Lucius Etruscus
La variante di Marlowe
Quando gli scacchi uccidono
Crediti
Collana: Le indagini di Marlowe, non “quel” Marlowe Prima edizione digitale: agosto 2014
In copertina: elaborazione dell’autore
Sito dell’autore: luciusetruscus.altervista.org/index.htm
Questa è un’opera di finzione: tutti i nomi e gli eventi narrati sono di fantasia e qualsiasi riferimento a persone o avvenimenti reali è puramente casuale.
L’autore
Lucius Etruscus è vice-curatore di ThrillerMagazine e redattore di SherlockMagazine, gestore del database “Gli Archivi di Uruk” e di vari altri blog come il CitaScacchi (blog e sito). Scrive saggi su riviste on line, ha partecipato (sia come giuria che come autore) al romanzo corale “Chi ha ucciso Carlo Lucarelli?” (Bacchilega Editore) e su ThrillerMagazine ha iniziato a raccontare le indagini del detective bibliofilo Marlowe... non “quel” Marlowe, i cui retroscena sono presentati nel blog NonQuelMarlowe.
Dello stesso autore
eBook in vendita a 0,99 euro: De Marlowe Mysteriis. Mistero Marlowe 1 Notovitch e la vita segreta di Gesù. Storie da non credere 1 Platone, lo schiavo filosofo. Commedia breve in quattro atti di quando i libri non si leggevano
eBook gratuiti: Dieci contro mille. Il grande cinema di assedio La Falsa Novella. Viaggio tra i falsi vangeli inventati dai romanzieri Lupin contro Holmes Mistero Shakespeare Ninja. Storia di un mito cine-letterario Spaghetti Marziali. Quando gli italiani inventarono il kung fu western Tradurre l’incubo. Da Shakespeare a Goethe
Trama
Alcuni strani omicidi a Roma sembrano essere accomunati dal mondo degli scacchi, ma visto che l’unico elemento certo è che tutte le vittime avevano la stessa copia di un libro sull’argomento, la polizia è costretta a consultare l’investigatore bibliofilo Cristoforo Marlowe. Per venire a capo del mistero e per fermare l’assassino, Marlowe stavolta dovrà impegnarsi in qualcosa di incredibile... spacciarsi cioè per Maestro di scacchi.
La variante di Marlowe
Premessa
Questo racconto è apparso originariamente l’8 agosto 2011 nella webzine ThrillerMagazine.it. È stato scritto nei giorni immediatamente precedenti perché, una volta arrivata l’ispirazione, mi resi conto che le date erano importantissime ai fini della storia, come si potrà capire leggendo il racconto: la premura del personaggio protagonista è simile alla mia in fase di scrittura, perché volevo che fosse quasi un instant book, ambientato nella data esatta in cui sarebbe stato letto. Per lo stesso motivo ho deciso di ripresentarlo in eBook in questo agosto 2014, per festeggiare il decimo anniversario della data che apre la storia. Cosa è successo il 16 agosto 2004? Lo spiegherò alla fine, nella “Nota dell’autore”, per ora mi basta sottolineare come una incredibile quantità di eventi separati, nel tempo e nello spazio, abbiano contribuito alla nascita di questo racconto.
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Roma, 16 agosto 2004
Caldo umido e gente: sono circondato dalle cose che più odio al mondo. Ma ne vale la pena, continuo a ripetermi. La piccola libreria del centro storico probabilmente non ha mai accolto così tanta gente: invece di offrire un rinfresco per la grande occasione ha messo un banchetto sul marciapiede con dei libri omaggio. Tutta roba vecchia che probabilmente i gestori stavano cercando di gettar via, ma apprezzo comunque il gesto: li ringrazio mentalmente e mi infilo un paio di libri in borsa. L’attesa non è pesante. Sono circondato da apionati di scacchi, mica tifosi di calcio. Stiamo in fila educatamente e si chiacchiera: io non chiacchiero, ovviamente, ma ascolto gli altri. Quando arrivo davanti al tavolo dove Roger Pillsbury sta autografando il proprio libro, Pedoni pedanti, so già tutto di lui: sapevo qualcosa prima, ma ora grazie alle chiacchiere dei miei compagni di fila posso definirmi un suo biografo. «Nome?» chiede il Maestro per sapere a chi dedicare la copia del libro che gli ho appena poggiato davanti. «Il mio nome è Marlowe. No, non quel Marlowe.» L’ho fatto sorridere. «Anch’io non sono quel Pillsbury.» È noto che il campione, al secolo Ruggero Orione, vanti più o meno accertate lontane parentele con il campione Harry Nelson Pillsbury, tanto da adottarne il cognome. Vista la sua risposta, sono sicuro che la sua dedica sarà speciale: sarà diversa da quella che farà agli altri. (Sbaglio o chiunque riceva una dedica pensa la stessa cosa?) Quando mi restituisce il libro sorride ancora. «Oggi è giornata di cognomi
illustri: il tizio prima di te si chiamava Sciascia.» Il Maestro Pillsbury mi dà del tu! Siamo ormai praticamente amici. «Spero allora non abbia fatto la civetta con te.» Ecco, la nostra amicizia è già finita. Un grugnito seccato dello scacchista indica che il mio turno è finito: devo andarmene e far are avanti il prossimo. Come si spiega che riesca sempre a farmi odiare dalla gente?
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Roma, mercoledì 3 agosto 2011
«Io la odio, Marlowe!» Quante donne me l’hanno detto? Stranamente quel giorno non fu una donna a pronunciare la frase ma il mio amico ispettore di polizia, piombatomi in ufficio proprio nel mezzo della delicatissima indagine che stavo compiendo: avevo l’incarico di scoprire quanto il romanzo I dodici dannati di Nathanson (da cui il film Quella sporca dozzina) avesse rubato dalla sceneggiatura di Kaneo Ikegami per il film Thirteen Assassins. «È un peccato, ispettore», dissi sorridendo a mo’ di saluto, «io invece la amo. A cosa devo la sua graditissima visita?» L’ispettore si sedette e mi guardò torvo. «Sono qui in veste ufficiale... ma anche in veste ufficiosa.» «È agosto», dissi chiudendo i libri che avevo davanti, «fa troppo caldo per due vesti.» «La pianti con le sue idiozie e mi ascolti. Sono qui per interrogarla in merito ad una indagine... ma in effetti anche per chiederle...» Rimase in sospeso per più tempo del dovuto. «Avanti, non sia timido: cosa deve chiedermi?» mi vennero in mente un po’ di battutine, ma erano troppo facili: preferivo aspettare qualcosa di più sostanzioso. «Per chiederle un aiuto.» Pronunciò l’ultima parola come se gli si strape l’anima.
Mi tirai indietro con la schiena e mi appoggiai allo schienale della poltrona. «Sono a sua disposizione, ispettore: aiutarla vorrà dire stringere di più il rapporto che ci lega e...» «Ho detto basta con le idiozie, Marlowe: non abbiamo alcun rapporto che ci lega, per questo non mi piace chiederle aiuto... ma devo farlo. Andiamo con ordine: dov’era la notte del 21 luglio scorso?» «Ero sul luogo del delitto, con le mani insanguinate, a sperare che un giorno futuro nessuno mi chiedesse mai cosa facevo quella notte.» Finita la serie di improperi che l’ispettore mi riversò addosso, proseguii. «Andiamo, solo nei telefilm americani la gente si ricorda cos’abbia fatto una settimana prima. Non so cosa facevo quella notte, ma se può servire è altamente improbabile che fossi in dolce compagnia.» «Ho una domanda a cui risponderà in modo più serio: possiede una copia del saggio Pedoni pedanti di Roger Pillsbury?» Questa proprio non me l’aspettavo. «Sì, certo: ce l’ho addirittura autografata. Non sapevo si interessasse di scacchi.» Mi alzai e mi diressi a uno scaffale alla mia destra per cercare il libro. «Non mi interessano affatto, sto solo indagando su un caso che prevede...» Sbuffò. «Immagino che lei non legga i giornali.» «Li leggo solo quando parlano di me.» «Quindi non li legge.» «Vedo che capisce al volo.» «Diciamo che se avesse letto i giornali avrebbe saputo che un esperto saggista di scacchi, un certo Sciascia, è stato ucciso la scorsa settimana. Visto che sto seguendo la pista di Pedoni pedanti, una cui copia autografata lui aveva in casa...» «Autografata?» sbottai io mentre rovistavo fra i miei libri. «Anche lui?» «Già», rispose posato l’ispettore. «Per un motivo che non potrei dirle ho indagato su quel libro, fino a spulciare la lista delle persone che qualche anno fa
si sono fatti autografare il libro insieme allo Sciascia. Indovini chi ho trovato in quella lista?» Sghignazzai. «Immagino che abbia trovato me. Le prove mi incastrano, ispettore, non posso che confessare: ho ucciso io Sciascia, perché sin dalle scuole medie ho odiato Il giorno della civetta...» Altri rumori inqualificabili uscirono dalla bocca del mio ospite. «Scherzi a parte, se la vittima era un saggista avrà avuto quintali di libri di scacchi: perché sta indagando così a fondo proprio su quello di Pillsbury?» L’ispettore sospirò. «È proprio questa la parte che non potrei rivelarle, ma ormai siamo nella veste ufficiosa, dove cioè le devo chiedere un favore... confidenziale.» Ormai il mio viso era coperto dalle decine di libri che stavo ammucchiando fra le braccia, cercando quello di scacchi. Da dietro le copertine riuscii comunque a risultare convincente: «Si confidi, ispettore, lo sa che di me può fidarsi.» «Invece so che proprio di lei non posso fidarmi: mi venderebbe per un paio di libri senza pensarci sopra.» «Ora mi offende!» sbottai, ma lo sapevamo entrambi che era vero. «Comunque non ho scelta: mi serve il suo aiuto. Vede, Marlowe, nel caso di Sciascia l’assassino ha commesso un errore: se n’è andato lasciando la vittima ancora viva. Il pover’uomo si è trascinato per tutta casa fino ad arrivare alla propria libreria, e malgrado le ferite gravi è riuscito ad afferrare un libro e a sfogliarlo. Così l’abbiamo trovato: con la mano su una pagina del libro...» Mi paralizzai. «Meraviglioso... Questo succedeva solo nei romanzi d’un tempo. Un morto che lascia un indizio su un libro... Sa che un investigatore bibliofilo come me può uccidere per avere un caso simile?» «Non dovrei dirglielo, ma credo possa immaginare di che libro si trattasse.» «Pedoni pedanti di Pillsbury, suppongo», risposi distrattamente. «Ecco, se qualcuno glielo chiedesse l’ha saputo da un giornale scandalistico, non da me. Comunque Sciascia non è stato l’unico scacchista a venir ucciso quest’anno: da gennaio è almeno il terzo. Non escludo che ulteriori indagini
portino ad altri casi. In nessun caso la vittima era stata trovata vicino a un libro, quindi non c’era motivo di spulciare la libreria di casa, ma avendo in mano questa pista ho iniziato ad indagare e...» «E tutti gli scacchisti uccisi avevano il libro di Pillsbury», conclusi io continuando a cercare sugli scaffali. «È un libro che uccide, a quanto pare, e appena lo trovo lo darò subito a lei.» Altre parole poco gentili dalla bocca del mio ospite. «Comunque non è una gran scoperta, ispettore: è un libro famosissimo, chiunque si occupi anche solo di sfuggita di scacchi ce l’ha.» «Vero, ma quanti hanno la pagina 92 strappata?» Il silenzio che seguì fu più che eloquente. Rimasi immobile a fissarlo. «È stupendo...» bisbigliai, «un giallo librario in piena regola.» «Sono contento che la cosa la affascini, Marlowe, ma il mio problema è che ho un’indagine da portare a termine, non un “giallo”. Scoperto che la stessa pagina mancava anche dalle copie delle altre vittime, ho chiesto un consulto ad alcuni esperti di scacchi ma non sembra che in quella pagina ci sia niente di strano: è l’analisi che Pillsbury fa di una sua vecchia partita...» «E quindi è venuto da me perché sa che una volta pronunciati gli esperti, la parola va a agli idioti: capita che questi tirino fuori qualcosa di utile.» Ci fu quasi dell’imbarazzo sul suo viso. «Be’, qualcosa del genere.» «Eccolo!» gridai, afferrando il voluminoso saggio di Pillsbury. Volai alla pagina indicata e scoppiai a ridere. «Ma è la Variante dell’Unicorno!» «La... cosa?» «È la celebre Halprin-Pillsbury del 1900. Ha capito male, ispettore: Pillsbury non analizza una propria partita, ma quella del suo celebre antenato (o supposto tale): Harry Nelson Pillsbury.» «Ma il risultato non cambia: non c’è niente che giustifichi un omicidio, in quella pagina.» «A guardarla così, no. Certo che il vero Pillsbury avrebbe fatto carte false per farla sparire dalla storia: non è una partita che gli faccia onore.»
«Perché?» «Non gliel’hanno spiegato i suoi esperti? È molto celebre come partita.» «Ho chiesto solo se ci fosse qualcosa di strano o di particolare nel testo, non sono stato a chiedere di più.» «Pillsbury ad inizio Novecento era fra i più grandi scacchisti del mondo, ma in quella partita contro Halprin commise un errore... Proprio come quello commesso dall’assassino che lei cerca.» Ora avevo tutta l’attenzione dell’ispettore. «Dovendo giocare con un avversario inferiore di livello, si adagiò sugli allori e quando capì di essersi sbagliato era troppo tardi. Halprin, che era veramente di livello più basso, aveva ato tutta la notte precedente ad esercitarsi con i grandi campioni che Pillsbury aveva battuto, desiderosi di vendicarsi. Insegnarono al giovane Halprin tutte le tecniche che il campione aveva usato per sconfiggerli, sperando che almeno lui riuscisse a dare una batosta all’odiato maestro. Quando iniziò la partita Pillsbury prese sottogamba il suo avversario, che invece si dimostrò molto più bravo di quanto ci si aspettasse: Halprin non riuscì comunque a vincere, ma la partita finì con un pareggio. Un’onta insopportabile per un campione: un gigante che pareggia con un topolino! Decenni dopo lo scrittore Roger...» «Lasci stare lo scrittore, non divaghiamo» mi interruppe l’ispettore: avevo già perso la sua attenzione. «È una bella storia, la sua, ma non mi aiuta in alcun modo: che motivo avrebbe qualcuno oggi per far sparire una pagina con una partita che – a quanto mi dice – è molto nota? Ci dev’essere qualcos’altro: per questo ho bisogno di lei. Quanto bene sa giocare a scacchi?» Lo guardai stupefatto. «Mi aggiro tra il pessimo e il vergognoso, con punte sull’ignominioso. Perché vuole saperlo?» «Si fa autografare un libro di scacchi e non sa giocare a scacchi?» «Ho un libro autografato su un serial killer, eppure non ho mai ucciso nessuno. Posso chiederle di nuovo perché vuole saperlo o mi risponderà con un’altra domanda?» «Sicuro di non essere almeno uno scacchista abile?» «Ecco, appunto: comincio ad essere stanco di punti interrogativi...»
«Il favore che le chiedo è di partecipare al torneo di scacchi che inizierà questo venerdì a Como: ci sarà anche Pillsbury...» «Cosa?» gridai con un tono di voce più squillante del normale. «... e sarà l’occasione perfetta per scambiare due chiacchiere con lui», continuò l’ispettore. «Ma dico, si rende conto delle assurdità che sta dicendo?» lo fissai allibito. «Secondo lei io vado ad un torneo di scacchi sapendo giusto le mosse basilari e mi metto a chiacchierare amabilmente con un campione di livello internazionale? Quello chiama il giudice e mi fa cacciare a pedate. Lei piuttosto, che è l’autorità, perché non lo interroga ufficialmente e gli fa tutte le domande che vuole?» L’ispettore sbuffò. «Proprio perché sono l’autorità ho le mani legate: la burocrazia in un caso come questo è talmente lunga che non farò in tempo ad interrogare Pillsbury prima di Monaco.» «E ora che c’entra Monaco?» «Non gliel’ho detto? Domenica prossima, finito il torneo di Como, Pillsbury partirà per Monaco di Baviera dove l’aspetta un altro torneo o campionato o chissà cosa. Mi sono informato e non sono previste ulteriori tappe italiane. Chissà quando tornerà nel nostro Paese, visto che da anni ormai lo scacchista abita a Londra per non pagare le tasse italiane: questa è l’ultima occasione di parlargli e io non posso farlo in veste ufficiale.» «Non le sembra di star esagerando? In fondo che ne può sapere Pillsbury degli omicidi su cui lei sta indagando? Migliaia di persone hanno il suo libro, non è un indizio. E poi io cosa potrei chiedergli, se era in Italia quando sono stati commessi gli omicidi?» Il mio ospite sorrise. «Quello l’ho già appurato io: Pillsbury è atterrato in Italia il giorno prima di ogni omicidio, ed è ripartito il giorno dopo...» Lo fissai sbigottito. «Sospetta di un campione mondiale di scacchi? Va bene, Kasparov ha detto che non esiste gioco più violento degli scacchi, ma qui si esagera!»
«Non posso escludere niente e nessuno, Marlowe, per questo mi serve il suo aiuto: deve stuzzicare Pillsbury, fargli domande scomode e pungolarlo. Io sarò fra il pubblico e lo studierò: capirò se starà mentendo.» «Mah, ispettore, mi sembra una cosa assurda. E se capisce che sta mentendo cosa fa? L’ha detto prima: ufficialmente non può avvicinarlo.» «Se capissi che sta mentendo potrei dire di avere una prova di un suo possibile coinvolgimento negli omicidi – qualcosa mi inventerò – e lo arresterei: sarà un gesto azzardato, subirò lavate di testa e sanzioni da tutti i miei superiori, riceverò probabilmente querele e quant’altro, ma intanto Pillsbury rimarrà su suolo italiano mentre le indagini andranno avanti. Prima però devo capire quanto è coinvolto.» Non riconoscevo più il mio “amico”. «Vuole rischiare la carriera per incastrare uno scacchista? Cos’è, in polizia avete finito gli assassini “seri” su cui indagare?» «Proprio perché Pillsbury non è un “assassino serio” mi ci accanisco: ho risolto sempre tutti i casi su cui ho indagato, e non sarà certo un genietto degli scacchi a farmi fesso.» «Rimane un problema, caro amico», sorrisi falsamente. «Io non so giocare a scacchi ad un livello tale da poter partecipare ad un qualsiasi torneo. Come faccio ad avvicinare il “feroce assassino” se mi sbattono fuori al primo giro?» «Ci penserò, ho un paio di frecce al mio arco. Rimane però un mistero per me che lei sappia raccontarmi della partita descritta nella pagina mancante del libro e poi non sappia giocare...» «La Halprin-Pillsbury la conosco perché lo scrittore Roger...» L’ispettore agitò una mano in aria. «Sì sì, va bene, me lo racconterà un’altra volta. Ci vediamo venerdì mattina a Como.» «Viaggio spesato, giusto?» «Neanche per idea: non è mica in missione ufficiale, ricorda?» Sbuffai. «Allora mi deve un viaggio in treno: segno.» e feci il gesto di scrivere.
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Venerdì 5 agosto 2011
Altro che viaggio in treno: il mio amico ispettore mi era debitore di un viaggio all’inferno! Il treno per Milano Centrale, dove si cambiava per Como, quel giorno traboccava di scacchisti, partecipanti o spettatori del torneo che approfittavano di quel tempo di viaggio per riare, studiare e condividere tecniche di gioco. Ovunque mi girassi c’erano scacchiere ed era impossibile sentir parlar d’altro che di aperture, di varianti, di difese e Dio sa di cos’altro. Mi ero portato un po’ di lavoro di ricerca da fare, ma dei dodici “dannati” di Nathanson di cui dovevo analizzare le imprese me ne ero persi un paio strada facendo: non c’era la concentrazione adatta. Quando due miei compagni di viaggio iniziarono a parlare di Pillsbury e delle sue imprese decisi di accantonare il mio lavoro e cominciare a raccogliere informazioni ascoltando gli altri viaggiatori. Era davvero seccante il pensiero che se avessi fatto bene la mia parte, come voleva l’ispettore, probabilmente avrei distrutto il loro idolo... il nostro idolo! Ma sicuramente l’ispettore si sbagliava, e ancor più sicuramente non avrei fatto bene il mio lavoro... «Tu che fai, ci vai a Monaco? Io sono indeciso: è un viaggio impegnativo», stava dicendo un tizio dalla voce stridula accanto a me. «Non puoi non andarci» insisteva il tizio di fronte a lui. «È un’occasione unica nella storia: pensa, il 9 agosto di 111 anni dopo, Pillsbury rifà Pillsbury...» «Va bene», titubava la voce stridula accanto a me, «ma che gusto c’è a spendere tanti soldi per vedere una partita storica che già si sa come finirà? So che ci gireranno un filmato e venderanno il DVD dell’evento: mi comprerò quello e via.»
«Noooo» quasi ululò il suo amico, «non è la stessa cosa. Il Pillsbury di oggi che rifà la partita del Pillsbury storico, nello stesso posto, nella stessa data, alla stessa postazione... è qualcosa di unico! E poi non è detto che si trovi davanti un altro Halprin: magari stavolta sarà più difficile finire in patta.» Quindi era questo il motivo del viaggio di Pillsbury a Monaco, pensai fra me e me: ricreare la Variante dell’Unicorno... Questo pensiero mi fece ricordare uno degli altri libri che avevo portato con me: tirai fuori da una delle capienti tasche del mio spolverino la vecchia antologia della Nord che raccoglieva i racconti vincitori del Premio Hugo e mi dedicai ad una lettura più leggera, che il chiacchiericcio dei miei compagni di viaggio non poteva disturbare. Il ritrovato idillio durò poco. Quasi rovesciai la scacchiera che i tizi accanto a me avevano montato quando sobbalzai sul sedile del treno. Mi guardarono seccati ma io non ci badai, ed anzi feci loro una domanda: «Un giocatore può fare due volte di seguito la stessa identica mossa? Intendo proprio l’identica mossa, partendo dall’identica casella...» «Ovviamente no», mi rispose stupito uno. «Se parte da una casella, non può partire di nuovo dalla stessa alla mossa successiva: deve avere prima il tempo di tornarci.» L’idea che mi era venuta mi aveva fatto dimenticare tutto il fastidio del viaggio, ed ora anzi benedivo il fatto di trovarmi circondato da scacchisti. Tirai fuori dalla borsa la mia copia di Pedoni pedanti e volai alla famigerata pagina 92. «Qualcuno di voi ricorda a memoria la Halprin-Pillsbury del 1900?» La domanda fu accolta da una risata: era come se stessi chiedendo se il cielo è blu. «Me la potete declamare?» Si declama una partita a scacchi? Non lo so, ma di sicuro partì un coro scalcinato che mi elencò le varie mosse della partita. Scoprii così che gli scacchisti non sono meno pallonari di altri: credevano di sapere a memoria la partita, ma ognuno la ricordava a modo suo, dando vita ad infiniti bisticci e discussioni. Vennero chiamati altri scacchisti da altri vagoni, finché mi ritrovai sommerso da gente che sparava numeri e lettere a getto continuo. Molti si indispettirono nel
constatare che non sapevano a memoria la celebre partita come pensavano, ma dopo lungo lavoro e aspre discussioni ottenni finalmente ciò che cercavo... Un motivo per uccidere.
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All’arrivo a Como scesi dal treno con un misto di liberazione – mai più avrei voluto viaggiare al fianco di scacchisti! – e di esaltazione: avevo una pista per l’ispettore e non vedevo l’ora di avvertirlo. Lo cercai sulla banchina ma non lo vidi: non solo mi ero dovuto pagare da solo il viaggio, ma non era neanche venuto a prendermi. Avrei segnato anche questa. «Maestro Marlowe!» sentii gridare. Maestro? Maestro a chi? «Maestro Marlowe, siamo qui!» Mi voltai nella direzione da cui provenivano le grida e vidi un crocicchio di persone che si muovevano scompostamente nella mia direzione. Il tizio con gli occhiali che mi aveva chiamato fu il primo a raggiungermi: mi strizzò l’occhio con fare stranamente complice e disse ad alta voce. «Maestro Marlowe, è un onore stringerle la mano. Io sono Fabio Lotti, il suo contatto per questo torneo. Ricorda? Il nostro amico comune... il nostro amico comune ha organizzato tutto.» Fra strizzate d’occhio e ammiccamenti finalmente intuii che questo Fabio era stato mandato dall’ispettore. «Sì, certo, il nostro amico comune che ti fa pagare il viaggio e poi non viene a prenderti alla stazione», risposi. Partì una risata immotivata delle persone che mi circondavano, che mi guardavano quasi con venerazione. «Lei ha sempre voglia di scherzare, Maestro» continuò Fabio. «Permetta che le presenti...» ed iniziò una lunga e noiosissima presentazione: strinsi la mano a persone ignote di cui dimenticai il nome un secondo dopo averlo sentito. Quindi era questa la freccia nell’arco dell’ispettore? Spacciarmi per Maestro? Quale parte del mio “non so giocare a scacchi” gli era sfuggita? «È stato un viaggio lungo, Maestro?» continuavano a chiedermi. «Più lungo di un re che arrocca», buttai lì. Ci fu uno scroscio di risate false e accondiscendenti. Gente che pendeva dalle
mie labbra e rideva ad ogni mia stupidaggine: dov’ero, in Paradiso? «Ha avuto modo di provare qualche apertura durante il suo lungo viaggio?» «Non apro più in pubblico, dopo l’ultima denuncia per atti osceni.» Risate a crepapelle: pubblico fantastico. Avrei potuto andare avanti all’infinito. Fabio mise fine all’idillio. «Il Maestro è stanco: ora lo accompagno in albergo e alle 11 ci vediamo per l’evento.» «Posso ancora rispondere a qualche domanda» tentai di prolungare il sogno. «Su, venga Maestro» mi portò via Fabio verso un’auto fuori dalla stazione. «Perché sacrifica così presto le sue donne?» chiese al volo qualcuno. «Perché cominciano subito a parlare di matrimonio», risposi al volo. Battutaccia al di sotto del mio livello, ma tutti risero e continuai a vivere il sogno. Appena Fabio riuscì ad infilarmi in macchina e a partire, disse secco: «L’ispettore mi aveva avvertito che avrei faticato a contenere le sue stupidaggini.» Il sogno era finito. «Invece spacciarmi per Maestro non è stata affatto una stupidaggine» risposi sarcastico. «Era l’unico modo» rispose il mio accompagnatore. «Ho detto in giro che sarebbe arrivato un grande Maestro di scacchi in visita, straniero ma di famiglia italiana – così non sarebbe sembrato strano che parlasse bene l’italiano. L’ho gridato ai quattro venti, su consiglio dell’ispettore, e la notizia ha infiammato tutti. Sono riuscito ad organizzarle un evento fuori dal torneo: senza bisogno di gareggiare con altri, oggi alle 11 incontrerà Pillsbury in una partita amichevole.» «Perfetto, tranne per il piccolo particolare che l’ispettore continua ad ignorare: io non so giocare a scacchi!» «Proprio per questo l’abbiamo spacciata per Maestro: le sue mosse
approssimative e senza senso sembreranno un’eccentrica tecnica di gioco. Ho detto a tutti che lei è famoso nel mondo per molte cose, ma soprattutto per la Variante di Marlowe, che ovviamente nessuno conosce. Vedendola giocare a casaccio, penseranno che sarà una sottile tecnica sconosciuta.» Ero allibito. «Geniale, e quando perderò platealmente, con tutti i pezzi mangiati e il re solo come un idiota all’angolo della scacchiera che si suiciderà per la vergogna, cosa racconterete? Che la Variante di Marlowe è un modo per perdere di brutto?» «Per quel momento avrà già posto a Pillsbury le domande che l’ispettore le fornirà: lei non è conosciuto nel mondo scacchistico e la sua perdita vergognosa non le arrecherà alcun danno. Io dirò che ignoravo che il Maestro Marlowe fosse solo una fregatura e che sono stato truffato. Come vede, nessuno ci rimetterà.» Ero allibito al quadrato. «Come “nessuno ci rimetterà”! Io farò una figura da idiota davanti a tutti e per lei e l’ispettore non c’è problema? Parleranno della Truffa Marlowe per anni, magari con tanto di foto, e per voi va tutto bene?» Stavo alzando parecchio la voce, ma ne avevo ben diritto. «Chi parlerà della truffa? Dove appariranno le sue foto – se mai qualcuno gliene scatterà? Al massimo tutto l’accaduto finirà in un trafiletto su una rivista specialistica: quante riviste scacchistiche conosce?» «Be’... ehm... Scacchi Oggi?...» «Ecco, appunto: nessuna reale. Sono riviste specialistiche per un pubblico di apionati: il suo caso verrà dimenticato in un batter d’occhio.» Mugugnai e bofonchiai per tutto il viaggio. Hanno capito male, questi due, continuavo a ripetermi: il piano si cambia, eccome se si cambia!
5
«Il piano non si cambia» fu il lapidario commento dell’ispettore, una volta raggiunta la mia camera d’albergo. «Andiamo, non penserà che io sia disposto a fare una simile figuraccia davanti a tutti!» «Credevo fosse abituato.» Feci una smorfia. «Non è per nulla divertente. Ci vada lei a fare il Maestro Allocco e a giocare con un campione di fama internazionale.» Mi alzò la maglietta e cominciò a palparmi. «Ma che fa? Servirà ben altro che dei palpeggiamenti per convincermi.» «La pianti di frignare, le sto sistemando un microfono. Voglio registrare tutto quello che dirà Pillsbury. A proposito», mi ò un foglio, «ecco le domande cruciali che dovrà fargli.» Presi il foglio e me lo infilai in tasca senza neanche guardarlo. «Ah, con l’affare del Maestro Marlowe mi stavo dimenticando la parte più importante: ho scoperto una cosa che deve assolutamente sapere. Vede, lo scrittore Roger...» «Non si gratti e non si agiti», disse l’ispettore come se non mi avesse sentito. «Anzi, cerchi di muoversi il meno possibile, altrimenti registreremo solo rumore e non si sentiranno le risposte di Pillsbury.» «Va bene, tanto la figuraccia mi farà stare di ghiaccio. Però deve sapere di questo nuovo indizio che ho trovato. Le dicevo che lo scrittore Roger...» «Mi parlerà dopo degli indizi: ora pensiamo ad incastrare Pillsbury!» Il tono del mio “amico” era davvero fastidioso. «Quindi è questo che vuole fare, eh ispettore? Incastrare Pillsbury... Sbaglio o mi aveva parlato di fare delle domande? Lei invece lo dà già per colpevole.»
«Io so che è colpevole, Marlowe, è il fiuto che me lo dice: e in tanti anni il mio fiuto non mi ha mai ingannato. Ho scoperto cosa andrà a fare dopo questo torneo», stavo per dirgli che l’avevo saputo anch’io ma non me ne diede il tempo. «Andrà a Monaco a ricreare – indovini un po’? – la partita trovata mancante nei libri delle vittime. Capisce? La cosa puzza lontano un miglio e ho bisogno di tempo per indagare: tempo che non ho, se Pillsbury prende il volo. Ecco perché lo devo avere qui, in Italia, impacchettato.» «Non mi piace come si comporta, ispettore», gli dissi seriamente. «Credevo che si fosse innocenti fino a prova contraria: lei non ha alcuna prova che Pillsbury sia pur minimamente colpevole di qualcosa eppure lo vuole arrestare ad ogni costo.» L’ispettore mi batté sulla spalla. «Vada a fare la sua parte e non si preoccupi delle prove. Se Pillsbury non ha nulla da nascondere, sarà solo stupito delle domande che le ho scritto: se invece ne rimarrà turbato e si agiterà più del dovuto, allora sarà colpevole e farò di tutto per tenerlo qui. Niente di più.» Ed io avrei dovuto fare la figura dell’idiota a livello nazionale per assecondare le fissazioni di quest’uomo? Gliel’avrei fatta vedere io la Variante di Marlowe...
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«Ma è questa la Variante di Marlowe?» fu la domanda che più girò fra il pubblico che quel giorno assistette ad una partita epocale: Pillsbury-Marlowe 2011, una partita che rimarrà nella storia... ma più probabilmente nella cronaca nera. All’inizio feci la parte del Maestro bonaccione, salutando tutti e buttando lì qualche altra mia battutina, premiata da risate scroscianti. Me la godei, finché durò. Pillsbury appena mi vide fece una faccia strana: pregai che non si ricordasse di quando mi feci autografare il suo libro. D’altronde ne avrà autografati a centinaia in giro per il mondo, non potrà ricordarsi di tutti i suoi fan. Ci stringemmo la mano e facemmo un gesto con il capo. Prendemmo posto e il mio sorriso tirato tradiva il mio crescente nervosismo. Tirammo a sorte e mi toccò il nero. «Forse si addiceva più a lei, giusto?» dissi al mio avversario, che diede segno di non capire. «Non è lei forse l’Unicorno nero?» Un gesto del capo fu più che eloquente: il mio illustre avversario non sapeva di cosa diavolo stessi parlando ma non era interessato a scoprirlo. Mentre nella sala cadeva un silenzio spettrale, Pillsbury – a cui era stato dato ad intendere che questo Marlowe era un tipo tosto quanto eccentrico, che non giocava in modo convenzionale – mosse il suo pedone bianco in e4. «Andiamo sul classico» dissi io, portando il pedone in d5. Il mio avversario mi fulminò con gli occhi. «Non so dove gioca di solito», disse con un bisbiglio seccato, «ma è buona consuetudine non parlare durante una partita.» Mosse il pedone in e5. «Non l’hanno avvertita che io seguo regole mie?» Evidentemente quel Fabio aveva avvertito il giudice di gara – che mi fulminava con gli occhi ma non intervenne a zittirmi – ma non Pillsbury.
Visto che non avevo idea di cosa fare con i pezzi, piuttosto che muoverli a caso decisi di ripetere le mosse del bianco: tanto non contava la partita ma quello che sarei riuscito a dire. Imitai dunque il bianco trasformando la sua mossa dalla mia parte: pedone nero in d4. Un cartellone elettronico ripeteva le nostre mosse per il pubblico, e più di una volta sentii strani mormorii. Il bianco mosse il pedone in c3; io lo mossi specularmente in f6. «Che divertente: abbiamo fatto una fila di pedoni in diagonale», dissi, ma a quanto pare non era così divertente. Con fare distratto afferrai la camicia dove l’ispettore mi aveva installato il microfono: con gesto secco ma deciso lo staccai. Il mio “amico” seduto fra il pubblico forse non capì il mio gesto: l’avrebbe capito in seguito e non ne sarebbe stato contento. Il pedone bianco mangiò il mio pedone in f6; restituii il favore in c3. «In realtà non sono qui per giocare a scacchi» cominciai a bisbigliare. «Lo vedo!» rispose arcigno Pillsbury mangiandomi un altro pedone in e7. Era un commento al mio gioco? Be’, me lo meritavo, ma comunque gli mangiai il pedone in d2. «Sono qui per salvarla, Maestro.» Ci fissammo un secondo negli occhi, poi Pillsbury sbuffò contrariato – sembrava volesse dirmi qualcosa ma allo stesso tempo non voleva stare a questionare – e con l’alfiere mangiò il pedone che avevo appena messo in d2. Io feci lo stesso in e7. «Ha capito?» tornai alla carica. «È in pericolo, c’è un ispettore in sala che è convinto che lei abbia ucciso degli uomini e vuole incastrarla.» Stavolta forse l’avevo convinto: mi guardò allibito, anche se cercò di non darlo a vedere. «E come... e come mai a questo ispettore è venuta in mente un’idea simile?» chiese bisbigliando il mio avversario. Stavolta mosse il cavallo in f3 con una
mano un po’ tremante. «È una storia lunga, ma quello che ora conta è che lei deve scappare.» Feci uscire distrattamente il mio cavallo in c6. «Lasci stare questa partita con me che – l’avrà capito – non conta niente, lasci stare il torneo: si inventi un malore, qualcosa, poi salga sul primo taxi e cerchi di lasciare l’Italia il più velocemente possibile.» Continuare a guardare la scacchiera sembrava costare parecchia fatica a Pillsbury, vistosamente scosso. «Ma questa è una pazzia: io non ho fatto niente, perché dovrei scappare come un criminale?» Il suo bisbiglio tremolava. «Lo so anch’io che è innocente, ma questo ispettore ha deciso di incastrarla. Potrà difendersi una volta all’estero e chiarire tutto, ma se rimane qui rischia di aspettare agli arresti l’esito di un eventuale processo.» Stavo rischiando parecchio, ma non volevo che un grande Maestro come Pillsbury finisse nelle mani di un esaltato come l’ispettore, e soprattutto facendolo scappare e sospendendo la partita mi sarei risparmiato una figuraccia: ci guadagnavamo tutti. Invece Pillsbury rimaneva lì a sudare, a muovere con mano tremolante l’altro cavallo in c3. «È ridicolo, lei sta solo rendendomi nervoso per farmi sbagliare: è questa la Variante di Marlowe?», sibilò il mio avversario. Mossi l’altro mio cavallo in f6 sbattendo il pezzo sulla scacchiera. Ci guardammo: stavolta era lui agitato mentre io lo guardavo stizzito. «Perché dovrei farla agitare se sto giocando a cacchio?» risposi. «Cerco solo di salvare l’Unicorno nero...» «Ancora con questo unicorno? Mi sa che lei non ha tutte le rotelle a posto.» Possibile che non lo sapesse...? «Finiamo questa partita e poi non si azzardi mai più a venirmi davanti.» Spostò faticosamente il cavallo in e2. Non stava funzionando: stavo per fare una figura terribile e Pillsbury sudava,
segno che l’ispettore avrebbe preso per manifesta colpevolezza. Stava andando tutto a rotoli, quindi era il momento di giocare il tutto per tutto. «Un giorno lo scrittore Roger Zelazny ricevette tre proposte da altrettante antologie», iniziai: era il momento di dargli una dose massiccia di Marlowe! «Gli chiesero un racconto che si svolgesse in un bar, uno con un unicorno e uno con degli scacchi. Parlandone con l’amico scrittore George R.R. Martin, Zelazny ricevette il consiglio giusto: perché non scriveva un racconto di una partita a scacchi contro un unicorno in un bar? Avrebbe potuto vendere lo stesso racconto a tutte e tre le antologie.» Solo alla fine mossi il mio cavallo in d7. «Ma questo che...» Non lo feci continuare: ormai non poteva sottrarsi alla mia chiacchierata. «Zelazny ideò una storia in cui un perfido Unicorno nero poteva essere fermato solo battendolo a scacchi. Ma era molto forte e farlo battere da un umano non molto bravo risultava troppo inverosimile: ci voleva una patta. Così Zelazny cominciò a cercare una patta famosa su cui poter costruire la sua storia...» «Senta...» «E ovviamente scelse la Halprin-Pillsbury del 1900. Era perfetta: un grande campione che sopravvaluta l’avversario e subisce l’umiliazione di una patta... Ecco perché l’ho chiamata Unicorno nero: è sul suo antenato che Zelazny costruì quel personaggio.» Il mio avversario era parecchio infastidito, spostando l’altro cavallo in d4. «A che serve tutta questa storia?» sibilò, ma se non voleva fuggire e dunque evitarmi l’umiliazione era costretto ad ascoltarmi ancora. «Mentre venivo qui mi sono andato a rileggere La Variante dell’Unicorno di Zelazny e ho scoperto qualcosa che non ricordavo di aver mai notato prima: verso la fine l’Unicorno compie per due volte la stessa mossa...» «Non è possibile» bofonchiò Pillsbury. «Torre in g3 per due volte consecutive: come diceva giustamente lei, non è possibile. È sicuramente un errore di stampa...», e spostai l’altro mio cavallo in e5 sbattendo la pedina.
Pillsbury inghiottì tanto rumorosamente che pensai stesse per rigettare sulla scacchiera. Perché non chiamare l’ispettore e consegnarsi direttamente a lui? Se continuava ad agitarsi non avrei potuto salvarlo in alcun modo. «Un errore di stampa, dicevo. Succede, e così mi sono chiesto: e se fosse successo anche con Pedoni pedanti? Sono andato a vedere la pagina della partita Halprin-Pillsbury e ne ho parlato con altri scacchisti.» Altri rumori indescrivibili. «Lei... lei ne ha parlato con altri...?» «Sì, volevo vedere se ci fossero errori di stampa: e infatti ce n’è uno.» Altro rumore che sembrava provenire dal profondo della gola dello scacchista. «C’è un piccolo errore di stampa, che probabilmente gli scacchisti non hanno notato perché essendo una partita famosa non sono stati a leggere bene, convinti di saperla a memoria: ho notato che gli apionati tendono a credere di conoscere a menadito le partite celebri, anche se non sempre è così. Fatto sta che qualcuno sta uccidendo degli scacchisti e strappando dalla loro copia di Pedoni pedanti la pagina in questione, che contiene l’errore. Sa cosa penso io?» Pillsbury mi guardò atterrito ma non disse nulla. «Penso che qualcuno, saputo che lei fra poco rigiocherà la stessa partita in un evento speciale a Monaco, abbia trovato in quell’errore di stampa una qualche tecnica particolare per poter vincere la partita: poter finalmente battere Pillsbury, l’Unicorno nero. Ovviamente non ho alcuna prova, ma credo che un qualche discendente di Halprin voglia riscattare il nome dell’antenato battendo platealmente il discendente di Pillsbury... Capisce che sarebbe per lei un’umiliazione enorme? Verrebbe stracciato davanti a migliaia di fan e registrato in video...» La sudorazione del mio avversario stava diventando preoccupante. «Per questo le sto raccontando tutto questo: lei deve scappare di qui e studiare una contromossa all’errore di stampa, così da neutralizzare l’uomo che è arrivato ad uccidere pur di vederla umiliata.» «Va bene», sibilò Pillsbury. «Mi ha convinto: faccia la sua mossa, e quando toccherà a me dirò che sto male e la finiamo qui.»
Dentro di me esultai: la figuraccia finale era scongiurata. Come avevo fatto sino a quel momento, mi limitai ad imitare l’ultima mossa del mio avversario, mettendo il cavallo in d3, poi dissi: «Vada con lo show...» Pillsbury cominciò a tremare vistosamente: accidenti se era bravo! Sgranò gli occhi come se fosse impazzito ed iniziò ad emettere un sibilo strano. Che esagerazione, doveva giusto fingere un leggero malore... «Noooooo!» fu il grido che uscì dalla sua bocca. «Eh, che esagerazione!» sbottai. «Ho detto un malore, mica un attacco cardiaco.» «Cane schifoso, m’hai dato scacco matto!» Dopo quest’urlo cadde un silenzio tombale nella sala. Guardai la scacchiera per un po’... cavallo in d3... cazzo, avevo battuto un campione mondiale! «Io... io...» cominciai a balbettare, mentre il mio avversario schiumava. «Io... non volevo! Mi spiace... Ho solamente ripetuto le mosse che faceva lei: non mi sarei mai permesso di darle scacco matto...» Per fortuna il pubblico non sentì le mie parole, perché qualcuno pronunciò una frase – «È questa la Variante di Marlowe!» – e tutti cominciarono a gridare e ad agitarsi. «Verme maledetto, io t’ammazzo!» gracchiò Pillsbury, afferrando il suo re ma non per farlo cadere sulla scacchiera – gesto universale di resa del giocatore battuto – bensì per impugnarlo come un coltello e agitandomelo davanti in rapidi fendenti. Che vergogna sarebbe stata: sgozzato da una pedina degli scacchi... «Non faccia così, Maestro» cercavo di rabbonirlo, ma ormai Pillsbury era una maschera storpiata dalla rabbia. «Tutti uguali, i maledetti “adoratori”» gridava, «tutti così pieni di riguardo. Vengono da me, mi dicono “Maestro, un errore di stampa nell’edizione italiana ha rivelato una mossa che potrà batterla: io la voglio salvare”. Idioti! Non sapete salvare neanche voi stessi. Tre ne ho dovuti ammazzare perché nessuno sapesse
di quell’errore... finché non sei arrivato tu, stupido insetto», mi indicò brandendo la pedina del re dalla corona tagliente che puntava verso il mio collo, «e vai a dire a tutti dell’errore di stampa. Ora sono finito, finito! Non sono in grado di controbattere a quell’errore, e poi mi faccio battere a una partita amichevole da un verme come te...» Cominciava ad andare un po’ sul personale, ma c’era da capirlo. Quando alcuni agenti in borghese saltarono addosso a Pillsbury, ammanettandolo, fui felice di non essere più in pericolo, ma lo stesso mi bruciava l’essermi sbagliato sul conto del Maestro: ero così convinto che fosse stato qualche suo avversario – un qualche discendente di Halprin – ad organizzare tutto che rimasi molto deluso. Mi toccava dare ragione all’ispettore, e proprio non mi andava. Proprio il mio “amico” fu il primo a parlarmi. «Marlowe, ma allora non è vero che non sa giocare: ha battuto un campione!» Era tutto sorridente, ma a me non andava di rispondergli. Vidi un gruppo di tizi armati di microfono che cercavano di attirare la mia attenzione, così andai da loro. «Maestro, può parlarci di questa terribile tecnica, la Variante di Marlowe?» Assunsi uno sguardo torvo. «Avevo giurato a me stesso di non usarla più, ma non ce l’ho fatta. Avete davanti a voi la prova degli effetti che possono scaturire da questa tecnica spaventosa: la Variante di Marlowe può far impazzire chi la subisce, per questo sono giunto ad una decisione ferrea.» Un attimo di enfasi. «Mi ritirerò dal mondo scacchistico, così nessuno dovrà più subire gli effetti della mia tecnica.» Era prevista per me una figuraccia terribile, invece finii in prima pagina sia delle riviste scacchistiche sia dei giornali locali, osannato come un misterioso scacchista che aveva dato l’addio alle competizioni per amore dei suoi avversari. “La Variante di Marlowe rimarrà un mistero per sempre”, titolò un giornale: aveva ragione da vendere.
7
L’ispettore insistette per accompagnarmi al treno, anche se continuavo a dovermi pagare da solo il viaggio. «Le sono debitore, Marlowe» cercò di rabbonirmi vedendomi freddo. «Si è già sdebitato salvandomi la vita», risposi secco. «Siamo pari.» «Andiamo, non faccia così, ha visto che avevo ragione: Pillsbury era un assassino e se non avessi organizzato questa messinscena se ne sarebbe andato via libero e non avrebbe mai pagato per i suoi crimini.» «Certo, è vero, ma lo stesso non mi piace il suo comportamento, ispettore: e se si fosse sbagliato? Neanche per un secondo ha preso in considerazione altre piste: ogni mio tentativo di darle indizi è finito nel vuoto. Lei ha agito in preda ad una fissazione ossessiva: è quello che ha fatto anche Pillsbury. Per me siete uguali, voi due.» L’ispettore incassò il colpo. L’avrei perdonato, perdono sempre tutti, ma mi sarebbe servito del tempo. Ci salutammo con un gesto veloce e il treno partì. Provai a dedicarmi di nuovo alla mia ricerca sui Dodici dannati di Nathanson, ma non riuscivo a concentrarmi su quella sporca dozzina. Alzai gli occhi dal libro e mi accorsi che tutti nel vagone mi guardavano. «Che c’è?» chiesi. «Lei... lei è il Maestro Marlowe, vero?» Ero finito nel treno di quelli che tornavano da Como: il torneo era stato annullato dopo che Pillsbury, la star dell’evento, era stato arrestato. Il vagone era pieno di gente che mi considerava un campione imbattibile, pronta a venerarmi... Mi accomodai sul sedile e iniziai a guardare nel vuoto. «La prima volta che mi chiamarono Maestro fu in una torrida notte d’estate laggiù, a Mogadiscio...» e
andai avanti a sparare stupidaggini per tutto il viaggio, davanti a un pubblico adorante: l’ultimo regalo della Variante di Marlowe.
FINE
Nota dell’autore
La partita giocata da Pillsbury e Marlowe (con relativo incredibile finale) è presa dal romanzo La colubrina (La coleuvrine, 1994) di Michel Tournier: se ripetete le mosse su una scacchiera, vi accorgerete che tutto combacia, ma se lo stesso non siete convinti che possa esistere una partita del genere... prendetevela con il romanziere se. Tutto quanto detto sulla partita Halprin-Pillsbury del 1900 e il racconto La Variante dell’Unicorno è vero: compreso l’errore di stampa nell’antologia I Premi Hugo 1976-1983 (Nord 1984), non imputabile al traduttore Enrico Bellomi che invece aveva riportato il tutto in modo esatto già nel 1981, quando per la prima volta uscì in Italia il racconto di Zelazny (ne La rivista di Isaac Asimov n. 4) Pedoni pedanti è ovviamente un saggio inventato, mentre è vera la ricerca di punti di contatto fra il romanzo I dodici dannati e la sceneggiatura di 13 assassini: se volete saperne di più, non avete che da cliccare qui. Ringrazio Fabio Lotti, grande apionato del “nobil giuoco” oltre che esperto di “scacchi e letteratura”, per aver accettato di finire nel mondo del mio Marlowe. La data del 16 agosto 2004 che apre il racconto, infine, è importante perché quel giorno Garri Kasparov, nel giro promozionale del suo libro I miei grandi predecessori (Edizioni Ediscere), firmò autografi in una piccola libreria del centro di Roma. Sciascia non c’era, ma c’ero io e... “Ruggero Orione” (anche se con un altro nome), che non sento da allora ma che lo stesso è un amico che considero indispensabile.
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