Elisa Artuso
Eco famiglie
Riflessioni, esperienze, idee per una consapevolezza e un orientamento più sostenibile
Il leone verde
Alla mia famiglia.
In copertina: ©iStockphoto.com/Pamspix, “New Life” © 2012 Tutti i diritti riservati Edizioni Il leone verde Via della Consolata 7, Torino Tel. 0115211790 fax 01109652658
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Edizione Digitale: maggio 2013
ISBN: 978-88-6580-071-3
Il seguente E-BOOK è stato realizzato con T-Page
Introduzione
La vita da genitori ci impone attività e impegni che qualche decennio fa erano quasi inimmaginabili: incombenze lavorative quotidiane, spesso di entrambi i genitori, bambini da gestire tra scuola, sport o altre attività, commissioni da sbrigare per la casa e la famiglia, come la spesa, le pulizie e molto altro. Negli anni abbiamo accelerato i ritmi, rimettendoci in qualità del tempo che dedichiamo a noi stessi, ai nostri figli e alle relazioni con altre famiglie: quello spazio di connessione se lo sono preso le cose e sono nati bisogni strani, un po' surrogati, bisogni di oggetti, di apparenze. Abbiamo bisogno di “riempirci” di altro perché lo scambio, il confronto e le relazioni armoniose con gli altri sono ate in secondo piano, nonostante siano esigenze radicate nella natura umana. Più o meno in contemporanea si sono consolidati stili di vita che ci allontanano dal benessere e che appesantiscono la nostra impronta sul pianeta. Per la fretta si acquista sempre più cibo pronto o confezionato, prodotti per la pulizia inquinanti che “fanno tutto da soli”, si usa l'auto per fare anche solo qualche centinaio di metri, perdendo il piacere del vento tra i capelli, degli incontri che avvengono per strada, per caso, quando ci si sposta un po' più lentamente. E così ci ritroviamo anche a rimandare l'autonomia dei nostri figli perché abbiamo paura delle strade delle città che contribuiamo a rendere invivibili e anonime. In pochi decenni si è trasformato il nostro modo di consumare e stiamo portando i nostri bambini ad avere delle necessità che non appartengono loro per natura. Questo libro vuole offrire qualche riflessione e idea pratica per spezzare questa spirale e tracciare un percorso positivo che porti le famiglie a vivere in modo più armonioso, creando reti accoglienti fatte da splendidi esseri umani; vuole contribuire inoltre alla ricerca di una strada nuova che renda onore alla bellezza della natura, alle opportunità che stiamo perdendo, sporcandola e sfruttandola senza misura. Solo se partiamo da noi stessi, dal nostro modo di consumare e di riempire i vuoti che la quotidianità a volte ci impone, possiamo trovare una via nuova, che renda ecologico il nostro vivere, a cominciare dalle relazioni che costruiamo con gli altri, e attraversando tutte le sfere dei nostri acquisti (o non-acquisti!), il
nostro modo di mangiare, di muoverci, di giocare con i nostri bambini, di trascorrere il tempo libero o le vacanze, di costruire e gestire la nostra casa, di spendere i nostri soldi. Se si parte dalla famiglia le trasformazioni coinvolgeranno anche altre sfere della nostra vita, come quella lavorativa, che in molti casi è ancora spregiudicata e orientata alla crescita a tutti i costi, e pone i rapporti umani su un piano più basso. Il cambiamento che possiamo realizzare può partire solo da noi e in questo libro si cerca una via possibile: quella di attuarlo nella vita familiare, iniziando con il consumare meno e poi, piano piano, scegliendo di autoprodurre, di condividere, di informarsi ed essere critici. L'idea di scrivere un libro su questi temi è scaturita da un percorso personale e dallo stupore che ho provato nel constatare quanto sia forte l'esigenza di cambiamento, quanta stanchezza lamentino i genitori di oggi, che “sono sempre di corsa”, quanto sia forte l'esigenza di partire dal basso per cambiare veramente le cose, lasciando perdere stupide apparenze, imparando a comprare meno e meglio, scoprendo il valore del territorio e delle connessioni leggere che possono liberarci dall'anonimato, facendoci guadagnare anche in buona salute e soddisfazione personale. Questo percorso è reso più vero e concreto dalle testimonianze di tante persone che hanno arricchito i capitoli di questo libro: raccontandosi, dimostrando che è possibile cambiare e che in tanti è più facile. Anche grazie a loro la via si conferma come percorribile, frutto di scelte precise e motivate, e va ben oltre la “moda” dell'ecostyle tanto in voga in questo momento.
I
Ecologia delle relazioni
Rimane sempre vero, a qualsiasi età, che quando si esce nel mondo è meglio tenersi per mano e rimanere uniti. Robert Fulghum, Tutto quello che mi serve sapere l'ho imparato all'asilo
Per crescere un bambino serve un intero villaggio
I neogenitori di oggi sono nati, grossomodo, negli anni Settanta e Ottanta, quando ancora si andava a scuola a piedi, a frotte o, come grande conquista, in bicicletta da soli o con fratelli o sorelle maggiori. Non è un tempo così lontano e, a ben guardare, i nostri nonni potrebbero raccontarci cose dell'altro mondo. Loro probabilmente andavano a scuola percorrendo strade non asfaltate, portando a tracolla cartelle di cuoio o di cartone. Eppure le immagini che scorrono nella mia mente, quando penso al percorso che facevo per andare alla scuola elementare, sono incredibilmente anacronistiche: dopo aver suonato i camli dei vicini, io, mio fratello e i nostri amici avamo davanti al fornaio, che aveva il cancello del cortile sempre aperto. Attraversavamo la sua corte e – se ci andava bene – rimediavamo un panino all'uvetta ancora caldo. In quindici minuti eravamo a scuola: il percorso attraversava una parte del nostro quartiere e poi quella che noi chiamavamo “la stradina”, una strada sterrata più bassa rispetto al livello della carreggiata e che ci portava dritti alla nostra meta. Alle 12,30 finivamo e rientravamo a casa. La maggior parte delle mamme del vicinato non lavorava o lavorava part-time e aveva tempo per seguire i bambini. Nel pomeriggio, dopo i compiti, uscivamo in giardino o in strada a giocare: era una gran seccatura dover interrompere le partite di pallavolo o di calcio, quando qualche auto doveva are. Alcuni ragazzi, poco lontano, tiravano persino la rete da tennis da un capo all'altro della strada. Chi ci controllava? Con quale spregiudicata incoscienza i nostri genitori ci mandavano a scuola da soli, senza controllo alcuno, e ci lasciavano giocare per le strade? In apparenza eravamo molto liberi, ma il fatto è che accanto a noi, nel nostro percorso mattutino e in tutte le attività che svolgevamo di pomeriggio, eravamo in qualche modo protetti da una rete. Lo sguardo del fornaio o del vigile per noi era come lo sguardo dei genitori. Camminando per andare a scuola, o nei lunghi pomeriggi ati al parco, eravamo tutelati dal tacito controllo di un'intera comunità: insegnanti, genitori, preti, capi scout, ma anche l'edicolante di quartiere o il fruttivendolo avevano lo stesso atteggiamento, lo stesso approccio
alle cose. Un Fiordifragola bastava, insomma. Il secondo, il barista di quartiere, non me l'avrebbe mai dato. Anche lui era un padre e aveva un ruolo, che giocava con i propri figli e con quelli altrui. E la stessa cosa valeva per il pacchetto di figurine, per le caramelle o per la partita a flipper. Sono cresciuta in una piccola cittadina di provincia, dove questa compattezza si è gradualmente sfaldata. Forse nelle grandi città era diverso già allora e i miei coetanei, da adolescenti, avevano molto più pelo sullo stomaco. Quel tipo di comunità, che guardava nella stessa direzione per far crescere i bambini, si è man mano polverizzata. Oggi le persone che abitano quelle stesse strade sono barricate in giardini recintati, dotati di siepi e di basculanti elettrici. Persino il fornaio ha chiuso il suo cancello. Oggi qualunque genitore dotato di buon senso non lascerebbe il proprio bimbo giocare da solo al parco o per la strada, soprattutto in periferia: in giro si va con la mamma o il papà (o i nonni o la baby sitter) e a scuola pure. Al parco si fa amicizia mentre per strada è molto improbabile, perché le strade ormai appartengono solo alle auto. C'è più attenzione alla sicurezza e questa è una cosa saggia e positiva, ma è rivolta quasi solo alla propria famiglia. Non accettiamo che il panettiere “controlli” nostro figlio e a volte neppure l'intervento e il giudizio di chi è deputato a farlo, come gli insegnanti. Viviamo un isolamento crescente e una grande diversificazione all'interno della stessa comunità di persone. Per questo motivo anche le scuole e le agenzie educative che accompagnano le famiglie nella crescita dei figli sono molto differenziate, al pari delle opinioni, dei redditi, delle professioni, dello stile di vita di ciascuno. Non sto dicendo che una volta non ci fossero divergenze di opinioni o di conti in banca. Anzi, forse erano più netti e manifesti, e questo era dato per scontato. Ma i valori, quelli che portano avanti il mondo, che guidano l'educazione, che rendono compatta una comunità erano sostanzialmente accettati e condivisi. L'isolamento delle famiglie è sempre più diffuso ed evidente e le paure sono assolutamente giustificate: le strade sono più trafficate, inquinate e pericolose, ai negozi di quartiere si sono progressivamente sostituiti supermercati e centri commerciali, che si raggiungono solo in auto. Io me lo ricordo bene quando
abbiamo smesso di andare da Toni a prendere il prosciutto senza conservanti per iniziare ad acquistare pacchi famiglia di qualunque genere nel primo supermercato della nostra città: era più conveniente, per noi pure più vicino, c'erano le offerte, il parcheggio grande e la cassiera veloce. A questo si aggiunge la sempre più diffusa mobilità: sono in aumento le famiglie che per motivi di lavoro si spostano, che sono costrette a inserirsi in ambienti nei quali non hanno legami affettivi e che si trovano a dover costruire da zero le loro relazioni sociali. Inoltre ci sono in giro un sacco di stranieri: famiglie africane, sudamericane o dell'est europeo, con due o tre bambini in fascia o per mano, che si arrangiano come possono per non rimanere completamente tagliate fuori. Chissà perché mai sono venuti qui gli africani… loro che, nei loro villaggi, crescevano i bambini assieme a tutta la comunità, e il figlio di uno era figlio di tutti. Possiamo imparare che “per far crescere un bambino ci vuole un intero villaggio” come afferma un loro noto proverbio, uno stimolo per guardare con coraggio al futuro. La separazione, l'isolamento… io li sento. Il fatto è che è molto difficile fare paragoni con la vita che si viveva venticinque o trent'anni fa. Viviamo qui e ora, e le stesse dinamiche non sono certo replicabili perché è cambiata la società, le opportunità sono differenti, e anche il modo di vivere delle famiglie. Il tempo a disposizione per le relazioni è davvero poco: le giornate sono piene di impegni, si corre moltissimo e si taglia sulla vita sociale: quante volte mi capita di are settimane o addirittura mesi senza riuscire a incontrare persone amiche che desidererei vedere. Ispirarsi agli aspetti positivi di quel ato ormai sfilacciato può essere una possibilità per costruire il nostro modo di fare comunità, che abbia radici solide e che sia permeato da incontri, accoglienza, sostegno, solidarietà, ma che guardi in faccia al futuro con positività e speranza, puntando in alto, cercando di comprendere come possiamo cambiare a piccoli i, quale strada possiamo percorrere per fare in modo che il nostro territorio non diventi sempre più anonimo e sterile, ma sia fertile e ricettivo perché lo sono le persone che lo abitano.
Fate che le vostre azioni riflettano le vostre parole
Cosa c'entra questo discorso sulla società di oggi con l'ecologia in famiglia? Il nostro vivere di oggi, che si è realizzato anche con una progressiva chiusura a “riccio” delle famiglie, è proprio il figlio dei cambiamenti che noi, genitori di oggi, abbiamo vissuto in prima persona. Da bambini siamo stati spettatori di innovazioni, di un'impennata nei consumi, e di una crescita esponenziale che ci ha anche un po' travolto negli anni, abituandoci a un determinato stile, al volerepotere, al tutto subito e a un'illusoria velocità nel comprare e nel consumare. Anche i nostri genitori hanno vissuto un cambiamento veloce e radicale, ma meno subdolo. Noi siamo ati da un'epoca di familiarità e di contatto a una di anonimato, in cui ci si fida sempre meno degli altri, in cui non si vuole disturbare, in cui si telefona persino ai vicini di casa, in cui ci si manda una mail tra colleghi per andare a bere un caffè o per dirsi delle banalità. Abbiamo virato il nostro stile di vita, il nostro modo di relazionarci con gli altri e di consumare, al punto da consolidare nuove abitudini che stanno travolgendo l'ambiente in cui viviamo e vivremo con i nostri figli. Viviamo tuttavia anche in una meravigliosa epoca, piena di grandi libertà e possibilità: internet ci connette con il mondo e accorcia le distanze, diffonde la conoscenza e le emozioni, tiene salde le amicizie e moltiplica le relazioni. È più facile, rispetto a qualche decennio fa, viaggiare e fare esperienze o partecipare ad eventi. La tecnologia, in tutte le sue sfaccettature, se la sappiamo gestire e dominare, ci rende più liberi e organizzati, e a volte ci permette di essere persino più creativi. Ma c'è un dettaglio non trascurabile di cui tenere conto: se non troviamo un modo per cambiare direzione, finiremo per consegnare alle generazioni future un pianeta sporco e privo di risorse sufficienti per vivere dignitosamente, in cui non potranno godere a pieno di tutta l'innovazione che si sta consolidando. Essere parte di una comunità è uno dei più grandi bisogni umani: non possiamo permettere che i in secondo piano perché le necessità materiali saranno troppe. Il nostro conto ambientale è in rosso: le risorse che consumiamo sono maggiori di quelle che abbiamo a disposizione. A dircelo è il Global Footprint Network¹,
l'associazione che promuove la scienza della sostenibilità lavorando sull'impronta ecologica. L'Earth Overshoot Day², cioè il giorno di pareggio tra le risorse disponibili e i consumi, nel 2011 è stato il 27 settembre, nel 2012 il 22 Agosto. Secondo il modello di calcolo del Global Footprint Network il budget delle risorse che il nostro pianeta è in grado di generare, digerire e riprodurre, dovrebbe durare un anno, mentre nel 2011 si è raggiunto in nove mesi e in soli otto nel 2012. Siamo cresciuti con il consumismo, espressione del progresso, delle cose belle e intelligenti, che ci facilitano la vita e bruciano tempo che altrimenti avremmo sprecato in mille faccende; siamo in grande contrasto con il futuro che si sta sbriciolando davanti a noi, mettendo in dubbio la qualità della vita di chi ci succederà. Abbiamo coscienza però del fatto che non possiamo continuare a consumare così tanto. I problemi che si presentano davanti a noi sono grandi e difficili da decifrare. Questioni da massimi sistemi del mondo. Sui libri di geografia dei nostri figli c'è scritto che abbiamo raggiunto il picco del consumo delle risorse petrolifere e che la domanda risulta crescente. Quindi la disponibilità sta calando progressivamente, mentre il mondo ne chiede sempre di più³. Le nostre città sono sommerse dai rifiuti che poi finiscono nelle fauci degli inceneritori, drammaticamente inquinanti, o nelle discariche che strappano alla terra superfici vastissime perdute per sempre. Severn Suzuki⁴, nota come “la bambina che zittì il mondo per sei minuti”, nel 1992 aveva 12 anni e partecipò al Vertice della Terra di Rio de Janeiro a nome di Eco (Environmental Children Organization), un gruppo di bambini interessato a sensibilizzare i propri coetanei verso le problematiche ambientali. Tenne un breve discorso davanti ai rappresentanti dell'Organizzazione delle Nazioni Unite: parlò di ambiente e futuro come solo una bambina può farlo, con sincerità e schiettezza. In una manciata di minuti, nel breve monologo di Severn, è nascosta la chiave che ci permette di dare una svolta vera al nostro stile di vita, al nostro modo di vivere all'interno delle comunità a cui apparteniamo, come famiglie che possono avviare un cambiamento concreto e reale, partendo da piccole cose.
Qui potete esser presenti in veste di delegati del vostro governo, uomini d'affari,
amministratori di organizzazioni, giornalisti o politici, ma in verità siete madri e padri, fratelli e sorelle, zie e zii e tutti voi siete anche figli. Sono solo una bambina, ma so che siamo tutti parte di una famiglia che conta 5 miliardi di persone, per la verità, una famiglia di 30 milioni di specie. E nessun governo, nessuna frontiera, potrà cambiare questa realtà. Sono solo una bambina ma so che dovremmo tenerci per mano e agire insieme come un solo mondo che ha un solo scopo. La mia rabbia non mi acceca e la mia paura non mi impedisce di dire al mondo ciò che sento.[…] A scuola, persino all'asilo, ci insegnate come ci si comporta al mondo. Ci insegnate a non litigare con gli altri, a risolvere i problemi, a rispettare gli altri, a rimettere a posto tutto il disordine che facciamo, a non ferire altre creature, a condividere le cose, a non essere avari. Allora perché voi fate proprio quelle cose che ci dite di non fare? Non dimenticate il motivo di queste conferenze, perché le state facendo? Noi siamo i vostri figli, voi state decidendo in quale mondo noi dovremo crescere. I genitori dovrebbero poter consolare i loro figli dicendo: “Tutto andrà a posto. Non è la fine del mondo, stiamo facendo del nostro meglio”. Ma non credo che voi possiate dirci più queste cose. Siamo davvero nella lista delle vostre priorità? Mio padre dice sempre che siamo ciò che facciamo, non ciò che diciamo. Ciò che voi state facendo mi fa piangere la notte. Voi continuate a dire che ci amate, ma io vi lancio una sfida: per favore, fate che le vostre azioni riflettano le vostre parole.
Fate che le vostre azioni riflettano le vostre parole. Cioè, create interdipendenza tra pensiero e azione, fate per davvero qualcosa, insomma, agite. Magari senza piangervi addosso, con intraprendenza e positività E chi se non noi genitori – come suggerisce Severn – possiamo per primi cambiare il corso delle cose, grazie al potere dell'educazione e della condivisione delle nostre scelte con i nostri figli? Chi più di noi, attraverso relazioni virtuose con altre famiglie, può velocizzare un processo di cambiamento, condividendo
uno stile di vita più sostenibile, e quindi futuribile, con altre famiglie, creando un circolo positivo, denso di significato da un punto di vista ecologico?
Il sistema famiglia oggi e i nuovi legami leggeri⁵
Io, con la mia famiglia, vivo una quotidianità fatta di ritmi piuttosto serrati, nonostante abbia la fortuna di avere un lavoro che mi lascia una certa indipendenza nella gestione del tempo. D'altro canto viviamo in un mondo dominato dalla velocità e a fatica riusciamo a tirarcene fuori. Orari, scadenze, tensione verso la realizzazione professionale e sempre tante cose da fare ci portano a trasferire questo stile anche nella relazione con i nostri bambini. Io cerco di evitarlo perché credo di avere una discreta consapevolezza rispetto alla differenza tra le mie tensioni e i miei impegni, e il loro punto di vista. Ma “dài che è tardi” mi scappa spesso e sfido qualunque genitore a fare mente locale e a considerare quante volte dice questa frase durante il giorno, magari anche solo a se stesso. Assieme a questa corsa continua, corredata da rapporti spesso anonimi e impersonali, c'è anche tanta, tantissima voglia di cambiamento. L'idea di felicità e di realizzazione personale è sempre più spesso associata alla positività delle proprie relazioni e a una vita più semplice, meno congestionata da impegni, meno complessa. Se dunque questo è il problema, dopo aver schematizzato in modo semplice i punti critici, dovremmo anche trovare delle proposte per associare ad una vita più semplice anche degli espedienti alla portata di tutti, che impattino meno sull'ambiente e ci permettano di liberarlo dal giogo dell'insostenibilità. Proviamo a schematizzare la vita di una famiglia degli anni Dieci del XXI secolo: nella migliore delle ipotesi (e crisi permettendo) si lavora mediamente in due, i bambini – se non ci sono nonni o baby sitter – frequentano l'asilo nido fin da piccoli e poi la scuola dell'infanzia e primaria con orari prolungati tutti i giorni o quasi, fino a metà pomeriggio. Il resto del tempo lo ano facendo i compiti, a volte con persone esterne alla famiglia o con i nonni, che contribuiscono spesso in modo sostanziale alla gestione quotidiana delle attività, oppure svolgendo qualche occupazione extrascolastica: uno sport, lo studio di uno strumento musicale, un gruppo ricreativo. La mattina presto e la sera sono gli unici momenti in cui ci si incontra in famiglia tutti insieme: in genere entrambi i genitori lavorano fuori casa e il tempo da dedicare alle faccende domestiche o alla preparazione dei pasti è estremamente limitato. I papà in genere, almeno in Italia, producono il reddito principale della famiglia, mentre le
mamme, il più delle volte, hanno attività professionali più concilianti e sono più presenti, ma i ritmi sono sempre incalzanti. La variabile tempo è dunque una delle più pressanti per la quotidianità delle famiglie medie. Mi piacerebbe essere smentita, ma quando si vanno a prendere i bambini a scuola si vedono scene assurde nel tentativo di occupare l'ultimo parcheggio libero e ogni auto porta e va a prendere un solo bambino. Spesso faccio parte del campione, ma mi piacerebbe imparare a gestire la fretta, a dominarla e a non farmi sopraffare. La nostra è una società che non rispetta molto la famiglia e la famiglia, purtroppo, si è adeguata. I fine settimana sono quasi per tutti dei momenti di recupero, in cui si può dedicare spazio a incontrare gli amici e ad attività di svago e tempo libero, ma al sistema famiglia di oggi mancano sempre di più quei punti di riferimento che costituiscono una valvola di sfogo positiva, uno spazio di incontro condiviso e non ideologico, che non si riconosca necessariamente in un partito o in una fede. Il bisogno di comunicazione c'è, ma deve essere un po' alleggerito perché lo stress quotidiano non ci permette di complicarci ulteriormente la vita con impegni gravosi. Le parrocchie, i sindacati, i partiti e tutti quei luoghi che, oltre che importanti movimenti o comunità di fede, sono stati la connessione del tessuto sociale in cui si sono formati i nostri genitori, sono ancora linfa vitale per molti. Le forme di democrazia partecipata, di impegno civico o di adesione a una fede hanno influenzato anche la nostra educazione e rimangono opportunità di crescita per la cittadinanza e di conseguenza per le famiglie. Sembra però necessaria una forma di adesione e di condivisione più leggera, che si affianchi alla partecipazione tradizionale e che possa essere davvero alla portata di tutti, restituendo ossigeno alla comunità. Quale strada percorrere allora? Abbiamo bisogno di leggerezza, di relazioni positive e rigeneranti che facciano vibrare le corde del futuro, che diano colore ai nostri quartieri. Avvicinarsi in punta di piedi a uno stile di vita più sobrio ed ecologico è una delle strade che siamo chiamati a percorrere da cittadini lungimiranti che pensano al futuro dei propri figli prima che a miopi vantaggi nell'immediato.
Farlo assieme ad altre famiglie, creando dei gruppi informali, che si legano in modo leggero, senza troppi vincoli valoriali, è la chiave vera del cambiamento. La follia del presente è quella di darci il superfluo per toglierci il pane e il futuro: la nostra generazione ha ora il compito di cambiare rotta, di generare abitudini virtuose e di condividerle, di preservare il desiderio di crescere attraverso piccole azioni quotidiane che hanno il sapore della decrescita, di vivere bene e di circondarsi di cose belle e di condividerle.
La relazione tra famiglie: opportunità per la svolta ecologica
Se riusciamo a conciliare i nostri bisogni di relazione e di senso con le necessità dell'ambiente, possiamo avviare un cambiamento rivoluzionario, che si realizza con una semplicità disarmante, attraverso un percorso graduale, fatto di piccoli gesti, azioni quotidiane, persone che si danno una mano. Potremo così contribuire a diffondere a macchia d'olio idee semplici per un modo nuovo di organizzare la quotidianità. Chi ci aiuta in tutto questo? Abbiamo a disposizione il più grande potenziale comunicativo, invidiabile per qualsiasi multinazionale, denso di futuro e impregnato di positività: i nostri figli, che ogni giorno ci fanno interrogare sulle scelte più opportune, possono essere lo stimolo vero a cambiare e ad assumere comportamenti e abitudini che loro stessi faranno propri, esattamente come noi ci siamo abituati al cibo industriale e alle merendine confezionate senza fare una piega. L'ecologia non fa notizia. Certo, va di moda, soprattutto perché molte aziende di grosso calibro o multinazionali si danno la cosiddetta “mano di verde” , proponendo linee di prodotti ecologici che non sono male di per sé, ma che rientrano nelle stesse logiche di mercato in cui c'è tutto il resto, e rispondono al bisogno di sentirsi più ecologici più che di capire davvero cosa si sta acquistando. La diminuzione dell'impatto ambientale attraverso l'alimentazione, la mobilità, la cura della persona può diventare l'essenza delle nostre abitudini, ando attraverso ogni azione quotidiana, incluso l'acquisto, ma è permeata di sobrietà, di essenzialità, di autoproduzione. Ed è in definitiva una via per vivere in salute, per migliorare la qualità della nostra vita, per consumare meno. Maurizio Pallante, fondatore del Movimento per la Decrescita Felice sostiene che tutto ciò che ci capita di vivere si può ascrivere a questi temi:
“L'ambiente è tutto. Ogni aspetto della nostra vita è riconducibile all'ambiente: salute, trasporti, edilizia, agricoltura, rifiuti. La qualità della nostra vita è ambiente. Ci vogliono convincere che la vita è merce, che vale per il numero di
anni che viviamo, come merce che si valuta al peso. La qualità non è un valore in sé. Siamo l'unico essere vivente che non vive a rifiuti zero.”
Ogni volta che apriamo il portafoglio, che andiamo a fare la spesa, che mangiamo, che accendiamo il riscaldamento o il condizionatore, che compriamo o buttiamo un giocattolo diciamo sì o no a un certo modo di produrre e consumare, con tutte le conseguenze del caso. Non abbiamo scampo, per certi versi, perché siamo dentro un sistema, ma allo stesso tempo rivendichiamo anche un grande desiderio di felicità e di benessere, di relazioni soddisfacenti e gratificanti, che possano coronare il sogno di famiglie che diventano solide e piene di futuro in una terra pulita e ospitale. La strada dei legami leggeri, vivi e corroboranti, si fa sempre più concreta e lungimirante. Essere soli nel cambiamento è difficile e forse anche controproducente: ci si sente come una mosca bianca, incompresa e tacciata di alternativismo. Ci si sente insomma un po' diversi ed è difficile, in un mondo che rema contro. Un mondo che ti dice che più latte e meno cacao è meglio per tuo figlio, che pochi salti in padella ti danno la felicità, che ti fa credere che ti servano un mucchio di cose perfettamente inutili, il cui bisogno è indotto da un marketing potente, subdolo e antiecologico. Nicole Foss, un'economista atipica e indipendente, co-editrice di “The Automatic Earth”⁷, sostiene che la sclerosi del nostro sistema, ostaggio degli interessi di pochi, potrà essere trasformato solo dal basso, creando reti virtuose tra i cittadini.
“Dobbiamo costruire sistemi alternativi che abbiano una dimensione che consenta l'instaurarsi di rapporti di fiducia tra le persone: piccoli, non burocratici, che facciano l'uso migliore della quantità minima di risorse. […] Potremo almeno assicurarci l'essenziale: è incredibile quello che si può riuscire a fare con poco. […] Dobbiamo iniziare a lavorare con i nostri vicini, conoscerli, collegarci alla comunità, dipendere meno dai soldi: in futuro le relazioni di fiducia faranno davvero la differenza.”⁸
È ora di prenderci per mano e di provare a fare una virata: se non sappiamo da che parte cominciare, iniziamo da noi stessi, senza temere di far vacillare le nostre credenze. Cambiare idea e voltare pagina sono, a volte, delle esperienze piene di vita e di significato. Farlo con dei compagni di viaggio rende il cammino denso e profondo, divertente e leggero, ricco di imprevedibili avvenimenti che scardinano qualsiasi certezza. Perché la famiglia e non la persona? Perché la famiglia è il prototipo della relazione, è il grimaldello che ti mette in connessione con la società ed è ciò che genera e garantisce il futuro. Se vivi il cambiamento assieme ad altri, condividi le scelte e le discuti, svisceri ogni aspetto fino a comprenderne, senza condizionamenti, i pro e i contro, liberandoti dalla presa dell'immagine o dalla patina del “dover essere” o “dover sembrare”. Buttare all'aria miti di ricchezza e spreco dovrebbe essere il nostro mantra. Da un po' di tempo nutro questi pensieri, forse perché vivo ogni giorno queste dinamiche assieme ad altre famiglie che hanno stabilito, magari in maniera inconsapevole, connessioni virtuose positive e piene di valore, seminando per sé e per i propri figli. Molte teste, molte idee, molti bambini: tutti gli ingredienti per cercare soluzioni ottimali, per vivere e diffondere stili di vita più sostenibili, per noi e per il nostro territorio, positivi per l'economia e favorevoli per la salute. Le stesse esperienze si diffondono a macchia d'olio, grazie alle chiacchierate con mamme della scuola e dei giardinetti, o grazie alla condivisione delle esperienze sui blog e sui social network. È da questo tessuto che nascono i gruppi d'acquisto solidale e gli orti condivisi; il piedibus e la cittadinanza attiva per la mobilità sostenibile; gli swap-party , gli scambi e i baratti tra famiglie; la condivisione di esperienze di autoproduzione e di creatività; lo scambio di competenze e il lavoro condiviso, il cohousing¹ e la solidarietà di quartiere. Opportunità che hanno il sapore dell'innovazione e che racchiudono i semi del cambiamento.
Il valore della sobrietà e del vivere semplice: un viaggio delicato, senza assolutismi
I contadini un tempo erano abituati al ritmo della vita e delle stagioni, usavano tutto, non buttavano via niente, consumavano il necessario. Possiamo noi, prodi genitori del ventunesimo secolo, che viviamo in appartamenti e in quartieri di città, recuperare almeno in parte lo spirito di sobrietà di chi ci ha preceduto? La sobrietà non è una tortura o una sadica rinuncia ai piaceri della vita. Essere sobri non significa nemmeno essere smunti e tristarelli. Probabilmente siamo abituati alla ricchezza (o al conclamato benessere) e al volere-potere come mete a cui tendere, che testimoniano successo, realizzazione personale e professionale e danno una patina di fascino. Affrancarsi da quel genere di dinamiche ci rende straordinariamente liberi. Con il nostro vivere semplice e spregiudicato¹¹ possiamo iniziare un viaggio delicato, pieno di opportunità, che ci fa ricominciare da noi stessi, liberandoci da mille condizionamenti. Credo che l'unico modo per iniziare a vivere in modo sobrio e semplice sia camminare in punta di piedi, facendo un'autocritica intima e personale alle nostre abitudini quotidiane, alle scelte che riguardano tutte le sfere dei nostri consumi. Ma non possiamo permetterci assolutismi, né sensi di colpa perché siamo dei genitori. L'equilibrio e il buon senso devono per forza animare i nostri i, con la consapevolezza che l'eccesso di zelo non è una virtù ma un vizio. Abbiamo una famiglia e dobbiamo andare avanti con sicurezza e determinazione: il downshifting¹² radicale non può fare al caso nostro. Solo interrogandoci profondamente sul senso delle nostre azioni e delle nostre scelte possiamo valutare se c'è terreno fertile per cambiare e trovare il nostro o. Non possiamo andare al o di un altro, questo è certo. Il cambiamento verrà di conseguenza, grazie a tutte le piccole e silenziose abitudini che apporteremo nella nostra famiglia, interpretando a modo nostro idee e stimoli, condividendoli con altri genitori e cercando di darne diffusione, creando un circolo virtuoso positivo fatto di buone pratiche, piccole e grandi idee e stratagemmi che faranno la differenza.
Ecologia e bellezza
La sobrietà spesso viene confusa con un ripiego, la semplicità con una soluzione discount, un compromesso per ciò che non posso avere. Il o da fare, a mio parere, è differente. Circondarsi di cose belle deve rimanere una possibilità per tutti e l'ecologia è ricca di una bellezza singolare e unica. Il riciclo creativo, i pezzi unici che troviamo nei negozi dell'usato, gli oggetti barattati che raccontano una storia, i beni semplici fatti con materiali rinnovabili o autoprodotti, valgono molto di più di mille oggetti fatti in serie; e non insultano la miseria al pari di oggetti unici di grande lusso. Gli ambientalisti poi non sono una specie a sé: è gente che vive, lavora e mangia, gente che non rinuncia allo stile e al buon gusto e nemmeno ai piaceri della vita; è gente che spesso fa un percorso graduale e che accetta qualche compromesso. Ecologia, sobrietà e bellezza fanno parte di un'unica prospettiva che guarda al futuro con speranza e positività.
Testimonianza: “La Casa sull'Albero” ovvero perché fare rete fa la differenza
“La Casa sull'Albero” è un'associazione che ha saputo creare una rete tra famiglie, operando nel settore dei minori in difficoltà. Vi raccontiamo l'esperienza di una rete solidale che accompagna ragazzi e famiglie che si trovano in difficoltà, per sostenerli nel loro percorso di crescita. Tale associazione, che ha preso vita dalla storia di una comunità educativa di accoglienza, cerca di tessere legami positivi nel territorio di appartenenza, coinvolgendo i cittadini, con l'obiettivo di educare, insieme, i figli propri e quelli degli altri.
“Il mondo non lo abbiamo ereditato dai nostri genitori, ma preso in prestito dai nostri figli”¹³. Quando ci si propone un cambiamento, si devono mettere in conto varie tappe attraverso le quali conseguirlo. La nostra storia ne conta più di una ed è un'emozione ripercorrerle ogni volta con chi ha voglia di ascoltarne il racconto. Quando ormai 18 anni fa abbiamo deciso di intraprendere l'esperienza di accoglienza di ragazzi presso la Comunità educativa “Alibandus”, ci siamo fatti guidare verso una direzione. Il centro. Il centro della città innanzitutto, che doveva rappresentare il luogo per eccellenza, in cui i ragazzi che si trovavano in difficoltà nelle loro famiglie potevano trovare un loro spazio di vita e riappropriarsi del loro benessere, grazie alla cura e alla protezione dei concittadini stessi. Per questo, i ragazzi preadolescenti e adolescenti che fin dal 1994 hanno abitato la casa della Comunità hanno vissuto tra le viette del centro storico. Piccole sentinelle che non lasciavano indifferenti coloro che avevano modo di incrociare. Una Comunità con stile familiare era ben diversa dal vecchio istituto, in cui, a quei tempi, si pensava ancora che i ragazzi “più sfortunati” avrebbero dovuto stare. L'altro centro era il lavoro, con i ragazzi e le loro famiglie, in maniera individualizzata. Ci sentivamo dentro ad un cambiamento storico nei servizi di tutela, mettendo tutta l'energia affinché ogni
singola storia potesse uscire dall'anonimato dell'istituzionalizzazione e ricevesse finalmente delle risposte adeguate ai bisogni personali. Già i primi i di questa esperienza educativa venivano compiuti in compagnia di tanti volontari e amici, che entravano e uscivano dalla Comunità, dove non c'erano le sbarre alle finestre, come qualcuno si immaginava e ci ha raccontato, dopo un po' che ci aveva conosciuto. Ma tutto questo non bastava. Non era sufficiente. Le relazioni con i ragazzi e le loro famiglie erano ancora troppo difficili, strette in un rapporto ancora molto formale con il Servizio Sociale Pubblico e la Comunità, quest'ultima vista soltanto come un dolore da parte delle famiglie stesse. Di qui la necessità di cambiare. Di lanciare una sfida. Mettere in pratica ciò che l'appartenenza al CNCA (Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza) ci aveva offerto e permesso di maturare in più occasioni formative. Prendere in prestito e adattare alle nostre città lo slogan, tratto dal proverbio africano, “Ci vuole tutta una città per far crescere un bambino”. Questo motto ci ha accompagnato in un sogno. La realizzazione di una nuova Comunità, più bella, spaziosa e dignitosa con l'aiuto di tutti. Nasceva così “La Casa sull'Albero”, in un vecchio rustico che abbiamo ristrutturato grazie alla raccolta fondi sostenuta da tantissimi cittadini. Grazie ad un semplice aparola in molti hanno colto l'importanza di questa impresa e ne hanno voluto fare parte. L'accoglienza trovava in questo modo una casa condivisa. A questo punto si sono aperte molteplici direzioni, così numerose come mai le avevamo percorse prima, verso famiglie fuori e dentro la città, verso vicini di comunità della stessa via o di quella più in là. Verso Servizi Sociali vecchi e nuovi. Verso gruppi, altre associazioni, parrocchie, scuole, fino a creare una rete il più solidale possibile, dove professionalità, accoglienza e ione convivono. Ci siamo messi in gioco per una guerra alla solitudine che crea isolamento ed esclusione sociale, che impedisce alle persone di interagire e di sentirsi sostenute da una parola amica, confortevole, nei contesti difficili che la vita prima o poi ci mette davanti. Ci siamo costituiti come associazione di “cittadini in crescita”, sperimentando attività di volontariato e di vicinanza solidale, in particolare verso i ragazzi che accompagniamo nei progetti educativi con le loro famiglie, così da offrire loro valide opportunità di sviluppo e di crescita fiduciosa nelle proprie possibilità. La Comunità e gli altri servizi educativi della Cooperativa di cui la Comunità fa parte, che si sono sviluppati nel tempo, sono le radici solide di questa associazione. Perché è proprio in chi fa più fatica, ma che più di tutti affronta a maggior ragione con coraggio le proprie giornate, che crediamo stiano la bellezza di relazioni mai scontate e sempre capaci di provocare nuove
domande. La rete solidale di famiglie e cittadini che cresce intorno a loro è come un giardino per una casa. È vitale e dà luce a ciò che si è, e che per nessun motivo deve restare oscurato e nascosto in una società civile e accogliente.
¹ http://www.footprintnetwork.org/en/index.php/GFN/
² http://en.wikipedia.org/wiki/Ecological_Debt_Day
³ http://bit.ly/wbbWqw
⁴ http://bit.ly/xOwi9K
⁵ Marco Tuggia, Non di solo mamma e papà vivono i figli, Armando, 2009.
Greenwashing (letteralmente “lavaggio verde”) è un neologismo indicante l'ingiustificata appropriazione di virtù ambientaliste da parte di aziende, industrie, entità politiche o organizzazioni finalizzata alla creazione di un'immagine positiva di proprie attività (o prodotti) o di un'immagine mistificatoria per distogliere l'attenzione da proprie responsabilità nei confronti di impatti ambientali negativi. Il termine è una sincrasi delle parole inglesi green (verde, colore dell'ambientalismo) e washing (lavare). (fonte: Wikipedia).
⁷ http://theautomaticearth.org un sito che integra ambiente, finanza, politica, psicologia e demografia.
⁸ Intervista a Nicole Foss: “Terra Nuova”, n° 269, febbraio '12. Intervista intergrale in inglese: http://youtu.be/nFwAxK1GyPE
Gli swap-party sono incontri per barattare oggetti, vedi cap. 7.
¹ Cohousing: modalità di abitare condividendo alcuni servizi con amici o vicini.
¹¹ Vivere semplice e spregiudicato è il titolo di un bellissimo blog di una mamma romana: http://www.vivere-semplice.org
¹² Downshifting significa letteralmente “scalare la marcia”.
¹³ Autore ignoto (attribuito ai nativi americani).
II
Consumi di qualità, ecologici, economici, sostenibili
Non pretendiamo più nulla dalla Terra. Facciamo di più con ciò che la Terra ci offre. Gunter Pauli, Blue Economy
Supermercato? Ho quasi smesso
Prendiamo un sabato pomeriggio, in una zona commerciale: parcheggi a più piani, negozi, cupoline per i carrelli, viavai di gente. Hai una famiglia, lavori tutta la settimana, il frigo è quasi vuoto: non hai molte alternative se non fare una spesa abbondante una volta ogni tanto e ottimizzare i tempi. Fai un elenco grossolano di quel che manca in casa e riempi il carrello. Se il tuo conto è strozzato dalla crisi i al discount, se sei un po' più tecnologizzato (e la città in cui vivi lo consente) fai la spesa online e te la fai recapitare a casa. La lista della spesa è sacrosanta, ma sfido chiunque a rispettarla. Se entri con i bambini è ancora più difficile, devi preparare prima una piccola trattativa, definire accordi e concessioni possibili. L'incontro ravvicinato del terzo tipo avviene con merendine dotate di regali specialissimi sugli scaffali sotto al metro di altezza, prodotti dalle confezioni allettanti che attirano i bambini. È normale, anzi previsto, acquistare molto più di ciò che ci serve, a volte prodotti poco nutrienti, che ci danno quasi dipendenza. Per comodità si comprano spesso cibi precotti o surgelati, dotati di una praticità ormai irrinunciabile. Io ho smesso. E ho smesso anche con gli acquisti in saldo, a fine stagione, quando tutti i negozi sembra che stiano catastroficamente per chiudere: avete mai notato i mega cartelloni “liquidazione totale” che fanno preludere all'apocalisse? Poi entri e trovi le cose delle stagioni ate. Non dico che non siano convenienti, anzi, è di sicuro il momento migliore per comprare. Ma ti spingono ad acquistare molto più del necessario a colpi di sconto. Non siamo tutti uguali: c'è chi per rigore personale, per attenzione al portafoglio, o per mille altri motivi si limita negli acquisti e c'è chi adora fare shopping, pratica che è diventata una valvola di sfogo, un piacere più o meno compulsivo o un semplice divertimento. Non voglio giudicare, anzi! È però innegabile che, mentre la crisi dilaga, si sente dall'alto una pressione sempre maggiore a comprare: sconti, offerte, promozioni, saldi in periodi improbabili. Ci viene propinata l'idea che il nostro compito, per il rilancio dell'economia, sia quello di comprare, possibilmente in abbondanza. Persino i più autorevoli e stimati rappresentanti delle nostre istituzioni parlano della rinascita del nostro Paese alludendo quasi esclusivamente alla crescita e al rilancio dei consumi. Siamo sicuri che non ci siano altre vie che possano portare al benessere?
La morbosità negli acquisti di cibo è qualcosa di incomprensibile. Ci scivola un po' dalle mani, come se fosse difficile gestire anche un aspetto della quotidianità che in apparenza è molto banale. Si mangia per crescere e per vivere, si mangia con gusto e con piacere, ma le conseguenze dei nostri pasti sono devastanti, non solo per il nostro bilancio famigliare, ma anche per l'ambiente. Se verifichiamo la provenienza degli ortaggi esposti nei supermercati, per fare un esempio, è molto facile incontrare prodotti provenienti dall'orto d'Europa, la Spagna, oppure dal Marocco, anche se ci troviamo in un territorio ricco di coltivatori e con una produzione agricola adeguata alle nostre necessità. Il mercato invece (cioè noi) chiede i pomodori a dicembre o le zucchine a febbraio. Il piccolo ortolano della pianura padana non potrà mai averli o competere con una produzione su vasta scala. Il fatto è che queste scelte non sono solo uno sfizio: fanno parte dei pasti delle mense scolastiche e degli ospedali, sono ingredienti immancabili nei ristoranti e nelle pizzerie e noi ormai non sappiamo nemmeno più quali sono le verdure o la frutta di stagione. Compriamo e basta, facendoci guidare dalla voglia. Io fino a poco tempo fa facevo ampiamente parte di questo campione e quando facevo la spesa sceglievo la verdura seguendo il desiderio del momento e l'istinto, più che la stagionalità del prodotto. E questo perché, banalmente, non facevo il minimo caso a questi aspetti. Un'amica tempo fa mi portò un lecca-lecca, di quelli morbidi e ricoperti di zucchero, per farmi notare che era prodotto in Cina. Avevo bisogno anche di quello perché adesso faccio molto più caso alla provenienza del cibo! Provo a farlo anche per gli altri beni di consumo, e proprio perché frequento poco i negozi mi è possibile. È molto arduo ad esempio comprare una maglietta – tanto per fare un esempio – che non venga dal Bangladesh o dalla Cina o dall'India a prezzi popolari. La globalizzazione è nelle nostre case e l'acquisto a chilometro zero di articoli di abbigliamento e calzature è davvero difficile da realizzare, per non parlare del fatto che qualsiasi capo d'abbigliamento “made in Italy” costa di più, con il dubbio che in Italia venga solo stirato e confezionato. Di rado un paio di jeans sono prodotti localmente con criteri di sostenibilità e – nel caso – non li paghi certo venti euro. Lo stesso vale per l'abbigliamento da bambino: è molto più facile acquistare felpe, magliette e biancheria presso grandi magazzini monomarca che garantiscono una buona qualità con prezzi decisamente accettabili, e a volte persino competitivi. Ma anche qui, qualche alternativa è possibile.
Come possiamo trovare il modo per aquisire una maggiore coscienza e un minimo di conoscenza rispetto a ciò che entra nelle nostre dispense, nei nostri frigoriferi, nei nostri armadi? E soprattutto, come possiamo modificare il nostro modo di fare acquisti, pur garantendo alla nostra famiglia quello di cui ha bisogno? In qualche modo sono riuscita a prendere un'altra strada, più umana, meno stressante, molto comoda, con una qualità maggiore e costi accettabilissimi. Non sempre, non in tutto. Ma credo che riflettere prima di comprare possa aiutarci a diminuire il nostro impatto ambientale e a stare comunque bene. I miei problemi sono l'impazienza, la fretta, la sensazione di aver bisogno di determinate cose: anche perché è molto facile confondere i bisogni primari con quello che ci viene ricamato attorno. Magari molti economisti potranno smontare questa tesi, ma io sono convinta che se continuiamo a comprare sulla base di bisogni indotti, più che di necessità reali, non volteremo mai pagina sul tema dei consumi. Il modello di economia a cui apparteniamo è fondato sulla crescita. Facciamoci un pensiero: obiettivamente, si può solo e sempre crescere? Siamo in recessione perché non cresciamo? È arrivato il momento di rendersi conto che il benessere e il bilancio della nostra famiglia devono slegarsi dalle logiche dell'aumento del Prodotto Interno Lordo, del vestito griffato o della convinzione per cui determinate tendenze facciano davvero la differenza nella nostra vita. Il piacere di comprare cose belle e utili non deve essere soffocato a tutti costi. Si può trovare un compromesso, pur circondandosi di cose gradevoli e rispettando le nostre necessità. Le soluzioni ci sono: consumo critico, gruppi d'acquisto solidale, autoproduzione, beni durevoli.
Consumo critico
Alcuni anni fa si è diffuso anche in Italia il consumo critico, cioè la tendenza ad acquistare valutando in primo luogo le proprie effettive necessità e scegliendo i prodotti in base a qualità, metodi di produzione, sostenibilità ambientale del processo produttivo e fine vita del prodotto. I consumatori critici, prima di acquistare, cercano di capire da dove viene un bene e come viene realizzato, con quali materie prime, con quale valorizzazione dei lavoratori che lo producono, cercando di prescindere dalla comunicazione e dalla pubblicità. In alcuni casi il consumo critico è diventato anche un po' riduttivo e si è concentrato molto sui boicottaggi, diventando un non-acquisto più che un consumo consapevole e proattivo, che punti al cambiamento. Ogni oggetto è trasportato, produce emissioni e può diventare potenzialmente un rifiuto. L'imballaggio, lo smaltimento a fine vita, il trasporto, nel caso provenga da lontano, sono tutti piccoli tasselli che raccontano una storia. Non è sempre facile reperire informazioni, ma con un po' di impegno si può avere un'idea più chiara di ciò che troviamo negli scaffali dei negozi. La perfezione forse non esiste e non esisterà mai, ma acquistando in modo critico si testimonia anche politicamente la propria opinione, si riesce a dimostrare la propria adesione a un modello di consumo con delle conseguenze concrete. Il nostro portafoglio è un'arma non-violenta molto potente. Nei canali convenzionali è sempre più difficile trovare beni di consumo che garantiscano criteri di sostenibilità etica e ambientale. Vai a comprare un detersivo e ti ritrovi due corsie di prodotti di cui non conoscevi nemmeno l'esistenza. Magari ti bastava un unico flacone per lavare la biancheria e invece trovi: sbiancante, antimacchia per capi delicati, detersivo per capi scuri, anticalcare, ammorbidente, igienizzante, detersivo e ammorbidente tutto in uno; di tutti i prodotti c'è quello in polvere e quello liquido, quello di marca e quello al prezzo più basso, quello biologico e quello ecologico e biodegradabile. Un delirio di cui non abbiamo bisogno. Eravamo lì giusto per un detersivo per la biancheria. Negli alimentari la cosa si ripete. Centinaia di prodotti a disposizione, ma che
motivo ho di acquistare un prodotto da forno, confezionato dall'altra parte dell'Italia, se a pochi i da casa mia ci sono piccole aziende alimentari che producono e distribuiscono prodotti simili? Queste ultime forse sono costrette a lavorare come terziste con grossi gruppi di distribuzione e guadagnano pochissimo perché sono il primo anello della filiera e a loro ne seguono fin troppi. Se i consumatori bussassero alla porta di piccoli produttori indipendenti, invitandoli a vendere (anche) direttamente, potrebbero diminuire gli anelli della filiera, si contribuirebbe a rinvigorire l'economia del proprio territorio, a diminuire il trasporto di merci e quindi l'inquinamento locale e la produzione di emissioni. La valorizzazione del tessuto locale è uno degli strumenti di consumo critico alla nostra portata. Il fattore tempo si può aggirare con un po' di organizzazione, come vedremo più avanti. Si tratta di soluzioni possibili o di semplice realizzazione, che hanno una serie di vantaggi nelle relazioni umane, nella gratificazione personale e nella qualità del tempo speso che difficilmente trovano paragoni.
Gruppi d'acquisto solidale
Il gruppo d'acquisto solidale (g.a.s.) è una soluzione per comprare cibo e altri beni di ottima qualità, rispettando il criterio della filiera corta. Accanto a una nuova modalità di acquisto, chi si organizza in gruppi di questo tipo cerca anche di approfondire, attraverso incontri o riflessioni, temi relativi ai consumi, all'alimentazione e all'ambiente in genere. La sostenibilità è uno dei punti chiave dei g.a.s., che si rivolgono direttamente ai produttori organizzando l'acquisto con distribuzioni dedicate ai propri soci. Grazie a questi gruppi si comprano prodotti che provengono da agricoltura e allevamenti biologici o prodotti trasformati il più possibile in loco. Laddove questo non è possibile si cerca di rispettare comunque il criterio di attenzione al produttore e all'ambiente, ottimizzando i trasporti e la gestione degli ordini. È una rete di consumo alternativo che ha molte qualità e vantaggi, ma che comporta anche un impegno, un dispendio di tempo che i singoli sono tenuti a offrire al gruppo: se tutti fanno qualcosa, mettendo a disposizione le proprie competenze e il proprio tempo, la piccola organizzazione del g.a.s. può funzionare in modo esemplare, garantendo tutti i requisiti di sostenibilità, costi contenuti, filiera corta, massima qualità dei prodotti. Il g.a.s. non è solo consumo critico: l'idea è di introdurre anche una sorta di etica nella spesa, di umanizzarla, di fare in modo che i consumi siano permeati di relazioni umane, di legami, di vita. Ci si allontana così in modo stupefacente dai carrelli pieni di scatole, dalle file coi beep alla cassa e dai parcheggi congestionati degli ipermercati. Anche alle distribuzioni del g.a.s. talora si fa la fila, ma è una bellissima occasione per chiacchierare e far giocare i bambini, scambiarsi ricette o consigli di cucina. È un tempo pieno di vita, fatto di relazioni leggere ma rincuoranti, che si elevano dall'anonimato sociale e dalla noia della quotidianità. Comprando senza intermediari dai produttori i prezzi d'acquisto oltretutto si riducono, perché si saltano molti anelli della filiera e si abbatte l'intermediazione commerciale del grossista o del distributore e del negozio. Si accorciano inoltre i tempi di consegna: il raccolto del giorno prima finisce nelle cassette, non fa strada in un container o in un camion per essere consegnato. Niente gasolio,
niente pallet (il più delle volte), niente muletti e sponde idrauliche per la consegna, niente borse usa e getta per la spesa, ma solo cassette riutilizzabili o sacchetti di cotone. Si accorciano le distanze tra produttori e consumatori, si diminuiscono le emissioni di CO2 e i consumi di fonti fossili, si migliora la qualità dell'ambiente e dei prodotti, si mangiano alimenti più sani, appena raccolti e provenienti da coltivazioni che rispettano standard di qualità molto alti, come quelle biologiche, e che garantiscono anche al produttore l'equa retribuzione per il suo lavoro. Secondo il rapporto di Bio Bank, dal 2008 al 2011 i gruppi di acquisto solidale sono quasi raddoppiati, ando dai 479 del 2008 ai 742 del 2010. Nell'arco di tre anni i g.a.s. sono aumentati del 55% soprattutto nelle regioni settentrionali¹. Probabilmente sono molti di più, dal momento che molti gruppi non sono registrati alla rete nazionale dei g.a.s. Alcuni si formalizzano in associazioni di promozione sociale, altri rimangono gruppi informali e proseguono per anni le loro esperienze di acquisto, talvolta aggregandosi ad altri gruppi della stessa zona per gli acquisti più ingenti o laddove un produttore abbia la necessità di fare maggiore economia di scala. Ma come si fa? Da dove si comincia per creare un g.a.s.?
Come nasce un gruppo d'acquisto
Probabilmente non c'è un unico modo per creare un g.a.s. Quello di cui faccio parte è nato da un progetto scolastico (di cui parlo nel capitolo 3) voluto da un gruppo di genitori che ha approfondito i temi dell'alimentazione biologica: è stata la messa in pratica dei contenuti che avevamo affrontato e degli stimoli offerti negli incontri di approfondimento organizzati attraverso il progetto. Una nuova modalità di approvvigionamento di prodotti di consumo quotidiano, che diventa il modo più semplice per mangiare cibo biologico e locale, acquistare detersivi e altri prodotti per la cura della persona, scarpe e altri beni senza spendere una follia ma garantendo la qualità e la sostenibilità degli acquisti. Per avviare il g.a.s. una decina di famiglie ha iniziato ad acquistare da due produttori locali, uno di ortaggi biologici e l'altro di formaggi freschi e prodotti da forno (pane, dolci, biscotti). Il promotore del gruppo ha messo a disposizione una stanza momentaneamente inutilizzata di casa sua, che è diventata, per il primo periodo, il punto di distribuzione. Gli ordini venivano raccolti via email con un foglio elettronico da compilare a cura delle dieci “famiglie pilota” e ati poi ai due produttori. Ci davamo delle scadenze: invio listini entro il giovedì, raccolta e aggregazione ordini da parte del referente entro sabato e invio ai produttori. Infine la distribuzione, che avveniva di martedì sera, per un'oretta. Fin dall'inizio alcuni papà volenterosi hanno aiutato nella gestione della cassa: ogni famiglia aveva un numero e la spesa arrivava con la cassetta numerata. Spendemmo circa dodici euro a famiglia per i nostri imballaggi alternativi: due cassette di plastica per l'ortofrutta e due sacchetti di cotone per pane e formaggi; una cassetta la ritiravamo piena, l'altra la riconsegnavamo vuota al punto di distribuzione. Le dieci famiglie che dovevano fare il rodaggio iniziale si moltiplicarono rapidamente e in poche settimane divennero quaranta. Un amico, un parente, un conoscente, altri genitori che avevano partecipato agli incontri di
approfondimento chiesero di entrare nel “gruppo di prova”, che crebbe rapidamente e con grande entusiasmo condiviso. Fu necessario darsi un'organizzazione migliore in tempi brevi. Le distribuzioni furono quindi spostate nel portico della scuola che aveva dato la disponibilità a sostenere il progetto. Ci dotammo inoltre di un programma per fare gli acquisti online: la disponibilità di un paio di genitori esperti fu fondamentale per trovare un software e spiegare agli utenti come utilizzarlo. Adottiamo Gestigas², un programma che fa parte del progetto E3G, un software libero che viene rilasciato sotto licenza GPL (General Public License), talvolta definita licenza di copyleft. Ciò permette a chiunque di scaricarlo, utilizzarlo, modificarlo e redistribuirlo liberamente, a condizione di mantenere la licenza originaria GPL: l'espressione “software libero” si riferisce infatti alla libertà dell'utente di usare e migliorare il programma³. Questo strumento facilita molto l'organizzazione: gli utenti fanno la spesa attraverso internet e il fornitore la può visionare e scaricare in tempo reale. Ci sono aspetti migliorabili ma rimane uno strumento fondamentale quando il g.a.s. aumenta di numero. All'interno del nostro, come di tutti i g.a.s., per ogni fornitore c'è un componente del gruppo che fa da referente e che tiene i rapporti col produttore: amministra gli ordini sia dal punto di vista informatico sia da quello operativo, è presente alle distribuzioni del “suo prodotto” e quando è necessario divide la merce per gli associati, gestisce eventuali problemi nelle consegne e le variazioni di listino. È un piccolo impegno, che permette al gruppo di andare avanti, di aumentare le referenze a disposizione di tutti, la varietà e la frequenza dei prodotti. Di norma i freschi si gestiscono settimanalmente, mentre gli alimenti non deperibili e tutto il resto hanno consegne sporadiche, a volte anche solo una o due volte all'anno. Dare la propria disponibilità come referenti significa anche entrare in contatto con il mondo del produttore, conoscerne i punti di forza ma anche le difficoltà, e trasferire agli altri componenti del gruppo moltissime informazioni importanti, legate alla produzione locale, ai rischi, ai limiti e al valore di determinate produzioni. La spesa degli utenti viene consegnata nella serata in cui si fa la distribuzione. A
volte il produttore è presente, fa quattro chiacchiere con le persone, raccontandoti magari che la grandine gli ha danneggiato le zucchine, e che quelle cicatrizzate le ha messe in cassetta, mentre le altre le ha date in pasto agli animali. Non ci sono marchi e loghi a fare da padrone e nemmeno un packaging attraente o alternativo. Ci sono persone che ti raccontano del loro lavoro, i padri putativi degli ortaggi o dei formaggi che mangi, che li hanno raccolti o preparati con le loro mani. La base del nostro acquisto è la cassetta settimanale di verdura e frutta di stagione. È anche il punto di forza del nostro g.a.s., per il suo significato di sostenibilità: in essa infatti sono contenuti ortaggi e frutta freschi, coltivati presso aziende biologiche: sono frutta e verdura locali, quindi in zona abbondano, e per questo ci viene riservato un piccolo “sconto g.a.s.”, rispetto al prezzo di listino. Claudio e Antonella, i produttori, inseriscono ogni settimana nel Gestigas la composizione delle cassette che sono di quattro tipologie: due grandi per famiglie numerose e due piccole, di sola verdura o di ortofrutta mista. È cibo di alta qualità, coltivato a un o da casa, raccolto il giorno precedente la distribuzione, e dotato di un'altra caratteristica: costa poco. Poco perché è locale e stagionale, quindi ce n'è in grande quantità. Dieci o venti euro di frutta e verdura per una settimana e per un'intera famiglia sono una sciocchezza. Ma hanno un valore straordinario nella tutela dell'ambiente e del territorio in cui vengono prodotti e consumati. Oltre alla cassetta ogni utente può acquistare quello che desidera, in aggiunta: altri ortaggi o frutta, legumi e cereali, o prodotti a disposizione del nostro fornitore di ortofrutta, che ha anche una piccola rivendita presso la sua azienda. Per le altre aziende invece, non essendoci eccedenze particolari in determinate stagioni, quando si apre l'ordine si può scegliere liberamente tra tutti i prodotti a disposizione. Fanno eccezione i prodotti derivati dal latte di capra perché nel periodo invernale questi animali danno il latte ai loro cuccioli. Un po' alla volta, grazie alla disponibilità degli utenti che partecipano al gruppo, abbiamo colmato quasi tutte le necessità delle famiglie: pasta, olio, riso e altri cereali in chicchi, farine, legumi, formaggi di vario tipo, frutta, verdura e prodotti da forno; ma anche detersivi, saponi, scarpe, libri, prodotti del commercio equo e solidale come zucchero, caffè e cioccolato, che non sono a chilometro zero ma hanno il merito di rispettare i lavoratori e le produzioni delle località in cui sono coltivate. E poi, ancora, prodotti vegetali alternativi (tofu,
seitan, ecc.), carne proveniente da allevamenti biologici, vino, miele, succhi di frutta e latti vegetali. Il criterio con cui scegliamo i produttori, consultandoci tra soci, è quello della qualità massima, prediligendo aziende biologiche certificate o in corso di certificazione, che lavorino il più possibile nel nostro territorio. Questo non è sempre possibile, ma nel caso in cui sia necessario rivolgersi ad aziende lontane lo facciamo sempre cercando di creare economia di scala, ad esempio aggregandoci ad altri g.a.s. per le consegne. È preziosa inoltre, tra i componenti del gruppo, la disponibilità a gestire i turni di distribuzione offrendosi per il servizio cassa. Poi c'è chi gestisce il sito, chi organizza corsi di cucina, chi si impegna nella divulgazione delle attività o nel tentativo di creare sinergie con altre realtà della zona. La presenza sul territorio è importante: si spostano i consumi e si valorizza l'economia locale, si diventa parte attiva di un cambiamento silenzioso ed efficace. Ma non è tutto: ci si conosce per nome, ci si saluta, si smette di correre per fare la spesa. Si ordina comodamente da casa e poi si ritira con tranquillità. I gruppi d'acquisto di solito sono caratterizzati da tre aggettivi: piccolo, locale, solidale. Su cosa significhi piccolo è tutto relativo. Ci sono gruppi di centinaia di utenti che muovono l'economia del loro territorio in modo considerevole. Altri rimangono di venti o trenta famiglie, con il vantaggio di conoscersi proprio tutti per nome, magari essere anche più flessibili in molte occasioni, ma con meno incisività a motivo dei numeri limitati. I rapporti sociali che intercorrono tra i componenti del g.a.s. si sottraggono alle logiche della competizione, quelle dei produttori alle logiche del prezzo e della concorrenza. Si instaura un rapporto di fiducia tale che se un produttore ti dice che il prezzo di un bene aumenta, ti fidi perché comprendi che sono aumentati anche i suoi costi. Sai che non fa giochetti di offerte o tre per due: ti vende quello che ha, nessuno se ne approfitta. Il fattore economico e meramente commerciale è superato grazie all'aspetto sociale e relazionale. E poi siamo famiglie normali, con lavori normali, che cercano di mangiar bene, di imparare qualcosa e in fondo di comunicare un po', di creare dei legami. Per me il g.a.s. significa anche amicizie, crescita personale, autoformazione. Non ha senso creare un gruppo d'acquisto per mangiare biologico a poco prezzo,
perché il fattore prezzo non può essere l'unica variabile che fa la differenza. La “s” di g.a.s. sta per solidale, il che significa che il tuo acquisto è un impegno a sostenere i produttori da cui ti stai approvvigionando, che se un giorno il raccolto del “tuo” contadino va male ti adatti un po', che se sei in un gruppo fai qualcosa, offri il tuo tempo e partecipi. Non è una cosa da poco nel quadro della totale spersonalizzazione in cui si trovano i nostri quartieri. In questo modo si incide sul territorio, si spostano i consumi verso logiche slegate dalla crescita a tutti i costi e al contempo si migliora il benessere, aumentando il tempo dedicato alla famiglia; perché anche andare a prendere la cassetta al g.a.s. è un bel modo di stare coi figli, di incontrare altri bambini. E si smette di lottare o di fare trattativa al supermercato per l'immancabile ovetto che ti scruta mentre sei in fila alla cassa. Una delle attività più piacevoli e interessanti che i g.a.s. organizzano sono le visite ai fornitori. Si tratta spesso di persone che hanno grandi competenze e che si raccontano con immenso piacere, aprendo le porte delle loro aziende e mostrando il processo con cui si coltiva o si realizza un prodotto. I nostri figli mangeranno quel formaggio o quel frutto conoscendone la storia, ricordando cosa è stato loro spiegato, richiamando alla mente il profumo del campo in cui affondano le radici degli ortaggi o la terra in cui hanno giocato con i loro scarponcini. E così il formaggio sarà quello del latte delle capre di Monica, il pane fatto con la farina di Marco, le carote e le patate di Claudio. Va da sé che i gruppi d'acquisto, e quindi i loro componenti e i produttori che li forniscono, non evadono le tasse: vengono emesse regolarmente fatture e scontrini fiscali. (vedi sotto). Attraverso il sito http://www.retegas.org/ è possibile verificare se nella propria zona è presente un gruppo d'acquisto e chiedere di farne parte. In alternativa, seguendo quanto riportato qui sopra, è possibile crearne uno, assieme ad amici fidati e con grande apertura, e cercando di condividere le nostre scelte.
I g.a.s. sono riconosciuti da una legge che ne regola le attività, contenuta
all'interno della finanziaria 2008.
Articolo 1 - Commi 266-268 Gruppi di acquisto solidale. Istituiti i gruppi di acquisto solidale. Le loro attività rivolte agli aderenti non sono commerciali ai fini Iva.
266. Sono definiti «gruppi di acquisto solidale» i soggetti associativi senza scopo di lucro costituiti al fine di svolgere attività di acquisto collettivo di beni e distribuzione dei medesimi, senza applicazione di alcun ricarico, esclusivamente agli aderenti, con finalità etiche, di solidarietà sociale e di sostenibilità ambientale, in diretta attuazione degli scopi istituzionali e con esclusione di attività di somministrazione e di vendita.
267. Le attività svolte dai soggetti di cui al comma 266, limitatamente a quelle rivolte verso gli aderenti, non si considerano commerciali ai fini dell'applicazione del regime di imposta di cui al decreto del presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n.633, ferme restando le disposizioni di cui all'articolo 4, settimo comma, del medesimo decreto, e ai fini dell'applicazione del regime di imposta del Testo unico di cui al decreto del presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917.
268. All'onere derivante dalle disposizioni di cui ai commi 266 e 267, valutato in 200.000 euro annui a decorrere dall'anno 2008, si provvede mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 5, comma 3-ter, del decreto legge 1º ottobre 2005, n. 202, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 novembre 2005, n. 244.
Alternative al gruppo d'acquisto
Questa interessante idea di condivisione e di relazione nell'acquisto critico ed ecologico ha però un limite: ci si deve ricavare del tempo. Potrebbe essere un punto di forza, dipende dai punti di vista. Vanno inoltre considerati gli aspetti logistici: se devo percorrere molti chilometri per raggiungere il g.a.s. più vicino a casa mia, forse si vanifica il concetto di filiera corta. Tempo e spazio, da sempre, sono le categorie che regolano la nostra vita, e questo caso non fa eccezione. Il g.a.s. funziona se ce l'hai vicino a casa e se almeno un componente della famiglia può dedicare del tempo, come referente, nel turno cassa, nella gestione delle comunicazioni tra gli utenti o nell'organizzazione di qualche incontro di approfondimento. In alternativa ci si può rivolgere in modo autonomo a produttori locali e cercare di acquistare quanto possibile presso piccoli negozi indipendenti che abbiano a scaffale anche prodotti biologici locali. La cosa migliore è iniziare a guardarsi intorno, cercando nelle pagine bianche, ma soprattutto osservando le zone di periferia, provare a visitare cascine e aziende agricole locali, portare i bambini a vedere i campi e gli animali, e chiedere senza timore se sono disponibili alla vendita diretta. I negozi della catena Ecor⁴, ad insegna CuoreBio, hanno avuto il merito di diffondere in Italia un mercato alternativo, con l'obiettivo di coniugare ecologia ed economia. Oggi sono presenti con circa mille punti vendita. Vendono prevalentemente prodotti alimentari, ma anche beni per la cura della persona, libri, e qualche prodotto di abbigliamento, soprattutto intimo. Per tutto il non-alimentare è più difficile, ma non impossibile, specie se affianchiamo acquisti etici a consumi alternativi (o non-consumi) che ci permettono di autoprodurre, acquistare, barattare, o scambiare beni di qualità senza pagarli o pagandoli poco (lo vedremo al cap. 7). Un prezioso alleato per acquistare, anche assieme ad altre famiglie, prodotti alimentari e beni di consumo è la rete.
Si stanno diffondendo sempre di più negozi che vendono prodotti ecologici per la pulizia e la cura della persona, vestiario, scarpe, ma anche produttori indipendenti che consegnano la spesa a domicilio e persino portali geolocalizzati. La cosa migliore, anche qui, è acquistare in gruppo, coinvolgendo parenti, amici e vicini di casa che sposino il nostro punto di vista: si risparmia sulle spese di spedizione e, cosa non banale, ci si incontra, si fa qualcosa di piacevole e utile assieme ad altre persone con le nostre stesse esigenze. Qui di seguito troverete alcuni di questi servizi, attivi prevalentemente grazie al web. Biobank è una banca dati in costante aggiornamento che fornisce una fotografia aggiornata, anno dopo anno, del settore biologico in Italia: mercatini, negozi, agriturismi, operatori di settore e fiere, in tutta Italia. Selezionando la vostra regione potrete trovare mercatini o eventi dedicati al mondo bio a filiera corta, anche non alimentare, all'indirizzo http://biobank.it/. La Confederazione Italiana Agricoltori, con sede a Roma, aggiorna invece il sito La spesa in campagna (www.laspesaincampagna.net/) in cui si possono trovare numerose aziende biologiche disponibili anche per la vendita diretta. Per ogni produttore c'è una scheda con i riferimenti e la mappa. La banca dati contiene 10.000 fattorie, e la ricerca si può effettuare sia per prodotto sia a partire da un'area di interesse. Una terza risorsa è il Farmer's market, raggiungibile all'indirizzo www.mercatidelcontadino.it/. Anche questo sito è una raccolta di realtà che operano nel biologico e che vendono al pubblico. È dedicato alle forme di vendita diretta da parte delle aziende agricole con l'obiettivo di dare priorità ai piccoli produttori, accorciando la filiera e creando un mercato senza mercanti, che sia anche un luogo di convivialità, dove fare la spesa non è più solo un atto “funzionale”, ma un tempo riconquistato al piacere e alla socialità. Infine Bioradar (www.bioradar.it), che offre una mappatura di attività artigianali, produzioni agricole con vendita diretta e appuntamenti o eventi di rilievo in questo settore: attraverso un sistema di geolocalizzazione Bioradar è in grado di aiutare l'utente a trovare in maniera rapida e semplice il prodotto che sta cercando, segnalando i luoghi nelle vicinanze dove si produce e si vende ciò che l'utente sta cercando. Un'altra possibilità è quella di fare la spesa online, acquistando prodotti agricoli
locali senza intermediari, attraverso servizi dedicati. Con questa tipologia di acquisto si delega ad altri la valutazione del produttore, ma anche il piacere di visitare un'azienda agricola. È comunque un'opportunità per accorciare la filiera e, per i produttori, un ottimo modo di vendere in modo diretto, senza togliere tempo al lavoro di produzione e raccolta. Geomercato (www.geomercato.it/) è una piattaforma internet per la vendita diretta e per la distribuzione di prodotti agricoli locali. Mette in contatto produttori e consumatori tramite il web e organizza la consegna della spesa a domicilio. L'importo minimo di acquisto è di 10 euro e la consegna va da 5 a 7 euro; i prezzi sono decisi direttamente dai produttori. È presente in tutta Italia e rispetta il criterio della filiera corta. Bioexpress (www.bioexpress.it/) è gestito da un gruppo di produttori dell'Alto Adige che si dedica alla coltivazione di frutta e verdura applicando le regole della produzione biologica e rispettando le caratteristiche di stagionalità. Le loro vendite non si limitano però al territorio altoatesino, perché arrivano in Lombardia, Emilia Romagna, Veneto e Roma, consegnando circa 4.000 cassette a settimana. Cascina Cornale (www.cornale.it/) opera in quasi tutto il Nord-Ovest d'Italia. Attraverso il servizio denominato AgriSpesa pemette agli utenti di ricevere a casa ogni settimana prodotti freschi di agricoltura nativa provenienti dalle circa 80 aziende della Cooperativa agricola Cascina Cornale. Frutta Verdura Golosa Bio, raggiungibile al sito www.fvgbio.it/ è gestito da un gruppo di agricoltori friulani che commercializzano direttamente i loro prodotti, confezionati in cassette e sacchetti, instaurando un rapporto diretto con l'utente. Il Buonessere (www.ilbuonessere.it) è gestito da un veneto trapiantato a Milano che confeziona personalmente sacchetti di frutta e verdura fresca di stagione e di altri prodotti alimentari biologici provenienti da produttori che ha selezionato personalmente e che consegna a Milano e nell'hinterland.
Altri servizi simili:
www.portanatura.it a Genova, Milano e hinterland www.ortoegusto.it/ a Milano, anche con ritiro in sede www.biosee.it/ in Toscana, tra Prato e Lucca www.ortaie.it a Milano e Brescia www.spesanatura.it a Vicenza e provincia
I prodotti non alimentari Anche i prodotti per la casa e per la cura della persona, l'abbigliamento, le calzature, ecc. si trovano più facilmente online, oppure presso negozi specializzati non ancora molto diffusi. Su www.negoziobio.info/, un sito del network Terranuova.it si possono trovare negozi di tutti i generi: ecotessuti, erboristerie, arredo ecologico e bioedilizia, articoli per animali, ecocosmesi, ecc. Acquisti Verdi (www.acquistiverdi.it) è un vero e proprio catalogo on-line in cui si possono trovare prodotti e servizi ecologici e contattare le aziende che li producono o li distribuiscono. È una guida all'acquisto dove persone, enti pubblici e aziende si incontrano e si scambiano informazioni, uno strumento per fare rete, che collega aziende e consumatori. Altri negozi online di prodotti ecologici e biologici, non alimentari, come abbigliamento, detersivi, prodotti per la cura della persona, giocattoli, scarpe: Eco and Eco (www.ecoandeco.it/ ) Minimo impatto (www.minimoimpatto.com/) Tabata Shop (www.tabatashop.com) Altra moda (www.altra-moda.net/) Astorflex⁵ (www.astorflex.it)
Ecogiochiamo (giocattoli) (www.ecogiochiamo.com/) L'Eco Bottega (www.lecobottega.it/)
L'autoproduzione
Un'altra modalità per ottenere prodotti di alta qualità a bassissimo impatto è autoprodurli. Grazia Cacciola, nota autrice di numerosi saggi – in particolare sulla coltivazione e l'autoproduzione biologica e blogger di Erbaviola.com –, afferma che l'autoproduzione è un modo divertente e intelligente per affermare la propria libertà⁷. Siamo dei genitori, lavoriamo, abbiamo i bimbi piccoli: come possiamo ricavare del tempo per fare l'orto, il pane, lo yogurt, o persino i giocattoli e i vestiti? La domanda è lecita, il tempo sembra non bastare mai! Ma la risposta viene naturalmente: con la ione si arriva ovunque, il sistema si trova. Essere capaci di farsi le cose, assaporare un pezzo di pane ancora caldo fatto in casa, preparare una minestra con il dado vegetale autoprodotto, vestire con un maglione fatto ai ferri sono gesti che riempiono di soddisfazione. La bontà del pane fatto in casa è impareggiabile, il piacere del raccolto nell'orto impagabile. Il tempo si trova nella misura in cui si pensa davvero che determinate scelte facciano la differenza; probabilmente la soluzione sta nell'organizzazione e nel giusto mix tra acquisti ecologici nei negozi o attraverso i gruppi d'acquisto e autoproduzione. È ovvio che alcuni prodotti certificati e realizzati da aziende che fanno scelte etiche e responsabili costino molto di più di quelli delle multinazionali prodotti su larghissima scala. E se poi ci capita di essere di fretta e finiamo al supermercato anche lì possiamo avere un occhio di riguardo e scegliere i prodotti che rispondono a determinati criteri: leggeremo le etichette, cercheremo i loghi degli enti certificatori e ci accorgeremo che molte cose rimarranno sugli scaffali. Autoprodurre in quantità generose, fare scorta di alcuni beni di prima necessità e acquistare tutto il resto potrebbe essere una buona soluzione che concilia tempo, qualità e benessere per tutta la famiglia, ricordando che coinvolgere i bambini nel fare l'orto o nell'attesa della lievitazione del pane è un gioco attraente, educativo e costruttivo, che permette a loro (e anche a noi!) di esprimersi, di trasformare, di creare, di riconoscere il frutto concreto di un impegno. Nei prossimi capitoli troverete alcune soluzioni di autoproduzione proposte anche da tanti genitori che hanno sperimentato il piacere liberatorio di creare qualcosa per la propria famiglia, senza creare rifiuti, e senza utilizzare prodotti chimici
dannosi per la salute e per l'ambiente.
Testimonianza: consumo critico in una cittadina di periferia
Federica ha scelto per sé e per la sua famiglia il consumo di prodotti semplici e locali, frequenta i piccoli negozi di quartiere, si muove a piedi o in bici.
Inizio a raccontare la nostra esperienza da quello che è successo oggi. Quando siamo rientrati a casa, dopo una giornata di scuola e lavoro, mio figlio di cinque anni ha controllato la cassetta della posta come d'abitudine e poi mi ha detto: “Mamma, non c'è niente, solo tanta pubblicità, di chi vuole farci comprare quello che a noi non interessa”. Non so se fra qualche anno la penserà ancora così, certo è che questo fa parte di quello che sente ripetere in casa, e da qui partirei per raccontare il nostro modo di acquistare. Andare per negozi non è un modo per trascorrere il tempo libero, consideriamo una grande perdita di tempo gironzolare tra luci e cemento solo per guardare e non toccare, vedere merce che altri hanno deciso debba piacere anche a noi. Quindi al centro commerciale, quello raggiungibile solo in auto, non ci andiamo mai noi genitori né portiamo nostro figlio a so, come fosse un luogo ameno dove trascorrere il fine settimana. Quando facciamo un giro nel bel centro storico della nostra città – purtroppo ancora troppo pieno di auto – ci piace andare in libreria, entrare a curiosare nei negozi del commercio equo e solidale e poi fermarci a prendere qualcosa in qualche caffetteria. Nei negozi di vestiti, che un tempo frequentavo spesso, ormai ci entro di rado, non perché non mi piaccia provare o acquistare un vestito nuovo, ma perché l'armadio è pieno e ho imparato ad accettare volentieri quello che altri non usano più; con mia madre e mia sorella abbiamo quasi la stessa taglia e da loro mi arriva parecchia roba. I vestiti di mio figlio sono quasi tutti ati da amiche o presi in super saldo e anche per i miei ho avuto la bella occasione di partecipare ad una festa del baratto organizzato da un'amica. Quando l'ho raccontato a mia
nonna ultra novantenne, che per anni è stata a servizio in casa di ricchi signori, mi ha detto che “le contesse” negli anni Quaranta e Cinquanta usavano trovarsi per scambiarsi i vestiti. Forse con i nostri baratti stiamo reintroducendo un'abitudine “aristocratica”? Di certo la gente normale di quei tempi non aveva molti vestiti da scambiare, era già tanto se nell'armadio c'era un vestito da lavoro e uno da festa. Chiunque di noi invece ha oggi un armadio ben al di sopra dei suoi effettivi bisogni. Quando compriamo, cosa compriamo e dove? Prima di tutto il cibo, cibo semplice e biologico, pochi i prodotti trasformati e, se lo sono, con pochi e chiari ingredienti in etichetta. Il cibo non si spreca, cerco di preparare quello che serve e se avanza qualcosa lo riutilizziamo il giorno dopo. Mi piace anche ricordare come, grazie al latte materno, non abbiamo avuto bisogno dei costosi prodotti per la prima infanzia e nostro figlio si è abituato a mangiare come usiamo in casa senza alcuna difficoltà. Acquistiamo il pane presso due ottimi fornai, uno vicino a casa per il pane bianco biologico cotto a legna e uno da un fornaio di montagna, che consegna una volta la settimana il pane di semi e frutta secca. Consumiamo poi tante verdure, legumi secchi, cereali (orzo, farro, riso, poca pasta). L'unica carne che compriamo sono i polli, allevati all'aperto con metodo biologico da un piccolo allevatore della nostra zona. Li prendiamo attraverso un gruppo di acquisto e li prenotiamo tre mesi prima, in modo che l'allevatore possa organizzare l'allevamento in base alle richieste effettive. Il gruppo di acquisto è per me soprattutto un'occasione per conoscere i produttori e anche altre persone con cui condividere le scelte di acquisto. Oltre ai polli, compro al g.a.s. le mele di un produttore a circa 50 km da casa, che riesce a venire da noi una volta al mese e a portarci direttamente i suoi prodotti con un unico trasporto. Mi piace frequentare i negozi dei produttori della zona che hanno anche un punto vendita presso la loro azienda agricola, così come preferisco andare in piccole botteghe per acquistare i prodotti che non uso in grandi quantità. Ho molta fiducia nei negozianti dei piccoli negozi biologici della nostra città, alcuni sono dei pionieri che dagli anni Ottanta hanno cercato di diffondere un nuovo modo di vendere e comprare, di prestare attenzione a quello che
mangiamo e che usiamo per la pulizia personale e della casa.
Testimonianza: consumo critico in California
Camilla si è trasferita in California dove, con suo marito e la sua bambina, cerca di vivere in modo sostenibile, con una particolare attenzione all'alimentazione.
Vivo da otto anni negli Stati Uniti. La realtà americana è profondamente diversa da quella italiana: le grandi catene di distribuzione sono dominanti e il commercio online è diffusissimo, di conseguenza i prezzi sono oltremodo competitivi. Molti negozi “indipendenti” detti “local”, così come vengono chiamati i negozi gestiti da gente del posto, hanno chiuso perché incapaci di tenere il o con i concorrenti più forti. Il mio nucleo familiare è tipico della classe medio-alta, ma viviamo anche in uno dei posti più costosi d'America: siamo quindi molto attenti alla gestione dei nostri soldi e non seguiamo di certo uno stile “eco-chic”. Ci piace l'idea di contribuire ad una società in cui sia possibile, per il singolo, avere un'attività in proprio e stare bene, senza che tutto sia in mano alle multinazionali o alle grandi catene. Com'è possibile seguire uno stile di vita più consapevole con queste premesse? Innanzitutto vorrei parlarvi delle nostre scelte alimentari, per poi are allo svago e a dove compriamo gli altri beni di consumo. La California, il nostro stato, è noto per la sua fiorente agricoltura e fortunatamente molti contadini credono nel biologico. Due giorni a settimana c'è il “Farmers Market”, dove i contadini e altri produttori della zona vendono la frutta, le verdure, i formaggi e altri prodotti (uova, carne, miele, torte, pane, olio, fiori, ecc.). Noi compriamo tutta la verdura e la frutta in questi mercati.
Per un anno abbiamo fatto un abbonamento presso una fattoria: in pratica si paga una cifra prestabilita e per un anno ogni settimana si va a prendere un cesto con frutta e verdura di stagione. È un'idea bellissima ma non molto conveniente per noi che siamo in Italia tre o quattro mesi all'anno. Poi nel nostro giardino abbiamo alberi di arance, limoni, pompelmi e mandarini che producono tutto l'anno i loro frutti, mentre d'estate piantiamo pomodori e insalata. Per quanto riguarda gli altri prodotti alimentari cerchiamo di comprare quelli californiani, che magari non sono proprio a Km 0 ma almeno non hanno fatto il giro del globo. Con alcune eccezioni a cui non posso proprio rinunciare, da brava italiana: il Parmigiano Reggiano e la pasta, che considero i miei vizietti! Abbiamo notato che facendo la spesa al mercato risparmiamo e la qualità è nettamente superiore. Per quanto riguarda il tempo libero, qui ci sono molti ristoranti che sono orgogliosi di servire pietanze preparate con prodotti locali. Se vogliamo prendere il caffè o il tè fuori evitiamo gli Starbucks⁸ e preferiamo andare in piccole caffetterie. La nota dolente riguarda gli altri beni di consumo: qui c'è l'invasione del “Made in China” e molti piccoli negozi hanno dei ricarichi assurdi, a volte anche del quaranta per cento, molto di più rispetto ai prodotti che si acquistano in Internet. Se è possibile cerchiamo di comprare usato: qui ci sono molti negozi dell'usato, le cosiddette “garage sale” e le “moving sale”: chi pulisce il garage di solito mette in vendita ciò che non serve più, e lo stesso fa la gente che trasloca. Inoltre c'è un sito di piccoli annunci, www.craigslist.org, organizzato per città, dove si trovano moltissime cose a prezzi stracciati, e dove io stessa ho venduto e comprato molto. Infine una curiosità: qui il legno è un materiale di cui c'è grande disponibilità ed è poco costoso, le case hanno lo scheletro di legno e vengono smantellate e ricostruite in caso di trasloco di un nucleo familiare. Il nostro letto è stato costruito su misura da una ditta artigianale di Los Angeles che utilizza il legno riciclato delle case e il risultato è un prodotto molto solido e di alta qualità. Per il resto ci rivolgiamo anche noi alle grandi catene, ma siamo sempre alla ricerca di nuove idee per ridurre il nostro impatto ambientale.
¹ http://www.biobank.it/
² http://www.progettoe3g.org
³ http://www.gnu.org/copyleft/gpl.html
⁴ http://www.ecor.it/
⁵ Dall'esperienza del calzaturificio Astorflex è nato il progetto “Ragioniamo con i Piedi”, poi allargato anche ad altre aziende manifatturiere di abbigliamento e calzature. I prodotti di queste aziende sono necessari alla nostra quotidianità, rispondono ai valori della decrescita, rispettano l'ambiente, rispettano i lavoratori, puntano a uno stile di vita sobrio e solidale. Sono commercializzati attraverso il web, attraverso mercatini temporanei gestiti da gruppi d'acquisto solidale oppure presso fiere in giro per l'Italia. Questo progetto recupera la produzione manifatturiera con ricadute importanti sull'occupazione, offrendo un nuovo significato a lavorazioni che erano state abbandonate, valorizzando i saperi e le conoscenze che rendono uniche alcune realtà produttive, accorciando la filiera e avvicinando quindi produttore e consumatore, con l'utilizzo di lavorazioni a basso impatto ambientale. Ulteriori informazioni: http://www.ragioniamoconipiedi.it
Ecogiochiamo.com è il primo portale italiano dedicato esclusivamente alla vendita di giocattoli ecosostenibili, educativi e creativi, costruiti nel rispetto dei bambini e dell'ambiente, orientati verso la semplicità, l'equità e la durevolezza. Ecogiochiamo è un'impresa familiare gestita da Matteo e Graziella, che con la loro famiglia vivono nella zona dell'Appennino bolognese. L'azienda ha fatto scelte ecosostenibili un po' in tutto, ad esempio utilizzando solo energia autoprodotta con pannelli fotovoltaici per la gestione della propria attività
commerciale.
⁷ http://www.erbaviola.com/autoproduzione
⁸ Starbucks è una grande catena internazionale di caffetterie presente in 58 Paesi con quasi 20.000 locali http://www.starbucks.com/
III
Alimentazione e ambiente
L'alimentazione è la guida sovrana della vita e della salute. Martina Grassini, Associazione Cibo e Salute
Cibo e ambiente
Il cibo è una questione intima, molto intima. Nutriamo i nostri bambini con il latte materno, li attacchiamo al seno appena vedono la luce, nell'abbraccio delle nostre membra sono rassicurati dalla suzione e dal nutrimento. L'allattamento materno è la rappresentazione dell'aderenza alla natura della specie umana: è naturale, sano, possiamo dire senza indugio che è pure biologico, senza ogm e che risponde ai criteri della filiera corta e della massima sostenibilità possibile. I neonati allattati al seno sono i primi consumatori critici, ci dimostrano che non c'è bisogno di altro per i primi mesi della loro vita se non dell'attaccamento alla loro madre. Le cose cambiano quando inizia lo svezzamento, visti i tanti prodotti per l'alimentazione nella prima infanzia, proposti dal mercato come irrinunciabili e insostituibili. I pediatri in molti casi offrono ai genitori tabelle per lo svezzamento molto strutturate, e spesso piuttosto rigide. Si a cioè dall'allattamento a richiesta, in cui lasciamo libero il nostro bambino di mangiare quanto e quando vuole, a pasti solidi o semisolidi, offerti a orari ben precisi, completi da un punto di vista nutrizionale, fatti di carne, carboidrati, grassi, sali minerali e vitamine, ma anche, troppo spesso, di liofilizzati e omogeneizzati prodotti industrialmente. Si cerca quindi di replicare la completezza del latte di mamma, come se questo venisse improvvisamente a mancare. Quando ho iniziato a svezzare le mie bambine mi sono rifiutata di offrire quei papponi pieni di tutto. Ho continuato ad allattarle al seno anche dopo i sei mesi e ben oltre, e ho cercato di introdurre molto gradualmente i vari ingredienti, cercando di farglieli assaggiare uno alla volta. Non ho rinunciato del tutto alla pappa, ma è stata accompagnata da piccoli spuntini di carote, patate, riso offerti anche “da soli” per avvicinarle all'alimentazione di noi grandi senza cibi speciali, pur rispettando una corretta introduzione degli alimenti, la varietà e l'equilibrio. In seguito mi sono resa conto che avrei potuto fare meglio e gestire in modo molto diverso, fin dallo svezzamento, la modalità di somministrazione dei pasti. I piccoli cambiamenti li ho fatti dopo, alla luce di approfondimenti personali che mi hanno portata in una direzione diversa, che reputo più sana per la mia famiglia e più sostenibile per l'ambiente. Incredibile ma vero: questi due aspetti
sono in totale sintonia. Esiste cioè un modo di alimentarsi che non rinnega la nostra tradizione culinaria, così ricca e variegata, ma punta in misura maggiore su specifici ingredienti di alta qualità: un'alimentazione più naturale, che limita sensibilmente alcuni prodotti di origine animale e quelli raffinati e industriali, che subiscono numerose lavorazioni e molto spesso costano poco. La cosiddetta alimentazione naturale è una delle buone pratiche che cerco di adottare, non solo per il rispetto dell'ambiente e della salute ma anche per un vero e proprio riavvicinamento alla natura. Tutto ciò che è coltivato e prodotto nel rispetto dei ritmi biologici della natura, lo è anche dei ritmi dell'esistenza. Alcuni istituti di ricerca hanno elaborato delle regole per educare a un'alimentazione sana ed equilibrata. La Piramide Alimentare¹, ad esempio, può essere associata alla dieta mediterranea come modello nutrizionale di riferimento, riconosciuta da molti come una delle diete migliori per quanto riguarda il benessere fisico e la prevenzione di alcune malattie croniche che sempre più affliggono la popolazione. Alla base della Piramide Alimentare sono indicati i cibi da assumere con maggiore frequenza e via via che si sale, fino al vertice, si visualizzano i cibi il cui consumo andrebbe limitato. Come si può vedere dall'immagine, alla base troviamo frutta e ortaggi e man mano che si sale legumi e cereali anche trasformati in pane e pasta, poi i condimenti vegetali e i latticini e, ancora più in alto, formaggi, uova, carni bianche e pesce. Al vertice della piramide la carne rossa e i dolci². Nel 2010 il Barilla Center for Food and Nutrition³ ha pubblicato per la prima volta la Doppia Piramide, che mette in relazione gli aspetti nutrizionali con quelli ambientali. Cosa hanno fatto gli studiosi del BCFN? Hanno riclassificato gli stessi cibi analizzando il loro impatto sull'ambiente e hanno rilevato che la sequenza degli alimenti è sostanzialmente la stessa, ma invertita. Hanno quindi capovolto la piramide alimentare per far capire meglio la relazione tra questi due grandi aspetti. Il cibo che fa bene alla salute in buona parte fa bene anche alla terra, all'aria, all'acqua, pur con alcune differenze.
La carne rossa, alcuni prodotti di origine animale come i formaggi e il pesce, che purtroppo al giorno d'oggi è il ricettacolo dell'inquinamento marino, sono cibi da limitare, non solo per le loro conseguenze sulla nostra salute e quella dei nostri bambini, ma anche perché la loro produzione inquina e, con un circolo vizioso negativo, fa ancora più male alla nostra salute. Alla luce di questo mi chiedo perché nei menù della mensa della scuola frequentata dalle mie bambine la carne sia proposta praticamente tutti i giorni. La doppia piramide del BCFN non si spinge oltre, non ci dice come scegliere il cibo, non parla di aspetti legati alla qualità, e ad esempio non cita il biologico, come soluzione per evitare i rischi connessi al consumo di alimenti che contengono residui di pesticidi e di concimi chimici di sintesi.
La chimica nei nostri piatti
Antiparassitari, pesticidi, fitofarmaci, anticrittogamici, diserbanti, agrifarmaci: tutti questi termini si riferiscono a prodotti chimici che la legge ha definito “fitosanitari”, un termine forse un po' più rassicurante. Sono usati nei campi per trattare e prevenire le malattie degli ortaggi, per evitare la crescita delle malerbe, per avere in definitiva rese maggiori a costi minori. L'agricoltura industriale ha sfamato l'Italia del dopoguerra ma non ha risolto il problema della fame nel mondo e ha un risvolto terrificante da un punto di vista ambientale. In Italia vengono utilizzati ogni anno 150.000 tonnellate di pesticidi con un aumento vertiginoso rispetto a quando si è dato il via all'agricoltura industriale. L'industrializzazione dell'agricoltura e del cibo in generale ha causato danni all'ambiente e alla natura, rendendo quella della produzione e trasformazione del cibo una delle attività umane più insostenibili⁴. Il produttore da cui ci riforniamo con il nostro g.a.s. è figlio di ortolani e ha convertito l'azienda agricola di famiglia a regime biologico. Un giorno ci ha raccontato che suo padre, quando lo vedeva fare le prime sperimentazioni di colture lavorate con metodo bio, lo prendeva in giro, senza velare il suo sarcasmo. Gli diceva “Siamo andati avanti, perché ti ostini a voler tornare indietro?”. Eppure la storia sta dando ragione al nostro amico Claudio, apionato pioniere del bio. Capita infatti che ogni tanto venga ritirato dal commercio qualche pesticida, magari utilizzato nei campi per decenni, perché ritenuto tossico. È già successo per l'atrazina e per il DDT⁵. Io, nel dubbio che possa succedere con altri veleni, ho iniziato a evitare, quando possibile, il cibo convenzionale, pur sapendo che non si è mai completamente esenti da rischi . Forse ho una storia familiare un po' triste: in tanti, nella mia famiglia, si sono ammalati di tumori, diabete, ipertensione. Non abbiamo mai pensato di “mangiare male”, ma solo quando sono diventata mamma e ho iniziato in prima
persona a occuparmi dell'alimentazione di famiglia con un po' di consapevolezza in più, ho compreso che l'alimentazione non è solo un fatto di abitudine e di tradizione. Il cibo è un qualcosa di molto personale, per certi versi attraverso il cibo ano debolezze, sensazioni, appagamento. Il cibo è veicolo di sensualità e di ione (non a caso alle prime uscite in coppia… si va fuori a cena!), ed è difficile cambiare le proprie abitudini perché il come mangiamo è una sorta di eredità, è un componente della nostra esistenza intriso di ato e di futuro, è un flusso che vede trascorrere la nostra vita da quando siamo nutriti amorevolmente dalle nostre madri a quando diventiamo attivi nell'azione di alimentarci o di preparare i pasti ai nostri figli o, ancora, di diventare noi stesse nutrimento per loro, quando li allattiamo. L'aspetto intimo del cibo è molto profondo e radicato, ma alimentarsi è anche un fatto culturale. L'alimentazione e la cultura vanno di pari o e non mi riferisco esclusivamente ai temi antropologici, ma anche a quelli legati alle nostre conoscenze e alle nostre credenze. Purtroppo oggi a dirci cosa dobbiamo mangiare sono prevalentemente le aziende attraverso il marketing e le loro attività di comunicazione. Qualcuno ha mai visto trasmettere in televisione la pubblicità delle carote o del farro biologico? Dei legumi secchi o della farina non raffinata? È molto difficile perché quello del biologico è un comparto fatto di tanti piccoli agricoltori, allevatori e trasformatori che fanno i conti con colossi dell'industria alimentare e faticano a ritagliarsi uno spazio nel mercato⁷. Ma il bio cresce silenziosamente, le persone si avvicinano sempre di più all'idea che i prodotti chimici e il cibo del discount non siano la soluzione per svezzare e crescere i propri figli, che la qualità si rifletta in maniera diretta sulla nostra salute e sull'ambiente che ci circonda. E chi mangia cibo non trattato, in fondo, fa una cortesia anche a chi non lo fa, perché i territori coltivati con metodo biologico godranno di aria e acqua meno inquinate e più salubri e in generale di un minore inquinamento. Se penso a quante cose ho scoperto solo per aver cercato informazioni non convenzionali e prodotte da chi non ha interessi diretti, mi stupisco meno del fatto che il mondo si muova in senso opposto.
Sul sito dell'Unione Europea c'è l'indicazione dei Livelli Massimi di Residuo dei pesticidi⁸ nel cibo ed effettivamente è stato rilevato dal Ministero della Salute che solo lo 0,8% dei prodotti alimentari è contaminato oltre i limiti di legge, il 62,5% è completamente privo di pesticidi, mentre il 36,7% ha dei residui di pesticida, ma comunque sono rispettati i livelli di sicurezza. Ora, ricordando l'atrazina e il DDT, io non mi fido più. Chi ci assicura che tra i pesticidi tollerati oggi non ce ne siano di dannosi? E poi, come ricorda il dott. Giattanasio , i residui ingeriti nel nostro organismo si accumulano e l'effetto tossico potrebbe emergere a lungo termine. Inoltre i nostri bambini sono più vulnerabili e le persone che hanno una capacità ridotta di eliminare le sostanze nocive rischiano più delle altre. I pesticidi sono molti e potrebbero avere un effetto sinergico. Non mancano gli studi su questi argomenti, anche in corso d'opera ma, in attesa di capire, cerco per la mia famiglia i prodotti della terra più sani, privi di chimica e di veleni. Questo tipo di prodotti è salutare anche per chi li produce e per l'ambiente che li ospita, rendendo ecosostenibile e salutare tutto il processo. Ho iniziato dalla frutta e dalla verdura. In qualche modo mi sembrava più scontato che gli alimenti che si consumano crudi siano nettamente migliori se biologici. Poi, un po' alla volta, mi sono detta: se deve essere bio, che bio sia! E da lì è iniziata una lenta scoperta dell'alimentazione e della cucina naturale, nella quale mi sento una neofita, ma mi rendo conto che ho cambiato così tanti ingredienti nella mia spesa e nella dieta di famiglia che non mi riconosco più in quella che faceva la spesa riempiendo il carrello al supermercato, mettendoci di tutto un po'.
Cucina naturale per tutta la famiglia: come e perché
È stato il progetto Nutrire Significa Educare a farmi cambiare rotta. Ne ho accennato nel secondo capitolo, parlando della nascita del Gruppo d'Acquisto Solidale di cui faccio parte, che è stata l'espressione concreta del cambiamento negli acquisti di famiglia e di conseguenza nel modo di cucinare e mangiare. Quel progetto, nato dall'impegno di alcune famiglie, voleva contribuire a diffondere una nuova cultura della nutrizione, che fosse sana ed educativa per le famiglie e per i bambini, salutare per l'ambiente e per chi coltiva la terra. Alcuni incontri di approfondimento sui temi del biologico e dell'alimentazione mi hanno decisamente colpita, aprendomi a nuove conoscenze e soprattutto offrendomi gli stimoli per metterle in pratica. Quel progetto, oltre a tradursi in un nuovo modo di consumare per molte famiglie, ha introdotto gli Orti in Condotta¹ nelle scuole coinvolte e ha anche aiutato ad imparare cosa e come cucinare, attraverso dei corsi di cucina che oserei definire illuminanti. Ma cambiare non è stato facile: tutte le novità, anche se maturate, provocano un leggero smarrimento. C'è bisogno di sperimentare, di assaggiare e di consolidare qualche abitudine, soprattutto in cucina. Si dice ad esempio che è opportuno consumare cereali integrali o poco raffinati, ma se provi ad assaggiare un piatto di pasta integrale condita con il sugo di pomodoro ti sembra di mangiare cartone condito. Per non parlare delle verdure: mia mamma e mia nonna facevano grandi minestroni di verdure che lasciavano cuocere molto a lungo. Ma poi le verdure diventavano tutte dello stesso colore, perdendo buona parte dei princìpi nutritivi per i quali le mangiavamo. Vitamine e sali minerali con una cottura prolungata si volatilizzano. Ho scoperto che le cotture un po' più brevi per le verdure sono le migliori: lasciano il colore e un po' di croccantezza. E le bimbe? Temevo che cambiare le abitudini familiari le disorientasse, che in qualche modo si opponessero, che rifiutassero le novità. Non è stato così, il cambiamento è avvenuto gradualmente e loro si sono adattate: come tutti i bambini hanno le loro preferenze, fanno i capricci e amano
la pasta in bianco. Ma con qualche trucco e un po' di buona volontà la cucina naturale è diventata una consuetudine. Cosa mangiamo? Niente di così speciale o strano. L'alimentazione naturale e biologica rientra nei dettami proposti dall'OMS, è vicina agli standard offerti dai nutrizionisti, ha un impatto ambientale basso e, con qualche accortezza, permette di limitare notevolmente i rifiuti prodotti. Inoltre è decisamente preventiva rispetto a molte malattie degenerative. È una cucina semplice, oserei dire povera e sobria, ma anche molto varia, gustosa e saporita. Mangiamo bene insomma! Abbiamo aumentato notevolmente il consumo di ortaggi e di frutta, rigorosamente biologici, locali e di stagione. Abbiamo imparato a consumare molti tipi di cereali in chicchi, la pasta integrale o semintegrale, di grano e di farro, condita nel modo giusto. Abbiamo imparato a cucinare altri cereali, come l'orzo, il farro, il miglio, il grano saraceno, l'avena, il bulgur, il cous-cous e altri ancora e spesso li abbiniamo ai legumi, per rendere più proteici i nostri piatti. C'è una tale quantità di legumi a disposizione che la varietà delle pietanze è davvero notevole: borlotti, cannellini, azuki, fagioli bianchi, ceci, fave, piselli e molti altri hanno trovato uno spazio maggiore sulla nostra tavola. Cucinarli con l'uso delle alghe ci ha permesso di azzerare i piccoli fastidi intestinali e di renderli digeribili, oltre che di velocizzarne la cottura. I bambini li apprezzano soprattutto sotto forma di hummus¹¹. Abbiamo poi limitato in modo considerevole il consumo di carne: mangiamo, abbastanza di rado, carni bianche provenienti da allevamenti biologici della zona. Continuiamo a consumare latticini e formaggi in modo moderato ma abbiamo introdotto le proteine derivanti da fonti vegetali, anziché animali: consumiamo quindi tofu e seitan, che alle nostre bimbe piacciono molto. I condimenti che utilizziamo sono di alta qualità: olio extravergine di oliva e altri olii, come quelli di mais, di girasole, di sesamo, di lino, spremuti a freddo. Abbiamo imparato anche a gustare i semi oleaginosi, di lino, sesamo, girasole e zucca, perché sono fonti di proteine, di grassi buoni e di vitamine: li utilizziamo per condire zuppe e insalate, e a volte li mettiamo nel nostro pane fatto in casa con la pasta madre. I semi di lino sono una grande fonte di omega-3 e sostituiscono degnamente il pesce, che ne contiene molti meno e che, cosa poco nota, si perdono in gran
parte con la cottura. Li polverizziamo sull'insalata oppure li mettiamo sulla crema di Budwig¹² che prepariamo qualche volta al mattino come colazione. Anche il sesamo lo usiamo polverizzato, per condire le verdure crude o le zuppe, sotto forma di gomasio, oppure in crema da aggiungere alle nostre nuove portate, sotto forma di tahin. Nei dolcificanti cerchiamo la qualità, utilizzando quelli naturali per le torte (come il malto, il succo d'agave, il succo d'acero, o il concentrato di mele), il miele o lo zucchero di canna grezzo. In generale quello che abbiamo cercato di eliminare è il prodotto industriale, recuperando in cucina il legame con la terra. Comporre per la propria famiglia dei menù equilibrati e nutrizionalmente corretti, che siano anche a basso impatto ambientale, è alla portata di tutti i genitori. Ovviamente noi per primi abbiamo notevoli margini di miglioramento: ogni giorno proviamo nuove ricette, cerchiamo nuovi modi per proporre alle bimbe le verdure crude e cotte perché non sempre le mangiano, come tanti altri bambini. Qualche volta ci riusciamo, altre volte no. Cerchiamo di evitare che mangino il cosiddetto “junkie food”¹³: la nostra dispensa è essenziale. Non riusciamo ad acquistare sempre e tutto come vorremmo: a volte il tempo manca, a volte ci si trova in situazioni in cui risulta difficile essere coerenti con i nostri prìncipi, ma il nostro orientamento è questo, cerchiamo di cucinare piatti di qualità, sani e sostenibili e di raccontare il perché, quando si presenta l'occasione. I cereali e i legumi possono essere cotti in qualunque momento della giornata (anche durante il pranzo o la cena!) e conservati in frigorifero per circa quattro giorni. Sono la base dell'alimentazione umana, digeribili e, quando abbinati, proteici.
La cottura dei cereali in chicchi I cereali possono essere messi in pentola, ad esempio in una zuppa di verdura,
ma la cosa migliore per preservare qualità nutrizionali e sapore non è la bollitura. Il procedimento qui descritto è molto comodo ed efficace, e ci permette poi di aggiungerli già cotti ai nostri piatti (possiamo metterli nel ato di verdura, saltarli in padella con ortaggi e legumi, ecc.) Innanzitutto i chicchi vanno lavati sotto acqua corrente, verificando che non ci siano impurità, sgocciolati e asciugati sommariamente. Successivamente vanno tostati: si mette un filo d'olio in una casseruola (i migliori sono l'olio extravergine di oliva e l'olio di sesamo che hanno il punto di fumo ad alta temperatura), si versano i chicchi e si lasciano tostare per un paio di minuti a fuoco vivace. Va aggiunta poi dell'acqua o del brodo vegetale bollente, nelle proporzioni indicate qui sotto. A cottura ultimata, quando cereali sono cotti, l'acqua è completamente assorbita. Se dovessero essere troppo al dente si possono aggiungere piccole quantità di acqua o brodo bollente. Prima di gustarli con zuppe o ortaggi, coprire e far riposare per qualche minuto. Questo procedimento è molto comodo perchè non serve mescolare (fatelo al massimo qualche volta) e i chicchi non si rompono.
Proporzioni acqua : cereale e tempo di cottura (dopo tostatura)
Miglio 1 : 2 cottura: 25' Riso integrale 1 : 2 cottura: 45-50' Riso semintegrale 1 : 2 cottura: 20' Orzo perlato 1 : 2 e 1/2 cottura: 30-35' Orzo decorticato 1 : 3 cottura: 60'
Farro perlato 1 : 2 cottura: 20' Farro decorticato 1 : 2 e 1/2 cottura: 50' Grano saraceno 1 : 2 cottura: 20-25' Quinoa 1 : 2 cottura: 12-15' Amaranto 1 : 2 e mezzo cottura: 25' Cous Cous 1 : 1 cottura 10' (a fuoco spento) Bulgur 1 : 2 cottura 15-20'
La cottura dei legumi I legumi secchi vanno lasciati in ammollo una notte, 12-14 ore, poi vanno lavati accuratamente. In una pentola con il fondo spesso va adagiato un pezzo di alga kombu. Poi vanno versati i legumi e l'acqua, in modo che siano coperti per almeno tre dita. L'alga kombu sostituisce l'uso del bicarbonato che alcuni mettono nel recipiente d'ammollo: oltre a velocizzarne la cottura li rende più digeribili, evitando fastidi al transito intestinale. A risolvere questo problema è anche l'abitudine a consumare i legumi spesso: anche 4-5 volte a settimana. Accendere poi il fornello a fuoco vivo fino al bollore, poi abbassare la fiamma al minimo e lasciare sobbollire. La cottura lenta è la migliore, in questo caso. Questo metodo fa sì che i legumi non si rompano e che le bucce rimangano salde, senza indurirsi. Il tempo di cottura è molto variabile, dipende dal tipo di legume e soprattutto dalla sua 'età'. Vanno quindi assaggiati, per valutare il momento in cui scolarli. Si consiglia di cuocere in pentola a pressione solo i ceci: dopo ammollo e lavaggio, mettere l'alga, i ceci, l'acqua e accendere il fuoco; poco dopo si forma un po' di schiuma che va tolta accuratamente, il più possibile, e in un secondo momento la pentola va chiusa con il coperchio. Quando fischia abbassare la fiamma e cuocere per un'ora.
Il biologico low cost è possibile?
Quando abbiamo iniziato ad avvicinarci al biologico io e mio marito ci siamo chiesti se potevamo permettercelo. Anche prima di aderire al g.a.s. non avevo motivo di credere che il cibo bio non fosse qualitativamente migliore, ma mi sentivo mancare ogni volta che varcavo la porta di uno di quei negozietti di alimentazione naturale. Poi, andando più a fondo, ho iniziato a scovare anche delle strane contraddizioni, forse frutto delle richieste del mercato, di un insano tentativo di replicare la stessa modalità di acquisto del supermercato tradizionale. Per economizzare e mangiare bene, senza spendere per forza molto tempo nella preparazione, la cosa migliore è scendere di gamma: i prodotti di prima e seconda gamma, cioè quelli freschi e in scatola, sono sempre a prezzi più abbordabili rispetto a quelli di terza, quarta e quinta gamma (surgelati, pronti e precotti). Non voglio demonizzare in modo assoluto i cibi cotti o surgelati: in alcune situazioni possono fare la differenza, capita a tutti di non riuscire ad organizzarsi in qualche occasione o di aver bisogno di preparare un pasto velocemente. Ma se si acquistano d'abitudine i costi lievitano inesorabilmente. I negozi biologici hanno il grande merito di portare nel territorio uno stile, un'idea, un concetto di consumo più vicino alla natura e alla terra, ma anche loro devono fare i conti con le richieste del mercato e nei loro scaffali ci sono gli snack, seppure biologici, oppure le fragole a novembre. Il biologico a prezzi accettabili è possibile se modifichiamo i nostri menù casalinghi, se riscopriamo i piatti della cucina contadina, se diminuiamo sensibilmente il consumo di carne e pesce a favore di piatti unici, con ingredienti semplici, a volte poveri, come legumi e cereali in chicchi, puntando sulle varietà di ortaggi locali e stagionali. La soluzione dunque è scendere di gamma e preparare e poi congelare in casa cibo cucinato in quantità generose, realizzare conserve da utilizzare al bisogno come “salva-cena”, preferire sempre i piatti semplici piuttosto che quelli elaborati e molto conditi. Siamo troppo abituati a fare il confronto diretto con il supermercato, senza pensare a modificare le nostre abitudini alimentari, ragionando sul senso dei
nostri acquisti, anzi sul buon senso del consumo. Facendo la spesa in modo più razionale, diminuendo il più possibile i prodotti confezionati a favore dei freschi acquistati dai produttori o in negozi che garantiscono un minimo di criterio di filiera corta, si riducono moltissimo anche i rifiuti prodotti dagli imballaggi. Un'altra modalità molto semplice per ridurre i costi alimentari è forse la più banale: ridurre gli sprechi. Un terzo del cibo prodotto va sprecato anche a causa del fatto che le pratiche commerciali ci incoraggiano ad acquistare più di quanto abbiamo bisogno. Succede anche che si gettino nella spazzatura alimenti ancora commestibili o che non si consumino entro la scadenza. Acquistare con buon senso deve essere la prima attenzione che ci muove; se poi quel che risparmiamo lo investiamo in cibo di altissima qualità, facciamo del bene a noi stessi e anche al pianeta.
Vegetariani e vegani: solo loro salveranno il mondo?
È risaputo che l'impatto ambientale della produzione della carne e dei suoi derivati è devastante. Per produrre un chilo di carne occorrono moltissimi metri cubi di acqua: serve acqua per dare da bere alle bestie (una mucca ne beve fino a 200 litri al giorno)¹⁴, per pulire le stalle, per irrigare i campi di cereali che verranno trasformati in mangime. Ma non è solo questo: più del 50% del gas ad effetto serra con cui il pianeta si trova a fare i conti proviene dagli allevamenti. Essi inquinano anche le falde acquifere attraverso le deiezioni animali, i concimi e i pesticidi che vengono utilizzati nelle coltivazioni da foraggio. Solo un quinto della produzione agricola mondiale è dedicata al consumo umano, mentre i restanti quattro quinti servono per la produzione animale. A questo sono collegati consumi di fonti fossili e disboscamento, in una catena infinita di aspetti negativi che concorrono a screditare la carne tra gli alimenti da considerare, quando pensiamo a cosa preparare per cena. Noi possiamo scegliere. Non è un segreto che la maggior parte dei cereali, che provengono in grande misura da Paesi del sud del mondo, serva principalmente a sfamare animali allevati per la produzione di carne e non per alimentare le popolazioni afflitte dalla denutrizione. Anche il consumo di pesce negli ultimi anni è diventato insostenibile, perché sta portando allo spopolamento di mari e oceani e minaccia l'estinzione di molte specie marine. Nonostante questa situazione così negativa e complessa la media nazionale di consumo di carne in Italia è di 87 chili pro capite all'anno¹⁵. La produzione di carne è quindi una delle cause principali dell'inquinamento mondiale. E allora che senso ha fare la doccia al posto del bagno e insegnare ai nostri bambini a chiudere il rubinetto dell'acqua quando si lavano i denti o ancora ridurre i consumi di energia, se poi ci mangiamo ottanta chili di carne all'anno? I vegetariani eliminano dalla loro dieta la carne e il pesce e, nel caso dei vegani, tutti i prodotti da essi derivati, inclusi quindi i latticini, le uova, il miele, con alcune particolarità e differenze¹ . Oltre all'aspetto ambientale, in genere propongono anche motivazioni etiche: la produzione di carne, oltre ad affamare il terzo mondo, è il risultato dello sfruttamento spesso crudele di esseri viventi, e
per questo propongono il vegetarianesimo o il veganesimo come pratica pacifica e consapevole per alimentarsi. Ma se anche non siamo interessati o colpiti dall'aspetto etico, più intimo e personale, un ottimo motivo per ridurre o eliminare del tutto carne e derivati è l'aspetto salutista, sostenuto da numerosi studi epidemiologici che smentiscono l'opinione diffusa per cui il consumo delle proteine animali sia indispensabile. Luciano Proietti¹⁷, pediatra esperto di nutrizione, sostiene che allo stato delle conoscenze scientifiche attuali, una dieta vegetariana vada sostenuta perché fisiologica e salutare: essa è compatibile con le indicazioni dei LARN (Livelli di Assunzione Raccomandata dei Nutrienti) ed è un investimento sulla salute. Sono sempre più numerosi gli studi che confermano quanto il consumo di proteine animali e di grassi saturi sia legato a doppio filo con la diffusione delle malattie tipiche del nostro tempo, dai tumori e il diabete alle malattie cardiovascolari. Michela De Petris, medico chirurgo e dietologa, ricercatrice presso l'Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, afferma che un'alimentazione basata su cibi vegetali, equilibrata, ben bilanciata e povera di grassi saturi è in grado di ridurre il rischio di neoplasie del 35%, di infarto del 30%, di diabete del 60%, di obesità del 40%. In ogni caso le linee Guida di Dietologia Pediatrica “consigliano di ritardare il più possibile l'introduzione di cibi animali durante lo svezzamento e rilevano che il loro uso non è comunque indispensabile nel corso della vita”¹⁸. Dopo questa serie di considerazioni viene da chiedersi perché il mondo vada dalla parte opposta, dal momento che i consumi di carne sono in aumento e che la dieta del mondo occidentale, che sta producendo inquinamento e malattie degenerative, sia oggetto di emulazione da parte di Paesi emergenti come la Cina. Per chi non ha alcuna intenzione di optare per la scelta vegetariana o vegana, ci sono alcune considerazioni che mi sento di fare, che possano essere da stimolo almeno per diminuire i consumi di carne o pesce. Quando ci troviamo a scegliere tra più piatti da cucinare per la nostra famiglia ragioniamo anche in base al loro impatto ambientale: tra uno spezzatino di carne, una frittata e un piatto di pasta e fagioli, sceglierò quest'ultimo, ogni volta che sarà possibile. Allo stesso tempo si può definire un giorno alla settimana in cui
non si consuma carne e un secondo completamente vegano, senza carne e senza derivati. “Un giorno da veg” è una proposta che richiama la coscienza collettiva, la responsabilità verso le generazioni future, il senso civico. Farlo una volta alla settimana non è impegnativo e ci avvicina a uno stile alimentare sostenibile che ha anche il vantaggio di essere molto salutare ed economico. Sarà un esercizio di ricerca che potrà portare alla scoperta di nuovi ortaggi, legumi e cereali, alla costruzione di piatti semplici e salutari, che non ci fanno rinunciare al piacere della buona cucina. Ci permetterà di scoprire nuovi alimenti e provare a cucinarli. Magari un po' alla volta la scelta di consumare carne rossa potrà spostarsi su quella bianca, meno inquinante e più sana, specie se allevata con metodo biologico. Con piccoli correttivi alla nostra dieta, senza strafare, un po' alla volta potremo “tirarci fuori” pur continuando a preoccuparci di chiudere il rubinetto mentre ci laviamo i denti. Anche se non diventiamo vegetariani o vegani possiamo ridurre i nostri consumi di prodotti animali. Per quanto riguarda il pesce, se non riusciamo a farne a meno, è preferibile scegliere quello a ciclo vitale breve, evitando quello di grossa taglia e longevo che accumula più sostanze tossiche. I mari di oggi sono molto più inquinati rispetto soltanto a 15 o 20 anni fa. Meglio orientarsi su pesce nostrano, proveniente dal Mediterraneo, e di stagione, cioè quello che non è in fase riproduttiva¹ . Margherita Hack, nel suo libro Perché sono vegetariana² , afferma: “Sono arrivata a 89 anni in condizioni discrete di salute. A più di 80 anni, oltre alle domenicali partite di pallavolo con amici cinquantenni, ho girato in bicicletta buona parte del Friuli-Venezia Giulia, oltre a lunghe nuotate tutte le mattine d'estate. Tutto questo a dimostrazione che la mancanza di carne e pesce non ha certo indebolito il mio fisico”.
Sperimentazioni di autoproduzione: l'orto
Una soluzione ottimale per mangiare cibo sano, biologico e sostenibile è autoprodurlo gestendo un piccolo orto. Se non si possiede un fazzoletto di terra si può ripiegare su un orto sul balcone, una nuova eco-moda intelligente alla portata anche di chi vive in città. Realizzare l'orto in vaso è molto semplice ed è un ottimo modo per coinvolgere i bambini. Organizzarsi nella creazione di un orto condiviso, sfruttando ad esempio un pezzo di terra all'interno di un giardino condominiale, è un'esperienza di relazione forte e positiva tra famiglie, che con poche semplici regole di buon senso può portare vantaggi economici, piacere personale, uso sensato del tempo libero, educazione alimentare e ambientale dei bambini. Mangiare una zucchina o una fragola piantata, annaffiata e raccolta ha tutto un altro sapore, non si risparmiano grosse cifre, ma si comprende da dove provengono il basilico per il pesto, il rosmarino per le patate, o anche le dimensioni di una pianta di zucchine. Impegnarsi quotidianamente nella cura delle aiuole o dei vasi, annaffiando o togliendo le malerbe, permette ai bambini di comprendere i tempi di semina, di cura e di raccolta degli ortaggi, e fa capire il valore del cibo, del lavoro, dell'impegno, del tempo. Persino Michelle Obama è una eco-mamma che fa l'orto con le sue figlie, offrendo un esempio di attenzione alla sostenibilità che ha risvolti positivi in tutto il mondo, data la sua notorietà. Se non abbiamo terra a disposizione possiamo cercarla. Molti comuni italiani danno in uso ai cittadini piccoli appezzamenti di terreno pubblico incolto o abbandonato, da coltivare sia come singoli sia attraverso piccoli gruppi informali. Il gruppo Zappata Romana è nato nel 2010 con la mappatura degli orti e dei giardini condivisi a Roma, con lo scopo di promuovere e moltiplicare questa esperienza, coinvolgendo normali cittadini, associazioni, centri anziani, istituzioni, scuole, università. Queste persone per la verità seminano zucchine ma coltivano relazioni. Condividere un orto non è facile, ma è un'esperienza intensa e densa di comunicazione tra persone che operano un'azione collettiva di appropriazione dello spazio pubblico urbano. Sviluppano così pratiche ambientali, economiche e sociali innovative. Nelle loro parole:
Molto spesso un giardino condiviso è lo spunto per fare altro: un luogo di incontro, far giocare i bimbi, avere un po' di relax, praticare uno sport all'aperto, fare attività culturali, imparare una lingua, fare giardinaggio, coltivare un orto per l'autoconsumo, fare volontariato sociale o educazione ambientale. Il giardino condiviso può essere il fulcro di una comunità delineando nuovi modi di vivere la città.²¹
Testimonianza: Gloria e Roberto, un'esperienza in campagna con i bambini
Gloria e Roberto sono genitori di due bimbe di tre e cinque anni, entrambi lavorano a tempo pieno ma non rinunciano nella loro quotidianità alla ione per l'ambiente. Sperimentano scelte di autoproduzione curando un orto, prima in vaso e ora, finalmente, in terra e praticando stili di vita ecologici che sono ormai parte della loro esperienza. Raccontano la loro avventura in campagna nel blog villavillacolle.net
Cuocere il pane in casa, coltivare l'orto, fare una eggiata per raccogliere le erbe di campo o un mazzo di fiori per addobbare la tavola. Sono gesti semplici, per noi una condizione naturale. In campagna, infatti, ci siamo nati, e tutte queste cose le diamo per scontate, come se fosse la dimensione di ogni giorno per tutti. Viviamo in un piccolo paese dell'entroterra marchigiano, immerso nella campagna e nel verde, in cui il contatto con la natura non manca di certo né a noi né ai nostri figli. Siamo cresciuti con le galline nel cortile, il pane cotto nel forno a legna sotto casa, le corse in mezzo ai prati. Eppure, in questi ultimi anni, la nostra dimensione di vita è un po' cambiata. Dieci anni fa, infatti, quando siamo andati a vivere da soli, abbiamo preso un appartamento, sempre nel nostro paese. Niente giardino né spazio verde condominiale, anche se il panorama e la campagna intorno rimangono sempre a portata di eggiata. Le nostre abitudini sono rimaste immutate, però, anche nell'appartamento. Abbiamo continuato ad autoprodurre yogurt, pane, pizza, marmellate e tanto altro. E, con un po' di pazienza, abbiamo iniziato a coltivare un piccolo orto sul balcone: pomodorini, rucola, valeriana, erbe aromatiche, fragole. Addirittura per un paio di anni abbiamo coltivato anche cetrioli e melanzane. Quello che non produceva il nostro mini-orto, ovviamente, lo compravamo, o (per nostra fortuna) ce lo regalavano i nostri genitori, che hanno entrambi un bell'orto
grande. In inverno l'orto sul balcone andava a riposo, e lo stesso quello dei nostri genitori, che lo coltivavano solamente in estate. E così, proprio durante l'inverno abbiamo iniziato ad informarci qui intorno sulla possibilità di acquistare frutta e verdura tramite il nostro piccolo g.a.s. Ogni settimana, la cassettina di frutta e verdura ce la porta il nostro produttore di fiducia: solo prodotti di stagione, biologici e appena raccolti. A breve, ci faremo portare anche le piante ortive biologiche, per quelli del Gruppo di Acquisto che anche quest'anno vorranno rifare l'orto. E quest'anno anche noi saremo tra questi, solo che l'orto non lo faremo più solo nel nostro piccolo balcone in appartamento, ma finalmente in piena terra. Dopo quasi dieci anni, infatti, il richiamo della terra è stato troppo forte. La voglia di alimentarci in modo sempre più consapevole e di sapere cosa mettiamo nel piatto (e niente di meglio del produrselo, per saperlo) ci ha portati a decidere l'acquisto di una casetta in campagna. Davanti alla casa, il bene per noi più prezioso: mille metri di terreno che non veniva coltivato da tantissimi anni, con una piccola vigna e tanti alberi da frutto. are da qualche vaso in balcone a mille metri di terreno per noi è stata una bella sfida, soprattutto considerando il fatto che né io né Roberto (mio marito) avevamo mai gestito da soli alcuna attività dell'orto e del frutteto. Prima tra tutte la potatura, per cui ci son venuti in aiuto genitori e zii. Per noi è come essere tornati a scuola: osserviamo tutto, prendiamo appunti, facciamo domande, proviamo a fare da noi. Le piante da frutto e la vigna sono state risistemate con tre giornate intense di lavoro e tantissime domande, con la speranza che quest'anno ci regalino almeno qualche frutto. Per l'orto invece, dopo aver letto manuali su orto biologico, sinergico, consociazioni e permacultura, è arrivato il momento di mettere le mani nella terra. Le bambine non vedevano l'ora di fare la loro parte in questa avventura, e abbiamo cercato di coinvolgerle quanto più possibile. Prima di tutto perché troviamo giusto che sentano il nostro orto come luogo di svago, osservazione e scoperta. Poi perché abbiamo notato che mangiano molto più volentieri quelle verdure che hanno prodotto o raccolto loro stesse. Non c'è niente di più buono delle fragole o dei pomodorini appena raccolti, mangiati direttamente dalla pianta, e questo loro lo sanno anche meglio di noi! Preparare l'orto (soprattutto nella fase iniziale) con i bambini richiede qualche
accorgimento minimo ed è anche un po' faticoso, ma verremo ripagati abbondantemente! La prima cosa che abbiamo fatto nel nostro orto è stata suddividerlo in aiuole, creando degli stradelli di terra battuta tra le aiuole rialzate. In questo modo le bambine sanno sempre cosa possono e cosa non possono calpestare, e non rischieremo di trovarci le carote appena seminate piene di impronte. Il nostro orto ha una forma abbastanza regolare, quindi è stato relativamente semplice suddividerlo grazie all'aiuto di un rastrello. Una volta tracciati gli stradelli a grandi linee, abbiamo creato le aiuole e smosso bene la terra con il rastrello. Poi, sempre con l'aiuto delle bambine, abbiamo tolto i sassi più grandi e sparso un po' di compost nel terreno. Da gennaio a marzo abbiamo seminato fave, piselli, patate, cipolle e aglio. Tutte verdure con semi grandi o cipollotti, che risultano molto semplici da seminare anche per le loro piccole mani. Insieme a loro, intanto, abbiamo costruito un piccolo semenzaio con materiali riciclati, da cui speriamo di riuscire a produrre parte delle piantine da trapiantare a fine aprile in terra. Le bimbe innaffiano, controllano se i semi crescono, contano le foglie che hanno messo su le piccole piantine appena spuntate. Intanto iniziano a riconoscere le varie piante, a capire che da un piccolo seme che hanno piantato nascerà una piantina, e che questa piantina presto ci darà dell'ottima verdura da mettere in tavola. Un piccolo o verso un modo di alimentarsi che per noi è stato naturale da sempre, e che vorremmo lo fosse anche per loro.
Farsi il pane
Un'altra ottima abitudine erroneamente considerata un enorme dispendio di tempo ed energia è quella di farsi il pane, in particolare con la pasta madre. Negli ultimi anni le macchine per fare il pane hanno riscosso un grande successo: sono pratiche e utili, si possono usare anche solo come impastatrici o per realizzare confetture e marmellate fatte in casa. Anche senza macchina per il pane è possibile panificare in casa con il metodo della lievitazione naturale, usando la pasta madre, come si faceva una volta. Posso smentire chi crede che sia necessario avere molto tempo a disposizione, semplicemente perché in realtà l'impasto lievita da solo! Il pane fatto con la pasta madre è più salutare, più duraturo e digeribile ed era prodotto dai fornai prima dell'avvento del lievito di birra compresso. La pasta acida, detta “mamma”, può essere fatta in casa, anche se è in voga tra gli apionati panificatori la bellissima usanza di “spacciare” un pezzo di pasta madre a un amico o conoscente o addirittura di spedirla per posta, come abbiamo fatto io e un'amica, replicando poi con altri questa bella usanza. Per entrare a piccoli i nella panificazione naturale si può cercare uno “spacciatore” anche attraverso il web: sul sito www.pastamadre.net si trova una mappa di tutte le persone che l'hanno messa a disposizione. Anche questo è un modo alternativo, sottile ma denso di significato, per fare relazione, per scambiarsi idee e consigli, per diffondere buone pratiche. Il lievito madre si ottiene impastando acqua e farina nelle proporzioni 1 a 2 e lasciando poi riposare a temperatura ambiente (100 grammi di acqua e 200 di farina, meglio se di tipo zero, biologica e macinata a pietra²²). Dopo 48 ore si può semplicemente stemperare l'impasto con altri 100 grammi di acqua tiepida e una volta sciolto si possono aggiungere altri 200 grammi di farina, impastando nuovamente per qualche minuto. In questo modo si “rinfresca” l'impasto originario, alimentandolo con nuovi zuccheri e lieviti. Questo procedimento va ripetuto ogni 48 ore, per una o due settimane, fino a che l'impasto non è in grado di raddoppiare il suo volume in 4 ore. A quel punto la pasta madre è pronta per produrre il pane: va rinfrescata ogni volta e si utilizza parte dell'impasto ottenuto (la biga) per fare il pane, mentre l'altra parte (almeno 100 grammi) si conserva in frigorifero, in un vaso di vetro ben chiuso, per la successiva panificazione.
Annalisa De Luca, autrice del libro Facciamo il pane, afferma senza indugio che il pane fatto in casa è rivoluzionario. Mi ritrovo nelle sue parole.
In un'epoca di continua delega per ogni aspetto della nostra vita, prendersi l'impegno di fare da sé sistematicamente, con regolarità e buoni risultati un alimento basilare come il pane ha un che di stupefacente. […]. Ciò che stupisce è la regolarità, il mancato affidarsi al sistema produttivo industriale, il “trovare il tempo” per qualcosa che con pochi soldi puoi comprare già fatto. Il farlo, il riuscirci, il divertirsi, il goderselo settimana dopo settimana è una testimonianza, la prova che si può fare anche se si lavora, anche se non si ha la donna di servizio, anche se si hanno due figli, un cane e un gatto: si può fare! […] Io mi accontento dell'entusiasmo delle mie bambine alla vista dell'asse per impastare, della gioia che provano nel maneggiare la pasta e nell'alzare nuvole di farina, nel poter raccontare a scuola di aver portato una focaccia fatta con le loro mani, e soprattutto spero che acquisiscano la consapevolezza che le cose essenziali, quelle davvero importanti per la nostra vita, bisogna conoscerle bene e sapere come sono fatte, in modo da poter giudicare con equità e riconoscere il valore di ciò che si trova sul mercato.²³
Imparare a panificare con la pasta madre per me è stata un'occasione per conoscere altre persone che avevano già sperimentato questa esperienza, un modo di condividere una ione nascente, e – banale ma vero! – un modo pratico per avere sempre la pagnotta a disposizione. Il pane a lievitazione naturale infatti dura molti giorni, è sufficiente preparare l'impasto e poi accettare i suoi tempi di lievitazione, mentre si lavora, o mentre si dorme. Fa tutto da solo! Ecco una ricetta di base ben consolidata: Per realizzare il primo impasto utilizzo 100 gr. di pasta madre, 100 gr. di acqua tiepida, 200 gr. di farina di tipo 1 o 2 (acquistata direttamente al mulino) che lascio poi riposare a temperatura ambiente coperto con un panno umido per almeno 4 ore. A questo punto separo l'impasto lievitato: 100 grammi finiscono in un barattolo che metto in frigo per la prossima panificazione, gli altri 300 grammi (la biga) li
utilizzo per il secondo impasto. Aggiungo alla biga 300 grammi di acqua e circa 600 di farina, un cucchiaino di sale fino integrale, un cucchiaino di malto di grano (o di mais, o di zucchero di canna, o di miele) e dò la forma, a seconda dell'estro del momento. A volte in questa fase divido l'impasto in due e a una forma aggiungo qualche ingrediente per un pane speciale, come noci, semi di girasole, di sesamo o di papavero. Cuocio per 10 minuti a 250° e poi per altri 15-20 minuti a 200°, tuttavia ogni forno ha le sue caratteristiche e alcune prove all'inizio sono indispensabili. Il pane risulta cotto quando si sente un rumore sordo battendolo sul fondo. Con un po' di pratica ognuno trova il suo modo di fare il pane, i tempi in base al tipo di acqua, all'umidità, al clima della propria zona. Esistono sul web alcune community che condividono consigli, idee e ricette per fare il pane e altri lievitati con la pasta madre: la più autorevole è la Comunità del Cibo Pasta Madre²⁴, che riunisce al suo interno consumatori co-produttori, ma anche agricoltori, mugnai e panificatori, con l'obiettivo di lavorare assieme per migliore la qualità del pane che tutti i giorni portiamo sulle nostre tavole. Il sito è ricchissimo di ricette, consigli, proposte per utilizzare al meglio il proprio lievito madre. Pasta Madre inoltre organizza ogni anno un evento internazionale di approfondimento sulla filiera cerealicola di qualità, offre un elenco ufficiale di “spacciatori” disponibili a offrire un pezzo del loro prezioso lievito a cui si può aderire gratuitamente. Questa comunità organizza anche il Pasta Madre Day, un momento di spaccio collettivo mondiale in cui chiunque può organizzare un piccolo evento in cui scambiare il lievito e le ricette. Un modo alternativo per incontrarsi e conoscersi. Anche sui social network la pasta madre trova fedeli seguaci; in particolare c'è un gruppo molto attivo su Facebook, dall'omonimo nome²⁵, con decine di documenti, ricette e migliaia di foto di panificatori apionati che si scambiano consigli e idee.
Testimonianza: Sonia, Il Pasto Nudo
Sonia Piscicelli, nota in rete con il nome Izn, cura il sito Il Pasto Nudo² , un blog di cucina consapevole in cui si trovano approfondimenti e ricette. È frutto di un lavoro intenso e quotidiano, messo a disposizione di tutti, “dedicato a chi vuole emanciparsi dai consigli interessati delle riviste, dai medicinali da banco, dalla pesantezza che si prova dopo mangiato”. Il Pasto Nudo si apre con una citazione di Alejandro Jodorowsky che offre subito a chi legge un punto di vista sul modo di concepire l'alimentazione.
“Non si disprezzano i compiti manuali. È chiaro che quando si lavora in cucina si lavora la base materiale della vita. La verità si trova in cucina. Un cuoco deve essere incredibilmente consapevole”²⁷.
Sono nata a Napoli, in piena città, e senza alcun tipo di educazione all'ambiente o all'ecologia, anzi. Da noi quando ero piccola era del tutto normale gettare per terra quello che avevamo in mano, anche perché i cestini non c'erano, e poi, insomma, se lo fanno tutti e sei un bambino tante domande non te le fai. Sicuramente mia madre mi ha insegnato da sempre a diffidare dei farmaci di sintesi, a usarli il meno possibile e solo se assolutamente necessario: se avevamo male al pancino venivamo messi sul letto “a pancia sotto” e corredati di tisana di alloro, se avevamo la febbre s'aspettava che asse. E lo stesso germe critico l'ho avuto per quello che riguardava ciò che mangiavamo: ricordo sempre che al banco del pesce mia madre si vantava di prendere quello freschissimo, che costava molto di più (e non che le nostre condizioni economiche ci permettessero di scegliere), invece di quello abbacchiato a buon prezzo, perché “siamo quello che mangiamo”; ce l'ha ripetuto talmente tante volte che non potrei dimenticarlo neanche se mi lobotomizzassero. Credo che sia da qui che sono partita. Per me l'equazione pochi soldi-cibo ottimo
è sempre stata perseguibile e possibile. Il cibo è venuto sempre al primo posto, prima delle uscite con gli amici, prima dei vestiti, prima del parrucchiere, prima dell'estetista, prima dei viaggi. Voglio dire, adoro viaggiare, sono una vanitosa terribile e quindi fare shopping (consapevole, però!) mi attrae eccome, e mi piace uscire, divertirmi, ridere. E sono straconvinta che il cinquanta per cento della salute arrivi dall'umore che si ha, dai rapporti con gli altri, dall'esercizio fisico, e, sì, anche dalle piccole gratificazioni che ci si può dare in termini di oggetti, cose che ci rendono la vita più divertente. Ma, e di questo sono empiricamente e dolorosamente sicura, per esperienza personale, è al cibo che sicuramente va la responsabilità diretta e immediata del restante cinquanta per cento. Diciamo che sono stata molto aiutata, nel mio percorso di studio sulla correlazione tra cibo e salute, dalla mia cagionevolezza. Non ho mai avuto una salute di ferro: sarà stata la mamma iperprotettiva, le vaccinazioni a palate, lo zio medico che comunque ci affogava negli antibiotici (e meno male che mia madre faceva muro), il fatto che sono stata allattata per circa due mesi a voler esagerare, o un'infanzia decisamente destabilizzante, fatto sta che ho fatto la conoscenza con il colon irritabile che avrò avuto neanche dieci anni, con un esaurimento nervoso appena compiuti i diciotto, con i calcoli renali a venti (roba da pronto soccorso almeno un paio di volte l'anno se andava bene), e con tutta una serie di altri piccoli disturbi vari. Il limite però l'ho raggiunto subito dopo i trent'anni, al primo cambio di metabolismo. E ringrazio il cielo di aver toccato finalmente il fondo, altrimenti mai avrei cominciato a risalire. Facevo danza da alcuni anni, dipingevo, avevo una vita abbastanza serena dal punto di vista economico, ma il mio organismo cominciò a darmi segni che non potevo più ignorare. A parte quei trascurabili due o tre chili in più nonostante l'esercizio fisico (sono sempre stata magra, diciamo che invece di 50 chili ne pesavo 54, fissi), presi a sviluppare comportamenti patologici: siccome quasi qualsiasi cosa mangiassi mi procurava bruciori di stomaco, mal di pancia terribili e conseguenti corse al bagno, evitavo di uscire se avevo appena mangiato, oppure non mangiavo se sapevo di dover uscire. E se andavamo a cena con amici non osavo toccare cibo. Cominciai a essere tacciata di anoressia
(figuriamoci, non c'è nulla che ami più del cibo… solo a vedere la tavola imbandita avrei sbranato tutto, tovaglia compresa) e insomma in un momento di bioritmo positivo decisi che era venuto il momento di riprendere in mano la situazione, e la mia vita, una volta per tutte. Caso volle che un amico di un mio carissimo amico fosse medico, specializzato in nutrizione e precisamente in bioterapia nutrizionale. Non so se conoscete questa branca della medicina: in pratica attraverso una dieta, personalizzata sul tuo metabolismo e sulle tue abitudini, vieni costretto a una vera e propria rieducazione alimentare, basata sull'osservazione empirica di quello che succede al tuo organismo (attraverso delle strisce reattive all'urina che si acquistano in farmacia, oltre alle varie analisi mediche d'uopo, ovviamente). Tutto dipende dalla tua effettiva voglia di stare bene, dalla tua testardaggine e dalla precisione con la quale segui i consigli del medico (e per fortuna queste qualità non mi difettano). Per prima cosa, come regola generale, ti tolgono tutto ciò che è conservato, inscatolato o surgelato industrialmente. E già lì ti senti una specie di naufrago nella tempesta. Poi una serie di suggerimenti che raccontare sarebbe lunghissimo, e insomma dopo un mese avevo cominciato a rinascere. Per prima cosa ho perso, definitivamente, quei chili in più. No, non è la pubblicità della bioterapia nutrizionale, solo una testimonianza, vera e genuina; poi, piano piano, ho imparato quali erano i cibi e le associazioni che peggioravano la mia digestione, e ho potuto ricominciare a mangiare quando uscivo (molto lentamente, questa è stata la cosa più lenta, ancora adesso faccio molta attenzione); ma la cosa che mi ha più stupita è che ho chiuso con le coliche renali e con il pronto soccorso che odiavo a morte. Anche adesso a volte formo un po' di renella, ma so come farla sciogliere subito, senza conseguenze troppo sgradevoli. La bioterapia si era limitata a svegliare la mia curiosità, era solo la punta dell'iceberg di ciò che volevo capire e sperimentare. Così cominciai ad avvicinarmi al mondo del cibo vero, sano e felice, che una volta identificavo con la certificazione biologica, e adesso con la consapevolezza in toto, quella che cerco di trasmettere con ogni singolo articolo del pasto nudo. Sul blog (stra)parlo di come nutrirsi in modo sano e consapevole senza svenarsi:
la nostra situazione economica è tutt'altro che florida, ma nonostante questo ogni singola cosa che mangiamo è della migliore qualità che sia possibile trovare, e vivendo una vita “normale”, fatta di lavoro fuori e dentro casa, figli, caldaie che si rompono, bollette che si accumulano e tutto ciò che a chi ha una famiglia non serve proprio spiegare. Sul significato di questa presunta normalità, e sull'assoluta necessità di decrescere, immediatamente, velocemente e decisamente, potrei aprire tutta una serie di capitoli a parte, ma temo andrei fuori tema-alimentazione. Solo due ultime cose ancora. Primo: si può fare. Davvero. E chi non lo farà sarà costretto a farlo, molto più faticosamente, e pagando prezzi altissimi (non parlo mica di soldi), forse insostenibili, in seguito. All'inizio è tutto molto più complicato, ma piano piano diventa divertente e stimolante. Secondo: mangiare, acquistare, scegliere il cibo, è un gesto politico, non mi stancherò mai di dirlo. Siamo noi che permettiamo alle multinazionali di avvelenarci (e di avvelenare i nostri bambini e i bambini degli altri), quando scegliamo cibi che ci fanno male. Abbiamo in mano la chiave per stare bene, per avere tutto ciò che ci spetta, tutto quello che è giusto. Siatene consapevoli.
Testimonianza: Laura e la cucina dell'anima
Laura è una biologa, si occupa di sicurezza e qualità alimentare e cura con grande ione il sito Cucina dell'Anima²⁸ dove pubblica ricette che racchiudono sempre soluzioni sane, nutrizionalmente corrette e sostenibili per l'alimentazione della sua famiglia.
Fin da piccola ho giocato e bazzicato per gli orti. 30-40 anni fa era una cosa normale per molte famiglie avere un pezzo di terra coltivata, delle piante da
frutto in giardino e faceva parte dei giochi di noi piccoli aiutare il nonno che stava “incalmando una pianta” o trapiantando il radicchio e, a piedi nudi, trafficare con l'acqua per annaffiare l'orto. Ed era molto diffuso alla fine dell'estate andare a vendemmiare, sentire l'odore della fermentazione dell'uva e gustare il mosto. E poi arrivava la stagione delle castagne da raccogliere, da fare arrostire sul fuoco, da avvolgere nelle coperte annusandoci dentro, prima di poterle sgusciare. Così sono cresciuta sapendo qual è il tempo dei pomodori, quello della zucca e delle verze, vedendo i semi germogliare al calduccio dietro a un vetro prima di prendere forza per essere trapiantati nella terra, ando le ore a “stegolare” fagioli o piselli; a lavare pomodori per farne la conserva; a pulire la frutta per le marmellate. È questo che mi viene in mente quando penso a come, fin da piccola, ho vissuto “la mia educazione alimentare”. In modo semplice perché era così che si viveva. La stessa semplicità che è oggi da ritenere una vera ricchezza. Sono questi i ricordi legati alla mia famiglia di origine, dove chi è stato ospite in casa sa quanto la cucina di mamma Silvana sia squisita, sia attenta a proporre cibi sempre diversi, ma in linea con il ritmo delle stagioni. E il grande orto di casa in questo non ci ha mai dato tregua. L'importanza di tutto questo ciclo, vissuto un tempo ivamente, l'ho capita dopo, quando è toccato a me dare vita ai piatti e anima alla cucina. Solo in quel momento ho cominciato a non dare per scontato che tutti i miei ricordi legati al cibo erano veramente la base della mia educazione alimentare. E questo è stato un punto di partenza. Il campo alimentare è comunque parte della mia vita anche professionale. Terminata la facoltà di biologia mi sono sentita attratta dal mondo dell'alimentazione. Da anni mi occupo di sicurezza alimentare e sono coinvolta nei grandi temi dei cibi elaborati dall'industria, dell'origine degli ingredienti utilizzati per produrli, della loro rintracciabilità, delle questioni OGM. Detto questo, la mia sensibilità mi ha portato a prendere la direzione opposta, mi ha portato a rivolgermi sempre più verso ingredienti che abbiano subìto poche trasformazioni, a eliminare dalla lista della spesa tutti quei prodotti fin troppo lavorati (che hanno un'etichetta con l'elenco degli ingredienti troppo lungo), a ridurre al minimo la mia frequentazione dei supermercati per favorire di più alimenti di origine certa e il più possibile vicino a casa, a limitare il consumo di carne. Quando poi sono a mia volta diventata mamma e, ancor prima, durante la gravidanza, ho cominciato a dare ancora più importanza all'aspetto nutrizionale
dei miei pranzi e delle mie cene. Cercavo il più possibile di avere una dieta varia: di mangiare molti cereali diversi, molti legumi come apporto proteico e di fibra (soprattutto di lenticchie per il loro contenuto in ferro), molta verdura fresca. Sapevo bene che quello che ingerivo diventava poi nutrimento per la piccola creatura che cresceva dentro di me. E in un secondo momento attraverso il mio latte quei bambini cominciavano ad avere la percezione dei diversi gusti di ciò che io mangiavo; e a mano a mano che avano i mesi si avvicinavano alla loro “tavola”. Allattarli è stata per me la gioia più grande, l'immenso orgoglio che prova ogni mamma nel vederli crescere di “solo latte”. Quando è arrivato il momento dello svezzamento, per poterlo affrontare con la consapevolezza di quello che stavo facendo, mi sono preparata per tempo. Volevo che per loro tutto fosse naturale. Che pian piano si avvicinassero ai diversi gusti e colori della natura nel piatto in modo semplice, perché arrivassero alla fine del loro percorso a condividere con noi adulti il piacere del cibo buono, consapevole e sano, seduti attorno ad un tavolo, conversando delle piccole e grandi cose che la giornata ci aveva offerto. Non è stato semplice. Non ho trovato grande aiuto da parte dei medici. Non conoscevo altre mamme particolarmente attente all'alimentazione, che mi potessero affiancare in questo percorso. Non c'era molto materiale bibliografico di riferimento. Ma cercando instancabilmente le informazioni che di cui avevo bisogno sono riuscita ad approdare con qualche conoscenza in più al tipo di svezzamento che avevo pensato per i miei figli, uno svezzamento semplice, secondo natura, senza tanti preparati industriali da cui dipendere. Ho cominciato ad approfondire anche le basi teoriche della nutrizione, a capire l'importanza dell'abbinamento dei cibi e ad avere idee sugli apporti nutrizionali di alcuni prodotti. Devo dire che è stato un percorso personale che purtroppo, mi ripeto, all'epoca non sono riuscita a condividere con molti altri. Questo però fino a che un'estate, durante un compleanno, non mi è stata presentata la persona che poi mi ha coinvolto ad essere tra le prime famiglie attive del Gruppo di Acquisto. E nel giro di poco tempo mi sono ritrovata finalmente a condividere con molti altri la mia ione per il “cibo consapevole”. È davvero incredibile l'importanza che questo gruppo ha avuto per me. Grazie alla condivisione delle nostre esperienze abbiamo potuto lavorare sull'autoformazione, invitare persone competenti a parlare di alimentazione consapevole e corretta: biologica ma anche vegetariana e vegana. Ho avuto poi l'occasione di partecipare a serate di cucina naturale grazie alle
quali ho potuto arricchire ancor di più il mio bagaglio, con nozioni teoriche e pratiche. E così la mia ione per la cucina vegetariana è aumentata, fino ad avere voglia di creare un diario delle mie innumerevoli prove, controprove e ricette. Qualcosa da condividere con altri, non da conservare solo come bagaglio personale. Ne è nato così un blog che aggiorno con ione, cercando di dare spunti a chi a a visitarlo e ricordarli a me stessa (perché spesso le idee nascono dall'impeto del momento) per poter consumare in modo sempre diverso e nutrizionalmente corretto i diversi prodotti delle stagioni. Il mio intento di ogni giorno è quello di mettere in tavola cibi che ci possano dare innanzitutto il piacere di ritrovarsi davanti a un buon piatto. Un piatto che rappresenta anche delle scelte: di ingredienti di stagione, poco lavorati, meglio se biologici, meglio ancora se dell'orto o di provenienza sicura, italiana e per quanto possibile vicina a dove vivo. Faccio parte di quelle persone che prima di acquistare se ne stanno a leggere la lista degli ingredienti, e tra le diverse pieghe dell'imballo vanno a ricercare le zone di coltivazione e di origine di legumi, cereali, semi vari. E di riflesso spero che tutto questo possa essere alla base dell'educazione alimentare dei miei figli. Spero davvero che in loro nasca prima o poi la consapevolezza che sedersi a tavola deve essere anche il piacere di volersi bene e di volere bene al mondo.
¹ La Piramide Alimentare è stata ideata dal dipartimento statunitense dell'agricoltura nel 1992, ed è un grafico concepito per invitare la popolazione a seguire i consigli dietetici proposti da un organismo o una società qualificata in materia di salute.
² È curioso notare che questo genere di studi, assolutamente apprezzabili per il fatto che offrono una visualizzazione chiara e decisamente efficace, non tengono conto che, ad esempio nei dolci, esistono preparazioni assolutamente salutari, prive di zuccheri e farine raffinati, burro, strutto e uova. Dolci che analizzati nei loro ingredienti dovrebbero essere posti molto più in basso nella piramide.
³ Il Barilla Center for Food and Nutrition, BCFN, è un centro di pensiero nato
nel 2009 che studia con metodo multidisciplinare alcuni temi legati all'alimentazione e alla nutrizione nel mondo. Fattori economici, scientifici, sociali e ambientali sono studiati nel loro rapporto di causa-effetto con il cibo, con l'obiettivo di metterne in luce le varie componenti ed evidenziando il legame tra nutrizione e vari aspetti della nostra esistenza.
⁴ Si veda Carlo Petrini, Terra Madre, Come non farci mangiare dal cibo, Giunti – Slow Food Editore, 2009.
⁵ Matteo Giattanasio, I pesticidi nel cibo: rischi e consigli per evitarli, “Valore Alimentare”, inverno 2011, nr 37.
Mi ha colpito un articolo della rivista “Altreconomia” (n. 138, maggio 2012, pag. 36-37), a cura di Daniela Patrucco, in cui si racconta l'esperienza del comune di Malosco (TN), in Alta Val di Non, terra di coltivazione delle mele. Il sindaco Adriano Marini ha vietato l'utilizzo dei pesticidi più tossici (ma non vietati dalla legge) e posto severe restrizioni per tutti gli altri, seguendo un principio di precauzione che è anche coerente con la Direttiva 2009/128/CE. Quest'ultima – come indicato nell'articolo – ha istituito per gli Stati membri dell'UE “un quadro per realizzare un uso sostenibile dei pesticidi, riducendone i rischi e gli impatti sulla salute umana e sull'ambiente e promuovendo l'uso della difesa integrata e di approcci e tecniche alternativi”. Nello stesso articolo cito un'affermazione interessate della dottoressa Patrizia Gentilini, medico oncologo ed ematologo: “Occorre lavorare sulla prevenzione primaria, su una drastica riduzione dell'esposizione a tutti gli agenti chimici e fisici già ampiamente noti per la loro tossicità e cancerogenicità. Sull'esempio della Svezia, che mise al bando alcuni pesticidi fin dagli anni Settanta e ora registra una diminuzione dell'incidenza dei linfomi, mentre in Italia registriamo un incremento annuo del 4,6% nella fascia d'età 0-14 anni, contro lo 0,9% dell'Europa”.
⁷ Da Wikipedia la definizione di agricoltura biologica: La parola “biologica” presente in agricoltura biologica è in realtà un termine improprio: l'attività agricola, biologica o convenzionale, verte sempre su un processo di natura biologica attuato da un organismo vegetale, animale o microbico. La differenza sostanziale tra agricoltura biologica e convenzionale consiste nel livello di energia ausiliaria introdotto nell'agrosistema: nell'agricoltura convenzionale si impiega un notevole quantitativo di energia ausiliaria proveniente da processi industriali (industria chimica, estrattiva, meccanica, ecc.); al contrario, l'agricoltura biologica, pur essendo in parte basata su energia ausiliare proveniente dall'industria estrattiva e meccanica, reimpiega la materia principalmente sotto forma organica. Una dicitura sintetica più appropriata avrebbe forse potuto essere una di quelle adottate in altre lingue, agricoltura organica oppure agricoltura ecologica, in quanto mettono in evidenza i principali aspetti distintivi dell'agricoltura biologica, ovvero la conservazione della sostanza organica del terreno o l'intenzione originaria di trovare una forma di agricoltura a basso impatto ambientale. La voce completa a questo link http://it.wikipedia.org/wiki/Agricoltura_biologica
⁸ ec.europa.eu/sanco_pesticides
Si veda nota 3.
¹ L'Orto in Condotta è un progetto educativo di Slow Food nato nel 2004. È diventato lo strumento principale delle attività di educazione alimentare e ambientale nelle scuole.
¹¹ L'hummus è una crema tipica dei paesi del bacino mediterraneo orientale a
base di legumi, da mangiare col pane o con la pita o da accompagnare con verdure fresche.
¹² La crema di Budwig che con un po' di pratica si prepara in 5 minuti, è una vera “colazione da re” perché è un pasto completo che permette di arrivare all'ora di pranzo senza sentire la necessità di fare altri spuntini: contiene le proteine, gli omega-3 dei semi di lino, gli zuccheri e i sali minerali della frutta, gli zuccheri lenti dei cereali. Non richiede cottura, per prepararla serve un buon frullatore o un macinacaffè. Ingredienti (meglio se biologici): 1 yogurt magro, mezza banana (o 1 cucchiaio di miele), un frutto di stagione, il succo di mezzo limone e la buccia grattuggiata, un cucchiaio di semi di lino, un cucchiaio di semi oleosi (noci, nocciole, mandorle ecc.), un cucchiaio di cereali crudi (riso, grano saraceno, avena, miglio, orzo, ecc.). Mettere nel macinacaffè i semi di lino, i semi oleosi e i cereali e tritarli finemente per poi metterli nel frullatore assieme a tutto il resto. La crema di Budwig è anche ricca di varianti (salata con tofu o formaggio al posto dello yogurt, con ortaggi al posto della frutta, ecc.).
¹³ Cibo da consumare in genere fuori pasto, ad alto contenuto calorico ma di scarso valore nutrizionale, quindi di bassissima qualità (merendine industriali, snack, dolciumi).
¹⁴ Ecco quanto afferma il chimico ambientale Massimo Tettamanti, autore di Chimica e Ambiente, edizioni Cosmopolis, 2003: “Il 70% dell'acqua utilizzata sul pianeta è consumato dalla zootecnia e dall'agricoltura (i cui prodotti servono per la maggior parte a nutrire gli animali d'allevamento). Quasi la metà dell'acqua consumata negli Stati Uniti è destinata alle coltivazioni di alimenti per il bestiame. Gli allevamenti consumano una quantità d'acqua molto maggiore di quella necessaria per coltivare soia, cereali, o verdure per il consumo diretto umano.
Dobbiamo sommare, infatti, l'acqua impiegata nelle coltivazioni, che avvengono in gran parte su terre irrigate, l'acqua necessaria ad abbeverare gli animali e l'acqua per pulire le stalle. Una vacca da latte beve 200 litri d'acqua al giorno, 50 litri un bovino o un cavallo, 20 litri un maiale e circa 10 una pecora. Il settimanale “Newsweek” ha calcolato che per produrre appena cinque chili di carne bovina serve tanta acqua quanta ne consuma una famiglia media in un anno.” Tratto da VegAgenda 2004, edizioni Sonda, ripubblicato su http://www.scienzavegetariana.it
¹⁵ “Altroconsuno”, n. 244, gennaio 2011.
¹ http://it.wikipedia.org/wiki/Vegetarianismo
¹⁷ Luciano Proietti, Figli vegetariani, Sonda Edizioni, 5° ed., 2009.
¹⁸ Michela De Petris, Ricette da favola, Editrice Novalis, 2009.
¹ http://www.slowfood.it/slowfish/
² Margherita Hack, Perché sono vegetariana, Edizioni dell'Altan, 2011.
²¹ Zappata Romana ha realizzato una guida pratica per cominciare che si può scaricare gratuitamente a questo link: http://www.zappataromana.net/images/manuale%20It/Default.html
²² La qualità e il gusto delle farine biologiche non hanno paragoni rispetto a quelle convenzionali.
²³ Annalisa De Luca, Facciamo il pane, Manuale pratico con oltre cinquanta ricette per imparare a fare il pane con il lievito naturale, Terra Nuova Edizioni, 2011.
²⁴ www.pastamadre.net/
²⁵ Gruppo Pasta Madre, https://www.facebook.com/groups/165988316839402/
² www.ilpastonudo.it; da questo blog è in pubblicazione il libro di ricette Cucina consapevole.
²⁷ Alejandro Jodorowsky, Il dito e la luna. Racconti zen, haiku, koan, Mondadori, 2009.
²⁸ http://cucinadellanima.it/
IV
La pulizia della casa
Nella casa ideale c'è abbastanza ordine da mantenere la salute e abbastanza caos da mantenere la felicità. Mestieredimamma.it
Cosa vuol dire pulito?
Il tema della pulizia, al pari del cibo, entra in un territorio personale: le nostre case rispecchiano il nostro stile di vita, il nostro modo di essere, le nostre ioni e i piccoli piaceri che ci concediamo. Avere dei bambini piccoli mette alla prova qualsiasi resistenza allo stress in fatto di pulizia (e non solo!), di cura e ordine della nostra abitazione. È cosa risaputa che appena un neonato ha fatto il bagno, ed è stato cambiato, fa un rigurgito sulla tutina; che nella fase dello svezzamento i bambini raccolgono le briciole cadute durante il pasto gattonando sotto al tavolo; che appena fai una cosa qualcuno la disfa e che il disordine potrebbe regnare sovrano. Tenere pulita e ordinata la casa con dei bambini piccoli è certamente un compito arduo, ma ci si deve intendere sul significato del termine pulito. Il disordine e l'apparente sporcizia ci mettono in imbarazzo nei confronti di ospiti o amici che ci vengono a trovare, anche se – diciamocelo – il più delle volte si tratta di sporco superficiale, che in modo semplice e veloce può essere rimosso perché viviamo in appartamenti o abitazioni mediamente salubri. Ognuno gestisce la casa seguendo il proprio istinto, in alcuni periodi accetta con un po' di sopportazione quello che non riesce a fare, adattandosi ai limiti dovuti al poco tempo a disposizione e concedendosi, se può, qualche piccolo aiuto. La pubblicità e la confezione dei prodotti per la pulizia della casa ci spingono ad associare il pulito a ciò che è bianco, profumato, lucido. A volte alla pulizia viene associata anche la forza: il detersivo è maschio e aiuta con la sua forza sgrassante chi deve pulire, come il famoso “Mastro…”. Le campagne di comunicazione delle aziende di detergenti utilizzano anche stereotipi molto potenti, talvolta dal sapore un po' retrò, ma continuano a rinforzare il concetto di pulizia perfetta in una casa massimamente ordinata. Una casa linda e profumata, in cui siano stati utilizzati detersivi di derivazione petrolchimica ha di certo un ottimo aspetto, ma apporta conseguenze negative sulla nostra salute e sull'ambiente. Moltissimi dei detergenti che utilizziamo ci vengono proposti come indispensabili e insostituibili, a volte miracolosi. Osservando gli scaffali dei negozi e dei supermercati ci accorgiamo che alcune tipologie di referenze sono in aumento, in particolare i prodotti specifici, a
sfavore di quelli universali. Per indurre all'acquisto viene fatto credere al consumatore che ogni singola superficie necessiti di un prodotto particolare, più adatto ed efficace, aumentando il conto alla cassa e contribuendo alla diffusione di prodotti dannosi per l'ambiente e per la pelle. L'aggressività dei detersivi e di molti cosmetici, per quanto possa essere accompagnata da una buona efficacia, è spesso responsabile dell'inquinamento interno all'abitazione: i detergenti industriali infatti rilasciano agenti inquinanti non solo nel suolo e nell'acqua¹, ma anche nell'aria che respiriamo all'interno della nostra casa. La chimica e la sintesi, l'aggressività e la forza dei detersivi che rendono immacolato lo spazio in cui abitiamo e che utilizziamo per pulire tutte le superfici e il nostro vestiario, vanno quotidianamente a contatto anche con la nostra pelle e con la nostra bocca. Lo stesso avviene negli asili, nelle scuole, negli ospedali e in tutti i luoghi pubblici che frequentiamo. Eppure la fobia per germi e batteri cresce a dismisura e con essa il desiderio di igienizzare, disinfettare, sterilizzare, con conseguenze negative anche per i batteri buoni, i microrganismi deputati al mantenimento della salute, quelli che proteggono ad esempio il sistema immunitario. In Italia la spesa per detergenti e prodotti per la pulizia è in crescita, in particolare quella di prodotti che facilitano e velocizzano l'azione pulente, come i multifunzione, i 3 in 1 della lavastoviglie (detersivo, brillantante, sale). Si stima che il consumo annuo di prodotti per le pulizie domestiche sia di 25 chili pro capite, metà dei quali solo per il bucato². Pulire troppo con questi prodotti però ci indebolisce: sono in aumento dermatiti, allergie, asma, in particolare nei bambini. Ad esserne responsabili sono i profumi e i conservanti di sintesi contenuti nei detergenti, nei saponi e nei cosmetici. Quindi il prossimo sabato, dopo che avrete pulito per bene la vostra casa, in ogni singolo angolo, cambiato le lenzuola e attivato la lavatrice, fatevi questa domanda: abbiamo pulito o sporcato?
Detersivi ecocompatibili: perché usarli, come riconoscerli
Ci sono molti modi per diminuire l'impatto ambientale della detergenza domestica: si va dalla scelta di detersivi ecocompatibili, alla diminuzione dei prodotti acquistati, all'autoproduzione. In generale la prima cosa da fare è usarne meno, affidarsi in maggior misura ai detergenti universali e non abbinarli mai: tutti noi usiamo detersivi senza conoscerne a fondo le caratteristiche chimiche, le dosi e i consigli d'uso. A volte utilizziamo in abbinamento prodotti che si annullano a vicenda e che quindi risultano inefficaci; con il risultato che siamo indotti ad aumentarne le quantità utilizzate. I detersivi ecologici in genere hanno un costo più alto di quelli tradizionali e questo è un altro buon motivo per usarli con parsimonia e per dedicarsi a qualche esperimento di autoproduzione. Possiamo riabituarci a pretrattare i capi, come facevano le nostre nonne, lasciare che il detersivo agisca sulle superfici e sui tessuti e di conseguenza diminuire le dosi al momento del lavaggio. Se non siamo esperti di chimica e non abbiamo conoscenze specifiche risulta difficile orientarsi, comprendere le etichette, capire davvero cosa stiamo acquistando. Purtroppo non è sufficiente scegliere un prodotto che si definisce ecocompatibile o a basso impatto ambientale. La dichiarazione che ritroviamo sulle confezioni che presentano il prodotto come ecologico o biodegradabile non sono sempre una garanzia. Per me ad esempio è stato deludente scoprire che anche detersivi sedicenti ecologici potessero contenere ingredienti sintetici di derivazione petrolchimica, che si accumulano sull'ambiente e che, in alcuni casi, rientrano nella catena alimentare attraverso il cibo che mangiamo. Grazie ad alcune accortezze si possono identificare i produttori che fanno sul serio scelte in controtendenza, che non si limitano a un'ecologia di facciata ma che hanno veramente a cuore la salute delle persone e dell'ambiente. Un buon punto di partenza è verificare se stiamo acquistando prodotti certificati. Esistono certificazioni rilasciate da enti privati, come nell'alimentare (Aiab, Icea,
ecc.) e il marchio Ecolabel, che è il marchio europeo di qualità ecologica. Questo promuove i prodotti e anche i servizi che presentano un minor impatto ambientale durante tutto il ciclo di vita: consumi di energia, controllo delle emissioni, uso responsabile delle materie prime. Le aziende che chiedono di certificare i loro prodotti e ottenere questo marchio devono rispettare i criteri stabiliti dalla Unione Europea. Il marchio Ecolabel viene concesso ai prodotti che hanno un impatto ambientale ridotto e può essere utilizzato negli Stati membri dell'Unione Europea. Sul forum Promiseland³ si legge un interessante approfondimento su questo argomento.
Ecolabel calcola esattamente l'impatto ambientale che il prodotto avrà una volta che arriva nelle acque reflue, non gli interessa invece l'origine della materia prima. Il ragionamento che si fa a Bruxelles è che Ecolabel deve arrivare a coprire il 30% dei prodotti esposti in un negozio; se questo avvenisse istantaneamente, e se fosse imposto di usare “solo” sostanze di origine vegetale, sarebbe un disastro ecologico, perché le piantagioni di cocco e di palma sarebbero devastate da raccolte selvagge. Ecolabel si pone l'obiettivo di contenere l'inquinamento dell'ambiente anche usando sostanze di origine o con parti di molecola di origine petrolifera. E siccome occorre, come dimostrato, andare piano per non creare sconquassi deleteri, io sono sostanzialmente d'accordo con questa logica. Le certificazioni Bio invece (Ecocert, AIAB, Soil Association, ecc.) badano moltissimo all'origine della materia prima ma poco al suo destino nell'ambiente e in tutti i casi non lo calcolano scientificamente. È ovvio che sarà necessario che in futuro i due sistemi si integrino e si completino.
La certificazione Eco Bio Detergenza ICEA invece misura il CVDTox⁴ valutando l'impatto ambientale del prodotto finito. Come consumatori abbiamo una marcia in più se riusciamo a distinguere i prodotti migliori, spiccatamente ecologici, realizzati con materie prime di origine vegetale, senza ingredienti di sintesi, lavorati in Italia e che generino pochi rifiuti
dovuti al confezionamento: anche immettere meno plastica nella raccolta differenziata è un aspetto di cui tenere conto. Al momento non è obbligatorio indicare sul flacone del detersivo tutti gli ingredienti che compongono la formula e quindi anche se ci sono delle informazioni scritte sulla confezione potrebbero non essere complete o esaustive. È obbligatorio però indicare un sito internet nel quale deve essere pubblicato l'elenco completo degli ingredienti secondo la nomenclatura INCI (International Nomenclature of Cosmetic Ingredients)⁵ che li riporta in ordine decrescente rispetto alla loro percentuale. Le nomenclature che ritroviamo nell'INCI per i non addetti ai lavori sono letteralmente incomprensibili: buona parte delle sostanze sono indicate con il nome comune in inglese mentre altre sono espresse in latino oppure, nel caso di estratti vegetali, con il nome botanico. Uno strumento ottimo per comprendere la compatibilità con la salute e con l'ambiente della formula dei detergenti e dei cosmetici è la consultazione del “Biodizionario” : un database che recensisce quasi 5.000 delle 6.200 sostanze utilizzate nella cosmesi e nelle detergenza. Digitando il nome di un componente INCI il Biodizionario offre un giudizio, dice se possiamo fidarci oppure no, se l'uso è consigliato o inaccettabile. Il Biodizionario è uno strumento in evoluzione ed è il frutto del lavoro di Fabrizio Zago, un chimico industriale che si occupa di consulenza per l'industria dei detergenti e dei cosmetici sostenendo l'utilizzo di molecole naturali⁷. Qui di seguito trovate qualche altro spunto di orientamento, certo non esauriente rispetto alla materia che è molto ampia e complessa, ma che vi darà almeno qualche informazione in più per fare scelte di acquisto più consapevoli.
- I tensioattivi La materia prima principale che la natura offre per realizzare un detergente spiccatamente ecologico è una materia grassa: olio di oliva, di colza, di girasole, di cocco. Dagli oli si ottengono i tensioattivi, sostanze che svolgono una funzione decisiva nella rimozione dello sporco. La maggior parte dei tensioattivi utilizzati nei detersivi tradizionali è di origine sintetica e spesso anche quelli di origine vegetale vengono etossilati, cioè addizionati di una frazione petrolchimica (che può andare dal 30 al 70%!). Per comprendere la loro azione
pulente possiamo rappresentare i tensioattivi come dei fiammiferi: una parte, la capocchia, è idrofila e quindi ama l'acqua, l'altra parte, il gambo, è idrofoba e tende a legarsi alla parte grassa dello sporco, rendendolo solubile. Ogni volta che il detersivo viene a contatto con lo sporco si verifica questa semplice azione: il nostro fiammifero, e quindi le molecole di cui è composto il detergente, da una parte si legano allo sporco e dall'altra all'acqua e quindi con il risciacquo lo sporco magicamente se ne va. I tensioattivi di origine vegetale sono mediamente efficaci ma fanno poca schiuma: dal momento che i consumatori associano psicologicamente la schiuma al potere lavante del prodotto, e quindi alla sensazione di pulito, le aziende tendono a etossilare anche i tensioattivi di origine vegetale, per ottenere ad esempio l'effetto schiuma, che a ben guardare non è per niente necessario. Possiamo riconoscere i tensioattivi etossilati perché comprendono nel loro nome INCI il suffisso -TH, come ad esempio il “Sodium Coceth Sulfate”, un tensioattivo etossilato di origine vegetale realizzato con l'olio di cocco. La molecola non etossilata invece mantiene nel nome il suffisso -yl o -ato. I tensioattivi di origine naturale inoltre sono classificati con un numero pari, per esempio C12 o C14, mentre quelli sintetici di derivazione petrolchimica o vegetali etossilati, con un numero dispari, per esempio C11 o C13. La C sta ad indicare il carbonio presente nelle molecole del detergente. I tensioattivi di origine sintetica e quelli di origine vegetale etossilati hanno alcuni vantaggi che ho iniziato a considerare non necessari: sono più fluidi alle basse temperature e non si cristallizzano con il freddo, fanno più schiuma e sono leggermente più efficaci, aspetti ai quali sono disposta a rinunciare, proprio a favore di una maggiore ecocompatibilità e di un'azione meno aggressiva sulla pelle.
- Sbiancante ottico Quando estraiamo la biancheria dal cestello della lavatrice abbiamo un bisogno: che il nostro bucato sia bianco e possibilmente profumato. Il 95% dei detersivi, sia liquidi che in polvere, contengono lo sbiancante ottico, una sostanza allergizzante, responsabile dell'insorgenza di eczemi e dermatosi,
una sostanza che tende ad accumularsi negli organi degli animali e nelle radici delle piante e che si degrada molto lentamente. E oltre al danno, la beffa: gli sbiancanti ottici sono utilizzati nelle formule dei detersivi per puri motivi estetici, si depositano nelle fibre dei tessuti che vengono percepiti come bianchissimi, esclusivamente per un effetto ottico. Per eliminare lo sbiancante ottico da un tessuto occorrono almeno quattro lavaggi, ma lo sporco, quel grigietto che ci dà tanto fastidio, in realtà rimane sulle fibre ed è solo nascosto! È quello il “bianco che più bianco non si può” e sta a noi scegliere se accettare questa presa in giro o cercare alternative ecocompatibili per ottenere un effetto simile. Lo sbiancante o candeggiante ottico è chiaramente indicato in tutte le etichette dei detersivi, quindi ce lo dicono pure che ci stanno prendendo in giro! Se acquistiamo un detersivo senza sbiancante ottico possiamo compensarne la funzione con l'uso del percarbonato sbiancante, che non è altro che acqua ossigenata solida: va aggiunto in minime quantità al detersivo per la lavatrice; a una temperatura di almeno 40° l'ossigeno si libera producendo un effetto realmente sbiancante del tessuto. All'aumentare della temperatura aumenta l'efficacia.
- Complessanti Sono componenti dei detergenti che hanno la funzione di addolcire l'acqua e potenziare l'effetto dei tensioattivi; in più evitano che lo sporco si depositi nuovamente sul bucato o sugli elettrodomestici. Quelli maggiormente utilizzati non sono biodegradabili e finiscono per inquinare gli ambienti marini, arrivando a solubilizzare i metalli pesanti, contaminando quindi la fauna marina e portando il danno alimentare nei nostri piatti. I più dannosi sono l'EDTA, l'NTA, i Policarbossilati, le Zeoliti.
Le complesse formule dei detersivi contengono anche profumi, conservanti, coloranti ed enzimi: il profumo forse non è necessario ma a volte è utile a eliminare le esalazioni poco gradevoli dei tensioattivi, i coloranti hanno solo fini estetici, i conservanti e gli enzimi aiutano nella disgregazione dello sporco e svolgono un'azione conservante.
Alcune aziende produttrici particolarmente sensibili alle questioni ambientali non aggiungono profumi ai detergenti, che però vendono assieme a un flaconcino di oli essenziali da aggiungere a parte a proprio piacimento; altre utilizzano solo profumi di derivazione naturale e oli essenziali biologici.
Pochi ma buoni
Quando ho iniziato ad avvicinarmi a questi aspetti, pur con la consapevolezza della vastità dei temi, ho smesso di utilizzare prodotti per la pulizia di derivazione sintetica, ho iniziato a leggere le etichette e a consultare il Biodizionario. Ci sono davvero tante, tantissime aziende che producono detergenti realmente ecologici e i loro costi sono inevitabilmente più elevati, soprattutto se lavorano importando gli oli che utilizzano attraverso progetti solidali e se lavorano solo in Italia. La prima mossa da fare per non spendere una follia e pulire consapevolmente è quella di diminuire sensibilmente i prodotti che usiamo, ma dobbiamo sapere come gestirne di meno e come sostituirli, se serve, con detersivi autoprodotti semplici da realizzare, efficaci e a basso impatto ambientale. Tra le corsie dei supermercati ci vengono proposti una quantità di flaconi e bottigliette per nulla necessari e che a volte non conosciamo nemmeno. Tra i classici, quelli che usavano anche le nostre mamme, alcuni si possono tranquillamente eliminare: l'ammorbidente in primis, ma anche i prodotti per lavare i vetri, l'anticalcare, il brillantante (che mangiamo con la pastasciutta del giorno dopo). Personalmente nei periodi in cui il tempo me lo concede amo sperimentare piccole ricette di autoproduzione, ma – per chi non ha un briciolo di tempo – acquistando solo il detersivo per il bucato, quello per la lavastoviglie e uno universale non serve davvero altro. A dire il vero per il bucato ne acquisto due e nel medio termine ho constatato un deciso risparmio: uno in polvere per i bianchi e uno liquido per i colorati e i delicati. Quando necessario aggiungo un cucchiaio di percarbonato per l'ammollo o nel lavaggio se c'è bisogno di igienizzare (ad esempio per pannolini o assorbenti lavabili). Un detersivo universale opportunamente diluito offre soluzioni per tutto il resto e
i costi diminuiscono in maniera sensibile. In alternativa ad alcuni prodotti convenzionali come anticalcare, disincrostante, ammorbidente e brillantante si può utilizzare unicamente l'acido citrico, che si acquista in polvere⁸.
Semplici ricette di autoproduzione - Aceto L'aceto di vino bianco o quello di mele, che ha un odore meno forte, si può utilizzare con ottimi risultati perché ha un grande potere detergente e sgrassante. Non va utilizzato in abbinamento al bicarbonato, non va usato sul marmo, sul travertino, sui parquet in legno e non va aggiunto ad altri detersivi: in lavastoviglie e in lavatrice va aggiunto alla fine, prima dell'ultimo risciacquo. L'uso dell'aceto per le pulizie è abituale in molte famiglie: semplice da preparare, ecologico, economico ed efficace. Alcuni pratici utilizzi dell'aceto: Nel lavaggio a mano delle stoviglie: è sufficiente aggiungerne qualche goccia nell'acqua per rendere brillanti le stoviglie. Per togliere le macchie di bruciato dalle pentole, facendolo bollire con un po' d'acqua nella pentola sporca. In aggiunta all'acqua calda del mocio per pulire i pavimenti e le piastrelle. Per eliminare il calcare dalle superfici, lasciando agire. Per pulire vetri, sanitari e in generale tutte le superfici lavabili.
- Spruzzino di acqua e aceto
Mettere in uno spruzzino riciclato una parte di aceto e tre parti di acqua, meglio se calda. Se aggiungiamo qualche goccia di olio essenziale (menta, lavanda, rosmarino) rilascia un profumo più gradevole. Possiamo utilizzarlo per pulire, anche con funzione di anticalcare: i sanitari del bagno per pulire i vetri, da asciugare poi con carta da giornale per pulire i fornelli in acciaio, il frigorifero e il congelatore, per deodorare il wc, togliere odori sgradevoli dalla lavastoviglie.
- Acido citrico L'acido citrico è un acido presente negli organismi vegetali: il succo di limone, ad esempio, ne contiene dal 5 al 7%, ma è presente anche nella frutta e in molti altri alimenti. Viene estratto e cristallizzato e ha molte applicazioni nella detergenza ecologica. Ecco alcune modalità d'uso: Su tutte le superfici lavabili: si può applicare una soluzione al 15% (ottenuta sciogliendo 150 gr. di prodotto in un litro di acqua distillata), per eliminare le incrostazioni calcaree: si lascia agire qualche minuto e poi si risciacqua. In lavatrice come disincrostante: ogni mese versare un litro di una soluzione al 15% direttamente nel cestello e avviare un programma a vuoto ad alta temperatura. In lavatrice come ammorbidente: versare 100 ml. di una soluzione al 10% nella vaschetta dell'ammorbidente. In lavastoviglie come brillantante: riempire la vaschetta del brillantante con una soluzione al 15% e regolare l'indicatore al massimo.
- Bicarbonato di sodio Il bicarbonato di sodio ha un forte potere pulente, costa pochissimo e non inquina. È solubile in acqua e ha la capacità di assorbire gli odori. Il bicarbonato si può utilizzare per la pulizia della casa, in cucina, per l'igiene personale (ha proprietà deodoranti ed emollienti) e anche per la cura e la pulizia degli animali domestici. Alcuni pratici utilizzi del bicarbonato di sodio: Sciolto in acqua, per l'igiene quotidiana di lavandini, lavelli, vasche, docce. L'ideale è una soluzione al 10%, cioè di 100 grammi per litro. Come assorbiodori: mettendo un contenitore aperto pieno di bicarbonato all'interno del frigorifero da sostituire ogni due mesi. Lo stesso può essere fatto all'interno di armadi, scarpiere, ripostigli o anche, cospargendolo puro, nelle lettiere degli animali. Per pulire a secco i tappeti cospargendoli uniformemente di bicarbonato che va lasciato agire per un giorno e una notte e poi aspirato. Per eliminare i cattivi odori nella lavastoviglie è sufficiente metterne un cucchiaio sul fondo prima del lavaggio.
- Lisciva di cenere Chi ha a disposizione un caminetto o una stufa e quindi si ritrova con discrete quantità di cenere la può utilizzare per fare la lisciva, un detergente ecologico efficacissimo. Prepararla è molto semplice: va riempita una pentola con una parte di cenere e cinque parti di acqua e lasciata bollire per circa due ore. Il composto che si ottiene, la lisciva, va fatto riposare e poi filtrato più volte con l'aiuto di un ino o, meglio ancora, di uno strofinaccio finché non diventa limpido e trasparente. Per non eccedere nell'uso (visto che la somiglianza con l'acqua può indurre a un consumo inutilmente esagerato) si può aggiungere una goccia di colorante alimentare. La lisciva va conservata in flaconi chiusi e utilizzata in uno spruzzino. Essendo un prodotto fortemente alcalino, è meglio proteggere le mani
e gli occhi durante l'uso. Usi della lisciva: Per lavare vetri e piastrelle, piani cottura e in genere tutte le superfici lavabili (esclusi marmo e legno). Per la pulizia del pavimento, aggiungendone 100 ml. al secchio del mocio. In lavatrice come sbiancante o per migliorare l'efficacia del detersivo abituale (circa 80 ml.).
Il sito Detersivi Bioallegri offre una meravigliosa guida all'autoproduzione di detersivi fai da te e innumerevoli consigli per chi vuole provare a ridurre i detergenti che ha in casa e trovare la soluzione ecologica a ogni problema.
Testimonianza: da un g.a.s. a un'azienda di detersivi
Silvia e Luca hanno sperimentato l'autoproduzione per il gruppo d'acquisto solidale di cui fanno parte e poi si sono lanciati in un'avventura imprenditoriale che li ha portati a fondare un'azienda di detergenza e cosmesi ecologica. Silvia è laureata in chimica e tecnologie farmaceutiche con esperienze lavorative in campo omeopatico ed erboristico. Luca è un geometra con la ione per la bioedilizia da 15 anni. Si conobbero in sala parto quando vennero alla luce i rispettivi figli: quello di dare luce a qualcosa di nuovo e vitale sarebbe stato il loro pallino.
Nel 2003 abbiamo scoperto che i detersivi acquistati dal g.a.s. di Rimini, del quale facevamo e facciamo tutt'ora parte, non erano propriamente ecologici. Cominciammo così una ricerca approfondita in un settore che era oscuro ai più. Con l'aiuto di un chimico scoprimmo che il termine “ecologico” riportato su tante etichette non raccontava una verità o lo faceva solo in parte. Con la leggerezza incosciente che hanno i romagnoli nell'affrontare la vita, ci mettemmo in testa che era possibile realizzare dei prodotti che rispondessero alle nostre esigenze. I criteri che ci eravamo dati erano assai rigorosi: assenza di derivati petrolchimici, conservanti di grado alimentare, esclusione di tutti quegli ingredienti che servivano solo a rendere gradevole l'aspetto del prodotto, ma che sono scarsamente biodegradabili e per ultimo, ma non meno importante, che fossero efficaci tanto quanto un prodotto convenzionale. Questo ultimo aspetto era fondamentale: il nostro g.a.s. aveva cambiato diversi produttori perché, a prescindere dall'ecologicità, i risultati di lavaggio non erano del tutto soddisfacenti. Dopo circa 6 mesi di prove, preparammo un piccolo quantitativo dei vari prodotti base per la pulizia della casa: bucato liquido, liquido piatti, polvere lavatrice e polvere lavastoviglie. Li distribuimmo ad alcune famiglie del g.a.s.
assieme all'equivalente prodotto convenzionale leader di mercato e a un questionario nel quale chiedevamo il grado di soddisfazione, il tipo di confezione più gradito, ecc. Dopo qualche settimana analizzammo i questionari e scoprimmo che i prodotti avevano raccolto un buon numero di consensi! A quel punto dovevamo decidere cosa fare: era stato semplicemente un gioco per divertirsi a “pastrocchiare” o poteva essere qualcosa di più? Nessuno dei due aveva grossi capitali da parte, se non quelli frutto del lavoro delle rispettive famiglie, nessuno dei due aveva un padre capitano d'azienda che potesse riconvertire la ditta. Decidemmo quindi di investire i nostri soldi nella ricerca, produzione e acquisto di un piccolo lotto di detergenti. Non fu facile trovare un terzista che ascoltasse le richieste di due romagnoli che volevano un limitato numero di pezzi, formulati con ingredienti “strani” e che non stavano ad ascoltare i consigli su come si doveva formulare un prodotto “ecofurbo”! Ma non desistemmo nella ricerca e dopo qualche tempo, nel garage dei suoceri di Silvia, arrivò la prima produzione di quella che era la nostra nuova creatura: l'azienda Officina Naturae, ovvero officina della natura. Erano circa 5.000 pezzi tra taniche da 5 litri e sacchi da 3 chili. Avevamo un garage pieno di prodotti, nessun cliente, ma un sacco di entusiasmo! Nello studio di geometra di Luca collegammo un computer e una linea telefonica e nel luglio del 2004 Silvia lasciò il lavoro; così iniziò l'avventura. Le rispettive famiglie erano state logicamente informate di quello che sarebbe stato un forte cambiamento: le entrate si sarebbero ridotte, sarebbe mancato uno stipendio, ma la scelta fu condivisa immediatamente. L'anno precedente, durante l'incontro nazionale dei g.a.s., svoltosi a Firenze all'interno della fiera Terra Futura¹ , una componente del g.a.s. di Rimini aveva accennato all'assemblea che un paio di “gasisti” riminesi stavano alambiccando per creare una linea di detersivi per i gruppi d'acquisto solidale. Il tam tam nelle mailing list e nei gruppi era partito: chi erano questi due romagnoli che si erano buttati in questa esperienza? Non avevamo una rete commerciale, eravamo dei perfetti sconosciuti nell'ambito della detergenza, come farsi conoscere? Decidemmo che il primo luogo nel quale Officina Naturae si sarebbe presentata era il Convegno Nazionale dei Bilanci di Giustizia al o della Mendola in provincia di Bolzano. Il padre di Silvia ci prestò il suo furgone, caricammo detersivi e famiglie e partimmo. Da
quel momento abbiamo continuato imperterriti a frequentare le fiere di settore o, invitati dai vari g.a.s. in giro per l'Italia, a raccontare la nostra storia e fornire gli strumenti affinché chiunque possa diventare un consumatore un po' più critico e riesca a capire qualcosa di più quando si trova di fronte all'etichetta di uno shampoo o di un detersivo. Attualmente la maggior parte della clientela è ancora costituita dai g.a.s. e a seguire da negozi del settore biologico o botteghe del commercio equo. Col tempo Officina Naturae si è consolidata e, in completa controtendenza, è riuscita ad assumere del personale. La ricerca avviata nel 2003 è ancora continua: non ci siamo fermati. Di recente siamo riusciti ad ottenere alcuni ingredienti idonei per la creazione di detersivi da oli italiani, cercando di accorciare il più possibile la filiera. Spesso Officina Naturae è citata come una delle poche realtà, se non l'unica, che è nata realmente dal basso, dal desiderio di due persone che sono riuscite a trasformare una propria esigenza di vita in un lavoro gratificante.
¹ Analizzando alcuni fanghi del Po, sono stati rilevate 14 mg di un tensioattivo sintetico ogni 100 gr. di fango. Questo avviene perché, in condizioni anaerobiche, cioè in mancanza di ossigeno, quel tensioattivo di origine petrolchimica contenuto nei detergenti rilasciati nell'ambiente dopo l'utilizzo si è accumulato sui fanghi del fiume in quantità addirittura maggiore che nei detersivi. Significa anche che potremmo lavare i piatti con un pugnetto di fango e produrre più schiuma che con il detersivo!
² Gabriele Bindi, Pulire al naturale, Terra Nuova Edizioni, 2010.
³ http://bit.ly/HxfHFL A scrivere è Maurizio Zago, autorevole e del forum.
⁴ CVDTox è il Volume Critico di Diluizione che rappresenta il volume di acqua necessario per diluire un'unità di prodotto sino al livello in cui non siano più evidenziabili effetti nocivi nell'ambiente acquatico.
⁵ Decisione della Comunità Europea 2006/257/CE. L'INCI è la lista degli ingredienti presente in etichetta, in ordine decrescente di quantità percentuale.
www.biodizionario.it
⁷ Liberatoria di Fabrizio Zago, autore del Biodizionario: 1 - quello che troverete interrogando la ricerca è il mio personalissimo punto di vista. Questo va detto per non caricare la cosa di significati che vanno oltre la mia visione delle cose. 2 - fino a qualche anno fa non avrei bocciato i derivati animali oggi invece sì. Questo per dire che anche la mia visione del settore cambia e si evolve, quindi è possibile che io intervenga cambiando alcuni giudizi, inserendo altre molecole o altro ancora. 3 - tutto è relativo. In assoluto il Bitrex (Denatonium Benzoate) è una brutta molecola, sintetica, ottenuta esclusivamente in laboratorio. Tuttavia la sua funzione d'uso è talmente importante (impedisce l'ingestione dei prodotti da parte di bambini, non vedenti, ecc.) che io la considero come una sostanza assolutamente da consigliare. 4 - Tutto è relativo (due): la composizione INCI (cioè le parole strane in codice che trovate in ogni confezione di cosmetico) deve essere scritta partendo dal prodotto presente in quantità maggiore fino a quello minore. Dunque se trovate un ingrediente contrassegnato dal colore rosso all'inizio della lista è grave, molto meno se si trova in fondo alla lista.
⁸ Per trovare l'acido citrico utilizzate i riferimenti indicati al capitolo 2: negozi online, produttori attraverso i g.a.s., fiere della sostenibilità, negozi del biologico e del naturale.
http://biodetersivi.altervista.org
¹ Mostra convegno dedicata alla sostenibilità. Si svolge ogni anno a maggio, a Firenze http://terrafutura.it
V
Cura della persona
Capitarono davanti a una profumeria nella cui vetrina figurava un gran vaso di pomata contro le lentiggini, con accanto un cartello che diceva: SOFFRITE DI LENTIGGINI? […] “Beh, una domanda educata richiede una risposta educata […]. No, non soffro di lentiggini” spiegò Pippi. “Ma se hai il viso coperto di lentiggini, bambina mia!” “Sicuro” disse Pippi “ma non ne soffro: anzi mi piacciono. Buongiorno!” Astrid Lindgren, Pippi Calzelunghe
Pannolini lavabili: scelta possibile o incubo?¹
La maggior parte della gente, parenti inclusi, vi guarda come se foste degli alieni. Avete scelto di usare i pannolini di stoffa, lavabili e riutilizzabili, e quindi vi meritate questi sguardi, in particolare quelli di chi, negli anni Sessanta e Settanta ha salutato definitivamente i vecchi ciripà e ha abbracciato i pannolini usa e getta, che hanno rivoluzionato la vita delle mamme e salvato una quantità di tempo incredibile da dedicare, giustamente, ad altre faccende. Come sempre le innovazioni sono lente a entrare nella quotidianità e nella cultura di un paese e a dimostrarlo sono gli atteggiamenti vagamente ironici su questo argomento, persino quando viene affrontato in trasmissioni televisive o radiofoniche o negli articoli di giornale che ne parlano. La rete è l'unico luogo in cui, tra i fan e i detrattori dei lavabili, si trovano davvero tante informazioni e un'ampia possibilità di scelta d'acquisto, oltre a opinioni reali e disinteressate da parte di famiglie che li hanno utilizzati. Come sono fatti? Quanti ne servono? Dovremo fare tante lavatrici in più? Ci conviene economicamente? Ne usciremo vivi? L'opportunità di entrare in relazione con altre famiglie e di confrontarsi permette a ciascuno di fare delle scelte più consapevoli, di ascoltare consigli di chi ha già attraversato questa esperienza e di trovare una nostra strada. Nella mia esperienza ho sempre cercato di mediare tra varie posizioni. L'obiettivo era quello di diminuire l'impatto ambientale prodotto dai pannolini convenzionali di cui avevo esperienza per averli utilizzati con la mia prima bimba, ma anche di sopravvivere alle lavatrici dei lavabili, che non sono per nulla una cosa complicata da gestire.
Perché scegliere i pannolini lavabili: salute, economicità, convenienza
Nel mio caso a farmi provare i lavabili fu una sorta di senso di colpa. La mia secondogenita fu colpita da una gastroenterite piuttosto pesante quando non aveva ancora un anno: nella fase acuta della malattia era arrivata a consumare un pacco di pannolini usa e getta al giorno, il che si traduceva in una montagna di rifiuti quotidiani. Accumularli sul terrazzo e poi rompere il sacco della spazzatura sulle scale del condominio, sono stati eventi traumatizzanti almeno quanto la preoccupazione per la gastroenterite, ma hanno avuto l'effetto benefico di farci avvicinare ai pannolini di stoffa. Le persone più avvedute di me però sono mosse da motivazioni salutiste ed economiche oltre che ambientali². I pannolini usa e getta convenzionali, realizzati con materiali sintetici, come è noto non permettono la naturale traspirazione della pelle e creano una sorta di camera stagna che aumenta fino ad un grado la temperatura nella zona del pannolino. I germi dell'urina e delle feci possono provocare con più facilità dermatiti ed eritemi, mentre l'aumento della temperatura nei maschietti può essere nocivo per l'apparato riproduttivo. Uno studio³ ha dimostrato che la salute riproduttiva maschile negli ultimi decenni si è deteriorata anche a causa dell'aumento della temperatura testicolare nella prima infanzia, dovuta all'utilizzo dei pannolini prodotti con materiali sintetici. Essi inoltre utilizzano dei gel superassorbenti che sono responsabili della disidratazione della pelle e dell'insorgenza di eritemi. I lavabili si rivelano più economici rispetto ai convenzionali: il costo mediamente va dai 13 ai 23 euro a pannolino. Alcune tipologie sono taglia unica e accompagnano il bambino dalla nascita fino all'uso del vasino, altre vanno cambiate a seconda del peso del bambino, come avviene per gli usa e getta: la spesa iniziale viene ammortizzata nel giro di qualche mese. Il risparmio inoltre aumenta esponenzialmente con l'arrivo di fratellini o sorelline, visto che i materiali sono resistenti e permettono senza alcun problema il riutilizzo per molti anni. Un bel modo per diffonderne l'uso è quello di arli ad altre famiglie.
Veniamo ora all'aspetto ambientale: i pannolini usa e getta costituiscono il 4% dei rifiuti domestici. In Italia se ne consumano ogni giorno più di 6 milioni e occorrono circa 500 anni perché si possano degradare. Essendo un rifiuto non riciclabile, finiscono nelle discariche o negli inceneritori, da cui liberano diossina nell'aria. Tutti questi aspetti, e non solo quello ambientale, dovrebbero avvicinare i genitori alla scelta dei lavabili, ma la reticenza è ancora alta: è normale chiedersi se sia una scelta percorribile o se possa invece diventare un incubo. Il pensiero comune è che sia una scelta per gente che “può permetterselo” perché ha molto tempo da dedicare alle faccende domestiche, magari i nonni a disposizione o la signora delle pulizie che dà una mano, coniugi collaborativi oltre la media nazionale e magari anche neonati che dormono tutta la notte. Io sono convinta che sia una scelta per tutti e che, se fatta mediando con altre soluzioni, possa avere un grande valore. Non si deve pensare che sia così complicato o che serva molto tempo per “gestire” i pannolini lavabili: è sufficiente averne un buon numero (15-20 pezzi per un uso esclusivo, e una decina per un utilizzo misto), dotarsi di un secchio con il coperchio dove riporli quando sono sporchi lasciandoli in ammollo con qualche goccia di olio essenziale. Qualche lavatrice in più va messa in conto, ma si deve tenere presente che i pannolini di stoffa possono essere lavati assieme al resto della biancheria, si possono asciugare all'aria e al sole o, d'inverno, sul termosifone. Cosa dobbiamo fare in più? Dobbiamo rimuoverli dal bidoncino e metterli in lavatrice, stenderli e poi riporli nei cassetti o a portata di fasciatoio. E se ci troviamo in ritardo con i lavaggi possiamo optare per gli usa e getta ecologici. Io non portavo i lavabili all'asilo nido e li utilizzavo solo nel pomeriggio e nei fine settimana, ma credo che sia stato comunque un gesto significativo, anche se non esclusivo. Negli ultimi anni i lavabili sono migliorati notevolmente da un punto di vista tecnico e funzionale: sul mercato se ne trovano di eccezionali, con un ingombro minimo e un'ottima assorbenza. Il problema del peso e del volume sono aspetti in gran parte superati. Esistono persino dei pannolini ultraleggeri, realizzati con tessuti studiati e testati ad hoc, con fibre ottime a contatto con la pelle, che non
danno alcun problema di eritema da sfregamento e dotati di esterno impermeabile. In ogni caso vanno “prese le misure”, per valutare la frequenza del cambio e per trovare il modello più funzionale alle nostre esigenze. In genere ci si aspetta dai pannolini lavabili o, più in generale, da prodotti con un alto livello di sostenibilità, che abbiano le stesse prestazioni di quelli usa e getta. Le fibre sintetiche e i gel superassorbenti contenuti in questi ultimi sono stati studiati proprio per migliorare le prestazioni dei materiali presenti “in natura”. Ma una mediazione si può trovare. Si può fare la scelta dei lavabili perché si è disposti a scendere a compromessi e si accetta di adattarsi un po', ma si può anche mettere al bimbo l'usa e getta di notte o quando si viaggia. L'importante è imparare a gestire anche questo aspetto in base alle esigenze della propria famiglia, senza eccessi.
Tipologie di pannolini lavabili
Esistono tre tipologie di pannolini lavabili e diversi modelli per ogni tipo. La scelta del modello da usare è soggettiva e si possono anche provare dei kit che ne contengono vari tipi per capire verso quali orientare il proprio acquisto. Anche la quantità di pezzi da acquistare dipende dalla scelta o meno di un uso esclusivo. Ogni famiglia formulerà un'ipotesi pensando all'utilizzo effettivo, anche dopo i primi mesi, quando il bambino potrà are qualche ora all'asilo nido o con i nonni. Non tutti gli asili accettano i pannolini portati da casa e i nonni… potrebbero non volerne sapere! I pannolini tradizionali: sono delle pezze di tessuto (prefold) che vengono piegate e tenute in posizione attraverso dei fermagli e grazie a delle mutandine impermeabili che si indossano sopra. I ciripà, incubo delle nostre nonne, fanno parte di questa categoria di lavabili, ancora in uso, con tessuti più versatili e mutandine contentive di qualità decisamente migliore rispetto a quelli che si usavano fino agli anni Sessanta. I pannolini sagomati, tutto in due: questi pannolini in tessuto hanno una forma simile a quella degli usa e getta e si chiudono con velcro o bottoncini. Anche a questi vanno abbinate le mutandine impermeabili. I pannolini tutto in uno: sono pronti all'uso, sicuramente più semplici da utilizzare. Sono dotati di sistemi di chiusura a velcro o con bottoni a pressione. Tutti i pannolini vanno indossati con un inserto in carta monouso biodegradabile (tessuto-non-tessuto) che serve per raccogliere le feci e rimuoverle con maggiore facilità, agevolando molto il lavaggio del pannolino stesso. Si possono anche abbinare ulteriori inserti in cotone per aumentare l'assorbenza, in particolare se utilizzati di notte. Sul sito www.pannolinilavabili.info si possono trovare informazioni e materiali per diffonderne l'utilizzo sia tra altre famiglie che negli asili nido e ottime istruzioni per autoprodurli. Su www.pannolinilavabili.info è presente una lista di negozi che li vendono in
tutta Italia, anche online, l'elenco dei comuni e delle province che offrono incentivi all'acquisto e degli asili nido che li accettano, nonché tante testimonianze di genitori che li hanno provati con soddisfazione.
I pannolini ecologici usa e getta
Oltre ai lavabili ci sono altre possibilità per diminuire l'impatto ambientale dei rifiuti da pannolino, seppure con un costo leggermente maggiore e con vantaggi notevoli dal punto di vista igienico e di prevenzione di allergie e dermatiti. Gli usa e getta convenzionali sono prodotti con materiali sintetici provenienti da fonti fossili, cioè di origine petrolchimica, ma esistono anche dei pannolini usa e getta a bassissimo impatto ambientale perché realizzati con materiali che provengono da fonti rinnovabili e che sono biodegradabili e compostabili. Un prodotto può dirsi compostabile quando la sua biodegradabilità supera il 90%, quando cioè si degrada velocemente, come i rifiuti che in genere mettiamo nel bidoncino dell'organico. Esiste una sola azienda italiana che produce questi pannolini, la Wip Spa, e che è riuscita nell'intento di sostituire le plastiche sintetiche non biodegradabili utilizzate nei pannolini convenzionali con materiali naturali di origine vegetale, che derivano quindi da risorse rinnovabili. La Wip ha realizzato un prodotto realmente alternativo che sfrutta la cosiddetta bioplastica, un polimero naturale, fatto con zuccheri ottenuti dalla fermentazione di amidi vegetali (mais) e poi cellulosa proveniente da foreste coltivate e non primarie. I pannolini di Wip hanno ottenuto una certificazione importante che conferma la loro compostabilità. È stata rilasciata dal CIC, che è il Consorzio Italiano Compostatori, una struttura che, in collaborazione con vari enti pubblici, si occupa di riduzione dei rifiuti. Da poco tempo questi pannolini possono essere gettati nel rifiuto organico per trasformarsi in humus, tornando ad essere materia utilizzabile alla fine del ciclo di vita del prodotto. Attenzione però: il consiglio⁴ è di togliere le alette e di non gettare questi pannolini nella compostiera domestica. Negli impianti di compostaggio industriale, che sono quelli in cui finiscono i nostri sacchi del rifiuto organico, le temperature sviluppate dai batteri superano i 55°C, la soglia termica in cui i batteri collegati alle feci muoiono. Negli impianti si arriva fino a 80-90°C, non grazie al riscaldamento ma all'attività propria dei batteri della biodegradazione. Questo non avviene però nelle compostiere di casa perché i batteri risentono del clima esterno; in inverno sono in “letargo” e d'estate sono attivi – l'immondizia
puzza d'estate ma non d'inverno – mentre negli impianti industriali la temperatura è monitorata e l'ambiente isolato dal contesto esterno. Nelle compostiere da balcone o in quelle fornite dalle aziende municipalizzate per la gestione dei rifiuti non si superano i 40°C se non d'estate. Se ci facciamo caso anche le foglie o i rametti non “compostano”; in queste micro-aree un pannolino, anche se compostabile, non ce la fa. Io ho utilizzato gli ecologici alternandoli ai lavabili (ad esempio in vacanza). La tenuta è leggermente inferiore rispetto agli usa e getta convenzionali, ma non me ne stupisco e non sono assolutista nelle pretese. Possiamo adottare soluzioni ecologiche per l'igiene del nostro bambino e adattarci a prestazioni davvero di poco inferiori se sappiamo che il prodotto è realizzato da qualcuno a cui dare fiducia con i nostri acquisti. Personalmente mi sento sollevata sapendo che mia figlia non ha la pelle a contatto con sbiancanti al cloro o il gel superassorbente fra le gambe. Di pannolini ordinari non si muore, ma se possiamo scegliere, evitiamo (come per i detersivi) tutto ciò che ha componenti di origine petrolifera, ben sapendo che le nostre azioni sono una goccia nell'oceano e che se non si comincia dalle piccole cose, si rischia di non cambiare mai.
Intervista a Marco Benedetti, ideatore dei pannolini usa e getta biodegradabili e compostabili
Marco Benedetti è un sognatore. È un imprenditore ma è anche il papà di un bambino allergico che ha cercato di conciliare il benessere e la salute di suo figlio con il suo stile, fatto di amore per la natura e di scelte ecocompatibili. Marco, dopo una lunga esperienza professionale in ambito tessile, ha ideato e sviluppato il pannolino usa e getta ecologico di cui abbiamo parlato nel paragrafo precedente.
• Da dove sei partito? Quali considerazioni ti hanno portato a ideare questo
prodotto? Sono partito dal tema dell'igiene, che non significa meramente pulizia: l'igiene è un ramo della medicina che tratta le interazioni tra l'ambiente e la salute umana, al fine di prevenire le malattie. Noi genitori trattiamo il pannolino come uno strumento e non lo percepiamo mai come un problema, mentre a volte succede che i pannolini stessi diventino delle trappole che producono malattie, allergie e altre problematiche. La nostra pelle è un organo con il quale respiriamo, al pari del naso, per questo dobbiamo fare molta attenzione. E allora io sono partito chiedendomi a chi serve il pannolino: alla mamma o al bambino? Per la mamma è uno strumento utile, ma se mi trasformassi in bambino, non credo che lo vorrei indossare: gli usa e getta comuni sono fatti con il petrolio, i lavabili sono ingombranti e in proporzione al peso del bambino non sono funzionali. Partire dal punto di vista del bambino è la chiave, per tutto, non solo per i pannolini.
• Quali sono le resistenze e le difficoltà che incontri, nel far conoscere e comprendere il tuo prodotto? Quali sono i miti da sfatare? Lo scetticismo iniziale verso tutto quello che è “diverso”, che non rientra negli stereotipi perché questo richiede un'elaborazione del pensiero che, nel caso dei pannolini, è delegato ad altri come la marca conosciuta, il pediatra, l'ospedale, o anche l'abitudine familiare e il bisogno di semplificarsi l'esistenza laddove c'è già una consuetudine e soprattutto non c'è una prescrizione (leggi: norma). Non ci sono veri miti da sfatare perché è interesse dei grandi produttori non sollevare il problema, davanti a tutto c'è il bisogno dei genitori e dei tecnici di concentrare il proprio tempo in cose che sono ritenute più importanti, più essenziali e vitali. Non si pensa che una corretta igiene è vita.
• Perché i pannolini che produci sono amici dell'ambiente e anche della salute dei bambini? Perché lo sono i materiali che abbiamo adottato attraverso la ricerca. Noi abbiamo solo adottato ciò che esisteva già ma che semplicemente non era stato pensato per questa applicazione; di fatto non abbiamo inventato niente ma
dimostrato che è così: i biopolimeri sono una materia prima straordinaria, sufficientemente adattabile alle più svariate forme (esattamente come un polimero sintetico derivato dal petrolio ovvero un olio minerale – mentre il biopolimero è di origine vegetale e quindi riproducibile in un ciclo stagionale); la Natura produce saccaridi e polisaccaridi in assoluta abbondanza, spesso vengono persino gettati perché in eccesso o addirittura non desiderati; anche il nostro intestino quando ingeriamo una mela trasforma le sostanze zuccherine idrosolubili magari in acido lattico (il lubrificante-raffreddante dei muscoli). Ecco, noi usiamo una materia prima che si chiama acido polilattico (ovvero più molecole di acido lattico a formare una catena più lunga quindi “sostanziosa”, manipolabile). Questo è un materiale che si riproduce e si decompone in natura ed è biodegradabile, nel nostro caso anche compostabile (in 90 giorni a norma di legge), quindi torna nel ciclo vitale della natura per creare nuova vita. Ma è anche un materiale che non ha controindicazioni per il contatto con la pelle perché non intrappola il calore irradiato dal corpo, è soffice, in alcuni casi liscio e naturalmente idrofilico (fibra), in altri poroso e traspirante (film), non richiede additivi chimici per funzionare, al contrario dei derivati da petrolio proprio perché l'olio in realtà non si combina con i liquidi. Inoltre è noto che gli amidi da cui si estraggono i saccaridi utilizzati dagli enzimi per trasformasi in acido lattico sono un ottimo disinfiammante (per es. bagnetti di amido di riso). Insomma, la natura offre risposte che ancora una volta l'uomo con la sua intelligenza e visione deve solo cogliere e adattare alla sua esigenza, sapendo che non è un inventore ma un fruitore della fantasia e diversità della natura.
Il riciclo dei pannolini
È in fase di sperimentazione un sistema per il riciclo dei pannolini usa e getta convenzionali grazie a una collaborazione tra la Fater, nota azienda di pannolini usa e getta, il Centro Riciclo Vedelago e il Comune di Ponte nelle Alpi, che si trova in provincia di Belluno. Questi tre soggetti hanno unito le loro competenze ed esperienze per mettere a punto un sistema sperimentale, primo in Italia, per la raccolta e il riciclo dei pannolini usa e getta ordinari. Per quanto mi riguarda rimango ancora convinta che abbassare l'impatto con consumi più sostenibili all'origine sia la soluzione migliore, ma credo che agire su più fronti, e quindi riciclare rifiuti generati dai prodotti assorbenti, sia un o in avanti importante. Credo che questa operazione vada letta come un'azione responsabile che affronta in modo molto concreto un problema enorme finora irrisolto e non in contrapposizione all'uso dei pannolini lavabili e di quelli ecologici. Il processo di riciclo ha come presupposto la raccolta differenziata specifica per i prodotti assorbenti per la persona (pannolini, pannoloni) che vengono dunque raccolti separatamente e conferiti al centro riciclo in cui è sito l'impianto. Il sistema trasforma questi rifiuti in materia prima seconda, agendo esclusivamente tramite vapore a pressione che sterilizza ed elimina i potenziali patogeni, senza utilizzare agenti chimici. Le varie componenti vengono separate meccanicamente per ottenere plastiche e cellulosa di qualità elevate e adatte a essere riutilizzate in altre produzioni. Con la plastica si possono realizzare oggetti e arredi urbani, con la cellulosa cartone da imballaggio o fertilizzanti. Per ogni tonnellata di rifiuti che altrimenti finirebbero in discarica (77%) o negli inceneritori (23%) si ottengono 350 chili di di materia organico-cellulosica e 150 di plastica riciclata. Prima di progettare l'impianto è stato studiato un bilancio energetico (LCA) di tutta l'operazione dal quale è risultato evidente l'effettivo risparmio energetico del riciclo del pannolino, anche considerando le emissioni del ciclo di raccolta e trasferimento dei materiali⁵.
Metodo EC come alternativa ecologica all'uso dei pannolini
L'avvento degli usa e getta ha dilatato il tempo in cui il bambino ne fa uso. Fino a pochi anni fa era normale togliere il pannolino attorno all'anno di età, mentre oggi questo aggio è stato spostato a due o tre anni. Esiste un metodo che possiamo definire ecologico rispetto all'uso, o meglio al non uso dei pannolini: è il metodo Elimination Comunication, che significa “comunicazione dell'eliminazione” e viene abbreviato in EC. Si tratta di un metodo di educazione precoce al vasino e tra le sue conseguenze più dirette c'è proprio il fatto che utilizzando prestissimo il vasino non si usano pannolini (o se ne usano pochissimi) con ricadute positive sull'ambiente. Di questo metodo non si parla molto per vari motivi, non ultimo il fatto che non c'è nulla da vendere e che si tratta indubbiamente di una scelta familiare forte, che necessita di impegno, pazienza e grande dedizione. Educare anticipatamente al vasino significa avere il coraggio di mettersi al fianco del proprio bimbo e permettergli di essere “attivo” in questa esperienza, seguire l'istinto, accettare piccoli fallimenti, accettare di sporcare casa e vestiario, ecc., ma anche far crescere felicemente i proprio bambini senza pannolino. La grande domanda è: perché mai dovrei fare a meno di utilizzare il pannolino? Che c'è di sbagliato? E poi, come si fa? Se allarghiamo un po' lo sguardo ad altri Paesi e continenti ci accorgiamo che la cultura occidentale è l'unica che ha messo completamente a tacere il linguaggio del corpo del neonato che comunica alla madre la necessità di evacuare: il pianto, le abitudini, gli orari possono aiutare la madre (e il padre) a capire quali sono i segnali giusti e imparare a interpretarli, tanto quanto si interpreta il pianto per sonno e per fame, fin dalle prime settimane di vita. Pensiamo alle mamme africane con i bimbi in fascia: usano il pannolino? Assolutamente no! La nostra cultura ci ha abituati a lasciare il piccolo con un “coso” addosso a urinare e defecare ivamente. Per noi è naturale perché siamo cresciuti con il
pannolino, ma non è sempre stato così. Io non ho usato questo metodo – non sono dotata di sufficiente pazienza – quindi non sono un'esperta. Quando però ne ho scoperto l'esistenza mi sono informata pensando alla grande opportunità comunicativa che questo metodo riserva alla coppia genitore-bambino e alla grandissima valenza ecologica che esso rappresenta. La qualità della comunicazione, del legame e dell'intimità che si può arrivare a realizzare con il metodo di educazione precoce al vasino è molto elevata. L'idea di fondo è quella per cui i neonati sarebbero molto più ricettivi di quello che possiamo pensare e che quindi possano diventare “consapevoli delle proprie funzioni corporee e imparare a rispondervi fin dai primi mesi di vita”. Niente di più lontano dall'immagine del neonato che non sa far nulla così come ci viene proposta da sempre. Il libro Senza Pannolino di Laurie Boucke illustra il metodo attraverso una serie di esperienze dirette e testimonianze di famiglie che l'hanno sperimentato con soddisfazione e risponde a tutte le possibili domande che un genitore può farsi.
Non va dimenticato che si tratta di un metodo che richiede un notevole impegno e molto tempo a disposizione. Se non li abbiamo possiamo semplicemente ispirarci ad esso e cercare di carpire i momenti in cui i nostri bambini hanno bisogno di evacuare, abituandoli a sedersi sul vasino molto presto, quando riteniamo che siano in grado di farlo, non tanto per applicare l'EC nella sua completezza, ma per consumare una quantità inferiore di pannolini⁷.
Eco-mestruazioni
I nostri bambini non sono gli unici a produrre, con i pannolini, una grande quantità di rifiuti indifferenziati. Gli assorbenti e i tamponi femminili (e anche i prodotti per l'incontinenza, i pannoloni, le cerate usa e getta) sono altrettanto inquinanti e difficili da smaltire. In Italia ci sono 16.012.000 donne in età fertile (dati Istat), che consumano ogni anno 6.000.500.000 assorbenti o tamponi e producono circa 120.100.000 chili all'anno di rifiuti difficili da smaltire (circa 228 chili al minuto!)⁸. Ma anche per le donne esistono delle alternative: la coppetta mestruale, gli assorbenti riutilizzabili di stoffa e gli assorbenti usa e getta ecologici, per i quali valgono le stesse considerazioni fatte per i pannolini. La coppetta mestruale è una piccola coppetta in silicone che si piega e si inserisce in vagina (come si fa con gli assorbenti interni): essendo morbidissima si apre leggermente, aderisce perfettamente e raccoglie il flusso. Quando ci si “cambia” è sufficiente lavarla con acqua e sapone, sciacquarla e reinserirla. A inizio e fine ciclo (o tutte le volte che vogliamo) possiamo disinfettarla, facendola bollire in un pentolino per 5 minuti. La coppetta mestruale è rivoluzionaria. Il libricino in 11 lingue contenuto nella confezione che ho acquistato tempo fa, oltre a dare indicazioni tecniche su come si inserisce, come si toglie, come si pulisce, si sofferma sull'aspetto della divulgazione e della pratica nell'uso:
Anche le migliaia e migliaia di donne che usano e apprezzano la Mooncup , quando hanno cominciato non sapevano come fare. Ti preghiamo di parlare della Mooncup a tutte le donne che conosci, diffondendo uno strumento rivoluzionario per la loro vita e per il pianeta. Più donne anno la Mooncup, meno tamponi (e assorbenti) ci saranno ad inquinare il pianeta.
Probabilmente ognuna di noi per ogni ciclo consuma almeno una confezione di assorbenti o tamponi, che hanno un costo (seppur accettabile) e che finiscono nel rifiuto solido urbano e quindi, ancora una volta, in discarica o negli inceneritori. La coppetta offre una sensazione di libertà unica e non inquina minimamente perché può essere riutilizzata per sempre. La comodità e la praticità della coppetta sono assolutamente insuperabili. Una volta inserita in maniera corretta non si ha più la percezione di averla, a differenza di tamponi e assorbenti che possono dare un po' di fastidio, in particolare d'estate. Si può svuotare facilmente ogni 4-8 ore, a seconda delle necessità. Con la coppetta si è indubbiamente più libere, in tutte le situazioni: a casa, in vacanza, quando si fa sport o si sta fuori tutto il giorno. Anche la percezione del flusso è affatto differente: con gli assorbenti a volte si ha l'impressione di averlo abbondante e spesso si associa un po' di disagio o la paura di sporcarsi. A differenza di quanto affermano alcuni scettici, la coppetta è molto igienica. Tamponi e assorbenti in genere non sono sterilizzati mentre la coppetta sì, tutte le volte che noi vogliamo. Inoltre abbiamo la certezza di non avere alcun contatto con sbiancanti e pesticidi. Alcune aziende producono coppette colorate, ma solo con colori naturali e atossici. Per apprezzarne la comodità serve un po' di pratica: le prime volte ci si deve mettere comode, senza figli nei paraggi e provare a utilizzarla seguendo le istruzioni, evitando di usarla per la prima volta il primo giorno di ciclo. In commercio ce ne sono moltissime e si possono comprare comodamente online, in farmacia o in negozi che vendono prodotti ecologici. In rete si possono trovare anche siti e forum in cui le donne si scambiano opinioni, idee, piccoli consigli¹ . Anche optare per l'utilizzo di assorbenti di stoffa è una possibilità da considerare: i tessuti sono molto assorbenti, anche più degli usa e getta, e il lavaggio, dopo un ammollo in acqua fredda è semplice ed efficace. Anche per gli assorbenti femminili vale il consiglio di lavarli con detersivi poco aggressivi, senza candeggianti e ammorbidenti che, oltre a diminuire l'assorbenza, possono dare problemi di allergie da contatto. Gli assorbenti lavabili possono essere di due tipi e, in genere, sono tutti dotati di
ali e di bottoncini a pressione per fissarli alle mutandine: - All in one (AIO): un unico pezzo, che all'interno ha vari strati (cotone, pile o altro tessuto molto assorbente come bambù o flanella) e all'esterno un tessuto impermeabile da una parte e uno stampato o colorato dall'altra. - Poket: due pezzi, un assorbente con la tasca e l'inserto da inserire. Alcuni tessuti come la flanella (che è cotone) sono molto impermeabili e quindi esternamente non ci sono rivestimenti. La scelta del tessuto e della tipologia è molto personale, dipende dal flusso, ma anche dalla frequenza del bucato. L'ideale è fare delle prove e poi acquistare una buona quantità (8/10 pezzi) di quelli che fanno al caso nostro. Gli assorbenti e i salvaslip lavabili costano poco, soprattutto se pensiamo che ci durano anni. Un salvaslip in cotone biologico costa dai 3,50 ai 4 euro; un assorbente dai 5 agli 8 euro. Assieme agli assorbenti si possono acquistare anche delle bustine per il cambio, comode soprattutto quando non si è a casa. Gli assorbenti lavabili possono essere anche autoprodotti, per chi ha una macchina da cucire e un po' di manualit๹.
Igiene e cosmesi: cosa serve veramente in famiglia
Per parlare di igiene e cosmesi bisognerebbe partire dalle origini, e riflettere sul senso della pulizia personale e della cura del corpo, del piacere a se stessi e agli altri. Igiene deriva da un termine greco che significa “sano, salutare, curativo” ed è anche un ramo della medicina che si occupa di prevenzione, evita e combatte le malattie e promuove il benessere della persona. Queste affermazioni sul senso, anzi sul buon senso dell'igiene, andrebbero affisse nelle farmacie, nelle erboristerie e nelle corsie dei supermercati che vendono tanti, troppi prodotti per la cura della persona. Ma dovremmo anche dare un'occhiata al nostro bagno e osservare quanti dei flaconcini che campeggiano negli armadietti sono efficaci e mantengono le loro promesse, e qual è la frequenza di utilizzo. Lo stesso vale per l'esagerata quantità di prodotti per i bambini, che in realtà hanno bisogno davvero di poco per lavarsi. Se il nostro obiettivo è di essere puliti e di stare bene con noi stessi e con gli altri ci servono pochissime cose: una saponetta, uno shampoo, un deodorante, magari una crema al bisogno, dentifricio, spazzolino e poco altro. La maggior parte dei prodotti per la cura della persona che troviamo nei supermercati, così come avviene per i detersivi, ha molte componenti di origine petrolifera e conservanti di sintesi. Per questo costano poco e durano molto; e hanno conseguenze sul nostro ambiente e sul nostro portafoglio. Il primo o da fare per un'igiene piacevole e sostenibile è quella di ridurre i prodotti e limitarsi agli indispensabili, riservando il gusto delle eccezioni a momenti particolari o affidando all'autoproduzione il piacere di viziarci con qualcosa di particolare. Trattamenti e maschere per il viso e per i capelli, creme differenti per ogni parte del corpo, tonici rinfrescanti, schiume da barba e dopobarba: siamo sicuri che non possano essere limitati se non addirittura eliminati? In famiglia ho provato a ridurre i prodotti per la pulizia personale scegliendone di naturali e certificati, acquistati in quantità generose o con imballo minimo. Il nostro benessere, la nostra salute e la nostra pulizia non ne hanno risentito minimamente. Abbiamo speso meno e prodotto meno rifiuti.
Purtroppo il marketing battente e seduttivo che riguarda il tema del benessere e della bellezza ci induce ad acquistare molto più di quanto ci serva. Dobbiamo invece tornare ad affidarci di più al potere pulente dell'acqua e a un utilizzo contenuto di pochi prodotti di alta qualità. Le motivazioni e i criteri di scelta sono gli stessi che mi muovono nell'acquisto di detergenti per la pulizia della casa. Ho imparato a leggere sempre le etichette e a non acquistare flaconcini troppo piccoli, per evitare lo spreco di plastica. Evito anche di acquistare saponi o shampoo molto pubblicizzati e con ingredienti di derivazione fossile¹². Mi limito ad acquistare saponette, shampoo e balsamo per i capelli, un deodorante, del buon olio di mandorle e il dentifricio che ho imparato anche a produrre. Il gruppo d'acquisto mi facilita molto, ma gli stessi prodotti si possono acquistare facilmente online o anche in negozi che vendono prodotti naturali, a volte in erboristeria o in qualche farmacia. Le bimbe, fin da piccole, fanno il bagno con qualche cucchiaio di amido di mais o di bicarbonato di sodio. Adesso che sono un po' più grandi e fanno anche la doccia come noi, usano la saponetta e qualche goccia di shampoo di ottima qualità, un po' più costoso di quello del supermercato e per questo trattato con parsimonia. Mi ha fatto sorridere ma anche riflettere l'esperimento di un blogger e opinionista americano, Richard Nikoley, autore di “Free the Animal”¹³ che ha abolito completamente l'uso di saponi e di shampoo, definendo questa azione una delle mosse migliori mai fatte in vita sua. Nikoley ha affermato che è stata una vera e propria esperienza di liberazione. Dopo il primo mese senza sapone ha scoperto infatti numerosi vantaggi: oltre a risparmiare sull'acqua, racconta di aver superato il problema della pelle secca, che senza sapone è diventata più idratata, e di non aver problemi di odori. Lavarsi solo con acqua ha molta più efficacia di quello che normalmente si pensa. Nei suoi racconti Nikoley scrive che le prime due settimane sono state difficili, ma poi la pelle ha ritrovato il suo equilibrio, ripristinando la naturalità del mantello idrolipidico. Non dobbiamo certo arrivare a tanto, ma un esperimento di questo tipo può farci riflettere ancora una volta sulla sobrietà e sul coinvolgimento emotivo del marketing, che è arrivato a trasformare la nostra cultura travisando il senso della pulizia e della cura di sé.
Non a caso, quando nasce un bambino, tra le raccomandazioni offerte da esperti di allattamento e di puericultura, c'è quella di non utilizzare profumi o deodoranti e saponi intensi per non distrarre il neonato dall'odore naturale della madre, lui che, privo di orientamento, ha bisogno di conoscerla e riconoscerla dal suo profumo vero. L'odore personale non è né buono né cattivo, c'è e basta, ma viene costantemente coperto da quello artificiale, spesso molto forte, ritenuto erroneamente odore di pulito. Le saponette prodotte artigianalmente o autoprodotte e prive di confezione durano molto di più del classico flacone di docciaschiuma che non sempre è a prova di bimbo e che in ogni caso andrebbe diluito. Al posto delle spugne sintetiche si può utilizzare una manopola di cotone riutilizzabile, come si faceva una volta, oppure la luffa che si può facilmente coltivare anche sul balcone di casa¹⁴. La soluzione ideale è quella di acquistare saponi e detergenti di alta qualità e abbinarli all'autoproduzione per contenere le spese, divertirsi, avere la soddisfazione di creare qualcosa per noi e per la nostra famiglia, fare un uso intelligente del tempo libero e coinvolgere nei nostri esperimenti parenti e amici che possano aiutarci a migliorare e condividere i nostri prodotti.
Ricette semplici di autoproduzione
Qui di seguito trovate alcune ricette per realizzare facilmente in casa dei prodotti per la cura del corpo. Sono state realizzate e testate da Silvia Pasqui, una mamma apionata e attenta alla qualità di ciò che viene a contatto con il corpo, che ha anche raccontato la sua esperienza e la sua svolta nella testimonianza di fine capitolo. Molti di questi prodotti non sono indispensabili, ma il piacere di prepararli e magari regalarli li trasforma in gesti di bontà per il nostro corpo e per le persone care, utili senz'altro per curare la pelle e, a volte, anche l'umore. Tutte le ricette sono testate e valutate da un'erborista. Provarle non vi deluderà.
- Oleoliti Gli oleoliti sono oli di bellezza e curativi di facilissima preparazione e dalle moltissime proprietà. Esistono infiniti tipi di oleolito, tanti quanti sono le piante e i fiori. La pianta o il fiore che utilizziamo cede tutte le sue proprietà all'olio nel quale la immergeremo e quindi, applicando quest'olio sulla pelle, potremo beneficiare delle proprietà stesse della pianta. La scelta è molto ampia e va fatta ponendo attenzione alle proprietà delle piante, che potremo reperire in erboristeria o nel nostro giardino. L'olio che andremo a utilizzare come vettore può essere un qualsiasi olio vegetale. L'olio d'oliva va evitato perché, con il suo odore deciso, andrà a disturbare il profumo rilasciato dalla pianta. Sono preferibili oli con odore neutro o delicato come l'olio di mandorle, quello di jojoba o i più economici olio di riso o di girasole biologico. È importante usare prodotti biologici perché andremo a metterli sulla nostra pelle. Il procedimento è semplicissimo. La prima cosa da fare è raccogliere la pianta che vogliamo utilizzare; poi
dobbiamo farla seccare lasciandola all'aria o al sole per un paio di giorni. Quando la pianta è ben secca va messa in un barattolo che riempiremo d'olio fino a immergerla completamente. Non sono importanti le quantità, è sufficiente coprire completamente la pianta. È possibile anche miscelare sia le piante sia gli oli prescelti. Ora dobbiamo chiudere bene i barattoli e incartarli con della carta alluminio affinché non prendano la luce. Successivamente i vasi vanno riposti in un luogo fresco, asciutto e buio per 40 giorni, durante i quali dobbiamo agitarli spesso. ati i 40 giorni prendiamo i nostri vasetti di vetro e, aiutandoci con un ino a trama fitta, eseguiamo i due filtraggi necessari per ultimare la produzione dell'oleolito. Il primo filtraggio consiste in una “sgrossatura”: dovremmo are l'olio nel ino (asciutto) e spremere ben bene la pianta che vi era contenuta così che escano tutti i princìpi attivi. L'oleolito così filtrato dovrà riposare per 24 ore prima di are al secondo filtraggio. Il secondo filtraggio, più fine, mira a togliere tutti i residui rimasti nei barattoli. Utilizziamo lo stesso colino usato in precedenza mettendo anche della garza o un panno pulito per far sì che si filtri solamente l'olio e non i residui. Se non abbiamo utilizzato oli con molta vitamina E (come ad esempio olio di jojoba) dovremo aggiungere una goccia di tocoferolo (vitamina E) che si trova facilmente in farmacia, per conservare più a lungo i nostri oleoliti. Abbiamo così preparato degli oli dalle più svariate proprietà, che possono tranquillamente essere usati sui bambini e che ci aiuteranno a mantenere sana e bella la nostra pelle senza usare creme sintetiche. Qui di seguito un elenco di piante o fiori facilmente reperibili sia nei prati che in erboristeria con le loro proprietà: Arnica: Tonificante, elasticizzante, contro i dolori muscolari e articolari. Calendula: ricrea il tessuto epiteliale, cicatrizzante, lenitiva per pelli sensibili e irritate. Camomilla: lenitiva, calmante. Edera: agisce contro la ritenzione idrica, contro la cellulite e aiuta le gambe gonfie.
Fieno greco: emolliente, tonificante, contrasta l'invecchiamento cutaneo e la cellulite. Iperico: antisettico, cicatrizzante per l'acne, tonificante per pelle secca e screpolata, allevia i dolori muscolari. Lavanda: antiinfiammatorio, lenitivo, antisettico per pelle arrossata, grassa e impura. Limone: disinfettante, astringente, purificante per pelle impura, tonificante, anticellulite, rinforzante per unghie. Salvia: antibatterica, antiossidante, antisudorale.
- Crema idratante per il corpo e per il viso Questa crema è un ottimo rimedio contro il freddo, anche se la sua forte azione idratante può essere sfruttata in ogni periodo dell'anno. La vaniglia dona al composto un delicato odore dolciastro, ma possiamo personalizzarla con qualsiasi olio essenziale a nostra scelta. Gli ingredienti sono: 60 gr. di olio di mandorle dolci un baccello di vaniglia 7 gr. di cera d'api 25 gr. di burro di karitè, meglio se grezzo
Per realizzare questa crema dobbiamo prima preparare un oleolito alla vaniglia. In questo caso si può usare il metodo a caldo, che è più veloce e ugualmente valido: si mettono i 60 gr. di olio di mandorle in un vasetto provvisto di coperchio che chiuda bene, si taglia il baccello di vaniglia in 2, si raschiano i semini che ci sono all'interno e si fanno cadere nell'olio. Poi si fa a pezzetti il baccello di vaniglia, si aggiunge al composto e si chiude bene il tappo. A questo punto il barattolo va messo per un'ora e mezzo a bagnomaria, a fuoco lento, per
ottenere l'oleolito che andrà poi filtrato con un telo di cotone. Nel frattempo vanno pesati gli altri ingredienti, sciolti a bagnomaria e uniti all'oleolito. Quando il composto è ben amalgamato lo versiamo in barattolini lavati e ati con alcool e lasciamo indurire per una notte. La consistenza di questa crema è simile a quella di un balsamo per le labbra molto morbido. Appena la spalmiamo lascia la pelle leggermente unta, ma questo effetto scompare nel giro di pochissimi minuti lasciando l'epidermide morbida e idratata; in più la protegge dal freddo. Non avendo acqua nella preparazione può essere conservata abbastanza a lungo, fino a 6 mesi. È sempre opportuno sterilizzare bene gli accessori che utilizziamo e produrre sempre piccole quantità di crema, da consumare in tempi brevi.
- Burro cacao senza cera d'api Non sempre è facile reperire la cera d'api e per questo ho scelto una ricetta più semplice di quelle che in genere si trovano, ma con ottime qualità idratanti. Il procedimento è davvero semplicissimo, gli ingredienti di facile reperibilità: 3 gr. di burro di cacao 3 gr. di burro di karitè 3 gr. di miele 5 gocce di olio di jojoba 3 gocce di olio essenziale a scelta (facoltativo) il contenitore di un burro cacao o di un rossetto finito e lavato per bene ato con alcool a 95° oppure un semplice contenitore piccolo, con il tappo.
Pesiamo gli ingredienti con una bilancina di precisione. Può essere utile sapere che un cucchiaino da tè equivale a 5 grammi.
Sciogliamo burro di cacao e di karitè a bagnomaria. Aggiungiamo il miele, l'olio di jojoba e l'olio essenziale e versiamo nel contenitore, facendo attenzione che non ci siano fori sul fondo. Mettiamo in freezer per 5 minuti e poi in frigo per una giornata. Con questa ricetta semplice si ottiene un burro cacao compatto, ideale da mettere nel contenitore di un rossetto esaurito.
- Acqua di rose Produrre in casa l'Acqua di rose è davvero facilissimo; abbiamo bisogno di: rose: una decina se le avete grandi, se sono piccole vanno raddoppiate le quantità 700 gr. circa di acqua demineralizzata olio essenziale alla rosa (facoltativo) alcool alimentare nella quantità del 20% rispetto al peso dell'acqua di rose che vi è rimasta dopo il processo di bollitura (facoltativo)
Vanno utilizzati solo i petali, per poi procedere a una scelta di quelli più integri. Dobbiamo utilizzare rose che non abbiano subìto alcun trattamento antiparassitario altrimenti si vanifica l'aspetto naturale del composto. Mettiamo in una pentola i petali e l'acqua e facciamo bollire per circa 15 minuti, finché vedremo le rose perdere il loro colore. Facciamo raffreddare il composto e lo versiamo in un barattolo chiuso e ben lavato con acqua e con l'ultima ata di alcool a 95°. Lasciamo riposare una decina di ore al buio. iamo ora al filtraggio: con l'aiuto di un colino a trama stretta, versiamo il composto e le rose e pigiamo bene per far uscire tutta l'acqua. In questo momento abbiamo già la nostra acqua di rose e possiamo iniziare a usarla tenendo presenti alcune semplici informazioni:
Questo composto non profumerà affatto di rosa, quindi se vi interessa la profumazione vanno aggiunte 2-3 gocce di olio essenziale. Questa acqua di rose non si conserva per più di una settimana in frigorifero. Per questo propongo due metodi di conservazione: si può aggiungere il 20% di alcool rispetto al peso dell'acqua di rose che avete ottenuto oppure si può mettere in freezer. Io utilizzo delle formine per il ghiaccio strette e lunghe in modo da poterle prendere e mettere direttamente nella bocca del contenitore facendole sciogliere di volta in volta.
Utilizzare l'alcool non è problematico: è presente in quantità ben maggiori del 20% anche in prodotti di alta qualità per bambini. Se avete dei dubbi potete provarlo su una piccola parte di epidermide. È comunque un ingrediente migliore di tanti altri conservanti che ci sono in commercio.
- Deodorante stick Ingredienti: 3 cucchiai di burro di karitè 3 cucchiai di bicarbonato di sodio 2 cucchiai di burro di cacao 2 cucchiai di maizena (amido di mais) 3 gocce di tocoferolo (in farmacia) 5 gocce di olio essenziale a scelta
Mettiamo a sciogliere a bagnomaria karitè, burro di cacao, bicarbonato e maizena. Quando gli ingredienti sono ben disciolti aggiungiamo il tocoferolo¹⁵ (vitamina
E), che serve per conservare la nostra composizione, e gli oli essenziali. Mescoliamo e coliamo nei contenitori che prima abbiamo lavato per bene e ato con un po' d'alcool a 95°. La composizione va messa in frigorifero a stabilizzare e poi è pronta per essere usata. L'unica cosa che potrebbe essere fastidiosa è che la crema ottenuta è piuttosto compatta e non facile da spalmare. Per rimediare è sufficiente colarla nel contenitore del deodorante roll-on finito e disinfettato.
- Deodorante spray Un'alternativa ancora più semplice per fare in casa un deodorante efficace è la seguente: 4 cucchiai di bicarbonato 50 ml. di acqua distillata 10 gocce di olio essenziale a scelta
Mettiamo nell'acqua distillata il bicarbonato. In questo modo andremo a fare una soluzione satura di bicarbonato, che lasciamo riposare qualche ora. Successivamente mettiamo il composto in un contenitore spray, versando solo la soluzione e non il residuo di bicarbonato che rimane sul fondo. Ora aggiungiamo l'olio essenziale a scelta. Il tea tree, essendo un antibatterico, è il più consigliato. Un valido rinfrescante è la menta piperita, oppure la lavanda, che avendo anche proprietà lenitive è consigliata a chi ha la pelle più delicata. Il composto deve essere agitato prima dell'uso perché l'olio essenziale non si scioglie nell'acqua. Non c'è bisogno di nessun tipo di conservante perché essendo una soluzione satura di bicarbonato, che è un ingrediente basico, è difficile che ci sia proliferazione batterica. Rimangono sempre validi i consigli di igiene e sterilizzazione dei contenitori e la preparazione di piccole dosi, da consumare in tempi brevi.
- Pasta all'ossido di zinco per il cambio del pannolino Questo preparato è davvero semplice e ha bisogno di pochissimi ingredienti: 30 gr. d'olio di mandorle dolci senza profumazione 30 gr. d'olio di vinaccioli 40 gr. di ossido di zinco in polvere (si trova in farmacia)
Mescoliamo insieme i tre ingredienti e otterremo un'ottima pasta da mettere al cambio del pannolino, o al bisogno. Il composto, non contenendo acqua, non è soggetto a proliferazione di batteri, ma è comunque bene utilizzarlo in una settimana.
- Gel ai semi di lino 80 gr. di semi di lino mezzo litro d'acqua distillata 1 cucchiaino di miele 1 cucchiaino di succo di limone mezzo cucchiaino di glicerina un pizzico di sale
Per questa preparazione serve un colino a maglia non troppo fitta, in modo che ino i semi di lino.
Mettiamo i semi all'interno del ino in una pentola abbastanza grande, come se dovessimo metterli a bagnomaria, e ci versiamo l'acqua sopra (è importante che i semi stiano nell'acqua). Lasciamo riposare per 5 minuti, accendiamo il fornello a fiamma bassa e dal momento del bollore calcoliamo 10 minuti. A questo punto spegniamo e lasciamo riposare altri 5 minuti, senza toccare il composto. Togliamo il colino con i semi e avremo così ottenuto il gel. Aggiungiamo il sale e mescoliamo bene fino a quando non si sarà sciolto e di seguito aggiungiamo tutti gli altri ingredienti, che renderanno il nostro gel più idratante e più fissante. Mescoliamo bene e conserviamo nel congelatore, ad esempio con i contenitori per il ghiaccio. Sono ottimi quelli in silicone, in modo da avere piccole monoporzioni da utilizzare al bisogno. Questo gel può essere usato come impacco, come preshampoo ma anche come doposhampoo senza risciacquo sui capelli bagnati.
Testimonianza: Silvia Pasqui
Silvia Pasqui è una blogger apionata e mamma di due bambine. Silvia condivide le sue esperienza di maternità attraverso il blog Piacere di Conoscerti (www.piacerediconoscerti.it) dove, con parole e immagini, racconta una vita fatta di cose semplici, autoproduzione, orto, giocattoli fai da te e molto altro.
La mia svolta è avvenuta circa tre anni fa con l'arrivo della mia prima bambina, anche se in tutta la mia vita ho sempre avuto l'istinto di mangiare, curarmi e vestire naturale. Prima però il mio impegno era superficiale, mi “fidavo” di ciò che era riportato sulle confezioni o nelle pubblicità e sebbene leggessi l'etichetta non sapevo bene cosa e come cercare! Invece con l'arrivo di un figlio le domande che ti fai esigono delle risposte concrete, vere, testate, non puoi più solo fidarti delle pubblicità, che troppo spesso non sono veritiere, ma devi cercare e cercare, informarti, sapere! La pelle di un bambino è molto più delicata di quella di un adulto e mia figlia è davvero molto sensibile da questo punto di vista. Da qui è nata la ricerca di prodotti realmente naturali da poter utilizzare anche con lei, senza pensieri. Cercando sul web ho trovato lo “strumento per eccellenza” per quanto riguarda l'informazione, il Biodizionario. Con il tempo ho imparato anche ad autoprodurre ciò che mi serve. Non tutto ovviamente, ma alcune cose molto semplici sono diventate una routine, in casa e in famiglia. Ho iniziato sperimentando, ho fatto il sapone con i miei nonni carpendo preziosi consigli. La semplicità è sempre stata un motto per me. Per la maggior parte delle ricette abituali, quelle che faccio sempre e che ho proposto, non c'è nemmeno bisogno di uscire a fare la spesa, perché abbiamo in casa o in giardino tutto ciò che ci occorre e in poco tempo riusciamo a preparare un olio o una crema o un deodorante con ingredienti sicuri. L'autoproduzione è quindi un piccolo sforzo per ottenere un grande risultato,
utilizzare ciò che Madre Natura ci offre, senza aggiungere additivi o sostanze studiate in laboratorio, è una grande soddisfazione oltre che un grande risparmio economico e ambientale. Purtroppo mi rendo conto che, come facevo io fino a non molto tempo fa, la maggior parte della gente non fa alcuna attenzione a ciò che compra, nemmeno quando quei prodotti sono destinati alla pelle delle persone che più amiamo, quella dei bambini. La pubblicità spesso ci offre immagini idilliache e per niente veritiere, a volte utilizzate da generazioni, con marchi noti e riconoscibili; poi, andando a fondo, si scopre che contengono componenti di derivazione petrolifera. Per esempio molte creme e oli destinati ai bambini hanno al primo posto nella lista degli ingredienti (INCI) il “paraffinum liquidum”, uno scadente derivato della raffinazione del petrolio, un ingrediente inquinante, non biodegradabile e per di più inserito dalla direttiva europea tra i cancerogeni di classe II. La paraffina è considerata cancerogena dalla comunità europea, ma a causa di un cavillo “è cancerogena per via delle impurità contenute” e se dichiarata pura dal produttore può essere ancora usata in cosmetica. Il motivo è semplice: è economica e non irrancidisce! Questo è solo un esempio di ciò che si trova in circolazione e che si può evitare solo grazie a un po' di informazione in più. Ovviamente il mercato dei cosmetici non è fatto solo di questo, molti marchi seri e davvero validi lavorano nel rispetto di “uomo e natura” e ci vendono i loro prodotti a un costo un poco più elevato ma con grande attenzione e rigore nel rispettare la qualità di tutti gli ingredienti che compongono il prodotto. Di solito nel caso di queste aziende “serie” possiamo anche evitare di leggere l'INCI se sulla confezione è riportata la certificazione Ecolabel o il simbolo del cosmetico biologico/organico. Questo argomento è vastissimo e possiamo facilmente evitare molti rischi componendo noi stessi i nostri prodotti per la cura della persona… meglio mettersi addosso olio d'oliva che petrolio, no? Una conseguenza importantissima dell'autoproduzione cosmetica è il bene che facciamo al nostro pianeta: gli ingredienti naturali che utilizziamo, oltre a nutrire la pelle senza danneggiarla, non avranno alcun impatto negativo. Un altro aggio importante nella mia vita di mamma è stato quello di
prendere coscienza della reale emergenza ambientale sul tema dei rifiuti. La cura del corpo comprende l'uso di pannolini per bambini e assorbenti femminili usa e getta. Nella mia esperienza ho fatto un utilizzo misto di pannolini lavabili e usa e getta. Non avevo ancora chiara la loro effettiva positività, mi spaventava il lavaggio frequente. Ma un'accortezza che ho avuto durante la crescita della mia prima figlia è stata quella di leggere in lei il bisogno di fare popò, un “trucco” per utilizzare meno pannolini. Non lavorando fuori casa ho potuto dedicare alla mia bambina molto tempo e con un po' di esperienza sono riuscita a capire i momenti in cui aveva bisogno e portarla direttamente sul wc. Già dai 4 mesi sono riuscita a non farle sporcare più “quasi” nessun pannolino con la popò: un grande risparmio e una bella comodità, specie quando andavamo in giro! Una vita più verde e in accordo con la natura è una grandissima gioia e un inno alla vita.
¹ Per approfondire tutte le tematiche relative al pannolino (e a come disfarsene!) si veda Elena Dal Prà, Via il pannolino! Come dare l'addio al pannolino in una prospettiva educativa, etica ed ecologica, Il leone verde, 2011.
² Vedi la guida per genitori realizzata da www.newbabyberry.com, uno dei primi siti a introdurre i pannolini lavabili sul mercato italiano.
³ http://adc.bmj.com, Scrotal temperature is increased in disposable plastic lined nappies
⁴ Queste indicazioni sono state fornite direttamente dall'azienda produttrice.
⁵ http://bit.ly/so2TbZ
Laurie Boucke, Senza pannolino. Come educare al vasino fin dai primi mesi di vita. Terra Nuova Edizioni, 2006.
⁷ Qualche sito per saperne di più: http://www.evassist.it, http://www.diaperfreebaby.org/
⁸ fonte: http://www.labottegadellaluna.it/
La Mooncup è una delle più conosciute, ma esistono moltissime marche di coppette.
¹ Segnalo su tutti il forum http://lacoppettamestruale.forumattivo.com/.
¹¹ Due tutorial ben fatti per l'autoproduzione di salvaslip o assorbenti lavabili: http://bit.ly/HK9Ltm e http://bit.ly/IsCMdF
¹² Nelle etichette dei cosmetici e dei detergenti naturali ed eco biologici per la persona, secondo il disciplinare Icea, non dovremmo trovare PEG, parabeni, petrolatum, paraffina, SLS, SLES, siliconi, OGM, coloranti artificiali.
¹³ http://freetheanimal.com
¹⁴ La luffa è una pianta che appartiene alla famiglia delle curcubitacee. Il frutto è utilizzato principalmente come spugna vegetale, in quanto al momento della
completa maturazione si disidrata perdendo gran parte del suo peso. Ciò che resta è esclusivamente il corpo fibroso che costituisce la parte spugnosa. La luffa è dunque usata per pulire le stoviglie e per la pulizia della persona; non è difficile coltivare questa pianta nella propria abitazione, per poi sfruttarla come spugna. (fonte: Wikipedia)
¹⁵ Tocoferolo (voce wikipedia http://it.wikipedia.org/wiki/Tocoferolo): il tocoferolo è un nutriente vitaminico essenziale e vitale per l'uomo, un potente antiossidante liposolubile, presente in molti vegetali, ad esempio nella frutta, nell'olio di canapa, nell'olio d'oliva e soprattutto nell'olio di germe di grano. Il tocoferolo è uno dei principali composti detti vitamina E, e per questo ne viene comunemente usato interscambiabilmente il nome.
VI
Diminuire i rifiuti, controllare i consumi
L'unico rifiuto buono è quello che non viene prodotto
Abbiamo vissuto per qualche decennio al di sopra delle nostre possibilità, come individui e come pianeta, in termini di produzione di scarti e rifiuti. Tutti noi ormai siamo consapevoli dei problemi connessi allo smaltimento del rifiuto solido urbano, il cosiddetto secco o inorganico. Quando finisce negli inceneritori può avere effetti dannosi sulla salute: la combustione, in particolare dei materiali sintetici, produce emissioni chiamate PM, costituite da materiale particolato e metalli pesanti. Si tratta di una miscela di particelle potenzialmente dannose che ritroviamo nell'aria che respiriamo, con effetti cancerogeni e una stretta correlazione con molti disturbi e malattie¹. Le discariche non sono certo un problema meno pesante: nessuno le vuole vicino a casa, giustamente, perché oltre a un impatto paesaggistico terrificante sono un pericolo per la salute del territorio. Il percolato inquinante non è sempre captato e adeguatamente trattato nel sito della discarica, come previsto dalla legge: dei reportage giornalistici² hanno dimostrato che anche in alcuni siti italiani il percolato è stato rilevato lungo corsi d'acqua presenti nei pressi delle discariche. Il percolato è un refluo altamente inquinante prodotto da processi fisico-chimici che si realizzano nella decomposizione dei rifiuti e, se non controllato, si infila nelle falde acquifere o finisce in mare rientrando poi inesorabilmente nel ciclo alimentare. Sono note anche le eccellenze nella gestione dei rifiuti che in Italia non mancano: i Comuni Virtuosi ne sono un esempio, assieme alle molte città che, attraverso piani efficaci di educazione ambientale e strutture adeguate per la raccolta e il riciclo, riescono a portare gradualmente la raccolta differenziata ad altissimi livelli percentuali. Nondimeno, le complesse dinamiche politiche e gli scandali legati alle ecomafie sono quotidianamente sulle cronache dei giornali. Appare evidente l'incapacità o la grande difficoltà nell'incidere dei cambiamenti negli stili di vita delle persone, specie quando proposti dall'alto: ci sono troppi intrighi, troppi interessi in gioco. Ancora una volta la condivisione di esperienze, le scelte operate dai singoli cittadini e dalle famiglie, l'educare i bambini a non sprecare e a scegliere loro stessi con coscienza ambientale diventano delle leve per determinare il vero
cambiamento che porti, prima che alla differenziazione, a una riduzione rilevante nella produzione di rifiuti. Non si tratta infatti solo di differenziare, ma di impegnarsi a scegliere ciò che entra nella nostra casa anche in base all'entità dello scarto che potenzialmente può produrre. Il dato che in genere viene fornito per valutare lo zelo dei Comuni su questo tema è la percentuale della raccolta differenziata. È un'informazione significativa, ma va necessariamente integrata con il peso pro capite di rifiuti prodotti. Tutto può diventare rifiuto: giocattoli, vestiario, gadget vari, oggettistica di vario genere, l'imballo degli articoli che acquistiamo, gli elettrodomestici, i prodotti di elettronica e persino, purtroppo, il cibo. Per questo la durevolezza è un grande valore: l'usa e getta è sempre più un insulto al pianeta, un “mordi e fuggi” dal quale abbiamo il dovere di elevarci. In alcune situazioni potrà essere il male minore, non lo metto in dubbio, ma non possiamo esimerci, nelle nostre case, dal riconsiderare tutto ciò che può essere limitato. Il punto principale è proprio questo: l'unico rifiuto buono è quello che non viene prodotto³. Qualunque scarto, anche se riciclabile o riciclato, alimenta un circolo vizioso di consumo di energia e di necessità di smaltimento. Quando ero bambina ogni sera mio padre scendeva con un sacco di spazzatura che metteva nel bidone condominiale: non esisteva la raccolta differenziata e il primo contenitore per la raccolta del vetro nel nostro quartiere fu visto con interesse per lo stimolo al riciclo, tema sul quale eravamo decisamente poco informati. Oggi in casa abbiamo i bidoncini per tutto, le bimbe hanno già delle rudimentali conoscenze in merito ai materiali e fanno a gara a indovinare dove finiscono i rifiuti. Grazie anche ai numerosi progetti scolastici su questi temi, hanno iniziato a capire che quasi tutto ciò che “buttiamo” fa un lungo viaggio per essere lavorato e poi riciclato e diventare nuovamente plastica, metallo, carta o cartone. Sanno anche che il bidoncino bianco (che a casa nostra contiene il rifiuto solido urbano) è quello che dobbiamo cercare di riempire il meno possibile e davvero, con qualche attenzione, l'abbiamo ridotto moltissimo. Ancora una volta con l'arma non violenta degli acquisti (o dei non-acquisti) possiamo premiare chi nella produzione e nella distribuzione dei propri prodotti
attua scelte sostenibili, utilizzando imballaggi riciclabili o riciclati, o non utilizzandoli affatto, organizzandosi con la vendita sfusa che può avere dei vantaggi, anche se questi non sono sempre del tutto scontati. Abbiamo la fortuna di abitare in un comune in cui da tempo è stata avviata la raccolta differenziata porta a porta e in cui il servizio di gestione costa, ma funziona. Tuttavia il nostro impegno da alcuni anni consiste nel ridurre tutti i rifiuti, non solo quelli indifferenziati. Abbiamo iniziato con la scelta dei pannolini lavabili, poi abbiamo smesso di acquistare l'acqua frizzante in bottiglia, preferendo autoprodurla con un gasatore ricevuto in regalo o berla al naturale, dal rubinetto. Acquistiamo il latte in bottiglie di vetro oppure in tetrapack, che sappiamo non essere una soluzione eccelsa, anche se nel nostro comune viene smaltito assieme alla carta e poi riciclato. Acquistando i prodotti alimentari tramite il g.a.s. abbiamo limitato fortemente l'utilizzo delle confezioni e se andiamo nei negozi scegliamo il più possibile quelli sfusi. Abbiamo anche limitato l'acquisto di detersivi e prodotti per la cura della persona: ne compriamo meno e in quantità maggiore, ad esempio in taniche che ci durano anche un anno o in buste di plastica, più facili da smaltire. Chi fa detersivi dice che gli utilizzatori associano l'efficacia del prodotto al colore del flacone. Per questo i flaconi dei detersivi sono tutti bianchi o trasparenti e non viene quasi mai utilizzata la plastica riciclata post consumo. Se abbiamo la possibilità di conoscere chi produce i detersivi che acquistiamo, abbiamo anche il dovere di chiedere che vengano adottate scelte ecosostenibili anche per confezionare i prodotti: se siamo consumatori critici, se ci fidiamo del nostro produttore, possiamo accettare che il flacone del detersivo per la lavatrice abbia un colore improbabile, grigio o verdino, perché non ci devono convincere, sappiamo cosa stiamo comprando. Negli ultimi anni molte catene di supermercati e anche di piccoli negozi si sono attrezzate per la vendita sfusa dei detersivi, con il sistema denominato “refill”. A prima vista è una pratica che riduce il consumo di flaconi e abitua gli utenti al riuso intelligente della confezione. Tuttavia vanno fatte alcune considerazioni, alla luce di uno studio effettuato da Assocasa⁴, che valuta l'impatto ambientale di tutto il ciclo di vita del prodotto, sia del sistema con flaconi usa e getta che del refill, cioè il sistema “a ricarica”: i risultati non sono stati per nulla scontati.
Prendendo in considerazione tutte le fasi, tranne quella della produzione del detersivo, e quindi la distribuzione, il trasporto, il lavaggio o lo smaltimento dei flaconi, il lavaggio delle cisternette, ecc., si è visto che non si può dare un'indicazione univoca sul vantaggio dal un punto di vista di consumi di energia e di smaltimento delle confezioni. Molto dipende da dove sono prodotti i detersivi. Il sistema a ricarica è conveniente se i flaconi vengono riutilizzati molte volte (cosa non scontata, perché purtroppo molte persone li dimenticano e li ricomprano spesso!) e se non sono previsti molti spostamenti da casa al distributore e persino dalla fabbrica al distributore, in zone dove non esiste la raccolta differenziata e quindi il riciclo della plastica. Ognuno deve valutare questi parametri e considerarli in base alla propria situazione, anche logistica⁵. Per tutti i prodotti che acquistiamo valgono gli stessi criteri. Anche le saponette, ad esempio, si possono acquistare sfuse ed esiste persino lo shampoo solido, ottima soluzione sia in casa che quando si viaggia: è leggero, viene venduto con una confezione in carta e un'unità dura davvero molto di più di una confezione di prodotto liquido. Personalmente ho sempre odiato l'imballo dei giocattoli, in particolare quello delle bambole: inscatolate, strozzate al collo, legate mani e piedi affinché stiano diritte per una migliore esposizione. Ho iniziato a cambiare negozio, a ordinare online e persino regalare quasi solo libri, uno dei pochi oggetti che potenzialmente potrebbe durare all'infinito, senza rompersi o stancarci. Ho cominciato ad essere più critica anche in questo genere di acquisto e selezionare le aziende che si impegnano ad impattare meno nel confezionamento dei prodotti, in modo particolare quando si tratta di beni non necessari.
Eco-decluttering (“sbarazzarsi del superfluo”)
Periodicamente, in particolare nei cambi di stagione o durante i traslochi, siamo attratti dalla pratica del decluttering selvaggio. È normale accumulare oggetti di vario tipo, soprattutto nei ripostigli e nelle cantine. I bambini crescono e cambiano taglia ed esigenze e noi ci ritroviamo a dover gestire scatole di vestiario, giochi, attrezzatura per l'infanzia che potenzialmente potrebbero finire in discarica. Nel prossimo capitolo vedremo molte idee interessanti per lo scambio o la vendita di oggetti usati; qui consideriamo quali soluzioni adottare per evitare che l'atto di liberarsi degli oggetti diventi antiecologico, seppur liberatorio. La pratica del decluttering ultimamente è di moda: si dice che le persone utilizzino solo il 20% di ciò che possiedono, mentre il rimanente è definito, appunto, “clutter” cioè ingombro suplerfluo che assorbe l'energia vitale occupando spazio e generando disordine. Ma non dobbiamo dimenticare che questa pratica ha molto a che fare con quella della gestione degli acquisti e dei rifiuti in famiglia. Ho parlato di questo argomento sul mio blog e un amico ha lasciato un commento interessante: “Probabilmente l'abitudine ad acquistare oculatamente, riutilizzare e mantenere il controllo sugli oggetti posseduti funziona meglio del decluttering: quando ne abbiamo bisogno è già troppo tardi. Prima di acquistare qualcosa io mi chiedo se ne valga davvero la pena, se utilizzerò quell'oggetto una volta sola o per un breve periodo, se posso affittarlo o averlo in prestito da qualcuno invece di acquistarlo, se potrò venderlo o regalarlo”. Con un po' di organizzazione possiamo dunque facilmente prevenire soluzioni drastiche, comprando meno e in modo più razionale. L'importante è che anche i nostri “repulisti” siano fatti con criterio, selezionando tutto ciò che è riutilizzabile, pensando a regalare a chi ne ha bisogno oggetti in buono stato e gettando nei rifiuti con dovuta attenzione solo le cose che davvero sono rotte e inutilizzabili. Il Quaderno di esercizi per liberarsi delle cose inutili, un libricino scritto da
Alice le Guiffant e Laurence Parè⁷, offre alcune simpatiche indicazioni su come orientarsi per sgomberare la casa e la mente, diventando selettivi negli armadi e nella vita, divertendosi e sentendosi più leggeri. Questo quaderno è interessante perché propone molti esercizi pratici ma parte da un assunto principale: non ci mancherà l'essenziale! Viviamo in un'epoca di abbondanza, nel paradosso per cui siamo stressati dalle cose che ci circondano e che occupano troppo spazio, anziché esserci utili. Persino chi pensa di avere poco o di non avere grosse disponibilità economiche, persino chi è colpito dalla crisi, a volte possiede molto più di ciò di cui ha bisogno. Tutto ciò può dunque diventare fonte di stress e aumentare la produzione dei nostri rifiuti. Forse anche a partire da queste riflessioni possiamo arrivare a produrre meno rifiuti, vivendo in modo più sobrio, facendo opportune considerazioni ogni volta che ci accingiamo a fare acquisti e “buttando via” le cose con criterio e attenzione al nostro impatto.
Alcune semplici proposte per ridurre i rifiuti in famiglia
Ogni anno si svolge la Settimana Europea per la Riduzione dei Rifiuti (SERR), un'iniziativa che nasce dal programma “LIFE+” della Commissione Europea, con l'obiettivo primario di sensibilizzare le istituzioni, i consumatori e tutti i soggetti interessati alle strategie e alle politiche di prevenzione dei rifiuti messe in atto dall'Unione Europea, inclusi i comuni e le scuole. Sul sito dell'iniziativa c'è una bacheca dove chiunque può proporre la propria soluzione o il proprio impegno e un breve vademecum con consigli pratici per iniziare a ridurre la produzione domestica di rifiuti⁸.
Riduzione dei rifiuti - Cosa posso fare? Un piccolo manuale per ridurre la produzione domestica di rifiuti a cura di Eco dalle Città
Come consumatori è importante intervenire con le nostre scelte di acquisto, ponendo attenzione sia al volume che alla qualità degli imballaggi. I rifiuti infatti rappresentano un costo a carico della società in cui viviamo, e non bisogna dimenticare che le scelte dei consumatori influenzano fortemente le scelte produttive a monte della catena. Vi proponiamo alcuni criteri per ridurre considerevolmente la vostra produzione domestica di rifiuti, grazie alle scelte di acquisto.
Preferisci prodotti con poco imballaggio – Ci sono prodotti in cui gran parte dell'imballaggio è utilizzato per scopi promozionali o di marketing, che è inutile per il consumatore ma che a volte può incidere significativamente sul
prezzo. Preferisci prodotti concentrati – Diluendo in acqua i prodotti concentrati riduci notevolmente il volume dell'imballaggio e al momento dell'acquisto non paghi il costo dell'acqua, del maggior imballaggio e dei trasporti ad esso associati. Preferisci prodotti “formato famiglia” – Sono più convenienti dei prodotti monodose e sono caratterizzati da un volume di imballaggio inferiore per unità di prodotto rispetto alle confezioni più piccole. Preferisci prodotti con contenuto ricaricabile – Ogni volta che utilizzi una ricarica (refill) per un prodotto risparmi all'ambiente un imballaggio molto più voluminoso da smaltire, senza contare che questi prodotti sono spesso più economici (tenendo conto di quanto indicato al paragrafo 6.1). Scegli imballaggi costituiti da un solo materiale – Un imballaggio costituito da più di un materiale non è differenziabile, anche se i singoli materiali che lo compongono lo sono; per questo è meglio evitare l'acquisto di prodotti con imballaggi multimateriale. Non abusare di prodotti “usa e getta” – La cultura dell'“usa e getta” si è molto diffusa nella nostra società, soprattutto per l'apparente economicità e praticità. Non vengono però spesso considerati i costi sociali e gli impatti ambientali correlati a un uso non consapevole di questi prodotti (bicchieri, piatti e posate, rasoi, macchine fotografiche, batterie, ecc.). Limitandone l'acquisto a situazioni particolari si riduce notevolmente il volume dei rifiuti prodotti in ambito domestico. Per fare la spesa preferisci… – …ai sacchetti di plastica, quelli di carta o ancor meglio di tessuto che potrai utilizzare per molti anni. Ridurrai il numero di sacchetti di plastica in circolazione, che in maggiore misura sono tra i rifiuti abbandonati nell'ambiente e che vengono portati dal vento e dal mare in ogni angolo del nostro pianeta.
Testimonianza: riciclare i computer, una pratica di qualità
Ridurre i rifiuti significa anche imparare a riciclarli e a gestire quanto di buono possono ancora dare, evitando di ingrossare le discariche con oggetti ancora funzionanti. Matteo Iacono è un apionato di informatica con il pallino per l'ambiente e, assieme a due amici, ha dato vita a un'associazione che recupera vecchi computer .
Abbiamo iniziato la nostra attività nell'estate del 2009, per caso e senza un obiettivo preciso. Una serie di coincidenze hanno fatto sì che ci trovassimo in tre, Giuseppe, Alfonso ed io, Matteo; tre amici con la ione per l'informatica e con una certa sensibilità per le questioni ambientali, e con l'idea di are il tempo libero recuperando computer destinati alla discarica, attività comunemente definita “trashware”¹ . È infatti incredibile la quantità di hardware in ottimo stato che viene considerato obsoleto e gettato via prima del tempo solo perché non adeguato ai nuovi software usciti. Il mercato dell'informatica di fatto spinge i programmatori a creare applicazioni sempre più elaborate graficamente, che quindi richiedono sempre più risorse, facendo sì che gli utilizzatori siano costretti a cambiare sovente il proprio hardware. In realtà, spesso le funzioni utilizzate sono sempre le stesse e non richiedono grande potenza di calcolo, come scrivere lettere e gestire fogli di calcolo, navigare su internet, ascoltare musica, archiviare e vedere foto e video. I computer, inoltre, più vengono utilizzati e più tendono a rallentarsi, ma basta una pulizia periodica della macchina per riportarla alle prestazioni originali. E se la pulizia non dovesse bastare si possono comprare schede aggiuntive per potenziarla senza doverla per forza cambiare in toto, facendo risparmiare soldi a noi e materiale di scarto al pianeta. Abbiamo così fatto girare la voce tra amici e conoscenti, chiedendo che ci venissero regalati vecchi computer, monitor e stampanti invece di portarli all'ecocentro; ci siamo anche offerti di controllare i pc ritenuti troppo lenti per capire se potevamo fare qualcosa per migliorarli.
È incredibile la quantità di computer che siamo riusciti a ottenere: mi sono trovato la taverna di casa letteralmente sommersa. In poche settimane abbiamo rimesso in funzione sei PC, completi di monitor, tastiera e mouse, su cui è stata installata la distribuzione Linux Ubuntu, un sistema operativo libero (e gratuito), molto “ friendly”, cioè di facile utilizzo anche per i non addetti ai lavori, sviluppato da una comunità di programmatori più o meno volontari, che rispecchia in pieno gli ideali del nostro gruppo: libertà e semplicità. Alcuni di questi computer sono ritornati ai loro legittimi proprietari i quali, dopo averli provati, hanno pensato che tutto sommato potevano aspettare ancora un po' prima di spendere un patrimonio per comprare un computer di ultima generazione per svolgere le stesse attività che già facevano con quello precedente. I rimanenti invece sono stati destinati ad associazioni senza scopo di lucro, ben felici di risparmiare qualche soldino. A quel punto, poiché la nostra idea funzionava, abbiamo iniziato a pensare più in grande e abbiamo preso contatti con il comune in cui al tempo risiedevo, per chiedere il permesso di controllare ed eventualmente recuperare i computer portati all'ecocentro dai cittadini. Il sindaco, pur colpito positivamente dall'idea del progetto, ci ha messo davanti alla realtà dei fatti: purtroppo non è possibile prelevarne materiale perché, nel momento in cui varca la soglia dell'ecocentro, diventa un rifiuto RAEE, cioè un rifiuto elettronico speciale, e deve essere trattato con tutti gli accorgimenti previsti dalla legge. L'unico modo per aggirare il problema sarebbe stato quello di controllare il materiale a monte, prima cioè di farlo entrare in ecocentro, ma per motivi organizzativi non era possibile metterlo in pratica. Intanto, mentre purtroppo Alfonso ci lascia ma fortunatamente si unisce a noi Luca, un gruppo di associazioni (Web-Lab, Giovani dei Ferrovieri, Jackie Tonawanda e Pensionati per la Pace) si aggiudica un bando di gara per la riqualificazione del quartiere Ferrovieri a Vicenza, e gli viene assegnato lo stabile ex Bocciodromo. Le associazioni si pongono l'obiettivo di rilanciare la zona creando strutture come palestra, bar e sala polivalente e organizzando attività sportive, corsi di musica, concerti e molto altro ancora. Presentiamo anche a loro il nostro progetto ed otteniamo una stanza a nostro uso esclusivo. L'idea di base del gruppo comincia a concretizzarsi. In breve tempo dividiamo la stanza assegnataci: un'area si trasforma in un laboratorio per la riparazione delle macchine, da usare anche come magazzino per i pezzi che ci vengono portati, e una seconda area diventa una sala multimediale, utilizzata come “internet point”
gratuito a disposizione di tutti, nella quale in futuro organizzeremo anche corsi di informatica e internet. La sala è interamente allestita con materiale di recupero, usato e destinato all'ecocentro, donatoci gratuitamente, dai computer ai tavoli, alle sedie, e conta sei postazioni fisse, collegate in rete. Scegliamo anche un nome per il nostro gruppo: “/Xtra/sh”. Il nostro lavoro non è certamente finito ma prosegue, dobbiamo allestire il tavolo del docente e trovare un proiettore, così da essere in grado di tenere corsi e fare presentazioni. Vogliamo insegnare a tutti ad avere più a cuore il pianeta che abitiamo, a considerare bene le conseguenze di ogni propria azione guardandola in una chiave ecosostenibile. Non assecondiamo le leggi di mercato che ci vogliono consumatori compulsivi, che acquistano prodotti pur non avendone bisogno, anche se sempre più spesso costa meno comprare nuovo ciò che si è rotto invece di aggiustarlo. Non buttiamo via oggetti che possono ancora essere utilizzati, a volte ciò che acquistiamo per uno scopo, una volta non più necessario, può venire riutilizzato per qualcos'altro. Un vecchio computer ormai troppo inadeguato per il lavoro può are dai genitori ai figli più piccoli, che lo utilizzerebbero per imparare senza preoccuparsi di fare danni, ma può in alternativa diventare un media center da collegare al televisore, oppure un sistema per la copia di sicurezza dei nostri file più importanti. I princìpi eco del trashware, pur nascendo in un ambito prettamente tecnico, si possono applicare a ogni ambito della vita, scoprendo che è semplice, divertente e non ultimo fa risparmiare!
Giuseppe, Luca, Matteo /Xtra/sh
Testimonianza:
Kia e la compostiera da balcone
Carmela Giambrone è un'esperta di compostaggio domestico e cura dal 2007 il blog “Equo, Eco e Vegan”¹¹. Laureanda in biologia, si interessa di ecologia, veganismo e solidarietà, collabora con vari soggetti che operano in campo ambientale con progetti divulgativi e di carattere educativo. La gioia è un'emozione che mi pervade ormai da diverso tempo, quando vengo chiamata a raccontare la mia esperienza di compostaggio domestico, in particolare da quando mi sono accorta che sono molte le persone che hanno scoperto, o riscoperto, il valore di ciò che prima includevano inesorabilmente nella categoria “poco interessante”. I rifiuti, fino a poco tempo fa considerati “poco interessanti”, sono ora diventati questione di discussione, dilemma, non solo mero ingombro: a volte possono addirittura cambiare il loro significato intrinseco diventando materia prima di valore, plasmabili e adattabili, preziosi in quanto portatori di risparmio, sia esso di risorse, di energia, di lavoro oppure di tempo. E così abbiamo assistito alla nascita di progetti di recupero di materiali prima destinati all'inceneritore come juta, imballaggi di vario tipo, camere d'aria, quotidiani e molto altro ancora. Ma come tutte le cose che riescono meglio, anche in questo caso, decidere di emulare la natura sfruttandone i processi e i sistemi già perfettamente integrati in perfetta armonia e simbiosi con il pianeta terra, sembra essere la scelta migliore. In fondo, anche se tendiamo a dimenticarcene, anche noi siamo natura, quindi abbiamo un meraviglioso potenziale: la fantasia. Noi tutti facciamo parte della natura: l'intero mondo biotico e abiotico, complesso e regolato da sistemi organizzati strettamente interconnessi tra loro e gestito da regole dinamiche, permette una gestione delle risorse (siano esse vergini o meno) in modo corretto e responsabile e questo permette a tutti noi di riprendere i ritmi dettati, oltre che dal buon senso, anche dal sistema naturale delle cose. La mia scelta di compostare è strettamente legata alla scelta di una vita più responsabile: responsabilità piena delle proprie azioni nei confronti della terra, di
tutti i suoi esseri viventi e anche di tutti i nostri compagni di specie che certamente non vivono con le nostre eguali abbondanze di risorse (e di spreco). La mia scelta è stata preceduta da quella vegetariana, quindi sono diventata una consumatrice critica, decidendo di utilizzare l'unica arma davvero potente che ognuno di noi, in quanto consumatore, ha: il boicottaggio, come azione di protesta rispetto a ciò che riteniamo sbagliato. La mia via di consapevolezza è proseguita fino alla scelta vegan e conseguentemente all'autoproduzione e alla logica scelta di riduzione del mio impatto ambientale, riduzione tesa al raggiungimento di un impatto minimo. Detto questo, mi piace sempre porre l'accento sul fatto che l'unica cosa davvero indispensabile è la volontà di agire: la decisione di compostare non mi è certamente stata impedita dalla mancanza di spazi. Infatti non possedevo (né possiedo) orto o giardino ma alla fine ho compreso in maniera davvero inequivocabile che è solo una questione di organizzazione, come per ogni cosa nella nostra vita. Ho cercato ovunque, in rete, in biblioteca, da libri di amici, in università, fino a quando non sono riuscita a trovare le informazioni che potessero fare al caso mio! Pian pianino, quindi, ho progettato una compostiera da balcone semplice ma funzionale, da gestire con estrema maneggevolezza ed efficacia, senza andare incontro alle ire dei miei vicini di casa o, peggio, a quelle del mio compagno, per nulla intenzionato (in maniera assolutamente comprensibile e giustificata!) a rinunciare al suo angolino verde sul nostro balcone solo perché io avevo avuto questa strana idea di compostare sul balcone. È stato facile e divertente poi recuperare il materiale necessario. Facile perché le uniche cose che mi servivano davvero erano un bidone di plastica (ne ho utilizzato uno di quelli per le foglie secche da giardino), della retina di plastica, della zanzariera a metro e della semplicissima argilla espansa: ecco, era tutto quello di cui avevo bisogno. Armata di santa pazienza ho iniziato a rendere reale il mio progetto: ho costruito la mia prima compostiera seguendo le tante istruzioni annotate qua e là e che piano piano avevo raggruppato e reso coerenti, tante informazioni frammentarie
prese da vari manuali ed esperienze diverse come in un piccolo puzzle. Alla fine la realizzazione è stata semplice: un bidone completamente forato, foderato al suo interno da due strati di protezione, una di retina e una di zanzariera, con un bel fondo di abbondante argilla espansa pronto per ospitare popolazioni di invertebrati, muffe e funghi che di lì a poco avrebbero svolto il perfetto lavoro di degradazione e trasformazione della materia organica, permettendomi di ottenere del fantastico compost. Iniziò così il mio esperimento di “compostaggio su balcone”. Timorosa, piena di aspettative e molto impaurita, soprattutto dalla possibilità di creare un richiamo per animaletti o insetti e di recare disturbo ai vicini o, peggio, infestare di chissà quale maleodorante e fetida fragranza balcone e casa, mi feci are da quelle che presto battezzai come le “regole base”. Le due tecniche che fecero filare come una macchina ben oliata il mio esperimento vennero velocemente soprannominate “del verde e del marrone” e “dell'aria e dell'acqua” e fin da subito queste resero le cose semplici e immediate. In men che non si dica tra amici, parenti, amici di amici, parenti di parenti e… amici del blog, la “compostiera autosufficiente da balcone” si diffuse con una rapidità enorme, complice forse la mia partecipazione alla prima stagione del progetto di Paola Maugeri “La mia vita a impatto zero” per la trasmissione divulgativo-scientifica “E se domani” (andata in onda su Raitre) e la partecipazione delle mie sei compostiere alla seconda stagione dello stesso. Mi sono chiesta subito che cosa mi attirasse così tanto del progetto “compostaggio su balcone” e ciò che mi sono risposta è stato semplicemente una cosa: la curiosità. La curiosità, infatti, è una delle qualità che più preferisco tanto in me quanto negli altri: essere curiosi permette di raggiungere e superare i propri limiti oltre che di crearne costantemente degli altri. Vedere con dinamicità quel che accade ai nostri resti di cucina, che in pochi mesi si trasformano in profumato terriccio di sottobosco, è meraviglioso. Poter toccare con mano quanto siano davvero importanti per il ruolo che svolgono nel ciclo della materia le popolazioni di invertebrati, muffe e funghi che pian piano vediamo nascere e crescere all'interno della nostra compostiera ritengo sia
meravigliosamente educativo. Ciò che poi ho riscontrato come fantastico effetto collaterale derivante dall'attività di compostaggio domestico su balcone, è stata l'incessante e volontaria riduzione dei rifiuti che quasi naturalmente avviene: senza prestarci grande attenzione è quasi matematico che, a mano a mano che la vostra esperienza di compostatori procederà, diventerete sempre più oculati nell'azione di pulizia e scarto in cucina e erete a ridurre quasi certamente almeno di un terzo i vostri rifiuti organici. Grazie a questa esperienza ho velocemente compreso come l'azione di compostaggio domestico possa facilmente educare l'intera famiglia al risparmio e al ritorno del valore del cibo, concetto ormai basilare che aiuta a prendere coscienza dell'impatto ambientale che ognuno di noi ha sul pianeta. Se anche voi volete provare il compostaggio sul balcone costruite la vostra compostiera autosufficiente e con estrema facilità potrete produrre in casa vostra (proprio come me!) compost profumato che vi permetterà di non acquistare più terriccio e fertilizzante e di riciclare dinamicamente i vostri rifiuti di cucina. Per le istruzioni circa la costruzione dettagliata, i consigli, le esperienze e molto, molto altro a seguito della prima progettazione fatta nel 2007 vi rimando al mio blog www.equoecoevegan.blogspot.it nonché al gruppo dei “compostatori felici sul balcone”¹² che ho fondato su Facebook.
¹ http://bit.ly/K9uZ1c
² La puntata di Presa Diretta di domenica 22 gennaio 2012, che si può rivedere interamente qui http://bit.ly/wWUH5q, ha messo in luce lo scandalo delle discariche nel Lazio, e in particolare nella zona di Roma, dove per far fronte al grave problema dell'aumento dei rifiuti, sono stati individuati nuovi siti a Riano e nella zona attorno a Villa Adriana a Tivoli, per la costruzione di nuove discariche. Come può un cittadino sentirsi tutelato quando le istituzioni autorizzano la creazione di discariche nei pressi delle falde acquifere, dove ci sono terreni porosi, in tufo, e vicino a quartieri popolati, a siti archeologici di importanza e di valore (Villa Adriana) e dove, per questo motivo, verranno
espropriati vigneti e uliveti, e persino allevamenti estensivi, biologici, che hanno pure usufruito di incentivi europei?
³ Traggo questa sorta di slogan dal progetto Chi lo avrebbe mai pesato (www.chilopesa.it, che mentre scrivo non è più online). Nel 2010 gli ideatori hanno pesato tutta la spazzatura da loro prodotta con l'obiettivo ambizioso di arrivare a non produrne più. Il progetto era a cura di Claudia Vago, nota in rete come Tigella www.flavors.me/tigella
⁴ Associazione nazionale detergenti e specialità per l'industria e per la casa. http://assocasa.federchimica.it/
⁵ Lo studio si può leggere interamente qui: http://bit.ly/KnIgUC
http://bit.ly/LvUGzD
⁷ Alice le Guiffant e Laurence Parè, Quaderno d'esercizi per liberarsi delle cose inutili, Vallardi Editore, 2011.
⁸ Maggiori informazioni sul sito www.menorifiuti.org curato da A.I.C.A., Associazione Internazionale di Comunicazione Ambientale
I rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche, spesso citati con l'acronimo RAEE, rappresentano un problema crescente perché contengono materiali non biodegradabili e inquinanti. Sono rifiuti voluminosi e la crescente diffusione di apparecchi elettronici determina un maggior rischio di abbandono
nell'ambiente. Sono considerati RAEE non solo i computer, ma anche piccoli elettrodomestici, giochi elettronici, alcune apparecchiature per lo sport e il tempo libero.
¹ Da Wikipedia: il trashware (parola composta derivata dalla contrazione dei termini inglesi trash, spazzatura e hardware) è la pratica di recuperare vecchio hardware mettendo insieme anche pezzi di computer diversi, rendendolo di nuovo funzionante e utile. Parte integrante del trashware è l'installazione di software libero, ad esempio il sistema operativo GNU/Linux, per portare avanti lo spirito di libertà dell'iniziativa. Il materiale informatico così ottenuto viene consegnato o regalato a enti o persone bisognose, in particolar modo legandolo a iniziative che tentano di colmare il divario digitale (digital divide), ossia la differenza di mezzi a disposizione tra chi è informaticamente alfabetizzato e chi ancora non lo è. Il trashware si differenzia dal recomputing che è pratica simile, ma finalizzata a scopi prettamente culturali e ricreativi.
¹¹ http://equoecoevegan.blogspot.it
¹² https://www.facebook.com/groups/123973147679086/
VII
Nuova vita alle cose: scambio, baratto e usato, consumo collaborativo
Se io avessi una botteguccia | fatta di una sola stanza | vorrei mettermi a vendere | sai cosa? La speranza. | “Speranza a buon mercato!” | Per un soldo ne darei | ad un solo cliente | quanto basta per sei. | E alla povera gente | che non ha da campare | darei tutta la mia speranza | senza fargliela pagare. Gianni Rodari
arsi i vestiti dei bambini…
Se avete un bambino piccolo da almeno qualche stagione, sapete bene che il suo guardaroba invecchia in fretta. La crescita dei nostri bimbi, in particolare nei primi mesi, ci lascia esterrefatti, specie con il primogenito: già a poche settimane dalla nascita ci ritroviamo con tutine e body ancora perfettamente nuovi da riporre in qualche scatola o angolo di casa perché inutilizzabili. A volte, soprattutto in autunno o in primavera, quando la temperatura è molto variabile, può capitare di usare pochissimo un indumento, o persino di non usarlo affatto. Non è raro riporre scarpine o tutine mai indossate. Il classico regalo per la nascita, che fa sempre piacere ricevere, a volte si trasforma in un puro e semplice spreco perché non va incontro a reali esigenze della famiglia, bensì solamente alla consuetudine di fare un dono ai genitori per il nuovo nato. Quando eravamo bambini era normale vedere la propria vecchia maglietta indossata da un vicino di casa più giovane. “Toh, ce l'avevo anch'io una maglietta come quella, chissà dove sarà finita!” Le mamme scambiavano il vestiario con grande facilità, senza alcun dubbio rispetto all'opportunità di farlo. Era una consuetudine, resa concreta dalla necessità, poiché non esisteva ancora l'importazione di prodotti a basso costo e il relativo comparto tessile nella grande distribuzione organizzata. Con il are degli anni questa consuetudine si è un po' affievolita, anche se non sono poche le mamme e i papà che trovano ancora il modo di scambiarsi vestitini e molti altri oggetti. Quei genitori non sono dei nostalgici: hanno trovato il modo di guardare al ato e di renderlo così remoto da farlo sembrare futuro. Il mondo dell'infanzia è un vero e proprio pozzo senza fondo: pensiamo alla quantità di attrezzatura, giocattoli, libri che entrano nelle nostre case. E poi ancora culle, eggini, lettini e seggioloni, seggiolini per le auto, sdraiette, tricicli e biciclette che in pochi mesi o anni diventano inutilizzabili. A volte ci ritroviamo in casa oggetti regalati o acquistati sotto quell'impulso che ci prende quando siamo in situazioni nuove e non sappiamo ancora bene come organizzarci. Una di queste è il periodo che va dalla fine della gravidanza ai primi mesi con un nuovo nato. Le riviste, la pubblicità, il marketing battente, ci
prospettano una maternità migliore se arricchita da oggetti che sicuramente sono molto belli e funzionali, ma non sempre tutti ne traggono lo stesso giovamento. eggini con colori sgargianti, fasciatoi con la “spa” incorporata (sì, esistono davvero!), cuoci pappa, omogenizzatori, e poi ancora set da viaggio e attrezzi di vario genere. Noi genitori ci sentiamo quasi in dovere di essere organizzati e ben riforniti di tutto ciò che possa migliorare la nostra nuova vita familiare. Non è facile orientarsi ma è indubbio che molti di questi oggetti finiscono per rimanere in un angolo della casa o vengono utilizzati giusto perché ci sono, ma di fatto non ci cambiano la vita. Lo scambio di vestiti dei propri figli, dell'attrezzatura per l'infanzia, dei giocattoli è uno dei modi migliori per risparmiare, godere dell'esperienza altrui, fare un gran bene al pianeta. Lo scambio infatti si traduce immediatamente in risparmio di materie prime, di energia per la produzione, in minori emissioni per il trasporto e la distribuzione. Ed è anche un'impagabile occasione di relazione con altre famiglie. Con la scusa delle tutine o dei vestitini ci si confronta con diversi modi di vivere la maternità, offrendo magari un nuovo punto di vista. È così che ho prestato a più di una mamma la mia fascia porta bebè, anche solo per provare se faceva al caso suo, senza l'impegno di doverla acquistare. Abbiamo l'opportunità di ravvivare questa pratica e di trasformare questi scambi in occasioni per avvicinarci ad altre famiglie, per essere persone aperte, per condividere il nostro vissuto. Offrire agli oggetti una nuova vita è anche molto divertente. Se da piccole non se ne rendevano conto, ora le mie bimbe sono fiere di indossare magliette o vestitini di amiche di famiglia e hanno sviluppato naturalmente il desiderio di scambiare anche i loro giocattoli o di regalarli quando qualcuno le viene a trovare. Certo, quando i bambini sono piccoli c'è il rischio che “vogliano indietro il regalo” e non c'è da preoccuparsi se hanno il desiderio di possedere oggetti tutti loro, ma credo anche che l'attitudine allo scambio avvenga più facilmente se in casa se ne respira la normalità e il piacere. Quando si riceve qualcosa poi è un piacere anche offrire ciò che si ha, diventa naturale, e così il circolo virtuoso degli scambi riveste un significato ancora maggiore: garanzia di relazione, piacere nella condivisione. Una scatola di vestitini usati ha dunque un significato molto più grande di quello che normalmente le attribuiamo cercandole un posto in un angolo del ripostiglio, e può indirettamente aggiungere valore (non necessariamente soldi) alla nostra
vita. Tutto questo – ovviamente – non significa non conservare ricordi o oggetti dei nostri bambini che per noi hanno un valore: le cose raccontano la storia di una famiglia, conservarne di significative fa assumere loro un rilievo ancora maggiore.
… e degli adulti
Lo scambio di beni per la prima infanzia, come abbiamo visto, è abbastanza naturale; forse un po' meno rispetto ad alcuni anni fa, ma con la complicità della crisi sta tornando a diffondersi ampiamente tra le famiglie. In genere si è mossi soprattutto dall'opportunità economica offerta da questa pratica, mentre il rispetto per l'ambiente e la relazione con altri nuclei familiari sono aspetti vissuti solo come conseguenza, seppur positiva. E gli adulti? Se scambiare i vestiti dei bambini è una pratica abbastanza diffusa, lo stesso non vale per quelli degli adulti: le nostre sovrastrutture mentali ci frenano e siamo portati piuttosto ad acquistarne di nuovi e a portare quelli che non utilizziamo nei cassonetti della raccolta del vestiario usato o a trovare altre soluzioni (vedi paragrafo sui negozi dell'usato). Non significa dunque che li sprechiamo, ma perdiamo l'opportunità di uno scambio personale, che ha tutto un altro sapore. Mi è capitato per caso che alcuni amici, forse anche conoscendo la mia propensione per le tematiche ambientali, mi chiedessero con discrezione, quasi con pudore, se potevano mostrarmi dei capi che loro non utilizzavano più. Temevano che mi offendessi e, pur proponendomi la cosa con una delicatezza e un'attenzione che ho apprezzato moltissimo, ho subito risposto che mi sarei offesa se li avessero buttati senza farmeli vedere! È iniziato così, davvero per caso, un modo diverso di approcciare gli scambi di questo genere che si sono dilatati a molte altre cose, non solo ai vestiti: fino ad alcuni anni fa io stessa non avrei “ato” del vestiario personale a conoscenti, né tantomeno oggetti per la casa, libri o altro. Ora mi capita di riceverne e di regalarne volentieri, ho affinato lo spirito di condivisione e lo vivo con piacere, come un divertimento. È un po' come fare la spesa in casa d'altri anziché al negozio, senza svuotare il portafoglio e terminando con un caffè. Ovviamente anche l'aspetto economico è importante.
Cos'è e come funziona uno swap party
Riutilizzare il vestiario usato è una questione etica prima che economica. La produzione tessile è una delle principali cause dell'inquinamento idrico e anche per questo la moda durevole è il futuro. Non possiamo più permetterci di acquistare vestiario scadente a prezzi stracciatissimi. Meglio scegliere pochi capi ben fatti, di buona qualità: quando ci stancheremo avranno nuova vita altrove. Ormai, senza alcuna remora, provo i vestiti che mi regalano, tengo quello che mi piace e che so di utilizzare e il resto, a mia volta, lo regalo a qualcun altro. Questo non significa rinunciare al piacere di qualche acquisto mirato, ma riservarlo alle occasioni speciali. La condivisione è l'unica via per pensare il futuro. Si sta diffondendo una nuova moda molto ecocompatibile e divertente per gli adulti e per i bambini: lo swap party. Swap significa letteralmente barattare, scambiare, e dal cuore di New York la tendenza a condividere i propri armadi per fare shopping gratuitamente è arrivata fino a noi, diventando una moda intelligente. Non è solo questione di abbattere i costi e fare qualcosa di tendenza: è un trend che non rinuncia allo stile e che ha grandi vantaggi per l'ambiente. Io stessa ho partecipato più volte a questo genere di incontri: la prima volta si rimane stupiti da quanto è soso. Lo swap party è dunque una pratica che sottende un grande significato ecologico, che fa rivivere oggetti o vestiti inutilizzati e che in fondo è anche un'occasione di svago: permette alle persone di conoscersi, stare insieme in modo leggero, senza pensieri. Il primo swap party a cui ho partecipato fu organizzato in modo del tutto informale da una mia cara amica, che adibì il secondo piano di casa sua ad attività di questo tipo, con l'idea di far nascere un'associazione culturale che abbinasse eventi di svago a corsi e serate di approfondimento su vari temi legati al benessere e alla socialità. Ecco come è stato definito:
Il 2° Piano è abbraccio tra il vecchio e il nuovo, un fondersi di stili, sensibilità e idee; un cantiere per anime metropolitane in cui sperimentare se stessi e il proprio “aprirsi” all'altro sentendosi a casa. Il 2°Piano è un luogo creato per fare della casa il centro di attività normalmente svolte in ambienti asettici e freddi.
Dopo una veloce “iscrizione” al pomeriggio swap, ci siamo incontrate in una quindicina di donne: ognuna di noi doveva portare un massimo di cinque capi, puliti e in ottime condizioni, e dieci bustine di tè. All'ingresso i vestiti venivano contrassegnati con un bollino colorato che indicava l'iniziale del nostro nome e poi esposti in visione a tutte le partecipanti. La sala era stata allestita con stand, grucce, appendiabiti, scale a pioli dove esporre i vestiti. Per creare un po' di affiatamento le organizzatrici misero a disposizione, oltre a una buona merenda a buffet, anche travestimenti e accessori particolarissimi, gentilmente prestati da una ragazza che gestisce una piccola compagnia teatrale e che, come si può immaginare, possiede bauli interi di costumi, cappelli, parrucche, scarpe ecc… Fu un modo per conoscersi, prima di entrare nel vivo del baratto, per ridere un po', per provare l'ebbrezza del travestimento, che noi grandi a volte viviamo solo come revival quando infiliamo ai nostri bambini i vestiti per le feste di carnevale o di halloween. Il travestimento invece è qualcosa di liberante per tutti, non solo per i più piccoli, perché cambia i panni con cui ci vestiamo normalmente, e ci obbliga, per gioco, ad uscire dal nostro ruolo; e ci fa divertire per davvero. L'idea del travestimento ha creato le condizioni perché le partecipanti si mettessero in gioco: dopo una manciata di minuti ci sembrò di essere amiche di lunga data, mentre solo poche di noi si conoscevano. Fu facile dunque are allo swapping vero e proprio: gli scambi, in teoria, dovevano avvenire alla pari, barattando oggetti della stessa tipologia e di valore simile. Invece molte di noi verso la fine regalarono capi che non erano riuscite a scambiare, in modo molto generoso, senza badare troppo alle regole. Alla fine dell'evento fu organizzata un'asta delle rimanenze, battuta a colpi di bustine di tè.
Ogni partecipante illustrava preventivamente il capo avanzato, raccontandone la storia e le peripezie, le occasioni in cui era stato indossato e la motivazione della “liberazione”. Il più delle volte si trattava di variazioni di taglia per vestiti molto belli e di ottima qualità. E via al miglior offerente: le bustine del tè potevano essere usate per fare ulteriori acquisti. Per organizzare uno swap party è opportuno partire da regole chiare e condivise da tutti, in particolare se si svolge tra persone che non si conoscono. Poi ogni situazione va gestita con buon senso. Tra poche persone è chiaro che la possibilità di trovare oggetti o vestiti che ci interessano è ridotta al minimo; con un'organizzazione accurata ed efficiente si possono organizzare anche dei baratti più coordinati, mettendo a disposizione molti capi e oggetti, per adulti e bambini.
Scambio e baratto: come ci aiuta la rete
Incontrarsi, parlarsi, creare connessioni per condividere le nostre scelte, vivere nuove esperienze, uscire dall'isolamento: se questo rappresenta uno dei punti chiave dell'ecologia delle relazioni non dobbiamo dimenticare che anche attraverso la tecnologia, in particolare grazie al web, possiamo fare esperienze positive, incontrare – seppur solo virtualmente – persone con i nostri stessi interessi, magari la stessa voglia di oliare un circolo virtuoso di pratiche sostenibili da diffondere con la nostra e altre famiglie. La rete è uno strumento potentissimo per la diffusione del cosiddetto consumo collaborativo¹: la nuova consapevolezza e il riuso intelligente sono alla base di questo nuovo concetto di consumo che aggrega velocemente e senza filtri persone con esigenze simili. Questo tipo di consumo può diventare una forza anche economica e rappresentare un business alternativo e strategico e non un boicottaggio al classico sistema che produce, consuma e ha poi la necessità di smaltire. L'essenza del consumo collaborativo è incentrata proprio sulla condivisione, il baratto, il prestito, la donazione e lo scambio, e a portarlo avanti possono essere vere e proprie società. In Italia sono sorte alcune timide esperienze e su questo tema c'è un ottimo fermento; in molti casi si tratta ancora di progetti ideati a titolo di volontariato o nel tempo libero da persone apionate, mentre all'estero, in particolare negli Stati Uniti, ci sono modelli più consolidati.
Il consumo collaborativo è un modello di business che distrugge, supera e reinventa non solo ciò che consumiamo, ma come consumiamo. Anche se variano notevolmente in dimensione e scopo, queste società e organizzazioni stanno ridefinendo come le merci e i servizi vengono scambiati, valutati e creati in aree tanto varie come finanza, turismo, agricoltura e tecnologia, educazione e vendita al dettaglio².
Rachel Botsman e Roo Rogers, gli autori di What's mine is yours, identificano i
quattro pilastri fondanti di questo fenomeno, tutti catalizzati dalla presenza della Internet collaborativa: La possibilità di raggiungere una massa critica: a uno swap-party con 10 persone è più difficile trovare qualcosa che ci piacerebbe moltissimo avere, ma se allo scambio partecipano 1000 persone allora è praticamente impossibile che non ci sia nulla che ci interessa portarci a casa. Lo sfruttamento efficace di beni che sarebbero altrimenti inutilizzati, che permette di usare fino in fondo ogni oggetto, riducendo quindi la necessità di fabbricarne, acquistarne o spostarne altri; è il principio che sta alla base dei servizi di car-sharing e bike-sharing, quando ben organizzati. Fiducia nella possibilità di gestire in modo intelligente i beni comuni: un o avanti rispetto all'incuria miope di chi sega il ramo su cui è seduto. Questo è uno dei punti più critici, che richiede un cambiamento di prospettiva e di atteggiamento forse più radicale in un Paese individualista e “furbo” come l'Italia rispetto a culture anglosassoni o nordiche, più abituate al rispetto delle regole. Disponibilità ad accordare la propria fiducia a persone che non si conoscono direttamente: qui il web 2.0, con i suoi meccanismi di rating sociale, di esplorazione delle reti di conoscenze comuni, di “osservazione a distanza”, ci viene enormemente in aiuto³.
Qui di seguito ho selezionato alcuni di questi strumenti, tutti gratuiti, che possono rappresentare una grande opportunità di scambio, in particolare per quanto riguarda gli oggetti⁴. In coda un'esperienza d'oltreoceano.
- Reoose⁵ “Reoose” è un eco-store che si serve di un nuovo tipo di baratto, detto asincrono, per riciclare oggetti non utilizzati per dar loro una seconda vita, il tutto senza l'utilizzo del denaro. Ci si registra con un indirizzo di posta elettronica e si pubblicano gratuitamente annunci dei propri oggetti che hanno tutti un valore espresso in crediti. Vendendo i propri oggetti si guadagnano crediti con cui
acquistarne altri. Si può anche decidere di regalare i propri crediti a una onlus partner del progetto. Reoose introduce il concetto di baratto asincrono che, utilizzando gli strumenti forniti dalla rete, velocizza e semplifica l'esperienza dell'utente, un vero baratto 2.0. Abbattere lo spreco quindi, attribuendo a ogni oggetto un valore virtuale in crediti (indipendente dalla marca ma basato sull'effettivo stato nuovo-usato e del potenziale valore inquinante) da utilizzarsi, per avere altri oggetti che altri hanno deciso di “smaltire” in modo intelligente. Zero Relativo Il motto di Zero Relativo è molto efficace: “Il tuo oggetto è la tua moneta”. ZR è una community italiana di baratto, riuso e prestito gratuito. Registrandosi è possibile mettersi in contatto con gli utenti che vogliono barattare, prestare e donare i loro oggetti. ZR è totalmente gratuito e non fa guadagnare nulla ai cosiddetti “barter” (partecipanti al baratto), se non l'oggetto di scambio. Chiunque abbia a disposizione anche un solo oggetto che non utilizza più, può inserirlo nella pagina degli annunci gratuiti e barattarlo, donarlo o prestarlo, il tutto senza prezzi di vendita.
- Reecycle⁷ Su “Reecycle” si regalano e si prendono in regalo oggetti che altrimenti rischierebbero di finire in discarica, oggetti che ad altri non servono più ma che sono ancora funzionanti. Anche qui è sufficiente registrarsi, inserire un regalo e cercarne per sé. Gli utenti registrati possono anche ricevere aggiornamenti sugli annunci della propria zona. Reecycle “ti dà una mano, è democratico, aiuta l'ambiente”.
- BookMooch⁸ Per gli apionati di libri è online BookMooch, una comunità per lo scambio di libri usati. Anche questo strumento permette di scambiare libri di cui non si ha
più bisogno con libri che si desidera avere. Su BookMooch ogni volta che si regala un libro a qualcuno si guadagnano punti da usare per ottenere libri che si desiderano da altri utenti. Una volta che un libro è stato letto si può decidere se tenerlo o metterlo nuovamente a disposizione.
- SwapCool Per tutti i genitori che desiderano scambiare o anche vendere vestiti, giocattoli o attrezzatura per l'infanzia è online SwapCool, una comunità virtuale in cui lo scambio avviene a punti: non serve dunque attendere per trovare chi vuole scambiare, ma una volta trovato quello che si desidera lo si può avere subito. Su questo sito è possibile anche fare acquisti, senza scambio, nel caso in cui si desideri qualcosa che si trova in vetrina. Gli oggetti sono “in vendita” con il sistema dei punti e nel caso in cui non se ne abbiano a sufficienza si possono acquistare al prezzo di un euro ciascuno.
- Swapclub¹ È uno strumento ideato e realizzato da Swap Club Italia, un'organizzazione per la promozione e la diffusione dello swapping di abbigliamento di qualità, in Italia e non solo. Punta principalmente a prodotti di livello medio-alto, e quindi vi si trovano abbigliamento e calzature griffate. Le iniziative di Swap Club Italia sono nate dall'idea di creare una vetrina all'interno di una boutique bolognese, per lo scambio di capi di qualità. Il successo dell'iniziativa ha portato all'apertura del sito per lo swap online e all'organizzazione di feste in varie località italiane. Sul sito, dopo essersi registrati, si possono pubblicare annunci corredati da foto e gli oggetti diventano la moneta di scambio. È prevista anche la possibilità di assegnare un valore in euro ai beni da scambiare. Questo strumento funziona in modo simile ad un social network e può essere anche integrato con Facebook, per ritrovare i propri amici: gli utenti possono creare una loro rete per trovare persone con cui scambiarsi i capi, magari con la stessa taglia e gusti simili o anche provenienti dalla stessa zona di residenza.
- Solo Scambio¹¹ Anche Solo Scambio è un sito di baratto online; ci si registra gratuitamente e si inseriscono i propri annunci di scambio. Si possono creare delle liste: la lista possiedo contiene tutti i propri oggetti da scambiare, la lista voglio contiene invece i “desiderata”.
- Altri strumenti E-Barty, http://www.e-barty.it Riciklo, http://www.riciklo.com Swoppydo, http://www.swoppydo.com/ Barattopoli, http://www.barattopoli.com/
Infine, guardando oltreoceano, segnalo ThredUp¹² attivo solo negli Stati Uniti. ThredUp punta esclusivamente sullo scambio di vestiti per bambini ed è organizzato in modo impeccabile con alcune soluzioni davvero interessanti; non a caso sono più di venti le persone che lo gestiscono. All'iscrizione si ricevono delle scatole di cartone per organizzare più rapidamente la spedizione postale. Vanno riempite con abiti in ottimo stato e segnalate sul sito; ogni scatola deve riportare l'elenco del contenuto: l'idea di fondo è quella di regalare solo ciò che si sarebbe contenti di ricevere. Ogni utente poi può cercare quel che serve al proprio bambino e una volta trovata una scatola interessante può richiedere il pacco. Attraverso il sito è possibile stampare l'etichetta per l'invio, il corriere arriva direttamente a casa ed esegue la consegna al richiedente. Chi riceve il pacco paga le spese di spedizione che vanno a ThredUp. Questo servizio è gratuito, ma se ci si registra come utenti “pro”, e pagando un abbonamento mensile o annuale, è possibile usufruire di servizi più avanzati, come ad esempio la possibilità di essere avvertiti quando sono disponibili articoli della taglia ricercata o ricevere pacchi promozionali da produttori interessati a farsi conoscere.
Su Facebook infine è attivo il gruppo “Riciclo con scambi e baratti”¹³. È un gruppo chiuso a cui si può richiedere di essere iscritti, ideato da persone che lo hanno creato con vero spirito ecologico e in cui, in modo del tutto informale, le persone caricano le foto degli oggetti che vogliono scambiare con altri utenti, mettendosi d'accordo attraverso la messaggistica privata sulle modalità di baratto. Il gruppo, che punta al valore educativo dello scambio in quanto forma di circolazione o riciclo sostenibile di beni e oggetti, si è dotato di un semplice regolamento, scritto con buon senso.
Arcipelago ŠCEC
Esistono alcune interessanti esperienze che cercano di favorire un modo alternativo di vendere e comprare, utilizzando dei buoni di scambio e non solo il denaro. ŠCEC è l'acronimo di Solidarietà ChE Cammina ed è un'associazione senza scopo di lucro che riunisce sotto un'unica regia alcuni esperimenti di Buoni Locali italiani, cioè dei buoni di scambio per beni e servizi pensati per facilitare le transazioni tra privati e aziende. Lo ŠCEC non è quindi una moneta locale o alternativa, bensì un buono finalizzato a diffondere un modello diverso di compravendita. Attraverso lo ŠCEC si vuole ancorare la ricchezza al territorio di appartenenza, favorendo le produzioni e gli investimenti locali. Lo ŠCEC ha una validità fiscale legittimata dalla Agenzia delle Entrate.
Ripartire da noi significa restituirci quel valore che l'uso del denaro ci ha tolto: non il denaro in sé, che è solo un oggetto, uno strumento neutro, nato per veicolare al meglio quanto sappiamo fare e dare (merci, servizi, beni), bensì l'uso che ne è sempre stato fatto, distorto e fuorviante. Se il denaro diviene altro, assumendo un valore ed un conseguente potere, ciò che può e deve essere fatto da noi è sottrargli questo fasullo valore ed illusorio potere, e restituirlo a quanto è invece degno di avere un reale valore: l'essere umano e la sua Comunità, responsabile, democratica e aggregante. Per fare ciò Arcipelago ha creato gli ŠCEC, i Buoni Locali.¹⁴
I buoni locali rappresentano un patto stretto fra persone, imprese commerciali, artigiane, agricole, professionisti ed enti locali, e mirano a promuovere localmente lo scambio di beni e servizi accettando in cambio una percentuale del prezzo in Buoni (minimo 5%). Questo significa che, ad esempio, se acquistiamo da un commerciante che accetta gli ŠCEC un bene o un servizio che vale 100 euro, possiamo pagare 90 Euro e 10 ŠCEC. Per il consumatore c'è una diminuzione del prezzo e quindi un maggior potere d'acquisto, mentre il
venditore potrà rimettere in circolo quei 10 ŠCEC con la concreta possibilità di ancorarne l'utilizzo nel circuito locale. Questi buoni dunque generano benessere nel territorio in cui sono investiti e producono ricadute sull'economia reale. Iscrivendosi all'associazione si ricevono 100 buoni ŠCEC, sia cartacei che elettronici (viene aperto anche un conto ŠCEC, totalmente gratuito) che si possono utilizzare in modo complementare all'euro. Gli ŠCEC si possono ottenere anche tramite servizi alla comunità come la cura degli anziani o dei bambini¹⁵.
I negozi dell'usato: come funzionano, come si sono evoluti
I negozi dell'usato sono la moderna evoluzione dei mercatini di un tempo e rappresentano un'occasione concreta per monetizzare i beni che non utilizziamo più. Valgono anche in questa soluzione, come per il baratto e per lo scambio di oggetti, i princìpi ecologici del risparmio di materie prime ed energia, la diminuzione dei rifiuti e degli sprechi. Si tratta di un settore privato in forte espansione che riveste anche un interesse pubblico: nell'aprile del 2010 è stato approvato un decreto legge¹ che ha prefigurato la programmazione di interventi da parte delle pubbliche amministrazioni sui temi della del riuso. In particolare l'articolo 6 promuove il riutilizzo dei prodotti anche attraverso l'incentivazione economica e propone misure educative che rendano efficaci questi obiettivi. Nei negozi dell'usato si compra e si vende. In Italia ci sono negozi indipendenti e alcune reti in franchising, sia generaliste che specializzate nell'usato per bambini: rappresentano davvero una grande opportunità per tutti i genitori che devono affrontare degli acquisti per i propri bambini, per la casa, per se stessi. I negozi dell'usato funzionano, in genere, come vere e proprie agenzie d'affari: chiunque può portare in vendita i propri oggetti, che vengono valutati e selezionati dal personale ed esposti poi in conto vendita nel reparto di riferimento del negozio. La qualità del prodotto è mediamente garantita; prima di essere messi in vendita gli oggetti devono superare la selezione dei gestori e devono rispettare dei requisiti di qualità e di buon funzionamento: i capi di abbigliamento devono essere lavati e stirati, gli articoli di elettronica perfettamente funzionanti. Una volta venduto il proprio oggetto si può riscuotere il rimborso, che in genere va dal 50 al 60% del prezzo di vendita. Ogni negozio gestisce eventuali sconti o svendite di fine stagione e l'invenduto può essere restituito al proprietario (che rimane tale fino a che l'articolo non è acquistato da qualcuno) oppure devoluto in beneficenza a qualche associazione, talvolta a un prezzo simbolico.
Il venditore firma un mandato di vendita attraverso il quale delega il negozio a vendere per suo conto l'oggetto esposto. I negozi generalisti espongono un po' di tutto: abbigliamento, calzature, accessori, mobili e complementi d'arredo, articoli per la casa e per il giardino, biciclette, giocattoli, libri. Negli ultimi anni si è affermato lo stile vintage e resistono anche l'antiquariato e il modernariato di qualità: i negozi dell'usato sono diventati dei veri e propri luoghi di scambio per collezionisti e apionati. Devo ammettere che fino poco tempo fa non consideravo molto l'acquisto o la vendita nei negozi dell'usato, ma mi sono dovuta ricredere quando, visitandone uno nella mia zona, ho avuto la fortuna di trovare alcuni articoli in ottime condizioni, come una sedia di legno per bambini. Per poche decine di euro ho acquistato un oggetto che nuovo mi sarebbe costato almeno il quadruplo: le condizioni d'uso erano molto buone, la funzionalità perfetta. Frequentando più spesso questo tipo di negozi ho scoperto che vi si trova una miniera di oggetti in perfette condizioni: il criterio di gestione è quello della qualità, al punto che in alcuni di questi negozi al primo sguardo non si capisce nemmeno se trattano articoli nuovi o usati. Abbiamo acquistato seggiolini auto, libri, ma anche biciclette e qualche mobile per la casa e abbiamo anche venduto del vestiario e delle scarpe. I negozi dell'usato sono delle miniere per gli apionati di riciclo creativo e per chi si interessa di fai da te e di bricolage: qui si trovano infatti materie prime per le proprie creazioni su cui sperimentare senza spendere una follia. Le insegne più conosciute oggi sono Mercatopoli, Mercatino Usato e, per il settore bimbo, Baby Bazar, Secondamanina, T.Riciclo, La Birba. È online un sito che raccoglie tutti i mercatini dell'usato d'Italia, con un motore interno che permette di cercare per regione, provincia e città¹⁷.
Testimonianza: dall'usato al reverse commerce
Alessandro Giuliani è l'amministratore del gruppo Leotron, una società che si occupa esclusivamente di negozi dell'usato, fornendo software specifico e affiliazioni a due affermate reti dell'usato: Mercatopoli e Baby Bazar. Alessandro si occupa di marketing, di formazione, di software, di web e di strategia operativa ed è una persona davvero apionata del suo lavoro. È sposato e papà di due bambine.
Molte persone oggi mi dicono che sono stato lungimirante. La mia azienda è infatti leader in un mercato in forte crescita, che sposa le oramai indispensabili e sempre più frequenti istanze ecologiche con la necessità delle famiglie di risparmiare. All'epoca non pensavamo di essere lungimiranti: esisteva una nicchia di mercato praticamente sconosciuta dove, con impegno e ione, si poteva fare molto bene. E lo abbiamo fatto. La mia azienda oggi gestisce, in network franchising, un centinaio di negozi ad insegna Mercatopoli e una cinquantina di Baby Bazar. Sono negozi dove chiunque può portare in vendita ciò che non serve più e dove è possibile realizzare, alla vendita, del denaro in contante. Mercatopoli ha un taglio generalista, dove si vende (quasi) di tutto e Baby Bazar è specializzato nel mondo dell'infanzia. Sono negozi che stanno ottenendo un grande successo, sempre pieni di persone che vendono e che comprano; persone che hanno preso consapevolezza che il modello consumistico, che punta sulla produzione di oggetti con l'obiettivo di farli diventare dei rifiuti nel più breve tempo possibile, non è più sostenibile. Dare una seconda vita ad un oggetto non solo oggi è possibile: è assolutamente indispensabile. Grazie al lavoro che svolgo, io e la mia famiglia abbiamo cambiato radicalmente i nostri stili di acquisto. Acquistiamo abbigliamento, mobili, giocattoli, libri, ecc.
nei negozi dell'usato e portiamo in vendita ciò che non ci serve più. Le mie due bimbe selezionano periodicamente i giocattoli che non gradiscono più, li rivendono e comprano qualcos'altro: ritengo che questa pratica sia estremamente educativa e le prepari al mondo di domani. La Commissione Europea ha affermato che quella del riuso e del riutilizzo è una delle linee guida per lo sviluppo dell'Unione: è proprio necessario che una commissione tecnica (o politica) ce lo indichi? Forse basta guardare ai nostri nonni che s'ingegnavano giorno per giorno per riutilizzare, riciclare e reinventare, probabilmente per necessità, sicuramente per preservare preziose e limitate risorse. Ancora oggi, in Italia c'è tantissimo lavoro da fare: molte persone hanno con l'usato un rapporto pieno di preconcetti, dimenticando che al ristorante si mangia in piatti usati e in hotel si dorme su materassi usati. È un percorso che molti Paesi europei hanno già intrapreso, prima di noi: tutte le città europee pullulano di negozi dell'usato. Ma forse è proprio il termine “usato” che non piace molto, perché è un participio ato e non evoca alcun futuro. Il vendere le cose che non servono, acquistando a prezzi bassi ciò che invece è utile, si può definire recommerce ovvero reverse commerce. Con un termine importato dagli States probabilmente riusciremo a creare un'aurea di allure a un settore strategico per il nostro futuro e che offre, già oggi, importanti opportunità a tutte le famiglie.
Testimonianza: Barbara e il riciclo creativo
Barbara Calabi è una restauratrice, una creativa e un'eco-artista, una persona che ha coltivato negli anni molti interessi e che, mettendo assieme diverse competenze, ha avviato un'attività incentrata sul riciclo creativo e sulla realizzazione di oggetti unici, prodotti artigianalmente con tecniche differenti, che vende attraverso il suo negozio online¹⁸. Barbara ha restaurato oggetti acquistati nei mercatini, cambiandoli
completamente e rendendoli ancora utilizzabili, funzionali e molto belli.
Ho studiato a Firenze il restauro di dipinti antichi su tela e tavola e ho subito cominciato a lavorare in diversi ambienti e città. Durante il mio percorso ho diversificato molto i i sui quali mi è capitato di intervenire: per esigenze professionali ho restaurato materiali lapidei, affreschi, stucchi, marmorini, dorature, lavorando spesso nei cantieri e continuando ad imparare nuove tecniche, oltre a studiare e toccare con mano molti materiali differenti tra loro. Questa è stata la mia carta vincente, perché ho sperimentato l'utilizzo di materie diverse, imparando che non devono necessariamente essere utilizzate nel settore e con lo scopo per cui sono nate. È possibile, anzi necessario, cambiare la loro destinazione d'uso originaria! Ciò che mi ha spinto a provare a “giocare” coi materiali, è stato l'aspetto tecnico e professionale, non quello creativo. Talvolta mi trovo a pensare che le mie origini abbiano avuto un'influenza decisiva sul mio modo di essere: non è che per caso aver avuto un nonno architetto e un nonno pittore abbia significato qualcosa? E una mamma che per atempo mi abbia insegnato a ricamare? Credo che questo insieme di fattori mi abbia predisposto verso l'utilizzo pratico delle mani per la realizzazione di cose belle attraverso diverse abilità! E in definitiva questo è davvero ciò che cerco di fare oggi attraverso le mie creazioni. La volontà di sviluppare un lavoro intorno a tali capacità è nata con l'arrivo del mio secondo figlio, quando non mi è stato più possibile lavorare in cantiere: gli impegni familiari sono diventati tanti e tali da obbligarmi ad inventare un'attività che si conciliasse con essi. Ecco come ho deciso di provare a trasformare il mio hobby serale, incentrato sul ricamo e l'impiego di stoffe e filati, in un lavoro che si esprime attraverso il mio negozio online: un e-commerce, dove vendere ciò che creo, anche su commissione e su richiesta, personalizzando gli oggetti per il committente. Ho cominciato così a ricamare, cucire, mettere insieme stoffe, filati, imbottiture, amanerie e perline, tutto ciò che mi permettesse di inventarmi e decorare
articoli unici e originali per i bambini, l'arredo della casa e gli accessori femminili. Ho sempre utilizzato materiali di ottima qualità perché ritengo che solo così si possano ottenere i risultati migliori, e che questo faccia la differenza! Poi, col are del tempo, ho sentito la necessità di trovare nuove idee da realizzare e mi si è accesa una lampadina... perché non rispolverare colori e pennelli? In effetti la mia ione per la decorazione poteva benissimo tornare ad esprimersi attraverso di loro! Già, ma su cosa? E fu così che in un banalissimo pomeriggio infrasettimanale sono andata a fare “un giro in un negozio dell'usato” a Pisa, accompagnata dai miei figlioli. Il fatto che ci fossero i miei bambini non è per nulla un elemento trascurabile: i bambini, si sa, hanno un occhio privo di pregiudizi e ricco di fantasia, perfetto per aiutarmi a scovare in mezzo ad una montagna di roba usata, l'articolo giusto per fare una prova: rielaborarlo e farne un pezzo unico, moderno ed attuale! Così ho rivolto la mia attenzione ai vecchi mobili, pensando che, in effetti, in tempo di crisi e pochi soldi nelle tasche, avrei potuto realizzare delle cose bellissime, divertendomi molto a “rifarli”, scegliendo i materiali più particolari e speciali che riuscivo a trovare, conferendogli quindi un aspetto ricercato e teso a durare nel tempo. È in questo modo che è nata la mia prima rielaborazione: una poltroncina smaltata di bianco, con dettagli decorati a foglia oro, dalla tappezzeria dipinta a mano. E certo non mi sarei mai aspettata che proprio questo esperimento avrebbe dato luogo ad un nuovo filone di fantasia creativa, suscitando un così alto interesse, tanto da conferirmi la nuova definizione di “eco-artista”. In tutta sincerità la mia scelta non è stata dettata da una primaria volontà di recupero ecologico. Questa è stata una consapevolezza che è nata durante l'esecuzione dei lavori, in cui mi rendevo sempre più conto di quanto potessero essere ancora pieni di vita oggetti che “la gente comune aveva deciso di buttare via”. È importante imparare a pensare che un oggetto qualunque che ci ha stufati, che non ci piace più, può invece mutare il suo aspetto ed assumere nuova importanza durante la sua “seconda vita”!
Visto il successo e la buona riuscita del primo mobile, ho continuato con nuove rielaborazioni: un vecchio letto in legno marrone si è trasformato in un letto da sogno, il cui materiale sembra un muro luccicante! Il destinatario del letto è stato proprio il mio secondo figlio, che lo ha ricevuto in regalo per il suo quinto compleanno! Amici e conoscenti mi fanno spesso una domanda comune: “Come fai?” “Come riesci a capire e “vedere” cosa potrebbe diventare, per esempio, un vecchio mobile specchiera buttato in un angolo, che solo a guardarlo fa squallore, dall'aspetto delabré?” Ecco, è in questa capacità che si manifesta la mia fantasia e creatività, guidata però sempre dalla ricerca del buon gusto e delle “belle cose”: due caratteristiche che sono frutto della mia precedente professione, il restauro, che mi ha dato la possibilità di confrontarmi con vere e proprie opere d'arte grandiose. La mia è quindi una scelta sempre molto selettiva: lavorando è facile rendersi conto delle infinite possibilità che il riciclo e il riuso offrono a persone come me, e magari anche alle persone meno abili manualmente che, cambiando il loro modo di pensare, potrebbero avvalersi di una nuova professionalità volta al recupero delle vecchie cose usate. Per i nostri figli imparare ad apprezzare gli oggetti, frutto del lavoro manuale artigianale, dovrebbe essere una lezione di vita. E se questo si traduce anche nel “riutilizzare”, ancora meglio! Per esperienza personale posso garantire che i bambini apprezzano moltissimo ciò che vedono “rinascere” dal lavoro fatto con le “mani”, grandi artefici del nostro futuro.
¹ Rachel Botsman, Roo Rogers, What's Mine Is Yours: The Rise of Collaborative Consumption, HarperBusiness, 2010. Alessandra Farabegoli, esperta di comunicazione digitale, ha scritto sul suo blog un'interessante recensione su questo libro. Per approfondire: http://bit.ly/fXo8yT
² http://www.consumocollaborativo.it/
³ La sintesi dei quattro pilastri del consumo collaborativo ispirata al libro di Botsman-Roger è di Alessandra Farabegoli http://bit.ly/fXo8yT
⁴ Per la condivisione di mezzi di trasporto, vedi il capitolo sulla mobilità sostenibile.
⁵ http://www.reoose.com/
http://www.zerorelativo.it/
⁷ http://www.reecycle.it/
⁸ http://it.bookmooch.com/
http://www.swapcool.com
¹ http://www.swapclub.it/
¹¹ http://www.soloscambio.it/
¹² http://www.thredup.com/
¹³ https://www.facebook.com/groups/baratti.scambi/
¹⁴ Tratto da http://scecservice.org, sito di riferimento per Arcipelago ŠCEC.
¹⁵ FAQ sul sistema degli ŠCEC: http://bit.ly/LQ9N1t
¹ D.Lgs. 9_4_2010
¹⁷ http://www.mercatiniditalia.it
¹⁸ www.barbaracalabi.it
VIII
Creatività e tempo libero in famiglia
La terra è dove sono le nostre radici. I bambini devono imparare a sentire e vivere in armonia con la Terra. Maria Montessori
Riprendiamoci la creatività
Da quando sono nate le bambine credo di poter contare sulle dita di una mano le nostre visite e i relativi acquisti presso negozi di giocattoli, eppure ne abbiamo in grandi quantità e abbiamo la necessità di fare periodicamente delle accurate selezioni, per “eliminare” dalla vista alcuni dei giochi che sono arrivati in casa, per lo più regalati, alcuni nuovi, molti usati. Nell'economia dell'abbondanza avvengono anche questi paradossi, ma credo di poter affermare tranquillamente che il gioco o, ancor meglio il giocattolo, sia stato eccessivamente industrializzato, almeno quanto lo è stato il cibo, e che i bambini starebbero meglio a giocare all'aria aperta il più possibile con materiali naturali oppure in camerette o piccoli angoli creativi più semplici e razionali di quelli che in genere finiscono per avere. Ci provo, nel mio piccolo, ma non è semplice perché, soprattutto da quando i bambini entrano alla scuola dell'infanzia, l'impatto sociale li condiziona moltissimo: così come smettono di mangiare il ato di verdura (chi più, chi meno) iniziano anche ad apionarsi a personaggi, figurine, gadget vari che – chissà per quale motivo – hanno un incredibile potere di attrazione. Perché i bambini giocano? Che cosa rappresenta per loro il giocare?¹ Se partiamo da queste semplici domande constatiamo che non hanno bisogno di molte cose e che la loro creatività (e forse anche la nostra) è molto più stimolata se possiedono pochi oggetti, realizzati con materiali semplici, naturali e resistenti. Il gioco per i bambini, fin dalle prime settimane di vita, è esplorazione e scoperta, è il misurare le proprie capacità, è autoformazione, crescita, movimento, simulazione. Il gioco è fondamentale per lo sviluppo della creatività, il gioco è ri-creatività, condivisione, divertimento, casualità, piacere. Credo che ogni genitore abbia osservato con stupore i propri figli giocare con la scatola di un giocattolo, e non considerare affatto l'oggetto acquistato, oppure apionati a preparare il caffè nella loro cucinetta, a giocare con un filo e un bastoncino, a inventare storie e fantasticare come a volte anche noi adulti sogneremmo di fare. Riappropriarsi dell'essenza pura del gioco, a casa come in tutte le agenzie
educative al servizio dei nostri figli, significa far vivere liberamente ai bambini l'aspetto ludico e affrancarli dal giogo dei personaggi proposti dai cartoni animati o dalla pubblicità, che li utilizza per promuovere giocattoli industriali. Significa anche avere una maggiore consapevolezza e spirito critico rispetto a ciò che entra nelle nostre case. I giocattoli acquistati sono una realtà così scontata che ormai non ci rendiamo nemmeno conto di quanto rappresentino un paradosso. Il gioco dovrebbe nascere dal desiderio creativo, essere sviluppato dal bambino grazie all'aiuto dell'adulto, mentre nella maggior parte delle famiglie ci sono soltanto giochi industriali. Certo, ce ne sono di bellissimi, fatti in ottimi materiali, creativi e interessanti: non sto sostenendo che dobbiamo smettere di comprarne o regalarne, ma che possiamo anche dedicare un minimo di tempo per autoprodurne alcuni, per provare a variare in ciò che proponiamo ai bambini, per incoraggiarli a comprendere il valore del lavoro umano, la qualità e la versatilità di un gioco autoprodotto piuttosto che l'esperienza consumistica di possederne in quantità. Il gioco è un ponte verso la libertà, è piacere, è fantasia, è finzione. In molti casi è anche estetica e non a caso i giochi “belli”, quelli di qualità, o quelli semplicemente più divertenti, sono instancabili e resistono per anni, consolidando la loro funzione o modificandola in base alle esigenze dei nostri figli. Ci sono molti giocattoli che costano pochissimo, che si trovano al supermercato, dal tabaccaio, praticamente ovunque: molti oggetti di plastica o prodotti con materiali scadenti, spesso inquinanti per i materiali con cui sono realizzati, per la produzione e il trasporto. Scambiarsi questi beni (e non buttarli) se sono ancora in buono stato è una cosa positiva e nel capitolo dedicato al riuso ho tessuto le lodi di questa pratica; tuttavia la sovrabbondanza di piccoli gadget di scarsa qualità, peluche, pupazzini di plastica di tutte le dimensioni non sono d'aiuto al pianeta né qualificano il tempo libero dei nostri bambini. Amanda Blake Soule, autrice del popolare blog SouleMama² e di alcuni libri sulla creatività in famiglia, afferma che il fattore più importante per lo sviluppo della creatività nei bambini risiede nel vivere noi stessi in modo creativo³. Spesso questo termine è male interpretato e si pensa che la creatività sia esclusivo appannaggio di pittori, scultori o in generale grandi artisti ed è sempre associata al fare e al produrre qualcosa. Al contrario la creatività è qualcosa che tutti noi possediamo e possiamo sviluppare, è popolare⁴ perché a disposizione di ciascuno di noi ed è il centro della vita dei bambini i quali, soprattutto in età prescolare, si concentrano nei loro pensieri creativi, inventano storie, danno vita
a personaggi e simulazioni, amano costruire, destrutturare, modulare oggetti di qualunque tipo. La creatività è loro e nostra ed è giusto riappropriarsene e favorirla perché fa parte della nostra natura. Vi propongo un esperimento: se avete bambini che hanno più di tre anni, provate a contare tutti i loro giochi, tutto ciò che normalmente riponete in cesti o scaffali, senza escludere nulla. Rimarrete esterrefatti dalla quantità indescrivibile di oggetti che possiedono i vostri figli. E vi renderete conto in fretta che non hanno molto tempo a disposizione per utilizzare tutti i giochi che possiedono e che si concentrano sempre sugli stessi.
Quali sono i giochi migliori?
A questo punto c'è da chiedersi come stimolare la creatività dei bambini anche in famiglia, senza forzature, senza che questo diventi un altro obiettivo pressante, ma liberando la fantasia e creando occasioni di ispirazione. È possibile rendere ecologico lo spirito creativo dei nostri bambini? Possiamo fare in modo che fin dai primi giochi che iniziano a manipolare e a utilizzare possano familiarizzare con materiali ecocompatibili, naturali e per questo più adeguati alle loro esperienze sensoriali?
- Esplorare la natura Credo che il primo o da fare sia quello di sperimentare con i nostri figli il mondo naturale. Tutte le volte che possiamo cerchiamo di are del tempo all'aria aperta, ancora meglio se assieme ad altre famiglie e altri bambini: i luoghi organizzati come i parchi o i giardini pubblici sono spazi che i più piccoli amano molto, ma spesso gli spazi aperti, privi di giochi preconfezionati offrono molti spunti in più. L'esplorazione della natura, il poter toccare, sporcarsi, giocare indisturbati in spazi aperti è un'esperienza impagabile che i bambini di oggi vivono davvero di rado. Se abitiamo in città possiamo organizzarci nei fine settimana, se invece abbiamo campagne o colline a portata di mano possiamo portare i bambini più spesso, ad esempio dopo la scuola, a fare brevi escursioni per conoscere il territorio, per raccogliere foglie e sassi, per scoprire piante e fiori. La loro inesauribile fantasia farà il resto: non avremo bisogno di organizzare alcunché. Non c'è fonte di ispirazione più grande del pianeta su cui viviamo: la terra è bellezza, energia e colore e portare i bambini a sperimentare e misurarsi con se stessi negli spazi aperti e privi di costrizione è il modo più semplice per realizzare la tanto decantata educazione ambientale. Solo vivendo e conoscendo in prima persona la bellezza della natura i bambini potranno amarla e di conseguenza sperimentare e ricercare – quando saranno adulti – gli strumenti per rispettarla. Sentire il profumo dell'erba o delle foglie in un bosco, riconoscere gli alberi,
ascoltare il rumore di un ruscello in montagna, osservare le stelle, anche dal terrazzo: fin da piccolissimi i bambini hanno la capacità di assorbire quella bellezza e di interiorizzarla, oggettivandola nei loro giochi. Quando camminiamo in collina (e, a volte, anche lungo i viali della nostra città) le nostre bimbe non riescono a trattenersi: il loro desiderio di raccogliere foglie, sassolini e rametti è irrefrenabile. Le lascio fare perché ciò che raccolgono rappresenta per loro un piccolo tesoro, che si trasforma poi nella base materiale per i nostri lavoretti. Hanno scoperto così molto facilmente, attorno ai tre-quattro anni, la ricchezza e la diversità delle stagioni e i colori che le caratterizzano. Portare a casa un po' di natura è un modo per comprenderla e per apprezzarla, senza danneggiarla mai. Si possono fare moltissime attività creative insieme ai bambini, soprattutto dopo i tre anni, con i materiali raccolti all'aperto: semplici collage o disegni con la tecnica del frottage⁵, collezioni di sassi, foglie o legnetti dipinti, bastoncini decorati con fili di lana, l'angolo della stagione, coroncine di fiori, nidi in miniatura, ecc. . È il modo migliore per impegnare i pomeriggi di pioggia, così frequenti nei cambi di stagione, le ore più calde in estate, o fredde in inverno, quando uscire è più difficile.
- Scegliere i giochi Le cose che entrano nella nostra casa e che ogni giorno vediamo attorno a noi rappresentano, in un certo senso, ciò da cui possiamo trarre ispirazione, noi e i nostri bambini, nella quotidianità. Ci danno o ci tolgono energia, stimolano la nostra ispirazione e la nostra creatività. Amanda Blake⁷ incoraggia i genitori a farsi alcune domande e prima che un gioco entri nella loro casa, oppure a riflettere pensando ai giochi che i bambini già possiedono. È bello? È semplice? Di che cosa è fatto? Quali sensi stimola? Come lo possiamo gestire in casa? Dove lo mettiamo? È di troppo in casa nostra? Un effetto davvero devastante del nostro modo di consumare risiede nella facilità e velocità con cui i bambini sono sommersi di oggetti, fin dalle prime settimane
di vita, e dal desiderio, quando sono poco più grandi, di averne ancora, di comprare, di possedere. Quando ci sono troppe cose attorno a noi, si limita fortemente la possibilità di immaginare e di giocare in modo creativo. Per questo stare all'aperto è un'esperienza così ricca per i bambini, perché lo spazio della natura è semplice, puro, attraente.
- Bellezza Portare in casa oggetti belli e funzionali è un primo o da fare: quando possibile, cerchiamo di scegliere giochi fatti a mano (o realizzarli noi stessi), per valorizzare anche il lavoro umano, l'amore e la dedizione di chi li ha prodotti. Osservare certi negozi di giocattoli o i reparti dei supermercati a volte è desolante. Internet è diventata invece una fonte privilegiata per scovare negozi che vendono giochi fatti a mano, che riprendono vecchie tradizioni e che rispettano determinati criteri di bellezza, intesa come funzionalità e piacevolezza al tatto.
- Semplicità Alcuni giochi, anche quelli per i neonati, come le palestrine o i sonaglini, a volte sono sofisticati, complicati, luminescenti. Per i più grandicelli la cosa non cambia molto, mentre la semplicità dovrebbe essere la caratteristica essenziale per i giocattoli e per gli spazi di casa in cui utilizzarli. I giochi semplici crescono con i nostri bambini, come vedremo in seguito, che li utilizzeranno in modo sempre differente, anno dopo anno.
- Materiali Legno, carta, cartone, cotone, lana: le materie prime che si trovano in natura hanno un impatto ambientale decisamente inferiore rispetto a quelle di origine petrolifera come plastica e gomma. Quando scegliamo un giocattolo teniamolo presente. Possiamo anche considerare oggetti in materiali riciclati, come la
plastica post consumo. I materiali naturali sono migliori anche perché richiamano l'esperienza che i nostri figli fanno della natura e possiamo applicare lo stesso paragone che facevamo nel terzo capitolo tra il cibo non confezionato, non industriale, non trattato, a confronto con il cosiddetto cibo spazzatura.
- Sensazioni Sperimentare attraverso i sensi è un modo per scoprire, conoscere, percepire il mondo. Avere in casa giochi che stimolino i cinque sensi incoraggia i bambini a mantenere viva la loro capacità di utilizzarli e di non focalizzarsi solo su alcuni di essi.
- Organizzazione I giochi, come qualsiasi oggetto nella nostra casa, dovrebbero essere accessibili, facili da trovare e da usare, sempre a disposizione dei più piccoli. Ceste, scatole, armadi o cassetti ben organizzati rendono tutto più facile e offrono ai bambini la possibilità di essere autonomi nella scelta del giocattolo o del materiale da prendere.
- Less is more (meno è meglio) Non dobbiamo avere timore di togliere, eliminare, regalare i giochi che riteniamo non congrui al nostro spazio: facciamolo con intelligenza e buon senso, cerchiamo di aggiustare ciò che è rotto, e puntiamo a semplificare lo spazio creativo dei nostri figli. Le nostre bambine, ora che sono un po' più grandi, amano scambiare i giochi con gli amichetti o regalarli. Quando qualcuno ci viene a trovare, prima di andare via offriamo sempre un gioco in prestito, da usare fino al prossimo incontro. Di recente nella nostra città ha aperto una piccola comunità diurna per bambini di famiglie in difficoltà: contribuire alla creazione dello spazio gioco di questa comunità con qualche bambolina e qualche attrezzo per la cucina giocattolo è stato un modo per far capire alle
nostre bimbe che hanno tanti, forse anche troppi giochi, e che regalarli è un vero piacere anche per chi dona, non solo per chi riceve. Il modo migliore per fare un'eco-pulizia dello spazio gioco dei nostri bambini è far ruotare periodicamente i giocattoli, eliminando temporaneamente dalla vista quelli che utilizzano meno, alternandoli dopo qualche mese con gli altri. Un modo per vedere in modo nuovo anche un vecchio giocattolo.
Alcuni giochi ecologici e creativi
- Cestino dei tesori (dai 6 ai 10 mesi circa) È un gioco semplice che si può realizzare in casa, senza acquistare nulla: è sufficiente mettere in una cesta di vimini, o in una scatola con i bordi arrotondati, oggetti di vario genere, di preferenza in materiali naturali, facendo sempre attenzione che non ci siano oggetti appuntiti o con piccole parti staccabili. L'idea è di stimolare i cinque sensi, attraverso la differente consistenza, forma e peso degli oggetti, varietà di odori e di rumori, colori, lucentezza, ecc. Qualche esempio: pigne, castagne, conchiglie grandi, pezzi di legno ben levigato, mestoli da cucina, coperchi di pentole o di vasetti, barattoli in latta con i bordi arrotondati, anelli da tende, mollette da bucato, scatole di varie misure, pezzi di stoffa, pompom di lana, mazzi di chiavi, spazzolini da denti, pentolini, sacchettini cuciti con lavanda, timo, chiodi di garofano, ecc.
- Kapla (dai 3 mesi) Il Kapla è un gioco bellissimo perché semplice. È costituito da un numero variabile di blocchetti di legno, tutti della stessa misura, che si possono usare per realizzare costruzioni di tutti i tipi: animali, creature incredibili, ma anche stradine e semplici torri. Il tutto senza alcun tipo di fissaggio, perché Kapla è un gioco di equilibrio. I legnetti si possono anche mordere e far suonare e per i più piccoli è un bel divertimento. Con Kapla si creano occasioni per giocare coi bambini e per stimolare la fantasia, per rilassarsi e concentrarsi. I Kapla si possono anche dipingere con i colori a tempera per poi fare piccoli quadretti e composizioni artistiche. Un mix di armonia, equilibrio, fantasia, divertimento. Kapla è stato inventato dall'olandese Tom Van Der Bruggen, un restauratore di mobili antichi. In Italia si può acquistare sul sito di Marco Faramelli⁸ e su
qualche negozio online. È probabilmente uno dei giochi più semplici e versatili che esistono: in fondo cosa c'è di più banale di un blocchetto di legno? Qualcosa di simile al Kapla si può anche realizzare artigianalmente in casa con qualche pezzo di legno inutilizzato.
- Iotobo Questo gioco, per bambini di almeno 3 anni (esistono differenti versioni a seconda dell'età), permette la realizzazione di mosaici a partire da tre semplici forme di magneti, gli iotobo, appunto, che si attaccano ad una lavagna. Iotobo sviluppa immaginazione, creatività, senso dei colori, aiuta i più piccoli a esercitare la motricità fine e la precisione del gesto. Con Iotobo si possono creare forme geometriche o figure di vario genere. Un ottimo o è anche il frigorifero. Attraverso la tecnica del frottage si possono poi ricalcare i disegni prodotti con le forme magnetiche. Cubi, bambole, mostri di pezza Utilizzando un po' di ovatta e dei quadrati di feltro, da assemblare con del filo di lana, è molto semplice creare dei cubi di pezza colorati, con cui i bambini possono giocare fin dai primi mesi di vita. Navigando in rete si incontrano mamme eccezionali che creano bambole meravigliose, come le bambole Waldorf, tipiche del metodo steineriano . Ma per chi, come me, non ha grande manualità, e al tempo stesso non rinuncia a provare a realizzare cose semplici, ci sono altre ottime soluzioni. Barbara Dal Piaz, mamma blogger nota in rete come Mamma Fatta Così¹ , ha dato una speranza anche a chi non sa da che parte prendere ago, filo e macchina da cucire. Purtroppo nel tempo si stanno perdendo moltissime abilità e, nonostante la riscoperta dell'handmade oggi sono senz'altro più numerose le persone che non sanno cucire o fare a maglia che quelle che sanno farlo. Barbara è una grande apionata di cucito e ha dato il via a varie iniziative per far condividere alle mamme che la seguono in rete le loro realizzazioni e il desiderio e l'impegno nel creare qualche semplice pupazzo per i loro bambini.
L'idea essenziale è che debba essere un piacere, un'occasione per divertirsi e per creare qualcosa per i propri figli. Ecco cosa scrive Barbara:
Pensi di essere negata per il cucito e quindi non ci provi nemmeno? Da oggi prova a cambiare atteggiamento! Non sei negata, sei un'ASTUTA PRINCIPIANTE!
Barbara ha coinvolto molte mamme in un'iniziativa denominata “Lo strano concorso”. Senza saper cucire le partecipanti hanno realizzato dei giochi di pezza per i loro bambini, tutti autoprodotti con vecchie stoffe, calzini e altri materiali di riciclo¹¹. Forse il miglior modo per cominciare, in questo ambito e in tutti gli altri, è proprio quello di cambiare atteggiamento, di provare a dare una svolta, anche se il risultato potrà non essere subito eccelso. Anche un “mostro di pezza” può diventare un ottimo gioco per i nostri bambini, soprattutto se abbiamo permesso loro di aiutarci a realizzarlo.
- Pasta da modellare fatta in casa La pasta da modellare, ottima per la manipolazione, si può realizzare facilmente a casa, con pochi semplici ingredienti di facile reperibilità. 200 gr. di farina bianca 100 gr. di sale fino 1 cucchiaino di olio 300 ml. di acqua
2 cucchiaini di cremor tartaro o bicarbonato di sodio coloranti alimentari a scelta (oppure un pizzico di zafferano per fare il giallo, un po' di cacao per il marrone, ecc.)
Il procedimento è semplicissimo: dopo aver unito farina, sale, cremor tartaro e colore, si aggiungono lentamente l'acqua e il cucchiaino di olio finché non si ottiene una crema. Il tutto va poi messo in una pentola antiaderente e riscaldata a fuoco medio. Mescolare di continuo finché non solidifica, conservare in contenitori ermetici.
- Giocare con gli scatoloni Gli scatoloni da imballaggio e, in generale, le scatole vuote, come quelle delle scarpe, sono un'ottima base per creare giochi divertenti e coinvolgenti per i bambini. In uno scatolone un bambino si può nascondere, lo può dipingere, lo può far diventare una casetta con tanto di finestre e di stanze, magari impilando o accostando più elementi. Gli scatoloni possono trasformarsi in castelli, in caverne, in macchinine o piccole scene per teatri. Usando la fantasia o aiutandosi con qualche libro si possono facilmente realizzare giocattoli di cartone, resistenti e a basso impatto ambientale¹².
- Il gioco dei profumi La memoria olfattiva dei bambini può essere stimolata attraverso il gioco dei profumi: si possono raccogliere erbe aromatiche e poi altre spezie profumate, ma anche qualche alimento da mettere in barattolini riciclati. Il gioco consiste nel riconoscere il profumo bendati.
- Giochi di simulazione Le attività di simulazione sono molto amate dai bambini, fin da piccolissimi.
Con una piccola cucina, un tavolino e delle sedie, piatti, posate e bicchieri i bambini si intrattengono per ore. Per loro è un modo per rivivere e rielaborare quanto fanno i genitori, è rassicurante e divertente. Ci sono moltissime cucine per bambini, nuove e usate, in legno o in plastica. Ma si possono anche ricavare da vecchi mobiletti o pensili da cucina o assemblando degli scatoloni¹³. Altri giochi di simulazioni semplici da reperire o da realizzare: uno stendino per i panni con le mollette, un tavolino per stirare (ad esempio i fazzoletti, con un ferro da stiro da viaggio), un cesto di vimini con qualche scampolo di tessuto può diventare la culla per una bambola, da vestire e cambiare, con un… pannolino ecologico.
- Angolo creativo Quando i bambini sono molto piccoli possiamo creare per loro un angolo morbido, realizzato con un tappetone in gomma piuma rifoderato o un vecchio materasso o semplicemente delle coperte e dei cuscini. Già attorno ai due anni dare ai bambini l'opportunità di avere un loro spazio creativo come un tavolo dove disegnare, dipingere o fare dei lavoretti in modo indipendente o assieme ai genitori offre loro la possibilità di vivere uno spazio in cui sono più autonomi e liberi di esprimersi.
- Lettura Leggere ai bambini è una delle attività più interessanti, piacevoli e decisamente a basso impatto ambientale che possiamo fare. Fin dai primi mesi di vita fiabe, storie, filastrocche lette da mamma e papà sono un potente strumento di relazione, avvicinano i bambini al piacere della lettura, stimolano la fantasia, il desiderio di conoscenza, la voglia di inventare, a propria volta, storie e racconti. E poi i libri, se li trattiamo bene, ano di mano in mano, di famiglia in famiglia, e possono durare decenni. Le fiabe e i racconti aiutano i bambini a comprendere la realtà, le loro paure, le loro gioie, i loro sentimenti: il tempo speso leggendo ai bambini è un tempo di altissima qualità¹⁴.
Testimonianza: Angela e il gioco fai da te
Angela è la mamma di due bambini di sette e tre anni, è medico e ha fatto da sempre della sobrietà uno stile di vita. Assieme a suo marito ha organizzato la casa in modo da dedicare la stanza più grande (il soggiorno) a chi ha più bisogno di spazio, cioè i bambini. Le sue soluzioni fai da te, di riciclo creativo e di eccezionale risparmio, sono illuminanti. Lo scorso Natale mia figlia di quasi tre anni ha chiesto a Babbo Natale di regalarle dei vestitini per i suoi “animaletti” – come li chiama lei –, i suoi peluche. Allora Babbo Natale, prendendosi per tempo, ha recuperato vari pezzi di stoffa: ritagli di gonne accorciate e di camicie, vecchi vestiti e tende e quanto più possibile ci fosse nel baule della nonna; poi vecchi gomitoli di lana avanzati da qualche lavoro a maglia finito o disfatto… Ha tirato fuori macchina da cucire e ferri da calza ed è riuscito a confezionare senza grandi pretese né conoscenze di taglio e cucito piccole camiciole, gonnelline e graziosi maglioncini di vari formati e misure, adattabili ai vari esemplari di amici che popolano il cassettone di uno scaffale del salotto. Certo, il lavoro ha richiesto un po' di pazienza e qualche ora di sonno in meno, ma il risultato è stato gradito oltre che di grande soddisfazione! Non possiedo grandi doti di fantasia e di abilità manuale, ma fin da quando è nato il mio primo figlio, che ora ha quasi sette anni, ho sentito l'esigenza per i bambini di non avere in casa tanti giochi preconfezionati, quanto piuttosto di sfruttare i materiali a disposizione per realizzare soluzioni creative, pratiche ed economiche, nonché soddisfacenti. Ho sempre fatto fatica ad accettare di avere molti giocattoli preconfezionati per tre motivi principali: per prima cosa non so fisicamente dove mettere le cose (tutto richiede spazio! E i miei figli vogliono sempre conservare tutto!); secondo, penso che sia uno spreco di denaro, di energia e un danno per l'ambiente; terzo, ho sempre notato che i miei figli tendono ad accogliere in un primo momento positivamente ogni nuovo gioco o giocattolo, soprattutto se attraente; poi però dopo pochi giorni se ne dimenticano e preferiscono tornare ai soliti giochi e a divertirsi con cose molto semplici: bastoni di legno (ne abbiamo una collezione a
casa, provenienti da tutti i parchi della città!), sassi, materiali di scarto, tavole di legno da levigare, pezzi di cartone o anche di plastica che possono assumere varie sembianze, un mazzo di vecchie chiavi, un cellulare rotto. Anche prima di arrivare alla maternità, ho sempre cercato di mantenere uno stile di vita sobrio e così mi sono trovata a educare di conseguenza i miei figli, a insegnare loro a non pretendere di circondarsi di troppe cose – anche se belle, divertenti, colorate, affascinanti – e ad accontentarsi di ciò che si ha, dandogli valore e senza sprecare. Inoltre, abbiamo sentito l'esigenza fin da subito di non tenere mai in casa giocattoli che producano artificialmente rumori o suoni, per l'eccitazione e anche l'irritabilità che questi inducono. Se si guarda bene, tutto ciò ha anche un risvolto ecologico, perché questo tipo di giocattoli richiede spesso l'uso di pile che poi devono essere opportunamente smaltite… se non giochi con questi oggetti, non usi né butti né ricompri le pile. Ovviamente abbiamo dovuto e dobbiamo continuamente istruire in modo opportuno i familiari sui criteri di scelta dei regali. La prima soluzione creativa che ho realizzato in casa – con l'aiuto della nonna – con l'arrivo del primo figlio è stato un tappetone di gomma piuma con fodera di stoffa dotata di comodo velcro per poterla agevolmente togliere, lavare e rimettere. Utile per i bambini fin da piccolissimi come morbido e sicuro punto di appoggio e base per i primi movimenti, quel tappeto, insieme ad altri in seguito realizzati, rimane tuttora la sede privilegiata di gioco e di attività (per fare lavoretti, per rotolarsi, fare capriole e salti o stendersi per un rilassante massaggio, per leggere, raccontare, inventare e animare storie, per ascoltare musica e cantare, per stendersi o sedersi a disegnare, per giocare con gli amici), facilmente spostabile e comodo in molte situazioni. Ancora, quando mio figlio era molto piccolo, avevo sentito parlare di psicomotricità e dell'uso di grossi blocchi o cubi di materiale morbido su cui i bambini possono arrampicarsi e così praticare svariati tipi di movimento sviluppando diverse competenze motorie e relazionali. Allora ho pensato: perché non costruire da me dei “cubi” con cui giocare e muoversi? Ho preso insieme a mio figlio degli scatoloni di diverse dimensioni, li abbiamo riempiti di carta di giornale e altra da buttare che abbiamo pressato con cura; poi abbiamo chiuso tutto con nastro adesivo da pacchi e alla fine abbiamo rivestito le scatole con
disegni o figure che ci piacevano, ritagliate da giornali. Risultato: tre scatole robuste su cui arrampicarsi, con cui fare delle scale da risalire e da cui poi saltare per ricadere sui morbidi tappetoni, da spingere, trascinare (ottimo esercizio per bambini che stanno imparando a camminare per rafforzare la muscolatura), e anche da usare come tavolini, come panche, come pareti per una casetta, come piano d'appoggio per raggiungere posti alti dove prendere qualcosa (il tutto sotto opportuna supervisione dell'adulto!!). Inoltre possono essere riposte, alla fine di qualsiasi gioco, sotto al divano o sotto un qualsiasi tavolo o tavolino del salotto scomparendo alla vista e non sottraendo spazio. Molti altri sono gli oggetti, grandi o piccoli, semplici o complessi, che si possono realizzare in casa: a questo scopo anche Internet è una grandissima fonte di ispirazione e di suggerimenti (abbiamo, ad esempio, costruito un bel caleidoscopio cercando le istruzioni per realizzarlo). Si possono anche creare dei giochi di società: un gioco dell'oca su base di cartone, con disegni colorati e con penalità divertenti che si inventano insieme; anche i dadi si possono fare in casa; domino, tombola, memory, ecc. Non è sempre facile trovare il tempo e la sintonia per fare le cose insieme ai propri figli, ma quando si riesce a trovare la strada giusta ci si può divertire parecchio e alla fine essere molto soddisfatti. Per chi ama lavorare a maglia è possibile creare pupazzi. Ho realizzato in questo modo un piccolo omino e un elefante rosa, prendendo spunto per le sembianze e le misure da altri pupazzi che avevo in casa. Tra le varie altre nostre creazioni posso ricordare: libretti realizzati con cartone e rilegati con spago, corredati di disegni e testo; raccolte di figure ritagliate o di figurine messe in album inutilizzati per le foto; puzzle e giochi a incastro fatti con pezzi di cartone ritagliati e disegni applicati; sagome o figure varie ritagliate e applicate a sostegni di cartoncino e rivestite di nastro adesivo che si possono usare per inventare e animare storie. Abbiamo poi raccolto e messo in scatole e contenitori adeguati materiali vari, adattabili a diverse esperienze di gioco creativo (materiali base per lavoretti) o anche solo di manipolazione: oggetti o pezzi di legno, di gomma, di plastica, di vetro, di metallo, di carta; mattoncini di legno; cera, stoffa, lana, bottoni, perline, mollette e mezze mollette, pongo, creta, das, matite colorate, pennarelli, colori a cera, colori a tempera e a dita, legumi secchi (fagioli, ceci, soia), chicchi di mais (anche pannocchie da sgranare), pasta, farina gialla e bianca, terra e sabbia (in terrazza o giardino), foglie secche, gusci di noci, castagne, pigne, ramoscelli,
sassi, conchiglie… Altre scatole sono a tema: la scatola “delle pentoline” contiene piatti e bicchieri di plastica, vecchie pentoline di metallo, posate di cartone e di vari servizi scompagnati, mestoli, scatole di metallo con coperchio, barattoli di plastica e vasetti di yogurt vuoti, coperchi, vaschette di plastica, contenitori di polistirolo del gelato da asporto, cannucce, tovagliette e tovaglioli, grembiuli; la scatola “dell'ufficio” contiene una vecchia tastiera di computer, schermo fatto con una scatola di camicia trasparente, mouse, tappetino per mouse, telefoni vari, montature di vecchi occhiali,…; la scatola “dei lavoretti” contiene forbici, graffettatrice, scotch, penne, gomme, matite, temperini,…; la scatola “del dottore” contiene siringhe senza ago, tubetti vuoti di farmaci, cerotti, cotone, garze, boccette di collirio vuote. C'è infine un gioco che i miei figli amano fare e che ha il vantaggio di essere a costo zero e a impatto zero sull'ambiente: è l'uso della fantasia. Con essa inventano viaggi e situazioni diversissime e sempre entusiasmanti, che loro ti raccontano facendoti partecipare in modo interattivo. Questo tipo di gioco richiede solo due semplici cose: un po' di glucosio per far funzionare bene il cervello e qualcuno disposto ad ascoltare e assecondare l'avventura proposta. Purtroppo questo gioco ha anche un inconveniente: non funzionando con pile che si scarichino e che si possano togliere, né avendo interruttori per poterlo spegnere, non si riesce la maggior parte delle volte a farlo smettere…
Sport e tempo libero: sceglierli a basso impatto
Siamo così abituati al paradosso dello sfruttamento del pianeta, del territorio e delle risorse che quando decidiamo dove andare in vacanza o quale sport praticare o far fare ai nostri figli non ci poniamo immediatamente la domanda sull'impatto che il nostro tempo libero ha sull'ambiente. Le vacanze sono dei momenti di svago importanti, ci aiutano a riprendere le forze e la forma, a pensare ad altro che non sia il lavoro e a estraniarci dagli impegni quotidiani: sono un momento privilegiato per la famiglia, per godersi i propri bambini, per riprendere fiato e ristabilire l'equilibrio. Per questo motivo non dovrebbero destabilizzare l'equilibrio del pianeta, né essere causa di cementificazione o di usurpazione del territorio. Lo stesso vale per lo sport: mantenere la forma fisica, stare bene e coltivarsi anche dal punto di vista fisico attraverso la pratica di uno sport non dovrebbe avvenire a scapito dell'ambiente in cui lo pratichiamo. A quale modello di tempo libero può dunque ispirarsi una famiglia che voglia essere profondamente rispettosa dell'equilibrio ecologico?
- Vacanze sostenibili Nella scelta del luogo in cui are le vacanze o qualche week-end possiamo optare per soggiorni in cui godere della bellezza dell'ambiente naturale, visitare città, ma anche borghi e comunità cercando di conoscere le loro tradizioni, di assaporare cibo e vino locale, sostenendo realmente l'economia del luogo che ci ospita attraverso l'acquisto di prodotti tipici della cucina o dell'artigianato locale. Si sta espandendo a macchia d'olio il concetto di albergo diffuso, un modo differente di concepire l'ospitalità, che cresce in orizzontale e non in verticale, senza consumare territorio, senza cementificare, senza costruire grandi strutture a più piani che assomigliano a dei condomini, come si faceva (e ahimè ancora si fa) in molte zone quando aumenta la domanda turistica. L'albergo diffuso è una nuova forma di ospitalità che si sviluppa in orizzontale e che nasce mettendo in rete più edifici già preesistenti, vicini tra loro, riqualificando stabili dismessi e
permettendo agli ospiti di vivere nello stesso contesto degli abitanti del luogo, scoprendone l'ambiente autentico e vivendo quindi un soggiorno integrato nel territorio e nella sua cultura. L'albergo diffuso risponde ottimamente alla richiesta di servizi (alloggio, ristorante, ecc.) ed evita la realizzazione di nuove costruzioni¹⁵. In generale una vacanza all'insegna dell'ecoturismo punta alla leggerezza, alla lentezza, ed è davvero a misura di famiglie con bambini perché coniuga il rispetto dell'ambiente, della cultura e della società del luogo, lo sviluppo economico locale e la soddisfazione del turista stesso. L'ecoturismo si contrappone al turismo cosiddetto “predatorio”, fatto di luoghi costruiti ad hoc, che causa degrado locale, cementificazione e cambiamento dei costumi e del modo di vivere delle popolazioni locali. Sono sempre più diffusi inoltre gli operatori che organizzano vacanze ecologiche con mezzi leggeri come la bicicletta, la barca a vela o anche a piedi, con buoni standard e prezzi contenuti: vacanze che rispecchiano un modo nuovo di concepire la relazione con gli altri e con l'ambiente, che hanno tra i loro obiettivi anche la creazione di amicizie tra i partecipanti¹ . Piccoli alberghi, campeggi, country house, agriturismi: sono molte le possibilità di scelta per chi desidera are una vacanza a contatto con la natura e gli animali, senza invadere l'ambiente, cercando soluzioni a misura di famiglia meno commerciali e più sane da tutti i punti di vista.
- Sport Il valore dello sport dal punto di vista educativo è enorme: aiuta i bambini a conoscere e rispettare delle regole, a fare squadra, a riconoscere il valore della sana competizione, della relazione, del rispetto dell'avversario. Permette di godere delle vittorie ma anche di misurarsi con le sconfitte, in modo costruttivo, ed è anche una validissima alternativa per occupare il tempo libero speso male, quello ato annoiandosi davanti alla televisione o a una console. La forma fisica dovrebbe rispettare anche il nostro pianeta, essere replicabile in diversi luoghi senza utilizzare (o quasi) energia diversa dalla nostra. Il motore dobbiamo essere noi!
Sono molti gli sport e le pratiche che rispondono a questo criterio, che non consumano territorio, che possono essere praticati anche senza l'utilizzo di attrezzatura complessa. Se ci piace la montagna è sicuramente più leggero l'impatto dello sci da fondo o dello sci alpinismo che quello di snowboard e sci da discesa. Per correre, pattinare, andare in bicicletta, praticare nordic walking o yoga non servono palestre o impianti sofisticati. Lo stesso vale per molti sport di squadra, che non usurpano il territorio, ma lo preservano o ne occupano piccole porzioni ben organizzate e fruibili da molte persone. Molti sport purtroppo hanno perso la loro livrea perché l'agonismo è diventato fine a se stesso e a volte purtroppo sono i genitori stessi a concentrarsi sul successo o sull'agonismo anziché valorizzare gli effetti benefici dell'attività sportiva praticata dai figli e la conseguente positività delle relazioni che si instaurano quando si partecipa.
Testimonianza: Raffaella e il viaggiare sostenibile
Raffaella Caso ha concentrato la sua esperienza professionale sulla cultura del turismo e dello sviluppo sostenibile. Ha lavorato molti anni al Touring Club Italiano, prima come ricercatore presso il centro studi, poi come coordinatore dei programmi territoriali e di certificazione, tra i quali il programma Bandiere Arancioni. Oggi è consulente e autore nel settore delle scienze turistiche ed è docente all'Università Iulm di Milano. In rete Raffaella cura il blog www.babygreen.it, dove condivide il suo percorso da single ad alto impatto a mamma (quasi) green.
Il turismo è un fenomeno mondiale inarrestabile, che va incoraggiato e sostenuto, perché porta cultura, pace e benessere, ma che comporta un fortissimo impatto sulle mete turistiche visitate ogni anno da migliaia di persone. Viaggiare responsabilmente significa rispettare e amare il pianeta, le altre culture e le persone. Quando visitiamo una meta turistica dobbiamo ricordarci che la stiamo prendendo “in prestito” dai nostri figli e dai nostri nipoti: abbiamo il dovere di restituirla così come l'abbiamo trovata, magari anche migliore! “Viaggiare leggeri” non significa solo “con pochi bagagli”, ma anche senza danneggiare l'ambiente e la cultura locale. Ecco qualche spunto per organizzare e intraprendere un viaggio in modo più responsabile e sostenibile: viaggiare “fai da te”, oppure scegliere il tour operator anche in base alla sua policy ambientale ed etica; studiare: più si conosce la destinazione all'arrivo e più rapidamente ci si immergerà nella cultura locale; portare sempre una borsa per gli acquisti: aiuteremo a evitare il problema della
plastica in molti paesi del mondo; rispettare le comunità e l'ambiente che visitiamo; cercare di non creare eccessivi rifiuti e di limitare il consumo di bottiglie di plastica; ridurre il consumo di energia: non lasciare attaccato alla presa il carica-cellulare, spegnere sempre le luci in hotel! non sprecare acqua: in media un ospite d'hotel consuma oltre 300 litri di acqua per notte (e in un hotel di lusso circa 1.800 litri!); chiedere il permesso prima di scattare fotografie. Se qualcuno non accetta, rispettiamo la sua volontà! rispettare le differenze culturali e cercare di imparare da esse; rispettare i codici di abbigliamento locali; non acquistare oggetti e non mangiare alimenti provenienti da specie a rischio; sostenere l'economia locale: acquistare solo souvenir prodotti localmente, mangiare in ristoranti a gestione locale; non donare soldi, caramelle o altri regali ai bambini del posto: in questo modo incoraggiamo l'economia dell'elemosina. Se vogliamo portare dei doni possiamo contattare un tour operator o una scuola del luogo che possa assicurarsi che i regali vengano distribuiti equamente e correttamente; usare i mezzi pubblici; se è necessario affittare un'auto possiamo provare una ibrida o una elettrica! dare la preferenza a hotel ecologici. Ma i veri viaggiatori di famiglia sono i nostri figli: i viaggiatori del futuro. È quindi nostra responsabilità aiutarli a diventare, a loro volta, dei “buoni” viaggiatori. Condividere con loro un approccio più responsabile al viaggio significa anche divertirsi di più, avere ricordi più autentici e condividere emozioni forti e vicine al luogo che si visita. Esistono mille modi per insegnare
ai nostri bambini a viaggiare responsabilmente, eccone alcuni: leggiamo insieme prima di partire: procuriamoci una mappa e una guida dei luoghi che visiteremo. Per “studiare” la cultura del luogo possiamo anche affidarci ad un personaggio della zona… in Svezia c'è Pippi Calzelunghe, a Collodi c'è Pinocchio; utilizziamo, per quanto possibile, i mezzi pubblici: i bambini si divertiranno, impareranno a muoversi per il mondo e conosceranno tante persone interessanti. Inoltre, in questo modo, inquineremo molto meno; dotiamoci di una borraccia: impareranno a gestire le “scorte” e non lasceremo bottiglie di plastica in giro per il mondo; controlliamo, insieme ai bambini, la provenienza dei souvenir (niente “made in China”, a meno che non siamo effettivamente in Cina!): impareranno a valorizzare e sostenere l'economia e la cultura del luogo; dotiamo i bimbi della loro macchina fotografica e chiediamo loro di fotografare le cose belle e le cose brutte: impareranno ad apprezzare e tutelare il paesaggio; prepariamo con i bambini un diario di viaggio, con mappe, appunti, immagini, biglietti, scontrini: apprezzeranno il turismo fai-da-te, fuori dai luoghi comuni; ricordiamoci che l'esempio nel mettersi in relazione positiva con luoghi e persone è il migliore degli insegnamenti.
¹ Per approfondire tutte le tematiche relative al gioco e al giocare si veda Claudia Porta, Giochi con me? Tanti modi creativi per accompagnare i nostri nella crescita, Il leone verde, 2012.
² http://soulemama.com
³ Amanda Blake Soule, The Creative Family, Trumpeter Books, 2008.
⁴ Definizione di sca Sanzo: http://bit.ly/dZlq22
⁵ Tecnica di disegno e pittura basata sul principio dello sfregamento.
Si possono trovare dei tutorial su www.mammafelice.it, ad esempio qui: http://bit.ly/neSifI
⁷ Amanda Blake, The Creative Family, op. cit.
⁸ http://www.marcofaramelli.it/
Sul sito La Pappa Dolce (http://www.lapappadolce.net), è possibile scaricare un ebook gratuito dettagliatissimo per realizzare una bambola Waldorf: http://bit.ly/J7zCzd. Vedi anche C. Porta, Giochi con me?, cit.
¹ http://www.mammafattacosi.com
¹¹ “Lo strano concorso” è visionabile qui: http://bit.ly/JJAlEr mentre una galleria completa delle immagini dei pupazzi realizzati dalle mamme è visionabile a questo link: http://pinterest.com/barbaramfc/lo-strano-concorso-2/
¹² Un ottimo libro che noi utilizziamo molto è Giocando Creo…riutilizzando
scatole e scatoloni, edito da La Coccinella (illustrato da Chiara Bordoni e progettato da Emanuela Bussolati).
¹³ Una raccolta di tutorial qui http://bit.ly/M7EO5C
¹⁴ Per approfondire il tema della lettura ai bambini: Giorgia Cozza, Me lo leggi?, Il leone verde, 2012.
¹⁵ Esiste un'Associazione Nazionale Alberghi Diffusi (ADI) che ne promuove e sostiene lo sviluppo. Sul sito dell'ADI c'è un database per regione degli alberghi diffusi in Italia http://www.alberghidiffusi.it/
¹ Segnalo gli operatori turistici Jonas (www.jonas.it) e Zeppelin (www.zeppelin.it).
IX
Mobilità sostenibile, muoversi senza motore
Scendere e salire correre e frenare vado zigzagando buche da evitare suono il camlo voglio superare quando vado in bici mi sembra di volare. Girando per le strade sento tanti odori mi tappo bocca e naso puzzano i motori, vado verso il parco voglio respirare con la bicicletta …. posso anche rallentare. (Bicicletta, canzone di Paolo Agostini)
Che cos'è la mobilità sostenibile, perché ne abbiamo bisogno
Le strade di molte città, anche di piccole dimensioni, da anni ormai non sono più a misura d'uomo, e tantomeno a misura di bambino. Sono ate dall'essere luoghi di aggregazione, di incontro, di gioco, di esplorazione… a spazi inquinati, invasi dalle auto e congestionati dal traffico. Provate a pensare a com'erano i quartieri in cui vivevate da bambini e, se avete la possibilità di farlo, riateci oggi provando a ripercorrere le stesse strade, così come facevate solo vent'anni fa, date un'occhiata alla mobilità urbana, allo spazio dedicato ai parcheggi e a quello dedicato alle persone e ai bambini, per camminare e andare in bicicletta, stare all'aperto. Nella maggior parte dei casi saranno quasi irriconoscibili, innanzitutto a causa della quantità di auto in circolazione e del traffico che esse provocano e, in seconda battuta, per la quantità di veicoli fermi, visto che alcune zone sono diventate dei parcheggi diffusi. Se vostro figlio sta iniziando a fare le prime pedalate vi farà sicuramente paura; se siete abituati a muovervi a piedi non sarete sempre rispettati. Non possiamo certo arrestare nostalgicamente l'evoluzione delle città, ma abbiamo il dovere di impegnarci per garantire ai nostri figli l'opportunità di vivere in quartieri ospitali e sicuri, in cui possano muoversi in autonomia. L'invasione delle auto non aiuta. Se devo essere onesta, prima che nascessero le mie bimbe mi ponevo il problema in modo limitato: quando potevo mi muovevo in bicicletta perché mi è sempre piaciuto farlo e fin da ragazzina sono stata abituata a pensarla come mezzo praticissimo per gli spostamenti. Ma non lo facevo ragionando consapevolmente su quanto fosse rivoluzionario, fin da allora, muoversi senza motore, senza bruciare carburante, senza produrre emissioni, migliorando il proprio benessere e preservando la salute a colpi di pedale. Tant'è che solo da poco, riflettendo su com'è cambiata la città in cui abito, mi trovo a rimpiangere il piacere di pedalare e camminare con una maggiore libertà, soprattutto pensando che l'autonomia e la possibilità di muoversi per i nostri bambini è radicalmente diversa da quella che abbiamo avuto noi. Alla fine degli anni Novanta in Italia è stato introdotto, con scarsi risultati, il concetto di mobilità sostenibile attraverso un decreto che doveva intervenire su
vari fronti per diminuire il traffico e l'inquinamento¹. Gli interventi previsti dal decreto, poi demandati alle amministrazioni locali, spaziano dal trasporto pubblico locale alla creazione di corsie preferenziali per i mezzi e piste ciclabili, dalla gestione oculata dei parcheggi ai servizi di car e bike sharing fino all'introduzione dei mobility manager². Ma questo genere di interventi, se anche viene applicato, funziona alla grande solo se trova terreno fertile. Se le persone, i genitori prima di tutto, non hanno coscienza del valore di una mobilità più intelligente, oltre che più sostenibile, non lasceranno mai a casa l'auto e non penseranno mai ad un'alternativa comoda e funzionale per la propria famiglia. C'è un video lungimirante, realizzato all'interno di un progetto dell'ambasciata britannica in Messico, che punta ad aumentare la consapevolezza dei costi sociali dell'uso dell'auto e dimostra come questi condizionino le nostre città³. Esso fa un ragionamento interessante: Esistono due tipi di persone che utilizzano l'auto: l'automobilista quotidiano e l'automobilista ombra. Il primo usa l'auto a prescindere dai suoi costi e lo farebbe in ogni caso. Il secondo la usa solo quando gli conviene. Se studiamo il traffico vedremo che si comporta esattamente come un gas: si adatta allo spazio che lo contiene e, indipendentemente dal volume del contenitore, le sue molecole occupano tutto lo spazio che hanno a disposizione. Quando la rete stradale di una città cresce, con nuove strade, ponti, circonvallazioni, rotonde, crescerà anche il numero degli automobilisti ombra che prima non utilizzavano l'auto, proprio perché hanno convenienza a farlo. Il costo sociale di questa crescita, nell'uso e nell'abuso delle automobili, ricade però su tutta la popolazione, non solo su chi usa l'auto, e in particolare sulle nuove generazioni, che si ritroveranno a respirare un'aria più inquinata, avranno più malattie da curare, una maggior occupazione dello spazio pubblico a causa di strade e parcheggi, più stress e più traffico con cui convivere. Ancora una volta dobbiamo guardare con sospetto la pubblicità e gli incentivi ad acquistare automobili e pretendere dalle amministrazioni pubbliche una maggiore attenzione alla mobilità dolce, un'attenzione che comprenda interventi concreti che la valorizzino come soluzione, invece di considerarla come un grattacapo.
Quando accompagniamo i bambini a scuola, a piedi o in bicicletta, o quando eggiamo con eggini e carrozzine, assieme ai nostri figli, rappresentiamo la cosiddetta utenza debole che – come dicono gli esperti – dovrebbe diventare un elemento di moderazione del traffico e non costituire un problema da risolvere. E se provassimo quindi a considerarla davvero la soluzione al problema del traffico insostenibile nelle nostre città? Fare in modo che più cittadini, in particolare i più giovani, possano muoversi senza motore, utilizzando solo la forza delle proprie gambe senza rischiare la pelle, è un obiettivo che dovremmo porci come genitori, ma anche come cittadini, amministratori, educatori. Un obiettivo da raggiungere in tempi umani, ispirandoci ai Paesi o alle città che hanno risolto i problemi del traffico e dell'inquinamento urbano, favorendo concretamente l'uso delle biciclette, creando strade ciclabili, investendo in sicurezza e ambiente. Anche l'uso dei mezzi pubblici, il car e il bike sharing rientrano in questa pratica che favorisce la condivisione, abbatte le emissioni, è economica per tutti e rientra nelle lungimiranti soluzioni di consumo collaborativo di cui abbiamo già parlato. La mobilità dolce dovrebbe diventare un'esigenza irrinunciabile, il modo più semplice, naturale e immediato per spostarsi in città, in particolare quando dobbiamo percorrere tratte brevi che stanno sotto i tre o quattro chilometri. Oltre a mantenerci in forma senza spendere in costosi abbonamenti per la palestra o cure dimagranti, spostandoci con la sola forza delle nostre gambe miglioreremo il nostro umore. Il movimento, specie di primo mattino, permette di vivere la giornata in modo più sereno, di avere maggiore concentrazione e lucidità mentale, di evitare lo stress del traffico e del parcheggio, e di risparmiare notevolmente. Sì, perché usare (troppo) l'auto è un altro dei paradossi in cui ci siamo infilati negli ultimi decenni e lo fa il 70% di 13 milioni di pendolari italiani⁴, nonostante in città la velocità media si aggiri attorno ai 15 chilometri all'ora, velocità media facilmente raggiungibile in bicicletta. Non sto dicendo che l'auto non sia utile e comoda, ma che ce ne sono troppe in giro (e anche troppe per ogni famiglia) e che una parte considerevole dei nostri stipendi va a coprire le spese di acquisto, di manutenzione e di carburante. Mantenere una semplice utilitaria ha un costo enorme: si spende fino al 20% di uno stipendio minimo. Forse varrebbe la pena considerare se tenere solo un'auto
in famiglia, non fosse altro che per il notevole risparmio. Se ci avviciniamo alla mobilità sostenibile ci rendiamo conto subito di quanto sia contagiosa: ci rende ottimisti e positivi, i bambini nel loro desiderio di emularci si divertiranno moltissimo e saranno felici di andare a scuola a piedi o pedalando, si ammaleranno di meno e cresceranno più sani… provare per credere. Quando sveglio le mie bimbe annunciando loro che si va a scuola in bicicletta non stanno nella pelle: la soddisfazione di arrivare a destinazione pedalando è grandissima e la fatica, il gusto di arrivare alla meta, sono sensazioni che rimangono per la vita. Provate a stare in pista: è facile creare epidemie positive di mobilità sostenibile. E condividere la strada è un simbolo potente.
Dare l'esempio: andare al lavoro a piedi…
I bambini ci osservano, ci emulano, chiedono. Se nella nostra famiglia la mamma o il papà, o entrambi, cambiano qualche abitudine, loro la notano subito. Si accorgeranno che papà esce col caschetto da bici per andare in ufficio, vedranno che la mamma ha i capelli un po' più spettinati o che, semplicemente, calza scarpe diverse. E poiché camminare e andare in bicicletta è bellissimo, vorranno – giustamente – farlo anche loro. L'associazione britannica Living Streets⁵ ha lanciato qualche anno fa una campagna nazionale per sollecitare tutti gli inglesi in età lavorativa a raggiungere il proprio luogo di lavoro a piedi . L'iniziativa, denominata “Walking works”, si prefigge di portare le persone sulle strade e di creare azioni di sensibilizzazione nei confronti delle amministrazioni locali, perché i pedoni siano considerati prima delle auto nel traffico. Living Streets cerca di mettere in rete i “camminatori”, anche attraverso iniziative periodiche, come le “walking works week”: chi partecipa si incontra, crea dei tragitti comuni per raggiungere il luogo di lavoro, segnala eventuali disagi lungo il percorso, come ad esempio la mancanza di marciapiedi o qualche danno all'asfalto. La campagna lancia alcune simpatiche sfide ai camminatori⁷: fate la prima colazione e iniziate il vostro tragitto, percorrendone a piedi almeno una parte; fate fluire le idee, lasciate spazio alla vostra creatività, parlate con altri “camminatori”; dopo la pausa pranzo, fate un giretto nei dintorni; eggiate con gli amici per risvegliare le energie e vivere qualche momento di relax; evitate di camminare nei momenti di maggiore traffico; prendetevi del tempo per camminare. Leggendo queste poche righe ci chiediamo inesorabilmente che senso ha
prendere sempre l'auto o anche l'autobus o la metro e spendere tutto il tempo di spostamento imbottigliati nel traffico. Quando ci si muove a piedi si ha un po' di tempo in più per chiacchierare e per tenersi per mano. Potrebbe già bastare. Vale il tempo speso, anche se camminiamo solo per metà del nostro percorso o meno. Camminare fa bene ed è anche terapeutico, per la mente e per il corpo; è un'ottima attività di prevenzione che favorisce una buona salute. Per questo è legittimo chiedersi perché a livello globale non si punti su qualcosa di così economico ed efficace per il benessere e la salute delle persone come l'uso delle gambe: un grande investimento per combattere problemi di sovrappeso, obesità, malattie cardiovascolari. Living Streets ha calcolato, nel 2006, il costo economico per le malattie dei lavoratori britannici: si parla di 175 milioni di giorni lavorativi persi, pari ad un costo di 13,5 miliardi. I promotori di Living Streets sostengono che con 90 minuti di esercizio fisico quotidiano i giorni di malattia si dimezzerebbero.
…o in bicicletta
Sulla stessa lunghezza d'onda è l'attività svolta da un gruppo di cicloamatori romani che ha lanciato il “Bike To Work”, “Vado al lavoro in bici”. Oltre a gestire molte attività di promozione della mobilità dolce in rete, per dare visibilità alle loro iniziative nel territorio della capitale, gli ideatori di Bike To Work hanno redatto una guida⁸ completa (e divertente!) sulle motivazioni che sono alla base di questa scelta, arricchita da testimonianze di persone che hanno provato a cambiare, a lasciare a casa l'auto per scoprire increduli che il tempo impiegato a percorrere una strada trafficata è sempre inferiore, che i benefici economici e fisici sono enormi, che con un po' di pratica il ritmo si prende facilmente. Ecco cosa leggiamo sulle prime righe della guida:
Perché andare in bicicletta? Utilizzare la bici è facile, conveniente, consente spostamenti door-to-door, è salutare, economico, ma soprattutto è divertente. Rispettando il codice della strada e utilizzando un caschetto da ciclista, gli spostamenti in bicicletta sono sicuri. Potete andare veloci o andare lentamente; nel traffico cittadino, dove la velocità media non supera il 15 Km/h, una bicicletta si muove molto più velocemente e agilmente. Se poi siete stanchi di stare nel traffico potrete sempre scegliere un percorso alternativo che magari attraversa un parco o una zona pedonale (cosa che non potete fare con l'auto o la moto!) ed arrivare a lavoro rilassati e soddisfatti. Andare in bicicletta riduce l'inquinamento, il traffico sulle strade e i costi sostenuti per gli spostamenti (benzina, ticket parcheggio, ecc.) ed è una forma di rispetto per tutti, anche nei confronti di chi si muove solo in auto.
Inoltre pedalare rassoda i glutei, pedalare con costanza farà sparire quegli odiosi rotoli di ciccia e avrete gambe bellissime! Pedalare è molto meno faticoso e più veloce che camminare o attendere i mezzi pubblici, inoltre le persone che vanno in bici regolarmente sanno esattamente quanto tempo impiegheranno per arrivare da A a B. Chi va in bici non risente dei rallentamenti del traffico o delle perdite di tempo per la ricerca del parcheggio. Pedalare vi aprirà un mondo pieno di nuove esperienze. Ma attenzione: può dare dipendenza!
Certo vi sono anche molti buoni motivi per uscire in auto: quando piove o fa freddo si azzera qualsiasi difficoltà, soprattutto con i bambini, e ovviamente non si fa alcuna fatica. Il timore di arrivare sudati, di spettinarsi ed essere impresentabili al lavoro, di non essere comodi a pedalare in giacca e cravatta o con un bel tacco non sono assolutamente insormontabili. Qualche soluzione intelligente si può trovare. Potete mettere una maglietta di ricambio in borsa (dove avrete anche la borraccia), o al limite tenere in ufficio dei vestiti per il giorno in cui andrete al lavoro in bicicletta. Poiché si conosce di preciso il tempo necessario per arrivare al lavoro, è sufficiente partire un po' prima e pedalare lentamente per non sudare e arrivare asciutti a destinazione. Se il luogo di lavoro è lontano, si può optare per fare solo l'andata in bici e il ritorno coi mezzi e invertire a giorni alterni. Un'altra idea può essere quella di spargere la voce tra colleghi che provengono dalla stessa zona, per condividere l'auto, magari nei giorni di pioggia.
Dal triciclo al piedibus
Indurre i bambini a fare i compiti, fare in modo che si vestano, facciano la doccia e la colazione in tempi non geologici a volte è un'impresa eroica, ma se diamo loro una bicicletta o, da piccolini, un triciclo, saremo sicuri che ci seguiranno ovunque. Una soluzione ottimale per favorire l'equilibrio e permettere ai bambini di essere presto autonomi sulle due ruote è iniziare con la bicicletta senza pedali, anche prima dei due anni. Vengono dal nord Europa dove sono chiamate pre-bike (prebici), run-bike o balance-bike (bici da equilibrio), ma ormai anche in Italia sono diffusissime. Senza pedali e senza rotelle, sono una validissima alternativa al triciclo o alla classica bici da bimbo con le rotelline, che ha lo svantaggio di non dare alcuna sensazione sull'equilibrio. All'inizio i bambini si siedono in sella e non fanno altro se non camminare, spingendosi con le gambe. Appena si sentono più sicuri aumentano la velocità e in modo molto naturale imparano a stare in equilibrio, sollevando le gambe quando prendono velocità. Rispetto al triciclo o alla bicicletta con le rotelle c'è una maggior sicurezza, dovuta al fatto che in caso di pericolo o incontrando qualche ostacolo il bambino ha una maggiore capacità di gestire il mezzo e può facilmente mettere giù le gambe. I bambini amano il movimento, anche i più reticenti, e andare in bicicletta è divertente, dà soddisfazione e piacere. Forse la stessa cosa non vale per la camminata: capita spesso di sentire genitori che devono trascinare i figli a fare eggiate, più o meno impegnative, in città o anche in montagna. La soluzione è indubbiamente la compagnia: una gita, un'escursione con altre famiglie ha tutto un altro sapore se camminando con altri bambini si inventano storie, raccontando di gnomi e folletti che si nascondono dietro gli alberi o che ci aspettano alla meta con qualche sorpresa. Interessare i bambini attraverso dei racconti e creare un clima divertente e fantasioso, sfruttando la loro curiosità, è il modo migliore per crescere piccoli camminatori entusiasti della montagna, della collina, della strada. Non sarà sempre così facile ma posso garantire, per averlo provato, che in compagnia funziona alla perfezione. Così come funzionano i sassi brillanti, i bastoncini e il desiderio di arrivare alla meta. Se volete che i vostri bambini si
alzino con più brio e voglia di prepararsi al mattino per andare a scuola, potete organizzarvi per creare un Piedibus.
Il Piedibus è un autobus che va a piedi, è formato da una carovana di bambini che vanno a scuola in gruppo, accompagnati da due adulti, un “autista” davanti e un “controllore” che chiude la fila. Il Piedibus, come un vero autobus di linea, parte da un capolinea e seguendo un percorso stabilito raccoglie eggeri alle “fermate” predisposte lungo il cammino, rispettando l'orario prefissato. Il Piedibus viaggia col sole e con la pioggia e ciascuno indossa un gilet rifrangente. Lungo il percorso i bambini chiacchierano con i loro amici, imparano cose utili sulla sicurezza stradale e si guadagnano un po' di indipendenza. Ogni Piedibus è diverso! Ciascuno si adatta alle esigenze dei bambini e dei genitori. Il Piedibus è una realtà in molti Paesi del mondo e inizia a diffondersi anche in Italia. È il modo più sicuro, ecologico e divertente per andare e tornare da scuola. Il Piedibus può nascere in ogni scuola dove ci siano genitori disponibili.
Se il traffico e l'inquinamento raggiungono livelli insostenibili, la soluzione più seria e rivoluzionaria per risolvere il problema non è quella di avviare grandi progetti di riorganizzazione della viabilità e costosi lavori per costruire nuove strade e nuovi parcheggi, ma di creare le condizioni perché le persone lascino a casa l'auto volentieri, con la consapevolezza che è una scelta migliore, più funzionale al benessere della propria famiglia e della propria città. Una di queste alternative è far andare i figli a scuola a piedi, come facevamo noi in un ato non troppo lontano. Organizzare e gestire un piedibus non significa solo dare un po' di autonomia ai nostri figli, ridurre il traffico e l'inquinamento: è una soluzione che favorisce le relazioni tra le famiglie, che trovano un'occasione concreta per collaborare, fare rete, con l'obiettivo comune di migliorare la qualità della vita attraverso una
quotidianità più semplice e sostenibile. Al tempo stesso i bambini hanno la grande opportunità di legare tra loro, anche se appartengono a classi diverse e, inoltre, potranno conoscere un po' meglio i genitori accompagnatori oppure, in qualche situazione, anche nonni o zii che si offrono a fare da “autisti”. Un nuovo modo di riscoprire la genitorialità diffusa, per creare relazioni tra persone di diverse generazioni, per fare strada insieme con un obiettivo comune. Il diritto che ogni bambino ha di arrivare fin davanti alla sua scuola a piedi o in bicicletta è lo stesso che ha qualunque insegnante o alunno di arrivarci in automobile o in autobus: le strade, la città sono di tutti. Sul sito ci sono moltissimi documenti¹ di grande utilità che aiutano i genitori interessati ad attivare un piedibus e in particolare una guida che affronta tutti i i da fare, dall'indagine preliminare per verificarne la fattibilità, allo studio e verifica dell'itinerario, al piano degli accompagnatori fino alla lettera di adesione e alla verifica finale. È disponibile anche un vademecum per gli accompagnatori e alcuni documenti rivolti espressamente alle attività da svolgere con i bambini sul tema della sostenibilità. La chiave di tutto è nella disponibilità da parte dei genitori di organizzare e gestire il piedibus, in collaborazione con la scuola. È importante anche che le amministrazioni comunali ne comprendano il valore e che investano sul piedibus, pensando anche che i costi di un'attività di questo tipo sono minimi, a differenza di quando si investe sulla costruzione di rotatorie, parcheggi e altro.
Trasportare i bambini in bicicletta: seggiolino, rimorchio, cammellino
Muoversi in bicicletta con un bambino piccolo è molto piacevole, ma va sempre installato il seggiolino, come previsto dal codice della strada¹¹, e andrebbe indossato il casco, da adulti e bambini, anche se non è obbligatorio per legge. Dal 2005 è in vigore la normativa europea EN 14344, che offre indicazioni sul trasporto dei bambini in bicicletta. Il bambino fino agli 8 anni di età può essere trasportato su un velocipede da un ciclista maggiorenne. I seggiolini devono riportare specifiche sigle, in base al peso del bambino e alla posizione sulla bicicletta in cui si possono montare: A 15: seggiolini posteriori per bambini che pesano da 9 a 15 kg A 22: seggiolini posteriori per bambini che pesano da 9 a 22 kg C 15: seggiolini anteriori per bambini che pesano da 9 a 15 kg (oltre questo peso occorre posizionarli dietro) L'età indicata per iniziare è 9 mesi ed è fondamentale che il bambino sia in grado di stare seduto da solo. I seggiolini non devono rendere possibile il contatto tra i piedi del bimbo e le ruote della bicicletta, attraverso i poggiapiedi. Devono avere inoltre cinghie di sicurezza regolabili e facili da allacciare, meglio se con una doppia apertura contemporanea che renda impossibile, per il bambino, sganciarsi da solo. Se fissato davanti al ciclista, il seggiolino deve essere applicato al telaio della bici e non al manubrio. Sul retro invece può essere fissato sia sul telaio che sul portapacchi. Tuttavia lo svantaggio del posizionamento sul portapacchi è che il seggiolino non è minimamente ammortizzato e il bambino subisce maggiori contraccolpi. Il codice della strada vieta il trasporto di due bambini su un'unica bicicletta, installando ad esempio un seggiolino davanti e uno dietro e in effetti è molto pericoloso.
Una delle soluzioni possibili è quella di utilizzare un carrello, cioè un rimorchio porta bimbo. I carrellini, molto diffusi nel nord Europa dove la mobilità in bicicletta è all'avanguardia, stanno trovando una buona diffusione anche in Italia anche se è indubbio che la mancanza di strade o piste ciclabili ne renda difficile l'utilizzo o lo limiti a coloro che vivono in alcune lungimiranti città. Il codice comunque ne prevede l'uso per trasportare uno o due bambini¹² che devono comunque viaggiare legati con le cinture di sicurezza. Alcuni modelli di carrello si sganciano facilmente e si trasformano in comodi eggini singoli o doppi, altri sono dotati anche di un ampio vano porta oggetti, altri permettono di trasportare anche neonati non ancora in grado di stare seduti che vengono posizionati come in auto, in un seggiolino apposito con le cinture di sicurezza. Personalmente ho provato ad utilizzare il carrello e lo considero una soluzione ideale per percorrere strade ciclabili o ampie piste, mentre su strade strette e molto trafficate non mi sento molto sicura, anche perché i bambini sono in una posizione più bassa e quindi meno visibili dalle auto, per quanto il carrello sia ben segnalato con un'asta dotata di bandierina e stringhe rifrangenti. Ci sono modelli che superano questo problema: si tratta di biciclette con un rimorchio anteriore integrato, ma non sono di facile reperibilità e hanno costi più impegnativi. Queste difficoltà si potrebbero superare molto facilmente nella maniera più semplice e banale: il rispetto dei limiti di velocità da parte di tutti, anche di chi viaggia in auto, ha fretta e ha davanti a sé un rettilineo. Le amministrazioni e gli organi di pubblica sicurezza hanno il dovere di far rispettare queste norme: se nei centri urbani tutti i veicoli si muovessero realmente a una velocità inferiore ai 50 Km orari, non ci sarebbero problemi di visibilità e anche i genitori che trainano un carrello potrebbero circolare in sicurezza, visto che hanno diritto di farlo!
Uso del seggiolino
- Vantaggi: spostamenti semplici e veloci nel traffico;
compattezza; costo limitato.
- Svantaggi si può portare solo un bimbo; per lunghe percorrenze può risultare un po' scomodo per il bambino; più difficile mantenere l'equilibrio quando il bimbo si muove un po' (attenzione a non lasciare mai la bici incustodita, nemmeno per un istante!) in caso di caduta o incidente sia il ciclista che il eggero si possono fare male; portare un bimbo con il seggiolino rende molto difficoltoso e pericoloso caricare la bici con altri pesi (ad esempio la spesa) perché si riduce la stabilità.
Uso del carrello
- Vantaggi: si possono portare fino a due bambini; i bimbi sono molto più protetti in caso di freddo, pioggia, sole, insetti, grazie alla copertura e alla zanzariera: per questo può diventare un mezzo per muoversi in ogni stagione; maggiore comodità per il bimbo che può dormire comodamente e anche giocare o parlare con il fratellino; in caso di caduta della bici il carrello rimane stabile; In caso di incidente, se il carrello si ribalta, i rischi sono inferiori rispetto al seggiolino: i bimbi sul carrello viaggiano con casco e legati con la cintura, e
l'intelaiatura in metallo del carrello deve essere pure considerata una protezione; può essere utilizzato per trasportare molte cose: i carrelli hanno un vano porta oggetti, ad esempio per la spesa.
- Svantaggi è più costoso; è un po' più pesante da trasportare¹³.
L'ADAC¹⁴ ha confrontato entrambi i sistemi in relazione alla sicurezza, alla facilità d'impiego, al comportamento nel traffico e al confort e ha realizzato un crash test con risultati tutt'altro che scontati:
“In merito alla sicurezza il rimorchio è un po' in vantaggio, soprattutto per la sicurezza quotidiana, perché non si ribalta così facilmente. Una bicicletta con un bambino nel seggiolino non può essere lasciata per nessun motivo incustodita, poiché può cadere in qualsiasi momento e il bambino può ferirsi gravemente. Chi fa molte gite o viaggia per lunghi percorsi è probabilmente servito meglio con un rimorchio che offre un maggiore confort: il bambino può dormire, può portare dei giocattoli e quindi magari annoiarsi meno. Chi si muove di più in città, con strade strette e a doppio senso di marcia, con la presenza di altri ciclisti, è sicuramente servito meglio dal seggiolino, poiché più agile; l'utilizzo è migliore; il comportamento di guida è più semplice. In entrambi i casi si dovrebbe prima fare un po' di pratica, poiché è un tipo di guida differente, sia con un bambino nel seggiolino, sia con un rimorchio ingombrante dietro”¹⁵.
Il “cammellino” o trail-gator è un'ultima soluzione interessante per trasportare un bambino un po' più grande, a partire dai quattro anni circa, quando non è ancora autonomo sulle strade ma è in grado di stare in sella e pedalare. Si tratta di un tubo speciale che permette di attaccare la bici dell'adulto a quella del bambino, tenendo sollevata la sua ruota anteriore. Questo gli permette di pedalare o anche di riposarsi e al tempo stesso di essere guidato, in particolare lungo tratte più pericolose o semplicemente per fare percorsi lunghi sui quali si stancherebbe. È un accessorio usato soprattutto dagli apionati di cicloturismo ed è apprezzato da molte famiglie anche in città, ma meno versatile per un uso quotidiano.
Consumo collaborativo e mobilità: car sharing, car pooling, jungo
Mobilità sostenibile non significa solo muoversi senza motore, anche se io ritengo che sia l'obiettivo più ambizioso e importante a cui tendere, per gli spostamenti quotidiani, tutte le volte che è possibile. Esiste un florido mercato di auto elettriche e ibride che sicuramente hanno una valenza, ma io continuo a pensare che la differenza possiamo farla diminuendo l'uso di tutte le auto, condividendole e rallentando. Il consumo collaborativo per quanto riguarda i mezzi di trasporto è ancora lento a entrare nelle nostre abitudini. Riflettendo in particolare sul costo per l'acquisto e la manutenzione di un'auto risulta davvero conveniente cercare soluzioni che, pur comportando un po' di organizzazione, possono diventare proficue per più nuclei familiari o addirittura per un'intera comunità. Pensiamo ad esempio ai condomini, a chi vive nella stessa via e ha esigenze molto simili o così diverse che possano portare a poter condividere un mezzo, senza problemi di sovrapposizione. Ma chi lo fa? Chi riesce a lasciarsi alle spalle il senso di possesso dell'auto, così simbolica per la famiglia? Servono a tutte le famiglie due auto? Nelle piccole città, poco servite dai mezzi pubblici, quasi tutte le famiglie hanno due auto: una la usa il papà, che lavora fuori, l'altra la mamma per gli spostamenti quotidiani con i bambini. Forse non sarà una soluzione universale, che tutti possono adottare, ma se un componente della famiglia, quello che si muove più agilmente, si organizza in modo da muoversi a piedi o con mezzi pubblici, si risparmia moltissimo; così come se si condivide un'auto tra vicini di casa, con esigenze e orari diversi.
- Car sharing Il car sharing è il servizio che cerca di favorire il aggio dal “possesso” all'“uso” dell'auto, permettendo alle persone di non averne una di proprietà senza rinunciare a spostarsi. In genere è curato da aziende private che gestiscono una flotta di automobili dislocate in diversi parcheggi della città o anche altrove. Gli utenti si iscrivono al servizio e quando serve loro l'auto la prenotano con un
piccolo anticipo. La spesa comprende una quota annuale e quelle relative ai consumi, anche in base alla fascia oraria e al giorno di richiesta. In questo modo i costi fissi sono spalmati sugli utenti che utilizzano il servizio, le auto diminuiscono e chi utilizza il car sharing ha moltissimi benefici e vantaggi, come la possibilità di percorrere le strade riservate ai taxi e agli autobus, agevolazioni per i parcheggi (come la sosta gratuita in centro) o la possibilità di accedere alla zona a traffico limitato. Il car sharing è presente in molte città medio-grandi ma non trova ancora una diffusione capillare, in particolare nei piccoli centri.
- Il car pooling¹ Il car pooling è invece fondato sulla condivisione di un'auto privata tra più persone, che mettono a disposizione il proprio veicolo o contribuiscono a coprire le spese di chi offre l'auto. Dopo la registrazione al servizio online si può cercare un aggio o inserire il proprio viaggio. Già molto diffuso nei paesi del Nord Europa e degli Stati Uniti il car pooling è una pratica che in Italia si sta facendo conoscere anche grazie alle numerose piattaforme web che consentono a chi cerca e a chi offre un aggio di incontrarsi e definire al meglio i dettagli organizzativi del viaggio, che sia esso di natura occasionale o continuata, anche per lunghe percorrenze. Si tratta, in un certo senso, di un autostop organizzato, che si basa sulla reciproca fiducia e che ha messo in atto un sistema per evitare delusioni, inutili attese, promesse non mantenute. L'impegno preso è confermato da un biglietto elettronico, le informazioni di contatto sono autenticate dal sistema, l'autista e il eggero dopo il viaggio lasciano una valutazione reciproca che testimonia l'affidabilità di entrambi.
- Road sharing¹⁷ È un altro servizio di car pooling che invita gli utenti a una riflessione: “Quanti sono coloro che, vuoi per motivi di lavoro, di studio o altro, si spostano in continuazione soli in auto, spesso anche più di una volta nella settimana? Sicuramente moltissimi… RoadSharing.com è un modo facile per trovare compagni di viaggio, è un punto di incontro fra chi cerca e chi offre aggi auto per risparmiare, inquinare meno e fare nuove amicizie!”¹⁸
- Jungo¹ Per spostarsi in città invece si può adottare Jungo, ideato dall'italiano Enrico Gorini. Questo sistema, che sta a metà tra il car sharing e l'autostop, funziona in modo molto semplice: ci si iscrive all'associazione con 15 euro annui e si diventa jungonauta (e jungonatore), ricevendo una tessera d'identità che serve sia per dare aggi che per riceverne, come strumento di riconoscimento reciproco e condivisione delle stesse regole. Per cercare un aggio ci si posiziona in strada esibendo la tessera, come si fa con il dito all'insù per il classico autostop. Chi chiede il aggio paga venti centesimi fissi più dieci per ogni chilometro a chi lo offre. Attraverso un sistema gestito a monte Jungo filtra ed esclude dal sistema coloro che hano precedenti penali. Jungo, a differenza degli altri sistemi, punta sull'immediatezza e sulla velocità, perfetti soprattutto in città. Nella “dottrina Jungo”, il traffico stradale è semplicemente una rete di “nastri trasportatori”, costituiti dai sedili vuoti delle autovetture viaggianti. Dal punto di vista del nastro trasportatore, le automobili hanno un'efficienza del 24%: ogni auto trasporta in media 1,2 persone. Significa che si potrebbe far muovere lo stesso numero di persone con un quarto di spesa e un quarto di inquinamento. Con meno auto, il tempo medio di spostamento in città potrebbe diventare 3-4 volte inferiore all'attuale² . Si tratta del più grande spreco energetico della storia! Inutile, evitabile. Se raddoppiasse il tasso di riempimento delle autovetture, ogni anno gli italiani si arricchirebbero senza sforzo di circa 5 miliardi di euro (guadagno reale: il dato è sterilizzato dalle accise!): poco meno dell'intero bilancio della giustizia italiana. Senza contare l'incommensurabile beneficio ambientale, e senza contare l'enorme riduzione di spesa sanitaria (legata alla riduzione dei fattori di rischio polmonari e all'infortunistica). Da questo punto di vista, i posti auto vuoti sono una enorme risorsa, clamorosamente sottoutilizzata e facilmente accessibile. In molte città, è disponibile il servizio di bike sharing, ormai diffuso capillarmente, un servizio che prevede l'utilizzo delle biciclette condivise per i
viaggi di prossimità, anche laddove il mezzo pubblico non arriva o non può arrivare.
Mobilità e sicurezza: muoversi con i bambini senza farsi investire
Uno degli aspetti che frena di più i genitori a muoversi con i bambini a piedi e soprattutto in bicicletta è la paura. Paura delle auto che spesso non rispettano i limiti di velocità nemmeno nelle aree abitate, paura degli incroci pericolosi, delle carreggiate troppo strette, dei marciapiedi occupati dalle auto in sosta. È una paura legittima, visto lo stato in cui versano le strade e le città italiane, ed è profondamente ingiusta, frutto di una politica miope che non rispetta tutti i cittadini allo stesso modo. Non è giusto che i diritti dei pedoni e dei ciclisti siano calpestati a favore di quelli di chi guida l'auto o di chi la parcheggia selvaggiamente. In genere le biciclette sono considerate un problema da risolvere, più che parte della soluzione al traffico congestionato, e la costruzione di rotonde per lo scorrimento veloce è sempre prioritaria rispetto alla costruzione di piste o strade ciclabili. L'appello alle amministrazioni locali è quindi importante e fondamentale, attraverso opportune segnalazioni, richieste, proposte e soprattutto sostenendo concretamente chi porta avanti soluzioni sostenibili per le nostre città e dimostra di attuarle. Non è corretto pedalare sui marciapiedi, ma in alcune zone è realmente l'unica soluzione attuabile con dei bambini, pur con mille attenzioni. Ci si trova obbligati molto spesso a scendere per attraversare perché le rotonde in bicicletta con bambini sono pericolose. A piedi, salvo in alcune zone impraticabili, è consigliato camminare sempre sui marciapiedi e non avventurarsi su strade che non li hanno, specie se il nostro bimbo è sul eggino. Nei punti pericolosi è meglio tenere i bimbi in braccio o su un o come la fascia o il marsupio. Per non farsi investire in bicicletta invece vanno seguite alcune regole fondamentali, dettate dal Codice della Strada ma anche dal comune buon senso e vanno insegnate ai bambini, abituandoli giorno per giorno, offrendo spunti quotidiani sui rischi che si corrono, insegnando loro a prevenirli. Innanzitutto ci si deve dotare di caschetto, fanale anteriore e posteriore, camlo molto squillante, specchietto retrovisore e casacca rifrangente. Altri
segnali rifrangenti vanno posizionati sulla bicicletta, in particolare sul seggiolino posteriore o sul carrello; meglio se di sera aggiungiamo anche delle luci intermittenti, in aggiunta a quelle fisse. Sulle biciclette da bambini può essere utile un'asta con una bandierina da attaccare al portapacchi in modo che le auto la vedano meglio. Non preoccupiamoci di sembrare un albero di Natale! In generale con o senza bambini al seguito è opportuno scegliere percorsi alternativi e meno trafficati, anche se leggermente più lunghi, come strade secondarie oppure scorciatoie attraverso i parchi ove possibile. In Italia laddove c'è una pista ciclabile siamo obbligati a utilizzarla. È opportuno rendersi sempre ben visibili, soprattutto se capita di viaggiare con il buio, cercando il contatto con gli occhi di chi è in auto, e richiamando la sua attenzione. Le collisioni con le auto avvengono di solito in situazioni che si possono verificare frequentemente, purtroppo: l'auto che esce da un parcheggio o da una strada secondaria e non vede il ciclista, l'automobilista che apre la porta proprio mentre arriva la bicicletta, l'auto che svolta a destra o che, ferma al semaforo, non vede la bici. Dobbiamo cercare di essere visibili e prevedibili e quindi non salire e scendere di continuo dai marciapiedi, non andare contro mano, non andare a zig zag tra le auto, non giocare a rincorrersi o fare a gara sulle strade, nemmeno se poco trafficate. È sempre opportuno stare alla larga da autobus e furgoni perché possono non vederci. Se ci affiancano, anche nei pressi di un semaforo, dobbiamo rallentare e farci superare o, se siamo in sosta, fare in modo che ci vedano. Usiamo il camlo, spesso e volentieri, non solo per salutare gli amici. Non portiamo troppo peso: se andiamo a fare la spesa e non abbiamo un rimorchio limitiamoci all'essenziale, soprattutto se trasportiamo anche un bambino²¹. Nel febbraio 2012, grazie all'inziativa lanciata da Times Cyclesafe, Cities fit for cyclists²² con un manifesto di otto punti, è nato in Italia un movimento spontaneo che ha preso il nome di #salvaiciclisti²³, denominato con l'hashtag (#), che viene utilizzato su Twitter per divulgarne le attività e segnalarne le iniziative. Questo movimento si sta attivando in modo concreto ed efficace e chiede alla politica interventi mirati per aumentare la sicurezza dei ciclisti sulle strade italiane, sulle quali negli ultimi dieci anni ne sono morti 2.556. La campagna di #salvaiciclisti è stata sposata da molti giornali e appoggiata da numerosi blogger e gli otto punti si sono trasformati in un disegno di legge
sottoscritto da parlamentari di tutte le forze politiche. Credo che ogni genitore non possa che essere felice e speranzoso che nella propria città vengano attuati e rispettati i punti del manifesto²⁴. Dopo poche settimane dal lancio della campagna, i blogger italiani hanno lanciato l'iniziativa “Caro Sindaco”, una lettera con cui si chiede l'implementazione a livello locale di dieci punti per favorire la ciclabilità e la sicurezza dei ciclisti nelle città italiane. Un segnale forte che dimostra l'insofferenza generale da parte della cittadinanza e l'esigenza sentita e condivisa di cambiare lo stato dell'arte in Italia, ispirandosi alle città ciclabili del Nord Europa dove la mobilità dolce ha tutto un altro stile.
Garantire l'applicazione a livello locale degli 8 punti del Manifesto del Times per le aree di competenza comunale. Formulare le opportune strategie per incrementare almeno del 5% annuo gli spostamenti urbani in bicicletta nei giorni feriali. Contrastare il fenomeno del parcheggio selvaggio (sulle strisce pedonali, in doppia fila, in prossimità di curve ed incroci, sulle piste ciclabili). Far rispettare i limiti di velocità stabiliti per legge e istituire da subito delle “Zone 30” e “zone residenziali” nelle aree con alta concentrazione di pedoni e ciclisti. Realizzare, qualora mancante, un Piano Quadro sulla Ciclabilità o Bici Plan. Monitorare e ridisegnare i tratti più pericolosi della città per la viabilità ciclistica di comune accordo con le associazioni locali. Redigere annualmente un documento pubblico sullo stato dell'arte nel proprio comune di competenza della viabilità ciclabile indicando i risultati dell'anno appena trascorso e gli obiettivi futuri. Dotare ogni strada di nuova costruzione o sottoposta ad interventi di manutenzione straordinaria di un percorso ciclabile che garantisca il pieno confort del ciclista.
Promuovere una campagna di comunicazione per sensibilizzare tutti gli utenti della strada sulle tematiche della sicurezza. Dare il buon esempio recandosi al lavoro in bicicletta per infondere fiducia nei cittadini e per monitorare personalmente lo stato della ciclabilità nella propria città.
Un grande punto di riferimento per chi sceglie, o vorrebbe scegliere, la bicicletta è la Fiab, unica associazione nazionale dei ciclisti urbani e dei cicloescursionisti. La Fiab è una Onlus che raccoglie 15.000 soci di 130 associazioni e che sostiene e promuove l'utilizzo della bicicletta con numerose iniziative che mirano a sensibilizzare le istituzioni e coinvolgere le famiglie: opera per creare un ambiente a misura di persona, vivibile, attraente, sicuro, sostenibile e sano attraverso lo sviluppo diffuso della ciclabilità intesa come risorsa per il territorio e per le città. Se nella nostra famiglia entra una buona dose di senso civico e la volontà di pretendere anche attraverso azioni di progettazione partecipata una mobilità differente, forse i nostri bambini ne trarranno beneficio.
Testimonianza: scegliere il proprio percorso
Renzo è un cittadino impegnato, papà di quattro bambini, ciclista apionato ed esperto di mobilità sostenibile. Il suo impegno per una città più ciclabile si è concretizzato, oltre che con la testimonianza personale, anche attraverso la creazione del piedibus nella scuola dei suoi bambini e di un gruppo informale che nella sua città opera per sensibilizzare le persone e per contribuire alla realizzazione del Bici Plan cittadino, con osservazioni da parte di chi la bicicletta la usa davvero. Il suo è un percorso quotidiano fatto di esperienza e condivisione.
Non so dire da dove sia partita la mia ione per la mobilità sostenibile e in particolare per la bicicletta. Di certo scaturisce da un'educazione alla sobrietà, alla capacità di accontentarsi e gioire di ciò che si ha, senza desiderare molto altro. L'esigenza di muovermi in bicicletta la sento davvero come personale e intima e provo persino un certo senso di colpa a usare l'automobile perché vivo costantemente nel desiderio di fare il più possibile e sento lo stimolo a comportarmi di conseguenza. È indubbio che ognuno di noi vive esperienze differenti e il mio è un percorso tutto personale che cerco di condividere con la mia famiglia: i miei bambini mi seguono in questo percorso e mi danno soddisfazione, ma so già che con l'adolescenza arriverà il momento in cui dovrò affrontare le richieste del motorino e mi attrezzerò di conseguenza! Al momento in famiglia abbiamo un'auto ma mi piacerebbe dimostrare che si può stare anche senza, anche solo mettendo in comune i mezzi di trasporto, ad esempio tra amici o vicini di casa. Mi chiedo sempre se fare il o con qualche amico o vicino di casa: il contributo economico che io potrei offrire per l'uso limitato che faccio dell'auto basterebbe per pagare l'intera assicurazione! Il fatto è che viviamo in un delirio assurdo in cui le abitudini che abbiamo e la nostra percezione della realtà sono lontane dalla logica e dalle reali esigenze di vita, al punto che siamo attratti da stupidaggini e abbiamo difficoltà a condividere, per esempio, le nostre auto. L'automobile di famiglia “deve” essere
sempre a disposizione, rappresenta il nucleo familiare, non averla è sinonimo di mancanza di libertà e prestarla risulta inconcepibile. Secondo me queste sono costruzioni mentali che non tengono conto del motivo per cui abbiamo l'auto e che in fondo è molto banale. Nel mio piccolo ho cercato di fare qualcosa: ho istituito il piedibus nella scuola frequentata dai miei bambini coinvolgendo altri genitori, mi sono iscritto alla Fiab²⁵, ho coinvolto molte persone in un progetto che cerca di sensibilizzare la cittadinanza e l'amministrazione su questi temi. La bicicletta viene quasi sempre categorizzata come mezzo alternativo, mentre dovremmo pensarla come mezzo del futuro per la mobilità urbana, ragionando con l'unità di misura dei secoli, non dei decenni, cercando di guardare davvero al futuro. Le auto oggi condizionano tutto e ipotecano le nostre città, tutto è pensato per le auto: parcheggi, strade a scorrimento veloce, autostrade. Dovremmo invece pensare alle evidenze che emergono dai cambiamenti climatici, dall'esaurimento delle risorse, dalla crisi economica: noi genitori abbiamo il dovere di farlo! Non possiamo associare tutto al modello di sviluppo che ci sta portando alla rovina. Io uso sempre la bicicletta e già da tempo a causa della crisi mi sono reso conto che le auto, almeno nella mia città, sono un po' diminuite: la gente si sposta meno, cerca di risparmiare sui carburanti. Forse le necessità contingenti sono arrivate al momento giusto. Tutti al giorno d'oggi offrono ricette per una vita sana: alimentazione e attività fisica sono al centro di dibattiti e conferenze. Usando la bicicletta ho migliorato il mio grado di salute oggettiva (valori del sangue, peso corporeo), ma anche a livello soggettivo posso dire di raggiungere un grande benessere: per me è un piacere e credo che si possa sperimentare solo vivendolo. Ringrazio la vita perché ho la possibilità di farlo, spero di continuare a stare bene fisicamente per potermi muovere senza motori e cerco di costruirmi un futuro di longevità. Fare un uso quasi esclusivo della bicicletta mi porta a uno stile di consumo differente: frequento solo i negozi di prossimità o produttori che si trovano a distanze ragionevoli, vado a fare la spesa con i bambini e carico tutto sul mio carrello: ho la consapevolezza che in questo modo oltre a diminuire il traffico sostengo l'economia locale, i piccoli negozianti di quartiere con cui ormai ho un rapporto personale. Credo che questo sia un veicolo di cambiamento che ci mette
in relazione tra cittadini come succedeva una volta, e ci allontana dallo stile impersonale dei grandi centri commerciali, situati spesso fuori dai centri abitati e pensati solo per chi arriva in auto. No, io preferisco uno stile più lento, dove arrivo con la forza delle mie gambe. I miei bambini lo vivono anche negli spostamenti in cui loro stessi sono protagonisti, ad esempio andando a scuola con il piedibus. Anche le attività extrascolastiche i miei bimbi le svologono in zona (sport, musica), possono così essere più autonomi e tutto ciò è più semplice anche per noi genitori! In questo modo cambia il punto di vista sulle cose, ci si accontenta, ma al tempo stesso si riscoprono relazioni e opportunità che fanno crescere l'intera famiglia e o o la comunità a cui si appartiene. Viviamo in una grande contraddizione: tutti noi difendiamo a parole i diritti dei bambini, il diritto alla salute, al gioco, al benessere. I pediatri ci invitano a condurre una vita sana, a educarli al benessere e sostengono le loro teorie attraverso studi scientifici. Poi però castriamo questi propositi con mancanze assurde, ad esempio la cronica assenza di strade ciclabili o di marciapiedi e percorsi dedicati, impedendo ai bambini di esercitare alcuni di questi diritti. Di queste contraddizioni ti rendi conto di più quando sei in sella o a piedi. Dal mio umile punto di vista mi sono reso conto che chi progetta la mobilità urbana non è un ciclista; per questo ho costituito un gruppo informale, guidato dalla Fiab con competenza e disponibilità, che si è impegnato nella progettazione partecipata del Bici Plan della mia città: non abbiamo colore politico, non apparteniamo a nessuna associazione, vogliamo solo che muoversi in bicicletta con le proprie famiglie sia possibile per tutti. Credo che questo sia un modo di fare politica in modo autentico, con proposte che fanno incontrare la gente, che offrono l'opportunità di parlare un linguaggio comune in una babele sociale costruita negli anni. Tutti i giorni incontro una grande quantità di automobilisti che viaggiano da soli e che fanno tragitti brevi: sono il 75% degli automobilisti della mia città! Ed è incredibile pensare come, da un giorno all'altro, come per magia, potrebbero sparire il 75% delle auto in circolazione, se solo avessimo più consapevolezza, più voglia di cambiare. Io ne sono convinto: l'auto più ecologia è quella che lasciamo a casa! Questi temi su cui mi sono impegnato derivano anche dal fatto che in questo
campo sono diventato nel tempo una persona credibile, vivo questi temi con coerenza, gli altri genitori lo hanno constatato e in molti hanno condiviso questo impegno, ci siamo messi sulla stessa lunghezza d'onda, per vivere stili di vita più sostenibili e insegnarli ai nostri bambini. L'ingrediente segreto è l'entusiasmo ed è davvero contagioso, il cambiamento sociale è come un'epidemia!
¹ Decreto Interministeriale Mobilità Sostenibile nelle Aree Urbane del 27/03/1998.
² Il mobility manager è una figura professionale introdotta dal decreto di cui alla nota 1e ha l'incarico di ottimizzare gli spostamenti sistematici dei dipendenti. Gli enti pubblici con più di 300 dipendenti per unità locale e le imprese con complessivamente oltre 800 dipendenti, devono individuare un responsabile della mobilità del personale. Egli ha l'obiettivo di ridurre l'uso dell'auto privata adottando, tra l'altro, strumenti come il Piano spostamenti casa-lavoro con cui si favoriscono soluzioni di trasporto alternativo a ridotto impatto ambientale (fonte: Wikipedia).
³ Vedi video dell'ambasciata britannica in Messico: http://bit.ly/HwMWLI
⁴ Da un'indagine del Censis del 2007: “I lavoratori pendolari italiani impiegano in media 72 minuti per gli spostamenti giornalieri di andata e ritorno, ovvero 33 giornate lavorative annue (un mese e mezzo). Se si riducessero i tempi di percorrenza da 72 minuti a 40 minuti, risparmieremmo ogni anno ben 15 giornate andate perse nella congestione del traffico e nelle attese dei treni. La qualità del lavoro aumenterebbe e gli incrementi di produttività sarebbero vistosi”. http://bit.ly/JBb6Tc … cosa stiamo aspettando?
⁵ http://www.livingstreets.org.uk/
Beatrice Salvemini, E se andassimo al lavoro a piedi, “Terra Nuova”, giugno 2009.
⁷ Art. cit.
⁸ La guida si può scaricare gratuitamente qui: http://biketoworkday.blogspot.it/p/guida-al-bike-to-work.html
http://piedibus.it L'associazione Piedibus.it, nata a Padova nel 2003, offre informazioni, notizie e risorse a tutti coloro che sono interessati ad organizzare un Piedibus presso la scuola dei propri figli.
¹ http://piedibus.it/index.php?c=10
¹¹ Codice della strada e bicicletta: http://bit.ly/KO1Pcl
¹² Vedi http://bit.ly/Jsea1B: “Bisogna rifarsi all'art 225 del Regolamento del Codice della Strada che ha per titolo: “Caratteristiche costruttive delle attrezzature per il trasporto dei bambini sui velocipedi”. L'articolo è costituito da sette capi di cui i primi sei trattano dei seggiolini e il settimo dei rimorchi. Il testo del capo 7 è il seguente: “Sono consentiti i rimorchi per velocipedi purché la lunghezza del velocipede compreso il rimorchio non superi 3 m. La larghezza massima totale del rimorchio non deve essere superiore a 75 cm e l'altezza massima compreso il carico non deve essere superiore a 1 m. La massa trasportabile non deve essere superiore a 50 kg. Per la circolazione notturna il rimorchio è equipaggiato con i dispositivi di segnalazione visiva posteriore e
laterale previsti per i velocipedi all'art 224.”
¹³ La lista di svantaggi e vantaggi è del tutto empirica e basata sulla mia personale esperienza.
¹⁴ Allgemeiner Deutscher Automobil-Club, l'ACI tedesco.
¹⁵ http://bit.ly/JrGbvz
¹ www.carpooling.it
¹⁷ www.roadsharing.com
¹⁸ op. cit.
¹ www.jungo.it/
² da http://www.jungo.it/
²¹ Il comune di Milano, dopo la tragica morte di un ragazzino in bicicletta, ha redatto un'utile guida con tutti i possibili casi di collisioni con i veicoli e la spiegazione di come prevenirli, facendosi notare. Si tratta di un ebook scaricabile gratuitamente qui: http://bit.ly/MwjHtY
²² www.thetimes.co.uk/tto/public/cyclesafety
²³ www.salvaiciclisti.it
²⁴ www.salvaiciclisti.it/il-manifesto-salvaiciclisti
²⁵ Federazione Italiana Amici della Bicicletta, http://fiab-onlus.it/
Appendice 1
Costruire una casa ecologica: l’esperienza di Luca
Si possono fare scelte ecologiche anche in merito alla casa da abitare con la propria famiglia, cercando soluzioni che soddisfino il gradimento personale e che, al tempo stesso, siano realizzate con materiali non inquinanti, che limitino al massimo il consumo di energie non rinnovabili, offrendo standard di qualità di vita e di benessere elevati. Luca ha raccontato la sua esperienza nella scelta di una casa prefabbricata in legno, di cui oggi, assieme alla sua famiglia, è molto soddisfatto.
Avendo “ereditato” una casa costruita nell'immediato dopoguerra, che nessuno voleva perché cadeva a pezzi, le possibilità che si presentavano davanti a noi erano due: restaurarla pesantemente o buttare giù tutto e ricostruirla da zero. Ci siamo convinti che la seconda soluzione fosse la migliore e si è posto subito il dubbio successivo: costruendo in edilizia tradizionale quanto ci vorrà? Avevamo ben presente alcuni amici alle prese con l'infinita costruzione della casa e non volevamo fare la stessa fine. Così, per abbattere drasticamente i tempi, ci siamo avvicinati all'edilizia prefabbricata che al tempo (era il 2007) era davvero una cosa per pochi temerari. Nel vasto panorama delle case prefabbricate, quelle che più ci ispiravano erano quelle in legno.
Del legno ci piace tutto: è bello da vedere, da accarezzare e da annusare, ha un notevole potere isolante, richiede poca energia per la sua lavorazione (“Per la produzione di un metro cubo di componenti in legno pronti per il montaggio si necessitano dagli 8 ai 30 kWh. Per il cemento dai 150 ai 200 kWh”), è un materiale da costruzione intrinsecamente ecologico e sostenibile e porta con sé persino un'idea di un ritorno all'antico, alla natura. Nell'approfondire le nostre conoscenze, scoprivamo via via caratteristiche insospettabili, come per esempio la facilità di costruzione (una casa in legno di due piani arriva al tetto in tre giorni), la proprietà antisismica e addirittura la resistenza al fuoco. Siamo un po' difficili di gusti quando si tratta di fare spese, figuriamoci con l'acquisto di una casa! Volevamo sapere tutto di ogni aspetto tecnico, ogni possibile soluzione e alternativa prima di decidere definitivamente. Abbiamo così iniziato ad informarci su concetti un po' specifici come la trasmissione del calore, trasmittanza dei materiali e confort ideale. Una fonte inesauribile per cercare informazioni e opinioni è sicuramente internet: abbiamo navigato tra forum specializzati (forum.promiseland.it, www.migliorforum.com/biocasa/, forum.lavorincasa.it/), blog di clienti (www.viadellaluna2.it/cuoredilegno/) e siti di produttori. Siamo andati a vedere fiere del settore (su tutte, Klimahouse di Bolzano), abbiamo visitato alcune case prefabbricate di fortunati proprietari che non ne potevano più delle nostre domande e alla fine abbiamo fatto una prima selezione sui possibili fornitori candidati. Con il progetto definitivo e approvato, abbiamo scritto un capitolato di massima delle caratteristiche che la nostra futura casa avrebbe dovuto avere e lo abbiamo spedito – identico – a una decina di aziende costruttrici. Qui ha avuto inizio la fase commerciale di presentazione delle varie offerte: i più volenterosi le hanno presentate personalmente, altri rispondendo molto semplicemente alle nostre email. Alcune ditte ci hanno invitato ad assistere alla costruzione di una loro casa, altre direttamente a vedere la loro fabbrica ed è sicuramente il modo più concreto per capire chi si ha di fronte. A posteriori devo ammettere che nonostante ci fossimo imposti di valutare solo il prodotto, ha avuto molta influenza chi ci ha presentato l'offerta e soprattutto come. Pensare
al fatto che l'offerta che stai leggendo è un po' una presentazione di chi ti costruirà la casa, aiuta molto nella difficile fase di selezione dei produttori. Una casa è composta di molte parti importanti ma senza la struttura non sta in piedi: siamo partiti quindi da qui per iniziare la scrematura. Tutte le aziende mettono subito in evidenza la classe di riferimento CasaClima, dando ormai per scontata la Classe A. Ma non è facile districarsi tra le varie caratteristiche: ad esempio quasi tutte le pareti proposte prevedevano un sandwich di vari materiali, tra i quali veniva posta una “barriera vapore”, una sorta di protettivo per l'isolante che, se si bagna per la condensa del vapore acqueo, perde la sua caratteristica. Ma questa barriera impedisce anche la naturale traspirazione della parete. Vedendo le varie tipologie di strutture in legno (fondamentalmente a telaio e massicce) e i relativi sistemi isolanti, abbiamo optato per la parete in legno lamellare, che ci ha convinto subito per la solidità e la robustezza. Tra l'altro la scelta ha risolto il dilemma della barriera a vapore, dato che il costruttore sfrutta la proprietà di questa struttura per evitare la condensa. Altro aspetto molto delicato è la climatizzazione della casa, intendendo non solo il riscaldamento ma tutti i sistemi in grado di far raggiungere un confort più elevato possibile. Questo è un aspetto fondamentale che purtroppo non si può affrontare in modo autonomo rispetto al progetto, ma ne è parte integrante. In pratica, significa prima di tutto scegliere con cura l'esposizione della casa, l'orientamento e la disposizione delle finestre e la loro protezione dal sole (sottovalutare il fatto che da un metro quadro di finestra può entrare in casa 1 Kilowattora di radiazione solare può costringere poi a installare un condizionatore altrimenti inutile). Il punto centrale è ovviamente il sistema di riscaldamento: dall'utilizzo di una sola stufa a pellet fino ad impianti geotermici le possibilità sono limitate solo dalla fantasia. Avendo già avuto esperienza con un sistema di riscaldamento a pavimento, lo avevamo già inserito tra le nostre richieste. La fonte di calore può essere sia la classica caldaia a condensazione, sia un sistema a pompa di calore, che è un ottimo modo per rendersi completamente autonomi dall'utilizzo di combustibili fossili. Il fatto che questo tipo di abitazioni sia ben isolato, quindi senza spifferi, fa sì
che quasi tutti i costruttori propongano un impianto di ventilazione meccanica controllata, per il ricambio dell'aria degli ambienti interni senza aprire le finestre e quindi senza spreco d'energia. È una soluzione consigliabile per le nuove costruzioni, perché consiste in una serie di condotte che prelevano l'aria viziata dove si forma maggiormente (cucina e bagni) e la espellono subito dopo aver scambiato tutto il calore possibile con l'aria pulita prelevata all'esterno, che attraverso altri canali viene immessa sui locali restanti (camere e salotto). Essendoci tutte queste possibilità, abbiamo richiesto che l'offerta fosse specificata per differenti livelli di finitura, in modo da poter valutare e confrontare meglio le varie alternative. Tra le opzioni, ci siamo fatti quotare a parte anche un impianto solare termico per la produzione di acqua calda sanitaria, un impianto fotovoltaico e una cisterna interrata per il recupero dell'acqua piovana. Il costo è un discorso che meriterebbe molte pagine di precisazioni (il prezzo al mq dipende da talmente tanti fattori!). Considerando comunque finiture nella media, si possono trovare soluzioni chiavi in mano da 900 ai 2500 euro al mq calpestabile. Ci siamo resi conto solo alla fine, più o meno quando siamo entrati in casa, che nel percorso fatto per “costruire” il nostro nido è cresciuto – inconsapevolmente ma in modo chiaro – uno spirito ecologico, che puntava ad avere sì un'abitazione confortevole, ma anche sostenibile, rispettosa dell'ambiente e poco “esigente” in fatto di risorse. Ma mia moglie ed io non amiamo le scelte estreme e anche in questo caso non ci siamo lasciati prendere troppo la mano, anche per rispettare il budget: le possibili soluzioni proposte dai produttori sono veramente tante. Alla fine siamo proprio soddisfatti della nostra casa di legno!
Appendice 2
La gestione del denaro in famiglia
Il tema dei soldi avrebbe meritato un corposo capitolo, anche se molto di quanto avete letto finora riguarda l'uso (o il non-uso) che facciamo del denaro. Oggi cambiare rotta, avere uno sguardo critico e costruttivo è molto importante e ha un legame forte anche con l'ambiente. Per non sostenere economicamente (magari senza saperlo) chi sfrutta il pianeta e usurpa il territorio, dobbiamo sapere come viene usato il denaro che affidiamo alla nostra banca di fiducia e aiutare i nostri figli a fare un uso consapevole dei soldi, fin da bambini. Crisi, speculazione finanziaria, sacrifici delle famiglie sono tutti legati a doppio filo a questo tema e a quello dello sfruttamento o della valorizzazione delle risorse. “Lui e lei” ci aiutano a comprendere come può orientarsi una famiglia sulla gestione dei risparmi, della liquidità e sull'educazione dei figli ad un corretto uso del denaro.
Presentazione
Lui: sono un ottimista, un “tecnico” che ama il suo lavoro e ci investe gran parte delle sue energie, come succede spesso a chi lavora in proprio; non rinuncio ad interessarmi del mondo, all'impegno sociale e allo sguardo verso il futuro. Lei: sono una “figlia della parsimonia”, per educazione ed esperienze vissute; ho studiato economia e lavoro in un'azienda di grandi dimensioni dove mi occupo, fondamentalmente, di soldi. Tra famiglia e lavoro mi resta poco tempo,
che dedico al volontariato. Noi: siamo sposati e abbiamo due figli in età scolare, che vivacizzano le nostre giornate e impegnano le nostre risorse psico-fisiche, morali ed economiche. Insomma, siamo una famiglia come molte altre, verrebbe da dire normale. Probabilmente sono meno consuete alcune scelte che abbiamo fatto nella gestione del salvadanaio di famiglia; comunque niente di stratosferico o che non sia alla portata di molti. Abbiamo respirato fin da bambini cristianesimo e solidarietà e abbiamo vissuto l'esperienza educativa scout (per i non addetti ai lavori, ricordiamo che il primo articolo della legge scout riguarda il “meritare fiducia” e in tema con le riflessioni di oggi c'è anche l'essere “laboriosi ed economi”): con tutti i limiti e le fatiche che ciascuno sperimenta nella vita, cerchiamo di far corrispondere le nostre azioni ai nostri ideali, anche nella gestione del denaro.
La gestione dei risparmi
La richiesta di raccontare la nostra esperienza nella gestione del denaro e del risparmio in famiglia è stata per noi una buona occasione per interrogarci sulle scelte fatte e per rivedere insieme i percorsi, che a piccoli i ci hanno portato fin qui. Siamo stati educati – e abbiamo poi scelto e fatto nostro questo principio – ad uno stile di vita sobrio (ben prima che il loden di qualche politico diventasse di moda…) e ad essere previdenti (leggi “risparmio”) per poter far fronte a spese non programmate, all'istruzione dei figli o ai periodi di “carestia” (poco lavoro? pensione? malattie?). È stato, quindi, naturale accantonare dei risparmi (e, ovviamente, una fortuna poterlo fare). Ma cosa farne in attesa di utilizzarli per le esigenze della famiglia? Come farli diventare uno strumento di crescita vera e comune? Come le nostre scelte economiche influiscono sulla realtà che ci circonda? Lasciamo che siano altri a gestire l'uso delle nostre risorse o vogliamo esserne
consapevoli? Il nostro percorso, frutto di esperienze, incontri, riflessioni, ci ha fatto comprendere che anche la gestione economica della famiglia ha, nel suo piccolo, un impatto sociale, che può essere positivo o negativo; con le nostre decisioni possiamo contribuire realmente a costruire un mondo più vivibile oppure amplificare le disparità esistenti. In ogni caso, abbiamo la responsabilità delle nostre azioni (quotate e non) e di quanto altri faranno con il denaro che affidiamo loro. Non sempre abbiamo trovato un sostegno nelle realtà in cui viviamo; gli ambienti che frequentiamo ci hanno aiutato molto nelle riflessioni di principio e un po' meno nell'esempio concreto, essendo ancora oggi l'uso del denaro un tabù per molti. D'altro canto, la mancanza di iniziativa altrui non avrebbe giustificato una nostra inerzia. Noi abbiamo scelto di non rincorrere il rendimento fine a se stesso e di evitare operazioni speculative. Queste, infatti, generano un ritorno economico magari interessante nell'immediato, ma possono nascondere processi di impoverimento e sfruttamento, molto lontani dai nostri princìpi di solidarietà e di salvaguardia dell'ambiente. Per esempi concreti provate a giocare su www.nonconimieisoldi.org. La nostra esigenza di essere consapevoli, di sapere come vengono impiegati i nostri risparmi e quali effetti provocano, ha incontrato dapprima i più “prossimi”, familiari o amici che abbiamo temporaneamente sostenuto in alcuni momenti di necessità: una forma di microcredito di vicinanza. Poi il cerchio si è allargato ad esperienze che si trovano sul territorio, sostengono l'economia reale e hanno una valenza sociale significativa, nell'ambito del commercio equo e solidale (cooperativa Unicomondo, www.unicomondo.org), nel sostegno ad attività educative (Coop. Veneta Scout, www.cvsonline.org) nella telefonia (Livecom, operatore non profit dove lavorano anche persone diversamente abili o con disagi, www.livecom.coop). Oltre a esserne “clienti” – perché il senso di queste iniziative si perderebbe se nessuno le utilizzasse – abbiamo deciso di diventare soci delle cooperative, con l'acquisto di quote sociali, e di sostenerle anche tramite lo strumento del “prestito sociale”.
Il prestito sociale è, molto semplicemente, un finanziamento che i soci danno alla cooperativa e che viene remunerato a un tasso d'interesse deciso a inizio anno dalla cooperativa, più vantaggioso per lei rispetto ai tassi di finanziamento di mercato. Nel caso di Livecom, invece, non si tratta di prestito ma di anticipo sui consumi, a fronte di uno sconto sui servizi erogati (bolletta).
La gestione della liquidità
Anche per la gestione quotidiana della liquidità (i soldi che ci servono per le spese correnti e quelli che devono essere presto disponibili in caso di imprevisti), abbiamo cercato un soggetto che ci desse garanzie sull'impiego che ne avrebbe fatto. Dalle informazioni raccolte, ci eravamo fatti l'idea che molti istituti del circuito bancario convenzionale utilizzassero i fondi depositati per lo sviluppo dell'economia reale e non invece a fini speculativi; tuttavia non ne avevamo trovato nessuno che fornisse informazioni esaustive e trasparenti. Nel 1995 abbiamo incrociato il cammino di Banca Popolare Etica (www.bancaetica.com), o meglio di chi ne stava avviando la costituzione. Un gruppo eterogeneo di associazioni di volontariato e soggetti attivi nella cooperazione internazionale stava raccogliendo adesioni al progetto della prima banca etica in Italia, con l'obiettivo di dare credito – e quindi fiducia – agli operatori del Terzo Settore, compresi quelli non bancabili secondo i criteri in vigore nel sistema abituale. L'attenzione era rivolta in particolare alla cooperazione sociale, alla cooperazione internazionale, all'ambiente, all'associazionismo. Uno dei criteri guida da seguire era proprio la trasparenza. Ci è sembrata subito una bella occasione per dare concretezza alle nostre idee e abbiamo deciso di partecipare attivamente al progetto. Ricordiamo con affetto la prima assemblea dei soci alla quale siamo andati con tutta la famiglia (siamo tutti soci): molto partecipata, molto colorata (rarissimi i completi grigiobancario), con bambini che giravano dalla sala al kinderheim, la discussione
accesa e la sensazione che non fosse tutto già deciso ma ci fosse un reale spazio di democrazia. L'istituto ha aperto il primo sportello nel 1999 e conta ora sedici filiali e circa 40 banchieri ambulanti (promotori finanziari) su tutto il territorio nazionale, oltre 37.000 soci; 40.000 depositanti e 7.000 affidati. La peculiarità di Banca Etica è quella di avere come riferimento sul territorio i soci che a titolo di volontariato, tramite i GIT (Gruppi di Iniziativa Territoriale), sono parte attiva nella vita della banca e sono promotori della finanza etica. I soggetti finanziati (le persone giuridiche) sono sottoposti alla valutazione economica – Banca Etica è una banca a tutti gli effetti e non un ente benefico – e anche ad una valutazione socio-ambientale “etica”. Quest'ultima è svolta da rappresentanti dei soci locali (tramite un Valutatore sociale opportunamente formato), che hanno potere di bloccare la pratica di affidamento nel caso il soggetto da finanziare non rispetti i parametri “etici” che la banca ha stabilito. Non esiste altra banca in cui i soci locali possono intervenire nel processo di erogazione del credito, dare il loro assenso “etico” o segnalare alla banca situazioni di criticità o addirittura di non opportunità di finanziamento. Sul sito web della banca sono indicati, per ogni provincia, i soggetti beneficiari di finanziamento, l'importo, lo scopo e la durata dei finanziamenti. Queste sono la partecipazione attiva e la trasparenza che cercavamo e perciò Banca Etica è diventata la nostra banca¹.
Figli e soldi: porcellino, “banca mamma” e barattolo
Ai nostri figli abbiamo insegnato ad utilizzare quello che c'è: ad esempio, che possono riciclare i vestiti e i giochi dei cugini o amici più grandi e che, a loro volta, possono regalare abiti e gran parte dei giochi “da piccoli” ai cuginetti. Abbiamo spiegato anche che noi facciamo volentieri regali per il compleanno e le feste comandate o se c'è qualcosa di speciale da festeggiare, ma di regola non è possibile vedere un gioco e comprarlo subito, nemmeno se costa pochissimo,
così come noi genitori non compriamo tutto quello che ci piace. Da dire che, essendo pochissimo esposti alla pubblicità, non ci hanno mai stressato troppo con richieste varie; comunque, per far fronte a improvvisi raptus da acquisti, i ragazzi possono utilizzare la “paghetta”, che abbiamo concordato in 2 euro settimanali (non rivalutabili secondo l'indice Istat), nonché le mance ricevute occasionalmente dai nonni. I soldi che i ragazzi vogliono tenere a disposizione sono conservati nel classico porcellino-salvadanaio, mentre i risparmi accantonati in vista di acquisti impegnativi sono depositati presso “banca mamma”, un libricino dove la mamma annota i versamenti e i prelievi di ogni figlio. Sugli acquisti impegnativi la mamma ha diritto di veto (la risposta classica al “ma sono soldi miei!” è: “e tu sei figlio mio! Se tu volessi comprare con i tuoi soldi una bottiglia di liquore, cosa pensi che dovrei fare?”). Abbiamo notato che sono diventati capaci di resistere quasi sempre alle sirene dei distributori automatici di cianfrusaglie e, abbastanza spesso, a quelle delle bustine di carte di vario genere, specialmente quando l'obiettivo è l'acquisto di un gioco costoso (mesi e mesi di rinunce più tutta la mancia per le pagelle per una scatola grande di Lego, ma che soddisfazione poi!). Inoltre, con questo sistema riescono a vagliare i loro desideri, identificando le cose alle quali tengono veramente. Infine, c'è in cucina un barattolo con l'etichetta “Caritas” dove raccogliamo quello che ciascun membro della famiglia vuole mettere a disposizione di chi si trova in difficoltà, perché siamo convinti che l'attenzione agli altri e la condivisione si imparano da piccoli e cominciando in casa².
¹ Per saperne di più: Marco Gallicani, Il risparmiatore etico e solidale, Altraeconomia, 2012, oppure www.finansol.it
² Per saperne di più si veda Maurizio Spedaletti, Chiara e l'uso responsabile del denaro, Sinnos editrice, Roma, 2004.
Conclusioni
Se, arrivato fin qui, un solo genitore sceglierà di raccogliere pigne e sassolini anziché comprare un “regalino plasticoso” al proprio bambino; di spostarsi un po’ più spesso in bicicletta, di dare un’occhiata ai negozi di quartiere o visitare un produttore della sua zona invece che prendere l’auto per il solito centro commerciale, lo scopo di questo libro sarà ampiamente raggiunto. Se poi qualche famiglia cercherà anche di bilanciare diversamente i consumi alimentari, a favore di ingredienti locali e di stagione, magari biologici o autoprodotti, aumentando il consumo di ortaggi e limitando quello di prodotti animali; se qualche altra farà piccole riflessioni prima di acquistare (o buttare) vestiario, attrezzatura per i propri bambini o elettrodomestici, non potrò che esserne felice. Lo scopo di questo libro è essere di stimolo per un percorso più consapevole: è un modo per iniziare. Ognuno poi potrà accogliere una o dieci delle proposte, e chissà quante “buone pratiche” non sono state menzionate, quante altre non riusciamo a praticare, quante piccole incoerenze viviamo. Non ha importanza. L’obiettivo non è diventare integralisti dell’ecologia, ma intraprendere un cammino consapevole, meglio se ben accompagnati. Infine, la ricerca della sobrietà, di una vita all’insegna di un’ecologia vera, fatta di poche cose semplici e arricchita da incontri e relazioni, può diventare reale solo se non è vissuta come un limite. La crisi economica, il crescente senso di precarietà che respiriamo ogni giorno, possono costituire un pretesto per riavvicinarsi alle abitudini di una volta, per riscoprire l’autoproduzione, il baratto, per usare meno l’auto e ridurre i consumi energetici. Tuttavia se non si traducono in abitudini irrinunciabili, saranno scelte vane, senza futuro e senza radici. Una cosa è certa: accompagnare i figli lungo un percorso ben determinato e testimoniare un certo stile è qualcosa di difficilmente reversibile, perché le consuetudini familiari diventano un patrimonio stabile, un tassello prezioso che contribuisce a costruire ricordi d’infanzia dei nostri bambini e che ci stimolerà a essere coerenti davanti a loro.
Bibliografia
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Amanda Blake Soule, Handmade Home: Simple Ways to Repurpose Old Materials into New Family Treasures, Trumpeter Books, 2009. Amanda Blake Soule, The Rhythm of Family: Discovering a Sense of Wonder through the Seasons, Trumpeter Books, 2011. Emanuela Bussolati, Giocando Creo…riutilizzando scatole e scatoloni, illustrato da Chiara Bordoni, La Coccinella, 2009. Beatrice Salvemini, E se andassimo al lavoro a piedi, “Terra Nuova”, giugno 2009. Maurizio Spedaletti, Chiara e l'uso responsabile del denaro, Sinnos editrice, 2004. Giuliana Lomazzi, ABC dell'alimentazione naturale, Editrice Aam Terranuova, 2007. Marina Grassani, Le ricette del Metodo Kousmine, Tecniche Nuove, 2004. Michela Trevisan, Elena Moro, Mangia sano e spendi poco, Terra Nuova Edizioni, 2011. Christina Strutt, Guida pratica alla casa ecologica, Come riciclare e riutilizzare, pulire in modo naturale e coltivare in maniera biologica in vaso, giardino, orto, Il filo verde di Arianna, 2011.
Link utili
Blog
www.vivere-semplice.org/ www.ilpastonudo.it http://cucinadellanima.it/ www.piacerediconoscerti.it http://equoecoevegan.blogspot.it www.barbaracalabi.it http://soulemama.com www.mammafelice.it www.mammafattacosi.com www.babygreen.it http://esterdaphne.blogspot.it/ www.lacasanellaprateria.com/ www.equazioni.org/ www.alessandrafarabegoli.it/ www.vitaimpatto1.org/
Siti
www.nutrizionistiperlambiente.org/ www.ecocucina.org/ http://biodetersivi.altervista.org www.biodizionario.it/ www.scienzavegetariana.it www.zappataromana.net/ www.pastamadre.net www.pannolinilavabili.info www.nonsolociripa.it/ www.diaperfreebaby.org/ freetheanimal.com www.menorifiuti.org http://scecservice.org www.lapappadolce.net www.livingstreets.org.uk/ http://biketoworkday.blogspot.it/ http://piedibus.it www.salvaiciclisti.it/ http://fiab-onlus.it/
www.nonconimieisoldi.org http://genitoricrescono.com/
Riviste Terra Nuova - www.aamterranuova.it/ Altreconomia - www.altreconomia.it/site/ Valore Alimentare - www.valorealimentare.it/