Antropoetico
Il cuoco alla corte del re
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Indice dei contenuti
L'arrivo del re Il viaggio verso Villamonte L'incontro con il cuoco di corte Ghigliottina Rosa Binda in Montechiari Il matrimonio di Angela Il torneo L’amore vale ogni cosa Prima ricetta Seconda ricetta Terza ricetta Quarta ricetta Quinta ricetta Sesta ricetta Settima ricetta Ottava ricetta Nona ricetta Decima ricetta
Undicesima ricetta Dodicesima ricetta Tredicesima ricetta
L'arrivo del re
Anno Domini 1673. Sobborghi di Caluzzo.
Piove a dirotto, i cittadini stanno chiusi in casa al riparo dal diluvio e guardano l’ira della natura bagnare di nuova vita i campi. <<Mamma, corri, vedo cavalieri e carrozze in arrivo.>> <
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> La donna si alza dal focolare, prende una mantella e si affaccia sull’uscio della porta. Il temporale urla e i lampi illuminano all’improvviso gli stemmi e le bandiere; le viene naturale inchinarsi in segno di rispetto. Non riuscendo a dire una parola, rientra subito in casa, portandosi la mano alla bocca. Qualche secondo di silenzio per consumare appieno lo stupore e poi via di corsa dal marito, nel frattempo in cantina a riordinare vino e salami. <
> La smorfia di lui è la solita da tanti anni; c’è abituato a essere disturbato dalla moglie proprio nel momento meno adatto. Porta gli occhi al cielo, che non vede nel buio della cantina, lascia tutto e risale le scale. <
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> Il rumore adesso è pieno, metallico e legnoso, gli zoccoli dei cavalli fanno tremare le assi del pavimento. <<Ma che Diavolo….>> Uno sguardo alla moglie, ancora inebetita dalla situazione, e poi fuori dalla finestra, spostando con le mani callose la tenda. <
> In quei sobborghi contadini era già raro vedere are i nobili, arroccati nei loro castelli e scorgere, adesso, addirittura il re con la corte e tanto di scorta are, dipinse meraviglia sui volti scavati delle persone dedicate alla terra e al suo raccolto. <
> Simone, resosi conto di ciò che stava accadendo, corse fuori dalla camera andando a spiaccicare la faccia sul vetro umido per osservare ogni minimo dettaglio. <
> Benché imbrattati di fango, gli sembravano
così belli quei cavalli neri, maestosi ed eleganti rispetto al vecchio mulo che arava i campi, trasmettevano un senso di potenza. E tutti quei colori, le mantelle, nere sopra e rosse nella parte interna, rendevano superbi i cavalieri nonostante fossero inzuppati fino all’osso. Simone non aveva mai visto una carrozza, c’era una bella differenza con il carro che giaceva nella legnaia. <
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> Quando sembrò che ormai i cavalieri si fossero allontanati e lo scalpitio degli zoccoli cominciasse ad attenuarsi, una mano forte e decisa bussò alla porta di legno. <<Ehi, contadini!>> Giovanni, sua moglie e Simone si guardarono l’un l’altro, ancora più stupiti. <
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> Rispose il capofamiglia, indicando alla moglie di prendere Simone e di andarsi a rintanare nell’unica stanza da letto disponibile. Poi aprì l’uscio di casa, prendendo tutto il coraggio di cui disponeva, inginocchiandosi immediatamente, quasi senza neanche guardare in viso il visitatore che aveva bussato alla sua porta. <
> <<Suvvia, alzati bifolco, sono il Maresciallo Baldassarri della guardia reale di Filippo Anacleto, re di queste terre.>> <
> ripeté Giovanni alzandosi fino a poter vedere ben in faccia l’omone grande e grosso, in cui avevano lasciato i loro devastanti effetti fiumi di vino e pantagrueliche mangiate. <
> <<Eccellente e onorabile Maresciallo, il paese è piccolo e modesto, esiste solo una piccola osteria a dieci minuti da qui, appena entrati in Caluzzo vecchio, sulla vostra sinistra, ma è un posto di ubriaconi….>> La risposta fu una grassa risata. Spiccava il faccione con i baffi e il pizzetto di quell’uomo e la sua esperienza di vita. <
> Giovanni abbassò lo sguardo, impacciato dall’affermazione così esplicita e inusuale nella periferia del regno. <<Messere, non saprei che dirle, io mi occupo dei campi e non vado mai all’osteria.>> <
> Concluse girando i tacchi il Maresciallo nell’impennarsi della fodera della spada al suo fianco. <
> Pensò nella sua testa, che quando sostava in città era, solitamente immersa, allorquando smontava di turno, nei bordelli. Continua a
piovere forte sulle teste di quegli uomini a cavallo bagnandoli come pulcini e il maresciallo lo era più degli altri, visto che era sceso per andare a chiedere informazioni, ma sapeva che il re non amava aspettare e pertanto, inopportunamente, si mise a correre proprio dove le pozzanghere erano piene d’acqua. Non fece tempo ad arrivare vicino alla carrozza del sovrano che scivolò, ruzzolando come un barile, con tutta la sua massa grassa, andando poi a infilare la faccia proprio nella melma scura. <<Maledizione!>> Gridò nell’atto dell’impatto e i cavalieri più vicini intenti ad osservare la scena non poterono far altro che scoppiare a ridere. Vedere quella palla di lardo, volare per aria suscitò l’ilarità generale e richiamò l’attenzione del re facendolo affacciare dal finestrino sinistro della carrozza. Nemmeno lui poté trattenere il sorriso.<<Mon Dieu! Maresciallo sembrate un maiale con tutto quel fango addosso!>> <<Sire mi perdoni, mi scusi, chiedo umilmente venia.>> rispose il capo delle guardie, mentre con le mani cercava di pulirsi il viso come meglio poteva. Aveva il fango dappertutto, se lo sentiva persino nelle mutande. La situazione era sgradevole come quando aveva un attacco di diarrea e sentiva umido vicino ai genitali. <
> <<Sì, mio padrone, c’è una locanda a dieci minuti da qui, è l’unica del posto.>> <
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> Al maresciallo rodeva aver fatto una figura da stupido e allora prese a sbraitare con i suoi uomini per sfogare tutto il suo disappunto. <
> I due si staccarono dal resto del gruppo che procedeva lentamente verso la sua meta. <
> <<Signor Maresciallo, cretino! Mi devi chiamare signore capito?>> I cavalieri si scambiarono un’occhiata, lasciando intendere che da lì in avanti avrebbero dovuto sorbirsi le reazioni isteriche e ingiustificate del loro capo. <<Signor Maresciallo, comandi….>> <
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> <<E noi? Dove dormiremo noi?>> <
> I due uomini batterono i talloni sui fianchi dei cavalli, dandogli il
via per una corsa veloce nella notte e in breve sparirono alla vista, immergendosi nel buio piovoso. Era bello sentirsi la pioggia cadere addosso nello spingere al massimo i loro purosangue, l’atmosfera sembrò loro completamente magica come quelle dei racconti di fate e draghi, ascoltati nell’infanzia. <
> Questo era uno dei tanti vantaggi di cui usufruiva il Maresciallo perché il re amava elargire bonariamente privilegi ai suoi servitori più stretti e lui, venuto dalla miseria nera, se la godeva molto di più dei nobili di rango, avvezzi al servilismo per ottenere la benevolenza della corte. Sotto il temporale, squarciato dai lampi e attraversato dai tuoni, ci vollero più di dieci minuti ai due messaggeri per giungere alla locanda. Arrivati a destinazione, legarono i cavalli e sfoderano le spade, avanzando con circospezione. I loro cappelli gocciolavano e l’umidità si faceva sentire nelle ossa. <
> Appeso fuori dal postribolo, un cartello di legno tarlato raccontava il nome di colui che gestiva il locale: “ Ermanno, si mangia e si beve tutto l’anno”. Sorrise di gusto Paolo poi aprì la porta per vedere all’interno chi vi fosse. L’ambiente, tutto fumoso, puzzava di campagna; lo sguardo fu subito attratto dalla bella ragazza che serviva ai tavoli. La sua presenza elegante gli permise di sopportare gli sguardi sporchi e i rumori di stomaco e di pancia che i commensali lasciavano liberamente andare. Come un angelo gli venne incontro. <
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> Lei alzò le spalle, indicando chiaramente di non comprendere. <<E’ carina, ogni tanto a qualche cavaliere, sono tutte belle e vivaci le divise.>> Paolo volle accertarsi che la ragazza avesse ben chiaro chi fosse <<Sono un cavaliere facente parte della guardia personale del re.>> <
> <<Sì, a breve sarà qui.>> <<Mio Dio, il re? Il re qui da noi?>> <<Senti, ho bisogno di parlare con Ermanno, portami da lui subito.>> Nel frattempo lo raggiunse il compagno d’armi. <
> La giovane donna fece strada verso la cucina che s’intravedeva appena al di là dell’anticamera. Era modesta, molto modesta, però pulita e ordinata. <<Padre!>> <
> <<Padre, Il re! Uomini del re!>> <
> <<Ermanno, tua figlia ha ragione, sono Paolo, scudiero di prima classe del re!>> <
> <
> <<E dici poco! Non vedi che questa è una stamberga? Piena di contadini ubriachi che vengono qua solo per toccare il deretano di mia figlia quando va a servirli!>> <<Padre, mi fai vergognare così, vengono perché tu
cucini come nessun altro.>> <
> Paolo intervenne di nuovo: <
> <<Speriamo, di soldi ne abbiamo bisogno, la vita costa.>> L’oste si grattò la testa. <
> <<Ma padre, l’ho tenuto con tanta cura….>> <
> Una frenetica agitazionesi diffuse in cucina. Ermanno prese ad andare avanti e indietro e da una dispensa all’altra alla ricerca di qualcosa di buono da cucinare. <
> Inciampò nella sedia, ritrovandosi, con la faccia e la pancia, disteso sul pavimento. <<Sempre così, quando si ha fretta, va tutto storto, calmati Ermanno, calmati, in fondo è solo un uomo anche lui.>> esclamò ad alta voce allargando le braccia prima di aprire la madia piccola. <
> pensò, abbassandosi e infilandoci la testa dentro. <
> Ermanno cominciò a tirare le somme, immaginando un menù che potesse fare bella figura con il re. Si appoggiò al bancone e cominciò a mettere in fila tutte le cibarie recuperate. Serviva anche della carne e per fortuna aveva un paio di polli spennati giustappunto la mattina. <
> Come un artista intento a dipingere il quadro, prese nelle mani i suoi coltelli e iniziò a pelar patate e carote aiutato in questo dall’esperienza acquisita nel tempo. In quattro e quattr’otto i tuberi volarono nella pentola d’acqua bollente. <
> si disse da solo, prendendo una pentola larga e alta. <
> Lo prese e ne stese un bel po’ sul fondo. In genere non cucinava così per gli avventori abituali, più avvezzi a mangiare il pollo allo spiedo o alla cacciatora, ma quella era l’occasione per far assaggiare qualcosa di speciale al re. E poi era sempre stato il piatto preferito della moglie. <
polli. rel="nofollow">> Con cura li asciugò bene, infilò del rosmarino al loro interno controllando che non vi fosse rimasta piuma, poi li adagiò nella pentolaccia, ricoprendoli con altro abbondante sale. <<Padre ho fatto. Ti serve aiuto?>> <
> Ermanno nel frattempo riempì della giusta quantità d’acqua la pentola e non appena iniziò a bollire, vi versò dentro la farina, facendola girare con la sua paletta di legno per evitare il raggrumarsi del granoturco. Nel frattempo le guardie del re avevano cominciato a dare il benservito alle persone ancora presenti nell’osteria. <
> dissero buttando alcune monete d’argento verso l’uscita. Agli astanti non sembrò vero vedere le monete rimbalzare per terra, si alzarono di scatto, almeno per quello che consentiva loro di fare l’alcol in corpo e si buttarono sul pavimento di legno, alla ricerca dei soldi. <
> Paolo ne buttò diverse altre per strada in mezzo al fango e così facendo tutti in pochi minuti uscirono, lasciando completamente libero il locale. <
> Paolo sorrise <
> Pietro invece prese ad annusare l’aria. Un profumo meraviglioso di carne, rosmarino e formaggi pregiati cominciò a diffondersi portando buon umore anche in quegli uomini provati dal lungo cammino sotto la pioggia. Di lì a poco arrivò anche Angela con le tovaglie di lino fine del servizio da tavola migliore di cui disponeva e le posò sulla madia, preoccupandosi, poco dopo, di sgomberare e pulire con la scopa la sala. Una volta finito unì i tavoli migliori, quelli che non ballavano e li mise al centro del locale. Portò brocche di vino di gradazione più alta, porgendone due coppe ai cavalieri per avere il loro parere sulla qualità di quel nettare degli dei. <<Ma è squisito! Poffarbacco!>> disse Paolo <<Mio padre se ne intende, preferisce averne poco ma di qualità.>> <
> Aggiunse Pietro, andosi il dito sui baffi per pulirseli. Dalla cucina Ermanno si fece sentire; non era certo il momento di perdere tempo. <
> Angela sorrise a Paolo, davvero un bel ragazzo giovane e pieno di vita con occhi scuri molto dolci e profondi. Erano bastati pochi minuti e già le batteva forte il cuore; cominciava, infatti, a immaginarsi una storia d’amore. La prima, giacché nessuno in paese le aveva mai fatto quell’effetto. <<Eccomi padre.>> <
> <<Ma?>> <
carota.>> <
> <<Stasera cominciamo.Per il re faremo il purè di carote, aggiungi anche lì un goccio d’olio profumato, un tantino di latte, ma poco, e la giusta quantità di sale, mi raccomando le proporzioni, ogni due patate una carota!>> Concluse Ermanno, versando sul tagliere grosso la polenta ormai pronta che, fumante, si mostrava in tutto il suo giallo vivo. Una decina di minuti dopo, Paolo entrò, con fare rapido e deciso nella cucina gridando <
> Ermanno e sua figlia lasciarono le loro faccende, asciugandosi le mani con degli stracci inumiditi a portata di mano e subito si misero appena fuori dalla cucina, attendendo l’entrata della famiglia reale. Angela non stava nella pelle, incredibilmente ansiosa e curiosa di vedere l’uomo più importante del Regno e il seguito alla sua dipendenza; i suoi occhi parevano volerle uscire dalle orbite per accorciare, in tal modo, la spasmodica attesa. Entrarono prima quattro guardie armate di spada e moschetto d’ordinanza, bagnati fradici, poi due paggi, i servitori che si occupavano delle faccende pratiche della corte e per ultimo il Maresciallo domandando, con il suo faccione pieno e tondo: <
> <<Sì, illustre Maresciallo.>> rispose Pietro. <
> Ermanno e Angela, all’istante, si chinarono in avanti portando le teste il più in basso possibile e rimasero fermi in attesa di ricevere il beneplacito del Re. In quella posizione sentirono il rumore delle scarpe raffinate del Re realizzate con moderne suole in cuoio. Poco dopo, al suo calpestar di pavimento, si aggiunse quello della regina e dei due eredi della dinastia. Il Maresciallo batté tre volte per terra il bastone d’ordinanza che poneva l’accento sull’importanza dell’ingresso. <
> Nel dirlo il monarca fece girare gli occhi all’interno della stanza. Paolo intervenne anticipando la risposta del suo capo che non poteva saperlo esattamente. <<Sire, sì è lui e la ragazza di bell’aspetto a fianco è sua figlia.>> <<Molto bene, qual è il suo nome? .>> <<Mi chiamo Ermanno, sire e lei Angela, tutto quello che abbiamo è suo, prenda ciò che vuole.>> <<Si rilassi, buon uomo, suvvia, non siamo più ai tempi dei barbari, tutto quello che voglio è mangiare e dormire, le prometto che pagherò ogni cosa, grazie alla generosità e alla lealtà dei miei sudditi. Di grazia, questo buon profumo che arriva dalla cucina mi solletica le narici, alzatevi dunque e portate in tavola non appena pronto!>> <<Subito Maestà.>> Ermanno si tolse dalla posizione d’inchino e quasi senza guardare in direzione dei reali, si buttò all’indietro nella cucina per finire l’ambizioso pranzo che aveva predisposto. Angela invece rimase a bocca aperta, ammirando la bellezza dei vestiti del re e della sua regina. Il sovrano indossava giacca e pantaloni in raso verde, sotto di cui spiccava una camicia bianca molto elaborata
e pomposa che sembrava uscirgli dal petto. I pantaloni arrivavano fino al ginocchio lasciando intravedere sul resto della gamba la calzamaglia bianca spessa e alla fine le scarpe di velluto nero con grosse fibbie dorate. Meravigliose, erano di quelle che si vedono raramente nella vita. <
> <<Sì, sire, prego la regina di seguirmi.>> La consorte regale, seguita dalle damigelle di corte, si mosse in direzione della scala che conduceva alle stanze, poste nella parte superiore della locanda. Se il re era magnifico nei suoi panni regali, la regina appariva come una dea agli occhi di Angela, poco più che diciottenne, avvezza a vedere solo abiti semplici di cotone e flanella. L’abito che ne disegnava la figura allargandosi molto nella parte dalla vita in giù, era di un amaranto purpureo di seta lucida e raffinatissima. Angela notò che anche le scarpe erano dello stesso colore dell’abito e rimase folgorata dalla bellezza dei gioielli che le adornavano il collo e le orecchie. Pendenti luccicanti. Due guardie le precedettero sulla scala per controllare che non vi fosse nessun pericolo e si disposero appena fuori dalla stanza dove i sovrani avrebbero trascorso la notte. <<Siete molto gentili, sudditi.>> disse la moglie del re, quando, entrando, trovò la tinozza fumante e gli asciugamani puliti che aveva richiesto. <<Siamo qui per servirvi, altezza, qualunque cosa chieda pure.>> terminò Angela e inchinandosi, se ne uscì dalla stanza, seguita con lo sguardo dagli occhi dolci della regina. Il re, seduto all’umile tavola, sorseggiava il vino, masticando pane. <
> Il Maresciallo attento servitore, sentendo quelle parole di compiacimento e dispiacimento allo stesso tempo, tracannò in fretta il rosso vino e si precipitò, lui in persona, verso la cucina, spostando con le sue grosse mani le tende e svelando il cuoco all’opera. <<Ermanno! In nome di Dio, porta del cibo in tavola! Lasciare il re senza companatico è peccato e ti assicuro che se muta il suo umore, la casa prende fuoco….>> <
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> <<Siamo solo io e mia figlia e lei ancora non è scesa.>> <
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> E Angela rispose immediatamente al richiamo del padre correndo a perdifiato giù per la scalinata. Pietro e Paolo la osservarono nel suo semplice ma malizioso, vestito e apprezzarono il rimbalzar veloce delle sue forme nella discesa Il balcone delle sue grazie rendeva onore alla femminilità di cui era dotata. Angela prese subito il tagliere grossolano e il filo da cucito e mise sulle sue spalle aggraziate la tonda forma di polenta arrostita dalla riata al forno, entrando nel salone e raggiungendo il re ancora solo. <<Sua grazia desidera
aspettare la magnifica regina?>> Chiese, con le gote arrossate per la vergogna. <
> Per evitare avvelenamenti, la corte aveva l’abitudine di far assaggiare tutto preventivamente al servitore più fidato, che si lasciava andare con piacere, abbondando negli assaggi, prima, durante e dopo i pasti. <<Eccolo il mio piatto!>> Urlò il capo delle guardie, estasiato dal profumo particolare di polenta abbrustolita, insolito anche nelle tavole di marchesi e baroni. Angela, poggiò il tagliere sul tavolo, alla destra del maresciallo e con abile maestria infilò il filo da cucito sotto la polenta fino ad arrivare alla giusta grandezza della fetta da tagliare, poi tirò verso il suo esile corpo con uno strattone il filo stesso, tagliandola con precisione chirurgica. <
> Lui ci infilò il cucchiaio di legno, senza perdere un istante, e si riempì la bocca mostrando la fame famelica che aveva in corpo, seguito dallo sguardo divertito del re. Cominciò a masticarla mischiando il croccante della crosta con la morbida cottura dell’interno, anche la gradazione del sale era ottimale. <<Mio sire, mai polenta mi diede più gusto.>> <
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> Angela ricevette gli sguardi di autorizzazione a procedere anche da Paolo e Pietro e subito posò il tagliere fumante alla destra del re mostrandogli quanto fosse abile nel tagliare fette perfette della polenta. Nel frattempo Ermanno si era preoccupato di servire la porzione profumatissima di formaggi fusi con cui accompagnare la polenta al Maresciallo, obbligandolo a un elogio speciale per com’erano stati commisurati e incrociati tra loro i derivati dal latte. <<Ma questa crema è cibo per gli dei! Sire, molte volte ho mangiato con lei alle tavole dei potenti e…, di formaggi…, tra quelli si e quelli spagnoli, ne ho assaggiati diversi ma mai nulla di simile….>> <
> Urlò il re, ansimante per gustare qualcosa di mai provato prima e già abbastanza in preda ai fumi alcolici del vino con una gradazione di oltre tredici gradi. Lo fece proprio mentre la regina stava scendendo dalle camere con i pargoli e le donzelle al suo fianco, affamata e sinceramente grata per l’accoglienza ricevuta. Ermanno servì la fonduta al re e con gli occhi ordinò alla figlia di porgere immediatamente alla regina la polenta. Le guardie, nel frattempo, aspettavano con l’acquolina in bocca, che la famiglia reale consumasse il pasto, per poter, a loro volta, soddisfare il buco nello stomaco. <
> Il cuoco della misera osteria di paese si buttò ai piedi del re e chinò il volto,
piacevolmente sorpreso dall’apprezzamento ricevuto. <<Sire, è solo l’opera delle mani di uno dei tuoi servitori del regno!>> <<Mani d’oro, figliolo! Moglie assaggia anche tu e danne ai pargoli, diverranno più forti e paffutelli!>>La regina non si fece pregare, si accomodò mettendo al suo fianco gli eredi al trono, uno alla destra e l’altro sulla sinistra, immediatamente raggiunta da Angela che prese a versare nei piatti di terracotta il ghiotto cibo. Una volta finito si mise in un angolo osservando minuziosamente l’espressione della regina per comprendere se anche lei gradisse il cibo preparato dal padre. <
> pensò in cuor suo. Più la osservava e meno riusciva a trovare un difetto in quel viso bianco e privo di rughe. Si notava che proveniva da un contesto agiato, bastava guardarle le mani; tali e quali a quelle viste nei quadri appesi in chiesa, tanto erano affusolate e curate. <
> Ermanno, normalmente geloso dei suoi segreti di cucina fece per svelare il segreto: <<Si tratta del….>> Ma la regina lo fermò subito <
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> Dalla cucina il miscuglio dell’odor di carne con il rosmarino invase tutta la stanza e gli stomaci delle guardie cominciarono a brontolare come sacchi vuoti. Ermanno ricomparve poco dopo con un asse di legno e andò a porla sul tavolo alla sinistra del re com’era consuetudine fare. intanto lui lo osservava divertito e compiaciuto, visto che ormai la polenta che aveva nel piatto era finita. <
> Esclamò di nuovo, andosi con fare regale il tovagliolo sui baffi. Tutti rimasero a bocca aperta quando videro Ermanno, recatosi di nuovo in cucina, tornare con in mano il padellone largo. Si vedeva solo una montagna di sale grosso e la cosa indusse il Maresciallo a intervenire immediatamente <
> <
> Tutti si guardarono l’un altro, increduli, non si era mai sentita una cosa simile. <
> saltò su Pietro. <<Mostracila faccia di questi polli.>> <
> <
> Ermanno ò in mezzo a tutti che, da destra e sinistra, buttavano gli occhi nel padellone fumante e delicatamente lo posò a pochi centimetri dal re.>> <
> Disse, curioso. <
> Ermanno prese un cucchiaio e una forchetta di legno e cominciò a picchiettare con piccoli ma decisi colpi in più parti la crosta formatasi, procurandone la rottura. Anche la regina si alzò dal suo posto e si avvicinò smaniosa di vedere questa strana pratica
di cucina. A poco, a poco, emersero i polli, ben arrostiti come se fossero stati rosolati sul fuoco. La regina, incredula, chiese di nuovo <
> <<Sì, solo del rosmarino messo all’interno.>> <
> <
> La figlia si recò di corsa in cucina e uscì con il vassoio da portata. <<Eccolo padre.>> <
> Il re si fece sentire, non era abituato ad aspettare. Il suo naso respirava il profumo della carne arrostita. Ermanno infilò la forchetta nel sedere del pollo e il coltello dalla parte del collo, liberando definitivamente la pietanza dalla prigione di sale. <
> Gridò, tagliando il pollo in due. <<E questo per la regina!>> Aggiunse subito dopo. <<Servi anche i miei figli, per cortesia.>> Chiese gentilmente la moglie del re. <
> Angela adorava i bambini e in modo giocoso, quasi ballasse nella stanza, portò il vassoio di fianco ai pargoli. Non aveva ancora un uomo, ma sognava un marito e tanti marmocchi. In tal modo sarebbe stata sì povera ma felice. I suoi occhi luccicavano vedendo l’espressione dei figli del re. Sorrise, cercando di nascondere questa intima emozione a Paolo che non le toglieva gli occhi di dosso.Anche lui provava qualcosa dentro che ancora non capiva, ma che, comunque, lo faceva sentire diverso dal solito. Pietro se ne accorse <
> <
> <<Paolo, ci conosciamo da dieci anni, so come sei fatto, non ti starai innamorando di questa campagnola, figlia di bifolchi?>> Pietro aveva un tono di rimprovero; nei ranghi dei cavalieri, avvezzi a frequentare bordelli e cortigiane, il matrimonio era considerato fattibile solo con le nobildonne. Paolo si girò verso di lui, stizzito, in un modo che non aveva mai fatto. Evidentemente quella frase lo aveva toccato nel vivo. <
> <
> concluse sottovoce Pietro, avvicinandosi alla porta giacché aveva compreso esser arrivata l’ora di levare i tacchi. <
> Disse ad alta voce, puntando con il dito, l’ultimo pivellino della scorta. <
> Nel frattempo il re aveva preso a strappare la coscia del pollo dal resto della carne con le mani e aveva cominciato a rosicchiarla. <
> Urlò ad alta voce per farsi sentire dalla moglie intenta anche lei, a riempirsi bocca e pancia <
> La carne del pollo si scioglieva in bocca, mentre la pelle croccante ma non bruciata si sfilava facilmente. E, naturalmente, anche i bambini sembrarono gradire parecchio la
cosa. Fu proprio in quell’istante che Ermanno, come un sacerdote dei tempi andati, comparve in sala con il suo purè. <
> Ancora una volta intervenne il Maresciallo, più che altro per poterne assaggiare almeno una forchettata. <
> <
> rispose lui infilando a fondo la posata . La sua espressione era stranita nel portarsi alla bocca la delizia ancora fumante. Cominciò a muovere mascella e mandibola e gli occhi si appiattirono sui lati a causa del sorriso di piacere che cominciava ad allargarsi tra le gote. <
> Chiese Ermanno, in trepidante attesa del giudizio, ma il Maresciallo, contro l’uso abituale, infilò di nuovo la forchetta in quell’arancione saporito. <
> <<Maresciallo!>> Si fece sentire il re infastidito dalla mancanza di rispetto <
> <<Mio re, mi vergogno, ma una tal crema morbida e gustosa risveglierebbe anche un morto.>> <<Suvvia allora, lasci che il cuoco avanzi e serva me e la mia famiglia.>> Ordinò, tornando a rosicchiarsi la coscia di pollo fino a grattarne l’osso. La regina sorrise, sorpresa da tanto apprezzamento per il cibo, ma in cuor suo non poteva che essere d’accordo. Il re, infine usando il cucchiaio s’infilò la delizia in bocca, rimanendo poi alcuni secondi fermo, in silenzio. Sembrava in contemplazione, solo gli occhi vispi e divertiti giravano da una parte all’altra del cranio; infine allargò le braccia, quasi in segno di resa, lasciando uscire l’ennesimo complimento per Ermanno <<Buon uomo, mille volte il tuo re ha mangiato alla tavola di altri sovrani e nobili, ma ti assicuro che il piacere ricevuto questa sera supera notevolmente quelle mangiate! Qual è il tuo segreto? Sei, per caso un mago, in grado di confezionare potenti intrugli?>> Lui si abbassò, facendo nuovamente l’inchino. <
> <<Parole sante, sapessi il tuo re quanto ha bisogno di essere consolato e ricevere conforto! Adesso vai, voglio finire ogni cosa con calma.>> <<Marito! Guarda i tuoi figli, mangiano la verdura e giocano con i cucchiai, questo sì che è un miracolo!>> Ermanno e la figlia si ritirarono in cucina lasciando i commensali liberi di finire la cena. Lei sorrise, compiaciuta della bella figura fatta e lui la comprese perfettamente. Era così in sintonia con la figlia da capirla al volo. Volle dunque abbracciarla e aprendo le braccia assieme al cuore, la strinse a sé forte, forte. <
> Affermò la regina al re, appena dopo essersi succhiata le dita sporche di sugo di pollo mischiato con il purè. <<E Artidoro? Lo sai che era il cuoco di mio padre, sono anni che vive a palazzo.>> <
> <
> Il re era perplesso ma lo
stomaco dava ragione a sua moglie. <
> <
> Alla fine rimasero sulla tavola solo piatti vuoti e ossa pulite a puntino. I bambini cominciarono ad assopirsi, ristorati dal caldo morbido del camino e la regina prese in braccio il primogenito chiedendo alla sua damigella di corte più fidata di fare altrettanto con il secondo. <
> <
> Il re si fece accompagnare in cucina dal maresciallo per ringraziare personalmente chi lo aveva reso felice quella sera. <<Ermanno, sei davvero un cuoco dalle mani d’artista!>> <<Mio re, lei è troppo generoso….>> gli rispose, evidentemente impacciato. <
> aggiunse il maresciallo sottolineando l’importanza della cosa, ma Ermanno ne era completamente convinto allorquando vide il re estrarre dal taschino un sacchetto con delle monete. <<Ecco, qui ci sono dieci pezzi d’argento per la tua maestria e la cortese ospitalità.>> Ermanno quasi s’inginocchiò davanti ad un’offerta tanto generosa, molto al di sopra dei pochi centesimi che gli elargivano i contadini assieme a uova fresche e prodotti dell’orto. <<Sua Maestà mi rende ricco, domani accenderò dieci ceri in chiesa pregando per una benedizione.>> <
> <
> Il re sorrise, portandosi le mani al girovita abbondantemente arrotondato. <
> Il Maresciallo strabuzzò gli occhi per quella richiesta inaspettata che reputò inappropriata. <<Mio re, si tratta pur sempre di un bifolco!>> <
> <<Sire, non so che dire, come ringraziarla, mi sembra troppa fortuna per il mio destino.>> <
> Il maresciallo prese ad andare avanti e indietro nervosamente e, vedendolo abbandonato nel lavello, insieme a pomodori e finocchi, prese e si mise a sgranocchiare un gambo di sedano verde, poi lanciò un’occhiata severa e ironica al tempo stesso a Ermanno <
> <
> <
> <
> Il maresciallo si portò le mani dietro la schiena e s’incamminò in direzione della tavola <
> I soldati erano provati, ancora inzuppati d’acqua e non appena il re si fu ritirato dal salone, si misero vicino al fuoco con le mani protese in avanti per riceverne l’intenso calore. <<Mi mangerei un bue questa notte e
berrei del buon cognac.>> Disse Pietro, buttando i guanti sul tavolaccio di legno. <
> gli risposero in coro i suoi compagni di ventura. Il tempo dell’attesa sembrava più lungo del solito e l’arrivo di Angela con le caraffe di vino in mano scatenò una serie di “evviva” subito seguito da un brindisi. <
> La figlia dell’oste, davvero graziosa nella sua giovanile beltà, rallegrava loro il cuore di uomini, eccitando fantasie a dir poco licenziose ma essi avevano imparato a memoria il codice di corte, il quale prevedeva di non lasciarsi andare a facili corteggiamenti di dame e damigelle durante le ore di servizio per non correre il rischio di portare biasimo alla casata reale. Lo avrebbero rispettato a qualunque costo, pena l’espulsione dalla scorta del re. Ermanno si presentò di lì a poco, con un grosso salame casareccio, diventato duro per la lunga stagionatura cui era stato sottoposto. Lo portò proprio in mezzo a loro, posandolo sul tavolaccio, un attimo dopo che sua figlia ebbe steso la tovaglia. <
> Il maresciallo e i suoi uomini erano basiti dalla vista di un pezzo di carne del genere e completamente invasi dal suo profumo. Ansiosi d’infilarci i denti, si sedettero tutt’intorno a lui, mentre Angela stava finendo d'apparecchiare la tavola. Ermanno prese il suo coltellaccio migliore, dalla lama tagliente più di un rasoio e cominciò a darci dentro con il taglio. Le fette sfilavano una dietro l’altra cadendo dal lato opposto. La saliva nelle gole di quegli uomini stanchi e affamati prese a scendere. Il cuoco era davvero un artista anche nel taglio, le fette cadevano tutte uguali; le aveva tagliate con una precisione da medico chirurgo. Poi finalmente arrivò Angela con il pane e dei grissini che il padre usava fare impastati col sesamo, ultima novità arrivata dall’oriente e che era costata alla famiglia il vitello più grasso dell’anno precedente. <
> Paolo lanciò l’urlo a quel punto <
> Gli uomini lo seguirono facendo il brindisi verso l’alto, tutti compreso il maresciallo. Angela intanto continuava a guardare di sfuggita, nel suo andare avanti e indietro, quel ragazzo dagli occhi profondi ma dolci. Era alto, i riccioli fuoriuscivano dal suo cappello di moschettiere e, certo, la divisa esercitava un fascino magnetico su di lei. Pensò che avrebbe potuto essere anche un ottimo padre. Per lo meno nella sua visione ancora ingenua della vita, inzuppata dalle fiabe che le aveva narrato la madre, prima di morire, desiderava trovare non solo un uomo da amare ma un compagno fedele con cui costruire una famiglia piena di bambini. L’atmosfera divenne gioviale e goliardica alimentata dalla voglia di scherzare e ridere a tal punto che il Maresciallo fu costretto ad alzarsi in piedi per rammentare alle
guardie che sopra le loro teste il re voleva dormire. ò velocemente una mezz’ora, lasciando la tavola completamente priva di qualunque cosa ancora commestibile ed ecco che Ermanno fece un’altra magia uscendo dalla cucina con un vassoio di patate apparentemente carbonizzate e l’olio prezioso con cui aveva servito il re. <
> <
> rispose lui, invitando tutti a seguirlo con lo sguardo. Prese un piatto e dopo averlo messo proprio sotto il loro naso, infilò una forchetta dentro la patata più abbrustolita fino al suo morbido contenuto e con il coltello la tagliò in due. <<Ma questo è un miracolo!>> esclamò il Maresciallo vedendo il giallo morbido all’interno della crosta bruciata, formatasi all’esterno. Ermanno pulì la patata togliendo quasi tutto il carbone che la rivestiva e ci mise sopra un goccio d’olio d’oliva extra vergine facendo girare l’ampolla con la mano. <
> Lui guardò gli altri astanti e, non facendoselo ripetere due volte, infilò la forchetta portandosi il morbido tubero in bocca. <<Ma è buonissimo, meglio di quelle bollite!>> <<Servitevi amici miei. Posso chiamarvi amici vero?>> Tutti si girarono in direzione del maresciallo e rimasero in silenzio, attendendone la reazione. <<E sia, bifolco! Uomini, lui domani verrà con noi a palazzo, da contadino diverrà cittadino… Ve lo immaginate?>> Tutti si misero a ridere, squadrando la miseria degli abiti addosso al cuoco e immaginandolo per le vie cittadine dove tutti come minimo indossavano le scarpe o stivali e non certo gli zoccoli. Tra un boccone e l’altro tutti gli uomini acconsentirono, quelle patate erano davvero così buone da valer pure l’amicizia con un bifolco. <<E sia! Ermanno ti daremo una mano noi ad ambientarti.>> Urlò Paolo, felice come una pasqua, perché ciò significava che non avrebbe perso i contatti con Angela e anche lei si sentì leggera come una delle colombe con cui arrivano le notizie in paese. <<Padre, non mi avevi detto nulla….>> <
> I due si abbracciarono poi Ermanno chiese ad Angela di andare a prendere la bottiglia di cognac, regalo ricevuto dal prelato a capo del territorio in cui era incluso il paese di Caluzzo alla fine di una memorabile cena in canonica. A fine pasto la mostrò a tutti <
> <
> entusiasta esclamò Pietro. <<Ti ho sentito prima, volevi del cognac, vero?>> <
> Ermanno si mise in piedi su una sedia mentre Angela gli ò la bottiglia. <<E allora sia! Tu e i tuoi uomini mettevi in fila e ate sotto di me.>> disse quel diavolo di un cuoco, facendo segno con la mano che avrebbe versato il contenuto direttamente nelle loro gole. La cosa fece piacere ai moschettieri del re, abituati alla ferrea etichetta di corte o
alla dissolutezza dei bordelli. Uno dopo l’altro fecero doppio giro con la bocca aperta per riempirsi il gargarozzo e sentire la botta al fondo dello stomaco.Rimasero abbastanza sobrie solo le quattro guardie del turno di notte, due delle quali si appostarono all’esterno della locanda e lo fecero piuttosto a malincuore. La pioggia cominciò a rallentare la sua corsa verso la terra, lasciando sperare in un viaggio all’asciutto per la mattina successiva. Ermanno e sua figlia sparecchiarono e presero a pulire la sala da pranzo e la cucina da cima a fondo. Per loro non ci sarebbe stato sonno nella notte in quanto avrebbero dovuto racimolare le loro cose e preparare i bagagli, ma il cuore di Angela non ne sentiva il peso, era così eccitata dall’idea di andare a vivere in città. Ne aveva sentito parlare tante volte dagli occasionali avventori dell’osteria e riusciva a visualizzare nella sua mente la descrizione dei palazzi che asserivano essere addirittura di tre piani, visualizzava le chiese maestose con i loro dipinti e affreschi, sognava le donne borghesi per le strade con abiti pieni di merletti e ombrellini a protezione dal sole. Inoltre, non stava nella pelle pensando che avrebbe visto quasi tutti i giorni Paolo. Era il momento più bello della sua esistenza. Nel cuore dei giovani la vita è fascino, mistero, voglia di esplorare e tutte queste cose adesso Angela le avrebbe toccate con mano. Il sonnecchiante paese di Caluzzo come ogni mattina fu risvegliato alle sei, dai rintocchi del vecchio campanile, cui facevano il verso i canti dei galli. Le prime luci dell’alba cominciavano a intrufolarsi tra le case lasciando intendere l’arrivo della bellissima giornata di fine inverno. Il sole avrebbe guardato verso il mondo degli uomini, senza nuvole a ostacolarlo, cacciando a poco, a poco il vapor fumante della terra. <
> <<Padre, li porto subito.>> rispose lei poco prima di uscire dalla piccola stanza della mansarda. Chiudendo la porta lanciò ancora uno struggente sguardo a quello che era stato, dall’inizio dei suoi giorni il piccolo nido. Il letto modesto in un angolo con l’intelaiatura di legno su cui aveva inciso il nome, il comodino con il lume a petrolio, le tendine di lino grezzo, le ultime che aveva realizzato la madre. Tutto sarebbe rimasto lì, come ricordo della vita ata. Fece un “ciao” con la mano e poi esclamò: <
>, dopo di che prese i due sacchi di juta e sollevandoli a fatica cominciò a scendere le scale. Paolo, il primo a svegliarsi della guardia reale, se ne accorse, abituato com’era ad essere attento a ogni rumore anomalo. <<Signorina, lasci l’aiuto io.>> Con uno scatto felino nel corridoio le si ritrovò accanto. <<Molto gentile, messer …?>> <<Sono Paolo della famiglia Guidobaldo, moschettiere al servizio del re da cinque anni.>> <
> <<Sì, signorina, nonostante battaglie, attacchi di predoni e caccia a ladruncoli di vario genere, sono ancora qui.>> <
> Il
cavaliere sorrise, piacevolmente lusingato dal complimento ricevuto e subito aggiunse <
> <
> Lo sguardo di Angela in un attimo ò dal piacere di incrociare gli sguardi con quel giovanotto dai modi garbati, alla tristezza di aver perso la madre. <<Mi dispiace, Angela, posso chiamarla con il suo nome? >> <
> <
> Convenne lui <
> Paolo volle sapere di più, mentre scendevano le scale. <
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> <
> <<Mio padre andò a cercarla un paio d’ore dopo, non vedendola tornare. La trovò soltanto a tarda sera facendo tutto il possibile per farla rimettere in buona salute ma dopo due mesi i suoi polmoni cedettero, il freddo patito non le aveva dato scampo.>> <<E’ una storia triste, ragazza, la vita continua per i vivi e tu meriti tanto dal futuro.>> Angela si mise a piangere coprendosi il viso con la mano sinistra <<Messere mi lasci adesso, la ringrazio per il gesto gentile.>> singhiozzò. Ermanno nel frattempo, aveva preparato la colazione con latte e biscotti fatti il giorno prima. <
> <<Ma sì, sono buonissimi anche oggi, padre.>> Lui la osservò, la capiva, essendo carne della sua carne <
> <
> A quel punto l’oste abbassò lo sguardo, immergendo nella ciotola piena di latte caldo, un biscotto <
> Nella sua mente si era cristallizzato il ricordo di lei, dei suoi capelli, dei giorni della giovinezza. Da un lato era bello portarla sempre con sé nel cuore, dall’altra però rimaneva una ferita senza guarigione, una piaga incapace di sanarsi completamente, un dolore incancellabile. Qualche istante dopo, Ermanno, interpretando il ruolo di padre, si scrollò di dosso quel velo di malinconia e sorrise. <
> disse ad Angela riempiendole la tazza di latte fumante e avvicinandole il barattolo di miele <
> <<Papà, la rivedremo?>> Ermanno l’accarezzò sulla testa delicatamente puntando lo sguardo alla finestra da dove filtrava l’aria fresca del mattino e le prime frecce calde scagliate dal sole <
> Un’ora più tardi, consumata la colazione, tutta la guardia si ritrovò schierata per strada, messa in perfetto ordine dal maresciallo. <
> Il cuoco di Caluzzo non si fece pregare e in buon ordine, mentre la figlia era
intenta a servire a tavola il re e la sua famiglia, ubbidì. Dovettero aspettare un’altra ora prima che la regina fosse pronta a mettersi in cammino. Angela pulì per bene, come le era stato insegnato negli anni e correndo, salì sul carro, andandosi a posizionare di fianco al padre. Chiudere in modo definitivo l’osteria sarebbe spettato a lui, una volta che la famiglia reale fosse uscita. La carrozza del re era di legno raffinato, levigato e lucidato da mani esperte e nonostante, il fango, ispirava ammirazione in Ermanno, affascinato da sempre dalla tecnologia moderna. Quelle ruote con i raggi, la base a gradino per poterci salire comodamente, il sellino di guida capace di accogliere comodamente due persone una di fianco all’altra, il bagagliaio nella parte posteriore non lasciavano spazio a dubbi, soprattutto se confrontati con il misero carro di campagna. <
> Nella mente del cuoco di campagna la curiosità di ciò che avrebbe trovato a palazzo era davvero grande. Certe cose capitano una sola volta nella vita e adesso era giunto il suo turno. Avrebbe dovuto cucinare meglio del solito e ingegnarsi per rimanere nel favore del re, altrimenti tutto sarebbe potuto svanire nel nulla e il suo destino sarebbe stato di ritornarsene nel buco da cui era partito. In pochi minuti la voce della sua partenza si sparse per il paese e frotte di contadini curiosi cominciarono a girare intorno alla comitiva in procinto di partire. <
> Qualcuno domandava. Altri, volevano vedere da vicino a tutti i costi il re e la regina. <
> I bambini si spinsero fino a toccare i cavalli, neri ed elegantissimi, incaricati di condurre la carrozza; uno cercò addirittura di salire sul gradino della carrozza, venendo all’istante ripreso da una delle guardie che lo rimproverò in modo severo ma dolce e comprensivo. E finalmente ecco il re affacciarsi, acclamato dalle urla di gioia dei suoi sudditi. In effetti, fino a quel momento Filippo Anacleto, aveva governato il regno con pugno fermo ma morbido e aveva permesso a tutti di vivere in una povertà dignitosa. Per questo motivo il popolo ne aveva una buona opinione. <<Miei sudditi, il vostro re vi saluta e vi benedice!>> Intanto la regina, le damigelle e i bambini salirono dentro la comoda carrozza, accomodandosi ai posti designati, guardate a vista da guardie con la spada sguainata. <<Mi porto via il vostro cuoco. Siatene contenti, il suo talento ha portato lustro a questa landa desolata. A corte il vostro paese verrà menzionato!>> L’entusiasmo sembrava montare a vista d’occhio e coincise con il suono della campana annunciante ormai la nona ora del mattino. Ermanno scese e girò la chiave nella serratura chiudendo i battenti, risalendo poi velocemente al suo posto di guida. Il maresciallo aprì un varco alla comitiva, spingendo con il cavallo le persone a spostarsi a destra e a sinistra e non appena il re si fu accomodato in carrozza, gli uomini presero la strada di ritorno verso la capitale.
Il viaggio verso Villamonte
Circa mezz’ora dopo la partenza, Paolo scalò la sua posizione fino ad arretrare nell’ultima fila. Aveva in testa Angela, stregato dall’innocenza dei suoi occhi. Si guardò intorno, alcuni dei suoi compagni di ventura nascondevano sotto i baffi e la barba l’accenno di sorriso. L’amore, evento straordinario tra due anime e due corpi, come al solito per gli altri finiva per diventare oggetto di divertito ludibrio. <
> Domandò a quella meraviglia di giovanile femminilità. <
> <<Buona giornata anche a lei Ermanno.>> <
> Paolo sguainò la spada <
> Angela, sorrise piegando lo sguardo verso il basso; le sembrava così buffa l’ espressione dipinta in volto al suo spasimante. <<Paolo, ci metteremo molto a giungere a Villamonte?>> <
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> <<Speriamo, me la cavo con mestoli e pentole, ma non son capace di duellare né di usar la polvere da sparo, al massimo posso uccidere qualcuno con i miei intrugli.>> Paolo scoppiò a ridere, dando una carezza alla fluente criniera del suo cavallo nero. <
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> Paolo colpì con i talloni i fianchi del suo puledro, sventolando il cappello piumato in aria e si allontanò, veloce come il vento. Ermanno, un tantino perplesso dalla risposta, chiese alla figlia spiegazioni di affermazioni di tal sorta. <
> rispose lei, nascondendo alla mente del padre ciò che nel suo cuore era chiarissimo. Paolo stava parlando di lei e il suo istinto femminile glielo diceva a gran voce. La corte del re si mise in moto lungo la strada sterrata, lentamente. Davanti due uomini a scrutar eventuali problemi e dietro altri due prodi soldati per esser sicuri di non avere alle calcagna nemici e trafficanti. Questa era la prassi militare per tutelare la sicurezza dei re e del carico. Tutto sembrava trascorrere serenamente nella
tranquillità del giorno talmente soleggiatoda rendere onore alla bellezza del regno su cui vigevano le leggi e i decreti di Filippo Anacleto. Ma era solo apparenza, fin dal momento della partenza da Caluzzo, infatti, occhi indiscreti seguivano le loro mosse. La lotta per il potere spingeva, in quei giorni, molti baroni a non essere d’accordo con le politiche del re. Essi avrebbero visto di buon occhio sul trono un loro esponente. Assoldare uomini senza scrupoli e soldati mercenari non era mai stato un problema ed era proprio ciò che avevano fatto. Chi guidava la “loggia segreta dei baroni” era il cugino del re, Massimo degli Amiotti, erede di un patrimonio terriero talmente vasto da essere bagnato dai due mari che lambivano le spiagge a oriente e occidente del regno. Alle costole del re, pronto a intervenire, c’era Luigi de Bersane, suo braccio destro, <<E’ arrivato, padrone.>> <
> <<Sì.>> <
> Il servitore uscì e tornò immediatamente consegnandoglielo nelle mani. Luigi slacciò il fiocco che teneva legato il messaggio alla zampa sinistra del pennuto e srotolò la risposta. Solo una parola a cui rispondere senza indugio:“Attaccate ”. Era l’ordine da tempo atteso. Luigi de Bersane mise in fila i tagliagole che aveva assoldato: <
> <<E la regina? Cosa ci darai per la regina?>> <
> Luigi disponeva di venti uomini contro i dodici della scorta del re e aveva inoltre il vantaggio strategico di poter scegliere dove compiere l’attacco. <
> Il bosco aveva quel nome dato la fitta vegetazione che in lui viveva e si animava lascando trasparire a fatica anche la luce del giorno ma era un aggio obbligato per arrivare alla capitale, salvo che uno non avesse fatto una deviazione attraverso il valico a monte ando dalla “piana delle stelle alpine”. Molte storie raccontavano di presenze inquietanti al suo interno. Quale posto migliore per un attacco a tradimento? Luigi de Bersane era un abile soldato, la sorpresa e l’uso di armi in grado di colpire il nemico stando nascosti nella boscaglia, gli davano la certezza che l’operazione avrebbe avuto successo cambiando il corso della storia e il suo destino. Gli uomini si mossero, prima i briganti e pochi minuti dopo, a seguirli, il fido uomo di Massimo degli Amiotti. Veloci come il vento e silenziosi come serpenti guadagnarono la strada aggirando l’avanguardia del re. I cavalli sfiancati dalla fatica e madidi di sudore li lasciarono legati in una piccola radura.
Presero le balestre infilandosi immediatamente dopo il cappuccio nero. Sembravano tanti boia in processione verso il patibolo. Uno alla volta scelsero l’albero più adatto per colpire a tradimento. Luigi de Bersane, invece, con due scudieri si mise sulla vicina collina nascondendosi dietro alla quercia secolare che lì aveva messo radici. L’alto e largo fusto era l’ideale per osservare con il cannocchiale senza essere visti anche se l’intricata vegetazione del bosco non gli permetteva una visione completa della zona prevista per l’imboscata. Aspettarono tre quarti d‘ora prima che s’intravedesse l’avanguardia del re, sentendone la tensione. <
> disse il primo di loro in grado di osservare la strada. <<Mi raccomando, lasciamoli are, il bersaglio è il re.>> disse il più esperto del gruppo cui erano stati deputati il comando e la direttiva dell’operazione <<Mirate bene, non dobbiamo lasciare testimoni.>> I moschettieri non erano stupidi e i due uomini scesero da cavallo, sguainando le spade nel mentre che penetravano nella boscaglia. La loro missione era accertarsi proprio che non vi fossero sorprese inaspettate. <
> disse uno all’altro <
> I loro stivali spezzavano ramoscelli e foglie man mano che s’inoltravano e la luce si ritirava dalla strada. Tutto sembrava esattamente come doveva essere, non vi erano tracce di cavalli ati di recente, nessuno in vista e anche guardando verso l’alto gli uomini appostati erano così ben nascosti dal verde circostante e dalla penombra da essere difficilmente individuabili. <
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> gli rispose il compagno con l’espressione spavalda di chi sostiene di non temere niente e lo salutò con la mano sventolante per aria fino a vederlo sparire in direzione dei cavalli. In realtà era voluto restare perché sentiva l’impellente necessità di liberarsi dal peso che aveva sullo stomaco e quale posto poteva essere più adatto per defecare se non un bosco fitto? Si slacciò il cinturone, mettendo per terra la spada. Poi si calò le brache, cercando la concentrazione giusta per arrivare a un risultato soddisfacente. Quello fu l’ultimo suo pensiero, trafitto dall’entrata violenta di un dardo nella schiena. Non fece tempo nemmeno a gridare di dolore che stramazzò a terra, imbrattando il suo stesso deretano con l’evacuazione compiuta. <
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> Due dei briganti scesero velocemente dagli alberi su cui erano appollaiati e trascinarono il corpo più distante in una zona dove nessuno avrebbe potuto vederlo, poi lo spogliarono e uno di loro ne indossò l’uniforme andandosi a porre appena fuori dal bosco ben in vista. Da lontano sarebbe sembrato uno della scorta e avrebbe
tratto in inganno gli uomini del Re. Nel frattempo l’altro moschettiere giunto a destinazione autorizzò il procedere della comitiva. <
> <
> <
> Lentamente la carrozza del re procedeva lungo il sentiero in mezzo alle campagne. Pochi minuti e sarebbe arrivata in vista della boscaglia. Pietro e Paolo si guardarono come tante alte volte era già successo in precedenza. <
> fece notare Pietro al suo amico e compagno, rendendo acuto lo sguardo. <
> <
> I due si portarono davanti alla comitiva, raggiungendo il maresciallo e facendolo fermare. Il re da dentro la carrozza provò un moto di disappunto e si affacciò dal finestrino laterale <
> Paolo riferì al comandante delle guardie che sarebbe stato opportuno fare un’ulteriore esplorazione del bosco e lui, subito, lo riportò al re. <
> <
> <<E sia!>> Intanto dalla collina Luigi di Bersani si sentiva ansioso, molto ansioso. La pausa imprevista del re lasciava presagire che non tutto stava procedendo secondo quanto previsto. <
> gridò con un gesto di stizza. Continuava a muovere il cannocchiale, scrutando in direzione del bosco dalla destra e dalla sinistra della quercia, cercando di capire cosa diavolo stesse accadendo. Pietro raggiunse il carro di Ermanno e gli chiese di andarsi a disporre davanti a tutti sorando, addirittura la carrozza reale e di fronte alla sua richiesta di spiegazioni non gli disse altro che: <<E’ per motivi di sicurezza.>> Angela, si sentì preoccupata. <<Padre che succede?>> <
> Paolo non appena si rese conto di quanto stava accadendo, scalciò il suo purosangue andando a chiedere al Maresciallo il permesso di stare vicino al carro su cui sedeva Angela. Aveva uno strano presentimento e avrebbe fatto qualunque cosa perché la vita non gli spezzasse il sogno d’amore che covava nel profondo. <
> Non appena autorizzato, mise le ali al suo puledro e affiancandosi al carro dal lato dove era seduta lei. <<Ermanno, ho paura che faremo brutti incontri, tenetevi pronti. Avete qualcosa per combattere o ripararvi?>> <
> <
> Lei sorrise, compiaciuta dell’interessamento di Paolo. Strane le donne, per un breve istante l’ansia e la paura erano state cancellate dal pensiero dell’amore.
Poi, però, comprese la gravità della situazione e si mise seduta nella posizione più riparata sul carro. Entrarono dunque, in quel groviglio di natura e vita pulsante, con fare circospetto e le spade sguainate, pronti a difendersi in caso di assalto. Sui volti, traspariva chiaramente dipinta la tensione e la paura, perdere la vita avrebbe potuto essere questione di un attimo. Dopo pochi minuti si ritrovarono proprio sotto la zona di tiro dei balestrieri. <
> confessò uno dei moschettieri dell’avanguardia al suo compagno ma non fece tempo a finire la frase che venne trafitto da una freccia all’altezza della gola, facendolo cadere all’indietro dal cavallo. <
> gridò l’altro, buttandosi a terra nel mentre che cercava riparo dietro a un grosso faggio. Una pioggia di dardi cominciò a cadere sulla carovana colpendo altre guardie e facendo imbizzarrire i cavalli. Le loro grida di dolore arrivarono fino al re e alla regina che si abbracciarono, preoccupati di tanta violenza. Paolo allora urlò a Ermanno di girare il carro come meglio poteva e di tornare indietro. Angela si stese per terra e sentì battere forte il cuore come non aveva mai provato prima. Il maresciallo anch’esso colpito a un braccio prese le briglie dei cavalli della carrozza reale e a tutta forza, dopo averne invertito la marcia, li lanciò al galoppo. <
> <
> <<Maestà non ora, dobbiamo allontanarci in fretta.>> Ad uno a uno i moschettieri rimasti nel bosco caddero colpiti a tradimento dai briganti. Paolo fu l’unico che riuscì a ucciderne uno lanciando il pugnale che aveva in dotazione. La situazione era davvero critica. Poi sparì nel bosco, subito seguito anche da Pietro. <
> In un frenetico giro largo, i due fuoriuscirono dalla boscaglia, graffiandosi viso, gambe e braccia a causa dei fitti rami, ma erano scampati alla morte e questo era ciò che importava. Lanciarono dunque anch’essi i loro destrieri in una folle corsa per raggiungere velocemente i compagni di sventura. Sette dei loro colleghi della scorta giacevano per terra e non sarebbero più tornati alle loro case, alle loro famiglie. <
> Luigi de Bersane era furibondo, vedendo il re scampato all’agguato. <<Scappano come tante galline.>> Al tempo stesso ce l’aveva anche con i suoi uomini <<E dire che avevo detto loro di aspettare! Stupidi hanno balestrato troppo presto! Il re è ancora vivo.>> Nella carrozza la regina, portati al grembo i figli, li strinse a sé ma non poté fare a meno di mettersi a piangere. Una corsa forsennata per oltre mezz’ora fino a quando il maresciallo non reputò di essere al sicuro, almeno nel breve periodo. <<Paolo e Pietro date un’occhiata in giro, intanto che mi tolgo questa.>> Egli era un uomo d’armi abituato al dolore fisico. Si allontanò giusto una decina di metri per non essere visto dalle donne, poi prese con decisione la coda della freccia conficcata nel braccio sinistro e, tirando con forza, la estrasse
emettendo un grido che parve quello di un indemoniato. <
> Ermanno era rimasto senza parole fino allora, avendo subito tutto il peso della situazione psicologica. Non si era mai reputato un uomo d’azione, il suo unico desiderio era sempre stato quello di vivere una vita semplice e tranquilla ma adesso comprendeva di dover fare qualcosa di più. Scese dal carro e si avvicinò alla carrozza del re portando una bottiglia d’acqua e delle coppe di terracotta. <<Sire, tutto bene? Bevete qualcosa, lei e la sua signora.>> <
> <<Siamo vivi e questo è quello che importa.>> Poco distante, Angela, da supina, si mise in ginocchio sbirciando fuori dal carro, il cuore le batteva ancora forte. Finalmente arrivò Paolo a rapporto. <<Maresciallo sembra che non ci siano venuti dietro, ma di certo dal bosco non possiamo are.>> <
> <<Siamo rimasti in pochi.>> obiettò Paolo. <
> <
> saltò su Ermanno. <
> <
> Il maresciallo sorrise poi diede il suo assenso all’idea. <<Paolo, questa sera prima del tramonto, quando ci fermeremo, tira qualche colpo con il cuoco e speriamo in Dio!>> <
> Nel frattempo Angela, resasi conto di quanto fosse sanguinante il braccio del capo delle guardie, impugnò un coltello e tagliò una striscia del suo lenzuolo migliore, dopo di che prese una bacinella d’acqua e gli andò incontro per fasciarlo alla meglio. <
> Lei sorrise con grazia, e una volta fattogli togliere la casacca della divisa lo pulì e lo fasciò abbastanza stretto nella speranza di contenere l’emorragia. <
> ordinò il Maresciallo infine la ripartenza e la comitiva si mise in viaggio verso il suo destino. Degli uomini erano morti, vittime della vigliacca aggressione e la meta purtroppo appariva ancora molto distante. Il re però confidava in quegli uomini e nella loro fedeltà. Sapeva che gli volevano bene e che si sarebbero battuti fino alla morte per lui e la sua famiglia e ciò mitigava molto la paura istintiva dovuta alla situazione. Il cielo cominciò ad annuvolarsi, ormai era quasi ora di pranzo, tuttavia decisero di proseguire ancora per allontanarsi il più possibile da luogo dell’agguato e per raggiungere un luogo più facilmente difendibile. Nel bosco, nel frattempo, i briganti erano, scesi sul sentiero a prendersi il bottino custodito nelle tasche dei moschettieri uccisi. <
> disse uno di loro facendo la conta dei morti. <<Sette, ne abbiamo infilzati sette.>> Ridevano tra di loro soddisfatti della bravata commessa e continuarono a farlo fino a quando non videro il volto di Luigi di
Bersane. Una maschera di disprezzo che lo costringeva a storcere tutto il viso. <
> Il più sveglio del manipolo di manigoldi saltò su:<<Sono rimasti in pochi, li prenderemo.>> <
> Luigi di Bersane, uomo molto ambizioso, sapeva che se avesse portato a termine il suo compito Massimo degli Amiotti, una volta preso il potere della corona, gli avrebbe concesso fama e terre, molte terre. L’avidità era diffusa fra i nobili di corte sempre pronti a cercare di trarre vantaggio da ogni situazione ma lui si distingueva per la sua insaziabile fame dei peccati della vita. Luigi era davvero un uomo in vendita al miglior offerente e non ci avrebbe sicuramente messo molto a are sotto un’altra bandiera se il vento fosse cambiato. I briganti presero la via, seguendo le tracce lasciate dalla carrozza del re e tirando il cuore ai cavalli per cercare di raggiungerli, al più tardi, alle soglie della notte. Ermanno, nel frattempo, era alle prese con il bivacco improvvisato sul colle delle “aquile pensanti”, così soprannominato per l’intravedersi spesso del volare alto e in circolo di questi predatori. Doveva trattarsi, di una zona di caccia particolarmente ricca e vicina a dove i rapaci erano soliti nidificare. Spettacolare risultava la vista degradante sulle campagne e sui boschi sottostanti, ma soprattutto si trattava di un posto senza nascondigli per un centinaio di metri all’intorno. Difficilmente qualcuno si sarebbe potuto avvicinare senza essere notato. <
> Ermanno prese a grattarsi la testa cercando un’idea che non fosse il solito pane, salame e formaggi. Tutti erano provati e per certi versi, presi da sconforto e sicuramente una cena, degna di questo nome, avrebbe potuto rasserenare gli animi. Fu proprio in quel momento che Angela venne a rapporto chiedendo quali incombenze avrebbe dovuto sbrigare. <<Padre, tua figlia è qui per osservare le indicazioni che vorrai impartirle.>> <
> Salendo, infatti, a Ermanno era caduto l’occhio su dei germogli familiari, mischiati con il verde e il giallo della gramigna e adesso voleva averne la certezza. Prese dunque un cestino di paglia intrecciata e si allontanò, seguito con lo sguardo da quello che era rimasto della guardia reale. La regina, dal canto suo, aiutò a scendere dalla carrozza i piccoli eredi, il frutto dell’amor di carne con il re. Prima uno e poi l’altro e infine lasciò sfilare le sue lunghe gambe fino a sentire il terreno sotto i piedi andando in direzione della vicina betulla i cui rami cadenti erano attraversati da un lieve vento. Ogni tanto traspariva un raggio di sole pallido ma comunque sufficiente per spingere i bambini al gioco. Il re invece non scese, ma si mise a leggere, brani della bibbia che raccontavano versi di Davide all’Iddio Onnipotente. Lo fece ad alta voce,
per sfogare la tensione patita e per incoraggiare gli animi. Probabilmente, in cuor suo, pregava, chiedendo aiuto a un re più grande di sé. Ermanno, inspirò aria nei polmoni per avvertire gli odori sparsi nell’aria. La natura era lì a portata di mano, quasi a manifestare la grandezza e la generosità di un creatore che aveva sparso cibo in ogni dove e la cosa lo inebriava. Il suo sguardo si accese di piacere quando notò, fra le altre, un’erba verde dalle foglie abbastanza larghe aggrappate lungo una spina centrale e un picciolo poroso. <<Ti ho trovato, Buonenrico.>> La sua esperienza e la povertà subita negli anni della giovinezza, unita ai ricordi dei vecchi avevano lasciato, da sempre, impresso nella sua mente quanto quell’erba fosse commestibile e buona con un sapore molto simile a quello dei più nobili spinaci. Con delicatezza e rispetto, impugnò il coltello a serramanico e iniziò a tagliare i gambi più teneri e più giovani riponendoli con la grazia di un raccoglitore di rose nel suo cestino. <
> Poi, un lampo nella mente, il ricordo improvviso del pizzicore delle ortiche quando la mamma lo mandava a raccoglierle lungo i sentieri dei campi. Si ricordò di un’antichissima usanza che si praticava nei giorni di festa della sua infanzia; i bambini del paese venivano mandati dai genitori a raccogliere la pungente pianta selvatica ed essi tornavano con le mani piene di bolle, continuando a grattarsi le dita tutto il giorno. I racconti dei vecchi sostenevano che le punture fossero una sorta di vaccinazione contro le malattie e che il dolore si sarebbe trasformato in benessere. Allora Ermanno osservava le donne del paese, pulire e poi buttare nei pentoloni le verdi erbe urticanti raccolte, le quali come per magia, nel ribollir della cottura finivano per diventare compagne saporite del risotto campagnolo. Adesso erano lì davanti a lui e non avrebbe avuto particolare importanza sentire di nuovo quel pizzicore della giovinezza. <
> Provò piacere sentendo sulle dita di nuovo il dolore antico impresso nella memoria; ci si buttò proprio dentro le chiazze di verde più scuro delle ortiche con l’impeto e la determinazione della giovinezza. Paolo lo vide rientrare con tutto il fascio d’erba raccolta e curioso, gli andò incontro. <<Ma sono ortiche!>> <<Sì, cavaliere.>> <
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> Era così convinto e determinato Ermanno nella sua affermazione, da impedire qualsiasi obiezione contraria da parte di Paolo. Il tempo stingeva, il sole era al di là della metà del cielo e puntava dritto verso l’occidente, ma le mani del cuoco erano esperte e rapide. In una trentina di minuti, spiegata la tavolaccia dei moschettieri sotto un cielo tra il blu e il grigio si ritrovarono alla stessa tavola il re e la sua famiglia assieme a quello che restava della guardia e la figlia del cuoco. L’ultimo ad arrivare con la
pentolaccia bollente tra le mani fu proprio Ermanno. In quel momento, vedendo i volti affamati e curiosi dei commensali, si sentì felice quasi come se il re, per un breve attimo, fosse diventato lui. Nelle sue mani, un risotto giallo e verde, fumante e ben mantecato con olio casareccio, invogliava ad annusare l’aria per pregustarne il sapore. <<Ecco qua.>> disse, posando la prelibatezza che aveva cucinato al centro del tavolaccio improvvisato. <
> Esclamò il maresciallo lanciando lo sguardo a quello che era rimasto della guardia reale; ma subito il re, con grande magnanimità, mosse frettolosamente il fazzoletto che teneva nella mano sinistra. <
> <<Ma sire….>> <
> Il maresciallo si alzò in piedi sulla sedia e ruotò la spada in aria, il tipico segnale per richiamare alla base il suo uomo e Pietro, pur stupito, non se lo fece ripetere due volte. La fame era fame e il suo stomaco non faceva eccezione. La regina fu la prima a essere servita da Angela e ad affondare la sua posata nel riso caldo fumante. Il profumo era così strano, sapeva di selvatico ma addomesticato sapientemente, di erba piegata ai piaceri della tavola. <<Buonissimo riso, Ermanno, ma non riesco a capire con cosa è fatto, sento della cipolla, del formaggio, un pizzico di sale ma la verdura… non assomiglia né alle coste e nemmeno agli spinaci….>> <<Sono ortiche milady!>>sorrise Ermanno. Il Re assieme agli uomini della scorta rimase stupito. Mai si era sentito parlare di ciò nei lunghi anni trascorsi in città. <<Ma non pizzicano, anzi sono dolcissime.>> lo sguardo compiaciuto della regina spinse tutti gli altri ad affondar la forchetta nel riso e a portarlo velocemente alla bocca. La curiosità era forte come l’assaporar un rhum appena arrivato dall’estero. <
> sentenziò il maresciallo, subito seguito dai commenti divertiti di Paolo e Pietro <
> <<Se non lo sentissi con la mia lingua non ci crederei.>> Anche i figli di Filippo Anacleto cominciarono a mangiarlo con gusto. Il vino sciolse la lingua un po’ a tutti. Il re si sentì incuriosito da quei piatti strani e volle conoscere meglio il cuoco. <<Ermanno, mi spiace che anche tu sia coinvolto in questo pazzo viaggio e subisca le condizioni di quello che è successo.>> <<Sono al suo servizio e lei è un buon re, la seguirò ogni volta che me lo chiederà.>> <
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> A quel punto intervenne Paolo, trangugiando di fretta il boccone di riso <
> Angela sorrise e si alzò andando a versare altro vino nel calice del suo amato. <
poco…, dobbiamo stare desti, siamo in pericolo, non voglio ubriacarmi.>> <
> rispose lei, mentre le guance le si accesero per imbarazzo. Il re cercò di sapere di più sul cuoco: <<Sei senza moglie, eppure sei ancora un uomo pieno di potenza, perché dunque non hai ripreso una compagna?>> Ermanno ci mise qualche secondo a rispondere, non era facile raccontare di sé, da uomo schivo e silenzioso faceva fatica ad aprirsi, figuriamoci di fronte al re e alla sua unica figlia che, curiosa, gli girò contro gli occhi. <<E’ il mio cuore che non me lo permette, lei non se ne è mai andata.>> La regina intervenne, asciugandosi il palato unto con un tovagliolo di lino grezzo <
> <<Era i miei giorni, la mia carne, il sorriso e il pianto, la vita dura sembrava essere comunque favola da vivere.>> <
> chiese ancora il re. <
> <<Sei contento di venire a corte?>> <
> Il re sorseggiò un sorso di vino dal suo calice, inclinando poi la testa verso destra e puntando, di nuovo, la mano in direzione di Ermanno. <<Mi sembra giusto, tieni presente, però che non è tutto oro quello che luccica, spero che tu ti abituerai alla città, ai suoi ritmi, alle regole.>> <
> Concluse Ermanno, facendo cenno con il sopracciglio alla figlia di andare a prendere il salame, la pancetta assieme agli “spinaci di campagna” bolliti e saltati con olio d’oliva e l’aglio ruspante. <<Sire di secondo ho preparato solo questo, mi deve scusare, è ciò che ho potuto fare.>> Il maresciallo intanto continuava a grattare con il pane i resti del riso attaccati alla terracotta e anche se non si era pronunciato più di tanto, bastava vedere i suoi baffi per rendersi conto che aveva apprezzato. Eccome se lo aveva fatto. Pietro fu il primo ad alzarsi per andare a scrutare al di là della collina. Il batter di zoccoli in lontananza era il presagio atteso. Il branco di assassini stava arrivando. Lanciò quindi il cavallo alla corsa e tornò verso il suo re. <<Maresciallo, arrivano, dieci, forse dodici uomini.>> Sentendolo il capo della guardia esclamò <
> <<E tu?>> <
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> Rispose il fedele servitore di tanti anni. <<Ermanno via, presto! Prima il carro della famiglia reale e poi il tuo!>> Il cuoco non se lo fece ripetere due volte, c’era in ballo anche la vita di sua figlia. Fecero volare le vettovaglie per terra, abbandonando tutto. La regina si portò i figli vicini al ventre materno e si
mise a pregare guardando suo marito prendere il posto del cocchiere e dare il via, con le briglie, ai cavalli. Paolo lasciò loro prendere qualche centinaia di metri di vantaggio e si accodò, osservando con la coda dell’occhio i due uomini coraggiosi. Non aveva nemmeno potuto salutarli, visto il trambusto e l’emergenza di fuga. Sapeva però che erano valorosi e grandi combattenti, immuni dal comune senso di paura e sopravvivenza. Quello sarebbe stato il loro ultimo duello. <
> ordinò il Maresciallo <
> <<Eccomi, capo.>> I due compagni d’armi sguainarono a quel punto le spade proprio nel momento in cui all’orizzonte comparirono le prime sagome di uomini e cavalli. <<Sai una cosa maresciallo? >>saltò su, inaspettatamente, Pietro, lasciandolo sorpreso. <
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> Sorrise il maresciallo, li aveva saputi scegliere bene i suoi uomini, pensando che in fondo non conta quanto si vive ma come si vive. La correttezza e la serietà mostrati negli anni lo stavano ripagando appieno proprio adesso che erano ormai a pochi metri i nemici. Subito mostrò il suo brutto muso Luigi di Bersane allungando verso la fronte il sopracciglio destro. <