Halo 2q64s

Capitolo 1

sco Falconi

Halo

Detesto il buio. Detesto il silenzio. Detesto la polvere. Ecco, oggi è la tipica giornata in cui il mio odio si riversa come lava distruggendo tutto il mondo che mi circonda. Non ricordo nulla di ieri, di due giorni fa, di cosa è successo la scorsa settimana. Buio, solo un maledetto buio. Qualcosa non va. Provo a spostare le gambe, rabbrividisco. Perché al mio comando non rispondono due piedi soltanto. Li conto, battendoli a terra uno a uno. Sono otto. Vedo una lama di luce in lontananza. Sento delle voci ovattate. Mi accorgo di una fessura stretta sul pavimento, poco lontano da me. Sotto, intravedo un baratro che mi fa girare la testa. Dove diavolo sono finito? Già, devo avvicinarmi per capirlo meglio. Con otto gambe dovrebbe essere facile. Provo allora a sincronizzarle. Prima, seconda, terza. Quante me ne mancano? È la quinta che mi frega, perché supera la quarta e fa sgambetto alla sesta. La settima è già stesa al suolo, l’ottava le fa compagnia. La somma porta a un risultato imbarazzante: equilibrio a puttane e cado nel vuoto. ‘Fanculo. Urlo. O almeno è quello che vorrei fare, sarebbe la cosa più sensata prima di morire sfracellato al suolo. Ecco, nemmeno quella soddisfazione, perché dalla mia gola non esce alcun suono. Né gemito. O un lamento. Una parolaccia. Mi ritrovo a dondolare a mezz’aria simile a uno yo-yo, mentre la luce mi

trafigge le pupille come una pioggia di spilli. Mi guardo attorno, inorridisco. Il mio corpo è un bozzolo nero informe. Il culo scompare dietro una peluria ispida, dalla quale fuoriesce un filo bianchiccio che s’infila dentro il buco sul soffitto. E poi, vogliamo parlare delle gambe? Non solo sono otto, ma sono secche, storte e orribili. Cazzo, sono un ragno. Un fottuto ragno peloso e osceno. Mi ritrovo in una sala enorme. Davanti a me c’è un lampadario a tre bracci, il vetro è sudicio di unto misto a polvere. Insetti deformi svolazzano attorno alle lampadine. Sotto, una cucina bianca dall’aspetto piuttosto decadente. Due pensili con l’anta mezza sgangherata, il lavello ammaccato e la cappa fumaria che ruggisce come il motore di una macchina. Di fronte ai fornelli, una babbiona corpulenta gira il mestolo in una pentola che esala un tanfo nauseabondo. I capelli le si muovono sulla testa come un intrico di serpi rosse. Ogni tanto sospira e si pulisce le mani su una vestaglia di un terribile colore rosa shocking. Con un colpo di reni mi giro su me stesso. Il loft si arricchisce di una splendida sala, dove campeggia un divano di pelle consunta. Là sopra c’è un uomo in canottiera, con un cocomero al posto della pancia. Stempiato, rubicondo in volto, dalla corporatura massiccia. Sulla sua pelle spiccano numerosi tatuaggi: una donna, una barca, un’ancora. A vista d’occhio sembra Braccio di Ferro. O uno scaricatore di porto. Infine vedo una piccola libreria, sul suo ripiano è posta una gabbia con dentro un canarino giallo paglierino. Delizioso. Svolazza di bastone in bastone, senza fermarsi mai. Pare davvero felice, beato lui. Mica ha un filo nel culo come me, del resto. Nel frattempo la TV gracchia parole incomprensibili, mostrando immagini di una partita di calcio. «Ho fame, cazzo» dice il ciccione grattandosi un’ascella. «La cena?» Mi molleggio all’indietro, grazie al mio meraviglioso filo anale. La Babbiona rimane imibile, continuando a mescere il suo veleno. Non muove un muscolo, il suo volto è una maschera di cera.

«Cazzo, ho fame!» sbotta Braccio di Ferro, lanciando la bottiglia a terra e mandandola in frantumi. «C’è l’intervallo. Portami la cena.» La Babbiona allora si gira lentamente. o dopo o, si avvicina senza far rumore, con scatti decisi. Sembra un robot telecomandato. Aggrotto la fronte, confuso. Ok, tecnicamente non potrei aggrottare la fronte, ma il senso è quello. Braccio di Ferro sbadiglia, s’infila le dita nel naso, conversa grazie a eloquenti rutti. Non si accorge neppure che la Babbiona è alle sue spalle, dietro lo schienale del divano. Fissa il muro davanti, dove ci sono delle fotografie. Mi pare che sorrida. È troppo tardi quando realizzo che sto all’incontrario, e che quelle labbra non disegnano affatto un sorriso. La Babbiona alza la mano destra, con la quale impugna un coltello da cucina. È un attimo. Un bagliore. Un singulto. La lama affonda nella gola di Braccio di Ferro traandola da parte a parte. Schizzi di sangue volano a mezz’aria, insudiciano la parete, bagnano il suolo. Inorridisco. Tento inutilmente di aggrapparmi al filo, ma quelle maledette zampe si muovono disordinate come canne al vento. Zac! Il filo di rompe. Faccio un bel volo schiantandomi sul ripiano della cucina. Sono mezzo stordito, temo di essermi rotto tutte le ossa delle gambe. Quelle ossa che a regola non dovrei avere. Devo trovare un luogo dove nascondermi, prima che la Babbiona affetti anche me. E allora vedo un orologio vicino al frigorifero. Segna le 12.15, sopra la scritta 22 marzo 2011. Poi, una luce improvvisa. Chiudo gli occhi. Sento ancora il canarino che continua imperterrito a cinguettare.

Maledetto canarino del cazzo.

Riapro gli occhi. Ho la gola secca, le gambe intorpidite.

Appena metto a fuoco, lo stomaco mi si stringe in un pugno. Cazzo, mi hanno arrestato. Sbarre davanti, alle mie spalle, ai lati. Sono finito in una cella e non so neppure il motivo. Che diavolo ho combinato? Guardo il mondo dalle inferriate. È un mondo che conosco. Il divano della sala, la TV, la cucina bianca. L’orologio che segna le 18.43, mentre la data indica il 3 gennaio 2010. Sono perplesso. Com’è possibile? L’orologio è rotto, va indietro nel tempo. Nello stesso istante mi rendo conto che qualcos’altro non va. Tiro un sospiro di sollievo, non ho più otto gambe ma due. Secche con tre dita storte e unghie ricurve. Che schifo. Però, diamine, ho due braccia a corredo. Le allargo, allibito. Non ci sono le mani. Chi me le ha mozzate? E poi, sono coperte di una roba gialla. Tipo delle piume. Che fanno pendant con il resto del mio corpo. Piume, dicevo? Cerco di toccarmi il volto ma, al posto del naso, c’è un becco incastrato sulla mia faccia. Mi consolo, sempre meglio del pelo sudicio di uno stupido ragno. Mica sarò diventato quel demente di un canarino? Ecco perché mi hanno arrestato. A forza di cinguettare qualcuno si deve essere incazzato di brutto. In quel momento sento sbattere la porta di casa. Sussulto, stavolta qualcosa esce dalla gola. Sembra un dannato cinguettio. Entra la Babbiona, e mi schiaccio contro le sbarre. Controllo subito se brandisce un coltello, non si sa mai, potrebbe avere voglia di stufato per cena. Invece ha una cartella in mano, che poggia sul tavolo d’ingresso. Do una sbirciatina con i miei potentissimi occhi da inutile canarino, e intravedo un disegno. È una croce azzurra a sei bracci e all’interno un bastone con un serpente attorcigliato. Simile a quella che si trova stampata sui mezzi di soccorso, tanto per capirsi. La Babbiona si toglie la giacca e la appoggia su una sedia. Zoppica, con una mano sulla vita e una sulla pancia. Ha i capelli arruffati e mezzi bagnati, un nido rosso che ondeggia desolato sulla sua testa. «Ho fame», dice una voce dietro di lei.

Trasalisco. È Braccio di Ferro, che chiude l’ombrello e lo getta contro la parete. Sbadiglia, si toglie le scarpe e le lancia contro il divano. Poi barcolla fino al mobile della TV e afferra un telecomando che si trova su una mensola a pochi i dalla libreria. Deglutisco, quell’uomo mi mette paura. Gli guardo il collo, non c’è alcun segno o cicatrice. È guarito? Con un coltello piantato nel collo? Impossibile. Che sia una specie di zombie? Mi lancia un’occhiata di sbieco, con un sorriso deforme stampato in faccia. Devo far buon viso a cattiva sorte, così infilo il becco nel contenitore del mangime fingendomi occupato. Magari è meglio cantare a squarciagola? Gli psicotici sono sempre troppo volubili, vai ad azzeccare la cosa giusta da fare. Mentre trangugio quei semi disgustosi, Braccio di Ferro si allontana grattandosi una natica. Crolla sul divano, accende la televisione. «C’è una birra?» La donna si rintana in cucina e si mette una vestaglia. Poi si avvicina al frigo, lo apre e prende una bottiglia. Quando si volta riesco a vedere il suo volto, illuminato dal cono di luce del lampadario. La Babbiona è devastata. Il viso tumefatto, una palpebra gonfia che ricade a mezz’occhio, un livido che si allarga dall’angolo delle labbra all’orecchio. Cosa le è successo? Non so perché, mi dispiace. Eppure non dovrei, visto che è una sociopatica assassina. Lei avanza di un altro o, quindi si ferma accanto al tavolo appoggiandosi allo schienale della sedia. Sta ansimando, mi pare esausta. Le sue guance sono bagnate. Sta piangendo? Chissà, forse il senso di colpa per aver ucciso il marito che poi è resuscitato. E deve averla pure picchiata. Be’, lei lo ha ucciso, mi pare una reazione adeguata. E poi, mica vogliamo analizzare la mente contorta di un’assassina. Sono confuso, lo ammetto. Qualcosa non mi torna. Se me ne fregassi e continuassi a cinguettare come tutti i canarini dementi di questo mondo? Ok, sono sfigato. Non potevo diventare un pesce rosso che boccheggia dentro una palla di vetro alle prese con deliziosi vuoti di memoria? «Se quel cazzo di canarino non la smette, ti giuro che lo infilo nel microonde.» Il mio canto libero mi muore in gola. Qualcosa mi dice che Braccio di Ferro non

sta scherzando, meglio infilare il becco nel contenitore dell’acqua. Perché diavolo non la finisco di cinguettare? La Babbiona muta drizza le spalle. Prosegue la sua via crucis e lascia la bottiglia sul tavolo di fronte al divano. Piegandosi emette un flebile gemito, si tocca nuovamente i fianchi e la pancia. Sì, la Babbiona è ridotta davvero a un catorcio vivente, poveretta. Eppure mi immaginavo i serial killer in modo del tutto diverso. Che ne so, più slanciati, agili, meschini e imprevedibili, con gli occhi iniettati di sangue come l’assassino di Shining. «Quanto ci vuole per la cena? Ho fame» sbraita Braccio di Ferro stappando la bottiglia. Trangugia birra come un ossesso, in pochi secondi se la scola tutta. «Ne voglio un’altra.» La Babbiona annuisce, fa per voltarsi. «Che ti sei messa addosso? La vestaglia è piena di unto. Cazzo che schifo» aggiunge Braccio di Ferro, grattandosi laddove non batte il sole. O almeno lo spero. Comunque, mi sento quasi in imbarazzo per lei, seppellita da una valanga di complimenti. Pace, ognuno ha i suoi problemi, io me ne torno all’adorata ciotola di semi. Come si fa? Ah, sì, un semplice saltello. Ops! Svolazzando sull’altro bastone, esce un nuovo cinguettio. Giuro, non l’ho fatto apposta. È il canarino dentro di me che non riesce a stare zitto. Fra l’altro, era un acuto interessante, ho delle grandi possibilità come tenore da grande. ‘Fanculo. Troppo tardi. Braccio di Ferro è rosso in volto. La montagna di grasso si alza furibonda, si avvicina facendo tremare il suolo. Mangime, acqua, saltellare. Cazzo, sono fottuto. Apre la porticina della gabbia, vi infila una mano. Tento di fuggire, ma la mia cella è troppo stretta. In meno di un secondo mi trovo stretto tra quelle dita ciccione. «Ti ammazzo, canarino del cazzo!»

Ecco, ci risiamo. Mi do una nuova estrema unzione, mentre la stretta è così forte da togliermi il respiro. Con la coda dell’occhio vedo la Babbiona davanti ai fornelli, qualcosa mi dice che non verrà in mio soccorso. Mi sbaglio. La Babbiona si volta, con un coltello in mano. «Lascialo stare.» Poi, una nuova luce. Chiudo gli occhi. Buio.

Ancora buio. Sento il vento che mi lambisce il corpo. Qualcosa nella schiena che si muove a una velocità impressionante. Dove mi trovo? Il sole si accende davanti ai miei occhi. Una palla di luce che mi acceca e stordisce. Non so perché, ma ho l’insano desiderio di gettarmi contro quel bagliore. Sbatto la testa, colpendo qualcosa di duro. Cavolo, che dolore. Mi crescerà un immenso bernoccolo in fronte. Tento di staccarmi da quella luce, che pian piano riconosco. È sempre il solito lampadario, sozzo e polveroso. Alla fine mi impongo di scappare, e ci riesco. Sala, cucina, divano. Sempre la solita dannata casa, ma stavolta da un’angolazione diversa. Non so spiegarlo, è come se la vedessi dall’alto. Come se volassi. Ma certo! Sono un canarino, che sciocco. I canarini volano. Ma se sono quell’uccellaccio, perché lo vedo ancora felice e contento dentro la gabbia? Muovo la testa, mi guardo il corpo. Peloso, ovale, osceno. Con due ali che si muovono alla velocità della luce. Sono tornato un ragno? No, i ragni non hanno le ali, in genere. E non ho niente infilato nel culo, ve lo giuro. o davanti alla canna fumaria, che riflette la mia immagine. Che schifo. Sono una specie di insetto con due corna secche in testa. Tipo una falena, ma di quelle veramente brutte. Ci risiamo. L’orologio segna le 12.17, la data stavolta è il 24 dicembre 2009. Ancora indietro nel tempo, pare che nessuno voglia aggiustare quell’aggeggio. Ah, ironia della sorte, è proprio la vigilia di Natale, sono emozionato. Anzi, che tristezza, non vedo neppure un addobbo o un albero di Natale. Dal corridoio fa il suo ingresso il redivivo Braccio di Ferro. Chissà quante volte è morto ed è resuscitato nel frattempo. Dietro di lui c’è la Babbiona, ma è diversa da come la ricordavo. Sembra più bella, felice, rilassata. Ha i capelli sciolti sulle spalle, di un rosso . È truccata, indossa un vestito nero che le sta bene. Se non fosse per quella pancia enorme che le sballotta davanti, ancora

più grande del cocomero che tiene Braccio di Ferro. Come ha fatto a ingrassare così tanto? «Che c’è per pranzo?» dice lui, grattandosi la testa. «Devo ancora fare la spesa» gli risponde la Babbiona, che a quanto pare non parla solo per salvare i canarini. «La spesa? Cazzo, Tamara, dovevi farla ieri.» «Lo sai, sono andata dal ginecologo.» Ah, allora non è un cocomero, è solo incinta. Meno male. Si chiama Tamara, che nome squisito. Preferisco Babbiona, però. Nel frattempo, per evitare che Braccio di Ferro mi stritoli come l’ultima volta, mi nascondo dietro la cappa. Non posso cinguettare, o almeno credo, ma meglio non dare nell’occhio. Non sono un entomologo, cacchio ne so se le falene fanno qualche verso strano che fa girare le palle al ciccione. «Ah, ecco, sei stata di nuovo dal tuo amichetto, adesso capisco» continua quest’ultimo. «Avevo l’appuntamento per l’ecografia. Non ricordi, Fernando? Te lo avevo detto.» «E chi cazzo se ne frega. È quasi l’una e non abbiamo il pranzo. C’è almeno una birra?» Lei scuote la testa. «Sono finite.» Fernando, per gli amici Braccio di Ferro, diventa una bestia. «Le hai bevute tutte? Le avevo comprate ieri, cazzo!» La Babbiona è in difficoltà, si limita a deglutire. «Sei diventata un’alcolizzata del cazzo, Tamara? Allora muoviti e va’ a comprarle.» Lei china la testa. «Va bene.»

Ma rimane ferma. «Allora, ti muovi?» «Mi servono i soldi per comprare le birre.» Braccio di Ferro perde la pazienza. «Te li ho dati ieri, non ce li hai più?» Si avvicina, torreggiando su di lei. La Babbiona indietreggia, terrorizzata. «Te l’ho detto, mi sono serviti per l’ecografia!» «Ah già, insieme al tuo amichetto, vero? Ve la siete sata?» «Il dottor Balestri. È il ginecologo.» Lui scoppia a ridere. «Già. E perché tutte le donne incinte hanno un ginecologo donna, e tu no? La cosa ti piace?» La Babbiona fa un o indietro, spalle al muro. «Non dire sciocchezze, Fernando. Il dottor Balestri è molto bravo, ed è quello che possiamo permetterci.» «È molto bravo a far cosa?» le risponde infilandole una mano sotto la gonna. Lei volta la testa, sussurrando un basta che appena riesco a udire. «Basta? Se fosse il tuo dottorino ti piacerebbe?» «Sei ubriaco.» «Cazzo dici! Quel fottuto frigo è vuoto!» «Hai finito le birre stamattina.» «Non prendermi per il culo, Tamara!» «È la verità!» Un tonfo sordo. La mano cicciona di Braccio di Ferro si abbatte sul suo volto. La Babbiona rimbalza contro la parete, finisce a terra.

«Ecco dove finiscono i miei soldi, nelle mutande di quella fottuta carogna!» grida lui, fuori di sé. La Babbiona tenta di rialzarsi in piedi, ma è troppo tardi. Un altro pugno in pieno volto. Poi su un fianco. Sulla schiena. Alla fine riesce ad alzarsi in piedi e correre verso la cucina, ma la montagna di lardo le sta alle costole. Esco dalla cappa, devo salvare l’ex assassina che sta per essere assassinata e forse non ha imparato a resuscitare come il marito redivivo. Svolazzo impazzito a mezz’aria, ma Braccio di Ferro non mi degna di uno sguardo. La Babbiona ha afferrato un coltello, lo brandisce davanti a sé. Il sangue le esce dalla bocca, un occhio è già livido. Non fa in tempo. Un altro schiaffo in pieno volto, perde la presa sull’arma che le cade a terra. La Babbiona piange disperata, cercando un altro arnese. Braccio di Ferro la prende alle spalle e la scaraventa contro l’angolo del tavolino. Lei sgrana gli occhi, appena riesce a respirare. Si accascia a terra, lanciando delle urla di dolore. «Il mio bambino… il mio bambino…» Un lago di sangue si allarga sotto i suoi piedi. «Marco… piccolo mio…» singhiozza la donna, tenendosi il ventre. Quel nome è come una scarica elettrica. Una parola che ho sentito più volte. Marco. Una sequenza di immagini mi a davanti agli occhi. Lo schermo della TV, che sta trasmettendo il film Shining. Zapping, c’è un cartone animato, Braccio di Ferro. Sul materasso, mentre sento una ninna nanna. Al parco giochi, attorniato da una folla inferocita di ragazzini. Sul letto di un ospedale, di fronte a un monitor sul quale appaiono immagini sfocate. Lo vedo, mi vedo.

Marco, una creatura di pochi centimetri. Marco, un cuore che batte. Marco, una vita che cresce. Poi, le luci si riaccendono. Fernando, mio padre, è sopra Tamara. Mia madre tenta di scappare, ma è tutto vano. Un calcio, un altro. E un altro ancora. Le mie ali si spezzano. Cado a terra, ansimante. Sento il volto allungarsi in un becco, dall’addome fuoriuscire otto zampe pelose. Ero un bambino. Ero una creatura dentro un ventre. Ero un soffio che stava per immergersi in un nuovo mondo. Ero un vagito che voleva rompere il silenzio della vita. Adesso non sono più nulla, schiacciato a terra e senz’ali, a pochi i da mia madre stesa su un lago di sangue. «Marco… Marco…» mormora lei tra le labbra. Ed io le rispondo, prima che la vita mi abbandoni per sempre. «Mamma.» Poi mi alzo da terra. Aleggio nell’aria. Sul suolo c’è una falena immobile. Accanto un ragno stecchito. Il canarino, nella gabbia, ha smesso di cinguettare. La cappa fumaria mi restituisce la mia immagine. Sono un alone di luce. E, nella luce, finalmente scompaio.

Note:

Gennaio 2013 Ogni tanto mi capita di cimentarmi nella scrittura di racconti. Preferisco il romanzo, mi sento più a mio agio e trovo dannatamente difficile scrivere storie brevi. Occorre essere sintetici, evitare di perdersi in lunghi monologhi o asfissianti descrizioni. Ci provo, perché la scrittura per me rappresenta sempre una sfida.

Dopo la pubblicazione sul numero 6 della rivista Effemme, ho deciso di regalare questo racconto a tutti i miei lettori, che da anni mi seguono con affetto sul mio sito (www.scofalconi.it) su facebook (www.facebook.com/falconisco) e twitter (www.twitter.com/scofalcon). Ho scritto Halo durante le revisioni del primo libro di Muses, per cui ritengo che ci sia un legame stretto fra questo racconto e il romanzo. Ringrazio tutti coloro che mi hanno aiutato nella revisione, in particolare Luca Azzolini, Cristina Donati e Simone Greci.

Con affetto, sco

Biografia: « La scrittura non è un mestiere. Non è un hobby. Né una ione. È un’esigenza di cui non si può far a meno. Perché senza ti senti soffocare. E sai che è l’unico modo per liberare quella bestia che ti strangola. Se provi questo, allora vuol dire che hai una bella storia da raccontare. » (sco Falconi, intervista Panorama Libri)

Nato a Grosseto il 26 giugno 1976, sco Falconi si laureato nel 2002 in ingegneria delle telecomunicazioni a Siena. Attualmente lavora a Roma come consulente d'ingegneria e scrittore di romanzi che hanno venduto decine di migliaia di copie. Ha esordito nel 2006 con la serie di romanzi fantasy per ragazzi Estasia, pubblicati dalla Armando Curcio Editore. Estasia Danny Martine e la Corona Incantata è un romanzo che l'autore ha scritto alla sola età di 14 anni e successivamente edito da Curcio nel 2006. Nel 2008 ha pubblicato anche una seconda serie, Prodigium, edita Asengard Edizioni, che consta di due

soli libri. Assieme ad altri scrittori italiani, nel 2009 ha partecipato all'antologia Sanctuary per un progetto in beneficenza. Nel 2010 si è impegnato in difesa dell'ambiente con il romanzo sociale Gothica L'Angelo della Morte, edito Edizioni Ambiente nella collana Verdenero. Sempre nello stesso anno si è dedicato a libri per un pubblico young adults con L'Aurora delle Streghe, edito Reverdito Editore. A Ottobre 2010 è stato pubblicato un nuovo libro, Nemesis, edito Castelvecchi Editore. Ad Aprile 2011 è stata pubblicata la biografia sulla cantante Madonna «Mad for Madonna. La regina del pop", edito Castelvecchi Editore. Parte dei proventi dell’autore saranno devoluti all’associazione benefica fondata da Madonna, la Raising Malawi. Nel 2011 ha anche ricevuto il Premio Letterario Arte Giovane Roma 2011, genere Young Adults, patrocinato dal comune di Roma. Nel 2011 è ritornato al genere romanzi per ragazzi con la serie “Evelyn Starr” edita Piemme Edizioni mentre nel 2012 pubblica con Mondadori “Muses” un romanzo gotico per Young adults che ha riscosso un notevole successo di pubblico e critica. I diritti cinematografici di “Muses” sono stati opzionati da una importante produzione cinematografica.

Il suo sito internet è www.scofalconi.it

Bibliografia

Saghe: Estasia Estasia. Danny Martine e la corona incantata (2006) (Armando Curcio Editore) Estasia. Il sigillo del triadema (2008) (Armando Curcio Editore) Estasia. Nemesi (2009) (Armando Curcio Editore) Prodigium Prodigium. I figli degli elementi (2008) (Asengard Edizioni) Prodigium. L'acropoli delle ombre ed. lim. (2009) (Asengard Edizioni) Prodigium. L'acropoli delle ombre (2010) (Asengard Edizioni) L'aurora delle streghe Underdust (2010) (Reverdito Editore) Primi capitoli Nemesis Nemesis. L'ordine dell'apocalisse (2010) (Castelvecchi Editore) Nemesis. La chiave di Salomone (2011) (Castelvecchi Editore) Nemesis. La Storia Completa (2014 - solo ebook) Evelyn Starr (con Luca Azzolini) Il diario delle due lune (2011) (Piemme)

La regina dei Senzastelle (2012) (Piemme) Muses Muses (2012) (Mondadori Editore) Muses La Decima Musa (2013) (Mondadori Editore)

Racconti Anobium, in Sanctuary (2009) (Asengard Edizioni) Halo (2012) (Effemme n°6) La Contessa di Sangue (2014) (Antologia Orologi Senza Tempo - NPE editore Antologia benefica per la ricostruzione della Città della Scienza)

Opere Singole Gothica. L'angelo della morte (2010) (Edizioni Ambiente) Mad for Madonna. La regina del pop (2010) (Castelvecchi Editore) Gray (2014) (Mondadori Editore)

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