Vincenzo Carrella
L’umanità del Fisco
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Titolo | L’umanitàdel Fisco Autore | Vincenzo Carrella Disegno realizzato dai ragazzi ospiti dell’Istituto Penitenziario ICAT di Eboli ISBN | 9788891106315 Prima edizione digitale 2013
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Prefazione
Quando l’amico Vincenzo mi ha chiesto di fare la prefazioneal suo libro, oltre al compiacimento di scoprire in lui quest’ennesimaqualità in campo letterario mi ha pervaso un gran senso di stupore.Non ho esperienza né cultura alcuna in materia. Le mie letture, i mieipensieri, le mie conoscenze per molti anni si sono concentrati suimanuali giuridici, dottrina e giurisprudenza fiscale, materie affascinantiper gli addetti ai lavori ma totalmente estranee all’estro narrativo diun novelliere o di un romanziere. Scrittore sì, l’ ho ritenuto subito più che possibile, data la facilepenna del giornalista e la profonda cultura dell’uomo, ma autore diuna storia che narra di vite, di dolori, di amori, di povertà, di generositàe di tanto altro non avrei mai immaginato. E cosa avrei dovuto dire io a commento dell’opera con il mio trascorso forse non arido ma,certamente, ben definito di dirigente pubblico, qualifica meno rigidae sgradevole di “burocrate”? Ebbene non senza perplessità sulla mia capacità di giudizioho iniziato la lettura nello sforzo di dimostrarmi all’altezza del compitoaffidatomi solo per non deludere l’amico con un netto rifiuto. Ho benpresto compreso perché byando la mia ignoranza letteraria ti seirivolto a me, sconosciuta a questa ribalta. Non solo il percorso professionale parallelo che ci ha fattoincontrare, tu che intraprendevi la professione, io che in quegli stessianni dirigevo a Salerno l’allora Ufficio Provinciale IVA. Non solo lareciproca stima che si traduceva nell’assoluto rispetto delle convinzionie delle opinioni sulle pratiche da entrambi trattate nel proprio ambito.Di certo, ho intuito, il bisogno di una verifica, quasi una prova delnove, per i risultati di quell’analisi attenta di volta in volta eseguitasulle dichiarazioni dei redditi. Chi mai avrebbe detto che la rendicontazione annuale al fisco potesse parlare e tratteggiare non solo a parole ma con immagininitide nella mente, la vita di quanti, titolare del reddito e familiari,gravitano alle spalle di un così arido, meccanico, farraginosoadempimento!
Ecco, forse noi due in questo ci somigliamo. Il bisogno e lafantasia di comprendere il risvolto umano e l’essenza di ogni singolaoperazione, io nell’esercizio della funzione sempre vissuta nel bisognodi operare per il bene dell’erario e quindi dei destinatari del prelievofiscale, quella immensa platea che accomuna soggetti così diversi ecasi così disparati in logiche spesso cieche e di difficile comprensione;tu, nello svolgere con grande coscienza la professione volendorispettare le norme, gli uomini deputati a farle osservare e i tuoicontribuenti-clienti spinti di certo dalla necessità a chiederti tante voltedi aiutarli a risparmiare. Riconosco i “buoni consigli” di cui tante voltein ufficio mi hai fatto cenno per testarne la validità prima di indurli ai tuoi assistiti per rendere nel pieno rispetto delle regole meno dura laloro vita. Il fisco come l’occhio del grande Fratello attraverso il qualetu leggi la vita dei protagonisti e dei comprimari, le loro tragedie e,perché no, il loro lusso. E’ vero, ad una attenta analisi dei dati raccolti nella dichiarazione nulla sfugge ad un operatore esperto. Ma tu haisaputo raccontare, non rilevare, interpretare , non stigmatizzare condistacco, fantasticando sulle vite e narri con toni pittorici il tuoimmaginare che ricalca appieno il reale. Nel riscontro, Aniello, Titina,Assunta, Ciro, donna Concetta, Gennaro e Maria sono come li hai immaginati, o meglio dedotti, nella cornice delle loro dimore, esattohabitat costruito dalla fantasia. Il racconto, leggero, si sviluppa in un linguaggio che tirispecchia, elegante ma schietto, forbito ma essenziale. Mi richiamaalla mente un prezioso tombolo ed i sensi si arricchiscono nella letturadi profumi e gusti antichi.
Silvia Guarino
“A mia madre che ha contribuito a fare di me quello che sono oggi”
VINCENZO
Prologo
“Sappi Vincè, figlio mio, che la Madonna ti accompagneràsempre, non aver timore e non preoccuparti. Se questa è la tuavolontà, stai tranquillo che è la stessa cosa che vuole il Signore”. Osservavo la faccia di mia madre, donna Amalia. Seduto accanto a lei il suo compagno di vita, papà Ernesto, ascoltavacon aria solenne la benedizione, che segnava l’imprimatur per l’iniziodella mia carriera professionale. Appariva rilassata e rassicurante,come se avesse percepito a sua volta un diretto contatto con quelsuo mondo celestiale, da cui restavo puntualmente catturato e coinvolto,pur rimanendone estraneo. Ripetuti ed inutili, infatti, sono stati negli anni, tutti i tentatividi immergermi in quella sua magica e divina atmosfera. Nessunalogica o schema, anche se con lei concordato, è però riuscito a farmivarcare le soglie di una concreta ed effettiva percezione del suomondo interiore. Ad ogni modo la ricevuta sua consacrazione mi valeva più diquella di un papa, lanciata pubblicamente a milioni di fedeli incircostanze eccezionali come, ad esempio, quelle di un Giubileo. Proprio da lì, dal via libera ricevuto profeticamente dallamamma e con il tacito consenso del mio papà, ebbe inizio il mio tanto sospirato percorso professionale.
Assuntina
“Vincè, vedrai che le soppressate quest’anno sono venuteancora più buone e saporite”. Donna Concetta ne tirò fuori alcune daun contenitore che, pur ingiallitosi per colpa del tempo, che ne misuravainesorabilmente il logorio, conservava la sagoma di una borsa. Eranocontenute in un secco budello e legate nel loro caratteristico intrecciodi spago. Seguii con l’atteggiamento distaccato, acquisito nel mioabituale ambiente professionale, quei movimenti, a tratti armoniosi,delle irsute braccia. Con un sapiente colpo di polso, Concetta riuscìa sistemare gli insaccati in una sola mano. Poi li adagiò delicatamentenella ospitante piccola area dove si era sistemata la figlia. Assuntaera seduta proprio di fronte a me e accanto a lei, sulla destra, c’erapapà Ciro. Il sole, alle sue spalle, imbruniva sapientemente parte diquei lineamenti, che segnavano i confini del suo volto, resoperennemente pallido dalle lunghe e continue sofferenze, con cui eracostretta a convivere dacchè era nata. Una malattia rara d’originecardiopatica (a me comunicata con sforzi dialettici ed incomprensibilidettagli) le aveva sottratto e annullato l’intera sua fase adolescenziale,privandola del gusto di assaporare l’insieme della magiche armonietipiche di quell’età. Avvertivo spesso in sua presenza una particolareinclinazione alla tristezza; tutta una serie di interrogativi e diconsiderazioni mi perseguitarono per l’intera durata della loro visita: povera figlia, quante privazioni durante l’intero primo periodo dellasua crescita, proprio in quella fase in cui scoperte e ricerche delquotidiano aiutano a tratteggiare il carattere, formandolo e modellandoloattraverso gli ideali e i giusti valori della vita. La sua condizione era per me paragonabile al riuscire avedere abitualmente il sole senza mai aver ammirato e gustato l’alba. Con gli occhi mi sforzai di focalizzare velocemente le suelabbra per abbreviare il rito di quella frase, che da anni mi sentivoripetere con grazia e dolcezza: “Grazie tante Vincè, per la tua generosadisponibilità e per l’affetto e le attenzioni che non ci fai mai mancare”. D’istinto la mia reazione fu quella di chinarmi alla sua altezza,senza badare allo
scompiglio che si determinava sulla scrivania.Tentavo, così, di agevolarle il lancio di quel suo caratteristico umidobacio fugace con lo schiocco che, puntualmente, stampava sulle mie guance. In quel tenero gesto, quasi meccanico, individuavo una suaformale accettazione della breve, ma intensa (quanto a qualità edinsegnamenti) prestazione professionale resa. Anche quell’anno, nonostante oramai le ripetute e automaticheazioni si riproducessero da tempi lontani, sistematicamente concentratenel breve spazio della intensa stagione delle dichiarazioni dei redditi,ebbi conferma che quel suo viso continuava ad essere impreparatoall’abitudinario rito. Un colore rosso porpora, infatti, iniziò la sua dilagante diffusione sull’intero viso di Assunta. Il volume e l’intensitàdel rossore fece piombare in una sorta di imbarazzo anche tutti noi,che assistevamo e ne osservavamo lo sviluppo. Per riprendere il controllo della situazione frugai velocementenel primo cassetto del mobile posto sotto la scrivania, a lato dellemie ginocchia: l’obiettivo era quello di recuperare un pò di caramellee cioccolatini appositamente acquistati e lì riposti per averli semprea portata di mano. Senza minimamente pensare alla quantità, neafferrai una manciata e li sistemai nelle sue piccole mani, stringendolei pugni. Un’espressione di gratitudine comparve sul suo viso e miaiutò a spazzare via la tristezza e l’angoscia che, puntualmente, miassalivano quando la guardavo. Poterla vedere sorridere, unitamenteai suoi umili e dignitosi genitori, m’infondeva tranquillità e mi ponevain uno stato di esaltante euforia. Non vi era prezzo che potesseripagare quella particolare condizione; aver potuto soccorrere unafamiglia, evitandole fastidi e preoccupazioni per incombenze di natura fiscale, valeva più di ogni altro riconoscimento. Confesso che non avevo (e tuttora non ho) mai osatocomunicare a donna Concetta che gli insaccati non hanno mai avutoun posto rilevante nella mia scala di gradimenti gastronomici.Probabilmente ciò è dovuto alla difficoltà nel digerirli o, semplicemente,è perché non sono di mio gusto ; fatto sta che se le avessi dovuto,in via del tutto confidenziale, rivelare il piccolo segreto del mio rifiutogastronomico, probabilmente le avrei procurato un dispiacere rilevante.Poco importa…c’è sempre stato qualcuno che ha apprezzato per me. Come in un fulmineo flashback rividi il nostro primo incontro.Ero in un paesino dell’entroterra salernitano e da poco mi ero lasciatoalle spalle gli uffici comunali, dove mi ero recato per gli abituali controlli,legati alle mia funzione di revisore. Avevo necessità di liberare la miamente, affollata dai contenuti di una
miriade di documenti amministrativi, che il responsabile finanziario, Carmine, aveva raccolto e sottopostoalla mia attenzione per una relazione, che mi accingevo a redigere. Avvertivo la necessità di staccare e per questo avevo decisodi dirigermi in perfetta solitudine in quello che, con una buona dosedi fantasia, rappresentava il bar del paese: “Da Gennaro”. L’insegna,piegata verso il basso, copriva parte delle sue lettere, trasformandoin EARO quello che avrebbe dovuto rappresentare il richiamopubblicitario del piccolo esercizio commerciale. Lì tutti, bene o male, mi conoscevano: molti mi scambiavano per un distinto ed importante funzionario della Finanza. Infatti pensavano che il revisore stesse a capo di tutti gli organi di controlloa disposizione dell’amministrazione finanziaria. Giustificata mi appariva, quindi, tutta quella loro gentilezzae disponibilità, che in massicce dosi mi riservavano ogni volta cheentravo nel locale. La moglie di Gennaro, Maria (solo anagraficamente perché non riuscivo a intravedere una vera femminilità in quella sagomamascolina, che la rendeva unica e tipica della zona) era solita salutarmi con una frase, che è entrata a pieno titolo nel mio bagagliolessicale: ”Uè dottò Vincè , n’altra volta o male e cape? Ve faccio nucaffè che vi aiuterà a scacciarlo via presto”. Appena pronunciata l’ultima parola del suo incoraggiantesaluto, le fece eco una voce squillante ed acuta, che proveniva dallaparte più buia del locale: “O dottore è ospite mio, sempre se non vi offendete”. Era Ciro, un omone grosso, ma dotato di un fare armoniosoe gioviale. Indossava ancora la tuta da lavoro, quella tipica, di coloreblu, degli operai metalmeccanici, sbiadita e resa opaca dal continuoutilizzo. “Grazie, molto gentile da parte vostra, ma non mi sembra ilcaso” Il mio rifiuto era puramente formale; si vedeva lontano un miglioche il mio diniego aveva i toni di una tacita accettazione. Non so qualifossero i motivi di questa mia pronta disponibilità nei suoi confronti. Devo, però, riconoscere che Ciro aveva da subito catturatole mie simpatie. “Dottò”, mi rivelò abbassando gli occhi sulla tazzulelladi caffè appena servita da Maria e lasciando trasparire, in quel timidogesto, una miscela di vergogna ed imbarazzo per ciò che si apprestavaa chiedermi, “.. mi volete aiutare quest’anno a fare la mia dichiarazionedei redditi? Sapete il ragioniere, a cui abitualmente mi
rivolgevo, hafirnute e campà aropp Natale e non saprei proprio a chi rivolgermi.Ve porte tutte e carte appena mi trovo a Salerno e accussì me faceterisparmià qualcosa. M’hanno ditto che site assai bravo e disponibilee poi site pure laureato”. Disse questo quasi a farmi capire che il titolodi commercialista e dottore rappresentasse di per sé una solida esicura garanzia di buon esito della prestazione richiesta. “Allora, chemi dite?”, e giù con un sorriso tanto tenero quanto sincero; il miocuore fu invaso da buoni sentimenti. “Come”, pensavo e riflettevo,“negargli aiuto in questa che appariva una pressante necessità?” Acconsentii senza esitazione alcuna e, ritenendo di farglicosa gradita, gli comunicai la mia disponibilità a ricevere, ancheseduta stante, una copia della sua ultima dichiarazione dei redditi. “Veramente mi aspettate?” mi chiese con incredulità e stupore.“Vado e vengo. Maria pensa tu al dottore.” Con frettolosa andaturaabbandonò il locale e si allontanò, disperdendosi tra i viottoli e lestradine di campagna distribuiti lì intorno. Mentre attendevo il suoritorno, telefonai a casa per avvertire la mia famiglia che sarei arrivatoin ritardo, rispetto al mio orario abituale. Non ne chiarii però i motivi. A Giusy (mia moglie) avrei detto tutto al rientro, arricchendo il racconto,come mio solito, di particolari divertenti, che l’avrebbero fatta sorridere.Appena chiusa la comunicazione, Ciro si ripresentò nel locale. Nellamano destra stringeva, contenuta in una busta appositamentecellophanata, la dichiarazione e la documentazione a corredo. Nell’altramano, già tesa con la chiara intenzione di darle precedenza su tutto, teneva una bottiglia di vino recuperata in tutta fretta nella sua cantina:“La bevete alla salute mia e della mia famiglia”, e giù con la replicadi quel sorriso disarmante che aveva tanto effetto sul mio cuore. “Miraccomando, dottò, la prossima volta che venite in Comune, dovetefermarvi a casa mia: è in aperta campagna e, senza offesa, pare nareggia! Vedrete”, continuò nella sua garbata esortazione, “ che vipiacerà tanto che ci ritornerete con tutta la famiglia”. E con questaferma convinzione, quasi a stipulare un patto, ci stringemmo la manoe ci congedammo. Intanto, visto l’approssimarsi dell’imbrunire, mentre un solegià stanco andava a nascondersi dietro quelle montagne, checingevano la vallata dominante l’unica strada di accesso al paese,recuperai l’auto per riprendere il viaggio verso casa.
Sistemai la busta contenente la sua dichiarazione dei redditi e la bottiglia di vino sul sedile accanto al mio. Mi venne naturale tirarefugacemente fuori dal cellophane, stretto da un elastico rosa pallidoin tinta con il paesaggio naturale, che mi lasciavo alle spalle, partedel contenuto. Sorprendentemente scorsi una mazzetta di ricevutesanitarie avente un unico intestatario, una tale Assunta. Dal codice fiscale impresso ed evidenziato in quei documenti ricavaiimmediatamente l’età anagrafica: 11 anni e, vista la copiosacertificazione a suo nome, mi riuscì facile individuare il suo ruolo di assoluta protagonista in quella dichiarazione dei redditi. Poi, nascostinella piega di un foglio interno, che delimitava il quadro dei redditi fondiari (la macrovoce, per intenderci, che contraddistingue l’elencodelle proprietà immobiliari di pertinenza del contribuente) trovai copiedi visure e documenti rilasciati dall’ufficio competente, nelle qualivenivano specificati i relativi dati catastali. Si certificavano cinqueredditi di terreni intestati a suo nome e un fabbricato rurale, categoriaA/6, che, avendo perso probabilmente i requisiti di legge, era diventatol’immobile, in cui la famiglia dimorava. In fondo al fascicolo, liberi e solitari, trovai i Cud (modelli neiquali erano riepilogati i redditi da lavoro dipendente percepiti nell’annodi riferimento della dichiarazione) di Ciro e Concetta: al primo risultavanoessere stati erogati scarsi 21.000 euro al lordo di ritenute e detrazioni,mentre a sua moglie (lavoratrice stagionale in un’industria alimentaredella zona) il salario certificato dal suo datore di lavoro, toccava lasoglia di quasi 6000 euro complessivi.
L’accertamento induttivo
Durante l’intero tratto stradale, che stavo percorrendo pertornare a casa, pensai e riflettei su quella complessiva posizionepatrimoniale/reddituale familiare di Ciro. Nel tempo, grazie alla miaesperienza in materia, avevo sviluppato una mia tecnica diaccertamento induttivo (la situazione, cioè, che grazie ad alcuni indizipatrimoniali di natura certa consente, ricostruendola, di risalire allanota complessiva).Pensai di applicarla anche a Ciro, quale contribuentedi turno. Questa procedura mi avrebbe consentito di ricevere, comecontropartita, una descrizione meticolosa della loro condizione di vita,compresi consumi ed abitudini . Dinanzi ai miei occhi, utilizzando quello che rappresenta ilprimo stadio della mia tecnica, mi apparve un’antica casa colonica,adagiata in un crocevia di rovi campagnoli, distribuita su quattro laticon altrettanti livelli. Al suo interno un gioco di specchi e cornici, lettia baldacchino e secretaire in arte povera (che di povero conservaperò solo la parola, visti i prezzi comunemente applicati nei negozidi antiquariato). La cucina, rigorosamente di mattoni e di grandidimensioni, aveva il pavimento rivestito di maiolica vietrese ed erasistemata vicino all’ingresso della casa, accanto ad un cortile frontestrada, che ne delimitava l’intero perimetro. Un forno a legna di grandidimensioni era posto dietro la casa. Assolveva inoltre le funzioni dicaldaia per l’acqua calda ed alimentava il circuito del riscaldamento. Continuando il mio ragionamento, dedussi che probabilmente,l’originaria architettura, non a caso, avesse previsto la cucina proprioin quell’angolo. Occorreva realizzare un’area di facile accesso, perchi di ritorno dalla giornata lavorativa nelle campagne circostanti,avesse avvertito la necessità di fermarsi a salutare gli avi di Ciro,scambiandosi piacevoli battute e accompagnando il momento diconvivialità con bicchieri di vino genuino. Il fabbricato inoltre loconcepivo cinto da una folta ed alta vegetazione con alberi e rovi didiversa stazza e statura e variopinti fiori, distribuiti con casualefrequenza sull’intera area. Proprio perché naturale e priva di qualsiasiintervento umano, quell’Eden risultava suggestivo ed allo stessotempo riposante agli ammirati sguardi di chi l’osservava.
Mi venne istintivo, pur essendo quella ricostruzione solo fruttodella mia fantasia, rivolgere gli occhi verso il cielo in un segno digratitudine al Buon Dio, unico creatore di quell’incomparabile spettacolonaturale. Arrivai a casa e, nonostante il mio volto fosse profondamentesegnato dalla stanchezza, mi sentivo invaso da profonda serenità. Piermaria e Paola, i miei dolci bimbetti mi vennero incontro felici per il mio ritorno. I loro affettuosi abbracci furono per me unbalsamo ristoratore. Da un semplice sguardo, invece, Giusy avevaimmediatamente intuito il motivo di quel mio stato di grazia: la sua straordinaria abilità a sintonizzarsi con me, era ed è, talmente affinata ed efficace che, spesso, anche i nostri silenzi sembrano pieni diparole. Mi accostati per salutarla e, con un complice sorriso mi chiesecuriosa: “Chi sono questi nuovi tuoi amici, che oggi hanno catturatoil tuo tempo e la tua attenzione?” E giù, come un fiume in piena, presi a raccontarle la cronistoriadi tutto quello che mi era capitato nella giornata ,dando però maggiorerilievo al fortuito incontro con Ciro. Al termine amorevolmente mi abbracciò. Il mio cuore accelerò i battiti ed in cuor mio la ringraziaiper la sua comprensione. L’indomani mi accinsi a lavorare in un orario inusuale rispettoa quello abituale, che scandiva ormai da tempo la mia quotidianatabella di marcia. Invece che alle sette del mattino iniziai la giornatacon le lancette dell’orologio sulle 6:30. Il sole fuori ancora sonnecchiavae proprio non ne voleva sapere di cominciare la sua sfavillante levata. Accesi il pc ed aprii immediatamente il programma di softwaredei modelli dichiarativi. Iniziai a riscrivere e compilare quello di Ciro,in modo da memorizzare i quadri per quella, che avrebbe rappresentatola fase preparatoria per la dichiarazione dell’anno in corso. Dopo aver inserito i dati reddituali del quadro C, raffigurantiquelli da lavoro dipendente, recuperai le ricevute sanitarie e sommaigli importi. Notai che buona parte di esse erano state rilasciate da partedi cardiologi professionisti residenti nelle più disparate zone d’Italia:Verona, Milano, Roma e Bologna le più frequenti. Le cifre risultantidavano un importo di 4550 euro(che
eguagliava quella riportata nellacopia di dichiarazione).Feci altri veloci calcoli: se tale importorappresentava solo quello scaricabile dalle tasse, aggiungendo adesso una media di circa 1000 euro per viaggi e soggiorni vari perciascun consulto(il cui importo purtroppo non viene riconosciuto qualesconto fiscale), si sarebbe arrivati ad una cifra complessivaomnicomprensiva di circa 10000 euro. Caspitolina! A prescindere da ogni altra osservazione, nonè frequente per me trovare tante e tanto costose spese mediche inuna dichiarazione e, soprattutto, riservate a bambini di tenera età. Gli interrogativi mi assalirono e i dubbi con essi. “Cosa avràmai, quella creatura? Sono guidati e consigliati in modo soddisfacente?Non vorrei che abusassero dell’umile condizione e dell’assoluta loro buona fede..”, pensai tra me e me. Fu questa la penultima osservazioneche mi concessi in quell’inizio di giornata. Al centro dei miei pensieric’era ancora il piacevole incontro del giorno precedente. L’ultimo esame riguardava lo stato generale finanziario diquella famiglia: calcolai immediatamente il flusso, che mediamentesi raccoglieva ad ogni fine mese in quelle mura e ne determinai incirca 1800 euro il suo costante riferimento. Visto il contesto abitativo e, considerato qualche aiutino proveniente da stretti familiari (genitoridi lui e/o lei) e sporadiche vendite di prodotti agricoli (vino, frutta everdure), potevo ritenere più che dignitosa la loro condizione finanziaria. Certo disturbavano nel contesto quelle rilevanti spese sanitarie,più che per la loro intensità (con evidenti abbattimenti nelle complessiveentrate) e frequenza (con periodiche visite specialistiche) per gliallarmi e le preoccupazioni con i quali la famiglia di Ciro era costrettaa convivere.
Immacolata
Lavorai per molto tempo. Terminata l’ultima fase di quel mioaccertamento induttivo e, staccato l’interruttore che mi teneva virtualmente legato alla mia finanza creativa, ripresi inesorabilmenteil mio abituale percorso professionale giornaliero, fatto di corse, affannied ansie al servizio di clienti alle prese con le insidie quotidiane delmondo dell’economia ed in particolare del vorace fisco. Avevo però, sbirciando sulla scrivania, letto un appuntolasciato dai miei collaboratori. Mi si preannunciava la visita diImmacolata, insegnante di scuola primaria, con la quale avevoinstaurato una sincera amicizia , fondata su valori e sani principi. Lagenesi di questo rapporto è anch’essa dovuta alla metodica periodicitàcon la quale Titina (questo il suo caramelloso appellativo) si rivolgevaa me, chiedendo la mia collaborazione per la redazione delladichiarazione dei redditi. Arrivò il giorno fissato per il fatidico appuntamento e mipreparai a riceverla in prima persona: un atto di galanteria che riservoesclusivamente a visite, che rivestono carattere di familiarità. Appenaentrata, notai un evidente gonfiore nel suo basso ventre e una rotonditànel viso, che ne addolciva gli aggraziati lineamenti. Totò, il marito, unnapoletano verace già esuberante di suo grazie ad un caratterevivace, che lo ha sempre contraddistinto, mi abbracciò con tantaintensità da farmi mancare per un attimo il respiro. Poi, con fierezzaed autorevolezza, lasciò parlare un’ altrettanto raggiante Titina, avvoltain un alone di ubriacante felicità. “Hai visto Vincè che bella sorpresa?”,esclamò con il capo chino e le mani adagiate sulla pancia. “Pensache ne so due: un maschietto e una femminuccia proprio come tuavevi previsto!” E da lì in poi si lasciò andare e, venendomi incontro,emulò il gesto di Totò con altrettanta veemenza. Dopo un momento di mio evidente stupore, dovutoprobabilmente alla velocità ed alla confusione di quei momenti, riusciia bloccare le emozioni e partecipai anch’io all’oceanica felicità deineogenitori. Per la prima volta da quando l’avevo conosciuta vedevo finalmente una Titina raggiante, con una ritrovata e rinnovata vogliadi vivere: vitalità che solo alcuni anni addietro si era anestetizzata per una serie di circostanze, che si erano
abbattute impietose sullasua giovane esistenza. Non fu semplice ricostruirne il percorso: ancheper lei risultò determinante la tecnica del mio infallibile sistemainduttivo. Era l’alba della mia esperienza professionale ed impressanella mia mente c’è ancora quell’accorata richiesta della mia adoratamamma Amalia di dare disponibilità e aiuto, nella compilazione delladichiarazione dei redditi, a tale signorina Immacolata. A lei lasegnalazione era pervenuta da Franca, sua cara amica, e mia madre, addirittura prima che mi fosse ufficialmente comunicato, le avevaassicurato la mia totale disponibilità. Non mi meravigliava affatto talescontato e abituale atteggiamento di mia madre: lo facevainconsapevolmente e convinta, forse per la grandissima empatia tranoi esistente, che non mi sarei mai tirato indietro. Niente, quindi, ache vedere con quello che potrebbe apparire un atteggiamentoprevaricatore o autoritario. Inoltre tutto ciò era sempre condito da fortidosi di orgoglio e fierezza, che mostrava a tutti, ribadendo esottolineando che: “O figliulillo mio”, era suo solito affibbiarmi questodelizioso appellativo, “è troppo bravo e comm’a a isso nun ce stanessuno commercialista”. Un giorno, le vietai, dopo l’ennesima replica a un soggettoappena conosciuto in panetteria e oltretutto in mia presenza, didivulgare in giro queste sue esaltazioni della mia persona. Lei assentìa modo suo; ma ero consapevole che quella promessa sarebbedurata quanto il bagliore di un lampo. Girato l’angolo e fuori dalla miavista, infatti, sarebbe tornata a tessere le mie lodi con chiunque lefosse capitato a tiro. Devo comunque riconoscere che vedevo in miamadre la mia procuratrice e procacciatrice di clienti numero Uno almondo, anche se tutti a valenza zero, visto che non ne ricavavo alcun profitto. “O Signore ti sarà sempre riconoscente: quello chesemini oggi lo raccoglierai domani”, mi ripeteva continuamente. Iol’assecondavo, anche se a consuntivo il mio guadagno era ancoratanto indietro ed oggettivamente sbilanciato rispetto a quantoimpegnato. L’incontro successivo con Immacolata fu veloce e confuso:un appuntamento a volo consumato in un bar nei pressi della stazione,in un Maggio inoltrato. Era stata lei a scegliere tempi e modalità diazione per lo scambio dei documenti fiscali: non ci fu, per me, alcunmargine di trattativa. Il primo caldo di periodo annunziava l’imminente calura, chesi sarebbe sviluppata nella stagione estiva, ormai in arrivo. Lafavorevole condizione atmosferica consentì a Titina di indossare abiti leggeri e colorati. L’abbigliamento casual ne esaltava la impressionantemagrezza, accentuata da un volto reso più minuto dagli occhiali dasole, grandi e scuri, adagiati sulla punta
del naso. Portava a tracolla una borsa di cuoio ingolfata di documentie atti che, immaginai, fossero proprio quelli necessari per ladichiarazione. Appena mi notò, con fare timido, ma deciso, chiese se fossiio tale Vincenzo, il commercialista, figlio di Amalia. Alla mia confermareagì prendendo l’intero contenuto di documenti e consegnandolofrettolosamente nelle mie mani, senza ulteriori preamboli. Intuii soloallora che, forse, mi trovavo di fronte ad una persona con qualchepiccolo problema: quello sguardo tenuto sempre basso e poco inclinead osservarmi confermò la mia convinzione. Non ebbi neanche il tempo di invitarla a consumare qualcosa nel vicino bar, che mi anticipò sottolineando la sua necessità di raggiungere l’auto, perchéparcheggiata in doppia fila. Nel congedarsi frettolosamente mi comunicòsolo che all’interno della busta avrei trovato un post-it con evidenziatitutti i suoi recapiti, per qualsiasi evenienza. Dopodiché mi volse lespalle e, con andatura veloce, si disperse tra i anti nelle vicine interne viuzze. La seguii con lo sguardo e notai che, camminando,guardava sempre in basso, quasi a rappresentare che cose e personela infastidivano ed intimorivano. Mi apparve tutto strano e, senza pensarci sopra, iniziai atirare fuori dalla busta i suoi documenti. Rilevai subito un mazzetto di ricevute mediche: il loro esame mi confermò l’impressione cheavevo avuto di lei appena l’avevo vista. Erano tutte riferite a sedutedi psicoterapia; notai inoltre la presenza di fatture per spese funebri,quasi certamente relative al funerale della mamma, il cui rito religiosoera stato celebrato il giorno dell’Epifania. In coda al fascicoletto trovaitre certificazioni dei redditi attestati da Cud, rilasciati da segreteriedi scuole primarie, dove aveva insegnato, quale supplente, nel corsodell’anno solare. Tutto ciò mi faceva risalire a Titina, a chi fosse realmente: un’insegnante precaria con altrettanto precario equilibriopsicologico dovuto, pensai, alla morte della madre , suo unico strettofamigliare. Presi il mio telefonino per chiamare subito mia madre e percomunicarle gli esiti dell’incontro appena concluso e, soprattutto, peravere altre informazioni sul conto della ragazza. “Vincè”, mi rispose, “ti sei scordato che, alcuni anni fa, lemorì il fratello Alessandro, a seguito di una fulminante leucemia e ilpadre, a distanza di alcuni mesi, fu colpito alla testa da una pallottolavagante sparata durante una rapina?
Da allora in poi..”, aggiunsemia madre con toni di percettibile dolore, “è comme se si fossesviluppata na guerra ‘ncapa ‘a stà povera guaiona”. A quel punto nonsapevo se sorridere per l’esauriente (a tratti anche colorita e divertente)descrizione, che mi veniva fatta da mia madre o partecipare al suosentimento di sincero dolore. Fatto sta che tutto mi fu chiaro e il complesso ambiente di Titina fu delineato: una vita, la sua, segnatada avvenimenti e dolorose circostanze, che le avevano scavato il cuore, rendendolo vuoto e sordo. Da qui, presumibilmente, la pressantenecessità di ricorrere a sedute terapeutiche per tentare di recuperarela narcotizzata sua voglia di vivere. Predisposta la dichiarazione, avevo, chiaramente, bisognodi consegnargliene una copia e così le telefonai per avvertirla. Convoce flebile e risposte laconiche, raccolse l’invito rivoltole: la breveconversazione si concluse appena concordato il giorno per il nostroincontro. All’appuntamento si presentò con notevole ritardo rispettoall’orario fissato: cosa che scombussolò non poco il programma dellamia giornata. Appena arrivata non si scusò e neppure addusse alcuna giustificazione di quel ritardo, quasi che quel comportamento rientrasseper lei nella piena normalità. Ad ogni modo per rompere gli indugi,recuperai la sua dichiarazione ed iniziai a commentarla cercando dirivelarle il risultato a suo credito per effetto delle detrazioni, cheavevano ammorbidito il complessivo carico fiscale. Non solo, maaddirittura aveva la possibilità di chiedere un rimborso attraverso ilmodello dichiarativo. Tale mia premessa fu bruscamente interrotta da una sua richiesta poco pertinente rispetto all’argomento fiscale,che tentavo di spiegarle con un linguaggio chiaro e comprensibile. “Vincè”, mi chiese, “come sta tua mamma? E’ da tanto che non la vedo e mi hanno riferito che non se la a troppo bene”.“Fortunatamente le sue condizioni nella loro gravità non peggiorano,però…” risposi e sospirai. “A me è volata via senza salutarmi e senzaavvertirmi …in un attimo… mentre ero in giardino ad annaffiare lepiante. Il cuore non ha voluto più battere e così ha raggiunto lassùsia suo figlio (mio fratello) Alessandro, morto tre anni fa per una bruttamalattia, che mio padre. Pensa un po’ che, dopo neanche tre settimanesi trovava a are nei pressi di un istituto bancario, dove era incorso una rapina ad opera di malavitosi senza scrupoli. Una pallottolavagante si indirizzò direttamente alla sua testa, ammazzandolo senzaneanche che se ne rendesse conto. Quel giorno era di ritorno dalcimitero, dopo il suo quotidiano saluto ad Ale; nessuno mi leva dallamente che proprio pochi istanti prima Alessandro fece
il pazzo peraverlo lassù, con lui”. Appena terminò il raccapricciante racconto scoppiò in unpianto liberatorio, con una intensità così vigorosa che tutti nello studiol’avvertirono, compresi gli ospiti del successivo appuntamento!Simpatica fu poi la successiva descrizione, che mi fu riferita dai mieicollaboratori a tempesta esaurita: questi ospiti attribuirono quellaviolenta manifestazione emotiva alla comunicazione di un pesantesalasso fiscale. “Chissà”, mi chiesi, “a quale cifra avranno pensato? Se sipotessero ritenere esatte le equivalenze, ad una tale intensità delpianto sicuramente avrebbero fatto corrispondere una presuntaestorsione tributaria di centinaia di migliaia di euro”.Ad ogni modo, ricordo che ripetuti e vani furono i miei interventisoccorritori a Titina per rincuorarla e darle serenità. Farfugliava continuando a dimenarsi e si disperava, lasciandosiandare a frasi ed osservazioni tutte incentrate sulla sua situazione: “Non mi faccio più nessuna ragione di vivere. Non mi è rimasto nessunaffetto e, soprattutto, nessuno stimolo né ambizione. Dimmi, Vincè,è vita questa?”. Quegli occhi gonfi e inumiditi cercavano nel miotenero sguardo una naturale comprensione, che attribuisse quasiuna legittimazione al suo stato. Presi coraggio e le andai incontrostringendola in un abbraccio. Tenevo le sue mani strette nelle miedietro la sua schiena, la sua testa era adagiata sulla mia spalla ed il mio mento le accarezzava i capelli: “Così mi stringeva papà” mirivelò, bloccandosi ed alzando gli occhi. Li tenne per la prima voltafissi nei miei, senza distoglierli come faceva di solito. “Devo presentartila mia famiglia anzi quando vuoi vieni a trovarmi, Giusy e i due mieibimbotti saranno ben lieti di averti a casa”, le sussurrai. “Lo farò di sicuro, vedrai”, fu la sua convinta replica. Pensai che il suo statod’improvvisa e appagante tranquillità fosse dovuto ad un abbracciovagamente assomigliante a quello che, abitualmente, era solitascambiarsi col suo adorato papà. “L’invito vale anche per te ed i tuoifamigliari. Se venite a trovarmi riempirete il vuoto di quella enormecasa in aperta campagna, che è rimasta a me. I silenzi li dentro avolte mi spaventano: pensa dieci stanze senza sentire il benchèminimo rumore se non quello delle auto che di tanto in tanto anonella vicina autostrada”. Prese la sua borsa, recuperò alla spicciolatatutto quello che le apparteneva e tirò fuori un pacchettino, confezionatoda un noto negozio di pelletteria del Corso. “E’ per te, così sostituisciquello consumato che hai”. Frettolosamente aprii il pacchetto e vidil’oggetto ivi contenuto: un portachiavi con un grazioso, buffo
orsettod’argento come ciondolo. “Non è per la tua prestazione, che non haprezzo, ma è un segno di gratitudine per avermi dato ascolto,dedicandomi un po’ del tuo tempo prezioso. E’ un portafortuna”. E sicongedò con un bacetto timido posato in fretta sulla mia guancia. Poisi diresse verso la porta d’ingresso. Anche il suo viso aveva subitodei cambiamenti. La mia comprensione e la mia sincera disponibilitàad aiutarla, l’avevano riconciliata con il genere umano. La sua nuovacondizione addolcì i suoi lineamenti, contribuendo a restituirle quelruolo di piacevole donna trentenne, che le apparteneva di diritto. All’improvviso mi venne un’idea folgorante, probabilmenteuna parziale soluzione ai suoi problemi: collocare all’interno delle suemura domestiche un Bed & Breakfast, in modo da rendere vivace e allegro l’intero ambiente e dare uno scopo alla sua vita. Soluzione compatibile col suo stato per tutta una serie di motivazioni: innanzituttoperché l’attività, secondo il fisco, riveste connotati occasionali e noncontinuativi, proprio perché svolta internamente alla propria casa esenza ulteriori i di mezzi e/o persone. Tutto ciò non richiedeil rilascio di partita Iva (aspetto che avrebbe procurato imbarazzi eincompatibilità con la sua attività prevalente di insegnante pubblico). Erano previsti solo pochi adempimenti e formalità(naturalmente previa verifica da parte degli uffici turistici degli entilocali). Tali procedure erano talmente semplici da essere alla portatadi imbranati a me noti (le cui fisionomie arono velocemente inrassegna nella mia mente). Avrei dovuto però avere conferma di tutto quello che,induttivamente, avevo creato e sviluppato nella mia mente, recandominella casa di famiglia dove Titina aveva fissato la sua abituale dimora. Mi ripromisi di recarmi da lei a breve.
Arturo
Intanto il tempo continuava inesorabile la sua corsa. Mi accorsiche ero in ritardo ad un incontro, pianificato a conclusione dellagiornata, negli uffici di Arturo, un “alto” (da notare il virgolettato)esponente politico locale di un paesino dell’entroterra. Quando arrivai,Arturo non era ancora nel suo ufficio di rappresentanza. Arrivò da lìa poco e da lontano con animati movimenti di braccia mi anticipò lesue scuse. Se avesse saputo che questa volta il suo abituale ritardomi risultava più tollerabile, avrebbe insistito in quei movimenti esageratie pittoreschi? Probabilmente sì, anche perché era una delle pochecose (se non l’unica) che gli riusciva meglio. L’imperativo categorico impostomi, appena venuto aconoscenza di quel suo clamoroso e inaspettato esordio in politica,fu quello di tentare di farlo parlare poco e conciso. Nei primi nostriincontri con lui, che già parlava un autentico politichese, infatti, buonaparte del tempo andava via con i miei immani sforzi a ricostruire e rimettere in fila le sue parole, restituendo un senso compiuto ecomprensibile a quelle frasi prive di ogni filo logico. Le sue disquisizioni,infatti, venivano pronunciate nel suo solito enigmatico linguaggio. L’occasione di quel nostro meeting era, anche in questasituazione, dovuta alle sue necessità dichiarative per le scadenzefiscali imminenti. La sventura era che non si trattava di provvederea una sola (magari la sua) ma di compilare le dichiarazioni di tuttala folta schiera di familiari e di amici, che avevano contribuito alla sua elezione. Ero sempre più convinto che nel suo programma elettoraleavesse inserito un punto cardine rappresentato dalla necessità diazzerare la burocrazia e, in particolare, quella da e verso l’agenziadelle entrate. Insomma con lo slogan “dichiarazioni light e a costozero” si era assicurato un consenso che, col tempo, andava crescendo e consolidandosi. “Vincè”, mi avvertì appena mi vide, “quest’anno cen’è qualcuna in più perché la famiglia si è allargata. Capisci a me!” In verità stentavo a capirlo soprattutto per quella faccia dicorno che si ritrovava. Oramai il suo era un cliché collaudato. Non mi restava che assecondarlo, se non altro per la stretta amicizia chemi legava a lui dai tempi del liceo.
Eh, sì il liceo! Già allora si rivelava un leader politico; ma conpoca predisposizione allo studio e al relativo profitto. L’impegnoscolastico non era la sua priorità; importante era fare casino ecalamitare i consensi degli studenti, che vedevano in lui un sicuropaladino nella difesa delle rivendicazioni che, di volta in volta, mettevanoin campo. Le cose, a distanza di anni, non sono mutate. L’Università ha rappresentato per lui solo un approdo per rinviare quella fastidiosanaia, che incombeva come forca caudina sui neo maggiorenni di quelperiodo. Un posto d’impiegato archivista in un ente regionale, assicuratogli dai suoi referenti politici, gli garantiva da vivere: il distaccodall’ufficio ottenuto a seguito delle cariche elettive ricoperte o daricoprire, gli assicurava ampia manovra sul fronte della gestione deisuoi rapporti con i cittadini (in buona parte suoi elettori). Tutto ciò perla felicità sua e dello schieramento politico di appartenenza. L’ideologia politica, anche se non si è mai capito quale fosseil partito di riferimento, visti i suoi instabili equilibri non solo politici masoprattutto psicologici, e la conseguente propaganda, rappresentavanole uniche condizioni che disegnavano la sua vita; di cultura edesperienze consolidate in qualche campo specifico, neanche aparlarne. Nonostante il suo totale radicato coinvolgimento nelle vicendepolitiche locali assoggettate ai più disparati compromessi, astrusiaccordi, mirate scelte concordate con le parti presumibilmente avverse,non ha mai pensato (fortunatamente) né voluto coinvolgerminell’ambiente. “Viciè, ti ammiro da sempre e ti considero un profondoriformista nel tuo campo”, mi confessò quando iniziammo a frequentarcidi nuovo, “se tu vieni allo scoperto rischi di mettere in ombra buona parte dei mediocri rappresentanti politici esistenti. Le tue esperienzeprofessionali (su tutte quella milanese in società di audit americane),i ruoli di responsabilità assunti nel corso degli anni, il tuo aggiornamentocostante e la tua profonda conoscenza di leggi e prassi nel tuo campo,fanno di te un ottimo tecnico, forse tra i migliori esistenti nella zona”(sottolinea questa sua precisazione facendo spallucce). “A ciò aggiungianche la visibilità acquisita grazie allo spazio che ti sei ritagliato nelgiornalismo economico locale. Me vuò dice a mè chi po’ regge oconfronto cu te?” Ho sempre considerato quelle sue affermazioni precisiavvertimenti più che autentici complimenti. Ero consapevole, allostesso tempo, che quei discorsi, proprio perché precisi e circostanziati,fossero frutto di sue personali congetture
e, pertanto, valutazionisoggettive. L’idea, che è andata delineandosi nella mia mente(confermata poi nel tempo) è, a dirla tutta, che la politica locale enazionale, non sia una cosa molto seria ed i comportamenti dei politicinon siano sempre ineccepibili. Grazie soprattutto alla conoscenza ditanti retroscena, acquisita nelle diverse funzioni da me ricoperte(professionali e giornalistiche) sono in grado di interpretarevelocemente, senza cioè ausilio di ulteriori chiarimenti, i mutevoli scenari che di volta in volta vengono rappresentati. Ricordo una mia partecipazione tecnica ad un summit dovesi erano dati appuntamento un coacervo di rappresentanti politicilocali e regionali di diversa estrazione. Si discuteva di investimentie dei riflessi che avrebbero potuto avere sui bilanci pubblici. Persiuna giornata a far capire loro le differenze tra debito, costo, credito,ricavo e flussi finanziari di competenza e “cassa”. Mi resi conto delmio scarso apporto quando, al termine di estenuanti spiegazioni, uno di loro mi disse che aveva finalmente interpretato nel costo un debitoingrossato via via per colpa dei flussi finanziari. I ricavi ne rimangonostrozzati e i crediti, che assistono impietriti perché non foraggiati, nedecretano l’aumento incondizionato ed incontrollato. Gli feci ripetereper ben due volte quella che, secondo l’autore, nella suaautocelebrazione tipica dei politici di provincia, rappresentava un’acuta riflessione economico/finanziaria, al pari di quelle espresse dal grandeeconomista Keynes (molti dei presenti, e questo la dice lunga sul lorospessore, abbinavano tale nome a quello di un calciatore inglese). Comunque l’approvazione dei presenti su quella esaustivateoria, nonostante fosse priva di ogni fondamento e, soprattutto,anche di un elementare significato, fu tale che quasi sembravo io lo sprovveduto analista, che non riusciva a comprenderne l’essenza. Mi considerarono quasi un mezzo coglioncello, insomma,uno che aveva evidente necessità di ricorrere a ripetizioni, per tentaredi non disperdersi nella gran massa di anonimi professionisti. E pensare che mi trovavo proprio nel bel mezzo di un bellotto di fautori del decantato polo di eccellenze di profili professionali,da inserire nei campi più disparati per rinverdirne e rendere proficuii diversi settori economici di destinazione. Capii finalmente anche ilmotivo per cui la realizzazione di quelle ipotetiche filiere, a cui relegarele sane menti pensanti di indiscussi manager, si fosse fermata nellasola fase embrionale del progetto. Se ciò fosse avvenuto avrebbecausato un naturale oscurantismo della parte politica
proponente,ridimensionando il loro ruolo di indiscussi leader fino a relegarli inun stato di “esseri comuni” e, per giunta, insignificanti. Del resto da sempre è risaputo che in politica si professa un'unica e sola fede:quella del “Dio consenso”. Più ne hai, mettendo in campo anchestrategie e sistemi poco ortodossi, e più conti in quella scala di valoriconosciuta con l’acronimo SSPP (serve solo per politici) misurantele intensità dei gradimenti popolari, espresse attraverso indicazioniformali sulle schede elettorali e le posizioni scalate al suo internograzie ad essa. C’è chi, invece, ne ha stravolto i termini attribuendoa SSPP, non a caso, il termine di quel Politico che “serve solo perpigliare senza mai posare”. Poco è sempre importato che quel rappresentante sapesse“accocchiare” due parole di senso compiuto nel corso della sua roboante carriera. La claque di turno ha sempre saputo sopperire aqueste deficienze con laute ricompense. Sono gli “scambi alla pari”,prerogativa della pratica do ut des, diffusa sin dai tempi latini.Insomma, in conclusione, strappati dal contesto della politica, nessuncomune cittadino sarebbe capace, a giusta ragione, di filarseli e di reggerli. Al termine di quell’incontro, ricordo che sentii forte il desideriodi dare sfogo alla mia disperazione, ma fortunatamente riuscii acontrollarmi e, grazie alla mia immensa pazienza, tirai fuori anche un velato sorriso. Con uno smisurato sforzo di concentrazione, ripresiquella espressione per segnarla su un foglietto volante, recuperatofrettolosamente, con l’intenzione di ricavarci un corollario da trasmettere eventualmente a giovani candidati a corsi accelerati di economia Ripresi a consultare furtivamente i documenti e le decine didichiarazioni consegnatemi da Arturo: quasi tutte appartenevano apensionati ed operai, la fetta di classe sociale cioè più rappresentativadel suo elettorato. Poche erano riferite a giovani under 35: quasi tuttiavevano esigenza di dichiarare al fisco la riscossione dell’indennitàdi disoccupazione (rientrante nella macroarea dei redditi da lavorodipendente) percepita in seguito ad una loro breve comparsa nelmondo del lavoro (probabilmente avviato e concluso nei periodi dellevarie campagne elettorali amministrative, nazionali e referendarie). Non destò particolare sorpresa, inoltre, constatare la presenzain alcune di esse di fatture di ristorante o di viaggi fatti in comitiva perpellegrinaggi a santuari e scontrini attestanti acquisti di elettrodomesticie telefonini. Scovai addirittura una scatola di Viagra vuota (con relativacertificazione fiscale) a dimostrazione che
c’era chi pensava che ilFisco premiasse, in qualche modo, anche la tenuta della stereotipatavirilità maschile. In proposito scoprii che l’autore di quella che potevaapparire una birichinata non era il solo: appena diffusi nelle nostrezone i prodigi della capsula azzurra, infatti, sono stati in tanti achiedermi (soprattutto tra gli over 50) se quella spesa potesse rientraretra quelle sanitarie riconosciute per gli sconti fiscali. “Chissà se poi”,mi sono sempre chiesto, “questi soggetti abbiano comunque procedutoall’acquisto, una volta fugati i dubbi sulla loro mancata scaricabilitàdalle tasse”. Nessuna traccia di professionista, imprenditore o dirigented’azienda in quelle confuse carte, sparse sulle vecchie scrivanie,distribuite in pochi metri quadrati al piano rialzato di un piccolo edificiodi periferia: del resto tali contribuenti avevano già il loro professionistaa cui rivolgersi, individuato nell’abituale consulente dell’azienda diloro appartenenza.
Giuseppe
Fra le tante dichiarazione ne trovai una riferita a tale Giuseppe,un 45enne con qualifica di impiegato in un’azienda metalmeccanicadella zona; ben otto le detrazioni d’imposta (quelle che consentonodi abbattere le imposte commisurate al totale reddito dichiarato)riportate sul certificato dei compensi/redditi corrisposti dal suo datoredi lavoro nell’anno di riferimento. Oltre a quelle previste per il lavorodipendente (una sorta di abbattimento riconosciuto dal fisco per lespese forfettarie che hanno concorso alla determinazione di quelreddito) vi erano riportate ben sette detrazioni per i famigliari a carico,tra coniuge e sei figli. Dai relativi codici rilevai che la sua squadra era composta dalla primogenita di diciassette anni e via via a scenderefino al piccolo Eugenio (Gegè) di quattro anni. Subito mi affrettai a controllare il quadro riferito agli immobiliper capire se la famiglia di Giuseppe fosse almeno proprietaria diun appartamento: detrarre dai poco più di mille euro netti al meseanche i soldi necessari per l’affitto mi avrebbe portato a riflessioni inerenti la diffusa e costante sindrome da rinuncia esistente in quelnucleo. Ebbi conferma dell’esistenza di una casa di sua proprietàdalla rendita inserita, quale abitazione principale, nell’apposita rigaad essa destinata: un importo di piccola entità che dava l’idea di un“quartino” di modeste dimensioni, situato in un’area popolare; oltreai servizi immaginavo un paio di camere e nulla più, con letti a castelloa tre piani e spazi per privacy pressochè inesistenti. Continuavo poia chiedermi quali manovre avessero attuato in quegli angusti spazie, se quella appena tracciata corrispondeva ad una descrizioneverosimile, come avevano fatto Giuseppe e sua moglie a trovare lospazio ed il tempo necessari a generare una così numerosa e bellaprole. Probabilmente, dedussi, solo il vano bagno poteva assumereil ruolo di complice ritrovo per le loro amorevoli effusioni. Intanto accesi la mia virtuale calcolatrice mentale per procedereai miei consueti veloci calcoli: 1400 euro mensili diviso 30 corrispondono a poco più di 45 euro giornalieri, praticamente erano5,5 euro per ciascuna capa l’equivalente del costo di un panino conprosciutto di seconda scelta senza altro companatico.Vietate malattie e occasioni di divertimento, altrimenti saltava pureil panino, causando
vistosi dimagrimenti ai già smilzi componentidella famiglia. Ad onor del vero, non vi erano riportati in quei redditi gliimporti relativi all’assegno del nucleo familiare (la misura assistenzialedirettamente erogata dall’INPS, la cui entità varia a seguito di unincrocio tra reddito da lavoro dipendente e numero dei componentifamigliari – coniuge e figli under 18) che, in proporzione rispetto aquello guadagnato, ne aumenta generalmente di un quarto le disponibilità finanziarie effettive. Rimodulai la prima affrettataconclusione ottenuta con le nuove fonti, rintracciate negli AssegniFamiliari, ed il risultato che ne scaturì portò a una media di 7 euro ilpresumibile reddito giornaliero pro capite. Ci sarebbe stato spazio,quindi, per ciascuno di essi anche per una portata di frutta. Nel quadro degli oneri detraibili della dichiarazione, eranoincolonnate spese sostenute e per le quali si chiedeva la parzialerestituzione: oltre a quelle di istruzione secondaria per i tre figli studenti,le onnipresenti spese sanitarie e, con enorme sorpresa, un contributopro/bimbi africani dell’Angola elargito ad una ONLUS.Giuseppe non avrebbe mai immaginato che, quella semplice letturadi apparenti anonimi numeretti, mi potesse lasciare il segno di unaprofonda ammirazione. Una grande lezione di vita. Era uninsegnamento intenso e profondo, un modo di vivere dignitoso ecaritatevole, la consapevolezza che, pur nell’umiltà della lorocondizione, Giuseppe e la sua famiglia si consideravano fortunati.Per questa ragione sentivano l’imperativo morale di aiutare chi stavapeggio. Rimettendo in ordine i documenti appena controllati, riusciianche a tracciare la linea di demarcazione tra quello che aveva datoal fisco (per trattenute effettuate direttamente dal suo datore di lavoro)e ciò che avrebbe dovuto vedersi restituito. Il saldo, purtroppo, era di un insignificante e ingiustificato(almeno per me) azzeramento. Sì, perché la casella del suo Cud cheaccoglieva le ritenute trattenute direttamente in busta paga, era di unvuoto desolante: le detrazioni a suo favore erano state abbondantemente recuperate già in corso d’anno e ciò non consentivadi accedere a nessun altro tipo di rimborso. Rimpiangevo, in quei frangenti, di non poter contribuire a trovare altre soluzioni, magari recuperando piccoli bonus utili adalleviare gli stenti, con cui queste famiglie erano quotidianamentecostrette a fare i conti: come quello per esempio degli incapienti,operazione spot di qualche anno addietro, sviluppata nei rari
momenti di esaltante euforia dal governo solidale di centro sinistra. C’era, inoltre, quella spontanea devoluzione di 50 euro allaOnlus, che assumeva contorni ancora più emblematici, perché versataconsapevolmente e senza alcun speranza di vedersela restituita. Una generosità senza pari a dimostrazione che la purasolidarietà risiede spesso proprio in ambienti modesti, dove frequentirisultano limitazioni e rinunzie. “Mi piacerebbe tanto incontrarlo”,pensai, fissando quei numeri con attonita ammirazione, “se non altroper manifestargli il mio sionato e sincero apprezzamento.” Chiesiad Arturo circostanziate notizie sul suo conto, strappandogli lapromessa di organizzare un incontro a breve. Si era fatto tardi, ma questa situazione non rappresentavauna sorpresa perché perfettamente in sintonia con il tempo, che abitualmente dedicavo alla professione. Mi preme sottolineare che i miei si meraviglierebbero se iotornassi a casa in un orario, per così dire, normale. Quelle rare volteche sono riuscito a rincasare più presto del solito, il mio ritorno èstato salutato con plateale esternazione di incredulità. La primadomanda di mia moglie, in questo caso, è sempre stata: “Vincè, tisenti bene?” Io la rassicuravo e poi mi godevo con immensa gioia ilcalore della mia casa e dei miei famigliari. In quelle serata, nei rari momenti di isolamento psicologico,con la mente libera da ogni pensiero, indugiavo nel ricordo di ciò chemi era accaduto durante la giornata. Quella sera diedi la precedenza a Giuseppe ed alla suafamiglia: vagheggiavo immaginandomi il suo ritorno a casa dopol’estenuante turno lavorativo, per di più appesantito da indispensabiliore di straordinario (a cui faceva frequente ricorso per racimolare unamanciata di euro in più in busta paga). Un’intera truppa in mobilitazione lo riceveva e gli faceva festa.Un’enorme quantità di domande e risposte si incrociava per venireal corrente di come tutti i componenti della famiglia avessero trascorsole ore in sua assenza. Poi c’era il rito della preparazione della cenain una cucina piena di pentole, con la tavola perennementeapparecchiata, per soddisfare le voraci bocche dei bimbi, spazientitise il cibo veniva loro servito in ritardo.
Immaginavo chilogrammi di pasta fatta in casa (con salsadi pomodoro dei pelati self made) contenuta in una gigante zuppiera,le di grano duro per la doverosa scarpetta collettiva, qualchefrittata di uova (la carne e il pesce solo nei giorni di festa comandata)e frutta di stagione raccolta nelle vicine campagne e riposta in cassettedi legno, sistemate accanto a, quello che sembrava, un abbondantefrigorifero. Il sottofondo musicale era un continuo ed insistente vociarepunteggiato da risate o da pianti di bimbi. E poi a seguire, con i pantaloni e la maglia imbrattata di salsa,i ragazzi si sottoponevano al controllo dei compiti scolastici, chevenivano loro assegnati da docenti sempre pronti a chiudere unocchio sul profitto discontinuo e lacunoso. Cosa avrei dato perassistere, magari nascosto dietro una colonna in modo da nondisturbare, a quello spettacolo che, nei toni e nella gestualità ricordavatanto un film di Totò.
Il Gaio Bed & Breakfast
Alcuni giorni dopo mi trovai a sfogliare l’ultimo numerodella rivista tecnica che leggevo da oltre un decennio (la miapreferita perché tratta argomenti utili alla mia professione). Unarticolo al suo interno catturò la mia attenzione e presi a leggerlocon estremo interesse. Parlava di tutto ciò che era necessario peravviare un’attività imprenditoriale ricettiva, quale ad esempio quelladi affittacamere, bed and breakfast, country house. Non ci fu,ricordo, necessità di rileggerlo e focalizzare ciò che era statomagistralmente chiarito con esempi e applicazioni pratiche adopera del suo autore, tanto era chiaro e scorrevole ciò che vi era descritto e che confermava , tra l’altro, i principi di caratteregenerale già a mia conoscenza. Istintivamente, in considerazioneanche di una visita ad un cliente nella zona, decisi di telefonare a Titina per riferirle che, se disponibile, sarei andato a farle visita. Volevo, infatti, controllare e verificare la eventuale possibilitàdi destinare parte del suo alloggio proprio a B&B.“Ti aspetto non preoccuparti. Sono alle prese con la correzionedei compiti dei miei alunni e, credo, ne avrò per tutto il pomeriggio”,mi chiarì senza mostrarsi sorpresa della mia telefonata e con lasolita voce dai toni bassi e senza inflessioni dialettali. Salii in macchina e mi diressi nella zona dove abitava, aiutato anche dalle meticolose indicazioni fornitemi; percorsi stradee viuzze e finalmente vidi la sua casa. C’era, come da lei indicato, una stradina di campagna asfaltata a macchia di leopardo, che sistaccava dalla nazionale e arrivava diritta sul portone di casa. Titina mi attendeva affacciata al lungo balcone, che cingeval’intero primo piano con i margini che si chiudevano al suo internoformando un triangolo isoscele. Su di esso una impressionantepresenza di gerani e fresie, che rendevano suggestiva l’interaarchitettura di quella casa, facendola apparire, quanto a straordinariasomiglianza, ad un vero e proprio incantevole B&B su unasuggestiva road irlandese. Notai, inoltre, sopra l’architrave delportone d’ingresso, la presenza di una sbiadita piastrella di marmo,che ne esaltava la facciata. Su di essa era incisa la sigla JHS(Jesus Hominum Salvator), un segno beneaugurante e ancheinvocazione di protezione della casa e dei suoi abitanti. Sullosfondo, fra i verdi alberi s’intravedeva uno squarcio di mare dellavicina
costiera amalfitana. Parcheggiai l’auto vicino ad una quercia sul retro. Appenasceso mi trovai già Titina di fronte. Aveva un viso fiacco: ma giàpiù pieno e tondo rispetto al nostro precedente incontro. Loconsiderai il segno di un recuperato pizzico di tranquillità e serenità. Le sua braccia aperte incrociarono le mie e ci stringemmoin un tenero e fraterno abbraccio. “E’ incantevole qui”, le dissi. “Vieni dentro, t’illustro il resto.Hai il tempo di prendere un caffè?” Alla mia conferma, girò le spallee con la mano mi fece cenno di seguirla.Salimmo la rampa di scale con andatura accelerata ed estremadisinvoltura. Era un’escalation di sorprese via via crescenti: nelgiardino notai alberi di limone, ulivi, noci e viti. Tutti erano pienidi frutti. “Non ho tempo di raccoglierli e poi a che mi servirebbe?Sono sempre sola e per me sono proprio tanti. Raccoglili e prendinequanti ne vuoi”. Intanto le sue mani veloci raccolsero alla spicciolataquello che le capitava a tiro e lo ripose nella maglia, che avevaallargato tenendo gli estremi stretti con i pollici. Appena arrivatain cucina, ripose tutto in una busta e, frettolosamente, l’adagiò sultavolo del tinello. Anche l’arredo interno era di gusto: atmosfera molto ruralecapace di trasmettere calore e familiarità; proprio quella cheadoravo e mi “faceva ascì pazzo”. Contai cinque stanze, di cui tre con servizi e cucina.“Dietro quell’albero c’è un forno a legna e alle sue spalle unapiccola cantina”, mi comunicò e con un: “Tutto qua”, completò unacircostanziata descrizione di quella che, per me, rappresentavaun’autentica piccola reggia. Sorseggiai il caffè, che era stato accuratamente preparatoe versato in tazzine adagiate su un piccolo vassoio blu, tondo, difine ceramica vietrese. Approfittai del momento per introdurre lamia idea di impiegare due stanze della casa all’attività di B&B. Cifacevano compagnia in sottofondo le note di un pianoforte, chesuonava un repertorio di musica classica di Richard Clayderman,diffuse in quell’ambiente da un piccolo circuito di altoparlanti:atmosfera che rendeva tutto incredibilmente rilassante. Quel progetto non fu, però, accettato secondo le mieaspettative, probabilmente
per il senso distorto che gli fu dato. Poiperò, lavorandoci un po’ su, con spiegazioni semplici e ricche didettagli, l’idea fu salutata con entusiasmo, se non altro: “perravvivare un ambiente sempre vuoto e isolato e senza contare ilrecupero di qualche manciata di euro, da destinare allamanutenzione”. “Vai avanti e fammi sapere cosa occorre permettere in piedi il Gaio B&B, ecco questo è il nome che potreidargli”, e con questa vaga, anche se non troppo, ambizione cisalutammo aggiornandoci a breve . Mi sarebbe piaciuto portare i miei a visitare quel deliziosoluogo: archiviai frettolosamente quel desiderio perché eroconsapevole che le condizioni di salute di mia madre non loconsentivano. Pensai al mio rassegnato papà, inchiodato sindall’inizio della malattia della mamma, in quella poltrona di vellutoverde, ad arte incastrata accanto al letto, per consentire vigilanza ed assistenza continue. Già all’indomani mi attaccai al telefono per sollecitareincontri e pianificare appuntamenti necessari al rilascio di tutte leautorizzazioni e comunicazioni di rito.
Aniello
In uno di quei giorni, mente attendevo l’evolversi di successivisviluppi, mi arrivò una telefonata sul cellulare. Il numero chilometriconon trovava corrispondenza con quelli “salvati” nella mia agenda delcellulare. “Dottò, comme stai?” Dalla voce inconfondibile capii chedall’altra parte c’era Aniello, un vero personaggio, dato il suoinconfondibile e pittoresco linguaggio con marcata flessione e cadenzacilentana. Solo a lui apparteneva quella strana abitudine di abbinareal “dottò” un tu confidenziale. Da tanto non lo sentivo né vedevo: la sua conoscenza risaliva alla mia breve (ma intensissima quanto aqualità ed esperienza) apparizione quale direttore di uno stabilimentoalimentare che produceva tonno in scatola. La struttura era stataimpiantata negli Alburni, grazie ai fondi della legge post terremotodell’80. Mi ricordo che si occupava, quale operaio generico, dei brevitrasporti di rifiuti della produzione e, si vedeva dal suo spavaldoatteggiamento, che quel “posto di lavoro” rappresentava solo unabreve tappa del suo già pianificato percorso lavorativo. Non lo aiutavacerto il suo burrascoso percorso scolastico: “Giusto qella cà bastape sapè leggere e scrivere”, mi ripeteva spesso. Ciò lasciava intendereche i suoi trascorsi scolastici avevano procurato una grande sofferenzaa tutti, genitori ed insegnanti compresi. L’unico aspetto positivo dellasituazione, mi confidava, è stato quello di aver potuto ottenere almenouna pergamena con sopra indicato il titolo di studio, conseguito allemedie ed acquisito (regalato?!?) grazie alla sola frequenza scolasticaregistrata. Colorito e simpatico, inoltre, appariva Aniello quandoconfidenzialmente mi confermava che quel pezzo di carta era, quantoa valore, paragonabile ad un autentico trofeo da mostrare in circostanzeparticolari a parenti ed amici (non tanto compiacenti in verità), alquantostupiti per l’ardua impresa scolastica da lui realizzata. Mi sono sempre chiesto cosa sarebbe successo se, a seguitod’improvviso evento soprannaturale, il Buon Dio gli avesse restituitovolontà e costanza applicativa negli studi fino a fargli strappare un(impossibile) diploma? Probabilmente l’intera comunità gli avrebbereso omaggio con sagre e concerti in piazza per almeno una settimana.
Fu quasi contemporaneo per entrambi l’allontanamentovolontario da quella struttura di produzione, perché tutti e duedecidemmo d’intraprendere le nostre rispettive strade per diventareautonomi e, soprattutto, liberi da ogni dipendenza: professionale lamia ed imprenditoriale, in particolare nel campo dell’autotrasportoconto terzi, quella di Aniello. La sua frequentazione nei locali del mio primo studio fuassidua e costante: aveva, infatti, necessità di avere continue meticolose informazioni su un campo economico a lui parecchio congeniale. Aveva tanti difetti, a partire dal rigido aspetto dovuto aquei lineamenti del volto duri e marcati che, difficilmente, riuscivanoad ammorbidirsi nemmeno quando scoppiava in quella sua assordantetipica risata. A ciò si aggiungeva anche quel modo di vestire, che nonlo aiutava né gli rendeva particolare giustizia: vestiti semprerigorosamente di colore scuro, lugubri, indossati su una pelle delcolore delle foglie secche. Realizzare un’attività di trasporto su ruota,comunque, ha sempre rappresentato per lui un sogno: “A tengo intosangue, dottò, da sempre”, mi ripeteva confidenzialmente con assiduitàasfissiante. “Dimmi una cosa, dottò”, continuò la conversazione telefonica con una fastidiosa eco di sottofondo, “stamme ancora in tempo perle dichiarazioni?” “Be’ sì”, risposi con la mia voce che si accavallavasulle ultime parole da lui spiccicate, “anche se è prossima la scadenza”.“Ti pozzo fa venì un mio autista per farti controllà se il mio ragazzol’ha fatta bbuona? E o primm’anno che me la fa e non vorrei poi averebrutte sorprese. Stà sturianno o piccirillo mio p’à diventà nu ragionierelaureato proprio comme a te, dottò”. Altri colleghi al mio posto avrebbero sicuramente mal digeritoquell’espressione scandalosa utilizzata con tanto calore e colore dalpittoresco Aniello: essere definito: “un ragioniere con la laurea”,potrebbe apparire una sottovalutazione della reale situazione, sevista nel contesto dell’effettivo grado di istruzione conseguito. Conoscendone la fonte, a me appariva invece un autenticorafforzativo al mio titolo di studio, con riverberi anche su quellopropriamente professionale. Era per me la testimonianza che Aniello,per l’appunto, voleva dimostrare che essere ragioniere con la laureapuò rasentare il top della categoria professionale. Ciòindipendentemente dall’appartenenza al suo Ordine Professionale,da me sempre considerato rifugio di egoistici interessi e non sicuroriferimento per i professionisti iscritti.
Ritornando alla sua richiesta, gli chiesi: “Ragazzo? Vabbè,come vuoi Aniello, sai che per te non ci sono problemi”, gli risposinon nascondendo una mia evidente confusione. La situazione, così come appariva dalle poche parole proferite in modo concitato, micreava uno stato di evidente curiosità. “Chissà”, pensai, “per qualemotivo ha pensato di ricontattarmi dopo un silenzio protrattosi perlunghi anni?” Qualcosa non tornava o mi sfuggiva. Ebbi comunque premuradi raccomandargli di evitare corse dell’ultima ora, onde evitare consultiimprecisi e frettolosi. Fatte queste dovute premesse gli garantii la mia disponibilitàda subito. Sarebbe stata anche un’ occasione per rivederlo e perriprendere gli inciuci sui nostri vecchi cari colleghi di lavoro. “Sai, d’addò ti stò chiamando, dottò?”, scorsi, in questa suadomanda, un pizzico di evidente esaltazione, “Dalle Maldive. Infatti aggio venute ccà a ffà due bagni con mia moglie in acqua cristallina.L’unica scocciatura è che chella poca gente ca ce stà è italiana edè tutta acculturata: discorsi strani, politici ed economici. Ci vulissi tu,dottò, accussì e sapesse ripondere!”, e giù la solita caratteristicarisata. Appresi sorpreso, ma contento, la notizia della sua vacanzaoltreoceano. Mi ritornò, però, impetuosa alla mente una confidenzache mi aveva fatto, durante una pausa caffè, in una torrida giornataestiva nel mio vecchio ufficio di direttore. Si lamentava, infatti, della sua avversione al nuoto e per questo preferiva non fare vacanza o,se pressato dai famigliari, sceglieva posti lontani dal mare e dalle suetentazioni: “Mi fotto dà paura dottò. Penso e annegà da nu momentoall’altro e cussì, chelle poche vote che ci so stato, aggio fatto sulebagne e sudore, fisso ncoppa a na seggia a sdraio”. Ritornando a quel colloquio telefonico, mi riusciva difficile, acaldo, pensare ad un eventuale mio ruolo in una sua discussione traturisti connazionali danarosi. Probabilmente pensava ad un mio utilizzocome ventriloquo. “Comunque te lascio pecchè tra l’altro stai pagando tu statelefonata. Appena torno te chiammo. Un’ultima cosa, dottò: maqueste spese del viaggio alle Maldive e putesse scaricà?” Fortunatamente cadde la linea e gli risparmiai la scurrilebattuta che mi era immediatamente venuta in mente: “Si, nel bagnodi casa tua!”
Non aspettai molto. L’indomani pomeriggio, infatti, bussaronoal citofono e l’interlocutore si preannunciò come collaboratore diAniello. Attesi il suo arrivo direttamente sul pianerottolo e, una voltache l’ascensore giunse al piano, sobbalzai, trovandomi di fronte unuomo minuto ed impaurito dall’età indefinita e indecifrabile. Troppopiccolo se quale elemento comparativo avessi utilizzato i lineamentidel suo viso, decisamente maturo se il parametro si fosse spostatoai dorsi delle sue mani. “Aggio sempre avuto paura degli ascensori,dottò. Parevano cient’anni ca nun arrivavo…”, mi disse, tenendo stretta nelle nervose mani sudice, una busta gialla di cartaopportunamente riciclata. Gli feci strada e lo feci accomodare servendogli, nel frattempo,un bicchiere di limonata gelata. “Grazzie tante. Ce voleva proprio. Ioso’ Tonino”, disse in tono e cadenza molto somiglianti a quelle diAniello, “e m’ha detto o principale che dovevo portarvi questo”. Posòla busta sulla scrivania. Col termine “o principale” si è soliti indicareil datore di lavoro che, proprio per le funzioni e responsabilità cheassolve, rappresenta l’unico e solo principale responsabile di tuttal’attività imprenditoriale. “Sai quanno torna il tuo principale?”, chiesiprendendo a prestito quella sua locuzione per cercare di metterlo asuo agio. “Settimana prossima e precisamente mercoledì. M’ha detto che devo andare a pigliarlo all’aeroporto di Roma. Se non tenete altricomandi e non vi dispiace io me ne andrei. Scendo però a piedi enun ve preoccupate e state pure comodo, conosco a strada p’ascìa ccà”. Allungò la mano destra per la formale stretta di saluto e sicongedò. Neanche il tempo di vederlo scomparire che, istintivamentecapovolsi la busta, facendo scivolare sulla scrivania quello che vi eraconservato: una fotocopia scurita della dichiarazione, interamente escrupolosamente scritta a penna, senza l’ausilio di i informatici.Iniziai a leggerla: il quadro B, quello accogliente i redditi di fabbricati,tanto per chiarire, era integrato da una ulteriore pagina. Vi eranoindicati la bellezza di 11 immobili, in buona parte localizzati nella suacittadina di origine e tre nel comune, capoluogo della provincia, diappartenenza. Erano tutti locali, tranne quello adibito a sua abitazionee, per il quale, usufruiva della prevista deduzione integrale della suarendita. Ad occhio e croce, rifacendomi al mio intuito, determinai in circa due milioni di euro il valore complessivo di quel ben di Dio. Il totale di quella particolare sezione, corrispondenteall’ammontare totale dei fitti percepiti, riportava un saldo prossimo ai50 mila euro, al netto del 15 per cento
delle spese forfettarie riconosciutedal fisco. Fatti i rapidi conti, l’ammontare degli affitti percepiti da Aniellonell’anno di riferimento era stato pari complessivamente a circa 60mila euro, con una media di circa 5.000 euro mensili. Niente male se rapportato al costo della vita ultralight delle comunità rurali delle suezone, dove con poco più di 1000 euro mensili una famiglia mediaavrebbe potuto condurre una vita dignitosa senza affanni o rinunce.Mi dilungo, in proposito, per una veloce considerazione di contenutopuramente professionale. Mi ha fatto sempre sorridere quest’aspetto del riconoscimentoda parte del Fisco di un abbattimento del 15% sull’intero canone dilocazione per, presumibilmente, far scontare le spese annuali dimanutenzione straordinarie sopportate dal proprietario. Opportunità riservata solo a condizione che sia locato e ilcontratto regolarmente registrato e depositato. Nella malaugurataipotesi, comunque frequente, di tenere lo stesso quartino sfitto, il beffardo Fisco se la ride e se la canta, non concedendo neanche un euro di sconto. Quasi a significare che, se il tuo immobile lo fitti lodevi non solo necessariamente manutenere, ma devi fare anche attenzione a che ciò avvenga con sistematica periodicità annuale. Incaso contrario puoi anche farlo crollare con il Fisco che osserva e fa:“bye bye”. Mi sono sempre chiesto se non fosse più opportuno ribaltarnegli effetti e stravolgerne la sostanza. Dubbio, che come tantissimi altridella stessa natura, ho lasciato cadere nel vuoto perché, nel miopercorso professionale, ho saputo apprezzare e dare pieno fondamento a ciò che diceva Lincoln: “Meglio tacere e are per idiota cheparlare e dissipare ogni dubbio” (soprattutto quelli di contenuto fiscale). Andando avanti nella lettura della dichiarazione di Aniello e con il mio collaudato accertamento induttivo, le caselle ed i quadririferiti a redditi, per così dire tipici, quelli cioè di impresa e/o similari,erano tristemente e mestamente azzerati, anzi per niente compilati.Ciò lasciava supporre che quell’esperienza tanto decantata di attivitàimprenditoriale, nel campo dell’autotrasporto conto terzi, si fosseesaurita. Impossibile conoscere le motivazioni da quegli sparutidocumenti. Non nascondo che avevo anche temuto di peggio. “Vuoivedere che c’è di mezzo la morte
violenta di un’impresa rappresentatadal fallimento dichiarato dall’autorità giudiziaria competente, a seguitodi un conclamato stato d’insolvenza?” Giusto il tempo di risalireall’individuazione della sua originaria veste giuridica, che subitoabbandonai quel piccolo tormento: la sua è sempre stata una dittaindividuale e se fosse risultato un fallimento sul suo conto c’è chi (nelcaso in specie il curatore fallimentare) avrebbe dovuto presentare ladichiarazione in nome e per suo conto, sequestrandogli legittimamenteanche tutte le proprietà immobiliari, risultanti a suo nome. Non vierano, inoltre, tracce reddituali riferite ad intrattenuti rapporti da lavorodipendente (e /o contratti similari). Forse, e stavo sempre piùautoconvincendomi, aveva raggiunto una tale tranquillità e sicurezzaeconomico/patrimoniale che, per tutto quello che era riuscito aracimolare, gli era consentito di vivere di sola rendita e senza altrapreoccupazione. Completavano la dichiarazione qualche sostanzioso spicciolo,che trovava spazio nelle detrazioni (spese per assicurazioni sullavita, per l’istruzione dei figli e le onnipresenti spese mediche, per lopiù rappresentate da quelle effettuate direttamente in farmacia) e poideserto assoluto, salvo la richiesta di applicazione di detrazioni perfamigliari a carico: il coniuge e due figli. Il terzo rappresentante della stirpe di Aniello (non mi era datosapere se presunto o già mio collega) ritenevo che vivesse fuori dalnucleo familiare. Forse era sposato o anche percepiva un qualsiasireddito (superiore complessivamente ai 2.840 euro), che non gliconsentiva più di essere componente fiscale di quella famiglia. Propendevo più per la seconda ipotesi: infatti, se fosse statosposato, avrebbe abitato con molta probabilità in uno di quei 10immobili rimanenti, senza che nel relativo quadro rigo fosse confluitoun provento da locazione. Insomma per due degli undici immobilitrascritti sarebbe stata riportata solo la rendita catastale, trattamento, che invece in quella dichiarazione, risultò riservato solo alla casa, che Aniello utilizzava per sé e la sua famiglia. Ad ogni buon conto, da Aniello tutto ci si poteva attendere,non ultimo quello di far sottoscrivere anche un contratto di locazione di un suo immobile di proprietà al figlio, senza concedergli sconti e/oabbuoni. Della sua taccagneria si parlava nell’intero circondario dellacomunità dove viveva (fiumi e monti compresi). E’ famosa, anche se esistono pareri discordanti, la suapartecipazione ai
matrimoni della zona, per scroccare periodicamenteun sostanzioso pranzo. Oppure, anche l’altra colorita leggendametropolitana, che lo vuole un po’ “scordarello” per la strategicadimenticanza del suo portafogli a casa. Di conseguenza chiedespudoratamente agli amici di pagargli il caffè con un: “A buon rendere”,che è diventato oramai l’abituale saluto per chi lo incrocia. Comunque, ritornando ai dati reddituali espressi nelladichiarazione, iniziarono a svilupparsi nella mia mente, opportunamenteresettata, strane congetture per le valutazioni che la fase richiamava. Mi sintonizzai automaticamente nella mia tipica fased’accertamento induttivo, iniziando a formulare ipotesi su quantofosse accaduto ad Aniello da un punto di vista strettamente patrimonialee, soprattutto, quali fonti gli avevano garantito quel lotto di immobilidi proprietà. Pensai subito, in verità, ad un improvviso lascito a seguitodella dipartita di qualche suo zio americano. Tralasciai, immediatamente, il percorso di questa valutazione perché,conoscendolo, ne avrebbe ostentato l’appartenenza già ai primi tempidella nostra conoscenza. Allora mi concentrai sul perimetro economicoa lui appartenente: ipotizzai un’improvvisa liquidazione dell’avviataattività imprenditoriale, introitandone il realizzo a seguito dell’interadismissione di automezzi, compreso del valore di avviamento, spuntatoper effetto dell’alienazione a titolo oneroso, conseguita dalla venditaa terzi. Scartai anche questa ipotesi perché l’ultimo contatto avutoprima di quello in essere in quel momento, risaliva a soli quattro anniaddietro. Di sicuro me l’avrebbe rivelato lasciandone, tra l’altro, una traccia residuale anche in quella dichiarazione posta alla miavalutazione, per effetto della tassazione morbida, che il fiscoriconosceva in tali situazioni (la ccdd tassazione separata della plusvalenza per 5 anni consecutivi, consentita dal Fisco solo inparticolari presupposti che, nel caso de quo, erano comunque previsti).Allora? Rifiutavo l’idea di strani suoi intrecci con fatti e atti poco puliti. Aniello, e di questo ne ero più che consapevole, ha sempre avversatointrighi e affari loschi e non lo vedevo assolutamente capaced’invischiarsi in imprese di malaffare. “Vuoi vedere”, l’ultima ipotesi che maciullavo in una testaorami esausta, “che è stato aiutato dalla dea bendata?” La vincita al gioco poteva rappresentare una soluzione a tutto e soprattutto unagiustificazione plausibile per quell’improvviso (e consolidato) benessere,fotografato dai dati della denuncia dei suoi redditi. Smisi di arrovellarmi il cervello perché convinto di non uscireda quel labirinto di
congetture: rinviai opportunamente il tutto alsuccessivo riscontro de visu con Nello.
Una difficile decisione
Intanto, proprio in quel momento, prese a squillare il miocellulare con trilli teneri e suadenti. Ero capace, e non riuscivo aspiegarmelo, di comprendere il più delle volte dal ritmato tono deisuoi trilli, se quella conseguente conversazione sarebbe stata o menoconcitata (per via di assillanti preoccupazioni dell’interlocutore/cliente)o, invece, fondata su piacevoli e rilassanti argomenti. Per quella precisa chiamata propendevo più per la secondasoluzione. “Sono Ciro, dottò Vincè”, mi anticipò confermando la miasensazione “Quanno venite? C’è nu poco e vino e olio ca ve vulessefa assaggià”. “Proprio oggi il ragioniere ha richiesto un mio prontointervento al Comune” gli replicai “può essere, quindi, che se miorganizzo, anche domani, faccio una scappata”. “Sto in permesso edomani sto qui tutto il tempo. Vi aspetto, se po’ volete essere ospitea pranzo, m’ho facito sapè”, concluse Ciro, rifilandomi con solitogarbo l’ennesimo invito. “Vedrò come sono messo in Comune e ciregoliamo. A domani. Salutami tutti e un bacio ad Assunta”, gli risposi,facendogli quasi capire che, anche se a malincuore, l’invito a pranzoera da rinviare. Poiché Ciro era solito chiedere permessi al suo datore dilavoro solo per strette esigenze legate ad Assunta, identificai in quellasua permanenza a casa una pausa per preparare o sistemare (aseconda se in partenza o appena di ritorno per l’ennesimo consultomedico specialistico) documenti e tutto quanto potesse riguardare lasua dolce piccola creatura. Il baratto fra la mia presenza e quel delizioso e gustoso vino,assumeva più i contorni di un ingenuo pretesto, che di concretodesiderio. Ho visto anche in altre circostanze Ciro utilizzare gli stessicriteri, ma poi ad ipotesi verificata, l’occasione ha sempre riguardatoun suo particolare sfogo sulla salute di Assunta e su quello che siapprestava a fare o aveva già fatto, richiedendomi uno sionato e accorato parere . Il giorno seguente mi recai di buon mattino al piccolo Comunecilentano, per i rituali miei adempimenti di revisore. Prima di entrarein quegli austeri uffici, racchiusi in pochi metri quadrati di mura umidedella casa municipale, nel pieno del piccolo centro storico, intravididonna Maria, alle prese con la sua fedele e
vecchia scopa di paglia,spazzare il marciapiede prospiciente tutta la lunghezza del bar. Restaifolgorato nel vedere l’insegna finalmente sistemata e il suo nometornato a pieno titolo: “Da Gennaro”. E già questa insegna, finalmentenella sua interezza, gli rendeva giustizia, restituendo al locale ancheun gradevole aspetto. Appena mi notò, Maria mi sorrise e attirò la mia attenzionecon plateali gesti delle mani. La mano sinistra mimava l’esplicitogesto dell’invito, mentre la destra, che aveva l’indice ed il pollice congiunti, veniva portata ritmicamente alla bocca, nel tipico gestoche compie chi beve una tazza di caffè. “Dottò, da quando tempo non ci vediamo?”, esordì sorridendomentre mi volgeva le spalle mascoline per avviare la preparazionedella tazzulella. “Tutto a posto?” “Si, grazie, Maria. Tutto a posto”, lerisposi contraccambiando il sorriso. “Non c’è stata occasione e perquesto non mi avete visto”, e presi a sorseggiare il caffè, dall’aromaintenso ed inebriante. “Abbiamo dato un po’ di sistematina al locale.C’avete fatto caso? Benedetto fu quel vostro consiglio sul 136%delle spese da scaricare sulle tasse. Mio marito se n’è fatto capacee l’ha fatto”, indicandomi velocemente i vari punti toccati da quellaritrovata ristrutturazione. Per inciso, Maria semplificò di molto i contenutidi quella agevolazione, che avevo suggerito a don Gennaro,rispondendo ad una sua precisa richiesta. Si trattava della possibilitàdi accedere per alcune spese di ristrutturazione sugli immobili, alriconoscimento di un parziale sconto per 10 anni (cfr legge 449/1997e successive modifiche e integrazioni), vale a dire del 36% dell’onerecomplessivo sopportato (da qui il simpatico arrotondamento del136%). “Come no! anzi volevo proprio dire che è venuto moltogradevole. Complimenti. Ora scappo mi stanno aspettando e nonvorrei tardare”. “Andate pure, stavolta siete ospite mio, offre la casa”. Mi astenni anche di fare la mossa di cercare degli spicciolinella tasca dei pantaloni: sarebbe stata una lotta impari. Non mirestava che ringraziarla, non prima però di averle rinnovato icomplimenti per quel nuovo look. Appena sull’uscio mi chiese convoce grossa,probabilmente preoccupata che non sentissi: “Avetevisto o sentito Ciro? Forse c’è na speranza p’a piccirella”, mi urlò.“Dopo mi recherò a fargli visita”. Non mi sembrava il caso di insistere o chiedere di chiarirmi quella sua ultima affermazione. Volevo chefosse proprio Ciro a rivelarmi tutti i dettagli.
Arrivai nella stanza di Carmine, il bravo capo dei servizifinanziari di quel comune, con un fiatone insolito, addebitabile al fattoche avevo fatto di corsa due rampe di scale. “La vecchiaia arriva. Ilfiatone da scala ne rappresenta un indizio preoccupante” mi disse,sorridendo, in risposta al mio saluto . Aveva probabilmente una grossa dose di ragione a ricordarmilo stato della mia salute: tra tutti (amici, conoscenti e stretti famigliari)era il solo che mi faceva effettivamente rendere conto dell’imminente arrivo del mio primo mezzo secolo di vita. Quel giorno c’era davisionare un regolamento riguardante aspetti amministrativi dell’entee suggellarlo con un mio parere, sempre che lo avessi ritenutoconforme alla normativa vigente. La situazione, nel suo complesso, non richiedeva eccessivotempo. Mi convinsi, quindi, di ritagliarmi del tempo per fare visita aCiro e gli telefonai per avvertirlo. Conclusi quelle fasi con poca concentrazione. Frettolosefurono anche le mie risposte ai quesiti fiscali, puntualmentesottopostomi, alla stregua dell’“esperto risponde”, dai simpaticiimpiegati locali, alcuni dei quali erano stati appuntati anche su post-it volanti: le mie attenzioni erano, giocoforza, tutte rivolte a quello cheCiro si apprestava a rivelarmi da lì a poco. In pochi minuti arrivai nella sua zona. Lo vidi in trepida attesanel viale alberato antistante l’area, che delimitava il piano bassodell’antica casa colonica. Rispetto alla mia ultima visita intravidi,accanto alla cucina, un vano ristrutturato e accuratamente arredato con una grande Tv satellitare (giochi elettronici compresi) e due lettiadiacenti. “Ho sistemato qui Tina con la nonna Filomena”, mi anticipòsmorzando quel mio mix di confusione e sorpresa. “Voglio evitare difarle salire le scale continuamente e, soprattutto, di farla frequentementestancare. Vincè, vi salutano comunque con affetto sia Costanza cheAssunta. Entrambe sono uscite da stamattina per alcuni servizi, chedovevano sbrigare in città e, avvertite della vostra presenza, hannoassicurato che sarebbero riuscite a raggiungerci in un paio di ore.Vorrebbero che vi fermaste a pranzo”, aggiunse aumentando l’intensitàdella richiesta e sperando in un mio cambiamento di opinione. A proposito della sua casa, nella mia prima visita, risalentea qualche anno addietro, avevo riscontrato una quasi totalecorrispondenza con la ricostruzione da me fatta con l’ausilio dellamia tecnica induttiva (compresi l’arredamento, la
presenza del forno a legna ed il suo presumibile utilizzo anche per i riscaldamenti). Solopoche le differenze, per lo più esterne: la strada di accesso eracompletamente priva del manto di asfalto e distribuiti lungo quella,che appariva una carreggiata, erano visibili fastidiosi detriti formatisicol tempo e aumentati di volume a seguito delle abbondanti piogge,che puntualmente si abbattono sulla zona. Presenti e ben distribuiti lungo l’intero percorso, c’erano deipiccoli massi, che ne rendevano disagevole la percorribilità, soprattuttoper le auto. La vegetazione presente, invece, non era affatto comeme l’ero immaginata: gli alberi risultavano, infatti, rari e nonpropriamente corpulenti mentre, di riflesso, copiosa e variopinta era la presenza di piccoli fiori primaverili che, colpiti dai raggi solari,disegnavano piccole curve di arcobaleno, lungo tutta l’estesa area. Entrati in cucina, si notava in ogni suo angolo un numeroimpressionante di barattoli di vetro, contenenti conserve di variaspecie: marmellate, sottoli e sottaceti in prima linea. Neanche il tempo di ammirare quel pò pò di succulenteprelibatezze, che vidi versare del vino bianco frizzante in un bicchieredi cristallo, opportunamente prelevato dalla deliziosa vetrinetta inlegno che si trovava accanto al camino, nella quale erano sistematitanti bicchieri e bottiglie in vetro di Murano. “E’ quello nuovo, Vincè. Verite comm è sciuto”. “Allora, cosami racconti, Ciro?”, gli chiesi prendendo a sorseggiare quel nettared’uva. “Prima ca vengono e Titina ascolta, voglio confidarvi unanotizia…” e si accostò al mio orecchio abbassando, improvvisamente,la tonalità della sua voce, “…dovremmo andare in Francia, in un noto centro cardiologico, per mettere o nuovo cuore a piccerella”, continuòin evidente stato di concitazione, con la testa posata sulla mia spallae con qualche lacrimuccia, che sentivo scorrere sulla mia pelle nuda.“Tengo paura assaie, assaie”. Non fece cenno minimamente ad aspetti economico-finanziarilegati alla circostanza, forse perché, la polizza assicurativa, che,fortunatamente, gli avevo consigliato di sottoscrivere a nome diAssunta, copriva buona parte delle spese. Annunciata la notizia, Ciro si chiuse in un mutismo assoluto. Non sapevo che dire e fare: pensai che se avessi salutato la novellacon eccessiva euforia, che covavo comunque in cuor mio, l’avrebbe presa come un mio assenso
all’intervento. Se avessi continuato astare in quel religioso silenzio, ne avrebbe individuato un diniego. Dovevo assolutamente rompere l’ime che dominava queimomenti. “Mbè, un’opportunità irripetibile e, finalmente, potresterestituire una vita normale e tranquilla alla vostra creatura”, azzardai“Si, ma hanno dato sicurezza circa gli esiti favorevoli dell’interventosolo al 50%. Il rischio ca ce po’ rimanè sotto i ferri è alto. Devodecidere subito perché devono metterla in lista d’attesa e al massimoil mese prossimo sarà già tutto finito”, aggiunse con evidentepreoccupazione Ciro. Che fare e soprattutto cosa consigliare? In quel momentoavrei preferito sottoscrivere una dichiarazione o un bilancio, per cosìdire, non proprio corrispondente alla sua legittimità più piena(fortunatamente circostanza mai capitata), pur di non rivelare unamia personale considerazione che, sono sicuro, sarebbe stata registratae applicata, senza indugio alcuno, da chi la percepiva.“Ci dobbiamo affidare alle mani del Signore”, mi appellai alla mia fedecristiana, che si rivelò l’unica via di fuga in quel frangente. “Se dovessearrivare qualche segnale ispiratore, non esitare Ciro e vai fino infondo”. “Andremo domani da Padre Pio”, ribattè convinto, “a Lui ci affideremo”. “Ottima soluzione”, esclamai, “e vedrai che ti sapràguidare e, allo stesso tempo, vigilerà sulla tua dolce creatura”. Proprio in quel momento si sentì dall’esterno il rumore delleruote di un’auto, che battevano il selciato della strada d’accesso a quel magnifico podere. “Evviccanne, stanno arrivando madre e figlia.Andiamo loro incontro!”, tuonò Ciro, alzandosi di colpo dalla sedia. Attesi sull’uscio il loro ingresso. Appena mi videro mi venneroincontro con grande euforia: “Vincèèèè”, gridò Assunta, “eccomi qui”.La gioia, la felicità che sprizzava da tutti i suoi piccoli pori era visibileanche giù nella vallata che cingeva l’intera area. Appena la distanza lo consentì, mi saltò addosso avvinghiando le sue braccia attorno almio collo. La presi a volo, placcandola al pari di un giocatore di rugby,per non farla scivolare. Riuscivo a sentire quel suo tenero e malatocuore battere velocemente e mentre le sfioravo le guance per untenero saluto, tenni gli occhi fissi in cielo, implorando il buon Dio diconcederle di restare con la sua famiglia ancora per molto tempo. Tutto si svolse in un batter di ciglio: la commozione che sisviluppò fu però tanta
e di tale spessore, che furono necessari diversiminuti per tornare a vedere normalmente . “Fammi sapere come andrà”, ribattei a Ciro senza farmisentire e, glissando alla grande l’invito accorato di Concetta a restare,recuperai l’auto per far ritorno a casa. “Aspetta Vincè, sono le ultime.Devi assaggiarle e dirmi comme so venute”, disse Concetta, aprendola busta e capii che conteneva il mazzetto solito delle mia amatesoppressate. Mi evitai quel giorno la pesante ritualità della lorodegustazione, fingendo di apprezzarne il gusto, riuscendo anche adesaltarli all’ennesima potenza. “Grazie, saranno eccellenti comesempre. La tua è una firma che è una garanzia. Concetta vi promettoche la prossima volta mi tratterrò più a lungo e non rifiuterò il pranzo”. Poi salii in auto, accesi il quadro e mi allontanai.
La famiglia di Giuseppe
Per pura coincidenza quel giorno scelsi una strada insolitaper il tragitto di ritorno; ai nelle vicinanze di Arturo che, scorsi dalontano; era puntualmente alle prese con i suoi soliti gesti nel belmezzo di quella che, apparentemente, sembrava un’animatadiscussione. Mi notò e le braccia presero a fare dei movimenti che, dalontano sembravano mimare una ola solitaria. Trovai, fortunatamente, sistemazione con l’auto e, dopo aver parcheggiato, mi diressi, cono veloce, verso di lui. Intravidi al suo fianco, un uomo in piediche indossava una tuta da lavoro blu spento. Accanto a lui c’eraquello che restava di una bici, probabilmente suo unico mezzo dilocomozione. Solo le ruote erano integre; il resto era un po’ tuttorabberciato. “Giuseppe?”, chiesi con l’indice della mia mano puntatoverso di lui. “E voi sito Vincenzo, o dottore delle dichiarazioni”, rispose. La successiva poderosa stretta di mano fu accompagnataper entrambi da un sorriso che non ebbe breve durata. Si capivachiaramente che non era un sorriso di circostanza, ma il segno diuna reciproca stima. A proposito, Arturo, sempre fedele al suo cliché,è come se non fosse stato proprio presente, perché continuava ascuotersi in modo disorganico e incomprensibile. “Solo? e il resto della vostra bella truppa?”, chiesi incuriosito.“Sono di ritorno dal lavoro e sto andando a casa. Sapete oggi è lafesta di compleanno di Rosetta, la terzogenita, che compie 13 anni.Sono tutti a farle festa. Perché non ci onorate della vostra presenza?” Avvertivo un’assoluta necessità di distrarmi e non pensarea quel dilemma drammatico che occupava la mente di Ciro. Cosìaccettai, specificando che la mia sarebbe stata una “toccata e fuga”. Era palese e giustificata la reazione di Giuseppe, che fremevaper avvertire casa. Non aveva cellulare, un lusso troppo grande perlui, e così gli prestai il mio per consentirgli di chiamare la moglie,preavvertendola dell’imminente ritorno con me, come ospite. Pochierano i i che dividevano la piazza dal suo domicilio, comeopportunamente mi indicò il capo del numeroso gruppo famigliare.
Qualche isolato più avanti e all’interno di una viuzza, apparveuna casetta popolare di tre piani, che necessitava di qualche interventourgente di manutenzione esterna. Nel piano ammezzato c’era ilquartino di Giuseppe. Suonò il camlo (mossa strategica checonsente a chi sta all’ interno di dare ultime frettolose sistemazioni)e ad aprire venne Maria, donna esile e scavata. Ogni sua precoceruga denotava una perenne stanchezza. Era vestita di un abitino dacasa di colore chiaro e coperta dal classico mantesino a tracolla, che ne nascondeva il frequente utilizzo. “Buongiorno e benvenuto. Venite vi faccio strada”, fu il suosaluto accompagnato da un sorriso, che evidenziava una dentatura non proprio perfetta, che avrebbe avuto bisogno di necessarie cure, opportunamente rinviate per gli alti, proibitivi costi. Mi fermai adesaminare quella casa per compararla con quella, che avevo ricostruitocon la mia abituale tecnica dell’accertamento induttivo. Tutto sembrava combaciasse: anche le cassette di frutta corrispondevano alle mie attese. C’era però un bagno in più, ricavatonell’unico piccolo balcone esterno disponibile, col solo lavabo e water. Forse si utilizzava per le emergenze, pensai. Istantaneamenteindividuai in quello spazio di pochi metri quadrati, l’unica parte diprivacy esistente nell’immobile e adibita, all’occorrenza, quale talamo familiare e teatro dei rendez vous, dai quali sono poi scaturite le seicreature, titolari della altrettante attuali detrazioni fiscali, di cui la dichiarazione è testimone. Nella stanza da letto a loro destinata (la più grande del quartino) c’era, infatti, molto poco di matrimoniale: un grosso lettonea due piazze e ai piedi due lettini, appositamente sistemati, chetoglievano qualsiasi velleità di isolamento. Nelle restanti due camererisultavano accuratamente distribuiti i restanti quattro posti, suddivisinei letti a castello, mentre nel corridoio, lungo l’intera parete, si trovava l’unico, lungo armadio esistente. Eccoli, tutti allineati in cucina, il frutto del loro amore: sei figli,tutti diversi quanto a somiglianza, ma con corporature simili. Ciòagevolava il aggio dei vestiti. Il continuo loro riciclo era assicuratodalle piccole modifiche, operate grazie ad una vecchia macchina dacucire, sistemata, come comò, all’inizio della balconata. “E’ lei la festeggiata, Rosetta. Oggi diventa signorina, pensate,
dottòche compie 13 anni”. Feci finta di non esserne a conoscenza, anche per risparmiarmi quella pessima figura di essere piombato in casasenza neanche un pensierino per lei. Inoltre quel dottò, enfatizzatodal capo famiglia, lasciava intendere che appartenessi ad una classedi gente danarosa e ancor di più appariva ingiustificata la mia presenzaa mani vuote. “Dottò, facete ambress chelle che dovete fà e iatevenne perché dobbiamo spegnere le candeline e mangiare la torta”, mi disseGegè, il più piccolo, tirandosi su la manica, convinto che la mia presenza fosse legata ad un prelievo di sangue, da tirare dall’esilesuo braccino. Il piccolo Massimo, invece, quarto nella scala familiare, permettermi in difficoltà mi chiese: “Cunuscite o verbe ecco? Coniugateciil presente caro dottò”. Era evidente che mi voleva far cadere in unpiccolo tranello. “Allora vò dico io: oiccàn, oillòc, oillàn, eviccàne,evillòc, evillanne (eccolo, eccolo lì, eccolo là, eccoli qui, eccovi là,eccoli là). Non avevano idea di chi fosse un commercialista e mi astenni dal rivelarlo. Fu Giuseppe a chiarire: “No questo non è il dottore”,disse alludendo, forse, al medico della mutua, “ma un altro dottore” e l’espressione generò una tale confusione che, quella dei mercati,sembrava al pari la scena di un film muto del dopoguerra. “Vabbè, poco importa cosa faccio”, gridai con voce decisa eferma sovrastando quel gran vociare. “Sono Vincenzo, un amico divostro padre e sono ato a trovarvi”. Queste parole contribuironoad acquietare tutti. Poi li ai in rassegna uno ad uno: li conoscevosulla carta radiografati in un anonimo quadro dei famigliari a carico. Ero a conoscenza della solo loro esistenza fiscale per viadelle detrazioni richieste e accordate al papà. Ora, finalmente avevola possibilità di abbinare al loro codice fiscale anche un volto. Agli angoli erano sistemati anche i quattro nonnini, con occhilucidi e sorrisi perenni rivolti, per lo più, alla festeggiata.Al centro del maestoso tavolo della cucina (rigorosamente allungatocon parti componibili per adeguarlo al numero dei commensali) unastraordinaria torta di panna e crema farcita di ciliegie, opera esclusivadella mamma con sopra, adagiate, 13 candeline, già usate. Si avviòil rito della loro accensione e il coro di auguri da parte di tutti i famigliaripresenti,
me compreso. Se mi avesse scorto mia moglie Giusy si sarebbe“scompisciata” dalle risate perché a conoscenza del mio ostinatorifiuto di cantare e intonare “tanti auguri a te”, soprattutto nelle festedei miei bimbotti. Ed invece mi trovavo lì, proprio al centro di tutti,sforzandomi di intonare quelle note, facendo attenzione ad evitareprotagonismi. Prevalse il mio fare indifferente, che consentì in gran partedi mitigare il dilagante e prorompente imbarazzo. L’intensità diquell’ambiente genuino e, soprattutto, quella serena atmosfera midonavano stadi di grande contentezza, perché mi trasmettevano unatale tranquillità, che difficilmente riuscivo a trovare fuori di casa mia. Si vedeva e si capiva chiaramente che ero stato tanto a mioagio nella Giuseppe’s family per quello squarcio di tempo ritagliatoe non pianificato, che quasi avrei voluto una replica a breve.Inoltre, la mia contentezza fu quella di poter ammirare una famigliadi gente dignitosa, alle prese sì con quotidiani problemi, ma senzaassilli trascendentali. Giuseppe mi riaccompagnò; prima però con un cenno invitòMaria a fare qualcosa. Recuperò sul davanzale della finestra unabottiglia di vino, di quelle di colore verde scuro con tappo di plasticabianca e me la consegnò: “Questa è opera di mio suocero Tonino!”Me lo indicò rivolgendo lo sguardo verso di lui. “Vedrete che è navera specialità”. Salutai tutti e loro in coro risposero: “Ciao, dottòVincè. Turnate ambress a ce truvà”. Annuii sorridendo, facendo intendere che l’invito era stato accolto e sicuramente, avrei aderito. Verso l’imbrunire di quella stessa giornata, arrivò una telefonatasul mio cellulare. Riconobbi, nel suo morbido trillo, una chiamata dalla quale si sarebbe sviluppata una probabile conversazione light. Controllai lo schermo del cellulare e notai il “nominativo” Titina, quale interlocutrice. Risposi e col suo solito: “Vincè”, avviò ildialogo, tralasciando i rituali preliminari. “Te volevo dire che è tuttoa posto per il Gaio B&B. Abbiamo sistemato quello che la leggerichiede per tali attività, seguendo alla lettera i tuoi preziosi consiglie tra poco sono anche pronta per la piena operatività del Bed eBreakfast”. “Abbiamo?”, chiesi di rimando, facendo attenzione a non far scivolare la discussione in un banale equivoco. Lei mi rispose,senza sentirsi
imbarazzata e specificò: “Si, c’è stato un signore, tantosimpatico e generoso. Si chiama Antonio, ma per gli amici è Totò. Siè preso a cuore la situazione e mi ha aiutato nelle necessarieprocedure. L’ho incrociato proprio negli uffici dell’Ente turistico e così,si è dato da fare. Sapessi che gentile, Vincè, te lo devo presentare!”;e giù con un sospiro lungo e intenso che presagiva un colpo di fulmineappena scoppiato e il suo conseguente stato di benessere. “Qui gattaci cova. Galeotto fu l’incontro in quel casotto ed è venuto fuori il bottodi un amorevole complotto.” Risi fra me per la filastrocca che mi eravenuta spontaneamente e pensai che la vita è veramente una sorpresacontinua. Utilizzando sempre la stessa tonalità di voce estasiataaggiunse: “Devi solo ragguagliarmi sugli adempimenti strettamentecontabili/fiscali e poi il Gaio B&B potrà finalmente partire”. “Nonpreoccuparti, verrò presto a trovarti e sarà anche occasione per farela conoscenza di questo fantomatico Totò”, le risposi con tono che,quanto a intensità, si adeguava al suo, a dimostrazione dellacomprensibile mia soddisfazione per il sentimento, che stava nascendonel suo cuore.
Tommaso
Ero praticamente cotto al termine di quella intensa giornata,ma soddisfatto per le buone notizie che l’avevano riempita, compresii gradevoli incontri, assolutamente non pianificati, che l’avevanoarricchita. Con le ultime forze disponibili, prima di crollare e tuffarminella braccia di Morfeo, pensai intensamente a Ciro, che con la suafamiglia si apprestava a recarsi in pellegrinaggio a San GiovanniRotondo, per cercare di dare risposta a quella grande incertezza chelo turbava. Cercavo di trasmettergli telepaticamente la mia piena eincondizionata solidarietà, condividendo l’ansia e le angosce che,in quei momenti di difficile scelta, lo perseguitavano senza concederglitregua. Mi auguravo, a quel punto, che la visita a Padre Pio contribuissea mettere fine a quell’angoscia familiare con una scelta che, qualunquefosse stata, sarebbe stata netta e definitiva. Quella sera, mentre rimuginavo al riguardo, sentii i miei occhiappesantirsi; cercai invano di scacciare quei pensieri malinconici etristi, sperando al contempo di non far capire nulla alla mia famiglia.Tentai di buttarmi a capofitto anche sulle news fiscali appena sfornatedall’Agenzia delle entrate, per provare a mutare direzione al miocervello, distraendolo con quello che più mi appagava. Ma niente,non fu neanche quel consueto naturale mio piacevole rifugio a mutarel’agitazione in atto. La notte ò insonne a pensare e riflettere sulleprobabili soluzioni che l’indomani sarebbero state adottate e che,sicuramente, avrebbero cambiato gli scenari del percorso di vita di Assuntina. Fu in uno di quei giorni successivi, facili da ricordare nelpieno della stagione dichiarativa, che mi vidi recapitare per postaordinaria una busta con i due lembi attaccati con lo scotch. Sul retro era riportato, nello spazio riservato al mittente, un semplice e anonimo“Tommaso”, per giunta scritto a penna e a caratteri enormi, con unagrafia incerta e traballante, tipica dei bambini delle scuole primarie. L’aprii velocemente, senza prestare particolare attenzione anon strappare la busta. Al suo interno, tanto per restare in tema,trovai una copia di dichiarazione, elaborata dal Caf (centro di assistenzafiscale) di una nota organizzazione
sindacale. C’era anche un foglioA4, strappato a metà, nel quale erano evidenti poche righe che,quanto a scrittura, richiamavano i tratti infantili del nome Tommasoriportato sulla busta. “Caro dottore”, vi era scritto, “sono Tommaso! Lei non mi conosce mentre io vi vedo qualche volta sulla televisione nelprogramma che fate per spiegare le tasse. Mi apparite una bravapersona e perciò chiedo vostri consigli, così metto il 740 nella busta.Vi dico però che non ho casa e vivo in una roulotte parcheggiata inuna zona della litoranea. I miei famigliari mi hanno scaricato da casaper motivi che vi dirò, sempre se volete. Il mio numero di telefono è… Quando volete chiamarmi, a disposizione… mi farete assaiecontento”. Colorito ed esaustivo quell’accorato messaggio scritto,probabilmente, con fatica ma con elementari termini dettati, e di questo ne ero sicuro, dall’unica fonte ispiratrice in suo possesso: uncuore e nulla più. Presi il modello dichiarativo 730 (non quello che lui avevadefinito 740 risalente ai tempi della I^ Repubblica ed abbondantementesuperati), per esaminare i pochi dati reddituali, in esso riportati.Il quadro C (espressione di reddito da lavoro dipendente) riportavail guadagno derivante da una pensione di anzianità erogata dall’Inps,che si attestava intorno ai 15.000 euro al lordo di imposte. Nellededuzioni, invece, trovava spazio un rilevante importo per un assegnodi mantenimento alla ex moglie di 5.000 euro tondi, oltre a spesemediche per analisi cliniche e visite specialistiche, per lo più oculistiche. La sezione degli immobili e dei familiari a carico risultavanoin totale stato di abbandono, per via della loro mancata compilazione;una situazione che, inspiegabilmente, mi metteva in uno stato diparticolare agitazione. Ad alimentare poi quel mio malessere, contribuìanche il frontespizio, che riportava l’indirizzo di residenza anagrafica:Roulotte Desiderio, via Litoranea, vicino al villaggio. La prima riflessione fu che al posto del compilatore avrei,probabilmente, consigliato al soggetto di indicare un recapito per cosìdire normale. Magari poteva inserire quello di un famigliare, ovverodi un amico che si fosse prestato, solo formalmente a fargli usare ilsuo indirizzo. Sarebbe apparso più giusto, almeno per darel‘impressione a quel negletto pensionato di non aver perso la speranzadi essere ancora protagonista del mondo e di avere una possibilitàdi riscatto nel futuro.
Tornando a Tommaso, era, comunque, indubbio che quelsuo oggettivo “modus vivendi” non fosse dipeso da caso o eventofortuito; non mi era possibile, da sterili e anonimi fogli riportanti solonumeretti e dati reddituali, intuire, né tantomeno ricostruire cosa diavolo avesse combinato di tanto grave da inguaiarlo per tutta lavita. Il 730 di Tommaso, comunque, faceva registrare un creditoa suo favore di una certa importanza, visto nell’ottica generale delreddito complessivo dichiarato, a seguito di quelle deduzioni per gliassegni periodici corrisposti all’ex coniuge e delle detrazioni fiscali:700 euro che gli valeva quasi una quattordicesima mensilità, seconsiderati alla luce degli scarsi 750 euro netti, rappresentanti leentrate fisse mensili da pensione, unica e sola sua fonte finanziaria. Formalmente la dichiarazione appariva corretta e talesituazione non riusciva a farmi comprendere a cosa fosse dovutaquella sua richiesta di un mio personale intervento. A conclusione di quella veloce lettura dei dati, si innestò automaticamente il mio ordinario meccanismo di ricostruzione del presunto stile di vita di quella particolare “persona fisica”. Avrei potutodeterminarlo grazie agli sfavillanti numeretti collocati ad arte nelleapposite caselle delle sezioni reddituali di quel modello dichiarativo. In sintesi la mia idea fu quella di vedere in Tommaso, unnomade pensionato con la roulotte e una bici, uniche sue compagne di una vita condotta in perfetta solitudine.Non badai a nessun preliminare di circostanza e mi affrettai atelefonargli senza preoccuparmi di coprire il mio numero di cellulare. Ero certo, infatti, che mi sarei trovato di fronte una personacon tale e tanta dignità e discrezione, da far escludere a priori unafutura invadenza con sue ripetute inutili chiamate.“Sono Vincenzo”, evitai di rimarcare il dottore perché non avevoalcuna intenzione di instaurare un netto e immediato distacco “ e….” Il tempo di rendersi conto ed immediatamente attaccò: “Dottoreero sicuro che avreste chiamato e mi state dando tanta gioia”.Sottile e personale quella voce roca e catarrosa che gli conferiva unparticolare proprio stile. “Ho letto il vostro invito ed eccomi qui. Comevi posso aiutare? Subito mi espose le sue reali intenzioni: “La prossima voltache siete in giro da queste parti fermatevi, v’aggia parlà nu poco”, egiù con una bizzarra breve risata
gracchiante. Il successivo sabato, in un momento di assoluto relax, senza esitare neppure un istante, andai a cercarlo.Ricordo che vagai per un pò, dopo aver lasciato l’auto strategicamentein vista, addentrandomi lungo i sentieri della litoranea, scoprendotanti piccoli improvvisati accampamenti abusivi di nomadi, prostitutee vagabondi con roulotte e capanne che, ritenevo, nascessero emorissero di continuo e sui quali la vigilanza appariva un puro optional. Ai margini del lato opposto alla mia direzione di marcia intravididelle braccia alzate e in frenetico movimento. Era un uomo alto e magro. Indossava la giacca di una tuta e jeans consumati, di colorruggine sbiadito. Doveva essere Tommaso. Andai per intuito, sorrettodall’opinione che mi ero fatto di lui e per la sua andatura lenta dalumachina stanca, tipica di chi non è più abituato a camminare molto. Notai un lieve incurvamento di quelle sue labbra sottili mentrestringeva la mia mano, senza nulla aggiungere. Mi trovai di fronte unviso allungato, rinsecchito, con occhi semichiusi ed incavati, nasochiuso, aquilino e bocca serrata. Ero sicuro che strappargli anche unbreve e leggero sorriso su quel viso stanco, avrebbe contribuito aridisegnare l’intero suo volto, rendendolo più gradevole. Mi invitò a seguirlo fino ad arrivare in quel fondo agricolodove, nel bel mezzo, aveva piazzato la roulotte, sua abituale dimora.Sulla porta le lettere scritte a pennarello rosso evidenziavanoDESIDERIO, il nome dato a quei pochi spiccioli di metri quadrati,incastrati in un’area chiamata dalla gente locale: “Il campo dei deseparecidos”. Mi inerpicai su quei due gradini, trovandomi in unangolo una cucina con fornellino, al lato un minifrigo e vicino unacamera con il letto a una piazza, mobili e tavolino per quel che basta,più una grande veranda sotto la quale si trovavano due sedie a sdraio,la tv e un bagno chimico. “Quando piove forte”, ebbe a precisareTommaso “queste aree si riempiono di pozzanghere, rendendoimpossibile persino l’ in casa. Occorrerebbe della ghiaia perriempire le buche, ma non è mai venuto nessuno a portarla. Qui,siamo dimenticati anche da Dio”. Mentre parlava ed illustrava, con meticolosa precisione, ogniangolo di quel suo nido, risuonavano nella mia mente le note della canzone triste e angosciosa di Franco Simone: Il vecchio del carrozzone, che rievocava la vita di stenti di un vecchio, trovato morto proprio in un carrozzone. Nell’ascoltarla, ricordo, mi
struggevo dimalinconia e commozione. “Tommaso ma perché ti sei ridotto così?”, gli chiesi senzapreliminari di cortesia. “Dottò, è colpa mia. Mi invaghii della badantedi mio suocero e un giorno i miei famigliari mi trovarono in situazionecompromettente. Insomma mentre zzììì zzìììì…” Accompagnò le parolecon un movimento a pugno chiuso della mano destra, che lasciavaintendere un’avviata e coinvolgente copulazione”. Comparettero tuttiquanti, compreso ospiti, e cù cùù mi sbattettero immediatamente fuoricasa. Che figura di merda che facemmo, eh? E poi? Nadia, questoil nome della domestica, capette a sunata preferendo tornare inUcraina. Non si sentiva adatta ad una vita di sbattimenti in roulotte, lasciandomi comme a nu vero percuoco. A casa? Nun m’ha putevepermettere. Togliere da 750 euro di pensione circa 300/400 euro dipigione, comme facevo a mangià? Da quel giorno i contatti con i mieifamigliari, moglie e figlia, sono stati bruscamente interrotti e mai piùripresi. Non mi hanno detto neanche che mio suocero ha fernute e campà. Pensavo ca fosse stata na conseguenza dell’abbandono diNadia, invece m’hanno ditto che è stata morte naturale”. “Bè te lo sei cercato” attaccai la mia ramanzina: “Ma dico io come si fà a buttare all’aria una fedeltà di decenni per pochi istanti di piacere? E poiproprio con la badante di tuo suocero e a casa sua?” “M’attizzava assaie e poi me faceva turnà a sentì n’omme”, rispose con occhisbarrati e bocca bavosa. “M’aveva fatto perde a capa e vivevo solope essa. Poi se n’è fuiuta, chella fetente. Pozza stà bona addò stà.Pensate che da allora, e sono oramai cinque anni, nessuno dei mieifamigliari si è fatto più vivo”. Venni al dunque: “Perché mi hai chiamato?” domandaiincuriosito. “Il motivo c’è. M’hanno ditto che sta per nascere Antonella,la nipotina figlia della mia unica figlia. E le vulesse lascià caccosa epensavo a nu buono e 5 mila euro per comprarsi quello che vuole.Ma nessuno me vò fa credito perché non ho niente ma solo napensione di pochi spiccioli. Ce sarebbe secondo voi una banca che me vò fa nu prestito? C’ho restituisco nu poco a vota, mese mese?”“Potrei provare a chiedere un po’ in giro. Apprezzo tanto il tuo nobilegesto, ma sei sicuro che poi sarebbero accettati e non confusi comeun tentativo riparatore? “Dottò”, mi ribattè “ve ricordate che diceveTotò? I sordi fanne venì a vista pure e cecate. Ci voglio provà.” “Vabbè,ti farò sapere e ti anticipo che problemi per così piccoli importi nondovrebbero sussistere”. Seguì un veloce e fugace saluto con lapromessa strappata di ritrovarci presto con buone nuove. Appena salito in auto, cercai nell’agenda il numero di Michele,il direttore di una piccola banca locale, mio vecchio compagno discuola. Gli rappresentai
velocemente quella esigenza diventata, moresolito, una mia personale necessità. La sua praticabilità mi fu daMichele garantita e in tempi anche piuttosto spediti, ne avrebbe curatopersonalmente gli sviluppi fino alla sua erogazione.
Una sorprendente rivelazione
Il lunedì seguente mi recai allo studio in un orario ancora piùinsolito. Avevo bisogno di caffeina per tentare di spazzare viaun’evidente spossatezza, che lasciava trasparire i suoi i segni anchenel disordine dei capelli. Tutti i bar della zona erano ancora inattivi:le saracinesche mestamente abbassate erano ancora illuminate dal fioco riflesso dei lampioni funzionanti e non lasciavano presagireun’apertura a breve. Del resto risultava pressoché difficile trovare,alle 5,30 del mattino, strutture ricettive alle prese con i consueticerimoniali mattutini, tipici delle nostre zone e tutti legati al caffè e al cornetto. Amavo, comunque, tanto quei momenti di solitudine a quell’oradel mattino: l’intero borgo sembrava accogliermi con la malia dei suoivicoli silenziosi, dei suoi spiazzi, della grossa piazza.Quanta pace, senza la frenesia quotidiana, che si sviluppava per lapresenza di un grande mercato! Aprii la credenza e mi accorsi cheil sacchetto del caffè macinato era stato lasciato semiaperto, da chil’aveva per ultimo utilizzato. L’aspetto mi destava qualchepreoccupazione perché credevo che l’aroma del caffè si fosse disperso. Mi feci coraggio e ne versai qualche cucchiaio nella piccolacaffettiera napoletana, vecchia di decenni, opportunamente prelevatadalla casa dei miei genitori. Anche quella mattina, nonostante i giustificati tentennamenti,vista l’età, quella macchinetta dei miracoli non fece cilecca. Ne scaturìun caffè dall’inebriante aroma, che contribuì a rimettermi miracolosamente e prontamente in sesto. Subito dopo iniziai le consuetudinarie letture delle emailpervenute, della rassegna stampa locale e di quella più strettamentespecialistica. Sbirciai l’agenda, sincerandomi di non avere impegnied incontri urgenti. Potevo, finalmente, dedicarmi alla mia attività di puro studio: verifiche sulle attività portate a termine dai miei collaboratorie controlli sul rispetto dei numerosi adempimenti che sua maestàFisco cadenzava con sistematica puntualità e per la felicità di tuttala categoria professionale dei commercialisti. Arrivai all’orario canonicosalutato dalle frequenti telefonate, che sembrava avessero ricevutotutte assieme lo “start”, al pari del semaforo verde dei gran premio di automobilismo.
Il mio piccolo e personale call center, aveva ripresoa funzionare a pieno titolo. Nel bel mezzo di quel mattino arrivò quellaattesa di Aniello: “Dottò, comme stai?” esordì nei suoi soliti modi schietti. “Stò dalla tue parti. Potesse à a te salutà?” “ No problem;se arrivi subito ti posso dare ascolto, concedendoti anche un po’ ditempo in più” gli dissi. ” “Fai conto che stò già lloco addò ttè”, aggiunse,chiudendo di botto la comunicazione con quel suo solito modo di evitare ogni forma di saluto e frase di rito. Mantenne fede alla sua parola e dopo pochi istanti me lo ritrovai dinanzi alla porta. Viso riposato e ancora ricco di quel coloretipico di una recente abbronzatura, resa ancora più evidente perchéesaltata dai vestiti chiari che indossava. Nel suo complesso lo trovavobene e, usando un gergo comune, piuttosto tirato. “Che piacere dottòe te vedè! Non sei cambiato affatto rispetto all’ultima volta che cisiamo visti”, ribattè in uno slang vagamente somigliante alla cadenza,che lo ha sempre contraddistinto. “Anch’io ti trovo bene, addiritturaringiovanito”, gli dissi indietreggiando e osservandolo da capo a piedi.“Bè o segreto stà che ogni tanto o da una clinica a me fa ‘otagliando, proprio comme e macchine. Alla nostra età”, sporgendo ilsuo dito indice e indirizzandolo alla mia persona, “qualche ritoccatinaè necessaria. O ffa’ Berlusconi pecchè non io”, replicò ironicamente,dando sfogo alla sua classica, coinvolgente sghignazzata.“Allora, Aniello ci sono state parecchie novità in tutto questo tempoche non ci siamo visti né sentiti. Ho notato, controllando i tuoi dati reddituali e soprattutto quelli patrimoniali, dei profondi e radicalicambiamenti nella tua vita imprenditoriale. Tutti quegli immobili e…” Neanche il tempo di dettagliargli le mie impressioni che tiròfuori dal suo portafogli un piccolo pezzo di carta custodito in unapellicola di plastica trasparente, somigliante alla classica immaginetta, distribuita nelle celebrazioni per i trigesimi. La prese con tanta e tale sacralità (con tanto di segno della Croce) da farmi quasi impressionare. Poi, ben stirata, me la mise direttamente nella mani. “Baciala pure tu dottò, ca te po’ purtà fortuna”. Avevo appena ricevuto tra lemani tremolanti la fotocopia di una schedina del superenalotto cheaveva dispensato al suo possessore, così come era evidenziato inrosso, appena€ 2.085.324,00. “Pure e spiccioli aggio pretese”aggiunse. “Nun aggio vulute lascià niente o Stato, arropp tutte e soldeca se’è futtute pe tasse c’aggio pagato in tutto stù tempo. Hai visto,dottò, solo 5 euro m’hanno bastato pe cagnà a vita mia. Ricordoquella sera, quando scoprii che a Fortuna m’aveva baciato facendoascì i numeri c’avevo giocato. E chi s’ha
scorda cchiù. Chiamai i mieifamigliari e a turno feci bacià a schedina, poi al completo, compresoquelli che non sopportavo, andammo in processione in Chiesa e poial ristorante. Bevevamo champagne comme acqua fresca, chesoddisfazione! Tutto paese me venette a salutà. Sembravo nu papa”.“E la tua attività. Che fine ha fatto?”, domandai incuriosito. “Che la tenevo a fa!? Aggio dato tutto a mio cognato e mò è isso ca gira coni miei bestioni (autotreni). Ogni tanto mi diverto ad accompagnarlo.Sai che faccio? Mi sfizio a sistemare l’automezzo nei parcheggi digrandi alberghi a cinque stelle e poi mi accomodo per dormire eriposà nu poco, con mio cognato che resta, invece, nell’abitacolo (lataccagneria non l’aveva abbandonato). Se sapisse: mi guardanostrano pure gli uscieri e me pigliano per vero cafone”. Il tutto mi venivaraccontato con tanto di coreografia e accompagnato da una mimica che rendevano la scena veramente comica, compresa l’autobattuta di mani. “Poi mi sono dato da fare”, aggiunse serio, “ho compratotutto quello che puteva accattà e azzeccato qualche investimentoimmobiliare e mò vivo e rendita”. Lo ascoltavo con molta ammirazione e, mentre lui parlava gesticolando con mani callose e usurate, e,stranamente, non ritoccate dai bisturi della chirurgia plastica, pensavoche, anche in detta circostanza, ciò, che avevo ricavato dalla mia induttiva ricostruzione, aveva trovato adeguato riscontro. In quel mentre squillò il telefono. Era Ciro ansimante chegridava: “Dottò sto ancora a San Giovanni. C’è stato eccome il segnaleche dicevi tu. Un scano, che stamattina celebrava la messa è sceso dall’altare ed è andato a somministrare la Comunione ad Assuntina, che era al suo posto, tra i fedeli e solo a lei. Aggio deciso,a porterò a Parigi. Poi ve faccio sapè”. Mi trasmise una commozionesenza pari. D’istinto corsi ad abbracciare Aniello che, non avendocompreso appieno tutto ciò che al telefono stava succedendo, assistetteincuriosito e ricambiò. “Non credevo”, mi sussurrò, ritenendo che il tutto era a lui riconducibile “ che la mia storia te fe tanto commuovere”. Bastò questo per sgelarmi e una mia improvvisa eincontrollabile risata convulsa arrestò lo sviluppo di quella nascentecommozione, che se non controllata, sarebbe sfociata in un prorompente pianto liberatorio. Recuperata la calma e la concentrazione, rivelaidettagliatamente la storia di Ciro ad Aniello, il quale non restòimibile, anzi si rivelò generoso come non mai: “Se ha bisogno,dottò, ce posso pagà io e spese del viaggio”. Neanche il tempo diesternare quel suo sincero gesto, addolcito da un tenero sguardo,che un nuovo abbraccio tornò a cingergli le spalle. “Grazie, Aniello.Grazie per quello che dici e grazie per la tua visita. A proposito opiccirillo tuoio ha portato a termine la
compilazione della tuadichiarazione con estrema disinvoltura al pari di un vero professionista.Ma, dimmi, dove vive?” Mi venne spontaneo porre quella domanda,anche e soprattutto, per fugare quel dubbio, che avevo avuto allalettura dei suoi dati patrimoniali. “Adda fà a gavetta”, rispose, “cosìm’adda pagà pure nu piccolo fitto per i locali adibiti a suo studioprofessionale. O no? Non po’ avere o cocco munnate e bbuono”. Trovava piena conferma, quindi, quella mia originariaperplessità e, appariva ancora più strano, veder richiedere anche lamia complicità su quel paradossale suo atteggiamento. “Mi raccomandoa te. Fagli qualche sconto, se lo merita. E’ ancora uaglione” disse eci salutammo, consapevoli entrambi di aver trascorso dei bei momenti. Trovai, finalmente, la strada di casa e, quella sera, l’euforia mi accompagnò persino sotto la doccia. Mi venne voglia di dare sfogopersino ai miei repressi istinti canori, mai pubblicizzati o esternatiperché preoccupato per i riflessi negativi, che avrebbero avuto sullamia carriera professionale. Mi assicurai che nessuno ascoltasse e,soprattutto, scoprisse quel timido mio tentativo di intonare un medley di alcuni grandi successi del mio Baglioni, in un improvvisato karaokesolitario: la priorità su tutti era, però, riservata a Per incanto e per amore, da sempre il mio inno all’amore
Fa’ che il tempo di un uomo non sia un istante e poi via che non lascia mai niente di sé nella storia di tutta la povera gente e che un timido abbraccio non sia solo un frutto di inverno ma un seme d’eterno fa’ che sia così
come un canto del cuore come per incanto e per amore
fa’ che il senso di un uomo non sia la paura di amare o la scia di una barca legata che non prende il mare e che questa già vecchia ribelle speranza non sia più l’assurda distanza tra gli occhi e le stelle fa’ che sia così……
Raggiunsi dopo un po’ Giusy ed i bimbi, che attendevanospazientiti ed affamati, uno stato comprensibile vista la tarda ora ela fame, che aveva ormai raggiunto stati di intollerabile sopportazione. Poi, con ancora le note musicali rimbombanti in ogni angolodella mia testa, svelai a tutti il motivo di quella mia allegra pazzia. Finimmo tutti in un coinvolgente coro, anche Giusy che diBaglioni ha sempre apprezzato la sola sua carriera e nulla più, coni bimbi in preda ad una delirante vitalità. Proprio in quei minuti mi chiamò Tommaso: mi comunicò con voce, resa ancora più flebile ed intermittente da interferenze peruna linea telefonica spesso fuori campo, che gli era arrivato ancheil riscontro di quel suo atto di liberalità alla nipotina. Una cartolinariportante un semplice “Elisa ti ringrazia e ritira quel poco che haidato, ma comunque per noi resti sempre un grande strunzo. Addio”.
Riuscii solo a comprendere il suo rammarico e raccolsi lasua ferma e decisa volontà di tagliare definitivamente con quella suafamiglia. “Il tempo è galantuomo, Tommy. Non aver fretta e dai tempoal tempo. Sono convinto che un chiarimento ci sarà”.
Una festa al Bed & Breakfast
I mesi sono volati via con inesorabile velocità e tutti segnatida un altalenante percorso professionale, con periodi esaltanticaratterizzati da intense soddisfazioni a cui hanno fatto seguitoangustianti brevi intervalli, coloriti da grigie rivalità di pseudo colleghidi infimo profilo, non tanto preoccupati di sviluppare costruttivi confronti,perché magari perdenti in partenza, ma solo di creare apparenticontroversie. Da un po’ di tempo ho raccomandato a me stesso, consigliandoe suggerendo anche a giovani colleghi di emularmi, di seguire condistaccato interesse l’evoluzione delle faccende professionali, inparticolare quelle dell’Ordine della mia città. Osservare ed ammirareil cammino della mia bella e grande famiglia, su tutti mia moglie Giusyed i bimbotti Piermaria e Paola, mi ha aiutato non solo a superare earchiviare quella grande amarezza, ma addirittura ad annullarne tuttii suoi deleteri riflessi nella mia quotidianità. Rilevato dai dati anagrafici in mio possesso, arrivò puntualel’anniversario di nascita di Assunta, col suo cuore nuovo dopo l’innestoavvenuto e superato brillantemente qualche anno prima. Morivo daldesiderio di organizzarle una festa con i fiocchi, un gran party, unodi quelli che le avrebbe lasciato un segno indelebile per l’intera suaesistenza. Pianificai già tutto, prendendo i dovuti appunti e stabilendole priorità e, more solito, avviai le mie immediate consultazioni senzaesitazioni e perdite di tempo. Prima della lista fu Titina, ormai prossima all’evento dellanascita dei suoi gemelli, per assicurarmi la disponibilità della magicaatmosfera del Gaio B&B, quale teatro di quei festeggiamenti.“Nonho problemi. Ti preparerò anche una delle mie torte che resterà negliannali; in particolare quella che tua madre definiva Speranza, perchéchi l’assaggia resta“speranzoso” di rivederla e rigustarla. Vedrai sileccheranno anche i piatti. Fai conto, se può interessarti, che alcuniamici si sono da poco uniti, dando vita a un gruppo musicale nientemale. Potrei chiamarli e coinvolgerli, se vuoi”.“Dottò, nun ti incaricà.Ti garantisco il trasporto con i pulmini di mio cognato per andare apigliare i bimbi e genitori dove vuoi”. Probabilmente Aniello aveva già intuito, anticipandomi, la
realizzazione di quel mio timido appello:uno di quei viaggi andata e ritorno doveva essere prerogativa assolutadella Giuseppe’s family. Volevo che fossero presenti tutti gli ottocomponenti, per stringersi tutti in un unico grande abbraccio con lafesteggiata. E ciò a costo di andare personalmente a prelevarli.Aniello, però, si prestò immediatamente e senza esitazione alcuna. Quando si presentarono erano tutti allineati e ben pettinaticon una divisa comune, tanto da farli scambiare per appartenenti aqualche ordine religioso o collegio, con entrambe le mani occupate da rustici, paste secche, vino bianco frizzante e bibite analcoliche,tutto di loro esclusiva produzione. Nessun sforamento registrai quelgiorno rispetto al budget preventivato: tutto andò alla perfezione senzaalcun intoppo. Andai a prelevare personalmente Tommaso. Lo trovaigià superattivo ed impaziente sulla strada, all’esterno della suaabitazione. Da lontano lo scambiai per un omino dell’Anas, per viadi quel vestito dai colori vivaci. Indossava un cappello bianco sporco,di paglia, che credevo fosse stato preso a prestito dallospaventaeri, fissato a lato della sua roulotte.“Vince”, mi confidòfelice,“erano più di venti anni che non mi mettevo questo vestito.L’avevo conservato per le grandi occasioni, l’ultima volta che l’homesso risale alla comunione di Angela, mia ex figlia”. Non mi persid’animo e, imbastendo una menzogna che avrebbe fatto arrossireanche Pinocchio, gli ribattei:“Beh, non si direbbe. Sembra attualissimoperché in tinta con i colori pop di stagione”. Gli si leggeva chiaro infaccia che era contento in quella prodigiosa cornice del Gaio B&B:anche quei saluti, che dispensava a tutti coloro che lo incrociavano,sembravano pieni di felicità. Dopo decenni, Tommaso si tuffava in un evento che gliinfondeva benessere, voglia di fare e soprattutto quel desiderio didimostrare a tutti di essere ancora parte attiva di un mondo vivo edinamico. Anche le belle condizioni atmosferiche di quella seratasembrarono sintonizzarsi, senza sforzi, a quel nobile evento. In mezzoa quella baraonda spiccava l’abito di punta; con cravatta nera e giaccada sera si pavoneggiava il ricco ex camionista, Aniello, a braccettocon la moglie, una donna minuta e silenziosa, che ha sempre vissutoall’ombra del suo padrone/compagno, seguendone il rozzo stile divita e subendone le decisioni. Finalmente intravidi Titina in grande spolvero, con un abitodi tulle bianco. Aveva le spalle coperte da un giubbetto di seta,appositamente confezionato per lei. In esso si rifletteva un gioco diluci e colori, sprigionati dalle grandi foglie
degli alberi di quercia,delimitanti il magnifico giardino del Gaio B&B, esaltando quel belvolto irradiante un’ubriacante felicità. Quella sera anche una qualsiasiprincipessa avrebbe fatto una magra figura al suo cospetto. Non riuscivo a controllare il mio stato emotivo, tanto era sconfinato e senza limiti. Nel bel mezzo della serata mi si accostarono Titina e quel simpaticone di Totò, suo marito, il quale mi strinse, conun movimento rapido, un bicchier di vino spumante, made in cantinadi Giuseppe, nella mano e mi invitò a brindare.“Vincè”, rivelarono in coro,“beviamo alla nostra e soprattutto ai due piccirille che, giàscalpitano perché vonne vedè tutto questo bene di Dio. Siamo sicuriche sapranno anche loro essere protagonisti della vita che l’Altissimogli ha donato”.“Giusto”, risposi,“che la loro vita sia sempre controllatae condotta tenendo fede agli insegnamenti, che il buon Dio ci ha tramandato”. Con l’amen che ci uscì spontaneo, riconoscemmo tuttiquel che era stato detto come comandamento fermo e deciso.Totò lasciò, come suo solito e con le sue amorevoli maniere, la scena a Titina, che aggiunse con voce tremolante ed emozionata:“Abbiamodeciso, caro Vincè, che insomma la creatura (il maschietto) sichiamerà proprio come a te, Vincenzo, e pensa che l’abbiamo decisocontemporaneamente; è stata una folgorazione istantanea perentrambi, senza un solo momento di esitazione”. Mi accorsi che mentre spiccicava quelle parole muovendo lelabbra carnose, tradite dall’emozione perché tremolanti, spuntò unalacrima che percorse il solco sotto i suoi occhi, apprestandosi ascivolare lungo le pieghe di quel viso stanco, segnato da una gravidanzaoramai al termine.“Ecco, è tutto quello che volevamo dirti”. Mi ripresi dallo choc dopo pochi secondi, anche se non lodiedi a vedere, e alzai istintivamente gli occhi al cielo nel tentativodi bloccare quella pioggia di emozioni, che partivano da una golairrigidita ed un respiro con forza trattenuto. Sforzi sovrannaturali, manecessari, che non mi aiutarono, però, a controllarmi. L’unico rimedio era trovare un’improvvisa via di fuga dietrouno di quegli alberi che sorgevano ai margini del Gaio B&B, dovevelocemente trovai rifugio e scampo. Mi accesi una sigaretta e tentai,in quel buio fitto, a me particolarmente congeniale, di avviare il miosolito dialogo con mia madre, da poco ritornata nel regno del Padresuo, per raccontarle e farla partecipe di quel mio stato di acuta felicità.
In sottofondo sentivo note a me familiari: il gruppo di Titinaprese a suonare musiche di Baglioni, a me dedicate. Il troppo caose la poca concentrazione vanificarono i tentativi di concentrare il miopensiero su mia madre e feci, così , ritorno nel clima di festa. L’empatia,quel sentimento radicato nel mio cuore sin da bambino, mi aiutò asuperare quella piccola delusione. Mi venne, però, d’impatto una riflessione. Devo tanto al Fisco,non solo per l’attenzione, che mi riserva quotidianamente,nell’assolvimento dei miei doveri professionali, opportunamente epiacevolmente portati a termine, anche quelli più ostici; ma soprattuttoper quello che è capace di realizzare e trasmettere a sua insaputa:una filiera nella quale ognuno degli anelli che la compongono, compresigli efficaci operatori dell’Agenzia delle Entrate di Salerno e quelli dellesedi periferiche, è segnata da storie vissute a cui sei legato e che,se rilette e interpretate a consuntivo, ti gratificano e appagano, quantoad intensità e calore affettivo ricevuto, più di un adeguato corrispettivo. Una sorta di virtuale nesso di reciprocità, meglio noto comerapporto sinallagmatico, quello usato, ad esempio, per capire se unaprestazione di servizi o cessione di beni è fonte applicativa dell’Iva.A ciascuna prestazione di dare corrisponde quella correlata di ricevere;non sempre è necessariamente di contenuto materiale o venale. La festeggiata, mi venne incontro, spaventata perché non riusciva a capire dove fossi né a comprendere i motivi della mia brevesparizione. Mi strinse con tanta intensità: notai che stranamente,anche quel suo cuore nuovo assumeva ritmi melodici accelerati pernulla mutati rispetto ai battiti precedenti. Segno tangibile che il cervelloè sempre al comando della cabina di regia dei nostri sentimenti,segnandone la direzione e distribuendone l’intensità. Dopo pochi minuti mi si accostò un signore a me ignoto, cheperò avevo già notato quando erano iniziati i festeggiamenti. Con una busta in mano, anche questa di colore giallo e scientementericiclata, si presentò:“Voi siete o dottore Vincenzo, vero? Ocommercialista? Io sono Massimo, un amico di Costanza e sono presidente di un’associazione di genitori con figli detenuti. Mi hannodetto che siete tanto disponibile e, soprattutto, bravo. C’ha dareteun’occhiata a queste dichiarazioni? Senza impegno e con vostracomodità. Vi ringrazio anticipatamente.” Se ne andò disperdendosilungo i viali, inghiottito dalla folla degli ospiti.
Iniziai a scartabellare il contenuto della busta. In alcune di quelle carte rilevai ingenti spese di viaggio, sostenute da aspirantigenitori adottivi in Etiopia e Nigeria. C’erano poi ricevute per prestazionioccasionali riferite sia ad un gruppo di apionati di musica Gospelche accompagnatrici turistiche e, dulcis in fundo, un certificato dipensione di un anziano signore con una scritta evidenziata in verdemorto vivente. Mi fermai immediatamente, così come scacciai senza troppoindugiarci quella idea, che mi balenava a tratti, di voler allargare ilraggio d’azione della mia tecnica induttiva a società pubbliche eprivate, aziende e noti personaggi. Bloccai, infatti, sul nascere gli ingranaggi cerebrali, chestavano già cominciando a sviluppare il primo stadio di quella miaspeciale arte, mettendolo in stand-by. Mi accorsi tra l’altro che quella sera quel mio congegno era, stranamente, scarico e senza pile. Ne rinviai il suo pieno funzionamento ai giorni successivi!
Lettera a mia madre
“Ciao…mà, non avrei voluto scrivere queste righe o meglio l’avrei voluto farema rinviandone nel tempo la sua materiale esecuzione. E invece… invece mi trovo qui chinato sul mio pc, con gli occhiappannati…. Ciao mà, sei appena andata via, tornando nella casa del Padre Tuo… e sento già una indescrivibile mancanza… Per la nostra famiglia hai da sempre rappresentato , assieme anostro padre, un faro che ha indicato la via a noi, tuoi figli: quelliche tu amavi definire, orgogliosamente, i tuoi adorati cucciolotti. E’ pur vero che questa tua luce di intensissimo bagliore, negli ultimianni, si è un po’ offuscata per quella terribile malattia, che ti haconsumata. Potrei scrivere fiumi di parole per dirti cosa sei stata,non solo per noi famigliari, ma per chi ha avuto la fortuna diincrociare il tuo percorso di vita terrena . Mi limito a dire, convinto che questo messaggio ti arriverà ,ovunquetu sia in questo momento, che sarò sempre grato al Signore per avermi dato una mamma comete: proprio la mamma che ognuno sogna. E ora a Te mi rivolgo, MIO BUON DIO: Ti affido, la grande e straordinaria donna Amalia, mia madre! Solo Tu puoi comprendere con quanto dolore io possa farlo. E’ un distacco che, in cuor mio , non avevo mai considerato, perchénon pensavo che quel giorno potesse mai arrivare. Mi rasserena e nello stesso tempo mi conforta, però, la sicura convinzione che non Le farai mancare nulla e la terrai sempre sotto la Tua protezione.
CIAO MA’…
Il tuo Vincenzo
Ringraziamenti
Ogni progetto che si rispetti non puzzò prescindere dalo e dall’aiuto professionale di più persone e realtà. Tanti sono quelli che desidero ringraziare. Prima di tutto voglio rivolgere un pensiero di gratitudine alla miafamiglia, la cosa più bella che il Buon Dio mi ha donato ed il cuiaffetto cerco di meritare e ricambiare ogni giorno della mia vita.Un sincero “grazie” va poi ai miei amici, senza i quali la mia vitanon sarebbe così meravigliosa ed a tutte le persone davverospeciali, che riempiono le mie giornate. Grazie al mio editore Andrea Iovino, non solo per l’amiciziae gli incoraggiamenti elargiti al momento giusto, ma anche per illavoro, paziente ed instancabile, di stimolo e di o perchèio portassi a termine questo libro. Grazie a Silvia Guarino, mia valida maestra e tutt’oggimio preciso riferimento istituzionale nell’Amministrazione Finanziaria.Le sono grato per le parole di stima, che ha voluto rivolgermi nellasua Prefazione. Una menzione speciale merita Rita Esposito, perl’elaborazione digitale della suggestiva copertina e la consulenzagrafica. Per finire mi sia consentito di rivolgere un ringraziamentoparticolare a Marisa Coraggio per i suoi suggerimenti e la pazienzadimostrata nella revisione del manoscritto.
Indice
Prefazione
Prologo
Assuntina
L’accertamento induttivo
Immacolata
Arturo
Giuseppe
Il Gaio Bed & Breakfast
Aniello
Una difficile decisione
La famiglia di Giuseppe
Tommaso
Una sorprendente rivelazione
Una festa al Bed & Breakfast
Lettera a mia Madre
Ringraziamenti