L'altra Parte Di Me 2414

Cristina Zazza

L'altra parte di me

"We all come in from the cold

We come down from the wire

An everybody warms themselves to a different fire. ..."

(Breakdown, Guns' n' roses)

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Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write (http://write.streetlib.com) un prodotto di Simplicissimus Book Farm

Indice dei contenuti

Il perché di questo scritto La mia storia: 2008-2014 La maternità Gli altri Il tempo La farmacologia Conclusioni Ringraziamenti

Il perché di questo scritto

Sento persone scrivere di tante cose, attori e cantanti che pubblicano la storia della loro vita, la tipa che pubblica il libro di ricette e magari neanche ha mai cotto un bastoncino di pesce, il tipo che racconta la sua strada verso il successo, nascondendo le verità più ovvie….

Parlare apertamente ad una platea mista di ascoltatori rivelando tutti i pensieri, tutti i dubbi, le paure e le speranze di chi, come me, vive questa realtà così complessa, è una sfida. Non scrivo su blog di elezione o specialistici perché è troppo facile, come scommettere tutto su una partita di cui si sa già il risultato. La cosa veramente difficile è aprire il proprio cuore e la propria mente cercando di spiegare i moti interiori, nel modo più intellegibile possibile, a tutti.

Spero di non peccare di presunzione se, con questo scritto, mi investo del ruolo di relatrice al posto di tutte quelle persone che non possono parlare perché hanno difficoltà cognitive, difficoltà ad esprimersi ed organizzare i propri pensieri o semplicemente non hanno orecchie disposte ad ascoltarle. È vero che noi “malati” siamo i primi a chiuderci nei confronti del mondo esterno sia per difesa sia per offesa, talvolta siamo così avezzi ai dolori ed alle scocciature da diventare “cattivi” nei confronti di chi ci vuole bene e vuole aiutarci; è pur vero che nella frenesia della vita quotidiana alcuni non vogliono perder tempo a tentare di capirci.

Magari queste righe possono aiutare, chissà….

La mia storia: 2008-2014

La storia è cruda e realista, non ci sono ghost writers o filtri, perché chi è come me non può mentire, io sono una ma fuori ci sono migliaia di persone che vivono quello che sto scrivendo e sanno se sto mentendo o meno….cambiano i dettagli ma il succo della storia è la stessa per tutti.

La vivo ogni giorno, la viviamo, io, mio marito e mio figlio di 23 mesi, e l’altra parte di me, la sclerosi multipla.

Il 2008 è l’ anno della diagnosi e l’anno che conosco colui che diventerà mio marito.

Dobbiamo andare al Museo delle Cere a Piazza Venezia. Parcheggiamo la macchina vicino a Piazza del Popolo e poi tutta la strada a piedi. Amo il centro di Roma. Man mano che cammino avverto un fastidio alla gamba destra, per essere più fica ho messo i tacchi ma non riesco più a camminarci. Non capisco cosa succede.

Tempo indietro avevo avuto due parestesie al lato destro del corpo….pochi secondi, poi niente….camli di allarme, ma non lo sapevo….

Ho perso un mare di tempo prima di trovare una dottoressa che mi dicesse cosa fare.

Un giorno una fisiatra mi disse di farmi una risonanza magnetica. Ci andai col mio fidanzato. Esito? C’erano lesioni compatibili con malattia demielinizzante. E che accidenti è?

La dottoressa di famiglia mi consiglia un neurologo. Scelgo il San Filippo Neri. Ci vado con i miei genitori. Salgo al piano e mi trovo nel Centro Sclerosi Multipla. Ma io non ho la sclerosi multipla.

Parlo col neurologo e gli racconto tutte le problematiche, lui si limita ad annuire e scribacchiare sul computer, ogni tanto fa qualche domanda più precisa, poi niente, torno a parlare io. Poi mi fissa una serie di esami, senza spiegarmi nulla.

A casa leggo Wikipedia, martello la rete, alla ricerca di risposte….Mr. Google me ne fornisce tante, sull’origine dei miei sintomi e sul perché degli esami che devo sostenere, potrebbe essere tumore, infezioni, stress. Una risposta però catalizza la mia attenzione, la sclerosi multipla, ancora lei….ma che cos’è?

Più mi documento più mi sale il panico….nel frattempo mi butto sugli studi, ho una tesi da terminare, il lavoro serale al fast food che scandisce la routine della settimana, ma non c’è nulla da fare, mi giro e mi rigiro la notizia nella mente come se ormai fosse un dato di fatto…io la sclerosi multipla? E come è possibile? Vedrai che non è così….pensiamo a lavorare….

Finalmente, dopo un anno, arriva la diagnosi, in quel buco di stanzetta al S. Filippo neri, con la psicologa che si mette davanti alla finestra per evitare che mi suicidi ed il neurologo più esaurito di me che, lentamente, scandisce il verdetto….

A me vien da ridere, perché? Non lo so, quando sono tesa mi vien da ridere, forse per autorilassarmi….

Tornata a casa mio padre si chiude nel silenzio più totale, una novità del genere è come una sciagura abbattutasi sulla famiglia, mia madre è in bagno con me e mi asciuga le lacrime.

Oggi si fa più attenzione all’aspetto psicologico di certe notizie. Non è prendersi un raffreddore, non è soffrire di colite. È un cambiamento radicale della vita. Tutto quello che si pensava di essere, di poter fare, una consapevolezza maturata nel corso degli anni, dal momento in cui si fanno i primi i fino alla presa di posizione nei confronti della vita, alla propria presunzione di indipendenza, tutto, viene come sollevato da un turbine di vento e mandato per aria, in un istante. Ci si ritrova con niente fra le mani, solo dubbi. Dubbi su se stessi, come è possibile che ce l’ho e non me ne sono mai accorta, dubbi sulle proprie capacità, riuscirò ad andare all’università da sola?, dubbi sulle persone che ci sono intorno, Oddio, ma si vede? Che cosa penseranno?

Sono ati 7 anni da allora, di cui almeno tre nella menzogna più totale. Non volevo né che si vedesse né che si sapesse….

Nel frattempo mi sono laureata con lode, sono andata a convivere, ho cambiato due lavori e ora sono una mamma.

I miei due lavori?

Commessa per una donna cinese sulla Tuscolana, mi alzavo alle sei e mezza e tornavo a casa alle nove di sera. Lei non capiva un accidenti del mio stato e mi

diceva solo: < > e mi ha messo uno sgabello in negozio…grazie Eva. Ho lavorato così’ per sei mesi, poi è cominciata l’estate ed ho dato forfait (il caldo è un implacabile nemico) ed oltretutto ero stanca di lavorare 13 ore 6 giorni su 7.

Poi sono stata una segretaria, lavoro comodo, in un ambiente prestigioso al centro di Roma. Il mio datore di lavoro non capiva un tubo del mio stato, mi diceva che in fondo <<è una gran scocciatura>>….ed io pensavo magari fosse solo quello…ma intanto correvo su e giù per tutta Roma, fra Cassazione e Tribunali, fra AMA e Agenzie delle Entrate, in taxi, in autobus, a piedi….maledicendo la tabaccheria della Cassazione che non stampava i Contributi Unificati proprio i giorni che ero più stanca.

Ho imparato tanto da questa persona, ho imparato anche a vivere oltre che a lavorare….

Nel 2012 mi sono sposata col mio dolcissimo marito.

Lui.

Lui non è mai scappato, neanche quando gli dicevo di lasciarmi, che lo avrei capito. Tanti uomini o tante donne non se la sentono di affrontare una quotidianità così stravolta, ma non lui.

Lui mi ha dato la forza in tanti momenti trasformando i miei giorni più difficili in rabbia contro la malattia e la rabbia mi ha fatto andare avanti, perché in fin dei conti avevo solo trent’anni.

Come quelle mattine, il giorno dopo l’interferone, in cui avrei voluto solo alzare il piumino sulla testa e tornare a dormire, quando girarmi sulla natica su cui avevo fatto la puntura equivaleva a sentirmi sdraiata su una noce. Andare al lavoro? Si, con la mia amica tachipirina che andava giù come l’acqua e chissà il fegato quante me ne diceva…. Ma poi bisognava tornare a casa, portare fuori il cane e non c’era tempo per piangersi addosso.

Ma ci sono state anche giornate belle, come quando mi sono sposata. È stato fantastico e terribile allo stesso tempo. Camminare davanti a tutti con scarpe tacco 4 cm, stritolando il braccio di mio padre a cui dicevo di non mollarmi mai.

E poi il viaggio di nozze, cucito da mio marito addosso a me. Fly & drive direzione Stati Uniti, da New York a Los Angeles. Ventidue giorni di pura libertà. Mi rimarrà sempre dentro. Il mio spirito si è perso da qualche parte in New Mexico, lungo la vecchia Route 66.

Nel 2013 decidiamo di avere un figlio.

La decisione non è stata affatto semplice. Il mio terrore più grande era di “regalare” la sclerosi multipla anche a mio figlio. Non so quanto tempo ho ato a fondere il web alla ricerca di informazioni, credo di aver consultato ogni sito, anche il più idiota, alla ricerca di rassicurazioni. Una volta convinta che non era una malattia ereditaria, ho dovuto affrontare la terribile domanda: che penserà mio figlio di me? Sappiamo che il mondo dell’adolescenza è complicato, i ragazzi sanno essere cattivi fra loro….ed ho il terrore che lui si sentirà diverso per colpa mia, perché la sua mamma erà da “strana” alle medie a “malata” alle superiori.

E soprattutto, cosa penserà di me? Quando sua madre sarà magari su una sedia a rotelle e non potrà aiutarlo in alcune cose, che idea si farà? In questo contesto mi ha aiutato tantissimo la testimonianza di una figlia la cui madre soffre di questa “schifosa” (come lei la definisce) malattia. Riassumendo lei diceva che la madre l’ha conosciuta già così e per lei era comunque sua madre, che fosse stata in piedi, seduta o a quattro zampe. Sì, lei e la sorella avevano affrontato momenti difficili (ma non specificava quali), ma la mamma stava sempre lì e sempre col sorriso…. Soprattutto questa testimonianza mi ha aiutato.

Chiarito questo, andammo dal mio neurologo, allora ero al S. Andrea, che mi disse di continuare l’interferone finchè non rimanevo incinta perché comunque ci sarebbe voluto del tempo e non potevo rimanere scoperta da terapie, maledetto interferone, l’ho sempre odiato….

A Maggio dello stesso anno rimasi incinta. Una sensazione bellissima ed una gravidanza da manuale.

La letteratura scientifica sostiene che la gravidanza per le donne malate di sclerosi multipla sia un momento di serenità. E quanto è vero. Mi accorsi di essere rimasta incinta perché mi sentivo in pace con me stessa. Una sensazione di benessere che avevo dimenticato. Quando ho fatto il test di gravidanza già sapevo di essere incinta, non sapevo di quanto: +3 settimane. Non ho avuto nausee, giramenti di testa, gambe doloranti o altro, non mi sentivo neanche più malata di sclerosi. Sono andata in piscina fino all’ottavo mese, col mio grosso ed ingombrante pancione, c’era il mio Lorenzo lì dentro. Al termine dei nove mesi feci un parto cesareo programmato a Villa San Pietro. C’è chi dice che con la sclerosi la spinale non andrebbe fatta. Non ho mai approfondito la questione e credo che ormai sia inutile. Però quelle gambe che continuavano a rimanere insensibili per cinque ore invece che due (così mi avevano detto le ostetriche) mi hanno realmente terrorizzato.

Al termine di tutto, siamo al 2014, nacque Lorenzo, un bambino bellissimo.

Ed eccoci ad oggi.

La maternità

È difficile. Molto difficile. Si tratta di trovare un equilibrio fra ciò che si può fare, ciò che si vorrebbe fare, ciò che mio figlio si aspetta da me.

L’equilibrio è sottile.

Nei momenti migliori è semplice, si gioca, si mangia, si fa la nanna. Nei momenti peggiori si stringono i denti e si va avanti.

Chiedo a mio figlio di aver pazienza quando mi guarda e piange dall’altra parte della casa…io devo fare dieci i per andare in camera da letto cercando di non cadere….

Ma i suoi sorrisi. Mi riempiono il cuore, quando mi guarda negli occhi ed allunga il suo piccolo dito a toccare un neo che ho sotto il labbro ed intanto mi sorride con quel diastema tipico dei denti da latte.

Ed io so che, in fin dei conti, nonostante i dubbi e le incertezze, la disabilità avanzata e le difficoltà, ho fatto bene. Perché lui è la mia vita. E chissenefrega se inciampo sui miei piedi. Lui ride e va bene così.

Certo, quando guardo le mamme al parco che rincorrono i figli e li portano sull’altalena ancora fa male….perchè io gli vorrei dare anche quello ma non

posso e delle volte lui me lo chiede.

È un equilibrio.

Devo contare sugli aiuti, lo so. Io ho uno spirito indipendente e dover contare su qualcuno mi pesa, mi pesava ieri e mi pesa ancora oggi. Perché talvolta chi ti aiuta, non ti chiede come vuoi essere aiutata. Da per scontato che vada bene e basta. È sempre così? No, ma facciamo finta che vada bene.

E quando parlo con qualcuno e gli racconto che sono una madre, sguardo di stupore e poi un timido: <<ma lo volevi?>>. Certo che lo volevo pezzo di stronzo, mica ho deficit mentali, solo motori. Ma la media dell’intelligenza italiana è molto bassa e l’equazione deficit motorio=deficit mentale è molto diffusa.

Per esempio? La scorsa estate sono andata ad una sagra a Villa Celiera, in Abruzzo. Dovevo andare al bagno. Per l’occasione, avevano allestito una scuola comunale a refettorio. A destra avevo il bastone, a sinistra il braccio di mia cognata. Fermammo un bifolco del posto per chiedergli dove fosse il bagno. Il buzzurro non mi ha guardato neanche in faccia ma parlò solo con mia cognata e le disse che se io dovevo andare al bagno, in fondo al corridoio c’erano quelli dei bambini oppure quelli per l’handicap. Gli avrei infilato il bastone tra le natiche. Perché non mi guardi? Perché non parli con me? Ho un bastone e non posso capire?

Andiamo avanti.

Dicevo che cosa vuol dire essere una mamma con la sclerosi multipla. Difficile

ma bellissimo. Perché io so che cosa posso insegnare a mio figlio. Che nonostante la vita delle volte sia dura, bisogna non mollare mai. MAI. Perché le avversità ci sono e ci saranno sempre, ma è lo spirito con cui lui le affronterà che non deve esaurirsi mai, quello spirito che, nonostante arrivino legnate da tutte le parti, ti devi sempre rialzare con la testa più fiera di prima.

Questo voglio trasmettergli.

Bisogna perseguire l’obiettivo che ci si è proposti.

Quando è nato Lorenzo e le cose si sono complicate con la malattia, ho guardato mio figlio negli occhi e gli ho giurato che avrei fatto tutto quello che potevo per stare meglio. Poi ho preso il cellulare e fissato un ecocolordoppler a Catania, mi sono messa in lista per la neuroriabilitazione al S. Lucia a Roma.

Dopo un anno di attesa ho fatto l’intervento Zamboni, senza paura, perché il mio obiettivo è eggiare con mio figlio mano nella mano. Per ora, ogni tanto, riesco a far qualche metro senza bastone, ma la strada è quella giusta.

Ogni giorno è una sfida differente.

Vedo mio figlio crescere e ripenso ai genitori che aiutano i propri figli a camminare tenendoli per le braccia. Io il mio l’ho lasciato coi suoi tempi perchè non mi reggevo in piedi io per prima, figurarsi a sostenere lui. Ma lui cammina benissimo, ad un anno si è lasciato da solo e cammina alla perfezione.

E per cortesia non fatemi vedere bambini con pettorine da cani, equipaggiati cosi per l'indolenza di coloro che non hanno voglia di corrergli dietro...

Chi ha il pane non ha i denti. È sempre così.

Vedo mio figlio crescere e il mio cielo si riempie di dubbi, non sulla bontà della mia scelta, per carità non farei mai una scelta diversa, mio figlio è il mio mondo, ma sulla mia capacità di gestire i suoi prossimi bisogni. Il mio psicologo sostiene che ci vuole sempre una ottima organizzazione di base, ma è sempre possibile? Sicuramente si, ma è anche sfiancante e, soprattutto economicamente impegnativo. Finora non ho mai parlato del lato economico della sclerosi. Tutti i medici dicono che si, noi possiamo far tutto, ma a che prezzo? Io non posso più farmi le pulizie domestiche da sola ma viene una ragazza a farle per me. Le do una stretta di mano per ripagarla? o una pacca sulle spalle? Non credo proprio. Devo far riabilitazione due volte a settimana. Una volta, a turno viene mio padre o mio suocero, un’altra volta pago un’associazione di volontari che mi ci porta. Pago uno psicologo che mi aiuti a non finire in depressione ed a affrontare le varie questioni. Pago, pago, pago. Dov’è lo stato? Non lo so. Pago finchè posso pagare, poi? Non lo so. Pago i medici che per una visita neurologica chiedono duecento euro. C’è poi il ginecologo di Villa San Pietro che me ne ha chiesti centosessanta, la visita di venti minuti. Mio padre dice che dove c’è il sangue accorre il vampiro….credo sia vero…. E quando Lorenzo crescerà e vorrà, giustamente, essere accompagnato ai vari sport (che pagheremo), come ci organizzeremo? Questo pensiero mi gira in testa ormai da un anno…mio marito dice che ce la faremo, devo credergli…..

Ma il vero lato duro non è rapportarsi con un bambino, è districarsi fra gli adulti. Fra quelli che tentano di arrivare prima di te dandogli la cosa che ritengono più opportuna in quel momento, secondo loro….oppure senza chiederti nulla, nonostante tu sia presente, prendono una certa iniziativa quando tu magari vorresti altro, ma non puoi farlo e neppure te la senti di chiederlo. E qui arriviamo in un altro ambito.

Gli altri

Ci sono altri ed altri. I sani e gli altri sfigati come me, con sfighe di diverso calibro.

I sani sanno di esserlo, lo danno per scontato. Davanti al malato o hanno un atteggiamento di commiserazione e cominciano con un “mi dispiace” o annuiscono perché non sanno cosa dire (e poi mi guardano di traverso come se all’improvviso dovessi trasformarmi in un essere diabolico) o scappano (si, mi è capitato che una signora scape….). se rimane qualcuno intelligente mi chiede di più. La mia storia, quello che significa. Ma sono mosche bianche. Comunque vale la pena tentare.

Il secondo e il terzo atteggiamento sono quasi divertenti, la mia amica Paola lo ha sperimentato.

Il primo atteggiamento mi fa incazzare. La commiserazione non porta nulla di buono. Cementa la distanza fra due persone ed inevitabilmente il rapporto tra di esse. Io sano, tu malato. Tu hai BISOGNO, io mi SENTO IN DOVERE DI AIUTARTI. Da qui scaturisce il sentimento del SACRIFICIO che piace tanto al mio psicologo. Il SACRIFICIO comporta che, davanti alla malattia, il malato si senta uno schifo perché sente di mettere in croce qualcuno ogni volta che ha una necessità, chi dispensa SACRIFICI si sente limitato perché a quel punto DEVE aiutare il bisognoso.

Prestare aiuto non è carità, non è dovere morale, è semplicemente umano.

Ripenso a quando ero in aeroporto, al ritorno da Catania. Ero in pista sul pulmino dell’assistenza aeroportuale, quando sento una signora dire, con rammarico, che suo figlio era costretto ad andare spesso da lei perché lei aveva bisogno. Già perché il rapporto madre figli si esaurisce con il mero raggiungimento utilitaristico dell’indipendenza da parte dei figli. Io da figlia sarei contenta di poter accudire mia madre, perché lei lo ha fatto per anni quando non potevo. Il bisogno, diventa la chiave che inquina i rapporti. Ci si vede per bisogno, non per piacere….mi sento dire chiamami se hai bisogno di qualcosa, ok, grazie, ma se non ho bisogno di nulla non ci si sente più?

A tal punto ringrazio tutti gli operatori del S. Lucia a Roma che, con dolcezza e senza invadenza, girano un caffè ad una persona che non ci riesce per vari motivi e lo aiutano a berlo, parlando del più e del meno. Parlo di gente comune…persone che se gli dici <<mi accompagni al bagno>> ti ci portano col sorriso e poi se ne vanno. Non ti fanno sentire bisognoso, lo fanno con naturalezza.

Dall’altra parte ci sono i “malati di diverso calibro”.

Per anni mi sono sentita sola. Sentirsi l’unica malata in un mondo di sani è dura, perché inevitabilmente io vivo una vita che un’altra persona non può capire, sensazioni, percezioni, verità che vengono viste con un’altra lente e da una prospettiva completamente differente.

Per anni ho cercato di tener nascosta la mia situazione, ficcandola sotto un tappeto, come mi era anche stato insegnato a fare. Perché? Perché mi vergognavo, perché non volevo essere trattata da diversa, non volevo sguardi di commiserazione, non volevo aiuto, volevo semplicemente nascondermi fra tutti i volti che avano per strada. Non volevo accettare la cosa perché per me accettarla equivaleva a dire: < >.

All’inizio la mia condizione mi ha aiutato, perché non era così evidente…un pò di riposo e tornavo come nuova. Dopo la gravidanza a stento camminavo appoggiata a qualcuno. A questo punto non c’era più via di fuga, dovevo affrontare il problema.

Me lo ha spiattellato in faccia un ragazzo, ragazzone, titolare di una palestra, che mi ha consigliato. Mi ha detto chiaro e tondo che dovevo farmi aiutare. Ed io ho seguito il suo consiglio, quello ed altri.

Ho cambiato la neurologa, sono andata da uno psicologo che ha insegnato, sia a me che a mio marito, a riconsiderare le cose, a discapito di chi mi diceva che non ne avevo bisogno.

Adesso so che accettare questa condizione significa partire dalla situazione stessa ed andare avanti, non con abnegazione ma con sentimento di sfida. Io ho la sclerosi multipla ma combatto. Perché è la mia vita. Non so quale santo o quale diavolo me lo ha mandata ma è la mia “nemica” e le farò guerra fino alla tomba.

Adesso non mi vergogno più….mi guardano camminare male? Problemi loro. Mi commiserano? Problemi loro. D’altronde anche io provo commiserazione di fronte a ragionamenti talvolta primordiali....

Andando al S. Lucia ho conosciuto tante altre realtà. E una marea di persone che vivono la mia stessa problematica. Giovani e meno giovani. Chi depressa e chi col sorriso.

All’inizio ho sempre vissuto pensando che fra persone con la sclerosi ci fosse diffidenza, ma mi sbagliavo. La diffidenza era la mia. Cercavo di non mischiarmi fra loro perché in realtà avevo paura di guardarmi allo specchio. Non erano gli altri scostanti, ero io.

Adesso sono maturata e giunta alla conclusione che siamo tutti come una grande famiglia. Un insieme di sconosciuti che però condividono le stesse difficoltà e gli stessi problemi. Preso atto di questo, neanche si perde tempo ad iniziare parlando della propria storia. Tanto cambiano i dettagli ma è la stessa per tutti.

Ed a pieno titolo si va da uno sconosciuto e si dice di andare avanti. Perché noi sappiamo che cosa significa e ci facciamo forza insieme.

La cosa curiosa? A me le gambe non funzionano bene, ed è visibile ed evidente. Poi parlo con le persone, sanissime e perfette a prima vista. E vengo a sapere di altre verità, altri vissuti, altri problemi, non peggiori o migliori dei miei (per ognuno il proprio problema è più grave, così è la vita ed è giusto così) ma che portano a rendermi conto che ciascuno nel proprio quotidiano lotta contro qualcosa.

Le amicizie.

Con la crisi di identità che ha accompagnato diversi anni della mia vita, mi ero completamente chiusa alle altre persone. Avevo perso le mie amicizie. Chi dice che per sta bene con gli altri bisogna star bene con se stessi ha ragione. Io non stavo bene con me stessa e non stavo bene con gli altri. Non avevo nulla da dire a nessuno, ma un mondo di cose dentro di me.

Parlavo a mio marito e poco con le sue di amicizie.

Lui mi ha sempre spronato ad aprirmi ma non avevo voglia.

Dopo troppi anni ho accettato la cosa e riallacciato i vecchi rapporti. Se le persone ti vogliono bene te ne vogliono sano o malato, ma devi renderle partecipi del tuo mondo, altrimenti è come stare con un perfetto estraneo, me ne rendo conto.

Ora se parlo poco con qualcuno è perché effettivamente ho poco da condividere, succede a chiunque.

Il tempo

Mai rimandare a domani quello che puoi fare oggi, recita un vecchio detto. Verissimo.

Il tempo per noi è una variabile impazzita. Nasciamo, cresciamo e diventiamo pigri….il motto della vita diventa lo faccio dopo. Ebbene, talvolta non c’è un dopo….domani non sappiamo come sarà…potremo camminare….chissà? ma questo vale per tutti, quindi taglio corto.

Solo, per noi, il concetto del tempo diventa ancora più profondo…..

Quando ho scoperto di avere la sclerosi, ormai sette anni fa, camminavo ancora parecchio bene, certo i tacchi li ho dovuti abbandonare….dico sempre che se dovessi finire su di una sedia a rotelle, ci finisco coi tacchi, perché a questo punto non ho più sofferenze…se guardo indietro in questi sette anni, mi accorgo che, col tempo, mi è diventato naturale non fare più certi movimenti o camminare per un certo tempo, quindi certe cose le ho volutamente, ma inconsapevolmente, lasciate per strada….

Mauro, il mio fisioterapista, dice che la straordinarietà del corpo umano è proprio questa….come un sistema estremamente plastico, il corpo umano si adatta e trova altre soluzioni, altri accomodamenti, per andare avanti.

Ma il cervello è la centralina di questo sistema. Per anni sono stata terrorizzata all’idea di perdere le mie funzioni cerebrali, di perdere di intelligenza…ora mi

rendo conto che non sono le funzioni cerebrali a perdersi ma le capacità muscolari connesse ad esse: la memoria in primis, la memoria va esercitata, ma la perdita di memoria non è prerogativa esclusiva della sclerosi; il linguaggio che non significa che non siamo più capaci di tradurre in parole i nostri pensieri, significa che anche i muscoli della parola vanno allenati, altrimenti si atrofizzano; la scrittura, talvolta si, è difficile scrivere, soprattutto in corsivo…io su questo non vedo grossi cambiamenti perche ho sempre scritto in maniera non intellegibile…certo mi rendo conto che ora le lettere sono meno tonde…

Questo scritto non finalità mediche, non vuole suggerire delle soluzioni ai problemi, io parlo di cose che vedo e vivo e so che chi ha problemi di questo tipo fa logopedia, da logos, termine greco che significa parlare, ed infatti in logopedia si parla, si scrive, si memorizza…

La farmacologia

Farmaci si, farmaci no. Un aspetto controverso della sclerosi, e di malattie con la stessa natura di essere croniche e pressochè poco conosciute, è l’approccio farmacologico. Quando ricevetti la diagnosi consultai diversi neurologi, due mi dissero che non era conveniente per la mia età entrare in terapia, uno mi disse che ero matta a non farmi “curare” e mi mise subito sotto interferone. Perché diedi credito a quest’ultimo? Perché il protocollo ufficiale per noi malati è di entrare in terapia con qualcosa….cosa di preciso? Si va a tentativi… Allora, non faccio nomi, non è nella finalità di questo scritto….Il dottor X mi mise sotto Rebif 44, tre volte a settimana, assicurandomi che gli effetti collaterali più comuni erano sindrome parainfluenzale e malessere…non ti preoccupare, basta una tachipirina, ma poi il fisico si abitua. Bene. Le iniezioni sottocutanee facevano un male cane, le faceva mio marito, a me gli aghi hanno sempre fatto schifo…mi ingollavo mezza pasticca di tachipirina 1000 e mi addormentavo…talvolta mi svegliava un tremore incontrollato e brividi, segno che la febbre stava salendo e giù un’altra mezza pasticca. La mattina dopo una mezza pasticca sedava i dolori articolari e la stanchezza e funzionava fino a sera. Il giorno successivo ero un leone. Dopo qualche mese il mio fisico si abituò e levai la tachipirina. Dopo diverse settimane ripresero gli effetti collaterali, febbre e malessere tutte le benedette notti dopo la puntura, confusione mentale e dolori articolari il giorno dopo. Chiamai i dottori che mi curavano, mi dissero che, in una piccola percentuale di pazienti, il fisico non si abitua o lo rifiuta, ma di continuare perché comunque

faceva effetto. In quattro anni di Rebif ho sperimentato febbri tutte le notti e giornate da schifo, dosi di tachipirina da cavallo, addirittura tutti i giorni perché il farmaco non lo smaltivo più. Poi rimasi incinta. Levai il farmaco e dopo aver partorito lo ricominciai. Mi dettero Extavia, un altro interferone che doveva essere più leggero. Mi ricordo che ho ato giornate intere a piangere perché non volevo ricominciare a stare male, non volevo più bucarmi, trovarmi le pagnotte o i segni rossi sulla pancia o sul sedere, solo chi lo ha fatto può capire cosa significa…. Ebbene, alla fine ricominciai….peggio che andar di notte…febbre e tachipirina, dolori e tachipirina, depressione e malessere…anche sedermi era doloroso perché il farmaco iniettato la sera prima stava lì e sembrava di star seduta sopra una noce. Dopo sei mesi, lesioni nuove. Ebbi un rassicurante incontro con il neurologo che dopo cinque anni riconobbe che l’interferone mi stava distruggendo e che avrei dovuto levarlo…ma considerato che il farmaco che voleva darmi ancora non era uscito, di continuare Extavia. Distrutta a livello psicologico, me ne rendo conto. Cinque anni a cercare di convivere con un farmaco che odiavo, nella certezza che però mi bloccava la malattia, e dopo cinque anni sentirmi dire che mi stava distruggendo, che ogni puntura che facevo era come un pugno nello stomaco… però di continuare a bucarmi finchè non usciva il nuovo farmaco. Ed io le feci altre due o tre iniezioni, con un senso di nausea nello stomaco e le lacrime agli occhi, poi smisi, era ridicolo…che rischiavo? Lesioni nuove? Poi cambiai neurologo, la dottoressa Y, abbiamo concordato per Aubagio. Dopo un anno, lesioni nuove non ci sono ma una vecchia si è ingrandita….funziona? ni, ma altro non c’è…. In definitiva, funzionano davvero questi farmaci?

Ho i miei dubbi….molti sono stati creati per trattare altre patologie e poi riciclati per la sclerosi… Alcune persone non si curano e stanno bene. Alcune persone non si curano e stanno male. Alcune persone si curano e stanno bene. Alcune persone si curano e stanno male. Siamo così abituati ad affidarci ai farmaci da non dubitare mai della loro bontà, li assumiamo come automi, senza porci tante domande… Ma se io ho la febbre, tempo mezz’ora e si abbassa, se io ho la sclerosi sei mesi non bastano per dire se il farmaco fa effetto o meno….perchè? Ormai sono giunta alla conclusione che questi farmaci non servono a nulla…la malattia avanza o si blocca perché è il suo decorso naturale e tutte queste promesse di regressione della disabilità sono, appunto, promesse.

Conclusioni

Il perché di queste righe? Avevo bisogno di scrivere, avevo bisogno di dar sfogo a tutti i miei pensieri.

Perché venisse alla luce il mondo un po’ velato di chi soffre di sclerosi multipla, con le difficoltà quotidiane, il marciapiede sconnesso, il parcheggio lontano dall’ingresso, la porta troppo pesante, la burocrazia imbecille degli accertamenti sanitari.

Qualcuno ci invidia le facilitazioni che abbiamo (il tagliandino per gli invalidi, l’esenzione del bollo, la pensione di invalidità ecc….), ok, sentite qua:

- avere la patente speciale significa versamenti in posta di differente importo, saltelli da un ufficio ad un altro, perché nel 2015 mica tutto si può fare da Internet, visita ASL, altri uffici, adattamento auto, altri giri, esame e patente. Ed una marea di tempo perso. Questo ogni due anni.

- abbiamo l’esenzione totale ma spendiamo almeno 60 euro in farmacia ogni mese fra integratori e medicinali non mutuabili;

- abbiamo il permesso per invalidi per parcheggiare ma scesi dalla macchina diventa una guerra personale fare qualsiasi cosa, scusate se parcheggio vicino l’ingresso allora….

- abbiamo pensione di invalidità ed accompagno perché a lavorare ci chiamano in pochi (categorie protette e posti riservati nelle aziende? Tutte frottole) mentre le spese per farci aiutare nelle necessità quotidiane sono molte.

E non occupate abusivamente quegli stramaledetti parcheggi per disabili.

Mi piacerebbe che si smettesse di pensare alla sclerosi multipla con quella immagine molto commerciale della sedia a rotelle. Quella non è tutta la realtà e non è la soluzione.

Vorrei che si smettesse di guardare il disabile con senso di pietà ed invece ci si approcciasse con maggiore rispetto, perché se lui ha fatto un’azione qualsiasi ha impiegato il doppio delle energie di una persona sana.

Ed un pensiero va alle famiglie in senso lato che si interfacciano quotidianamente con questa malattia. Non è la fine del mondo, non è la stessa cosa che avere un figlio in stato comatoso (scusate la franchezza), una moglie a cui è spuntato un terzo occhio o un marito uscito di senno. Esauriti tutti i fazzoletti, come è giusto che sia, si tratta di riorganizzarsi e ripartire. In altro modo, con soluzioni meno convenzionali ma ugualmente efficaci.

E soprattutto col sorriso.

Perché la vita va vissuta e con dignità.

Ringraziamenti

Ringrazio tutte le persone conosciute da tempo e non che mi vogliono bene.

Ringrazio mio marito per essermi sempre accanto, mio figlio per i sorrisoni che elargisce, Vi amo!!!

Un grazie alla mia famiglia in senso lato che combatte con me ogni giorno....

Ringrazio anche le famiglie di tutte quelle persone che, dall'oggi al domani, si vedono la vita stravolta dalla malattia, e parlo di giovani e meno giovani, voi sapete chi siete!!! XOXO

Ringazio Pixabay per l'immagine della copertina e Narcissus.me per dar la possibilità a tutti di esprimere le proprie idee!

Grazie!