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Malusa sca

Julian

Julian

Malusa sca

Edizione aprile 2015

ISBN 9786050369298

Autopubblicato con Narcissus.me

www.narcissus.me

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Edizione digitale realizzata da Simplicissimus Book Farm srl

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ISBN: 9786050369298

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Indice

PROLOGO CAPITOLO 1 – IL RACCONTO CAPITOLO 2 – LA DIAPHANA CAPITOLO 3 – L’UMANA CAPITOLO 4 – ALLA SPIAGGIA CAPITOLO 5 – IL RAGAZZO DELLA PERGAMENA CAPITOLO 6 – IMPENSABILE CAPITOLO 7 – IMPRIGIONATO CAPITOLO 8 – L’UNICO SGUARDO NEL VUOTO CAPITOLO 9 – FUMO NEGLI OCCHI CAPITOLO 10 – FINALMENTE UNA VOCE CAPITOLO 11 – L’ANTICO EDEN CAPITOLO 12 – CHI VIENE PUNITO CAPITOLO 13 – LA CONOSCENZA CAPITOLO 14 – IL VIAGGIO CAPITOLO 15 – LA FINE CAPITOLO 16 – E’ SOLTANTO L’INIZIO Ringraziamenti

PROLOGO

Scesi in quel luogo per la prima volta da quando del ricordo ne ho memoria, e tra i mille volti nemici lo vidi, lui, demone arrabbiato e combattivo il cui unico scopo era uccidermi. Lo vidi, aveva lineamenti troppo fini e delicati per quel luogo maledetto dal mondo e mentre si avventava su di me, capii che non ce l’avrei fatta.

CAPITOLO 1 – IL RACCONTO

Era, per me, un giorno come mille. “Salve Julian” Ismael mi salutò con un gran sorriso stampato sulle labbra, “Qualche altra preoccupazione mattutina? Ormai non riesci a goderti un po’ di pace da settimane!” disse ridendo. “Solo perché non sto con te a parlare di guerra non significa che io non stia bene” ribattei con lo stesso tono vivace ed . Si divertiva molto a prendermi in giro, a lui interessavano i pianeti vecchi, quelli in cui le battaglie erano state rovinose, non un neonato come la Terra, trovava gli uomini ‘rozzi’ e poco divertenti. Eravamo cresciuti insieme fin da bambini anche se eravamo molto differenti: io ero sempre stato molto più riflessivo, mi chiudevo spesso in me stesso e avo molto tempo ad ascoltare le storie degli Anziani; mentre lui era sempre stato attivo, ascoltava le richieste ed eseguiva i comandi, non stava fermo un secondo ed era sempre pronto ad imparare. Eravamo stati spesso in disaccordo su quali fossero le questioni importanti, soprattutto parlando della Terra e dei Sistemi Stellari più vecchi, ma rimaneva comunque il migliore amico che potessi avere: lui mi capiva. “Cosa ti va di fare oggi?” chiese Ismael ed io risposi sedendomi accanto a lui sul terreno morbido e fresco. La cosa non lo sorprese affatto, io un po’ lo feci di proposito, tanto che mi guardò e rise:”certo che con te diventerò vecchio prima del tempo!” “Non dire stupidaggini, prima o poi ce ne andremo da qui, godiamoci il tempo che c’è”. Non rimasi in silenzio a lungo perché Ismael si stava alzando per andare, probabilmente stufo di dover rimanere con le mani in mano, perciò lo chiamai per chiedergli un parere a proposito di un discorso che avevo affrontato qualche

giorno prima con gli Anziani. “Ismael, posso chiederti una cosa?” “Vuoi trattenermi? Sappi che le domande non mi faranno restare qui” rispose ridendo. “Ieri sono stato da Joseph, l’Anziano” “Julian!” replicò subito lui, “te l’ho detto che non devi are troppo tempo con loro...” “Si, scusami, ma ascoltami, mi ha raccontato la storia della creazione degli uomini, di quando, dopo lunghissimi tentativi riuscì a creare il primo e il secondo, di come poi i loro figli avessero tradito Dio e di come Lui cercò un modo per riaverli con sé, sai, con le sfere”. “Non la conosco questa storia, raccontamela.” Disse Ismael risedendosi a terra, ne rimasi un po’ sorpreso: avevo catturato la sua attenzione. “ Quando Lui creò l’Universo si innamorò della Terra, ma qualcosa, in quella perfetta visione, mancava ai suoi occhi” cominciai a raccontare, “così creò gli animali e tutto sembrava avere preso vita ma comunque nel suo cuore sentiva il bisogno di qualcosa di più simile a Lui, qualcosa che lo rappresentasse. Dopo svariati tentativi riuscì a completare il nuovo Pianeta, proprio come aveva fatto con tutti gli altri esseri e con tutti gli altri Universi. Tutto da quel momento girava attorno alle Sue nuove creature e quasi dimenticò gli altri Pianeti. Creò un uomo e lo chiamò Adamo e creò una donna e la chiamò Eva. Joseph mi ha detto che lo chiamò e che alla sua vista rimase atterrito, la sua luce era fioca, come il sole in una giornata di inverno mentre tenta di rinforzare la sua luce ma le nubi non glielo permettono. Joseph non capiva cosa fosse successo ma poi Dio gli spiegò che la donna aveva fatto delle domande sulla creazione e che uno dei Suoi angeli gli aveva dato le risposte, ma gli uomini erano ancora troppo giovani per poter capire la vastità dell’Universo e così Eva era crollata per l’ incapacità di reggere tutto quanto. Joseph dice che Dio fece un errore nel creare gli uomini: nel loro cuore mise una piccola sfera, luminosa e opaca, grande quanto un granello di pepe, nella quale

vortica incessante un vento. Esso era il Suo alito di vita e grazie alla piccola sfera il cuore degli uomini poteva cambiare, non erano più creature ferme, avevano la possibilità di scegliere. Più imparavano a scegliere e più la sfera cambiava colore, sai, ora non si nota più, ma all’inizio dei Tempi la sfera illuminava il cuore degli uomini, e più facevano scelte sbagliate, più il loro cuore brillava scuro e tenebroso. Nonostante questo Dio continuò ad osservarli e proteggerli. Ai loro figli mandò noi. Il primo figlio dell’uomo era il protetto di Joseph, e la sua sfera brillava serena. Era troppo innamorato per accorgersi che con il tempo la sfera aveva iniziato ad oscurarsi. Non se ne accorse: Caino uccise suo fratello. Solo allora tutti si resero conto che gli uomini continuavano a deluderLo e a deluderci. Il suo protetto chiese perdono al cospetto di Dio ma questo certo non cambiò le cose. Joseph portò Abele nel Regno dei Cieli, insieme a noi. La sua sfera non brillava più. Ma l’amore a volte sorprende anche noi e Abele chiese a Dio di potersi prendere cura della stirpe di suo fratello, nonostante tutto. Questo gesto d’amore portò finalmente un po’ di gioia nel cuore di Dio, e infondo non tutte le sfere degli uomini sono destinate ad annebbiarsi. Joseph mi raccontò che dopo quegli episodi Dio decise di non mostrarsi più agli uomini, che sarebbe stato meglio mettere una certa distanza tra Lui e loro e con Lui nascose anche noi Angeli. Ci rese voci nella Terra ed è per questo che noi non possiamo andarci, capisci Ismael?. I racconti degli Anziani su di Lui sono sempre stati così meravigliosi, idilliaci, e per questo desideravo vederlo così ardentemente che quasi mi vergognavo della sensazione di necessità che sentivo. Lui sapeva per certo chi ero io, è Lui a scegliere il Suo esercito, ma io non sapevo chi era Lui e per quale motivo avesse scelto me. Sapevo che mi amava; ma a volte questo non bastava. Le mie riflessioni vennero interrotte da Ismael che per quei secondi mi aveva fissato incredulo per il mio silenzio. “Julian, è per questo che sei così preoccupato? Io non credo che per questo tu non avrai mai la possibilità di andare giù nella Terra. Molti angeli ormai sono di stanza in Pianeti così lontani che noi non conosciamo nemmeno. Certo io non

spero questo per me, ma tu si.” “Non capisco perché debbano essere così stupidi!” “Lo sai che gli uomini sono molto inferiori rispetto alle altre creature della Creazione, lo sappiamo entrambi, ma non so da dove nasca questa tua fissazione per loro, prima o poi arriveranno anche loro alla consapevolezza che hanno gli altri popoli di Dio, ma temo che dovranno toccare il fondo ancora parecchie volte prima di poterci arrivare...” “Se solo noi potessimo parlare con loro... spiegarglielo...” “Non scherzare, sai che è proibito! Peggioreresti le cose a loro e a te stesso. Ricordi l’ultima volta che gli Angeli hanno provato ad aiutarli? Ecco.” Ismael si riferiva di certo alle civiltà umane più antiche, quelle prima del Figlio di Dio. Era successo che alcuni Angeli avevano provato a parlare con gli uomini per aiutarli nella creazione di una civiltà che potesse raggiungere la tranquillità che ormai avevano raggiunto i Pianeti più vecchi. Ma spaventati da noi, gli uomini avevano creduto che gli Angeli volessero la loro sottomissione e avevano fatto di ogni angelo che era andato lì ad aiutarli un Dio. Avevano creato idolatri nonostante gli angeli fossero creature al servizio di Dio. Avevano eretto templi e sacrificato animali per loro e ancor peggio, combattevano guerre in nome dei loro dei. Ismael aveva ragione, gli uomini erano proprio degli idioti. “Si, va bene” risposi ad Ismael che si alzò prontamente dall’erba e mi disse: “ci vediamo più tardi Julian.” E mi sorrise allontanandosi.

CAPITOLO 2 – LA DIAPHANA

Ero seduto tranquillamente all’ombra di un pino, sulla riva del laghetto delle Trasparenze. Le specie di pesci, animali acquatici e terreni più belle e quelle ormai estinte da chissà quanti millenni nei Pianeti erano tutte li, chissà se gli uomini ne avevano mai viste o se alcuni animali erano addirittura più vecchi del genere umano. Ismael mi aveva detto che alcune erano ancora presenti nella parte di Universo alla quale lui si interessava di più. Era davvero una giornata splendida, il Sole qui era molto più vicino che nella Terra, tanto vicino che si vedeva ogni piccola macchia sputare fuoco, così vicino che potevo percorrere le scintille di fuoco disperdersi tra le stelle, anch’esse infinitamente nitide e belle anche alla luce del giorno. La luce del sole splendeva limpida nel cielo, il suo calore ava dolcemente tra le foglie degli alberi e lo potevo sentire nella mia pelle, leggero come il volo delle miriadi di farfalle che volavano tranquille. Me ne stavo rilassato con una mano che sfiorava l’acqua trasparente e senza fondo, attraverso il quale vedevo le nuvole sotto di me, quando sentii il o leggero di un Angelo, il rumore dei i era spezzato solo dal tintinnio del ferro simile al suono di una camla. Avevo sempre sentito parlare degli Arcangeli ma non ne avevi mai visto uno. Non capivo per quale motivo Gabriel dovesse venire proprio da me quando era chiaro che non era venuto li solo per godere di un po’ di pace. Avanzava verso di me con l’uniforme da soldato scintillante e tintinnante, coprendo ogni altro suono. L’armatura splendeva argentea alla luce del Mondo. Una Gladio di fumo usciva dalla fodera del corpetto battuto con le storie dei Pianeti nei quali il soldato aveva combattuto. I suoi capelli scuri erano mossi leggeri da piccoli soffi di vento che venivano dal terzo Pianeta del Sud, i lineamenti del suo viso erano perfetti, non una ruga, non una sola traccia del tempo rigavano la bellezza del guerriero. I segni e i dolori del Tempo non avevano avuto effetto su di lui, sempre giovane, nonostante fosse forse il più vecchio di noi.

Gabriel continuava ad avanzare e più si avvicinava, più vedevo chiaramente la frase ripetuta più e più volte come un marchio nella spada, la Gladio, nell’armatura e nelle braccia fasciate del ferro forgiato da una stella morente. Impressa a simboli Cuneiani c’era la scritta: In Spe Fides Tolsi la mano asciutta dall’acqua chiara e mi alzai in piedi per salutare l’Arcangelo, ma prima che potessi dire qualunque cosa iniziò lui: “Buonasera Julian, sono qui per volere di Dio, sono ati cinque decadi e Lui crede che tu sia pronto per prenderti cura di una creatura”. Non potevo credere a ciò che sentivo, finalmente avrei potuto scoprire il Mondo e chissà quale Pianeta e chissà quale creatura. Mille pensieri mi balenarono in mente, chi sarebbe stato il mio protetto? Di quale parte dell’Universo? Avrei voluto fosse… “Un’umana, si chiama Andrea, è nata ieri e ti sta già aspettando” concluse Gabriel. Finalmente sarei potuto andare sulla Terra, creata con così tanta cura! Finalmente avrei potuto smettere di guardare gli uomini da lontano attraverso il terreno che, filtrando le nuvole, mostrava il mondo al di sotto di sé. Gabriel mi diede un piccolo amuleto da mettere al collo, era un triangolino un po’ troppo a punta, ali di farfalla chiuse, trasparenti con delle leggere venature rosse come le foglie. Sembravano di carta e di vetro insieme e quando misi al collo il piccolo triangolino aderì perfettamente alla mia pelle. La catena era trasparente così che le linee rosse sembravano un tutt’uno con me stesso. “Vado” fu la mia unica risposta.

CAPITOLO 3 – L’UMANA

Quando mi voltai Gabriel non c’era più, sentii una grande forza calda e chiara attraversarmi il corpo a partire dal punto in cui la diaphana si congiungeva alla pelle e partii. La strada per la Terra non era difficile, nè lunga, ma mentre la percorrevo mille pensieri mi attraversarono la testa. Non avevo nemmeno salutato Ismael, forse Gabriel sarebbe andato anche da lui. Mi dispiaceva non poterlo rivedere ma in fin dei conti, una vita per gli uomini a molto in fretta per noi angeli, quando la bambina sarebbe morta, sarei potuto ritornare quassù. Stavo percorrendo la via quando iniziai a sentire il mio corpo sempre più leggero, non sentivo più il mio cuore battere, tutto diventava più freddo. Non avevo mai avuto paura , lassù non ce n’era mai stato bisogno, non avevo mai avuto occasione di provarla, era tutto perfetto li, perché provare paura quando si vive nel cuore dell’Universo? Eppure riuscivo a riconoscerla, sentivo la paura dentro di me nello smettere di sentire il battito del mio cuore così familiare. Non capivo. Attraversata l’atmosfera terrestre il cuore cessò completamente di battere, improvvisamente, inaspettatamente il mio corpo si disciolse e di me rimase solo la voce dei miei pensieri. Venni scosso dal vento come una foglia in autunno, ero così leggero che non riuscivo a sottrarmi alla direzione che dava il vento al mio ‘corpo’, ciò che vedevo era bellissimo ma non riuscivo a goderlo, mi avano accanto colori indistinti, persone, giardini e case sfrecciavano veloci e non riuscivo a distinguerne le forme, sentivo che dovevo andare da lei, Andrea mi stava aspettando, mi attraeva una forza che non conoscevo. Così, mentre vagavo nell’aria, mi concentrai sul suono della sua voce e, inaspettatamente, la sentii. Andrea era lì, potevo sentire i suoi pensieri e ora sapevo ciò che dovevo fare: focalizzai i suoi pensieri e tutto d’un tratto mi trovai da lei. Era ancora all’Ospedale, non riuscivo a credere ai miei occhi, era così piccola,

fragile, era bellissima, era la cosa più bella che io avessi mai visto nell’intero sistema Universale. Credevo che vivere nel Paradiso fosse una fortuna immensa ma lei era davvero la creatura più perfetta! Dormiva in una piccola culletta in una sala piena di bambini, ce n’erano altri dieci e quasi tutti addormentati. Gli umani erano molto simili a noi Angeli e inizialmente non riuscivo a capire perché. Andrea era sdraiata di lato, con una manina stringeva un enorme orsacchiotto che, se messo in un'altra culla, sarebbe parso un bimbo. Le era scivolato il cuccio dalla minuscola bocca e con le labbra ne cercava ancora la presenza; una tutina rosa usciva dalla copertina che l’avvolgeva, era così fragile… d’un tratto cominciarono ad apparirmi di nuovo i suoi pensieri, vidi tanti fasci di luce colorata, colori mescolati, immagini confuse, degli scarabocchi: stava sognando. Non riuscivo a credere che quella minuscola testolina potesse già elaborare dei sogni, sarei voluto andare li, svegliarla e dirle: Ciao piccolina, ora ci sono io qui, mi prenderò cura di te, non avrai mai paura, sarai per sempre al sicuro. Ed ero veramente convinto che fosse al sicuro, lo credevo davvero, chi mai avrebbe voluto far del male ad una creatura così indifesa? Ma di lì a poco dovetti ricredermi. Rimasi con lei tutto il giorno e per gran parte di esso dormì, poi, improvvisamente, verso sera si girò verso di me e aprì quegli occhi che tanto avevo desiderato vedere. Lì aprì e io scoprii lo scopo della mia esistenza, erano meravigliosi, di un azzurro così familiare che non ricordavo dove avevo già visto, erano grandi e tondi e scrutavano il mondo per la prima volta; e in quello stesso momento, come se mi avesse notato, come se fosse riuscita a vedere ciò che di me era restato, mi sorrise, mi sorrise davvero ed allora capii che per quell’umana avrei dato la vita, che al confronto della sua valeva meno di un penni. Insieme a lei quasi tutti gli altri bimbi si erano svegliati. Era tutto il giorno che sentivo una strana sensazione, da quando ero arrivato sulla Terra sentivo un flusso di energia attorno a me che all’inizio avevo collegato con Andrea, ma non era lei, non riuscivo a capire cosa fosse, erano delle vibrazioni, ma oltre ai piccoli umani non c’era nessuno, eppure a me sembrava che la stanza fosse piena di persone. Ed era così.

Più osservavo i bambini attorno ad Andrea e più notavo dei comportamenti strani, ognuno di loro guardava fisso un punto e rideva spensierato. Così mi accorsi di non essere l’unico Angelo ad essere stato affidato ad un uomo, attorno a me potevo sentire la forza dei pensieri degli altri Protettori, chissà se anche qualcuno di loro si era accorto di me. Sapevo benissimo che non bisognava comunicare con gli altri Angeli perciò mi voltai verso Andrea e rimasi con lei.

CAPITOLO 4 – ALLA SPIAGGIA

Poco più tardi la portarono nella stanza di sua madre, le assomigliava molto, aveva gli stessi occhi blu, lo stesso taglio del viso ed era stupenda, proprio come Andrea. La permanenza in ospedale non fu molto lunga ma non vedevo l’ora di uscire e stare con Andrea fuori da quel posto. Nella Terra era dicembre e quando io, Andrea, Lisa e Luca uscimmo per tornare a casa nevicava. Fiocchi piccoli e leggeri scendevano dal cielo, era strano per me vederli dal basso, quando vivevo lassù la neve non scendeva mai, ci accorgevamo che stava scendendo nella Terra perché sotto di noi il terreno, che di solito era trasparente e faceva vedere il cielo al di sotto dei nostri piedi, diventava buio e un lieve vento gelido soffiava dal basso. Non avevo mai visto la neve, mi piaceva. Andrea era molto felice di vedere quelle minuscole goccioline bianche caderle dolcemente accanto e sorrideva. Il tempo, le giornate, i mesi, tutto scorreva veloce ed inesorabile, i momenti ati con la piccola erano speciali, felici, io ero felice ed anche lei lo era, avrei voluto che quegli istanti durassero in eterno, avrei dato qualunque cosa perché la felicità di Andrea durasse per sempre. Ma il Tempo talvolta è nemico dei suoi sudditi, si prende gioco di loro, che gli sono fedeli, promette tanto ma le sue promesse sono vane e tu, povero tradito devi continuare a vivere nelle sue ingiuste regole. No, il Tempo non regala tempo, non regala gioie, non rimette gli sbagli, rimane li a guardarti mentre li commetti ed anzi, sembra quasi che si fermi proprio nei momenti più bui. Così sapevo, con un pizzico di amaro, che quei bei momenti presto sarebbero finiti, che qualcuno me li avrebbe portati via, continuavo a sperare che questo sarebbe successo il più tardi possibile. Era agosto, erano ati ormai alcuni anni dalla nascita di Andrea, ora aveva circa quattro anni e i suoi capelli erano cresciuti, erano ricci e il vento che

soffiava li scompigliava in un modo così selvaggio che le si annodavano sul viso paffuto. Aveva le guance rosse per il lungo giocare con la sabbia e un grazioso vestitino che la lasciava libera di correre. Era una delle prime settimane del mese, non ricordo bene quando, i genitori di Andrea l’avevano portata al mare per una piccola vacanza, fino ad allora le giornate erano state abbastanza nitide e soleggiate. Quel giorno, invece, il cielo era nuvoloso e per un attimo pensai alle giornate nuvolose su in cielo, quando sentivo le nuvole plumbee muoversi sotto i piedi. La spiaggia era quasi deserta ed Andrea, che ormai canticchiava le sue canzoni preferite, si divertiva a creare castelli con la sabbia che il vento ed il mare avrebbero fatto cadere pochi istanti dopo. Ero seduto lì, vicino a lei, tutto era calmo attorno nonostante le infuriate di vento che si abbattevano sul mare rendendolo grigio e bianco contro gli scogli. Guardavo il cielo così meraviglioso e così spaventoso allo stesso tempo, così grande ai piccoli occhi degli uomini che sono troppo ingenui per coglierne l’essenza. E’ proprio vero, questi piccoli esseri umani sono così fragili al Suo cospetto, come un piccolo filo d’erba accanto ad un enorme baobab che, guardandolo dal basso, spererà sempre di vederne la cima, ma le sue sono solo stupide speranze, solo quando verrà strappato dalla terra il vento lo porterà sino alla cima. Così gli esseri umani sono in un eterno conflitto tra la vita e la morte, e ciò li porta a non vivere pienamente nella Terra e a rimpiangere ogni giorno di non aver vissuto. Vivono creandosi inutili problemi che complicano ancora di più la loro breve esistenza, quanti sono ottant’anni al confronto della vita dell’Universo stesso? Perché cercare motivo di tragedia quando la vera tragedia sta nel vivere nella paura? Sono troppo complicati questi umani. Troppo eternamente fragili. Tornando a quel giorno al mare, era già un periodo che sentivo una strana sensazione, come quando all’ospedale, anni prima, avevo sentito la presenza degli altri Angeli, a questo ormai ero abituato, mi capitava spesso nei luoghi affollati, ed era comprensibile, ma mai quand’ero solo con Andrea. La presenza dei Protettori dei genitori di Andrea ormai per me era familiare, ma quella brutta sensazione mi era nuova. Non era più soltanto una vibrazione, un flusso dolce attorno agli uomini, era qualcosa di più. Andrea continuava a giocare tranquilla, stava costruendo un instabilissimo castelletto di sabbia bagnata, che era destinato a crollare di li a poco. La sensazione cominciò a crescere sempre più forte, sempre di più, il flusso era così

concentrato attorno a me che mi ci sarei potuto immergere o meglio, ci avrei potuto sbattere contro. Rimasi immobile, non sapevo come affrontare qualcosa che non conoscevo, che non vedevo… qualcosa che non c’era, proprio come me. D’un tratto Andrea cominciò a piangere, non si era fatta male, non un granello di sabbia le aveva ferito gli occhi ed ormai era abbastanza grande per non fare i capricci, ma piangeva, senza alcun motivo, così mi avvicinai a lei, dove la concentrazione del flusso era maggiore e provai a sussurrarle qualcosa all’orecchio, in cuneiano, e subito si calmò. Come spesso le era successo, la mia voce, o meglio quello che lei percepiva di me, la faceva stare bene. Si voltò verso di me e sorrise, di un sorriso che ormai avevo imparato a riconoscere, sorrideva sempre a me in questo modo, quel sorriso che nasce spontaneo quando una farfalla si posa tranquilla sul nostro dito, e non ce l’aspettavamo. Nei suoi occhi però questa volta vedevo un leggero senso di smarrimento. Il flusso non c’era più. Che cos’era? Che cosa l’aveva spaventata così? Cercavo di dare sicurezza ad Andrea, di starle accanto e di farle sentire la mia presenza ma in realtà ero molto preoccupato per quello che era successo. Noi Angeli riconosciamo la nostra presenza, è una sensazione molto dolce, il nostro flusso ti a velocemente nell’anima, attraversa il cuore, è un senso di pienezza e amore che secondo me anche gli uomini sentono, è impossibile che non sentano il dolce sussurro del loro Angelo entrargli nel cuore quando hanno paura o quando qualche brutto pensiero gli attraversa la mente. In ogni caso credo di essere sicuro che riescano a percepirlo. Andrea ci riesce. Anche ora, alcune volte mi capita di sognare o all’improvviso ricordare qualche attimo o qualche sensazione della mia vecchia vita. Non riesco mai a ricordare a quale tipo di creature appartenessi… questi umani mi assomigliano così tanto che sembra quasi che… impossibile, se fossi stato un uomo qualche Angelo, lassù, me lo avrebbe detto! Proprio prima di addormentarmi per sempre, quando ancora ero vivo nell’Universo, ricordo di aver sentito quel flusso dolcissimo che ormai so riconoscere, il mio Angelo che mi sussurrava nel cuore di non avere paura, era lui ne sono certo perché dopo tutta una vita finalmente l’avevo sentito davvero, più vicino che mai. Anche se non ricordo quasi nulla della mia vita viva, se Lui mi ha scelto per essere Suo devo essere stato qualcosa di buono.

CAPITOLO 5 – IL RAGAZZO DELLA PERGAMENA

Ero molto preoccupato. Per giorni e settimane non ho fatto altro che pensare a quelle vibrazioni così forti che avevano spaventato Andrea, cercavo di ricordare qualcosa che sapevo di aver imparato ma non ci riuscivo. Anche se a noi Angeli giovani non era permesso conoscere ogni cosa, conoscevamo quasi tutto dell’Universo, dalla creazione della particella di Dio, alle creature diverse di ogni Pianeta. Alcune sapevano forgiare il ferro delle Stelle, altre creavano la Luce, altre ancora sapevano incanalare le energie in colori così forti da poter essere usati, come la Gladio di Gabriel: metà stella e metà energia. Ho sempre creduto che conoscere l’Universo potesse bastare, ma per caso una volta, al vecchio tempio di Jargo, ascoltai due Anziani che discutevano di una vecchia pergamena arrotolata in fili di fumo. Parlavano di Munus e non ne avevo mai sentito parlare. “Non è possibile ti dico, io non credo a certe storie” “Te lo giuro, abbi senno, lo hanno visto e non in pochi!” “Non ci credo, non avrebbe mai il coraggio di mostrarsi fuori dagli Inferi, non lui, non è mai uscito di li” “Per questo ti dico che bisogna credere, forse vuole parlare con Dio” “Sarei proprio curioso di vedere com’è cambiato, se il dolore lo ha reso più brutto o se è rimasto immutato per tutti questi millenni” “Quando stava al fianco di Dio durante la Creazione degli Universi erano così amici… nessuno avrebbe mai immaginato, ci fidavamo tutti di lui, ma Munus ci odiava tutti, provava pena per noi, ed era invidioso di Lui. Cominciò a volere di più, pensava che qui nel cielo funzionasse come in tutti quei Pianeti con le loro assurde regole di governo, credeva che avrebbe potuto prendere il posto di Dio ma era solo stolto, stupido ed egoista, non poteva certo avere tutta la potenza del Creatore”

“Mi ricordo quando Dio mi ha chiamato per un consiglio, Lui sapeva già tutto, eppure gli aveva dato la possibilità di venire qui ed incontrarlo e ora voleva dargli una scelta: restare o andare. E Munus andò. Strappò le viscere della Terra e ci si ficcò dentro e da quel giorno non lo abbiamo mai più rivisto… pensavamo fosse… beh ecco… che si fosse rassegnato” “Ti sbagli. Io so che fine ha fatto” I due Anziani si fissarono in un momento di tensione che io non potevo neppure immaginare, non avrei dovuto ascoltare quella conversazione ma ora più che mai volevo sapere quello che sapevano anche loro, me ne sarei dovuto andare ma l’altro Anziano, quello più vecchio che indossava la tonaca di erba sospirò e ricominciò a parlare. “Munus venne qui un’ultima volta prima di scomparire per sempre, si stava lentamente trasformando in un mostro, le sue ali erano di carbone in fiamme, spezzate, bruciate, nere e quasi non poteva volare più, la pelle era quasi trasparente per la poca luce negli Inferi, ricordo di aver visto il cuore pulsare, le vene e i capillari erano in superficie e non indossava niente, si copriva con il carbone delle ali malate. Squarciò il terreno qui sopra e pretese di vedere Dio che naturalmente già sapeva del suo arrivo. Quando Dio gli chiese se avesse qualcosa di importante da dire, Munus iniziò a ridere e sputò per terra, dallo sputo uscì una schiuma verde che cominciò a bruciacchiare il terreno attorno creando un piccolo foro. Disse che li sotto, nel suo ‘buco’, era successa una cosa straordinaria, ne era assolutamente entusiasta” Vidi l’Anziano in toga d’erba rabbrividire un secondo prima di ricominciare il discorso “Spiegò come un giorno, l’odio, il risentimento che provava per noi e la pena verso Dio che non aveva saputo nemmeno obbligare gli uomini ad amarlo, lo avevano riempito. La sua anima impura vagava triste e sola. Il peccato era diventato così grande da riempirgli il cuore e il suo cuore era diventato così gonfio di Male che un giorno sentì una fitta, credette di essere sul punto di esplodere ma si sbagliava, ogni goccia di sangue ambrato che colava a terra aveva cominciato a prendere forma. Naturalmente nessuno ha la forza di creare come Dio, così le suo nuove creature erano mostruose, esseri privi di vista,

mutilati e deformi che fiutavano il dolore degli uomini della Terra per sfruttarlo e farlo crescere dentro i loro cuori, erano esseri privi di anima che si nutrivano di anime umane e le donavano a Munus per ripagarlo del sangue versato per loro. Aveva creato i Demoni”. “Ma… io credevo fossero creature di altri pianeti, non ci posso credere, ecco perché in questa pergamena c’è scritto… no, il ragazzo non dovrà mai venire a saperlo”. Di che ragazzo parlassero non ne avevo idea e soprattutto chissà che cosa questo ragazzo non avrebbe dovuto sapere, quella pergamena in fili di fumo mi fece uno strano effetto. Dei Demoni sapevo già un sacco di cose, solo che non sapevo da dove fossero usciti. Si divertivano ad affiancarsi agli uomini, anche a quelli buoni solo per farli soffrire un po’. Come a noi, anche ai Demoni la sfera opaca degli uomini è sempre visibile in qualsiasi colore si manifesti. Per proteggere gli umani, molti Angeli hanno avuto dei conflitti con i Demoni perché si attaccano agli uomini come sanguisughe in cerca di cibo, ma la maggior parte di noi non sa come comportarsi, tanto meno io. Andrea era piccola, indifesa e soprattutto una bambina felice e allegra, una preda facile e gustosa e speravo davvero che non fosse sotto il tiro di una di quelle bestie.

CAPITOLO 6 – IMPENSABILE

Guardavo il cielo. Quanto mi mancava il mio Paradiso, la mia casa, i dolci sentieri illuminati dalla Sua luce, riscaldati dal sole e coperti di fiori dai colori magnifici, colori che sfortunatamente i terrestri, per i loro limiti, non possono vedere. Adoravo i giardini del cielo, posso ben capire come qui, sulla Terra, siano attesi e voluti da tutti, di qualsiasi stupida religione un uomo sia, tanto alla fine finiscono tutti qui, e nemmeno lo sanno. Mi mancava la dolce pace del cielo, la Terra cos’aveva da offrire? Amore e Pace? Certo che no. Non aveva niente. La Terra era la mia visione Infernale, un posto di ipocriti, vili, ignobili esseri che lottano giorno per giorno che portarsi via l’un l’altro attimi di vita, respiri, nell’infinita lotta per la sopravvivenza che ognuno qui vive come scopo della propria esistenza. Ignoranti esseri umani che nemmeno immaginano cosa ci sia al di la del loro naso, neppur quanto piccoli e insignificanti siano nell’immensità dell’Universo. Solo perché Lui li ama, e perché io ne sono affascinato, non riesco ad arrabbiarmi, ma gli Umani esagerano, tra tutte le specie esistenti, tra i milioni di esseri che circolano in pace o almeno in neutralità, gli umani non fanno che lottare, incespicando in mille pensieri e non curandosi minimamente del dolore che possono provocare non solo agli altri, ma a noi. Non si preoccupano dei simili, figuriamoci se si preoccupano di ferire noi che li amiamo davvero. Qui nella Terra chi ama si sente un santo eppure fa del male in altri modi. Chi mente è un traditore, ma chi lo dice? Chi lo stabilisce? Quale ingiusta giustizia è stata stabilita qui? E soprattutto, chi impone questa giustizia, un traditore, un assassino o chi finge di essere la santità? Davanti al dolore è meglio essere invisibili e soli, piuttosto che pronti ad essere bersagliati. Per il tempo che ho potuto are in questo mondo già mi stupisco di come Lui possa amarli. Se non fosse per Andrea non erei qui un solo giorno di più. Vorrei poterla portare con me dove nessuno possa farle del male, dove nessun giocoliere di cuori possa distruggere le sue emozioni. Vorrei coprirla con le mie

ali e renderla invisibile, non merita di vedere un Inferno a cui non appartiene. Più avano i giorni e più le mie speranze sparivano. Sentivo sempre di più che quelle bestia maledetta che girava attorno ad Andrea da giorni, aspettava solo un momento di mia distrazione per avventarsi su di lei e portarmela via e Dio solo sa cosa le avrebbe fatto. No, non glielo avrei permesso, non sarebbe mai riuscito a toccare la mia diletta! Nessuna mano di fuoco avrebbe dovuto avvicinarsi al suo volto! Con questi pensieri vegliavo giorno e notte sulla mia protetta, sul suo esile e dolce corpicino, da cui vedevo sempre un rossastro piccolo battito uscire esattamente dal punto in cui brillava innocente la sua sfera. Come potevano quelle guance essere così tenere nonostante il are degli anni? Come poteva quel cuore battere così forte? Come poteva tenerla in vita un piccolo ‘toc’ di un muscolo di qualche centimetro? Gli uomini sono così piccoli, ed Andrea continuava a sembrarmi sempre una bimba quando invece, ormai, stava già attraversando i primi anni dell’adolescenza. Mi era capitato di sentire il suo cuore aumentare la velocità quando si era trovata di fronte a qualche ragazzo della sua età con il quale non parlava spesso. Nonostante le altre umane della sua età fossero tutte interessate ad uscire con i ragazzi, ad Andrea piacevano cose diverse, e questo per me la rendeva ancora più unica e speciale. Sembrava che le altre sue amiche avessero sviluppato, con l’età, un certo piacere in un gioco che ancora oggi non capisco che funzione abbia. Cercavano di perdere la consapevolezza di sé e la cognizione della realtà bevendo bottiglie di ‘roba’ colorata, in questo modo dicevano di divertirsi nonostante quasi sempre capitassero a casa nostra chiedendo ad Andrea aiuto per qualche guaio combinato. Andrea spesso si infastidiva ed effettivamente non piaceva nemmeno a me quel gioco con la ‘roba’, Andrea non lo aveva mai fatto e diceva sempre a sua madre che preferiva leggere un libro o guardare un telefilm. Devo ammettere che i libri che Andrea leggeva piacevano molto anche a me. Che io sappia, questi umani sono l’unica specie che scrive libri solo per il piacere di raccontare storie attraverso le parole, e a volte sono storie che non

sono mai successe! Negli altri mondi si scrivono pergamene per la conoscenza, per sapere di più e conoscere le altre specie oppure per archiviare informazioni che potranno servire alle generazioni future sul funzionamento dell’Universo e sui piani da seguire perché i progetti di Dio vengano seguiti da tutti i pianeti. Ma questi uomini… è interessante. Ad Andrea piaceva molto una storia spettacolare sulla magia nascosta nel loro mondo in luoghi fantastici chiamati Hogwarts o Hogsmeade o qualcosa di simile. Piaceva molto anche a me e provavo molta ammirazione per la donna che era riuscita a far innamorare milioni di ragazzi della lettura[1]. A volte riflettevo su tutti gli uomini che parlavano di magia. La magia c’era all’inizio dei tempi della Terra, Dio stesso aveva dato dono agli uomini di saper sfruttare la potenza che la natura della terra possiede, ma poi come tutte le altre cose, gli uomini avevano rovinato anche quella, la avevano sciupata rendendola qualcosa di proibito e la sua conoscenza era rimasta solo a noi, nelle pagine dei libri nel nostro cielo, con il risultato che ora la Terra aveva in sé una forza che non conosceva neppure. In ogni caso, gli uomini ritenevano quei libri pura fantasia. Meglio così. Quella sera, come da un po’ di giorni, visto il numero esorbitante di pagine di quel libro, Andrea stava leggendo di una certa Lucy e dei suoi fratelli che scoprivano un mondo nuovo che si chiamava Narnia nel quale Dio era un Leone, che poi alla fine anche lì, tutti arrivano nel nostro giardino, ma non volevo rovinare la sorpresa ad Andrea suggerendole la fine, anche se mi avrebbe divertito[2]. D’un tratto sentii qualche cosa di caldo bruciarmi nel petto ma non ci feci molto caso, ma poi Andrea girò gli occhi verso di me e dalla sua espressione di paura capii che mi aveva visto.

[1] J.K.Rowling, “Harry Potter e la Pietra Filosofale”, Salani editore, edizione tascabile aprile 2001, traduzione di Marina Astrologo, Edizione a cura di Stefano Bartezzaghi.

[2] C.S.Lewis, “Le Cronache di Narnia”, Mondadori, ristampa anno 2013.

CAPITOLO 7 – IMPRIGIONATO

Anche se ormai carne non ne avevo più, il ciondolo sul mio petto si stava riscaldando e le venature sulle ali della Diaphana si scurivano, così lo presi in mano, o meglio cercai di riprodurne il gesto, ma appena avvicinai la ‘pelle’ alla farfalla, subito sentii ghiaccio, un freddo pungente mi invadeva il corpo che, con mia grande sorpresa riuscivo di nuovo a vedere. La pelle tesa sopra i muscoli e chiara sopra i tendini, il sangue che scorreva caldo sotto di essa, tutto si vedeva e dopo anni potevo realmente toccare la mia carne calda ed il viso roseo e poi, poi beh, i miei pensieri tacquero. Il mio cuore batteva e potevo sentirlo pulsare al ritmo della vita che ormai da troppo tempo era per me solo quella di Andrea. Andrea. Andrea non era lì, io non ero più lì. Quanto tempo, quanto era ato da quando avevo sentito il calore del sole di nuovo negli occhi non abituati alla forte luce. Alzai lo sguardo e mai, mai avrei pensato di vedere l’Eden di nuovo davanti a me. Per un attimo che mi parve eterno dimenticai Andrea, non riuscivo a non pensare a tutto quello che vedevo, ma non pensavo a lei, ora quasi non posso capire come mai per quell’istante la dimenticai, ma spesso ricordo di come lo splendore del Cielo faccia dimenticare alle anime l’esistenza della Terra. ato quel momento mi assalì il panico. Andrea mi aveva guardato, aveva incrociato i miei occhi e non come le altre volte, che si era voltata semplicemente dalla mia parte sentendo che le ero vicino, ma aveva visto me, me fisico, il mio volto e sicuramente il mio sguardo più spaventato del suo. Ora chissà dov’era, chissà cosa pensava, era così lontana e chissà se aveva avuto paura di me e se ora stesse piangendo. Cos’era successo in quella stanza? Come aveva potuto vedermi? Se mai lei avesse avuto paura di me, io non avrei potuto più essere felice. Prima di impazzire, cercai di ragionare, chiusi gli occhi e mi concentrai su di lei, sperando di intercettare i suoi pensieri, come sempre,

aspettai, aspettai… ma non sentii niente. Cominciai a chiedermi il perché fossi lì, perché di nuovo mi trovassi a casa, non poteva essere un errore, qui non si sbaglia. Certo era che non mi dispiaceva affatto, la mia casa mi era mancata più che mai in quegli anni. Mi voltai verso il laghetto, ero nello stesso identico punto da cui ero partito diciassette anni prima, e come allora, Gabriel era li, alle mie spalle, armato, con la gaudio al fianco e splendente come sempre. Mi avvicinai a lui e cercai di richiamare la sua attenzione ma era quasi come se non ci fossi, non badava a me, così mi allontanai. Sembrava quasi che non me ne fossi mai andato, ma non poteva essere. Non aveva alcun senso trovarmi lì, avevo abbandonato Andrea e cominciava a ritornarmi la paura, era solo una ragazzina di diciassette anni e non poteva stare sola lì in quel posto terribile. Non ora, che quella bestia le girava attorno. La mia piccola, era veramente in pericolo ma non capivo come tornare da lei, la diaphana mi portava da una parte all’altra ma non ero io ad azionarla. Mi tormentavo. Era Lui a decidere quando portarmi giù e quando farmi salire dunque doveva avere qualche motivo quel mio ritorno. Nessuno si rendeva conto della mia presenza, gli sguardi degli Anziani mi sfioravano ma cambiavano subito oggetto: mi evitavano! Sempre più strana mi sembrava quella situazione e lunghissimi mi parvero i tre giorni seguenti. Il mio cuore soffriva lontano da Andrea. Il legame con lei era divenuto così forte che il dolore della sua lontananza mi faceva male fisicamente, mi stava ando la voglia di stare nel mio cielo e cominciavo ad odiare l’Eden che così tanto avevo amato. Nemmeno la luce dei pianeti durante la notte mi faceva smettere di pensare. La cosa peggiore era che non riuscivo nemmeno a guardare giù per cercare di sbirciare che cosa succedesse alla mia bambina. Non mi era permesso nulla. Ero imprigionato lassù. Mi mancava terribilmente, era diventata tutto ciò che avevo, mi ero innamorato di lei non solo di un amore fisico, perché il calore del suo corpo mi faceva sentire a casa, non solo come i genitori amano i figli, perché io amavo Andrea molto di più di quanto fero suo padre o sua madre. Lei era la mia esistenza, lei era il motivo del mio respiro. Volevo solo riaverla con me.

Alla fine del terzo giorno, poco prima che le lune del pianeta più vicino sorgessero asimmetriche verso ovest, il ciondolo cominciò a scottare di nuovo e in un breve ma dolorosissimo secondo accadde ciò che cambiò per sempre la mia esistenza.

CAPITOLO 8 – L’UNICO SGUARDO NEL VUOTO

Inizialmente ci fu un secondo nel quale sperai che il bruciore della diaphana significasse il ritorno da Andrea, ma quando la farfallina si staccò dal filo e si appoggiò a terra capii che non sarei tornato dalla mia bambina. La diaphana si appoggiò a terra e cominciò a brillare nelle nervature delle ali proprio come quando sparivo per tornare da Andrea, ma questa volta non rese invisibile me, ma mi permise di vedere al di là della terra, attraverso il terreno reso trasparente. Ora lo specchio di nuvole sul quale camminavo aveva un buco circolare grande quanto il tronco di un vecchio albero di quercia, di quelli antichi nei quali a volte si formano delle cave all’interno ove i bambini si divertono a giocare usandole come nascondiglio. Mi inginocchiai e provai subito a farci are una mano dentro ma era come se fosse coperto di un vetro trasparente che non rifletteva nemmeno l’ombra del mio braccio. Semplicemente non potevo are. Capii subito che non avrei potuto fare nulla, avrei dovuto guardare e basta, qualunque cosa quel cerchio volesse mostrarmi. Mi si gelò il sangue caldo che mi scorreva nelle vene. Nel vuoto creato dalla diaphana c’era Andrea, con i suoi genitori in una macchina e seduto vicino ad Andrea c’era un ragazzo che non avevo mai visto. E che lei non vedeva. Il ragazzo aveva lineamenti troppo grotteschi per essere un Angelo e troppo fini per essere una bestia, aveva la pelle chiara come la mia e i tendini visibili insieme alla muscolatura, ma qualcosa in lui non andava, aveva qualcosa nel corpo che lo rendeva brutto e che mi fece battere il cuore più veloce. Odiavo il modo in cui stava vicino ad Andrea, le era addosso, mi disturbava, si vedeva che la voleva. Alzò lo sguardo, come per guardarmi, e sorrise. In quel momento della macchina di Andrea Martèn e della sua famiglia non rimase quasi nulla. In un secondo la macchina aveva sbandato, si era schiantata contro un vecchio edificio diroccato e avevo preso fuoco. Mi sembrò che il cuore stesse per fermarsi. La mia piccola era… non riuscivo a realizzare nella mia testa la parola ‘morta’ e io avevo dovuto guardarla per un

qualche maledetto motivo che non conoscevo, per un sadico gioco che qualcuno aveva fatto con me e nel quale io dovevo perdere. La testa cominciò a girarmi e in un altro attimo mi accasciai a terra, con la voglia di chiudere gli occhi e non aprirli mai più. Tutto girava attorno a me e i miei pensieri non registravano nessun’altra informazione se non quella della mia bambina, senza vita, in una macchina in fiamme. L’avevo vista crescere, avevo baciato le sue guance quand’era sorridente e raccolto le sue lacrime quand’era triste, l’avevo vista giocare, leggere, innamorarsi dei libri e sognare ad occhi aperti. Avevo visto il suo cuore amare il suo compagno di banco e arrabbiarsi quando le sue amiche tornavano da lei ubriache. Avevo sentito il suo sguardo su di me e ora non avrei più visto i suoi occhi. Le sue labbra. Le sue mani. Il suo sorriso. Ora avrei potuto solo guardare il suo corpicino vuoto, senza sfera, senza vita. Poi la diaphana si illuminò di nuovo ma non volevo guardarla. Avevo la guancia nella terra fredda e la farfalla mi bruciava la pelle, ma non volevo guardarla. La odiavo. Volevo solo rimanere li per sempre, da solo e volevo smettere di pensare. Ma qualcosa mi spinse a guardarla, il ciondolo si stava illuminando e continuava a mostrarmi la scena dell’incidente, ma qualcosa stava cambiando. All’interno della macchina i genitori di Andrea erano senza vita e le loro sfere si stavano alzando verso il cielo, erano nere a causa del lungo tempo ato sulla Terra, ma man mano che salivano diventavano di nuovo chiare, come succede sempre si stavano purificando. Ma erano solo due, così strinsi la terra che circondava la voragine e mi affacciai, Andrea nel sedile posteriore respirava a fatica ma era viva. Strinsi ancora più forte i pugni e urlai verso di lei, il mio volto era rosso per il lungo stare a terra, era rigato di lacrime dolorose e rabbiose e continuavo ad urlare più forte che potevo, volevo rompere quel vetro maledetto, andare giù, volevo prenderla, darle il mio respiro, stringerla forte e stare con lei, salvarla, volevo salvarla, per sempre. Respirava, aveva delle macchie di sangue fresco sulla manica del cappotto perciò sicuramente era ferita ma viveva, e tutto il tempo in cui ho dovuto guardarla lottare per la vita senza di me, quando io avrei potuto salvarla in un secondo, mi parve eterno. Aspettai i soccorsi e quando arrivarono la tirarono subito fuori. Aveva una gamba rotta e qualche ferita leggera. Ma stava bene. Io stavo bene anche se non riuscivo a perdonarmi di non essere stato li, non sarebbe successo se fossi stato li. Ma in realtà non era colpa mia e c’era stato qualcuno

che aveva voluto che io non intervenissi e mi aveva rinchiuso qui, a guardare. Non me ne accorsi subito ma poi vidi arrivare l’ambulanza che portò via Andrea ancora viva e un’altra che portò i suoi genitori ormai privi di vita. Del ragazzo seduto vicino a lei non c’era traccia. Deluso, stanco e triste com’è solo chi ha pianto a lungo, cercai di ragionare.

CAPITOLO 9 – FUMO NEGLI OCCHI

Il ragazzo seduto alla sinistra di Andrea non era sicuramente umano, l’ho capito subito dalla trasparenza della pelle, da come stava attaccato ad Andrea e lei non faceva niente per spostarsi, perché lei non lo vedeva. Lo avevo visto solo io e lui aveva guardato verso di me. Cominciavo a chiedermi se fosse stato lui a rinchiudermi qui su, ma non era un Angelo perché aveva qualcosa di grottesco che aveva rovinato quella che doveva essere stata bellezza. Il suo viso era smunto e le labbra erano così rosse da spiccare nella sua pelle chiara. Le dita affusolate che stringevano il braccio di Andrea avevano le unghie macchiate di viola e non era vestito di luce, era vestito di nero. Non era niente che conoscevo. Non avevo idea di chi fosse o a che specie appartenesse, solo i suoi occhi mi ricordavano qualcosa che avevo già visto, ma non sapevo dove e quando. Cercai di alzarmi dal terreno morbido sul quale si era appena chiuso il varco creato dalla diaphana, ora era tutto come prima. Asciugai le lacrime che continuavano a scendere silenziose nelle mie guance e decisi di andare alla Biblioteca. Mi era stato rubato il tempo in cui sarei dovuto essere stato con Andrea e invece ero qui, a soffrire impotente. Volevo soltanto tornare giù e che Dio lo volesse o no, io avrei trovato il modo per tornare. La Biblioteca è il posto più antico che esista nel nostro Universo. È stata creata apposta per esistere nei secoli insieme ai mondi e ai pianeti e alle specie che li abitano. Da bambino avo molto tempo lì, ma allora non capivo granchè dei testi. Ora volevo solo trovare un modo per aprire un varco verso la Terra o qualcosa che potesse attivare la farfalla, mi sarei accontentato soltanto di qualche misera risposta, che qui nessuno mi voleva dare. Era un luogo luminosissimo in cui erano custoditi migliaia e migliaia di rotoli di papiro intessuti in fili di fumo, che venivano direttamente da qui, altri in carta di fuoco di alcuni pianeti più caldi e altre ancora in pagine gialle, con le sbavature

dell’inchiostro che venivano sicuramente dalla Terra. C’erano libri antichissimi, così vecchi che se non fosse stato per la magia che li conservava, sarebbero stati polvere. Avevano ato i millenni delle creazioni dei mondi e delle esplosioni delle stelle e delle tempeste di energia che portavano alla vita nuova. Alcuni testi, che io non potevo aprire, parlavano degli universi precedenti a questo. Di cosa c’era prima. Arrivai al grande portone di pietra e giada verde portata qui direttamente da Cromo e che rendeva l’ingresso della Biblioteca quasi una sorta di ingresso nella foresta. Il portone era pesante e luminoso e all’interno le stanze non erano da meno. Il lungo corridoio per arrivare fino alla stanza delle Bibbie era ricoperto di pietra di luna che come si sa, influisce sulla memoria di chi entra qui per conoscere. La pietra di luna rendeva le pareti ancora più luminose e quando arrivai alla prima stanza circolare i miei occhi quasi non vedevano più. Le stanze con i libri erano molto meno luminose ed erano in mogano ed ebanite, con gli scaffali in ambra. Qui ero stato spesso a leggere i manoscritti che erano andati perduti con i naufragi e che Dio aveva deciso di non far conoscere agli uomini. Aveva detto che “loro non avrebbero capito” e che sarebbe stato meglio far conoscere loro soltanto una storia della creazione. A mio avviso è stato semplificato troppo per loro, non ha avuto senso non far conoscere la verità sull’Universo cercando di proteggerli, con il risultato che quando gli uomini hanno scoperto di non essere l’unico pianeta hanno deciso di non credere più in Dio. Che sciocchi. Le altre specie spesso li osservano e se ne prendono gioco, non a torto: vengono trattati come stupidi. Dovevo assolutamente oltreare le storie delle creazioni ed andare nella stanza a nord, quella più lontana, che aveva le pergamene scritte da Dio sull’Universo precedente al nostro. Sapevo che lì avrei potuto trovare un modo per rompere questo maledetto legame con la farfalla, volevo solo tornare giù, non mi importava di non poter più ritornare a casa mia, volevo solo Andrea, ammesso che quei libri esistessero davvero. ai venticinque corridoi simili al primo ma di colori differenti visto che ogni pietra di luna usata proveniva da un sistema solare diverso, con lune di colori diversi.

L’ultimo era blu notte, un luminosissimo blu notte che accecava lo sguardo con i suoi diamantini perlati. La stanza era ettagonale, blu chiaro e gli scafali non c’erano. Al centro della stanza c’era solo un enorme tavolo in pietra serena che con il blu chiaro creava un contrasto spiacevolissimo. Al centro del tavolo c’era solo un volume, di fumo, in cuneiano, il più antico libro della Biblioteca. Era un unico foglio contenente la storia dal niente al niente prossimo. Con il viso ancora scuro per la stanchezza, mi avvicinai alla pagina e come appoggiai una mano sul tavolo per restare in piedi, il fumo della pergamena mi entrò negli occhi, lentamente. Mi infastidiva, aveva un odore troppo forte che mi fece tossire a lungo, ma poi quando riaprii gli occhi la pagina non c’era più, ed il fumo era tutto dentro di me. Lo sentivo scorrere per tutto il corpo attraverso il sangue e la mia pelle chiara mostrava la striscia di fumo azzurro are lentamente tutti i muscoli e arrivare su, fino agli occhi. Io non riuscivo a pensare ad altro che ad Andrea li sola, a quanto volevo stringerla e mi ava continuamente davanti il volto del ragazzo sorridente. Più il fumo saliva e più mi scoppiava la testa e più i miei pensieri si stringevano su Andrea e sulle dita strette di quel ragazzo sul braccio di lei. Mi faceva male tutto, e quando il fumo fu sicuro di aver trovato quello che cercava, sentii un dolore mai provato attraversarmi le pupille e qualcosa che mi si strappava via dall’interno degli occhi mi lasciò senza vista per qualche secondo. Il libro si era riformato nel tavolo scuro ma la pagina era cambiata. Riuscivo a leggere le parole cuneiane che solo noi angeli conosciamo poiché è la lingua con cui Dio parla con noi, e l’iscrizione veniva direttamente dalla Sua voce: Diceva così: “Mai avrei pensato che distruggendo il mondo che amavo di più, Munus sarebbe sopravvissuto con me… fingerà di nuovo di amarmi e poi si prenderà gioco di me, come sempre. Ho creato questo nuovo Universo che sembra così giovane ed io non ho la forza di aspettare miliardi di anni perché ritorni come quello vecchio, in uno stato di equilibrio. Mi manca. Mi chiedo se sia stato un errore e poi mi accorgo che lo è stato. Munus ha portato via l’essenza della vita di un uomo del vecchio mondo e l’ha nascosta dentro di sé. Non so cosa ne voglia fare. È pericoloso, le creature non devono mescolarsi”.

Non capivo nulla… non mi interessavano quelle cose, non mi interessava più nulla e volevo solo tornare sulla Terra, ma poi la pagina cambiò di nuovo, i simboli si mescolarono e ne venne fuori un nuovo messaggio, continuai a leggere: “A milioni di anni dall’inizio, quando pensavo che ormai se ne fosse dimenticato, Munus ha tirato fuori quel frammento di vita e l’ha liberato in uno dei pianeti del sistema del sole giovane, la Terra. Sono nati due bambini gemelli dallo stesso nocciolo. Non appartengono a questo mondo e non dovrebbero stare qui, non sono del tutto umani e lui non deve assolutamente saperlo, ma temo abbia già in mente il peggio, devo decidere cosa fare”. La scritta cambiò di nuovo e questa volta non mi sentii affatto bene a leggerla: “Ho deciso di prendere uno dei bambini e portarlo qui con me, Munus ha preso l’altro e l’ha portato giù con sé. Diventerà un angelo e si occuperà degli altri figli dei suoi genitori umani. Non dovrà mai sapere di suo fratello.” La fitta alla testa si era fatta più forte e nella stanza con me non c’era altro che l’immagine di quel ragazzo Demoniaco che mi sembrava di aver già visto stretto su Andrea. Quel ragazzo. Con la pelle chiara. Aveva lineamenti troppo fini... ma il volto indurito dal male. Se fosse stato anche lui un angelo, avrebbe avuto l’incarnato come il mio... Quel ragazzo era il bambino preso da Munus! Era familiare, i suoi occhi... aveva senso, mi assomigliava, somigliava a noi angeli. Ma io non somigliavo agli altri angeli... io assomigliavo ad Andrea, ero sempre stato innamorato degli uomini, lui era come me. Io ero stato un uomo! I cinque minuti che arono ancora adesso non saprei descriverli, prima iniziai ad avere il respiro affannoso, mi dovetti appoggiare al tavolo che, come avrei dovuto aspettarmi, si dileguò in ampie volute di fumo insieme alla pagina, poi cercai di aprire gli occhi ma mi facevano male ed infine rimasi lì cercando di riordinare quel poco che riuscivo a capire. Dio aveva scritto che aveva preso me, insomma, l’altro bambino per proteggere la mia famiglia, io avevo protetto la mia piccola per questo motivo... ma quindi... i genitori erano... ero orfano insieme ad Andrea!

Andrea era mia sorella e l’amavo così tanto per questo, aveva dentro di sé qualcosa di me. Quel ragazzo era mio fratello, il mio gemello. Io e lui non eravamo di questo Universo, non eravamo di questo tempo, saremmo dovuti morire molto tempo prima e Munus ci aveva salvati. Ma aveva anche portato via mio fratello. Non riuscivo ad arrabbiarmi con Munus o con Dio per non avermelo mai detto, non riuscivo a capire cosa provavo e avevo solo un gran mal di testa che mi impediva di ragionare. Quel ragazzo aveva ucciso i genitori di Andrea, i nostri genitori, ma non aveva fatto niente ad Andrea, forse lui lo sapeva e voleva farlo sapere anche a me. Forse non era cattivo come gli altri. Non appena il fumo tornò ad appiccicarsi alle pareti della stanza corsi fuori. Dovevo sapere di più e volevo vedere Dio per arrabbiarmi con lui. Attraversai di nuovo i venticinque corridoi e le loro stanze, arrivai al portone e lo attraversai. La luce del giorno era forte e mi bruciava gli occhi che avevano sofferto così tanto per il fumo e che ancora sentivano quell’orribile sensazione di essere strappati dall’interno. A pochi i dall’ingresso c’era la mia diaphana a terra, non mi chiesi nemmeno come mai fosse arrivata proprio li vicino, la presi e la rimisi al collo e cominciai a correre verso la casa di Dio. Non sapevo dove si trovava ma decisi di seguire le sfere che salivano dal terreno verso una precisa destinazione. Di nuovo mentre correvo sentii una fitta alla testa e nell’esatto momento in cui ebbi la sensazione di aver raggiunto i Cancelli d’Oro, la diaphana si illuminò, bruciò il mio petto e mi trovai nel letto di Andrea.

CAPITOLO 10 – FINALMENTE UNA VOCE

La casa era vuota, a differenza che nel cielo, qui era già sera, ma non c’era nessuno. Era assurdo come giocassero con me, mi avevano lasciato guardare Andrea mentre stava per morire e ora, che volevo conoscere di più, mi avevano riportato qui. Mi alzai dal letto e guardai in giro, tutto era rimasto come prima, libri sparsi nella scrivania, i vestiti accumulati nella sedia, i peluche nel letto e la fotografia del compleanno di Andrea con i suoi genitori sopra il comodino. La guardai ed i genitori di Andrea fecero lo stesso con me, non avrei mai immaginato fossero anche i miei e soprattutto che non avessero mai detto ad Andrea di aver perso due figli. Ora erano morti e non avrebbero più potuto spiegare niente. Cercai di prendere la fotografia tra le mani sicuro che sarei riuscito solo a sfiorarla come sempre ma contro ogni mia aspettativa la sollevai e solo in quel momento mi resi conto che Andrea mi stava guardando. La vidi attraverso lo specchio vicino al letto, era sulla porta ed aveva ancora gli occhi umidi e un po’ gonfi per il lungo piangere, aveva un braccio fasciato e la gamba un po’ più rigida del normale. Volevo alzarmi ed andarle vicino ma sapevo che avrei peggiorato la situazione e che avrei potuto spaventarla, molto più di quanto già lo era, così aspettai che iniziasse lei e con mia grande sorpresa e con la voce che tremava disse: “Io lo so che cosa sei tu”. Mi voltai, curioso, verso di lei: “Che cosa sono?” “Tu hai ucciso la mia famiglia” disse Andrea mentre piccole lacrime le rigavano le guance e finivano nell’incavo sopra le sue labbra. “Ti sbagli” “NON MENTIRE” urlò piangendo un po’ più forte. Non riuscivo a capire alcune parole perché, strofinando nervosamente la manica della giacca sulle labbra per asciugare le lacrime, nascondeva un po’ delle parole che cercava di urlare.

“IO TI HO VISTO PRIMA DELL’INCIDENTE ED ERI CON NOI NELLA MACCHINA, IO NON TI VOLEVO, IO NON TI VOGLIO!” “Ti sbagli Andrea, io non ero con voi” cercai di spiegare, non riuscivo a capire come avesse potuto vedere il ragazzo che era nella macchina con lei e soprattutto non riuscivo a capire come potesse vedere me ora. Mi aveva visto solo per un secondo prima che io venissi imprigionato lassù, non avrebbe dovuto confondermi con quel ragazzo. “Io vi ho visti e ho visto che c’era qualcuno con te nella macchina ma non ero io… io non voglio farti del male, devi credermi” “Come sai il mio nome, mi spiavi? Sei una specie di maniaco che mi seguiva? Da quanto tempo? E come hai fatto ad entrare in casa mia? DIMMELO…” “Io… Andrea mi dispiace per quello che è successo. Posso spiegarti tutto ma tu non capiresti. Tu non dovresti sapere che sono… che sono qui… Andrea mi dispiace, non posso…” “Hai distrutto la mia famiglia, ora sono sola… non ho nessuno”. Tra i convulsi dovuti alla rabbia, cominciò ad abbassare la voce, ora era triste, molta più tristezza di quanta un uomo dovrebbe provare nella breve vita che gli è concessa c’era negli occhi di Andrea. Lo sguardo un po’ perso nel vuoto, un po’ ritornato dentro di sé a rivivere tutto quello che le aveva fatto male, perché il dolore, forse, era l’unica cosa che le era rimasta. “IO LO SO… io lo so che quell’incidente non è stato a causa della pioggia… IO C’ERO MALEDIZIONE ERO LÌ E TU ERI LÌ E I MIEI GENITORI SONO MORTI COLPA TUA E IO ORA SONO SOLA…” alzò lo sguardo, feroce. “Spiegami, forza, o chiamo la polizia prima che tu riesca ad avvicinarti di un solo o”. Silenzio. Nella mia testa c’era solo silenzio. Non avevo mai visto Andrea così, era disperatamente arrabbiata e mi odiavo più di qualunque altra cosa. Quante volte avevo ato il dito su quelle lacrime ed ora non potevo guardarla negli occhi. quante volte avevo attraversato i dolori più grandi insieme a lei ed ora non potevo parlare, quante volte... ed ora... sentii di nuovo bruciarmi gli occhi ed ero pronto a ripartire con la diaphana, tanto lì non avrei saputo che cosa fare, e invece mi meravigliai nel sentire due grosse gocce scivolarmi lungo il naso, e

piangevo per il dolore. Le parole che Andrea versava nel mio cuore mi facevano soffrire. Nella mia mente si materializzò la possibilità di raccontarle una bugia e andare via per non tornare mai più, sarebbe stata affidata a qualcun altro ed io mi sarei nascosto da qualche parte a soffrire per sempre, un ‘persempre’ che per me sarebbe stato davvero eterno. Ma poi decisi che meritava di sapere la verità. Non volevo fare lo stesso errore che qualcuno aveva fatto con me non raccontandomi chi fossi e chi fosse lei per me. “Allora, non hai niente da dire?” tremava. Rimasi immobile e tentai di formulare un discorso coerente: “Mi chiamo Julian, conosco te e la tua famiglia da quando sei nata, il 27 dicembre 1997, nevicava e tu indossavi una tutina rosa. Tenevi tra le braccia quell’orsacchiotto lì, quello che ora sta sopra al caminetto. Giuro che non voglio farti del male, anzi, io sono sempre stato vicino a te per proteggerti” “Vuoi, vuoi dire che mi seguivi?” Si stava calmando un po’. I gemiti di pianto che fin ora quasi non la facevano respirare stavano diminuendo, forse per la sorpresa. “No no no, sbagli ancora. Io, tu non dovresti vedermi. Io sono sempre stato vicino a te per proteggerti. Io sono sempre stato qui ogni momento della tua vita, da quando sei nata fino a qualche giorno fa, quando mi hai visto. Poi mi hanno portato via e non ho più potuto aiutarti. Io sono una specie di custode, hai presente Piton che aiutava Harry in segreto? Anzi no i fantasmi di Lily, James, Sirius e tutti gli altri che dicevano ad Harry che erano sempre vicino a lui cosicché non fosse mai solo? Io ti sono sempre stato accanto, anche se tu non potevi vedermi.”[1] Speravo di poter alleggerire questa rivelazione spaventosa con qualche esempio che conosceva, per aiutarla a capire. Immaginavo che a nessuno potesse piacere sentirsi dire di essere stato perseguitato da un fantasma. “Vuoi dire che sei un fantasma? Io…” fece un o indietro e forse anche due, era parecchio spaventata. Ecco: pessimo esempio.

“No, cioè forse lo ero ma a quanto pare ora mi puoi vedere. Io sono un Protettore e tu mi sei stata affidata diciassette anni fa. Tutti gli uomini hanno un protettore. Pensa Andrea, non ti sei mai sentita al sicuro nella tua stanza, come se avessi tua madre vicino, anche se era tutto buio? Io potevo sfiorarti il viso e dirti parole che ti avrebbero fatta sorridere anche se tu non le sentivi con le orecchie. Non so bene che cosa sia successo, so che sei arrabbiata, ma lo sono anche io e non devi esserlo con me. Io voglio la stessa cosa che vuoi tu: la verità. Voglio scoprire cos’è successo a te ed alla tua famiglia” “Posso… posso venire con te?” Sarebbe un eufemismo dire che non rimasi sorpreso. Letteralmente mi spiazzò. Già avevo le idee poco chiare, adesso ero ancora più confuso, dove credeva che potessi andare? All’improvviso però l’idea che lei volesse rimanere con me nonostante avesse un po’ paura, mi rincuorava. Sarebbe stata una buona idea non dividerci più. “Bene”. Non restava che capire come portarla con me, che fosse un’idea folle oppure no, l’avrei portata nel Paradiso. “Non so come fare” ammisi “finora non ho mai deciso io come arrivare nel mio mondo e come tornare qua” “Spiegami come succede” disse Andrea avvicinandosi. “Di solito sento una sensazione strana, mi brucia la pelle nel punto in cui questa inizia ad illuminarsi e poi tutto attorno sparisce” così dicendo tirai fuori la diaphana che per ora rimaneva di vetro fredda. “Fammela vedere” Andrea sporse la mano ed io tolsi la collana. Non capii bene cos’era successo fino a che non sentii la farfallina tintinnare a terra. Non appena Andrea l’aveva presa in mano, la pelle, la carne, le ossa e la sostanza stessa della mano e del polso di Andrea erano scomparsi lasciando la ragazza in preda ad un attacco di panico e me incapace di parlare. Fortunatamente dopo pochi secondi la mano era tornata ed entrambi avevamo

respirato di nuovo. In un attimo guardai Andrea negli occhi, aveva lo stesso bagliore che vedevo riflesso nei miei, allargai la catenina della collana per legarla attorno al mio ed al suo collo e le dissi: “pronta?” “Pronta”. La indossammo e divenne tutto buio.

[1] J.K.Rowling, “Harry Potter e i Doni della Morte”, Salani editore, edizione tascabile giugno 2013, traduzione di Beatrice Masini, edizione a cura di Stefano Battezzaghi.

CAPITOLO 11 – L’ANTICO EDEN

Come sempre il viaggio durò non più di qualche istante ed in breve ci trovammo in una stretta radura circolare che scendeva in un pendio verso una vallata. Eravamo in bilico nell’orlo del precipizio ma eravamo ancora stretti dalla catena della diaphana perciò non potevamo cadere. Non mi ricordavo di aver visto quel posto e non avevo idea di dove potessimo essere. “Dove siamo?” “Non lo so, ma resta ferma”. Tolsi la catenina e rimisi la farfalla sotto la giacca di cotone egiziano. “Non sono mai stato qui” “Ma che razza di angelo sei se non sai nemmeno dove mi porti!” Assurdo. Si stava arrabbiando con me come una bambina. “Ti ho già detto che non posso decidere io dove andare… e poi… hai voluto tu venire con me”. Assolutamente assurdo! Non poteva essere offesa davvero! Assurdo. Mi voltai per cercare di capire dove eravamo perché certo non potevamo essere ancora nella Terra e non sapevo se potessimo essere già nel Paradiso oppure no. Per fortuna vicino a noi trovai degli aphyllum, dei fiori lilla e gialli che sembrano quasi trasparenti e che profumano di tutto, a me profumano di cocco. “Siamo nel Paradiso piccola” “Cosa? E come lo sai?” “Questi fiori nel vostro mondo sono estinti, senti, di cosa profumano?” Sorrisi porgendole un fiorellino delicato sulla pelle.

“Di crema al latte, sono buonissimi. Perché sono estinti?” “E’ la natura, tutto finisce prima o poi” Andrea mise il bocciolo trasparente nella tasca e cominciò a camminare nel poco spazio che c’era. Così feci anche io, volevo trovare qualcos’altro che mi aiutasse a capire. C’erano un sacco di fiori e l’erba era morbida e fresca, com’era sempre stata nel giardino. Il sole sputava nuvole di fuoco e potevo vedere i movimenti delle stelle, perciò eravamo in cielo e ne ero sicuro. Ma non sapevo dove! Ogni tanto mentre eggiava vicino a me la sentivo cercare di sfiorare le mie ali, probabilmente quando mi aveva visto per la prima volta non le aveva notate, richiuse nella mia schiena. Era dolcissima, “puoi toccarle se vuoi, non mi fai male” “Posso davvero? Sono così belle... e morbide” era a dir poco adorabile. Era quasi una donna ma si meravigliava di tutto come fosse una bambina, era la mia bambina. “E poi sono di un colore così leggero...” disse. “Che cosa intendi?” risposi io un po’ sorpreso, le mie ali sono dello stesso colore della diaphana, anzi, spesso ho riflettuto sul fatto che il ciondolo si illuminasse di quel bordeaux così intenso proprio perché connesso con me stesso. “Verde pastello, sono di un meraviglioso verdeazzurro pastello. Io amo i colori così, mi ricordano la primavera” disse sorridendo “Continuo a non capire...” “Sono verde pastello Julian, cosa c’è che non capisci? Non conosci questo colore?” rispose ridendo, mi stava prendendo in giro. “No piccola, è che... io le vedo rosse...” “Dici sul serio? Ma io ci vedo bene... dai stai scherzando...” “No, davvero... le vediamo di due colori completamente opposti...”

“Non lo so Julian, però mi trasmettono un grande senso di calma” disse lei un po’ curiosa. Decisi di lasciar cadere il discorso, era una cosa strana, ma se le mie ali l’avessero aiutata ad avere fiducia in me, mi sarebbe andato bene qualsiasi colore. Ogni tanto mi sfiorava ancora. Certo era sicuro che non avrei mai immaginato che il mio cielo fosse così grande da non riuscire a capire dove fossi. Decisi che era meglio camminare nel verso opposto del dirupo ed Andrea sembrava d’accordo. La radura si estendeva per chilometri e non se ne vedeva la fine, solo verso l’orizzonte, a qualche centinaio di i verso ovest c’era un grosso albero frondoso mosso da un vento che sfiorava solo l’albero e che creava sotto di se una grande ombra. Andrea aveva bisogno di ripararsi da quel sole troppo vicino e troppo caldo per la sua pelle abituata alle distanze della Terra. Ad ogni o che faceva era meravigliata di tutto, la guardavo eggiare come se tutto fosse una sorpresa, come se non avesse mai visto nulla di così bello e potevo credere ai suoi occhi che brillavano perché so bene quanto il Paradiso sia lo spettacolo dell’Universo. Era accaldata ed entrambi girammo verso l’albero senza accorgercene. Stavamo in silenzio perché la mia piccola non riusciva a sentire le mie domande da tanto era abbagliata da tutto quello che la circondava. Io comunque ogni tanto mi voltavo a guardare se fosse ancora lì con me o si fosse fermata ad osservare qualche cosa. A circa dieci i dall’ombra dell’albero mi voltai di nuovo perché avevo chiamato il suo nome ma continuava a non rispondermi. Non riuscii a far altro che rimanere immobile. Andrea era ferma poco prima della circonferenza che creava l’ombra del grande albero. Era immobile, le labbra socchiuse, i capelli erano violentemente mossi dallo stesso vento che muoveva le foglie dell’albero, un vento che non toccava me. Gli occhi erano freddi e spalancati e tutt’attorno ad essi si stavano creando grossissime venature grigie che si ingrossavano e si estendevano velocemente sulla sua pelle dagli occhi al volto intero ed altre partivano dalla punta delle dita e correvano veloci verso le braccia e tutte puntavano dritto al cuore. La chiamai più e più volte, lei non mi sentiva, aveva cominciato a muoversi verso l’albero

contro la sua volontà, inerme, sola e isolata da tutto ciò che non fosse quel vento maledetto che la trascinava sempre più vicino a quell’albero. Le corsi incontro “Andrea! Piccola! Svegliati su, forza!” ma non mi sentiva. Provai a scuoterla ma la forza del vento era troppa per me, così provai a trascinarla indietro ma opponeva resistenza. Il corpo continuava ad avanzare. Era ormai così vicina al tronco robusto dell’albero che non sapevo proprio che cos’avrei dovuto aspettarmi, finché Andrea non alzò il braccio sinistro e staccò avidamente una grossa e lucente mela rossa che gocciolava di quel succo che mi faceva venire la nausea.

CAPITOLO 12 – CHI VIENE PUNITO

Non mi ci volle che un attimo per capire in che maledizione ci eravamo imbattuti, era l’Albero della Conoscenza, quello che aveva rovinato la razza umana più che tutte le altre dell’Universo. Il vento che lo scuoteva era il residuo dell’alito di vita che una volta circondava tutto il Paradiso, quando gli uomini potevano ancora essere felici qui. L’albero era stato maledetto da Munus per dimostrare a Dio l’infedeltà di Eva, e così era stato, ma non per pura volontà umana: come Andrea, la donna era stata stregata dall’odore acre del succo delle mele, il suo corpo non poteva fare a meno di volerle toccare e così, ingannata da Munus, Eva aveva condannato gli uomini. L’albero non era davvero intoccabile, la maledizione lo aveva reso soltanto irresistibilmente invitante. La regola di Dio era soltanto una prova di fiducia, e Munus questo lo sapeva bene. Ma dopo la maledizione, le storie degli anziani raccontano che Dio abbia deciso di porre davvero in quel succo tutta la conoscenza e persino qualcosa che non c’era nemmeno nella Biblioteca. Naturalmente nessun angelo ha mai tentato di toccarle e molti, come me, non hanno mai avuto la possibilità di trovarsi nel vecchio Eden. È il luogo più vicino a Lui. Andrea era stata stregata dalle mele come qualsiasi altro umano si fosse trovato vicino all’albero. A me non faceva nessun effetto. Solo il puzzo di quel succo mi disturbava. Non volevo che la mia piccola mangiasse di quel frutto, né che continuasse ad annerirsi, né che fosse fuori controllo così com’era… non riuscivo a toglierle quella maledetta mela… “Ferma cara, non è davvero quello che vuoi fare”. Una voce profondissima era apparsa alla mie spalle, mi voltai di scatto ma non vidi nessuno. “Forza, su, non la vuoi mangiare davvero. NON E’ LA TUA VOLONTA’ mia

cara”. Decisi di tenere gli occhi fissi su Andrea. Lontano da ogni previsione non aveva ancora assaggiato la mela, era rimasta ferma, con il frutto gocciolante tra le mani e la pelle venata di grigio. “Non è la tua volontà. ASCOLTATI”. Andrea tremò impercettibilmente e chiuse violentemente gli occhi. quando li riaprì erano i suoi, erano impauriti, terrorizzati e smarriti e lei era prigioniera del suo corpo, ma era lei, e si era svegliata. “Piccola sono qui, non avere paura, metti giù quello che hai nella mano, voltati verso di me” dissi e lei girò gli occhi, non appena mi vide chiuse le labbra e cominciò a respirare. Lasciò scivolare la mela a terra che si dissolse spontaneamente lasciando solo un terribile odore di marcio e la abbracciai. Non appena fummo lontani da quell’albero maledetto, decisi che potevo smetterla di stringerla, avevo paura che potesse ritornare sotto quell’effetto. “E’ stato orribile Julian” cominciò tremando ancora un po’. “Lo so tesoro, lo so” “Era come se… se fosse un incubo e io non riuscissi a correre o a urlare e non riuscivo a svegliarmi… e mi brucia tutto…” “Sei ancora scura, credo ci vorrà un po’ perché il sangue ritorni chiaro, il viso è già pulito” Le venature grigie si stavano riassorbendo molto più lentamente di quanto ci avevano messo a crearsi. “Piccola dimmi, perché ti sei fermata?” “Quell’uomo, non lo hai sentito? Mi ha detto che dovevo decidere io cosa volevo fare… e io non volevo mangiare quella schifezza…” “L’ho sentito…”

“Lo hai visto? Dov’è?” “No piccola, era soltanto una voce, qui non c’è nessuno”. “Ti sbagli ragazzo, io sono qui” echeggiò la voce profondissima che aveva salvato la mia piccola poco prima. “Dove sei? Voglio ringraziarti…” disse Andrea visibilmente spaventata. “Ti ringrazio della tua gentilezza mia cara, ne ho proprio bisogno sai” e con queste parole apparve vicino a noi uno degli esseri più maestosi dell’Universo intero: uno dei Suoi soldati. Era un uomo invecchiato, camminava lentamente e con o incerto, ma portava l’armatura della legione degli Arcangeli con stemma, incisione e gaudio, ma la cosa che più creava contrasto con quella sua vecchiaia erano le enormi ali verde smeraldo venate di azzurro che creavano deliziose ombre acquamarine. Eravamo nel vecchio Eden quindi forse molti soldati potevano are di qui, non mi stupiva affatto la sua presenza, l’unica cosa strana era la sua vecchiaia. Quando avevo visto Gabriel ancora molti anni prima, lo avevo visto più giovane di me, nonostante i suoi millenni alle spalle. Ma questo… gli angeli non dovrebbero invecchiare. Mi alzai in piedi “Salve soldato” “Oh ragazzo mio, non dirai sul serio” iniziò il vecchio con voce sempre calma. “Non dirmi che un vecchio come me ti può sembrare un soldato! Non avrei nemmeno la forza di sollevare la mia spada”. “Ma lei indossa l’uniforme…” “Le cose non sono mai quelle che appaiono. Allora cara, qual è il tuo nome?” “Mi chiamo Andrea” “Io sono Julian” “Lo so angelo, sei il fratello”

Rimasi di sasso. Non poteva averlo detto sul serio, insomma, avevo saputo io stesso di essere fratello di Andrea da pochissime ore e già lo sapevano tutti? O forse lui lo aveva saputo prima di me, forse gli altri angeli lo avevano sempre saputo ma nessuno si era preoccupato di dirlo a me! Forse il vecchio sapeva qualcosa che io avrei dovuto sapere… ripensai immediatamente alla conversazione degli anziani davanti alla Biblioteca che parlavano di Munus. Il mio viso era molto più che stupito ed il vecchio se ne accorse, sorrise e continuò: “Io sono Probito. Sono piacevolmente sorpreso dalla visita di questa umana. Come sei arrivata qui? Certamente è stato Dio a volerlo, non si può salire al cielo con una gradinata di legno… raccontatemi la vostra storia”. Io e Andrea ci scambiammo un’occhiata terribile. Solo ora ci rendevamo conto di aver sfidato il volere di Dio venendo qui di proposito, senza chiederlo e soprattutto senza sapere se ci era permesso. Raccontammo al vecchio la nostra storia ed io fui ben attento a non parlare della mia visita alla Biblioteca e della scoperta che avevo fatto soprattutto per non spaventare Andrea più di quanto già non fosse. Quando io arrivai a raccontare la parte che riguardava il mio arrivo nel Paradiso, la prigionia e il dolore che provai non potendo fermare l’incidente, Andrea sembrava non sentirsi bene: era stupita, triste, una lacrima le stava per scendere ma cercò di tenerla. Non se l’aspettava. Quando avemmo finito Probito mi guardò e lessi nei suoi occhi che aveva capito che avevo tralasciato la parte fondamentale: sapeva tutto. “Così siete alla ricerca di questo ‘misterioso’ ragazzo” sorrise. “Non sappiamo nemmeno da dove cominciare” disse Andrea, “stiamo andando alla cieca”. Ed era molto più che vero! “Adesso tocca a te, soldato, raccontaci come mai sei qui solo e vecchio”.

CAPITOLO 13 – LA CONOSCENZA

Quando Dio creò il primo di tutti gli universi che prima del nostro sono esistiti, gli angeli che creò al suo cospetto gli furono eternamente grati per aver ricevuto la possibilità di vivere. Come tutti i mondi sanno, dopo parecchi universi, vissuti in pace e tranquillità, un angelo decise di volere di più. Munus scappò dal cielo e si rifugiò nella sua tana dove creò i Demoni. Poi rubò una sfera umana e quando Dio creò il nuovo ed attuale Universo, lui generò i fratelli, i fratelli di Andrea. È stupido pensare che tutto ciò non accadde in modo anomalo, senza difficoltà, senza lotte. La logica di potere di Munus non era sconosciuta ai vari mondi e tanto meno al cielo stesso. Molti angeli, che erano stati creati con lui, ascoltavano affascinati le parole e le idee del soldato. Egli sosteneva che Dio li avesse creati per proteggere l’Universo corrente e quelli successivi ma che se non avessero saputo la verità, non avrebbero saputo da chi difendere la gente. Quelli che seguivano le sue idee avrebbero dovuto imparare di più e conoscere i mondi e le creazioni e tutti i più piccoli particolari per poter capire i segreti e per poter prevenire qualsiasi male. Così Munus ed alcuni altri angeli che volevano imparare a leggere il piano di Dio cominciarono a frequentare assiduamente la Biblioteca. Imparavano tutte le storie delle creazioni, tutti i racconti dei mondi e delle terre universali e man mano che cominciavano a capire il segreto insito nelle scritture della mano di Dio, volevano sempre di più perfezionarne la conoscenza. Dio sapeva benissimo che cosa stava succedendo e chiamò Munus a sé, per pura curiositas, facendogli credere di essere interessato al loro lavoro di Conoscenza della Creazione. Munus fu interpellato e non gli piacque affatto dover dare spiegazioni su quello che faceva della sua vita. Non si sentiva libero e ogni volta che parlava con Dio

gli sembrava che avesse qualcosa da nascondergli. Non riusciva a capire che stava superando ogni limite. I suoi insensati studi continuarono per molto tempo fino a quando, insoddisfatto dei limiti che Dio gli aveva impostato, aveva fatto ciò che aveva fatto, andandosene per sempre. Ma nonostante il triste epilogo della storia di Munus, non tutti i suoi seguaci capirono di aver sbagliato: alcuni di loro lo seguirono con i suoi Demoni giù nella terra, altri decisero di rimanere nel Paradiso ma non tutti chiedero perdono a Dio con sincerità, perché pensavano ancora alla conoscenza che avrebbero potuto ancora ricevere. Probito era uno di quest’ultimi. Era nato al tempo di tre universi precedenti al nostro, nella massima diffusione delle ideologie di Munus. Era cresciuto con la voglia di sapere, conoscere, imparare, con il fine di aiutare Dio a proteggere i mondi. Quando Munus scappò lasciando disorientati i suoi adepti, Probito aveva appena finito di imparare tutto quello che c’era nella Biblioteca. Insoddisfatto di quel che aveva imparato, andò nel giardino dell’Eden e mangiò del frutto di Munus.

CAPITOLO 14 – IL VIAGGIO

“ E cos’hai saputo?” chiese Andrea interrompendo il racconto. Era esattamente quello che volevo sapere anche io. “ Cosa credi abbia saputo cara? I misteri della vita? Lo scopo dell’Universo? L’albero mi ha succhiato la vita. Mi ha soltanto punito…” “ Vuoi dire che se avessi mangiato quella mela non mi sarebbe successo niente?” “ Oh no no no cara, no, tu saresti morta di certo”. Era così superficiale il modo in cui parlava di argomenti così seri, mi irritava! In ogni caso mi sembrava molto più chiaro il motivo per cui Probito era un soldato così vecchio… “ Vuoi dire che sei in questo posto isolato da tutto perché…” “ Perché ho tradito la fiducia di tutti, e si sa, a nessuno piacciono i bugiardi. Non appena ho sentito quel puzzo acido delle mele, mi sono chiesto se stessi sbagliando ma come puoi immaginare lo volevo troppo per cambiare idea. Mangiai la mela e non successe niente, ne mangiai un'altra, mi strafogai fino alla nausea e svenni. Quando mi svegliai Dio era lì, e mi disse che sapeva che nel mio cuore avevo esitato, ma lo avevo tradito lo stesso. Non mi cacciò ma mi rinchiuse qui da solo, nel vecchio Eden, a guardare l’albero per tutta l’eternità. Con il are del tempo la mia pelle cominciò ad invecchiare di pari o con il rimorso che avevo nel cuore. Cosa volete sapere ragazzi miei, non credo proprio starò qui per l’eternità. Credo morirò” “ COSA? Ma gli angeli non muoiono!!!” “ Cara, io ho scelto consapevolmente di non essere più un angelo nel momento in cui ho immaginato di poter sapere tutto. Morirò anche io. Chissà cosa ne sarà della mia anima”

“ E’ vero, dove andrà? Se di solito ritornano qui…” “ Andrò a salutare il mio amico Munus” rispose Probito sorridendo di un sorriso molto più che triste. Ero sempre più sconvolto: un angelo che muore. Un angelo che tradisce Dio ma che viene lasciato nel Paradiso. Un soldato vecchio. Tutto il sapere del Sistema. Non volevo certo fare la sua fine ma dovevo sapere di più su di me e su nostro fratello. La pelle di Andrea era ritornata del tutto normale: “Piccola come sta il braccio?” Solo in quel momento mi ero ricordato che Andrea aveva ancora la fasciatura. “ Molto, molto meglio, credo toglierò le fasce perché mi danno fastidio.” Era stupefacente come l’aria del Paradiso avesse fatto bene ad Andrea, era già diventata più forte. Gli uomini che avevano vissuto qui dovevano essere stati molto forti, oppure semplicemente l’aria della Terra doveva averli indeboliti parecchio. “ E’ guarito, guarda, guarda Julian! Non ho più nemmeno la cicatrice!” disse Andrea palesemente felice, e lo ero anche io. Sorrisi. Dopo aver parlato con Probito, ci mettemmo subito in cammino. “ Andiamo” dissi. “ Ad-Dio cari ragazzi, spero tanto di esservi stato utile, chissà che la mia pena sia un po’ più leggera” ci salutò Probito. Il soldato ci aveva parlato di un Portale che avremmo dovuto raggiungere. Aveva detto che trovato quello, avremmo trovato facilmente il ragazzo dell’auto. Cercavo di riare nella mia mente le istruzioni per arci attraverso ed ogni qualvolta le ripetevo mi percorrevano fremiti di paura all’idea di quello che avremmo trovato dall’altra parte. Se il ragazzo era quello che credevo io, avremmo trovato qualcosa che Andrea non avrebbe mai dovuto vedere, non ero nemmeno convinto che lei potesse

are insieme a me o che, anche se ci fosse riuscita, ne sopravvivesse. Il problema più grande era la sua infinita e fastidiosa testardaggine, lo sapevo bene che era una ragazza molto sicura di sé e molto forte rispetto alle altre, ma Dio, quanto era fastidiosa la sua vocina sicura con cui ribadiva che sarebbe venuta lo stesso! D’altra parte ci avevo vissuto assieme! Per tutto il tempo in cui camminammo mi resi conto di essere stato in silenzio, e con me Andrea, ansimante per il caldo prodotto dal Sole della mia Terra, così vicino. Quasi quasi mi aspettavo che si scottasse. Volevo che fosse troppo stanca per venire con me ma lei arrancava pochi i indietro con la sua assurda convinzione di potercela fare… neanche fosse in uno dei suoi libri di avventura! Certo non si chiamava Katniss Everdeen![1] Continuavo a stare in silenzio ma non mi sembrava più la cosa giusta, chissà quanto difficile doveva essere anche per lei corrermi dietro in un posto sconosciuto con quel caldo. Ormai dovevano essere trascorse più di un paio d’ore. “ Fermiamoci vicino a quella grotta eh, devi essere stanca” “ Solo un pochino” rispose Andrea respirando pesantemente. Mi sentivo parecchio in colpa, in fin dei conti avrei dovuto proteggerla e invece l’avevo trascinata in una ricerca suicida, era quasi stata uccisa da un albero maledetto, quasi scottata sotto il sole e ora stava quasi per essere inghiottita da un Portale infernale… “ E’ così bello qui, tu avresti potuto viverci per sempre e invece hai scelto volontariamente di andare sulla Terra, sei pazzo! Sei completamente pazzo”. Mi faceva ridere “Sai piccola, io ho ato la vita intera a guardare voi laggiù e a chiedermi come potesse essere, non vi invidiavo certo, quello si che sarebbe stato stupido, volevo soltanto sapere, e sognavo spesso di potervi cambiare un po’. Quando mi hanno detto che potevo venire da te e sono stato catapultato senza preavvisi, tu eri così piccola e fragilissima… e io non mi sono più interessato ad altro che a te. La Terra è un posto spaventoso, ma noi due abbiamo potuto vedere solo quello. Potrebbe esserci un pianeta lì da qualche parte di gran lunga peggiore. Poi io ho

te e tu hai me”. Aveva gli occhi bassi sul terreno morbido su cui ci eravamo seduti, stava riflettendo e ne ero sicuro, pensava ai suoi genitori. “ Julian, tu credi che loro siano qui?” “ Ne sono sicuro piccola, erano uomini straordinari e qui saranno felici, sono sicuro che non appena torneremo giù, i tuoi genitori veglieranno su di te e ti staranno sempre accanto”. Non avevo proprio il coraggio di dirle che il giorno dell’incidente, quando io la guardavo da lontano, inerme, avevo visto le loro sfere salire al cielo. Sarebbe stato troppo per lei in quel momento. Avevo imparato, negli anni in cui vivevo nel cielo, che l’unica speranza degli umani eravamo noi: credevano che qui nel Paradiso, dopo la morte, sarebbero potuti essere felici perché avrebbero potuto vegliare sui loro cari, giù. Si, è vero che qualche volta succede, io ed Ismaele ne siamo un esempio, ma il ciclo delle sfere è e deve essere infinito… povera piccola. Ora che aveva qualche minuto per pensare, si stava rendendo conto pian piano di quello che era successo. D’ora in poi sarebbe stata sola, tranne me non aveva nessuno. I suoi genitori erano morti, lei non aveva potuto stare con loro, non aveva potuto salutarli, abbracciarli, non aveva detto addio. Le lacrime avevano cominciato a scendere lente, poi a grossi fiotti che le rigavano il visino, piangeva, a voce alta, si teneva il viso tra le mani e singhiozzando non riusciva a parlare: “Mi man-ca-no” “ Tesoro...”. Singhiozzava “ Io-io-non-li-ho nemmeno sa-lutat-i...”. Non sapevo proprio come comportarmi, non avevo mai dovuto affrontare niente del genere prima e doverlo fare ora, con lei, che era così buona, fragile... non se lo meritava. Non meritava tutto quel dolore inaspettato che la colpiva forte. “ Non avevo det-to loro che gli voglio bene... non glielo avevo mai detto... loro non lo sa-non lo sanno... è colpa mia è colpa mia perc-perchè non glielo avevo

detto”. “ Piccola no... non pensarle nemmeno queste cose, mi hai capito? Loro lo sapevano e ti amavano tantissimo”. Singhiozzava troppo forte e probabilmente non aveva nemmeno sentito quello che stavo dicendo. Si stava incolpando di cose insignificanti, non aveva avuto tempo di assimilare tutto questo fin ora e adesso che se ne rendeva conto, tutto il peso del mondo le stava cadendo addosso. Non era pronta e non era abbastanza forte per sostenerlo. L’unica cosa che potevo fare era diventare ciò che avrebbe riempito il vuoto che aveva dentro di sé: avrei sostenuto quel peso con lei, lo avremmo diviso a metà, sarebbe stato tutto più leggero... sarei stato la sua famiglia. Calò presto la sera che comunque era mite, non faceva freddo e si stava bene come in una tiepida giornata primaverile al sole della Terra. Avevamo la grande Luna così vicino a noi che quasi con la mano Andrea poteva sfiorarla e le stelle illuminavano il bosco quasi a giorno, ad intermittenza, di una luce azzurra, fredda che faceva venire una gran voglia di dormire. Eravamo stesi all’ombra buia della grotta, su di un tappeto fresco di erba morbidissima e si stava molto più che comodi, attorno a noi c’era il profumo dolcissimo dei fiori e dagli alti alberi arrivavano i suoni degli ultimi animali che andavano a dormire e dei primi che iniziavano a svegliarsi. Io per abitudine aspettai che prima si addormentasse lei, poi mi addormentai io, ed entrai nei suoi sogni come ogni notte da quando avevo visto per la prima volta gli scarabocchi colorati nella sua testolina. Quando ci svegliammo era chiaro, ma il sole non era ancora caldo come sempre, l’aria era fresca e un gatto bianco con delle macchioline marroni sulla schiena era acciambellato ai piedi di Andrea, probabilmente aveva dormito li e le aveva scaldato i piedi. Mi sembrava stesse ancora facendo le fusa. “ Buongiorno piccola” lo avevo sempre detto in silenzio, perché lei non poteva sentirmi ma ora si, sorrisi e lei mi sorrise per la prima volta appena sveglia “Buongiorno, che fame!”. Me ne ero proprio scordato: Andrea mangiava un sacco di biscotti! Era impressionante quanti biscotti mangiasse ogni mattina “devi accontentarti della

natura questa mattina, piccola, mi spiace”. “ Ma tu sai proprio tutto eh, mi sento violata, mi spiavi troppo…” borbottò lei con un broncio che mi fece ridere di cuore. Mangiammo un sacco di frutta e noci, eravamo molto più che sazi e portammo con noi delle albicocche piccole e qualche nocciola. Faceva caldo anche per me e Andrea tolse la giacca così da rimanere in canottiera. Camminammo ancora per delle ore e ad ogni o mi stupivo di come non conoscessi niente del Paradiso in cui ero vissuto. Era davvero spettacolare, la pace che gli umani ricercano in un’ora di yoga, c’è qui ad ogni respiro, ad ogni battito del cuore che rallenta piano piano, ad ogni singolo muscolo che si tende e che porta lo sguardo verso qualcosa che non aveva mai visto. Ci credo bene che gli uomini vorrebbero essere qui. La natura perfetta delle cose ci porta a credere che nel profondo di ognuno di noi ci sia la stessa perfezione, la stessa geometria di un fiore che nasce già con il numero perfetto di petali colorati tutti in modi paradossalmente diversi. Non sembra giusto che la nostra esistenza al contrario sia così imperfetta e labile e confusa e chiusa. Chiusi sono gli umani nelle loro abitudini che in realtà nascondono altro che l’obbligo impostogli dalla natura di fare quello che non li porta a vivere in quell’eterno ciclo che non è più nasco-vivo-muoio ma è diventato un terribile nasco-fatico-lavoro-fatico-muoio. Il aggio da essere animale a uomo è proprio qui, non c’è più nemmeno la possibilità di vivere soli con se stessi. Mi chiedo: che sia stato l’uomo a creare per sé questa catena di prigionie continue e legate dalla consapevolezza di non meritare niente di meglio, o che davvero l’Universo li abbia puniti imponendo loro sofferenze peggiori delle torture della carne, proprio perché non meritano la pace di cui solo noi possiamo godere? Solo noi poi non so il perché. Avevamo finito le albicocche ma ormai eravamo arrivati alla fine del nostro viaggio. A pochi metri da noi c’era il Portale.

[1] Suzanne Collins, “Hunger Games”, Oscar Mondadori, collezione Grandi

Bestsellers, anno 2013, traduzione di Fabio Paracchini con la collaborazione di Simona Brogli.

CAPITOLO 15 – LA FINE

A pochi metri di distanza dalla fine del bosco che avevamo attraversato c’era quella che, non troppi secoli prima, gli uomini avrebbero definito come ‘la fine del mondo’, o meglio ‘il confine’. Una luminosissima parete trasparente divideva noi dal mondo al di là, che non conoscevo, di cui non avevo mai sentito parlare e che non sapevo esistesse. Era una specie di cascata luminosa di energia pura, illuminava tutto quello che c’era attorno, non finiva nel terreno, ma lo attraversava e cadeva al di sotto e continuava fin sopra le nuvole, ava attraverso il sole e mi stupivo di non aver mai notato una scia così chiara. Sembrava continuasse sia sopra che sotto e che asse attraverso le stelle ma poi non si vedeva la fine. Mi sembrava una parete fluida e liscia anche se non avevo proprio il coraggio di toccarla, ma era attraversata in tutta la sua lunghezza da lunghissimi fili bianchi che le conferivano spessore, altrimenti sarebbe stata una parete invisibile… ogni filo era annodato, era chiuso, non so nemmeno come spiegarlo, c’erano dei nodi assolutamente casuali che si muovevano su e giù per i fili della parete, dei nodi luminosi e poco spessi che muovendosi creavano lo strano effetto di non capire bene se l’energia della parete scendesse verso il basso, verso la Terra o se salisse verso il resto dell’Universo. “Andrea non toccarla” “Credi sia il aggio?” “Non lo so… ma è sicuro che questa sia la fine” “Dobbiamo cercare il modo di are… cosa ti ha detto Probito?” “Mi ha spiegato come inserire la chiave, insomma, come are… ma io immaginavo fosse chiaro il buco!” Andrea si mise a ridere, era davvero bellissima. “Dai su, cerchiamo questo ‘buco’” disse lei guardandomi di traverso come se

avessi detto qualcosa di veramente stupido, non a torto forse. Mentre camminavamo in modo parallelo alla scia, cercavamo qualsiasi tipo di incastro, qualsiasi tipo di indizio per poter are dall’altra parte della parete o da qualsiasi altra parte. Dopo una decina di i verso sinistra sentii bruciare il petto… “Andrea la diaphana!” Lei corse da me un po’ con il fiatone, tirai fuori la farfalla dal giacchetto e feci fatica a tenerla in mano, scottava parecchio e si divincolava tra le mie dita, voleva staccarsi ma di certo non lo avrei permesso, insieme alle sue venature rosse si stava colorando anche il filo trasparente che la legava a me, avevo la pelle un po’ arrossata e staccai il cordone dal mio collo. “Reggila per il filo, guarda” mentre tenevo la diaphana con la punta delle dita, un punto preciso della cascata di energia cominciò ad accumulare nodi. Si avvicinavano velocemente gli uni agli altri ma tenevano sempre una distanza minima, non si potevano toccare, erano energia opposta. Nel giro di pochi secondi si formò un arco della perfetta misura di Andrea, non ho idea del perché, ma io non ci avo, la misura era la sua. Era decorato di milioni di forme geometriche e migliaia di forme naturali ma la cosa più straordinaria era l’arcata superiore, la più grande. Nella serie perfetta dalla creazione del primo Universo alla nascita dell’ultimo presente, si erano formati tutti i pianeti conosciuti, sconosciuti, morti, distrutti e ricreati nella storia di tutti gli Universi esistiti sin ora. Tutti. Dal primo a noi, e noi eravamo i più luminosi. I nodi avevano riconosciuto la struttura fisica e spirituale di Andrea e avevano ricreato per lei la giusta dimensione di aggio affinché potesse tornare nella sua casa. Ma noi avremmo affrontato anche a questo: saremmo andati contro anche al volere della natura, Andrea non sarebbe tornata a casa. Lasciai cadere la diaphana nella fessura dell’ultimo nodo ed il Portale, dal punto

in cui avevo inserito il ciondolo, si ramificò del rosso porpora della mia farfalla. “Sei pronta, piccola?” “Perché, non ho già fatto un assurdo viaggio con quell’affare al collo?” rispose lei sorridendo di sbieco. Era assurdo, riusciva sempre a dire la cosa sbagliata! “Ma cosa devo fare con te… senti, mettiamo in chiaro delle cose” non volevo farle la predica ma volevo cercare di proteggerla un po’ di più di quanto non avessi fatto negli ultimi giorni “Io non ho idea di dove finiremo, tu devi stare con me, non ci divideremo per nessun motivo”. Come invece fanno tutti nei film dell’orrore, dove i gruppi si dividono e capita sempre il peggio. A quanto pare l’idiozia regna sovrana. “Se io ti dico ‘scappa’ o ‘nasconditi’ o qualsiasi altra cosa per proteggerti, tu allontanati, nasconditi nel punto più vicino, dove nessuno ti possa vedere ma dove tu possa vedere me. Non sappiamo dove saremo, non sappiamo chi o cosa troveremo e non puoi scappare verso qualcosa che non conosci, d’accordo?” “Mi metti ansia così però… d’accordo” fece lei un po’ giù di morale. “Cerchiamo di tornare vivi”. Ci prendemmo la mano per non rischiare, la porta intanto si era ingrandita quanto bastava per far are entrambi ed attraversammo la barriera di energia. Il viaggio fu il solito, mi aspettavo qualcosa di strano e invece ci ritrovammo dall’altra parte in meno di un attimo, leggeri come sempre. “Ahi!!!” la diaphana mi era caduta in testa picchiando forte. Non pensavo nemmeno mi corresse dietro, la rimisi nella giacca. “Dove siamo? Vedi qualcosa?” “No, è troppo buio… tienimi la mano, faremo luce con la farfalla”.

Mentre arrancavamo nella fioca luce del ciondolo, continuavamo a sbattere contro pareti rocciose e appuntite che ci ferivano dappertutto, cercai di spingere Andrea dietro di me così da spianarle un po’ la strada. C’erano tantissimi viottoli e gradini che portavano sempre più giù e poi su e poi ancora più giù, seguivamo strade e buchi a caso, non sapevamo dove andare e camminavamo verso le grotte più larghe, per non finire incastrati. Fu lungo e doloroso per entrambi, avevamo paura ad ogni o, sentivamo di non appartenere a quei posti e ci mancava la luce del Paradiso, eravamo già più deboli e tristi. L’aria era soffocante. Faceva caldo. I vestiti erano lacerati dalle rocce. Eravamo stanchi. Non potevamo tornare indietro e noi eravamo stremati ma poco più avanti intravedemmo una luce marrone, scura, che usciva da un viottolo appena più a destra. “Stai dietro, sento anche delle voci”. In realtà non erano proprio voci, erano più suoni, rumori. Doveva essere una stanza parecchio affollata ma nessuno si esprimeva con parole, era tutto un mugugnare, un criare, un battere i piedi. Ci avvicinammo al buco d’entrata... e tutti ci stavano guardando. “Ommioddio Julian…” “Ben trovato gemello, ti sei fatto male venendo fin qui? I miei volevano venire a prenderti subito ma poi... volevamo provare a vedere se fosse facile arrivare a questa stanza oppure no, perdonami sai… pura curiosità. Sai non molti ci fanno visita di propria iniziativa. Ma cosa vedo li… ci hai portato anche un dono! Oh ma no, mio caro, non me l’aspettavo, mi lusinghi, io non ho preparato nulla per te… o forse si. LEGATELA!”

“Piccola rimani attaccata, stringimi” sussurrai ad Andrea, non capivo come non fosse ancora svenuta per la paura, mi sentivo male io. “Come fai a conoscermi, Munus”. “Aaaahahahah, ma cosa dici ragazzo mio, ho salvato la tua miserabile vita, non mi ami? Non mi preghi o mi stimi come fai con il tuo Dio? Non ti annulli per me? Non soffochi per me tutti i tuoi desideri, come ti chiede Lui?” Le creature senza occhi, quei cosi, i Demoni, cercavano Andrea, fiutavano l’aria sporca e stavano raggiungendoci. “NON TOCCATELA!” Grugnivano. “Su su su ragazzo, non vorrai tenerla tutta per te. Il tuo Dio non ti ha insegnato a condividere con i tuoi... fratelli? CHRISTOPH VIENI QUI e porta il nostro benvenuto all’umana”. Quel mostro era orrendo, le ali di carbone tentavano invano di coprirgli il corpo nudo e freddo, senza colore, trasparente, il sangue scuro. Munus stava seduto su di un trono di pietra incavato sulla roccia dura. Al suo cospetto l’esercito di maledetti che si colpivano l’un l’altro per la pecca d’intelligenza, erano cattivi, spietati e pendevano dai suoi piedi come grati di quella misera esistenza, se esistenza si può definire. Ciechi, storpi, mutilati, ascoltavano la sua voce melliflua e fiutavano gli obbiettivi senza facoltà di parola, gutturavano. Eravamo davvero arrivati alla fine del nostro viaggio. Avevo amato quella bambina per la maggior parte della mia vita, era lei stessa la mia vita, e ora l’avevo portata con me in un tragico declino della nostra esistenza alla ricerca di un mostro nella sua tana. Eravamo gli scoiattoli che cercano ghiande nella grotta della volpe. Non ci parlavamo più, sentivo solo Andrea stringersi sempre di più ai miei fianchi, premere le dita nella mia carne chiara, guancia sulla mia schiena, sconvolta dai fremiti delle lacrime calde che mi bagnavano la giacca, la pelle, il cuore.

Le accarezzai la mano, come per farle ammorbidire un po’ quelle dita così serrate e si calmò un attimo. La sua pelle era così morbida, era il mio angolo di Paradiso in quelle tenebre oscure e piene di terrore. Era mia. E sarebbe uscita viva di lì, con o senza di me. “ALLORA DANNATISSIMO RAGAZZO?!” quello che Munus aveva chiamato arrivò all’istante, aveva lineamenti troppo fini e delicati per quel luogo maledetto dal mondo, non ne era adatto, non era un demone come gli altri. “Christoph, porta all’umana quello che è dell’umana” aveva una voce mielosa e derisoria, era insopportabile. Intanto ero riuscito a spostare un paio di quei cosi da noi, spingendoli lontani, forse non si accorgevano neppure di quale fosse la preda. Altri continuavano a fiutare. Il demone di nome Christoph avanzava a i incerti verso la luce della grotta, aveva grandi ali, più o meno della mia grandezza, ma blu notte, erano scure, venature grigie. Non aveva affatto i caratteri degli altri Demoni, aveva grandi occhi grigi, una bocca rosea e capelli corvini, ricci e selvaggi ma soprattutto i lineamenti erano naturali. La pelle era chiara come quella di Munus, ma il sangue era di un colore simile a quello mio e di Andrea. Arrivato due i avanti a noi gettò con rabbia un oggetto piccolo a terra, ai miei piedi. Aveva un sorriso cattivo, di disprezzo, di superiorità, come chi dice: vediamo ora come risolvi la situazione. Era più difficile trovare quell’oggetto che non sfregarsi la pelle con le rocce, quando finalmente lo raccolsi, non capii cos’era, o meglio, che significato avesse, finché Andrea non lo prese dalle mie mani, sconvolta: “E’ l’anello di mamma”.

CAPITOLO 16 – E’ SOLTANTO L’INIZIO

Quel bastardo, Demonio traditore impostore cattivo e maledetto! Era lui, era lui quel bastardo che aveva rovinato la vita della mia piccola, che l’aveva seguita fin da bambina insieme a me, era sempre stato pronto all’agguato, l’aspettava, aspettava che io mi distraessi ma non lo avevo mai fatto, eh no! Non gli avevo mai dato la possibilità di avvicinarsi a lei, non l’aveva mai toccata, mai avvicinata, mai impaurita, io ero sempre stato lì pronto a difenderla, a costo di qualunque cosa. Era stato lui, quel maledetto, ad uccidere i suoi genitori, i genitori di Andrea… i miei… i suoi… i genitori di tutti e tre. Bastardo maledetto! Lo odiavo… io che non avevo mai nemmeno pensato a che cosa potesse essere l’odio, lo odiavo, lo volevo veder soffrire, lo volevo vedere morire, lo volevo uccidere io stesso! Ero una vergogna per tutti gli Angeli, per tutte le creature di Dio, per la mia famiglia nel cielo e per la mia bambina, ero una delusione ma lo volevo morto, lo volevo uccidere con le mie mani, nude, senza pensieri, solo per non vederlo mai più. Aveva avuto anche il coraggio di venire qui, davanti a noi, bella faccia tosta il bastardo! Per fortuna che Andrea non sapeva, ora era al mio fianco, mi aveva lasciato, si era messa vicino a me, forte e coraggiosa, con l’anello di sua madre in mano. “Bastardo...” aveva detto lei con una punta di disprezzo nella voce così grande da stupire anche me, che la conoscevo meglio di quanto conoscesse se stessa, anche se in realtà avrei dovuto aspettarmelo, era una ragazza forte. Christoph rideva e mi faceva schifo. Mi aveva guardato in faccia il giorno dell’incidente, aveva guardato verso di me mentre feriva la mia bambina irrimediabilmente, era anche sorella sua, era anche la sua famiglia. E ora ne ero sicuro: era stato Munus a rinchiudermi nel Paradiso. “Che cosa vuoi?”

“Volevo soltanto conoscervi...” “Bugiardo. Hai ucciso i genitori di Andrea, sei un assassino”. “Ehi ehi ehi, non vorrai prendertela per una cosuccia così... non dirmi che ti eri legato a mamma e papà!” replicò lui prendendosi gioco di me, “mi sembri perplessa ragazzina, non dirmi che non ti ha raccontato niente...” sorrideva, cattivo. Sapeva ciò che stava facendo, voleva metterci uno contro l’altra, e Andrea non sapeva di noi... si sarebbe arrabbiata. “Non ascoltarlo piccola, vuole solo allontanarci” “Forse volevi dire che voglio solo avvicinarci eh?... Allora ‘piccola’ lo sai perché sei qui? Lo sai perché questo ‘Angelo’ ti ha trascinata qui giù con lui? Non ti sembra particolarmente familiare?” Andrea teneva gli occhi fissi, severi, e rimaneva in silenzio. “FORZA DIGLIELO!!!” gridava. Io non volevo dirlo ad Andrea, mi avrebbe odiato, nonostante il tempo a nostra disposizione non avevo mai avuto il coraggio di parlarle. “Piccola...” la mia voce chiedeva perdono. “Julian non sono stupida... Credi di essere migliore di noi, Christoph? Non vedi che qui sei solo una marcia pedina ai piedi di quell’animale che cade a pezzi?” Fu la goccia che fece traboccare il vaso: io ero allucinato, stupito e soprattutto confuso... esattamente che cosa sapeva? E la situazione cominciò a peggiorare. Era un demone, era arrabbiato e combattivo e mentre si avventava su di me, capii che non ce l’avrei fatta. “ANDREA VIA!” non avevo il tempo materiale di assicurarmi che lei si nascondesse come previsto, ma speravo con tutto il cuore che riuscisse ad allontanarsi da lì.

Erano successe più cose insieme: Christoph aveva digrignato i denti e cercava di assalirmi; Munus si era messo comodo nel suo trono freddo e duro e aveva ordinato ai suoi qualcosa che li aveva messi in moto verso di me; Andrea non c’era più. Spiegai le ali e cercai di reagire ma era troppo forte per me e non potevo fare altro che incassare, lo colpii forte un paio di volte finché non riuscii a prendere la mia spada di luce e gli sfregiai una spalla, poi di nuovo più a fondo. Lui non si aspettava che fossi armato, loro potevano solo essere cattivi, avevano forza bruta ma io no, io ero stato addestrato a ben altro. Per l’ultima volta gli colpii il viso, e gli lacerai la pelle proprio al lato della guancia, sanguinava troppo. Non avevo il coraggio di ucciderlo, ero stato spavaldo dentro di me ma non ne avevo il coraggio, era pur sempre la mia famiglia. Lo lasciai lì a terra, non volevo ucciderlo ma nemmeno salvarlo, non meritava niente. Cercai di farmi largo tra la moltitudine di esseri che cercavano di colpirmi e altri che correvano nella direzione in cui era scappata Andrea, li trafiggevo, sanguinavano, ero sporco di sangue marcio e putrido e di malessere, di puzzo e mi sentivo male in mezzo a tutto quello schifo ma continuavo a correre, avevo un altro obbiettivo: Munus. La cosa peggiore di tutto quello che ci successe, fu vedere Andrea nelle sue mani. Era un dejavous, io di nuovo solo a guardare la mia piccola che soffriva. Mi bloccai di colpo davanti a loro, ero immobile e quasi non respiravo più, la teneva stretta per il braccio, con le sue dita lunghe e sottili e putride e le stringeva la carne. “Bravo, davvero molto bravo. Non credevo avresti attaccato tuo fratello, si vede che nel tuo sangue scorre un po’ del suo, lui ti avrebbe ucciso sai? Sei stato bravo, se fossi venuto con me anche tu, a quest’ora saresti il mio braccio destro, quella mezza carta invece non merita niente, però mi ha portato voi... beh forse non lo ucciderò”. Disse Munus con la sua voce strascicata. “Lasciala” dissi ansimando “Lasciala” “TI HO DETTO DI LASCIARLA!”

“Ma sentilo, eh ragazzina, lo senti? Quanto si preoccupa, eppure non c’era quando sono morti i tuoi genitori... vero?” “Non... non è... non è stata colpa s-sua...” “Tu dici? Però avrebbe potuto salvarti no? Con tutti i suoi poteri e il suo bel faccino e tutto il suo noioso amore per te, no? Non dirmi che un Angelo della sua portata non avrebbe potuto far niente...” “SEI STATO TU MALEDETTO, TU MI HAI IMPRIGIONATO LASSU’, NON E’ COSI’? NON VEDEVI L’ORA DI AVERMI VERO? TI SONO STATO PORTATO VIA, NON HAI AVUTO IL GENE COMPLETO PER IL TUO SPORCHISSIMO PIANO EH... NON HAI POTUTO CREARE LE TUE MOSTRUOSITA’ PER BENE SENZA DI ME”. L’avevo detto. L’avevo detto davvero! Ormai respiravo a fatica ma l’idea che lui volesse Andrea al mio posto mi tormentava più di ogni altra cosa, lei doveva essere vicino a me. “Io non voglio nessuno, non mi servi, stupido umano. Nemmeno lei. Ma credimi, se ti vorrò, sarai il primo a saperlo... idiota. Credevi di venire qui, salutare tuo fratello, prendere the e dolcetti e poi tornare a casa? VOI-DI-QUINON-USCIRETE-VIVI”. Era furioso, lo avevo toccato nel profondo, gli servivamo tutti e tre per completare la creazione dei suoi mostri... Angelo, Creature di un altro Universo, Umana. Si alzò in piedi gettando Andrea a terra, ruzzolò per qualche gradino spigoloso e atterrò tra i miei piedi, cercava di alzarsi ma aveva una gamba sanguinante. Le sussurrai veloce: “la diaphana brucia”. La tirai su con tutta la forza che avevo e cominciai a correre verso un punto cieco, mi bastava soltanto che nessuno potesse toccarci o sarebbero venuti con

noi, lei sembrava non capire più niente. Munus continuava ad urlare dietro di noi: “CERCATE DI SCAPPARE SCIOCCHI! NON VI SIETE RESI CONTO CHE QUI NON CI SONO UMANI? NON E’ QUI CHE SOFFRONO CHE ANIME... TORNATE PURE A CASA, E’ LA TERRA L’INFERNO DEGLI UOMINI, ILLUSI”. Così dicendo afferrai Andrea e le misi al polso, che era la parte del suo corpo più vicina a me, la collana. Subito tutto scomparve, i rumori, il buio e Munus che urlava che ci avrebbe cercati sicuramente e ne ero certo, ci avrebbe trovati di nuovo. Eravamo caduti nella sua trappola, volevamo conoscere Christoph e invece abbiamo trovato lui. Aveva cambiato nostro fratello più di quanto potessi immaginare, non avrebbe mai scelto noi, ci avrebbe dato la caccia e ne sarebbe stato felice. La luce ed il calore ci invasero le ossa, eravamo stretti l’uno all’altra, impauriti e feriti, corpo e anima. Occhi chiusi. L’unica cosa che me li fece aprire fu: “Santo cielo Julian... CORRETE!” Eravamo al centro della piazza frontale alla Biblioteca. Un turbinio di ali e di voci, centinaia di Angeli con i quali ero cresciuto ci stavano accerchiando, correvano, parlavano: ‘è Julian’, ‘ma quella è un’Umana’, ‘non può farlo’, ‘Dio lo sa?’, ‘è in grossi guai’. “SONO FERITI PRESTO, PRESTO...” Guardai la mia piccola, mi stringeva la mano, era viva. Ora sapevamo che saremmo potuti stare insieme e che certamente saremmo stati al sicuro, almeno per un po’. FINE

Ringraziamenti

Voglio ringraziare tutte le persone che mi hanno permesso di portare a termine questo mio grande sogno, questo mio piccolo romanzo.

Voglio ringraziare la mia famiglia che ha creduto in me, mamma e papà che mi hanno insegnato a vivere le favole (in questo caso, un sogno) e soprattutto il mio fratellone Guido, che mi ha spinta a continuare a scrivere anche quando la punta della matita si spezzava e non avevo la forza di andare avanti.

Voglio ringraziare la mia professoressa di Lettere al Liceo per il tempo che ha dedicato alla correzione delle miriadi di bozze che hanno costituito le ossa di questo libro.

Ringrazio Monaro Enrico che ha disegnato per me una diaphana stupenda regalandomi un po’ della sua fantasia e Ferroli Elena che, colorandola, ha dato vita a questa copertina.

Voglio dedicare ‘Julian’ a Luciano Boscolo Marchi che ci ha salutati con un gran sorriso sotto i baffi il giorno in cui ho stampato la prima bozza e che ha lasciato un grande vuoto in tutti i nostri cuori. Sono sicura che ti sarebbe piaciuto e che mi avresti detto che ‘bisogna esserne fieri’.

Grazie a tutti i lettori che porteranno in vita, in mille modi diversi, i miei personaggi.

sca