E ti viene da vivere
UNA EGGIATA VERSO IL CAMBIAMENTO
Barbara Delponte
www.coachingapp.it Settembre 2015 ISBN: 9788893069861 Youcanprint Self-Publishing
Ringrazio Coloro che già stanno eggiando con Me, ringrazio Coloro che vorranno farlo in futuro…
INDICE
Introduzione
Capitolo 1: Accorgersi, la consapevolezza
Capitolo 2: Mi dicono che sono diversa, meno male!
Capitolo 3: Vietato arrendersi
Capitolo 4: Impariamo a bastarci
Capitolo 5: La mente è come un paracadute, non serve se non si apre
Capitolo 6:
Poter scegliere
Capitolo 7: E ti viene da vivere
"Chi non si muove, non può rendersi conto delle proprie catene.”
(Rosa Luxemburg)
L ’uomo è l’unico animale che costruisce da sé i propri recinti.
Lo spazio è voluto, per darvi modo di immaginare…. C’è chi, leggendo, avrà visto profilarsi nella propria mente un recinto pieno di pecore, o pieno di mucche, o un recinto di cavalli o magari di struzzi… Beh, chi ha visto gli struzzi, lo vorrei conoscere! Ciò che conta è che abbiate ben chiaro il significato di quella immagine: un recinto è l’impossibilità di essere liberi. Ci si può muovere al suo interno, se ne può uscire di tanto in tanto, ma, a sera, si torna dentro; nel recinto ci si nasce, ci si vive e ci si muore. Ovviamente, continuando a leggere, qualcuno si troverà d’accordo mentre qualcun altro avrà già storto il naso… Ma il fine di tutto questo non è spingervi ad appoggiare o a dissentire, è semplicemente quello di farvi pensare, anche solo per un secondo, per esempio, a quale tipo di animale avete visto nel recinto… di farvi riflettere su quale sensazione avete provato nell’osservare quell’immagine… nel farvi soffermare sull’istante in cui la metafora ha colpito nel segno, facendo affiorare un potpourri di ricordi, stati d’animo ed emozioni…
E’ successo così anche a me.
Una mattina qualunque di un giorno qualunque. avo per una strada qualunque dove, su di un lato, in lontananza si scorgeva una grandissima masseria il cui terreno antistante era costellato da grandi recinti per cavalli. Di cavalli ce n’erano parecchi: belli, fieri, maestosi ed eleganti.
Brucavano l’erba, scuotevano il capo facendo ondeggiare le loro criniere… Ne fui talmente colpita che accostai e scesi per avvicinarmi. E fu proprio nell’avvicinarmi che vidi il recinto: fu un’immagine ovvia per la mia razionalità, ma, un’altra parte di me trasse considerazioni diverse.
Ecco la parola giusta: considerazioni.
Niente altro che considerazioni, fatte da una persona comune che però di comune sente ormai di avere ben poco…nel senso comune del termine… Se a quei cavalli pie o no stare nel recinto, non ci sarà mai dato sapere; probabilmente neppure sapevano che avrebbero potuto vivere in un altro modo, o forse sì… ma questa è un’altra questione che non avrà mai risposta. Il solo dato certo è che, quei cavalli, nel recinto non ci sono andati di loro spontanea volontà, non hanno eretto loro le barriere che li separano dal resto del mondo. Noi sì. E, il più delle volte, inconsapevolmente. Inconsapevolmente ma con una cura che rasenta il masochismo, tiriamo su palizzate dentro le quali ci apprestiamo a trascorrere il resto dei nostri giorni. Come se questo non bastasse, nel nostro recinto, facciamo nascere e crescere i nostri figli, insegnando loro che uscirne è pericoloso se non addirittura sbagliato. Come per ogni attività inconsapevole, anche per questa si sviluppa un paradosso: quello che crediamo essere la nostra protezione, il nostro rifugio sicuro, si trasforma in un labirinto dal quale non solo non siamo più in grado di uscire ma nel quale ci perdiamo a tal punto da arrivare a pensare che quelle mura siano la nostra unica realtà possibile. Giriamo in tondo, calpestando sempre la stessa erba, guardando le solite cose e ci convinciamo che quello è tutto ciò che possiamo avere e siamo talmente intenti nel riparare le brecce che vi si formano da non accorgerci di ciò che sta proprio al di là di quelle brecce.
Ognuno di noi è nato in un recinto e ognuno di noi ha appreso l’arte di fortificarlo.
Quando ero piccola, erano i primi anni Settanta, avevo come compagna delle scuole elementari una bambina minuta, con i capelli corti e neri e con gli occhi grandi grandi. Arrivava tutte le mattine con la sua cartella marrone (a quel tempo non c’erano né gli zaini né tantomeno i trolley!) e andava a sedersi al suo banco, composta e in silenzio. Dal mese di settembre fino a maggio inoltrato veniva a scuola vestita come un’ eschimese e rimaneva così acconciata per tutta la giornata. Era precisa, ordinata, educata…una scolaretta modello…
Ci fu un giorno in cui sentii la nostra maestra che le chiedeva: “Assunta cara, perché non ti togli il maglioncino e non vai a giocare con gli altri?” La bimba rispose: “La mamma mi ha detto di fare la brava che non dobbiamo sfigurare…”. Essendo anche io una bambina, quella frase scivolò nel mio cervello. L’ho ripescata molti anni dopo, collegandola poi a quanto imparai a conoscere di quella bambina diventando sua amica. Era originaria di un piccolo paesino della Campania ed era arrivata da poco sul Lago Maggiore con i genitori. Abitavano in una vecchia casa di tre piani, in mezzo alla campagna, con il bagno, costruito dal padre, al di fuori dell’abitazione; il riscaldamento era dato
solo dalla stufa a legna che c’era in cucina. Quello che ricordo con più nitidezza era la maniacale ossessione della madre per l’ordine e la pulizia di quella grande casa…. I genitori di quella bambina avevano eretto per lei i primi pali del recinto: l’assoggettazione ad un pregiudizio e la convinzione che se non si fossero rispettate ferree regole di comportamento non si sarebbe stati accettati. Naturalmente di per sé l’educazione non ha nulla di sbagliato ma, quando è incanalata, finalizzata, solo all’osservanza di divieti e costrizioni, genera schemi mentali difficili da smantellare. La verità è che tutti noi cresciamo con schemi mentali precostituiti che all’apparenza sembrano essere gli unici mezzi per “affrontare” la vita. Sì, affrontare, perché ogni cosa viene vissuta come una vera e propria battaglia!
Devi studiare se vuoi diventare qualcuno! Devi avere un lavoro rispettabile se vuoi fare qualcosa di buono nella vita! Non devi perdere tempo con cose inutili! Devi sempre essere il migliore in quello che fai! Devi riuscire! Se non fai questo (o quello) sei un fallito!
Precetti dati, senza dubbio, con tutte le migliori intenzioni ma, santo cielo! Un po’ di respiro! Con il tempo, poi, ognuno di noi ci mette del proprio… Magari un matrimonio che non è andato come si sarebbe voluto (o come ci era
stato detto che sarebbe dovuto andare…) Magari un lavoro che non ci soddisfa (però è rispettabile e pagato bene…) Magari una routine familiare che ci ha fatti invecchiare prima del tempo (però, almeno, figli, marito/moglie stanno bene e si è in una bella casa…) Magari una laurea non conseguita (in fondo ce lo avevano detto che eravamo stupidi…) E nel frattempo veniamo bombardati da immagini di gente di successo, di sorrisi smaglianti e corpi perfetti che, con un mesto sospiro, guardiamo pensando “Ah… beato lei/lui/loro…”.
Il recinto si fa sempre più alto.
La nostra vita non è quella che avevamo immaginato, non è quella che ci avevano venduto… eppure, abbiamo seguito tutti i precetti…come è possibile?! Andiamo a ritroso nei nostri ricordi e tutto ciò che riusciamo a vedere sono solo fallimenti e sconfitte. Perché ogni cosa che non è conforme a ciò che si ritiene debba essere conforme è un fallimento…
Ho conosciuto una donna tempo fa. Una bella cinquantenne alta e snella, faceva l’operaia e lavorava dal lunedì al sabato in una ditta metalmeccanica. Chiacchierando con lei venni a sapere che era divorziata da molti anni e che, da sola, aveva cresciuto due figli che stavano andando all’Università. A causa della crisi che ha colpito il mondo delle industrie negli ultimi anni, anche la sua azienda cominciò ad incontrare grosse difficoltà. La incontrai un pomeriggio e andammo a prendere un caffè; lei era molto
malinconica ed io le chiesi cosa c’era che non andava. “Ho cinquant’anni e non sono stata capace di tenere insieme una famiglia, sono stata un vero fallimento come moglie e, ora che i miei figli sono cresciuti, mi accorgo che ho speso tutta la mia vita dietro a loro e che non ho più uno straccio di vita sociale… se non dovessi più avere neanche il mio lavoro, non mi resterebbe più niente…”. Furono inutili tutti i miei sproloqui sul fatto che avesse cresciuto da sola due splendidi ragazzi, che per tutto quello che aveva doveva ringraziare solo se stessa e che era davvero una donna piacente. Lei vedeva esclusivamente quello che considerava il lato fallimentare della sua vita e nella sua mente non c’era spazio per altro. Il suo recinto era davvero molto alto.
iamo buona parte della nostra esistenza paragonandoci agli altri e vedendo in loro quello che noi non abbiamo, non possiamo e non sappiamo. Se ci fermassimo un attimo a riflettere sul fatto che gli altri fanno lo stesso con noi, per quello che abbiamo, possiamo e sappiamo ma che non ci riconosciamo, quell’attimo sarebbe già sufficiente a farci cambiare prospettiva. Invece ci arrovelliamo il cervello pensando che la felicità, la soddisfazione, il benessere si stiano burlando di noi perché, secondo il nostro schema mentale, essi sono sempre un o al di là di dove siamo arrivati noi. Non riusciamo a capire che la felicità potrebbe essere ascoltare una bella canzone, la soddisfazione il ricevere un grazie ed un sorriso e il benessere l’andare a letto la sera pensando che l’indomani potrebbe essere una giornata favolosa. Anelando a quello che per convenzione e convinzione è il successo, ci mettiamo il nostro cilicio, certi che se le cose non vanno per il verso giusto, non può che essere colpa nostra oppure ce la prendiamo con il “resto del mondo” perché non ci capisce, non ci dà spazio, non ci dà opportunità. Siamo sempre pronti ad incolpare: qualcuno o noi stessi, e non ci rendiamo conto che ogni fatto, ogni minuto che a, è come un pezzo di creta nelle nostre mani che, se volessimo,
potremmo modellare a nostro piacimento.
Questa filosofia alimenta tutta una serie di meccanismi mentali che come serrature a doppia mandata ci rinchiudono nell’unico spazio che, quanto meno, ci appare sicuro: la nostra quotidianità. Quante volte vi sarà capitato di chiedere a qualcuno “Come va?” e di sentirvi rispondere il classico “Bene…” e, dopo un paio di minuti di conversazione, ascoltare frasi come: “Oggi al lavoro è stato un disastro…” “Mio figlio mi fa dannare…” “Ho talmente tanti pensieri che non ci dormo la notte…”. e simili? Ma, come? Non aveva detto che andava bene? … La quotidianità, le abitudini, sono ormai talmente facenti parti di noi che non ci accorgiamo nemmeno di quanto loro ci allontanino dal vero significato di “stare bene”! Se si fa notare una cosa del genere (e l’ho provato personalmente) in risposta avrete innanzi tutto un’espressione tra il sorpreso e l’allibito e, in secondo luogo, una frase a mezza voce tipo “Che vuoi fare… questo è…”. Come se non ci fosse nessun altro modo di vivere se non quello di sottostare alle proprie frustrazioni!
D’altronde… è normale… avere problemi….
E’ normale spendere ogni giorno della propria vita facendo qualcosa che non si vorrebbe fare ma che si è obbligati a fare in ottemperanza a degli assurdi precetti ed è normale che si trascurino sogni ed aspirazioni perché, forse, avendoci
provato una volta e non avendo centrato il bersaglio, ci si è convinti che non se ne sia capaci o che non ne valga la pena.
Ed eccolo di nuovo il recinto, sempre più alto.
Convinzioni che si sono alimentate nel corso del tempo perché, quella volta, si è scelto il modo sbagliato o il momento sbagliato o il contesto sbagliato o, semplicemente, perché non si era ancora pronti. E quella volta si trasforma in un fallimento e non c’è spazio per accorgersi che, al contrario, quella volta, è stata un’esperienza, dalla quale trarre tutto l’insegnamento possibile per ricalibrare il tiro e sparare di nuovo!
“Lentamente muore chi diventa schiavo dell’abitudine, ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi, chi non cambia la marcia, chi non rischia e cambia i colori dei vestiti, chi non parla a chi non conosce.
Muore lentamente chi evita una ione, chi preferisce il nero su bianco e i puntini sulle “i” piuttosto che un insieme di emozioni, proprio quelle che fanno brillare gli occhi, quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso, quelle che fanno battere il cuore davanti all’errore e ai sentimenti.
Lentamente muore chi non capovolge il tavolo, chi è infelice sul lavoro, chi non rischia la certezza per l’incertezza per inseguire un sogno, chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai consigli sensati.
Lentamente muore chi non viaggia, chi non legge, chi non ascolta musica, chi non trova grazia in se stesso.
Muore lentamente chi distrugge l’amor proprio, chi non si lascia aiutare, chi a i giorni a lamentarsi della propria sfortuna o della pioggia incessante.
Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo, chi non fa domande sugli argomenti che non conosce, chi non risponde quando gli altri gli chiedono qualcosa che conosce.
Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre che essere vivo richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare. Soltanto l’ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendida felicità”
(Pablo Neruda)
Lentamente muori, e ti viene da chiudere gli occhi. Se cammini a testa bassa rimuginando su quel che potevi fare e non hai fatto…. Se fortifichi le tue palizzate per la paura di non saper vivere in nessun altro modo… Se cerchi respiro in mondi virtuali nei quali puoi essere ciò che non hai il coraggio di essere… Se continui a tenere le mani in tasca sperando che qualcosa capiti…
Però può succedere
e succede che un giorno, un giorno qualunque tu possa alzare la testa anche solo per un attimo per un motivo qualunque e per una cosa qualunque e ti accorgi che oltre quel recinto c’è qualcosa per cui vale la pena di provare a buttarlo giù nonostante tutto e tutti, ti accorgi che c’è uno spazio immenso da scoprire e conquistare nel quale puoi essere quello che vuoi. In quel momento tiri fuori le mani dalle tasche e le guardi: come hanno costruito il recinto, lo possono anche demolire…. Pensi questo, sorridi “e ti viene da vivere”
…
“Se ho visto più lontano è perché stavo sulle spalle di giganti”.
(Isaac Newton)
Voglio iniziare proprio con le ultime parole della pagina precedente:
“E ti viene da vivere”
che, oltre a comporre il titolo del mio libro, sono quelle che io vorrei risuonassero come un tam tam tra tutte quante le persone.
Ops, che sbadata…non mi sono presentata! Ecco qua…
Sono Barbara, Barbara Delponte, imprenditrice di me stessa, futura Coach, già moglie, ora mamma e compagna ma, soprattutto, inguaribile amante della vita e di quanto di bello essa sa offrire, se la si sa guardare con gli occhi giusti…
“E ti viene da vivere” nasce dal mio grande desiderio di dare a chiunque la possibilità che ho avuto io di imparare ad averli “quegli” occhi giusti per guardare alla vita. Posso dire che, in realtà, li avevo già dentro di me, ma si aprivano solo in rare occasioni e in tante altre me li dimenticavo… L’incontro con il mondo del Coaching mi ha fatto capire quanto invece sia importante, anzi no, indispensabile, tenerli ben spalancati quegli occhi!
Il famoso bicchiere del detto popolare può essere sempre mezzo pieno!
Ho ato parecchi anni della mia vita immersa, sommersa, da situazioni più o meno complicate… In un modo o nell’altro ne sono di volta in volta uscita, un po’ malconcia in certi casi, un po’ meno in altri, ma con un fardello da trasportare che diventava via via sempre più pesante. Ogni nuovo incontro/scontro con le vicissitudini della vita, svuotava più in fretta la mia riserva di energie e, nonostante io sia una positiva per indole, lo sforzo che dovevo compiere per riempire di nuovo il serbatoio era sempre più grande. In alcuni casi mi era difficile non pensare che il destino o la fortuna avessero deciso di girarsi dall’altra parte… La grinta che mettevo nell’affrontare quello che mi capitava non era più sufficiente.
Succede a chiunque di noi di avere l’impressione di correre in tondo tentando di afferrare qualcosa che costantemente ci sfugge…
Dentro di me, però, sentivo che non potevo andare avanti così; tutto il mio essere iniziava a rifiutare un modo di vivere oppressivo e schiacciante e voleva ribellarsi ad una realtà che sapevo non appartenermi. Il mio senso di frustrazione aumentava man mano che questa forza interiore si faceva largo: aveva bisogno di una via d’uscita, avevo bisogno di una via d’uscita!
Poi, un giorno, grazie al Coaching, ho scoperto, imparato e capito, che quelle che chiamavo fortuna o sfortuna in realtà non erano che il mio modo di guardare alla vita e, ancor prima, a me stessa. La mia “indole positiva”, che prima si riduceva ad un atteggiamento battagliero e di continua rivalsa su ciò che credevo “essermi contro”, si è trasformata in una
riflessione positiva su me stessa, sulle mie capacità e le mie risorse.
Ho scoperto che si può cambiare. Ho imparato come cambiare. Ho capito che cambiare la propria visione della vita, cambia la vita!
Non faccio un semplice gioco di parole quando dico:
pensi di potercela fare… e ce la fai pensi di poter essere migliore… e diventi migliore pensi di valere… e acquisti valore pensi che ogni attimo della tua vita sia semplicemente meraviglioso… E TI VIENE DA VIVERE
C’è anche un sottotitolo:
“UNA EGGIATA VERSO IL CAMBIAMENTO”
Cosa c’è di più tranquillo, rilassante e piacevole di una eggiata, magari con una nuova amica? Mentre si cammina si chiacchiera, si ride, si riflette, si fanno delle considerazioni e si prendono, perché no, delle decisioni.
E poi, ci si guarda intorno, si scorgono particolari che in un altro momento sarebbero sfuggiti, proprio perché lo spirito col quale si eggia è quello della calma, della serenità.
Ci si sorprende per un colore, una forma, ci si ferma ad ascoltare un suono.
Nessuna fretta, nessuna brama d’arrivare, nessun orologio da guardare o ritmo da rispettare. Una benefica eggiata con un’amica verso un luogo diverso da quello di partenza, un luogo che aspetta chiunque lo voglia raggiungere. Nessun obbligo, nessuna costrizione, esso è là, all’orizzonte: all’inizio di un nuovo orizzonte! Contrariamente al suo nome, il CAMBIAMENTO, sta fermo ad aspettare chi si avvia nella sua direzione. Quando lo riconosciamo, sembra accoglierci con un gran sorriso, come a dire: “Eccoti finalmente!” Solo in quel momento il Cambiamento si muove insieme a noi e porta alla scoperta di tutto ciò che vogliamo!
Non c’è un’età, un momento, una situazione per partire verso il Cambiamento: ogni attimo è quello giusto, basta volerlo!
Nelle pagine iniziali di questo libro, ho voluto creare l’immagine di un punto di partenza, una sorta di fotografia della realtà comune a tante persone, che è stata anche la mia. Da lì ci incammineremo insieme alla volta di una nuova realtà, che può essere di
chiunque abbia voglia di sperimentarla.
In questa nostra eggiata, faremo delle soste, durante le quali parleremo un poco di argomenti che considero significativi da affrontare per avere un quadro più dettagliato di ciò che porta a sentirsi poco inclini alla gioia di vivere e alla corretta valutazione di sé e del proprio potenziale. Sarà da queste “chiacchierate” che nasceranno spunti e riflessioni, quelli che consentiranno di lanciare un’occhiata a come può essere un’esistenza in cui queste “situazioni statiche” si risolvono e si superano.
Ogni tanto racconterò qualcosa di me, perché non c’è nulla di più importante dell’esperienza personale per far toccare con mano la concretezza di un cambiamento possibile.
Ci fermeremo a guardare cosa fanno i Disperati e cosa fanno i Rassegnati….
Incontreremo il concetto di “Mi dicono che sono diversa… meno male!”…
Ripartiremo alla volta di un “Vietato arrendersi”… Ci siederemo per un po’ su “Impariamo a bastarci”… Vedremo, appena più avanti, “La mente è come un paracadute: se non la apri non serve!”…
E arriveremo a “Poter scegliere”
A quel punto, la nostra eggiata virtuale, potrà dirsi conclusa.
Per me sarà come abbracciare, uno ad uno coloro che hanno fatto questo piccolo ma importante pezzetto di strada con me e augurare, ad ognuno, di continuare a camminare e a scoprire le mille altre motivazioni possibili per trasformare la propria vita nella vita che hanno sempre desiderato.
Posso assicurare che, continuando per questa strada, la strada del CAMBIAMENTO, non si rimarrà mai soli: si incontreranno persone meravigliose e speciali (come speciale è ciascuno di noi: irripetibile e per questo preziosissimo), ricche di risorse, di fantasia e di sogni che hanno potuto riconoscere, esprimere e realizzare proprio in virtù del Cambiamento cui hanno scelto di andare incontro.
Da parte mia, nessuna pretesa di insegnamento: semplicemente ho voluto raccontare fatti, situazioni e idee comuni a tutti noi che possono rendere opaca la nostra vita oppure colorarla come un arcobaleno, a seconda della prospettiva con la quale si guardano.
Auguro, di cuore, a tutti una piacevole lettura.
Qualunque cosa sceglierete di fare “dopo”, sarà comunque un vostro risultato. Come diceva Henry Ford:
“Che tu creda di farcela o di non farcela, avrai comunque ragione”.
Vi abbraccio forte
Barbara
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Un ringraziamento particolare alla mia amica e futura counselor Concetta Pedullà, incontrata “lungo la strada”, che mi ha aiutata nello scrivere questo libro.
“Il vero viaggio non è cercare nuove terre ma avere nuovi occhi”.
(Marcel Proust)
Se ora ti chiedessi quale è il verbo più importante in assoluto, cosa mi risponderesti?
Anche in questo caso lascio volutamente uno spazio, così che il bianco della pagina possa consentire alla tua mente di formulare le risposte in maniera incondizionata dal resto del testo.
Mi viene da pensare che ti si siano profilate varie opzioni, tra le quali certamente non saranno mancati i verbi Amare, Vivere, Sorridere, Condividere… Ma ci stavano bene anche Mangiare, Dormire, Divertirsi… Oppure, perché no, Lavorare e Guadagnare… Se il primo verbo cui hai pensato è stato Respirare…che dire? Sei una persona molto pratica!
In realtà, poco importa quale verbo o lista di verbi abbia sciorinato il tuo pensiero, perché quello che ho in mente io ti meraviglierà! Se così non fosse… salta direttamente all’ultima pagina per i saluti…
Ognuno dei verbi che contraddistingue una nostra azione, un nostro pensiero, una nostra sensazione o emozione, insomma, qualunque cosa crei una relazione Tu-Tu o Tu-Ambiente, non può esistere se prima non a dall’ Accorgersi.
Accorgersi è il punto di partenza imprescindibile per l’avvio di qualunque atto.
Paradossalmente si potrebbe addirittura dire che, prima di amare, è necessario accorgersi che qualche cosa dentro di noi sta cambiando e, facendo un’analisi o una riflessione sulle sensazioni che abbiamo o sulle emozioni che proviamo, potremo arrivare ad affermare che “stiamo amando”. Tutto può essere fonte di amore, posto che ci si sia accorti che quel determinato oggetto ci fa sentire in maniera totalmente diversa da tutti gli altri. Nella mia “Ode al verbo Accorgersi”, intenso anche per la sua forma riflessiva che raddoppia il senso di “me” (sono IO che MI accorgo), voglio spostare l’attenzione dal momento classico in cui “ti accorgi di esserti accorto” quello che di solito è caratterizzato da espressioni come “Caspita!”, “Ma guarda te!” “Non ci posso credere!”…sia che ti ritrovi davanti ad un panorama di montagna dopo tre ore di scarpinata, sia che pesti una cacca di cane sul marciapiede, magari mentre stai andando ad un appuntamento importante…. Sì lo so che con la cacca di cane le espressioni sono diverse… ma, diciamo che qui sto usando dei sinonimi, (tu, pensa quelle giuste!), ai fatti più banali che possono accadere nel corso di una giornata. Per esempio: sei entrato in un bar per bere un caffè. Vicino al bancone, sulla tua traiettoria, c’è un tavolinetto. Tu puoi accorgerti o meno di esso. Nel primo caso, devi appena la direzione e chiedi il tuo buon caffè; nel secondo caso ci sbatti contro e ti rovini la mattina. Non storcere il naso mugugnando che non sei una persona così distratta! Era solo un esempio…
Ci sono poi altre situazioni in cui accorgersi va oltre alla nostra volontà conscia. Le sensazioni del cambio di temperatura, i gusti, le emozioni, solo per citarne alcune. Il corpo, guidato dal nostro cervello rettiliano, ci comunica che c’è una modifica in corso nell’ambiente circostante e questa modifica innesca, in noi, una reazione di risposta.
Qualunque cambiamento provoca una reazione: i nostri sensi la recepiscono e si accorgono, facendo, di conseguenza, accorgere noi che, a quel punto, facciamo qualcosa. Pensa al caldo o al freddo: se ti senti arrossare le guance e un filo di sudore ti imperla la fronte, ti togli la maglia; se ti si drizzano i peletti sugli avambracci, la maglia te la rimetti… Oppure ai gusti di dolce o salato: al ristorante, a seconda delle tue preferenze, dopo aver assaggiato un pezzetto di torta, ti ci puoi avventare sopra oppure ordinare un’altra cosa (magari un’altra pizza!) O ancora, alle emozioni di paura o felicità: se il cuore comincia ad accelerare i battiti e ti viene il fiato corto, è meglio che ti sposti da dove sei, se invece senti i tuoi occhi che si allargano e le tue labbra che li seguono, allora resta lì! Ognuno di questi esempi potrebbe anche essere letto al contrario ma, in quel caso, si tratterebbe di masochismo… rispettabile come ogni altra forma di comportamento però, il parlarne, ci porterebbe un tantino fuori tema! Quello che è importante è capire quale sia la portata dell’ Accorgersi.
Tornando un poco più su nel suo significato, Accorgersi di qualcosa vuol dire “prendere consapevolezza”, “acquisire conoscenza”, vedere e sentire, nell’accezione di questi ultimi di doppi sensi. Infatti, tu puoi vedere con gli occhi quello che ti circonda ma puoi anche vedere che qualcosa è cambiato o che, al contrario, non è ancora successo nulla, o puoi vedere la realtà come essa è o come vorresti che fosse (meglio se entrambe le cose, magari partendo dalla prima per arrivare alla seconda). Così come puoi sentire con le orecchie chi ti sta intorno parlare, muoversi e cantare o puoi sentire che quella situazione non è adatta a te o che, invece, non potresti stare meglio di come stai. Questo è il senso dei doppi sensi. Già da qui ti è facile capire quanto in verità il nostro potenziale sia molto più grande di quello che ci hanno fatto credere: altro che cinque sensi, ne abbiamo sette! Se poi ci mettiamo l’Intuizione, che sale sul podio con la medaglia d’oro, diventano otto!
Accorgersi, prendere consapevolezza, è il primo o verso l’infinito.
Cosa genera questa consapevolezza? L’Attenzione. Una parola, un gesto, uno sguardo, un’immagine. Per caso, in un momento qualunque della tua vita, qualcosa cattura la tua attenzione. Tu guardi, ascolti o tocchi, qualcosa di nuovo, che è diverso dal solito. Ho scritto prima che il senso più importante è l’Intuizione, qui aggiungo che se le cose accadono per caso, sta a noi intuirne il potenziale!
Ma come ti accorgi che ti sei accorto? Qualcosa è cambiato, lo sai, lo avverti, lo capti.
Nessuno ti vieta di cercare di restare uguale a prima di quel fatidico momento, ma sarà un tentativo vano e fonte di uno spreco incalcolabile di energia; in ogni caso, che tu lo voglia o no, la nuova conoscenza ti ha già trasformato in un individuo diverso. E la consapevolezza gioca dei brutti scherzi, sai? Ti fa sentire una vocina, a volte fastidiosa se tenti di non ascoltarla, che con sempre maggior insistenza, ti sussurra “Ma… e poi?” “Cosa ci sarà dopo di questo?” Il consiglio è di assecondarla: la consapevolezza di un cambiamento genera essa stessa cambiamento e il cambiamento è una forza sospingente senza eguali!
Ti accorgi di esserti accorto perché, all’improvviso, quello che ti circonda ti appare differente da prima. La sensazione potrebbe essere quella di stare al di sopra della realtà nella quale sei stato immerso fino a quel momento e di poterla come osservare dall’alto, in un quadro d’insieme che non hai mai potuto visualizzare. Accade una sorta di magia grazie alla quale, nel tuo campo percettivo, entrano elementi che nemmeno immaginavi esistessero. Sarai capace di scorgere dettagli che ti sono sempre sfuggiti e saranno proprio questi nuovi stimoli che ti renderanno difficile il tornare indietro! Potrai ignorarli, è vero, ma a che prezzo? Il tuo cervello inizierà ad elaborare un numero esorbitante di informazioni, ripescherà ricordi e farà paragoni, metterà insieme esperienze, elucubrerà riflessioni e pianificherà azioni, il tutto convogliato poi nelle tue parole: “Come ho fatto a non accorgermene prima!”
Perché, in effetti, la cosa divertente, è che, sebbene tu abbia l’impressione che la realtà sia cambiata, l’unico, in realtà, ad essere cambiato sei Tu! Da qui comincerai a porti delle domande, a mettere in discussione i tuoi pensieri, a sentire che la tua pelle ti sta diventando stretta.
Accorgersi di qualcosa a livello di considerazioni personali porta a provare emozioni non sempre piacevoli, all’inizio. Fino a che non deciderai come muoverti, avvertirai disagio nel fare quello che hai fatto fino a quel momento, insofferenza di fronte a situazioni che prima non ti toccavano, malumori dei quali non capisci il senso… Tutto spiegabile da quel qualcosa che si è svegliato dentro di te e che si agita alla
ricerca del canale giusto per esplodere fuori. Sta a te, ora, spalancarlo o richiuderlo quel canale… Tu sei responsabile delle tue scelte.
Continuiamo ad usare la metafora del recinto. L’attimo successivo al quale hai guardato fuori dalle palizzate ti ha riempito di innumerevoli sensazioni che vanno dall’incredulità allo stupore, toccando la paura e inducendo curiosità. Ciò che rompe la routine dell’abitudine funziona come uno shaker: mischia e confonde, mescola e scuote violentemente… ma te lo immagini un “Sex on the beach” non shakerato? Berresti prima un po’ di vodka e poi dei succhi di frutta….che tristezza… Lo shakeramento, invece, fonde insieme aromi e sapori e il risultato è una bevanda gustosa e fresca. Anche le tue emozioni e sensazioni subiranno un simile processo di mescolamento vorticoso e il risultato sarà altrettanto gustoso! In quanto animale sociale, la prima cosa che ti verrà da fare, in base alle tue peculiarità caratteriali, sarà condividere con gli altri questa tua scoperta. Potrai iniziare a gridare come un forsennato, rompendo le scatole a tutti quanti o potrai avvicinarti a questo e a quello sussurrando domande tipo “Scusa, ma ti è mai capitato di notare cosa c’è là fuori…?” Qualunque modo sceglierai per approcciarti ad un tuo simile, le risposte che otterrai saranno sempre di tre tipi: quella inconsapevole… quella rassegnata… quella disperata…
A dire il vero l’Inconsapevole non è proprio una tipologia quanto piuttosto la condizione di partenza di ognuno di noi. L’Inconsapevole è colui che non sa, che non conosce. Tutti quanti nasciamo in questo stadio e, man mano che cresciamo, evolviamo (o così ci si augura) in stadi differenti.
Il concetto di Inconsapevolezza, e, di contro di Consapevolezza, è di una vastità smisurata ed in esso si sono profusi, prodigati e persi per millenni filosofi e scrittori. A me, in questo momento, non interessa unirmi a tali schiere, desidero solo riportarlo entro i confini di considerazioni a proposito di come si può guardare, o non guardare, alla propria vita di tutti i giorni, a partire da un dato momento. Per Inconsapevole intendo quindi la persona che trascorre i suoi giorni elaborando ed esprimendo pensieri, seguendo definite strategie di comportamento e compiendo azioni né più né meno di come ha appreso e di come ha visto fare con i propri occhi. Questo è lo stadio del non colore; non si può affermare che sia auspicabile o deprecabile per il semplice fatto che non possiede nessun grado di sfumatura. “Faccio ciò che serve fare così come ho imparato a fare”. Il vantaggio dell’Inconsapevole sta tutto in questo ritornello che egli ripete inconsciamente e può far apparire la sua soddisfazione e il suo benessere più alto di quelli provati dalle altre persone in quanto, non discostandosi da un ipotetico “punto 0” su un’immaginaria linea di evoluzione personale, non compie nessuna fatica e non consuma energia. Infatti: 0+0=0 Anche io e te siamo appartenuti a questa tipologia. Però…
C’è sempre un però…. Se Tu stai leggendo quello che Io sto scrivendo, è perché è successo qualcosa… Abbiamo sentito QUELLA parola, abbiamo visto QUELLA immagine, abbiamo osservato QUEL gesto.
Da QUEL punto in poi, nulla è stato più lo stesso. Ci siamo spostati di un’unità dallo 0. Infatti: 0+1=1
Non è scontato il aggio dallo stadio di inconsapevoli a quelli successivi perché, come ogni senso, anche l’Intuizione può essere più o meno sviluppata. Ti sarà sicuramente capitato di fare qualcosa a seguito di un “non so ché” che ti ha spinto in una direzione piuttosto che in un’altra e, quando qualcuno ti ha chiesto “Come hai fatto?” o “Come lo sapevi?” a te è venuto da rispondere, magari con tono incerto, “Non so… è stato intuito…”.
Ripensa ad una di quelle volte…. Rivivi quella particolare situazione… Dov’eri? Con chi eri? Cosa vedevi? Che rumori/odori sentivi? Ecco…sei tornato a quel momento….
Chiudi gli occhi per un attimo…
Stai sorridendo vero? No, non dirmi che avevo ragione….lo so già! Il trucco sta nel “consapevolizzare” il grande potere dell’Intuizione che ognuno di noi ha ma di cui pochi si accorgono.
Tu ti sei accorto. E adesso stai girovagando alla ricerca di qualcuno che confermi questa tua brillante intuizione….
Qualche tempo fa, per far compagnia ad una mia carissima amica, mi ritrovai per caso in un’aula dove si stava tenendo un corso di Programmazione Neuro Linguistica. Non ne avevo mai sentito parlare in vita mia… Durante il viaggio in treno, la mia amica aveva cercato per un’ora e mezza di farmi capire chi e cosa stavamo andando ad ascoltare ma non era riuscita ad attirare la mia attenzione. In realtà, quello che mi aveva spinto a seguirla non era tanto il suo, per me smisurato, entusiasmo, ma l’amicizia che ci legava da tanti anni… Fuori della stazione di Milano Centrale le chiesi dove fosse l’albergo in cui andare. Lei cominciò a frugare nella borsa e a cambiare lentamente espressione: il suo sorriso si trasformava via via in apprensione e preoccupazione. Farfugliava cose del tipo “Eppure era qui…” “Sono sicura di averlo preso…”.
Morale: l’indirizzo dell’albergo era rimasto chissà dove! Dopo vari giri di telefonate, finalmente, la mia amica riuscì a rintracciare il luogo d’incontro e ci andammo di corsa! Non ti dico quali pensieri attraversarono la mia testa! Io che ero talmente precisa, talmente ordinata e talmente puntuale da rasentare la nausea persino a me stessa (ma l’ho capito dopo!), trovarmi trascinata a fare chissà cosa, chissà con chi e per giunta in ritardo! Terribile! Dopo una corsa in metro, e pure una a piedi, arrivammo all’albergo. Entrammo quindi in quell’aula, alquanto trafelata la mia amica e alquanto trafelata e innervosita io, e, dopo aver proferito le rituali frasi di scuse, andammo a sederci. Mentre, borbottando, sistemavo la borsa e la giacca, udii una frase: “Non ci sono errori ma solo risultati” L’argomento del corso era: “I presupposti della Programmazione Neuro Linguistica”. Girai la testa verso l’insegnante, dimenticandomi di tutto il resto. Ecco, questo è stato il mio innesco, quello che mi ha fatto muovere il primo o dal punto 0.
Non ero più Inconsapevole.
Qualcuno mi stava spiegando che le esperienze non si dividono in negative o positive ma che sono solo esperienze dalle quali si traggono stimoli sospingenti per proseguire con quella determinata strategia d’azione o di pensiero, oppure stimoli di ricalibratura, indispensabili per capire quale fase della strategia non
abbia funzionato correttamente e modificarla. In pratica mi stava dicendo che “sbagliare fa bene e che se non ottieni quello che stai provando a ottenere non hai fallito, hai solo scelto un metodo non efficace.”
Praticamente la totale sovversione dei miei precetti di vita fino a quel momento. Ero incredula….
Il trainer continuò la spiegazione prendendo ad esempio proprio noi che eravamo arrivate in ritardo; interagendo in modo divertente con la mia amica, la condusse a riflettere sulla conclusione, ridendo lei disse: “Da ora in avanti terrò gli appunti importanti insieme alla carta d’identità!” (Gli smartphones non erano ancora così di moda…) Avevo la possibilità di rivoluzionare la mia realtà ampliando ed estendendo quella strategia! Ero stupita….
L’idea che fino a quel momento avessi pensato in modo controproducente mi fece prudere le mani e le mie pulsazioni iniziarono ad aumentare… Ogni cosa che irrompe nella nostra zona di confort ci appare all’inizio come una minaccia. Ero spaventata…
Ma, più d’ogni cosa, mi sentivo incuriosita…
La consapevolezza aveva iniziato i suoi giochi ed io iniziavo a pormi un milione di domande! C’era davvero un modo alternativo per stare nella realtà di tutti i giorni? Realmente potevo imparare a muovermi tra le mie esperienze come se fossero degli scaffali da cui prendere ciò di cui avevo bisogno e sui quali lasciare ciò che non mi serviva più? Sul serio il mio vissuto era un’enciclopedia consultabile e non un sacco di pietre da portare sulle spalle? Veramente, se volevo, potevo apprendere come cambiare la mia vita, in ogni suo aspetto e proiettarmi in un futuro differente che io stesso avrei costruito? Ma, più importante di tutte, la mia espressione “Non ce l’ho fatta…” poteva essere sostituita con “Non ce l’ho fatta… in questo modo?”, presupponendo l’esistenza di n possibilità differenti? La risposta a tutte queste domande fu un epico Sì, che sopraggiunse mentre girovagavo confrontandomi con le altre persone.
Come stai facendo Tu adesso.
Qualunque sia stato l’innesco per la tua attenzione (chissà… forse proprio il titolo di questo libro!) e qualunque sia il tuo approccio agli altri per trovare le conferme che credi ti servano, incontrerai, oltre agli Inconsapevoli, sia i Rassegnati che i Disperati.
Si dice “ogni testa un piccolo mondo”, nel senso che ognuno di noi ha una propria visione di ciò che lo circonda e ne da un’altrettanto propria interpretazione in base all’ambiente in cui è cresciuto, alle persone che ha incontrato e alle esperienze che ha vissuto.
Anche questo, infatti, è un presupposto della Programmazione Neuro Linguistica: “esistono modi diversi, ma tutti corretti, di intendere la realtà”. Quindi le persone non vanno giudicate bensì comprese e noi abbiamo la possibilità di essere concordi o meno. Questa la premessa prima di dare un’illustrazione del concetto di Rassegnato.
Immagina qualcuno che abita in una località di mare, a pochi i dalla spiaggia e che, guardando l’acqua azzurra e scintillante dalla finestra di casa, per paura di attraversare la strada troppo trafficata, sospirando con tristezza va a fare il bagno nella vasca.
Ecco, questo è un Rassegnato. Chi ha di fronte e intorno il meglio da poter afferrare e si lascia mollemente surclassare dal timore e dall’apatia. Ciò che distingue un Rassegnato da un Inconsapevole è l’espressione “Sì….potrei….però….”
Sì = certo che vorrei: cambiare lavoro! avere degli hobbies! uscire con gli amici! comprarmi una macchina nuova! farmi un tatuaggio! andare in Giappone!
avere un/un’amante! non mettere le mutande al mattino!
…potrei continuare all’infinito ma credo tu abbia recepito il messaggio…
POTREI = so come fare! comincio a tappezzare la città con il mio curriculum! sono davvero bravo/a a lavorare il legno! questo fine settimana chiamo Tizio, Caio e pure Sempronio! faccio due conti e chiedo un piccolo prestito alla mia banca! piccolo ed originale! contatto quel mio amico che c’è già stato e mi faccio spiegare tutto! quello/a del terzo piano mi lancia certe occhiate… così sto più comodo!
…fin qui tutto normale: stimolo/reazione; poi, però, arriva il “però”…
Ripeto, c’è sempre un però… e in questo caso è davvero pesante…
PERO’ = adattamento all’abitudine e limitazioni mentali …dovrei ricominciare da capo in un posto dove non mi conosce nessuno…
…dovrei comprarmi l’attrezzatura e poi lavoro già tutto il giorno… …se decidono di andare dove non mi piace? Mi rovino la serata… …potrebbero farmi storie, ne ho già di spese… …e se dopo mi stufo?… …quante ore di volo sono? Cielo! Troppe… …e se mi scoprono?… …è una cosa che non si fa!
E in questo modo il nostro amico Rassegnato salta sulla rete per toccare il cielo con un dito ma, dato che la spinta non proviene da lui bensì dalla rete, proprio quando è lì lì per farcela, torna giù…
Il tutto si conclude con un sospiro: AH…= in fondo… …sto bene dove sto… …sarebbe una perdita di tempo… …meglio se mi riposo a casa… …quella che ho va ancora bene… …non importa, sono sempre stato senza… …posso comunque andare a Rimini… …chi me lo fa fare…. …era solo un’idea sciocca…
Così il Rassegnato, che sa perfettamente come fare per fare ciò che vorrebbe fare, sceglie di non farlo e continua a fare ciò che ha sempre fatto. Mille sono le giustificazioni o gli alibi che adduce: paura, vergogna, sfiducia, incapacità, ignoranza… tante belle e plausibili seghe mentali… Ops, dimenticavo di dirti una cosa: per la Programmazione Neuro Linguistica i motivi che ti impediscono di fare una cosa che vorresti fare si chiamano CONVINZIONI LIMITANTI… Uh! Anche un’altra cosa! SI POSSONO CAMBIARE! C’è solo una condizione da rispettare: che Tu lo voglia!
Sembra semplice ma non lo è affatto. Ci vuole intelligenza per capire che un pensiero che hai sempre avuto, una parte di te quindi, in realtà è un ostacolo alla tua soddisfazione. Hai come l’impressione di prendertela con uno di famiglia…. Ci vuole coraggio per mettersi davanti ad uno specchio e dirsi: “Ok, amico/a, ora io e te facciamo due chiacchiere…”. E ci vuole forza per staccarti da un modo di pensare consolidato da tutta una vita, da tutta la “tua” vita! “UNA CONVINZIONE NON E’ CIO’ CHE LA MENTE POSSIEDE MA CIO’ CHE POSSIEDE LA MENTE”
Se sarai abbastanza intelligente, coraggioso e forte, il premio sarà la Libertà! Liberarsi dalle convinzioni limitanti è come togliersi i tappi dalle orecchie o uscire da un banco di nebbia o come quando ti a il raffreddore e, per magia, tornano gli odori e i sapori!
Liberare la mente dalle convinzioni che la imbrigliano è acquisire il potere di fare qualunque cosa tu voglia. Non è detto che poi riuscirai nell’impresa, ma che importa? Solo l’averci provato ti ha fatto fare un altro o avanti; la nuova consapevolezza ti ha fatto spostare ancora di più dal punto zero sulla nostra linea immaginaria. Infatti: 0+1+1=2
Il Rassegnato, che quasi anela ad un impossibile ritorno al punto zero, al contrario, rischia di are dall’altra parte; contrastando la forza sospingente della consapevolezza, ne subisce il contraccolpo e torna oltre l’indietro. Infatti: 0-1=-1
Verrebbe d’istinto di incitare queste persone a seguire il cambiamento ma il cambiamento si ottiene solo se si è pronti a riconoscerlo e, a chi è troppo concentrato su ciò che “non” può fare o su ciò che “non” può avere, non resta abbastanza tempo per coglierlo al volo… L’augurio che facciamo loro è che, presto o tardi, trovino qualcosa che inneschi la loro attenzione.
C’è anche un’altra categoria di persone che saltano sulla rete per toccare il cielo e quando non ci riescono saltano più forte e, visto che ancora non ci riescono prendono una rete più larga, ma ancora non ci riescono e allora usano una scala ma, dato che non ci riescono lo stesso, si fanno sparare da un cannone… Allucinante, vero?
Già. Questi sono i Disperati…
In un ipotetico viaggio in treno, i Rassegnati sono quelli che scendono alla prima stazione e lì restano per sempre, che la stazione piaccia o non piaccia; i Disperati sono quelli che scendono ad ogni stazione ma poi risalgono immediatamente perché si accorgono che non è la loro! Dove sei tu sul treno? Ovvio, in prima classe a guardare dal finestrino quale stazione ti piace di più! Quando deciderai di scendere sarà quella giusta e se dovessi cambiare idea… c’è sempre un altro treno che parte!
A dire la verità i Disperati ispirano simpatia… Sono usciti dallo stato di Inconsapevole e, abbagliati dalla nuova realtà che si è loro profilata innanzi, si agitano come forsennati alla ricerca del modo migliore per raggiungerla. Stare vicino ad un Disperato può risultare quasi snervante, ma loro sono dei veri vulcani in eruzione! Il loro cervello lavora ventiquattro ore su ventiquattro, elaborando ogni secondo un nuovo pensiero, una nuova idea, un progetto nuovo… E anche la scienza matematica è dalla loro parte! In base alla legge dei grandi numeri, è scontato che riusciranno a trovare quello che cercano!
Contrariamente al significato letterale del termine, il nostro Disperato, di speranza ne ha da vendere ed è in grado di cogliere un’opportunità in qualunque
veste essa si presenti. A volte rivela un fiuto (Intuito…?) eccezionale perché l’opportunità la tira fuori anche da dove sembra non essercene nemmeno l’ombra! E’ euforico e frizzante ma con repentini sbalzi d’umore; è facile vedere un Disperato ridere come un bambino e un secondo dopo piangere come… un disperato vero! Anche questo ha una sua logica spiegazione, naturalmente: il Disperato non si capacita di avere così tanto a disposizione e di non essere ancora riuscito ad ottenerlo e, quando ci pensa, ovviamente, si dispera! Ma, fidati, un Disperato non molla mai! E’ tenace e caparbio… i Disperati sono adorabili… Non penso, a questo punto, che ti possa essere sfuggito il “dettaglio” che IO sono una Disperata!
Lo sai quale è il pregio di noi Disperati? Siamo contagiosi…. Se, per caso, tu avessi anche solo un minuscolo pertugio dal quale fuoriesce un filo della luce emanata dalla tua nuova consapevolezza, stai certo che il Disperato lo noterà a chilometri di distanza e farà diventare quella piccola apertura una porta spalancata! Se hai deciso che vuoi uscire dal recinto, stare vicino ad un Disperato è una strategia vincente!
Leggi un po’ qua…. Un Disperato, come sono io, trova la via anche al buio… Il buio, per me, sono le condizioni avverse o cosiddette sfortunate; quelle che ti
fanno venire voglia di mandare tutto e tutti a quel paese e di rintanarti in un angolino buio per startene tranquillo… Ma, se ti rintani, al buio ci resti per sempre… Se, invece, decidi di andare avanti perché sei convinto (CONVINZIONE POTENZIANTE) che “qualcosa di meglio ci sarà per forza!”, allora stringi i denti e riprendi a camminare! La mia vita, dai tempi del liceo, è iniziata così. Anche io chiusa nel recinto degli obblighi e dei doveri, a furia di ripetermi “ma sì… proviamo anche questo…” il mio recinto l’ho sfondato!
All’ultimo anno di liceo, le idee su cosa fare all’università, le avevo ben chiare, ma il fatto che mio padre avesse un’azienda, sai…una di quelle con le macchine a controllo numerico…, fece spostare la mia scelta da quella “voluta” a quella “dovuta”. Per far piacere alla mia famiglia, per assolvere nel migliore dei modi ai miei obblighi, mi iscrissi quindi a Scienze dell’Informazione: facoltà di Informatica. Santo cielo! Informatica! Io! Che arrivavo da un liceo linguistico dove l’informatica era “accendi e spegni il computer”, al massimo “ecco: questo è un mouse…”! Poi… a me che è sempre piaciuta l’area umanistica e letterale! Figurati! Fu un vero trauma… Ma… la famiglia chiedeva e io obbedii… E ci ho provato! Ci ho provato sul serio! Anche a dare un esame… fu un vero disastro! Peggio di quanto avrei mai potuto immaginare.
Era fin troppo chiaro come quell’ambiente non c’entrasse assolutamente nulla con me! La mia strada era un’altra e quindi abbandonai, perdendo così l’anno. Riuscendo a convincere mio padre, l’anno successivo mi iscrissi allo IULM a Relazioni Pubbliche. Che dire? Tutto un altro mondo… il mio mondo! Venticinque esami dati con successo e divertimento. Quello era ciò che volevo fare! La tesi che avrei voluto realizzare verteva sulla Rinascente di Milano dove, proprio per raccogliere le informazioni che mi servivano, sarei dovuta andare a fare uno stage di tre mesi. Soddisfatta ed orgogliosa, cominciai la mia avventura in Rinascente ma, dopo appena due settimane dall’inizio dello stage, ebbi un incidente che fece andare tutto all’aria: stage, tesi, laurea! Come se non bastasse, le cose in famiglia avevano preso una brutta piega: il lavoro di mio padre aveva iniziato a barcollare fino a quando ci fu il vero e proprio fallimento. La situazione divenne complicata ed io non ebbi più né il tempo né le risorse economiche per fare quello che mi piaceva: non potevo permettermi di studiare e basta, c’era bisogno di guadagnare! Mi rimboccai le maniche ed andai a fare le promozioni nei supermercati, cercando così di unire le necessità economiche all’ultimazione del mio percorso di studi. Hai presente quelli che, nei supermercati, ti fermano e ti chiedono: “Scusi… vuole provare questo caffè…?” oppure
“Scusi…non vorrebbe due pacchi di brioches…?” Ecco: io facevo proprio quello! Non essendo spigliata, spiritosa, frizzante (… e modesta!) come sono ora, fu una vera fatica! Scherzi a parte, a quel tempo ero piuttosto timida e dovetti lavorare parecchio su quel mio limite. Oggi, ringrazio quell’esperienza, perché penso che la mia trasformazione sia iniziata da lì! Lavorando, concludo anche la tesi e mi laureo: finalmente! Caso vuole che, in quel periodo, la Fininvest stesse cercando operatori telefonici per la vendita di Tele+, nei primi anni in cui si presentava sul mercato. “A naso”, trovai la cosa interessante ed andai a fare il colloquio. Fu un bel periodo: si stava in un grande ufficio a parlare al telefono; eravamo circa in venti. Ho un piacevole ricordo di quell’ambiente e anche dell’attività di operatore telefonico, anch’essa ha lasciato la sua impronta nel mio stile di approcciarmi alle persone. Purtroppo (o per fortuna…?), pure questo lavoro durò poco… L’azienda, per sue ragioni, scelse di cessare l’attività. Decise di reinvestire il capitale umano che aveva a disposizione (cioè noi) nella sua banca e ci affidò un prodotto pensionistico da vendere. Tra l’altro, venti anni fa, non si sentiva spesso parlare di prodotti del genere, fu uno dei primi in assoluto. E io ero lì! Scoprii non solo che il lavoro mi piaceva, ma anche di avere un certo successo con le persone, le quali, addirittura, mi chiedevano se avessi dell’altro da offrire
loro. Unendo la ione per quella nuova esperienza e la richiesta del mio “primo” mercato, ebbi l’idea di rivolgermi ad altre compagnie assicurative. Scelsi “Le Generali” e divenni Promotore Finanziario, con tanto di Esame di Stato ed iscrizione all’Albo.
Ormai è assodato: quando mi metto a fare una cosa che mi piace, il risultato è garantito! Se non ci riesco è solo perché…non fa per me!
Gli otto anni a Le Generali furono un vero successo! Oltre ai clienti che mi ero portata dietro dall’esperienza Fininvest, riuscii a fidelizzarne almeno un altro centinaio! Non c’era più neanche l’ombra di problemi economici e fui in grado di mettere via abbastanza denaro da comprare casa quando decisi di sposarmi.
La strada è stata tortuosa e partita nel modo peggiore, ma la mia condizione di Disperata mi ha dato modo di andare avanti dritta come un fuso!
Smisi di fare il promotore dopo la nascita di mio figlio. Da quel momento, la mia priorità era diventata un’altra!
Eh sì! Non c’è limite a quello che puoi fare se decidi che vuoi farlo! E ti svelo un segreto…
Se vuoi, puoi anche decidere di non fare nulla ma, senza dubbio, lo farai meravigliosamente bene!
L’essenziale è fare il primo o, quello che ti condurrà fuori del recinto. Quello che hai appreso, ciò che ti è stato insegnato, ciò che è stato insegnato a tutti noi, non va né rifiutato né rinnegato ma semplicemente ampliato e, all’occorrenza, modificato. La vita che abbiamo vissuto fino ad ora è stata la giusta palestra per allenare i nostri sensi, le nostre capacità, per formare il nostro corpo e le nostre menti. Come ogni cosa che ci appartiene va ringraziata: senza di essa non saremmo ciò che siamo, ma, una delle prerogative di ogni essere vivente e dell’uomo in particolare è evolvere. L’Evoluzione ci ha fatti andare da un albero di quello che ora è il continente africano alla Luna e sarà sempre l’evoluzione, in questo caso quella personale, che ti condurrà fuori del recinto delle convinzioni limitanti, delle risorse inesplorate, delle possibilità non colte, della vita non vissuta ma subita. Tu, con le tue mani, puoi essere davvero l’artefice del tuo destino, trasformando un “modo di dire” in un “modo di vivere”. Quello che ti serve lo hai da sempre con te: sei tu stesso! Hai un sogno: inseguilo! Hai un desiderio: esprimilo! Hai un talento: coltivalo!
Tenta, osa, buttati, cadi, rialzati e poi riparti. Impara dai tuoi errori e gioisci dei tuoi successi. Ad ogni nuovo o corrisponde un arricchimento d’esperienza.
Le esperienze formano la vita e la tua nuova vita è lì che ti aspetta: corrile incontro! Scoprirai così che, correndo, ti viene da sorridere… …ti viene da ballare… …ti viene da cantare… e… ti viene da vivere!
"Essere se stessi è una virtù esclusiva dei bambini, dei matti e dei solitari”.
(Fabrizio De André)
A bruciapelo la domanda: che differenza c’è tra l’essere se stessi e l’essere diverso? A bruciapelo la risposta: nessuna!
Dì la verità che ti aspettavi lo spazio bianco della “riflessione”… Hai visto come è facile abituarsi, anche alle piccole cose?
L’abitudine, l’adattamento, rende le cose più facili, più comode ed evita inutili sprechi di energia. O così sembra… Ma, Noi, abbiamo imparato che non tutte le cose sono come sembrano e che le spiegazioni più ovvie non ci piacciono neanche un po’… Per quanto risparmiare energia, fisica e mentale, sia una cosa benefica, non sempre si rivela realmente utile ad altri livelli…
Siamo soliti usare il concetto dell’Adattarsi quando ci riferiamo ad una nostra reazione/comportamento in una situazione/contesto nei quali siamo consapevoli di essere scesi, potremmo dire, ad un compromesso con qualcuno o qualcosa.
“Come sono andate le ferie?” “Abbastanza bene… la stanza dell’albergo era piccola, ma mi sono adattato…”.
“Devo adattarmi alle nuove regole del condominio, se non voglio avere rogne con l’amministratore…”.
“Adattarsi a quel suo modo di fare è snervante…”.
E simili.
Si può quindi dedurre che “adattarsi” non sia una cosa che facciamo volentieri; lo facciamo perché è necessario farlo ma, in realtà, non siamo d’accordo, o quanto meno, non lo siamo completamente.
In origine, il termine adattamento, specificamente in biologia, si riferisce “alle modificazioni di una struttura anatomica, di un processo fisiologico o di un tratto comportamentale di un organismo che si è evoluto in un certo periodo di tempo, in maniera tale da aumentare il successo riproduttivo di tale organismo. L’adattamento può aumentare l’efficienza nel procurarsi o utilizzare risorse fondamentali quali aria, luce, acqua e nutrimento, permette di sopportare condizioni difficili e aumentare la capacità di difendersi da un predatore…”. (fonte: Wikipedia)
Da qui, sembra che l’Adattamento sia una cosa positiva, addirittura auspicabile… Come si spiega allora che il “nostro” concetto di Adattamento si riferisca sempre a condizioni per noi sfavorevoli o riduttive? Semplice: l’uomo, oltre a chiudersi nei recinti, è molto abile a trasformare ciò che per natura è positivo in una vera e propria turba di pensiero!
Pare proprio che da quando ha lasciato la sua condizione di primate, non abbia fatto altro che stravolgere ed alterare i semplici e veri significati delle cose! Tanto più l’uomo pensa, tanto più si complica la vita e, peggio ancora, la complica a chi gli sta vicino, che, di pensieri, ne ha già abbastanza dei propri!
Va da sé che questa mia considerazione vuole essere solo una giocosa generalizzazione con la quale portarti a riflettere su quanto, molte volte, ciò che desideri fare o essere sia in netto contrasto con la realtà che vivi.
Adattarsi ad una situazione o ad un ambiente implica l’essere parte integrante di uno di essi, anche nostro malgrado.
Ci adattiamo perché, se non lo fimo, entreremmo in collisione con ciò che ci gravita intorno: se tutto e tutti vanno in una direzione, ci troviamo a seguirla anche noi. Nel momento in cui ti adatti, hai compreso lo schema che governa quello spazio e quel tempo. Seguendo pedissequamente lo schema, riesci a stare nel sistema e tutti sono contenti. O quasi…
Per definizione, uno schema è una rappresentazione di linee essenziali e semplificate, qualcosa di strutturato atto a rendere più facile l’esecuzione di un’attività (quindi, in pratica, seguire uno schema, vuol dire “non far fatica a fare una cosa dato che è già stabilito come farla”.) La nostra memoria procedurale, ad esempio, lavora con gli schemi.
Quando guidi o ti allacci le scarpe, non stai a pensare: “Ora, con il piede destro, premo il pedale dell’acceleratore, mentre con il sinistro premo appena quello della frizione…”. oppure: “Con l’indice e il pollice della mano destra o il laccio sotto quello che tengo con le stesse dita della mano sinistra, poi afferro il laccio appena ato con le dita della mano sinistra e tiro per fare un nodo…”. Lo fai e basta! (Sappi che per scrivere come ci si allaccia una scarpa, ho dovuto farlo sul serio, perché… mica me lo ricordavo!)
L’automatismo operativo è dovuto all’apprendimento e all’immagazzinamento da parte del cervello, degli schemi di come si fanno determinate cose, cosicché noi siamo liberi di fare dell’altro nello stesso momento. Infatti, che so, mentre guidi puoi cambiare le stazioni della radio o mangiarti un panino! Ti ricordi quando hai imparato ad allacciarti le scarpe? Di sicuro no, eri troppo piccolo… Eppure, ancora oggi, le scarpe te le allacci nello stesso modo! Perché è uno schema che funziona.
Tra gli altri schemi, esistono anche quelli “comportamentali”: quale atteggiamento, o quale insieme di atteggiamenti, usi per affrontare una determinata situazione. Anche in questo caso, il nostro cervello, in un determinato momento della nostra vita, ha appreso ed immagazzinato uno schema di azioni che hanno funzionato e
ce lo ripropone ogni volta che si ripresenta una situazione che lui reputa come quella originale.
Il nostro cervello è una macchina perfetta….
Succede però, che per svariati motivi, con il tempo, lo schema possa non risultare più efficace. Se questa inefficienza riguarda azioni meccaniche, siamo in grado di rianalizzare la situazione contingente (problema) e di attuare un’altra strategia che sostituirà lo schema obsoleto. Quando invece lo schema superato riguarda comportamento e atteggiamento, le cose non sono più così logiche; altre variabili, decisamente più difficili da individuare (perché assolutamente personali), impediscono l’immediata sostituzione dello schema. Il nostro cervello sembra non concepire che l’atteggiamento messo in atto non assolva più la sua funzione: è molto più complicato scorgere un’inefficienza di comportamento che un’inefficienza d’azione.
Quando uno schema comportamentale, che funziona allo stesso modo di uno meccanico, non funziona più, per noi sono seri guai… Come ti ho detto prima, il cervello riconosce la situazione come simile a quella originaria e ci ripropone lo stesso modus operandi, ma “simile” non vuol dire “uguale”: è variato il tempo, il contesto, lo spazio… ciò che rimane invariato è la nostra sensazione in quella situazione che, apparentemente, ci catapulta in un’esperienza che, nella realtà, non esiste più. E noi ci ritroviamo ad usare uno schema che, ormai, non ha più ragione di esistere.
Vedo già la tua faccia: “E allora cambiamo lo schema!”
Giusto ma estremamente complicato.
Gli schemi comportamentali, soprattutto se attivati per far fronte ad una situazione importante della nostra vita (problema), si radicano talmente in profondità da diventare, per noi, irriconoscibili. Noi agiamo in base a questi schemi senza rendercene conto! Eccola la fregatura: se non sai che stai usando uno schema sbagliato, come fai a sostituirlo?
Un conto è cambiare il sistema operativo del telefonino e, di conseguenza, imparare le nuove istruzioni; un altro è capire che, se da piccoli si è cresciuti in una famiglia numerosa dove era d’obbligo gridare per farsi ascoltare, non è scontato che, continuando a gridare, il nostro partner o i nostri amici attuali ci presteranno maggior attenzione….
C’è un solo modo per contrastare uno schema comportamentale obsoleto: fare una corretta ed approfondita analisi della sensazione di disagio che ci accompagna o che ci assale in concomitanza di precise occasioni e scandagliarne quale ne sia l’origine. Di solito, l’istinto di conservazione ci porta ad affermare che “Non mi capiscono!” “Non mi ascolta!” “Non mi considerano!”
Seguendo a ritroso tutti i i dell’esperienza, si giunge alla domanda conclusiva, che in realtà diventa quella di partenza, che è: “In che modo mi sono espresso/a?” Se la risposta sarà: “Con violenza…” “Con irruenza…” “Senza riflettere…” la strada è spianata per arrivare fino al nocciolo della questione.
Se sei in grado, o sei già stato in grado, di fare un cammino a ritroso di questo genere, hai voltato pagina e ti sei trasformato in un individuo diverso. Se non l’hai ancora fatto, ma senti che ti servirebbe farlo, questo è il momento giusto!
Qui il primo richiamo alla frase con la quale ho esordito: essere diverso equivale ad essere se stessi! con la puntualizzazione di un SE STESSO che muta al mutare del tempo e all’ambiente che lo circonda.
Potrebbe apparirti assurdo riconoscerti come più individui ma è quello che accade sul serio! Se solo pensi alle macro distinzioni delle età, ne hai un valido esempio… Ma ne esistono anche di più sottili e, al contempo, più intensi. In realtà, ogni giorno, dentro di noi, si agitano una miriade di NOI che hanno modi di pensare ed agire peculiari.
Riconoscere le nostre diversità ci permette di equilibrarle, rendendoci capaci di non far prevalere sempre quella con la quale, per abitudine o comodità, ci piace maggiormente riconoscerci.
Alcuni mesi fa, ho conosciuto una persona con la quale sono entrata immediatamente in sintonia, nonostante ci contraddistingua un’opposta modalità d’azione! Entrambe siamo Disperate ma, mentre la luce della mia consapevolezza mi rende simile ad un laser, quella della sua la rende più simile ad un vecchio neon di quelli che si dovevano scaldare prima di accendersi! Accade però che, quando senti di avere base comune, le diversità si trasformino in peculiarità equilibranti e questo è quello verificatosi tra noi due.
Mi ha fatto leggere una sua poesia… Voglio farla leggere anche a te… Mi sembra appropriata a ciò di cui stiamo “parlando”
“Tempo fa qualcuno mi chiese -chi sei tu?Io non seppi rispondere. Ora
a distanza forse d’una vita ho trovato la risposta.
Io sono ogni cosa e il suo opposto: bianco e nero maschio e femmina giorno e notte buono e cattivo giusto e sbagliato. Io posso essere ciò che voglio ma sono ciò che scopro giorno dopo giorno attimo dopo attimo esperienza dopo esperienza.
Scopro di me ciò che sono e mi sorprendo ogni volta.
Essere se stessi è riconoscere i propri mille volti. Una perfetta geometria fatta da mille linee che si intersecano creando un perfetto equilibrio tale per cui posso essere ciò che voglio consapevole di essere sempre me stessa”
(scritta il 02/04/2014)
Riconoscere i propri mille volti ed essere sempre se stessi.
In Programmazione Neuro Linguistica questo si indica come il “Riconoscimento e l’Accoglimento delle proprie Parti”.
E’ qualcosa che aiuta profondamente a superare difficoltà personali e a vivere meglio.
Se riconoscere SE STESSI come diverso dall’abituale SE STESSO è fondamentale, c’è un altro ambito in cui la diversità gioca un ruolo importante. E il suo gioco a da chi “mostra” una diversità a chi “osserva” quella stessa diversità.
Mi riferisco alla relazione con il resto del mondo, con gli “altri”.
Gli altri: quegli strani esseri da cui sei circondato che notano qualunque cosa si discosti dal loro panorama abituale. E giudicano. Mi sembra di sentirti: “Eh già… proprio così…” Magari hai un faccino mesto, mentre ricordi qualche episodio in cui il giudizio degli altri si è abbattuto impietoso su di te…
Ti do una brutta notizia: negli “altri” ci siamo anche Io e Te…
Dato che siamo faccia a faccia, bandiamo ogni ipocrisia: il giudizio ci piace! Ci fa sentire importanti… Tronfi nella nostra cristallina normalità, ci ergiamo a giudici dell’Inquisizione e condanniamo tutti quelli che non la pensano come noi, che non si vestono come noi, che non vivono come noi… Facendo così, ci sentiamo diversi dai diversi e simili agli uguali, fino a quando, per forza di cose, perché è nella nostra natura, nella natura di quelli come me e come te, ci rendiamo conto che quella somiglianza ci sta stretta e ci troviamo ad essere ugualmente diversi dagli uguali ma non ancora simili ai diversi.
Arrivati a quel punto, ci manca lo scatto finale, ci manca da capire una cosa, quell’unica cosa che ci renderà capaci di diventare davvero DIVERSI: il vantaggio! La prospettiva.
Chi è diverso vede in maniera diversa e sente in maniera diversa, per questo è capace di comprendere le altre diversità che incontra. E impara a non giudicare. L’assenza di giudizio è pressoché impossibile da ottenere (a meno che tu non abbia come obiettivo ultimo quello di fare l’asceta o diventare il nuovo Dalai Lama…), ma l’allenamento permette di riconoscere quando lo si sta esprimendo e ci rende capaci di fermarci in tempo. Una delle frasi più belle da dire, e da sentirsi dire, è: “Scusa, non era mia intenzione giudicarti…”. Non puoi immaginare come si spalancano i canali dell’empatia e della comunicazione dopo una frase del genere!
Avere una diversa prospettiva implica un tuo movimento. Ti propongo una cosa semplice semplice: a seconda di dove ti trovi in questo momento (treno, casa, ufficio - in pausa mi auguro! -, nella mensa della fabbrica, su una panchina… ovunque tu stia leggendo) guarda la prima cosa che hai davanti….
Fatto?
Bene!
Tieni l’immagine che hai visto ben impressa nel tuo cervellino.
Ora
Alzati e vai dietro (o di fianco, dipende dalla posizione della cosa che hai scelto di guardare) all’oggetto della tua osservazione. (Ovvio, se hai scelto la parete… ti conviene tornare all’inizio del giochino…)
Guarda quella stessa cosa da dove sei adesso.
Fatto?
Bene!
Prendi quell’immagine e confrontala con quella che hai registrato prima.
Fatto?
E ma che allievo diligente!
Ora
Cosa puoi dedurre da queste due osservazioni?
(“Nulla” non è contemplato nelle opzioni…)
….
Bravo!
Che hai guardato la stessa cosa da due lati diversi!
Non mormorare:
“Era ovvio…”
Lo scopo del giochino era farti MUOVERE.
Non può esserci un cambio di prospettiva se non ci si muove. Lo stesso vale per la prospettiva mentale: se non ti muovi con la mente tra le esperienze, i fatti, le idee, le considerazioni, gli atteggiamenti, non sarai in grado di vedere le stesse esperienze, gli stessi fatti, le stesse idee, le stesse considerazioni, gli stessi atteggiamenti da un’altra prospettiva. Conseguentemente, non potrai capire chi, invece, un’altra dimensione percettiva ce l’ha già. Ecco da dove nasce il giudizio: dalla staticità. Statico vuol dire immobile, immutabile; la prospettiva nasce dal dinamismo, dal movimento, e tutto ciò che si muove cambia, diventa diverso, ogni volta.
Ma cosa vuol dire “essere diverso”, oltre che dinamico? Strano Particolare Eccentrico Destabilizzante Inquietante Affascinante (per fortuna, non tutte le interpretazioni riguardo alla diversità sono sempre negative!)
Metticeli tu gli altri aggettivi, tutti quelli che ti vengono in mente!
Gli aggettivi indicano la reazione ad una diversità, esprimono quello che essa suscita in chi la osserva (o perché no, anche in chi la esprime! Può capitare che, alla prima occasione in cui ti senti diverso, questa cosa destabilizzi o affascini anche te!) Il concetto è sempre lo stesso: qualunque cosa turbi o perturbi il vivere quotidiano desta attenzione. Più la perturbazione è violenta a livello sensoriale ed emotivo, più la reazione sarà intensa.
Ci sono infinite varietà e sfumature di diversità e non tutte provocano gli stessi effetti. Potresti tagliarti i capelli corti corti corti o farteli rasta: gli altri ti vedrebbero in maniera differente, ma, in linea di massima, dopo un paio di giorni si saranno abituati. Prova ad andartene in giro senza vestiti…
Non credo che la reazione degli altri sarebbe un: “Stavi meglio prima…” o “Carino il nuovo look!”
Tutto dipende da quali corde tocca, negli altri, la diversità che hai deciso di mostrare e quanto questa si discosti dal vivere e dalla morale comune.
Tanto più allarghi la forbice, tanto più verrai giudicato “fuori norma”.
Te lo ricordi il recinto? Bene, le norme, le convenzioni, le abitudini sociali ne costituiscono le palizzate quanto le convinzioni limitanti e le risorse inutilizzate.
Eppure, nel suo piccolo, nella sua intimità, ognuno si sente diverso dall’altro perché ognuno ha una propria individualità e personalità e non c’è modo migliore di esprimerla se non “facendo qualcosa di diverso”. E’ paradossale riflettere su quanto si tenga alla morale comune, che in comune si è creata, e quanto, individualmente, in un modo o nell’altro, si cerchi di rifuggirla… La maggior parte delle persone, però, si limita a vivere la propria diversità stando ben attenta a rimanere nei giusti confini. “… Mica che poi se ne accorgono…” La paura del giudizio e della “cacciata dall’Eden” porta i più ad omologarsi a ciò che si ritiene conveniente o consono. A quello che, per la maggioranza, è giusto.
E accade che… la perfetta casalinga, madre affettuosa e moglie amorevole, al martedì sera va a fare kick boxing…(“Così mi sfogo…”.) o il perfetto uomo d’affari con il blue tooth all’orecchio da quando si sveglia e lo smartphone da polso, arriva a casa e si mette il pigiama con le pantofole a forma di cane, quelle pelose con le orecchie e il muso… (“Così mi rilasso…”.)
E che dire di quelli che usano l’alibi del “è di moda”? “… Faccio fitness perché è di moda…” “… Mangio vegano perché è di moda…” “… Bevo fino allo sfinimento agli happy hours perché è di moda…”.
“E’ di moda” non significa forse “Ora si usa così?” o “E’ abitudine, in questo periodo, fare così”? Vedi: sembra di fare qualcosa di diverso dal solito ma in realtà ci si adatta a fare quello che fanno gli altri; in questo modo si esce dalla propria routine senza dare troppo nell’occhio…. Poi, che la cosa piaccia sul serio o meno, non è tanto importante…
Ma, allora, che fatica serve per essere uguali, per essere conformi?
Che fatica serve per trattenere, rinnegare, soffocare i nostri desideri o, ancor peggio, i nostri bisogni, il nostro bisogno di essere quello che sentiamo di essere?
Di nuovo, ci viene in aiuto la devastante capacità insita in noi di complicarci la vita:
fare la pipì è un bisogno… appena mi scappa mollo tutto e corro in bagno…
ahhh….! Soddisfazione!
Dire al proprio marito (per riprendere l’esempio di prima) “A me ‘sta vita mi sta snervando!” è un bisogno…. …………ops…. “… meglio di no….che figura faccio….e dopo che succede… e i bambini….” ahhhh!!!! Frustrazione!!
Consideriamo i nostri bisogni personali di second’ordine e ci costringiamo a seguitare nella soddisfazione dei bisogni di “tutto il resto del mondo”, perché ci è stato insegnato che si fa così per starci nel mondo!
Ci è stato insegnato che “se vai contro resti da solo” “se si è sempre fatto così un motivo ci sarà!” o, peggio, ci è stato suggerito: “ma chi te lo fa fare… è già tutto bell’e pronto!” Beh, è ora di cambiare musica!
A chi ci dice: “ehi… mi sembri un po’ fuori…” “ma…sei pazzo/a!” o, quando noi pensiamo:
“… mi dicono che sono una persona diversa…”.
La risposta è una sola:
MENO MALE!!
Essere diversi vuol dire rompere lo schema, rinunciare all’adattamento in favore del soddisfacimento. Chi è diverso sovverte le regole comuni e se ne crea delle proprie; esce dai binari e percorre la strada che ha scelto di percorrere.
Essere diversi vuol dire… essere se stessi!
Nella vita le uniche regole che andrebbero rispettate sono quelle di non fare del “male”, di qualunque tipo e sotto qualunque forma, a niente e a nessuno (e, forse, sono le uniche che di rado sono rispettate sul serio…); fa che tutto il resto sia come TU vuoi che sia, dalla cosa più piccola e apparentemente banale, a quella più grande e apparentemente più significativa.
Vuoi vestirti sempre di giallo? Fallo! Vuoi farti crescere i peli sotto le ascelle? Fallo! Vuoi andare al lavoro camminando all’indietro? Fallo! Vuoi baciare con la lingua la prima persona del tuo stesso sesso che incontri? Fallo!
…No, aspetta, mi sono lasciata prendere dall’entusiasmo… è meglio se ci scambi prima due chiacchiere… così, per capire l’atmosfera… Se provi un’emozione speciale nel fare qualcosa, santo cielo, falla!
Sei te stesso quando fai qualcosa che ti procura benessere, che ti rende felice, che ti soddisfa. Fai uscire la tua felicità dalle quattro mura di casa o da qualunque altro posto “protetto”, porta te stesso in giro per il mondo: faglielo vedere il mondo e, al mondo, fai vedere chi sei TU! Sei te stesso quando prendi un pensiero o un’idea dal cesto di quelle già pronte e, rigirandotela tra le mani, la guardi e ti chiedi: “Ma è davvero così…?”
Non è necessario che la risposta debba per forza essere “no” (non è diverso chi dice sempre no, è diverso chi dice quello che pensa!) potrebbe anche essere “sì”, ma sarà il TUO “sì”! Lo avrai pronunciato dopo che quell’idea o quel pensiero ti hanno attraversato da testa a piedi e viceversa, dopo che ti sono girati nelle vene: il tuo “sì” sarà diverso da tutti gli altri “sì”.
Lascia agli altri il giudizio, la critica, il disappunto; tu, ormai, sei ad un altro livello, quel livello che trasforma il tuo vecchio giudizio in comprensione, la tua vecchia critica in valutazione e il tuo vecchio disappunto in curiosità!
C’è un altro modo di vivere rispetto a quello degli altri: il TUO!
Quando arrivi a questa consapevolezza, hai comunque una scelta: puoi sempre chiedere scusa al mondo e rientrare nei ranghi con una frase del tipo: “Ops… perdonatemi… è stata una svista…”. O spalancare del tutto gli occhi e gridare: “Non mi avrete mai più!”
Ricordati che nessuno può obbligarti a fare nulla, neanche ad essere felice…
Per concludere il mio “Inno alla Diversità” ti faccio pensare anche ad un’altra cosa…
Negli anni, nei decenni, nei secoli, quante cose sono cambiate nella società e nell’immaginario collettivo? Quando si vide la prima automobile, qualcuno pensò: “Non durerà a lungo…” Quando Coco Chanel presentò i suoi primi pantaloni, molti dissero: “Cielo! Un abito da uomo per una donna! Impensabile!” Solo per citarti due cose, così al volo…
Il diverso cambia quello stesso mondo che in prima battuta lo osteggia. Il diverso è intraprendente e coraggioso; scommette su se stesso e vince, sempre.
Per questo sii orgoglioso di sentirti diverso, in qualunque modo si esprima la tua diversità. Gli artisti sono diversi, le menti geniali sono diverse, tutto quello che “fa la differenza” è diverso! Persino Gesù era considerato diverso e guarda che razza di movimento ha creato!
La diversità è un dono e un vantaggio.
Da oggi in avanti se qualcuno ti guarderà di sbieco e ti dirà: “Sei davvero strano/a…”
tu abbraccialo e rispondigli: “Grazie! Non potevi farmi un complimento più bello!”.
Se, fino ad ora, ti guardavi allo specchio e ti veniva da sospirare, prova a chiudere il libro e vai davanti allo specchio adesso… guardati… sorridi… e dimmi se non… TI VIENE DA VIVERE!!
“E se la strada è in salita è solo perché sei destinato ad arrivare in alto”.
(A. Pavan)
In tenera età, ti sarà sicuramente capitato che qualcuno (che so, lo zio o l’amico di famiglia), interagendo con te, chiedesse: “E… da grande, cosa vuoi fare?” Tu, allora, spalancavi gli occhietti e cominciavi a tirare fuori le cose più improponibili: il detective per animali, l’assaggiatore di patatine fritte… l’unica cosa quasi normale che usciva dalla tua bocca era l’astronauta! Rispondevi tutto quello che l’immaginazione ti faceva are per la testa. Dal canto suo, l’interlocutore, metteva una mano sulla tua testolina e, sorridendo, si girava verso i tuoi genitori, anch’essi sorridenti, e diceva loro qualcosa tipo: “Che fantasia ‘sto bambino/’sta bambina!” “Sì… è proprio un sognatore/sognatrice!” rispondevano felici mamma e papà… Questo perché, ai bambini, è concesso sognare, é quasi un obbligo… Se il bambino non fa o non dice cose “da bambino”, ci si preoccupa che questi non abbia fantasia o non sia creativo. Quindi un bambino deve immaginare e deve sognare. E, fino a qua, siamo, in linea di massima, tutti concordi.
Il problema si pone nel momento in cui a sognare non è più un bambino…
A quanto pare è stata stabilita, non si sa da chi e non si sa quando, un’età oltre la quale sognare diventa una cosa che “non si fa”! Il sogno, quello espresso, non quello che si fa di notte, sembra essere ben accetto fino a che si è piccoli, dopodiché diventa una “perdita di tempo”.
E’ fuori discussione che un sognatore over trenta non riceverà lo stesso riscontro da un ipotetico interlocutore (e men che meno dai suoi genitori!) se afferma: “Voglio fare il personal trainer di polli!” Magari anche adducendo le sue ragioni e mostrando un progetto già abbozzato di come intende procedere con la creazione dell’attività. Il materiale è lo stesso: creatività ed immaginazione; quello che è cambiato è il contesto.
La società impone che, da un dato periodo della nostra vita, noi ci si dimentichi della capacità di sognare e di guardare alle cose come farebbe un bambino (cosa che ognuno di noi è stato) e cioè con allegria, positività e freschezza. Molto meglio avere sempre lo sguardo cupo e pensare ogni singolo momento della nostra giornata a quanto sia faticoso essere adulto e a quanto sia difficile stare in questo mondo pieno di problemi…
Per la società, se a trenta anni (meglio non fare l’esempio dei quaranta di anni! A quel punto non ci sarebbero più parole…per la società ovviamente, mica per noi che abbiamo tutt’altra filosofia di pensiero e di vita!) non stai ancora facendo niente di rispettabile, di normale, sei da guardare con disappunto o, al massimo della bontà d’animo, con pietà: o sei un fallito o sei un disagiato. A nessuno verrebbe mai in mente di chiederti se, per caso, tu stia architettando qualcosa di particolare o se, per caso, tu non stia portando avanti un sogno… Forse a qualcuno la parola “sogno” o “sognatore” può anche uscire, ma questo qualcuno sarà ben lungi dall’avere il sorriso dell’interlocutore di quando eri bambino! Al contrario, quella parola, uscirà da labbra ben strette e piegate all’ingiù. Ciò che fino ad una certa età era auspicabile, anzi indispensabile, diventa così deprecabile se non addirittura deleterio. Dopo quell’età, sognare diventa, se non un peccato, quanto meno una cosa da
tenere ben nascosta…
Fa strano, però, come, le stesse persone che condannano i sognatori, restino poi affascinate, magari anche con una punta di invidia, da personaggi che arrivano in alto, come per esempio lo stracitato in mille e un’occasione Steve Jobs. Vedono i suoi risultati, si commuovono ascoltando il suo ultimo discorso, sospirano di fronte al fatturato delle sue aziende e, guardando il loro figliolo/ figliola intento a scrivere “l’allenamento mattutino dei polli”, scuotono il capo, chiedendosi dove hanno sbagliato.
Attenzione: loro guardano i RISULTATI.
Non si soffermano a riflettere sul fatto che quelli sono i risultati di un SOGNO, la cui realizzazione ha avuto alti e bassi e che non ha di certo seguito una traiettoria perfettamente lineare. Forse non sanno che Steve Jobs abbandonò l’università, cui tanto tenevano la sua madre biologica e i suoi genitori adottivi, perché la trovava poco interessante e che prese a seguire solo i corsi che più gli piacevano, tra i quali “calligrafia”. Calligrafia? Esatto! Sarebbe stata poi la base delle capacità tipografiche del Macintosh! Ma, allora, lui non lo sapeva e tanto meno lo sapevano i suoi poveri genitori!
Per la maggioranza delle persone è normale ammirare il sogno realizzato di una persona e criticare o non considerare quello in fase di realizzazione di chi gli sta accanto.
Dietro ogni risultato, c’è un sogno ed è questo sogno che genera il percorso per la sua stessa realizzazione.
Sfatiamo quindi un triste luogo comune: non si smette mai di sognare!
Potresti anche trovare gente che ci crede a questa cosa ma, se fai qualche domanda in merito, ti sentirai rispondere che sognano di comprare un’isola tropicale, di diventare uno sceicco, di trasferirsi in Antartide o di incontrare un alieno… Ognuna di queste cose potrebbe essere un sogno, peccato che chi lo esprime, dopo aver parlato, abbassa la testa e mormora: “Eh… ma tanto…” relegando così l’ipotetico sogno ad una mera fantasia, convinto, sistematicamente convinto, che sogno e realtà abitino due dimensioni totalmente differenti.
Ecco, io ti suggerisco un’alternativa a questa convinzione: imparare a pensare ai sogni come prossime realtà! Se per caso andare a vivere in Antartide è anche un tuo sogno, non abbassare la testa sospirando, ma comincia ad inventarti qualcosa per farlo sul serio! Se invece vuoi incontrare un alieno…beh, porta pazienza, al SETI stanno aspettando dal 1960….
Ce ne sono altre di persone, invece, che ti guardano straniti e ti chiedono: “Sogno…? In che senso?” Allora cerchi nel tuo cervellino un sinonimo e ti viene da dire “obiettivo”…
“Ah…! Un obiettivo! Allora sì…”
Non c’è verso: ad un certo punto, a certe persone, la parola SOGNO si cancella dal cervello e si cristallizza in un unico significato: irreale!
Dopo la parola “obiettivo”, quindi, qualcuno inizia a raccontarti cosa sta pensando di fare per comprarsi la macchina nuova… Tu, nella tua beata ingenuità, esclami: “Allora ce l’hai un sogno!” Il tuo interlocutore, con faccia corrucciata, ti risponderà: “Che sogno e sogno! Il mio è un vero e proprio obiettivo!” Un po’ perplesso, a quel punto, chiederai: “Scusa, ma che differenza c’è tra un sogno ed un obiettivo?” Ora, oltre che a guardarti stranito, questa persona non potrà fare a meno di scuotere il capo, e prima di risponderti, ti dirà:
“Ma lo sai che sei strano/a…?” (Qui, tu, ridi e ringrazi, ovviamente…!) “Un obiettivo è una cosa concretizzabile! Un sogno è… un sogno!”
In realtà, chi dice cosi non ha tutti i torti… Obiettivo e sogno non sono sinonimi…
Il sogno è molto di più! E si realizza tramite la concretizzazione degli obiettivi. Il sogno abbraccia tutta la tua persona: unisce il tuo fare con il tuo essere.
Se realizzi il tuo sogno, realizzi te stesso.
Potremmo, tirando un poco il senso, affermare che l’obiettivo è la Mission e il sogno è la Vision.
Tutto quello che si può immaginare, si può anche creare. Ripensa alla mitica serie di Star Treck (la prima però, la seconda era già troppo sofisticata…): tanti concetti che vennero inventati per il set precorsero gli studi negli anni successivi!
Guardare al sogno come la realtà che sarà e non come a qualcosa che, proprio in quanto sogno, non potrà mai essere dovrebbero insegnarlo a scuola!
Tra l’altro, contrariamente a quanto si possa pensare, sognare da adulti è anche meglio perché è “da grandi” che si hanno le possibilità per realizzare quello che si vuole!
Quindi: PRIMA DI TUTTO: SOGNARE! Poi, agire per fare di quel sogno un risultato.
Però… (ormai l’hai capito che sono affezionata ai “però”…) Non credere che ti rivelerò le formule per trasformare un desiderio in realtà o che ti insegnerò i i magici per andare nel futuro, dove tutto è già come vuoi tu… Ahimè, non li ho ancora scoperti (anche se non dispero…). L’unica vera magia che ho scovato, e che voglio condividere con te, è l’aver capito che un sogno è come l’aria che ci circonda: sempre presente seppure invisibile, cangiante e, soprattutto, vitale. Cosa vuol dire? Che un sogno, il tuo sogno, lo puoi avverare in infiniti modi, in ogni momento della tua vita, e, magari, quando lo realizzi, ti accorgi che non è più quello dal quale eri partito! Man mano che hai proseguito sulla strada del sogno, hai deviato, hai girato, sei tornato un poco indietro e, cambiando direzione, hai incontrato, scoperto, realizzato, nuovi elementi, nuove esperienze che lo hanno modificato, rendendolo sempre diverso e sempre più TUO.
Ed è vitale. Avere un sogno significa non essere mai mentalmente fermi; la capacità di sognare ti rende capace di vedere al di là delle cose e delle persone, ti proietta in una dimensione più grande di quella che stai vivendo e ti spinge a fare e a sperimentare.
E l’unico modo per realizzare un sogno è provarci.
Sappi che “provare” a realizzare un sogno è più arduo di quanto si possa pensare e, se hai deciso (come mi auguro!) di farlo, è bene che tu presti molta attenzione alle prossime parole…
Ipotizziamo che stiamo studiando un sognatore…
Capita quindi che il nostro sognatore decida di provare a realizzare il suo sogno e, armato di tutti i migliori propositi e delle più grandi speranze, si incammini sulla sua strada. Lui, però, non lo sa che gli mancano due cose e, ingenuamente, avvertendone la mancanza ma non capendo cosa sia, si ferma a chiedere consiglio a quelli che incontra. Il nostro povero sognatore pensa di poter avere aiuto e sostegno e invece si trova di fronte a frotte di persone che, se non lo deridono per quello che vuol fare, lo redarguiscono su quanto sia difficile il farlo! erà tra i: “Ma vai a lavorare!” “Si può sapere quando cresci?” “Un lavoro normale, troppa fatica?” Già… perché in molti casi, il sognatore viene anche etichettato come lo scansafatiche per antonomasia. E i: “Dovrai essere tenace!” “Non devi mollare mai!” “E’ vietato arrendersi!”
“Dovrai farne di sacrifici!”
Quasi che realizzare un sogno equivalga a compiere le Sette Fatiche di Ercole! Non vogliamo mettere in dubbio le buone intenzioni di chi si rapporta al nostro sognatore ma, santo cielo, un po’ di pietà! Chissà, forse lo invidiano, forse anche loro ci hanno provato e non ci sono riusciti o magari sono davvero stronzi! (ops… si può dire “stronzi”? ma sì… licenza poetica!) Fatto sta che l’umore del nostro sognatore, dapprima euforico e spumeggiante, via via diventa sempre più malinconico e titubante. Ma, ammettiamo che, nonostante tutto, egli decida ugualmente di proseguire… Succede, perché succede (oh se succede!) che il nostro amico inciampi in qualche sassetto o scivoli su qualche foglia viscida… Indovina chi gli si avvicina per dargli una mano?
….
“Te l’avevo detto che era meglio che lasciavi stare…”. “Se non sei capace, non ti ci mettere neppure…”. “Coi sogni non si mangia!”
Anche in questo caso, le intenzioni di chi raccatta il nostro sognatore da terra sono buone ma il risultato è terribile: affranto e disilluso il nostro amico dà ragione alla mano che lo raccoglie e torna indietro, verso un destino grigio ma quanto meno sicuro…
Una sola cosa avrebbe salvato il nostro sognatore da questa fine miserevole: credere, credere fermamente in quello che stava facendo. E il credere era una delle due cose che gli mancavano, quando ha deciso di intraprendere il suo cammino.
Se il nostro amico avesse profondamente creduto nel suo sogno, non avrebbe interpretato gli ammonimenti dei suoi interlocutori come massi che appesantiscono il cammino bensì per quello che realmente erano: invidia o rimpianto.
CREDERE è la vera magia; da esso scaturisce ogni altra cosa: l’impegno diventa un motore di cui la costanza è il carburante, la tenacia diventa una bandiera e il sacrificio una scelta. Credere che sia possibile vuol dire crearsi uno scudo protettivo contro tutto quello che mina il tuo avanzare.
CREDERE IN UN SOGNO E’ IL PRIMO O PER POTERLO REALIZZARE!
Ma, abbiamo detto che al nostro amico mancavano due cose…
Prima di poter credere in un sogno, è necessario credere in sé stessi.
Quand’è che senti di poterti fidare di una persona?
Quando senti di poter definire qualcuno “amico”? Quando ti dice quello che pensa, a prescindere dalle tue reazioni? Quando sai che potresti raccontargli “le peggio cose” e che manterrà il segreto? Quando sai che in ogni momento tu avessi bisogno puoi contare su di lui? Quando ti mostra rispetto e lo pretende per sé? Quando stare insieme ti fa sentire bene?
A tutte queste domande avrai risposto di sì e magari ti saranno venuti in mente anche altri esempi di quando sai di poterti fidare di una persona.
Molto bene, ora prendi tutte queste domande e relative risposte, unisci quelle cui hai pensato tu e rivolgile verso te stesso…
Singolare vero?
Ti eri mai chiesto queste cose? Ti eri mai soffermato a capire se “tu ti fidi di te?”
Ti fidi delle tue gambe perché sai che ti portano in giro, ti fidi delle tue braccia perché sai che sollevano ciò che ti serve, ti fidi dei tuoi occhi perché ti indicano da che parte andare, ma di TE, dei tuoi pensieri, delle tue idee, delle tue capacità, delle tue risorse, ti fidi?
Ecco, credere in sé stessi vuol dire avere fiducia in sé stessi. Tu sei la persona con la quale erai il resto della vita, sei l’unico essere umano che non ti tradirà mai. La tua esistenza sarà costellata da centinaia di persone ma, alla fine, la più importante sarai sempre tu. Se non stai bene tu, non può stare bene nessun altro vicino a te.
E se tu non credi in te stesso…come puoi anche solo pensare che qualcun altro possa farlo?!
Ma, chiariamoci bene, non voglio intendere alcunché di stratosferico, tipo “Sì, io ho il potere di cambiare il mondo!!!” (Che potrebbe anche starci, ma… dopo…)
Credere in sé stessi significa rendersi conto di essere una persona con delle capacità che gli rendono possibile fare delle cose.
Ti sembra che così si sminuisca il valore dell’espressione? Ti suonava meglio “in te stesso c’è il germe del grande condottiero!”?
….
A noi non servono questi panegirici; a noi, quello che interessa è concentrare l’attenzione sulla persona, sull’individuo, su TE, su ME.
Il danno più grosso che fanno certi tipi di esaltazioni è proprio quello di travisare concetti fondamentali, trasformando le reali possibilità di un individuo in un’utopia irraggiungibile: partire con l’idea di conquistare il mondo potrà sembrare inebriante ma ben presto ti rendi conto che non è fattibile e te ne torni, mesto mesto, a casina, pensando a quanto poco vali… Partire con l’idea che “sì, io posso fare qualcosa!” sarà meno esplosiva ma di sicuro è produttiva e, cosa ben più importante, motivante! “Se ho fatto questo… cosa mi impedisce di fare anche quello?”
La fiducia in sé stessi la si acquisisce a piccole dosi; così come la fiducia in un amico la acquisisci giorno dopo giorno. Pensa che vuoi essere Tu il tuo migliore amico! Come? Facendo qualcosa, qualunque cosa, e guardando alla cosa con soddisfazione ti dirai: “L’ho fatto io!”
Questo è il mantra che bisogna imparare a ripetersi, perché con questa frase abbracci l’universo!
L’HO FATTO IO! Parte dal cucinare un uovo fritto e arriva alla costruzione dello shuttle!
Se impari a riconoscerti come una persona che PUO’ fare, non ci sarà più nessuno capace di fermarti!
E ti dirò anche un’altra cosa….
Se “quel” te stesso fino ad ora un poco bistrattato si accorge che ha spazio, che ha la tua fiducia, si sentirà libero di esprimersi al meglio e ti sorprenderà con risorse e strumenti che tu neanche credevi esistessero!
In fondo, dentro di ognuno di noi c’è un piccolo imprenditore che ha solo bisogno di avere credito…
DATTI CREDITO! DATTI FIDUCIA!
Inizia con l’osservare quello che fai e come lo fai. Tante, troppe volte, noi “facciamo” (o realizziamo o riusciamo…) e non ci rendiamo conto di quello che mettiamo in azione per “fare”. A catturare la nostra attenzione sono i fatti eclatanti degli altri o i cosiddetti errori nostri e non rimane spazio per le mille attività che ogni giorno portiamo a termine con successo! Facciamo perché siamo capaci di fare; ti sembra poco? Cuciniamo, guidiamo, lavoriamo, cresciamo figli, curiamo animali, teniamo giardini, facciamo la spesa…e, spesso, anche in contemporanea! Banalità? Non direi proprio… Non hai idea di che sinergia di operatività fisica e cerebrale ci voglia! Ciò che diamo per scontato ci apparirebbe strabiliante se solo ci soffermassimo ad analizzare le strategie e le tattiche che siamo in grado di mettere in pratica.
Invece di pensare a come conquistare il mondo, pensa a come organizzi la tua settimana tra lavoro, casa, famiglia, amici, parenti… Scoprirai di essere un vero stratega! Se prendi questa consapevolezza, può essere che il mondo, un giorno, lo conquisti sul serio! Uno schema che funziona, funziona! Scherzi a parte, prendere coscienza di sé come agente fattivo è la base della fiducia in sé stessi. Per costruire qualunque cosa bisogna gettare la prima pietra: sii tu la prima pietra della tua costruzione! Quella sopra la quale si ergeranno tutte le altre. Fino al cielo! C’è un trucco per solidificare la fiducia in sé stessi una volta che la si è consapevolizzata: circondarsi delle persone giuste. Se è vero che ogni persona ha la propria visione della vita e della realtà e che non ce ne sono di più giuste o di meno giuste, è anche vero che esiste il concetto di COMPATIBILITA’.
Andiamo per gradi: - ti sei accorto che PUOI fare - hai agito e hai constatato che SAI fare - VUOI fare di più
Se le persone che ti stanno intorno (e, bada bene, mi riferisco a tutte le persone, compresi famiglia e affetti) ti redarguiscono, ti ammoniscono, ti demotivano, ti
limitano, hai una sola possibilità: salutare con cortesia e ANDARTENE PER LA TUA STRADA, INCONTRO A PERSONE DIVERSE.
Il mondo è popolato da più di sette miliardi di persone e ce ne sono tantissime che hanno la tua stessa filosofia di vita, pronte ad appoggiare e sostenere qualcuno che ha finalmente capito di avere un potenziale inespresso. Cerca chi, come te, è desideroso di imparare, chi ha la voglia di osare, chi vede il positivo in ogni situazione, chi non smette di tentare! Cerca quelli compatibili con te e rifuggi chi vede solo grigio.
SCEGLILO TU IL COLORE DA DARE ALLA TUA VITA!
Eccole allora le due cose che mancavano al nostro povero amico sognatore, che in realtà possono essere raggruppate in una:
CREDERE
In sé stessi e nel proprio sogno.
E, vuoi sapere una cosa divertente? A questo punto possiamo anche andare a riprendere uno degli ammonimenti che abbiamo elencato prima!
VIETATO ARRENDERSI!
A noi i divieti e gli obblighi non piacciono quando ci vengono imposti, ma quando noi riusciamo a ristrutturarli ecco che diventano lo incipit per considerazioni che ci fanno avanzare. Vietato arrendersi… al primo tentativo non andato a buon fine…. perché posso trovare altre strategie!
Vietato arrendersi… di fronte a chi non crede in quel che faccio… perché ci credo io a sufficienza per tutti! Vietato arrendersi… se trovo un muro… perché, se lo costeggio, prima o poi troverò una breccia dalla quale are!
Vietato arrendersi… davanti a mille pensieri che si accumulano…. perché mi basta affrontarne uno alla volta!
Vietato arrendersi… se la strada è senza uscita… perché torno indietro e ne cerco un’altra!
Così come un divieto cambia di significato, la stessa cosa accade ad un “problema” o ad un “errore”.
Tutti si augurano che ogni cosa fili sempre nel migliore dei modi, ma noi siamo abbastanza intelligenti da sapere che non è così… Ogni giorno può succedere qualcosa di imprevisto perché ogni nostra azione interagisce con miliardi di altre azioni: le combinazioni sono infinite e così pure i loro effetti.
Non viviamo su di una perenne linea retta ma su una linea che si spezza, si curva, si arrotola, si annoda, si scioglie e poi riprende, fino alla successiva curva o alla prossima impennata. Se la maggioranza chiama questi cambi di direzione “destino avverso” o “fatalità sfortunata”, quelli come Me e come Te danno loro un altro nome: “pit stop”.
Quei momenti nei quali ti fermi per ricalibrare le gomme, fare rifornimento, dare una controllatina al motore… Se ti consideri una macchina perfetta, non c’è esempio più calzante!
Il problema diventa allora un esercizio mentale per escogitare un nuovo modus operandi e l’ostacolo si trasforma in un trampolino per esplorare strade diverse che altrimenti neppure avresti preso in considerazione! Ma, allora, viva i problemi? Esatto! Viva tutto quello che ci fa pensare, elaborare, ripianificare ed escogitare!
Viva tutto quello che ci fa trovare nuovi percorsi e nuove alternative! Viva tutto quello che ci permette di crescere in esperienza e conoscenza!
E’ normale che, all’inizio, tu possa sentirti un po’ smarrito di fronte a qualcosa che sembra “essere contro” ma è proprio in questi momenti che, in tuo soccorso, arriveranno il credere in te stesso e nel tuo sogno: i due traini potentissimi ai quali ti abbandonerai, come una macchina in panne con il carro attrezzi!
Steve Jobs fu licenziato dalla Apple, che lui stesso aveva fondato! Anni dopo, all’apice del suo successo, affermò: “Essere licenziato da Apple fu la cosa migliore che potesse capitarmi… mi liberò dagli impedimenti permettendomi di entrare in uno dei periodi più creativi della mia vita”.
Non so se mi spiego…
L’altro concetto da ristrutturare e quello di “errore”. Santo cielo! L’errore! Quella terribile spada di Damocle sulla nostra testa pronta ad abbattersi su di noi ad ogni o!
“Una persona che non abbia mai commesso un errore non ha mai cercato di fare qualcosa di nuovo”. (Albert Einstein)
Dal canto mio, in qualità di orgogliosa Disperata, non posso che essere d’accordo con questa affermazione! Ogni cosiddetto errore porta con sé un patrimonio di informazioni capaci di creare un nuovo meccanismo d’azione che ti spinge in avanti con una potenza dieci volte superiore ad una cosiddetta “cosa fatta bene”.
Ti rendi conto che reinterpretando i più comuni freni alla realizzazione di qualcosa, costruisci gli strumenti che ti consentono di viaggiare ancora più spedito? Ti sembra assurdo? Invece è reale, come reale è la tua capacità di fare ciò che vuoi!
A proposito di sogni… di inventarsi qualcosa… di provarci e di crederci… Ti racconto una storia vera: la mia. Attualmente in pieno svolgimento!
La mia laurea in Relazioni Pubbliche aveva un senso preciso: volevo fare il formatore! Ma le varie esperienze che si sono susseguite, come ti ho spiegato all’inizio, mi hanno portata su un’altra strada, comunque gratificante. Bisogna però dire, come cantava Venditti che “certi amori non finiscono… fanno dei giri immensi e poi ritornano” e, aggiungo io, forse non si trattava di un’altra strada bensì solo di una traversa della STESSA strada…
Tutto ha inizio nel 2014 quando “scopro” il Coaching, i corsi di Coaching e di autorealizzazione professionale.
Non che sapessi granché sull’argomento, però, via via che proseguivo nell’acquisire informazioni, mi rendevo conto che tutto quello che leggevo e vedevo, risuonava dentro di me con una forza incredibile. Quelle persone esprimevano in forma verbalmente comprensibile ciò che io pensavo e tentavo di fare da tutta una vita! Dentro di me si nascondeva una Coach che aspettava solo che io la riconoscessi!
Pensai: “Ottimo! Questo è quello che fa per me, finalmente!”.
Per diventare un Coach riconosciuto ci vuole qualche anno e, anche se questo è stato fin da subito il mio obiettivo, sentivo che c’era un desiderio ancora più grande che si faceva largo: aiutare le altre persone a scoprire, come era successo a me, un mondo, quello del Coaching, che davvero poteva offrire loro un’occasione per cambiare la vita. Come stava accadendo a me! Quindi, nel mio cervellino iperattivo di Disperata, le rotelle presero a girare velocemente: “Voglio fare qualcosa ADESSO!”
Caso vuole (ricorda: le cose capitano, noi le interpretiamo!) che nel percorso che stavo seguendo, ci fosse un seminario sulle Applicazioni. Mi dissi: “Applicazioni?! Tecnologia?! Non c’è niente di più lontano da me che la tecnologia! Che ci vado a fare?” Espressi le mie perplessità ad una ragazza del corso; lei, in tutta risposta, mi
spiegò che non serviva essere dei nerd o dei geek per partecipare a quella sessione, era necessario solo AVERE IDEE NUOVE.
Avere idee nuove? Santo cielo! Ne avevo e ne ho una al minuto! Andai di corsa! Bene, sappi che quei due giorni mi hanno letteralmente illuminata! Sono tornata a casa con un milione di idee! Che prima o poi realizzerò tutte, ovviamente…
Una in particolare continuava a girarmi nella testa senza però riuscire a prendere una forma concreta: come fare a rendere accessibile il Coaching a tutti?
Verrebbe da chiedersi cosa c’entri questo con il seminario sulle Applicazioni… Un attimo di pazienza…
Dicevo: non potevo certo andare in giro per il paese o tra i miei amici gridando: “Andate ai corsi di Coaching! Provate un nuovo modo di interpretare la vostra vita!”. Avrei voluto far provare a tutti quel tipo di motivazione, avrei voluto che tutti sapessero quante persone speciali si possono incontrare e quanti, contrariamente a ciò che di solito si pensa, credono in questa cosa! Perché funziona! E non potevo neanche caricarmi un nugolo di persone in macchina e portarle io stessa…
Pensavo, pensavo… Una mattina, prestissimo (non avevo dormito perché… pensavo e pensavo!) mi dissi: “Ma che bello sarebbe se, tramite un’applicazione, le persone venissero a conoscenza di questo mondo!”
Da lì è iniziata tutta la progettualità del mio lavoro!
Per prima cosa ho espresso la mia idea a chi aveva tenuto il corso: era una bella idea ma forse esisteva già qualcosa di simile… Avevo bisogno di un riscontro professionale. E il riscontro arrivò: l’idea era ottima! Il tutor mi consigliò di abbozzare il tutto su carta e mi disse che alla parte tecnologica avrei potuto pensare in seguito.
Iniziai! Ho cominciato con dei quadratini su un cartoncino bianco, collegati con delle frecce l’uno all’altro, all’interno scritto cosa volevo realizzare.
Ero soddisfatta e felice! Non ero ancora una Coach ma stavo creando il ponte tra le persone e il Coaching!
Qualche tempo dopo, gironzolando su facebook, ho scoperto l’esistenza di una rivista on line dal titolo “Coachmag” e ho preso a sfogliarla…
“Però…” mi dicevo “Interessante…” E ho ordinato anche la sua prima uscita cartacea… Mi venne un’idea pazzesca: quella rivista era l’unica in Italia nel suo genere… se fosse diventata mia partner nel progetto dell’applicazione avrei fatto centro! Unico problema: come fare per arrivare alla direttrice? Si fecero largo un sacco di fastidiosi pensieri: perché una simile imprenditrice avrebbe voluto parlare con me che non ero nessuno? Ma il Coaching aveva già prodotto i suoi primi risultati su di me: demolire le convinzioni limitanti! Quindi cominciai a seguirla su facebook, rendendomi sempre più conto di quanto quella donna mi fosse affine; poi le ho scritto una mail, poi le ho telefonato e poi… ci siamo incontrate! Risultato: lei era entusiasta del mio progetto! Avevo creato la partnership perfetta!
Poco dopo ho contattato uno sviluppatore di Applicazioni sistemando in questo modo anche la parte tecnologica.
La mia applicazione sul Coaching verrà presentata tra qualche mese a Milano.
Il mio progetto, partito senza che io avessi un soldo da investire, senza nessuna conoscenza tecnologia e senza che nessuno conoscesse me, si è realizzato!
Quando si mescolano sogni, buone idee, voglia di fare e persone entusiaste, il risultato non può che essere un successo!
Uno schema che funziona, funziona….
Eccolo, dunque, lo schema!
FIDUCIA IN SE STESSI come faccio a fare quel che faccio CREDERE NEL TUO SOGNO posso farlo perché voglio farlo e so farlo e, CIRCONDATI DI PERSONE COMPATIBILI chi vede il mondo a colori come me! IL PROBLEMA E’ UNO STIMOLO CREATIVO nell’affrontare e risolvere un problema, scop SBAGLIARE E’ SINONIMO DI IMPARARE solo se commetto errori posso migliorare L’OSTACOLO E’ UN TRAMPOLINO l’ostacolo è solo in una direzione, io ne pos
E adesso sì, che il mondo è tuo! Tutto diventa possibile e a te non resta che godere dei tuoi risultati! Se agli altri che rimangono fermi sulle loro posizioni e nel loro grigiore viene da piangere, a te, che hai appreso “l’arte della riuscita”…
VIENE DA VIVERE!
“E’ inutile andare a cercare nel mondo quel che non si riesce a trovare dentro di sé”.
(Da: “Un altro giro di giostra - Viaggio nel male e nel bene del nostro tempo” di Tiziano Terzani)
Dal momento successivo alla nostra venuta al mondo, riceviamo un imprinting: essere circondati da persone. E’ la normalità. Dall’ostetrica, alla madre, ad entrambi i genitori e poi i parenti e gli amici più stretti. Via via che cresciamo entrano in scena i nostri di amici, gli insegnanti, i datori di lavoro, il nostro compagno o compagna, i figli, i nipoti, il fornaio, l’elettricista… Tutta la nostra vita è costellata da persone, più o meno importanti, più o meno significative, più o meno care. Siamo esseri sociali e, come tali, tutti insieme, creiamo contesti ed influenziamo l’ambiente nel quale viviamo. Così è dalla notte dei tempi, da quando l’uomo si è accorto che, per le sue peculiari caratteristiche, stando in gruppo avrebbe avuto più possibilità di sopravvivere.
L’uomo ha sopperito col gruppo, e col cervello, alle carenze che lo rendevano facile preda degli altri animali. Il gruppo da forza, il gruppo sa affrontare situazioni e superare ostacoli che per un singolo sarebbero mortali. Questo non è una prerogativa solo nostra, anche altre specie hanno capito l’importanza del branco: molti animali trascorrono con i propri simili una parte della propria vita, assicurandosi così cibo, protezione, ed un posto sicuro dove stare.
La Natura sa essere meravigliosamente semplice: nasci, vieni aiutato a crescere, impari quel che serve, al momento giusto ti stacchi e vivi la tua vita, permettendo alla Natura stessa di fare il suo corso ed all’intero ciclo di ripetersi.
Questa la storia da un punto di vista, potremmo dire, biologico ed evoluzionistico.
Anche per noi quindi stare in mezzo ad altri uomini è logico, anzi, scontato. Nessuno si stupisce di essere circondato di persone, accettiamo la cosa incondizionatamente, o così ci sembra… E anche noi, ad un certo punto, ci stacchiamo dal nostro gruppo di origine e ci creiamo la nostra di vita… Peccato che per la grande maggioranza “creare la propria vita” significhi uscire da un gruppo di persone per andare alla ricerca, a volte ossessiva, a volte infruttuosa, ma comunque continua, di altre persone…
Quale dunque la differenza tra la ricerca del leone, del lupo o della iena di un nuovo branco e quella di un uomo? Su cosa si basa l’importanza per le specie di questa ricerca?
Se essa pare, da un lato, accomunare altri animali con l’uomo, dall’altro li separa (ci separa) anni luce. L’istinto di procreazione e la perpetuazione ci avvicina, la necessità di “qualcosa d’altro” ci allontana…
La caratteristica principale dell’animale uomo è quella di aver imparato ad usare il cervello in un modo differente: così siamo arrivati a comprendere come funziona l’universo, ma siamo anche riusciti a materializzare cose come l’insoddisfazione, l’infelicità, la frustrazione.
Tutti gli animali provano emozioni, ma, fino ad ora, sappiamo che provano “emozioni di base”, non sono soliti (o per lo meno, ad oggi, crediamo che non lo siano) farsi paranoie mentali pensando a “come sarebbe migliore la mia vita se…” o a “cosa sarebbe successo se quella volta io…”.
Gli altri animali pensano e vivono contemporaneamente, noi, a volte, per il troppo pensare, ci dimentichiamo di vivere.
Essi legano lo imprinting della vicinanza ai propri simili all’arricchimento della specie, noi al completamento, consapevole o meno, di noi stessi.
Consideriamo il comportamento animale egoistico (pensa, per esempio, a mamma gatta che, dopo qualche mese, caccia via i suoi gattini), ma il nostro, che ci spinge a cercare altre persone perché, da soli, non sappiamo “camminare emotivamente”, non lo è ugualmente? E’ un egoismo al contrario: mamma gatta spinge via i suoi cuccioli mentre noi ci tiriamo contro le altre persone.
Noi abbiamo bisogno degli altri perché, da soli, ci sentiamo incompleti. Un animale sa bastarsi, un uomo no.
Se leggendo queste parole senti un moto di contrarietà che ti sale e ti viene da storcere il naso, è giustificato… Ti stai forse dicendo cose del tipo: “Io, al mio compagno (o alla mia compagna) voglio bene davvero!” “Io, ai miei amici ci tengo sul serio!”
“Che c’è di male se sento di andare a trovare i miei tutte le settimane?”
Non voglio certo mettere in dubbio la buona fede di sentimenti, condivisione e cooperazione; voglio “semplicemente” farti soffermare sul motivo reale che ti spinge a circondarti di altre persone, a scegliere certi tipi di persone; indagare quel “dietro le quinte” della necessità di ricercare, negli altri, quello che senti mancarti, sia esso approvazione, stima, affetto, sicurezza o qualunque altra cosa.
Trovare compatibilità tra le persone, affinità di pensiero e d’intento senza avere un “interesse emotivo” è raro, ovviamente non impossibile certo, ma molto raro. Si cerca nell’altro quel tassello che manca al nostro puzzle interiore e, molto spesso, si carica l’altro di una forte aspettativa: bramiamo che l’altro sia ciò di cui abbiamo bisogno, se così non si manifesta tentiamo in ogni modo di trasformarlo o scegliamo la resa e ci ritiriamo affranti e pieni di sensi di colpa. Entrambe le soluzioni generano frustrazione ed infelicità.
Ognuno di noi viene al mondo perfettamente equipaggiato per il ”cammino meccanico-funzionale” e, piano piano, apprende come comandare tutta la propria attrezzatura, fino a diventare completamente autonomo. La stessa cosa non accade però per quel che concerne il “cammino emotivo”… Eppure, anche per questo, siamo ben equipaggiati: il nostro cervello dovrebbe gestire i “comandi emotivi” allo stesso modo di quelli “meccanici”. In realtà, quando entrano in gioco fattori emotivi, per il nostro cervello il lavoro si fa decisamente più arduo e la funzione stimolo-risposta sembra non essere così efficace ed efficiente… I dati che confluiscono al suo interno sono di difficile interpretazione e di natura contraddittoria: cercando di barcamenarsi come meglio può e avendo come scopo primario la semplificazione, il nostro cervello tenta di elaborare la risposta più rapida ed ottimale per far fronte alla situazione in cui veniamo a trovarci.
Ogni volta che “succede qualcosa” noi viviamo un’esperienza: percepiamo delle sensazioni (stimoli dell’ambiente esterno), proviamo delle emozioni (reazioni agli stimoli), mettiamo automaticamente in relazione quell’esperienza con un’altra che appare simile (ricordi gli schemi comportamentali?)… Ma c’è anche dell’altro: confrontiamo le nostre reazioni con quelle delle persone che ci sono più vicine in quel determinato momento della nostra vita, accostiamo ai loro pensieri ed alle loro opinioni i nostri e ne traiamo conclusioni e risultati. Va da sé che questo processo non lo attuiamo con chiunque, ma solo con quelle persone che per noi hanno un “senso”, quelle che, per mille e una ragione, scegliamo come nostri esempi (dai genitori, agli insegnanti, a “maestri” delle più disparate categorie).
Essendo continuamente in evoluzione ed al contempo in interrelazione con gli altri, apprendiamo guardando e ripetendo; sempre come gli altri animali ma con la sostanziale e, oserei dire, tragica, differenza che noi esseri umani immagazziniamo le informazioni emotive in posti estremamente complicati da raggiungere e modificare e, da questi posti, esse condizionano in modo dittatoriale buona parte della nostra esistenza.
Ci è molto ostico scindere il consapevole dall’inconsapevole e, troppe volte, siamo restii a chiedere aiuto o consiglio, convinti che la cosiddetta “indagine psichica” vada relegata entro i confini del disagio mentale o di un più generico “problema comportamentale lesivo del prossimo”. Sarebbe invece tanto benefico capire che già solo le semplici domande “Come mai mi comporto in questo modo?” “Come mai, in una data situazione, ottengo sempre lo stesso risultato che mi disturba?” inducono una sorta di auto analisi e che il tentativo di dare ad esse una risposta sincera ci porta a dialogare con noi stessi, la persona che, molto probabilmente, conosciamo meno…
Ci sono oggi, per fortuna, parecchi strumenti per imparare a dialogare con sé stessi, per imparare a scandagliare il nostro fondo e trovare in esso il “tesoro perduto”. Conoscerli è la cosa migliore che si possa fare per aiutare la nostra vita a prendere il corso che noi vogliamo essa abbia.
Gran parte delle nostre insicurezze, paure, sensazioni di disagio o di inadeguatezza, possono avere le loro radici in informazioni emotive immagazzinate a fronte di esempi non sempre corretti. Attenzione però: non corretti per noi, non per la persona soggetto dell’esempio!
C’è un precetto della Programmazione Neuro Linguistica che afferma: “ogni persona cerca di operare la migliore scelta possibile in quel determinato momento”. Ovvero con le risorse che ha disposizione IN QUEL MOMENTO, le conoscenze che possiede IN QUEL MOMENTO, le possibilità d’azione che ha IN QUEL MOMENTO.
Ora, segui questi esempi ed il loro svolgimento; sono delle semplici generalizzazioni ma servono per rendere più comprensibili le mie considerazioni. Potresti poi trovarne tu degli altri e scoprire se seguono lo stesso schema…
Se una madre ha convinto suo figlio o sua figlia che l’unico modo per avere un posto nel mondo, per costruire qualcosa, per potersi definire “veramente uomo” o “veramente donna” sia trovarsi una moglie o un marito, probabilmente è perché, per lei, è stato davvero così, ma, al suo tempo, nel suo luogo, con le sue esperienze ed i suoi modelli.
Se un padre metteva in punizione il proprio figlio /figlia ogni volta che combinava una birichinata, probabilmente è perché era convinto che quello fosse l’unico modo per insegnargli a crescere “come si deve”, in un tempo, il suo tempo, in cui i concetti dell’educazione e della società erano decisamente più ristretti.
Se una maestra si metteva ad urlare non appena un bambino toccava un filo d’erba, gridandogli “Non si fa!!” e portandolo immediatamente a lavarsi le mani, probabilmente è perché, a quel tempo, il suo tempo, l’insegnamento non comprendeva altri tipi di conoscenze che non fossero esclusivamente quelle didattiche e lei era convinta che i bambini andassero protetti da qualunque cosa.
Se, in una coppia, l’uno continua a ripetere all’altro che “non lo ama come lui/ lei ama lei/lui” (o lui/lui o lei/lei), probabilmente, è convinto che il suo modo di amare sia l’unico vero e possibile, in ragione di quanto ha maturato nel corso della sua vita sentimentale.
Immagina di essere o di essere stato in relazione con una di queste persone… Nessuno di loro ha sbagliato o sbaglia ma, il loro esempio, vissuto da te come “alto” in quanto proveniente da qualcuno affettivamente vicino, crea, dentro di te, un intrico di fili che si annodano e che si ingarbugliano intorno a quello che tu provi e che tu vorresti, fino a che le tue sensazioni ed emozioni soccombono sotto il peso di modelli talmente significativi da apparirti impossibili da confutare!
Ecco allora che quegli esempi prendono posto profondamente in te e riaffiorano ogni qualvolta esprimi una tua volontà di fare qualcosa, scontrandosi con essa. Nel momento in cui il tuo istinto ti porta ad agire, involontariamente ripeschi il modello più significativo che possiedi per quell’azione/situazione ma, essendo
uno schema statico, un cliché immutato, esso ti farà agire in un modo che non è appropriato né a te né al tuo tempo né al tuo contesto, risultando così controproducente. L’ovvio ed inevitabile fallimento dello schema non farà che alimentare ulteriormente la convinzione limitante che lo sostiene. Come per la profezia auto avverante, anche in questo caso sarai talmente convinto che una determinata cosa non potrà che andare in un certo modo che agirai esattamente “in modo” da farla andare “in quel modo”.
L’atteggiamento della tua ipotetica madre si è radicato a tal punto da convincerti che non potrai mai vivere senza un partner, che non potrai mai essere felice da solo/sola! E allora giuri eterna fedeltà al primo/prima che incontri, pensando qualcosa del tipo: “Sia mai che non trovo più nessuno?! Meglio la gallina oggi…” Oppure trascorri la tua vita inseguendo chiunque ti saluti, sperando di trovare quello/quella che sarà la persona giusta per te. Il risultato di entrambe le opzioni corre però il rischio di essere una risposta, magari abbassando gli occhi e il tono di voce, come: “Beh… lo stimo/la stimo molto…” a chi, un giorno, ti chiedesse: “Ami ancora tuo marito/tua moglie?”
L’atteggiamento del tuo ipotetico padre ti ha insegnato che disobbedire alle regole è il reato più grande che si possa commettere e che fare di testa propria è sbagliato e porta solo guai. Diviene così automatico chiedere sempre se si stia facendo la cosa giusta e circondarsi di persone che “ne sanno”, che hanno sempre il polso della
situazione. Se sei cresciuto nel culto della regola, non puoi farne a meno e cercherai coloro che le regole te le dettano e troverai sicuramente chi non aspetta altro perché, venendo da una situazione simile alla tua, ha reagito ad essa in modo opposto e ora, con te, vuole rifarsi!
La tua ipotetica maestra ti ha trasmesso la sua paura e le sue insicurezze. Come biasimarti se sentirai sempre la necessità di qualcuno che ti prenda per mano e ti faccia attraversare la strada? O che ti dica costantemente che va tutto bene… Così potrai are la tua intera vita guardando la punta dei tuoi piedi, stando attento a non inciampare, seguendo le orme di chiunque ti mostri un po’ di sicurezza che tu non riesci ad avere.
Ed in ultimo, sempre con un gioco di immaginazione, che dire del tuo ipotetico compagno/compagna? Bella persona quella che ti ripete ogni santo giorno che non dici le cose giuste e non fai per lui/lei le cose giuste, portandoti a credere che non sai amare! E in questo modo ti troverai in futuro a piangere sulla fine delle tue relazioni, dovute alla tua, ormai consolidata, incapacità d’amare…
Cercherai ossessivamente “quello/quella” che dovrà essere in grado di insegnarti a farlo e non avrai tempo per fermarti a riflettere sul fatto che ognuno ama a suo modo!
Se, per caso, ti sei riconosciuto in qualcuno di questi esempi generici o il leggerli ti ha portato a pensare ad una tua situazione particolare, ti dico una cosa sola:
SVEGLIATI!
Tu hai le TUE emozioni, i TUOI pensieri, i TUOI desideri, legittimi tanto quanto quelli di chiunque ti sia stato vicino fino ad ora e di chiunque ti sarà vicino in futuro! Legittimi tanto quanto i loro e ancora di più perché TUOI!
Come fare a capire se stai dando il giusto spazio a TE STESSO? Una sola, chiara e decisa domanda: IO, STO BENE CON ME?
Ti sembra sciocca?
Fattela.
E rivolgila ad ogni aspetto della tua vita e delle tue relazioni.
Non ti sembra più così sciocca ora, vero?
Ognuno di noi ha un angolo vuoto dentro di sé nel quale sente un’eco lontana invece della propria voce e cerca di riempirlo con qualcuno che gli ridia il tesoro che gli è stato rubato.
Ma basta solo capire dove lo abbiamo ficcato quel tesoro perché quel tesoro siamo noi!
SEI TU!
Se rivoluzioniamo con questa filosofia gli esempi di prima, succede che….
Capisci che sei “veramente uomo” o “veramente donna” a prescindere dalla presenza di qualcuno al tuo fianco e che “il vero successo è potersi coricare ogni sera con l’animo in pace” (P. Coelho), felici di essere al mondo e non pensando a cosa fare per rendere felici l’altro per timore che se ne vada!
Capita che si incontri una persona e che con essa si faccia un pezzo di strada, o anche tutta la strada, ma può capitare che non la si sia ancora incontrata o che non la si incontri mai, che importa quando sai che
TU BASTI A TE STESSO!
Capisci che non serve che ci sia qualcuno che ti dica cosa fare e quando farlo, perché NESSUNO meglio di te conosce i tuoi ritmi e le tue esigenze. Alla tua volontà serve solo un poco di allenamento per mettersi in comunicazione con il mondo e consentirti di guidare la TUA vita perché
TU BASTI A TE STESSO!
Capisci che la paura può essere una buona consigliera e la puoi chiamare “prudenza” e, con essa, fare un etto alla volta, alzando la testa da terra. “Essere coraggiosi vuol dire avere paura… ma andare avanti lo stesso” (W. Rathernan) Un o dopo l’altro, lento e controllato, che ti farà scoprire che SAI camminare da solo perché
TU BASTI A TE STESSO
Capisci che un rapporto “a due” si chiama così perché è formato da DUE persone diverse che, insieme, si arricchiscono, non da UNA persona che deve diventare COME l’altra!
TU BASTI A TE STESSO!
Chiunque altro non è che una deliziosa ciliegina sulla torta, ma… se la ciliegia non c’è… la torta è buona ugualmente!
TAGLIA I FILI! LIBERATI DALLA SCHIAVITU’ DI UNA MANCANZA CHE IN REALTA’ NON HAI!
E’ come andare in bicicletta… prima con le rotelline, così ti impratichisci…
poi con papà dietro che ti tiene per un po’… poi… vai! Da solo! Sbucciati le ginocchia!
Rotola giù dalle scarpate! Una, due, cento volte! Ma, alla fine, vola come il vento! Libero!
In tutto questo c’è solo una nota dolente: il 90% delle persone arriva a riflessioni simili solo DOPO aver vissuto un’esperienza che, come si dice in gergo, “ha fatto sbattere il muso”… Una di quelle volte in cui si esclama “Adesso basta! Così non funziona più!”. Una di quelle volte in cui si va talmente giù da credere che tutto sia finito! So di cosa parlo… in quel 90% ci sono anche io… Poi, però, qualcosa dentro si muove e si capisce che “c’è ancora speranza”; e si risale…
Sai cosa si trova quando sei giù, in fondo?
La consapevolezza di te stesso
IO SONO IO POSSO IO VOGLIO
Che ti fa schizzare in alto come un fuoco d’artificio!
E allora, accidenti!, tra tutti gli esempi che deciderai di voler seguire, prendi me! Sii consapevole di quello che puoi avere PRIMA di andare giù! Diventa uno di quel 10% che non ha bisogno di provare sulla propria pelle quanto le convinzioni che ci hanno accompagnato per tutta la vita ci impediscano di viverla questa vita!
Quello che ti serve TU lo hai già! Io, l’ho capito e ora alla domanda: “Io, sto bene con me?” Quantomeno posso finalmente rispondere: “Caspita! Di sicuro molto meglio di prima!”
Ti propongo adesso un “giochino”…
Pensa a cinque persone che reputi “care” (va bene chiunque, dal tuo miglior amico al tuo datore di lavoro.)
Fatto?
Bene!
Scrivi i loro nomi su cinque fogli diversi.
Prendi il primo foglio e scrivi la prima emozione che ti da quel nome. (tralascia cose tipo “è simpatico”, “è interessante”, scrivi quello che da dentro di te si muove quando stai con lui/lei, non quello che di lui/lei ti arriva.)
Facciamo un esempio: “mi fa stare bene”
Esplodi quella sensazione: cosa significa per te “stare bene”?
A grappolo ti verranno in mente altre sensazioni che tu racchiudi sotto “stare bene”.
Analizzale e cerca anche i loro sottoinsiemi.
Magari, “stare bene”, può significare “sentirti sicuro”, o “sentirti gratificato” o “sentirti soddisfatto”… Una cosa può significare mille cose…
Ora cerchia quella che più ti risuona dentro quando la leggi.
Poniamo il caso che tu abbia cerchiato “sentirti gratificato”…
Pensa ad un momento nella tua vita in cui NON ti sei sentito gratificato.
Scrivilo, se ti va…
Dov’eri? Chi c’era con te? Cosa è successo? Quanto è stata intensa quella sensazione?
Hai fatto?
Bene!
Ora, immagina di avere la macchina del tempo e imposta il luogo e la data dell’esperienza che hai appena ricordato…
Hai la possibilità di tornare indietro e di aiutare quel TE che in quel momento era in difficoltà!
Gli vai vicino e gli spieghi quello che può fare per uscire da quella situazione di eme!
TU, adesso, sei un’altra persona e possiedi le conoscenze, le capacità, gli strumenti, per far fronte a chiunque metta gratuitamente in dubbio le tue doti! Oppure, molto più semplicemente, giri i tacchi e te ne vai: non ti serve qualcuno che non creda in te!
Adesso lo sai.
Ma, quella volta, non potevi saperlo!
Per questo TU sei in grado di aiutare TE STESSO a superare quella situazione di disagio!
Parlati, rassicurati, spiegati che un esempio “contro” non può avere il potere di condizionare la TUA vita!
E se non ci riesci, pensa ad un esempio “pro”! Pensa ad una persona che conosci che, in quella situazione, avrebbe risolto il problema e, letteralmente, rubagli le strategie!
Fa ciò che farebbe questa persona, dì quello che direbbe questa persona. Ti accorgerai che sai fare e dire le stesse cose!
Il nostro cervello è una macchina perfetta ma può “essere ingannata” se lo si mette di fronte alla possibilità di risolvere un problema! Come per magia, esso rielabora le informazioni e sostituisce quelle inefficaci con quelle nuove. Il nostro cervello cerca la semplicità e se qualcosa funziona, lo usa, a prescindere da dove arriva!
Fai la stessa cosa con gli altri quattro fogli e gli altri quattro nomi.
Alla fine del gioco, ti renderai conto che possiedi tutti gli strumenti necessari per riempire gli angoli vuoti dentro di te, perché sei stato in grado di “salvare” te stesso da situazioni sfavorevoli.
Forse stai sorridendo, pensando:
“Per forza, adesso sono cresciuto… so più cose… ho più esperienza…”.
E ti sembra poco?!
A meno che tu non stia ando sotto ad un vulcano in eruzione, NON HAI motivo per essere insicuro… A meno che tu non sia rinchiuso in un’umida e fetida segreta di un castello, NON HAI motivo per essere infelice… A meno che tu non sia un alchimista, NON HAI motivo per essere insoddisfatto… (anche se si racconta che qualcuno l’abbia realizzata sul serio la pietra filosofale!)
Il giochino non era altro che un piccolo esempio per mostrarti come il tuo equipaggiamento emotivo sia operativo e funzionante, ti serve solo imparare dove stanno i comandi!
Siamo come delle case con tante stanze, in qualcuna c’è la luce accesa ed in qualcun’altra no… Cerca l’interruttore delle tue stanze buie e illumina la tua vita con l’energia che già possiedi!
Le stelle brillano di luce propria, incuranti di tutto e tutti, e da sempre ogni uomo ha alzato la testa almeno una volta nella vita per guardarle…
TU SEI LA STELLA DEL TUO CIELO!
Amati! Stimati! Apprezzati! Riconosciti capace!
E gli altri ti ameranno, ti stimeranno, ti apprezzeranno e ti riconosceranno capace.
Perché?
Perché si renderanno conto che TU SEI, a prescindere da chiunque!
E sarà in quel momento che le persone, gli altri, acquisteranno il vero valore: loro per te e tu per loro. Sarà da quel momento in poi che inizierà il vero scambio: di idee, di pensieri, di energia. Le persone sono una fonte inesauribile di conoscenza e di scoperta. Conoscere qualcuno è come entrare in una pagina di Internet piena di link: la apri per una cosa e ne impari altre cento! Persino le persone opache hanno da insegnare! Da loro apprendi come “non vuoi essere” e ristrutturi il concetto per farlo diventare “come vuoi essere”.
E’ importante pensare in positivo (che non vuol dire solo “pensare che tutto andrà bene”): esprimi i tuoi desideri, i tuoi progetti, le tue aspirazioni in “modalità positiva” perché questa è la modalità che genera le soluzioni. Ti faccio un esempio semplice e veloce: cosa accadrebbe se, salendo su un taxi, tu dicessi: “Non voglio andare alla stazione”? Il tassista ti guarderebbe stralunato e chiederebbe qualcosa tipo: “Scusi?!” E se tu continuassi con: “Non voglio andare alla piazza principale…”. “Non voglio andare all’aeroporto…” e così via? Resteresti seduto nel taxi per ore! Se il tassista non ti ha già invitato a scendere…. Ma se tu sali sul taxi e dici: “Voglio andare al parco” Beh… parti! Anche i nostri meccanismi di ascolto interno funzionano così, è come se la mente non riuscisse a computare il “non”: quando ti esprimi in modalità negativa corri il rischio o di rimanere in eme o di ottenere esattamente il contrario di ciò che volevi. Formulare obiettivi in modalità positiva invece è il sistema vincente per innescare l’azione! Razionalmente puoi esprimerti in qualunque modo ma, funzionalmente, è bene che tu apprenda il modo in cui la tua mente in prima battuta e il tuo inconscio a seguire, ti ascoltano e, di conseguenza, rispondono.
In quest’ottica, ristrutturando un “Non voglio essere ….” potrebbe venir fuori: “voglio essere… …più aperto …più simpatico …meno ossessivo …meno arrogante” e così via
La modalità positiva stimola il cervello a lavorare e a trovare azioni, risorse e strategie per ottenere quello che vuoi.
Dalle persone puoi cogliere tutto quello che ti serve. Attenzione: che ti serve non che ti manca. La differenza è sottile e allo stesso tempo profonda. Se ciò che ti manca è, ad esempio, la stima di te stesso, difficilmente troverai qualcuno che “te la dà”, ma sicuramente troverai qualcuno che ti aiuterà a costruirla, dandoti, appunto, ciò che ti serve, ovvero gli strumenti e le possibilità per lavorare su te stesso e con te stesso.
TU rimani il primo punto di partenza e gli altri saranno, finalmente, il tuo modo di arricchirti. Vicendevolmente tu arricchirai loro in quanto, grazie a te, alle tue particolarità, alle tue qualità, alle tue capacità, qualcun altro potrà avere, per sé, qualcosa che gli serve e non essere il triste ricettacolo delle tue aspettative.
L’aspettativa è qualcosa da osservare con attenzione… Quando abbiamo un’aspettativa verso una persona, implicitamente pretendiamo che quella persona risponda perfettamente ai nostri bisogni e che pensi ed agisca come noi. Ma ognuno è fatto a suo modo e la delusione di un’aspettativa altro non è che la testimonianza che il modo di fare di una persona e le sue idee, semplicemente, non sono le nostre. Ti sarà capitato ti scrivere un messaggio ad un amico/a e di non ricevere subito una risposta. Se tu fossi uno di quelli che non lascia are più di trenta secondi prima di rispondere ad un messaggio perché sei convinto (ecco che tornano le convinzioni…) che questo sia “buona educazione”, non potresti concepire che l’altro non faccia lo stesso con te! Te lo aspetti… Se la risposta non arriva ci rimani male, credi che il tuo amico/a non tenga a te, che quello che scrivi non gli importi e, magari, lo mandi anche a quel paese (continuando a fissare il telefono…) Invece lui/lei…. - potrebbe non essere in grado di rispondere perché sta facendo altro… - non ha ancora letto il tuo messaggio… - sta pensando: “Che carino! Cerco qualcosa di altrettanto carino e glielo scrivo!”. - sta dormendo… Le possibilità sono infinite! E invece tu corri il rischio di stare in pena o di arrabbiarti solo perché non sei in grado di prendere in considerazione l’esistenza di modi di agire differenti dal tuo o differenti da ciò che tu vorresti dagli altri per te.
Se è vero che, secondo Bandura, l’aspettativa aumenta le capacità performanti, è anche vero che quella verso le persone (e, in alcuni casi, verso la vita stessa) genera più malcontenti che risultati.
Approcciati alle persone per quello che esse sono: individui diversi da te.
Solo così potrai esplorare tutto il loro potenziale e, con il loro aiuto, espandere il tuo!
E ora… Ti viene ancora da storcere il naso o… Ti viene da vivere?
“La cosa più pericolosa da fare è rimanere immobili”.
(William Burroughs)
E adesso riprendiamo la metafora della casa. Qualunque faccia tu stia facendo in questo momento poco mi interessa… Se è vero che il libro lo stai leggendo tu, è pur vero che a scriverlo sono io e, a me, la metafora della casa piace! Vedrai, alla fine piacerà anche a te…
Dunque, stavamo dicendo… no, scusa, scrivendo… E’ che, a questo punto, ho come l’impressione di stare con un amico…. In fondo, queste pagine che all’inizio ho definito di “considerazioni”, parlano di me… e quando parli a qualcuno di te stesso, di cosa pensi, di cosa provi, delle tue emozioni, quel qualcuno diventa in un certo senso un amico, perché ha concesso, anche solo per un attimo, alla tua vita di entrare nella sua, dando modo ad un legame di crearsi. Non importa cosa porterà questo legame, ciò che conta è che un filo si è annodato ad un altro. Così come non importa che, alla fine della lettura di un capitolo, tu ti metta a saltellare e a gridare: “Cavolo! Ha ragione questa mezza squinternata!” A me, la ragione, non serve a nulla. Io ho il mio modo di intendere la vita e i fatti che mi accadono e tu hai il tuo. Quello che per me è davvero importante è che, magari dopo aver voltato l’ultima pagina e chiuso il libro, tu mormorassi: “Beh…non ci avevo pensato…” Poi potresti anche confutare ogni singola parola, dare esempi o spiegazioni differenti, scrivere tu stesso (perché no?) un “A proposito di E ti viene da vivere”…
Qualunque reazione sarà ben accetta in quanto, in ogni modo, avrai permesso ad una o più idee “non tue” di circolarti nel cervello, avrai consentito loro di entrare in te e di smuovere, solleticare, disturbare, capovolgere, risvegliare le TUE idee e, ovviamente, le TUE emozioni.
Ogni volta che si presta attenzione a qualcosa che non sia “noi”, si entra in contatto con un’altra realtà: ricca come la nostra; interessante come la nostra; paradossalmente unica come la nostra ma, soprattutto, VERA come la nostra. Se ora fosse qui la mia amica della poesia, si agiterebbe tutta e comincerebbe a sproloquiare sul fatto che persino quando prestiamo una più “attenta attenzione” a noi stessi, entriamo in contatto con altre realtà! Ma discorsi di questo tipo preferisco lasciarli a lei… Noi ne abbiamo già abbastanza di argomenti! E, a proposito dei nostri argomenti, riprendiamo da dove abbiamo interrotto… Noi, i nostri pensieri, le nostre emozioni, il nostro corpo… Come se fossimo una casa in cui ogni stanza ha una sua funzione. Che so, il cervello, la mente, i pensieri rivolti all’azione magari sono la cucina… I sentimenti, le emozioni, il cuore potrebbero essere la camera da letto… Il corpo, il fisico, potrebbero essere il bagno… Le riflessioni, il filosofeggiare, lo “spirito”, potrebbero essere il salotto… Immagina tu come vedi e senti di essere la tua casa.
Una volta che hai individuato e definito le TUE stanze, osservale. Guarda l’arredamento: com’è? Ricco e sfarzoso?
O semplice e spartano? In legno? In metallo? E le pareti? Di che colore sono? ? Pastello? E i pavimenti? Com’è disposta la camera da letto? E in bagno? Doccia o vasca?
Ora che ti sei divertito a gironzolare nella “casa-te”, a toccare le “cose-te” e a goderti le “stanze-te”, ti faccio notare una cosa… (se già non l’hai colta…) Ho citato mobili, pareti, pavimenti ma non ho menzionato due elementi…
Sei andato a rileggere? Hai capito cosa manca alla descrizione della casa?
Porte e finestre.
Già, in questa casa meravigliosa mancano le aperture verso l’esterno. Da questa casa non si può vedere sorgere e tramontare il sole, non si possono sentire gli uccelli che cantano e i bimbi che giocano; non è possibile incantarsi guardando la pioggia che scende o sussultare quando un lampo attraversa il cielo. Non si può sentire l’odore della primavera né quello di nessun’altra stagione.
Non è possibile spalancare la porta per vedere cos’è che provoca quel frastuono che ci disturba o quella musica che ci rallegra.
In questa casa non può entrare nessuno. In questa casa non si può cambiare aria.
Tutto è immobile. Per quanto possa sembrare perfetto, tutto è statico. L’aria è ferma e, piano piano, diventa pesante. Non ci sono suoni. Nulla cambia nel panorama visivo. Gli oggetti sono sempre allo stesso posto perché non v’è alcuna ragione di spostare nulla. Non un granello di polvere, non un peletto d’animale, non un capello a terra. Ogni cosa è totalmente, terribilmente, immobile. Persino il tempo lo è: non c’è giorno o notte, non si possono vedere. I colori non svolgono più la loro funzione: non possono essere resi vividi dalla luce o delicati dall’imbrunire; tutto diventa opaco.
Che ne pensi di una casa così? Mette un tantino d’angoscia?
E cosa penseresti di una persona così? Di una persona che non permette a niente e a nessuno di filtrare in essa, di permearla, di scaldarla o rinfrescarla? Peggio ancora, di una persona che non entra in contatto con la realtà che la circonda, convinta che la propria realtà sia quella “perfetta”?
Continuando con la metafora della casa, potremmo dire che le finestre e le porte sono quello che ci consente di interagire con il mondo e, con questo, non mi riferisco semplicemente ad occhi ed orecchi, piuttosto a ciò che essi alimentano: la nostra mente e, a caduta, il nostro atteggiamento, il nostro comportamento, le nostre relazioni… In una parola: la nostra vita. Avere finestre e porte sbarrate o, addirittura, non averle affatto, ci isola completamente da qualunque stimolo possa provenire dall’esterno. Una casa di questo genere è l’emblema di un circuito chiuso che può solo autoalimentarsi e, con l’andare del tempo, distruggersi. Nessuna variabile, nessun imprevisto, nessun movimento. Nessun cambiamento. Una persona così è l’emblema della mente chiusa. Anche in questo caso valgono le conclusioni appena descritte, con un’aggiunta: nessuna evoluzione.
Attenzione a fare la giusta distinzione tra una persona solitaria e una persona dalla mente chiusa! Un solitario potrebbe essere l’esempio di qualcuno che, oltre ad avere finestre e porte aperte verso l’esterno, possiede anche la chiave per il solaio o la cantina…
Un solitario può essere un riflessivo, un filosofo, che vede gli stimoli con una prospettiva alternativa, ma la sua interazione con il mondo è palese. Solo osservando, ascoltando, “toccando” gli altri e le esperienze può nascere un pensiero o una considerazione che si elevano da quelle abituali fino a trasformarsi in una filosofia. Tutti i grandi pensatori della storia sono partiti da un’osservazione e ne hanno fatto materia prima da plasmare con le proprie mani.
Di una persona con la mente chiusa, per contro, si potrebbe quasi dire che “non pensa”, se prendiamo la definizione che il vocabolario Treccani dà di pensare: “esercitare l’attività psichica per cui l’uomo acquista coscienza di sé e del mondo in cui vive”.
Come si può avere una coscienza di sé se non ci si rapporta, non ci si misura, con quello che ci circonda? E, ancor di più, come si può maturare coscienza, consapevolezza, del mondo in cui si è, se di quel mondo e da quel mondo non prendiamo e non diamo nulla? Avere una mente chiusa significa precludersi qualunque cosa. Avere una mente aperta significa poter fare qualunque cosa.
La differenza è netta ed inequivocabile.
Verrebbe da obiettare che una mente, a prescindere dalla sua apertura più o meno pronunciata, sia sufficiente alla sopravvivenza dell’uomo…
Egli può espletare le sue funzioni fisiologiche, nutrirsi, dormire, parlare, camminare, piangere e ridere… Certo che sì, ogni uomo normalmente equipaggiato dalla Natura sopravvive in essa. Sopravvive… Ma di sicuro non vive! Vivere è un’altra cosa! Vivere è dare ad ogni giorno che inizia un significato! Vivere è imparare ogni volta qualcosa di nuovo! Vivere è costruire, modellare, scolpire la nostra esistenza ogni momento per trasformarla in ciò che desideriamo!
Chi ritiene che le proprie idee siano le sole valide, che dagli altri non abbiano da imparare nulla; chi non prova curiosità perché è convinto di possedere già tutto quello che gli serve; chi non ha mai nessun tentennamento, certo che la sua realtà sia l’unica possibile e si sente “arrivato”, purtroppo dovrà fare i conti con un’altra realtà: ovunque egli creda di essere arrivato, non erà molto tempo prima di essere raggiunto e superato da chi vive in maniera diametralmente opposta! Quando qualcuno si sente arrivato, completo, finito, ha la tendenza a fermarsi e a crogiolarsi al sole di quel traguardo, non facendo caso agli altri che, sentendosi invece ricchi di spazi da colmare e pensando che “loro non finiranno mai”, quel traguardo lo trasformano in una tappa e da lì ripartono per la conquista di un’altra tappa, e poi di un’altra ancora, trasformando ogni arrivo in una nuova partenza verso una nuova meta e un nuovo orizzonte. Ovviamente, ogni scelta di vita va rispettata ma è assodato che chi si ferma trascorrerà sopravvivendo il resto della propria esistenza, magari lottando strenuamente per mantenere quel podio, convinto che i nuovi arrivati possano insidiarlo. Considerando quel podio l’unico possibile, chiama invasori quelli che lo
raggiungono e non riesce a vedere come loro, al contrario, potrebbero condurlo ancora più avanti.
Su di un trampolino, gli irremovibili delle convinzioni sono quelli che lo percorrono avanti e indietro, constatando in continuazione la sua solidità, incuranti delle sue oscillazioni; coloro che le convinzioni le attraversano, del trampolino vedono l’estremità e vi corrono a saltarci sopra, pronti a lanciarsi alla prima oscillazione propizia.
Sono sicura che ti sarà capitato di incontrare più di un “irremovibile” e, in prima battuta, li avrai anche definiti sicuri, pieni di autostima, magari pure vincenti… L’impressione che danno di sé, infatti, il più delle volte è proprio questa: sanno sempre di cosa stanno parlando, sanno sempre cosa stanno facendo, nessuna incertezza e grande capacità di eloquenza. Caspita! Magari ci fossero più persone così! Decise ed autoritarie!
Già, già… Se ci fossero più persone così… vediamo… …penseremmo ancora che la Terra sia al centro dell’universo… …la Santa Inquisizione sarebbe ancora attiva… …avremmo ancora le lampade ad olio… …affideremmo i nostri messaggi ai piccioni viaggiatori…
Continuo? No, credo di aver reso l’idea…
Una mente chiusa vede solo sé stessa, tutto il resto che non si allinea ad essa o è sbagliato o non può esistere! Un conto è stare bene con sé stessi, un altro è prendere in considerazione SOLO sé stessi. Le due cose generano risultati abissalmente diversi.
Come ti sei sentito di fronte a questo tipo di persona? Che cosa hai provato? Ripensa alle sensazioni che hai avuto … Cosa è successo dopo un po’ che l’ascoltavi? Molto probabilmente la stessa cosa che succederebbe a chi si mettesse a guardare un documentario di sei ore su “La lettera B dell’alfabeto”…
Quando interagisci con una “cassaforte mentale”, la prima cosa che fai è prestare attenzione, questo perché, essendo una persona educata e socievole, vuoi capire di che cosa stia parlando e, sicuramente, ti verrà anche da pensare: “Però… ma quante ne sa!” Mano mano che l’interazione continua, inizierai ad avvertire le prime avvisaglie di disagio, dovute ad una tua discordanza con quello che stai ascoltando e, di logica, tenterai di esprimere il tuo parere. Bada bene: tenterai!
Riuscire a far intendere qualcosa di diverso dalle parole che ha appena pronunciato ad un personaggio del genere è ardua impresa! Le reazioni che potresti avere dal tuo interlocutore sono, in genere, di tre tipi: ° allargamento degli occhi con indietreggiamento di testa e busto, a volte accompagnato da un “Ohhh…”, misto tra pietà e sdegno (per te, ovviamente) ° deciso e continuo scuotimento del capo, nella maggioranza dei casi con labbra strette, esplicito segnale di disgusto (sempre per te, naturalmente) ° bonario ondeggiare della testa, con addirittura braccio intorno alle tue spalle e sorrisino di chi prova tanta pena (lascio a te indovinare per chi…)
Ognuno di questi atteggiamenti sarà seguito dalle classiche espressioni: “Guarda che ti sbagli…” “Scusa se insisto…” “Ma cosa vai dicendo…” Modulate a seconda del grado di educazione del nostro amico cassaforte ma sempre introducenti una decisa e articolata riformulazione della sua inconfutabile affermazione.
A questo punto il tuo disagio tenderà ad aumentare esponenzialmente perché il contrasto tra cosa ti era parso di cogliere in quella persona e ciò che realmente cogli è drastico: pensavi di avere di fronte un brillante e invece ti ritrovi con un ottuso! Allora, dentro di te, cominceranno ad agitarsi vari stati d’animo che ondeggiano tra lo stupore (non ci puoi proprio credere che sia tanto limitato!), il nervosismo (dovuto sia all’impossibilità di intervenire nella discussione e sia, di conseguenza, al non poter esprimere un tuo benché minimo pensiero…) e uno stato, suggeritomi da una mia amica, che viene definito “l’andare in wash”, una condizione per la quale, quando ti accorgi di essere davanti ad un poveretto che non vede più in là del suo naso e il tuo interesse letteralmente fa le valigie e
parte per destinazione ignota, ascolti tanto per ascoltare, lasciando che i tuoi riflessi condizionati colgano i cambi di tono e di movimenti o le sospensioni di parole ed intervengano con qualche “Ah sì?”, “Ma va?”, collocato ad hoc, mentre la tua mente attiva cerca una scusa qualunque per portarti via e la tua parte spirituale prega perché qualcuno o qualcosa (qualunque cosa!) arrivi a salvarti.
Ciò che è bene tu non faccia in presenza di una simile persona è ostinarti a “dargli contro”, cercando di fargli capire che ci sono altre mille interpretazioni della cosa oggetto del suo discutere: non servirebbe a nulla! E tu ti arrabbieresti (perché uno così veramente può farti uscire dai gangheri!) per nulla. C’è però un mantra che puoi usare… “Non la penso così; non sono d’accordo” Ripetiglielo in continuazione, con calma e scandendo le parole, magari mentre ti guardi le unghie o cerchi qualcosa nel portafoglio. Alla fine, non avendo ulteriore materiale per arricchire ed espandere la sua unica idea, il nostro amico cassaforte smetterà di parlare e ti saluterà. In ogni caso gli hai fatto un regalo: se ne andrà con una nuova convinzione per il suo carnet, quella che, tu, non capisci nulla!
Avere a che fare con questo tipo di persone può essere snervante e difficilmente si riesce ad aprire le loro finestre. Naturalmente, nulla è impossibile, ma, non essendo noi dei martiri benefattori dell’umanità, ci limitiamo, come abbiamo fatto per i Rassegnati, ad augurare a queste Casseforti mentali di trovare presto o tardi una combinazione… Il cambiamento lo fa chi sente di averne bisogno e nel grande disegno della Natura c’è posto anche per chi quel bisogno non lo ha.
In fondo, anche i sassi hanno il loro perché…
Si può affermare che queste persone non siano intelligenti? La risposta non è affatto semplice. Sicuramente saranno istruite, molte di loro anche colte, ma se andassimo alla ricerca del significato etimologico dell’aggettivo intelligente, avremmo una sorpresa… “Intelligere, secondo alcuni è la contrazione del verbo - legere - (leggere) con l’avverbio - intus - (dentro): Chi aveva intelligenza era dunque qualcuno che sapeva - leggere dentro -, ovvero - oltre la superficie -. Secondo altri, intelligere sarebbe stato la contrazione di - legere - con la preposizione - inter - (tra), in tal caso avrebbe indicato una capacità di - leggere tra le righe - . (fonte: Wikipedia)
Detto ciò… Ti lascio alle tue libere conclusioni…
In apparenza, quante cose posseggono questi depositari della verità eh? In verità, però, gliene mancano due… E sono le due che al contrario dominano in quelli che, al posto, della cassaforte mentale, hanno un vero e proprio prato verde!
Il dubbio e la curiosità.
Se la stoica ed imperturbabile convinzione ci rendono pietre, il dubbio e la curiosità ci rendono creta. Una pietra la si può solo prendere ed usare così com’è, invece, con la creta si crea!
Ad un grande scrittore olandese, Edouard Douwes Dekker, si attribuisce la frase “Non dubitare di nulla è il mezzo più sicuro per non sapere mai nulla”.
Che cos’è un dubbio? E’ una domanda a proposito di qualcosa, a proposito del pensiero, della visione che di quel qualcosa si possiede. E’ un’incertezza, quindi è il considerare la propria idea fallibile, modificabile, non perfetta e non definita nel tempo. Avere un dubbio significa mettere in discussione ciò che si conosce o che si crede di conoscere a favore di una conoscenza nuova e più vasta. Ogni volta che noi mettiamo in discussione qualcosa, letteralmente “mettiamo” questo qualcosa di fronte a noi, fuori di noi, come su di un tavolo e ci creiamo in questo modo non una ma una serie di prospettive dalle quali osservarla.
Ti ho già proposto un giochetto per capire il senso della prospettiva, ma con questo andiamo un poco più in là.
Pensa a qualcosa di cui sei fermamente convinto (che non sia, per favore, “il mare è blu”… in primo luogo perché non è vero “manco per niente” e in secondo luogo perché, a questo punto, puoi fare di meglio…
Ah, il mare è trasparente….)
La tua convinzione può essere “in positivo”, “in negativo” o “neutra”. Ad esempio: “Amo le scarpe col tacco” “Odio le giostre” (incomprensibile ma possibile… e quindi accettabile)
…. accidenti, per la convinzione neutra andava bene anche “il mare è blu”! Avremmo potuto giocare sulla percezione dei colori e la rifrazione della luce!
C’è da dire che se la convinzione che scegli è “in positivo” è più divertente: non è facile farsi venire un dubbio su una cosa che ci piace!
Quando hai la tua bella convinzione, mettiti davanti ad un tavolo (o ad un piano) sgombro e immagina di prenderla con tutt’e due le mani (una convinzione ha un bel peso…) dalla pancia, dal cuore o dalla testa e di poggiarla (o sbatterla, dipende) su di esso. Meglio se al tavolo ci puoi girare intorno. Prendi anche carta e penna.
Fatto?
Bene!
Adesso inizia a girare intorno alla tua convinzione spiattellata per intero sul tavolo ed osservala, annotando tutte le cose che ti vengono in mente.
Per staccarti ancora di più da essa, potresti immaginare di essere “quel tuo amico che non sopporta quando fai quella certa cosa” oppure “quella tua amica che non aspetta altro che tu la faccia”.
Pensare o vedere con la testa o gli occhi di un’altra persona è utilissimo per intuire o avvicinarti a concetti, sensazioni, emozioni che, proprio perché di altri, non ti appartengono ma che ti sarebbero utili per capire meglio una data cosa.
In Programmazione Neuro Linguistica questo modo di agire si usa nella Tecnica delle Posizioni Percettive, adatta per la risoluzione di dissidi, litigi o controversie.
Noi, qua, la rimaneggiamo un poco (tanto, il libro è mio e posso fare quello che mi pare…) e la usiamo per solleticare i dubbi sulla “santità” della tua convinzione.
A furia di gironzolare intorno ad essa, dopo aver segnato tutte le cose “pro”, prima o poi, guardando con altri occhi, sarai arrivato a trovare almeno una considerazione “contro”.
Sei stupito? Credevi fosse tutto perfetto?
Per fortuna, in certi casi (e l’uomo è uno d’essi) la perfezione non solo non esiste ma non serve neppure!
A cosa può essere utile avere un dubbio su una propria convinzione? Se è limitante, ovviamente a liberarcene. Se è neutra, ad avere nuove informazioni. Se è, diciamo, “in positivo”, a non avere sensi di colpa o d’obbligo nei suoi confronti; il risultato è liberatorio lo stesso!
“Amo le scarpe col tacco… MA se devo camminare per un chilometro sono meglio quelle da tennis!”.
Richard Bandler, uno dei padri della Programmazione Neuro Linguistica e di tutto ciò che da essa è derivato, diceva: “Se siete davvero convinti di una cosa, provate il suo contrario”.
Ovvero, mettete in dubbio voi stessi e darete una vera svolta alla vostra vita!
Avere un dubbio quindi ci pone esattamente a mezza via tra noi e il resto del mondo. Il dubbio è la porta della nostra casa. Possiamo aprirla appena e, sbirciando fuori, decidere se spalancarla del tutto oppure, per questa volta, richiuderla. Come ti dicevo all’inizio del capitolo, quello che conta non è necessariamente cambiare il proprio pensiero ma essere disposti a prendere in considerazione altri punti di vista che, non solo arricchiscono le nostre conoscenze, ma possono essere le tappe dalle quali partire per raggiungere altri traguardi, quelli che i nostri poveri “sicuri di sé fino alla morte” non raggiungeranno mai! Il dubitare ci porta ad oscillare dolcemente tra ciò che sappiamo e ciò che ancora ignoriamo; è quella spinta delicata che ci fa fare un o avanti.
Forse ti starai chiedendo se avere dubbi non significhi essere confusi… Sìììì!!! Santa Confusione! La confusione genera! La confusione è come il pentolone di una strega: ci metti dentro di tutto e, mescola mescola, ottieni una pozione magica! I dubbi sono gli ingredienti che si riversano nella tua pentola e la pozione che ne verrà fuori sarà una realtà diversa da quella che avevi prima! Non c’è nulla di meglio che dirsi: “Sono confuso…non so che fare (o dove andare o cosa scegliere…)” perché vuol dire che hai n cose da fare, verso cui andare o tra le quali scegliere!
Un dubbio è una chiave per aprire uno scrigno di tesori.
Il risultato più grande dell’avere dubbi e dell’essere confuso è l’allargamento della propria “mappa mentale”, quell’insieme di idee, esperienze, pensieri, convinzioni che compongono la visione del mondo di ognuno di noi. Allargare la mappa equivale a crescere, in conoscenza e consapevolezza; come facevano i primi viaggiatori che, via via che scoprivano nuovi territori, li aggiungevano alle loro mappe (vere e proprie!), ampliando così le dimensioni del mondo. Ripensa alle cartine geografiche antecedenti il 1492: non c’è esempio migliore da poter fare per chiarire il concetto di mappa mentale!
Questo movimento di espansione ha anche un altro potente motore, la seconda cosa che manca alle Casseforti…
Nel meraviglioso film “Scent of woman”, Al Pacino, alias Frank Slade, dice: “Se smetti di essere curioso, sei bello che morto”.
Se la confusione è la pentola della strega e i dubbi sono gli ingredienti “coda di rospo e zampe di gallina”, la curiosità è una vera bacchetta magica! La curiosità ha il potere di trasformare un fatto qualunque in una scoperta (te la ricordi la mela di Newton? Alcuni dicono che sia una storia inventata, però l’esempio vale lo stesso!); la curiosità ti consente di cogliere un’opportunità in ogni esperienza che ti capita di vivere, a patto che tu la lasci agire.
Si comporta un po’ come un cane da tartufi: va, va, naso a terra, gira, si ferma e, voilà, scopre il prezioso funghetto! Al cane mica gli indichi la direzione o gli suggerisci quando fermarsi, lo fai andare perché ti fidi del suo fiuto!
Ecco, fai lo stesso con la tua curiosità: fidati! Del cane diciamo “fiuto”, della curiosità diciamo “intuito”.
Non scuotere la testa… Ce l’hai anche tu la curiosità! Come faccio ad esserne sicura? Perché sei stato un bambino! Dei bambini abbiamo già modellato la capacità di sognare, ora modelliamo anche la curiosità! Facciamoci le loro domande assillanti e petulanti per gli adulti ormai tristi: Perché è così? Come mai è così? Da dove arriva? A cosa porta? Che succede se entro? Che succede se esco? E se lo tocco?
E rivolgiamole a tutto e tutti, senza dimenticarci di rivolgerle a noi stessi!
Un altro potere della curiosità è il Magnetismo.
Hai letto bene: il Magnetismo. Se sei curioso attiri e sei attirato da possibilità, occasioni, novità, persone… Chi può dire se sono queste cose che “chiamano” te o se sei tu ad avere un “radar interno”…
Una cosa è certa: se sei curioso sei aperto. I pori della tua pelle captano le vibrazioni nell’aria e le trasformano in impulsi che, arrivando al tuo cervellino, ti fanno voltare la testa in una direzione ed esclamare: “Tho! E di là, che ci sarà?” La domanda può essere concreta o metaforica ma il risultato è uguale: movimento!
ANDARE VERSO, ANDARE INCONTRO, questo è quello che conta!
MUOVERSI!
C’è una bellissima frase di Seneca che recita: “La fortuna non esiste: esiste il momento in cui il talento incontra l’occasione”.
E, per un incontro, serve un movimento. Puoi essere il migliore in qualunque campo, avere doti inimmaginabili, ma, amico mio, se non ti muovi, col tuo talento al massimo ci tappezzi la cucina!
Smettiamola di dire che la fortuna è cieca e cominciamo a pensare che alla fortuna bisogna andarle incontro: la fortuna altro non è che il nostro atteggiamento positivo e costruttivo!
D’accordo, d’accordo… Si dice anche che “la curiosità uccise il gatto”, ma io ribatto con “chi non risica non rosica”!. E’ logico che si corra qualche rischio quando ci si avventura in luoghi, fisici e mentali, sconosciuti ma ne vale sempre la pena!
C’è ancora un altro potere della curiosità: la Cordata. Ad un briciolo di curiosità sono legati, in ordine sparso: l’acume l’ardimento l’interesse l’ingegno la conoscenza l’originalità lo stimolo intellettuale la comprensione la scoperta…
Ti bastano? Oh, scusa! Dimenticavo “l’ultimo”: il successo!
Possiamo quindi affermare che i due pilastri di una mente aperta siano il Dubbio e la Curiosità; sono questi due elementi che scardinano i pregiudizi, i luoghi comuni, le convenzioni e le abitudini.
Se hai una mente aperta è come se tu avessi un paio di occhi in più, un paio di orecchi in più, un paio di mani e di piedi in più! Le tue percezioni raddoppiano, le tue facoltà raddoppiano, le tue risorse si moltiplicano e le tue possibilità diventano infinite!
Da ogni persona, da ogni cosa, da ogni fatto ti può arrivare qualcosa e, quel qualcosa, forse è proprio ciò che ti serve in quel momento o è ciò che ti servirà al momento giusto! Ma se non apri, meglio, se non spalanchi le tue finestre e le tue porte, come puoi pensare di cogliere le informazioni, gli insegnamenti, gli spunti che ti gravitano intorno? Loro sono lì, sospesi nell’aria ed è proprio quell’aria che serve alla tua casa!
Da domande semplici come: “Ma è davvero così…?”
“E se avesse ragione…?” Si parte per un viaggio che conduce più lontano di quanto qualunque avventuriero possa immaginare!
A chi non ha mai dubbi, a chi non è curioso, a chi è convinto che, dopo se stesso le Colonne d’Ercole, noi, indomiti dubbiosi ed inguaribili curiosi, diciamo: “Se a voi, mentre rinforzate le vostre roccaforti, viene da ridere o da scuotere il capo, a noi, mentre andiamo alla conquista del mondo… VIENE DA VIVERE!”
“Se non hai la forza di imporre le tue condizioni alla vita, devi accettare le condizioni che essa ti offre”.
(T.S. Elliot)
Qualche tempo fa sono andata a trovare una mia amica che abita a Premezzo (frazione di Cairate, provincia di Varese). Il paese è piccolissimo ma possiede una cosa davvero interessante: un percorso artistico all’aperto che ripropone gli antichi mestieri del paese con pannelli dipinti posizionati sui muri delle case dove queste attività erano realmente svolte. L’iniziativa, mi ha poi spiegato la mia amica, risale al 2003 ed è di un’associazione di pittori locali (“La Tavolozza”). eggiando per le strade di questo borgo, alzando appena la testa, si vedono all’opera la sarta, il calzolaio, l’ombrellaio, l’impagliatore di sedie… Ritratti nello svolgimento del loro lavoro, con gli strumenti che al tempo utilizzavano.
Oltre che risultare molto piacevole, la vista di questi dipinti ha suscitato in me un paio di riflessioni…
La prima è come, un tempo, avessimo più cura e affezione per le nostre cose. Anni fa si buttava poco o niente, si cercava in ogni modo di riparare, aggiustare, riportare a nuova vita… Certamente perché le possibilità economiche erano minori ma, proprio in virtù di questo, il valore che si dava ad un oggetto era di gran lunga maggiore di quello che gli si da ora. Oggi “si butta” con una facilità inquietante e “si cambia” con una morbosità altrettanto inquietante. Lo so, lo so il progresso… Ma, come ogni cosa, e forse più di ogni altra cosa, il progresso ha i suoi pro e i suoi contro.
Se da un lato ci ha portato ad avere mezzi e metodi una volta inconcepibili e, in molti casi, vitali più che utili; dall’altro ci ha fatto precipitare in una spirale dalla quale non siamo più in grado di uscire. Senza arrivare a parlare, ad esempio, dei fissati per la tecnologia o per l’abbigliamento all’ultima moda, è certo che, chiunque di noi, non si fa più riparare un ombrello o un vestito… Lo butta. Le cose perdono di valore perché è facile averne delle altre e, automaticamente, il valore diventa sinonimo di costoso, perché una cosa tanto più è rara, tanto più costa; da qui: tanto più una cosa costa, tanto più ha valore. E le cose di valore (nel senso di costose) sono appannaggio di pochi. Il valore diventa quantificabile, monetizzabile, e chi più ne possiede più ha prestigio.
Molte persone trascorrono la propria vita convinte che il “valore” stia nel portafogli e si dannano l’esistenza per riempirlo a più non posso, dimenticandosi che il “Valore”, quello vero, è ben altra cosa e, in quest’ultima accezione, esso sì, purtroppo, è appannaggio di pochi…
La seconda riflessione, conseguenza della prima, è come ogni mestiere avesse (e ovviamente ancora ha) i suoi strumenti particolari. Ecco la sarta col suo ditale, i suoi aghi e il suo metro… L’ombrellaio con le sue pinze e il fil di ferro… L’impagliatore di sedie con le sue forbici e i suoi cunei… Ognuno di loro possedeva uno o più strumenti che lo rendevano capace di costruire qualcosa.
A volte strumenti talmente caratteristici da diventare veri e propri simboli che non necessitano di nessuna parola o spiegazione. Se vedi un ago con del filo, immediatamente pensi ad una sarta, non ti serve altro!
Gli strumenti sono indispensabili alla realizzazione di qualunque cosa.
L’esempio più bello da poter fare, parlando di strumenti, è quello della musica: attraverso “qualcosa” si ha la possibilità di creare “un’altra cosa” meravigliosa, seppure intangibile e invisibile. Questa cosa, la Musica, è una di quelle che hanno ciò che prima ho definito Valore (con la V maiuscola): non la puoi comprare, il suo potere è immenso e, meraviglia delle meraviglie, è di tutti e per tutti. Adesso mi spingo un po’ più in là: uno degli strumenti per creare musica siamo noi. L’uomo, senza l’ausilio di nulla, può creare Musica! Battendo le mani, tamburellando su un piano, fischiettando, fino ad arrivare alla magnificenza del canto.
L’uomo stesso è uno strumento.
Il canto è l’apoteosi della sua fusione soggetto/oggetto, ma ci sono tanti altri ambiti nei quali esso può essere “strumento”, in quanto dotato di due fantastiche mani e di un fantasmagorico cervello. L’uomo può fare, e lo ha dimostrato nel corso di tutta la storia, tutto ciò che può immaginare (ecco il lato positivo del progresso di cui l’uomo è artefice).
C’è chi nasce già dotato della capacità di usarsi come strumento e c’è chi, capito il proprio potenziale (il potenziale, infatti, ce lo hanno tutti, è che non tutti lo capiscono…) impara come usarsi.
Noi siamo in grado di costruire qualunque cosa vogliamo.
Tutto quello che ci circonda è stato realizzato da qualcuno e se s’imparasse, o se si tornasse, a dare più Valore alle cose, quest’affermazione acquisterebbe maggior respiro: quando tocchiamo qualcosa, dentro di essa, c’è un po’ di chi l’ha fatta, si trattasse anche di un semplice oggetto di una catena di montaggio!
Dando più Valore alle cose, implicitamente si darebbe più Valore all’uomo.
Inoltre, essere capaci di fare qualcosa, o imparare a farla, ci rende liberi da tutto un intricato groviglio di ambiti, fatti, situazioni che si incastrano e si ammassano intorno e sopra di noi, facendoci pesare in modo insopportabile il bisogno che possiamo avere di quella cosa, proprio perché siamo incapaci di farla noi stessi. E più facciamo fatica ad avere una cosa, più ne sentiamo il bisogno e più non riusciamo ad averla, più ci sentiamo frustrati. Eppure, tante volte, basterebbe fermarsi un attimo e chiedersi: “Ehi! E se ci provassi io a fare…?” o ancora: “Ehi! Ma mi serve davvero…?” Queste due domande sono una vera bomba, sai per quale motivo?
Perché potrebbero essere la formula magica per smettere di girare vorticosamente nella spirale (il lato negativo del progresso)! Immagini cosa accadrebbe se una, due, cento, mille, un milione di persone cominciassero a porsi questo tipo di domande? Ci sarebbero ripercussioni a livello economico mondiale! Qualche piccolissima realtà se l’è già poste, ma sono ancora, appunto, piccolissime… (In Inghilterra, nella contea dello West Yorkshire, esiste un paese che coltiva tutte le proprie verdure. Si tratta di Todmorden, una cittadina di 14 mila abitanti dove, dal 2011, si è dato inizio alla coltivazione di ortaggi all’interno di aiuole ed altri spazi pubblici. Ai doni dell’orto i cittadini accedono gratuitamente. Autosufficienza, condivisione e solidarietà; piccolo ma reale, un buon auspicio per il futuro…)
Senza andare così tanto in là con l’immaginazione per un mondo perfetto, torniamo al senso comune a quelle due domande:
“Se io fi qualcosa di diverso dal solito…?”
Sai cosa c’è sotto questa domanda?
L’embrione di una scelta.
Stai vivendo la tua vita di sempre, con le tue abitudini di sempre, le tue azioni di sempre, le tue parole di sempre…. Fai, fai, fai…
Vai, vai, vai… Corri, corri, corri… Pensi, pensi, pensi… Pensi… “Ma possibile che io DEBBA fare, andare, correre per ogni giorno della mia vita ed in ogni ambito della mia vita perché - è così che deve essere? Allora… Rifletti… “Chi l’ha detto che c’è un solo modo, un modo giusto per stare al mondo?” E ti incazzi…(ops… ma sì! Anche qua: licenza poetica!) “No! Per me non è così!”
E ti vengono in mente tutte quelle cose, all’apparenza banali, che fai o hai fatto perché - è così che si fa -.
Ripensi, magari, all’ultimo capodanno, quando sei stato/stata a quella festa in quel ristorante costosissimo dove, tra l’altro, hai mangiato malissimo e ti sei pure annoiato/a, perché, qualcuno qualche giorno prima, ti aveva detto (anche un po’ schifato): “Non vorrai mica are la notte di capodanno da solo/a!?” E, mentre tu pensavi: “Perché no? Sai come me la sciallo (traduzione: “come me la godo”)?” dalla tua bocca usciva un: “Certo che no!”
Oppure all’ultima uscita con gli amici che ti hanno portato/a in quel locale alla moda, raccomandandoti di “metterti in tiro” (traduzione: “vestirti veramente bene”) e, davanti all’armadio prima di uscire, mentre i tuoi occhi guardavano imploranti verso i jeans e le scarpe scamosciate, le tue mani, ligie al dovere, prendevano l’abito da soiree e le scarpe nuove (quindi strette!) che ti avrebbero portato/a a are una serata… seduto/a!
Ti sembrano esempi sciocchi? Eppure sono reali! E siccome il tuo cervello è un infallibile archivio, di cose come queste di sicuro te ne sono tornate in mente a bizzeffe! Inoltre, lo schema che segue il comportamento in una cosiddetta “situazione banale” è identico a quello che segue in una definita “seria” o “più significativa”. Questa è il vero dramma! Nello stesso modo in cui riusciamo a privarci della libertà di stare con delle scarpe comode, riusciamo anche a privarci della libertà di essere noi stessi!
Però… Ti mancava “il però” eh…? Se sei arrivato a dirti che per te non è così!, significa che sei pronto all’esclamazione successiva:
“Io voglio poter scegliere!”
Bene.
Sappi che una volta che avrai pronunciato questo intento, la tua vita non sarà più la stessa!
L’intenzione di scegliere crea già una frattura tra la realtà in cui sei e quella in cui ti catapulterai da lì a poco. L’intenzione di scegliere mette in discussione la veridicità, l’importanza e il rispetto (nel senso di osservanza) di tutto quello che ti circonda.
SE PENSI DI SCEGLIERE, HAI CAPITO CHE C’E’ ALTRO SE DECIDI DI SCEGLIERE. HAI CAPITO CHE VUOI ALTRO SE SCEGLI DI SCEGLIERE, HAI GIA’ ALTRO! LA SCELTA E’ LO STRUMENTO PER COSTRUIRE LA TUA LIBERTA’
Fare una scelta è affermare una tua volontà, è distinguersi. Parafrasando Cartesio, diciamo:
“Scelgo, quindi sono”
Quando scegli eserciti il potere di cambiare il tuo futuro.
iamo buona parte della nostra vita sottostando alle scelte dei nostri genitori, o dei nostri cari più vicini, prima e della società dopo. Se, per quanto riguarda i primi, quello che ci tiene giù è il rispetto e l’ignoranza
(intesa come “non conoscenza”), per quanto riguarda la seconda, ahimé, è l’abitudine. La cosa assurda è che il più delle volte non ci rendiamo neppure conto che sono gli altri a scegliere per noi!
Da tua madre che ti preparava i vestiti per la scuola del giorno dopo, a tuo padre che ti diceva quale fosse la facoltà migliore, a tua nonna che ti intimava di andarti a confessare tutte le domeniche (certo…eri piccolo/a o adolescente…); sei arrivato alla televisione che ti dice come ti devi vestire, alle riviste che fanno le top-ten dei lavori più pagati, al pensare “Se Dio vuole…” quando ti metti a fare qualcosa.
Ops… Sono le stesse cose di prima… Che strano… eppure adesso sei cresciuto/a…
Ma ormai le scelte degli altri, le scelte comuni, ti hanno talmente condizionato che per te è assolutamente normale vivere in questo modo! E, in fondo, è anche comodo… Tutto già scritto, tutto già definito, basta solo rispettare i canoni e ogni cosa andrà per il meglio…
Beh, ti svelo un segreto: non è così!
Nulla andrà per il meglio; al massimo “andrà per inerzia”, come quelle macchinette a molla che filano fino a che dura la carica e che poi si fermano lì,
nell’attesa di qualcuno che s’accorga di loro e che gli dia un altro giro. Ecco, se sei fortunato/a, trovi qualcuno che ti dà un altro giro, altrimenti resti in quell’angolo, a prendere polvere, inutile e dimenticato. Se non scegli il meccanismo è proprio questo: l’ossessiva ricerca di un’omologazione che ti dia un senso o lo sprofondare sempre di più in una routine circoscritta ed opacizzante.
Il meglio lo ottieni se decidi di guardare in un’altra direzione rispetto a quella verso la quale guardano tutti. Il meglio lo ottieni quando prendi in mano la vita e le dici: “D’accordo, fino ad ora hai deciso tu per me; da adesso in avanti le regole le do io!”
Già, perché quando non scegli, in realtà, non stai vivendo la TUA vita ma quella che ti è stata confezionata addosso dalle nostre ormai tristemente famose convenzioni e convinzioni.
Non scegliendo ti lasci andare alla corrente, confidando in qualcuno che ti getti qualcosa cui aggrapparti per non affogare.
Non scegliere è atrofia mentale. Come un muscolo che se non si usa si rimpicciolisce e si debilita, così la nostra mente si restringe e perde slancio perché non riesce più ad immaginare e a lavorare in modo costruttivo. I muscoli hanno bisogno di muoversi la mente anche! E non c’è miglior movimento per la mente che il are da un fatto all’altro, da
un’idea all’altra, da una situazione all’altra; valutandone benefici e contrarietà, piaceri o fastidi, affinità e diversità e rapportando il tutto al NOSTRO MEGLIO e non a quello “che è meglio”.
Anni fa, c’era un cartone animato, I Puffi, forse lo ricordi, nel quale c’era, appunto, un puffo che si chiamava Quattrocchi perché portava degli enormi occhiali tondi. Questo puffo cercava sempre di far fare a tutti la cosa giusta e consigliava sempre come comportarsi nel modo giusto e chiudeva tutti i suoi interventi con un: “Che è meglio!” Puntualmente finiva scaraventato fuori del villaggio a testa in giù e con gli occhiali per traverso! Non c’è che dire: Pierre Culliford, il creatore dei Puffi, era già un pezzo avanti!
Il “meglio per tutti” non corrisponde sempre al “meglio per noi”, per questo possiamo scegliere! Ne abbiamo la facoltà! Non si parla forse di “libero arbitrio”? “Ogni persona è libera di scegliere da sé gli scopi del proprio agire, perseguiti tramite la volontà”. Non lasciamo questo concetto relegato solo alla filosofia o alla teologia: viviamolo!
FA DELLA VITA CHE STAI VIVENDO LA TUA VITA! CON UNA, CENTO, MILLE, INFINITE SCELTE!
Togliti il giogo che ti impedisce di essere libero!
Anche di sbagliare, perché no? Te l’ho ripetuto più volte fino a qui, ma non mi stanco di ripeterlo ancora, perché è un concetto troppo importante: lo sbaglio serve. Lo sbaglio è indispensabile alla crescita e al cambiamento.
Così come ti ho già detto che per cambiare è indispensabile muoversi! Va da sé: la mente che si muove, sceglie se sceglie, cambia e, se cambia, vive! e non sopravvive…
La scelta sta alla Libertà come il cambiamento sta alla Vita.
Libertà e Vita sono dirette conseguenze di scelte e cambiamenti. Sono le TUE scelte e i TUOI cambiamenti che consentono alla Libertà di manifestarsi e alla Vita di espandersi. La TUA Vita, quella che decidi di voler avere da un dato momento in avanti!
Non recriminare su ciò che è stato, su ciò che avresti potuto fare se ci avessi pensato prima! Non importa! Quello che hai fatto fino ad ora è stato comunque utile ma ora che hai capito di avere il potere di creare un’altra realtà, non perdere altro tempo!
AGISCI! E… SCEGLI!
Marco Aurelio (imperatore romano e ultimo esponente dello Stoicismo, scrisse i “Colloqui con se stesso” come esercizio per il proprio orientamento e auto miglioramento tra il 170 e il 180. Un vero precursore del genere…) disse: “la felicità della tua vita dipende dalla qualità dei tuoi pensieri”.
Pensa di poter fare altro che non sia ciò che ti è stato insegnato ed inculcato! Pensa di poter essere una persona differente da quella che ti hanno convinto di essere! Pensa di poter raggiungere traguardi che ti hanno detto essere inarrivabili!
SCEGLI DI ESSERE QUELLO CHE VUOI ESSERE
Il grande Freddy Mercury, in Innuendo, ha cantato: “you can be anything you want to be just turn yourself into anything you think that you could ever be”
(si può essere tutto ciò che si vuole basta trasformarsi in tutto ciò che si pensa di poter essere)
E aggiungeva: “be free, be free to yourself”
(siate liberi per voi stessi)
Ancora: “chiediti se ciò che stai facendo oggi ti avvicina al luogo in cui vuoi essere domani”. (Walt Disney) Se la risposta è un SI’… bene! Vai avanti!
Macina i tuoi chilometri e raggiungi la tua meta!
Ma se la risposta è un NO… fermati e prendi un’altra strada, adopera un altro mezzo ma non dimenticarti mai il tuo strumento: la scelta.
Essere artefici del proprio destino vuol dire scegliere di volta in volta quello che sentiamo risuonare dentro di noi.
Non chiedermi come si fa a sapere cosa faccia per te o meno… Tu, come me e come ognuno di noi, hai delle avvisaglie precise che lo comunicano… E’ che, forse, non ci fai caso… Quella vocina, quella sensazione, quel prurito che si avverte quando siamo in una situazione lontana da ciò che vogliamo; quando ascoltiamo o, peggio, diciamo, qualcosa che non ci appartiene; quando agiamo contro noi stessi… Il nostro NOI comunica con noi in continuazione e ci dice chiaramente da che parte vogliamo andare, contrariamente a dove stiamo andando in quel momento! Tutto quello che abbiamo bisogno di imparare è ascoltarci.
Non è facile, certo. Non è immediato, certo. Ma provare è il primo o per riuscire!
Una scelta che ti liberi dalle vecchie corde o che spezzi le catene arrugginite, inizialmente può apparire destabilizzante.
Non più sicurezza. Non più appoggio. Non più conferme.
Come non comprendere chi decide che scegliere costa troppa fatica e può essere anche pericoloso? E sceglie di non scegliere…
Come in altre occasioni, lungi da noi criticare una decisione simile; solo ci dispiacciamo per chi la fa, perché non si rende conto di ciò di cui si priva e se, al contrario, se ne rendesse conto ma perseverasse nella scelta di non scegliere, ci dispiaceremmo ancora di più…
Oscar Wilde ha scritto: “ciò che non abbiamo osato, abbiamo certamente perduto”.
Se essere liberi di scegliere è importante, scegliere di essere liberi è essenziale per fare di una vita la propria vita e non il ripiego di un’esistenza vissuta perché non ci rimane niente altro da fare.
Scegliere implica il prendere una decisione, fare delle valutazioni, mettere in atto delle strategie e assumersi delle responsabilità.
“Scegliere di essere liberi” anche e soprattutto dai condizionamenti: di quello che ti sta intorno, della società, della tua famiglia… “Scegliere di essere liberi” è fare le scelte in base a quello che tu senti essere giusto per te e non in base a quello che pensi essere giusto per gli altri.
A proposito di condizionamenti, quello familiare è forse uno dei più potenti…
Decidere di andare a lavorare nell’azienda di mio padre è stata la peggior scelta che potessi fare; andarmene la più difficile ma la più importante.
Quando ho iniziato ero contenta… Poi, il tempo è ato… Ovviamente il lavoro è lavoro e si fa quel che si deve nel migliore dei modi. Quando però ci si accorge che QUEL lavoro, QUELL’ambiente non fanno per noi, seguendo tutte le regole e facendo i i giusti, si saluta cordialmente e se ne cerca un altro…
Ecco, io non avevo quella libertà… Non avevo la libertà di andare via perché lasciare l’azienda di famiglia voleva dire “andare contro” al pensiero e alla stessa vita di mio padre che, tra l’altro, non poteva farsi una ragione della mia decisione di non voler essere più partecipe della SUA realtà e dei SUOI obiettivi. Andare via significava non essere più degna della sua stima.
Mio padre aveva riversato su di me le SUE aspettative e mi aveva rinchiuso in una gabbia dorata. Certo, avevo un buono stipendio, potevo usufruire di parecchi vantaggi, ma più avano gli anni e più, per me, le sbarre di quella gabbia si facevano spesse e opprimenti.
Non era il mio mondo! Non era il mio lavoro! Non ero io! Stavo sacrificando la mia vita per la soddisfazione di qualcun altro che, sebbene fosse mio padre, con tutto l’amore che provo per lui, era pur sempre un’altra persona!
Ci tengo particolarmente a sottolineare questo punto: l’amore tra genitore e figlio trova la sua massima espressione quando il genitore lascia al figlio la libertà di scegliere! Troppo spesso ci si dimentica che i figli hanno una loro volontà e loro aspirazioni e si riempiono con le proprie. Di sicuro con le migliori intenzioni ma, come sempre, ciò che è meglio per alcuni non è il meglio per altri. La mia esperienza con mio padre mi ha insegnato proprio questo: volendo fare il SUO bene ho fatto il MIO male e lui, non capendo che il SUO sogno non era il mio, ha visto deluse le SUE aspettative non considerando minimamente le MIE.
Io ho un figlio e con lui sarà diverso, perché io sono diversa.
Lui avrà la libertà che io ho dovuto conquistarmi con fatica. Per lui sarò una consigliera, se mi chiederà consiglio ed un’aiutante, se mi chiederà aiuto. Potrò mostrargli varie strade ma sarà lui a scegliere la sua perché nessuno, meglio di noi stessi, conosce la strada giusta da percorrere.
Nell’azienda di mio padre ci sono rimasta per sette lunghissimi anni… Poi ho deciso. E ho scelto. Ho rinunciato allo stipendio sicuro e alla soddisfazione di mio padre: la mia valeva cento volte di più! Possono esserci problemi, difficoltà di vario genere (e ti assicuro che ce ne sono stati!) ma quando TU STAI BENE DENTRO, affronti ogni cosa con lo spirito giusto!
Siamo talmente preoccupati di quello che pensano gli altri che non ci curiamo di quello che pensiamo noi e ci facciamo schiacciare ogni giorno di più dalle sbarre di gabbie che, seppur dorate, son sempre gabbie.
La libertà è fuori!
Fuori dalla mente degli altri, dalle aspettative degli altri, dai bisogni degli altri!
Non bisogna aver paura di ferire chi ci ama perché, se ci amasse sul serio, capirebbe che il regalo più grande che può farci è la comprensione.
Scegliere di essere liberi significa anche girare le spalle.
Ecco perché, come accennavo prima, scegliere non è facile. Se ti dicessi il contrario sarei una bugiarda…
Però…(dai, l’ultimo…) ti dico questo:
se ti sei accorto/a che c’è dell’altro oltre quello che hai sempre visto
se hai sentito che la realtà nella quale sei immerso/a comincia a non bastarti più
se credi di meritare qualcosa in più di quello che hai avuto fin’ora
se, dentro di te, ha iniziato a farsi strada una vocina che ti sussurra che ce la puoi fare
se…hai alzato la testa e hai guardato fuori del recinto
SCEGLI DI USCIRE
e scaraventati nei colori, nella musica, nei profumi, nei ritmi, in una parola nello spettacolo che sa essere la vita! E, ricordati, che non sarai solo! Ci saranno tante persone che hanno fatto la scelta prima di te, pronte a darti una mano!
Ti ricordi che all’inizio ti ho descritto la potenza del verbo Accorgersi?
Sai quale è un sinonimo di Accorgersi?
REALIZZARE
E come si realizza?
Con uno strumento.
Questo strumento tu lo possiedi!
LA SCELTA!
Scegli di volere il TUO MEGLIO
Scegli di cambiare la TUA VITA Scegli di VIVERE e non di sopravvivere Scegli di essere LIBERO
Questa volta non creerò una frase conclusiva dove inserire quello che, ormai lo hai capito, è il mio mantra. Quello che fino ad ora è stato un incentivo, una motivazione, una carica che, con tutto il mio cuore, ho voluto darti perché te lo meriti. Questa volta non serve. Perché una volta che hai imparato ad usare il potere della scelta, non potrai che dire tu stesso:
E MI VIENE DA VIVERE!
“Ora questa non è la fine. Non è nemmeno l’inizio della fine. Ma è, forse, la fine dell’inizio.”
(Sir Winston Churchill)
Eccoci arrivati al termine di questa nostra eggiata, amico/a mio/a.
Come avrai certamente notato anche tu, il tono che sto usando è differente da quello con il quale sono partita… Questo perché, nel momento in cui invitavo a eggiare, mi stavo rivolgendo a n. possibili compagni di viaggio, mentre adesso mi sto rivolgendo esclusivamente a TE. A te, che sei arrivato fino in fondo a queste mie pagine di considerazioni, magari sentendoti in accordo con esse (e quindi con me), magari dissentendo in parte o del tutto… Ma, come ho già avuto modo di dirti, non è questo ciò che conta per me: io non ho scritto questo libro per avere plausi o sostenitori, ho scritto questo libro per offrire un panorama di come la vita è per la maggioranza delle persone e di come essa potrebbe essere se si cambiasse il modo di approcciarsi alle diverse situazioni in cui ci si viene a trovare.
Forse le mie parole e, ancor di più, le mie esperienze personali, ti hanno fatto venire la voglia di farlo un tentativo per cambiare; forse potrai sperimentarti partendo da piccole cose: piccole convinzioni o piccoli schemi di comportamento che ti sei accorto di avere e di mettere in pratica. Ogni azione o pensiero volto a muoversi un po’ dalla tua zona di confort sarà sicuramente costruttivo.
Se invece sei uno di quelli che sono soliti dire: “Sì… tante belle parole…” ti invito ad un’ultima riflessione: l’uso degli aforismi ad introduzione di ogni capitolo e delle citazioni all’interno di essi.
Probabilmente non ti sei domandato come mai io li abbia usati, gli aforismi si leggono con piacere e l’esclamazione o l’idea che segue la loro lettura è, il più delle volte, “Vero!”. L’aforisma ha il pregio, o meglio la precisa caratteristica, di fare centro all’interno di un bersaglio di un’ampia riflessione o di un vasto concetto: esso, in poche parole, illumina l’argomento e focalizza l’attenzione, quasi come il fascio di luce di una torcia, su una verità. Una verità è qualcosa di provato e provabile, a prescindere dal fatto che tu ti riconosca o meno in essa.
Un aforisma nasce a seguito di un fatto, di un’esperienza, individuale o collettiva. Non si tratta quindi di “un’invenzione di belle parole” bensì di “parole che testimoniano qualcosa”.
Anche l’aver voluto scegliere aforismi di cui si conosce l’autore ha un senso preciso (molti, per esempio, riportano semplicemente l’indicazione “Anonimo”): persone identificabili, in diversi ambiti e in diversi periodi che hanno detto e scritto a proposito di quello che io ho scritto e che tu hai letto. Significa che, alle considerazioni cui sono arrivata io, sono arrivate tante persone prima di me e il numero di persone sarebbe ancora maggiore se si potesse sapere quante altre non hanno condiviso i loro pensieri in modo tale che questi potessero essere ricordati.
Non si tratta quindi di concetti di nicchia o di rivelazioni di fatti sconosciuti, si tratta di riflessioni su aspetti comuni a tanta gente, si tratta della vita reale, della nostra vita. Molte volte ci si riconosce in un aforisma, lo si usa come “stato”, che so, di
Facebook o di Whatsapp; ci si identifica con una frase o con un motto perché è in quel modo che ci si vorrebbe comportare o agire. Ecco, la cosa che davvero mi piacerebbe succedesse è che tu, da ora in avanti, oltre a metterti il tuo aforisma preferito sul telefonino, lo fi tuo, vivendolo.
In fondo, è meno complicato di quello che sembra, sai? Ci sono diverse strategie per imparare a cambiare o a diventare ciò che si sente di essere ma che non si riesce ad essere. Nel mio piccolo prologo e in qualche pagina del libro, ti ho parlato dell’incontro avuto con il Coaching: un ottimo sistema per apprendere le strategie che ti occorrono.
Nello specifico il Coaching E’ una strategia di formazione che, partendo dall’unicità dell’individuo, si propone di operare un cambiamento, una trasformazione nell’individuo capace di migliorare e ampliare le sue potenzialità al fine di raggiungere obiettivi personali o professionali o entrambi. Il presupposto di partenza del Coaching, come in più di un’occasione hai letto nelle mie pagine, è che ogni persona ha delle capacità latenti e lo scopo del Coaching è quello di scoprirle, aiutando così la persona ad utilizzarle al meglio.
Il Coaching non è, come narrano le leggende metropolitane, un gruppo di persone esagitate che gridano “Yes! You Can!” (o meglio…non è solo questo… perché, in certi casi, serve ANCHE questo!), il Coaching è l’accompagnare la persona, in un processo autonomo di apprendimento, verso il suo massimo rendimento, attraverso l’allenamento e la valorizzazione delle sue abilità.
Il Coaching si rivolge a tutti e a qualsiasi età: persone che vogliono vivere con maggior soddisfazione la loro vita e raggiungere obiettivi significativi, genitori,
adolescenti, imprenditori, manager, insegnanti, atleti e tutti coloro che vogliono migliorare le proprie performance.
Il Coaching e il Coach ti aiutano nel momento in cui decidi che vuoi “il meglio per te”!
E proprio per offrire uno strumento a chi, come te, ha capito che QUEL momento è arrivato, è nata la mia applicazione “CoachigApp”. Nel capitolo dedicato ai sogni l’avevo indicata come “il ponte tra le persone e il Coaching”: permette, infatti, ai professionisti in questa disciplina di essere maggiormente visibili e facilmente contattabili, senza che la gente debba perdersi nel web alla ricerca di chi possa fare al caso loro. “CoachigApp” diventa quindi una preziosa bussola per orientarsi nel mare delle possibilità offerte dal settore e consente di raggiungere rapidamente ed efficacemente il professionista che maggiormente risponde alle necessità che si hanno.
Partner di “CoachingApp” è CoachMag: l’unico giornale in Italia che, dal 2010, parla del mondo del Coaching e della formazione, diffondendone la conoscenza e la cultura.
Un altro valido strumento per il cambiamento personale è il Couseling: una relazione di aiuto all’auto-aiuto, basato su interventi verbali e stimoli alla creatività, volti a perseguire e mantenere una sempre migliore qualità di vita esistenziale e psicologica e, quindi, sociale e relazionale. L’efficacia del Counseling sta nel valorizzare e sostenere le persone in quanto uniche autrici della propria auto-realizzazione, facilitandole nella ricerca di risorse possedute ma che, in certi momenti della vita, sembrano smarrite.
Coaching e Counseling condividono l’orientamento di base, cioè promuovere l’auto-realizzazione dell’individuo, ma operano in modi differenti: il Counseling si colloca con successo e in maniera trasversale tra le varie scuole di psicoterapia e di sociologia clinica grazie al suo carattere prevalente che consiste nell’agevolare il Cliente a sviluppare strategie individuali sotto la sollecitazione di un proficuo rapporto empatico. Il Coaching è dedito allo sviluppo delle potenzialità di un individuo per il raggiungimento di obiettivi specifici. Lo stesso Coach è una risorsa per il suo Cliente: essere Coach significa essere creativi, innovatori ed intraprendenti.
Grazie al Coaching e al Counseling si diventa protagonisti della propria vita e si permette al nostro percorso di crescita personale di arricchirsi, dandoci la possibilità di affrontare e superare le sfide quotidiane, diventare indipendenti, migliorare i nostri rapporti con gli altri e raggiungere traguardi prima ritenuti inarrivabili.
Grazie a questi strumenti è possibile attuare il cambiamento che cambia la tua vita!
Chissà, forse tu sei proprio come me: certe cose le hai già latenti dentro e non aspetti altro che un modo per farle ampliare e per esprimerle al massimo! Come hai potuto leggere nei racconti delle mie esperienze, situazioni della mia vita le ho risolte senza conoscere ancora gli strumenti del Coaching, ma sfruttando quello che sentivo dentro di me; ciò che in seguito mi ha dato il Coaching sono stati un “Tasto di ricerca rapida” e una “Manopola del Volume”: mi ha insegnato a cercarne, e trovarne, tante altre di risorse in me e mi ha insegnato ad utilizzarle senza sprecare energia, convogliando quella giusta verso l’obiettivo giusto.
Il Coaching potenzia, il Coaching rafforza quello che già possiedi e ti insegna ad usarlo in maniera vincente!
Se sei come me, già convinto di avere un potenziale, il Coaching è quello che fa per te!
Se credi di non avere qualità particolari e di non saper far nulla, il Coaching è quello che fa per te! Perché scoprirai, di te, cose sorprendenti!
Ti ho fatto sorridere, vero? Sì, io sono un’entusiasta: mi entusiasmo per ogni cosa che porti una sferzata di aria fresca nel cielo di ogni giorno; mi entusiasmo per ogni cosa che mi faccia esclamare “Wow!”; mi entusiasmo per ogni persona che mi racconta un sogno e mi entusiasmo quando scopro che esiste qualcosa che i sogni, a piccoli i, può farli avverare…
Vuoi che non sia entusiasta del Coaching!? Lo insegnerei a scuola ai bambini! Per farli crescere da subito fuori del recinto dal quale noi siamo usciti a fatica! Ma l’importante è che ne siamo usciti!
E sono stata entusiasta di scrivere questo libro che mi piacerebbe tu considerassi come “la coperta di Linus”: qualcosa che quando è con te ti fa sentire a casa.
La coperta è una cosa tua, che ti scalda e ti protegge; è sempre lì quando ne hai bisogno.
Una volta che avrai letto, saprai, con assoluta certezza, che c’è qualcuno che sente quello che senti tu e che, pur non conoscendoti personalmente, può aiutarti, magari anche solo con la parola giusta al momento giusto (o meglio: la parola giusta per il “momento sbagliato” e trasformarlo in quello giusto!)
Così come la coperta non fa sparire il freddo ma ti ripara da esso, così questo libro non farà sparire le situazioni difficili della vita ma ti aiuterà ad affrontarle, facendoti scoprire, anche nelle peggiori, un angolino di positività sufficiente a ricordarti quanto la vita sia splendida e quanto meriti di essere vissuta al meglio, il TUO MEGLIO, quello che TU ti meriti, in quanto persona unica e speciale.
Leggi il libro e… guardati intorno e…. fai un bel respiro e… inizia a muoverti….
Sciogli le braccia… sciogli le gambe… ruota la testa…
piega il bacino…
Sei pronto….
E TI VIENE DA VIVERE
A presto
Barbara
Aspetta!
Ancora una cosa!
A proposito di aforismi e citazioni…
Di seguito alcune frasi significative estratte da “E TI VIENE DA VIVERE: UNA EGGIATA VERSO IL CAMBIAMENTO”.
Un piccolo breviario per consentirti di avere a portata di mano “le parole giuste per il momento sbagliato”.
Per finire una pagina bianca: quella è per te.
Puoi riportare tu stesso le frasi che pensi potranno esserti utili e, perché no, aggiungerne di tue!
In fondo, è a te che VIENE DA VIVERE giorno dopo giorno!
Ti abbraccio
Barbara
…Adesso ho finito sul serio… questo libro…
BREVIARIO
Accorgersi è il punto di partenza imprescindibile per l’avvio di qualunque atto.
Accorgersi, prendere consapevolezza, è il primo o verso l’infinito.
Se le cose accadono per caso, sta a noi intuirne il potenziale!
La consapevolezza di un cambiamento genera essa stessa cambiamento e il cambiamento è una forza sospingente senza eguali.
Se sarai abbastanza intelligente, coraggioso e forte, il premio sarà la Libertà!
Il cambiamento si ottiene solo se si è pronti a riconoscerlo.
Se ti rintani, al buio ci rimani per sempre.
Quello che hai appreso, ciò che ti è stato insegnato, ciò che è stato insegnato a tutti noi, non va né rifiutato né rinnegato ma semplicemente ampliato e, all’occorrenza, modificato.
Tu, con le tue mani, puoi essere davvero l’artefice del tuo destino, trasformando un “modo di dire” in un “modo di vivere”.
E’ molto più complicato scorgere un’inefficienza di comportamento che un’inefficienza d’azione.
Riconoscere le nostre diversità ci permette di equilibrarle, rendendoci capaci di non far prevalere sempre quella con la quale, per abitudine o comodità, ci piace maggiormente riconoscerci.
Chi è diverso vede in maniera diversa e sente in maniera diversa, per questo è capace di comprendere le altre diversità che incontra.
Non può esserci un cambio di prospettiva se non ci si muove.
Essere diversi vuol dire… essere se stessi!
Porta te stesso in giro per il mondo: farglielo vedere il mondo e, al mondo, fai vedere chi sei TU! C’è un altro modo di vivere rispetto a quello degli altri: il TUO!
Ricordati che nessuno può obbligarti a fare nulla, neanche ad essere felice…
La diversità è un dono e un vantaggio
Dietro ogni risultato, c’è un sogno ed è questo sogno che genera il percorso per la sua stessa realizzazione.
Imparare a pensare ai sogni come prossime realtà!
Obiettivo e sogno non sono sinonimi… Il sogno è molto di più!
Se realizzi il tuo sogno, realizzi te stesso.
PRIMA DI TUTTO: SOGNARE!
Avere un sogno significa non essere mai mentalmente fermi.
CREDERE è la vera magia
CREDERE IN UN SOGNO E’ IL PRIMO O PER POTERLO REALIZZARE!
Se non stai bene tu, non può stare bene nessun altro vicino a te.
Se impari a conoscerti come una persona che PUO’ fare, non ci sarà più nessuno capace di fermarti!
In fondo, dentro di ognuno di noi c’è un piccolo imprenditore che ha solo bisogno di avere credito…
C’è un trucco per solidificare la fiducia in se stessi una volta che la si è consapevolizzata: circondarsi delle persone giuste.
Ogni cosiddetto errore porta con sé un patrimonio di informazioni capaci di creare un nuovo meccanismo d’azione che ti spinge in avanti con una potenza dieci volte superiore ad una cosiddetta “cosa fatta bene”.
Noi, a volte, per il troppo pensare, ci dimentichiamo di vivere.
Il nostro cervello cerca la semplicità e se qualcosa funziona, lo usa, a prescindere da dove arriva!
Le persone sono una fonte inesauribile di conoscenza e di scoperte.
Avere una mente chiusa significa precludersi qualunque cosa. Avere una mente aperta significa poter fare qualunque cosa.
Avere un dubbio significa mettere in discussione ciò che si conosce o che si
crede di conoscere a favore di una conoscenza nuova e più vasta.
Mettete in dubbio voi stessi e darete una vera svolta alla vostra vita!
Un dubbio è una chiave per aprire uno scrigno di tesori.
Smettiamola di dire che la fortuna è cieca e cominciamo a pensare che alla fortuna bisogna andarle incontro: la fortuna altro non è che il nostro atteggiamento positivo e costruttivo.
L’uomo stesso è uno strumento
SE PENSI DI SCEGLIERE, HAI CAPITO CHE C’E’ ALTRO SE DECIDI DI SCEGLIERE, HAI CAPITO CHE VUOI ALTRO SE SCEGLI DI SCEGLIERE, HAI GIA’ ALTRO! LA SCELTA E’ LO STRUMENTO PER COSTRUIRE LA TUA LIBERTA’
Il meglio lo ottieni se decidi di guardare in un’altra direzione rispetto a quella verso la quale guardano tutti.
Non scegliere è atrofia mentale
Il “meglio per tutti” non corrisponde sempre al “meglio per noi”, per questo possiamo scegliere!
FA DELLA VITA CHE STAI VIVENDO LA TUA VITA! CON UNA, CENTO, MILLE, INFINITE SCELTE!
Per cambiare è indispensabile muoversi!
Essere artefici del proprio destino vuol dire scegliere di volta in volta quello che sentiamo risuonare dentro di noi.
Scegliere di essere liberi significa anche girare le spalle.