o solo in parte: come ad esempio la malattia, la sofferenza e la morte! Ma l’uomo, dalla coscienza trasparente e cristallina, può essere messo in grado di superare anche queste avversità, che la vita gli offre, “come talento da far fruttare”, per conseguire, attraverso un’opera di conversione interiore, di risanamento e di umanizzazione, quei valori eterni che né ruggine ne tarlo consumano e che hanno i colori e L’ABBRACCIO dell’ARCOBALENO!
Queste righe, che offro a coloro che avranno la bontà di leggere, non vogliono essere una morale religiosa, ma una presa di coscienza del nostro “essere uomo”, nel tempo attuale, attraverso la storia della vita di altri, più o meno fortunati, che hanno attraversato questo deserto fiorito delle loro fortunate o sfortunate primavere.
1. Premessa
Una voce insistente, in un meriggio di tarda primavera, sembrava chiedermi:
“Che cosa stai pensando, disteso sul tuo talamo nuziale, solo, guardando con gli occhi spalancati il bianco soffitto della camera?”
Ero totalmente assorto, quasi assente dal mondo, perché stavo pensando ad una cosa impossibile ma che, forse, poteva essere possibile. Risposi: “Ho un pensiero che mi tormenta; sto pensando di trasferire il mio ato nel futuro; in un avvenire senza fine, dove tutti possono ritrovarmi in ogni momento della loro vita”. Mi rispose la voce:
“Forse sei un illuso: come può rendersi vivibile e percepibile nel futuro ciò che è ato? Gli studiosi, gli scienziati, i cultori della vita, i filosofi e teologi, gli astrologi e qualsiasi altra persona, degna di un nome eccellente, non sono mai riusciti in un’impresa del genere. Perché il ato è ato e materialmente non si può far tornare indietro; e il futuro deve ancora venire e non sappiamo come sarà. E tu, povero meccanico, pensi di poter far rivivere nel futuro il tuo ato? Ciò che è ato non può tornare indietro! E’ contro le leggi della natura! Non ti pare che l’orgoglio ti esca fin sopra i capelli? Dove hai accantonato l’umiltà e la capacità di interpretare le cose?”
“E’ vero, rispondo, che certe cose sembrano impossibili, ma io vedo e sento che quanto sto sognando può essere realizzato. E ti spiego come. Se io prendo un episodio vero, reale della vita del mondo, convalidato da testimonianze vere e lo trascrivo a chiare lettere così com’è avvenuto, non ti pare che ho trasferito il vissuto di quel tempo storico che è ato, che ha lasciato un segno indelebile, in un futuro che tutti possono guardare, leggere, immedesimarsi, criticare, ridere o piangere? Perché, devi sapere, che questa è l’unica forza che resta all’uomo per fare conoscere al mondo, nei secoli avvenire, le proprie e le altrui imprese. Non ti pare?”
“Posta in questi termini la tua tesi può essere accettata e messa nelle mani del
presente di tutti”.
“Non del presente, replico, perché il presente non esiste. Infatti, la parola che ho pensato prima è già nel ato.
Il presente è quell’attimo impercettibile, immisurabile, che non riesce a misurare il respiro, la parola, ogni azione, ogni sguardo, ogni cosa udita, perché lo getta immantinente nel ato. Il presente è solo nella grammatica e negli scritti. Perché se dico “io sono”, sono già ato nell’ “io ero” o nell’ “io fui”. Si parla, è vero, di un presente, ma di un presente di comodo, di detti, scritti o parole, che normalmente si usa per stabilire un periodo vago del nostro tempo, ma che non è il presente reale; è quello effimero! La nostra vita, infatti, è come divisa da un sottilissimo filo di rasoio, dove, da un lato vi è il futuro e dall’altro il ato. Se il rasoio taglia un pelo della mia barba, nell’attimo in cui è uscito dal pelo, questo momento è già nel ato. Il presente è come l’acqua del fiume che rosicchia e accarezza le rocce ma non ha tempo di fermarsi, perché scorre da esse senza posa e se ne va. Non sei del mio parere?”
“Già…si...ma...però...forse…”
In quell’attimo, un ronzio fastidioso di una mosca che cercava di posarsi sopra il mio viso, mi fece sobbalzare e mi diedi un forte schiaffo sulla faccia.
Mi ripresi dal profondo “pensamento” e mi ritrovai seduto sul letto, solo con me stesso, ma con questi pensieri ancora fissi nella mente e che sembravano darmi ragione. E continuo per conto mio: se, dunque, posso trasferire il ato già realmente vissuto, in un futuro da vivere o da far vivere, perché non posso dare al “futuro universale”, le mie esperienze di vita, il mio esistere, le mie gioie e sofferenze, il mio modo di pensare e di vedere, il mio modo di percepire anche quelle cose che sono alte sopra di me, e quanto mi urge in petto, perché altri possano godere di questa mia testimonianza vissuta, e magari ridere, gioire, riflettere, annoiarsi o piangere?
Sì, anche meditare; perché ogni esperienza vissuta porta frutti interessanti che possono essere utili al nostro esistere. Se qualcuno desidera conoscere i tratti del mio ato, la mia storia di uomo, perché non posso darglieli? Forse non sarà come tu pensi, ma nel mondo vi sono molti margini di tolleranza e grande capacità di essere indulgenti anche con i pedanti, quale potrei essere io. Il mare è fatto di tante piccole gocce di varia provenienza e ogni goccia è diversa dall’altra! Ciascuno è una goccia nel mare della vita!
“Se ho ben capito”, riprende la voce, “vorresti esporre al mondo i momenti vissuti della tua esistenza, così come si sono succeduti. Non ti pare che una simile confessione, metta a nudo la tua intimità personale e familiare dandola in pasto a tutte quelle persone che si accosteranno alla tua parola, col rischio di perdere la tua dignità, e di essere sbranato come una preda, e di essere mal interpretato o acerbamente criticato?”
“Qui hai perfettamente ragione, rispondo: il rischio è grande! Ma perché non dare al mondo in travaglio, degli esempi di percorsi di vita, anche non eclatanti,
che possono essere utili per fare meditare qualcuno, ed aiutarlo qualora dovesse trovarsi in situazioni consimili o, comunque, fargli sapere che le sue tribolazioni, gioie e sofferenze sono già state ate al vaglio e compartecipate da altri, e far presente che le povertà di un tempo potrebbero frenare la corsa alle ricchezze odierne, poiché tutto è vanità?”
Come dicevo in origine, una cosa è certa: a chi può interessare una biografia come la mia, tenendo presente che è meglio navigare nell’etere e non far soffrire gli occhi su uno scritto che magari non può essere interessante, inutile e forsanche barboso?
Nonostante questo, cercherò di dare, a chi gentilmente avrà la bontà di ascoltarmi, il vino della mia botte che, pur non ritenendolo eccellente, è stato filtrato, fermentato, affinato, invecchiato alla giusta umidità e temperatura, sigillato attraverso il sacrificio quotidiano, e protetto nel profondo silenzio, in un ambiente semioscuro dove pochi hanno avuto le chiavi della mia segreta cantina”.
2. Il mio mondo dall’Alba al Crepuscolo come i colori dell’ARCOBALENO
A voi, cari lettori, che avete la bontà di soffermarvi su questo scritto, ho l’obbligo morale di presentarmi. Non sono un grafomane, come qualcuno potrebbe pensare, né prendo vanto da ciò che faccio o scrivo poiché sono un vecchio; ma novello nello scrivere. Mi sento di essere una persona inserita nella realtà viva, nella storia di ogni giorno, nella verità; che cerca di interpretare i segni dei tempi col lume del mio povero intelletto.
Sono un ottantaquattrenne nato in un paesino di media montagna che si trova sull’Appennino parmense e si chiama Carobbio. Fa parte del comune di Tizzano Val Parma e della Provincia di Parma.
Carobbio, visto da lontano, sembra un piccolo presepe abbarbicato ai piedi del Monte Caio¹, ad un’altitudine di 710 m. e rivolto a nord verso il fiume Parma. Visto da vicino, questo paese, ha le sue storie e le sue caratteristiche peculiari, che sono fissate nel cuore delle persone che qui vivono o hanno vissuto.
Quante storie di fatiche, di sofferenze, di momenti disperati o felici, potrebbero raccontare le persone che sono qui sepolte, nel vicino cimitero! Quali meraviglie, esperienze e insegnamenti potremmo scoprire attraverso le vicissitudini di questa gente che in parte è ora ricordata con una sola lapide; mentre altra invece è completamente dimenticata!
Ma il tempo a ed ogni primavera sembra dimenticare il ato ed aprire alla speranza gioiosa quel futuro che si affaccia immantinente! Perché il Sole della meridiana non si ferma mai tra bello e brutto tempo, e il ciclo della vita scorre veloce attraverso le stagioni. Stagioni, nelle quali si consuma il bene o il male; si
distrugge o si costruisce un mondo nuovo. E’ in questo tempo che dobbiamo collocare le nostre personali responsabilità!
Quando era al massimo della sua evoluzione anagrafica, questo paese, contava circa trecento anime dedite, soprattutto, all’agricoltura.
Carobbio: il mio paese natale
Ai tempi della mia infanzia era circondato e variegato da molti campi coltivati con culture diverse, dai colori molteplici, mentre le parti alte dei monti erano ricoperte da boschi verdissimi. Oggi, che l’agricoltura è quasi completamente scomparsa, la vegetazione e divenuta ovunque rigogliosa creando un bellissimo habitat per cinghiali, caprioli, lepri, volpi, volatili e tantissimi altri animali, che un tempo erano sconosciuti. A ferragosto gli abitanti sono soliti fare una grande festa attorno ad una grande polenta e alle carni arrostite di un cinghiale.
E’ in quest’ambiente di mezza montagna che ho aperto gli occhi alla vita il 20 marzo 1930; nella così detta Era Fascista! Epoca, all’inizio della quale, mio padre fu costretto a bere l’olio di ricino perché appartenente all’Azione Cattolica! Era l’inizio della dittatura Fascista!
Non ricordo quando sono nato, perché ero troppo piccolo, ma mi fu detto, in seguito, che i miei genitori erano molto felici perché era nato il secondo genito che era maschio. E, in una realtà rurale, un maschio era quanto mai desiderato.
Ci fu qualcuno che dopo pochi giorni mi fece una fotografia che rimase perfetta fino ad oggi, dopo ottantaquattro anni. L’ho trovata nel solaio della casa nuova tra carte vecchie, e ritengo sia stata scattata da mio zio Sperindio² perché era il solo apionato di fotografia nel paese e il solo a possedere, a quei tempi, una macchina fotografica a lastre sensibili in vetro, poi venduta a me. Scattava foto per i documenti delle persone del paese che dovevano emigrare all’estero per lavoro.
Il piccolo Umberto Manini
Poiché a Carobbio, in quel tempo, non vi era il parroco, i miei genitori colsero l’occasione del aggio del parroco del paese vicino per battezzarmi il giorno dopo. Mi ritengo quindi un uomo molto fortunato perché oggi posso festeggiare tre ricorrenze importanti: il diciannove la festa del papà; il venti il compleanno; e il ventuno marzo il battesimo. E, con queste feste, aprivo le braccia alla primavera di ogni anno, nella speranza che il sole primaverile fe fecondare e maturare presto e bene le nuove messi che gli agricoltori attendevano impazienti nei loro campi!
¹ - Uno dei monti più alti dell’Appennino parmense (m.1580)
² - E’ il marito di Lucia, sorella di mio padre, e padre del pittore Walter Manini miodistrofico, cugino e carissimo amico.
3. La mia famiglia
La mia famiglia era composta, in origine e fino al mio 14° anno di età, dal papà Nicodemo³, dalla mamma Rosa⁴, dal nonno sco⁵ e nonna Seconda . I fratelli erano, in sequenza: Gina, Silvio e Giacomo. In seguito nacque Rosanna.
Mio nonno sco
I miei ricordi d’infanzia s’incentrano, soprattutto, nella figura del nonno paterno sco. Con lui, mano nella mano, attraversavo i campi ormai verdi a primavera scoprendo le bellezze della natura con i fiori che sbocciavano nella nuova stagione: le primule, le viole, le anemone, le margherite, i narcisi profumati e tanti altri che ornavano il mondo ormai fuori dal freddo inverno e dalla neve; la quale giaceva ancora negli angoli remoti dove il sole non poteva penetrare. Poi mi ammaestrava sulla diversità dei fiori sbocciati sulle piante da frutto: il melo, il pero, il ciliegio, il mandorlo, il pesco… e mi faceva vedere anche come si innestavano le piante.
Nella zona bassa del paese aveva piantato qualche filare di viti per una piccola produzione di vino.
Nonno sco e nonna Seconda; mio padre con la sorella Lucia
Da sinistra: nonno sco, mamma Rosa, papà Nicodemo, nonna Seconda, la sorella Gina, Umberto in tenuta da Balilla, Silvio e Giacomo. Non era ancora nata la Rosanna. La foto è del Parroco.
Ma il loro rendimento era scarso⁷ per cui furono sradicati per non ostacolare il solco diritto dell’aratro di mio padre Nicodemo, ormai dedito totalmente all’agricoltura. Il nonno era un amante del creato, un nuovo S. sco, e sembrava che anche gli uccelli, che cinguettando costruivano il loro speranzoso avvenire sugli alberi, gli fero corona. Era una gioia pura, vivere quei momenti nell’atmosfera di una novella primavera dove il tiepido sole cominciava ad alzare la sua corsa per donarci, a breve, raggi cocenti. Il nonno mi raccontava anche le sue avventure giovanili, quando, nel periodo di pausa invernale, era costretto a migrare ad Aulla, o Sarzana o in Corsica, a lavorare nelle segherie, per poter sfamare la famiglia.
Era proprio durante queste eggiate tra i campi in fiore che m’insegnava le preghiere del Miserere⁸ e De Profundis in latino, e mi diceva: quando io non ci sarò più, le dirai per me. In realtà, le due preghiere erano così belle e profonde che poi le imparai a memoria in italiano e i miei defunti, in esse, sono sempre ricordati.
Ero così affezionato che quando morì, ogni sera, dopo i lavori, andavo nel vicino cimitero a stendermi sulla sua tomba a pregare. La sua dolcezza e bontà la porto sempre nel cuore come ricordo indelebile.
Prima di morire ebbe un sogno che trasmise ad una vicina di casa, di nome Bersabea, per non creare panico ai familiari. Nel sogno gli apparve il Sacro Cuore di Gesù dicendogli che la sua ora era giunta. Ma lui chiese di concedergli
ancora qualche giorno per terminare la sua corsa. Al termine di quei giorni morì.
Mia nonna Seconda
Nonna Seconda era donna impareggiabile nella tenuta della casa e nella direzione della vita familiare, stante che mamma Rosa era sempre impegnata nei lavori dei campi o della stalla. Si ricordava a memoria, dopo moltissimi anni che non andava più in campagna, delle piante che contornavano i campi o le strade della montagna, e ogni tanto ne chiedeva un aggiornamento.
Era dolce, ma nello stesso tempo vigorosa. Per me aveva un debole particolare e mi chiamava “il mio Bertolino”.
Aveva una cura speciale per il suo pollaio.
E’ morta all’età di ottantasei anni, colpita da tumore, e le ho dato l’estremo saluto nel ’53 venendo da Bologna come sottotenente.
Nota: Quale consolazione, amici miei, avere dei nonni affettuosi che ti coccolano sulle ginocchia e ti insegnano le prime cose della vita allorquando la mamma è assente per lavoro! Sono doni grandi che non dobbiamo dimenticare, ma cercare di trasmetterli da padre a figlio!
E’ un insegnamento questo che non dobbiamo mai dimenticare perché loro rappresentano quel ato che ci ha donato solo amore.
Nel mio paese, d’inverno, non mancava mai la neve. Spesso la sua coltre superava la mia statura di piccolo montanaro, che gioiva nel fare giochi con essa e le grandi gallerie. Fin da piccolo ho imparato a sciare ottenendo discreti risultati, ma con attrezzature non degne di rilievo. Quando tornavo tardi da sciare, per non essere ripreso dai genitori che amavano la puntualità, mi recavo nella stalla a pulire le mucche o fare qualcosa di utile. Così, se mi trovavano al lavoro, nella stalla o in un angolo della casa, mi ritenevo al sicuro da ogni rimprovero… Come vedete l’arte del salvarsi è insita anche nel cuore del fanciullo…!
Mi ricordo anche i lunghi candelotti di ghiaccio che ogni mattina pendevano dalle estremità dei tetti, che il gelo della notte aveva reso come stalattiti. Belli da guardare ma pericolosi.
Ogni sera, particolarmente d’inverno, era uso che in famiglia venisse qualcuno a dire il santo rosario. Ma noi piccoli, lo trovavamo barboso e dopo poco ci trovavamo addormentati sulla sedia. Era anche abitudine che gli anziani raccontassero qualche favola che poteva far ridere o mettere paura. In queste occasioni però, eravamo tutti svegli, con gli occhi aperti e pieni d’interesse e stupore, in attesa di sentire come andava finire la storia.
Una signora a noi vicino, Bersabea, ci raccontava sempre storie di demoni e diavoli che potevano presentarsi sotto forme diverse, e noi, piccoli, andavamo a letto con la paura che ne sbucasse fuori qualcuno da qualche parte.
A Natale si andava alla messa di mezzanotte e, tornando a casa, si doveva are davanti all’unico piccolo negozio alimentare del paese, dove erano esposte le arance. Com’erano belle e chissà come sarebbero state buone da mangiare: ma non avevamo i soldi per comprarle!
La cucina di mezzogiorno e sera era quanto mai frugale. In genere minestroni con pane; polenta; patate e qualche formaggio. Qualche insalata di verdure poteva essere il completamento del pasto meridiano e serale. Al mattino sempre la solita scodella di latte bianco con pane.
Era una esplosione di gioia per noi piccoli, quando alla domenica, si poteva mangiare una pasta asciutta o un risotto o eccezionalmente i tortelli. Poche volte all’anno si vedeva la carne. Ma noi, figli, eravamo contenti anche se i minestroni non erano sempre di nostro gradimento.
Non di rado, a piedi nudi, andavamo per le strade e nei campi per risparmiare le scarpe. I tagli e le forature ai piedi erano eventi di normale amministrazione.
Abitavo, a quei tempi, in una casa vecchia, con scala di legno per salire alle camere superiori. Il mio giaciglio di crine e quello di mio fratello Silvio, più giovane di tre anni, era nel sottotetto; locale piuttosto freddo o caldo a secondo delle stagioni; come del resto tutta la casa. Solo in cucina vi era una stufa di ghisa funzionante a legna. Il nostro sottotetto era anche residenza di gabbie contenenti uccelli che prendevamo, poco prima che questi lasciassero i loro nidi; come tortore, merli o gazze. Facevamo un piccolo allevamento. Una volta accudimmo anche un falco ferito.
Davanti a questa casa, fatta di pietre locali, vi era un pergolato di una grossa vite, che ogni anno dava uva profumatissima, nera e dolcissima, che chiamavamo fragola. E, ad ogni inizio autunno, quando il grappolo cominciava a cambiare colore, noi fratelli, eravamo sempre in guardia e facevamo a gara per prendere i primi acini ormai maturi.
Con Silvio andavo nei campi a raccogliere pesche non ancora mature per farle maturare sotto il fieno, nel fienile, e per averle a portata di mano. Ma spesso non
le trovavo più. Un fatto del genere succedeva anche quando facevo cuocere nel forno della stufa di ghisa a legna le patate o le mele. Non era difficile trovare il colpevole!
Erano i tempi dell’infantile incoscienza! L’aria era salubre e alla sera, si vedevano brillare miriadi di lucciole tra le erbe dei campi e dove le rondini riempivano i fili della corrente elettrica, posti sui pali di legno!
Erano i tempi in cui, nelle sere di maggio, si andava nella chiesa a recitare il rosario e dove i neri rondoni con voli vertiginosi, volavano su di essa, in grandi stormi con lunghi e laceranti gridii, avendo qui i loro nidi.
A cinque/sei anni ero già arruolato col nonno o Gina a portare le mucche al pascolo, sia il mattino sia il pomeriggio. Questa storia si ripeterà, fuori dagli orari di scuola, fino a circa venti anni.
A sei anni mi trovavo già nei campi a lavorare con i genitori sia a cogliere il fieno, il grano, o portare nei canaloni radici e sassi dai terreni disboscati che, con l’aiuto di qualche contadino, preso a giornata, venivano messi al sole, ma distanti da casa perché nessuno voleva venderci terreni seminabili.
A sei anni ricevetti la Cresima e a otto feci la prima Comunione. Questi Sacramenti dell’iniziazione cristiana non mi rimasero molto impressi perché incompresi. A questa età, infatti, anche se vi è una certa preparazione, comprendere il loro valore spirituale è quasi impossibile. Per questo, anche oggi, sono del parere che questi sacramenti devono essere ricevuti in un’età matura perché possano incidere fortemente nel tessuto umano e spirituale di persone consapevoli dei grandi valori che portano in sé. A confermare questa mia tesi è la diserzione delle Chiese dei giovani d’oggi, dopo che hanno ricevuto la Cresima a 8/10 anni.
All’età di sette anni comincio la scuola elementare, avendo perso un anno perché nato a marzo.
Non mi piaceva andare a scuola. Preferivo andare a lavorare nei campi; al punto che, fatta la quinta classe, mi sono ritirato per un anno. Per me era faticoso studiare e, soprattutto, ricordare e fare il riassunto delle letture fatte in classe. Questo, sicuramente, per la poca memoria e la poca attenzione che ponevo durante le lezioni e per il poco tempo a disposizione dopo il lavoro.
La maestra era una donna vigorosa che aveva superato la mezza età e sotto la quale sono ate due intere generazioni. Portava avanti le prime tre classi elementari. Era severa e non di rado faceva mettere le mani sulla cattedra e con una bacchetta di legno ci bacchettava. Un’altra punizione consisteva nell’essere messi dietro la lavagna in piedi o in ginocchio.
Nota: oggi se una maestra si degna solamente di rimproverare un alunno va sotto processo! Cosa deve fare una insegnante per educare? Non è che prima di educare i figli bisogna educare i genitori?
Spesso era in contrasto con la mia ascendenza perché lei, non essendo religiosa, non gradiva la venuta del parroco; auspicata e voluta da mio padre e da altra parte della popolazione. Inoltre si è mostrata contrariata quando mio padre ha cominciato a fare studiare i figli a Parma.
Sono stato, comunque, sempre promosso nelle tre classi elementari. La quarta classe l’ho fatta da privato sotto la direzione del parroco del paese e la quinta nelle scuole del Comune di Tizzano.
Per frequentare la scuola alla sede di Tizzano, bisognava percorrere a piedi o in bicicletta sei km in andata e sei di ritorno. Ricordo le levate mattutine al canto del gallo; una colazione con pane e latte e la partenza bucando, in inverno, 20/30 cm di neve.
Avevo anche il compito di aiutare Walter, il cugino miodistrofico, cui dovevo trainare la bicicletta, e tutto andava bene fino a che non si spezzava il filo. Allora erano dolori perché, le mani congelate dal freddo, non riuscivano più ad eseguire quello che dovevano fare.
Al mio paese non esistevano luoghi di svago. Il solo povero divertimento, per noi piccoli, era quello del gioco ai bottoni nelle ore serali dopo il lavoro. Tale gioco consisteva nel gettare una piastra di pietra lungo la strada non asfaltata per arrivare vicino al punto dove erano stati collocati i bottoni. Chi arrivava più vicino a questi, quella volta erano suoi.
Ma questo gioco non era molto gradito alle mamme perché, quando questi finivano, vi era il pericolo che qualche vestito venisse depilato dei bottoni nuovi...
Il mio mondo, fino all’età di circa venti anni ha i confini di quest’angolo di montagne dell’Appennino parmense, intercalati con i momenti di studio a Parma e Reggio Emilia per conseguire, nella più dura scuola d’Italia, il diploma di perito industriale meccanico.
Vi fu un anno in cui, una frana, staccatosi dal monte di fronte a noi, ha chiuso il fiume Parma creando un grande lago che occupava tutta la larghezza del greto, per diversi chilometri. Con Silvio andavo a nuotare in questo lago e riuscivo ad
attraversarlo da una sponda all’altra. A Silvio, invece, piacevano i tuffi e, spericolato, si buttava da un’altezza di circa tre/quattro metri.
Il lago nel Parma creatosi per una frana. Mia la foto con la macchina fotografica comprata dallo zio Sperindio
Andavamo in questo lago solo nelle ore dopo mezzogiorno, dopo mangiato, per tornare presto a casa, dove ci aspettavano i consueti lavori.
Mio padre
Mio padre, era un uomo eccezionale, molto versatile, pur avendo conseguito la terza elementare; massimo grado di studio possibile nel paese. Da giovane, quasi del tutto autodidatta, imparò a suonare il violino e la fisarmonica e, nel seguito, dedicò molte composizioni musicali, da lui create, a ciascun membro della famiglia ed a persone care.
Divenne il direttore del coro parrocchiale dove, per le grandi festività, dirigeva la messa del Perosi a tre voci maschili. Nel frattempo aveva fatto costruire la canonica e fatto venire il parroco.
E’ stato il promotore della costruzione del caseificio sociale, di cui è stato presidente per molti anni. Era impegnato anche in politica avendo ricoperto il ruolo di assessore.
Il giorno della venuta del parroco a Carobbio.
Nei periodi disponibili non era secondo a nessuno nel fare il calzolaio, alfine di raggranellare qualche spicciolo in più per la numerosa famiglia.
Divenne uno dei migliori agricoltori del paese, superando, per qualche anno, tutti gli altri nella produzione di frumento e latte.
Gli va soprattutto il merito di avere fatto studiare i cinque figli; cosa ritenuta inimitabile sull’Appennino a quei tempi, tenuto conto della situazione economica in cui poteva versare una famiglia di agricoltori in montagna. Tre furono i laureati e due i diplomati.
Da notare che anche i figli hanno dato il meglio di se stessi avendo superato, sempre, i percorsi scolastici.
Era dotato di un carattere buono, equilibrato, e ai suoi sermoni i figli ubbidivano senza ulteriori commenti.
Mio padre Nicodemo suona il violino con i suoi commilitoni
Mio padre Nicodemo in tenuta di alta uniforme dei carabinieri
A trentasei anni, nel giugno del 1940, fu richiamato alle armi lasciando nelle mani dell’ardita moglie Rosa, il compito di portare avanti tutto il patrimonio agricolo e la famiglia. Opera che Lei eseguì in modo perfetto con l’aiuto dei figli, anche se giovani, ma che si mostrarono consapevoli del momento che si stava attraversando e dei venti di guerra che erano alle porte.
Mia madre
Mamma Rosa era donna dotata di grandi virtù. La sua dolcezza si misurava con altrettanta fermezza e la sua attività manuale era instancabile. Prevedeva il tempo, fiutava le situazioni e le affrontava con determinatezza, al punto che poteva sostituirsi benissimo all’uomo anche nei lavori dei campi in agricoltura. Risoluta nell’educazione dei figli, non tralasciava mai le giuste correzioni e punizioni anche fisiche, quando dovute.
Era comunque dotata di un cuore sensibile e generoso.
Mio padre, richiamato come carabiniere a Ponte Taro, vicino a Parma, poteva fruire di brevi permessi per tornare in famiglia, con l’immancabile mezzo della bicicletta, pedalando per oltre 50 km in andata ed altrettanti per il ritorno. Fu durante uno di questi permessi che mi disse di aver trovato una scuola dove si studiava poco e si lavorava molto manualmente e di meccanica. Io che ero apionato di meccanica ho subito accettato la proposta di frequentare questa scuola.
L’offerta di mio padre era anche conseguenza delle mie attitudini all’invenzione. Tra le altre, infatti, da poco, avevo costruito un fucile con una canna da ombrello, una grossa molla di acciaio, articolate su un o di legno che determinava il corpo e il calcio del fucile. Caricata la molla e posto un tondino di legno dentro la canna dell’ombrello, come pallottola, si poteva tirare il grilletto e partiva il colpo che gettava il tondo di legno a una ventina di metri.
³ - 1904- 1965
⁴ - 1906 - 1992
⁵ - 1872- 1946
- 1869 - 1953
⁷ - Essendo ad altitudine rilevante e coi terreni rivolti a nord.
⁸ - Salmo 50
- Salmo 129
4. Eventi scolastici
Per essere ammessi a questa scuola era necessario un esame. Dovetti scendere a S. Pancrazio, vicino a Parma, dove mio padre aveva una conoscenza, per avere un’adeguata preparazione nel giro di un mese.
Questa signora mi fece scoprire per la prima volta il gelato: avevo dodici anni! Un giorno mi portò nella piazza principale di Parma (piazza Garibaldi) e, ad un tavolo, mi offrì un gelato “moretto” che, istintivamente, morsicai con una certa ingordigia. Mi trovai con la bocca gelata al limite della resistenza; ma resistetti a quel freddo, che mai avevo pensato fosse ricoperto di cioccolato!
L’esame è stato superato e il destino mi ha portato a percorrere la lunga e faticosa strada che conduce a un diploma di perito industriale.
Nei primi tempi, ogni qualvolta lasciavo Carobbio per andare a studiare a Parma, non riuscivo a trattenere il pianto tanto ero affezionato al mio paese. Poi, piano, piano, la cosa divenne abituale. Avendo iniziato la prima avviamento a Parma, il primo anno sono stato ospitato da una famiglia, alla quale mio padre forniva 15 kg di farina al mese oltre il compenso in denaro. Era tempo di guerra e tutto doveva essere minuziosamente pesato e contato.
Con gli studenti delle prime classi di avviamento
Le ristrettezze economiche familiari erano molto sentite al punto che mi fu dato, come cappotto, quello di Gina col pellicciotto, per cui ero oggetto di derisione da parte degli altri studenti.
In quel periodo la famiglia ospitante mi ricordava il bombardamento navale da parte dei britannici sulla città di Genova del 9 febbraio 1941, dove avevano dei parenti, e si meravigliavano che questo fosse stato possibile in una Italia che sembrava al di sopra di ogni sospetto, secondo la propaganda del partito Fascista.
Si cominciava ad ascoltare le varie radio estere per rimanere al corrente degli avvenimenti bellici, poiché la radio nazionale era di parte e quindi non sempre credibile. Si poteva ascoltare radio Londra se non si veniva scoperti.
La scuola mi piaceva solo per la parte pratica che ho sempre portato avanti con grande diligenza, mentre lo studio intellettuale era meno gradito. Nonostante questo sono riuscito sempre ad essere promosso nella prima sessione.
Un pomeriggio, di questo primo anno, sollecitato da un amico, figlio di una maestra, ho marinato la scuola per andare in barca ai giardini pubblici nel parco ducale. Mio padre, che era militare a Ponte Taro, in quel giorno ò alla scuola e non mi trovò. Venne alla casa, dove ero appena rientrato e mi fece un discorso sereno, tranquillo, e molto importante che ricorderò per la vita.
Questo fu il primo e l’ultimo sgarbo che feci alla mia famiglia per quanto concerne gli studi.
L’anno scolastico 1943/44 lo ai presso una professoressa in via del Conservatorio. Qui la signora, vedova, viveva con un figlio che si chiamava Livio e che era piuttosto viziato, al punto che delle frittelle fatte dalla mamma, lui sceglieva sempre la più grossa. Cercando anch’io di imitarlo venivo rimproverato dalla signora.
Due pesi e due misure che mortificano le nostre azioni ma ci servono come allenamento per il futuro!
5. Eventi militari di guerra e scuola
L’otto settembre del ’43, devo ricordare la resa incondizionata dell’esercito italiano rimasto senza guida e in balia delle divisioni tedesche.
Si avvicinavano intanto le vacanze di Natale ed io da qualche settimana ero a letto, presso questa signora, con un male imprecisato e che mi procurava febbre e mi debilitava perché non mi potevo nutrire.
Per prendere la corriera e fare ritorno a Tizzano, giorno dopo giorno, tenevo il termometro sempre meno aderente alla pelle in modo che la febbre non fosse rilevata. Altrimenti non sarei potuto partire.
A Tizzano mio padre era in attesa con la bicicletta per portarmi a casa. Seduto sulla canna e con la valigetta, abbiamo cominciato a percorrere i sei km di strada coperti da circa 25/30 centimetri di neve.
A pochi chilometri dal paese, sentendomi svenire, ho raccolto una manciata di neve e l’ho messa in bocca. Mi ha aiutato ad arrivare tra le braccia dei miei familiari che mi aspettavano con ansia, sia perché erano consci della mia malattia, sia per il percorso sulla neve e di sera, e perché da tanto tempo non mi vedevamo.
Se a Parma mi tenevano a stecchetto per la malattia, qui ho trovato ristoro con torte sempre presenti, affetto a non finire e cure d’ogni genere. Così, dopo l’Epifania, sono potuto ritornare agli studi guarito.
La sorte di quell’anno scolastico però non era finita poiché erano tempi di guerra. Si sentiva dire che il vicino tribunale, condannava a morte quei partigiani che partecipavano ad azioni di guerriglia e sabotaggi e venivano fucilati.
Il 23 aprile del 1944, nella notte inoltrata, è suonato il primo allarme aereo che mi ha costretto, mezzo addormentato, a rifugiarmi nella cantina del palazzo. Gli aerei hanno lanciato molti bengala alla periferia della città per illuminare il bersaglio, che si trovava nei giardini ducali dove era dislocata la scuola d’applicazione di fanteria. Le bombe che furono poi sganciate, causarono molti morti tra i militari.
Il 25 aprile, intorno a mezzogiorno, è seguito un nuovo allarme, con relativa corsa in cantina e bombardamento molto pesante nel centro della città, a poche centinaia di metri dal mio rifugio. Molte le vittime.
La sorella Gina, tremebonda, in pensione da altra parte, vedendo le nuvole di fumo provenire dove ero alloggiato, è rimasta in ansia fino a quando non è stata avvertita che io ero sano e salvo. Al pomeriggio abbiamo fatto le valigie e con la corriera siamo rientrati a Tizzano proseguendo poi per Carobbio, ma non ricordo come.
Si chiude così il mio secondo anno di studi Parma. Ritengo che l’anno scolastico si sia chiuso con i risultati fino allora acquisiti e con la promozione. Altri bombardamenti si sono poi succeduti a Parma il 2 e il 13 maggio, il 15 dicembre e altri ancora sparsi anche sul territorio della provincia, dove c’erano centri di comunicazioni importanti e divisioni tedesche.
Alla fine della guerra si contarono migliaia di morti civili per i bombardamenti
sulla città e la distruzione di molte opere d’arte.
Il terzo anno lo trascorsi presso una famiglia di piazza Matteotti con la sorella Gina, Silvio e Giacomo. Giacomo, al di fuori delle normali regole scolastiche, ha fatto la quinta elementare a Parma alla Cocconi col maestro Buzzi, anziché a Tizzano. Il fatto della quinta elementare di Giacomo, a Parma, resterà per sempre una cosa sorprendente.
Nostro padre, infatti, aveva detto a Giacomo che noi, vivendo a Carobbio portavamo “nella carne” il nostro dialetto per cui, facendo la quinta elementare a Parma, si sarebbe adeguato meglio all’italiano scritto e parlato e gli avrebbe facilitato l’entrata nelle scuole medie e superiori. In realtà questo fu di buon auspicio perché, oltre a divenire segretario comunale in diversi Comuni, nella maturità, divenne segretario generale della Provincia di Parma.
Oggi, di fronte a tali consigli paterni, mi vengono i brividi pensando alle capacità intuitive e di preveggenza di un uomo di terza elementare e di tanta intelligenza e sapienza.
La scuola ormai proseguiva normalmente e, per forza o per amore, dovevo abituarmi alla sua estrema pesantezza. L’anno scolastico terminò positivamente e, come al solito, ritornando al paesello natale, mi aspettava il taglio del fieno e la sua raccolta, la cura e il pascolo delle mucche, la mietitura, la trebbiatura, l’aratura, la seminagione, e poi... il ritorno a Parma per gli studi. Non un giorno da godere in libertà! Ma questo anno è un anno molto particolare.
I tedeschi avevano già fatto diverse puntate lungo il fiume Parma, dalle mie parti, per saggiare il terreno e scoprire punti di resistenza partigiana. Questo a seguito dei vari attacchi - molto sporadici - alle forze fasciste e tedesche da parte dei partigiani, che dal 1943 avevano incominciato a costituirsi in gruppi e
brigate.
La loro organizzazione non era ancora ben coordinata e ciascun gruppo agiva d’iniziativa col sistema del mordi e fuggi. E’, infatti, cosa nota e da ricordare, come sul monte di fronte al mio paese, detto Montagnana, di là del fiume Parma, il distaccamento chiamato “Griffith”, composto da una quarantina di uomini, detti partigiani, si fa catturare al completo in un casolare, in una notte di metà aprile dalle milizie fasciste.
Segno evidente che il comando non aveva nessuna nozione di arte militare e, nel caso particolare, mancava la sorveglianza notturna con posti di guardia e di allarme. Solo verso la fine della guerra i comandi avevano assunto un ruolo sufficientemente organico.
Un giorno, per vedere la lunga coda dei mezzi tedeschi sulla strada statale delle Ghiare, lungo il Parma, che andavano verso Corniglio, molti curiosi di Carobbio si portarono sul cocuzzolo di Spazzolana¹ da cui si poteva scrutare ogni cosa. I tedeschi, dal basso della loro posizione, non tollerarono l’assembramento di tutte quelle persone ritte sulla cima del monticello e aprirono il fuoco, con una mitragliatrice pesante; prima a mezza costa e poi sopra le teste dei curiosi.
I quali, buttandosi indietro senza guardare dove, alcuni caddero sopra rovi e spine. Uno di questi, vedendosi tutto insanguinato, andava chiedendosi: sono vivo o sono morto? Come vedete, non tutti sono degli eroi!
Anche a Carobbio risiedeva un gruppo di partigiani che però, quando sentiva l’odore di un tedesco, fuggiva sui monti senza lasciare traccia. Erano però esigenti e potevano prenderci un vitello, un maiale, polli, latte, formaggi e quant’altro avevano bisogno senza altre spiegazioni. Erano loro i padroni.
Mio padre, tornato da poco da militare, essendo a conoscenza di quello che i tedeschi facevano altrove, si era costruito al Nasso¹¹ un nascondiglio sotto terra in mezzo ad una montagna di pietre. Questo perché, gli uomini che venivano trovati in loco dai tedeschi, finivano fucilati o inviati in Germania.
Nota: sono stati tempi tristi. Chi si ricorda o li vuole riproporre alla memoria delle nuove generazioni? Tutto questo fa parte della storia italiana che sarebbe bene conoscere. Perché la conoscenza delle cose porta a meglio capire le varie situazioni in cui viviamo, a prenderne atto e ad agire di conseguenza e con responsabilità.
In questo periodo ho assistito a moltissimi lanci paracadutati di armi e rifornimenti vari ai partigiani da parte degli aerei americani, nella piana di Tizzano e sulle cime dei monti tra Carobbio e il paese di Musiara. Era una cosa bellissima a vedersi e noi, ragazzi¹², stavamo col naso all’insù per ore a guardare questi grandi ombrelli che cadevano dal cielo e che poi venivano raccolti dai partigiani.
In questi tempi avano sopra le nostre teste, coi loro assordanti rumori, le grandi fortezze volanti americane che venivano dal sud per bombardare i centri del nord. Erano talmente numerose che oscuravano il cielo. Arrivate sopra il mio paese, si dividevano in nutrite squadriglie a destra e a sinistra per la scelta degli obiettivi da bombardare.
Dopo pochi minuti, si potevano ascoltare gli scoppi delle bombe, sentire il tremolio della terra, vedere i lampi e il fumo salire dalle lontane città bombardate.
¹ - Altura panoramica meravigliosa vicino al paese dalla quale si potevano gustare vedute a 300 gradi.
¹¹ - Località disboscata da mio padre a circa 900/1000 m. di altitudine
¹² - 14 anni di età
6. Primo rastrellamento tedesco
Il primo luglio del 1944 iniziarono i rastrellamenti tedeschi lungo la valle del Parma, del Taro e dell’Enza. Dal fiume Parma i tedeschi sono saliti a pettine sulla montagna arrivando sino alla cima del monte Caio, lasciando a Carobbio un distaccamento e proseguendo in alto. Alla mia famiglia, i tedeschi, non toccarono niente, anche perché Gina sapeva trattarli bene. Intanto il rastrellamento continuava da diversi giorni e, arrivato alla cima Castione,¹³ i tedeschi piazzarono una mitragliatrice per il controllo della zona. Poco lontano, in una valle, erano nascosti molti nostri partigiani. Qualcuno dei quali, pensando di essere ormai, dopo tempo, fuori pericolo, cominciò a superare il costone opposto.
Ma i tedeschi, accortisi di questo spostamento, cominciarono a mitragliare la zona falciando, per fortuna, solo i rami delle piante. Rientrati e rannicchiati nel fondo della valle con gli altri partigiani, attraversarono il costone la notte seguente, in gran silenzio, e non vi furono morti. In questo luogo lasciarono, invece, tutte le armi che avevano in dotazione: un arsenale! Che io personalmente vidi finito il rastrellamento. Questi erano i partigiani delle nostre parti!
In questo primo rastrellamento vi furono razzie, deportazioni e furono incendiate le frazioni di Rusino e Moragnano del Comune di Tizzano. Nel frattempo, in montagna, venne a mancare zucchero, sale e qualche altro tipo di condimento.
Con Gina partimmo più volte da Carobbio in bicicletta per arrivare a Parma e dintorni portando burro e formaggi, per fare il cambio di un kg di burro con un kg di sale o di zucchero.
Le strade non erano ancora asfaltate e si doveva are Capoponte col visto del comandante partigiano e poi cercare vie traverse per non essere presi dai tedeschi o dalle Brigate Nere, dopo aver superato il fiume Parma. Quando poi calava la pioggia, le strade divenivano fango, ed era un problema risalire poi i tornanti che da Capoponte portavano a Tizzano, col fango che s’inseriva tra la ruota e il parafango e che spesso si doveva togliere in qualche modo per potere andare avanti.
Noi raramente allevavamo suini ma quell’anno, per far fronte alle esigenze della famiglia, ne avevamo uno. Avuto sentore del rastrellamento, e per paura che i tedeschi ne fero bottino, abbiamo preso il maiale e lo abbiamo fatto scendere sotto il paese, attraverso un sentiero stretto, ripidissimo e sassoso, per collocarlo in una casetta di pietra nascosta in mezzo ai boschi.
Al termine del rastrellamento, volendo riportare a casa il maiale, dopo averlo imbragato, abbiamo tentato di fargli percorrere un’altra strada dove il percorso era molto più comodo e piano.
Ma non siamo stati in grado di rimuoverlo dai suoi intendimenti: lui doveva ripercorrere solo quel brutto sentiero stretto, ripido, scomodo e sassoso che aveva fatto all’andata! Certamente rimanemmo meravigliati da un simile comportamento che veniva da un animale al quale l’uomo non dà quattro soldi per la sua intelligenza, e il suo modo di vivere. E invece?
¹³ - Luogo a quota 1000 m. di proprietà di mio zio Gianni, da cui si domina lo spazio a 300 gradi. In questo posto, nella mia infanzia, ho sempre sognato di costruirvi un castello dal quale dominare ogni cosa. Come sono belli i sogni da ragazzi!
7. Secondo rastrellamento tedesco
A novembre, dal diciannove al ventisei, vi fu un altro grande rastrellamento, ma nel mio paese non vi furono vittime. Noi stavamo distillando la grappa con pere, mele e residui di uva e si aspettava, con pazienza, la goccia che scendeva dall’alambicco. Questo fatto del distillare, fu positivo perché Gina seppe sviluppare bene il suo senso di accoglienza verso i soldati tedeschi cui piaceva molto la grappa, cercando anche di dialogare con loro perché, qualcuno, era ancora studente e tramite il latino, cercavano di comprendersi.
Mio padre, che in quei giorni era alla macchia, una sera, intirizzito dal freddo¹⁴, ha tentato di ritornare a casa per prendere qualche indumento ma si è trovato di fronte ad una mitragliatrice, per cui ha dovuto, suo malgrado, retrocedere silenziosamente al nascondiglio di prima. I partigiani, come di consueto, non avendo un fronte da difendere, si liquefavano come neve al sole.
In questo novembre, a Bosco di Corniglio, furono decapitati, da una decina di tedeschi, i massimi vertici di un’organizzazione partigiana della Cisa-est, riuniti per comporre i loro piani. Va da se che i tedeschi, senza trovare la minima resistenza, hanno distrutto il luogo d’incontro, le ricetrasmittenti con le quali i partigiani erano in contatto con le forze americane, e recuperati importanti documenti concernenti gli assembramenti dei partigiani.
¹⁴ - E’ stato uno degli autunni più rigidi che si ricordi.
8. Fine della guerra
L’avvenimento degno di lode e di menzione della primavera del 1945 è stata la fine della guerra, conclusasi in questo periodo e che in Italia viene celebrata il 25 aprile di ogni anno. Gina mi ricorda che, in questo periodo, il parroco di Carobbio, don Nello, mi aveva conferito l’incarico di registrare, sul diario parrocchiale, gli avvenimenti che accadevano in quei tempi.
Forse per la troppa schiettezza e verità, con cui queste pagine sono state da me scritte, e che forse erano testimonianze scomode, sono state poi trovate da Gina strappate perché, sicuramente, facevano ombra a qualche situazione non in linea con una condotta civile, morale o religiosa.
Verso la fine della terza Istituto a Parma, mi sono ritrovato in una classe dove molti alunni avevano un’età sopra i venticinque anni e alcuni di essi provenivano da brigate partigiane, che avevano partecipato ad azioni militari. Io, molto più giovane d’età, mi sentivo schiacciato da tanta superiorità che si traduceva poi in forme di comando e di alterigia e superbia.
Loro erano i grandi della nuova generazione!
Coloro che avevano salvato l’Italia!
Io, a sinistra, con i compagni della terza Istituto a Parma. Molti di questi provengono dalle fila partigiane.
9. Incontro speciale
Nella primavera del ‘46 andai con Gina a Reggio Emilia per visitare una sua amica che era stata con lei in collegio a Parma negli anni precedenti. Partimmo con uno dei pochi treni disponibili dopo la guerra e arrivammo al mattino abbastanza presto.
Alla porta dell’appartamento Clara ci venne incontro con i capelli all’aria, avvolta nella vestaglia da camera, nel cui abbraccio vi era una donna dal volto bellissimo e che aprì le porte del mio cuore alla luce di un nuovo sole.
Fu così che un mondo ancora sconosciuto invase il mio spirito e diede ali ai nobili sentimenti che albergavano in esso. Questa fu la Musa che tra il 48/49/50 mi ispirò diciannove poesie su una visione nuova della vita dettata dalla scoperta dell’affettività e da un amore platonico.
10. Costruzione dell’aliante
E’ in questa estate dei miei sedici anni che nei primi pomeriggi e nelle poche ore della sera, comincio la costruzione del mio “aereo aliante”, la cui peculiarità era un’elica mossa dai pedali del pilota, la quale avrebbe facilitato il sostentamento, aggiungendosi alle correnti ascensionali dell’aria calda.
Non avevo molto tempo perché, dopo le 14,30, dovevo portare le mucche al pascolo; mentre a sera, potevo avere qualche ora dopo le diciannove, quando i lavori di stalla e la consegna del latte al caseificio erano finiti. Cose da brivido! E sogni impossibili!
Sarebbe troppo lungo raccontare le peripezie e sacrifici affrontati nel taglio delle assicelle di pioppo dal falegname di Tizzano; della ricerca a Langhirano dei cuscinetti e ingranaggi conici; della lavorazione e della messa in opera di tutto; stante il poco tempo e la mancanza di disponibilità economica. Arrivai, con tutte le fatiche di questo mondo, ad avere un aereo semi-confezionato, non pronto per partire, ma oggetto di fotografie per i posteri.
Il problema era anche quello del decollo. Con don Nello, Parroco, che andava pazzo con la moto, avevamo preso l’accordo che lui mi avrebbe trainato nel terreno semipiano sotto il cimitero per poi lasciarmi al mio destino... in volo… mentre io facevo girare l’elica con i pedali… Ma il tutto finì, per fortuna, sia per mancanza di mezzi sia perché il progetto sicuramente era impraticabile, ma comunque ardito e innovativo.
Il mio aereo aliante con elica mossa dai pedali del pilota.
Altra vista del mio aereo aliante
11. Le mie solitudini interiori e meditative
Tra i diciassette e i diciotto anni, quando, lontano da casa portavo le mucche al pascolo, ed ero solo nell’immensità dello spazio sui i monti, tra i boschi e i campi, mi sedevo all’ombra delle piante e mi ponevo in meditazione e in contemplazione.
Contemplavo gli orizzonti infiniti davanti a me, i dolci o ripidi declivi che portavano al paese e verso il Parma; i verdi boschi nel cui colore l’occhio si riposava e l’armonioso canto degli uccelli, i quali, planando dolcemente, portavano il cibo ai loro piccoli. Guardavo gli aerei che, nelle ore stabilite, avano sopra di me, nell’alto del cielo, luccicanti ai raggi del sole e mi dolevo di non aver potuto volare. Mi era dolce essere accarezzato spesso da una leggera brezza che s’infiltrava tra le foglie degli alberi facendole vibrare e temperando il calore del sole pomeridiano.
Mi sentivo molto romantico ma non esitavo a meditare la mia situazione personale, la mia povertà economica e sociale, il mio isolamento interiore, il mio futuro destino.
Ero lontano dagli altri e non ero come gli altri. Ma così com’ero, mi sono sempre ripetuto che, col mio carattere, i miei sentimenti, i valori interiori, non mi sarei mai cambiato col più grande personaggio del mondo.
Certo, mi sentivo, per ora, un pover’uomo che transita su questa terra, senza una meta definita e raggiungibile; come uno che conta le ore, i giorni, i mesi e gli anni per andare incontro ad un destino sconosciuto. Così come il vento che lambisce le forme della terra, le accarezza e a oltre, ma non sa dove va.
Una cosa certa meditavo con profonda insistenza e tenerezza: la grande istituzione familiare!
Ma dove trovare una donna virtuosa, di nobili sentimenti e ricca d’amore, su cui posare il basamento della stabile dimora? Guardandomi in giro, finora non ne avevo vista nemmeno una.
All’armonia di queste note divine, alla luce di questi pensieri che echeggiavano nella mia mente su quei monti, dove le mucche tranquille pascolavano l’erba verde, il mio animo gioiva pur in una sorta di tristezza profonda che portava ad una maggiore chiusura del mio carattere rendendomi sempre più silenzioso.
Al punto che, proprio in quegli anni, in cui cominciavo a scrivere il mio diario e poesie, perché nessuno arrivasse ad esplorare i miei sentimenti, inventai un alfabeto tutto mio col quale vergavo i miei scritti.
Oggi, che ripenso ai miei 17/18 anni travolti da una gioventù non vissuta, segregata, martoriata, mi duole ancora il cuore, perché, attraverso il dinamismo ed un bisogno di conoscenza esistenziale, che vive nello spirito di ogni uomo, avrei potuto essere migliore di quanto non sono stato. Ma il punto è che, nonostante tutto, non mi sarei mai cambiato con nessuno.
12. Sussulto come di chiamata religiosa
A diciassette anni ebbi un sussulto breve, come di chiamata religiosa. E meditavo come avrei visto un sacerdote dentro una comunità a lui affidata. M’immaginavo un sacerdote non chiuso all’interno della propria casa parrocchiale, ma un uomo di Dio che andasse, giorno dopo giorno, a visitare il suo gregge; portare la Parola di Verità, condividere con esso una parte del suo e loro tempo; mangiare insieme, pregare insieme, coltivare le pianticelle, assistere i malati e tante iniziative a carattere spirituale.
Lui doveva essere il motore della Comunità, lo stimolo, l’esempio personale che lo accredita santo nella Chiesa, e dietro il quale una Parrocchia si sente in cammino per vivere il Vangelo della nostra religione. Un missionario, dunque, che opera conversioni, con l’esempio e la parola, nella propria unità pastorale.
Non un ingegnere, o architetto, o geometra, o pittore che pensa solo alle cose materiali della sua chiesa in muratura; ma a tutt’altra cosa: come da insegnamento evangelico!
Un vero pastore, dunque, che va in cerca della pecorella smarrita e gioisce per averla ritrovata e se la porta nel cuore! Non un sacerdote che dice alla sua Comunità, com’è stato detto al tempo del mio arrivo a Legnano: “Io sono qui in canonica e se uno ha bisogno, sa dove trovarmi”. Un discorso simile cambia la fisionomia del Parroco, della Parrocchia e della Chiesa!
Oggi mi meraviglio perché tali pensieri, che avevo a quell’età, me li ritrovo pienamente consolidati e realizzabili con grande impegno se si vuole che un “certo Libro” diventi la realtà vivente dell’Amore.
13 Scuola a Reggio Emilia
Ma il tempo scorre e a diciotto anni mi trovo a Reggio Emilia presso l’Istituto Tecnico Industriale per completare gli ultimi due anni di studio.
Non è stata facile l’iscrizione a questa scuola, peraltro distante oltre 75 km dal mio paese. Infatti, dopo aver preparato i documenti necessari, un giorno con la bicicletta da donna, sono partito da Carobbio per Reggio. Consegnati i documenti, mi chiesero un supplemento di carte per cui dovetti rientrare al mio paese nella stessa giornata e il giorno dopo rifare la stessa strada, perché era prossima la scadenza.
E’ stata una grande fatica fare 150 km ogni giorno con una bicicletta non molto efficiente. L’ingegno, ogni tanto, mi aiutava però a riposarmi un poco. Quando ero sulla diritta via Emilia e vedevo dietro di me un camion che camminava a bassa velocità, (a quei tempi i camion andavano piano) ma che era in grado di superarmi, cominciavo a pedalare più forte per arrivare ad avere la sua stessa velocità, per poi buttarmi dietro al suo risucchio e ad attaccarmi con la sinistra a qualche appiglio delle sue sponde posteriori. Così agganciato, potevo riposare fino a che questo cambiava rotta e non manteneva più la via Emilia. Molto mi disturbava la targhetta applicata alla sponda posteriore del camion, sulla quale i miei occhi era costretti a posarsi e che diceva: “vietato farsi trainare”! Ma la stanchezza era tanta che questa norma di legge poteva essere superata... E quando perdevo l’aggancio di un camion cercavo di prenderne un altro; e così via...
A Reggio Emilia sono alloggiato, in pensione, presso una famiglia con due figli studenti e nella stessa strada dei portici, dove abita Clara. Portici e porta di Clara che hanno meritato una poesia.
La quarta Istituto è stata molto pesante, ma l’ho superata bene. Gina, che frequentava l’università di Bologna, ava qualche volta a trovarmi. In quelle occasioni mi dava una mano nello studio perché i miei occhi, dopo una breve applicazione sui libri, mi facevano male e mi procuravano mal di testa. Fu un vero tormento questa situazione degli occhi che m’impediva di studiare più in profondità. Situazione male accettata anche perché era questo il periodo in cui era nato in me il forte desiderio del conoscere. Nessun medico, nessun oculista era stato in grado di aiutarmi. Al punto che, da allora fino ad oggi, mi porto al seguito questa ingrata malattia di nervi oculari deboli, che m’impediscono di usare gli occhi a piacimento e contemplare, quanto offre l’Universo. A questo fatto si aggiungeva la poca memoria che da piccolo non avevo esercitato, perché troppo impegnato nel lavoro, e spesso mi ritornava alla mente la parola del Sommo Poeta: “... ché non fa scienza senza lo ritenere, avere inteso¹⁵.
Davanti alla scuola ITIS di Reggio Emilia, mi era di consolazione acquistare le bianche e dure castagne secche da rosicchiare durante le lezioni, coi pochi soldi che potevo avere in tasca.
Ricordo anche i molti scioperi che facevamo per essere ammessi alle università, come avveniva per gli studenti che uscivano dai licei.
Nei pochi momenti liberi e per distrazione col mio amico Bernaroli facevo piccole gite con la vespa fino al piccolo paese di Casina a pochi km da RE.
¹⁵ - Dante A. Canto V del Paradiso.
14. Gara sciistica a Schia
A gennaio di questo quarto anno gli alunni della mia scuola, con quelli delle scuole superiori di Reggio, furono invitati ad una gita sulla neve per fare le gare di sci. Gli organizzatori scelsero nientemeno che la località di Schia, che si trova vicino al mio paese. A Tizzano, all’arrivo dei turisti, c’era mio padre che mi aveva portato gli sci, che non utilizzavo più da qualche anno. Quale gioia e commozione ritrovare mio padre al mio arrivo nella piazza del mio Comune! Gioia incontenibile derivante dai più svariati motivi! Così, saliti sul pullman, siamo arrivati a Schia, importante luogo sciistico invernale, dove avremmo dovuto gareggiare. Ma come gareggiare se gli sci ai piedi non li calzavo da tanto tempo ed erano di scadente fattura?
Nonostante tutto questo, presi il via, nella gara di fondo, ed arrivai primo fra tutti gli studenti delle scuole di Reggio Emilia, con ampio distacco da chi mi seguiva. Non posso raccontarvi la gioia di mio padre nel vedere il figlio arrivare primo in questa gara faticosa!
E come fu grande anche la gioia dell’insegnante di educazione fisica che, forse su di me, sperava in una grande vittoria!
Nel pomeriggio si fece la gara di discesa, ma le mie gambe erano talmente stanche che non mi reggevano in piedi. In realtà, non avendo avuto in precedenza nessun allenamento, ho dovuto rinunciare alla discesa.
E’ stata, comunque, una giornata indimenticabile, sotto il sole dei miei monti e sulla neve e vicino al mio paese! Mi sono riempito gli occhi e il cuore spaziando la vista sulle montagne da me conosciute e su tutti i paesi abbarbicati sull’altro versante del Parma, da me fissi nella mente, e di quelli verso il reggiano, dove
troneggiava la pietra di Bismantova.
La pietra di Bismantova (ricordata da Dante)
Intanto gli studi proseguivano e alla fine della quinta Istituto vi erano gli esami di stato che finirono verso la fine di luglio col grande caldo.
I risultati non li ebbi subito e nei giorni successivi, di fine luglio, l’ansia la faceva da padrona.
La conferma della promozione mi arrivò dall’amico Bernaroli, che mise fine alle aspettative.
15. Arrivo del diploma
Ero dunque arrivato alla fine dei miei studi! Non m’interessavano più gli scioperi che avevamo fatto per essere ammessi all’università. Io ero arrivato alla mèta del mio cammino faticoso e non desideravo altro.
Ora, con una carta in mano, avrei avuto la possibilità di trovare lavoro, ma a quei tempi, a cinque anni dalla fine della guerra, le industrie non erano ancora decollate e stavano scrollandosi di dosso le macerie dell’inutile conflitto.
E poi, a breve, avrei avuto la chiamata alle armi per il servizio di leva. Ancora, dunque, ero in alto mare!
Al momento non mi rimaneva che rientrare al paese natale per scaricare le tensioni di un anno scolastico ed attendere quanto il futuro mi riservava.
A cavallo della vespa Piaggio, il giorno dopo l’esame, lasciai Reggio Emilia per rientrare in seno alla famiglia d’origine sull’Appennino parmense. Il viaggio non fu dei migliori.
Lungo la strada mi colse un dolore atroce ad un dente molare che dovetti togliere a Parma, con conseguente ricerca di un dentista che, a fine luglio, molti ormai erano in vacanza. Ripresi il viaggio con leggero sanguinamento ed a pochi chilometri dal paese scivolai con la vespa sulla ghiaia della strada e mi trovai disteso sul fianco destro con molte graffiature e il motociclo che, rovesciato, continuava a rumoreggiare.
Ebbi un momento di sgomento e di paura poiché questa avventura non era prevista e il sangue usciva da tutte le parti ... Poco dopo rimisi in piedi la mia vespa e ripartii.
Carobbio era ormai alle porte: a pochi chilometri! Già pregustavo l’arrivo in famiglia!
16. Ai cari lettori
Cari lettori, se avete avuto la forza, la pazienza e la perseveranza di leggermi fino a questo momento, mi sento di dire che siete degli eroi. L'eroe, è colui che compie un generoso atto di coraggio, che comporti o possa comportare il consapevole sacrificio di sé stesso, allo scopo di proteggere il bene proprio o degli altri. Mi compiaccio quindi con Voi che siete stati dei coraggiosi e vi siete sacrificati a mantenere gli occhi su questo mio scritto che, peraltro, è molto personale e forse non interessante, come Voi lo immaginavate. E’ certo, però, che ogni situazione personale ci dona il suo insegnamento, trasmette il suo valore, e può nutrire la speranza di far capire ad altri che un ato, anche trascorso in povertà, nel sacrificio, e dietro eventi non sempre gratificanti, ma in rettitudine, può essere utile alle generazioni future.
Generazioni che oggi, purtroppo hanno tutto, vogliono tutto, e si spingono coi desideri oltre le barriere di ciò che offre un mercato ad alto rischio e spesso privo dei grandi valori materiali, umani, morali e sociali.
Nel turbinio della ricerca del superfluo, questi miei ricordi vogliono essere un baluardo, un monito, un invito o un freno a chi è imbrigliato nelle speculate ossessività “dell’avere” e “del godere”, per essere moderati e per non scialacquare i beni che la natura ci offre. Com’è bello dare alla vita un lavoro e un comportamento personale onesto, senza compromessi, pur pesando il sacrificio di ogni goccia di sudore e dare l’amore vero alla Famiglia, alla società, e al mondo! Ma ricordate: io parlo; potete ascoltarmi; ma non sono un maestro!
17. Ritorno a Carobbio.
Era un bel pomeriggio, quello del 27 luglio 1950, quando rientravo al paesello dopo le fatiche dello studio, dell’Esame di Stato appena dato e delle traversie del viaggio, col sole caldo a 45° che illuminava e riscaldava i monti verdi e i campi biondeggianti del grano maturo e da raccogliere! Era anche il giorno dopo la grande festa di S. Anna, che è la protettrice del paese, e sembrava che questa festa proseguisse nelle strade e nei campi tra il grido gioioso e le rincorse dei bambini.
Queste bellissime feste, unitamente a quella di S. Maurizio, cui è dedicata la Parrocchia, le ho sempre vissute e ricordate come se mi fossero state incise nel cuore e mi appartenessero come eredità.
La processione con la statua del Patrono S.Maurizio
Quando ero piccolo, in queste ricorrenze festive, mia madre era solita fare una decina di torte da condividere con le persone che venivano dai paesi vicini, sia per festeggiare il santo Patrono, sia per mantenere i sani rapporti paesani e parentali, sia per ascoltare la messa a tre voci del Perosi maschili, diretta da mio padre Nicodemo. Queste torte le deponeva su alcune tavole da pane e le portava al piano superiore divise a metà, lasciando il lungo coltello vicino ad esse.
Io, che delle torte della mamma ero molto goloso, non visto, salivo sopra e col coltello tagliavo una striscia per il lungo delle varie qualità. Mi riempivo le tasche che poi svuotavo sotto casa, gustando questo bene, guardando i paesi lontani e il declivio dei monti verdi che scendevano fino al Parma.
Nessuno si sarebbe mai accorto di una simile asportazione, se non fosse stato colto in fallo! Sono momenti questi, che ritornano alla mente vivi e reali così come sono stati vissuti allora e in un certo senso, sorprendono la nostra fantasia attuale. Ecco perché il ato ritorna vivo nel futuro dell’oggi!
Nessuno di voi è mai arrivato a fare alcuna di queste scappatelle?
Rientravo, in quel giorno, al paesello natale percorrendo la strada principale, non ancora asfaltata, sulla vespa graffiata a causa della scivolata; adagio, adagio, esausto per quanto mi era accaduto. Quasi mi mancavano le forze e mi sentivo come se fossi in alto mare; Quasi un robot!
18. Il grande incontro
Fuori dal paese, sulla strada principale che stavo percorrendo, eggiavano due donne, presso le quali mi fermai bloccando il motociclo. Una era mia sorella Gina e l’altra una sconosciuta. Dopo aver salutato Gina, mi fu presentata l’altra. “E’ Lidia, la nostra cugina siciliana, figlia dello zio Paolo”, disse Gina.
In un modo, che ancora non so spiegarmi, mi trovai tra le braccia di questa creatura, in una dolce stretta ristoratrice, incurante dei miei sanguinamenti, trovando ristoro e pace; così come il bambino si trova tra le braccia della mamma!
Fu così che conobbi Lidia, che diventerà la mia sposa e la madre dei miei sei figli!
A casa tutti mi aspettavano e dopo gli abbracci e baci di rito, mio padre intonò, col violino, la canzone da lui composta e a me dedicata: un valzer chiamato “cadono le foglie: al mio Umberto”. Non riuscii a trattenere le lacrime e piansi lungamente quasi a sfogare le angosce che albergavano nel mio animo.
Così ai quella serata tra persone conosciute e sconosciute e tra i piatti di torta profumata che mi ricordava i tempi antichi. Quei tempi in cui, da fanciullo, rubavo la torta alla mamma e ne godevo a sazietà, nel fresco silenzio dietro la casa vecchia!
19. Lidia, la sua famiglia e l’esattoria
Lidia era la figlia maggiore di mio zio Paolo, fratello di mia madre Rosa. Alla morte del padre avvenuta nel 1947, a Terrasini (PA), era stata prescelta per gestire l’esattoria comunale, di cui il padre era titolare, in attesa di conseguire il titolo che l’abilitava all’esercizio. La laurea in lettere la ottiene il primo dicembre 1949. Nello stesso anno l’8 gennaio si è fatta terziaria scana col nome di Chiara.
Il titolo di esattrice comunale lo otterrà, con gli esami a Roma, nel 1950.
Resterà per molto tempo legata alla parrocchia di Terrasini quale delegata e poi presidente delle donne di Azione Cattolica e come istitutrice delle lampade viventi a Terrasini, Partinico, Balestrate.
Il motivo per cui Lidia si trovava sulla strada di Carobbio al mio rientro da Reggio Emilia, era dovuto alle pratiche di successione concernenti i beni paterni.
Nei giorni che arono, fui molto vicino a Lidia perché la nostra compagnia era, per entrambi, portatrice di valori. Ci esternavamo a vicenda l’interiorità dei sentimenti, le preoccupazioni, il nostro modo di vivere, il nostro mondo spirituale e religioso. Nelle nostre eggiate o nei momenti di riposo all’ombra delle piante, trascorrevamo momenti quasi di estasi.
Nulla ancora di affettivo ma Lidia, al contatto di questo mondo nuovo e diverso da quello siciliano, scriverà sul suo diario se vale la pena di dare una svolta alla propria vita, cioè decidere per uno stato di vita diverso da quello immaginato
finora nelle varie ipotesi:
“Ho trascorso giornate indimenticabili e spensierate. Ho considerato la vita da un altro punto di vista e ho riesaminato il problema della mia scelta (…)”.
Il mio problema, ora che avevo un diploma, era quello di trovare un posto di lavoro, anche se a breve ci sarebbe stata la chiamata della leva militare per la quale avevo chiesto di fare il corso allievo ufficiale di complemento.
Nell’attesa, Lidia mi offre la possibilità di riordinare la contabilità esattoriale, da anni dimenticata, e così, dal 2 dicembre 1950 al 2 aprile 1951, mi trovo a Terrasini nella casa di Lidia.
I giorni che ho ato in questo periodo sono stati giorni nefasti. Per disposizione di sua madre io non potevo uscire da casa e non dovevo farmi vedere da nessuno. Ero prigioniero e con la salute ai limiti dell’esaurimento.
Lidia era consapevole di questo mio stato e sicuramente ne soffriva. Inoltre la situazione familiare con le sorelle e la madre non era idilliaca; come poteva essere quella di una famiglia sana che vive in armonia; e questo incideva ulteriormente sulla mia salute. In ogni caso Lidia aveva sempre torto ed era il capro espiatorio della famiglia.
Rientrato a Carobbio, ho qui trascorso parte dell’estate per ritrovarmi ancora a Terrasini dal 18 luglio al 19 agosto ‘51 come aiuto per la riscossione della rata di agosto che rappresentava, per la gestione esattoriale, il periodo più gravoso.
Deve essere stato questo il momento in cui mi dichiaro definitivamente a Lidia, facendola uscire dalle angosce della scelta della sua vita, togliendola dal mercato di almeno trenta offerte di matrimonio da parte di benestanti, industriali, laureati, ma che lei non si sentiva di amare.
Anche in questo periodo, come di consueto, restiamo sotto lo sguardo lacerante delle sorelle e della mamma che non ci permettono di restare soli per dirci le cose che potevano riguardare il nostro avvenire.
Quando esco fuori casa, per qualche eggiata solitaria, (ora posso!) occhi curiosi e furtivi mi guardano dietro le finestre spettegolando su quell’uomo “straneo” che usciva dalle porte della casa Riccò e lavorava in esattoria. Ritengo che fosse questo il periodo in cui confido al parroco del paese, Don Lorenzo Bertolino, le mie intenzioni nei confronti di Lidia. Il suo interrogatorio di terzo grado fu infinito, malizioso e stressante. Non vi fu un colloquio caritativo e psicologicamente delicato. In verità, il suo problema di parroco era veramente grave: gli avrei portavo via la presidente di Azione Cattolica, che, per lui, era una grande perdita, perché Lidia era persona che faceva le cose bene e rette!
Mi disgustò a tal punto che, se gli avvenimenti fossero andati per il giusto verso, lui non mi avrebbe mai sposato. E così fu.
20. Da Allievo Ufficiale
Rientro a Carobbio e alla fine di agosto sono chiamato per il corso allievo ufficiale a Lecce, dove resterò per quattro mesi. Il corso è stato alquanto pesante poiché, tra lezioni tecniche e tattiche e addestramento pratico, si potevano contare circa otto ore giornaliere.
Dopo queste ore, un compito importante era quello di scrivere alla fidanzata, il cui desiderio sarebbe stato quello di ricevere ogni giorno la letterina, per sua tranquillità; (come si sa, le donne hanno sempre paura che i loro fidanzati militari se ne vadano altrove dimenticandole...) ma non sempre era possibile poiché la stanchezza e la non voglia di scrivere erano sempre i due aspetti negativi.
Ricordo in questo periodo, che nella mia camerata, all’ora di andare a dormire, mi ritrovavo in ginocchio presso la mia brandina a dire le preghiere, dando così la mia testimonianza cristiana ai miei commilitoni.
La paga del soldato “la decade” era così bassa che, dopo aver affrancato le lettere settimanali per la fidanzata e fatti lavare gli indumenti, non rimaneva niente. D’altra parte io non ho mai chiesto interventi economici ai genitori, conoscendo bene la loro situazione. I miei commilitoni, invece, ricevevano spesso importanti vaglia postali, dalle loro famiglie ad integrare le loro economie militari e spendendoli poi nella città, nel bene o nel male...
Nel tiro con le armi ero uno dei migliori avendo ricevuto anche una medaglia. Ma sopra ogni cosa, in questa mia vita militare, vi è la presenza costante della mia cara Lidia che nel mio diario¹ del 2 dicembre 1951 scrivo:
“Al centro di ogni mia azione pongo l’immagine della mia Lidia quasi ne addolcisca il ritmo e mi sembra che ogni cosa corra più deliziosamente verso il suo fine. Facile mi è compiere un dovere anche pesante sorretto da qualcosa che trascende la materia e spiritualizza. Basta ch’io rivolga il pensiero verso colei che è al centro del mio piccolo universo per non sentirmi più solo e disperdere le nebbie che il tempo e l’ambiente facilmente occultano. Per essa il mio agire si nobilita, fluisce dolcemente e si dirada lasciando profumo delicato di fiori di paradiso”¹⁷.
In contrasto con questa visione di paradiso, vi è il quadro desolante del comportamento degli allievi ufficiali che vivono vicino a me. Apparentemente sembrano aperti, buoni, cordiali; ma rozzi d’animo, poco educati e privi della coscienza del dovere. La religione è misconosciuta e Dio si ricorda solo quando si bestemmia o s’impreca. Peraltro anche l’assistenza del cappellano militare è quanto mai scarsa e poco si adopra per evangelizzare questo mondo di giovani così facili alla deriva. Infatti, scriverò:
“L’immoralità è un lago nel quale l’acqua giunge alla gola e dal quale poche sono le barche che tragittando non affondano”.
A Lecce, ho terminato la prima parte del corso allievo ufficiale e rientro, alla fine dell’anno, al paesello natale. A Cesano di Roma faccio l’ultima parte del corso che termina il 29 maggio 1952 e dove sono promosso sottotenente di fanteria. Il 2 giugno 1952 partecipo alla sfilata degli allievi ufficiali in Roma davanti al presidente della Repubblica e alle alte cariche dello Stato e con la divisa invernale. Giornata di caldo infernale! Che sudata!
¹ - Da questo momento appare un diario da me stilato dal 51 al 54 e successivamente nel 57 nel quale sono incisi i momenti più salienti e decisionali
della mia vita.
¹⁷ - Dal mio diario del 2-12-51 pag.18
21. A Bologna al 40° Reggimento Fanteria
Scelgo di completare il periodo di leva come Ufficiale di complemento a Bologna, presso il 40° Reggimento fanteria motorizzato “Trieste”, con grande dispiacere di Lidia, per la quale, avrei dovuto scegliere Palermo. Ma la Sicilia mi era ormai lontana e nemica.
Chiuso il corso, mi precipito a Terrasini, dove arrivo alle 17 del pomeriggio del 4 giugno tra le braccia di Lidia in attesa.
“Non era più un sogno, ma piacevole realtà…”
“La profondità e la dolcezza di uno sguardo saziava quello dell’altro. Le poche parole che univano i silenzi dei nostri cuori erano sole parole d’amore. Nulla ci preoccupava profondamente quanto il misurare la saldezza e i limiti del nostro legame”¹⁸.
Da sottotenente al 40° Reggimento Fanteria
A Terrasini mi trattenni dal 4 al 14 giugno 1952 e furono giorni bellissimi se non fossero stati turbati dalla scelta di fare a Bologna, anziché Palermo, il periodo di leva. Dal 18 al 23 agosto ‘52, consumo ancora un breve permesso presso la mia Lidia che, avvertita da un telegramma, mi aspettava con ansia.
“La trovai vestita di verde, sulla porta di casa…”
“Il mio sguardo stanco e insaziabile bevve, in silenzio, del profumo di questo fiore, timido e sconvolto… Era bello il nostro amore perché si sublimava, perdeva ogni traccia di male e diveniva angelico: bello e puro come quello degli angeli”¹ .
La vita, nella caserma del 40° Reggimento di fanteria motorizzato, trascorre lenta e tediosa nelle nebbie autunnali. L’unico pensiero vitale è quello rivolto a Lidia che rasserena un poco la mia esistenza terrena. Ho anche momenti di sconforto spirituale come se Dio mi fosse lontano e la fede mi avesse lasciato.
Il 17-9-52 invio a Lidia il testo dell’alfabeto da me inventato tra i sedici e diciassette anni, perché nessuno fosse in grado di leggere i miei scritti e le mie poesie, come descritto in precedenza, e che ho ritradotto in italiano solo nel 2012.
Il 21 e 22 settembre ’52 sono a Carobbio, con breve permesso, per partecipare alla festa di S. Maurizio protettore del paese cui è intitolata la parrocchia. Rivedo
i miei familiari e trascorro, insieme, ore serene.
Amante della disciplina militare e non trovandola, rientrato in caserma, in ottobre potevo scrivere:
“La disciplina è una delle cose più belle che l’uomo deve imparare, al pari dell’amore. Perché, in fondo, è pur essa amore”² .
Purtroppo, non avendo possibilità immediata d’impiego, sono costretto a chiedere il prolungamento della “ferma” per un periodo indeterminato; anche perché il trasferimento a Palermo mi è negato.
Tremo pensando di potermi trovare, alla fine, dietro un bancone dell’esattoria della moglie a Terrasini!
Nonostante questi brutti pensieri, spero ardentemente di rivedere la fidanzata a Natale.
Infatti, scriverò:
“Brucio dal desiderio che ino questi giorni prima di Natale per potermi trovare finalmente, dopo 4 mesi di digiuno tra le braccia ristoratrici di Lei che rimane punto fisso, pur nelle avversità delle vicende quotidiane. E’ troppo penoso il periodo di fidanzamento vissuto lontano dalla persona amata e troppo squallido l’amore per lettera a 1500 km di distanza...! e se le abitudini sono belle, l’abituarsi ad amare per lettera è una pazzia, un tormento…!”²¹
Si, perché a quei tempi non vi era ancora il telefono per poter comunicare! L’unico era presso l’ufficio postale e, date le nostre distanze, le comunicazioni erano quasi del tutto impossibili.
Ironia della sorte: poco prima di Natale, sono comandato di guardia con un plotone, alla polveriera di Ponte Ronca presso Bologna. Qui riceverò una “punizione di rigore” perché un sergente, di guardia, ha fatto entrare un ufficiale inviato in ispezione, senza chiedere la parola d’ordine.
Intanto, avendo a disposizione molto tempo, continuo con lo studio di un nuovo fucile automatico calibro 7,62, la cui automaticità è fornita dall’utilizzo dei gas di scarico dell’esplosione della carica di lancio, che, investendo un corpo appositamente conformato, ricarica l’arma rendendola anche più silenziosa.
Fatto, quest’ultimo, molto importante in un’operazione militare di guerra.
A Ponte Ronca, nella notte del 24 dicembre, riaffiorano alla mente le dolci melodie natalizie del mio paese, rese più acute dai rintocchi delle campane del paese vicino. Rintocchi dolci, ma nello stesso tempo tristi! Mi sento solo sotto un cielo sereno incastonato dalla luna e dalle stelle. Il ricordo di quando ero piccolo, si posa sui volti dei miei familiari, raccolti presso il focolare, in attesa della messa di mezzanotte. Così le ricordo una ad una queste figure care; dai miei nonni, ai genitori, ai fratelli, e mi sembra, in quest’attimo, di essere con loro e goderne le affettuosità e i loro sorrisi.
Un altro volto ricordo questa sera, molto lontano da me, a 1500 km di distanza, il quale sembra ormai, essere il centro della mia vita: il volto sereno, limpido, gioioso e angelico della mia amata Lidia!
E mi sembra di vedere ora, questo viso, intento alle liturgie di un grande evento, o preoccupato di imbandire una tavola, o nell’estasi di pensare al suo uomo che apionatamente la ama da lontano. Sembra un sogno pensare a queste cose sotto il raggio della luna, che ora c’è e illumina la notte e tra poco si nasconderà dietro l’orizzonte terreno, per ritornare domani sera, quasi alla stessa ora! Poi dopodomani... E così per sempre! Per adempiere il cammino di un mistero impenetrabile, indescrivibile, eterno, che l’uomo può solo ammirare ma non comprendere!
Dopo il servizio di Ponte Ronca mi è concesso un breve permesso che consumo a Terrasini a cavallo dell’Epifania del ’53; e mi ritroverò ancora presso Lidia, per l’ultima volta, a fare la S. Pasqua del ‘53.
E’ inimmaginabile, che a questa data, la penultima dei nostri incontri prima del matrimonio, ci siamo potuto vedere, da fidanzati, solo cinque volte in tre anni, e dovendo esprimere il nostro affetto solo per lettera a 1500 km di distanza!²² Quale desolazione e tormento, una simile situazione che martirizza ogni fibra dell’essere, il cui desiderio è di vedere, toccare, ascoltare e parlare a viva voce! Non si augura a nessuno una simile situazione che può diventare eroica! Questo fatto particolare dimostra, però, la fedeltà, la grandezza e la saldezza di un amore senza confini, che dopo tre anni avrà il suo coronamento al mio paese.
E’ tra la fine del ’52 e l’inizio del 53, tempo in cui ormai sono pienamente sicuro della scelta del cuore, che posso scrivere alla cara Lidia il: “Richiamo d’autunno – ovvero pianto di fidanzata lontano”²³
“Ombre a me care che nel o avete
nostalgia di chi ama ed è lontano;
trepidi giorni che correte in ansia
al giunger d’una meta a lontan premio;
ore lunghe e tediose erte e infinite
parlate a me d’amor ch’ascolto voi.
Ecco l’orecchio attende, ecco una voce...
una voce e pur dolce, un canto, un inno...”
“A te penso mio cuor dalle remote
e care stanze, dove la notte sogno
e vago il giorno te lacrimando;
te sulla soglia attendo amato sposo
dei giorni oziosi miei unica luce;
te sol desio, speranza, unico amore.
Dal balcone che s’apre contro il cielo
o dal mare, ove l’occhio mio si sperde,
te invano attendo meco venire.
E più ti cerco più t’invoco e piango.
Placando allora il cuore mio col canto
note dolenti vibro all’infinito
e parmi che un lontano eco risponda
alla mia melodia senza nome.
Forse è la voce tua che chiama Lidia
la sposa; forse è il tuo cuor ch’innalza
grida d’amor e le disperde il tempo.
Pietosa io le raccolgo, aspetto e t’amo.
Grande per te è il mio amore unico uomo
e per te solo l’alma traendo spiro;
grande è il desio di te per darti pace
col mio sorriso e l’amorose cure;
dolcezza provo essere tua per sempre.
A te dono il mio cuor, la giovinezza
indelibata ancor verginea occulta,
fiore che t’offro perché tu il profumi
de’ baci tuoi e dolci tue carezze
che per me sola attendo...Vieni amor
dalle lontane terre a le placate onde
del mare a ritemprar l’affanno;
vieni amor ché l’incubo del tempo
vano dissolva come rugiada al sol...
E sogno, bello e caro al nostro affetto,
tiepido nido oltre l’oceano azzurro,
onde tu vuoi, vita di vite, perché
dove tu re io vi sarò regina.
Felicità non mai provata ancora
sento in me nascere e portare in cielo;
speme che sublima l’avvenir radioso.
Torna il pensiero all’opra, l’ago al lavoro
e pinti i bianchi veli hanno il tuo nome
al mio devoto accanto e un serto d’or.
Giuran d’amor l’un l’altro i casti anelli,
fede giuran d’amor i nostri cuori;
sì tu mi dici, sì io ti rispondo.
Senti il mio amore, le voci di ione
ch’urgono in petto e recano la gioia,
l’aurea catena che ci lega e libra,
la bellezza di un sogno senza fine?
Senti il mio cuor ch’è tuo, tutta me
stessa, il sospiro d’amante tua sincera,
la voce mia di sposa che ti chiama?”
“Si, la tua voce ascolto nei silenzi
raccolti del mio cuore e le dolcezze
tue, divina, son vita ai sensi miei.
Si, la tua voce ascolto che alimenta
un fuoco e all’armonie delle tue note
vorrei sognare eterno oltre il cammin
del sole. Attimi brevi ancora e quel
desio ch’avvampa, quella speranza in cor
presto e dolce sarà felicità di sposi”. A Lidia 1952/53
A fine giugno, il 40° Reggimento fanteria Trieste, partecipa al campo estivo con le relative esercitazioni a fuoco e, dopo circa un mese, rientra in caserma a Bologna. Qui siamo messi in allarme e ci approntiamo a partire per difendere Trieste, minacciato dalla Iugoslavia di Tito. Ai primi di settembre cessa la tensione col Paese confinante e posso tirare un sospiro di sollievo.
Sì, perché vi era la possibilità di far saltare il matrimonio che avevamo fissato per il 27 settembre. Nel frattempo avevo avviato le procedure per il matrimonio. Ma quanto erano difficili e burocratiche queste pratiche!
Nella mia semplicità mi sentivo di affogare, anche perché le nostre residenze non erano facili da riunire: Terrasini e Tizzano. Era necessaria al Comune di Tizzano anche la presenza di Lidia che arriverà con Angioletta, la sorella, il 5 settembre.
Definita così ogni pratica, ci aspettava il giorno fatale: il 27 settembre 1953.
¹⁸ - Dal mio diario del 52 pag. 38.
¹ - Dal mio diario del 52 pag. 52-53
² - Dal mio diario dell’ottobre ’52 pag. 80
²¹ - Dal mio diario del 52 pag. 84 e 85.
²² - 18/7 al 19/8/51 - 4/6 al 14/6/52 – 18-23/8/52 Epifania del ’53 e Pasqua del ’53.
²³ - Custodita nella raccolta inedita personale “19 - Riflessioni, Preghiere, Speranze”.
22 Verso il matrimonio
La celebrazione di un “matrimonio cristiano” è cosa d’inestimabile grandezza. Non è una farsa o mettere a posto la coscienza, o il risanamento di una situazione anomala, o un atto dovuto per essere come gli altri in società. E’ un “mistero” grande se è paragonato all’amore di Cristo verso la Chiesa sua Sposa, per la quale ha dato tutto se stesso. È il primo sacramento inventato da Dio stesso agli albori della creazione, quando consegna la donna nelle braccia dell’uomo. E’ per mezzo della coppia umana, infatti, che è trasmessa la vita attraverso un ordine eterno che non ha eguali in altre situazioni anche religiose e scientifiche. Davanti all’altare, il Signore, congiunge due anime e due corpi in una sola unità perché siano una sola carne²⁴.
“Che gioia poter pensare che la nostra carne, santificata attraverso il sacramento, deve avere altissime funzioni, se contenute nella legge di Dio, se usata ai fini di Dio, se, anche nel matrimonio, se ne fa una chiesa in cui si celebra il mistero nuziale di Cristo nel profumo della castità, nell’incontro della preghiera, nella mirra della mortificazione, nell’oro di un santo amore!”
“La santità nuziale non rinnega la natura, ma la corregge, la modifica, la eleva con la Grazia; una santità che non mortifica, ma santifica l’amore e lo fa soprannaturale; una santità che non spegne i sensi, ma ne tempra le esigenze nella professione della castità; una santità che non ha bisogno dell’eremo, del cenobio, ma che si svolge nel santuario domestico, in cui le virtù dell’eremo e del cenobio ne formano l’ornamento e il profumo”.²⁵
All’ombra di questi altissimi ideali, che sono stati sempre la lampada per il nostro cammino, il 27 settembre, nella Chiesa di Carobbio, finalmente, Lidia diviene mia moglie. Scriverà nel suo diario spirituale:
“I miei sogni si realizzano: vado sposa oggi”.²
Il ricordo di questo momento sarà ripreso in seguito, dopo che Lidia sarà ritornata nella sua terra per occuparsi della gestione dell’esattoria; ed io resterò ancora solo, ed avrò tempo per ripensare.
Finito il rito in chiesa, siamo stati accolti nella casa nuova di mio padre, ancora da completare. Da Bologna era giunto anche un mio caro amico, sottotenente con la fidanzata, per festeggiare l’avvenimento
Umberto e Lidia
Gli sposi con parenti e amici
Dopo un bel pranzo con amici e parenti, nel tardo pomeriggio siamo partiti per Parma con la macchina presa a noleggio dal mio amico bolognese. A Parma abbiamo soggiornato due giorni, ma non avendo disponibilità economica, siamo rientrati a Bologna nel nostro piccolo monolocale preso in affitto.
La nostra situazione economica, al momento del matrimonio, era molto precaria. Io, da ufficiale, non ho potuto accantonare niente, se non l’acquisto degli indumenti personali, stante il fatto che la paga era scarsa. D’altra parte non ho voluto chiedere aiuto a mio padre sapendolo oberato di debiti per il mutuo della nuova casa e per avere fatto studiare i cinque figli.
Lidia non ha avuto un centesimo dalla madre poiché, la stessa, ha preferito tenere i soldi nei buoni postali anziché venire incontro ai nostri grandi bisogni, nel momento in cui mettevamo le fondamenta della nostra casa. Cosa che, invece, non ha fatto con le altre due figlie!
Io ero conscio di questa mia situazione e rimanevo grandemente amareggiato perché non potevo dare alla mia sposa quel minimo di benessere necessario a una dignitosa esistenza. Problema che si protrarrà nel tempo e che, qualche volta, mi ha fatto anche dire che, se i soldi sono lo “sterco del diavolo”, senza di essi non si può vivere decentemente e, qualche volta, possono donarci un mondo più facile e felice...!
Mi chiedo sempre: è stata questa una luna di miele?
²⁴ - Genesi 2 - 23.
²⁵ - Da “Il Grande Sacramento” di Padre Enrico Mauri, grande teologo dell’amore coniugale.
² - Dal libretto: “Quando la vita è dono” e suo diario spirituale.
23. Ai Giovani d’oggi
Voi giovani, che avete tutto e volete tutto, pensate anche a chi si è rattristato per non avere nulla e mettetevi nelle sue condizioni! Non siate ingordi, poiché anche il poco può essere quanto basta! Non fate del benessere lo scopo della vostra vita. Accontentatevi di quanto avete. Cercate di conoscere il valore del denaro, il sudore delle fatiche per conquistarlo, e l’uso equilibrato di esso. Cercate di pensare alle ate generazioni che vi hanno dato la possibilità di trovarvi in uno stato di agiatezza e ricordatevi di loro. Non sprecate il vostro tempo nelle vanità! Siate sobri anche attraverso la moralità del denaro! Pensate che è più bello dare che ricevere! Non fatevi irretire dalle cose effimere di questo mondo! Cercate di desiderare quanto basta: perché quanto basta, basta!
24. Preparativi per Terrasini
Lidia, richiamata per problemi inerenti la gestione esattoriale, parte per Terrasini il diciotto dicembre. Dopo la sua partenza scriverò con una certa tristezza e nostalgia il momento che ha celebrato le nostre nozze:
“Quasi tre mesi orsono, nella splendida cattedrale del mio paese, davanti all’altare di Dio, circonfuso di fiori e luci, portavo la mia fidanzata per farla mia sposa. Ci accompagnava una marcia nuziale che infondeva nel cuore l’ebbrezza di sogni sperati. avamo tra una gremita ala di popolo per dirci di sì. Ce lo siamo detto questo “sì” con voce ferma e pronta per paura che la voce ci morisse in gola. Ci siamo stretti la mano e in quell’atto i nostri cuori si sono parlati e si sono giurati eterna fedeltà. Ci siamo scambiati le fedi e in quell’istante la croce benedicente di Dio ci aveva fatto marito e moglie. Sì, dolce mia sposa, da quel momento tu sarai colei che a lungo ho cercato, il mio angelo custode, la mia eterna primavera, su cui camminerò cogliendo fiori eterni!”
“Eri candida quel giorno come una colomba vestita di bianco. Il lungo velo sul volto m’infondeva gli arcani misteri di un’anima di Dio. E la eri tu di Dio, forse più dell’uomo col quale ti univi per sempre.
Mi eri inginocchiata al fianco e quasi non avevo la forza di guardarti per paura che il mio sguardo ti muovesse un pensiero o ti togliesse dall’estasi in cui eri rapita. Nel tuo regno io non potevo giungere perché divino e perché troppo meraviglioso doveva essere.
Ma se tutto questo mi era negato di capire e di raggiungere, una sola cosa riuscivo a comprendere: tu Lidia, che mi stavi al fianco davanti al tuo Dio, che ti inginocchiavi sullo stesso banco per noi costruito, che nel candore delle vesti e
del cuore eri così divina colomba e meravigliosa fanciulla, eri mia sposa ed io il tuo sposo! Ormai eri una sola cosa con me: eri la mia stessa vita, la mia stessa carne, portavi il mio stesso nome e mi appartenevi interamente così come io ero tuo. E capivo ancora che l’unione di due anime che si amano in Cristo era la più bella cosa che la Provvidenza avesse potuto creare per rendere felici gli uomini”
“Fuori dalla chiesa ti aspettavano i bimbi desiderosi di confetti e noi uscimmo tenendoci per mano. Eravamo anche noi due bambini che la sorte ci aveva resi maturi. Sulla soglia della chiesa ti accolsero gli evviva e i battimani di quella gente sincera e rude alla quale fiero appartengo.
E tu gioivi palpitando mentre, sperduta, volgevi lo sguardo intorno e ti preoccupavi dei ragazzi che ti facevano corona. E fra le molte, vidi le lacrime di una donna, o Lidia, che aveva perduta una figlia”.
“Finalmente liberi ci trovammo soli e vicini sulla bella macchina che ci condusse a casa. Le nostre labbra non parlavano ma il cuore era aperto e le mani si stringevano. Forse avremmo sciupato quel raccoglimento così profondo se le nostre labbra si fossero aperte per dire ciò che era inutile dire e i nostri occhi avessero continuato a incontrarsi con instancabile tenerezza”.
“Finì anche il pranzo lussuoso consumato nella nuova casa e dopo il pranzo salutammo per partire. E tra le molte, vidi le lacrime, credo per la prima volta, di un uomo che aveva perduto un figlio. Triste constatazione proprio all’inizio di una nuova vita e quanta amarezza quelle lacrime di genitori che non avranno mai più i propri figli!”²⁷
²⁷ - Dal mio diario del 53 a pag. 117-118-119-120.
25. Partenza per Terrasini
Il 10 gennaio’54 mi giunge il foglio di congedo illimitato e parto subito per Terrasini dove Lidia mi attende.
A Terrasini
Terrasini: le scogliere e il paese
Sembra che le grandi lontananze, in questo momento, non esistano più. Sarà veramente così?
Terrasini era, a quei tempi, un paese di circa 8000 abitanti posto in riva al mare e distante da Palermo circa 30 km. Declina, quasi come una tavola leggermente inclinata verso il mare ed ha le vie quasi tutte parallele da monte a valle. Ha una bella piazza nel centro del paese, di fronte alla chiesa madre di S. Maria delle Grazie.
Vive di agricoltura e di pesca. A ridosso del paese vi sono montagne aspre e nude, che cessano di dare una parvenza di verde alla fine di febbraio/marzo, quando il vento caldo brucia ogni cosa. In fondo, in riva al mare, vi sono le scogliere rosicchiate dalle acque e dal vento, alte e a perpendicolo.
E’ proprio su queste scogliere che un tempo venivo a sfogare la piena rabbiosa dei miei sentimenti. Vi è pero anche un piccolo spazio di spiaggia, dove si può fare il bagno e portare i bambini a giocare sulla sabbia. Più oltre, all’orizzonte, vi è l’aeroporto di Punta Raisi. Il treno, che a quei tempi andava a carbone verso Trapani o Palermo, si fermava alla vicina stazione di Cinisi-Terrasini.
Poi, una carrozza a pagamento, portava i viaggiatori al paese distante circa 1 km. L’esattoria e l’abitazione di mamma Franca erano a poche decine di metri dalla grande piazza e, di conseguenza, vicino alla chiesa madre e al centro del paese.
Mamma Franca²⁸, proprietaria, ci aveva affittato un piccolissimo appartamento in via Serra. Soggiorno e cucina davano sul davanti verso la strada, alla luce del giorno, mentre la camera e ripostigli erano alcove al buio e senza aria. Qui ho proseguito a lavorare al mio fucile, nei momenti di tempo, mentre Lidia accudiva l’esattoria e la casa.
La casa non era salubre e igienica per cui, dopo qualche mese, ai primi d’agosto e all’avvicinarsi della prima maternità, ci siamo trasferiti in via Vittorio Emanuele; casa sempre di proprietà della mamma di Lidia, più comoda e spaziosa, ma pur con le anguste alcove. Anche questa non era del tutto salubre, al punto che, attraverso vie sconosciute i topi, vi entravano e depositavano i loro escrementi. E’ per questo motivo e perché non arrivava mai il trasferimento in continente che mi sono deciso, nel ‘59, a costruire una casa nuova, secondo le regole igieniche e sanitarie e di comodità. Apparvero a Terrasini le prime tapparelle di plastica!
“Le nostre serate trascorrono serene. Usciamo sempre per eggiare due volte al giorno e per trovare mamma e sorelle. Sono in attesa della nuova creatura… Ci siamo trasferiti ai primi di agosto 54 in via Vittorio Emanuele. Il 23 agosto alle 11,30 nasce Virginia Maria Cinzia. Tutto bene e normale. Grande gioia per la famigliola. Il 13 settembre 54 partiamo per Carobbio dove (la bambina) è battezzata il 19 dai miei suoceri”² .
La casa da me costruita a Terrasini
Intanto il lavoro di esattoria va avanti e con l’aiuto dell’ufficiale esattoriale abbiamo ripulito i renitenti dei loro arretrati. Ricordo, come fatto increscioso, quel giorno in cui venne davanti al bancone dell’esattoria, rotto poi con un pugno dallo stesso, il contribuente Gaetano Badalamenti³ di Cinisi, boss dei boss, che si rifiutava di pagare le sue imposte. Imperterrito, alla scadenza dei regolari avvisi, gli pignorai i frutti pendenti sugli alberi (arance, limoni, mandarini) nella sua tenuta.
A seguito di questa procedura, che non aveva mai ricevuta, il debito fu pagato senza fiatare. Non avevo pietà per i prepotenti. Alle donne povere, invece, che si presentavano piangendo, asserendo di non avere nemmeno da mangiare, cercavo di dilazionare a lungo i loro debiti, facendole contente e acquistandomi una parvenza di bontà. Il ruolo di esattore non piaceva né a me né a Lidia e per noi non aveva prospettive. Per questo motivo non cessavo mai di inoltrare domande per un nuovo lavoro, alfine di poter respirare aria di continente, ma sempre con esiti negativi.
Il 20 settembre ‘55 nasce sco che sarà battezzato da don Lorenzo Bertolino³¹ il 4 ottobre, proprio nella festa di S. sco.
²⁸ - La madre di Lidia
² - Dal libretto “quando la vita è dono” pag.40 e dal suo diario spirituale.
³ - Boss di Cinisi morto in America.
³¹ - Divenuto monsignore, con stanza a Monreale, fu trovato, vestito degli abiti da cerimonia, con la testa tranciata dalla lama di una sega a nastro da falegname. (suicidio o omicidio?) (mafia o non mafia?)
26. All’AGIP di Siracusa
Come risposta alla continua ricerca di lavoro, il 15 aprile 1956, l’AGIP mi assume presso il Deposito interno di Siracusa. Questa città rappresenta il punto più distante da Terrasini, e ancora una volta, sono costretto a una forzata separazione. Anno duro anche per Lidia che si trova a far fronte all’esattoria e agli impegni familiari con due figli, pur avvalendosi di una giovane collaboratrice domestica fissa.
A Siracusa nel gennaio ’57 ho riaperto il mio diario, chiuso tre anni prima, per vergare ancora le vicissitudini di un uomo sempre in travaglio e lontano dalle persone amate, ma che non trascrivo per pietà di chi mi potrebbe leggere.
27. Richiamo per esercitazioni militari
Il 1° luglio ’56, dopo pochi mesi dal mio arrivo a Siracusa, mi giunge l’avviso di presentarmi in seno alla divisione Aosta per un campo estivo di quaranta giorni per esercitazioni militari. Il campo si tiene nei pressi del paese di Ganci, sulle Madonie, in Sicilia e, secondo la mia innata disciplina, questo tempo lo trascorro con tutta serenità e attaccamento al dovere.
Sono rispettato dai soldati del mio plotone, Armi di Compagnia, ma non è facile adeguarsi e venire incontro alle esigenze dei soldati, ciascuno con problemi diversi, e madrelingua diversa. La località montana è molto bella, ma il mio pensiero va sempre alla mia famiglia. Dopo questo campo mi arriverà la promozione a tenente. Apprezzato dal mio Comandante di Compagnia, Cap. Arrigo, trascrivo il rapporto da lui effettuato alla fine del campo.
28. Rientro da Siracusa
Nel maggio ‘57 rientro a Terrasini e dall’AGIP sono assegnato a Palermo come Capo Magazzino Materiali presso il locale Deposito Interno. Situazione, quindi, di tipo tecnica e amministrativa che ho accettato di buon grado, anche per il fatto di essere vicino a casa, e che porto avanti con perizia, nella speranza di essere trasferito presto al nord. Viaggio ogni giorno, con una Fiat 1100, e almeno, la sera, posso rivedere tutti i miei cari: Lidia, Cinzia e sco. Proseguendo nella vita familiare il 13 gennaio 1959 nasce, nella casa di via Vittorio Emanuele, il terzogenito Paolo, bimbo meraviglioso dal peso di 4,6 kg. Nei giorni in cui Lidia è a letto, riceve sempre il Signore e anch’io, prima di andare al lavoro, faccio sempre la S. Comunione nella vicina chiesetta del Purgatorio. A mezzogiorno, nel luogo di lavoro, faccio un piccolo pranzo con alimenti portati da casa. Qualche volta, invece, vado a pranzo alla mensa ufficiali a Palermo.
Qui sono stato colto da molte sorprese. Un giorno, infatti, a un tavolo poco lungi da me, era seduto il mio ex comandante il 40° Reggimento, ed ex colonnello Giuseppe Massaioli, con una stella da generale. Dopo pochi mesi lo rividi con due stelle.
Dopo alcuni anni portava tre stelle da generale: generale di Corpo D’Armata e comandante delle forze militari di Sicilia! Diverse volte mi ha invitato al suo tavolo e abbiamo lungamente parlato di cose ate in quel di Bologna e delle cose presenti nelle prospettive future. Grande gioia per me che ammiravo quell’uomo per le sue doti umane, psicofisiche e militari di grande valore, suffragate anche dal fatto che, in seguito, fu nominato Comandante generale della Guardia di Finanza!
Generale a quattro stelle! Il massimo grado militare!
Nell’ottobre ‘59, dopo aver disegnato il progetto della nuova casa, e aver ottenuto i dovuti permessi, affido al capomastro sco Mannino, di Cinisi, la costruzione della villetta a due piani, avendo ricevuto dallo stesso, il migliore dei preventivi.
Dopo il parto di Paolo la mia preoccupazione è stata grande. Niente più nascite in casa! Così, in occasione della nascita di Silvia, avvenuta il 29 aprile 1960, ho scelto una delle migliori cliniche di Palermo, ma, nonostante ciò, il parto è stato molto difficile con travaglio lungo e doloroso di un’intera notte. Il cordone ombelicale si era, infatti, più volte arrotolato intorno al collo della bambina!
L’8 novembre ’60 ci insediamo nella nuova casa che è comoda e bella e che cerchiamo di arredare in modo adeguato. Data ormai la numerosa famiglia mia madre Rosa compie il più grande prodigio della sua vita per darci un breve aiuto.
Lei, che non era mai salita su un treno, da Parma, dopo le consuete ventiquattro ore, arriva a Palermo dove sono io ad attenderla con amore e gratitudine di figlio. Si tratterrà a Terrasini dai primi di gennaio ‘61 alla fine di febbraio, poi rientrerà a Carobbio portandosi sco che sarà dato in custodia alla famiglia di Arduina, figlia di Lucia, sorella di mio padre.
“Alla fine di febbraio 1961 resto ancora incinta… Umberto parte in giugno alla volta di Sesto S. Giovanni … Lascerà la casa che gli era costata tanti sacrifici e tanto lavoro. Ironia delle cose… non goderla nemmeno un anno! Ed io ancora sola…”³².
³² - Dal libretto quando la vita è dono pag. 43 e dal suo diario spirituale.
29. A Milano
Il lavoro che mi aveva procurato mio fratello Silvio era presso la ditta dell’Orto a Milano dalla quale mi staccherò dopo circa un anno e mezzo per incompatibilità di vedute circa la conduzione dell’officina da parte dei dirigenti proprietari.
La ditta, infatti, leader nel suo settore, quale produttrice di grandi cucine, lavatrici, centrifughe ed altro, per grandi alberghi, ospedali, ristoranti e marina militare, chiuderà i battenti qualche anno dopo per l’incapacità gestionale dei giovani proprietari, che non hanno saputo portare una vera rivoluzione sul lavoro.
La nascita di Alessandro avviene all’Ospedale della Feliciuzza a Palermo il 22 novembre dopo dodici ore di travaglio per cui alla fine interviene l’ostetrico, con l’avviso di non avere più figli per aver salva la vita.
Io rientro a Terrasini per le vacanze natalizie e, solo allora, posso stringermi tra le braccia e coccolare l’ultimo nato. Dopo l’Epifania ritorno al nord e Lidia resta ancora sola…
Intanto il 2 maggio 1962 matura un altro evento:
“Umberto conduce Angela³³ all’altare… Ormai è l’ora degli addii. Ormai cominciamo a dividerci anche materialmente completando quella divisione spirituale che già da tempo era iniziata”³⁴.
In realtà, in questa famiglia, non vi era mai stato un ambiente dai grandi valori familiari che tengono spiritualmente unite le persone. Ognuna delle quali ragionava a modo suo e faceva quello che voleva, non essendoci direttive educative genitoriali responsabili.
³³ - La sorella minore di Lidia
³⁴ - Dal libretto quando la “Vita è Dono” di Lidia pag. 44 e dal suo diario spirituale.
30. A Cusano Milanino
In questo periodo inizio un nuovo lavoro presso la ditta Manifatture Riunite Griziotti a Cusano Milanino, come capo manutenzione dello stabilimento tessile di canapa e lino. Questo lavoro, provvidenziale, mi è stato trovato da mio zio Gianni³⁵ essendo parente dei proprietari. Approfittando della chiusura, per le ferie d’agosto, rientro a Terrasini per imballare le ultime cose per il trasferimento al nord.
Così dò l’addio alla mamma Franca, alle cognate, e alla Sicilia e casa nuova e non vi tornerò più. Porto con me Paolo in aereo, che lascerò a Carobbio dal suo nonno Nicodemo. Paolo, arrivato a Roma, davanti a questo grande aeroporto, avrà questa bella esclamazione che rimarrà nella storia della famiglia: “Papà, quanti aerei!”
Purtroppo l’appartamento che ci era stato promesso a Cinisello subisce un ritardo e non ci viene consegnato. Così la rimanente famiglia, già partita da Terrasini, sarà ospitata da mio padre a Carobbio fino al 24 febbraio ‘63. Là, sco e Paolo sono già in trepida attesa.
³⁵ - Fratello di mia madre
31. A Cinisello Balsamo
Cinisello è un grosso paese alle porte di Milano ricco di industrie e di traffici di ogni tipo. E’ ben fornito di chiese, asili, oratori, farmacie e scuole.
Lidia è molto felice di essere finalmente in continente, lontano dalla Sicilia e dalle interferenze parentali ma, strano a dirsi, dopo pochi mesi dobbiamo alloggiare il futuro sposo di Letizia³ in cerca di lavoro: cosa inaspettata e non affatto gradita.
E’ una situazione quanto mai precaria e difficile stante il fatto che avevamo già cinque figli. Dopo diversi mesi arriverà anche la sorella Letizia con la madre che si stabiliranno a Cologno Monzese, dove i due giovani si sposeranno e vi rimarranno diversi anni fino alla loro chiamata contemporanea in Sicilia in servizio alla scuola media di Cinisi e S. Giuseppe Iato, in provincia di Palermo.
Da Cologno vi sarà, per molti anni, un continuo andare e venire di questi parenti che toglieranno anche la pace familiare che speravamo acquisita.
A Cinisello il 1° maggio e il 2 giugno del ‘63 Cinzia e sco ricevono la prima comunione e la cresima. A luglio la famiglia parte in villeggiatura per Carobbio mentre io la raggiungerò il ventisette agosto per rientrare insieme il 9 settembre. Intanto Lidia rimane nuovamente incinta della sesta creatura e si preoccupa perché all’ospedale l’avevano consigliata di non avere più figli per non perdere la vita. Scriverà il suo testamento:
(...) E se fosse vero? Cari miei bambini, mi si stringe il cuore al solo pensiero di
lasciarvi. Ma se così fosse, sappiate che muoio per compiere il mio dovere di sposa e di madre cristiana. Ricordatevi qualche volta di me nelle vostre preghiere e crescete puri e buoni così come vi insegna il vostro papà. Siategli sempre vicino, confortatelo, amatelo, ubbiditelo perché per voi è il più grande tesoro e come tale va custodito con cura e affetto.
Cinzia mia cara donnina pensierosa e timida, piccola bimba che si apre alla vita, sii generosa e pura, riservata e amante del bene. E tu caro sco a volte così faceto e tal’ altra un po’ scontroso, in fondo sento che hai un cuoricino tenero e buono. Offrilo ogni giorno al Signore perché lo renda più amante del buono e del santo. E tu Paoletto mio i cui occhi diventano ridenti e sei così gaio davanti ai dolciumi, anche tu cerca di crescere buono e di non essere sempre cocciutello. E tu Silviuccia, mia “spiziedda”, mia donnina in erba, in te ho riposto molte speranze di aiuto perché sei molto attiva, ma non lasciarti vincere dalla vanità; il tuo desiderio di fare, di lavorare, mettilo al servizio del Signore e troverai, lavorando per Lui e con Lui, la vera pace e la vera gioia. Tutto infatti a nel mondo e lascia in noi vuoto e amarezza; quello che resta è la buona e tranquilla coscienza. Ed in ultimo, mio amato Alessandro, troppo piccolo e incapace di capire... I tuoi dolci occhi azzurri ora di cielo e di poesia, conservali sempre così puri e innocenti, come il tuo cuore che vorrei fosse candido come la neve dei monti alpini. Tutti, uno per uno, vi amo immensamente e ora sarei felice se sapessi che vi consacraste tutti al Signore.³⁷
Nonostante ogni timore, il 31 agosto ’64 nasce felicemente a Monza il sesto figlio: Eugenio Roberto!
In questo periodo le Manifatture Riunite Griziotti chiudono definitivamente lo stabilimento ed io sono ancora, dopo due anni, a piede libero, senza lavoro. Faccio inserzioni e rispondo a qualcuna di esse sul Corriere della Sera. Ad una di queste mie ultime inserzioni, l’ORGA – ditta per l’organizzazione e la selezione del personale per le aziende - mi chiama per diversi colloqui e mi qualifica per ricoprire il ruolo di Capo Officina di Manutenzione del Cotonificio Cantoni in Legnano.
³ - Altra sorella di Lidia
³⁷ - Dal libretto “Quando la Vita è Dono” pagina 48 e dal suo diario spirituale.
32. A Legnano e al Cotonificio Cantoni
Il 1° maggio ’65 inizio la mia attività al Cotonificio viaggiando da Cinisello con la macchina, mentre la famiglia al completo, prenderà stabile dimora a Legnano in autunno. Ero arrivato al massimo delle mie aspirazioni: un lavoro tecnico pieno di possibili future innovazioni; la chiesa e l’oratorio vicini; le scuole e l’ospedale a pochi i; una città piena di risorse. Ringrazio dunque il Signore che mi ha accompagnato attraverso molte strade a quella che, sembra, sia il traguardo definitivo della mia vita, stando anche alle promesse dell’ingegnere capo per il quale la Cantoni era una industria stabile e indistruttibile paragonabile allo Stato.
Nel giugno del ’65, dopo pochi mesi dalla mia assunzione al Cotonificio, viene a mancare a Carobbio, la grande figura di mio padre Nicodemo gettando la famiglia nel panico profondo. Colui che teneva legata la famiglia, sotto diversi aspetti, ora se n’era andato per sempre.
Il rimpianto fu grande, non solo nella nostra casa e parentado, ma in tutta la valle del Parma.
Chi dava consigli, chi smussava le controversie, chi aveva per ogni problema una soluzione e una parola buona, d’ora in poi non avrebbe più aiutato nessuno, e tantomeno i suoi familiari. Grande cordoglio in tutta la Val Parma!
Nel ’66 il parroco don Giuseppe Sironi, della Parrocchia del SS. Redentore di Legnano, conferisce a Lidia l’incarico di Presidente delle donne di Azione Cattolica; incarico che porterà avanti con grande impegno e ione fino alla sua morte. La famiglia intanto è molto unita e si ritrova sempre al completo durante le liturgie domenicali presso la loro chiesa.
I figli, secondo l’età, svolgono il servizio di chierichetti, seguono i corsi catechistici e partecipano alle attività dell’oratorio. Si può ben dire che il futuro appare quanto mai promettente per la numerosa famiglia. Così alla fine dell’anno scolastico ’66, la famiglia si ritrova ancora a Carobbio a trascorrere le vacanze estive, e così avverrà nell’estate del ’67.
Al Cotonificio Cantoni mi trovo a completo agio, anche perché avevo ottenuto dai superiori la piena autonomia della gestione dell’officina che ho portato avanti con determinazione.
Gli operai in carico all’officina erano circa una sessantina, divisi in molte specialità, e la cui efficienza era affidata soltanto alla loro capacità personale. Mancava il comando, la disciplina, l’organizzazione e l’unificazione delle idee e dei prodotti.
L’officina è stata rivoluzionata con pavimentazione nuova, nuovi banchi da lavoro da me progettati, nuove attrezzature individuali, nuove macchine utensili e l’aggiornamento del magazzino dei materiali.
Si tennero molte lezioni tecniche e pratiche, che furono provvidenziali per riqualificare gli operai.
Al seguito di quest’ampia e accurata formazione professionale, e la scoperta di nuove tecniche di lavoro, gli operai si resero più capaci e più importanti per se stessi. Avevano acquisito la giusta professionalità nell’ambito delle varie specialità e ne erano orgogliosi.
Tra le tante cose che hanno rivoluzionato questo ambiente, all’inizio della mia attività, (cosa forse mai avvenuta in una grande azienda italiana), posso ricordare, con orgoglio, il contatto umano avuto con quasi tutti gli operai attraverso un colloquio personale, (che chiamarono confessioni) basato sulle problematiche di lavoro, economiche, familiari e di rapporto con i colleghi, ecc. Ciò ha reso, nel seguito, un reparto molto affiatato e responsabile. Al punto che, molte volte, con le famiglie degli operai, abbiamo fatto molte gite domenicali insieme in armonia e fraternità. Diranno poi, i dirigenti di alto grado, che un’officina così efficiente non si è mai vista in nessuno stabilimento tessile in Italia.
Ne era nata la manutenzione preventiva programmata per cui ogni macchina non si fermava più accidentalmente per un guasto, ma era fermata da un programma stabilito, attraverso il quale, questa, veniva revisionata dalla testa alla coda.
Gli operai dell’officina Cantoni con le famiglie in gita domenicale
Nel pieno vigore della mia attività, brevettai una fresatrice da tornio, il cui lavoro è stato di un’utilità immensa. Brevetto che non ho più rinnovato per i successivi tristi eventi familiari.
La fresatrice da tornio da me brevettata
33. Infortunio mortale in Cantoni
Una cosa molto triste, è stata la morte di un operaio elettricista che era da poco rientrato da militare. All’ultima domenica delle ferie del 1966, essendo il reparto manutenzione in piena attività, era stato assegnato a questo operaio specializzato, dal suo capo elettricisti, l’incarico di pulire le cabine dell’alta tensione che distribuivano la corrente ai vari reparti.
Mentre gli assistenti delle altre specialità ed io, eravamo presenti, per i compiti di nostra pertinenza, il capo elettricista non aveva ritenuto opportuno essere sul luogo per questi lavori così importanti e pericolosi. Nel pulire una alla volta le cabine elettriche che erano divise da un muretto, un probabile contatto con altra adiacente, già sotto tensione, ha sbalzato il giovane elettricista a terra senza vita.
A nulla valse la corsa all’ospedale con la mia macchina, sulla quale vi era salito anche il padre tornitore, in quanto fu subito riscontrata la morte.
Triste epilogo di una giornata domenicale di lavori straordinari in stabilimento e grande il dolore dei genitori per l’unico figlio maschio e di tutti gli operai dell’officina!
Dopo circa cinque anni venne a bussare alla porta di casa mia un ufficiale giudiziario con l’avviso di presentarmi in tribunale per un primo interrogatorio in quanto ritenuto responsabile di omicidio colposo.
Antonia, da pochi mesi sposata, riceve questo foglio tra le mani ignara, desolata e tremante. Immediatamente partirono le ricerche dei legali e, all’avvocato
penale, affiancammo un ottimo civilista che, ci disse, lavorò per noi tutti i giorni intorno al Natale.
Il processo si svolse qualche anno dopo ma fui completamente assolto poiché il fatto non era a me ascrivibile, perché non ero idoneo alla guida del reparto elettricisti, per la mia incompetenza in campo elettrico, come confermato all’atto dell’assunzione.
Per cui il Cotonificio Cantoni dovette assumere un perito elettrotecnico.
34. Estate del 1967
A Carobbio, durante la solita vacanza estiva, il 4 agosto, Lidia è colpita da una malattia incurabile. Ricoverata presso l’Istituto di Clinica Ostetrica Ginecologica dell’Università di Parma, le viene diagnosticato un “carcinoma ovarico bilaterale a partenza gastrica” (detto tumore di Krukenberg). Si procede con un primo intervento chirurgico all’asportazione dell’enorme massa tumorale e degli organi interessati.
Dimessa il 26 agosto, il 12 settembre si tenta una successiva esplorazione che evidenzia: “la presenza di una voluminosa neoplasia gastrica con metastasi epatiche ed una carcinosi peritoneale particolarmente diffusa”. Rientra a casa il 25 ma per lei, che era sempre stata in ottima salute, i giorni sono contati.
E noi, familiari, e in particolare io che l’amavo a dismisura, li abbiamo contati uno per uno. Colei che il Signore me ne aveva fatto dono, ora a Lui doveva ritornare, dopo un percorso non privo di gioie e dolori.
Il 5 aprile, nella camera d’ospedale facciamo insieme la nostra ultima Comunione, mentre Silvia, sarà autorizzata a fare la sua prima Comunione presso il letto della mamma morente alla presenza dell’Assistente dell’Azione Cattolica, familiari e suore.
Le ultime giornate terrene di Lidia furono consolate da un continuo pellegrinaggio di conoscenti e di persone non conosciute, perché la sua fama di madre, sposa, e donna eucaristica, aveva aperto le porte al territorio legnanese.
La nostra ultima Comunione insieme
Silvia riceve la prima Comunione nella camera d’ospedale della mamma morente.
L’8 aprile ’68 Lidia chiudeva definitivamente gli occhi alla luce di questo mondo lasciando sei figli piccoli e un marito che l’amava più di ogni altra cosa al mondo e che l’ha accompagnata, amorevolmente, fino all’ultima ora, con l‘amore grande di sposo.
Per un uomo, amante della casa e della famiglia, la perdita della sposa sembra qualcosa d’irreparabile. Ma non mi sono perduto d’animo perché la fede mi ha sostenuto e salvato. E’ nella fede che ho potuto dire - e ridirò più tardi.³⁸ - che in questi casi non bisogna piangere per la perdita della sposa, ma ringraziare il Signore perché ce l’ha data in dono. Dono grande e non di proprietà, per cui vale il detto di Giobbe: “Dio ha dato, Dio ha tolto, sia benedetto il nome del Signore”.
Nel dicembre del ’67, prevedendo la prossima morte di Lidia e ricordandomi che mio padre Nicodemo in cambio di un pezzo di terreno ceduto al Comune per ripianare la quadratura del cimitero a Carobbio, aveva ottenuto il permesso di costruire una cappella di famiglia, ho progettato la nuova struttura, che lui non aveva potuto realizzare per la morte prematura, e fatto costruire la cappella di famiglia, ricca di opere d’arte in ferro battuto.
In ricordo di Lidia farò una raccolta di denaro che invierò alla fondazione Mani Tese, il cui presidente scriverà:
“Aprile 1968. Il marito della signora consegna a Mani Tese una busta. La grossa somma viene subito destinata alla micro 156 e inviata in India per la costruzione di un secondo piano di una scuola elementare di villaggio, dove ci sono 300
bambini, divisi in diverse classi. Sapranno di dovere tutto questo a una madre che non hanno mai visto, ma che li ha molto amati”. (Silvio Ghielmi)
Cappella di famiglia dei fratelli Manini a Carobbio.
In seguito, la mia quota parte di questa bellissima cappella di famiglia, che mi era costata tanto lavoro, sacrifici e preoccupazioni, la cederò gratuitamente ai fratelli. Lidia troverà sepoltura, invece, al cimitero monumentale di Legnano, di Corso Magenta, al Campo “O” n°224 nella nuova cappella acquistata dal Comune.
³⁸ - V. mia meditazione su: “Perché piangere?”
35. Il funerale di Lidia
Per mia disposizione il funerale è stato celebrato senza fiori e senza drappi neri nella chiesa e in casa: Non fiori ma opere di bene!
Seguono il feretro, i sei figli piccoli³ , con in mezzo il loro papà, portando ciascuno una rosa in mano. Il personale dell’officina Cantoni era presente quasi al completo e, quest’affetto pronto e generoso, mi ha molto consolato e mi ha fatto capire che gli operai mi volevano bene e che ero divenuto per loro un amico e una guida.
Molte le donne dell’Azione Cattolica.
Erano presenti già da qualche giorno, nella mia casa, oltre che la madre e le sorelle, sua zia suor Letizia e suor Antonietta Cordova, venute dal loro Istituto Salesiano di Catania per assistere gli ultimi giorni di Lidia. Suor Antonietta, già sua insegnante di matematica a Messina, traccerà un bellissimo profilo di Lidia che sarà riportato sul libretto “Quando la Vita è Dono”, curato dall’editrice “In Dialogo” Milano.
³ - sono in ordine di nascita: Cinzia anni 13, sco anni 12, Paolo anni 9, Silvia anni 8, Alessandro anni 6, Eugenio anni 3.
36. A chi leggerà queste mie righe
Cari lettori, se siete arrivati fino a questa pagina, senza avermi ripudiato, è segno che siete veramente degli eroi; eroi a 5 stelle: da medaglia d’oro! Perché una memoria, anche vera, incentrata sulle vicissitudini di una persona o di una famiglia può essere noiosa e respingente. Si potrebbe dire che sono le solite cose, che tutti sanno e che non c’è bisogno di scriverle. In realtà non vi dò torto, perché, forse anch’io mi sarei annoiato. Ma certe situazioni mi avrebbero indubbiamente colpito e fatto pensare.
Vi sono però, nella storia di ognuno di noi, dei momenti riflessivi che cedono il o alla distrazione; momenti di gioia e di sconforto; di paure e temerarietà; di giustizia e disonestà, di purità di cuore e immoralità, che formano un’assembramento spinoso dal quale spesso siamo aggrediti e ci sembra di non avere via di scampo.
La testimonianza di persone che hanno attraversato questo labirinto, può essere di grande utilità. Ecco perché ritengo che una forma di vita vissuta e portata al vaglio delle persone in travaglio possa essere utile per il superamento di difficoltà. Ciascuno può succhiare dalle esperienze degli altri utili informazioni per una migliore accettazione di quanto può avere in sofferenza. Non che io intenda essere un maestro in merito, ma le mie vicissitudini di ragazzo nella povertà, di uomo, di padre, di lavoratore, di militare e di credente, che sono messe nelle vostre mani, potrebbero alleggerire un cammino a parvenza difficoltoso e senza sbocchi, dando serenità e pace ai vostri cuori. Perché qui non vi è solo la mia storia, ma la storia di un mondo che ha girato intorno a me e oltre la mia persona e che continua ad abbracciare ogni persona che vive su questa terra.
In seguito, ricordando questa mia sposa, scriverò:
37. A LIDIA da: Rimembranze discorsive40
Quando i tuoi occhi mi vennero incontro,
in un meriggio estivo, sulle strade montane
del nostro destino, trovai, nel tuo abbraccio
di donna sconosciuta, pace, ristoro, tenerezza
e quell’affetto che scioglie i cuori più induriti.
Non c’eravamo mai visti, ma il nostro dolce
conversare sembrava provenire dall’eternità.
Quale scarico fu dei pensieri e frustrazioni.
quell’abbraccio spontaneo e rasserenante,
al ritorno da studi pesanti e d’esame di stato!
Il tuo parlare era morbido, il tuo sguardo
riservato, le tue parole come voce d’Angelo.
Pessimista e sfiduciato sull’avvenire del mio
destino, temevo che non esistesse più anima
candida con cui costruire insieme un disegno
di casa con tanti occhi di bimbi. Fui sorpreso
che anime nobili e virtuose esistessero ancora!
Così anche il tuo cuore, Lidia, trovò nel mio
quello che in altri non hai trovato: religiosità
sincerità, moralità, e molte altre virtù nascoste.
Per questo, davanti al Signore, nella Chiesa
dei miei cinque Sacramenti, nei primi giorni
d’autunno, ti consacrasti a me per tutta la vita.
Hai lasciato la tua Chiesa siciliana per costruire
un’altra Chiesa in un santo focolare domestico.
Hai lasciato il tuo paese, il mare, le montagne
assolate, le persone care, gli affetti giovanili,
ogni cosa cara della tua terra per seguire me;
l’amato sposo, che hai amato sopra ogni cosa,
come io ho amato te, mia sposa, su ogni cosa.
Sei stata donna dolcissima e santa nel sacro
focolare, che hai allietato con numerosi figli,
pur attraverso gioie pure e vere e sofferenze.
Li abbiamo portati tutti al fonte battesimale,
questi sei figli, perché diventassero veri figli
nel Figlio di Dio, indirizzandoli a percorrere
la strada della giustizia, della pace e santità.
Abbiamo camminato insieme per un piccolo
tratto di strada⁴¹ per le vie di questo mondo
tenendoci stretti per mano, nella coniugalità
perfetta, sostenuta da un amore fortissimo,
oblativo, tenerissimo, fuso nell’Amore più
grande che veniva da Dio: Carità infinita!
Poi mi hai lasciato perché l’Eterno, da altra
sponda, ti ha chiamata e perché eri pronta
per il Cielo, con i tesori cumulati sulla terra.
In quell’apoteosi del tuo trao ho potuto
gioire perché, pur nel dolore, ti restituivo,
quale Dono preziosissimo ricevuto, a Chi,
per Sua Grazia, si era chinato sopra di me
e ti aveva portato, sicura, tra le mie braccia.
Dolce Lidia, sei stata per me l’amore vero,
quello che inebria la vita; la fede, il colmo
delle mie speranze, il volto della sposa che
consola, che sorride, che ama fedelmente
e disinteressatamente e porta pace al cuore.
Ed ora che ripenso al tuo gesto oblativo
di lasciare tutto per me, per sempre, come
voluto da Dio Padre⁴² agli albori della vita,
mi coglie un nodo al cuore perché hai riposto
in me la tua fiducia e la disponibilità totale
legando alla mia esistenza la tua perpetuità.
Dolce colomba, che da lontano sei volata a me
per fare un nido sulla salda Roccia, quanto
grande è la mia riconoscenza e preghiera
perché tu possa godere, beata, in altro luogo,
ciò che sulla terra ti è stato non concesso,
ed io, in povertà, non ti ho mai potuto dare!
Grazie Lidia, il mio cuore è sempre stato
tuo e tu mi sei dentro come soffice piuma.
Nella pia preghiera il mio ricordo perenne.
Il tuo Umberto 18-10-2013
Il rientro a casa dal funerale è stato uno di quei momenti che toglie il respiro; ti fa sentire un vuoto profondo destabilizzante; quasi la sensazione di essere sospeso in aria, senza forze e senza prospettive. Ma non era giusto sprofondare in angosce, disperazioni o tormenti. I figli erano lì che attendevano dal papà la parola e il comportamento usuale che fa vivere la famiglia in modo normale. Certo, anche loro erano tristi e afflitti per la mancanza della mamma, ma, anche se piccoli, certamente riuscivano a capire che da quel momento io avrei dovuto essere per loro il papà e la mamma.
Di là dalla morte, ora si doveva cercare la vita. Futuro che, pur non prospettandosi idilliaco, si doveva affrontare, misurare, penetrarlo nel profondo, per capire quali potessero essere le strade obbligate da seguire perché la famiglia rimanesse salda e unita.
Vi erano molti impegni da affrontare: il lavoro, la scuola, la conduzione di una casa grande, la costante educazione dei figli, le pratiche religiose... e, per ognuno di questi, occorreva disponibilità, capacità, molto tempo. I primi momenti furono affrontati con l’aiuto di mia madre Rosa e Cinzia. Ma, via mamma Rosa, Cinzia non era più in grado di condurre la casa e seguire i fratelli. Fu allora che venne da noi una governante di cinquantadue anni, alquanto rigida ma dotata di buone capacità lavorative per la gestione familiare. Fu per me un sollievo breve perché, con Cinzia, non andarono d’accordo.
Fatte tutte le possibili considerazioni e come da suo desiderio, Cinzia fu inviata a Messina da P. Alessandro⁴³ che aveva costituito un piccolo gruppo di suore laiche. Qui stette per circa un anno, fino a quando, disperato per il comportamento della governante nei miei confronti, che ho dovuto licenziare, dovetti richiamarla.
Seguirono due anni tristi e bui, là dove solo la fede poteva far vedere un po’ di luce.
Cinzia, pur avendo raggiunti i quattordici anni, non era in grado di assumersi la responsabilità della conduzione familiare in quanto non era portata ai lavori di casa.
In qualche modo, ma stentatamente, siamo alfine giunti là dove il Signore ci portava per mano.
Sul nostro orizzonte temporale comparve una grande figura di donna: una colonna d’angolo: Antonia!
⁴ - Dalla raccolta inedita “Riflessioni, Preghiere, Speranze...”
⁴¹ - 14 anni
⁴² - Genesi 2-24
⁴³ - Già Padre spirituale di Lidia
38. Antonia
Antonia era una donna dotata di grandi ideali e ricca di sentimenti umani, religiosi, familiari e sociali.
La sua gioventù è stata quanto mai travagliata e sofferta. In giovane età le vennero a mancare, a breve distanza, il padre e la seconda madre⁴⁴. Dei tre fratelli uno⁴⁵ era sposato e gli altri due⁴ erano ancora piccoli. Lei, che era la maggiore dei due ultimi, aveva circa 14/15 anni. Durante la guerra Franco fu chiamato alle armi e l’8 settembre del ‘43 cercò riparo in Svizzera.
Rientrò qualche anno dopo con la tubercolosi e fu ricoverato in un sanatorio, nel comasco, dove terminò la sua vita. A visitarlo si presentava soltanto Antonia!
Alla morte di Franco la moglie, conscia che il locale e il macchinario di falegnameria del padre che erano stati affidati a suo marito, perché più anziano, portò via ogni cosa, eccetto i muri per i quali fece firmare cambiali ad Antonia per lasciare loro la parte di casa che non poteva trasportare. Cosa quanto mai deplorevole, inumana e ingiusta, perpetrata a danno dei rimanenti fratelli orfani e minorenni di cui Antonia avrà poi la tutela giudiziaria!
Nel frattempo Antonia si diploma a Como come maestra elementare e col lavoro comincia a pagare le prime rate. Nell’anno in cui era impiegata a Saronno presso la ditta Lazzaroni, fu investita e, quasi a pezzi, fu portata al locale ospedale, dove resterà per oltre tre mesi.
Nonostante questa precaria situazione le arrivano da pagare, con ingiunzione, le
cambiali che la cognata le invia senza pietà.
La riabilitazione dura molti mesi e Sergio si adopra a Milano a fare il commesso per portare a casa qualcosa per sopravvivere. Nino, invece, si diletta, a cambiare spesso i suoi tromboni, così come le biciclette, all’insaputa di Antonia che, invece, deve pagare le sue malefatte per non esporre a brutte figure i familiari.
Più tardi, sarà chiamata in Svizzera dai Padri Scalabriniani per avviare un asilo per i figli degli immigrati italiani e vi si tratterà per circa cinque anni.
Ritornata in Italia, otterrà il diploma di assistente sociale che la renderà operativa, per qualche anno, in Germania presso la missione cattolica italiana e poi in Italia presso grandi aziende.
Ristrutturata la sua casa in modo adeguato, utilizzando tutti i guadagni della sua vita, è poi invitata ad andarsene per conto suo, fuori di casa. Si rifugerà presso la casa della laureata a Milano, dove pagherà l’alloggio, nonostante i sacrifici fatti per ristrutturare e utilizzare la propria dimora a Cermenate.
E’ qui a Milano, in questi frangenti, che la conobbi. Ci siamo incontrati alcune volte per una conoscenza generale, cercando di vagliare le profondità dei nostri caratteri e sentimenti; per trovare ciò che è indispensabile per una vita di coppia. Antonia era una donna dotata di grande esperienza e di forte personalità, ma con una psicologia orientata a delicati sentimenti umani e spirituali. Poiché i nostri pensieri, le nostre aspirazioni, la nostra religiosità, il ato e il futuro potevano far parte di una possibile comunione di vita, abbiamo deciso che questa era la nostra futura strada. Antonia, dopo il primo mese da fidanzata, considerando la mia situazione familiare nei suoi molteplici bisogni, a fine di settimana, veniva ad aiutarci alloggiando, la sera, dalla signorina Mocchetti. In poche settimane fu ripristinato, anche provvisoriamente, il discreto uso della casa e, in seguito,
furono portati a Monza tutti i figli per rivestirli di nuovi abiti per i loro bisogni e per la futura cerimonia. E’ stata una corsa contro il tempo!
Nel giro di poco più di due mesi abbiamo capito che eravamo fatti l’uno per l’altra e abbiamo dato ali al sacramento. Antonia accettò con grande cuore di sposare con me tutta la mia situazione familiare, così com’era, essendovi le premesse umane, morali, naturali e religiose, per effondere in essa l’amore di sposa e di madre con l’oblazione di tutta se stessa.
Fu il grande miracolo di una donna che sposerà, senza mezze misure, la mia situazione familiare di sette persone! Cosa, credo, mai avvenuta!
Così il ventisei aprile 1971, nella chiesa del SS. Redentore, ho ripetuto il mio secondo “SI”, con la gioia grande di aver trovata una donna degna di un compito così alto e misterioso, con la quale potevo ricostruire la famiglia secondo il cuore di Dio: la piccola Chiesa domestica!
Ha officiato, con nostra inaspettata e grande sorpresa, un Padre Scalabriniano, venuto appositamente da Basilea quella mattina, quale ringraziamento ad Antonia per i cinque anni da lei donati per la costruzione e avviamento dell’asilo per i figli degli immigrati italiani in quella zona svizzera.
Finalmente la famiglia aveva un’altra mamma!
Finalmente io avevo un’altra sposa degna della prima!
Finalmente le nuvole minacciose sopra il nostro cielo sembravano cambiare colore e colorarsi di rosa!
Quel giorno anche la chiesa sembrava abbracciarci pronta per il rito. Due giovani sposi, infatti, che erano appena usciti dalla loro celebrazione, avevano lasciato l’ambiente fiorito e predisposto per noi!
Umberto e Antonia dicono “SI” per sempre, finché morte non separi.
Gli sposi davanti all’Altare
La sposa con i sei figli, amici e parenti
Dopo la cerimonia religiosa ci siamo ritrovati nel vicino ristorante Gaucho Roberto, nel quale i figli hanno potuto scorrazzare in lungo e in largo in questo meraviglioso luogo, ripieno di casette nane, pini e vegetazione rigogliosa, pronta ad aprirsi alla primavera in atto.
Da qui siamo andati per due giorni a Cernobbio e poi siamo partiti, in aereo per Lourdes, a consacrare il nostro matrimonio all’Immacolata Vergine di Bernadette.
In viaggio di nozze a Lourdes
⁴⁴ - Il padre di Antonia si è risposato dopo la morte della prima moglie. Questo determina la differenza di età tra Franco e gli altri fratelli della seconda madre.
⁴⁵ - Franco, il maggiore, figlio della prima moglie del padre.
⁴ - Nino e Sergio figli della seconda moglie del padre.
39. Riorganizzazione della casa e figli
Al ritorno abbiamo trovato mamma Rosa con i sei figli che ci aspettavano con ansia.
Da questo momento Antonia prende possesso della casa e la riorganizza in modo definitivo, col mio aiuto e quello dei ragazzi. Con lei tutta la famiglia comincia a funzionare a dovere. Viene dato a ciascun figlio la tabellina dei suoi lavori e ognuno è impegnato a fare qualcosa. Al mattino sveglia all’ora fissata; colazione; rifacimento del letto e uscita per la scuola. Ai più grandi è dato anche il compito di apparecchiare la tavola, sparecchiare e, in qualche occasione, lavare i piatti. Al sabato poi, le grandi manovre. Ognuno doveva mettere in ordine e pulire la propria camera anche col lavaggio del pavimento. L’esperienza che state facendo, dicevo loro, vi sarà molto utile per la vostra vita futura.
Nota: Voi giovani di oggi, siete d’accordo con questo tipo di educazione familiare o preferite che tutto vi sia dato gratuitamente e le vostre mamme siano le vostre serve, le vostre cuoche, le vostre taxiste; quelle persone di cui avete bisogno anche e solo per stirare i pantaloni? E Voi mamme ritenete che i vostri figli debbano acquisire una loro autonomia personale per decidere il proprio futuro anche attraverso una esperienza laboriosa in famiglia, quali primi elementi di un percorso di vita? O ritenete necessario che i vostri figli stiano rincantucciati in famiglia e quivi mantenuti fino all’età di 40-50 anni precludendo loro, per un vostro egoismo, la possibilità di esprimere un personale cammino di vita e la costituzione di una loro famiglia?
La mia grande odissea sembra finita.
Non tutti però accettano di buon grado la nuova mamma.
Qualcuno/a farà atti di insubordinazione e capricci, forse ammaestrati dalla loro nonna Franca siciliana per la quale io non dovevo più risposarmi, per non offendere la memoria di Lidia.
Perché così si pensava, e forse si pensa ancora, in certi ambienti siciliani, a scapito del futuro dei figli rimasti orfani!
Tra lavori di casa e d’officina trascorriamo i primi mesi di vita familiare, non facili perché si dovevano ripianare molte cose e ristabilire il giusto rapporto umano tra di noi e le cose che ci circondavano.
Ad aiutare questa nostra nuova situazione familiare vi era il nostro amato cane Yuppi, il quale, attraverso la sua amorevole umanità, ha rinsaldato i vincoli tra noi, divenendo un nostro affettuoso familiare. Yuppi è stato veramente il legante affettivo di tutta la famiglia. Le sue avventure, di umanità e amore, sono raccontate nel libro: “IL NONNO RACCONTA – Storia di un cane e di una famiglia”, edito da Youcanprint, sia in forma cartacea che in ebook, nell’aprile 2014.
Intanto per aiutare l’economia familiare, Paolo e Alessandro si adoprano per distribuire le rubriche telefoniche, portare fiori a domicilio e dedicarsi a piccoli altri lavori per raggranellare qualche soldo che sarà utile per loro e per tutta la famiglia
In questo primo anno, ad agosto, andiamo a Carobbio per le vacanze estive. Portiamo con noi anche il cane Yuppi, che era arrivato a casa nostra poco prima delle nozze, donatoci da Nino, e che ci aveva già rallegrato con tante belle sorprese che sono riportate sul libro di cui sopra.
A Carobbio Antonia è a suo agio ed esprime tutte le sue potenzialità di mamma e di persona capace di grandi imprese e delicati rapporti umani. Rientriamo a Legnano a settembre e lei si dedica alla cura dei figli, con visite e ricoveri in ospedale.
Il primo ricovero è quello di Paolo, per asportazione di appendice ed altro e, successivamente, quello di Alessandro ed Eugenio, rispettivamente per tonsille e per tonsille ed adenoidi. Si ricominciano le scuole e i sei figli si rimettono al lavoro per essere tutti promossi l’anno successivo. A livello scolastico i ragazzi si sono comportati sempre molto bene alleggerendo in tal modo le nostre preoccupazioni di genitori ancorati al bene della famiglia. Per qualche anno andiamo ancora a Carobbio per le vacanze estive.
Facciamo molte escursioni nelle località vicine, come il fiume Parma, i Lagoni, Corniglio, Bosco, Fragno, la visita al castello di Torrechiara, ed altri paesi vicini. Da Legnano continueremo le nostre escursioni in località lontane, per ammirarne i paesaggi e per esperienze di tipo scolastiche utili per la formazione storica, geografica e culturale dei nostri figli...
Yuppi l’amico fedele
Silvia impara a nuotare al fiume Parma
Castello di Torrechiara (Langhirano-Parma)
40. A Carimate
Una delle tante visite fuori porta, da Legnano, e interessanti dal punto di vista artistico e storico, è stata quella al castello di Carimate. Questo castello si trova in provincia di Como e nelle vicinanze del paese di Antonia, per cui non abbiamo avuto difficoltà ad arrivarci. E’ ricco di storia e, sembra, che la prima costruzione risalga al 1149, ma la base di quello ora esistente risale all’anno 1345.
L’edificio fu usato come postazione di villeggiatura e di caccia, ma soprattutto quale fortezza di guardia dell’antica via Regina, strada di comunicazione tra Milano, Como, l’alto Lario e le valli svizzere Ticinesi.
Il Castello è circondato da un bellissimo parco di trenta ettari, con piante secolari, essenze rare, serre per fiori preziosi, attraversato da piccoli stagni, rifugio accogliente per ogni tipo di selvaggina.
Popolata da fagiani, lepri, cervi e uccelli acquatici, la proprietà era considerata una delle più belle riserve di caccia della Lombardia. Durante il Risorgimento Vittorio Emanuele II e Giuseppe Garibaldi dall’alto della torre sud, seguirono alcune manovre delle truppe implicate nel conflitto della terza guerra d’Indipendenza. Qui abbiamo ato una bella giornata di fronte a queste antiche grandezze verso le quali Yuppi non si dava pace perché non riusciva a capirle e visitarle, stante anche il fatto che quel giorno i battenti erano chiusi.
Il castello di Carimate nella sua magnificenza e imponenza
41. A Porto Venere
Nel ’73 andiamo a Porto Venere, dove nutriamo lo spirito con le bellezze della natura, col bellissimo mare azzurro, con l’aria tiepida e salmastra e dove possiamo vedere anche i luoghi frequentati dal poeta, scrittore e patriota inglese Gordon Byron, ricordato da una lapide marmorea dal popolo di Porto Venere.
I figli si divertono oltre misura scavando trincee nella sabbia e rotolandosi in esse col cane e rincorrendosi; nuotando e tuffandosi nell’acqua leggermente increspata da una leggera brezza. Fu un momento di ampio respiro per tutti i partecipanti che rientrarono a Legnano felici e contenti, ma sempre desiderosi di proseguire con altre bellissime avventure.
Gita a Porto Venere con tre figli, moglie e Yuppi
La grotta di Lord Byron a Porto Venere
Lapide marmorea dedicata a Lord Byron
42. Campeggio al Monte Bianco
L’Oratorio della parrocchia del SS. Redentore in Legnano organizzava, ogni anno, un periodo di ferie estive in località montana per i suoi iscritti. Nell’anno ’74 il campo base fu posto in una località vicino al Monte Bianco, e vi parteciparono Paolo e Alessandro. Da questo campeggio si poteva contemplare il bellissimo Monte ricoperto di eterna neve bianca riverberante al sole estivo.
L’ambiente montano era straordinariamente bello. I prati ricoperti di erbetta finissima si alternavano ai piccoli boschi, quale rifugio dai raggi del sole che a quell’altitudine potevano bruciare la pelle. Vi erano sorgenti d’acqua fresca alle quali si poteva attingere per la sete. Volgendo lo sguardo in alto s’incontravano incontrastate piccole montagne che via via diventavano sempre più nude. Guardando verso il basso il panorama era mozzafiato. Colli verdi intercalati da nude rocce, ruscelli spumeggianti, piante di ogni qualità, paesini dispersi lungo i dorsi delle montagne che avevano il sapore di piccoli presepi.
La gioia di vivere quest’avventura montana, di Paolo ed Alessandro, è descritta dai loro volti sorridenti.
Una domenica, con Antonia, siamo andati a trovarli. Vi fu una esplosione di felicità, moltiplicata dalla presenza di Yuppi, che, con l’incontro dei fratellini, faceva ruzzoloni, veloci camminate, salti di gioia regalando abbracci e baci a dismisura. Fu un momento indimenticabile!
Alla nostra partenza serale ancora abbracci e baci dai figli ai genitori e all’amata bestiola, alla quale non erano ma stanchi di portarle affetto.
Il cane, che aveva già in memoria l’ora esatta della partenza, si era già accovacciato allo sportello destro della macchina, pronto per fare il salto dentro, per non rimanere fuori.
Era, infatti, sempre il primo a salire in macchina appena si apriva lo sportello anteriore destro in quanto le sue valigie erano sempre pronte.
I figli rientreranno alla loro casa ricoperti della tinteggiatura estiva che il caldo sole aveva loro impresso, quasi pittore senza attrezzi, spazio e tempo.
Alessandro col fedelissimo Yuppi
43 A Sestri Levante
Nell’ambito dei nostri programmi istruttivi e dilettevoli nel 1975 siamo andati a Sestri Levante, ospiti dell’Opera “Madonnina del Grappa” tenuta dalle Oblate di Padre Mauri dette di Cristo Re. Si tratta di un luogo di spiritualità per coppie di sposi, dove si trattano problemi coniugali e familiari, ma con possibilità di potersi muovere. Sestri è un bellissimo paese di mare dove la spiaggia è a forma di falce che determina una penisola, all’estremità della quale sorge un alto promontorio da cui si può vedere il mare e le coste da una parte e dall’altra. Per la sua conformazione geografica è definita localmente come la "città dei due mari", essendo il centro storico sestrese affacciato sulle due baie "delle Favole" e "del Silenzio". E’ un luogo turistico e alberghiero degno di rispetto sulla costiera ligure. A Sestri, presso le Oblate di Cristo Re, abbiamo pernottato alcuni giorni godendo delle bellezze dei luoghi incantevoli, sia sul lungo mare che sulle colline adiacenti e, infine, abbiamo fatto ritorno alla nostra casa di Legnano, lasciando Cinzia all’Istituto.
I sei figli a Sestri Levante con l’immancabile Yuppi
Queste gite fuori dal confine della città di Legnano, - non tutte elencate avevano lo scopo di venire incontro ai desideri dei ragazzi e nello stesso tempo essere istruttive, a livello storico, geografico e culturale. Ognuna di queste creava un ricordo stabile nella mente dei figli, i quali non erano mai sazi di salire in macchina per prendere aria nuova e vedere mondi nuovi.
Carobbio ormai non rappresentava più un luogo di attrattiva per i figli che stavano diventando grandicelli ed anche perché i rapporti di vicinato e parentali li avremmo voluti più delicati.
44. Trasferimento a Lezzeno
Infatti, l’estate del ’76 lo trascorriamo a Lezzeno sulle rive del lago di Como in un appartamento in affitto e che utilizzeremo per trentadue anni.
Panorama del paese di Lezzeno visto da lontano
Panorama notturno dell’altra sponda
Panorama del lago davanti a Lezzeno
La pesca della nipote Alessandra al lago di Como a Lezzeno
Al lago, infatti, i figli avevano la possibilità di nuotare e pescare spendendo bene il loro tempo e dando un contributo ittico alla famiglia numerosa. Inoltre, in autunno, vi era la possibilità di trovare le castagne sul monte, a ridosso del lago, e di cui tutti eravamo ghiotti.
45. Malattia di Antonia
Da molto tempo una cattiva sorte gravava sulla testa della famiglia. Nella tarda primavera del 1982 Antonia ed io partecipammo ad un pellegrinaggio ad Assisi ando dal monte La Verna dove io, nella cappella delle stigmate di San sco, feci l’ingresso nell’Ordine scano Secolare, conclusosi con la Professione l’anno dopo a novembre, presso le Clarisse di Milano. In una di queste giornate ad Assisi Antonia non si sentì di fare le visite programmate dei luoghi di San sco. Fu questo l’inizio di una situazione di malattia che piano piano la porterà a camminare col bastone, poi in carrozzina e infine, costantemente a letto.
Pellegrinaggio ad Assisi 1982
Ancora tanti impegni ci aspettavano, ed erano molto importanti. Già nel ’79 avevamo comprato un nuovo appartamento che andava pagato con un mutuo ventennale facendo capo al mio solo stipendio.
Per aiutarmi economicamente, Antonia s’inserisce nel consultorio familiare di Legnano, a tempo limitato, cercando di orientarlo ad imitazione del primo Consultorio Cattolico italiano dell’Istituto La Casa di Milano. Vi rimarrà circa due anni tra molte sofferenze, perché i responsabili volevano gestire questa importante attività cittadina a modo loro.
Sarà assunta anche alla Montedison di Castellanza per circa diciotto mesi. Lascerà poi definitivamente ogni lavoro fuori casa, avendo convenuto con me, che la cosa più importante era la sua presenza in famiglia.
46. Trasferimento in Corso Sempione a Legnano
Nel novembre ‘79 entriamo nella nuova casa di Corso Sempione. In una nuova casa molte sono le cose da fare. Antonia, ancora efficientissima, provvede ad ogni cosa e alla sistemazione dei figli. Cinzia è già a Sestri Levante, presso le oblate di Cristo Re, fondazione di P. Mauri.
Gli altri figli sono collocati decentemente nelle camere con letti a castello. Siamo in un mondo nuovo; dobbiamo abituarci! E per arredare la casa ci vogliono ancora molti soldi!
Yuppi è il più colpito dalla nuova sistemazione poiché si trova nell’alveare di un condominio e non può più fare le sue libere camminate come dall’altra parte. Deve essere accompagnato fuori di casa alle ore stabilite; compito che sarà assegnato di solito a Paolo.
Sarà Paolo ad assistere alla sua morte avvenuta a Lezzeno nel luglio dell’85 e, per quest’occasione, scriverà questo ricordo:
“Era la seconda metà di luglio del 1985, ma non rammento la data precisa a distanza di tempo. Ricordo che qualche mese prima, ad aprile, avevo iniziato a lavorare presso l’Honeywell di Pregnana. Era il mio primo impiego dopo essermi laureato in fisica ed assolto gli obblighi di leva. Ero molto contento per aver trovato subito un impiego e avevo iniziato l’esperienza lavorativa con entusiasmo e voglia di fare. Stavo in città tutta la settimana per poi scappare durante il fine settimana al lago, a Lezzeno, dove avevamo un appartamento in affitto. Eugenio e la mamma stavano lì già da molte settimane, trascorrendo un periodo di vacanza e Yuppi era con loro. Per via del lavoro erano già un paio di settimane che non li vedevo.
Yuppi stava ormai molto male da qualche mese. Il brutto male, che si era fatto strada lentamente nel suo corpo, lo aveva gonfiato e fiaccato. Faceva fatica a muoversi ed era fortemente condizionato nelle sue azioni, anche le più semplici. Faceva pena vederlo soffrire così e anche se lui non si lamentava quasi mai, il pensiero, di quando era giovane e scattante come una molla e ci accompagnava nelle nostre scorribande, faceva male al cuore. Eugenio era sempre vago su Yuppi… “sì sta bene, come al solito, non c’è da preoccuparsi” …Quella sera però, dopo aver sentito Eugenio, decisi di prendere la macchina e fare un’improvvisata. Qualcosa non mi convinceva; era come se una voce mi dicesse che le cose non stavano così. Con la macchina arrivai dopo circa un’ora, verso le venti di sera a Lezzeno. Era una bella sera d’estate, non afosa, mitigata dalla brezza del lago.
Come entrai, dopo aver salutato mamma ed Eugenio, mi resi conto immediatamente che Yuppi non era dove di solito si metteva. Stava sdraiato di lato, in un angolino dell’anticamera, completamente rilasciato, senza forze, come se dormisse.
Mi chinai su di lui, gli accarezzai il muso e le orecchie e gli parlai dolcemente. E qui avvenne una cosa che non potrò dimenticare. Yuppi, che era allo stremo delle forze, alla mia voce riaprì gli occhi guardandomi fisso coi suoi occhioni lucidi e sofferenti, emise un lamento-sospiro quasi di gioia, per dire: “sei arrivato finalmente!”; batté la coda sul pavimento leggermente per due, tre volte, abbassò la testa e spirò.
Seppi dalla mamma che da più giorni Yuppi non era più presente, come se fosse in stato di coma, insensibile agli stimoli esterni. Essendo grave ed anziano e quindi non operabile, la mamma non aveva chiamato il veterinario, attendendo il naturale decesso.
Eugenio non mi faceva presente questa situazione perché non mi preoccui, avendo iniziato da poco il nuovo lavoro.
Sembra incredibile che Yuppi abbia resistito, agonizzante, per un così lungo tempo per poi spirare tra le mie mani che lo accarezzavano, e nel preciso momento in cui mi ha riconosciuto dalla voce. Sono convinto che non sia stato un caso o una coincidenza fortuita. Credo che, com’era capitato a Legnano quando ero in ospedale, così anche qui lui sentisse che io sarei arrivato e che forse, in qualche modo, non potesse separarsi da me senza un ultimo saluto.
Credo che questa sia stata la sua ultima prova d’amore, il suo ultimo dono per me.
Alle quattro del mattino, prima che sorgesse il sole, l’ho avvolto in un telo bianco e l’ho deposto in una buca scavata nel nostro giardino di Lezzeno, sotto il nespolo che avevo piantato anni prima. Amico fedele e Guardiano della famiglia, il suo ricordo sarà sempre nei nostri cuori”.
Il tuo amico Paolo
Intorno agli anni ’70 mi iscrivo all’AVIS di Legnano come donatore di sangue, ritenendo questo fatto un bene primario per la società. Arrivo ad una cinquantina di donazioni ricevendo la medaglia d’argento. Qui la mia disponibilità si ferma perché colpito da una fibrillazione atriale, per cui, i competenti medici, mi hanno invitato a non effettuare più donazioni.
47. I figli si sposano
I figli poi, cominciavano a sposarsi e fare le loro famiglie. Si sposeranno senza avere dai genitori quei beni economici utili per avviare la loro prima sistemazione alloggiativa. Ma loro, avendo già lavorato alcuni anni, non avranno quel bisogno impellente che, invece, avevo io al tempo del mio matrimonio.
Triste constatazione la cui risposta si trova certamente nel fatto di avere una famiglia numerosa di otto persone, per condurre la quale era necessaria un’entrata economica di grandi risorse, ma che, invece, si limitava al solo mio stipendio. Ma ciascuno, con la buona volontà riuscì a costruirsi la propria famiglia.
Dall’ottantatré al 2004 avremo le nozze di Silvia, Alessandro, sco, Eugenio e Paolo.
48. A Cardano al Campo e Busto Arsizio
Il Cotonificio Cantoni, che mi era stato dato come un’entità incrollabile, intorno al ’82 comincia a dare segni di debolezza, anche per i contrasti interni fra i dirigenti e gli azionisti. Nel frattempo, anche per migliorare la mia condizione economica, sono assunto dalla ditta IRGA di Busto Arsizio, che, a Cardano al Campo, stava costruendo un nuovo stabilimento per la lavorazione di cilindri di gomma per le industrie tessili.
Mi trovo a progettare la collocazione delle macchine; l’istallazione della caldaia a vapore, della quale sarò il conduttore dopo l’acquisizione del regolare patentino di secondo grado; la costruzione dell’impianto di riscaldamento; ed ogni altra opera per far partire il nuovo stabilimento.
L’impianto parte adagio, adagio, per arrivare al punto di funzionare in perfetta autonomia l’anno dopo.
Io intanto aspetto che maturino i giorni lunghi della mia pensione tanto sognata dopo tanto lavoro.
49. Vado in pensione
Io vado in pensione nel ’90, per il raggiungimento dell’età pensionabile, e finalmente, libero dagli impegni di lavoro, posso dedicarmi completamente alla casa e al resto della famiglia e soprattutto ad Antonia che, zoppicante, e con l’aiuto del bastone riesce ancora a camminare. Forse vengono alla luce le conseguenze dell’investimento ricevuto a Saronno!
Più tardi compare anche un elevato tenore di glicemia che la porterà a subire l’insulina. Poi comparirà il problema della coagulazione del sangue per la quale sarà necessario un prelievo settimanale o quindicinale o raramente mensile per controllarne la fluidità.
Si completerà il quadro con la necessità della somministrazione di ossigeno attraverso una calibrata consegna delle bombole, sia a Legnano sia a Lezzeno.
A Lezzeno Antonia si trova bene e respira aria buona. Dal balcone può contemplare il piccolo universo che ha di fronte: il lago, le montagne, il cielo ora azzurro e ora cupo; i natanti che si rincorrono sullo specchio d’acqua; gli idrovolanti che si posano sull’acqua e ripartono lasciando una lunga striscia bianca; il volo di mille uccelli e molte altre cose.
Sul retro della casa può ammirare il bellissimo giardino che io coltivo, pieno di fiori proprio per lei, per renderla felice e farle gioire il cuore per le bellezze della natura.
Lei mantiene uno spirito sereno, pur nelle avversità, e, da brava scana, si
affida totalmente alla Divina Provvidenza. Certamente avrà sofferto per i quattro aborti spontanei nei quali non ha potuto realizzare una maternità.
Nei primi tempi, in cui la malattia non era ancora accentuata, riusciva, stando a letto a ricamare tovaglie e copriletto. Era mio compito provigionarla dei teli e dei filati di vario colore per completare i lavori.
Oggi conservo, per le grandi occasioni, la bellissima tovaglia che, con sacrificio, è riuscita a ricamare stando a letto a Lezzeno, con le iniziali di ogni figlio, nipoti, nuore e genero e di noi coniugi, scritti a capo tavola.
Il giardino dietro casa da me coltivato sotto gli occhi di Maria
Fuochi artificiali sull’Isola Comacina
Verso la fine d’ogni giugno, per la festa di S. Giovanni, dal balcone può contemplare i bellissimi fuochi d’artificio che sono esplosi dalla vicina Isola Comacina, e che si rispecchiano nel lago col tremolio della leggera brezza notturna.
Per Antonia, i tre/quattro mesi estivi ati al lago, sono un respiro di serenità, di contemplazione, di meditazione e di preghiera, nonostante le avversità dovute alla cattiva salute.
Io, che vado a messa quasi tutti i giorni, le porto la Santa Comunione, essendo lei anima eucaristica.
Rientrando in Legnano dall’ASL riceviamo un letto speciale, una carrozzina, ed una gru per il sollevamento dell’inferma dal letto per ogni necessità.
50. Pellegrinaggio a Medjugorje
Intorno agli anni ’90, quando Antonia era ancora in grado di camminare, facemmo un pellegrinaggio al santuario di Medjugorje situato in Bosnia Erzegovina a quota 200 s.l.m. e situato alla base di due colline.
Si parlava molto a quei tempi delle apparizioni Mariane avvenute a diversi giovani fin dal 24 giugno 1981 e, da buoni cristiani, con l’aggiunta di una certa curiosità, abbiamo voluto accertare gli eventi.
Siamo partiti in aereo e poi abbiamo raggiunta la località in pullman. La chiesa troneggiava nella piana e, in giro, vi erano molti confessionali costruiti in legno con molti preti che confessavano. Questo era effettivamente un buon segno!
Non vi era recinto, e adiacente il luogo sacro, vi erano bancherelle di ogni tipo per la vendita di qualsiasi oggetto senza alcuna organizzazione. Non era certamente Lourdes!
All’interno della chiesa si recitava in continuazione il rosario. Molti erano i fedeli che gremivano i banchi, al punto che abbiamo dovuto utilizzare le nostre piccole sedie pieghevoli per trovare un poco di riposo da seduti.
Ogni tanto, chi conduceva il rosario, (e mi sembra che fosse P. Jozo⁴⁷), si interrompeva gridando a squarciagola contro quelle persone che avano davanti alle porte aperte all’esterno della chiesa. Cosa inaudita!
Dovevano forse volare per non farsi vedere are a fianco delle porte?
Era un’ossessione! In una messa alla periferia di Medjugorje, celebrata da P. Jozo, nonostante tre decreti sospensivi per venti anni, e dallo stesso mai messo in atto, abbiamo assistito a cose spettacolari come l’invocazione dello Spirito Santo posando le mani sulla testa di ogni partecipante con rito quasi magico.
Non ci ha fatto buona impressione nemmeno una veggente che dall’alto del suo terrazzo e sotto il pergolato si dilettava a regalare firme su cartoline o altro come fanno le star.
Una delle veggenti (Vicka) firma autografi come star.
Ci stupirono anche le continue questue dei sacerdoti che si recavano in questo luogo, ciascuno dei quali aveva un progetto da fare (o speculazioni!) per il bene della Chiesa... nella loro parrocchia... Tutti questi avvenimenti, vissuti in forma negativa, ci hanno fatto ripetere che il grande miracolo che abbiamo potuto riscontare in quel luogo è stato quello di non aver perduta la fede!
Da buoni cristiani ci siamo anche chiesti:
Come mai la Vergine è apparsa migliaia di volte e per decine di anni per ripetere le stesse cose, che sono compito dei preti, dei vescovi e del papa?
Come mai questi veggenti non si sono raccolti in una loro spiritualità, staccandosi dal mondo, e non cercare invece il benessere delle ricchezze terrene, come sembra sia avvenuto? Si dice che i veri veggenti siano rimasti sempre persone povere; ma qui la situazione è cambiata: sono cambiati i tempi oppure la Vergine sta facendo cambiamenti contro la povertà evangelica del Figlio?
⁴⁷ - P. Jozo, dopo Aver disubbidito per 20 anni al suo vescovo e dopo gli accertamenti di atti sessuali con le visitatrici, è stato costretto ritirarsi In diversi luoghi lontano da Medjugorje. (da internet)
51. Il mio infortunio a Lezzeno
Ero solito a Lezzeno, tutte le sere e dopo il calar del sole, fare una camminata lungo i bordi della strada che da Bellagio porta a Como per un tratto di circa due/tre km. Era una buona abitudine poiché tenevo in movimento le gambe e con loro tutto il corpo e la mente.
Al ritorno di quella sera, del ’98, che aveva già fatto scendere le sue penombre, pensieroso dietro una curva cieca, sono stato sbalzato in mezzo alla strada da una grossa bicicletta carica di rotoli, borse e tende, che io assolutamente non ho potuto vedere perché la curva era costeggiata da pianticelle alte e, forse, anche perché troppo assorto.
Il ciclista, che ha preso la curva stretta, e che era in leggera discesa, forse non mi ha visto e mi ha investito sul fianco sinistro rompendomi otto costole, la clavicola, un lungo taglio sul cuoio capelluto, e causandomi trauma cranico e altro ancora.
Le macchine in transito si fermarono a destra e a sinistra ed io, in attesa della Croce Rossa che mi portasse a Como, sussurravo, semicosciente a chi mi stava vicino, di riferire delicatamente a mia moglie, a letto ammalata, che era stato un piccolo incidente.
Al suo capezzale vi andò poi il medico del paese e la proprietaria della casa, per esprimerle al meglio quanto successo. Ma Antonia, non essendo persuasa dell’accaduto, e volendomi il bene dell’anima, pregò la sua amica Isolina, abitante a Lezzeno, di portarla all’ospedale di Como per vederemi.
Venne e mi trovò nel reparto di chirurgia, dove mi avevano già suturato il lungo taglio sulla testa. Fui ricoverato in questo reparto perché temevano che qualche costola rotta perforasse i polmoni. Per fortuna questo non avvenne.
Ma i dolori provati in questa situazione li posso ricordare solo io. Non potevo, infatti, respirare forte, non fare sternuti, non colpi di tosse, non movimenti flessibili. Il deglutire non doveva andare di traverso; non sforzi per qualsiasi bisogno naturale.
Dopo dodici giorni di sofferenze, mi regalarono due camici bianchi e fui dimesso con tutte le precauzioni e ritornai alla casa di Lezzeno dove mi aspettava Antonia.
Fu così che tutta l’estate la ai, malato accanto alla malata, cercando di recuperare la primitiva salute.
Ciò che è sempre stato strano e incredibile è che il ciclista, investitore, veniva dall’altra parte del mondo: nientemeno che dalla Nuova Zelanda!
52. Le scelte dei miei figli e il fallimento genitoriale
Era ormai tempo che i figli, arrivati ad una certa età, come accennato, prendessero il volo per costruirsi un loro nido familiare. Tutti si sposarono, meno Cinzia, ma non tutti mantennero gli ideali del nostro manuale educativo che avevamo cercato di inculcare loro.
Alcuni prenderanno la strada larga anziché la stretta riguardo alle scelte religiose creando, in noi genitori, un grande disagio come di un totale fallimento genitoriale. E pensare che lo scopo educativo è stato, come già detto, lo scopo degli scopi, nella mia numerosa famiglia: come una vera missione!
Molti, dopo la celebrazione del matrimonio in Chiesa, non vorranno più fiutare l’odore d’incenso.
E, al seguito dei figli, anche i nipoti! Quale tristezza!
Antonia, che aveva dato tutto se stessa e si augurava di aver adempiuto il suo grande dovere di madre cristiana, ne soffrirà terribilmente e non riuscirà mai a capire anche certi “lungi silenzi” pur telefonici, da parte di qualche figlio/a e come queste anomalie familiari possano essere accadute.
Come non essere tristi di fronte ad una simile tragedia familiare, che come tale, religiosamente e umanamente va valutata?
A livello lavorativo ed economico tutti i figli si impostarono bene: tre dirigenti,
un impiegato forense, una maestra elementare ed una maestra di scuola materna.
Nonostante queste situazioni, che io stesso speravo migliori, oggi, nei miei confronti, il rapporto a livello umano e affettivo dei figli è da considerarsi buono.
53. La mia esperienza come terziario scano e nella Chiesa
In mezzo ai tanti frangenti familiari io, appartenente all’Ordine scano Secolare (terziario scano) con sede nella fraternità di Milano, faccio il trasferimento a Busto nel 1993. In quest’anno la fraternità mi elegge nel Consiglio e il Consiglio mi candida all’incarico di responsabile della formazione dei novizi.
Compito di grande responsabilità che mi fa piangere amaramente, ma che porto poi avanti con determinazione. Infatti, al posto di una riunione di formazione mensile dei novizi, di circa un’ora o meno, come da consuetudine, ne faccio quattro, e a tempo non misurato. Forte dell’esperienza del contatto umano fatto in Cantoni, cerco di approfondire le conoscenze tra noi: chi siamo? Cosa vogliamo? Chi sei tu e chi sono io? Poiché sono sempre stato convinto che se non conosciamo le esigenze umane, materiali e spirituali di ciascuno, non ci potrà mai essere fraternità e tanto meno comunione. Ne seguirà un gruppo amalgamato, molto motivato e ben formato alla Regola di S. sco, della quale abbiamo sbriciolato ogni articolo.
Ottenuto il permesso dall’Assistente Regionale, Padre Gabriele Della Patrona, in una riunione del Consiglio, alfine di poter fare una seconda riunione mensile di tutta la fraternità, giunti alla prima riunione questa esperienza è stata bloccata dai responsabili della stessa, perché non si doveva fare. Non c’era bisogno! Erano già santi!
Perché voler crescere nella conoscenza evangelica e migliorare la nostra conversione del cuore?
Cosa poteva dire loro di più S. sco di quanto non avevano imparato in
quell’ora risicata di formazione e nelle povere riunioni mensili di fraternità di poco più di un’ora al mese? Dove solo il frate “Assistente” (che doveva solo assistere) era in grado di portare avanti la conversazione e dirci qualcosa sulla Parola di Dio, perché non vi è mai stato il coinvolgimento di ciascun professo? Ciò che la fraternità possedeva era più che sufficiente! Non si doveva sostituire il frate assistente con laici (come previsto invece dalla Regola e Costituzioni) poiché lo si riteneva lui il padrone del terz’ordine…! Lui era il motore anziché il Ministro!
Era Chiaro: ciò che voleva il Manini per migliore la situazione in fraternità non si doveva fare!
E non si fece!
Scriverò ai miei figli, in una memoria del 2011, ritenendomi ancora loro educatore, sollecitandoli ad una riforma spirituale, e cercando di far capire loro di non avere come riferimento di vita la condotta negativa degli altri:
“Chi vuole realizzare il bene nella Chiesa di Cristo sarà sempre stretto alle corde”.
Richiesto e ricevuto dopo lunga gestazione il mandato di ministro straordinario⁴⁸ per la S. Comunione ai malati, per la mia parrocchia di 6000 abitanti, fui subito cacciato dal parroco del tempo, nella parrocchia vicina di 2000 abitanti, la quale aveva già il suo parroco. Scrivevo ancora su quella memoria:
“Si vede proprio che i preti vogliono esercitare in prima persona tutti i ministeri del mondo e non vogliono nessuno tra i piedi a togliere loro il pane di bocca”.
In quella stessa memoria, considerando altre situazioni ecclesiali incongruenti, ripetevo ai miei figli:
“Ragazzi miei, non disperate se fate qualcosa di bene; preparatevi ad andare sempre controcorrente”.
Peccato, che proprio nella Chiesa Cattolica e Apostolica, e nelle sue Istituzioni, si debba andare sempre controcorrente se si vuole fare del bene! Il laico che vuole esprimere attraverso la sua fede e la buona volontà tutte le sue capacità a favore della Chiesa deve sempre essere messo all’angolo? Allora è anche capibile il disgusto dei fedeli che potranno preferire la strada larga a quella stretta! Queste sono alcune delle mie esperienze negative in campo ecclesiale!
Ma per fortuna vi sono anche situazioni eccellenti! E per fortuna sono anche tante e magari non clericalizzate!
Molte cose avrei ancora da dire in proposito, ma tante voci, che mi risuonano nelle orecchie, sembrano dirmi:
“Basta! Ciò che hai detto è più che sufficiente per chi ha orecchie per intendere! E poi ricordati del detto che ha superato i secoli: “il bel tacer non fu mai scritto”.
Una cosa per te è importante e gratificante oggi: sapere che non c’è più il Tribunale delle Inquisizioni al quale, anche innocente, potresti essere sottoposto per queste tue denunce. Per cui puoi tranquillizzarti sulle testimonianze vere che hai scritto. D’altra parte, esporre il proprio pensiero in senso positivo e correttivo, quale possibile aiuto per una conversione fraterna è più che mai lodevole e ti fa onore perché poni le persone a confrontare la propria coscienza con la Verità. Troppo, infatti si è taciuto nei secoli!” E questo è il male di sempre! Il grande male che non ha costruito una Chiesa forte e responsabile capace di dare testimonianza vera!
Troppo la Chiesa ha coperto nei tempi ati ed anche oggi, coloro che non doveva coprire! Ma ora basta!
Quasi ogni sabato o domenica abbiamo qualche visita a Lezzeno da parte di qualche figlio o nipoti che vengono a rallegrare le nostre giornate, e soprattutto per incontrare mamma Antonia malata e che ormai si muove con difficoltà.
Io la seguo con estrema vicinanza e partecipo non senza preoccupazione alle sue sofferenze vedendo sfumare adagio, adagio, la sua salute.
Così, da un anno all’altro, siamo arrivati al settembre del 2007, epoca in cui, con ambulanza, viene portata all’ospedale di Legnano e poi a casa.
Qui rimarrà sempre custodita a letto per la cura del diabete, per l’ossigenoterapia, il controllo della coagulazione del sangue ed ogni altra esigenza. Io resto il suo fedele infermiere fino alla sua fine che avverrà all’ospedale di Legnano presente, di turno, Alessandro.
Il funerale, senza drappi neri e fiori, avverrà qualche giorno dopo, con la partecipazione di tutta la parentela, e di molte persone della Parrocchia.
Ancora una volta restituivo al Datore di ogni Bene quel secondo grande Dono che si era degnato di farmi, consapevole che la morte è vita e che l’amore vero, per queste dipartite, non ammette il pianto.
Antonia è stata per me il miracolo vivente della mia avventura coniugale; un pilastro altissimo e fortissimo che non ha eguali in ambito familiare; un dono gratuito eccelso e grandissimo che solo chi lo riceve può misurare.
Cari lettori, sento l’obbligo di arvi alcuni scritti meditati su alcune situazioni della mia vita, nelle quali vi è tutto il mio animo di cristiano, di sposo e di amante del lavoro e della famiglia.
Penso che a molti queste cose non siano di grande interesse, ma mi sento di dire che qui c’è il tessuto di una vita che in esso si è consumato come di candela che, mentre si spegne adagio, adagio, illumina le pareti della nostra casa, e ci dona luce! Come già anticipato, chiedo la vostra comprensione, la vostra pazienza e duttilità di pensiero. Ogni uomo ha i suoi processi mentali che lo portano ad una determinata meta. Ed io, povero, ne ho solo pochi, ma vi prego di non ripudiarli del tutto.
Ecco ciò che ho pensato e penso del matrimonio e della morte in una meditazione del 2009⁴ dopo la morte di Antonia:⁵
⁴⁸ - Sono stato il primo ministro straordinario nella mia parrocchia.
⁴ - Perché piangere? Meditazione sulla morte del coniuge.
⁵ - Il grassetto e le sottolineature sono tratte dallo scritto originale.
54. Spunti tratti da: Perché piangere? ⁵¹
(...) “Essere carne della propria carne vuol dire appartenersi totalmente nella profondità del proprio essere: spirito anima e corpo, nel modo di vivere, di pensare, di operare, di pregare, di donarsi oblativamente attraverso quell’amore santo e casto che è il diadema del sacramento: divenire “UNO”. Se l’uomo deve abbandonare la famiglia d’origine, è segno che non vi è altro amore più grande di quello tra gli sposi, in uno con quello per Dio. L’uomo e gli eventi, le interferenze umane e parentali, non potranno mai dividere l’amore degli sposi: sono diventati una UNITA’ INDIVISIBILE! Parlo sempre del matrimonio cristiano!
Perché il dono dello sposo o della sposa viene da molto lontano: dalla mente di Dio. Nessuno può dire che quell’incontro, che ha realizzato un miracolo d’amore, l’ho voluto io. Noi eravamo tanto lontano l‘uno dall‘altra, non ci conoscevamo, non c’eravamo mai parlato, non sapevamo dell’esistenza dell’altro/a, ma ad un certo punto il Signore, che ci portava nella Sua mano misteriosa, ci ha fatto incontrare, ci ha fatto scambiare le conoscenze delle profondità dei nostri cuori e ci siamo legati per sempre perché fatti l‘uno per l‘altra. Abbiamo, infatti, capito, esplorando i nostri animi e attraverso la conoscenza di noi stessi e del nostro patrimonio umano e spirituale, che laboriosità, diversità di caratteri, capacità d’intenti, sofferenze, moralità, religiosità, figli, amore oblativo, e amore del prossimo, rappresentavano lo scopo del nostro percorso di vita terrena e per Dio. Qui sta il punto di partenza per un sano e onesto matrimonio! (...)
Arrivo della Morte Corporale nella tenda degli sposi
Quando arriva nella tenda degli sposi cristiani la Morte Corporale, che, come
spada a doppio taglio divide quei cuori divenuto UNO, l’amarezza del distacco, la mancanza per sempre di una presenza amata, il vuoto del cuore, la sponsalità sfregiata, il canto di un amore sublime che non è più, tutto sembra perdere di valore.
Si potrebbe dire che quel mezzo cuore che rimane non può più vivere per se stesso! E se ci sono tanti figli, frutto dell’amore sponsale, la situazione si aggrava: mancherà per sempre una mamma o un papà che era loro la guida umana e spirituale; un appoggio costante per i i del loro cammino; una figura di chiaro riferimento. Allora che cosa possiamo fare? Dobbiamo stracciarci le vesti, mettere la cenere in testa, gridare, urlare, piangere, disperare, ribellarci a Dio? (...)
LA MIA RIFLESSIONE attraversata da una duplice esperienza (...)
Chi è quel mezzo cuore di cristiano che rimane lungo i sentieri di questa vita, al bussare della Morte? Chi è colui/ei che ha legato la propria esistenza al coniuge scomparso davanti al Signore e si è proclamato/a seguace di Cristo per donare la propria vita all’altro/a nel bene e nel male, nella gioia e nel dolore fino all’ultimo respiro? E’ proprio quel cristiano autentico, adulto nella fede, che crede nei valori superiori della vita, nel trascendente, in quel Dio che ci è Padre; in quel Dio Figlio che, risorto nella carne, ha portato la salvezza; in quello Spirito santo che è l’Amore che incessantemente intercorre tra Padre e Figlio, così come in umanità è intercorso tra gli sposi che hanno fatto un matrimonio cristiano!
Di fronte a questa sublimità che scorre nelle nostre vene, non possiamo dire di aver perduto quel grande DONO che Dio ci aveva dato nella Sua bontà misericordiosa. Perché questo dono, nella fede, vive ancora dentro di noi; è davanti a noi; ci segue in ogni o; è nei ricordi di una vita intessuta insieme: e la sua figura luminosa si staglia nel cielo della nostra mente per riedificare un nuovo futuro di pace. Se questo coniuge, che non è mai stato nostra proprietà,
ma DONO di Dio, l’abbiamo ricevuto nella gioia del mistero e gratuitamente, perché ora non vogliamo dire: Grazie Signore! Sei stato grande e generoso con questa tua terra nella quale abbiamo cercato di scoprirne i talenti e coltivarla secondo la tua Parola; Grazie perché ci hai donato quest’anima santa così virtuosa, con la quale, insieme, abbiamo percorso felicemente un tratto della nostra vita; Grazie perché nel tuo Nome abbiamo lasciato sulla terra un segno della Tua Paternità; Grazie perché nelle nostre povertà abbiamo cercato di costruire una piccola Chiesa domestica per lodarti e benedirti e per far vivere nel nostro corpo il tempio della dimora dello Spirito santo; Grazie perché hai tenuta viva in noi la fede, la speranza e la carità”. (...)
Questo ribaltamento della notte oscura che può procurarci Sorella Morte, nella visione radiosa di questo mattino, è consapevolezza di chi ha vissuto il GRANDE SACRAMENTO nell’amore umano e divino in quel mistero di una carne sola!
“Allora il nostro spirito e il nostro corpo s’innalzeranno sopra le dune di questa vita, e il nostro vivere sarà un continuo grazie al Signore, un continuo prorompere di gioia, una eterna lode di esultanza e benedizione, un inno perpetuo di ringraziamento. Sì, Signore, perché il grande dono che mi hai dato e col quale ho vissuto in armonia, per il tempo che mi hai concesso, ora te lo restituisco con gioia grande e nella contemplazione della tua bontà misericordiosa e nel mistero. Nel tuo dono, anche se tolto, trovo la pace! La tua consolazione!” (...)
⁵¹ - Scritto tra le mie memorie spirituali.
55. Considerazione sulla morte
Sorella Morte ⁵²
Oh Morte! nostra Sorella cara,
misteriosa Creatura del Cielo,
che come ombra d'eclisse solare,
scendi e perfori il dì terreno
del profondo mistero dell'uomo!
Leggera, inveduta, silente,
vieni e consacri il ministero
che dall'eternitá è a te affidato.
Al tuo planare s'odon bisbigli,
gemiti, urla, pianti e semini
terreo grigiore, freddo e lutto.
Per questo tu non hai amici
perché l'agire tuo è incompreso
né per te v'é tempo, studio, culto.
L' uomo sá che dono e gemella
sei nella culla del suo primo vagito
ma non vi pone mente, cura e scorda.
E lungo il suo peregrinare, dolce
amica, l'accompagni là fin dove
nel libro é scritto e qui tagli l'ordito.
Pur nell'ingrato ministero io ti prego:
non giungere improvvisa; non nella
notte, né di giorno, non per l'infante
né per chi ha vigore, né per chi
ha canizie, ma sol per chi, pronto,
ha già il vestito bianco delle nozze
con quell'incorruttibile tesoro
che solo servirà all'altra sponda.
Il tuo "pungolo" mortale non sia
impietoso su chi ha costrutto
nella vanità del dí il proprio cielo
e nessuno cada ad esso prigioniero.
Dolce grazia del Ciel che liberi
dall'angosce chi nel dolore geme,
concedi a chi rimane lacrime
di gioia e di speranza, nella fede
certa, che quell'anima amata alfin
redenta, ma rapita, la porterai
al Trono del suo Creatore.
8/1999
Prima che i miei occhi si chiudano alla beatissima luce di questo mondo, ho voluto ricordare Antonia, mia diletta e incomparabile sposa, nella verità, così come lei era; nella statura di donna biblica, alla quale nulla faceva paura se non le cattive mormorazioni e silenzi, ricevute dalle persone della parrocchia, parentali o filiali:
Lei è stata la “colonna d’angolo” della mia famiglia!
E così per sempre la ricorderò.
⁵² - Dalla raccolta inedita: Riflessioni, preghiere speranze…
56. Antonia da: Rimembranze discorsive ⁵³
Dalle fenditure delle rocce della tua travagliata
vita, sei volata a me, come con volo d’aquila,
sopra il mio nido disfatto da Sorella Morte.
Hai preso me con i miei piccoli con l’amore
grande di sposa e di madre virtuosa e oblativa.
Sono bastati soltanto due mesi per conoscere
le profondità dei nostri sentimenti con i quali
poter ricreare una Chiesa domestica sotto gli
occhi di Dio nel grande santo mistero sponsale!
E’ vero che hanno detto che eri matta o santa
per affrontare una simile coraggiosa avventura.
E tu eri veramente pazza per l’amore che portavi
alla famiglia e santa per le tante virtù del cuore.
Anche tu, per l’amore di noi, hai lasciato la casa,
i fratelli, il lavoro, il ato, per ricostruire un
presente là dove il Signore ti portava per mano.
Ed io ero pronto a coglierti con le mie mani, con
le mie braccia, con tutto me stesso, perché tu
eri quel Dono preziosissimo che fa dei due una
sola carne, un solo respiro, la coniugalità perfetta.
Hai trovato, nella gioia del nuovo nido, anche
tribolazioni e sussulti inaspettati d’incompresa.
Ma per me, tuo sposo, sei stata il tutto, il meglio,
la gioiosità, la donna forte, portatrice della pace;
il presente e il futuro: l’Essere ricolma di virtù!
Non ti curavi del vacuo apparire, ma dell’Essere!
Per te la famiglia era sacra e ad essa donavi tutta
te stessa per farla crescere in armoniosa umanità
e religiosità infondendo, anche a fatica, i valori
che regolano la scienza dell’umana convivenza.
Ci siamo aiutati con grande dedizione pur nelle
fatiche educative, ritenendo questo compito
il compito dei compiti in una famiglia cristiana.
Ti ricordo sul balcone della casa che fronteggia
il lago, nella tua espressione felice per la natura
e le bellezze che ti circondavano in estate.
Da tempo, però, era già calata l’ombra di malattia
e su quel balcone e su quelle strade ti intravedo
trascinarti col bastone o in carrozzina e, infine,
in ambulanza vedo il ritorno alla casa coniugale.
Per molti anni, sia al lago che a casa ti ho curata
instancabilmente, non lasciando nulla di intentato.
Giunti ormai a molti anni felici di vita sponsale⁵⁴
anche tu ti sei congedata da me lasciandomi nella
solitudine di vedovo, consolato dall’amore che ti
ho portato, incondizionato, oblativo, senza misura.
Per questo non mi sono sentito di piangere perché
restituivo, ancora una volta, al Datore di ogni Bene,
quel grande Bene che mi aveva concesso in dono.
Dono grande che supera ogni misura e solo chi
lo riceve può misurarne le profondità e le altezze.
Mia amata Antonia, che dai dirupi della tua casa
d’origine, sei volata a me con volo senza ritorno,
ed hai voluto condividere con me uno spazio del
tuo esistere, non privo di difficoltà, affrontandolo
con la forza di donna biblica; a te va il mio grato
riconoscimento di marito per le tue luminose virtù,
che hanno fatto grande il nostro vivere cristiano.
Donne ardite come te raramente si trovano sulla
faccia della terra. Tu eri l’eccezione delle eccezioni.
A te ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli.
Nella preghiera ci sentiamo ancora unità sponsale.
Grazie Antonia!
Il tuo Umberto 20-10-2013
Ma già nel 1999 le facevo pervenire questo pensiero del cuore, perché lei era la mia stessa vita:
A mia moglie Antonia⁵⁵
Ti ho aspettata e mi sei venuta incontro
perché eri custodita per me.
Tutto ciò che possedevi di sentimenti
e di virtù, che hanno fatto grande il tuo
esistere, me li hai portati in dote
ed io li ho accolti con religioso amore.
Molto tempo è trascorso ormai dalla
nostra primavera, ma se pur carchi
d’anni, d’affanni e di dolori essa
è sempre vivida lì nel cuore della mente.
Sì, quell’incontro magico la memoria
lo ricorda in un meriggio d’inverno
che il sole poi illuminò e riscaldò mentre,
come mistero mirabile, nei nostri cuori
dolce si scioglieva una sinfonia di gioia,
in empatia e tenerezza, di letizia
e di speranza, in ricerca vera di valori veri.
Pochi incontri ancora poi la grande
primavera di stagione, che profuma
di fiori e la grande primavera dell’amore
unì per sempre in una le due nostre vite.
Ai piedi del Signore, consci del mistero
grande di quel sacramento, con parole
che sigillano l’impegno, ci scambiammo
promessa di bene eterno e fedeltà.
La nostra Chiesa domestica
si ricostruiva perché il tuo
amore grande, oblativo, senza
riserve, accoglieva nel suo seno
sei piccole creature lasciate da
altra mamma, còlta perché
matura per il cielo.
La tua generosità e dedizione, in un
sacrificio eroico senza pari, nessuno
mai potrà scalzare perché
hai costruito la profondità del tuo
vissuto nell’evangelica Parola di Cristo
centro, culmine e sostegno della tua vita.
Aspettando il nostro prossimo tramonto
in Lui puntiamo il nostro cuore sicuri,
che quanto non ci è stato dato in terra,
ci sarà ampiamente dato nel Suo Regno.
Grazie Antonia del dono grande del tuo amore!
6/3/99 Umberto
⁵³ - Dalla raccolta inedita “Riflessioni, Preghiere, Speranze...”
⁵⁴ - 39 anni
⁵⁵ - Dalla raccolta inedita: Riflessioni, preghiere, speranze…
57 Anna Mardon
Un evento che valse a confortare la mia esistenza in questo periodo di sofferenze, con Antonia ammalata, fu l’entrata nella mia casa di una colf polacca.
Questa era precedentemente al servizio di una signora novantenne, come badante da oltre un anno e mezzo, presso la quale non si trovava bene perché le veniva continuamente ridotto lo stipendio, non poteva usare i vari servizi, come luce per lettura, radio o televisione, doccia, poi veniva maltrattata e soprattutto privata del giusto alimento quotidiano, che la portava ad essere denutrita. Quando aveva le sue ore di tempo libero spesso la facevo venire a casa mia a fare qualche lavoro e per integrarle l’aspetto economico. Con Antonia, abbiamo trovata una ragazza molto brava, cosciente, laboriosa, onesta e gioiosa.
Quando una sera di novembre 2006 venne a piangere a casa nostra dicendo di non farcela più ed essere sull’orlo dell’esaurimento, noi decidemmo immediatamente di ospitarla come colf mettendola in regola con il versamento dei contributi. Ospitalità gratuita, quindi, e se avesse fatto qualche lavoretto fuori casa tutto era suo.
Il giorno seguente, tramite un’amica, ha fatto il trasferimento in casa nostra e da quel momento è rimasta sempre con noi fino al momento attuale.
Non ho parole per dire quale fu la nostra gioia nel trovarci in casa questa giovane di 32 anni la cui affabilità è nota a tutti e la cui affettività era alla pari di quella dei figli per cui l’abbiamo chiamata la settima figlia.
La premura che aveva nei nostri confronti ed in particolare nei riguardi di Antonia malata è da considerarsi il massimo di quanto una persona umana possa dare. Non aveva bisogno di nessuna indicazione nella condotta della casa: lei era sempre al di là delle previsioni. Pulita, ordinata, non ha mai avuto bisogno di alcun rimprovero o aiuto. Sembrava nata in questa casa.
Con Antonia aveva un feeling particolare per cui le era di grande compagnia e insieme potevano ridere e scherzare.
Ma, neanche a farlo apposta, quando il 9 marzo 2009 Antonia morì, Anna era stata chiamata in Polonia perché il padre aveva avuto un ictus che gli paralizzò tutta la parte sinistra del corpo. Fui molto dispiaciuto per una mancanza così significativa.
Il comportamento di questa figlia ha meritato un elogio per la sua entrata in casa nostra, quale rondine sperduta che si ritrova poi in un nido di tre persone con la gioia di vivere la pienezza della vita.
Ve lo ripropongo:
Inoltre, per testimoniare le sue grandi virtù di figlia, di donna, di lavoratrice e del grande affetto che ha portato alla famiglia mi sono sentito di scrivere un altro elogio:
Annina⁵
Annina, Annina! vocava mamma Antonia,
dal suo talamo di sofferenze, nell’attimo
in cui Anna Mardon, tornando dai lavori,
metteva le mani alle chiavi della porta.
E Annina correva in fretta al capezzale
per dare conforto gioioso alle sue pene
perché, veramente, era angelo del cielo.
Ti conoscemmo in precedenza quando,
nell’ore libere dal tuo incompreso lavoro,
venivi a casa nostra, perché, con le cure
amorevoli, la casa brillasse come il sole.
Fu così, che una sera, d’inizio autunno,
tremante, e in preda ormai ad avanzato
esaurimento, venisti in pianto a bussare
alla nostra porta. E noi, coscienti del tuo
stato, t’accogliemmo a cuore aperto quale
settima figlia, ricca delle più grandi virtù.
Ti chiamavi Anna ma eri per noi Annina!
Poi mamma Antonia partì per una Patria
lontana e tu rimanesti in questa mia casa
e resterai finchè la Provvidenza disporrà,
per te, lo sperato incontro col tuo destino.
Venivi da lontana terra straniera polacca,
arida d’affetti e di futuro, per cercare quì
da noi, un avvenire col sudore di fatiche.
Con spirito imprenditoriale e gran tenacia
hai fatto nascere al tuo paese quell’unica
casa vestita di belle persiane in alluminio.
Il tuo lavorare era sereno, veloce, duttile,
versatile e arrivava a cogliere frutti dove
nessuna aveva mai portato la sua mano.
Eri la Speedy Gonzales e mosca bianca
anche nei lavori presso altri che avevano
di te stima, grande ammirazione e affetto,
e molti solevano chiamarti sorella e figlia.
Quando lascerai questo nido, tua dimora
serena e gioiosa, io resterò solo a contare
le ore che ancora mi restano per giungere
al traguardo della mia vita e ringrazierò
il Signore per tutti i Beni che mi ha dato,
e Te, che hai donato spirito e vita a questo
mio esistere col servizio gioioso e onesto
e col sorriso di un cuore pervaso d’amore
e tenerezza grande. Grazie cara Annina!
Solo Dio, che insieme abbiamo pregato,
con vesperi, compiete e tante altre lodi,
ricompenserà le tue nobili e sante fatiche!
Umberto: il papino!
25-10- 2013
⁵ - Dalla raccolta inedita: Riflessioni, preghiere, speranze…
58. Conclusioni
Nel marzo del 2010, al Gaucho, festeggio con tutti i miei figli, nipoti, nuore e genero, i primi 80 anni della mia vita con un lussuoso banchetto. Sarà una delle ultime volte che ci troveremo tutti quanti insieme. Anche Cinzia, venuta da Roma, è presente.
Intanto gli anni corrono ed io sono sempre sulla breccia della vita per non biasimarmi, per non cullarmi nella noia e per essere utile a qualcuno che avesse bisogno.
Conscio di essere padre, mi dolgo di essere stato quel padre incapace di seminare quei frutti di Bene che da sempre avrei voluto realizzare nei figli. Ma Colui al quale appartiene cielo e terra ed ogni essere vivente, non potrà dimenticare questi figli e i figli dei loro figli!
Resto comunque e sempre del parere, pur alla mia età, che non mi cambierei mai con nessuno al mondo!
La festa dei miei primi 80 anni coi miei sette nipoti
Compleanno del 2013 nella mia casa con alcuni figli e nipoti
A questo punto sento il dovere di ringraziare chi ha voluto seguire le traversie della mia vita fino al momento presente. Certo che, il fluttuare dei tempi e delle stagioni, può portare a ciascuno quei Beni inestimabili che occhio non vede, ma che sono nell’armonia del Cosmo, dove il Sole della meridiana, scandisce senza soste i percorsi terreni irrevocabili.
L’ARCOBALENO della vita ha molti colori e potrà colorare delle sue sfumature ogni nostro pensiero, ogni nostra parola, ogni nostra opera.
Umberto
INDICE
Prefazione dell’autore
1 Premessa
2 Il mio mondo dall’alba al crepuscolo come l’Arcobaleno
3 La mia famiglia
4 Eventi scolastici
5 Eventi militari di guerra e di scuola
6 Primo rastrellamento tedesco
7 Secondo rastrellamento tedesco
8 Fine della guerra
9 Incontro speciale
10 Costruzione dell’aliante
11 Le mie solitudini interiori
12 Sussulto come di chiamata religiosa
13 Scuola a Reggio Emilia
14 Gara sciistica a Schia
15 Arrivo del diploma
16 Ai cari lettori
17 Ritorno a Carobbio
18 Il grande incontro
19 Lidia, la sua famiglia e l’esattoria
20 Da allievo ufficiale
21 A Bologna al 40° Reggimento Fanteria
22 Verso il matrimonio
23 Ai Giovani d’oggi
24 Preparativi per Terrasini
25 Partenza per Terrasini
26 All’AGIP di Siracusa
27 Richiamo per esercitazioni militari
28 Rientro da Siracusa
29 A Milano
30 A Cusano Milanino
31 A Cinisello Balsamo
32 A Legnano
33 Infortunio mortale in Cantoni
34 Estate del 1957
35 Funerale di Lidia
36 A chi legge queste mie righe
37 A Lidia
38 Antonia
39 Riorganizzazione della casa e figli
40 A Carimate
41 A Porto Venere
42 Campeggio al Monte Bianco
43 A Sestri Levante
44 Trasferimento a Lezzeno
45 Malattia di
46 Trasferimento in Corso Sempione
47 I figli si sposano
48 A Cardano al Campo e Busto Arsizio
49 Vado in pensione
50 Pellegrinaggio a Medjugorje
51 Il mio infortunio a Lezzeno
52 Le scelte dei miei figli e il fallimento genitoriale
53 La mia esperienza come scano e nella Chiesa
54 Spunti tratti da “Perché piangere?
55 Considerazioni sulla morte
56 Antonia
57 Anna Mardon
58 Conclusioni