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Giulia Mancini

Fine dell'estate

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Indice dei contenuti

FINE DELL’ESTATE Pagina di Copyright Dedica FINE DELL'ESTATE Prologo Capitolo 1 Capitolo 2 Capitolo 3 Capitolo 4 Capitolo 5 Capitolo 6 Capitolo 7 Capitolo 8 Capitolo 9 Capitolo 10 Capitolo 11 Capitolo 12 Capitolo 13

Capitolo 14 Capitolo 15 Capitolo 16 Capitolo 17 Capitolo 18 Capitolo 19 Capitolo 20 Capitolo 21 Capitolo 22 Capitolo 23 Capitolo 24 Capitolo 25 Ringraziamenti L'autrice Note

FINE DELL’ESTATE

GIULIA MANCINI

FINE DELL’ESTATE

Pagina di Copyright

Fine dell'estate

Copyright 2015-2017 © Giulia Mancini. Tutti i diritti riservati. In base alle leggi sull’editoria, ogni riproduzione di quest’opera anche parziale e con qualsiasi mezzo realizzata è illegale e vietata. Nomi, personaggi, avvenimenti e luoghi - tranne quelli da tutti riconoscibili – sono frutto dell’immaginazione dell’autrice o sono usati in modo fittizio. Ogni riferimento a luoghi, persone o fatti realmente accaduti è puramente casuale.

Prima edizione Agosto 2015 Edizione aggiornata Agosto 2017 ISBN 9786050403732

Dedica

A Catia e a Michela partite troppo presto

FINE DELL'ESTATE

Presentazione

È l’anno 1983, epoca in cui l'unico modo di conoscersi è quello di incontrarsi nei luoghi di ritrovo più consueti: un parco, una piazza, il centro città, la scuola.

Claudio ha diciannove anni, ma a volte pensa di averne molti di più tanto è insofferente la sua anima, cerca di nascondersi sotto una maschera di sicurezza e spavalderia, ma lo tradiscono la sua espressione inquieta e le troppe sigarette che fuma rabbiosamente. Vorrebbe scappare dalla soffocante cittadina di provincia in cui vive e forse anche dalla sua vita.

Silvia ha sedici anni, tanti sogni da realizzare, tra cui quello di vivere altrove, e tanta immaginazione per dare forma alle sue fantasie, ama i libri e scrivere i suoi pensieri su un diario. Quando conosce Claudio le sembra di trovare la risposta a tutti i suoi interrogativi irrisolti e soprattutto alla sua richiesta d’amore.

Sono arrabbiati con il mondo intorno a loro: i genitori, i professori, le convenzioni sociali opprimenti della piccola città di provincia, troppo attenta alle apparenze e al pettegolezzo. Entrambi manifestano il loro rancore con i mezzi che hanno a disposizione, il disprezzo, il disappunto e la ribellione. Si incontrano casualmente in un pomeriggio d’estate e si innamorano. Il loro incontro diventa un manifesto e il loro punto di forza contro il mondo, ma anche l'occasione di una possibile felicità. Grazie alla loro incoscienza e al loro amore assoluto e totalizzante, come solo sa essere l'amore adolescenziale, tutta la loro vita sembra prendere una direzione diversa e finalmente positiva. Un grande dolore travolge

però inaspettatamente la loro vita. Può un amore così giovane resistere alle prove più dure? Forse la realtà riserva alla loro vita un epilogo differente. O forse il loro è stato soltanto il sogno breve di un'estate.

“ Non lo aveva preventivato, non aveva pensato che un giorno avrebbe provato un così grande attaccamento alla vita, una voglia di vivere così forte e disperata, lui che aveva sempre scherzato con la morte quasi credendo di dominarla. Non si era mai reso conto di quanto la vita fosse preziosa, fino a quel momento, il momento in cui capiva che poteva perderla e che era al di fuori del suo controllo.”

In alcune città di provincia si trovano case la cui vista ispira una malinconia simile a quella dei chiostri più tetri, delle lande più desolate, delle rovine più tristi: in queste case forse si trovano riuniti e il silenzio del chiostro, e l’aridità delle lande, e le rovine.

Honoré de Balzac

Prologo

Prologo

Si chiamava “controra” la fascia oraria compresa tra le due e le cinque del pomeriggio, nei pomeriggi di estate, nei pomeriggi caldi del sud. Durante la controra non era educato telefonare, o fare visite, o bussare alla porta, si evitava anche di guardare la tv o di accendere la radio, o, se lo si faceva, si teneva il volume bassissimo.

La controra mi dava la sensazione di essere sospesa nel tempo, qualunque cosa volessimo fare nella nostra giornata era rimandata almeno a dopo le cinque del pomeriggio. Era come se fosse notte fonda, anche se fuori c’erano la luce e il calore fortissimo del sole estivo, il momento più caldo della giornata.

Con gli scuri abbassati che riparavano dalla luce troppo intensa, restavo nel mio angolo a leggere o a pensare a quello che avrei fatto nel corso della serata, agli appuntamenti con le amiche, ai vestiti da indossare, ai punti di ritrovo, nell’aria finalmente più fresca della sera.

A volte mi manca quella sensazione di pace e di silenzio nella calura estiva, la sensazione di attesa, il tempo che avevo da dedicare ai miei pensieri o alla lettura di un libro, mi manca la sensazione del tempo che rallenta che invece ora, nella mia nuova vita, è diventato frenetico e convulso.

In molte famiglie tutti si appisolavano. Nella mia, composta solo da me e mia madre, io ero solita trasferirmi sulla poltrona nella sala da pranzo a leggere o a lasciarmi pigramente travolgere dal torpore.

Alcuni pomeriggi invece amavo recarmi al confine del parco della piccola città dove vivevo e, seduta sotto una grande quercia, dove l’ombra rendeva la calura della controra sopportabile, leggevo un libro o scrivevo i miei pensieri su un quaderno, osservando la linea dell’orizzonte sullo sfondo della campagna. In uno di quei momenti di controra ho conosciuto la persona più importante della mia vita.

Esiste una persona speciale per ciascuno di noi, qualcuno che corrisponde a un proprio bisogno primordiale. Non lo sappiamo finché non la incontriamo, possiamo vagare tutta la vita nella sua ricerca e non trovarla mai e vivere un giorno dopo l’altro in apparente serenità, con un fondo di insoddisfazione e di inconsapevolezza. Poi un giorno conosci qualcuno che corrisponde a quel paesaggio interiore che non riuscivi bene a definire e ad afferrare e ti senti finalmente a casa.

All’uscita dell’autostrada presero la direzione che li allontanava dal mare e li portava verso l’interno della regione. Guardando fuori dal finestrino osservò la terra bruna bruciata dal sole e pensò che quei luoghi non cambiavano mai, conservavano la stessa immutata luminosità statica. Dovevano fermarsi poco, il tempo di firmare i documenti per vendere la casa, quella che era stata la sua casa per tutto il periodo dell’infanzia e dell’adolescenza. Una volta venduta non avrebbero più avuto motivo di tornare in quel posto. Provava uno strano struggimento, le sembrava così definitivo staccarsi del tutto dal suo paese natale, anche se aveva detestato quel posto, anche se adesso la sua vita si svolgeva altrove, provava una sottile sofferenza a quel pensiero. Sapeva cosa voleva fare una volta arrivata, voleva tornare per un momento a

salutare quel luogo del parco a lei caro, sedersi sotto l’ampio albero che tante volte l’aveva accolta con la sua ombra nei torridi giorni d’estate e lasciarsi cullare dai ricordi.

Capitolo 1

Giugno 1983 Si era ormai alla metà di giugno un mese che mostrava già la piena calura estiva in quanto il sole splendeva inesorabile da oltre tre settimane, erano le prime ore del pomeriggio, un momento in cui la vita della piccola città sembrava fermarsi. Fiorita, un paese di poco più di diecimila anime che, a dispetto del suo nome, non esibiva nessuna distesa di fiori, ma solo marciapiedi sconnessi e polverosi, si erge sopra una lieve collina della Puglia settentrionale al confine col Molise e a quaranta chilometri dal mare adriatico, viveva il suo momento di quiete desertica e assonnata del primo pomeriggio, l’ora chiamata “controra”. Silvia seduta su un enorme masso di pietra piatto, sotto una grande quercia che segnava il confine del parco, unica oasi di verde, stava leggendo uno dei tanti romanzi presi in prestito dalla biblioteca comunale. Silvia amava quella sensazione di “tempo sospeso” che le dava quella particolare ora del giorno, amava la pace desertica intorno a lei che le permetteva di raccogliere i pensieri o di lasciarli andare liberi.

Nonostante l’ora in quel punto del parco c’era sempre una leggera brezza. Le piaceva rifugiarsi lì, era un angolo isolato e le sembrava di essere in un altro mondo. In quell’ora particolare, quando la cittadina sembrava assente e in silenzio, chiudeva gli occhi e poteva immaginare di essere altrove, in qualche posto lontano e meraviglioso, dove lei poteva vivere una vita diversa e lontana dagli sguardi opprimenti che spesso si sentiva addosso senza apparente ragione.

Come ogni estate la sua amica del cuore era partita per il mare e sarebbe tornata dopo ferragosto, così come ogni estate si ritrovava da sola, a volte vedeva qualche compagna di scuola con cui era più legata, ma la loro compagnia spesso

aveva il solo potere di rattristarla, le ragazze di Fiorita sembravano interessate esclusivamente ai vestiti firmati da comprare e a spettegolare su chiunque capitasse a tiro. Il pettegolezzo malevolo era il vero sport cittadino, forse un modo per sfuggire alla noia o semplicemente una cattiveria gratuita. Non riusciva a stare in mezzo agli altri, si sentiva inadeguata e le sembrava di dire sempre cose sbagliate, per questo preferiva ascoltare i loro discorsi in silenzio e, a volte, restare per conto suo, almeno così si sentiva libera. Piuttosto che cercare la loro compagnia, sceglieva di stare sola a leggere un libro. Alcune sue compagne di scuola una volta le avevano detto che era superba, che si sentiva superiore agli altri. Non credeva fosse così, ma l’eccessiva attenzione alle apparenze la irritava profondamente, era più forte di lei. Preferiva defilarsi e are inosservata piuttosto che essere al centro dell’attenzione, ma anche se questa sua riservatezza destava spesso velenose critiche a lei andava bene così. Amava leggere e talvolta, quando leggeva una storia che le piaceva, provava un palpito di una segreta e solitaria felicità. Adesso che la scuola terminava avrebbe potuto dedicarsi al suo atempo preferito. Sentì un o alla sue spalle, si voltò sorpresa. Era uno dei ragazzi del terzo liceo. Quello con i genitori divorziati e con quella madre bellissima e appariscente. Lo conosceva di vista, ma non gli aveva mai parlato. « Ciao, scusami ti ho spaventata?» disse lui «stavo cercando un posto all’ombra dove sedermi e leggere un libro» «Uffa, neanche in questo punto del parco si riesce a stare in pace» pensò Silvia leggermente infastidita mentre si alzava in piedi. Lo guardò e d’improvviso la sua irritazione scomparve. «Accidenti che occhi» pensò. «Se vuoi sederti anche tu, il masso è abbastanza largo e c’è parecchia ombra per tutti e due» disse quasi stupita dalla sua audacia, «vengo spesso a leggere qui, anch’io» continuò «Io mi chiamo Claudio» disse lui porgendole la mano

«Silvia» rispose tendendogliela Lui le strinse la mano e a lei sembrò quasi di provare una piccola scossa. «Bene, Silvia, accetto l’invito e mi siedo con te, avvicinandomi non ti avevo vista altrimenti non ti avrei disturbata, ma ormai sono qui» continuò sedendosi. Silvia tornò a sedersi sul masso vicino a Claudio. Sentì un buon profumo di dopobarba e lo guardò. Sì, era decisamente un bel ragazzo. E lei si sentiva come al solito una schifezza. Aveva i capelli arruffati e ricci che non riusciva mai a domare che, inutilmente, aveva tentato di legare sopra la testa con un fermaglio e non era neanche truccata, neanche un po’. Doveva avere una faccia spaventosa. « Cosa leggi?» domandò Claudio «Un romanzo rosa, roba da femmine» rispose Silvia un po’ vergognandosi. La settimana prima aveva finito di leggere un romanzo di Pavese e si era concessa un libro di Liala. Accidenti faceva la figura della ragazzetta romantica. Chissà poi perché si preoccupava di cosa poteva pensare lui. Cominciò a parlare a raffica. «Vengo spesso qui per stare sola, per raccogliere i pensieri» continuò «Prima credevo di essere la sola a conoscere questo posto, poi ho scoperto che non è così» disse Silvia con l'aria leggermente delusa. Claudio sorrise «Non puoi avere l'esclusiva, questo è un parco pubblico, anche se questo è il punto più isolato» «Hai ragione, bella pretesa la mia» convenne Silvia «Anch'io comunque un tempo pensavo di essere il solo a conoscere questo posto. Mi piace venire qua ogni tanto, è un luogo suggestivo, mi sembra di stare fuori dal tempo, soprattutto a quest’ora» Silvia sospirò

«Lo penso anch’io, è bello trovare qualcuno che la pensa come me» «Beh, magari basta confrontarsi e non essere troppo scontrosi» «Io non credo di essere scontrosa» replicò Silvia «o forse un po’ lo sono. Certo che anche tu non cerchi proprio di essere il più simpatico della scuola» Claudio guardò Silvia «Allora mi conosci» chiese «So che frequenti il liceo, capita di incrociarsi nei corridoi, hai sempre la faccia seria e stai sempre per conto tuo» Si ricordava di lui, ma la sua timidezza non le aveva mai permesso di soffermare lo sguardo troppo a lungo, aveva solo notato la sua espressione scostante. Claudio sorrise divertito. «Hai ragione, sono io a farmi il vuoto intorno, ma non è che la nostra scuola metta un grande allegria. Certo che anche tu tendi a isolarti, guarda dove ti rifugi!» «Anche tu sei qua» rispose Silvia piccata «Ok, siamo pari» «Non sapevi che frequento il liceo anch’io» chiese Silvia, lei era abituata a are inosservata, «Invece lo sapevo, anche io giro per i corridoi della scuola, anzi o più tempo fuori dalla classe che dentro, per la gioia dei professori» «Per fortuna quest'anno finisco, dopo gli esami di maturità, via, aria» continuò Claudio, mettendo da parte il suo libro mentre si accendeva una sigaretta. Silvia osservò la piega sensuale delle sue labbra, per un momento sentì quasi il desiderio di baciarlo, poi distolse lo sguardo imbarazzata, temette che lui potesse leggere quel pensiero. «Scusa non l’ho chiesto, posso fumare o ti dà fastidio il fumo?» «No, non mi dà fastidio, fa pure» rispose, sollevata.

Per fortuna non si era accorto che era arrossita, pensò che era un peccato averlo conosciuto proprio adesso che lui finiva la scuola. «C'è una bella ombra qui» esclamò «beato te che quest'anno finisci, io invece devo stare qui altri due anni se tutto va bene. Non vedo l'ora di andare all'università, ho intenzione di andare a Firenze» «Anche tu!» esclamò Claudio. «Perché "anche io" non mi dire che vuoi iscriverti a Firenze?» «Proprio così» rispose Claudio «è una città meravigliosa, la culla dell'arte» «A quale facoltà vuoi iscriverti?» Claudio sorrise. «Non prendermi per matto» fece una pausa, poi disse «filologia classica» e attese la reazione di lei. «Che!» fece Silvia spalancando gli occhi «E che razza di materia è?» «La filologia è la scienza che studia la lingua, la letteratura e tutti fenomeni di cultura di un popolo o di un gruppo di popoli per mezzo di testi scritti; quella classica è quella che si occupa dell'antichità greco latina. Vedi, il fatto è che adoro il ato, mi piace tutto quello che sa di muffa e di antichità». «Ma che potrai fare dopo?» chiese Silvia che nonostante tutto era molto pratica. Claudio sorrise di nuovo. «Stavo scherzando. Probabilmente finirò per iscrivermi a Storia antica. Però una cosa è sicura. Voglio andare a studiare a Firenze, è una città meravigliosa!» La guardò. «E tu cosa vuoi fare?» Silvia fece un sospiro, non aveva le idee chiare, voleva solo andar via da Fiorita e l’università era una buona opportunità per farlo. Quella era l’unica sua certezza, ma espresse però solo le sue perplessità sulla facoltà da scegliere.

«Oggi voglio fare lettere, però ieri volevo studiare le lingue. Magari domani cambio nuovamente idea. Al momento sono del tutto volubile! Vorrei proprio trovare un punto di equilibrio. Comunque ho ancora molto tempo a disposizione per pensarci.» «E tu cosa leggi?» domandò lei «qualcosa per l’esame?» «Non proprio, un romanzo di Sartre. La Nausea. Esprime lo stato d’animo che da il posto in cui viviamo, è molto istruttivo. Se vuoi te lo presto, anche oggi» «Ma non lo stai leggendo?» «In realtà l’ho già letto due volte, mi piace rileggere alcuni punti» «Va bene, lo leggo volentieri» disse sfogliandolo «dopo ti dirò cosa ne penso» era un’occasione per rivedersi, non ci aveva sperato e lui gliela stava fornendo o almeno Silvia sperava fosse così. Restarono a chiacchierare tutto il pomeriggio. Silvia si trovò d’accordo con lui su molti argomenti, era da tanto che non ava del tempo a parlare con un interlocutore con cui discutere in modo brillante e acuto. Soprattutto con un ragazzo della sua età. Claudio aveva una cultura ampia che andava al di là dei libri di scuola. Ciò che le piacque di più fu il fatto che anche lui mal tollerasse l’ambiente soffocante e pettegolo in cui vivevano e che desiderasse scappare in qualche modo da quel posto. Pensò che sarebbero diventati buoni amici. Lo sperava con tutto il cuore. Aveva i mesi dell’estate davanti a sé, doveva cercare di conoscerlo meglio in quel periodo. Il giorno dopo Silvia non incontrò Claudio alla grande quercia e neanche il giorno successivo. «Starà studiando per gli esami» pensò. Tutti i giorni tornò lì alla stessa ora, provò anche a cambiare orario, ma inutilmente. Da quando lo aveva incontrato non aveva mai smesso di pensare a lui. Magari aveva una ragazza, anzi sicuramente aveva una ragazza, era uno più grande, due anni non sono tanti, ma alla sua età contavano. Ci pensò su, forse gli anni di differenza erano tre, beh circa, in fondo lei si avvicinava ai diciassette. O quasi. Aveva già letto il libro di Sartre, lo aveva praticamente divorato in un giorno. Si

era sentita molto vicina allo stato d’animo del protagonista, a quella sua sensazione di inutilità e di mancanza di senso che sentiva nella vita della cittadina immaginata da Sartre. Sentiva anche lei di vivere a Bouville. Gliene avrebbe voluto parlare. Non lo vide per una settimana. Si accorse che le mancava. L’aveva visto un solo giorno e già le mancava. « Mi piace?» si chiese «Si accidenti se mi piace!» si rispose «ma perché?» Silvia cercava sempre di analizzarsi, di valutare i suoi sentimenti, avrebbe voluto conoscersi più a fondo, anche se spesso lei stessa non riusciva a capirsi, delle volte si sentiva in un limbo di incertezza. Un anno prima si era presa una cotta spaventosa per il fratello di una sua amica che la trattava come una bambinetta da compatire. Lui aveva ventidue anni, accidenti, e lei si sentiva del tutto impacciata nei suoi confronti e lui neanche la vedeva. Ovvio lei aveva solo quindici anni e forse ne dimostrava anche meno. Le era ata, dopo un po’, e adesso si chiedeva se quello che provava per Claudio era una cotta simile, oppure se era qualcosa di più reale. Da quando lo aveva conosciuto non aveva fatto altro che pensare a lui. Cercava di analizzare quello che sentiva. Lo faceva sempre, come quando, attraverso la lettura di un libro, si apionava a un nuovo autore e cercava di leggere tutte le sue opere. Quell’anno aveva scoperto Cesare Pavese leggendo il suo diario pubblicato postumo, amava quell’autore introverso e poetico per quella tristezza di fondo che portava in tutte le sue opere e che un po' le assomigliava. Anche adesso cercava di spiegarsi perché le pie tanto Claudio. Perché era entrato cosi prepotentemente nei suoi pensieri e non ne era più uscito. Era quasi disturbante, quel pensiero fisso. Di lui l'aveva colpita la piega amara delle labbra, l'espressione inquieta degli occhi, quelle sigarette fumate con rabbia, il suo gesticolare. Silvia rivedeva sempre le sue mani che si muovevano, rivedeva le due dita che reggevano la sigaretta un po' tremanti. E quella voce così profonda, ascoltare la sua voce quel pomeriggio l’aveva quasi ipnotizzata. «E poi anche lui odia questo posto come me» pensò « siamo uguali.» Rientrò in casa proprio mentre squillava il telefono.

«Pronto» «Buon giorno, cercavo Silvia, è in casa?» Sussultò, era Claudio. La sua voce era inconfondibile «Sono io» «Ciao, sono Claudio. Ti ho disturbata?» «Ma no! Anzi sono contenta di sentirti» Le sembrava di toccare il cielo con un dito. «Ma come hai fatto ad avere il mio numero di telefono?» chiese Silvia «Beh, esiste una cosa chiamata elenco telefonico» replicò lui Già, pensò Silvia, era una delle prime cose che aveva fatto tornando a casa dopo il loro primo incontro, lo aveva cercato sull’elenco del telefono. «Vero, non ci avevo pensato» mentì, meno male che non poteva vederla arrossire «Che stai facendo?» chiese lui. «Sono appena rientrata» «Con chi eri uscita?» «Sola, purtroppo le mie amiche sono via, hanno la casa al mare, beate loro» «Mi dispiace, ma cosa hai fatto da sola?» «Sono andata a leggere un libro alla grande quercia del parco» «Ah, il nostro posto» disse lui Quella frase le piacque molto, anche lei pensava alla quercia come a un posto “loro” «A proposito di libri. Hai qualcosa di Verga che non sia “I Malavoglia”?»

«Ho “Mastro Don Gesualdo” » «Me lo presti? sai porto Italiano come prima materia» «Certo che te lo presto, molto volentieri!»così poteva rivederlo, pensò tra sé. «Ho già letto anche il libro di Sartre, posso restituirtelo se vuoi» «Cosa ne pensi, ti è piaciuto?» «L’ho trovato straordinario, esprime quello che sento vivendo qui» «Vero, l’ho pensato anch’io quando l’ho letto. Puoi tenerlo se vuoi, te lo regalo» «Davvero? Accidenti grazie!» qualsiasi cosa le avesse regalato sarebbe stata altrettanto felice, ma un libro che lui aveva letto più volte gli sembrò davvero un regalo speciale. «Allora ci vediamo oggi pomeriggio alle otto alla prima panchina del parco, va bene?» «Ok» rispose Silvia «ci sarò». Non le sembrava vero, l’avrebbe rivisto finalmente! E l’aveva chiamata lui! Sperava che anche lui provasse la stessa attrazione che sentiva lei. Si guardò allo specchio, non si vedeva mai bene, ma negli ultimi tempi aveva notato negli occhi dei ragazzi uno sguardo diverso, alcuni avevano fatto qualche battuta allusiva e volgare al fatto che fosse cresciuta. Sì, non era più la ragazzina di un tempo. Forse poteva piacere a un ragazzo, ma lei voleva solo piacere a Claudio. Solo a lui. *** Claudio appoggiò il ricevitore e sorrise tra sé. «Bella scusa quella di Verga» pensò « sarà una bella serata» quella ragazza gli piaceva molto, e non solo perché era davvero molto carina, ma perché sembrava diversa da tutte le snob della sua scuola che aveva sempre cercato di evitare. Era ato parecchio tempo da quando una ragazza aveva suscitato in lui un

reale interesse. Si ricordò che alle cinque doveva vedere suo padre e si rabbuiò. Era di aggio e gli aveva chiesto di vederlo. Non gli faceva piacere rivedere il padre, gli ricordava la sua situazione irregolare. Avrebbe chiesto degli esami, avrebbe insistito per fargli un regalo per la maturità. Avrebbe parlato del più e del meno omettendo l'argomento che più gli interessava: sua madre. Faceva sempre uno sforzo sovrumano per non chiedere di lei. Gli era rimasto un po' di orgoglio. Fece una smorfia. «Sono onde di questo mare» si disse e si accese una sigaretta.

Capitolo 2

Mara accese il condizionatore che cominciò a funzionare con un lento cigolio. «Che caldo» pensò. Entrò in cucina e trovò i piatti sporchi della sera precedente. Aveva chiesto a Silvia di lavarli ed erano ancora li. «Ma che schifo!» esclamò ad alta voce «Silvia, dove sei?» chiamò «Ecco come al solito non risponde!» Si recò nella sua camera. Silvia era allungata sul pavimento e stava leggendo un libro, mentre sorseggiava una bibita. «Potresti rispondere, quando ti chiamo» disse Mara. «Non ti ho sentita» rispose Silvia senza scomporsi. «Balle» gridò Mara «è che te ne freghi! Ci sono ancora i piatti da lavare, avresti potuto farlo visto che stai senza fare niente. Invece te ne vai gironzolando, oppure stai a leggere cazzate! Io vado in ufficio dalle otto e al mio ritorno mai che trovi la casa un po' in ordine. Dico un po'» «Mamma, non dire parolacce!» «Silvia, adesso non sono neanche libera di parlare come mi pare. Non dico parolacce» Non sopportava di essere ripresa da una ragazzina «Potevi apparecchiare la tavola e preparare qualcosa da mangiare. Non hai neanche l'aria condizionata. Almeno la sala si rinfrescava un po’ e fa un

caldo da morire» «Uffa» esclamò Silvia alzando gli occhi al cielo mentre si metteva seduta con la gambe incrociate, si rivolse a sua madre con l'aria seccata «io non avevo caldo. Va bene? E poi non ho fame. Quindi cucinati quello che ti pare e mangia per conto tuo. Lava i tuoi piatti e non rompere più le scatole!» Mara le diede uno schiaffo. «Sei testarda come tuo padre, e sei pure insolente!» Silvia si alzò furente con le lacrime agli occhi. «Non tirare in ballo mio padre» gridò «lascialo in pace almeno nella tomba» si fermò e la guardò con odio «se fossi morta tu, starei molto meglio» disse. Mara impallidì, abbassò gli occhi e uscì dalla camera in silenzio. Silvia si sentì malissimo, avrebbe voluto rimangiarsi quello che aveva detto «Oh accidenti, che ho fatto!» singhiozzò «che ho fatto!» Claudio era appoggiato al cancello di casa e aspettava suo padre, negli ultimi tempi si erano sentiti solo per telefono, gli impegni lavorativi e il fatto che vivesse a Roma non agevolavano i loro incontri. Vide l’auto arrivare in lontananza e gli fece un cenno con la mano. «Come stai?» Chiese suo padre appena salito in macchina e Claudio rispose che stava bene. Era la solita domanda ogni volta che si vedevano. «Andiamo a prendere qualcosa al bar, vuoi?» Chiese nuovamente il padre. «Ok fai tu, per me è uguale» disse Claudio. «Stai studiando?» «Beh, sto cercando di fare qualcosa. Ma non mi sto affaticando molto, non credo ne valga la pena» «Beh, per fare gli esami un po’ devi studiare anche se non posso importelo, lo sai

che se ti impegni puoi fare davvero molto e un buon voto alla maturità può essere importante. All'università potremmo risparmiare sulle tasse, per esempio» «È andata male qualche causa e hai problemi di soldi?» Chiese Claudio divertito. «No! Dicevo per dire, non è questa la mia preoccupazione, se non importa a te, figurati. Comunque voglio farti un regalo. Cosa vorresti avere?» «Niente» «Come niente? Io alla tua età desideravo molte cose» «Forse un’automobile mi farebbe comodo. Potrei usare quella della mamma, ma è sempre in giro» «Ti trascura?» «Chi?» «Elena» «Con il lavoro che fa è spesso fuori casa, lo sai. Ci vediamo poco. Ma preferisco così, non mi sento trascurato, non ho mica dieci anni» «Se vuoi venire a Roma, la mia casa è sempre aperta. Ne sarei felice» Restò in silenzio continuando a guidare. «Ci fermiamo qua?» chiese indicando il bar della piazza principale. «Fermiamoci pure» rispose Claudio. Carlo parcheggiò l’auto. Scesero ed entrarono nel bar. Scelse un tavolo in un angolo tranquillo anche se non c’era molta gente a quell’ora del pomeriggio. Si guardò intorno, una volta quel locale aveva un arredamento più classico, ci portava spesso Claudio da bambino a prendere il gelato, quando abitava lì, erano ati circa dieci anni, ma gli sembrava che fosse ato un secolo. E forse era davvero così, pensò guardando Claudio che ormai aveva l’aspetto di un uomo.

«È un regalo un po’ costoso» disse Carlo sedendosi. «Che cosa? Ah, l’auto» rise «lascia perdere» «In settembre facciamo un sopralluogo presso una concessionaria» «Ma no, papà. L’ho detto così per dire. Non sprecar soldi» Carlo sospirò. «Senti Claudio, i soldi per fortuna non mi mancano. E mi fa piacere spenderli per il mio unico figlio» Il cameriere si avvicinò a prendere le ordinazioni. Claudio ordinò una bibita ghiacciata con fare assente e si accese una sigaretta. Carlo lo guardò. «Che farai dopo?» «Ho un appuntamento con una compagna di scuola» «Intendo dopo gli esami, hai pensato a quale facoltà iscriverti?» precisò Carlo. «Storia, filosofia, oppure lettere antiche. Sono ancora indeciso, e poi devo superare la maturità, prima, non si sa mai» rispose mostrando le dita incrociate «Proprio non vuoi fare giurisprudenza? Dopo la laurea potresti lavorare con me, all'inizio. Sarebbe tutto più facile.» «Gli studi giuridici non mi interessano. E poi preferisco diventare un anonimo professore di storia piuttosto che un famoso avvocato. Senza offesa per te, naturalmente.» «Io non sono affatto famoso, Claudio, mai finito sui giornali per qualche processo importante!» replicò Carlo «Dicevo per dire.» «Sei sempre deciso a studiare all’Università di Firenze? Perché se tu venissi a Roma sarebbe molto più semplice e potremmo vederci più spesso» disse speranzoso il padre.

«Preferisco Firenze. È meno caotica di Roma, e poi lì c’è il mio amico Fausto te lo ricordi? È meglio così, vorrei mantenere la mia indipendenza, soprattutto adesso che non sono più un liceale. E potrei abitare nell’appartamento che avevi comprato qualche anno fa, mi hai detto che adesso è libero no?» «Certo, te lo avevo promesso, devo fargli dare una sistemata, deve essere almeno imbiancato, ma per il resto è a posto» «Comunque ci ho provato» sospirò Carlo «è che da quando non abiti più a Roma ti vedo poco e sento la tua mancanza» «Papà, non si può dire che la nostra convivenza sia stata un successo, tu eri sempre in studio a lavorare ed io, beh, lo sai che ho fatto solo un gran casino con la scuola» continuò Claudio «Va bene, nessun problema. Ma parlami di te. Che fai qui? Hai amici, una ragazza?» Claudio fece un sorriso contrariato e sprezzante. «In questo paese la vera amicizia non esiste, qui regnano solo l'ipocrisia, il pettegolezzo e il luogo comune. C'è una mentalità retrograda e assurda, in cui tutti fingono di credere per quieto vivere. Anche i giovani purtroppo non fanno eccezione. Per fortuna ho un paio di amici, quelli soliti che conosci anche tu. E al momento nessuna ragazza» «Quello che non capisco è come fa Elena a vivere qui» disse suo padre «lei, così piena di vita, non ha mai sopportato la noia della provincia. Potrebbe fare il suo lavoro anche da un’altra parte, anzi, in una città sarebbe più semplice.» «Lo sai che la mamma non si è mai fatta condizionare dalle chiacchiere della gente, lei fa quello che le pare e comunque non mi sembra che si annoi, ha una vita sociale intensa» Carlo guardò suo figlio. «E non ti parla mai di me?» provò a chiedere con noncuranza. Ecco adesso cominciava con le domande. Pensò Claudio. Non lo sopportava. Avrebbe voluto fuggire. Invece rimase seduto. Non gli piaceva rispondere alle

domande di suo padre, si sentiva messo in mezzo. «Solo quando mi rinfaccia un difetto, allora dice che ti assomiglio» rispose provocandolo. Carlo sorrise con amarezza. «Che tesoro! È sempre la stessa» «Ogni tanto esagera col bere» aggiunse Claudio. Carlo si mostrò preoccupato. «Perché ha qualche problema?» «Il solito. Nulla la prende in modo durevole. È mutevole come il suo umore.» «Sta frequentando qualcuno che tu sappia?» «Le sue relazioni sono sempre brevi, probabilmente non ancora ha trovato uno che abbia la tua pazienza.» Carlo restò in silenzio con gli occhi bassi, pensieroso. «Senti papà smettila!» esclamò improvvisamente Claudio «Il tuo matrimonio non sei riuscito a tenerlo in piedi quando ero bambino, e forse la cosa avrebbe potuto tenervi uniti, figuriamoci adesso che riesco ad autogestirmi» Carlo sembrò stupito. «Ma Claudio, figurati se mi illudo ancora di salvare il salvabile. E poi di Elena non mi importa più niente.» «Balle! Tiri sempre il discorso su di lei» «Lo faccio involontariamente, è pur sempre tua madre e se chiedo di lei è anche per capire come stai tu, visto che ci vivi insieme» «Va bene, va bene» troncò subito Claudio pentito di essersi lasciato andare. Non gli andava di discutere. Quando Carlo disse che doveva ripartire Claudio tirò un sospiro di sollievo. Quando stava con suo padre gli sembrava sempre di essere

sopra una graticola, gli dispiaceva vederlo cosi. Sì senti meglio quando vide la sua automobile allontanarsi velocemente. Si avviò verso il parco. Silvia si sentiva ancora scombussolata per il litigio con sua madre. Avrebbe voluto parlare con la sua amica del cuore, ma era al mare. Guardò l’orologio, erano da poco ate le sei del pomeriggio, forse Monica era in casa. Decise di fare un tentativo. «Pronto» rispose una voce assonnata «Monica sei tu? Sono Silvia» «Ciao Silvia che bello sentirti! Come stai?» «Insomma, ho appena litigato con mia madre» «Mi dispiace, spero niente di grave» Silvia stava per raccontarle l’accaduto, ma fu investita da un fiume di parole, Monica si stava divertendo tantissimo con la solita compagnia del mare. Erano tutti simpaticissimi. «Magari a fine mese potresti venirmi a trovare! Se mia sorella parte con il suo ragazzo si libera la sua camera e puoi venire, cosa dici? Ti faccio sapere» Monica glielo diceva tutti gli anni. E non era mai accaduto che lei andasse a trovarla. «Va bene, mi farai sapere» rispose Silvia senza convinzione. «Ma cosa mi racconti, c’è qualche novità?» continuò Monica Silvia non resistette. «Ho conosciuto un ragazzo» «Davvero? Ma è uno del posto» «Sì, Claudio Parini» sussurrò Silvia, si sentiva rimescolare solo a pronunciare il suo nome e nello stesso tempo quella sensazione le piaceva. Le sembrava di provare un grande vuoto nello stomaco che arrivava fino al cuore. «Ho capito chi è, ma è all’ultimo anno» disse Monica con la voce perplessa

«Si è all’ultimo anno, è un ragazzo simpatico» disse Silvia, si guardò bene dal dirle che da una settimana non pensava che a lui «Simpatico, sei sicura?» «Beh, sì, perché tu lo conosci?» chiese Silvia, si stava già innervosendo «Stai attenta Silvia è un ragazzo strano, lo dicono tutti» «Tutti chi?» «La gente» «Chi è la gente? O mi racconti dei fatti oppure sono le solite dicerie di paese, lo sai com’è “la gente”» esclamò Silvia con forza. Non sopportava i pettegolezzi, li detestava quando toccavano persone che non conosceva affatto, figuriamoci adesso che riguardavano Claudio. «Allora, io so che ha perso un anno di scuola circa due anni fa prima di venire al nostro liceo, credo stesse a Roma con suo padre» continuò Monica «Non mi sembra un’onta così grave aver ripetuto un anno» «Lo so, ma sembra che sia stato bocciato perché era in cura da qualche parte per non so cosa» Silvia si agitò sulla sedia, era diventata paonazza, per fortuna la sua amica non poteva vederla. Ma possibile che dovevano immaginare sempre qualcosa di torbido in quel paese. «Quindi era in cura perché era matto?» esclamò Silvia con aria scettica «Oppure si drogava, magari era in una comunità» A Silvia venne da ridere. Claudio non aveva assolutamente l’aspetto di un drogato. «Non credo proprio che sia un drogato. Non gli ho visto buchi sulle braccia»

Erano le braccia più belle e più sane che avesse mai visto. Claudio avevo un fisico magro, ma muscoloso e le sue spalle larghe sembravano offrirti protezione. «Senti adesso devo lasciarti Monica, sto spendendo una follia in interurbana, se mi scopre mia madre mi uccide» voleva concludere quella telefonata, non ne poteva più. «C’è un'altra cosa» aggiunse Monica «Cos’altro c’è, è Jack lo squartatore?» disse Silvia irritata. «Andiamo Silvia, voglio solo metterti in guardia, nel caso tu ti sia presa una cotta. E da come reagisci direi di sì» Silvia alzò gli occhi al cielo. «Sentiamo» «Potrebbe essere omosessuale» Pazzo, drogato o omosessuale. Bene. Silvia restò in silenzio. «Qui ti posso raccontare dei fatti, hai presente Annalisa? È in classe con lui» «La più bella e snob della scuola, quella che si crede Miss Mondo e viaggia a tre metri da terra, sopra noi povere merde, sì ho presente!» «Lo so è un po’ antipatica, ma è bellissima e tutti i ragazzi le muoiono dietro. Insomma lei ci ha provato e lui l’ha respinta, me lo ha raccontato mia sorella» Claudio in quel momento guadagnò diecimila punti agli occhi di Silvia. «Forse l’ha respinta perché non era interessato a lei! Ragionate tutti per luoghi comuni» «Senti, Silvietta, magari è il ragazzo migliore del mondo, ma tu stai attenta. Non avercela con me» pregò addolcendo la voce «Ma no, non ce l’ho con te Monica. Vorrei soltanto che non ti fi trasportare troppo dalle malignità della gente. La calunnia può fare molto male. Comunque starò attenta, stai tranquilla»

Si salutarono con la promessa di risentirsi presto. Silvia pensò invece che non l’avrebbe più chiamata per il resto dell’estate. Si sentiva così arrabbiata per tutte le cattiverie che aveva sentito su Claudio. La cosa terribile era che molti finivano per pensarla come la sua amica Monica. Una maldicenza diventava la verità assoluta. Pensò alla città di Sartre. “Bouville”. Disse tra sé. Guardò l’ora erano le sette e doveva vedere Claudio alle otto. Era meglio fare una doccia e prepararsi. Non vedeva l’ora di incontrarlo. Silvia era seduta alla prima panchina del parco e ogni tanto si guardava intorno per vedere se Claudio arrivava, faceva finta di leggere il libro e ogni tanto alzava gli occhi inquieta. Finalmente lo vide arrivare. Dio come era felice solo a guardarlo! «Ciao» disse Claudio avvicinandosi. «Ciao, ti ho portato il libro» «Grazie» rispose Claudio prendendo il libro. Lo sfogliò «lo leggerò la sera per riposarmi, chissà che non concili il sonno» sorrise «ci sediamo?» «Certo» rispose Silvia. Avrebbe voluto restare a guardarlo per imprimersi bene in testa il suo volto, ma doveva dire qualcosa, non poteva stare zitta come una cretina. Si sentiva così imbranata! Si accorse che Claudio la guardava con un mezzo sorriso divertito. «Perché mi guardi così?» «Così come?» chiese lui «Tra l'ironico e il divertito» «Come se volessi prenderti in giro?» «Esatto» «Scusami, non mi rendo conto dello sguardo che faccio. Non ti prendo in giro.

Anzi forse sei l'unica persona che in questo momento prendo sul serio. In questo posto quasi tutti mi stanno sulle scatole. Dal primo all'ultimo» si accese una sigaretta «tranne qualche piccola eccezione» la guardò «tu per esempio.» «Davvero!» Silvia ripensò alle parole di Monica. Sicuramente le calunnie sul suo conto non dovevano essergli sfuggite. Quella frase la fece sentire felice da morire, non le importava delle chiacchiere di Monica né della scenata avuta con sua madre. Stasera le chiederò scusa. Pensò mettendosi a posto la coscienza. Guardò Claudio con un sorriso. «Ti ringrazio» disse «anche a me non piace questo paese» aggiunse «te l'ho già detto. Queste facce le conosco a memoria. A volte mi viene la nausea. Come quella citata da Jean Paul Sartre. Quando dico con qualcuno che una volta partita non tornerò mai più, non mi prendono sul serio. Adesso dici così - mi rispondono- ma poi tornerai, come gli altri. Mi fanno una rabbia. Può darsi che abbiano ragione. Magari quando andrò a Firenze scoprirò che non c'è nulla di sbagliato in questo posto. Che sono io quella sbagliata, che è tutta colpa mia. Ma finché resto qua e non provo a staccare, mi sento soffocare. Tutti che controllano quello che fai e qualunque cosa tu faccia è sempre sbagliata se non rientra nei loro standard di comportamento ideale» «Capisco, succede anche a me, ma perché vuoi andare proprio a Firenze?» «All'inizio pensavo a Roma, ma a pensarci bene mi sembra troppo caotica, violenta. Saranno gli ultimi fatti di cronaca. Mi fa un po' paura. Poi ho pensato a Firenze perché è una città che ha ispirato grandi poeti, perché è stata sempre molto amata anche nell'antichità e poi ha un bel clima, credo» «Ma ci sei stata? O parli così per sentito dire?» «A Firenze sì, l’anno scorso in gita scolastica, l’ho trovata magnifica. A Roma invece non ci sono mai stata, confesso» «Sono due città bellissime, entrambe. Solo che Roma è una metropoli. Firenze è più a misura d’uomo» disse Claudio.

«Tu ci sei stato?» chiese Silvia «A Roma molte volte, e ci ho vissuto per un po’, mio padre lavora là da diversi anni. Sono stato spesso anche a Firenze, ci abita un mio caro amico di infanzia» rispose lui «E quindi ho ragione? È così come immagino, Firenze è meglio di Roma?» Claudio la guardò. «Forse per viverci sì, Firenze è meglio di Roma, almeno per fare l’università, ma credo che dipenda da quello che si cerca, magari stando lì lo scoprirò» Silvia sembrò soddisfatta della risposta. Claudio sembrava così sicuro di sé e di quello che diceva. Sembrava così solido. Altro che pazzo. Per un momento vide se stessa assieme a Claudio per le strade di Firenze diretti all’università. Claudio la guardò di nuovo con un sorriso divertito come se le avesse letto nel pensiero «Certo che viaggi molto con la fantasia!» Silvia si scosse. «Beh un po', al momento posso fare solo questo, si vede?» «Ho notato che a volte hai l'aria distratta come se inseguissi non so quali pensieri, sembri quasi perdere il filo del discorso, poi te ne accorgi e lo riacchiappi» «Caspita che analisi attenta, è verissimo» rispose Silvia «è come una malattia, sai a volte mi invento storie stravaganti con la fantasia. Potrei scrivere un romanzo. Forse sono matta.» «Ma no che non sei matta Silvia. È normale sognare e fantasticare. Mi sa che ti crei un mondo tutto tuo perché quello che hai intorno non ti piace. Stai attenta a non crearti troppi motivi di insoddisfazione» sembrava che stesse parlando anche a se stesso.

Le prese la mano. «Devi accettare anche un po' la realtà. E trovarci qualcosa di buono.» Silvia sorrise. Qualcosa di buono c'era nella sua realtà. Era lì accanto a lei e le teneva la mano. Avrebbe voluto fermare il tempo e restare così per il resto della serata, ma doveva rispondere qualcosa. «Ci proverò, Claudio, grazie per quello che hai detto. Sei davvero un caro amico» «”Caro amico”, mi fa piacere essere già un tuo caro amico dopo due giorni che ci conosciamo! Si fa presto a guadagnare la tua fiducia, Silvia, che bello, potrei anche essere un maniaco» esclamò lui divertito, Silvia lo guardò indispettita. La stava provocando? «Dai, non prendermi in giro, e poi so chi sei, frequenti la mia scuola, il vantaggio di vivere in un piccolo centro è che almeno conosci la gente che incontri» «Vedi che hai trovato un vantaggio in questo bel posto» Silvia gli puntò il dito contro il petto in tono di accusa. «Ti piace proprio prendermi in giro» lo guardò e per un momento si sentì persa nei suoi occhi. Accidenti, adesso non sapeva più cosa dire. Lui la stava guardando dritto in faccia, non sorrideva più e lei si sentiva sciogliere qualcosa alla bocca dello stomaco. Claudio le si avvicinò, le accarezzò lievemente la guancia e si chinò a baciarla sulla bocca. Silvia sembrò rispondere al bacio, ma le sue labbra si schio appena. «Lo sai che baci come una bambina» mormorò Claudio stringendola e fu sommerso da un'ondata di tenerezza. «E come dovrei baciare?» chiese Silvia arrossendo. «Prova ad aprire un po' la bocca» disse Claudio e la baciò di nuovo.

Silvia chiuse gli occhi, assaporò quel bacio con tutta se stessa. Respirò attraverso il respiro di lui nella sua bocca. Le gambe le diventarono molli e tremanti, sentì il cuore scoppiarle nel petto e disperdersi in mille pezzi. Claudio rientrò a casa sua molto tardi. Dopo aver accompagnato Silvia aveva girovagato per le stradine tortuose del centro storico. Aveva osservato quei muri antichi, cercato di scoprirne il ato. Certi angoli del paese erano quasi piacevoli, il centro storico aveva un ordine che contrastava con il resto delle case polverose e disadorne fuori dal centro. Gli piaceva camminare per le strade deserte rese tiepide dalla calura estiva. Aveva odiato vivere lì quando aveva lasciato Roma. Aveva avuto un periodo in cui niente lo faceva star bene, era stato insofferente alla convivenza con suo padre e nello stesso tempo non sopportava l’idea di tornare a vivere lì con sua madre. Aveva ato due anni a farsi il vuoto intorno. A parte un paio di amici non aveva legato con nessuno e per diverso tempo non era riuscito a vedere il futuro in senso positivo. Adesso però si sentiva felice al pensiero di Silvia. Pensare a lei gli dava una bella sensazione, un senso di leggerezza e di gioia. A casa sua le luci erano accese, sua madre era tornata. Raggiunse in fretta la sua camera, non aveva voglia di vederla. «Claudio sei tu?» L'aveva sentito rientrare. Aprì la porta. «Certo sono io. Sto andando a dormire.» Andò in bagno, rovistò nella cassetta delle medicine e inghiottì velocemente due capsule di sonnifero. Rientrò in camera. Elena si alzò a fatica dalla poltrona della sala e si recò nella camera del figlio. «Mamma, sono nudo» esclamò seccato. «Quante storie! Non avrai vergogna di tua madre?» lo scrutò «sei dimagrito, non mangi?» Claudio indossò il pigiama e si sdraiò sul letto senza risponderle.

Sua madre: la sirena della sua infanzia e l'arpia della sua adolescenza. La guardò. «Hai bevuto?» «Solo un drink con ghiaccio, faceva caldo, solo che non ho cenato» «E quindi sei brilla» concluse Claudio. «Mi reggo in piedi e tanto basta, guarda che non sono un’ubriacona! Non vorrai mica farmi la predica?» «Ok, niente predica, però adesso voglio dormire» Elena si sedette a fatica sul letto. «Mi sento sola. A che serve avere un figlio se non ti fa compagnia quando ne hai bisogno? Stasera sono rientrata presto e non c’eri.» «È quello che dico anch'io. A che serve avere una madre se poi non sta mai con me?» «Adesso sto con te» replicò lei «possiamo parlare un po’» «E di cosa vorresti parlare?» «Raccontami la tua giornata, sei sempre così riservato! Oggi cosa hai fatto per esempio?» Claudio avrebbe dovuto dirle che aveva visto suo padre, ma non ne aveva voglia, né aveva voglia di parlarle di Silvia, temeva che sua madre gli fe domande inopportune, era in una fase in cui non sapeva ancora bene quello che stava accadendo. «Oggi ho fatto le solite cose, ho studiato, sono uscito e sono rientrato, parliamo di te invece, perché dici che ti senti sola? Dov’è finito l’uomo della tua vita che dicevi di aver incontrato due mesi fa?» «Avevo detto che era l’uomo della mia vita? Impossibile, era uno stupido e soprattutto un rompiscatole» ribatté lei. Claudio inarcò le sopracciglia ironico.

«A me sembrava una brava persona e sembrava che fe di tutto per compiacerti, ma forse ha fatto bene a scappar via da te, i tuoi sentimenti vanno e vengono. Tu non vuoi un uomo che ti ami, ma un servo, uno schiavo che rinunci a se stesso completamente.» «Non è vero» piagnucolò lei «tu non puoi capire sei un ragazzo. È che io ho una mia personalità e non voglio essere ingabbiata in uno schema …» sembrava davvero avvilita «e poi non è scappato via da me, sono io che l’ho lasciato!» puntualizzò. «Appunto, sei troppo indipendente mamma, forse non hai bisogno di un uomo» replicò Claudio. In fondo l’umore variabile di sua madre non lo preoccupava molto. Sapeva che il giorno dopo sarebbe ritornata allegra e piena di vita, come sempre. Elena gli raccontò per l'ennesima volta la storia della sua vita, saltando di palo in frasca. A Elena piaceva molto essere ascoltata e Claudio in quei momenti la trovava davvero divertente. Smise di parlare accorgendosi che Claudio si era addormentato. Le pillole avevano fatto effetto. Elena lo guardò e pensò che, anche se la sua vita non le sembrava molto entusiasmante negli ultimi tempi, suo figlio era la cosa che le era riuscita meglio, nonostante tutto e nonostante lei. Stette a guardarlo per qualche minuto, gli fece sulla guancia una carezza leggera, poi si alzò lentamente e uscì dalla camera chiudendo la porta.

Capitolo 3

Mara stava guardando distrattamente un programma televisivo. Silvia entrò e non ebbe il coraggio di guardarla, le dispiaceva per il litigio avuto nel pomeriggio. Era stata cattiva. Se non fosse stato per quello, nulla avrebbe potuto turbare la sua felicità. Si sedette accanto anche lei a guardare la televisione. Doveva chiederle scusa. Si sentiva una carogna. «Mamma ti chiedo scusa per oggi» esclamò tutto d'un fiato. Mara ebbe un labile sorriso. «Non pensarci Silvia, hai detto quello che pensavi» «Non è vero» ribatté Silvia «non lo pensavo davvero. Non so che mi è preso» Mara decise che non era il caso di farla sentire in colpa e fece finta di crederle. Le accarezzò i capelli. «Va bene cara. Non tormentarti per così poco. Alla tua età si è molto impulsivi. Non preoccuparti. Io ti avevo già perdonata.» Le sorrise con calore. Silvia si sentì subito meglio, l'abbracciò con trasporto. «Grazie, mamma» le diede un bacio sulla guancia «adesso vado a dormire» «Vai pure cara» rispose Mara con il suo sorriso congelato sul viso. Le davano fastidio quelle effusioni. La imbarazzavano. E nello stesso tempo si sentiva in colpa. «Forse non le voglio davvero bene» pensò « dovrei essere felice di abbracciare mia figlia » Si sentiva così stanca. Si accese una sigaretta. Ricordava l'infanzia piena di giochi e di sogni. Un’infanzia tranquilla e senza grandi traumi. La sua famiglia modesta e le sue regole opprimenti. I progetti dell'adolescenza. Avrebbe voluto

continuare gli studi, ma i suoi genitori si erano opposti, non c’erano abbastanza soldi per fare l’università e poi era una donna, a una donna un diploma di scuola superiore poteva bastare, lei era troppo debole per obiettare, così dopo il diploma si era messa alla ricerca di un lavoro che aveva avuto la fortuna di trovare. Aveva vissuto per due anni tra casa e ufficio. La sua vita sembrava scorrere su monotoni binari prestabiliti e si sentiva sempre più insoddisfatta e annoiata, tanto che quando conobbe Giovanni, così dolce e premuroso pensò di essersene innamorata. Ma si sbagliava. In realtà l'aveva sposato per sfuggire alla routine opprimente della sua famiglia e alla noia di quella cittadina balorda e pettegola. Si rese conto ben presto che il matrimonio non era riuscito a liberarla dalla sua insoddisfazione, neanche diventare madre fu importante per lei. Le sembrava che fosse accaduto tutto troppo in fretta e quella bambina che aveva bisogno di lei per ogni cosa le sembrava le succhiasse via ogni energia vitale. Si era sentita schiacciata. Lei che non aveva mai provato troppo trasporto per i bambini. Giovanni invece i bambini li adorava, giocava sempre con Silvia, le raccontava favole, le comprava giocattoli. Giovanni amava la vita semplice, il lavoro, la casa, la famiglia. Aveva una grande fiducia nel mondo e accettava la vita con tutto ciò che poteva offrirgli, almeno così sembrava. Anche lui aveva le sue zone d’ombra, quando le cose non andavano secondo le sue aspettative cadeva in uno stato di prostrazione che lei trovava esagerato. Spesso si era sentita obbligata a recitare una parte per evitare i suoi improvvisi mutamenti di umore. Nonostante questo non avrebbe mai pensato che fosse capace di fare quello che aveva fatto. «Era un debole incapace di affrontare la vita » pensò Mara « Oppure aveva una forza e un coraggio incredibili, ancora non riesco a spiegarmi il suo gesto. Se fu viltà o coraggio estremo » Silvia aveva sei anni quando Giovanni si uccise. Mara aveva chiesto il divorzio, aveva conosciuto Andrea e lo aveva amato con tutta se stessa. La sigaretta si era consumata lentamente, la schiacciò nel posacenere. «Non ho mai provato un sentimento così forte come quello che ho provato per Andrea » ricordò Mara « sono ati 10 anni ed io sono ancora qui a ricordare e a tormentarmi. Giovanni non supplicò, ne minacciò. Disse che mi avrebbe concesso il divorzio. Era stranamente calmo. Troppo calmo» Mara si ò nervosa una mano davanti agli occhi per scacciare quella visione molesta. Lo rivedeva sempre appeso a quella corda. Una lacrima le rigò il viso.

Aveva lasciato Andrea. Non avrebbe potuto vivere con lui dopo quanto accaduto. Spesso una vita che finisce porta via con sé altre vite e Giovanni si era portata via la sua. Tutto il coraggio che aveva trovato per chiedergli il divorzio si era dissolto in quel gesto, non le era rimasto nient’altro. Aveva concentrato tutte le sue forze per riuscire ad andare avanti con la sua bambina, ma non era sicura di esserci riuscita, il rapporto conflittuale con sua figlia le sembrava la prova del suo ennesimo fallimento. Silvia non riusciva ad addormentarsi, si sentiva troppo felice. Cercava di rivivere quella sera momento per momento. Ogni parola, ogni sguardo era per lei di vitale importanza. Si rendeva conto che finalmente le stava accadendo qualcosa di meraviglioso e soprattutto adesso non sognava più. Finalmente viveva la sua vita. Ed era meglio, molto meglio delle sue fantasie. Sentiva ancora il sapore del bacio di Claudio. Quel suo profumo di muschio misto a tabacco. Le era capitato di baciare un ragazzo una volta e aveva provato ribrezzo. Invece con Claudio gli era sembrato così piacevole e naturale. E le era rimasto addosso quel desiderio bruciante di continuare a baciarlo e toccarlo. E poi lui sembrava capirla, sembrava quasi indovinare i suoi pensieri. Era straordinario. Improvvisamente ebbe paura che tutto finisse. « E se mi avesse preso in giro? » pensò «S e fosse tutta apparenza?» Quel pensiero le fece male. Fu presa dall'angoscia. Ripensò alle parole di Monica. «Oh Dio» pregò « fa che non mi inganni, non voglio più avere nel cuore questa solitudine » Si rese conto di essere assurda. Come poteva Dio ascoltare la sua insulsa preghiera? Con tutto quello che accadeva nel mondo come poteva Dio ascoltare proprio lei! «Forse Dio non esiste» pensò Aveva spesso dubbi sulla sua fede e più andava in chiesa, più le venivano dubbi. Tutti quei discorsi sul peccato poi, la facevano sentire sempre sporca. Come poteva essere peccato baciare Claudio, era la cosa più bella che le fosse mai capitata.

Ripensò a lui. Qualunque cosa potesse accadere dopo, voleva solo vivere quell’amore con tutta se stessa. Immaginò le braccia di Claudio attorno a sé, nel suo letto. Strinse il cuscino, ripensò ai suoi occhi verdi e dopo un po', finalmente si addormentò. La mattina dopo si svegliò con una piacevole sensazione di benessere. Andò in bagno, si lavò la faccia e si guardò allo specchio. Si vide improvvisamente bella. Per la prima volta fu contenta del proprio aspetto. Si recò in cucina e fece un'abbondante colazione. Rigovernò, rifece i letti e non sentiva stanchezza, sprizzava energia da tutti i pori. Verso le undici si vestì in gran fretta dopo aver fatto una doccia tiepida e uscì dirigendosi verso il parco. Il cielo era di un azzurro intenso e la sfera gialla del sole splendeva con tutta l'intensità di una giornata d'estate. C'era un gran via vai di signore con carrozzine e buste della spesa. I soliti vecchietti erano seduti ai tavolini del solito bar e chiacchieravano instancabilmente. Finalmente arrivò al parco. « Se non ci fosse questo parco, in questo buco di paese, andremmo tutti in paranoia » pensò. Claudio era seduto sulla prima panchina, stava fumando una sigaretta e leggeva un giornale con l’aria distratta. Era seduto lungo il lato della panchina con un braccio appoggiato sullo schienale. Aveva un paio di jeans chiari e una maglietta bianca che metteva in risalto le sue spalle ampie, i capelli neri e lisci gli scendevano sulla fronte. Accidenti era proprio bello. Quando lo vide si sentì talmente felice, avrebbe voluto saltellare dalla gioia. Quel ragazzo meraviglioso stava aspettando lei, proprio lei. Rallentò e cercò di darsi un tono. Si avvicinò. Claudio le sorrise. «È molto che aspetti?» chiese Silvia ricambiando il sorriso. «No» rispose lui alzandosi. Lui le diede la mano. Quel gesto le sembrò così intimo che ancora una volta Silvia si sentì al settimo cielo. Camminarono fino alla fine del parco per raggiungere la loro quercia.

«Sai quale è l'albero che amo di più?» disse improvvisamente Claudio «Non saprei» rispose Silvia, anche se le piaceva immaginare la risposta. «La quercia» disse lui «perché ha radici profonde e il tronco vigoroso. Però adesso ha assunto un significato particolare. È il nostro albero» la guardò sorridendo. «Già» esclamò Silvia e sorrise anche lei. Si diressero verso la radura che accoglieva la quercia. Claudio sedette ai piedi dell'albero e chiuse gli occhi. Silvia si inginocchiò vicino a lui. Claudio respirò profondamente. «Senti che meraviglia» disse rompendo il silenzio «possiamo confonderci con la natura e non pensare più, annullarci in questo infinito.» Silvia lo guardò. Claudio aveva gli occhi chiusi, il volto in quel momento disteso e rilassato donava quiete anche a lei. Guardò i suoi capelli che cadevano sulla fronte, guardò il naso diritto, le labbra sensuali, la dolce linea del mento e fu invasa da un'improvvisa felicità, sentì di amare profondamente quel ragazzo dall'espressione inquieta. In così poco tempo era diventato importantissimo per la sua vita, non riusciva neanche più a ricordare come era prima di conoscerlo, l'aveva notato a scuola qualche volta, ma non si era mai soffermata troppo su di lui. Adesso invece non ricordava più com'erano le sue giornate prima che il pensiero di lui si impossessasse completamente della sua mente e dei suoi desideri. «Claudio» disse «forse ti sembrerò banale, ti sembrerò anacronistica, ma voglio dirtelo lo stesso.» Claudio apri gli occhi, i suoi grandi occhi verdi si mossero, si posarono sul viso radioso di Silvia. «Cosa vuoi dirmi Silvia?» chiese serio. «No, non te lo dico, dopo mi prenderesti in giro» «Beh, ma lo sai che sei proprio dispettosa, prima mi incuriosisci e poi non vuoi

dirmi niente!» replicò contrariato lui. Provò a fare una faccia cattiva, ma gli veniva da ridere. Non sapeva bene perché, ma quando era con Silvia gli veniva solo voglia di sorridere. «Va bene, te lo dico, ma mi prometti di non ridere?» «Prometto» rispose Claudio e cercò di fare una faccia seria. «Credo di amarti» disse Silvia con le labbra tremanti. Lui le si avvicinò, le prese il viso tra le mani e la baciò. Poi la guardò. «Non sei affatto banale» disse , le prese la mano e la portò alle labbra «anch’io sto davvero bene con te.» Silvia per un attimo aveva sperato che anche lui le dicesse “ti amo”, ma forse era pretendere troppo e per ora quella risposta la soddisfaceva. L’importante era che lui stesse lì con lei. «Ma perché abbiamo perso tanto tempo, eravamo nella stessa scuola, perché non ci siamo trovati prima?» chiese lei all'improvviso, inseguendo un pensiero. Claudio fece spallucce «A dire il vero ti avevo notata a scuola, però ti vedevo sempre con quella tua amica snob, quella che si da sempre tante arie. Quindi mi tenevo alla larga.» «Ma chi, Monica? La mia compagna di banco?» «Direi di sì.» Rispose Claudio. «Ma non si dà le arie Monica, è un po’ riservata e timida, un poco come me, è una delle poche amiche che ho» ripensò alla telefonata e pensò che forse un po’ snob lo era. «E adesso dov'è la tua cara amica» chiese Claudio con aria indagatrice. «a tutta l'estate nella sua casa al mare, nel Salento, mica come noi comuni mortali»

«Ah! Preferiresti essere al mare con lei invece che stare con me, sono contento» replicò Claudio con l'aria da tragedia greca. Silvia lo abbracciò. «No, no, sono felice di stare con te, voglio stare “solo” con te» disse ridendo. Claudio l'allontanò con l'aria offesa. «Mi hai spezzato il cuore, ragazza!» Silvia lo guardò con aria supplichevole. Claudio finse di fare il broncio, poi sorrise e la strinse forte a sé. *** «Ma se andassimo al mare, oggi pomeriggio? Ho l’auto di mia madre a disposizione» chiese Claudio «tu potresti oppure è un problema?» Silvia pensò che avrebbe dovuto mostrarsi in costume davanti a Claudio. L’idea la spaventava. Lei si sentiva orribile. «Potrei, nessun problema» disse invece. Era meglio affrontare subito la cruda realtà. «Ti o a prendere alle due?» «Alle due» almeno non doveva inventare scuse con sua madre, a quell’ora era ancora in ufficio. Le avrebbe lasciato un biglietto. *** Lo osservava mentre teneva il volante con sicurezza. Era piacevole stare seduta al suo fianco e guardare il suo profilo mentre guidava. «Guidi molto bene, Claudio» gli disse «Beh, ho fatto pratica, mia madre quando siamo insieme fa guidare sempre me, e ho guidato anche nel traffico di Roma, è un’ottima palestra» Si sentiva sicura accanto a lui e le sembrava fantastico fare quella gita al mare, aprì di più il finestrino dell’auto assaporando il senso di libertà che le dava il

vento tra i capelli. La spiaggia più vicina distava quaranta chilometri, in mezz’ora si arrivava e nel mese di giugno c’era ancora pochissima gente. Era l’ora più calda del pomeriggio e il mare, di un intenso azzurro, sembrava luccicare nel sole. Silvia sedette sul lettino e guardò l’orizzonte. Claudio si spogliò e la guardò. «Cosa aspetti Silvia andiamo a fare il bagno, questa è l’ora più bella» Lo osservò, Claudio era proprio perfetto anche in costume. «Senti Claudio ti avverto, non sto molto bene in costume, quindi mi spoglio a tuo rischio e pericolo» Claudio scoppiò a ridere «Secondo me, stai esagerando, ma credo di poter sopportare questa tremenda visione» Silvia si spogliò mostrandosi in un bikini rosso ciliegia. «Sei bellissima, Silvia» disse Claudio guardandola La prese in braccio «E adesso per punirti di avermi preso in giro, ti butto in acqua!» *** «Ma lo sai che adesso ho i capelli tutti pieni di salsedine» esclamò Silvia mentre cercava di districarsi i riccioli senza riuscirci. «Succede se si fa il bagno nel mare» rispose Claudio soddisfatto e divertito Silvia fece spallucce. «Pazienza» continuò cercando di spremere il tubetto della crema protettiva, con la sua pelle era meglio proteggersi. «Aspetta, faccio io» disse Claudio e cominciò a spalmarle la crema sulla schiena

Silvia sentì lo stomaco contrarsi, le mani di Claudio addosso le facevano l’effetto di un terremoto. Provò un brivido «Stai tremando Silvia, hai freddo?» chiese lui Ma davvero non si rendeva conto dell’effetto che le faceva toccandola così, o stava fingendo? «Un po’, è l’effetto del bagno» rispose « Girati» ti spalmo la crema sulla pancia, rischi di scottarti «Posso fare io» disse Silvia girandosi «No, faccio io» replicò lui deciso Silvia chiuse gli occhi e cercò invano di rilassarsi, mentre sentiva il massaggio delle mani di Claudio su di lei, aprì gli occhi sentendo il suo respiro vicinissimo mentre la baciava. Quella notte Silvia non riuscì a dormire, ripensava a quel pomeriggio ato al mare, alle mani di Claudio su di lei, ai suoi baci. Al desiderio bruciante che aveva di lui. Ancora una volta pensò che non poteva essere più felice. *** «Allora vediamo questa versione di greco, non mi pare che tu abbia scritto molto» Claudio guardò il suo amico Sandro, quella mattina dovevano studiare insieme per un rio generale di greco, ma non aveva concluso molto il giorno prima, visto che l’aveva ato con Silvia. «Infatti, non ho fatto granché, sono messo piuttosto male, Sandro» «Non ti ho visto né sentito negli ultimi giorni, pensavo che stessi studiando di brutto!» «Ci ho provato, ma ho avuto qualche distrazione» «Dio Claudio, ma hai deciso di farti bocciare alla maturità?» esclamò Sandro

sconsolato «sarebbe proprio il colmo, non credi?» «No, no, stamattina recuperiamo, per questo ho bisogno dell’aiuto del primo della classe» disse Claudio guardando il suo amico con un sorrisetto furbo «Devi metterci anche un po’ del tuo, però» Sandro lo guardò «riscriviamo la versione dal principio» Claudio aprì il vocabolario di greco con l’aria solenne. «Agli ordini capo.» «Però adesso sono curioso, cosa combini? visto che hai trascurato il tuo amico, che poi sarei io, e non hai neanche studiato …» Sandro lo scrutò con atteggiamento indagatore «Qui “donna gatta” ci cova» «Perché pensi sempre che ci sia una donna di mezzo?» «Perché stai sempre a rompermi con mille cazzate anche più volte al giorno, poi sparisci per una settimana … neanche una telefonata» «Era per vedere se sentivi la mia mancanza» disse Claudio ridendo, poi divenne improvvisamente serio «c’è una ragazza, ma abbiamo appena cominciato a vederci, non so ancora bene cosa succederà» «Non ne vuoi parlare per scaramanzia? Sembra già una cosa seria … Chi è? La conosco?» «È una ragazza del primo liceo, anzi quest’anno va in seconda liceo» «Una ragazzina insomma.» «Beh ha quasi diciassette anni, ma Sandro chi sei, mia madre? Ti preoccupi che vada in galera per corruzione di minorenne, non ti facevo così apprensivo» Sandro sghignazzò «Dai dimmi chi è» «Silvia Minetti» rispose Claudio

Sandro corrugò la fronte cercando di mettere a fuoco i suoi ricordi delle ragazze della scuola. «Biondina, capelli lunghi e ricci e l’aria timida?» «La descrizione corrisponde.» Sandro fece un fischio. «Carina, approvo, però pensavo che snobbassi le ragazze del paese.» «Silvia è diversa» replicò Claudio con un leggero sorriso. «Sembra una cosa seria» esclamò Sandro osservandolo. «Vedremo,Sandro» si schernì Claudio «per ora ci frequentiamo, non ci dobbiamo mica sposare» Claudio sospirò «Senti cosa dici se proviamo a studiare? Anche perché oggi pomeriggio dovrei vedere Silvia, quindi vorrei cercare di studiare stamattina … e guai a te se fai qualche battuta becera delle tue.» Sandro rise «Va bene, va bene, vedrò di resistere alla tentazione.» *** Quel pomeriggio si ritrovano al parco, alla loro quercia. Era l’ora più calda del pomeriggio, a Silvia piaceva restarsene appoggiata nell'incavo della sua spalla mentre lui fumava in silenzio. Anche il suo silenzio le piaceva da morire. Claudio le accarezzava i capelli e fissava l’azzurro cielo estivo. Scrutava l'orizzonte come cercando di scoprirne i misteri. Uno stormo di rondini disegnava cerchi nel cielo, scendevano in picchiata sulle loro teste poi risalivano velocissimi emettendo piccoli gridi. Era un'estate magnifica. «Guarda» disse lui «la natura è così perfetta da sembrare irreale, è fantastico essere immersi in questa perfezione, in questa armonia possiamo essere felici, anche se è una felicità quasi impalpabile. Può disgregarsi da un momento all’altro. Forse è questo che la rende bella, il suo essere effimera, breve e quasi

irreale. Basta guardare il cielo e possiamo sentirla dentro di noi. La senti, Silvia?» «Sì, la sento» rispose Silvia «ma non è la natura, sei tu» e chiuse gli occhi stringendosi a lui. «Ma tu stai studiando?» Chiese Silvia. Claudio arricciò il naso. «Stamattina ho studiato, non mi fa impazzire di gioia, però cerco di farlo, soprattutto letteratura. Greco molto meno, faccio più fatica.» «Scusami per la domanda, sono due giorni che sei sempre con me, non che mi lamenti, ma non sei preoccupato per gli esami?» chiese Silvia. «Certo Afrodite. Un po’ sono preoccupato. Comunque studio al mattino e soprattutto la sera tardi, è che non dormo molto, quindi approfitto per studiare» «Capisco, però se continui a chiamarmi Afrodite finirò per crederci» Claudio l'abbracciò. «Mi piace chiamarti così» la guardò «senti, qui fa piuttosto caldo, nonostante l’ombra. A casa mia non c'è nessuno e c'è l'aria condizionata» rispose Claudio. «E tua madre?» chiese Silvia. «Mia madre resta tutto il giorno fuori, lavoro e altri impegni» rispose Claudio. «Va bene. Andiamo a casa tua» Si alzarono. Attraversarono il parco e la strada principale del paese, semi deserta a quell'ora del pomeriggio. La casa di Claudio era spaziosa e confortevole. Sua madre non c'era come lui aveva previsto. Silvia si guardò intorno. Osservò la grande tela dipinta appesa nella sala sopra il camino. «Molto bello» osservò indicando la tela

«Ti piace? È uno dei capolavori di mia madre» rispose lui «Dipinge?» «Si è una sua ione, una delle tante» «È un artista allora» disse Silvia «E come tutti gli artisti è un po’ eccentrica, ma non vive di pittura, organizza mostre, anche questo un po’ a tempo perso» «Hai una bella casa, anche il giardino mi piace, è pieno di fiori, curatissimo. Noi viviamo in un condominio, ce lo sogniamo un giardino così» Claudio intanto stava preparando delle bibite ghiacciate. «Sarà bella però è un po’ vuota» disse. Sorrise con amarezza «ma forse tu non puoi capire» Silvia gli si avvicinò. «Ti capisco benissimo invece, so cosa vuol dire essere soli. Anch'io sono come te. L'unica persona che è riuscita a darmi un po’ di affetto è morta tanto tempo fa. Mia madre è una donna fredda, incapace di slanci affettuosi. Ho ato l’infanzia a elemosinare carezze da una donna arida» «La odi?» chiese Claudio. «No. Non è odio» rispose Silvia scuotendo la testa «è indifferenza. Mara e il niente sono la stessa cosa.» Claudio le porse la bibita. «Si chiama Mara?» Silvia annuì. «Mara. Le manca una A davanti» Claudio si sedette sulla poltrona e bevve a lenti sorsi.

«Beh, siamo nella stessa barca, allora! Vieni a sederti vicino a me. Possiamo sostenerci a vicenda.» Silvia gli si accoccolò vicino e si appoggiò alle sue ginocchia. «Ma avrai pur amato qualcuno nella tua famiglia» domandò Silvia «Avevo un nonno meraviglioso che viveva in campagna. Aveva una bellissima tenuta. Ci avo sempre le vacanze da bambino. Era un uomo fantastico, una persona colta e illuminata, pensa che è stato lui a trasmettermi l’amore per la letteratura. Mi raccontava le storie della sua terra e le faceva sembrare delle favole. Mi spiegava l'importanza del lavoro dei campi e del rispetto dei ritmi della natura. Ho un ricordo bellissimo di quelle estati. Durante l'inverno ritornavo in collegio. Poi purtroppo il nonno morì e la casa e la terra furono venduti. Quel giorno finì la mia infanzia» «Come mai ti mandarono in collegio i tuoi?» chiese Silvia «Era il periodo che stavano divorziando, forse lo fecero per non farmi vivere le loro tensioni, in ogni caso non fu un bel periodo, per me» Claudio si accese una sigaretta e continuò «Riguardo ai miei genitori c'è poco altro da dire. Quando ero ragazzino speravo tornassero insieme poi mi sono rassegnato, anche perché alla fine mi sono accorto che non mi importava più. Tutto sommato sono degli estranei. Mio padre lo vedo un paio di volte al mese. Di solito mi telefona quando ha un po' di tempo libero. Oppure vado a trovarlo per un week end. Mia madre la vedo solo la sera, quando non dorme fuori. Lui a Roma, lei qua. Forse alla fine sto bene così» si fermò a guardarla «ma non sei mica comoda così» Silvia si alzò in piedi cercando di sgranchirsi le ginocchia. «Hai ragione. Solo che voglio starti vicino e su quella poltrona stiamo stretti in due» Claudio sorrise e le diede un buffetto sulla guancia. «Sono scomode poltrone di design moderno, manie di mia madre. Andiamo in camera mia. Staremo più comodi» disse alzandosi anche lui.

*** Mara accese il condizionatore, poi si buttò sul letto esausta. Si sentiva stanchissima, il lavoro le toglieva ogni energia e il caldo non aiutava. Lo squillo del telefono la costrinse ad alzarsi dal letto. «Pronto» «Ciao mamma» «Ciao Silvia, come mai non sei ancora a casa?» «Ti telefono per dirti che resto mangiare da una mia amica, farò tardi stasera» «Chi è» «Chi?» «Questa tua amica?» «Non la conosci, forse un giorno te la presento. Ciao.» «Aspetta Silvia, pronto!» Mara guardò il ricevitore muto. Ha riattaccato, pensò stupita. Era da un po' di tempo che Silvia si comportava stranamente, era sempre fuori e non sapeva con chi ava il tempo, rincasava tardi e quando stava in casa sembrava inquieta oppure, stava tutta sorridente con lo sguardo fisso nel vuoto. «È l'età » pensò Mara. Entrò in cucina, si guardò intorno. Non aveva fame. Visto che Silvia non c'era poteva permettersi di non cucinare, rientrò in camera e si sdraiò nuovamente sul letto, si accese una sigaretta. «Però è strano! » pensò « Silvia non si è mai comportata così, prima ava tutto il tempo a leggere libri, che si sia invaghita di qualche ragazzo? E chi

sarà? E se si mette nei guai? È facile perdere la reputazione in questo paese » Sua figlia era così ingenua. Certo lei avrebbe dovuto parlarle, metterla in guardia dai pericoli della sua età, ma non sapeva bene cosa dirle. Cosa poteva dirle « non andare con il primo che capita. Conserva la verginità per il matrimonio?» Mara si sentiva nervosa, aveva sempre cercato di darle una buona educazione, un’educazione cattolica. Non che le fosse mai importato qualcosa della religione, per lei era più un modo di adeguarsi alle regole sociali, ma pensava fosse importante per Silvia. Si sentiva un’ipocrita, ma aveva paura del giudizio della gente. Dopo il suicidio di Giovanni tutti avevano parlato molto. Guai se avessero saputo che aveva avuto un amante! Anche il futuro di Silvia sarebbe stato compromesso. «Puttana la madre, puttana la figlia!» questo avrebbero detto, la gente non vede l’ora di trovare una buona occasione per sparlare. Non poteva permettere che un ragazzetto qualsiasi compromettesse la sua reputazione! «Quando torna le faccio un bel discorsetto. È ancora una ragazzina, capacissima di buttarsi con il primo venuto. » Mara spense la sigaretta e cominciò a pensare a quali argomenti usare per il suo discorso. Finì con l'addormentarsi. *** Silvia sapeva che avrebbe dovuto sopportare una scenata da sua madre, ma non le importava. Era così felice di restare con Claudio per un' intera giornata. Si sentiva così forte con lui! Sedeva sulla poltrona con le gambe incrociate, i lunghi e gonfi capelli biondi sparsi sulle spalle, strimpellava sulla chitarra di Claudio e sorrideva. «Allora come vado?» chiese Claudio la guardò e fece un sorriso accondiscendente.

«Non imparerai mai a suonare la chitarra, se continui così» Silvia sembrò delusa. «Beh, sei tu che non sei un buon maestro, te ne stai a guardare e a prendermi in giro. Il “do” lo sto imparando da sola» «Perché quello sarebbe un “do”!» chiese Claudio divertito. Si avvicinò, le tolse la chitarra e l'appese al muro, poi si sedette sulla poltrona di Silvia e l'abbracciò. «Un altro giorno ti insegno a suonare, adesso non ne ho voglia» Silvia guardò l'orologio. «Tua madre non c'è mai?» chiese «Stasera torna tardi, so che è impegnata con una mostra, comunque non è mai troppo presente in casa» rispose Claudio «mia madre non è la classica mamma che trovi dalle nostre parti, è un po’ fuori dagli schemi, ma è meglio così, la nostra è una pacifica convivenza, ognuno segue le sue regole. Così andiamo perfettamente d'accordo. Tua madre invece ti controlla vero?» Silvia sospirò. «Sì, mi controlla, vuole sempre conoscere i miei movimenti e mi fa sempre mille raccomandazioni. Non la sopporto. Prima la temevo poi mi sono detta, ma perché devo ubbidirle, temerla e rispettarla? Che diritti ha lei sulla mia vita? Così adesso non mi importa più niente di ciò che può impormi, tanto ho deciso di fare di testa mia» «E da quando lo avresti deciso?» chiese Claudio. «Da quando ti ho conosciuto. Da allora non vivo più per me stessa. Io non conto più. Conti tu adesso» Claudio sembrò turbato. «A volte mi spaventi, Silvia e ho paura di deluderti. Non sono sicuro di meritarmi tutta questa fiducia, è una grande responsabilità»

«Non preoccuparti» Silvia gli fece un sorriso rassicurante «ti chiedo soltanto di continuare ad essere così come sei. Mi basta stare con te come in questi giorni, guardare i tuoi occhi dove trovo tutto il mio universo ed ogni motivo di felicità.» «Una ragazza ribelle ed anche poetessa» le diede un buffetto sulla guancia. L'abbracciò, non sapeva se sentirsi felice o angosciato da un sentimento così intenso. Si sentiva incredibilmente attratto da lei, ma temeva di farla soffrire. Non sapeva se si sentiva del tutto pronto per una storia seria. La guardò con tenerezza. «Non credo di meritare tanto, Silvia. Ma ti prometto che farò di tutto per non deluderti.» Era sincero, davvero non voleva deluderla. Tutto a un tratto quella ragazza era diventata il centro della sua vita. Non aveva ancora capito cosa stesse succedendo, fino a poco tempo fa non esisteva, l'aveva vista a scuola e l'aveva notata, ma come aveva notato tante altre ragazze carine. Quel giorno di inizio estate invece, all'improvviso, l'aveva vista sotto una luce diversa e lei aveva cominciato a occupare tutti i suoi pensieri. Silvia lo guardò con aria seria, le labbra le tremarono. «Senti Claudio, posso farti una domanda?» «Dimmi» «Tu hai già fatto l’amore?» chiese Silvia arrossendo «Beh, sì» rispose lui tranquillo «Con una ragazza?» «Di solito accade con una persona dell’altro sesso» rispose lui «non sempre, non per tutti, ma di solito e per me è così» rispose con il suo solito sorriso divertito. Silvia adorava quel suo sorriso anche se la indispettiva, sembrava sempre che la prendesse in giro. «Oh, andiamo! volevo dire, era la tua ragazza, era una storia importante?» Claudio prese posto sulla poltrona e la fece sedere sulle sue ginocchia.

«Era una ragazza di Roma, siamo stati insieme qualche mese, lei era più grande di me e dopo un po’ ci siamo lasciati.» «Perché è finita? Perché era più grande? Di quanto?» «Aveva ventidue anni, ma non ci siamo lasciati per l’età, era una storia a distanza, è durata finché è durata» Silvia si sentì gelosa di quella ragazza sconosciuta e soprattutto lei si sentì inadeguata come al solito. «Io invece non ho mai fatto l'amore, ho sempre provato timore anche al solo pensiero, ma sento che con te potrei farlo senza nessuna paura, anzi vorrei farlo ma …» Non riuscì a continuare, restò a guardarlo in silenzio, un po' imbarazzata e al tempo stesso stupita per la sua audacia. Quella felicità le sembrava così perfetta che a volte temeva di incrinarla con le parole. Claudio la guardò negli occhi. «E di cosa avresti paura?» «Ho paura che mi sembri una cosa squallida, ricordati che sono un’idealista. Ma, proprio perché ti amo troppo, non può sembrarmi squallido. Il tuo corpo non mi fa paura» «Sicura?» chiese Claudio. Silvia accennò di sì con la testa. Claudio cominciò a spogliarla lentamente, le baciò le spalle. Silvia provò un brivido. «Ho paura del mio corpo» disse all'improvviso. «Perché?» chiese Claudio. «Temo di non piacerti» Silvia rispose. Lui sorrise e la strinse a sé. «Impossibile Silvia, sei bellissima, anche se non lo sai» Come era bello il suo nome pronunciato da Claudio. Adesso si sentiva bellissima

davvero, mentre lui l'accarezzava con dolcezza. Si spostarono sul letto di Claudio. «Posso fermarmi se cambi idea, Silvia, basta dirmelo» «No, Claudio, voglio farlo. Non desidero altro» ci aveva pensato tutta la notte. Claudio si allungò su di lei. Silvia ebbe la sensazione di sprofondare, il cuore le batteva forte. Chiuse gli occhi e si abbandonò tra le sue braccia. Dopo guardò il suo viso che si distendeva lentamente e si sentì felice come non mai. Non riusciva a immaginare una felicità più grande e in quel momento si rese conto che Claudio rappresentava l'unica giustificazione della sua esistenza. Sentiva che aveva iniziato a vivere pienamente proprio nel momento in cui l'aveva incontrato. Probabilmente aveva sempre atteso quell'incontro e nel frattempo non aveva vissuto, aveva sognato senza neanche sperare di realizzare il sogno, in attesa di vivere. «A che pensi?» le chiese Claudio con dolcezza. «A te» rispose Silvia «penso che sei meraviglioso, sei la cosa più bella che mi sia mai accaduta, anzi l'unica cosa bella che la vita mi ha regalato. Sono così felice che non voglio altro» Claudio sorrise e l'abbracciò stringendola un po' di più a sé sotto le lenzuola. «Sei pentita?» «No, anzi sono felice di averlo fatto, ti desideravo così tanto, ma avevo paura di non piacerti. Invece è stato bellissimo, è stato tutto così naturale. Adoro tutto quello che fai, certe volte sento di amarti in modo così intenso che sto quasi male fisicamente» «Ti amo anch’io, Silvia» per un attimo si stupì di quello che aveva appena detto. «Davvero, Claudio? Davvero mi ami?» a Silvia vennero gli occhi lucidi

«Sì, però non l’ho detto per farti piangere!» replicò lui «Non so ancora bene quello che provo per te. È rispetto, è tenerezza, è qualcosa che … mi piace e mi fa star bene» Silvia si strinse a lui felice, poi guardò l'ora «Accidenti ma è tardissimo!» «Come vorrei non tornare a casa e dormire abbracciata a te, tutta la notte» «Anch'io» rispose Claudio «ma tra un po' dovrebbe rientrare mia madre, forse è il caso di rivestirci, sarebbe perlomeno imbarazzante se ci trovasse così, anche se io potrei restare qui per un tempo lunghissimo.» «Tua madre! No che figura farei» Silvia saltò fuori dal letto e si rivestì in un secondo. Claudio la guardò divertito. «Ma come ti rivesti e scappi via! Sedotto e abbandonato così su due piedi.» «Ti avrei sedotto io! Bella faccia tosta» Silvia finse una faccia offesa, in effetti sentì che era così. «In ogni caso non ho nessuna intenzione di abbandonarti» riguardò l'orologio. «Rivestiti Claudio devo tornare a casa!» Claudio cominciò a vestirsi di malavoglia. «Va bene, va bene, ti accompagno subito.»

Capitolo 4

Elena osservava il paese pieno di luci che si stagliava sulla collina in lontananza, faceva un effetto strano vederlo così dalla strada provinciale deserta che stavano percorrendo. Da lì non si vedevano le case disadorne, le strade sconnesse e i marciapiedi polverosi che rendevano il paesaggio urbano sempre poco armonioso. Sembrava quasi un posto incantevole, così appollaiato su quella leggera altura. La mostra era andata bene e lei si sentiva soddisfatta, tutti erano stati scettici sull’organizzazione in quel particolare contesto e invece si era rivelata un grande successo. Guardò il suo amico Michele che guidava accanto a lei. «Meno male che mi hai accompagnato, non ce l’avrei fatta senza di te, non mi piace guidare di sera» gli disse. «Non mi sarei perso questa mostra per nulla al mondo, ero troppo curioso» rispose lui sorridendo. Conosceva Elena dai tempi delle elementari e la loro amicizia era un punto fermo nella sua vita, erano finite parecchie cose, ma quella loro amicizia si era sempre più fortificata. Non sapeva bene per quale ragione, l’aveva sempre sostenuta nelle sue idee un po’ folli che quasi sempre erano risultate vincenti. L’ultima era stata quella mostra di quadri organizzata in un negozio di abbigliamento nel centro di Bari, l’inaugurazione della mostra aveva richiamato tantissima gente e si era concretizzata nella vendita di tre quadri e di un impennata del fatturato del negozio, chi era lì per vedere i quadri aveva finito per comprare anche un vestito e chi, invece, era entrato per acquistare un vestito si era soffermato a guardare la mostra. Elena aveva una marcia in più, da sempre. «Hai avuto un’idea davvero originale, ma come ti è venuta?» «Beh, quando Mario mi ha chiesto consigli per ristrutturare il negozio e ho visto che aveva un ampio spazio vuoto da sfruttare ho pensato che era l’ideale per metterci dei quadri, ma non quadri per ornare semplicemente le pareti, ma una

vera e propria mostra. Si può fare anche per altri locali, basta pensare l’abbinamento adatto. Ed essere un po’ temerari, non aver paura delle novità.» Elena soffocò uno sbadiglio, erano quasi le due di notte, sicuramente Claudio dormiva già, si sentiva un po’ in colpa, negli ultimi tempi non era stata molto presente, anche se lui sembrava non accorgersene troppo. Era ormai grande e autonomo. Sembrava lontanissimo il tempo in cui Claudio era un bambino e vivevano con Carlo, loro tre insieme. Nonostante tutto lo ricordava come un periodo felice, se soltanto Carlo non l’avesse sempre ostacolata nelle sue aspirazioni artistiche, forse starebbero ancora insieme. Sospirò. Michele la guardò. «Che sospiro, cosa c’è?» «Pensavo che tu mi hai sempre sostenuto mentre Carlo no, mi chiedo perché siete così diversi, eppure siete stati grandi amici e siete cresciuti insieme.» «Stasera sei in vena di malinconie? Anche Carlo ti sosteneva, solo che era ossessionato dalla gelosia e dall’idea di perderti, lui voleva tornare a casa a trovarti a preparare la cena come una brava moglie, più o meno quello che tutti si aspettano qui a Fiorita, l’idea di una famiglia tradizionale.» Elena rise, non si vedeva proprio come casalinga perfetta. «A volte avrei voluto che Carlo fosse come te, ma perché non ci siamo mai messi insieme noi due?» «Oddio, mi sembrerebbe di stare con mia sorella, non riesco proprio a vederti sotto questo aspetto, sei bellissima, ma davvero non potrei.» «Meno male!» esclamò Elena «in effetti anche per me è così.» Michele si fermò sotto casa sua, Elena scese, lo salutò con un leggero bacio sulla guancia e sedette al posto del guidatore, lo guardò. «Grazie di tutto, sono contenta di avere un amico come te, su di te si può sempre contare» gli disse prima di ripartire. Entrò in casa cercando di non far rumore, vide la luce accesa in camera di

Claudio, provò a bussare piano. «Sono sveglio, mamma, puoi entrare.» Elena si affacciò sulla porta. Claudio era disteso sul letto con un libro in mano «Ehi, sei ancora sveglio?» «In realtà sono rientrato da poco, come è andata la mostra?» «Benissimo, oltre le mie aspettative, sono davvero contenta» lo guardò, cercò di capire se suo figlio stava bene, «hai fatto tardi? Tutto bene?» «Perché queste domande apprensive? Da quando in qua?»la guardò divertito, Elena sedette sul suo letto. «Non o troppo tempo con te e non so mai cosa combini, insomma, può sembrarti strano, ma anche io ogni tanto mi preoccupo per te.» Claudio le sorrise, ogni tanto sua madre riusciva ancora a stupirlo, adesso si preoccupava per lui. «Stai tranquilla, mamma. Non mi drogo, fumo solo sigarette “di tabacco”, sto perfino cercando di studiare per la maturità e non frequento cattive compagnie. Ti basta?» Elena gli ò una mano nei capelli sorridendo. Osservò che suo figlio era proprio bello. Chissà a quante ragazze faceva girare la testa, avrebbe voluto fargli qualche domanda, ma gli sembrava così schivo e riservato. Era nato quando lei era troppo giovane e sapeva di non avergli dedicato abbastanza tempo, ma sembrava che questo non avesse fatto troppi danni, nonostante i periodi difficili della loro vita Claudio era diventato un ragazzo equilibrato e solido, almeno così sembrava e si augurava. «Buona notte Claudio» disse alzandosi «dormi bene.»

Capitolo 5

Silvia aprì la porta lentamente, sperava quasi che sua madre fosse già andata a dormire, anche se era certa che era lì ad aspettarla, sicuramente arrabbiata. Non fece in tempo a entrare che Mara arrivò vicino a lei. «Eccoti qui, ma ti rendi conto di che ore sono?» Silvia non parlò, cosa poteva dire? «Lo so si è fatto tardi» stava per dire « mi dispiace» ma in realtà non le dispiaceva affatto, era troppo felice. «Sei ancora minorenne, Silvia, quindi stai bene attenta a quello che fai, e comunque finché vivrai in questa casa dovrai comportarti secondo i miei canoni.» Silvia sorrise debolmente, le faceva quasi pena quella donna arida che si affannava a guidare un'esistenza che non le apparteneva. «Si può sapere almeno perché ridi con quell'aria ebete» «Non rido, sorrido. È diverso. Sono felice e sappi che non riuscirai a rovinarmi la giornata con le tue prediche. Vado in camera mia. Ciao.» Mara non ebbe la forza di aggiungere altro, non l'aveva mai vista così. Quella sua nuova aria di sfida non sapeva come gestirla. «La sto perdendo » pensò. Poi si rese conto che quel pensiero era assurdo, sua figlia non le apparteneva. Era lei che l'aveva sempre tenuta lontana. Non si era mai sforzata di creare un dialogo, troppo presa dalla sua infelicità. Pensò al discorso che le aveva fatto e si vergognò, lei stessa non ci credeva.

Si avviò verso la sua camera, guardò il letto matrimoniale troppo grande e vuoto, rivide i piedi di Giovanni penzolanti nel vuoto, rivide i suoi occhi azzurri come quelli di Silvia e sentì una fitta al cuore, pensò che Silvia era felice in quel momento e lei invece era disperata. Si buttò sul letto e singhiozzò con tutte le sue forze come se volesse sradicare con quel pianto tutto il vuoto che sentiva dentro. «Mamma che hai?» Mara si sollevò sedendosi sul letto, Silvia era sulla porta e la guardava meravigliata. «Perché piangi? Ti ho offesa?» «No, Silvia, tu non c'entri, tu non hai colpa. Non è niente sono solo stanca.» Mara cercò di minimizzare. «È che a volte mi sento un po' sola, ma erà, vai a dormire» Silvia guardò sua madre come se la vedesse per la prima volta, non aveva mai pensato che sua madre avesse bisogno di affetto e di calore, l'aveva sempre considerata una donna arida che non era disposta né a dare né ricevere amore. «Sono una stupida» pensò « è un essere umano anche lei » Avrebbe voluto consolarla, ma si accorse con sgomento di non sapere cosa dirle e nello stesso tempo sentì una grande pena, soprattutto perché lei adesso era felice, pensare a Claudio le faceva scoppiare il cuore di gioia. «Vai a dormire, Silvia.» «Va bene, buonanotte mamma.» Silvia tornò in camera sua, si sentiva stanca dopo tutte le emozioni di quella giornata. Si appoggiò sul letto e, ripensando ai momenti felici di quella serata con Claudio, si addormentò.

*** Erano le nove del mattino e Mara era seduta in cucina davanti a un caffè, fissava di fronte a sé qualcosa di indefinito. Silvia entrò e la guardò. Le sembrava diversa dal solito «Mamma non sei al lavoro?» Mara fece un sorriso debole «Ho preso un giorno di ferie, non ho riposato bene, tanto ho molte ferie arretrate.» Silvia si versò un po' di caffè e si mise a sedere di fianco a Mara. Ci fosse stato un rapporto diverso tra loro le sarebbe piaciuto raccontarle di Claudio e di quanto era felice, invece rimase in silenzio sorseggiando il caffè. Le dispiaceva per lei, era rimasta vedova troppo presto e aveva dovuto crescerla da sola, probabilmente non era stato facile, forse era per questo che aveva sempre avuto quell'atteggiamento rigido e freddo. Voleva provare a capirla di più, l'amore per Claudio la rendeva più comprensiva e ben disposta verso gli altri in generale e, verso sua madre, in particolare. «Forse mamma dovresti risposarti, non puoi restare sola per il resto della tua vita.» Aveva pensato ad alta voce. Mara la guardò un po' sorpresa «Perché dici questo Silvia?» «Perché hai detto che ti senti sola, ti manca papà, è normale» «Non ero davvero innamorata di tuo padre, anche se non volevo certo la sua morte» Silvia sentì una sensazione di pericolo, quella strana e nuova confidenza di sua madre non le faceva presagire nulla di buono. Si chiese perché non fosse stata zitta e come mai si fosse infilata in quel discorso astruso.

«Sai come è morto tuo padre Silvia?» «Certo, è morto di infarto» rispose la ragazza senza esitare. «Questo è quello che ti ho fatto credere io.» Le labbra di Silvia tremarono, pensò che poteva ancora scappare e salvarsi. Poteva alzarsi e uscire dalla cucina e non ascoltare più. Invece restò seduta, impietrita ad ascoltare. Silvia rivolse i suoi grandi occhi azzurri verso quelli scuri di Mara. «Come è morto mio padre?» chiese con tono di sfida. Mara ne ebbe quasi paura, sospirò. «Tuo padre si è tolto la vita» rispose in un soffio.

Capitolo 6

Non riusciva a spiegarsi quello che aveva fatto. Non capiva perché aveva voluto gettare in faccia a sua figlia quella verità così pesante. Per un attimo la verità le era sembrata più sopportabile di tutto il dolore taciuto che portava dentro da tanto tempo. Silvia le aveva fatto il terzo grado e aveva voluto sapere ogni cosa. Mara aveva cercato di raccontare l'essenziale e, ancora una volta, si era sentita colpevole e senza via d'uscita. Dopo Silvia si era chiusa in camera sua ed era rimasta lì per tutto il resto della mattinata. Mara aveva cercato di farla uscire con la scusa del pranzo, ma era stato tutto inutile. La porta restava chiusa e poteva solo sentirla piangere sommessamente attraverso la porta. Alle due del pomeriggio lo squillo del telefono la distolse dall'accendersi l'ennesima sigaretta. «Pronto» «Buon giorno, cercavo Silvia» Mara restò turbata da quel forte timbro di voce. «Sono sua madre, chi parla?» «Mi chiamo Claudio, se Silvia è in casa, me la può are per favore?» Mara pensò che forse quello era un modo per far uscire Silvia da quella specie di trance in cui era caduta.

«Senti Claudio, Silvia sta poco bene e non posso artela, perché non vieni a trovarla?» «Vuol farmi credere che sta così male da non poter venire al telefono.» «Si è così.» «Arrivo subito.» Claudio uscì in fretta da casa sua. «Ma se ieri stava benissimo!» Pensò. La strada gli sembrava troppo lunga. Finalmente arrivò. Esitò un momento poi suonò il camlo. Quando Mara aprì la porta entrambi restarono in silenzio, Claudio ebbe l'impressione di esser valutato, poi la donna gli sorrise. «Sei Claudio vero? Entra.» Mara gli spiegò che Silvia aveva ricevuto una cattiva notizia ed era quasi in stato di shock e aggiunse, forse lui avrebbe potuto fare qualcosa. Claudio annuì. Mara bussò alla camera. «Silvia, c'è qui Claudio» disse. La porta venne aperta timidamente. Mara si fece da parte e lasciò che Claudio entrasse nella stanza. «Ehi, cosa succede?» chiese Claudio dolcemente a Silvia, che mostrava due occhi rossi gonfi di pianto. «Oh, Claudio, quella donna è una strega» disse tra le lacrime. «Su dai, raccontami tutto.» Silvia singhiozzando fece un racconto molto confuso mentre Claudio ascoltava in silenzio.

«Non so come farò adesso a sopportare la sua vicinanza dopo quello che mi ha detto» disse Silvia «ha rovinato la mia vita» continuò. «Forse anche la sua, Silvia, ma non oggi, già diverso tempo fa» replicò Claudio. «Senti Silvia, lo so che adesso questa verità ti sembra terribile, ma hai la forza per affrontarla, credimi anche se non lo sai e se ti sembra impossibile.» Silvia annuì. Poi, realizzando che lui era lì a casa sua, lo guardò stupita «A proposito, ma come mai sei qui, a casa mia?» «Ho telefonato per sapere di te e tua madre mi ha invitato. Evidentemente vuole farsi perdonare visto che ha osato sfidare anche le critiche della gente perbene di questo paese.» «Esagerato» «Non esagero, tesoro. Qui io sono segnato a dito non solo per le mie stranezze, ma per il comportamento di mia madre e tutto quello che non rientra nei loro canoni di perbenismo bigotto.» «Tu non sei strano» replicò Silvia. «Sei sicura? Guarda che tutti dicono che lo sono…» «A me non importa quello che pensa la gente, ognuno può dire quello che vuole, per me tu sei l'unica persona giusta tra questa moltitudine di pettegoli» «La tua fiducia mi riempie di orgoglio, comunque adesso parliamo di te. Dal tuo confuso racconto ho intuito una verità molto grave soprattutto per tua madre.» Silvia annuì. «È moralmente responsabile della morte di mio padre, lo voleva lasciare e lui si è suicidato.» «Attenta, non fare affermazioni così pesanti. Tua madre voleva divorziare d'accordo, ma in fondo non amava più tuo padre. Mara ha tentato di conquistarsi il diritto alla felicità, ma le è andata male. È soprattutto una vittima, perché tuo

padre con il suo gesto l'ha condannata a macerarsi l'anima nel rimorso» si fermò a pensare un attimo «e poi credimi Silvia, una persona che si toglie la vita ha qualche problema preesistente, forse tuo padre soffriva di depressione già da prima.» «Io non ricordo di aver mai visto mio padre depresso, mi sembrava sempre di buon umore, almeno quando stava con me, ma avevo circa sei anni quando è morto, non so» disse Silvia sospirando. «Non voglio giudicare tuo padre e neanche tua madre, ma tutti possiamo sbagliare. Bisogna aver la forza di riconoscere i propri errori e cercare di rimediare e ricominciare da lì.» Silvia restò in silenzio per un po'. Quando parlava con Claudio anche quell’evento tragico della sua vita diventava più sopportabile. «Sembri così saggio.» «Te l'ho detto che sono un tipo strano!» Silvia abbozzò un sorriso. «Probabilmente hai ragione, forse mia madre è anche una vittima, forse mio padre ha sbagliato, ma non è questo il punto. Resta il fatto che io non amo mia madre, posso averne pietà, posso compatirla, posso anche cercare di capirla, ma amarla no. Non è cattiveria, non l'amo più e basta, perché non c'è più quel trasporto, quell'affetto, quella disposizione che lei ha ucciso con il suo atteggiamento, con la sua freddezza. È inutile tentare di costruire un rapporto affettivo che non c'è mai stato. Per tutta l'infanzia mi sono sentita respinta e questo mi ha reso fragile e insicura.» Claudio annuì gravemente. Chi meglio di lui poteva capirla? Viveva da anni una situazione analoga. Mara entrò in quel momento con un vassoio colmo di bibite. «Ha svaligiato un bar?» chiese Claudio. Mara fece un sorriso.

«Come hai fatto a indovinare?» «Ho molto intuito» rispose versandosi un’acqua tonica. Mara sedette impacciata sotto lo sguardo di Claudio. Pensò che doveva dire qualcosa. Sorrise, ma fu una smorfia. «E così tu vai a scuola con Silvia.» «Stesso istituto, ma non la stessa classe» corresse Claudio «quest'anno io ho gli esami di maturità» «Capisco» disse Mara «comunque siete molto amici a quanto pare» «Amici e alleati contro Fiorita» rispose Claudio. Silvia ascoltava senza pronunciarsi. Strano che sua madre avesse invitato Claudio in casa. Perché lo aveva fatto? Malsana curiosità o desiderio di riconciliazione? L'unica cosa che capiva era che Claudio sembrava stesse conquistando anche sua madre. «Resta a mangiare da noi Claudio, la nostra tavola è sempre troppo vuota.» Nessuno dei tre, in fondo, aveva voglia di mangiare, ma restarono seduti a tavola fino a tardi. Fu sempre Claudio a parlare. Raccontò del lavoro di avvocato di suo padre a Roma, delle mostre di pittura organizzate da sua madre, di quello che stava studiando per la maturità e dei progetti universitari. Non aveva mai parlato così tanto. Mara lo ascoltava con attenzione, sembrava molto colpita da lui. Silvia si chiese cosa si sarebbero detti dopo lei e sua madre. Dopo i saluti Silvia si barricò in camera sua desiderando solo un sonno profondo in cui annullarsi. Fu invece una notte agitata che ebbe come solo conforto il pianto. Cercava di ricordare come era suo padre. Perché si era ucciso? Davvero lo aveva fatto perché non voleva perdere sua madre? Ma non avrebbe dovuto combattere per lei. Perché si era subito arreso? Non aveva pensato a lei che era una

bambina, che aveva bisogno di lui? Ripensò al viso di suo padre, aveva un viso dolce, una leggera barba bionda e gli occhi azzurri dietro due occhialini tondi che gli davano un’aria intellettuale. I radi capelli biondi e la piega delle labbra un po’ amara. Quella era l’espressione che vedeva nella foto esposta in salotto. In quella foto aveva un lieve sorriso e non sembrava triste. Ma forse era lei che lo ricordava così. Aveva solo sei anni, non poteva ricordare bene come era suo padre. Non sapeva cosa lo tormentava. Sapeva solo che l’aveva abbandonata. Pensò a Claudio. Il pensiero di lui la sosteneva. Se non fosse stato per lui si sarebbe sentita perduta. Se non ci fosse stato lui, si sarebbe disperata e forse avrebbe desiderato morire anche lei. La vita era strana, le aveva fatto incontrare Claudio donandole una felicità incredibile e nello stesso tempo aveva scoperto la verità su suo padre. Era una fortuna averlo accanto in quel momento. Verso l'alba si alzò da quel letto troppo colmo di inquietudine e si diresse in cucina. Mara era seduta vicina alla finestra intenta a guardare il cielo che si stava schiarendo lentamente dopo la sorda oscurità di quella notte. Silvia fece per tornare indietro, ma Mara la chiamò. La ragazza a malincuore tornò sui suoi i, prese una sedia e sedette di fronte a sua madre. «Ti sei svegliata presto» disse. «Non sono andata a letto. Ho pensato a te.» «Ah!» Fu l'unico suono che riuscì ad emettere Silvia. «Voglio cominciare ad essere tua madre sul serio, vorrei anche essere tua amica, non so bene se questo sia possibile, mi rendo conto che finora non sono stata né l'una né l'altra. Se mi consideri responsabile della morte di tuo padre, se mi condanni e ti chiudi in te stessa, allora non posso fare niente, ma se mi aiuti possiamo ancora salvare la nostra famiglia, o quello che ne resta>> Le porse la mano. Silvia gliela strinse, ma restò muta. Provava per sua madre un insieme di sentimenti contrastanti che non riusciva a definire. Dopo un lungo

silenzio, divincolò dolcemente la mano da quella di sua madre. «Anche tu dovrai aiutarmi, mamma» disse infine con un sospiro. *** «Posso venire a casa tua Claudio?» chiese Silvia al telefono. «Certo Silvia stavo studiando, ma se hai un alternativa allettante posso smettere» rispose Claudio «Voglio stare con te, da sola, tua madre è fuori, vero?» «Sì è fuori, lo sai che sei diventata piuttosto sfacciata, pensare che eri una ragazzina riservata e timida. Mi fai quasi paura» replicò lui «Bugiardo» Silvia sorrise immaginando la sua faccia «Sei ancora lì, cosa aspetti ad arrivare da me. Ti aspetto!» «Sono lì tra dieci minuti.» Silvia percorse velocemente la strada che la separava dalla casa di Claudio, aveva solo voglia di stare tra le sue braccia. In quei giorni ava ogni minuto che poteva con lui e aveva solo voglia dei suoi baci e del suo corpo. Gli sembrava impossibile ogni volta provare una sensazione così intensa, non era sesso tra loro, era una fusione di corpo e anima. Almeno per lei era così. Ma in fondo non le importava se per lui non era lo stesso, lo sperava, certo e a volte le sembrava, ma lei non si era mai sentita così viva. Dopo il chiarimento con sua madre non si faceva più nessun scrupolo a mostrare a Mara quello che provava per Claudio. Voleva stare con lui e non voleva perdere neanche un attimo di quella inaspettata felicità. «Senti, ma non è che tua madre mi fa arrestare un giorno o l’altro» chiese Claudio mentre la teneva stretta nel suo letto. «Non credo proprio, visto che sta cercando di recuperare il mio affetto» rispose Silvia stringendosi di più a lui.

«Amore, ma lo sai che sono sul bordo del letto e che sto per cadere? Tutte le volte che ti avvicini a me perdo terreno, questo è un letto singolo.» Silvia rise «scusa, non me ne sono resa conto.» «Andiamo un po’ fuori? Facciamo la doccia insieme e ci rivestiamo prima che rientri mia madre e ci colga nel peccato.» «Mi sembra una bella idea» disse Silvia «ho sempre sognato di provare la tua doccia.» Quella intimità tra loro le sembrava fantastica e del tutto naturale, con lui si sentiva in paradiso e incredibilmente al sicuro, come non lo era mai stata.

Capitolo 7

Per Claudio arrivò finalmente il giorno degli esami orali di maturità e Silvia si sentì in apprensione come se avesse dovuto sostenerli lei. Gli scritti erano andati bene, anche se i voti non si distanziavano troppo dalla sufficienza. Claudio pagava lo scotto della sua irrequietezza in classe e del suo atteggiamento sempre troppo polemico con i professori. Silvia aspettava trepidante fuori dall’aula un po’ in disparte. Quando finalmente vide uscire Claudio con la faccia sorridente assieme al suo amico Sandro tirò un sospiro di sollievo. Dalle loro facce sembrava fosse andato tutto bene. Salutarono Sandro, che aveva deciso di fermarsi per seguire gli esami degli altri suoi amici, e corsero fuori dalla scuola. «Beh, anche questa è fatta!» Esclamò Claudio appena uscito. «Tutto è bene quel che finisce bene» disse Silvia «anche se comincia male.» Claudio sorrise e l'abbracciò. «Sono maturo! Che gran bella cosa: aspettare il colloquio con cinque illustri sconosciuti, perché alla fine ti dicano che sei maturo» si rivolse a Silvia «che ne pensi?» «Per me eri “maturo” anche prima degli esami e comunque ti amerei anche se ripetessi tre volte la terza liceo e ti assegnassero il diploma di asino con il massimo punteggio» Claudio la guardò ammirato e divertito. «C'è mancato poco che lo fero, comunque la tua fiducia merita un premio» le diede un bacio poi tornò a guardarla. Le sembrava così luminosa.

«Oggi sei bellissima, mi spieghi dove hai preso tutti quei capelli così incredibilmente biondi e vaporosi? Potresti reclamizzare un farmaco contro la calvizie» «Che fai sfotti?» «No, dico sul serio. Hai dei capelli bellissimi, perfetta cornice ai tuoi occhi azzurri.» «La mia bellezza è alquanto banale» minimizzò Silvia «di occhi azzurri e capelli biondi ne trovi in giro quanti ne vuoi; la tua bellezza invece è qualcosa di squisitamente raro.» Claudio gonfiò il petto orgoglioso. «Attenta ragazza! Potrei ripudiarti se insisti troppo, la tua bellezza troppo comune non è degna della mia rarità» l'abbracciò ridendo. Silvia finse una faccia truce «se mi ripudiassi, ammazzerei tutte le donne che troveresti sul tuo cammino. Nessuna potrebbe amarti e continuare a vivere.» «Assassina!» replicò lui. Continuarono a camminare lungo il viale alberato fuori dalla scuola senza una meta precisa, felici. Silvia aveva l'impressione di vivere una favola. Con lui non si annoiava mai, anche quando non avevano niente da dirsi restavano a contemplarsi e a farsi strane smorfie e finivano per ridere commossi dei loro giochi. «Non mostrarmi la lingua altrimenti te la mordo» disse Claudio «Se è una scusa per baciarmi potresti trovarne di migliori» rispose lei. «Io baciare te? Non ne ho alcuna intenzione, sei tu che fai di tutto per provocarmi!» «Sei un gran presuntuoso, per punizione ti scrocco una sigaretta.» «Vedi! Questo è solo un pretesto per infilarmi le dita nel taschino e toccarmi il torace, sapendo benissimo che è un mio punto sensibilissimo. Se non è

provocazione questa!» «Guardi» disse Silvia accendendosi una sigaretta e guardandolo con l’aria da donna fatale «che non ho mai avuto bisogno di provocare un uomo. Bastava uno sguardo per farlo cadere ai miei piedi.» Claudio fece uno sguardo ironico. «Così lei vuol farmi credere di essere una mangiatrice di uomini» Claudio simulò una risata «ah!ah!» «Cosa vuol dire “ah ah”?» chiese Silvia guardandolo minacciosa «Ma se non riesci neanche a mangiare un gelato senza sporcarti!» Silvia cominciò a rincorrerlo per tutto il parco, poi quando lo raggiunse l'abbracciò. Claudio rideva divertito. «Ma ti rendi conto che hai finito la scuola? Adesso sei libero … almeno per un po’» «Già» rispose lui «non dovrò più sopportare le angherie del professore di Italiano, mi mandava sempre fuori.» «Parini … se fosse per me sai dove ti manderei …. E invece ti mando solo fuori da quest’aula … eh ... eh … eh…» Claudio fece una perfetta imitazione del professore e Silvia non poté fare a meno di ridere. In quei momenti Claudio era davvero uno so. «Accidenti, lo imiti proprio bene, mi fai sbellicare! Ma se ti mandava sempre fuori, forse c’era un motivo!» «Beh, non sempre, è che ormai fra noi c’era questo feeling al contrario» continuò Claudio ridendo. Silvia lo osservò, aveva un modo di ridere meraviglioso. E neanche sembrava

rendersene conto. Si stupiva ogni volta di quello che sentiva per lui, era così intenso che le scoppiava il cuore. Era una sensazione mai provata prima, bastava la sua sola presenza per sentirsi bene. Persino abitare a Fiorita non le sembrava più così terribile, anzi era stato uno dei motivi della loro unione, si erano sentiti vicini anche per quello. Tutto quello che prima la infastidiva di quel posto adesso le sembrava accettabile. Claudio era il centro del suo universo e tutto il resto era uno sfondo sbiadito. Claudio la strinse a sé e Silvia affondò la faccia tra le sue braccia, annusando il suo odore leggero di muschio e tabacco. Claudio la scrutò e disse: «Verresti a Firenze con me per il mese di agosto? Devo andare a fare l’iscrizione all’università, ma potrebbe diventare una bella vacanza per noi.» «Io ti seguirei in capo al mondo, ma mia madre?» «Già, tua madre» sussurrò Claudio pensieroso «possiamo cercare di convincerla a lasciarti venire con me...forse non costituisce un grosso problema, ho l'impressione che abbia una vera adorazione per me, te ne sei accorta?» «Certo che me ne sono accorta, in meno di venti giorni l'hai conquistata! Ti ha già regalato due stecche delle tue sigarette preferite, ha riempito il frigo con le tue bevande preferite, comincio ad essere gelosa!» Claudio sorrise massaggiandosi il mento. «Allora stasera le parliamo e, se tutto va bene, la prossima settimana partiamo per Firenze» Silvia si strinse a lui felice. «Ci pensi un mese tutto per noi!» *** Mara si accese una sigaretta, poi scelse una poltrona e si sedette nervosamente di fronte a Claudio. Lo guardò con attenzione, aprì la bocca per parlare, ma si fermò. Claudio le sorrise. «Ti ho messa in imbarazzo?»

«Sì» rispose Mara andosi una mano nei capelli «mi chiedi troppo.» «Via!» disse Claudio «ti sembra una richiesta tanto assurda?» «Non è questo, ma ho l'impressione che vogliate comportarvi troppo da adulti. Volete andare oltre le vostre possibilità.» «Anche se non sembra, siamo abbastanza maturi, siamo giovani, però col grande pregio di riconoscere le nostre responsabilità.» «Non direi Claudio.» «Invece lo dico» la guardò «Mara posso farti una domanda?» Si accese una sigaretta. «Certo» rispose Mara. «Allora permettimi di essere spietatamente sincero, di cosa hai paura esattamente.» «Che possiate mettervi nei guai» La scrutò «che genere di guai?» «Di vario genere.» «Dimmi un po', cos'è che ti preoccupa di più: l’innocenza di Silvia o la mentalità della gente?» Mara si alzò in piedi, non sopportava più lo sguardo di Claudio, come mai quel ragazzo la faceva sentire così a disagio, non era abituata a tutta quella sincerità. Se non avesse acconsentito, Silvia le avrebbe tenuto il muso o sarebbe stata triste per tutto il mese e lei si sarebbe sentita in colpa. E Claudio aveva colpito nel segno, lei era più preoccupata per quello che avrebbe detto la gente. Non sapeva cosa fare. «Me ne frego della gente!» Esclamò quasi per convincere se stessa. «Allora è di Silvia che ti preoccupi? Sembra immorale che due ragazzini vivano

insieme nella stessa casa.» Mara sorrise. «Tu non sei un ragazzino Claudio» non aveva mai conosciuto un diciannovenne così maturo e serio, forse lo era anche troppo per la sua età. Claudio fece un cenno con la testa in segno di reverenza. «Ti ringrazio della concessione! allora la bambina sarebbe Silvia?» «Beh, anche Silvia è più matura della sua età.» Claudio la guardò con aria interrogativa. Mara tornò a sedersi di fronte a lui. «Claudio ... Tu e Silvia avete già…?» non riuscì a continuare. «Questo riguarda soltanto me e lei, quindi non posso risponderti, posso solo dirti che in ogni caso ci comportiamo in modo responsabile.» Mara sprofondò nella poltrona e cominciò a pensare. «Che domanda stupida che sono andata a fare! e poi penso già di conoscere la risposta.» «È difficile essere madre» disse poi con un sospiro. «Lo so, deve essere un mestiere complesso» rispose Claudio alzandosi in piedi, con l’aria avvilita, forse aveva confidato troppo in una risposta positiva, dimenticandosi del posto in cui vivevano. Fiorita non era Roma, né Firenze e tutto quello che sembrava semplice da altre parti lì non lo era per niente. Mara lo osservò: Claudio aveva la barba leggermente lunga e i capelli lisci e neri che ricadevano sulla fronte e gli occhi incredibilmente grandi, sebbene coperti dai capelli, emanavano bagliori di verde. Nonostante la barba e le spalle imponenti aveva proprio l'aria di un ragazzo. Improvvisamente le fece tenerezza e provò verso di lui un ondata di affetto. Sentì che Silvia aveva trovato una persona speciale e fu proprio contenta per lei. «Claudio.»

«Si?» «Va bene, ho fiducia in te, anzi in voi.» La guardò piena di speranza. «Allora vuol dire che…» «Che potete partire, con la mia benedizione» concluse Mara. «Magnifico!» Claudio tornò a sedersi «dici davvero?» Mara scoppiò a ridere. «Però mi telefonate tutti i giorni» «Lo faremo, comunque ti lascio il numero di telefono della casa dove andremo a stare.» «Bene» disse Mara «però taglia i capelli prima di partire, potrebbero arrestarti per vagabondaggio.» Claudio sorrise. «Va bene, lo faccio per te! Taglierò anche questa peluria dal viso, sono tre giorni che non mi rado perché Silvia continua a ripetermi che la barba mi fa risaltare gli occhi. E poi a Firenze non avrò più la possibilità di schifare col mio aspetto i benpensanti di questo paese.» Mara sorrise di nuovo. «Non li sopporti, vero!» Claudio annuì. «Disprezzo soprattutto il loro perbenismo bigotto e falso. Vedi non posso assolverli perché non cercano in nessun modo di superare la loro retriva mentalità. Riescono a sporcare tutto ciò che a sotto i loro occhi, questo mi fa davvero paura.» «Anche a me» si lasciò sfuggire Mara.

«Perché allora accetti di vivere qui?» Mara sospirò «non è facile spostarsi, qui ho il mio lavoro, e poi dove vuoi che vada alla mia età.» «Non hai novant'anni, mi pare.» Replicò Claudio. Mara alzò le spalle. «Ho trentotto anni, ma me ne sento molti di più e poi, ormai vivo qui e non saprei dove andare.» «In agosto resterai sempre qui? Potresti concederti una vacanza» replicò Claudio «Ci penserò» disse Mara, anche se sapeva che sarebbe rimasta lì tutto il mese. Claudio si alzò e guardò l'orologio, «tua figlia si fa attendere.» «Non preoccuparti, fra un po' arriva. Dove andrete stasera?» «A mangiare una pizza, probabilmente» Silvia apparve sulla porta. «Finalmente» esclamò Claudio «Ciao» disse lei sorridendo. Mara la guardò, ogni giorno sua figlia le sembrava più donna, il suo sorriso infantile la rendeva ancora più bella. Com'era diversa dalla ragazzina scontrosa di qualche mese prima. Adesso aveva una luce nuova negli occhi. «Beh ragazzi, divertitevi e non fate troppo tardi» disse loro. Restò sulla porta a guardarli mentre si allontanavano. Richiuse la porta e rientrò in salotto, accese il televisore, ma non lo guardava, pensava a Silvia. Per la prima volta si sentì fiera di sua figlia e molto grata a quel ragazzo dagli occhi verdi che gliela aveva fatta ritrovare.

Capitolo 8

Claudio posò il libro per terra e chiuse gli occhi stanchi augurandosi di dormire. Dopo cinque minuti riaprì gli occhi e si mise a guardare la massa scura del soffitto. Erano le cinque del mattino e aveva già letto due libri. Richiuse gli occhi, poi li riaprì e innervosito scese dal letto, aprì la finestra e guardò il cielo pieno di stelle. «Maledizione! Domani farà più caldo di oggi» pensò. Attribuiva al caldo torrido di quella estate la colpa della sua insonnia, dimenticando che non dormiva anche d'inverno. Si appoggiò al davanzale e si accese una sigaretta. «Bene» pensò « considerando che ogni sigaretta dura circa cinque minuti, fra dodici sigarette saranno le sei del mattino.» Guardò la strada deserta e si sentì tremendamente solo, e impotente di fronte a quella solitudine. Prese un'altra sigaretta e l'accese col mozzicone della precedente. Quando si accorse di aver finito le sigarette scese dal davanzale e si mise alla scrivania, appoggiò i gomiti sul ripiano del tavolino e buttò il viso tra le mani. Si sentì invadere dall'angoscia, un vuoto che lentamente penetrava in lui. Aveva voglia di piangere, ma quel vuoto lo lasciava sempre senza neanche il conforto delle lacrime. Finalmente si riscosse, rialzò la testa, prese un foglio di carta e cominciò a scrivere: «Caro Fausto, sto navigando in una notte melmosa e putrida di caldo. Poco fa ho finito di leggere “ L'antologia di Spoon River” quelle epigrafi mi hanno messo addosso un'allegria masochista che ben presto si è trasformata in angoscia suicida, ma amo troppo la vita per lasciarmi vincere dall'insonnia. No, non preoccuparti. Non ti scrivo solo per dirti questo. Ti comunico che il 31 di questo mese io e Silvia arriviamo a Firenze con il treno delle sette. Ti aspettiamo in stazione anche perché dovrai ospitarci per qualche giorno, dato che il mio appartamento è in ristrutturazione. Chi è Silvia? Che sbadato non te l'ho detto: è la mia ragazza.

Grazie del dipinto che mi hai spedito, è sublime. Hai davvero talento. Non ti fidi del mio giudizio? Preferisci quello di un critico d'arte? Pazienza! Beh, ciao ci vediamo il 31.» Firmò la lettera, poi la mise in una busta senza rileggerla. Immaginava la faccia di Fausto quando avrebbe letto la lettera, si divertiva troppo a scrivere boiate al suo amico e lui avrebbe risposto con un fumetto o con una telefonata della serie “cosa ti eri fumato oltre alle sigarette?” Guardò l'orologio: erano le sette. Adesso non aveva proprio più niente da fare. Si guardò intorno, vide la chitarra in un angolo della stanza, l'afferrò e cominciò a strimpellare una canzone di Guccini. Senza cantare, in certi momenti non sopportava la sua voce. Poi sentì dolore ai polpastrelli, posò la chitarra e decise di fare una doccia. L'acqua fredda ebbe il potere di ridestarlo alla vita, si sentì più allegro finalmente. Uscì di casa mentre le strade stavano popolandosi di gente. Entrò da un tabaccaio, comprò le sigarette e un francobollo. Infilò la busta nella prima cassetta postale che trovò e si diresse verso casa di Silvia. Un'altra notte era stata superata. *** Mara gli disse che Silvia che stava ancora dormendo. Claudio entrò nel soggiorno, scelse una sedia e si sedette. «Sta dormendo» , quel pensiero gli diede un po' fastidio, si sentì improvvisamente distante da lei. Il sonno, quell'universo che da molto tempo ignorava, lei poteva esplorarlo a suo piacimento. Si sentì escluso, solo e triste. Mara gli portò da bere, Claudio si alzò. «Posso andare a svegliarla?» Mara resto interdetta poi rispose: «va bene Claudio... se vuoi…» Si avvicinò alla camera di Silvia e bussò alla porta, non rispose nessuno. Aprì la

porta e la vide, entrò nella camera e le si avvicinò, lei dormiva con le braccia sollevate e le mani aperte come a difendersi da un oscuro pericolo. Provò tenerezza nel guardarla e le diede un bacio sul mento. Silvia sorrise e si stiracchiò nel sonno, dopo un po' aprì lentamente gli occhi, li richiuse per riaprirli precipitosamente. «Claudio!» Esclamò Lui rise. «Sono venuto a svegliarti dormigliona.» Silvia lo abbracciò. «Che dolce risveglio! Pensavo di avere le traveggole, invece sei proprio tu>> lo guardò stupita << ma mia madre?» chiese. «L'ho messa a cuccia» rispose Claudio sorridendo. Silvia rise, poi tornò a guardarlo, gli ò le dita sotto gli occhi. «Hai le occhiaie, Claudio hai dormito male?» Lui la guardò e provò un'immensa gratitudine. «Ho dormito male, sì» rispose. Pensò fra sé che non aveva dormito affatto e che questo accadeva da diverso tempo, ma preferì non preoccuparla. «Come mai? Hai delle preoccupazioni? Eppure gli esami sono ati!» «Mai stato preoccupato per gli esami, no è solo il caldo» rispose lui. «Beh, adesso fatti una doccia in fretta che ce ne andiamo un po' in giro.» «Dove?» «Dove ci pare, possiamo fare un giro al parco oppure più tardi andare fuori dal

paese, posso prendere l’auto.» Silvia saltò giù dal letto ed entrò nel bagno, Claudio sentì lo scroscio della doccia e si allungò sul letto che conservava ancora il tepore di lei, si girò, affondò la faccia nel suo cuscino e respirò piano. Si sentì meglio dopo quella notte di angoscia, ma ancora non riusciva a scacciare quello sgomento che sempre lo prendeva. «Più mi accorgo di amare la vita, più mi rendo conto del vuoto assurdo su cui siamo sospesi e cerco invano un senso. Perché?» Si rialzò bruscamente, non voleva pensarci, anche se quel tormento ritornava sottile nei momenti più impensati. Silvia uscì avvolta nell'accappatoio, prese alcuni vestiti dall'armadio e ritornò in fretta nel bagno dopo avergli detto un "ho finito" con un sorriso. «Prova anche lei questo vuoto?» Si chiese Claudio. Di questo non avevano mai parlato. Si sentiva strano e pesante, soprattutto quando aveva l'impressione di non vivere la sua vita, si sentiva al di fuori di essa e nello stesso tempo vi ripiombava con una vertigine. Si riprendeva subito dopo questi momenti, gli bastava guardare Silvia e sentirla viva e vicina. «Claudio ti vedo stravolto. Che hai?» Se la vide di fronte vestita d'azzurro, con uno sguardo preoccupato, lui le diede un pizzicotto sulla guancia e le sorrise. «Non ho niente, stai tranquilla.» Percorsero il corridoio lentamente parlando del viaggio a Firenze e di tutti i preparativi. Mara li guardò intenerita e pensò che erano davvero felici. Claudio guardò Mara, intuì quel pensiero e ne sorrise.

«Allora avete proprio deciso di partire alla fine del mese?» Chiese Mara «Sì» risposero in coro entrambi, poi si guardarono e scoppiarono a ridere. Rise anche Mara. «Va bene ragazzi però sappiate che a Firenze farà ancora più caldo, preparatevi all’idea. Se volete fare colazione, è tutto pronto in cucina» aggiunse poi. I due ragazzi si recarono in cucina e mangiarono chiacchierando allegramente. Claudio si sentiva nuovamente sereno, aveva dimenticato le angosce notturne e si inebriava estasiato degli sguardi di Silvia, la vedeva incredibilmente bella, giovane e piena di vita. Si sentiva leggero in quel momento e la vita gli sembrava un'immensa giostra dove ogni tanto era preso dalle vertigini, ma poi tutto ava e tornava a girare per il verso giusto. La piccola cittadina era rovente nel sole di luglio e i loro i sull'asfalto erano ovattati e leggeri. Era difficile trovare un filo d'ombra e dopo un po' si fermarono esausti. «Senti cerchiamo un posto al fresco, altrimenti fondo» esclamò Claudio. Silvia si ò una mano sulla fronte sudata. «Hai ragione, ma dove lo troviamo?» «La nostra quercia!» si ricordò Claudio «l'abbiamo dimenticata.» Corsero a perdifiato lungo i viali del parco mentre alcune persone anziane li guardavamo severamente lanciando improperi contro le nuove generazioni irriverenti. Caddero infine ai piedi della quercia sudati e stanchi, ma felici.

Capitolo 9

Firenze La stazione era molto affollata, Silvia si sentiva quasi soffocare. «Ma perché c'è tanta gente» chiese Silvia infastidita. «Tutti vanno in ferie in questo periodo» rispose Claudio «aspetta qui, faccio i biglietti.» Silvia si mise a guardare i giornali esposti in edicola, quel senso di indipendenza le dava alla testa, aveva l'impressione di essere ubriaca. Claudio arrivò con i biglietti. «Ecco fatto. Sbrighiamoci il nostro treno parte tra un quarto d'ora.» Si sistemarono in uno scompartimento meno affollato in coda al treno, sedettero l'uno di fronte all'altro e parlarono di quello che avrebbero fatto a Firenze. «Per qualche giorno staremo da Fausto, te ne ho parlato, poi andremo nel mio appartamento. È un investimento di mio padre. Bisogna ripulirlo un po’ ma è già ammobiliato in parte, mi aiuterai a completarlo.» Silvia gli sorrise tutta eccitata. «Oh, sarà magnifico» disse «quando arriviamo andremo all'università a prendere i moduli per l'iscrizione?» Claudio assentì. «Ci andremo dopo il 15, tanto per le matricole c'è tempo.» «Hai deciso cosa fare? Non ne abbiamo più parlato.» «Vedi, Silvia in realtà me ne frego dell'Università, è un modo come un altro per

scappare da Fiorita. Mio padre vorrebbe che scegliessi giurisprudenza perché lui fa l'avvocato, mia madre non si è mai pronunciata in proposito, mi ha sempre detto di fare quello che mi sentivo di voler fare ed io non ho, in fondo, le idee chiare. Tu cosa ne dici?» «Se ti piace la filosofia non ti resta che una facoltà umanistica. Te lo puoi permettere, anche se resti disoccupato non hai problemi di soldi mi pare?» «È mio padre che non ha problemi di soldi, non posso mica stare sulle spalle dei miei per il resto della vita» si oppose Claudio «tu cosa sceglieresti?» «Medicina» rispose Silvia. «Caspita, mi sono perso qualcosa, non amavi la letteratura?» «Si, ma se dovessi scegliere un'alternativa mi piacerebbe curare le persone» «E i tuoi sogni letterari?» Silvia sorrise, poi lo guardò con aria di rimprovero. «Da quando mi sono innamorata di te non riesco più a scrivere, mi hai bloccato l'ispirazione. Penso solo a te e le idee non vengono fuori.» «Allora prova a scrivere un libro su di me» esclamò Claudio sorridendo. «Sarei troppo sentimentale se parlassi di te nel mio libro» rispose lei. Lo guardò seriamente. «Sai, in fondo, non me ne importa più. Prima scrivevo per riempire un vuoto, mi illudevo di scrivere qualcosa di buono, ma in verità traevo spunto dalle leggende greche o latine dei libri di scuola, pensa che una volta ho tentato di scrivere la “Medea” in versione contemporanea.» «È sempre un modo per cominciare, se qualcosa lo si fa con ione è sempre positivo. Del resto io credo in te. Forse hai davvero la stoffa della scrittrice. Non ti costa nulla provare.» Silvia lo abbracciò al colmo della felicità. Adorava il fatto che Claudio prendesse sul serio le sue aspirazioni letterarie, era importante che qualcuno

credesse in lei, perché lei stessa nutriva dei seri dubbi. «Tu spesso ti sottovaluti» la rimproverò Claudio che aveva intuito i suoi pensieri. Silvia fece un segno di assenso con la testa. «Però non hai ancora risolto il tuo problema.» Claudio alzò le spalle. «Quando prenderò una decisione definitiva sarà una sorpresa anche per me.» Dopo un’ora Silvia si addormentò, Claudio la coprì con la sua giacca di jeans, poi appoggiò la testa al finestrino e guardò per tutto il viaggio il paesaggio mutevole di alberi e case isolate. Si sentiva felice e con una strana sensazione di libertà, non avrebbe avuto più tutti gli occhi addosso, non che questo cambiasse il suo atteggiamento, però lontano da Fiorita cominciava a sentirsi finalmente più leggero. E poi era con Silvia, gli sembrava un miracolo poter stare tutto il tempo con lei in una dimensione così diversa dal solito. La guardò, era addormentata, il viso sereno con un leggero sorriso, era bellissima. Voleva solo stare con lei e vivere intensamente i prossimi giorni insieme. Non voleva pensare ad altro, per ora.

Capitolo 10

Mara Mara introdusse il foglio nella macchina da scrivere e cominciò a battere sui tasti. Quelle giornate le sembravano incredibilmente lunghe, guardò l'orologio impaziente. Si sentiva stanca e non vedeva l'ora di lasciare l'ufficio per riposarsi. Tornare a casa, rinfrescarsi con una doccia e sentire un piccolo refrigerio in quella giornata torrida. In realtà la sua non era proprio una stanchezza fisica, si sentiva più che altro spossata e indolente, annoiata e sola. Quando tornava a casa ava il resto della serata a guardare distrattamente la televisione cercando di vuotare la mente da ogni pensiero, cercava di non far scivolare la mente nei ricordi. La settimana successiva cominciavano le sue ferie e lei non aveva assolutamente idea di come impiegare il tempo, avrebbe dormito di più al mattino, ma poi cosa avrebbe fatto? Finché Silvia era bambina avevano ato sempre la settimana di ferragosto in una piccola pensione al mare, quell'anno però le cose erano andate diversamente visto che Silvia era a Firenze con Claudio. Non rimpiangeva la settimana al mare, non si era mai sentita del tutto a suo agio in quelle giornate monotone scandite dagli orari dell'albergo però adesso, che aveva davanti tutto quel tempo libero, si sentiva un po' smarrita. «Allora dove andrai a ferragosto?» le chiese la sua collega Mara sospirò «non lo so ancora, probabilmente resto qui, visto che non ho prenotato da nessuna parte, dato che Silvia non c'è. Mettiamola così, ho un sacco di libri da leggere.» Quando lasciò l'ufficio si guardò intorno imbambolata. « Sono libera» pensò tristemente « libera per fare cosa?» si chiese poi. Pensò ai suoi genitori che non

c’erano più da due anni. Sentiva la loro mancanza e pensava che li aveva persi entrambi troppo presto. Suo padre aveva avuto un ictus che lo aveva costretto su una carrozzina e, per tre anni, sua madre lo aveva accudito amorevolmente. In quel momento aveva capito quanto sua madre lo amasse. Si era dedicata a lui con affetto e dolcezza e finché lui era stato bene anche se doveva essere accudito come un bambino lei era stata serena. Non si era mai lamentata della fatica che quella situazione comportava. Poi quando all’improvviso il cuore di suo padre non aveva più retto, sua madre si era come spenta. Le aveva chiesto di andare a vivere con loro, ma lei non aveva voluto, voleva restare nella casa in cui aveva vissuto con lui. Nel giro di sei mesi sua madre morì a causa di un aneurisma polmonare e Mara si chiedeva ancora se poteva essere salvata, se fosse stata in casa con lei forse avrebbero potuto intervenire in tempo. Da ragazza le erano sembrati opprimenti con la loro visione della vita fatta di regole rigide e di buon senso, ma forse anche loro avevano fatto del loro meglio. Lo aveva capito diventando madre che, per quanto ci si provi, non si riesce mai ad essere se non perfetti almeno adeguati. Quando finalmente li aveva compresi e amati con la serenità dell’età adulta li aveva persi. La vita era ingiusta, conosceva molti che a cinquanta o sessanta anni avevano ancora entrambi i genitori, invece lei li aveva perduti così presto. Le sembrava una grave ingiustizia anche se, a volte, quella consapevolezza del dolore superato la faceva sentire in vantaggio. Quel dolore lei non doveva più affrontarlo, era già sopravvissuta ad esso. Quei pensieri la facevano sentire ancora più triste.

Cominciò a camminare lentamente lungo la strada principale del paese, erano le cinque del pomeriggio e faceva davvero caldo. Camminava lentamente, non aveva fretta di arrivare a casa, nessuno l'aspettava. Un'automobile le sfrecciò accanto poi rallentò, infine si fermò.

L'uomo al volante si voltò a guardarla mentre lei si avvicinava. Mara era troppo assente per accorgersene, sentì infine quello sguardo su di lei, alzò gli occhi e per un attimo avrebbe voluto scomparire e nascondersi.

«Andrea» pensò.

Lui era sceso dell'automobile e la guardava dal suo metro e novanta di altezza. Mara lo riconobbe subito nonostante la barba che si era fatto crescere e i capelli brizzolati.

Era ancora più affascinante di come lo ricordava, il suo viso più magro e più scavato di un tempo, con le rughe diventava addirittura più intenso.

Lei invece si sentiva un orrore, dopo una giornata di lavoro, con il poco trucco sciolto dal caldo, doveva avere un aspetto terribile. Ma cosa diavolo ci faceva lì, viveva a Roma?

«Mara, sei proprio tu, non mi ero sbagliato» lui la prese per le spalle e le sorrise.

«Si, sono io» rispose lei in un soffio e in quel momento avrebbe voluto abbracciarlo e cercare rifugio in quelle braccia così forti.

«Cosa fai da queste parti?»

«Sono stato a un convegno in zona e così ho deciso di are da qui, in realtà non speravo di incontrarti così facilmente, ho fatto un giro per il paese, semi deserto» rispose lui «A quest'ora del pomeriggio con questo caldo chi vuoi che vada in giro?>> «Tu, ci sei!>> replicò lui «per fortuna» aggiunse. «Sì, perché sono appena uscita dall'ufficio e sono in condizioni pietose»

«Secondo me stai benissimo Mara.» «Bugiardo! Ma apprezzo la tua gentilezza» rispose lei. «Senti, potremmo cenare insieme stasera, oppure hai già qualche impegno?» «Non ho nessun impegno stasera» disse Mara « e a dire il vero neanche nei prossimi giorni » pensò, ma non lo disse, non voleva che Andrea interpretasse male le sue parole. «Allora, possiamo andare a mangiare da qualche parte, anzi potremmo andare al mare a mangiare il pesce, cosa dici? O dove vuoi tu.» Mara pensò che non chiedeva di meglio, da quanto tempo non usciva con qualcuno? Aveva ato gli ultimi anni solo in funzione di sua figlia e a parte i momenti con lei non faceva mai nulla di speciale. «Volentieri, ma vorrei are da casa a farmi una doccia, cambiarmi e rendermi più presentabile.» «Va bene, ti accompagno a casa, abiti sempre nello stesso posto?» «Sì, stessa casa di dieci anni fa» Andrea le aprì lo sportello dell'auto. Mara salì senza aggiungere altro. Le sembrava impossibile che Andrea fosse lì accanto a lei, forse stava sognando, aveva desiderato tanto rivederlo e nello stesso tempo aveva temuto quell'incontro. Come mai era ritornato da quelle parti, era tornato a cercare lei, perché? Sicuramente nel frattempo si era sposato, magari aveva dei figli. «Mi trovi cambiato?» Chiese lui mentre guidava. «A parte la barba e qualche ruga sei sempre uguale, anzi le rughe ti donano, la fortuna degli uomini! Le donne con il are del tempo diventano più brutte e invece gli uomini diventano più affascinanti.» «Non mi pare che tu sia diventata una vecchia megera» replicò lui «anzi sembri

ancora una ragazzina.» Mara gli sorrise con gratitudine, ma senza credergli e finalmente riuscì a formulare la domanda che gli bruciava in gola da quando lo aveva rivisto. «Cosa hai fatto in questi anni? Ti sei sposato?» Andrea abbozzò un sorriso. «No» rispose «non ho trovato la persona giusta» aggiunse «e tu? Hai qualcuno?» «Nessuno, non sto con nessuno da molto tempo ... circa dieci anni, direi.» *** A volte per poter andare avanti bisogna aver la forza di guardare indietro. Andrea lo pensava da quando era finita la sua ultima relazione con una ragazza giovane, forse troppo per lui. Dopo i primi mesi di euforia aveva cominciato ad annoiarsi, il tempo con lei le sembrava perso e vuoto, e c'è poco da fare, le donne lo sentono quando ti allontani da loro, quando cominci ad essere distratto e annoiato. E come in tutte le altre storie era stato lei a lasciarlo, risparmiandogli anche il disturbo di doverlo fare in prima persona. «Ti sei mai chiesto perché le tue storie finiscono sempre allo stesso modo?» Le chiese un giorno sua sorella Gloria. «Ti metti sempre con donne che sai già che lascerai, hai paura di impegnarti davvero.» «Veramente sono loro che lasciano me» replicò Andrea. «Sei tu che le metti in condizioni di farlo! E non fare finta di non saperlo.» Andrea rimase muto, sapeva che Gloria aveva ragione. Tutte le volte provava un po' di delusione di fronte alla fine di una storia, ma non poteva negare di sentirsi anche molto sollevato.

Negli ultimi tempi però si sentiva piuttosto triste, gli sembrava che la sua vita non andasse in nessuna direzione. Gli mancava un progetto concreto. Quando aveva smesso di desiderare una famiglia e dei figli? C'era stato un tempo della sua vita che lo aveva desiderato profondamente poi però aveva smesso di essere un suo sogno, anzi lo aveva scansato ogni volta che se ne era presentata l'occasione. Ogni volta che rifletteva su questo ripensava a Mara e non poteva fare a meno di chiedersi come viveva adesso e se, almeno lei, aveva trovato una sua dimensione, e se era felice. Quel convegno a soli cinquanta chilometri da dove viveva Mara gli era sembrato un segno del destino. «Potrei andarla a trovare» aveva pensato «Potrei are da lì» quel tarlo lo aveva accompagnato per tutti i due giorni del convegno, non sapendo bene cosa fare. «Stasera torni subito a Roma?» gli chiese il suo collega. «No, ho promesso a dei vecchi amici che stanno da queste parti di are a salutarli» rispose di getto. Aveva detto quella bugia senza troppo pensarci, ma si era reso conto che era proprio quello che voleva fare, voleva andare a cercare Mara. Magari non l'avrebbe trovata, era l'inizio di agosto poteva essere via. Però al limite avrebbe allungato il viaggio di ritorno di un centinaio di chilometri, non sarebbe stato un grande problema. Nella sua vita gli era sembrato sempre di aver sprecato il tempo nella vana ricerca di qualcosa, se anche fosse stato altro tempo perso, non sarebbe stato poi così grave. «Non mi avevi detto che avevi amici in zona» «In effetti sono persone che non vedo da parecchio, però li ho risentiti di recente e, insomma, mi fa piacere rivederli, un tempo siamo stati molto uniti.» Era vero in parte, con Mara aveva condiviso quasi due anni insieme prima che accadesse "l'incidente" che li aveva allontanati. Per lei aveva fatto tante piccole follie, viaggiare tutta la notte solo per poterla vedere due ore, per poi ripartire e rientrare al lavoro. Con lei aveva ato

momenti incredibili e aveva sentito di poter restare con lei tutta la vita. Solo a ripensare ai momenti insieme provava un'emozione fortissima. Doveva rivederla, dopo forse sarebbe andato avanti con la sua vita. Questi erano i pensieri che gli avano per la mente attraversando il breve tratto di autostrada che l'avrebbe portato nel paese di Mara. Il piccolo centro di diecimila anime sembrava indolente e desolato nella luce del pomeriggio estivo ed era esattamente come se lo ricordava. Poche persone per strada. Mara che camminava lentamente sul marciapiede deserto gli era sembrata quasi un'apparizione. Aveva messo a fuoco la figura con difficoltà e poi aveva provato un tuffo al cuore riconoscendola. Era questa la sensazione che ricordava. Quel buco dentro il suo cuore che lei sapeva riempire solo con uno sguardo. In quegli anni aveva sempre inseguito quella sensazione. *** «Siamo arrivati Andrea, siamo a casa mia» Andrea accostò parcheggiando. La guardò. «Posso aspettarti qui, mentre ti prepari, ho parcheggiato all'ombra» aggiunse. Mara scosse la testa «vieni su in casa tanto non c'è nessuno.» «E se incontriamo i tuoi vicini? Non ti preoccupano le chiacchiere della gente?» «Almeno avranno qualcosa da dire, lascia che parlino» Andrea la seguì. In salotto si guardava intorno, osservava i mobili, gli oggetti e tutto ciò che fino a quel momento aveva solo intuito quando pensava a Mara e cercava di immaginarla nella sua casa. «Sono pronta.»

Mara apparve sulla porta con un vestito verde acqua, di media lunghezza, leggermente scollato. «Scusami, non so se il vestito è adatto, è un bel po' che non esco di sera.» Andrea la guardò ammirato «Sei bellissima, davvero.» Le porse il braccio «visto che è molto che non esci di sera dobbiamo fare qualcosa di speciale, quindi andiamo al mare. Pesce fresco e vino bianco ghiacciato.» *** La terrazza del ristorante dove mangiarono sembrava sospesa tra il mare e la notte. Mara si sentiva incredibilmente bene, annusava l'odore salmastro che proveniva dal mare e per un attimo si sentì in un sogno. Accidenti, ma quante cose si era persa in quegli anni, lontana dal mondo, lontana da Andrea. Gli sembrava così bello essere con lui. «Fumi?» chiese Andrea porgendogli una sigaretta. «Sì, grazie» rispose Mara e prese la sigaretta con dita tremanti. «Vizio nuovo, prima non fumavi» le disse Andrea sorridendo. «Veramente è un vizio che ho preso da te»gli ricordò Mara. Lui sorrise e continuò a guardarla. «Davvero non c'è stato nessuno dopo la morte di tuo marito? Dopo di me?» chiese fissandola e nei suoi occhi riemerse un antico rancore. Mara lo guardò supplichevole. «Non potevo.» Andrea le prese la mano. «Sei sempre tanto fragile, Mara. Non sei cambiata. Hai risolto almeno i tuoi sensi di colpa?»

«Non credo» rispose lei avvilita. «Così, sei sola» disse Andrea «e tua figlia?» «È cresciuta molto. Attualmente è in vacanza con il suo ragazzo» Andrea sembrò stupito. «Noto con piacere che tu sei progredita, nonostante questo posto sia rimasto fermo nel tempo e nella polvere. Oh, in apparenza è cambiato, ma la gente è la stessa, l'ho notato dagli sguardi.» Mara annuì con amarezza. «Credo sia proprio così, è la piccola morbosa provincia, ma cerco di non farmi più condizionare troppo, almeno ci provo» poi continuò «ti trattieni molto qui? Vai a trovare i parenti?» «Non ho più nessuno qui, Mara, l'unica parente è mia sorella e vive a Roma dove vivo anch'io» rispose lui, guardandola. «Potrei fermarmi, ma dipende da te.» Lo fissò negli occhi grigi che con quella barba sembravano straordinariamente chiari. Non voleva che andasse via, non subito. Si accorse che il sentimento che aveva soffocato in tutti quegli anni e che aveva rifiutato con tutte le sue forze era riemerso nel giro di un'ora. Desiderava essere abbracciata e restare tutta la notte tra le sue braccia. «Non ti ho mai dimenticato, Andrea» gli disse e il suo sguardo era un invito a restare. Lui la guardò e le strinse le mani. Si accorse che il cameriere li guardava con curiosità. «Voglio stare solo con te. Andiamo via da qui. Vuoi?» Mara rispose di sì in un soffio. Andrea pagò il conto e uscirono in fretta.

«Dove andiamo?» Chiese lui appena saliti in auto. «A casa mia» rispose Mara, questa volta con sicurezza. *** «La tua vicina mi ha guardato come un extraterrestre» disse Andrea accarezzandole la schiena nuda. «A quest'ora sono già sulla bocca di tutti» rispose Mara affondando serenamente la faccia nel cuscino, poi girò il viso verso Andrea e lo guardò. «Eppure, non mi sono mai sentita così felice» disse. Andrea la guardò ancora una volta stupito. «È davvero incredibile» esclamò «quale fata ha prodotto in te un simile cambiamento?» «È un po' merito di mia figlia, l'ho ritrovata quando credevo di averla perduta per sempre, e poi in questi ultimi tempi ho capito tante cose» rispose decisa Mara. «Cosa hai capito?» «Che non possiamo vivere per quello che gli altri si aspettano da noi, altrimenti saremo sempre infelici. E renderemo infelici le persone intorno a noi.» «Era quello che sostenevo anch'io, ma tu non sembravi capirlo. È grazie a tua figlia che hai cambiato idea?» «Forse, vederla così innamorata e determinata mi ha fatto pensare a me e a quello che davvero desideravo. Ho vissuto questi anni nascondendomi agli occhi degli altri, e nascondendo a me stessa i miei sentimenti. E in questi anni sono stata troppo sola, come ti ho già detto non c'è mai stato nessun altro.» Andrea la guardò ancora un po’ sorpreso. «Nessuno, neanche una breve avventura?» Mara accennò un lieve sorriso «Non sono tipo da avventure, non che mi mancassero le occasioni, ma respingevo tutti. E poi, mi sembrava di tradirti»

aggiunse arrossendo. Andrea l'abbracciò con tenerezza. «Riesci sempre ad arrossire come un'educanda» poi disse seriamente «io invece ho avuto altre donne, ma non so perché nessuna storia è mai durata, forse perché nessuna è riuscita a cancellare il rimpianto di te. Per questo sono tornato, speravo di ritrovarti brutta e grassa per andarmene via senza rimpianti. Invece ho lasciato una giovane donna piena di timori ed ho ritrovato una persona fantastica che ha finalmente il coraggio delle proprie azioni» la strinse a sé con più forza. «Oh, Andrea. Ci sarai ancora? O questa notte è stata solo una parentesi?» chiese Mara. Andrea le accarezzò un seno. «Io ci sono, e se vorrai ci sarò, vieni a vivere con me a Roma.» «Dici sul serio?» lei sembrava meravigliata. «Sì, dico sul serio» Andrea pensò che a nessuna donna aveva mai chiesto di vivere insieme e invece adesso gli era venuto spontaneo e pensò che non desiderava altro «voglio stare con te, ma non voglio vivere qui, mi sembrerebbe di seppellirmi vivo, e poi il mio lavoro è a Roma, avrei qualche difficoltà a trasferirmi.» Andrea ripensò a quello che aveva detto «Scusami, anche tu hai un lavoro qui, pensi che sia possibile chiedere un trasferimento? Ma soprattutto, lo vorresti?» Mara rispose che non chiedeva di meglio. «Non ho niente che mi leghi a questo posto» poi si ricordò di Silvia. Non poteva opporsi. O forse sì. «Silvia, forse avrà qualche remora a trasferirsi, qui ci sono tutti i ricordi di suo padre.» Mara guardò Andrea e lo abbracciò più forte, lui si chinò a baciarla dolcemente.

«A cosa pensi?» le chiese. «Penso che dovremo andar cauti con Silvia, ti presenterò come un amico, poi vedremo che impressione le farai.» «Conquisterò anche lei vedrai» disse «con la madre è stata un impresa ardua, spero che la figlia sia più duttile» aggiunse ridendo. Mara ebbe l'impressione di esser tornata bambina, si sentiva piccola e protetta tra le braccia di Andrea. Solo lui sapeva darle quel senso di sicurezza e di benessere. Capì in quel momento perché non era mai riuscita ad amare Giovanni. Mai suo marito l'aveva fatta sentire così, sembrava adorarla questo era vero, ma spesso si era sentita al pari di un trofeo da esibire e da mostrare agli altri. O forse semplicemente non lo amava, e per lei era stato molto più semplice lasciarsi amare.

Capitolo 11

Silvia sistemò alcuni libri in uno scaffale, guardò il letto a una piazza e mezzo, la scrivania azzurra da bambini e si sentì raggiante. Già adorava quella camera e la sentiva sua, anche se era solo per pochi giorni, dopo una settimana o poco più si sarebbero trasferiti nell’appartamento che il padre di Claudio aveva preso per lui. Le sembrava fantastico. Spalancò la finestra, sotto c'era un via vai di gente sconosciuta, anche questo la faceva sentire felice, la gente che ava sotto la finestra era straniera, tutta da scoprire come la sua meravigliosa Firenze. Claudio stava sistemando le valigie su un armadietto traballante. Silvia avrebbe voluto gridare dalla gioia, le sembrava che il suo cuore non potesse contenere tutta quella felicità, era quasi impossibile tenersela dentro. Come era bella la vita, in quel momento si sentiva così euforica che le girava la testa. Si buttò sul letto, aveva voglia di dormire, ma già sapeva che non ci sarebbe riuscita. Troppe emozioni in una sola giornata. Claudio finì di sistemare le valigie e sedette sul letto. «Hai fame?» chiese. «Sì» rispose Silvia «di te.» Claudio si chinò su di lei e le baciò la fronte. Restò disteso ad annusarle i capelli, gli sembrò di risentire l'odore del fieno, quando ava le vacanze nella verde campagna del nonno. Gli sembrava di risentirlo ancora, di rivedere le colline assolate e i campi arati e neri. Rivedeva i falò in lontananza, quando la notte arrivava alla sua finestra quel profumo di erba bruciata. Si sentiva spossato dal viaggio e dopo un po’ fu preso dal sonno. Silvia restò ad osservarlo mentre dormiva, il sole pomeridiano entrava dalla finestra aperta. Avrebbe voluto dormire anche lei, ma non poteva fare a meno di tenere gli occhi fissi su quel volto che amava così tanto. Osservò il suo viso pallido e magro. «È dimagrito» notò. Continuò a guardarlo mentre il sonno prendeva anche lei.

Quando si svegliò Claudio dormiva ancora, lei si alzò e andò in cucina a cercare qualcosa da metter sotto i denti. Fausto stava mangiando un panino mentre continuava a dipingere. «Ciao, ben svegliata» disse quando la vide entrare «eravate stanchi del viaggio.» «In effetti, sì. Il treno, con questo caldo, ci ha spossati» rispose lei. «Dipingi sempre.» osservò Silvia «Il colore è tutta la mia vita, una vita senza colori è come un giorno senza luce.» Silvia sorrise «Continua così allora.» Cercò una sedia e sedette accavallando una gamba, guardò il dipinto. «Altro che colori, lì è tutto nero, non si vede niente.» «Ti sbagli, non è tutto buio, c'è al centro del disegno un punto luminoso che raccoglie tutti i colori» Silvia guardò con maggior attenzione. «Beh effettivamente, guardando meglio si vede come una luce, cosa vuoi rappresentare?» «La creazione» rispose Fausto pronto «il sorgere della luce dal nulla.» Silvia continuò a guardare il quadro, Fausto tornò a dipingere. «Se hai fame svuota pure il frigo» disse. Silvia aveva dimenticato di aver fame, si alzò e cerco nel frigorifero qualcosa da sgranocchiare. Preparò dei panini, li mise in un vassoio e ritornò in camera. Si avvicinò al letto e lo svegliò scuotendolo piano. Claudio aprì gli occhi. «È già giorno?» chiese. «Veramente sono le otto di sera» rispose Silvia «stanotte non dormiremo.»

Claudio sorrise stiracchiandosi. «Sono convinto che troveremo qualcosa da fare stanotte. Magari qualcosa di molto più piacevole che dormire.» Silvia gli accarezzò il viso, quella intimità tra loro le sembrava sempre così speciale e la faceva sentire piena di gioia. «Allora mettiti in forze» disse «mangia qualcosa.» Claudio fece una smorfia, «Dammi una sigaretta, non ho mai voglia di mangiare appena sveglio.» «Ma è da ieri che non mangi, non hai fame!» esclamò Silvia porgendogli il pacchetto «vivi di fumo.» «E anche un po’d’amore» aggiunse lui ridendo. L'attirò a sé e la baciò piano. Non gli sembrava vero di poter stare con lei tutto il tempo, la strinse. «È così bello averti qui con me» le disse. «Ma se invece di mangiare dei panini andassimo fuori a mangiare una pizza? E goderci la Firenze notturna? Chiediamo a Fausto se viene anche lui.» Silvia annuì «Mi sembra una splendida idea, del resto ogni cosa che proponi mi sembra speciale...chissà perché, devo essere matta.» «Forse perché sei follemente innamorata di me» replicò lui. «Ma lo sai che sei un presuntuoso … diciamo che ho un debole per te, un pochino, non tantissimo» rispose Silvia con aria di sufficienza. Claudio l’abbracciò «Stiamo un po' qui, è ancora presto per uscire.» «Va bene, ma se rimango stretta a te non ho più voglia di uscire.» «Possiamo fare quello che vogliamo, Silvia, siamo io e te a decidere e siamo una cosa sola» Silvia lo guardò sorpresa con le lacrime agli occhi

«Hai detto una cosa bellissima, Claudio, è esattamente così che mi sento, una sola cosa con te, ma non avrei mai sperato che fosse lo stesso per te.» Claudio la guardò negli occhi «Davvero, è così» rispose, cominciò a baciarla e a spogliarla. Voleva sparire dentro di lei, sentire la sua pelle, il suo odore, il suo sapore e provare ancora quella sensazione di meravigliosa appartenenza a lei, che sentiva ogni volta che facevano l'amore. *** Claudio era sveglio, fumava lentamente guardando il soffitto. Avevano ato una bellissima serata in giro per Firenze, e Fausto come al solito era uno so, erano amici da tanto tempo e con lui si sentiva sempre a suo agio. Si sentiva bene, gli piaceva Silvia, gli piaceva Firenze e quella loro estate insieme. «Che voglio di più?» pensò « nient'altro, non voglio più niente, solo quello che ho» Il dolore gli fece chiudere gli occhi e stringere i denti. «Se solo non avessi queste fitte alla testa improvvisamente» esclamò. Il dolore se ne era andato. Era breve. Non durava mai più di qualche secondo. Le dita cominciarono a tremargli, la sigaretta scivolò a terra. «Devo dormire maledizione!» mormorò fra sé «la notte è troppo lunga per restare svegli» si alzò piano per non svegliare Silvia, raccolse la sigaretta da terra e la spense. « Basta fumo, mi sto intossicando! » Spalancò la finestra e guardò in alto. Era una notte fantastica, piena di stelle. Poteva dormire se voleva, aprì la valigia e in una tasca interna trovò quello che cercava. Si ricordò che quel pomeriggio era riuscito a dormire di sonno naturale. «Quasi un miracolo » pensò. Inghiottì un paio di capsule. « Dovrebbero fare effetto presto» Dopo un’ora era ancora perfettamente sveglio. Si addormentò che era ormai

l'alba. Silvia si svegliò verso le nove. Si girò a guardarlo mentre dormiva. Claudio dormiva in posizione prona, con la faccia affondata nel cuscino, un'espressione serena, respirava piano. Si sentì invadere da una forte tenerezza, gli sembrava così indifeso nel sonno. « Adesso lo sveglio con un bacio» pensò. Scese dal letto e rovistò nella valigia alla ricerca dello spazzolino da denti, lo aveva messo nel borsone di Claudio, vide due scatole che sembravano medicine, guardò meglio, erano medicine. Lesse il foglietto delle istruzioni: sonniferi. Claudio faceva uso di sonniferi! Restò imbambolata guardando la scatola piena di capsule gialle. Dopo un po' alzò il viso e incontro gli occhi di Claudio che la guardavano inespressivi. «Cercavi qualcosa?» chiese «Lo spazzolino, invece ho trovato queste» rispose. Claudio si inginocchiò accanto a lei, era ancora intontito dalle pillole. «Silvia non fare quella faccia, non è mica eroina» esclamò. «Non è eroina, ma sono sonniferi.» «Ne ho bisogno per dormire, ma li uso solo quando la notte diventa troppo lunga e il fumo non basta più.» «E per dormire quante ne prendi?» «Ne basta una» mentì Claudio, era inutile dirle che due non facevano quasi più effetto. Claudio abbozzò un sorriso. «Dai Silvia, Firenze ci aspetta.» Silvia si alzò in piedi, le gambe le facevano male. «Prima facciamo colazione, così mangi qualcosa» gli disse.

«Ok, andiamo in cucina, visto che non ho fatto in tempo a portarti la colazione a letto» concluse lui. Seduta al tavolo Silvia sorseggiava il caffè e lo guardava masticare adagio un biscotto. Lo osservava, si accorgeva che mangiava malvolentieri. Possibile che Claudio non avesse mai fame! La sera prima aveva mangiato una pizza lasciandone metà nel piatto. Si ricordò che anche prima degli esami di maturità mangiava poco, anzi a pensarci bene non lo aveva mai visto mangiare con molto appetito. Ricordò il racconto di Monica - A Roma era in cura da qualche parte per non so cosa Preparò una fetta di pane con burro e marmellata. Claudio, bevve il caffè e si accese una sigaretta. «No, cosa fai, ti ho preparato una fetta con burro e marmellata.» Claudio le disse che non aveva fame. «Ma vuoi ammalarti!» si accorse di aver gridato. Claudio fece una faccia stupita. «Ma che ti prende! Mi fai la morale adesso!» Silvia gli andò vicino e gli accarezzò il viso. «Amore, non vedi che sei dimagrito, hai le guance scarne. Mi preoccupo per la tua salute.» Claudio l'attirò a se e l'abbracciò ridendo. «Ma se sto benissimo!» prese la fetta di pane e la mangiò.

«Contenta?» chiese poi. Silvia si sentì un po' ridicola a fare la parte di una madre premurosa. Sorrise. «Contenta» rispose andogli una mano tra i capelli. «Scusami Claudio, ma sapere che usi dei farmaci per dormire mi ha un po’ disorientata.» Claudio emise un sospiro. «Lo so, Silvia che non è una bella cosa, infatti cerco di non prenderli, ma a volte è davvero snervante non riuscire a dormire. E averli dietro e sapere di poterli usare mi aiuta.» «Quando hai cominciato a prenderli, posso chiedertelo?» chiese Silvia, aveva bisogno di sapere. Lui si mosse nervosamente sulla sedia. «Pensi che sia un drogato?» «No, non lo penso, ma vorrei capire» accidenti non voleva fargli il terzo grado. Claudio la fece sedere sulle gambe e le accarezzò il viso. «Così giovane e così giudiziosa» le disse guardandola. «Ho cominciato un anno prima di tornare a vivere con mia madre. Diciamo che ho ato un anno difficile. Ero in piena fase di ribellione adolescenziale. Ero intollerante a tutti e pur di far dispetto ai miei mi sono fatto perfino bocciare, praticamente andavo a scuola a giorni alterni o quando mi pareva. In quel periodo ho cominciato a non riuscire a dormire ed ho cominciato ad usare i sonniferi.» «Ma perché stavi così male?» chiese Silvia «Voglio dire, c’era un motivo preciso?» «Un motivo preciso, no, tantissimi motivi, ce l’avevo con il mondo intero, con i miei che mi avevano sballottato da un posto all’altro, con me stesso che non sapevo cosa volevo.»

Silvia lo ascoltava con attenzione. Anche lei aveva detestato sua madre per tutto quel tempo, forse aveva le sue ragioni, ma forse anche lei non aveva mai cercato di comprenderla. «E come è finita? Voglio dire, dopo sei stato meglio, adesso mi sembri così equilibrato, hai superato tutti i dilemmi?» Claudio scoppiò a ridere. «Ma ti senti? Tutti i dilemmi proprio no, ma si cresce e si impara ad accettare la realtà anche se non è perfetta, o come la vorremmo.» Silvia sentì di amarlo più della sua stessa vita, e probabilmente lo amava anche per la sua aria tormentata che glielo aveva fatto sentire fin dall’inizio più vicino a lei. Claudio le diede un bacio leggero sulle labbra. «Adesso che ti ho raccontato qualcosa in più di me, sei tranquilla?» Silvia annuì. «Bene» disse lui «allora sai cos’ho pensato? Potremmo fare un giro al mare nei prossimi giorni, ti piacerebbe?» «Mi sembra una splendida idea» rispose Silvia raggiante. «Bene, appena ci sistemiamo nel mio appartamento la prossima settimana ci organizziamo per partire. Oggi facciamo un salto a vedere a che punto sono gli imbianchini.» Silvia acconsentì, forse si era preoccupata troppo. Non voleva mostrargli un lato del suo carattere troppo ansioso e opprimente. Voleva trasmettergli solo serenità. *** Il respiro di lei era calmo, regolare e non lo aiutava a dormire. Il letto era piccolo ma gli sembrava grande come un mare. Il sonno di lei innalzava una invisibile barriera. Si sentiva solo, di una solitudine che gli opprimeva l'anima. Le aveva promesso di non prendere più sonniferi.

«Fuma di meno, non bere caffè e vedrai che dormirai» aveva detto Silvia. Assurdo, come si fa a non fumare quando si sta svegli tutta la notte? Il guaio peggiore era che stando svegli pensava e lui non voleva pensare. Di notte se non dormiva gli venivano pensieri sgradevoli e pieni d’ansia. Si accese una sigaretta. «Perché fumo?» si chiese « dov'è il piacere?Perché è tutto così assurdo e inspiegabile? Il piacere del fumo sta tutto nell'accendersi la sigaretta e aspirare con voluttà la prima boccata. Poi l'altro piacere è osservare il fumo salire verso il soffitto e assumere strane forme. » Ripensò a tutte le elucubrazioni sul fumo della coscienza di Zeno e delle sue ultime sigarette e rise tra sé. «Quante stronzate pensiamo per giustificare le nostre debolezze , Cristo come vorrei dormire! Perché non dormo, maledizione?» Cerco di ricordare da quanto tempo soffriva di insonnia. «Quando è cominciato esattamente? L’ultimo anno a Roma o forse prima, durante le lunghe notti del collegio, quando sognavo di evadere, quando volevo scappare andare in campagna e dormire nel fienile del nonno? Poi il nonno morì e la sua campagna fu venduta. » «Stupido cosa fai?Piangi? È solo un pezzo di terra non la coltiva più nessuno » gli diceva sua madre, quanto l’aveva odiata in quel momento! Poteva spiegarle che gli stavano vendendo l'infanzia? Ma non avrebbe capito. Ma adesso perché si sentiva insofferente? Ormai era acqua ata, adesso stava bene ed era con Silvia, la sua meravigliosa Silvia. Si voltò a guardarla. « Guarda come dorme serena mi fa quasi rabbia.» Dormiva supina con le braccia distese lungo i fianchi, era bellissima, la nudità la rendeva quasi indifesa. «Anche se lei non è affatto indifesa, può sembrarlo, ma non lo è. Ha un grande equilibrio . Basta osservarla quando dorme, sembra il ritratto della serenità. Merito mio? Anche questa è un’illusione, era già così prima che la conoscessi.

Forse era solo più ingenua e sognatrice, ma sempre molto equilibrata. Vorrei trovare l’equilibrio anch’io. Basta, voglio dormire! » Si alzò dal letto per cercare i suoi sonniferi. Improvvisamente vide tutto nero e cadde a terra come un peso morto. Prima di perdere conoscenza, sentì una forte fitta alla testa. Quando riaprì gli occhi la prima cosa che vide fu una testa bionda e due occhi azzurri che lo guardavano preoccupati. Capì che era il viso di Silvia. Cercò di sorridere, ma fece solo una smorfia. Sentì qualcosa di bagnato sulla faccia, si accorse che erano le lacrime di lei. «Che fai, piangi?» disse Adesso riusciva a vederla bene. «Claudio, tu stai male. Devi andare da un medico. Sei svenuto. Ti ho trovato vicino alla porta del bagno a faccia in giù. Ho sentito un tonfo e mi sono svegliata» gli accarezzava gli zigomi tumefatti, «hai tutta la fronte e gli zigomi ammaccati» disse Silvia. «Sono brutto?» chiese lui sforzandosi ancora di fare un sorriso, ma la mascella gli doleva. «Sei bellissimo, ma dobbiamo andare subito da un medico. Forse hai qualcosa di serio» le tremava la voce. «Chissà avrò un brutto male» disse lui, Silvia si sentì gelare. «Non scherzare su queste cose, ti prego.» Claudio avrebbe voluto dire che non scherzava, che la morte non gli faceva paura, ma vederla impallidire e diventare fredda come un pezzo di ghiaccio gli faceva troppo male. «Ho solo un po' di esaurimento» disse «mangio poco, fumo troppo e dormo niente. Logicamente il fisico ne risente. Ma adesso sto meglio. Se mi prepari un

abbondante colazione, la mangio in un baleno.» Silvia si sforzò di sembrare più tranquilla. «Comunque una visita di controllo la fai lo stesso» gli disse Silvia mentre lo accompagnava verso il letto e lo aiutava a stendersi. «Resta qui disteso, ti porto la colazione a letto» continuò Silvia mentre si stringeva addosso l'accappatoio. Claudio restò a guardarla mentre usciva dalla camera. Si toccò il viso indolenzito. «Ho preso una bella botta » pensò « e se fossi davvero malato?» Questo pensiero per un attimo lo preoccupò, ripensò ai momenti in cui aveva pensato alla morte quasi con sollievo e si diede del cretino. «Che coglione che sono!» Mormorò piano. *** Silvia lo guardava mangiare lentamente. Aveva un peso opprimente sul cuore. Visioni funeste le avano davanti. «Ti sta uscendo sangue dal naso» disse. Claudio si toccò il naso. «Devo esser caduto come un sacco di patate» mormorò. «Prendo dell'ovatta» Silvia si alzò e corse in bagno. «Se perdo Claudio, mi ammazzo» pensò. Si diede della stupida, uno svenimento non voleva dire che si era in fin di vita. Prese un batuffolo di cotone. Rientrò in camera. Gli mise un tampone nel naso. Lui lasciò fare, docile. Poi riprese a mangiare. «Saresti una brava infermiera» esclamò lui divertito.

«Già» rispose lei cupa. «Pensi che debba fare testamento?» chiese Claudio stuzzicandola. «Devi farlo in fretta, altrimenti non ce la farai neanche a reggere la penna in mano. E se non è olografo non ha valore» «Ti lascio tutti i miei libri, la chitarra e i dischi. Non ho altro. Il mio cadavere voglio che sia gettato in mare...non so se si può, va bene anche farmi cremare e buttare in mare le ceneri.» «Claudio smettila o mi metto a urlare!» «Lo vedi quanto sei scema! Prendi tutto sul serio. Con te non si può scherzare.» «Sulla morte non si scherza mai! Ho già perso mio padre troppo presto, tu non ti rendi conto di cosa significhi!» Claudio si sentì stupido. Non aveva pensato a come potesse sentirsi Silvia. «Scusami Silvia, non volevo ferirti, scherzavo per sdrammatizzare!>> «Va bene, però smettila altrimenti ti tiro un pugno!» «Vile, tu uccidi un uomo morto.» Gli veniva da ridere. «Perché ridi?» «Perché vedo la tua faccia. Mi piace vederti preoccupata per me» l'attirò a se e la baciò «Silvia ho freddo» «Sfido io, sei nudo! Prendo qualcosa per coprirti.» «Coprimi con il tuo corpo» Silvia sorrise, posò il vassoio a terra, e si allungò su Claudio aprendo l'accappatoio. «Va meglio così?»

Claudio la baciò. «Molto meglio, mia dolce Afrodite.» Silvia l'abbracciò. «Quando mi chiami Afrodite, ti adoro, te l'ho mai detto? Occhio che potrei crederci, di essere una dea» «Tu sei anche meglio, sei reale.» La baciò con slancio. «Secondo te, un moribondo bacia così» chiese. «Decisamente no» disse Silvia e si sentì più tranquilla e nuovamente al settimo cielo . *** Adorava eggiare sul ponte vecchio, guardare le oreficerie, girare per i negozi. Lei gli teneva la mano in silenzio. Questa era una delle sue virtù. Sapeva tacere. Claudio amava quei suoi silenzi. In questi momenti tutto gli sembrava perfetto. Non faceva caldo come i primi giorni in cui erano arrivati a Firenze. Dopotutto si era quasi a fine agosto. Già settembre era nell'aria. «È stata una bella estate» pensò e gli dispiaceva che stesse per finire. «Silvia dovrà tornare a casa» anche questo gli dispiaceva. Sarebbe stata vuota la casa senza di lei. Anche le notti sarebbero state più lunghe senza Silvia. La guardò, i capelli biondi le scendevano lunghi e gonfi sulle spalle. Gli occhi nel sole erano ancora più chiari. Si rese conto per la prima volta che nulla lo disturbava in lei. Non riusciva a trovarle alcun difetto. «Con un paio di occhiali neri sembreresti una turista svedese, bionda come sei» disse. «Davvero?» chiese lei.

Gli sorrise, in questi giorni si sentiva più serena, Claudio mangiava di più, fumava di meno e la sera prendeva una sola capsula di sonnifero. Lei restava sveglia finché non sentiva il respiro regolare di lui. Non voleva lasciarlo da solo a combattere contro l'insonnia. Claudio aveva rifiutato di andare dal medico a Firenze. «Andrò dal medico di mia madre quando torneremo a casa, non preoccuparti» aveva detto, «vedrai che non ho niente.» Claudio la tirò verso un negozio di ottica. «Vieni con me, ti regalo gli occhiali da sole.» «Ma Claudio qui i prezzi sono troppo alti, lascia perdere.» «Ti serve un souvenir di Firenze e poi voglio farti un regalo.» «Un altro? Ti rendi conto che mi hai già regalato due vestiti, un bracciale e tante altre cose, vuoi smetterla di sperperare soldi, ti servono per l'università.» «Non preoccuparti per i soldi, mio padre è ben felice di mandarmeli, è il vantaggio di avere i genitori divorziati! Devono sopperire la loro assenza con i soldi. E noi lo facciamo contento.» «Sì, ma li stai spendendo per me!» obiettò Silvia. «E allora? Sono felice solo quando ti faccio un regalo, non puoi togliermi questo piacere.» Silvia annuì e con l'aspetto di chi si sottomette ad un sacrificio enorme lo seguì nel negozio. I soldi in casa sua non erano mai stati abbondanti e sua madre l'aveva abituata e spendere solo per cose davvero indispensabili. Con Claudio le sembrava di vivere nel paese dei balocchi con tutti quei regali, cose di cui lei poteva benissimo fare a meno, ma vederlo felice la riempiva di gioia, non riusciva a dirgli di no.

*** «Al mare ti serviranno gli occhiali da sole» esclamò Claudio mentre addentava il panino. Si erano fermati in un bar per riposare e mangiare qualcosa. «Al mare?» chiese lei. «Ti avevo promesso che ti avrei portata al mare, pensavo di andare a Castiglioncello, è abbastanza vicino a Firenze e c'è un mare stupendo, appena arriva il bonifico di mio padre, partiamo.» «Davvero? Sarebbe bellissimo! Io amo molto il mare, ma non ho il costume» «Compriamo tutto, costume, creme solari e tutto quello che ci pare.» Silvia sospirò «il costume me la pago da sola, ho qualche soldo anch'io, non voglio approfittare ancora.» «È vietato, pago io e non ammetto repliche» rispose Claudio e la baciò per zittirla. *** Girarono per Firenze tutto il giorno. Verso sera erano sfiniti. «Abbiamo camminato troppo» disse Claudio «andiamo a casa?» «Volentieri» rispose Silvia, in effetti era stanca. Anche tornare a casa gli piaceva, amava soprattutto l'intimità che si era creata tra loro. Preparavano da mangiare insieme mentre parlavano della giornata trascorsa. «Ti vanno degli spaghetti al pomodoro. Non c'è altro» disse Silvia. «Vanno benissimo.» Silvia mise a scaldare l'acqua. Aprì una scatoletta di pelati.

«Domani, devo far provviste, mi alzerò prima» disse Silvia. «Ma no, ci andiamo insieme. Mi piace girare per i negozi. Sai che adesso cucini meglio, appena arrivati a Firenze eri una frana!» «Adesso capisco perché non volevi mangiare.» «Ma no, ho sempre mangiato poco. E poi scherzavo, sei una bravissima cuoca.» Sorrise «vieni qua. Voglio baciarti.» Silvia si avvicinò e gli diede un bacio sulla fronte. «Ehi. Che razza di bacio è questo? Così si baciano i santi.» Silvia rise. «Però ti adoro, per me sei più di un santo» Claudio l'abbraccio. Adorava come lei lo faceva sentire. «Non sai quanto mi sento felice in questo momento, Silvia, hai reso speciale ogni giorno, la vita non ha senso se non è vissuta in due.» *** «Da quanto tempo hai questi dolori alla testa?» «Quattro mesi circa, se non ricordo male, sono cominciati in maggio.» Claudio si guardò intorno. Lo studio del dottore consigliatogli da Fausto era luminoso e imponente. Il dottore gli tastò la testa. «La fitta parte sempre da questo punto?» «Mi sembra di sì, ho cercato di farci caso e direi che parte da lì, ma a toccarmi non sento niente» «A parte queste fitte, soffri di cefalea?»

«Ogni tanto, ma non spesso, più che altro non riesco a dormire, mi sento stanco e spossato, ma non dormo.» «Anche questo da maggio?» «Questo da prima, ma recentemente l'insonnia si è accentuata, dormo solo con i sonniferi.» «Che tipo di sonniferi?» Claudio porse al dottore la scatola delle sue capsule. Il dottore guardò la scatola. «Sono piuttosto forti, dovresti provare a starne senza per un po', l'insonnia non credo sia legata ai dolori alla testa, anche se sicuramente non ti aiuta, ma credo sia necessario fare degli esami di approfondimento, esami del sangue e una TAC» Claudio annuì. «Cosa devo fare?» «Intanto ti prescrivo qualcosa di naturale che ti faccia dormire, ti prescrivo gli esami con urgenza, puoi farli al Careggi, ti mando da un dottore che conosco chiedi direttamente di lui» scrisse un nome su un foglietto e glielo porse insieme alle ricette. *** Da più di due ore cercava inutilmente di concentrare la propria attenzione sul libro che aveva davanti. «Ma perché tarda tanto?» Si chiese Guardò l'orologio e la sua inquietudine aumentò. Erano le tre del pomeriggio! Claudio era uscito alle otto del mattino. «Vado all'università, consegno i moduli di iscrizione e torno » aveva detto. «Forse è andato da Fausto » pensò.

Decise di telefonare, si ricordò che proprio lì vicino c'era una cabina telefonica. Stava scendendo le scale quando lo vide, aveva gli occhi spenti e il volto così bianco che a Silvia fece paura. Lui la guardò. «Dove stai andando?» le chiese. «A cercare te» rispose con un fil di voce «dove sei stato?» Claudio fece un gesto vago poi la prese per il braccio. «Torniamo sopra, tanto ora sono qui.» Salirono lentamente le scale, una volta entrati nell'appartamento Claudio si sdraiò sul divano e continuò a fissare il vuoto. Silvia non sapeva cosa fare, non lo aveva mai visto così e non aveva il coraggio di far domande. «Sono stanco» disse a un tratto lui e sforzandosi di avere un'espressione normale la guardò. «Ho girato senza meta per chissà quanto tempo.» «Perché?» chiese lei. «Ho rivisto la città, prima di andar via, visto che domani partiamo.» «L’idea di partire ti sconvolge tanto? Tornerai presto qui a Firenze» esclamò Silvia. Claudio emise un sospiro infelice. Cosa dirle per giustificarsi senza mostrarle la verità? Alzò le spalle con insofferenza, decise di fare una faccia allegra e la guardò con un sorriso, avrebbe voluto abbracciarla e piangere sul suo seno come un bambino, ma con una forza che non credeva di avere si alzò e sempre sorridendo le disse: «Non sono sconvolto» la strinse a sé con forza «scusami se ho fatto tardi» aggiunse. Silvia non finiva mai di stupirsi di quegli sbalzi di umore così improvvisi e

strani. La spinse verso il divano. «Abbracciami» disse quasi con un accento disperato. Lei intuì quella disperazione nella sua voce, ma non disse nulla, si lasciò andare, voleva solo tenerlo stretto a sé. Anche con quel suo modo di essere lei lo amava profondamente in un modo che le faceva quasi male. Amava le sue burle infantili, la profondità delle sue idee, quella sua inquietudine dolorosa. Claudio si distese appoggiandole una mano sul seno, lei gli accarezzò la fronte fermando una goccia di sudore che scendeva dalla tempia. Lui le sorrise. «Hai sonno?» «Un po'» confermò lei. Claudio chiuse gli occhi lasciandosi cullare da quella sensazione di benessere. Quando li riaprì Silvia dormiva. Lui si alzò lentamente per non svegliarla. Si recò in punta di piedi nell'altra camera. Poteva riflettere con calma. Cercò una sedia e si sedette, rivide improvvisamente il viso del dottore. Ripensò a quelle frasi balbettate, colme dell'apprensione di chi vuole nascondere qualcosa. Era davvero così o era solo una sua impressione? Il dottore aveva cercato di tranquillizzarlo, gli aveva anche detto che poteva essere solo un esaurimento nervoso. Forse davvero senza esami approfonditi non si poteva accertare nulla, gliene aveva prescritti una lunga lista. Aveva un tumore al cervello? Mentre lo pensava si sentì gelare il sangue, non pensava a lui, pensava a Silvia, l'idea di staccarsi da lei era quello che lo faceva star più male. Non gli importava di morire, ma soffriva all'idea di non poter stare più con lei, quel pensiero gli faceva una rabbia incredibile. Si era sentito così felice negli ultimi mesi e gli sembrava di aver finalmente preso in mano la sua vita. Invece ecco che gli presentava il conto, e non aveva neanche vent’anni. Si alzò in piedi, inquieto, andò nella sala, Silvia dormiva sul divano, sembrava così serena. Anche lei un giorno sarebbe morta, anche Mara, Fausto, i suoi genitori, così come era morto il nonno e come erano morti tanti altri. Così come sarebbe morto lui, di cancro! Era questo il destino degli uomini? Condannati ad affannarsi, a lottare, a soffrire per finire miseramente con la morte

e col nulla? «Se esistesse un Dio, tutto questo potrebbe avere un senso » pensò « ma perché un dio dovrebbe permettere tutto questo dolore?» Sorrise con rassegnazione, Dio non esisteva, era quella la semplice verità, solo che l'umanità non ce la faceva ad accettare una realtà così cruda, perché non accettava l'idea della morte. Andò alla finestra, la spalancò e guardò il cielo di un azzurro intenso e arrogante. Immaginò in esso quel vuoto che sentiva costantemente vicino. «Sarebbe bello finire in quell’azzurro» disse tra sé. Ma non si sentì meglio. Chiuse la finestra e, con una calma di cui lui stesso si stupiva, decise quale sarebbe stato il suo comportamento. Guardò Silvia e provò una nuova fitta al cuore, lei non doveva sapere, per ora. Guardò i biglietti del treno comprati il giorno prima, appoggiati sul tavolo. Erano i biglietti per il mare, i loro ultimi giorni di vacanza. Non voleva rinunciarci, voleva are quei giorni con Silvia. Dopo sarebbe rientrato a Firenze e avrebbe fatto tutti gli esami medici necessari. Ora voleva stare con lei. Si distese accanto a lei e continuò a contemplarla con rassegnato dolore. *** Arrivarono a Castiglioncello nel primo pomeriggio, presero un taxi per giungere alla piccola pensione prenotata da Claudio. «La signora Maria mi conosce, sono stato più volte qui con mio padre, sai quando volevamo are un fine settimana al mare insieme questa era la nostra meta preferita» disse Claudio. «Non farà storie perché sono minorenne?» chiese Silvia preoccupata. «Silvia ti preoccupi sempre troppo e poi Mara lo sa che sei qui, non ti ho mica rapita.» «Va bene, non vedo l'ora di essere maggiorenne, così potrò fare quello che voglio.» Claudio ebbe un debole sorriso

«È un'illusione poter fare quello che si vuole solo perché si diventa maggiorenni, credimi.» Silvia appoggiò il capo sulla sua spalla «va beh, comunque adesso mi basta stare con te e vivere questo momento.» Claudio la strinse «sì, viviamo il presente, è quello di cui siamo certi» mormorò quasi parlando a se stesso. La stanza della pensione era piccola ma accogliente, con un terrazzino dal quale si vedeva il mare, una meraviglia. Silvia saltellava per la stanza felice. «Questo posto è bellissimo!» «Ma se non hai ancora visto niente! Aspetta di vedere la spiaggia e tutto il resto.» Silvia lo baciò a fior di labbra «non lo so, tutto mi sembra fantastico, sicuramente perché sono con te, non avrei mai pensato di are un'estate così bella, non sai quanto mi hai reso felice.» Claudio sentì una stretta al cuore, anche lui era stato immensamente felice in quei mesi, non voleva che finisse quella loro estate. «Sì è stata una bellissima estate, Silvia, ma non è ancora finita, abbiamo cinque giorni per noi da are in spiaggia, forza mettiti il costume, prendi il telo, la crema e tutto il resto. Forse se andiamo al ristorante della spiaggia possiamo ancora mangiare qualcosa.» «Corro, mi preparo in un attimo.» Claudio la osservava contento, non voleva pensare al peggio per ora, forse non aveva niente di grave e avrebbero avuto altre estati così davanti a loro. *** Dio come si sentiva bene, guardava Claudio che ordinava al cameriere i piatti migliori del menù con sicurezza e si sentiva protetta. A volte dimenticava che Claudio aveva solo diciannove anni, gli sembrava un uomo adulto, forte e sicuro di sé, a lei piaceva affidarsi a lui e le sembrava che con lui non potesse accaderle

nulla di male. Aveva provato raramente quella sensazione, forse da bambina quando dava la mano a suo padre e eggiavano insieme per le strade del paese. Lo guardava cercando di non farsi notare, era un ragazzo bellissimo, gli occhi verdi, la mascella quadrata, il ciuffo di capelli neri che gli ricadevano sugli occhi, le spalle larghe e imponenti nonostante la magrezza. Come mai un ragazzo così bello stava con lei? Come era possibile? Lei non si era sentita mai niente di speciale, si sentiva goffa con tutti quei capelli ribelli che non stavano mai al loro posto, quelle sue lentiggini invadenti sul viso, i suoi fianchi troppo larghi. «A cosa stai pensando Silvia, mi sembri così assorta?» chiese Claudio mentre le versava l'acqua minerale nel bicchiere. «Sto pensando che sono fortunata a stare con te e mi chiedo come mai visto che io non sono niente di speciale.» «Silvia, ti ho mai detto che ogni tanto fai dei pensieri scemi?» «E che non credo di essere bella, mentre tu lo sei.» «Speravo che mi amassi per la mia anima» rispose lui facendo finta di risentirsi. Silvia rise «amo molto la tua anima tormentata, però sei anche bello, vedo come ti guardano le altre ragazze, sono davvero gelosa.» Claudio le prese la mano sul tavolo e gliela strinse. «Non ne sei ancora consapevole Silvia, ma ti do una notizia in anteprima, tu sei bellissima, anche se non te ne rendi conto. E non è una cosa che ti dico perché sono innamorato di te, è una realtà oggettiva. Non lasciare mai che qualcuno insinui in te il dubbio che non sia così.» «Davvero mi trovi bella? A me basta essere bella per te. E che spesso quando mi confronto con le mie amiche mi sento così diversa, loro vestono bene, con capi firmati e sono sempre perfette.» Claudio sorrise e la guardò.

«Per fortuna sei diversa da tutte le altre, credi che io guardi i vestiti firmati o le altre stronzate delle tipe del paesello? Io non metto niente di firmato anche se potrei permettermelo, sapessi quante volte ho litigato con mia madre perché voleva trascinarmi nei negozi “in” della città. Bisogna essere se stessi a prescindere da quello che si indossa. Non bisogna uniformarsi al branco. Bisogna avere la propria personalità. Quindi ok, sei bella, ma non ti amo per la tua bellezza, non solo almeno.» «Accidenti che bel discorso» esclamò Silvia. «Adesso però, mi viene un dubbio, io ho personalità?» «Sì, ogni tanto fai discorsi scemi. Ma hai personalità, in evoluzione, ma ce l'hai.» Il cameriere arrivò con il vassoio della grigliata di pesce. «Che meraviglia» esclamò Claudio «adesso mangiamo, ti sembrerà incredibile, Silvia ma ho una gran fame!» Silvia ne fu felice. «Claudio?» «Dimmi.» «Ultimo dubbio, secondo te cosa vuol dire avere personalità?» Claudio scoppiò a ridere di gusto. Silvia si chiese se sapeva di essere stupendo quando rideva così, lei si sentiva sciogliere qualcosa alla bocca dello stomaco. La guardò e mentre le porgeva il piatto rispose. «Vuol dire pensare con la propria testa, farsi una propria opinione e non lasciarsi trasportare dagli altri solo perché urlano di più.» Silvia annuì soddisfatta della risposta e cominciò a mangiare. Era una sensazione incredibile mangiare in riva al mare di fronte a quella spiaggia fantastica, con quel ragazzo meraviglioso che sentiva di amare ogni giorno di più.

*** Quei giorni di mare furono bellissimi, la spiaggia era poco affollata tipica della fine dell'estate e regalava loro una speciale sensazione di benessere, Claudio riuscì a non pensare al dopo e a godersi ogni singolo momento. Gli piaceva restare in spiaggia fino a tardi ad aspettare l'ultimo raggio di sole che cadeva nel mare, accanto a Silvia che profumava di salmastro e di crema solare. Gli piaceva perfino restare sveglio accanto a lei durante la notte, restava ad osservarla nel sonno annusando nell'aria l'odore della notte mentre l'aria del mare e il profumo dei tigli entravano dalla finestra socchiusa. La loro ultima notte a Castiglioncello, restò sveglio a guardarla, quando dalla finestra entrarono i primi raggi di sole, per un attimo si sentì perduto. «Non svegliarti, Silvia, per favore non svegliarti, voglio restare a guardarti ancora un momento» mormorò piano. «Mi piace immaginare i tuoi sogni, stai sorridendo, forse stai sognando di noi che stiamo insieme, e siamo felici. E non moriamo mai. In questa estate ormai finita, in cui non so se sto bene, ti sono grato per questi giorni ati insieme e per il senso che hai dato alla mia vita.»

Capitolo 12

Quando giunse al paese Carlo era stanco e sconvolto. Aveva viaggiato tutta la notte. Aveva fermato l'auto davanti alla casa di Elena e con i gomiti appoggiati al volante contemplava con assorta fissità quella casa che un tempo aveva abitato anche lui. «E adesso cosa faccio?» Pensò al motivo che lo aveva condotto fin là e le lacrime gli inondarono gli occhi. «Non poteva esser vero!» «Mio figlio ha solo diciannove anni!» Tra il velo delle lacrime vide una donna che attraversava la strada e si dirigeva con decisione verso il cancello della casa. Era Elena. Lei non lo sapeva ancora. No, come poteva saperlo? Decise di affrontarla, si asciugò gli occhi e tentò di apparire calmo. Scese dell'automobile e si trovò di fronte a lei. Elena lo guardò con stupore. Erano almeno due anni che non lo rivedeva. «Ma … Carlo?» chiese dopo una breve esitazione. Lui annuì. «Posso salire, ho bisogno di parlarti.» Lei sembrò imbarazzata. «Certo» disse poi «comunque se sei venuto per vedere Claudio ti avverto che non è in casa. Ha una ragazza, stanno sempre insieme. Anche a Firenze sono andati insieme» si fermò «lo sai vero che farà l'università a Firenze?» Carlo fece segno di sì. «Lo so, ci sentiamo sempre, gli ho anche trovato un appartamento dove stare» cercò di dare alla sua voce un tono calmo. «Era ancora incerto sulla facoltà da scegliere. Quale è stata la sua scelta

definitiva?» Chiese sedendosi sulla poltrona che Elena gli indicava. Lei si pose di fronte a lui. «Un apionato di storia come lui non poteva che scegliere questa materia» arricciò il naso poi si rivolse a lui con un sorriso cordiale ed esclamò «Storia! pensa un po' che barba!» Carlo tentò di sorridere anche lui, ma non gli riuscì. «Quando è tornato?»chiese «Ieri mattina, era stato di nuovo a Firenze perché doveva completare l'iscrizione, così mi ha detto, è stato via quasi tutta la settimana, stavolta è partito da solo. Però da quando è tornato l'ho visto poco. È sempre con quella ragazzina. L'hai mai vista?» Carlo rispose di no. «Oh, se la vedessi. Tutta occhi e capelli, è un amore! Con un sorriso cristallino che non ho mai visto. Ma quello deve essere merito di Claudio.» Carlo si sentì spezzare il cuore anche per quella ragazza che non conosceva. Guardò Elena. Come l'avrebbe presa? Lei non riusciva a trovare un altro argomento interessante, così resto zitta. Si chiese come mai Carlo si fosse presentato da lei, aveva sempre telefonato per vedere Claudio ed evitare di incontrarla. «Sai perché sono qui?» chiese Carlo all'improvviso. Elena rispose di no, « già come poteva?» Carlo dopo aver inspirato profondamente cercando di trovare tutto il coraggio di cui aveva bisogno, le raccontò in fretta del suo incontro con lo specialista dell'ospedale Careggi di Firenze, degli esami fatti da Claudio e che lui era andato a ritirare. Elena lo guardò disorientata. «Non ci credo» mormorò alla fine. «Ma perché Claudio non mi ha detto niente?» «Non aveva detto niente neanche a me, mi ha chiamato due giorni fa da Firenze

per chiedermi di raggiungerlo e mi ha lasciato la delega per il ritiro degli esami. Lui non conosce ancora i risultati. E non so come farò a dirglielo.» «Cosa possiamo fare?» chiese lei supplichevole. Carlo parlò di Boston e del suo centro di ricerca all'avanguardia, la donna pendeva dalle sue labbra e annuiva continuamente senza parlare. Si sorrisero, infine, pieni di fiducia e in quel momento fu come ritrovarsi. Sentirono aprire la porta. Claudio si fermò sull'ingresso. Guardò suo padre. «Se sei qua, vuol dire che non ci sono buone notizie» disse con calma.

Capitolo 13

Andrea bussò timidamente alla porta. «Avanti» esclamò Silvia «Ciao, bimba, ti disturbo?» Silvia sorrise. «Non disturbi Andrea, però non sai quanto può essere irritante per un adolescente cresciuta sentirsi chiamare “bimba”.» Andrea si accomodò sul divano e la guardò incantato. «Scusa non lo faccio più, come sei bella oggi!» «Sei un subdolo adulatore!» «Perché subdolo, Silvia?» «Perché da quando sono tornata tu e mia madre mi riempite di attenzioni, eppure vi ho già dato la mia benedizione. Non mi oppongo alla vostra storia.» Andrea si fece serio. «Sì, lo so e ti ringrazio, ne sono davvero felice, ma non è solo questo.» Fece una pausa. Poi continuò. «Ho chiesto a tua madre di venire a vivere con me e lei ha accettato. Però ovviamente tutto dipende da te.» Silvia divenne dubbiosa. «In realtà non ho nulla in contrario» disse «certo la mia vita sarebbe un po'

stravolta.» Andrea si illuminò di un sorriso. «Dici davvero?» Silvia annuì. Lui scosse la testa. «Tua madre moltiplica sempre le difficoltà, mi aveva detto che ottenere il tuo consenso sarebbe stato difficilissimo» la guardò sorridendo «e comunque sono contento che si sia sbagliata.» «Non si era affatto sbagliata» lo corresse Silvia «tre mesi fa avrei linciato solo con lo sguardo colui che avesse voluto prendere il posto di mio padre. Ora la penso diversamente: ognuno ha diritto di scegliere la strada che vuole» si strinse tristemente nelle spalle «del resto mio padre è morto.» Andrea abbassò lo sguardo e rimase in silenzio per un po'. «Ti dispiacerebbe lasciare Fiorita?» chiese poi. Silvia lo guardò stupita. «Perché me lo chiedi?» «Silvia io lavoro a Roma, non posso restare qui.» «Ma mia madre lavora qua.» «Sì, lo so, ma lei ha detto che chiederebbe un’aspettativa in attesa del trasferimento in un ufficio di Roma. È lei che lo ha deciso, credimi io non ho fatto nessuna pressione.» «Dovremmo vivere a Roma?» chiese la ragazza perplessa. Andrea la guardò preoccupato. «Perché l'idea ti spaventa tanto? Roma è una città bellissima.» «Non so, mi dà l'idea di una città caotica, anche se non ci sono mai stata, forse ho solo paura del cambiamento.»

Silvia scosse la testa. «E i miei studi?» «Potrai completarli a Roma» Andrea la guardò con attenzione «da Roma potrai facilmente raggiungere Firenze, se è questo che ti preoccupa» La ragazza ebbe un debole sorriso. «Claudio partirà a novembre, quindi per un po’ starà ancora qua. Comunque suo padre vive a Roma, se volesse potrebbe seguirmi là.» «E allora? Mi sembra che non ci sia nulla che non vada. Di cosa hai paura?» «Hai ragione» rispose Silvia «però dammi il tempo di abituarmi all'idea.» «Hai intenzione di sposare mia madre?» chiese poi a bruciapelo. «È questo che ti preoccupa? Silvia.» «No, me lo chiedo.» «Voglio sposare tua madre, ma non ci crederai è lei quella che prende tempo, ha detto che preferisce aspettare, magari mi puoi aiutare a convincerla.» Silvia gli sorrise «mediterò anche su questo.»

Capitolo 14

«Boston?» «Sì» Silvia si appoggiò lentamente alla panchina. «In America!» esclamò sedendosi, con l’aria sconfortata. Claudio annuì nuovamente. «Ma perché così lontano?»> chiese ancora Silvia. Claudio sedette sulla panchina con lentezza e si ò una mano sugli occhi, si sentiva così stanco. «È un'idea di mio padre, comunque credo sia buona, un mese di cura e torno come nuovo. Niente più mal di testa, niente più insonnia.» «Un mese» disse Silvia piena di sgomento. Un mese, pensò Claudio mordendosi le labbra. Si sentiva un verme a mentirle, ma non poteva fare altrimenti. Era certo che non sarebbe più tornato da Boston, né fra un mese, né fra un anno, lui lo sapeva perfettamente. Suo padre e sua madre erano pieni di speranza, ma lui no. Claudio guardò Silvia e sentì un groppo alla gola. La strinse a sé. «Silvia non fare quella faccia! Un forte esaurimento è bene curarlo in tempo, prima che diventi una cosa grave. Quella clinica di Boston è davvero all'avanguardia, per di più completa di tutti i comfort, sarà una specie di vacanza.» Silvia annuì, aprì la bocca per parlare, ma non emise alcun suono. Restò stretta a lui, non voleva staccarsi.

Claudio sentì una fitta alla testa ed emise un gemito. «Che c'è?» chiese Silvia. «Mal di testa» rispose Claudio «vorrei andare a casa.» Camminarono lentamente verso casa di Silvia. Quando arrivarono lui l'abbracciò con tutta la forza che poteva. «Silvia promettimi che in questo periodo in cui non ci sarò, starai tranquilla e cercherai di non pensarmi troppo. Non ci potremo sentire, quindi lo so che sarà difficile.» Silvia annuì «te lo prometto, ma non poterti vedere e sentire sarà uno strazio per me, però cercherò di essere forte, ma sarà impossibile non pensarti.» «Ti lascio l'indirizzo e il telefono di mio padre così potrai sentire lui, mia madre verrà con me.» Silvia si sentiva come se le strapero il cuore, l'idea di non vederlo per un mese o forse più la riempiva di sgomento. Cercava di apparire calma per non farlo star male, vedeva quanto Claudio fosse triste per quel distacco forzato e non voleva che stesse peggio. *** Non lo aveva preventivato, non aveva pensato che un giorno avrebbe provato un così grande attaccamento alla vita, una voglia di vivere così forte e disperata, lui che aveva sempre scherzato con la morte quasi credendo di dominarla. Non si era mai reso conto di quanto la vita fosse preziosa, fino a quel momento, il momento in cui capiva che poteva perderla e che era al di fuori del suo controllo. Un tumore al cervello era una sentenza di morte inequivocabile. Ed era accaduto proprio a lui, proprio nel momento in cui cominciava ad assaporare il piacevole retrogusto della vita. Proprio nel momento in cui si era innamorato profondamente. Gli avevano detto che il tumore si poteva operare, forse. Non sapevano però con quali conseguenze.

Quello che doveva affrontare era una pesante e dolorosa incognita. Ma doveva affrontarlo da solo, non poteva accettare che Silvia vivesse il suo calvario con lui. Non sapeva se dopo sarebbe stato in grado di parlare, vedere e muoversi come prima. Non voleva che Silvia provasse pietà. Non poteva sopportarlo. Gli avrebbe fatto più male del cancro. Quel pensiero lo faceva davvero incazzare. Come era possibile! perché la vita gli aveva riservato uno scherzo simile? Era profondamente incazzato con il mondo, con i suoi che l'avevano fatto nascere, con Dio. Era così incazzato che avrebbe voluto spaccare tutto. Invece non fece niente. Rimase lì docile a guardare sua madre che preparava le valigie e gli chiedeva cosa voleva portare con lui. «Decidi tu» le disse, «prendi quello che serve, qualsiasi cosa andrà bene, non voglio pensare.» Elena sembrava un'altra persona, amorevole, come non lo era mai stata in una vita, preparava tutto con cura, e sopportava i suoi scatti d'ira in silenzio. Non gli faceva domande e proseguiva con i preparativi. Solo una innaturale rigidità delle spalle tradiva il dolore che doveva provare in quel momento. Sembrava come se, di colpo, dieci anni in più si fossero abbattuti sulle sue spalle. La sua aria leggera e sorridente era diventata una maschera di dolore. Suo padre invece si era riappropriato del ruolo di capofamiglia e organizzava il viaggio, i contatti con la clinica e l'organizzazione dell'ufficio in sua assenza, faceva tutto in fretta, di corsa, quasi come se fermandosi potesse essere sopraffatto dal pensiero della malattia e potesse realizzare quello che stava accadendo ed esserne annientato. Non poteva permettersi di lasciarsi andare. Non ora.

Capitolo 15

I primi giorni ati a Roma le erano sembrati sopportabili, la nuova scuola, la casa e il nuovo ambiente l’avevano distratta, ma finita quella prima fase era ripiombata nella sofferenza, la mancanza di Claudio era quasi palpabile dentro di lei, come un peso continuo sul cuore. È che lei non riusciva a parlare di Claudio, nessuna delle sue nuove amiche sapeva di lui, non riusciva a raccontare di lui perché solo ripensare ai momenti ati insieme le spezzava il cuore, non sapeva se avrebbe mai rivisto Claudio, non sapeva neanche dov'era e conservava gelosamente in lei solo il ricordo di quei momenti preziosi. Non voleva parlarne, le parole non potevano rendere quello che provava. Non c'erano parole che potevano descrivere quella tempesta che nasceva nel suo cuore tutte le volte che lo vedeva. Quella sensazione di gioia intensa che sentiva solo guardandolo. Quella forza invincibile che aveva provato quando aveva intuito che forse anche per lui era lo stesso. A volte mentre camminava per le strade di Roma, si soffermava a guardare qualcuno che per certi versi glielo ricordava. A volte le sembrava di vederlo tra la gente con la sua andatura inconfondibile un po’ dondolante. « Dove sei amore mio? » pensava e a quel punto le scendeva una lacrima. Ricordò il suo volto al finestrino di quel treno che lo aveva portato lontano da lei, «su quel treno viaggia il mio cuore » aveva pensato allora. Rivide quei capelli che si muovevano sotto la carezza violenta del vento che scopriva e ricopriva la sua bella fronte. Da allora si sentiva monca, come se le avessero strappato un braccio o una gamba, si stupiva di camminare normalmente e di usare entrambe le mani. Andò alla finestra, il cielo grigio di novembre sembrava piangere con lei. Ebbe un brivido. Chissà quale cielo stava guardando Claudio in quel momento, il cielo

di Boston forse, fece il calcolo delle ore di differenza di fuso orario con l’Italia e immaginò il cielo del mattino americano. Doveva avere notizie di Claudio! Solo che tutte le volte che chiamava suo padre in studio si sentiva rispondere allo stesso modo «L’avvocato era fuori. Era in tribunale. Era in riunione. Vuol lasciare un messaggio, la faccio richiamare? Chi devo dire?» lei ogni volta diceva che avrebbe richiamato. Del resto che numero lasciava? Quello di casa e se poi chiamava mentre lei era a scuola? Certo avrebbe parlato con sua madre, ma lei voleva sentire il tono della voce per capire se quello che le dicevano era vero. Non si beveva più la frottola dell’esaurimento, Claudio aveva qualcosa di ben più grave e non volevano dirglielo e non era neanche certa che sua madre non fosse complice di quelle pietose bugie. Ma davvero pensavano di proteggerla tenendola all’oscuro della verità? O forse era Claudio che la teneva lontana. Quel pensiero le graffiava il cuore. Era ancora peggio. Mara si affacciò sulla porta della sua camera «Silvia tesoro, vuoi una spremuta?» Distolse lo sguardo dalla finestra e guardò sua madre «mamma, ma davvero non hai notizie di Claudio? Mi stai dicendo tutta la verità?» Mara si avvicinò a Silvia, l’abbracciò. «No, davvero non so nulla, so quello che sai anche tu» la guardò negli occhi e Silvia sentì che era sincera. Anche a Mara mancava Claudio, si era affezionata a lui così in fretta, era un ragazzo speciale, si sentiva triste per Claudio che aveva imparato ad amare come un figlio e si sentiva triste per Silvia, vederla cosi la faceva soffrire. Pensare che quello per lei era un periodo così felice della sua vita. Aver ritrovato Andrea e aver cominciato la loro vita insieme era un regalo cosi inaspettato e, a volte, si sentiva in colpa per quella felicità che provava, soprattutto quando guardava sua figlia con quell’aria disperata. «Va bene mamma, fammi la spremuta, la bevo volentieri» le disse,

«chissà che non serva a mandar giù il groppo che ho in gola » pensò. *** Silvia salì stancamente sull’autobus che tutte le mattine la portava nei pressi della scuola. Guardò le grigie strade romane già con degli addobbi natalizi anche se si era solo in novembre. Un macigno le opprimeva il cuore. Che Natale sarebbe stato per lei? L’idea del Natale le dava un fastidio enorme, già da bambina, da quando non c’era più suo padre. Quell’aria di festività gioiosa la irritava profondamente, ma gioiosa per chi? Non sopportava tutta quella esternazione di finta felicità a tutti i costi. « Ma qualcuno pensa mai a coloro che non hanno nulla da festeggiare? Perché sono soli, o malati o poveri? E poi uno si chiede perché la gente si suicida a Natale!» aveva letto in una rivista che sotto Natale aumentava il numero dei suicidi. Era diventata inerte e apatica, ogni giorno se lo trascinava addosso come un peso morto. Stefania salì sull’autobus tutta trafelata, non appena vide Silvia le si avvicinò piena di speranza. «Silvia, sono nei guai. Solo tu mi puoi aiutare» disse con il suo solito tono da melodramma. «Sei cascata dal letto anche stamattina?» Stefania ebbe una smorfia infantile. «Che barba doversi alzare con questo freddo» poi emise un sospiro di rassegnazione «hai fatto la versione di greco?» chiese sgranando gli occhi. «No» rispose Silvia tranquilla. «Mio Dio! Sono fritta!» esclamò Stefania. «Era questo il guaio?»

«Già» Stefania emise un gemito «Sono fritta!» disse di nuovo. Silvia non le diede retta, si era ormai abituata alle lamentele della sua compagna di banco. «Non vengo a scuola» disse Stefania all’improvviso. «Fa un po’ come ti pare» rispose Silvia. «Dai, fammi compagnia!» «Per far cosa?» «Ce ne andiamo in giro» «Con questo cielo grigio?» «Che te ne frega, l’importante è non andare a scuola!» Silvia si strinse nelle spalle e non rispose. Anche Stefania restò in silenzio, ma alla fermata successiva la tirò per un braccio e la fece scendere con lei. «E ora che facciamo?» chiese Silvia. «Conosci il foro?» «No.» «Allora ci andiamo.» Silvia continuò a seguire Stefania per le strade di Roma, finché non arrivarono al Foro. Si sedettero esauste su una pietra. «Eccoci qui» esclamò Stefania allegramente. Silvia la guardò duramente. «Non sperare di cavartela sempre così. Sapevi che la Prof. doveva interrogarti. Cosa ti costava perdere mezz’ora per fare la versione di greco?»

«Perché a te basta mezz’ora per fare una versione di greco?» Stefania la guardò con ironia. «E perché non l’hai fatta neanche tu allora?» Silvia si strinse nelle spalle «io non dovevo essere interrogata.» «Dai, Silvia, non farmi la predica! Ieri era una giornata storta, dovresti essere un’esperta tu che hai sempre un muso lungo tre metri!» Silvia fece una faccia arrabbiata. «Che ne sai tu dei miei problemi!» «Ecco appunto, non so niente, dovresti confidarti con la tua compagna di banco che forse è anche una delle poche amiche che hai qui a Roma!» «Dove siamo qui?» chiese Silvia «Come dove siamo Silvia, siamo al Foro, quello è il Colosseo! Hai presente dove lottavano i gladiatori nell’antica Roma?» esclamò Stefania stupita. «Qui vicino credo ci sia lo studio di un avvocato che conosco» «E a cosa ti serve un avvocato, vuoi farmi causa perché non ti ho fatto andare a scuola.» «Smettila di fare la scema e, se davvero sei mia amica, seguimi senza fare domande!» Quell’idea si era insinuata all’improvviso, doveva cercare di parlare con il padre di Claudio. Quella era l’occasione, forse era un segno del destino. Ricordava che il suo studio era in zona Colosseo. Tirò Stefania per un braccio doveva fare un tentativo. «Guarda, lì c’è un vigile andiamo a chiedere indicazioni.» «Ok» disse Stefania seguendola controvoglia. Non desiderava rimettersi a camminare, ma era troppo curiosa di sapere cosa

aveva in mente Silvia. Silvia controllò due volte il nome sul camlo poi suonò, qualcuno aprì. «Vieni su andiamo» disse Silvia tirando il braccio di Stefania. Arrivò nell’ingresso e chiese dell’avvocato Carlo Parini mentre Stefania si metteva a sedere su una sedia in attesa. «Avvocato, c’è una ragazza che chiede di lei, Silvia Minetti.» Carlo sussultò, la ragazza di Claudio «al telefono?» «No è qui di persona e chiede di vederla.» Carlo si sentì perduto, accidenti doveva riceverla, come avrebbe fatto a nascondere la situazione di Claudio, guardandola in faccia. Fece un respiro profondo. «La faccia entrare.» Si era preparato un bel discorso, aveva pensato più volte a quello che avrebbe detto se si fosse trovato a parlare al telefono con Silvia. Poi quando se la trovò di fronte e la guardò negli occhi non fu capace di mentire. «Avvocato, vorrei sapere come sta Claudio, non ho più sue notizie e ho bisogno di saperlo. altrimenti non vivo più» disse Silvia decisa. «Claudio si sta curando, Silvia, ma questo già lo sai.» Silvia annuì «So che doveva curare un esaurimento nervoso, ma io non credo che si tratti di questo, credo sia una malattia più grave.» Carlo si mosse nervosamente sulla sedia. Guardò quella ragazza, era così bella e sembrava così innamorata, quando pronunciava il nome di Claudio i suoi occhi brillavano, si chiese se stare lontano da lei fosse davvero un bene per Claudio. Forse averla vicino poteva aiutarlo. In questi casi l’umore è determinante per vincere la malattia.

«Senti Silvia, Claudio vuole tenerti lontano da questa situazione, non vuole farti soffrire.» Gli occhi di Silvia si riempirono di lacrime. «Ma come può pensare che io non soffra, non so più niente di lui e mi sembra di impazzire» continuò asciugandosi le lacrime con il dorso della mano. «Voglio sapere che cosa ha.» «Ha un tumore» rispose Carlo con gli occhi lucidi. Silvia incassò il colpo, respirò lentamente. «E si trova a Boston?» «Sì» disse Carlo dopo una breve esitazione. «Non è vero» lo guardò dritto negli occhi «mi dica la verità, non si trova a Boston, magari è qui a Roma, magari è più vicino di quanto io creda.» Carlo sospirò, non aveva più voglia di mentire. «Sì è vero, non è a Boston, ma non è neanche a Roma, però è in Italia, Claudio si sta curando in Italia.»

Capitolo 16

Era tutto organizzato, aveva il biglietto del treno e tutti i soldi che era riuscita a risparmiare in quei mesi, le sarebbero bastati, in fondo doveva solo raggiungere l’ospedale in taxi dalla stazione. «Allora Stefania, hai capito cosa devi fare?» Stefania annuì. «Domani sera, quando tu dovresti tornare a casa, chiamo tua madre e le dico di non preoccuparsi e che tu sei andata a trovare Claudio.» «Io le ho già detto che domani dopo la scuola vengo a studiare da te, quindi ho l’intera giornata a mia disposizione» disse Silvia «tu puoi chiamarla verso sera, intorno alle 19.00, prima che si allarmi e faccia la sciocchezza di chiamare la polizia, nel frattempo io sarò già arrivata.» «Ma davvero non vuoi che ti accompagni, Silvia? sarai da sola in una città che non conosci.» «Ascolta Stefania, non posso mettere nei guai anche te, basto io e poi voglio solo vedere Claudio, prendo il primo treno del mattino e nel primo pomeriggio sono già lì.» «E la notte dove starai?» «Nella hall dell’ospedale, al mattino al limite riprendo il treno per Roma.» Si era detta che voleva vedere Claudio, anche solo per un momento e se lui voleva che lei stesse lontana poteva dirglielo in faccia. Voleva rivederlo, forse dopo sarebbe stata meglio o peggio. Ma tutto era meglio di quella incertezza. «Lo ami molto?» chiese Stefania «Alla follia, infatti sto facendo questa pazzia, vado a cercarlo sapendo che lui che non vuole vedermi e che non sa che sto andando da lui.»

«Se è malato un po’ lo capisco. Però anche tu, ti sei chiesta come reagirai? È in una condizione critica, magari ci starai male e se lo mostrerai lui starà anche peggio.» «Posso essere forte, ho già avuto momenti difficili nella mia vita, posso farcela» Stefania l’abbracciò. «Va bene, se hai bisogno di qualsiasi cosa e non vuoi chiamare tua madre, telefonami. Ok?» «Ok, stai tranquilla.» *** Il rumore del treno la distoglieva dai suoi pensieri, non aveva dormito tutta la notte, l’ansia di dover partire l’aveva tenuta sveglia. Il cuore le scoppiava, era emozionata all’idea di poter rivedere Claudio e al tempo stesso era spaventata da quello che doveva affrontare. Come avrebbe reagito Claudio? magari si sarebbe arrabbiato. Forse. Come avrebbe reagito lei nel rivederlo? Non sapeva cosa l’aspettava, suo padre era stato vago, aveva detto che il tumore era operabile, ma prima stavano facendo delle cure per ridurlo di dimensioni. Solo in quel modo l’intervento poteva essere meno invasivo. Chemioterapia, quella era la cura. Lei ne aveva sentito parlare qualche volta, ma l’aveva sempre associata a qualcosa di sinistro. Associarla a Claudio le sembrava strano e terribile. Aveva fatto finta di niente con il padre di Claudio, lo aveva ringraziato, gli aveva detto che sapere quello che stava accadendo la faceva star meglio e che lo avrebbe chiamato per avere notizie. Poi si era congedata da lui e intanto quel piano aveva cominciato a delinearsi nella sua testa, Claudio era in Italia, poteva prendere un treno e andarlo a trovare. *** «Buon giorno» esclamò l’infermiera entrando nella stanza. «Dormito bene, ragazzi?» Claudio si rigirò nel letto, nervosamente.

«Domanda di riserva?» chiese «non è che si riesca a dormire tanto bene con un ago conficcato nel braccio!» L’infermiera sorrise «è per il tuo bene, questa flebo serve a ridurre la nausea, oggi te la togliamo, così per qualche giorno ti riposi» continuò «non sei contento?» «Una Pasqua» replicò lui ironico. In effetti si sentiva un po’ meglio, la chemioterapia lo faceva stare uno schifo, si sentiva debilitato e quella nausea continua non gli dava tregua. Quella mattina si sentiva perfino in grado di far colazione. Ormai conosceva il percorso di ogni ciclo di chemio. Il primo giorno successivo alla terapia stava malissimo, vomitava di continuo e nella pause riusciva solo a dormire perché si sentiva debolissimo. In quelle flebo dovevano metter qualcosa di potente perché non aveva mai dormito tanto come in quel periodo. Era un bene, perché quando dormiva non pensava a niente. Dopo una settimana cominciava a star meglio, l’effetto della chemio si affievoliva, il problema era che quando cominciava a star bene del tutto era il momento di ricominciare la terapia, se i valori del sangue lo permettevano. «Prelievo» disse l’infermiera prendendogli il braccio «vediamo come è il livello dei tuoi globuli bianchi» Claudio le porse il braccio con pazienza. «Così dopo puoi fare colazione.» «Meraviglioso» disse. Guardò il suo vicino nel letto accanto al suo. Era un ragazzo un po’ più grande di lui, era stato operato due settimane prima, lo avevano appena portato dalla terapia intensiva, ma non sembrava stesse meglio. La sua faccia era una maschera. La testa fasciata, gli occhi cerchiati da due grossi lividi. «Davide oggi sta molto meglio!» disse l’infermiera rivolgendosi a lui. Il ragazzo annuì debolmente. «Davvero? Sembra un panda» disse Claudio abbozzando un sorriso.

«Tutto normalissimo, con un intervento alla testa è perfettamente normale che si formino dei lividi intorno agli occhi, è il flusso del sangue, tra qualche giorno i lividi spariranno e comincerà ad avere un aspetto migliore.» Claudio si chiese se era davvero così. Pensò che anche lui avrebbe dovuto affrontare l’intervento prima o poi. Per un momento si sentì quasi fiducioso. Si alzò dal letto e andò in bagno, si lavò la faccia e si guardò allo specchio, guardò la sua testa calva con disappunto. In fondo aver perso i capelli non era la cosa peggiore della chemioterapia. Era peggio tutto il resto. Uscì dal bagno e andò alla finestra, osservò le colline coperte da una leggera bruma. L’Ospedale Bellaria sorgeva su una collina alla periferia di Bologna ed era specializzato nelle patologie neurochirurgiche, era all’avanguardia in Italia e suo padre che, tramite amici comuni, aveva conosciuto il primario del reparto di cardiochirurgia, aveva accettato il suo consiglio di farlo curare lì. Era stato più semplice restare in Italia. Suo padre sarebbe stato disposto a vendere anche la casa pur di farlo curare a Boston, ma alla fine era stato meglio così. Avevano affittato un appartamento ammobiliato nel centro di Bologna, sua madre si era trasferita lì e andava da lui tutti i giorni, nell’orario di visita che al Bellaria era rigidissimo. Ai parenti dei pazienti in alcun reparti era permesso entrare solo in precise fasce orarie, molto ristrette. Suo padre arrivava ogni fine settimana. Adesso i suoi genitori sembravano uniti più che mai. Che strano, in tutti quegli anni ci aveva sperato e non era mai successo, e accadeva adesso che non gliene fregava più niente. O forse era solo una tregua momentanea. Fece colazione cautamente, sperando di non vomitare tutto. Sì, stava meglio, per qualche giorno avrebbe avuto un po’ di tregua. Si stese sul letto e provò a leggere un libro, dopo un po’ smise e cercò di ascoltare i Pink Floyd con il walkman, regalo di suo padre. Gli aveva chiesto un registratore portatile con delle cuffiette e il week end dopo era arrivato con l’ultima tecnologia della Sony. Era una soddisfazione. How I Wish, how I you were here cantava David Gilmour e per un momento pensò a Silvia. Sperava stesse bene. Magari aveva conosciuto un altro ragazzo. Sapeva che non aveva più telefonato a suo padre per chiedere sue notizie e lui un po’ era dispiaciuto e un po’ era contento. « Per lei è meglio così » pensò, ma l’idea che potesse averlo dimenticato lo faceva sentire peggio della chemio al primo giorno.

*** Silvia scese dal treno e si guardò intorno, non era mai stata a Bologna e quella stazione le sembrava strana, era diversa da quella di Roma e di Firenze, non vedeva la fine del treno. Scese nel sottoaggio e seguì le indicazioni, doveva arrivare al punto in cui c’erano i taxi. Ma quanta gente c’era. Ripensò alla notizia della bomba di qualche anno prima e pensò cosa dovesse essere stato con tutta quella gente. Provò un brivido. Fece la fila pazientemente e finalmente fu il suo turno e salì sul taxi. «Ospedale Bellaria» disse con sicurezza Il taxi partì immediatamente. Quel posto le sembrava fuori dal mondo, su quella collina piena di alberi avvolta dalla nebbia. Pagò il taxi e scese velocemente. Salì i primi gradini dell’entrata principale. Raggiunse quella che sembrava la portineria. Chiese informazioni. Doveva visitare un paziente, ma non sapeva bene in quale reparto fosse. L’addetto alla portineria fu gentile, controllò il nome sul computer, poi le disse che era nel reparto Neurologia II, le spiegò il percorso per arrivarci, ma l’orario delle visite cominciava alle 17.00 prima non si poteva entrare. Silvia guardò l’ora erano le 15.00, doveva aspettare due ore. Si fece indicare il bar, si accorse che aveva fame, poteva mangiare un panino e aspettare l’orario. Si sentiva sottosopra, l’idea di vedere Claudio la stordiva, era lì a pochi i da lei. Si sentiva angosciata e non sapeva come lui avrebbe reagito nel vederla. Però adesso era lì, aveva fatto quel viaggio solo per poterlo vedere un momento e ormai era in ballo, si sentì contenta perché l’ospedale le sembrava molto ben organizzato e quasi accogliente e tutti erano molto gentili. Dopo aver mangiato il panino al bar, tornò nell’ingresso dell’ospedale e andò a sedersi nella sala di aspetto. Si guardò intorno. Altre persone con la faccia stanca

erano sedute pazientemente in attesa, apri un libro e cercò di leggere, ma le parole ballavano davanti ai suoi occhi, continuò e tenere il libro aperto per darsi un tono, mancava circa un’ora, ma avrebbe potuto aspettare anche tutta una vita. Quando arrivò davanti alla porta del reparto dieci minuti prima dell’apertura, altra gente aspettava pazientemente che venisse aperta la porta. «Accidenti, non sgarrano un minuto, aprono alle 17.00 in punto, mai che lo facciano cinque minuti prima» disse una giovane signora lamentandosi con il suo vicino, «Sono le regole dell’ospedale, in questo reparto sono molto severi» replicò lui «lo fanno per il bene dei pazienti.» Silvia restò ferma all’inizio delle scale, in silenzio, si sentiva il cuore in gola. Guardò su e le sembrò di riconoscere la madre di Claudio. Sentì un tuffo al cuore. Abbassò lo sguardo, sperando che non la riconoscesse, in fondo si erano incontrati solo un paio di volte l’estate scorsa. Arrivò qualcuno ad aprire la porta del reparto e tutti cominciarono a entrare. Lei salì i pochi gradini che la separavano dalla porta di ingresso e cercò di seguire il flusso di gente. Seguì con lo sguardo la direzione verso cui andava Elena. La vide entrare in una camera. «E adesso?» pensò, all’improvviso sentì che le mancava il coraggio di entrare, anche l’idea che ci fosse sua madre la intimidiva. Ma non poteva fermarsi adesso. Si affacciò sulla porta della camera. In uno dei letti vide un ragazzo con la testa fasciata e accanto una donna che gli accarezzava il viso, non era la mamma di Claudio. Infatti Claudio non era ancora stato operato. Non poteva essere lui, pensò. Rivolse gli occhi verso l'altro letto e lo vide. Claudio era seduto sul letto accanto a sua madre. Lo guardò, quella testa calva le fece una gran tenerezza, ma non le sembrava poi così diverso dal solito. Voleva chiamarlo, pronunciare il suo nome, ma aprì la bocca e non uscì alcun suono. In quel momento quasi come se avesse sentito il suo sguardo Claudio si voltò e la vide.

Capitolo 17

«Buonasera signora, sono Stefania, l’amica di Silvia.» «Oh, ciao Stefania, stavo per chiamarti per sapere se dovevo venire a prendere Silvia.» «Ecco appunto, Silvia non è qua» rispose Stefania, si sentiva nervosa «Sta tornando a casa in autobus?» «No, Silvia non è qui, è andata a trovare Claudio» rispose in un soffio. Dopo che Stefania le ebbe spiegato tutta la storia, Mara non sapeva se si sentirsi più arrabbiata o più preoccupata. Corse a dirlo ad Andrea. «Stai calma Mara, adesso proviamo a chiamare il padre di Claudio e vediamo come riportarla a casa, in fondo sappiamo dov’è» disse Andrea cercando di calmarla «Ma è da sola! in una città che non conosce ed è sera, è una ragazzina!» «Silvia è giovane, ma è una ragazza in gamba! Stai tranquilla, la troviamo, dammi il numero del padre di Claudio, lo chiamo subito e vedrai che va tutto a posto.» *** «Accidenti, tutta colpa mia» pensò Carlo mentre parlava al telefono con Andrea. «Sono un idiota, potevo stare zitto! Certo che quella ragazza era proprio determinata!» pensò ammirato. «Andrea, stia tranquillo, adesso chiamo la mia ex moglie a Bologna e l’avverto, anche se forse lei ha già incontrato Silvia, se è andata all’ospedale.»

«Mi faccia sapere al più presto, mia moglie sta per avere una crisi d’ansia, sa con tutto quello che si sente in giro, è molto preoccupata.» «Lo faccio subito» disse. «Subito un corno!» pensò, doveva aspettare che Elena rientrasse a casa, la chiamava tutte le sere dopo le otto. Forse poteva provare a chiamare il reparto dell’ospedale. Provò a guardare nella sua agenda se aveva il numero, anche se ne dubitava. Avrebbe dovuto aspettare l’orario in cui Elena fosse rientrata, ma forse avrebbe incontrato Silvia ben prima che lui riuscisse a chiamarla. *** Per un momento Claudio pensò ad un’allucinazione, poi la guardò e capì che era proprio lei. «Silvia» disse, si alzò in piedi e andò verso la porta. Lei era rimasta impietrita dall’emozione e quasi non riusciva a muoversi. «Claudio» disse piano e gli accarezzò il viso. Claudio l’abbracciò e Silvia si strinse a lui e cominciò a piangere piano, tutta la tensione di quella giornata e di quell’attesa si sciolse in quelle lacrime. Claudio avrebbe voluto essere arrabbiato, ma non ci riusciva, la guardava e pensava che era diventata ancora più bella. Lui aveva sicuramente un aspetto pietoso, ma lei lo guardava con il suo solito sguardo innamorato, sembrava incredibile. «Come fai ad essere qua?» chiese infine guardandola «Ho preso il treno» disse e la risposta le sembrò così stupida che le venne da ridere «Certo» disse lui sorridendo e l’abbracciò di nuovo. Elena li guardava, aveva gli occhi lucidi e sorrideva.

«Mamma, ti dispiace se andiamo nella sala d’aspetto? parliamo un po’» chiese Claudio rivolto a sua madre. «Fate pure, io sistemo la biancheria pulita nel tuo armadietto, faccio un po’ di cose.» Andarono nella sala tv dell’ospedale e sedettero vicini. «Allora ti piace il mio nuovo taglio di capelli?» chiese lui. «Stai benissimo, non l’avrei mai detto, ma ti amo anche calvo» rispose lei ridendo ed era vero, lo guardava e non poteva immaginare un sentimento più forte di quello che provava per lui in quel momento. «Ma i tuoi sanno che sei qui?» chiese Claudio. «No, o meglio a quest’ora l’avranno saputo» gli raccontò tutta la storia dell’accordo con Stefania. «Lo sai che sei pazza, vero?» «Sì, sono pazza di te.» Poi si fece seria. «Perché mi hai tenuto lontana da te, Claudio? Proprio in un momento così difficile per te.» «Non volevo farti soffrire, Silvia» rispose lui «e non voglio che tu stia con me per pietà.» «Io voglio stare con te perché ti amo! E in questo momento non mi fai pietà, piuttosto mi fai rabbia, perché mi hai tenuta lontana, mi hai escluso.» Lo guardò con attenzione. «Mi sembra che tu stia abbastanza bene.» Claudio sospirò. «Questa è una fase buona della terapia, la scorsa settimana mi avresti visto molto

meno in forma.» «Credi che non sia capace di affrontare il fatto che stai male, ce la posso fare» replicò lei. «Silvia, io potrei anche morire.» «Il tumore è operabile, me lo ha detto tuo padre.» «Il fedifrago! Gli avevo chiesto di mantenere il segreto.» «Gli ho fatto il terzo grado, non ha potuto mentire.» «Senti Silvia, ovviamente spero di poter fare l’intervento e che vada tutto bene, però ho ancora un lungo calvario da affrontare, vorrei risparmiarti tutto questo» fece una pausa «e non mi hanno garantito che dopo l’intervento sarà davvero tutto a posto, potrei avere qualche … problema.» «Allora vuoi che vada via?»Silvia lo guardò negli occhi. Claudio ricambiò lo sguardo, aveva voglia di stringerla a sé e di andare fuori da quell’ospedale insieme a lei. «Non voglio che tu vada via, Silvia, adesso che sei qui voglio solo stare con te.» «Solo che tra mezz’ora finisce l’orario delle visite» disse Silvia sconsolata. «Posso restare un po’ fuori dal reparto» disse lui, mentre un’idea cominciava a insinuarsi nella sua testa. Chissà se poteva uscire dall’ospedale fino al ciclo successivo di chemio. Qualche paziente lo aveva fatto. L’indomani mattina poteva parlare con il dottore. «Stasera vai a casa con mia madre, Silvia, così puoi chiamare anche i tuoi, poi domani tornate qua.» Silvia annuì «Non volevo disturbare, però» disse piano. «Ok allora per non disturbare mia madre andrai a dormire sotto i ponti, ottima idea.»

Elena si affacciò sulla porta della sala. «Claudio vado giù nella hall a chiamare tuo padre, così tranquillizza i genitori di Silvia, immagino che siano parecchio in ansia.» Claudio la guardò e annuì. Era grato a sua madre per come riusciva a capire le cose al volo. Quante qualità aveva scoperto in lei in quei due mesi.

Capitolo 18

«Puoi andare a casa per qualche giorno Claudio, ma lunedì devi tornare qui, dobbiamo controllare i tuoi globuli bianchi e nel caso riprendere la terapia» disse il dottore osservando i dati sulla cartella. «I valori del sangue ieri erano buoni, ma non bisogna mai abbassare la guardia e, comunque, devi stare attento a non prendere freddo o colpi d’aria, le tue difese immunitarie sono fragili.» Claudio annuì. L’importante era poter stare fuori dall’ospedale in quei giorni, con Silvia. Non vedeva l’ora di dirglielo. Si sentiva un pazzo. Aveva il cancro, poteva morire e pensava solo a quei quattro giorni che avrebbe ato con lei. Beh, forse non era pazzo, aveva solo bisogno di una tregua. Aveva solo bisogno di credere ancora che la vita potesse fargli un regalo. Pensò che voleva fare una doccia per togliersi di dosso l’odore dell’ospedale, ma prima raggiunse il telefono nella sala, chiamò sua madre per dirle che poteva essere dimesso per quei giorni e per parlare con Silvia. Non vedeva l’ora di rivederla. «Dici davvero Claudio?» chiese Silvia raggiante «Fino a lunedì, credi di poterti fermare a Bologna per i giorni che starò fuori?» «Certo che resto!» «Ah però, non so se puoi, perderai la scuola, a no, meglio di no» ribatté lui. Silvia sorrise cercando di immaginare la faccia divertita di Claudio «Vedo che ti è tornata la voglia di scherzare … Smettila di farmi perdere tempo, ti veniamo a prendere.» Non vedeva l’ora di stare con lui. Silvia osservava Elena mentre sistemava le tazze nel mobile della cucina, era una donna così bella ed elegante, i capelli che prima portava di un biondo

chiarissimo adesso erano di un castano color miele e molto più naturale, gli occhi dello stesso verde intenso degli occhi di Claudio. Elena si voltò a guardarla e le sorrise. «Ho finito Silvia, adesso andiamo.» Silvia annui con gli occhi lucidi Elena le si avvicinò e le fece un leggera carezza sulla guancia. «E’ davvero bello che tu sia qui, forse non te ne rendi conto, ma hai un effetto davvero positivo su Claudio, ieri sera sembrava un’altra persona.» «E’ lo stesso effetto che lui fa a me» rispose Silvia. Nel tragitto in taxi verso casa seduta accanto a lui non riusciva a staccargli gli occhi di dosso. Voleva imprimersi nella mente il suo viso, avevano quattro giorni da are insieme ed erano un regalo prezioso. Lui le teneva la mano e ogni tanto si girava a guardarla. «Dovresti guardare fuori dal finestrino ogni tanto, io sono un panorama monotono» disse lui. «La città la guarderò dopo, adesso voglio rendermi conto di stare davvero con te, voglio essere sicura di non sognare.» Lui la strinse a sé in silenzio. Silvia aspirò il profumo della sua pelle, lo riconobbe e si sentì a casa. *** «Raccontami della tua nuova vita a Roma, come ti trovi?» «Non faccio granché, casa e scuola, ho legato solo con la mia compagna di banco, Stefania, abbastanza simpatica. Di Roma ho visto molto poco, il centro e i dintorni di casa mia che poi non dista molto dal centro.» Silvia cercò di concentrarsi su quello che stava dicendo, in quei mesi aveva vissuto come in trance, Roma l’aveva guardata distrattamente e quasi non si era

accorta della sua bellezza. Parlandone con Claudio si era ricordata dell’atmosfera e della luce che aveva percepito in alcune strade del centro e solo adesso che ne parlava con lui si rendeva conto di quanto fosse bella. «E la nuova casa? Il nuovo compagno di tua madre, come sono?» chiese Claudio, voleva sentire qualcosa di diverso dalle storie di malattia che aveva ascoltato nei giorni di ospedale, voleva distrarsi, almeno per un po’. Silvia sembrò pensarci un po’ su. «La casa di Andrea è piuttosto bella, molto grande e luminosa, la mia camera è spaziosa. In un condominio elegante. E Andrea sembra adorare mia madre. Non è incredibile? Anche con me è sempre premuroso. Non so, sarà che non ho più avuto un padre da tanto tempo, ma mi sono affezionata subito. Almeno credo. Perché nel frattempo pensavo sempre a te e non mi sono focalizzata molto sulla mia vita.» Claudio si sentì contento per Silvia, almeno la sua situazione familiare era decisamente migliorata. «E tu, che novità mi racconti?» chiese Silvia, voleva sapere come procedevano le cure. Claudio la guardò con un mezzo sorriso, non aveva voglia adesso di parlare della sua malattia. «Ho smesso di fumare» esordì «non ci crederai, ma quando ti iniettano tanto veleno nel sangue, ti a la voglia di avvelenarti da solo con le sigarette.» Silvia gli sorrise, capì che Claudio stava glissando l’argomento. «Almeno un vantaggio l’hai ottenuto» rispose. «Bene» concluse Claudio «adesso però siamo insieme, quindi propongo di pensare solo a noi e a vivere questo momento, cosa ne dici se facciamo un giro per Bologna, non ho visto molto di questa città, sarebbe bello scoprirla insieme.» «Non chiedo di meglio» rispose Silvia «dovrei anche comprarmi qualcosa da mettere in questi giorni, sono partita per stare via un giorno solo.»

«Compriamo tutto quello che serve» disse lui. *** «Fate un bel giro ragazzi, io vi aspetto per cena e se tardate o per qualsiasi problema telefonatemi.» Elena restò sulla porta a guardarli mentre entrambi annuivano e scendevano le scale del palazzo. «Tranquilla mamma non ci perdiamo, a stasera» rispose Claudio. Quando furono davanti al portone si guardarono intorno, la nebbiolina di novembre del giorno prima aveva lasciato il posto a un sole ancora pallido nell’aria del mattino, ma piacevole. Era una giornata tiepida per il mese di Novembre. «Silvia hai portato il sole a Bologna» disse Claudio dandole un bacio a fior di labbra. Si strinse a lui e gli diede un bacio vero. «Finalmente posso approfittare, davanti a tua madre non potevo» disse lei. Lo guardò. Claudio aveva un berretto leggero che gli stava proprio bene e aveva un aspetto raggiante. «Sai orientarti Claudio? perché io non ho idea di dove siamo, finora mi sono mossa in taxi e con tua madre.» «Siamo in via Giobbe, nel ghetto ebraico a due i dalla due torri» rispose lui. «Ho fatto un breve giro appena arrivato, prima di andare in ospedale» continuò. «Che fortuna trovare un appartamento in pieno centro» disse Silvia. «Beh, mio padre ha fatto tutto tramite agenzia, inizialmente si pensava di prendere un appartamento vicino l’ospedale, ma mia madre non era entusiasta all’idea di stare in periferia e quando ci hanno proposto questo e l’abbiamo visto abbiamo deciso» rispose Claudio.

«O meglio, hanno deciso, io non ero molto interessato, ma adesso sono contento, è molto meglio per noi» la tirò per il braccio «andiamo approfittiamo del sole, finché c’è.» Camminarono per tutta la mattinata, scoprendo strade e monumenti e molti angoli speciali, sentendosi quasi in vacanza. Sedettero sui gradini di una chiesa per riposarsi. «Bologna è una città strana, la si scopre poco per volta. Mostra la sua bellezza lentamente, attraverso le sue strade fatte di portici che si aprono di fronte a piccoli gioielli monumentali inaspettati» esclamò Claudio. «Hai notato che non c’è un portico uguale all’altro?» continuò. «Sì» rispose Silvia «all’inizio sembrano tutti uguali, poi se ti soffermi, vedi che alcuni sono semplici ed essenziali, altri sono affrescati con dipinti meravigliosi.» «La sua è una bellezza diffusa con i suoi suggestivi scorci medievali» disse lui. «Che ne dici se ci fermiamo a mangiare da qualche parte e poi magari andiamo a comprarti qualcosa, di ciò che ti serve?» «Va bene» disse Silvia «ma tu come ti senti, stai bene, non sei stanco?» Claudio le prese la mano, capiva che Silvia aveva omesso ogni domanda sulla sua malattia, per fargli piacere. «Sto bene, Silvia. Credo di aver smaltito tutto il veleno che con la chemio mi mettono in corpo, quindi per qualche giorno starò bene, prima di ricominciare o di capire se posso fare l’intervento.» Silvia annuì. «E hai ancora i mal di testa?» chiese lei. «Stranamente no, anche se con la cura sto molto peggio con lo stomaco, e non solo, è un malessere più generale, diffuso. L’unica cosa che posso fare è bere molta acqua per smaltire le sostanze tossiche attraverso le urine. In effetti funziona» fece una pausa «i dottori dell’ospedale sono molto bravi, coinvolgono il paziente e spiegano sempre quello che fanno. E anche il resto del personale è

fantastico. Con tutto quello che vedono hanno sempre il sorriso sulle labbra, sono molto professionali.» «Si, l’ho notato anch’io, per quel poco che ho visto» disse Silvia. Si sentiva più fiduciosa adesso, avrebbero affrontato tutto insieme. *** «Ho preparato il lettino nello studio» disse Elena dopo cena «quello dove dorme tuo padre quando viene qua.» «Silvia può dormire con me, il letto è a una piazza e mezzo, staremo abbastanza comodi» rispose Claudio. Non ci pensava proprio a separarsi da lei. Elena assentì. Era chiaro che volessero stare insieme. Del resto vedere Claudio felice la faceva sentire quasi euforica, l’aveva visto sempre più cupo in quei due mesi e sembrava che niente alleviasse la sua angoscia. Avrebbe fatto un monumento a quella ragazza. «Va bene, ragazzi» io vado a rigovernare, se volete stare sul divano a guardare la tv. «Andiamo a dormire, sono un po’ stanco, cosa ne dici Silvia?» «Volentieri, oggi abbiamo camminato tantissimo» rispose lei. *** Silvia andò in bagno indossò il pigiama che avevano comprato insieme, si lavò i denti e pensò che era stata una giornata bellissima. «Ti piace il mio pigiama nuovo» chiese a Claudio facendo una piroetta su se stessa. «Molto carino, ma tanto te lo tolgo subito.» Silvia lo guardò un po’ sorpresa. Lui la baciò e la strinse forte. «Ma dove trovava ancora tutta quella forza nelle braccia » pensò Silvia

«Non crederai che voglia davvero dormire?» disse lui. Silvia si sentì sciogliere e senti il desiderio di lui con prepotenza. Non ci aveva neanche sperato, temeva che con la malattia lui avesse accantonato l’idea del sesso per un po’. Capì di volere Claudio con lo stesso struggimento di sempre. Rispose ai suoi baci con avidità. Si accorse di quanto le erano mancate le sue carezze, il suo corpo e quella fusione di sensazioni così intense che la facevano volare in alto, sempre di più.

Capitolo 19

«La sensazione che mi dai è quella di un impalpabile, dolcissimo meraviglioso sogno.» Era sveglia da un po’ e cercava di rimanere immobile per non svegliarlo, voleva guardarlo mentre dormiva. Claudio nel sonno aveva un’espressione serena e ne era felice. Non si sarebbe mai stancata di guardarlo. La linea dolce delle labbra, la fossetta leggera che aveva sul mento, le ciglia lunghe che resistevano nonostante la cura. Quella notte avevano fatto l’amore in modo così intenso che si era sentita quasi mancare il fiato, le sembrava impossibile sentirsi così felice nonostante la situazione. Lo guardava e non poteva fare a meno di sentirsi fiduciosa. Sarebbe andato tutto a posto, sarebbe guarito. Gli occhi di Claudio si socchio. Le sorrise. «Da quanto tempo mi stai guardando dormire? Quella era una mia esclusiva lo sai?» «Adesso è il mio turno. Ho il braccio formicolante, non mi sono mossa tutto il tempo per non svegliarti. Sei uno spettacolo quando dormi, adoro guardarti.» «Posso fingere di dormire ancora un po’, se ti fa piacere!» «Solo se fa piacere anche a te» rispose lei. «Ok» Claudio richiuse gli occhi e lei lo baciò sulle labbra. Claudio rispose al bacio, aveva voglia di lei e quel desiderio lo faceva sentire talmente vivo che gli sembrava di poter superare qualsiasi ostacolo. Sentire il suo corpo aderente al suo che rispondeva al suo stesso desiderio gli sembrava la sensazione più vitale del mondo. Voleva perdersi dentro di lei, imprimersi nella mente il suo odore e il suo sapore per i giorni a venire. «Forse dovremmo alzarci, sono quasi le dieci» disse Silvia. In realtà era più

preoccupata per la madre di Claudio, poteva venire a bussare e si sarebbe sentita piuttosto in imbarazzo. «Sì è meglio, cosi magari facciamo colazione e poi continuiamo il giro turistico per Bologna.» *** Elena era seduta in cucina e sfogliava una rivista. «Metto a fare il caffè» disse appena li vide entrare «ci sono dei biscotti e del pane tostato, burro, marmellata e latte.» «Bene, abbiamo fame» rispose Claudio mentre si avvicinava a lei e le dava un bacio sulla guancia. «Grazie mamma» Elena fu sorpresa da quel gesto di affetto, le sembrava così lontano il tempo in cui suo figlio, bambino, le buttava le braccia al collo e cercava le sue carezze. Le vennero gli occhi lucidi, doveva cercare di contenersi. Per fortuna squillò il telefono e si alzò in fretta per rispondere. «Tuo padre arriva stasera Claudio, ti va di andare insieme a mangiar fuori?» «Va bene, perché no.» Silvia guardò Claudio con sgomento «Tuo padre?» Lui la guardò divertito. «Cosa c’è? Perché quella faccia?» Silvia nascose il viso tra le mani. «Lo sai cosa c’è, bella figura che ho fatto con lui, penserà che sono un’attrice formidabile.» Claudio rise «Dopo tutto quello che hai fatto per venirmi a trovare, non ti farai intimorire da mio padre!» «No, nessun problema rifarei tutto» lo guardò negli occhi «Ne è valsa la pena.» Lui le strinse la mano «Direi proprio di sì.» Silvia gli sorrise, poi fece un piccolo sospiro e cominciò a sorseggiare il suo caffè.

*** Quei tre giorni volarono via come una folata di vento. Quasi come in un vortice. Claudio pensava con sgomento al lunedì e al suo rientro in ospedale. Accidenti adesso gli sembrava tutto ancora più difficile, non capiva se era peggio il pensiero di allontanarsi da lei o quello di riprendere la terapia. Avrebbe voluto fermare il tempo. «Potresti rientrare con mio padre domenica pomeriggio, sarebbe meglio, e non perderesti un altro giorno di scuola» le disse domenica mattina. Pensava così di prepararsi al distacco con più facilità. Silvia lo abbracciò, aveva intuito i suoi pensieri. «Ti prego Claudio, fammi restare con te fino a domani.» Lui la guardò. «Lo sai che così separarsi sarà ancora più difficile, più difficile per me.» Silvia gli mostrò un viso tristissimo e rassegnato. «Se proprio vuoi» «Bene, è deciso» disse lui. Le veniva da piangere. «Preparo la borsa» disse allontanandosi da lui. Distolse lo sguardo. Non voleva farsi vedere con le lacrime agli occhi. Claudio la guardò mentre metteva quelle poche cose comprate in quei giorni in un piccolo borsone. «Sì è meglio così» pensava « ma allora perché sto così male?» «Oh, al diavolo!» esclamò, prendendola tra le braccia. «Parti domani, resta con me anche stanotte, per soffrire la tua mancanza ci sarà anche fin troppo tempo.» *** Tutto sommato il cielo è azzurro anche dietro le nuvole più scure, doveva cercare

di pensare positivo. Non aveva niente da perdere. A parte la vita. Pensava a questo mentre l’infermiera gli faceva il prelievo per il controllo. Guardò il letto vicino al suo, era vuoto. «Davide, dov’è?» chiese. «Lo abbiamo spostato in un altro reparto, ormai sta molto meglio.» L’infermiera lo scrutò con attenzione. «Anche tu mi sembri star meglio, questi giorni fuori ti hanno fatto bene, mi sembri in ottima forma» Claudio annuì. «Credimi è stata una vacanza, star fuori da qui e assaporare una vita normale può fare miracoli!» Pensò a Silvia, era sicuramente già sul treno. Aveva promesso di chiamarla in serata per avere notizie del viaggio. Per un attimo i giorni appena ati gli sembrarono un sogno, erano volati via così in fretta. Si era sentito forte con lei accanto e adesso gli sembrava che tutta la sua determinazione fosse svanita. Doveva ricominciare quella cura terribile. Chissà ancora per quanto tempo. Non era più sicuro di farcela a sopportarla. Però doveva farlo. «Calma» respirò a fondo «devo stare calmo.» Mise gli auricolari e cercò di distrarsi ascoltando un po’ di musica. Nel lettore c’era ancora la cassetta dei Pink Floyd, li stava ascoltando il giorno che aveva rivisto Silvia. Quel ricordo gli procurò un sorriso. Si stese sul letto e lasciò che il ricordo vivo di lei lo sommergesse.

Capitolo 20

«Tutto è andato bene.» La voce sembrava provenire da lontanissimo, strano come distinguesse distintamente il discorso nonostante la distanza. Da dove venivano quelle voci? Dall’altra stanza, ma lui in quale stanza si trovava? «Dobbiamo solo aspettate che si svegli per poter fare ulteriori controlli.» «Ma io sono già sveglio, sento le vostre voci, sono qui , però non riesco ad aprire gli occhi, non riesco a parlare, cosa succede? Forse sto solo sognando. Forse sono in coma, o forse sono già morto» «Grazie dottore» rispose una voce femminile. Sembrava la voce di sua madre. «Devo svegliarmi, dovrei chiamare Silvia per dirle che tutto è andato bene. Non so se ce la faccio ad alzarmi dal letto. Non riesco a muovermi. Ma siamo sicuri che tutto è andato bene?» *** Silvia guardò l’orologio, erano le otto di sera, tra dieci minuti avrebbe provato a chiamare Elena per sapere dell’intervento di Claudio, sperando di trovarla in casa. Avrebbe voluto essere a Bologna, ma sua madre l’aveva convinta a restare a Roma. «Sii paziente, Silvia. I genitori di Claudio staranno tutto il tempo in ospedale per l’intervento, non possono pensare a te.» «Ma io non sono una bambina, so badare a me stessa» aveva obiettato. «Lo so, ma se tu fossi là, dovrebbero occuparsi anche di te, si sentirebbero in dovere di farlo.» Anche Claudio le aveva chiesto di restare a Roma. Così era rimasta a casa, ad

aspettare di poter telefonare o di ricevere quella telefonata liberatoria. Riguardò l’ora, decise che poteva chiamare. Compose il numero, fece squillare il telefono a lungo, ma non ricevette risposta. Erano sicuramente ancora in ospedale. Decise che avrebbe aspettato altri dieci minuti prima di riprovare. Si sentiva sospesa sull’orlo di un baratro. Quando era rientrata a Roma dopo i giorni con Claudio si era sentita enormemente fiduciosa nel futuro. Ricordava i giorni ati con lui come l’ennesimo regalo che la vita le aveva fatto. Dopo la loro estate insieme e la partenza di Claudio aveva pensato che non sarebbe mai più stata felice, invece quei giorni con lui, pur nella consapevolezza della malattia e di quello che avrebbero dovuto affrontare, erano stati dei giorni bellissimi. Aveva sempre pensato che la sofferenza potesse indebolire e rendere incapaci di affrontare la vita. Invece con Claudio si era sentita così forte, aveva provato un’energia incredibile e sembrava che anche per lui fosse lo stesso. Non sapeva spiegarsi come una persona potesse entrare così profondamente nella sua pelle e nei suoi pensieri. Era questo l’amore? A volte pensava di essere lui, le sembrava quasi di pensare con la sua testa e di sentire con il suo cuore. Era come se Claudio fosse il suo stesso essere. Una presenza costante, perfino disturbante. Ricordava di aver letto di un amore così nel romanzo Cime tempestose ed allora aveva pensato che fossero esagerazioni letterarie. “Catherine che non può vivere senza il suo Heathcliff, un amore che ti entra nella pelle e nell’anima e ti distrugge.” Non era il suo caso, l’amore per Claudio non la distruggeva, le dava invece una grande energia, la faceva sentire sicura di superare ogni ostacolo. Anche se adesso, che era lontana da lui, si sentiva un po’ smarrita. Lo squillo del telefono la distolse dai suoi pensieri. Corse a rispondere. Era Elena. «Ciao Silvia, come stai?» «Bene, grazie» perché le chiedeva come stava? lei voleva sapere di Claudio! «Come è andato l’intervento?» chiese subito. «I dottori dicono che l’intervento è andato bene, dobbiamo solo aspettare che si svegli, adesso è in terapia intensiva, come sempre dopo un’operazione» rispose

subito Elena. Silvia cercò di trovare nella sua voce un inflessione negativa, voleva essere certa che le dicesse la verità. La voce di Elena le sembrava tranquilla, oppure era lei che lo sperava? «Non si è ancora svegliato? Come mai?» «Ci vorrà qualche ora, i dottori dicono che è normale dopo un intervento così pesante, è durato più di sette ore.» Elena sembrava stremata. «Stai tranquilla ti chiamo domani per aggiornarti, ora devo andare, torno in reparto.» «Va bene, grazie Elena, a domani.» Silvia appoggiò la cornetta e guardò sua madre che si era affacciata sulla porta. «L’intervento è andato bene, ma Claudio non si è ancora svegliato, dicono che è normale» diede la notizia come in un telegiornale. Non si sentiva del tutto tranquilla, ma sapere che l’intervento era finito la confortava un pochino. Mara le si avvicinò, le fece una carezza poi l’abbracciò. «Dai vedrai che il peggio è ato, bisogna solo aspettare» le disse stringendola. Silvia si appoggiò a lei. Sua madre negli ultimi tempi le era diventata più cara, sembrava capirla più di chiunque altro, forse perché conosceva Claudio e già questo gliela rendeva più vicina. Le sembrava strano che solo sei mesi prima fossero così distanti e tra loro ci fosse un muro di incomunicabilità. Anche questo era un regalo di Claudio. Lui le aveva fatto capire che non esiste solo il bianco e il nero e che un rapporto, soprattutto quello tra genitori e figli, si può sempre recuperare. «Speriamo» rispose Silvia. «Non vedo l’ora di andarlo a trovare e vedere con i miei occhi che sta bene» continuò. «Avverrà molto presto vedrai» rispose Mara, carezzandole i capelli.

*** Spesso faceva un gioco con se stessa. Pensava che se riusciva ad ottenere un certo risultato, frutto di grandi sacrifici, avrebbe realizzato un desiderio. Più il desiderio era importante, più il sacrificio da fare doveva essere grande. Era un gioco che aveva cominciato a fare da bambina e negli ultimi tempi era diventato un modo per non lasciarsi andare. <<Se prendo otto al compito di latino, l’intervento di Claudio andrà bene. Se prendo sette andrà bene lo stesso, ma il recupero sarà più lento>> Aveva studiato tantissimo per quel compito che era stato fissato in una data emblematica, il giorno prima dell’intervento di Claudio. Lei lo aveva interpretato come un segno del destino e aveva espresso quel desiderio. Quando pensava al suo desiderio trovava la forza per studiare. Non poteva permettersi di lasciarsi andare, doveva crederci. Quella sera sperò che il compito fosse andato bene. «Se anche prendo “ tre” e Claudio guarisce sono ancora più contenta» pensò. Pensava questo mentre cercava inutilmente di dormire. Quando finalmente si addormentò fece un sogno angosciante, era a Firenze nella casa di Claudio, ma lui non c’era. Lei lo cercava in tutte le camere, gli sembrava di sentire la sua voce, ma non riusciva a trovarlo. Apriva la porta di una stanza che portava in un'altra stanza e poi in un'altra ancora, ma lui non c’era mai. E come mai c’erano tutte quelle stanze? La casa di Firenze non era così grande, eppure sembrava proprio di essere li. Si svegliò madida di sudore con la sgradevole sensazione che non avrebbe più rivisto Claudio.

Capitolo 21

Il professore della prima ora terminò l’appello e prese posto dietro la cattedra. Guardò la classe di fronte a lui. «Accidenti, adesso interroga» sussurrò Stefania all’orecchio di Silvia. Silvia restò in silenzio, la cosa la lasciava indifferente, aveva altro a cui pensare. Aveva ancora addosso la sensazione spiacevole che le aveva lasciato quel sogno terribile. Sicuramente non voleva dir niente, era normale, era preoccupata per l’esito dell’intervento e quel sogno era una logica conseguenza di quello che più temeva. Ma era andato tutto bene, no? Non vedeva l’ora che arrivasse sera, così Elena le avrebbe confermato che tutto era a posto. «Se vengo interrogata e prendo almeno la sufficienza allora vuol dire che Claudio sta bene» pensò. «Oggi spieghiamo Catullo» disse il professore. L’intera classe sembrò tirare un sospiro di sollievo. Silvia invece si sentì delusa. «Accidenti devo smetterla di pensare assurdità, la salute di Claudio non può dipendere da un interrogazione» rifletté ancora. Basta! doveva solo aspettare che arrivasse sera e avrebbe avuto notizie. Respirò a fondo, doveva solo restare calma. Anche se l’ansia le stringeva la gola. Cercò di concentrarsi sulla lezione. «Viviamo, mia Lesbia, e amiamo » il professore declamava i versi dei carmi di Catullo. Certo che Catullo non la distraeva affatto dal pensiero di Claudio, anzi con quei versi non poteva far altro che pensare a lui. Si lasciò cullare da quelle parole, stranamente lo studio dei classici aveva il potere di farla star meglio. La letteratura aveva per lei quasi un potere terapeutico. Così cercò di concentrarsi,

poteva solo aspettare, non poteva fare altro. *** Elena restava seduta nella sala adiacente il reparto della terapia intensiva, aspettava di essere chiamata dall’infermiera per potersi preparare prima di entrare a vedere Claudio. Carlo entrò con un bicchiere di plastica in mano. «Ti ho preso un caffè alla macchinetta, non è tanto male» disse porgendoglielo. «Grazie» rispose e lo sorseggiò lentamente. Si sentiva sospesa, appesa a quel filo di incertezza che la malattia di Claudio aveva creato. Non si crede mai che un figlio possa morire prima dei genitori, è una cosa contro natura. Per questo stava sperando con tutte le sue forze che quella fosse solo una parentesi difficile della loro vita e che tutto finisse bene. Carlo le appoggiò una mano sulla spalla e quasi intuendo i suoi pensieri mormorò «Andrà tutto bene.» Lo stava dicendo a lei ed anche a se stesso. Finalmente l’infermiera si affacciò sulla porta e fece un cenno. «Potete prepararvi, venite con me.» Entrarono nella camera quasi con titubanza, potevano restare solo per pochi minuti. Elena osservò Claudio, la testa fasciata e gli occhi cerchiati di nero, quasi non lo riconobbe, ma la linea dolce delle labbra era la sua. Lo sfiorò con una carezza leggera. «Ciao tesoro, sono la mamma» sussurrò appena. Si sorprese a piangere, lacrime calde di dolore e di paura, lacrime di tenerezza per quel ragazzo che adesso, lì steso in quel letto, le appariva così indifeso.

«É strano vederti piangere, mamma.» A Claudio sembrò di aver gridato, tale fu lo sforzo di parlare invece fu solo un lieve bisbiglio. Carlo si avvicinò sorpreso «Sei sveglio, Claudio! Come ti senti.» Claudio pensò che si sentiva come se un tir gli fosse appena ato sopra. Era una frase troppo lunga da dire però. «Bene, mi sembra» disse soltanto «Ma mi sento piuttosto stanco.» Richiuse gli occhi, gli sembrava uno sforzo enorme tenerli aperti, se li sentiva gonfi e pesanti. Decise che era meglio tenerli chiusi, ancora per un po’. *** Lo squillo del telefono la fece sussultare, balzò in piedi con il cuore in gola. «Pronto» «Silvia, sono Elena, Claudio si è svegliato e sta bene, è ancora in terapia intensiva, ma sta bene.» «Davvero!» Silvia si sentì all’improvviso come se fosse stata sott’acqua in apnea e potesse finalmente riprendere a respirare. «Oddio, sono così felice, posso venire a trovarlo allora.» «È meglio aspettare una settimana, o una decina di giorni, quando esce dalla terapia intensiva, potrai venire a trovarlo. Perfino noi genitori possiamo entrare solo per pochi minuti.» «Va bene» rispose Silvia con il tono deluso, l’importante era che lui stesse bene. «Ditegli che verrò appena starà meglio, me lo salutate.» «Certo, stai tranquilla.»

Si lasciarono con la promessa di risentirsi il giorno dopo. A Silvia sembrava di essere uscita da un incubo. Sperava solo di poterlo rivedere al più presto. Claudio le mancava da morire. Le mancava tutto di lui, il suo sguardo, il suo sorriso, la sua voce. Doveva aver pazienza, almeno adesso sapeva che stava bene. Forse il peggio era ato.

Capitolo 22

Da due giorni era fuori dalla terapia intensiva in una camera a tre letti. Ogni letto era monitorato da un computer, si sentiva osservato, ma a quanto pareva era per il suo bene. Sua madre gli aveva detto che in una stanza adiacente il personale teneva sotto costante controllo il monitor di un computer notte e giorno per intervenire in caso di complicazioni. La sua stanza era una di quelle costantemente monitorate. Non poté fare a meno di pensare al libro di Orwell che aveva letto qualche tempo prima, qui però le intenzioni erano buone. E un motivo c’era. Nel letto accanto al suo c’era un ragazzo pieno di tubi, ogni tanto alcuni infermieri venivano a muoverlo e a lavarlo e a sistemare il sondino naso gastrico. Avrebbe scoperto poi che il ragazzo si chiamava Fabio e che era in coma da otto mesi per un incidente. Doveva esserci un permesso speciale per gli ammalati in coma perché tutti i giorni sua madre arrivava in camera e restava al suo capezzale per tutto il giorno e, sempre con un sorriso, gli parlava di qualsiasi cosa, gli descriveva il tempo fuori dalla finestra, gli raccontava gli ultimi eventi familiari. Ormai sapeva tutto della vita di Fabio, della vita “prima” dell’incidente. Almeno in apparenza, Fabio non sembrava avere nessuna reazione e Claudio a vedere quella donna sorridente che continuava a parlargli gli si spaccava il cuore. Nel letto in fondo alla camera c’era un uomo di circa quarant’anni che tossiva tutta la notte. Non aveva capito cosa aveva ma sembrava stesse davvero male, era ridotto a uno scheletro e si lamentava di continuo anche se sommessamente. «Accidenti io sono quello che sta meglio, che culo!» pensò. Si sentiva ancora debolissimo e non si era ancora potuto muovere dal letto, ma aveva già fatto tutti i suoi esperimenti personali, riusciva a muovere la braccia e le gambe e riusciva a vedere bene da entrambi gli occhi. Il rischio di non poter muovere il braccio e di non vedere dall’occhio sinistro era stato scongiurato. Quando si era alzato per la prima volta aveva avuto la sensazione di ondeggiare

per un attimo, ma poi era riuscito a muoversi con maggior sicurezza, il contatto dei piedi con il pavimento gli era sembrato un regalo immenso. Pensò a tutte le cose che un tempo dava per scontate e che non apprezzava abbastanza. Nel giro di una settimana aveva avuto l’impressione di fare enormi progressi, poteva camminare, alzarsi e mangiare da solo. Senza catetere poteva far pipì in piedi, da solo. Evviva. Non era ancora riuscito a parlare al telefono con Silvia, doveva uscire dal reparto e raggiungere la sala con il telefono, ma lo avrebbe fatto presto. Quando finalmente poté risentire la sua voce, si ricordò dei suoi occhi, del suo sorriso, della sua pelle e sentì che le mancava, che voleva ritornare a lei e alla vita. «Mi manchi, Silvia.» «Vengo a Bologna, anche domani se vuoi.» rispose lei pronta. «No, è meglio che tu venga su quando starò meglio, dovrebbero trasferirmi in un altro reparto già la prossima settimana, poi ci organizziamo. Intanto mi basta sentire la tua voce.» Non voleva che Silvia lo andasse a trovare in quel reparto, c’era troppo dolore là dentro. Quella notte la sognò, erano al mare, ma non riconosceva il posto, anche se sembrava Castiglioncello, c’era il sole ed era estate, Silvia usciva dall’acqua e si avvicinava a lui e lo abbracciava. A contatto con il suo corpo bagnato provava un brivido di freddo, ma ciò nonostante la stringeva a sé e la baciava. Si svegliò con la piena sensazione del sapore delle sue labbra, si accorse di aver avuto un’erezione, per un attimo fu sorpreso e si sentì felice, anche quella era una sensazione di ritorno alla vita. Guardò il monitor sopra di lui, chissà se il “grande fratello” se ne era accorto? *** Quando lasciò il reparto del “casi gravi”, come lo chiamava lui, senti di aver superato lo scoglio più difficile, adesso poteva solo migliorare e recuperare.

Anche la camera in cui si trovava tradiva la sua nuova condizione di paziente in via di guarigione: conteneva ben cinque letti, una vera e propria camerata, nessuno di loro sembrava particolarmente grave, erano tutti in convalescenza in attesa di potersi ristabilire e lasciare l’ospedale. Poteva girare liberamente lungo il corridoio e attardarsi spesso nella sala della televisione, lì poteva leggere con tranquillità. Stava meditando di provare a studiare e a dare un esame, sua madre si era già occupata delle pratiche di trasferimento della sua iscrizione all’università di Bologna, era ancora in tempo per fare qualcosa. Pensava questo mentre era lì seduto in sala e leggeva il libro di letteratura, si guardò intorno e osservò la ragazza seduta dalla parte opposta alla sua che guardava fisso davanti a sé e ogni tanto si asciugava le lacrime con il dorso della mano. L’aveva vista anche nei giorni precedenti. «A vrà qualcuno ricoverato qui » pensò. Le sue lacrime non facevano presagire una situazione positiva. Si avvicinò e le porse un fazzoletto di carta. La ragazza gli sorrise debolmente, prese il fazzoletto e lo ringraziò. «Cattive notizie?» chiese lui. Forse avrebbe dovuto farsi i fatti suoi, ma non poteva stare nella stessa stanza con una persona in lacrime e far finta di niente. In ospedale si creava una strana solidarietà, come se si fe parte di una comunità. «Sì, non è un bel momento, mia sorella sta sempre peggio, sono venuta in sala perché non voglio che mi veda piangere» rispose lei. Claudio sedette accanto a lei. «Mi dispiace, davvero» disse Claudio «posso capire la situazione» «Grazie» rispose la ragazza. Lo guardò «Sei stato operato?» «Sì, il mio cervello ha fatto le bizze, ma adesso sto bene, spero.»

La guardò e le porse la mano «Io mi chiamo Claudio» <
aspetto normale lo rincuorava. Voleva riprendere in mano la sua vita, anzi voleva vivere come non aveva mai vissuto prima, non voleva più perdere tempo. Aveva resistito alla malattia e forse l’aveva sconfitta. Forse, perché non poteva essere certo che non si sarebbe mai più ripresentata. Aveva avuto la fortuna di trovare dei medici davvero bravi, ma soprattutto pieni di attenzione e umanità. Ma credeva di avere anche lui un po’ di merito, non si era arreso. A sentire i medici anche quello era contato. Non si era arreso, anche se all’inizio la tentazione c’era stata, all’inizio aveva creduto di morire. Anche se la paura più grande per lui non era mai stata quella di morire, ma di perdere se stesso. Non sapeva bene cosa era scattato in lui, ma c’era stato un momento in cui aveva deciso che non si voleva arrendere e aveva trovato una forza che non avrebbe mai creduto di avere in sé. L’istinto per la vita, forse. Anche Silvia aveva avuto la sua parte. Sapere che lei lo stava aspettando e il desiderio di poter ancora vivere quell’amore interrotto gli aveva dato una forza sorprendente. Si sentiva fortunato, perché aveva Silvia, perché poteva ancora avere la sua vita e perché altri ricoverati con lui non potevano fare altrettanto, visto che non c’erano più. «Claudio, tutto bene?» sentì bussare alla porta del bagno. Sua madre era diventata molto apprensiva nei suoi confronti, come non lo era mai stata. Aprì la porta. «Tutto bene, sono pronto» Stava per lasciare l’ospedale e gli sembrava una cosa fantastica. Sarebbe dovuto tornare spesso per i controlli almeno per un po’, ma era un sacrificio accettabile. Guardò fuori dalla finestra, c’era il sole e la collina tutta intorno era piena di fiori, sembrava già sbocciata la primavera anche se era solo l’inizio di marzo. Gli sembrava davvero di buon auspicio. Ormai era diventato un ottimista cronico, vedeva segnali positivi dappertutto, ma attraversare l’inferno e uscirne vivi può darti un potere straordinario, ti fa sentire consapevole di quello che sei, di quello che fai e che puoi fare della tua vita. L’ottimismo viene coltivato più spesso da chi sperimenta grandi dolori , doveva averlo letto da qualche parte e non poteva che essere d’accordo.

Capitolo 23

«Pronto» «Elena? Sono Silvia, mi puoi are Claudio?» si sentiva sempre in ansia quando doveva parlare con lui. «Ciao Silvia, Claudio non c’è mi ha detto di dirti che vi sentite domani sera, ti chiama lui.» «Ah» la sua voce tradiva la delusione che provava. «Ma non poteva chiamarmi prima di uscire?» «Silvia, Claudio oggi è stato all’Università voleva informarsi sul programma di un esame e sui testi da comprare, nel pomeriggio andava al ricevimento del professore. E poi mi ha detto che andava al Bellaria a trovare una persona.» Silvia cercò di celare il suo dis.appunto, l’idea che Claudio preferisse andare a trovare qualcuno in ospedale senza preoccuparsi della sua telefonata la faceva star male. Quella lontananza forzata la faceva sentire profondamente insicura. Era terrorizzata dall’idea di perderlo. «Va bene, magari posso chiamare più tardi, oppure può chiamarmi lui quando rientra, a qualsiasi ora.» «Va bene Silvia, glielo dico quando rientra, anche se mi ha detto di non aspettarlo per cena, quindi penso che rientri tardi» Elena ebbe un tono dolce «stai tranquilla.» Mettendo giù il ricevitore si sentì molto inquieta. Non riuscire a parlare con lui la faceva sentire come sospesa a mezz’aria tra angoscia e trepidazione. Quella sera aspettò invano la telefonata di Claudio e ciò non fece altro che aumentare la sua inquietudine. Quella notte non riuscì a dormire. E la mattina dopo a scuola fu distratta e nervosa.

Quando dopo la scuola tornò a casa si precipitò subito a chiamarlo. Se avesse potuto avrebbe preso perfino un treno per Bologna e si sarebbe presentata a casa sua. «Pronto.» Riconobbe la voce di Claudio, quella voce cosi calda e a lei così cara «Ciao Claudio, sono io.» «Silvia, come stai? Ti avrei chiamata stasera.» «Ti dispiace che ti abbia chiamato adesso?» «No, figurati, è bello sentirti.» Si sentì un po’ sollevata, sembravo contento di sentirla. «Ieri sera non c’eri e mi sei mancato» continuò lei. «Sì, sono andato in ospedale a trovare Catia» disse Claudio pacato. «Catia, chi è Catia?» aveva rinunciato a sentire lei per vedere un’altra ragazza? Si stava già irritando. «Catia è una ragazza che ho conosciuto al Bellaria, sta molto male e sono andato a trovarla.» Silvia cercò di mantenere la calma, non c’era nulla di male, era andato a trovare una ragazza malata, era normale provare una certa empatia da parte sua con quello che aveva ato. «Capisco, sta molto male?» ripeté Silvia cercando di mascherare la sua irritazione «ma l’orario della visite finisce alle sette e mezza, come mai hai fatto tardi?» «Sono andato a cena con sua sorella, sono arrivati i genitori di Catia e così ho portato Antonella fuori in un ristorante lì in zona tanto per darle un po’ di tregua.» Silvia sentì lo stomaco contrarsi, era andato fuori con un'altra ragazza, e chi

diavolo era quell’Antonella? Oddio si sentiva male. «Silvia?» chiese Claudio «perché non parli?» «Claudio sono stata tutta la sera in pena e stanotte non ho dormito, e tu eri a mangiare fuori con un’altra ragazza!»non poté trattenersi. Claudio non sapeva cosa dire, non gli sembrava di aver fatto niente di male e quell’atteggiamento lo infastidiva. «Non capisco Silvia, non sarai gelosa? Guarda che non ce n’è motivo, sto solo cercando di star vicino a una persona in un momento difficile.» Silvia cercò di ritrovare una voce calma. Si sentiva così vulnerabile con lui. Certo che era gelosa, temeva di perderlo e quel pensiero la faceva impazzire. «Scusami Claudio, solo che siamo lontani e, sì mi sento insicura. Ma se dici che non ne ho motivo, insomma …» stava per mettersi a piangere e doveva resistere. Cercò di cambiare discorso «Sei stato all’università?» «Sì, sto pensando di preparare un esame, se ci riesco.» «Mi sembra un’ottima idea, Claudio» rispose cercando di mostrare un po’ di entusiasmo. «Sei arrabbiato con me?» chiese titubante. «Perché dovrei?»rispose lui. «Perché sono gelosa» ammise lei. «Non devi esserlo, Silvia, davvero. Catia ha ventisei anni ed ha un linfoma, solo che le cure non stanno avendo effetto, sua sorella sta cercando di affrontare questa cosa, ma era qui da sola, perché è di Pesaro, i suoi sono arrivati ieri, è una situazione molto difficile.» «Quanti anni ha Antonella?» «Ventotto credo, quindi puoi star tranquilla è troppo vecchia per me, era a questo

che volevi arrivare, vero?» disse Claudio un po’ divertito. «Claudio, cercherò di non essere gelosa, te lo prometto» pronunciò quella frase senza crederci veramente, ma voleva tranquillizzarlo e non apparire opprimente. «Bene, Silvia, non angosciarti per cose che non esistono. Se avessi voluto tradirti avrei potuto inventare una balla e non dirti la verità, siamo lontani, potrei farlo molto facilmente, non ti pare?» «Già» questo non la tranquillizzava «proprio perché siamo lontani sono un po’ ansiosa.» «Siamo lontani e quindi la cosa è reciproca, anche tu potresti essere “distratta” da un altro.» «A volte lo vorrei» Silvia sospirò «invece sappi che è assolutamente impossibile, io non riesco a vedere nessun altro e la cosa mi fa anche un po’ rabbia, sai?» «Vuoi dire che, bella come sei, non c’è nessun compagno di scuola che ti gira intorno?» «Davvero sono bella per te?» replicò lei «Stai glissando la domanda, Silvia, dovrei essere io quello che si preoccupa.» «Non rivoltare la frittata! E poi anche tu stai glissando.» Claudio rise divertito, gli piaceva troppo stuzzicarla «Silvia sei bellissima, anche se, a volte, sei insopportabile, stai tranquilla.» «Ho voglia di vederti» Silvia sospirò di nuovo «mi manchi.» «Anche tu mi manchi, bisogna avere un po’ di pazienza, magari più avanti posso fare un salto a Roma, questo week end non posso perché viene a trovarmi Fausto, però magari quello dopo, così non devi perdere la scuola.» «Sarebbe bellissimo.» Silvia si sentì già più tranquilla all’idea di vederlo. Vivere in due città diverse già le sembrava difficile, ma soffrire di gelosia era anche peggio. Stava bene solo

quando stava con lui, sicuramente se avesse potuto vederlo, non avrebbe sofferto tanto, la lontananza ingigantiva tutto. Si lasciarono con il proposito di vedersi la settimana successiva. Fosse stato per lei sarebbe corsa da lui anche subito, ma c’era la scuola e il fatto che Claudio viveva con sua madre, non poteva presentarsi a casa sua come niente fosse. Avrebbe finito il liceo e dopo si sarebbe iscritta all’università anche lei, a Bologna, vicino a lui. Con questo pensiero si avviò in cucina dove sua madre l’aspettava per il pranzo. *** Claudio si diresse in camera sua, sedette alla scrivania e guardò il libro di Storia Romana che aveva comprato quella mattina, si chiese se avrebbe trovato la motivazione per studiare dopo il periodo che aveva vissuto. Per fortuna erano materie che amava e la sua vita non poteva fermarsi, anzi a maggior ragione doveva andare avanti. La malattia ti cambia il rapporto con la vita, ti fa sentire più consapevole di tutto e dà un nuovo valore alle cose. Aprì il libro, lo sfogliò e cominciò a leggere. Dopo un paio d’ore, si alzò e andò alla finestra, osservò i tetti rossi delle case bolognesi, illuminate dalla luce del tardo pomeriggio e gli venne voglia di fare una eggiata in centro. Come primo giorno due ore di studio potevano bastare, era riuscito a immergersi nella lettura e a non distrarsi e già questo gli sembrava fantastico. Si affacciò sulla porta della sala, Elena era in piedi davanti a una tela e la osservava perplessa con il pennello a mezz’aria. «Hai ripreso a dipingere?» chiese. Elena si voltò verso di lui, gli sorrise. «Sì, ma non guardare, lo vedrai quando sarà finito.» «Va bene, non guardo, tanto sto per uscire, faccio una eggiata in centro, finché c’è luce, mi godo quest’aria primaverile.» Elena appoggiò il pennello e si avvicinò a suo figlio. Gli fece una carezza. Ottimo, fai bene. Torni per cena?»

«Per le otto sono qui, forse anche prima» la guardò divertito «sai che sei diventata sentimentale?» Elena sbuffò. «Lo so, devo preoccuparmi, è sintomo di vecchiaia.» Claudio scoppiò a ridere. «Vecchia tu! non direi proprio, però mi piacciono questi effetti collaterali della tua vecchiaia» disse dirigendosi verso la porta di ingresso prima che lei potesse ribattere.

Capitolo 24

Aprì la scatola della carta da lettere, dentro c’erano delle cartoline e alcune lettere, una tessera del trasporto pubblico scaduta, linea 2, con sopra una fototessera in bianco e nero di Claudio, aveva un’espressione seria e imbronciata, sembrava guardare di fronte a lui con aria di sfida, i capelli che ricadevano sulla fronte, gli occhi con un espressione viva che sembravano guardarti dentro anche attraverso quella foto, il naso regolare, la linea dolce delle labbra, la mascella quadrata, la leggera fossetta sul mento appena percettibile. Era l’unica foto che aveva di Claudio e Silvia non si stancava di guardarla. Ogni tanto quando aveva bisogno di mettere a fuoco il suo viso guardava quella foto, non che temesse di dimenticare il suo viso, ma guardarla l’aiutava a sopportare la distanza da lui. Chissà cosa stava pensando in quel momento, aveva un espressione cosi seria! La prossima volta che andava a trovarlo doveva portarsi dietro una macchina fotografica, aveva bisogno di fargli una foto più recente. Almeno poteva smetterla di guardare la foto di una tessera scaduta. Anche se si era affezionata a quella foto, evitava di portarla con sé, altrimenti avrebbe ato tutto il suo tempo a guardarla. La teneva in quella scatola di carta da lettere e ogni tanto la tirava fuori. Nella stessa scatola conservava un biglietto che le aveva scritto la prima volta che era stata a Bologna, prima dell’intervento, quando leggeva quelle parole si sentiva sciogliere qualcosa dentro il cuore. C’era scritto: grazie per questi giorni insieme che mi hanno fatto sentire felice nonostante tutto, grazie per essere così testarda e per essere venuta fin qui a trovarmi, grazie per essere come sei. Claudio. Rilesse quelle parole per l’ennesima volta. Poi ripose il biglietto e la foto nella scatola e cercò di mettere le ultime cose in valigia. Il giorno successivo sarebbe partita per Bologna e finalmente avrebbe rivisto Claudio. Non lo vedeva da oltre un mese, in quel periodo erano riusciti a vedersi soltanto una volta per un breve fine settimana, Claudio sarebbe dovuto andare a Roma da lei, nel mese di aprile, ma proprio in quei giorni era morta Catia e lui era

rimasto a Bologna per restare con Antonella e la sua famiglia prima che trasferissero Catia dalla camera ardente del Bellaria fino a Pesaro dove avrebbero fatto i funerali. In quel momento si era sentita in colpa per aver provato dei sentimenti di gelosia così forti verso quella ragazza. Nello stesso tempo non aveva potuto fare a meno di pensare che Claudio avesse corso lo stesso rischio e sperava davvero che fosse del tutto fuori pericolo. Si erano rivisti a inizio maggio per un breve fine settimana quando lei era andata a trovarlo a Bologna, ma poi era dovuta ritornare a Roma e finire la scuola. Adesso finalmente poteva andare da lui e restargli accanto tutta l’estate. Un’altra estate insieme, non ci avrebbe mai scommesso qualche tempo fa. *** Scese dal treno e percorse tutto il binario, quando vide Claudio che l’aspettava cominciò a correre, anche se la valigia la rallentava, lui le sorrise e le andò incontro, le prese la valigia dalle mani e lei gli gettò le braccia al collo. «Stai benissimo, Claudio» gli disse guardandolo. Lui la baciò. La strinse con forza. Poteva esprimere solo così la gioia che provava nel rivederla. «Come è possibile che tu sia diventato ancora più bello?» disse Silvia «Come è possibile che tu sia diventata ancora più matta di me, eppure sono io quello che ha un buco in testa!» rispose lui sorridendo. «Andiamo a prendere un taxi» le prese la mano e con l’altra tirò su la valigia. «Posso portarla io se vuoi Claudio, così non ti stanchi.» «Guarda che sono tornato in piena forma, mi sono tornate le forze assieme ai capelli» replicò lui continuando a camminare. Silvia lo guardò, era ancora lui, di nuovo lui, con il suo sguardo ironico sul mondo, il suo sorriso canzonatorio, sembrava che quell’anno di sofferenze non avesse scalfito il suo modo di essere. O forse no, proprio quell’anno lo aveva reso diverso e più forte. Il suo sguardo sembrava tradire una nuova consapevolezza, quella di chi conosce meglio il

valore di quello che ha. Oppure era lei che voleva vederlo così. Non era importante, una cosa certa era che stare con Claudio la rendeva pienamente felice, lo amava con tutta se stessa e non poteva pensare di vivere senza di lui. In quel momento sentì che lo avrebbe amato sempre, la loro storia forse avrebbe potuto finire, ma quell’amore sarebbe rimasto per sempre dentro di lei. Anche dopo anni lo avrebbe ritrovato lì, in un angolo del suo cuore, immutato. Claudio si girò a guardarla. «Ehi, perché ti sei fermata? Posso portare la valigia, ma non posso prendere in braccio anche te. In fondo sono ancora convalescente … abbi un po’ di riguardo, e poi dici di volermi bene.» Silvia corse verso di lui, lo abbracciò. «Claudio ti amo da morire, lo sai vero?» «Lo so» la baciò «anch’io» «Anche tu, cosa?» chiese lei, voleva sentirselo dire. «Anch’io ti amo.» *** «Esiste una persona speciale per ciascuno di noi, qualcuno che corrisponde a un proprio bisogno primordiale. Non lo sappiamo finché non la incontriamo, possiamo vagare tutta la vita nella sua ricerca e non trovarla mai e vivere un giorno dopo l’altro in apparente serenità, con un fondo di insoddisfazione e di inconsapevolezza. Poi un giorno conosci qualcuno che corrisponde a quel paesaggio interiore che sentivi di avere, ma che non riuscivi bene a definire e ad afferrare e ti senti finalmente a casa» questo avrebbe voluto dirgli, lo aveva scritto nel suo quaderno di appunti, quello dove scriveva i suoi pensieri di tanto in tanto e un giorno, pensando a Claudio, aveva partorito quel pensiero, l’aveva scritto subito sul quaderno prima che svanisse dalla sua mente. Esprimeva esattamente quello che provava nei suoi confronti. Ma forse Claudio avrebbe riso, le avrebbe detto che non aveva ancora diciotto anni e non aveva certo vagato tutta la vita per trovarlo e chissà quali cose potevano ancora accadere. Però lei sapeva che era così. «Ehi, torna sul nostro pianeta, Silvia. A cosa pensi?»

Silvia lo guardò, stava disponendo meglio i suoi vestiti nell’armadio per farle spazio. «Pensavo che mi sembra bellissimo poter stare con te per il resto dell’estate, senza vincoli scolastici.» «Io provo a dare un esame, visto che il mio trasferimento all’università è andato a buon fine, ho già studiato il programma, c’è un appello la prossima settimana» disse lui. «Potevi dirmelo, sarei partita dopo, avrai bisogno di studiare.» Claudio sedette sul letto vicino a lei, le sfiorò le labbra con un bacio leggero. «Non volevo più aspettare, volevo star con te. E visto che ormai hai finito la scuola, non volevo are neanche un altro giorno senza di te. Dobbiamo recuperare un po’ di cose, non credi?» «Recuperare cosa? Fammi un esempio.» «Per esempio non riesco a ricordare bene dove hai quel neo tanto carino vicino alla pancia, dal lato destro o sinistro dell’ombelico? … non mi ricordo» disse cominciando a spogliarla Silvia rise, sentirsi desiderata da Claudio le sembrava sempre un evento prodigioso. «Forse è meglio se chiudi la porta a chiave» gli disse continuando a ridere. *** «Ma lo sai che quei pazzi dei miei genitori sono tornati insieme, o meglio stanno insieme restando divorziati» affermò Claudio tenendola tra le braccia. «No!» rispose Silvia stupita. «E quando è successo?» «Sicuramente mentre ero ancora in ospedale.» «Solo che lo scorso week end ho sorpreso mio padre uscire dalla stanza di mia

madre con fare furtivo come un ladro.» «Cosa combinate? Gli ho chiesto subito, ero troppo divertito.» «E lui cosa ha detto?» «Lui è rimasto muto e imbarazzato, sembrava lui il figlio ed io il padre. Mia madre si è affacciata sulla porta e con nonchalance mi ha detto “è bene che tu la sappia, stiamo insieme, ma restiamo divorziati e continuiamo a vivere in case separate”» «E tu cosa hai detto?» «Mi son fatto una risata e ho detto che andava bene e che avrei retto all’emozione, in fondo sono maggiorenni.» Silvia si strinse a lui e tirò su il lenzuolo. Amava le loro chiacchierate dopo l’amore. Le erano mancate. «Mi sembra una cosa bellissima!» esclamò. «Credo che mio padre sia sempre stato innamorato di mia madre, anche dopo la separazione.» «Lo capisco tua madre è bellissima, assomiglia a te.» «Sempre romantica, tu vedi me dappertutto, non sarai un po’ fissata?» «Innamorata …» corresse. «E lei, credi abbia sempre amato solo tuo padre?» Claudio si massaggiò il mento. Chissà perché a lei sembrava un gesto così erotico. «Non lo so, forse. Ha avuto diverse storie dopo mio padre, ma nessuna che sia durata, forse anche lei era ancora legata a lui. Non lo so. Il cuore umano è un mistero.» «Il mio invece è un libro aperto.»

«Per ora, ma le cose potrebbero cambiare un giorno e potresti stancarti di me» la provocò lui «Io non credo, però può succedere anche a te … chissà.» «Chissà» replicò lui mentre la baciava «chissà.» «Sai qual è il segreto, Silvia? Vivere giorno per giorno. Non possiamo fare altro.» Silvia annuì e sorrise. «Ho anch’io una novità. Mia madre e Andrea si sposano. Finalmente mia madre ha acconsentito.» «Fantastico!» esclamò lui «quando?» «A fine luglio, anzi sei invitato, pensi di farcela a venire a Roma? L’invito vale anche per i tuoi, sarà una cosa molto informale, mia madre vuole così, in municipio e solo pochi parenti e amici. Poi partono per un viaggio.» «Certo, verrò» le diede un bacio leggero sulla fronte. «Sono contento per tua madre, Andrea l’ho visto solo una volta, ma mi è sembrato una persona in gamba, mi sembrano felici insieme.» Poi la guardò preoccupato. «Ma tu sei contenta che si sposino?» Silvia annuì. «Sì, sono contenta. Andrea mi piace molto, nel corso di quest’anno di convivenza ho imparato ad apprezzarlo tanto, vedi» continuò Silvia inseguendo un suo pensiero «loro si sono conosciuti oltre dieci anni fa e, nonostante il tempo che hanno ato separati e le difficoltà incontrate, hanno continuato ad amarsi e a cercarsi. E si sono ritrovati.» Claudio la guardò compiaciuto, era divertito dai discorsi romantici di Silvia, ma si accorse di non avere molti argomenti per smentirla. Le sorrise.

«Ok, romantica Silvia, che ne dici se andiamo un po’ fuori nella notte bolognese? Ci godiamo un po’ la città e le sue attività culturali estive, ne fanno parecchie da queste parti, ho scoperto che è una città molto vivace e finalmente posso viverla con te.»

Capitolo 25

Settembre 1985 «Ti dispiace che la casa venga venduta?» Silvia si voltò a guardarlo. «Non so, forse un po’ mi dispiace, in fondo queste sono le mie radici, non sarei quella che sono senza il posto in cui sono nata e cresciuta» emise un lieve sospiro. «Certo, non potrei più adattarmi a vivere qui, e non ha senso tenere una casa dove non potremmo mai tornare, non è neanche vicina al mare, scarso valore commerciale. Questo posto può avere valore solo per chi ci è vissuto.» Claudio si guardò intorno, mentre Andrea e Mara aprivano le finestre per dare aria alle stanze. Ricordava quando era entrato per la prima volta in quella casa, due anni prima. Sembrava ato un tempo infinito, ma erano solo due anni. Erano accadute talmente tante cose da allora. «Sembri triste.» «No, stavo ricordando la nostra prima estate insieme.» Silvia appoggiò la fronte alla sua spalla. «Sai che ci stavo pensando anch’io, mi emoziono al ricordo.» «Sì, fu una bellissima estate» «Voglio andare al parco, alla nostra quercia, ti va? È da quando siamo partiti che ci penso.»

Claudio annuì. Avvertirono Andrea e Mara e uscirono nel sole tiepido del tardo pomeriggio. «Se facciamo in fretta riusciamo a vedere il tramonto» disse lui. «Però, mi stai diventando romantico anche tu» esclamò Silvia compiaciuta. «Si vede che sei contagiosa» replicò lui con finto disappunto. Era una strana sensazione ripercorrere quelle strade, sembravano rimaste inalterate, sempre immutate e costanti nel tempo. Erano loro ad essere cambiati. «Meno male, anche la nostra quercia sembra immutata, forse c’è qualche erbaccia in più, ma sembra la stessa» disse Claudio sedendosi sul solito masso di pietra. Silvia sedette vicino a lui. Si sentì sommergere da un forte turbamento. Le lacrime cominciarono a rigarle il viso. «Ehi, cosa ti prende? Perché piangi?» «Scusami, solo che in un attimo ho rivisto tutta la nostra storia, la nostra estate e tutto quello che è accaduto dopo. Ho paura di quello che accadrà.» Claudio la baciò in corrispondenza delle sue lacrime. «Cosa vuoi che accada, verrai a studiare a Bologna, visto che hai deciso di seguirmi e ti sei iscritta lì. Diventerai un medico, visto che hai deciso di fare la follia di iscriverti a Medicina lasciando indietro le tue ioni letterarie. Ci vedremo quasi tutti i giorni, magari un giorno se non ti sarai stancata di me, potremo anche sposarci, chi lo sa.» «Davvero? Mi sposeresti?» Silvia si asciugò le lacrime «Ho capito vuoi prendermi in giro, e poi come fai ad essere sicuro che diventerò medico, devo ancora cominciare, ho scelto una facoltà difficilissima, spero di farcela.»

«Ti conosco, so che quando ti metti a studiare sei una macchina da guerra, tu puoi farcela, sei uscita dal liceo con il massimo dei voti, mica come me che ho preso il minimo e ho dovuto anche ringraziare» continuò Claudio. «Anche tu sei bravo, hai dato un sacco di esami!» «Perché la storia mi piace e mi sembra quasi di non studiare, in ogni caso non è comparabile con Medicina.» «Ma tu non hai paura del futuro, Claudio?» «Certo che ne ho, ma dopo aver vissuto la malattia, non permetto alla paura di farmi rovinare i giorni, vivo e basta, ogni momento della mia vita.» «Scusami, ti ho fatto una domanda stupida.» Claudio le sorrise e le diede un bacio. «Adoro quando mi esponi i tuoi dubbi amletici, altrimenti, come farei a sembrare tanto saggio.» Silvia assentì, appoggiò la testa sulla spalla di Claudio e si volse a guardare lo spettacolo di fronte a lei. La rossa palla di fuoco del sole si stava abbassando sull’orizzonte. Di fronte a quella visione meravigliosa aveva un po’ meno paura del futuro.

Ringraziamenti

Un ringraziamento speciale al mio caro amico Michele che crede nella mia scrittura dai tempi della scuola e che ha accettato di farmi da Beta Reader donandomi i suoi preziosi suggerimenti di lettore assiduo e competente.

L'autrice

Giulia Mancini è nata in Puglia, ma dal 1983 vive a Bologna dove si è trasferita giovanissima, ha studiato e conseguito la Laurea in Economia. Lavora nell'amministrazione di una grande azienda, ma non è mai riuscita a staccarsi dalla sua ione per la scrittura creativa. Fin da bambina ha sempre amato leggere e ha iniziato a scrivere a circa undici anni quando cercava di fissare i propri pensieri su un diario. Nel corso degli anni ha scritto a fasi alterne, romanzi e racconti brevi, ma solo per se stessa e per pochi amici. Il suo primo romanzo autopubblicato con Narcissus (ora Streetlib Selfpublish) si intitola “La libertà ha un prezzo altissimo”. Potete trovarla sul suo blog: http://liberamentegiulia.blogspot.it e sulla pagina Facebook: Giulia Mancini Autore https://www.facebook.com/pages/Giulia-Mancini/501991629903640

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Fiorita è un nome di fantasia, ma puoi trovarlo nella realtà delle piccole cittadine di provincia di cui si compone il nostro bellissimo paese a forma di stivale, pieno di bellezza e contraddizioni.