Luca Cenisi
LA SOLENNITÀ DELLE ORE
Nota critica di Rodolfo Tommasi
Prefazione di Fabrizio Corselli
Silloge Poetica
LA SOLENNITÀ DELLE ORE
Autore: Luca Cenisi
Copyright © 2012 CIESSE Edizioni Via Conselvana 151/E 35020 Maserà di Padova (PD)
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ISBN versione eBook 978-88-6660-061-9
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Collana: Blue Direttore di Collana: dottssa sca Panzacchi
Dunque – facciamo il lavoro della vita – anche se la ricompensa della vita – è finita – con scrupolosa esattezza – per conservare i sensi – intatti –
(Emily Dickinson, J443)
NOTA CRITICA
Ecco un esempio chiaro circa la facoltà che quell'accezione del linguaggio poetico colata nella necessità espressiva dell’ermetismo ha di sopravvivere e di rinnovarsi con inedite soluzioni su spesso incantate fiamme semantiche: infatti, è impossibile non riconoscere a Luca Cenisi un’autentica e alta tensione poetica, la quale, conseguenza diretta di un Novecento storico, sa oggi proporsi come persuasiva novità.
Rodolfo Tommasi
PREFAZIONE
“Solo et pensoso”, tanto per citare Petrarca, immagino Cenisi mentre si erge ai limiti di un precipizio nel contemplare tutto ciò che lo circonda, ma mai dimentico di quel vuoto abissale che ci divide dalla verità delle cose, e che s’impone al lettore come un duraturo ed eterno luogo meditativo, un choros apemon (“luogo sicuro”), come lo è del resto il luogo ninfale ove si manifesta al mortale, l’uomo, il proprio eidolon, il simulacro, l’immagine di una idea mentale. Come sosteneva Aristotele il simbolo è la materializzazione del Logos.
Quell’idea diviene spazio poetico, luogo di estromissione dal contesto reale, dove l’anima è libera di vagare, dove lo spirito può ricongiungersi alla propria metà archetipica. Il lettore perde i contatti con ciò che lo circonda, “rapito dalle ninfe”, nel delirio della follia “creativa” del proprio demiurgo. L’autore conosce se stesso attraverso la funzione oracolare della parola, e così chi legge. La parola si ripiega su se stessa, va alla ricerca della propria origine.
Vi è una forte introiezione, altresì introspezione nella poetica di Cenisi; in lui, le pause valgono più degli stessi fonemi e lemmi. Le soglie del tempo vengono così smorzate, quasi abbattute, giungendo non più a una scansione effettiva ma a quella di un tempo lirico: il verso si trasforma in un metronomo dell’anima. Con tale strumento, il poeta friulano misura quindi la valenza di ogni elemento e del suo rapporto con l’essere, soppesa l’animo all’interno di questa temporalità manipolata con una bilancia che non ha più piatti ma solo concetti e accenti.
In conclusione, in questa raccolta, un intero microcosmo nel quale andare alla ricerca del “risveglio” della propria coscienza, del proprio io in un mutuo rapporto con la vita quale percorso da affrontare per giungere al ben ultimo.
Fabrizio Corselli
INTRODUZIONE
“C'è una sola via. Penetrate in voi stesso. Ricercate la ragione che vi chiama a scrivere; esaminate s'essa estenda le sue radici nel più profondo luogo del vostro cuore, confessatevi se sareste costretto a morire, quando vi si negasse di scrivere. Questo anzitutto: domandatevi nell'ora più silenziosa della vostra notte: devo io scrivere? Scavate dentro voi stesso per una profonda risposta. E se questa dovesse suonare consenso, se v'è concesso affrontare questa grave domanda con un forte e semplice "debbo", allora edificate la vostra vita secondo questa necessità. La vostra vita fin dentro la sua più indifferente e minima ora deve farsi segno e testimonio di quest'impulso”.
(R. M. Rilke, Lettere a un giovane poeta)
Con queste parole il più celebre poeta austriaco del XX secolo esprimeva l'esigenza viscerale dello scrivere inscritta nel perimetro spirituale non soltanto del suo interlocutore, ma di ciascun individuo. Quel bisogno, costante come il multiforme impeto delle emozioni umane, teso alla ricerca di una sintesi coerente e credibile tra identità e parola (ovverosia tra essere ed essenza) rappresenta, infatti, il cuore di questa silloge: cento componimenti accomunati unicamente dall'intento di superare la dimensione tangibile dello scriptum per riscoprire ciò che sta “al di là” del gesto segnico, ovvero l'etimologia emozionale di quella scintilla chiamata “poesia” che dona pienezza al cammino di vita di ogni uomo. “Saggia la pedina,/poiché da dama/ha appreso l'inganno” si legge tra le righe dell'opera e non potrebbe essere altrimenti, poiché il sentiero che conduce alla piena realizzazione del singolo è simile all'incedere delle pedine sulla scacchiera del tempo: una casella alla volta, rigorosamente in avanti, fino alla méta designata (cioè alla consapevolezza) armati solo della fede in se stessi e nell'Altro, consci che gli ostacoli disseminati lungo il sentiero non sono che miraggi, “suggestioni mentali” interposte tra noi e l'eterno dalle nostre insicurezze. Vivere pienamente significa allora farsi carico dei propri limiti e
liberare le proprie potenzialità, unificare le forze divise verso un obiettivo comune, verso la solennità di quelle ore che, come pendoli, scandiscono con esattezza il ritmo della nostra chiamata all’eterno, verso una compiutezza di immagini e sensazioni che sostanzia, al contempo, l’epilogo delle nostre illusioni e la genesi rivelatrice dell'amore. La presente raccolta non intende porsi quale “breviario” di vita, né tantomeno, quale esempio di ricerca; se è vero, infatti, che “con ogni uomo viene al mondo qualcosa di nuovo che non è mai esistito, qualcosa di primo ed unico”, è altrettanto vero che ciascuno deve trovare da sé la propria via, il metodo e la motivazione adeguati all'importanza dell'impresa che ci si accinge a compiere, diffidando dalle scorciatoie e da moralismi di circostanza decantati a gran voce nelle piazze, perseguendo, all’opposto, una crescita silenziosa e progressiva che avvicina sempre di più mente, cuore e spirito al volto veridico dell'arte poetica, che è verità e consapevolezza. L’auspicio contenuto nelle pagine che seguono è che chi legga quei versi possa trovare stimolo sufficiente a riscoprire quella forza, ad imboccare il sentiero della ricerca con convinzione e fiducia, confessando nell'intimo la propria condotta di auto-nascondimento, che è poi nascondimento da se stessi, prima ancora che dagli altri, poiché, come già scrisse Emily Dickinson nel 1864:
Possedere l'arte di nutrire l'anima nel profondo dell'anima con il silenzio come compagno
è spoglia circostanza che appartiene a un unico proprietario, un patrimonio illimitato, una miniera senza fondo.
(J855) Luca Cenisi
Era più carnale la carta,
quel gesto eroico del divenire
mentre la penna spargeva
i dispacci della mente –
l'invenzione degli allegati, oggi,
non ha lo stesso profumo –
il lepisma è migrato
verso polveri più familiari – l'io
non è in catalogo, come il successo.
Già mendicante
barattai il mio niente
per una più solida povertà –
irrilevante il sacrificio
giacché il guadagno,
superata la prova dei numeri,
era quell'equivoca promessa
che alcuni chiamano immortalità.
A Lucio Fontana
Un gesto solenne
tratto dal comune sentire –
la tela – divisa in trasparenza
dal mito della prospettiva
rivelava nel taglio
la natura dell'esperienza –
immediata logica
dell'arte e del divenire,
quasi non vi fosse – per l'uomo –
altra scelta che squarciare
i limiti dell'inespresso.
Anche le montagne son mute –
stese su apparati di nature inferme –
la luce che tenue ci sorregge,
l'ambra e gli oceani che ancora
attendono – al varco –
non hanno più lo stesso colore –
l'anima da sola ha decretato
il salto della nostra immanenza,
fermi a contemplare – su più alte vette –
quel moto perenne che non conosce pena.
Supponiamo che esista
un altrove al di là di questo spazio.
Supponiamo – che l'anima mia
non sia presagio del corpo –
Il Credo – è nel dramma dei Corinzi –
dolce inganno prima della salvezza,
una consacrazione totale –
lungo il sentiero che svela l'obliquo.
C'è crisi tra le Borse –
la recessione – umana quanto l'oro –
nel diagramma delle coscienze
è la vita – unico indice
che chiude in positivo.
Sei come neve
in cui poco a poco
affondo –
obliqua consuetudine
dello spirito
che, al peso del corpo,
contrappone il salario
della coscienza.
Sparse le croci
come sabbie del Nilo –
asterischi dimezzati – disse lei
"Ogni lettera è in Giovanni,
quarto e cinquanta".
Mite e singolare
la voce – sulla meridiana
insegue l'ombra –
il nord magnetico
è nel salto delle ore –
violento come il respiro
tra un'apnea e l'altra.
Vigile la coscienza
a scandagliare il fondale –
il rimpianto –
è la naturale conseguenza
del vivere – inevitabile
come il tramonto, o come Dio.
Similitudine o identità –
è questione di gradazioni,
come il rintocco delle campane –
che dagli stessi ottoni suonano
a matrimoni e funerali.
Umano è questo mio pensiero,
l'ideale di te che sovrappone
un infinito ad altri infiniti minori –
e questa pena – riscattata –
moltiplicata, come la mente,
alla radice dei sentimenti – alba soave
solo più sincera o vagabonda.
Attendevamo l'alba
dopo un insonne vagare –
l'estiva agonia delle coscienze,
simili alla sposa
vincolata alla promessa
di un nuovo giorno –
circostanza per cui
più nobili orecchie si spensero
senz'udire il fatidico "lo voglio"!
È questa mia vita –
ai margini – modesta –
piccina,
pure così vasta –
come un libro
dimenticato sullo scaffale
che in sé racchiude
rassicuranti universi.
Bipolarismo perfetto – l'uomo –
non conosce parafrasi nel vivere,
salvezza o dannazione – nel mezzo
i poeti si astengono da ogni dicastero.
La conobbi allora
pur nell'ignoranza,
nell'incredula innocenza
che preannunciava la fine –
ho atteso – per conoscenza –
la gloria trasparente –
il tuo nome in punta di piedi –
per trovarmi solo, infine,
doppiamente grato per il furto.
È nelle profondità
che si temprano le virtù
del galleggiante.
Sola incombenza dell'amore
è negare l'esistenza del fondale.
Dalle perdite subìte
desumiamo il guadagno –
l'indice – è nella sottrazione –
stupore degli azionisti
è scoprire che il meno
è un altro modo per intendere
la misura del possesso.
Più social tra strofe
e riflessioni – la Vita –
quasi fosse Facebook
ma senza alterazioni.
Nei suoi occhi si riflesse
la stessa luna che oggi mi nega
polari firmamenti,
un sorriso innaturale
stampato sull'indice della notte
la cui natura è incerta
come la fama che segue i poeti.
Come in guerra – la speranza
non deve scoprire il fianco –
al dubbio è concesso
il privilegio della prima mossa –
una pedina – innocua –
che da crisalide sovrasta
senza indulgenza torri e regine.
È tutto in rete
tranne il sentimento –
o forse anche l'anima
ha un corrispondente
in .pdf?
Socchiusi – gli stipiti –
accolgono il mattino –
pulviscoli di luce danzante
che sembrano chiamarmi
ad altri mondi sommersi.
Come per il naufrago
l'istinto ci spinge alla lotta –
alla sfida delle gravità
tra noi stessi e l'ossigeno –
a far prevalere la certezza
che la vita è più vasta
di oceani e di respiri.
Arrenditi alla corrente
o lotta – se puoi –
con la forza di chi solo
sa perdere ed amare,
ma non imporre alla vita
l'ignominia del compromesso.
Un terremoto scosse la mente –
i pensieri, ancorati al mio niente,
caddero come ellissi –
schemi sublimi del domino solare –
ogni cosa era divisa, sdoppiata
in algoritmi e crisantemi –
ogni cosa, tranne il tuo volto,
troppo saldo alla radice della Fede
per temere l'Apocalisse.
La crisi – è nelle coscienze –
lo spread tra noi e gli altri
è l'unica variabile che cresce –
per esponenti –
più degli indici o dei mercati.
Ci fu nella condanna
un velo di pietà –
la mano sospesa – sul pulpito –
a postillare l'incertezza
nello sguardo della giuria –
i testimoni – fuggevoli note –
hanno deposto anche per noi
contro la calunnia del tempo.
Nella morte non c'è finzione
come nel vivere – la menzogna
non è fine a se stessa –
L'attore che recita il dramma
è vittima e carnefice – negli occhi –
la prova della sua innocenza.
Ripetuto, irriverente
al capoverso mai concluso
diviso e mutilato,
l'accento dall'alto giudica
il diametro – doppio del raggio
perlopiù equidistante –
siamo noi – il punto irregolare –
a seconda del ritmo sbaviamo
sul margine del foglio.
La goccia nel mare svanisce
quasi non fosse mai stata –
un infinitesimo sommato all'eterno
non può che esser l'eterno,
stando ai numeri –
pure, di gocce e di lacrime son fatti
oceani ed amori.
La porta è stretta
ed ampia la via –
la natura dello sguardo
ci illude della misura,
finché il piede incappa
sulla soglia –
di per sé il Purgatorio –
preannunciato dal bivio.
C'era un aroma di pienezza
allora – una totalità estiva
che riempiva lo sguardo
e le le vocali dell'infanzia.
C'è altrettanta pienezza
oggi – lontano da Granada –
una contiguità polare
all'orizzonte dell'essere,
una vastità in rima –
una méta senza latitudini
e l'istinto, come bussola.
Divisi io e te
da oscillazioni
e non da leghe –
nel mezzo Berlino –
per noi Novembre
fu solo un addio
tra le cronache
della storia.
Un'immobilità apparente
han le cose solenni –
le Alpi ed i Cieli,
come i poeti –
mutano ogni giorno –
impercettibili derive
scandite qua e là dall'eterno.
Grammatica ariosa
è la vecchia Italia –
l'ospite fedele – lo slang –
radicato tra un brunch
e un lifting –
fuori dalle tombe non è più
la stessa voce – sui banchi
si apprende il ritmo delle ossa.
Dal peccato
non possiamo liberarci –
dolce prigionia – la vita –
che senza il nostro dubitare
sarebbe l'Oriente!
Vi è una premonizione – in marzo –
un segno indistinti di gioia
che accompagna la natura –
l'orecchio attento lo distingue
tra infinite variazioni e geometrie,
come il pianista – d'istinto –
che ogni singolo accordo riconduce
al parto solenne dell'artista.
Inestimabile – la perla –
risultato di ere
che hanno arricchito
il calcare
di una nuova lega
chiamata rarità.
Una messa è terminata
in fondo alla strada –
le campane annunciate
da sacri silenzi rintoccano
anche per noi –
per noi, che immersi
in simulati rituali inneggiamo
allo stesso Creatore –
non salmi, ma respiri –
vele ammainate, che pure
ci spingono più in là dell'orizzonte.
È l'edera
l'esistenza più vera
che io conosca –
corpo senza spazio
animato dall'ansia
delle stagioni.
Sublime agonia del tao,
dimentica che tra i due emisferi
s'agita l'uomo con equatoriale stupore!
Accolsi la gioia
con beneficio d'inventario,
perché l'estasi non fosse
maggiore dei miei debiti
e l'anima – impaurita – supplicasse
per più umili eredità.
Ho chiuso il mio teorema,
il giro dei "se" e dei "ma"
straziati dall'amore –
i numeri si sono fermati
al quinto decimale, allo zenit –
costante del mio movimento
che ogni meta riconduce
al logaritmo delle sue parole.
L'età ci impone
la prova della maturità –
unica regola, il libero arbitrio –
il movimento – obliquità
a doppio senso.
Più saggia la pedina,
poiché da dama
ha appreso l'inganno.
Assolti, benché colpevoli –
dei nostri peccati non resta
che il retrogusto del ricordo,
come lo sherry, avanzato
sul fondo del bicchiere,
che nel suo smalto opaco conserva
la formula dell'ebbrezza.
Psicofarmaci –
disse lo psichiatra
"è questione di testa"
ma la ragione – zittita –
volse al suo Oriente
aspro placebo – il ricordo –
dal dolore ognuno
deve distillare l'antidoto.
Il gioco dei numeri
ci attrae in gioventù –
adulta coerenza
che sfida la biologia
con esponenziali addizioni.
La letteratura è più aspra,
poiché vaga nel paradigma
e solida nell'equazione –
rivelazione senza formula –
è l'anima il nostro denominatore.
In te mi perdo
fino a ritrovarmi
un istante soltanto,
divisi dal traslucido sipario
delle nostre presenze.
Il cuore mi è motivo di scandalo –
"tagliatelo!" dunque – ma nei suoi cocci
fatemi intravedere il suo volto –
un'ora soltanto – istante acerbo del niente.
Stesa sul tramonto
la corona del giorno depone –
stelo tra gli steli per colui
che ebbe amato –
è fragile apparire – oggi –
come un mendicante
che con guanti di zaffiro
elemosina un altro cielo.
"Son vivo" – asserisce il fiore –
bestemmia senza consonanze
che straccia le vesti del mattino,
preghiera per il Dio vivente
il cui suono riecheggia
come campane – ma senza battaglio –
La penitenza è più dolce all'orecchio
se questo è sordo, oppure morto.
Ogni colpa ha il suo colore
l'adulterio – viva fiamma –
il furto – nebbia d'ossidiana –
l'amore – non ha tonalità
o è troppo profondo
per l'occhio del perdono.
Nel rincorrermi anelo
a nuove sponde –
come il trifoglio che gioca
ad esser girasole,
ma il ricordo ha una memoria –
chiave viva nella toppa –
il rimpianto – fermo allo stipite.
L'arte che ammaestra
a poco a poco prevale
sulla volontà del creatore,
finché la corrente
devia il letto del fiume –
ogni giorno impercettibili derive –
tra le colline e l'orizzonte.
Ogni vita si stringe
ad un centro dichiarato,
ad una regola non scritta
che per gradi trasforma
diametri e biologie.
La solitudine che prova l'anima
in compagnia di se stessa
è ebbrezza senza condizioni,
una ricchezza imposta dall'età
o dalle circostanze –
marchio impresso nella luce –
all'ombra è vivida fluorescenza.
Per quanto rimesti il fango,
fango rimane – a quanto dicono.
Il taoista e il cristiano
concordano nella cura –
una soluzione senza causa
la cui anamnesi è evidente
quanto il perdono che la presuppone.
Tu sei il mio pretesto,
l'alibi scontato
che sorregge la colpa
di quest'inverno proibito.
Non è dall'occhio,
ma dallo spirito
che nasce la prospettiva –
algido stillicidio di firmamenti –
tenue astigmatismo del pensiero
che dal seme dell'attesa
certifica nuove realità.
Declinai in condizionale
ogni mia astinenza,
l'azzurro e l'opale –
caddero oltre i vetri – sui nervi –
in regale silenzio,
quasi fosse mezzanotte
e gie nell'altra stanza
un neonato destino.
Monti opachi
stesi sul mare purpureo –
Alpi solenni impresse su neve –
non barriere – ma cartografie.
Una volta qui
era tutta campagna –
lo stelo già sa
che l'estate è univoca
come la Pasqua cinese –
pianto dell'esule – voce
persa in lacrime di clorofilla.
Di pagine ingiallite stimai l'età –
dimesso l'atomo – in cellulosi declivi –
risalente quanto l'alfabeto
o forse più antico – ma l'inchiostro
d'un nero vitale reclamava
sguardi presenti e non biografie –
Cauta e inattesa – la poesia – mormorò
al aggio delle pupille
questo tempo non è il mio –
pure, tra una risacca e l'altra, intravidi
nel suo dire un che di leggero –
quasi l'indice non segnasse l'epilogo,
ma il vuoto autografo dei suoi pensieri.
Rialzarsi è umano
tanto quanto il cadere,
poiché presuppone l'ostacolo.
"are per la porta stretta"
è privilegio di pochi
- stando alla carne -
un sigillo inciso nel cristallo –
e l'anima come grimaldello.
Il bicchiere è mezzo vuoto,
altera inquietudine – la pienezza –
da bambini si è più schietti
o bianco o nero –
il grigio – estranea saggezza –
è più adatto al becchino.
Grata alla pioggia
l'estate sussurra
tra i rami dei salici,
è l'amore – precaria certezza –
a dubitare del cielo,
una pena così antica –
lucida nella datazione
quanto oscura nel nome –
il suo verde – la conferma
al Carbonio 14.
È il sole un'amorevole costante,
sebbene preferisca la bufera.
La radiosa quiete ci innalza
oltre l'orgoglio della rugiada –
pendolo – tra gli estremi della notte –
sulla via della redenzione.
Mi presterai la Fede,
se mai perdessi la mia?
Azzardo l'ipotesi – Saulo –
tu non temere –
anche la roccia teme la pioggia
al pari della neve.
Mi piace immaginarti così –
senza veli e senza corpo –
il tuo solo nome –
apax nel mio lezionario.
La perdita ribalta
ogni prospettiva –
falsa sicurezza è il possesso –
mutevole – come il clima –
ogni tanto una nuvola,
poi d'improvviso – la tempesta
a gravarci del dubbio
che il sole non sia più lo stesso.
Mi destai in un'epoca non mia
ceco da un occhio per le ombre
profuse dal lungo vagare –
la realtà era oggettiva – allora –
l'interprete svanito – o nato
in un più nobile cimitero –
Il vagabondare mi parve a tratti più leggero,
simile all'incedere del vento –
l'inversa proporzione tra me e il mondo
era sublimata in nuove geometrie –
base per altezza, ma senza equivalenza.
Dolce è il successo
per chi lo insegue –
"terra in vista!"
esclama il cuore,
incredulo del porto
quanto il timoniere
che ha perso la rotta.
Come un torrente
scorrono le parole
nell'alveo dei ricordi –
ogni tanto un pensiero,
una prosa,
ad arginare la nostalgia –
amaramente consapevoli
che la piena è il sillabario
e il delta – la Fede.
In punta di piedi
giunse il mattino –
sul palco l'ultimo valzer
accompagnava i debuttanti –
plié all'unisono –
le nostre dita – intrecciate –
rond de jamb –
sulle mie labbra il suo respiro.
Il bicchiere è mezzo vuoto
disse il Buddha –
la virtù è nel mezzo
né luce né ombra –
sul vetro ciò che conta
è il segno del aggio.
Onnipotenza è la parola –
l'inespresso ha un'altra ampiezza,
proporzionale al piede,
inversa – rispetto all'impronta.
Noi vorremmo sperare –
e speriamo. Noi vorremmo amare –
e tacitamente amiamo.
Noi vorremmo dimenticare
e – senza volerlo – ricordiamo.
Un nome soltanto
dovevo lodare –
seppe il buonsenso
che su duplice asse
stimavo la sua distanza,
il gioco delle variabili
che svelava la circonferenza –
nomi o pronomi –
declinati all'eterno dire –
in te sola, la costante –
zenit steso sul meridiano
dei miei silenzi.
Tutto scorre –
persino l'immutabile –
eterna corrente – la vita –
che nel suo avanzare
non conosce argine né diga.
Piegata sul margine
ricorda la sillaba il rifiuto
stillato della grammatica –
l'arte impervia del ritmo
che incede tra pause e sinalefi.
La mutilazione subita – è il punto –
amara sospensione del periodo
siglata ieri come oggi –
il portamento incauto delle rime
che nell'equivalente della trama
mostra un vuoto più ardito.
Estranea alle carte
la mente sconfina
in regioni straniere –
il possesso finale
ignora ogni frontiera –
Che il Notaio apponga
il suo cinabro!
La provenienza
è il solo titolo che valga
ad espropriare l'anima.
Fuori della Piazza la vita
propone croci e meriggi
in egual misura – il prezzo –
al netto del rimpianto
è avvalorato dall'intuizione
del suo incerto durare.
Prima ancora che nel dire
l'intenzione è nel silenzio –
potere dell'inespresso
è dissetare lo spirito
senza attingere alla sua fonte.
Non chiedetemi d'interpretare –
poiché non ho occhi per scandire
le moltitudini del dire –
non chiedetemi d'amare – il cuore
chiuso tra le ampiezze della notte
non ha che un solo battito –
l'humus ha vinto su rose e deserti –
un porto sicuro è ora il suo silenzio –
vivere – in fondo – non è così imbarazzante
come confessare la propria impotenza.
Color ruggine era il tramonto –
non sfumato, ma intenso –
quasi avvolgente –
tra l'essere e l'apparire
non v'erano che umili gradazioni –
l'orgoglio era migrato,
come la Fede, oltre più solide colline.
Son rade le rime
nel mio lezionario –
lo schema – incostante –
che alterna le ore
ad eterno sconforto –
un pasto frugale
è questo mio dire –
candido dilemma – il tempo –
dacché troppo simile al vivere.
Bassa marea
tra noi e l'eterno –
candido dilemma
attraversare l'istmo –
Prendi nota, oh mare,
di questi miei silenzi!
L'opera preesiste alla materia –
scultorea rivelazione – la forma –
stretta nei grani di pietra,
lo scalpello segue i contorni –
rigida e piena, la mano – ignara
che l'inerte ha già tracciato
i confini tra l'uomo e la sua arte.
Vani i venti
ad un cuore in porto –
ma ancor più vana – la vela –
poiché suppone il mare.
Qant'è ingannevole il dolore,
quando all'esterno si affaccia –
la prova – allo specchio del sé –
non conosce fisionomie –
la sofferenza è intima, come l'eterno –
un vulcano in eruzione,
mentre sul pendio dorme la natura.
Più dolce il mistero
dacché irraggiungibile –
il Verbo – fatto carne –
chiuso nei nostri respiri
è l'anima – al vertice –
che a poco a poco ci stringe
in più vaste geometrie.
Settanta volte sette
dovremo perdonare,
ma a noi stessi revochiamo
anche il beneficio del dubbio.
Notte di San Silvestro –
veglia solenne nell'attesa
di un'altra mezzanotte –
azzerate le ore – sul calendario –
siamo troppo stanchi
per festeggiare – troppo vivi
per acclamare nuovi equinozi.
Mi piace pensare che i morti
formino la nostra coscienza –
che le voci a lungo ignorate
in qualche modo riemergano,
dal gelo dei marmi corrotti –
mi piace pensare che l'alba
non sia sangue, ma luce –
monito e non condanna
per chi – come noi – è rimasto
a contemplare lo stesso Cielo.
BIOGRAFIA
Luca Cenisi nasce a Pordenone il 2 febbraio 1983. Filosofo, poeta esistenzialista e membro dell'Emily Dickinson International Society, è teorizzatore e fondatore del genere poetico Hana, dell'Onirismo poetico, dell'Esistenzialismo conflittuale, del Lirismo catartico, della poetica Sablier, dell'Iconismo trascendentale, dell'Istintivismo, dello studio poieticocognitivistico Lybra e del Razionalismo emozionale (il cosiddetto Ciclo delle Diacronie).
Ha fondato un nuovo genere letterario dai toni metafisico-esistenzialistici denominato keiryū (dal giapponese, letteralmente, "torrente di montagna"), componimento poetico strutturato in quarantadue sillabe e cinque versi, redatti secondo lo schema metrico 7-9-8 9-9, incentrato sul nazo no kaze ("enigma del vento"), cioé un'incisiva e criptica conclusione, un paradosso o un koan che accompagni il lettore verso una profonda riflessione intimistica.
È inoltre il padre del genere poetico Wird, caratterizzato da una struttura lirica a distici incrociati (il sigel, l'hagal e il wyrd), d'ispirazione linguistica sassone.
Le sue opere sono concettualmente basate sulla cosiddetta teoria euritmonomistica ("legge dell'armonia"), secondo cui ogni singola azione/reazione dell'individuo è la risultante empirica della reciproca compenetrazione ed influenza di mente (sfera razionale), cuore (sfera istintuale e ionale) e spirito (sfera emotiva).
È teorizzatore e fondatore del c.d. studio euritmonografico (o euritmonografia),
ovverosia di quella scienza sperimentale autonoma finalizzata all'individuazione delle caratteristiche identitarie dell'individuo attraverso un'attenta lettura ed una corretta interpretazione del dato poetico.
Contestualmente all'elaborazione del suddetto Studio, ha inoltre tratteggiato due fondamentali direttrici concettuali riferite all'esistenzialismo poetico, culminate nella teorizzazione del c.d. Determinismo autocosciente e dello Spiritualismo segnico.
Tra i riconoscimenti più rilevanti si segnalano: il Premio della Critica Italo Calvino (Sanremo, 2009), il Premio Nazionale La Lode (Roma, 2009), il Premio Nazionale Il Novo Vate (Viterbo, 2009), il Premio Speciale Brancati (Catania, 2010) ed il Premio Nabokov (Lecce, 2010).
Una rassegna completa dei suoi scritti, finalizzati allo studio dell'egopoiesi (o autorealizzazione dell'"io poetico") e al conseguimento di un esistenzialismo consapevole, è presente nell'Atlante Letterario Italiano, nell'Enciclopedia degli Autori Italiani e nei siti web ufficiali:
www.lucacenisi.it e www.keiryu.org
BIBLIOGRAFIA
- 2008, Voci nel vento, AltroMondo Editore
- 2009, Il cammino dei sogni, Ibiskos-Ulivieri
- 2009, Il fiore e l'haijin – Haru ni narimashita, Ibiskos-Ulivieri
- 2010, Il cerchio e la mente, Edizioni del Leone
- 2010, Psyce, Edizioni Tracce
- 2011, Anamnesi, Campanotto Editore
- 2011, Keiryū, Campanotto Editore
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