Le Forme dell'Amore
by Luca Rossi
Copyright 2012 Luca Rossi
Smashwords Edition
Questo racconto fa parte della collana Energie della Galassia
Leggi tutti i racconti dell'opera:
1. Arcot e la Regina 2. Le Forme dell'Amore 3. Carcere a Vita 4. Rewind 5. Emozioni nella Nuvola 6. Il Regno di Turlis 7. Latrodectus mactans
8. La Famiglia Perfetta
Indice
Le Forme dell'Amore L'autore Il Regno di Turlis (primi capitoli)
Le Forme dell'Amore
1
L'ho rincorsa per mezza Galassia. Non ne posso più. Sono stanco, addolorato, sfinito. È tutto vano. Mi sembra di aver gettato via gli ultimi anni della mia vita. Sono anni che non faccio altro che darle la caccia. Sono un poliziotto. Ho alle mie spalle una carriera colma di fama e successi. Sono apparso così tante volte sui notiziari dei pianeti civili della Galassia da non poterne tenere il conto. Mi hanno affidato gli incarichi più difficili e le catture dei peggiori criminali della Galassia. Poi mi hanno chiesto di acciuffare lei. Per me era un lavoro come un altro. Si trattava di condurre in una prigione di massima sicurezza una singola innocua femmina mutante. Dopo aver sgominato bande di malviventi spalleggiate dagli abitanti dei loro pianeti natali, avevo pensato che fosse l'incarico più semplice che potessi immaginare. Mi vedevo nuovamente sui notiziari, lei in manette, io sorridente. Ora mi ritrovo in questa merda, su un'astronave bisognosa di manutenzione, prossima a lasciarmi a piedi ogni minuto e a espellermi in un modulo di salvataggio. Lei ancora una volta mi precede, sembra anticipare le mie mosse e divertirsi con me. È tutto un gioco. Lei lascia che io che arrivi a un o da lei e, quando sono sicuro di prenderla, ama sfuggirmi di mano. È come se si divertisse a sentire il mio fiato sul collo. È una mutante, può assumere in ogni momento qualsiasi forma. In teoria questo non dovrebbe aiutarla più di tanto. Noi poliziotti siamo dotati di
scanner biometrici e di rilevatori di DNA ad ampio raggio. E ovunque vada i suoi geni sono rilevati dai lettori locali. Quando lei è su un pianeta, io lo so. “Capitano, guardi!” È Eianus che parla, il giovane poliziotto che mi hanno recentemente affiancato. La Federazioni dei Mondi, FM, è a tal punto esasperata dal mio insuccesso, che ha deciso di mandarmi questo ragazzo. Alto, biondo, occhi azzurri, carriera universitaria impeccabile, primo in ogni livello avanzato nei corsi di polizia, profondo conoscitore della tecnologia più moderna. “Sembra che Ipsia abbia improvvisamente cambiato rotta,” dice Eianus. Le siamo alle calcagna, se così si può dire di un inseguimento che avviene ad appena qualche anno luce di distanza. Al centro della stanza, tra me e Eianus, campeggia un ologramma con il quale possiamo tracciare la posizione dell'astronave di Ipsia e di molti altri oggetti che si muovono nello spazio. “È entrata nel sistema solare Mx-311. Da quanto vedo, l'unico pianeta sul quale potrebbe atterrare è Mx-311-d,” aggiunge Einaus. “Che razza di pianeta è?” domando io. “Ha un quarto di mari e tre quarti di terre emerse, ricoperte di fitta vegetazione. La vita è ancora ad uno stato primitivo e selvaggio.” “Uhm... niente scanner o rilevatori locali, quindi. Dobbiamo andare sul posto per utilizzatore i nostri rilevatori. Mi chiedo perché sia diretta proprio lì. Non c'è nulla che interessi ad una ladra di segreti galattici e pochi posti dove potersi nascondere.” “Capitano, la nostra vicinanza non le ha consentito di fare rifornimento per settimane. Potrebbe essere semplicemente a secco.” Ipsia, la mutante imprendibile, catturata perché a secco. Questo sì che è comico!
2
In un mondo dominato solo dalla natura selvaggia non è difficile rintracciare un'astronave. Ad appena un quarto di rotazione intorno al pianeta individuiamo l'astronave di Ipsia ed atterriamo al suo fianco. Le nuvole sopra di noi formano una scura coltre verdognola. La zona è paludosa. Il suo veicolo è parzialmente sommerso. Indossiamo le tute spaziali e i microrespiratori e usciamo dal boccaporto superiore. Le tute sono aderenti ed autopressurizzanti. Nelle orecchie e nella gola abbiamo dei nanotraduttori dotati della maggior parte degli idiomi dei pianeti della Galassia. Possiamo comprendere e parlare con chiunque. Intorno a noi non rileviamo la presenza di forme di vite particolarmente aggressive. La realtà aumentata analizza costantemente l'ambiente circostante generando dati che, proiettati direttamente sulla nostra iride, ci appaiono fusi con quello che vediamo. Le tute sono dotate di microrazzi che ci danno la possibilità di librarci agevolmente nell'aria sopra l'acqua della palude. Il nostro rilevatore di DNA in pochi attimi individua il massimo delle probabilità della presenza di Ipsia a poche centinaia di chilometri da noi. Voliamo velocemente verso il punto indicato. Sotto di noi, le zone paludose si alternano a zone di foresta più fitta. I microsistemi da combattimento individuano e disintegrano i pochi pericoli che si stagliano di fronte a noi, come qualche uccello predatore di grosse dimensioni. Intravediamo un immenso fiume che, nel luogo dove sembra essersi fermata Ipsia, si getta in una cascata alta, secondo le nostre informazioni RA, 3,8 chilometri. Davanti ai nostri occhi compare un ologramma del territorio dove, a circa un chilometro di altezza, vediamo una caverna con il puntino luminoso che indica la presenza della mutante all'interno. “E' troppo facile Eianus. Non mi piace” dico io. “Ogni volta che questa troia si è lasciata avvicinare aveva un asso nella manica.” “Capitano, forse questa volta Ipsia ha semplicemente esaurito tutte le possibilità. Forse non pensa di poter scappare oltre” risponde il ragazzo. “Non mi piace” ripeto, scuotendo il capo. Scendiamo al livello della cascata al quale si trova la caverna. Superiamo il muro
d'acqua e ci troviamo di fronte alla più meravigliosa creatura che si possa immaginare. “Torna pure nel tuo stato naturale, Ipsia. Sei in arresto per i crimini commessi contro la Federazione dei Mondi. Trascorrerai il resto della tua esistenza in carcere. Eianus, applicale la tuta costrittiva di sicurezza” ordino. La tuta di sicurezza è simile alla nostra, ma il suo movimento è guidato da noi. Una volta applicata, aderisce al corpo del prigioniero in maniera naturale e i microrazzi la guidano dietro di noi ovunque andiamo. “Io non ho una forma naturale, capitano Bascos. Se ti riferisci alla forma che hanno i neonati nel mio mondo, non ha nessuna rilevanza. Posso mantenere la forma che desidero per sempre.” Ipsia ora ha capelli biondi e lisci, lunghi fino alle spalle. Gli occhi sono azzurri come il cielo della Terra. La sua figura è di statura media e leggermente in carne, con seni raffinati. Gli zigomi sono pronunciati, la carnagione chiara, i denti perfetti. È la copia della mia prima ragazza, Alessandra. Ipsia si sarà sicuramente interessata alla mia storia, avrà scovato da qualche parte quest'immagine e ne avrà assunto la forma per divertirsi ancora un po' con me. Vorrei rimanere ad osservarla ancora po'. Ho spesso desiderato ritrovarmi a parlare con Alessandra. Siamo stati a lungo insieme, ma poi lei ha deciso di rimanere sul pianeta Terra ed io di esplorare ogni angolo della Galassia a caccia di criminali. Lei mi sorride. Sa tutto di me. E sa che tra me ed Alessandra è finita da tempo. Rimane immobile perché sa di non potersi muovere o verrebbe colpita dalle nostre microarmi. “Non si muova,” le dice gentilmente Eianus, applicando sul corpo della mutante lo scatolotto della tuta, che si espande velocemente sulle sue membra, bloccandone i movimenti. Possiamo decidere quali parti del corpo coprire e quali bloccare. Le lascio scoperto solo il capo. Usciamo dalla caverna e voliamo verso la nostra astronave, io, Einaus e dietro di noi, immobile, Ipsia. E' stato troppo facile.
3
Partiamo immediatamente. Occorreranno diverse settimane per giungere a destinazione. La cella di Ipsia è un cubo tre metri per tre con un campo di forza trasparente che lo separa dalla cabina di comando dell'astronave. Così il prigioniero può essere tenuto sotto costante osservazione. La mutante può chiedere al sistema che dal pavimento e dalle pareti escano tavoli, letti, sedie, poltrone, ologrammi e molto altro. Può richiedere cibo e bevande, che il sistema le prepara autonomamente. Le sue condizioni vitali e la sua salute sono costantemente monitorati. Può comunicare con noi, sebbene la voce sia veicolata dai microfoni della cella agli altoparlanti al di fuori di essa. Dopo la partenza, per qualche ora la mutante siede con espressione incurante nella propria cella. Una volta usciti dal sistema solare Mx-311, Eianus si alza. “Capitano, la rotta impostata è confermata. Dovremmo essere a destinazione in non più di quattro settimane, soste eccettuate.” “Benissimo Eianus. Va' pure a riposarti. Abbiamo fatto un ottimo lavoro.” Eianus esce dalla cabina di comando. “Fino a quando rimarrà con noi il ragazzo?” La voce proviene dagli altoparlanti della cella alla mia destra. Ipsia mi osserva con un'espressione divertita. La prigionia sembra non crearle alcun patimento. “Sono certa che non servono due dei più bravi poliziotti della Galassia per condurre un'innocua mutante rinchiusa in una cella di massima sicurezza fino al carcere. Eianus ha già un nuovo incarico? Su quale pianeta lo sbarcheremo?” È sconcertante trovarsi a parlare con l'immagine della mia ex. Prestando attenzione, noto che non solo ne ha assunto le sembianze, ma anche le pose, l'atteggiamento e la voce. Sto per rispondere duramente alla prigioniera per informarla che non le sarà data informazione di alcun tipo e che non saranno avviate comunicazioni su argomenti non strettamente necessari alla sua permanenza sull'astronave, ma quello che esce dalla mia bocca è:
“Per quale motivo vuoi saperlo?” Errore! Con i prigionieri non si parla, non si discute, non si famigliarizza. “Non vuoi che iamo un po' di tempo da soli, tu ed io?”
4
Ipsia ci sa fare, questo è indubbio. Fa della provocazione e della lenta tortura mentale la sua arma. In presenza di Eianus non ci dedica attenzioni di alcun tipo. Nella propria cella dorme, mangia, legge, gioca, guarda degli olo e ascolta musica. Naturalmente può solo fruire dell'intrattenimento che il sistema le offre. Le comunicazioni al di fuori della nave sono escluse. Quando Eianus si reca nella propria cabina o a fare esercizi fisici nella nostra palestra, Ipsia diviene improvvisamente loquace. “Ti manca molto, vero, Alessandra?” mi chiede Ipsia. Non dovrei risponderle, ma mi sento di essere offensivo e voglio ferirla. “Pensi di conoscere i sentimenti umani? Sei solo una povera mutante e non capirai mai quello che sentiamo noi!” rispondo io. “Però questa mutante osserva come la guardi. E mi sembra che i tuoi occhi cadano spesso su di me. Lo fai anche quando c'è Eianus qui con noi. Aspetti che lui sia assorto sul controllo della rotta e con la coda dell'occhio mi osservi. Ti piace guardarmi, non è vero? Anche di nascosto...” “Non sei altro che una finzione, una sorta di mostro. Conosco la tua vera forma. Per me sei solo un animale.” Penso di averla ferita e di aver chiuso la discussione, ma lei scoppia in un riso sincero e molto umano. “Allora devono piacerti veramente molto i mostri, Capitano.”
5
Vorrei raccontare quello che accade al ragazzo, ma qualcosa mi trattiene dal farlo. Talora mi sembra che lui mi osservi con una certa apprensione. Quando entra nella cabina di comando sembra farlo con un po' imbarazzo. Qualcosa sta cambiando nel nostro rapporto. Mi viene il dubbio che Ipsia stia facendo la stessa cosa con lui, ma la mia intuizione mi dice che non è così. In ogni caso, non gli dico nulla e non lo metto a parte delle conversazioni con la mutante. Lei nel frattempo sembra essersi stufata della sola forma di Alessandra, così ogni tanto si diverte ad assumere le forme di altre giovani ragazze belle e provocanti. Dopo aver mutato la propria forma continua le sue attività fingendosi incurante di noi. Noi tentiamo di rimanere indifferenti. Entrambi sentiamo l'impulso di voltarci verso di lei a guardarla, ma rimaniamo occupati sui nostri compiti. “Non deve essere facile resistere senza sesso durante le vostre avventure spaziali, vero, poliziotti?” Eianus ed io ci guardiamo negli occhi. Prendo io la parola: “Prigioniero, esistono diverse forme di detenzione. Ti conviene evitare queste inutili provocazioni o potremmo decidere di chiuderti l'accesso a letto, sedie, tavoli, cibo, console e visori.” Eianus mi fa un cenno di assenso. “Perché diventi così cattivo, Capitano? E perché le mie parole ti scaldano tanto? O ti piace fare il duro in presenza del tuo collega?”. È il ragazzo questa volta che le risponde: “Sei proprio sicura di voler are il tempo che ti rimane su questa astronave in una tuta costrittiva?” “Se ti va, ragazzino, procedi pure. In alternativa, potresti scoparti a turno con il Capitano le ragazze che hai desiderato per tutta la tua vita.”
Faccio cenno a Eianus di procedere. Dopo qualche minuto il corpo di Ipsia è immobile contro il muro. La tuta costrittiva copre il suo corpo quasi per intero, ad eccezione del viso. Quel volto però è quello di Alessandra.
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“Sono il maggiore Endris, tessera di riconoscimento FM-Ax-495803. Buongiorno capitano Bascos. È un piacere saperla a qualche settimana di distanza dal carcere di massima sicurezza di Forzis. Mi complimento con lei ed il poliziotto Eianus per l'eccellente cattura.” Il Maggiore è un ologramma al centro della stanza. Ruotiamo le nostre poltrone verso la sua figura, il cui realismo la rende indistinguibile dagli altri corpi nella cabina. “Maggiore Endris, è un piacere sentirla. E' stata una missione particolarmente complessa, che ha richiesto un cambio di metodologia di inseguimento. Ancora una volta possiamo tuttavia dire che la giustizia ha avuto la meglio sui criminali” rispondo io. “Capitano, mi ragguagli in merito ai dettagli della cattura. Nel suo rapporto descrive in modo molto sintetico gli eventi svoltisi su Mx-311-d.” Per un attimo guardo Eianus con la coda dell'occhio, imbarazzato quanto me. È vero, la cattura è stata troppo semplice. Dopo anni di inseguimenti è come se Ipsia si fosse offerta a noi. “Maggiore, abbiamo spinto la mutante su rotte nelle quali sapevamo che avrebbe avuto difficoltà a trovare rifornimenti adeguati per la propria astronave. Terminato il carburante, la mutante non ha potuto fare altro che ripiegare su Mx311-d, dove l'abbiamo braccata grazie ai nostri scanner genetici fino al momento della cattura.” spiego io. “Ha opposto resistenza?” “Ha tentato, ma prima che potesse fare alcunché le nostre microarmi hanno
avuto la meglio. Una volta bloccata le abbiamo applicato la tuta costrittiva, nella quale rimane tuttora. Il sistema si occupa del suo nutrimento in pillole e dei suoi residui.” Non è vero. Non è quello che accaduto. Eianus si muove sulla poltrona imbarazzato. Evita di guardare sia il Maggiore, sia me. “Capitano, avete fatto veramente un ottimo lavoro. Ho un nuovo incarico da assegnarle. Ci risulta la presenza di una produzione di stimolanti illegali su Zr987-c. Dovrebbe recarsi sul pianeta per acquisire informazioni utili e riferirle al comando, in modo che si possa decidere sul da farsi. Può lasciare al poliziotto Eianus il compito di scortare la mutante fino al carcere. Un'astronave della polizia vi raggiungerà nei prossimi due giorni in modo che lei possa dirigersi verso il suo nuovo incarico.” “Maggiore, se fosse possibile, posticiperei la nuova missione di una settimana e mezza, in modo da poter condurre la criminale a destinazione ed assicurarmi personalmente della sua incarcerazione” “Capisco Capitano. E immagino anche che non le dispiaccia prendersi il merito della missione di fronte alle olocamere in attesa di fronte al carcere. È stato un incarico più duro di quanto mi aspettassi e questo è un premio che non voglio toglierle. Sbarchi allora Eianus, in modo che possa recarsi su Zr-987-c per iniziare il lavoro. Lo raggiungerà entro una settimana. Siete un buon team e abbiamo deciso di farvi continuare a lavorare insieme.” “Agli ordini, Maggiore” L'ologramma del Maggiore scompare. Osservo Eianus, che non nasconde una smorfia di sofferenza. Con la coda dell'occhio scorgo il viso di Ipsia, raggiante.
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Nei due giorni che seguono la conversazione tra me ed Eianus langue. La tensione è palpabile nell'aria. Ci scambiamo qualche frase imbarazzata di tanto in tanto. Ipsia canterella invece contenta. La lasciamo nella sua tuta costrittiva.
Una volta raggiunti dall'astronave della polizia della Federazione dei Mondi, completate le manovre di avvicinamento, è l'ora di salutarsi. “Congratulazioni, poliziotto Eianus, hai svolto la tua prima missione in maniera egregia. Ci vediamo tra una settimana. Non vedo l'ora di fare il culo agli spacciatori.” Parlo con un tono da padre orgoglioso un po' bullo. Al resto preferisco non accennare. Il ragazzo esita un po' prima di rispondermi, poi sembra prendere coraggio. “Capitano, la prego, la porti in carcere.” “Ci puoi scommettere” gli rispondo io. Lui è stato sincero. Io no. Eianus vede quello che io non voglio vedere. E' così evidente? Ha interpretato qualche mio sguardo verso la mutante come segno di interesse? Sento di dover aggiungere qualcosa. Ma non voglio mostrarmi debole. Dovrei forse ammettere quanto mi metta in difficoltà trovarmi ogni giorno di fronte all'immagine della ragazza che non ho mai smesso di amare? “Non ti preoccupare. Andrà tutto bene. Ci vediamo presto” gli dico semplicemente. Ancora una frase fatta, ma almeno sembra rassicurarlo. Si volta. Esce dalla cabina. Dopo qualche minuto l'astronave su cui è salito chiede il permesso di allontanarsi. “Permesso accordato” rispondo io. “Fate buon viaggio!”
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“Anche il nostro non sarà certo male, vero Capitano?” È lei che mi parla. Non perdo neppure tempo a voltarmi.
“Capitano, non fare così! Puoi lasciarmi nella mia cella. Nessuno è mai riuscito ad uscire da una cella di questo tipo. Ma se mi togli questa tuta posso tornare a muovermi e tu puoi tornare a guardarmi. Io vivo nel mio piccolo monolocale e tu ogni tanto mi getti una di quelle occhiatine che ti piacciono tanto. Non c'è assolutamente nulla di male, vero Ian?” È da molto che non sento pronunciare il mio nome. E mi sembra una vita che non lo sento uscire dalle labbra Alessandra. Non resisto a non porle la domanda: “Come hai imparato come è fatta, qual è la sua voce e come si muove?” domando. “Ian...” “Capitano. Per te sono il capitano Bascos. Abituatici o in quella tuta rimarrai fino al tuo trasferimento in carcere!” “Benissimo, Capitano Bascos. Sono una mutante, per me è stato molto facile contattare Alessandra sotto falsa identità per delle serie questioni professionali. E una volta diventate amiche ho avuto accesso a tutti i graziosi video che lei ama pubblicare online. Sono quelli dove lei è con la sua famiglia, un meraviglioso marito e quattro bei bimbi. Scommetto che tu non hai mai voluto vederli, vero?” Non rispondo, ma ha ragione. Alessandra è stata la mia prima ragazza ed il mio unico amore. Avrei voluto vivere con lei, sposarla e crescere insieme una famiglia. Ma la mia carriera nella polizia è andata avanti troppo velocemente. Prima che me ne rendessi conto mi sono ritrovato a vagare da un punto all'altro della Galassia a caccia di pericoli e criminali. Lei mi ha lasciato con un olomessaggio ed io mi sono gettato da allora su storielle mordi e fuggi. “Però ora la tua Alessandra è qui. Puoi averla quando e come vuoi. E quando desideri un altro tipo di ragazza o un'altra creatura, io posso realizzare la tua nuova fantasia. Puoi entrare nella mia cella quando vuoi. Sappiamo bene che il campo di forza è codificato per lasciar are il tuo DNA e non il mio. Se io provassi a farti qualche strano scherzo, so bene che un braccio robotico uscirebbe dal muro ed in una frazione di secondo mi farebbe una bella punturina che mi addormenterebbe all'istante. Nessun pericolo, nessun inconveniente. Solo un meritato premio per la nostra ultima settimana insieme.” “Mutante, ti tolgo la tuta costrittiva. Ma devi rimanere nel più assoluto silenzio per il resto dei nostri giorni insieme. Alla prima parola, l'unica parte del tuo
corpo che ti lascerò libera saranno le narici che ti consentiranno di respirare.” Un cenno ed il sistema disinstalla e recupera la tuta di Ipsia.
9
Ipsia mantiene la forma di Alessandra. Dopo diversi giorni di tuta costrittiva e cibo in compresse sente il piacere del movimento. Gioca a qualche ologame, ordina al sistema dei gustosi pasti che mangia con gusto, ascolta musica. Ogni tanto si volta nella mia direzione, ma mantiene il silenzio come le ho ordinato. Non ho bisogno di voltarmi verso di lei. Posso osservarne i movimenti grazie al riflesso sui pannelli di fronte a me. Lascio la luce bassa in modo che risulti ben visibile. Anche i suoi occhi sembrano osservarmi attraverso di esso. Cerco di concentrarmi sull'esame della rotta e sui comandi al sistema. Verifico da remoto lo stato di salute dei componenti dell'astronave. Alzando lo sguardo, noto che Ipsia ha ancora la forma di Alessandra, ma ne ha abbandonato i vestiti. Questo è troppo. Mi avvicino furioso alla cella. “Che c'è Capitano? Mi hai forse sentito parlare senza autorizzazione?” mi domanda lei, con sguardo ammiccante. È completamente nuda, ad eccezione di un minuscolo perizoma. Il suo corpo non è la copia dell'Alessandra di oggi, ma di quella di quando stavamo insieme da giovani. È bellissima. La guardo in viso, ma gli occhi mi cadono sui suoi seni, sodi, alti, pieni e raffinati. Distolgo subito lo sguardo. “I prigionieri sono tenuti ad un abbigliamento adeguato. Ove non possano provvederci, saranno gli agenti di polizia a fornirglielo. Vuoi rivestirti o preferisci tornare nella tuta costrittiva?” le chiedo in tono neutro. “Questo è quello che recita il tuo bel manuale da poliziotto. Ma io sono così per te, perché tu mi possa ammirare e desiderare e magari questa notte, una volta nella tua cabina, possa pensare un po' a me”.
“Sei una prigioniera. L'unico desiderio che ho sul tuo conto è quello di portarti in prigione nel più breve tempo.” “Oh... la mia presenza ti turba così tanto, Capitano?” “Per nulla. Ma dopo anni di caccia non ne posso più di te.” “Sicuro di essere così stanco di me, Ian?” mi chiede, avvicinandosi al campo di forza con tutta l'insopportabile sensualità dei suoi movimenti. “Non ti autorizzo a chiamarmi per nome.” “Davvero, Ian?” “Sist...” sto per ordinare al sistema di applicarle la tuta costrittiva, ma lei alza la mano verso il muro invisibile che ci separa. “Aspetta...” dice. “Questa volta hai esagerato!” “Puoi toccarmi, sai? Puoi lasciare che le tue dita attraversino il campo di forza. Puoi sentire questo corpo che desideri più di ogni altra cosa. Puoi portare il palmo della tua mano sui miei seni ed accarezzarli. E puoi scendere fin tra le mie cosce. Rimani di là, ma lascia che la tua mano mi tocchi. Non c'è nessun pericolo. Non avrai nessun problema. Lasciati andare, Ian. Hai sacrificato così tanto nella tua vita da poliziotto e forse non ti capiterà mai più di tradurre in carcere un'altra mutante che si offra a te in questa forma” Rimango in silenzio. È vero, ho rinunciato a molto, ma quello che desidero non è il corpo di una mutante. Rimpiango l'amore della mia giovinezza, ma di fronte a me c'è solo una finzione. Non riesco però ad allontanarmi. Anzi, inizio ad osservare più intensamente le sue membra sinuose. Mi sforzo di pensare che lei non è Alessandra. Penso alla sua forma originaria. Ma rimango lì, di fronte a lei. Mi avvicino al campo di forza. Alzo una mano e con la punta del dito arrivo a toccarlo. Il suo sguardo intenso è sui miei occhi. Mi fermo. Lascio cadere la mano. Mi giro e mi allontano di qualche o. “Ian...” inizia a dire lei.
“Smettila!” le grido in risposta. Mi riavvicino a lei velocemente. Superò con la mano il campo di forza sentendone il lieve pizzicorio sulla pelle e schiaffeggio Ipsia violentemente. Non so perché l'ho fatto. Guardo in basso. Vorrei scusarmi. Ma rimango in silenzio. “Bravo” dice lei. “Finalmente inizi a lasciarti andare.” La mia mano è ancora al di là. Lei la raccoglie con la sua e inizia lentamente a portarla al sua seno, fissandomi negli occhi. Voglio lasciarla fare. Oramai non c'è più nessuna resistenza in me. Voglio solo quei seni, quel corpo, quell'essere. Non mi interessa nient'altro. Voglio lei e voglio possederla. Ma ritraggo la mano e lascio la cabina di comando, fuori di me dalla collera!
10
Nelle ore successive svolgo le mie mansioni senza lasciar cadere un solo sguardo in direzione della cella. Esco ed entro dalla cabina di comando dirigendomi direttamente dalla porta alla console. Il campo di forza che separa la cella dalla cabina per me ora equivale ad una delle tante pareti dell'astronave. Basta! Questa storia con la mutante è andata avanti anche troppo. E' un mostro, una finzione, un copia di chi c'è veramente nel mio cuore. È come le streghe cattive che assumono le sembianze di meravigliose principesse nelle favole per bambini. Tra pochi giorni finalmente la sbarcherò in un carcere di massima sicurezza nel quale rimarrà per il resto della sua esistenza. Che senso avrebbe lasciarsi andare? Potrei forse abusare di un corpo destinato ad essere rinchiuso per sempre? Quello che lei mi propone è un semplice, triste e banale piacere della carne. Non ha nulla a che fare con il sogno d'amore a cui ancora ogni tanto mi abbandono. “Ian, ti prego, comunica con me. Sei l'ultima persona che tenga un po' a me con la quale avrò occasione di parlare” continua. “Poi me ne starò in carcere per il resto della mia esistenza. Sei tutto ciò che mi rimane in questo mondo.”
“Ipsia,” la chiamo per nome, sono pazzo? “è il destino che hai scelto. Non avresti dovuto metterti contro la FM. Hai rubato dei segreti federali per rivenderli ai mondi indipendenti sapendo a cosa saresti andata incontro ed ora sei qui, in attesa del frutto delle tue azioni.” “La FM, Ian, non è tutto nella Galassia. Sai meglio di me quanto agisca in modo arrogante e dispotico con tutti i mondi che non vogliano farne parte. Nella sua costituzione sono espressi principi di rispetto e solidarietà verso gli altri pianeti, ma la FM non fa altro che perseguire i propri interessi a danno dei mondi indipendenti.” Parla con ione e la sua rabbia è sincera. Il suo corpo sembra vibrare ad ogni parola. Forse inizio a capire cosa abbia originato le sue azioni. “Mostrami il tuo vero corpo, mutante.” Senza replicare, in una frazione di secondo muta forma. Ora è più minuta, alta poco meno di 1.60. Il viso è tondo con il mento affilato e gli occhi distanti. Il naso è minuscolo. Le membra sono aggraziate, ma molto magre. La pelle sembra ricoperta di scaglie simili a quelle dei pesci. Non ha peli né capelli. E' bella, una creatura aggraziata, all'apparenza indifesa e bisognosa di attenzione. Mentre entro nella cella sento il calore del campo di forza nei punti di contatto sulla mia pelle. “Sistema,” ordino all'astronave ”poltrone, tavolo.” Dal pavimento si materializzano due comode poltrone. Faccio cenno ad Ipsia di sedersi di fronte a me. Richiedo al sistema un menù tipico terrestre di epoca medievale. Le parlo del cibo che stiamo mangiando e dell'epoca da cui proviene. Lei ascolta incuriosita e di tanto in tanto mi pone qualche domanda divertita. Poi è il suo turno e mi racconta del suo mondo, che conosco solo tramite olobook e sul quale non sono mai stato. Ci divertiamo. Sembra una cena tra amici. E lei mi piace. Forse nella sua vera forma per la prima volta vedo qualcosa di diverso: una graziosa creatura che usa il proprio potere per combattere la FM ed inseguire i propri ideali.
Ipsia sembra intuire alcuni miei pensieri. “Questa è la forma con la quale nasciamo. Ma possiamo assumere qualsiasi aspetto e mantenerlo per un tempo indeterminato. Mutiamo forma come voi vi cambiate d'abito. E come alcuni di voi preferiscono mantenere un certo stile per tutta la vita, noi rimaniamo nelle forme che più ci aggradano per anni. Assumiamo sembianze di fantasia o magari ispirate ad altre specie. A volte ci conformiamo agli abitanti del luogo dove ci troviamo a lavorare. Anche quando tu e Eianus mi inseguivate, spesso io avevo la forma di Alessandra. Ne ero affascinata perché era la ragazza di cui tu eri innamorato.” Abbasso lo sguardo imbarazzato. Non so cosa dire. Quando lo alzo nuovamente, Alessandra è di fronte a me, sorridente. “Fallo... nessuno lo saprà mai. Vieni da me. È quello che entrambi vogliamo. Non c'è nulla di male a farsi trascinare dalle emozioni se non si fa del male a nessuno” Si alza e viene a cavalcioni su di me. Si avvicina col suo petto al mio viso. I suoi capezzoli iniziano ad accarezzare le mie labbra. “Lasciati andare...” mi sussurra. La mia bocca rimane socchiusa e immobile. Le mie mani sono inerti sulla poltrona. Non lo voglio fare. Voglio resistere anche se è la più grande tentazione che abbia mai vissuto. Lasciarmi andare a lei significherebbe tradire tutto ciò per cui ho vissuto e lottato. “Ti prego. Fallo...” La mia lingua, esitante, raggiunge il suo capezzolo. Inizia a leccarlo, lentamente. Lei sospira di piacere. Il silenzio è rotto solo dai suoi sospiri di piacere e dal ronzio dell'astronave. Poi chiudo le labbra. Assaporo il suo gusto. Alzo la mano sinistra e la porto sul suo seno. Mi lascio andare. Le succhio il capezzolo con forza è intanto le stringo il seno con la mia mano. Con l'altra, abbraccio la sua vita. Lei geme di piacere. Entrambi non desideriamo altro che congiungerci. “Sistema, cella vuota!”
La cella non è più altro che un cubo vuoto. Siamo in piedi, abbracciati. Con le mie mani porto le sue contro la parete, facendola girare. Da dietro, divoro il suo collo con baci e morsi. Con una mano faccio cadere la tuta ai miei piedi, poi abbasso il suo perizoma. Siamo nudi. Riporto entrambe le mie mani sulle sue, in alto sulla parete. Con il mio sesso spingo fra le sue natiche. Mi strofino contro di lei e lei si muove sotto di me. La voglio, intensamente. E lei vuole me. Lei abbassa una mano per portare il mio sesso sulla sua vagina. La sento sulla mia punta. Ma non spingo. Non voglio. Devo fermarmi qui. Questa cosa deve finire. Poi porto una mano sulla sua bocca. Sento i suoi denti sul mio dito indice. Lo morde e lo lecca. Io spingo violentemente dentro di lei il mio sesso, soffocando il gemito della sua bocca con la mano.
11
Ho paura. Mi sento in colpa. Vorrei smettere. Sono solo nella mia cabina e non vorrei più tornare in quella di comando. L'astronave è a posto. Il sistema funziona regolarmente. Posso esercitare tutte le funzioni di comando da qui. Non voglio tornare da lei, ma so quanto mi sia difficile resistere. È più forte di me. Dopo quella prima volta l'abbiamo fatto ancora non una, ma tante volte. Dopo ogni volta mi sono rifugiato qui, nella mia cabina, come se questo potesse mettermi al riparo dal desiderio che mi divora. Mi sforzo di riflettere a cosa sto facendo. Sento la mia carriera, i miei valori, i miei ideali e gli insegnamenti di mio padre scivolare lontani da me. Avverto la mia vita prendere una brutta piega, che mi allontanerà dal successo tanto faticosamente costruito. Ogni volta che la vedo, sensuale, attraente, splendida, ogni altro desiderio è relegato in secondo piano.
Il desiderio ancora una volta mi assale. Al diavolo tutto il resto! Mi alzo e mi avvio verso la cabina di comando. Quando entro, lei si volta verso di me. Mi sorride. Sembra avere in viso un'espressione così innocente! La criminale galattica, fra i ricercati più pericolosi della Federazione, ha in realtà un sorriso da bambina. Sembra felice. “Vieni” mi dice, con le mani protese nella mia direzione, pronte ad abbracciarmi. Voglio quell'abbraccio, lo desidero disperatamente. Vado da lei. Entro nella cella. Mi lascio abbracciare. “Divano!” comando al sistema. Ci adagiamo comodamente. Lei mi accarezza i capelli. È gentile e materna. “Non ti preoccupare” mi sussurra. “Perché sei così turbato? Cosa ti rende infelice?” “Ti adoro...” rispondo io. “Non penso di poter stare senza di te. E ti desidero da impazzire” “E questo ti rende infelice, Ian?” “Sei una criminale. Il tuo posto è in carcere. E sarò io a portarti lì.” Pausa. “Il mio posto non dovrebbe essere tra le tua braccia.” In risposta, lei mi bacia dolcemente. La desidero da morire. Sento le sue mani tra i riccioli dei miei capelli bruni. Mi lascio andare, ancora una volta. I suoi vestiti letteralmente scompaiono. I miei li abbandono sul pavimento. Con il capo mi abbasso tra le sue gambe, alla ricerca del suo piacere. Lei geme e sospira. Cerco di farla godere con ione. Quando raggiunge l'orgasmo il suo corpo freme per secondi. “Sistema, annulla il campo di forza.” Sono un folle. Lo so. Il sistema esegue il mio comando. La cella è aperta. Lei può uscire. È libera. Ci baciamo appoggiati alle pareti della cella. Poi contro quelle fuori. Andiamo
sulla poltrona di comando dell'astronave. Mi siedo. Lei sale a cavalcioni su di me. Facciamo l'amore come due selvaggi. Lei è libera. È con me nella cabina di comando. Siamo due amanti, due innamorati, due creature che si desiderano con ione.
12
Nel letto della mia cabina, Ipsia mi rivolge una sguardo languido e sorride. La cella è solo più un ricordo. Viviamo come due amanti. “Abbiamo fatto l'amore ovunque nella tua astronave o c'è ancora qualche luogo da esplorare?” mi dice, ridendo. È distesa al mio fianco, bellissima. Le accarezzo la spina dorsale fino alle natiche. “Forse abbiamo esaurito i luoghi segreti. Ma io ho ancora migliaia di forme esotiche da esplorare.” “Carina questa esplorazione della cultura erotica terrestre” mi prende in giro. “Visto che siamo sull'argomento, cosa ne pensi dell'olobook sugli Egizi che ti ho dato?” “Bella storia, scritta bene, personaggi affascinanti. E il faraone Cleopatra mi è sembrata molto più sveglia di tanti altri sovrani della storia terrestre. Avrai mica delle fantasie anche su di lei?” “In effetti...” le rispondo sorridendo. “Sai, però, mi risulta che al tempo fossero in pochi all'altezza di sostenere la presenza della potente regina...” “È vero, ma si dice anche che tenesse in modo particolare si suoi fedeli servitori.”
“Oh... quindi qui abbiamo un aspirante servitore del faraone Cleopatra?” Ipsia assume la forma della Regina ed io per ore mi prendo volentieri cura di lei. Mi occupo della sua bellezza e del suo piacere. La massaggio. La cospargo di oli e creme. Le pettino i capelli. “Vieni qua, mio bel servitore” mi dice infine. Mi avvicino a lei. “Sei stato bravo e meriti una ricompensa.” “Grazie Regina.” “Chiudi gli occhi!” Sento un foulard sui miei occhi e dietro il mio capo. Mi invita a stendermi di schiena sul letto. Sento le sue cosce sul mio corpo. Poi è solo piacere.
13
Viviamo il nostro sogno d'amore. Della rotta dell'astronave non parliamo. Procediamo verso un carcere di massima sicurezza nel quale lei perderà la sua libertà per sempre. Tutto inizia a sembrarmi folle e assurdo. Lei sembra felice con me. Io sono innamorato di lei. Eppure sono proprio io a condurla verso la fine della sua libertà. “Ipsia, dove stiamo andando?” Siamo nel mio letto. Abbiamo fatto l'amore e ancora una volta stiamo per addormentarci insieme, come una comune coppia di innamorati. So che lei è sveglia.
“Siamo diretti su un pianeta chiamato Forzis, dove la Federazione imprigiona i cattivi come me che le si mettono di traverso” mi risponde lei. Il suo tono è tranquillo e sereno, come se stesse parlando di qualcun altro. “Ma io non voglio lasciarti, lo sai. Non posso separarmi da te. Non saprei cosa fare, come vivere. Senza di te mi sentirei perso. Ma soprattutto, non posso immaginarti dentro un carcere, rinchiusa, mentre ripensi alla tua libertà” le dico io. Mi sento esasperato. “Non devi preoccuparti di me, Ian. Pensa al tuo futuro. Io starò benissimo. Non avrò alcun problema.” Sembra implorarmi. “Quello che sei ora è ciò per cui hai vissuto. È quello che hai desiderato e costruito giorno dopo giorno per tutta la vita. Sei un poliziotto e sei felice di esserlo.” “Ora non ne sono più tanto sicuro” le rispondo sommessamente. “Come hai deciso di diventare poliziotto, Ian?” “L'ho sempre voluto. Lo era mio padre prima di me. Lo vedevo sugli olo quando aveva successo sui criminali e ho sempre voluto essere come lui. Giocavamo insieme a guardia e ladri. Non ho mai veramente pensato di essere qualcosa di diverso. Diventare come lui era per me è sempre stato il più bel sogno del mondo. E ho sempre voluto assomigliarli e renderlo fiero di me.” “E lo è stato?” mi chiede “Sì, quando mio padre è mancato io avevo appena messo a segno un colpo straordinario. Esisteva un traffico di giovani terrestri provenienti da zone molto povere che venivano portate su atri pianeti e costrette a prostituirsi. Io e il team che mi era stato affidato siamo stati in grado di individuare tutti i membri dell'organizzazione criminale. Li abbiamo tratti in arresto e abbiamo liberato quelle povere ragazze, che lavoravano in bordelli frequentati da ogni tipo di specie. Il successo della missione ha avuto un grande risalto mediatico. Mio padre mi ha chiamato subito dopo aver sentito alle olonews che grazie al successo della missione mi era stata attribuita una speciale onorificenza. Dopo qualche giorno è mancato, fiero ed orgoglioso del poliziotto che ero diventato.” “Portami in carcere, Ian. Non gettare al vento tutto questo.” “Ipsia, sai che non posso più farlo.”
“Ian, starò bene, te lo assicuro.” “NO!” le dico, alzando la voce. “Non starai bene. Sarai una prigioniera per il resto della tua esistenza e sarò io che lo avrò reso possibile!” Lei mi guarda per qualche secondo in silenzio. “Devi scusarmi. Ci sono alcune cose che ti ho taciuto. In realtà, non rimarrò una prigioniera a lunga. Tu mi porterai in carcere. E io ne uscirò facilmente” mi dice lei, con il suo sguardo diretto e sincero. “Ipsia, ci sono campi di forza codificati sui dati genetici, guardie di ogni tipo, sistemi automatici. Se provi a fuggire, sarai eliminata.” Mi prende per mano e mi porta nella cabina di comando. “Attiva il campo di forza della cella, per favore.” È nuda e meravigliosa come sempre. Si incammina verso il campo di forza ed entra nella cella senza problemi. La guardo senza capire. Mi gira la testa. Cosa è successo? Come è possibile? “Beh... non è che funzionino granché bene questi sistemi della Federazione!” mi dice con un sorriso beffardo. Poi aggiunge, più seria: “Vedi, i lettori e i campi di forza si limitano a leggere il DNA superficiale dell'epidermide. E per una mutante non è difficile ricoprirsi di qualche strato di DNA altrui. Anzi... ti chiedo scusa. Questa volta ho usato il tuo, visto che poche ore fa me ne hai lasciati diversi campioni in corpo.” E ride contenta. La guardo ancora più perplesso. “Ma la FM non può non essere a conoscenza di questo segreto della vostra specie.” “In realtà è qualcosa che solo pochissimi di noi sanno fare. È una capacità che si trasmette geneticamente e che per essere utilizzata richiedi decenni di esercizio. Ed è un segreto che custodiamo molto gelosamente. Anche sulla Terra immagino siano molti quelli nel corso della storia hanno preferito non divulgare alcune loro capacità.”
Sì, è vero, nelle diverse epoche molti individui dotati non hanno voluto o potuto rendere pubbliche le loro capacità, perché la gente intorno a loro ancora non erano pronta ad accettarli per come erano. Portami in carcere” continua lei “e quando mi sarò stufata di starci assumerò sembianze e vestiti di qualcuno del personale. Fuorvierò i lettori genetici. Uscirò dal carcere, preleverò un'astronave e, se vorrai, ti troverò.” “Ma allora... quando ti ho rincorso per mezza Galassia, perché non hai fatto in modo di non essere rilevata dai lettori che mi segnalavano la tua posizione?” le chiedo. “Avevo una missione da fare e l'ho puntualmente portata avanti. Raccoglievo delle informazioni segrete sulla Federazione per i mondi indipendenti. Ne avevano bisogno per avere qualcosa in mano con cui trattare. Avrei potuto far tutto da sola, ma avevo visto sugli olo l'immagine dell'eroe terrestre a cui avevano assegnato la mia cattura: un poliziotto alto, muscoloso, capelli ribelli e scuri. E non mi dispiaceva affatto.” “Ti sei fatta rincorrere perché ti piacevo?” le chiedo, incredulo e sbalordito. “Sono una mutante, una criminale e una... femmina. Più ti vedevo brancolare dietro e più provavo un senso di affetto. Poi questo sentimento è diventato qualcosa di diverso e mi sono lasciata avvicinare sempre di più. In alcune occasioni ti ho aspettato e quando tu mi raggiungevi io ti rimanevo vicina in una forma che non riuscivi a rilevare. Ho sentito l'odore del tuo profumo, ho osservato come ti muovevi e come mi cercavi. Mi sei piaciuto molto. Alla fine, ho deciso che volevo conoscerti meglio e ho fatto rotta verso il pianeta su cui ci siamo incontrati.” Una femmina! Come se questo possa spiegare tutto! Non riesco a crederci. Mi sembra inverosimile. Eppure l'ho vista attraversare il campo di forza. Sono sistemi tanto standard quanto insuperabili. Rimaniamo entrambi in silenzio. Lei è imbarazzata. Sa di avermi preso in giro per tutto questo tempo. Io non sono ancora convinto di voler fare quello che mi chiede. “Sistema, disabilita il localizzatore di posizione. Calcola la rotta verso Ispis Reliani.”
“Ian...” “Ipsia, questa è la mia decisione!” “Ma Ian! Ispis Reliani è un pianeta indipendente, al di fuori della Federazione. Stai per abbandonare il tuo lavoro, la tua patria, la tua cultura, tutto ciò che sei. Sarai accusato di tradimento e non potrai più mettere piede nei mondi della Federazione.” “È vero, Ipsia, ma preferisco vivere liberamente insieme a te sugli altri mondi, anziché nascondermi in quelli federali.” “Ma io in quelli federali posso essere chi voglio. Posso assumere la forma che entrambi desideriamo e mantenerla a oltranza. Posso persino diventare tua moglie, sposarti e ingannare i rilevatori per il resto della nostra esistenza. Possiamo andare sulla Terra o ovunque ti piaccia.” “Mutante, assumi la tua forma!” le dico. Ipsia muta nella sua forma originaria. I suoi occhi e il suo viso alieni mi guardano con aria interrogativa. Il suo corpo minuto sembra giovane e bisognoso di cura e attenzione. Nessuno potrebbe vedere in lei una pericolosa criminale in grado di eludere ogni genere di legge e controllo. Accarezzo le braccia ricoperte di scaglie. Mi avvicino alle sue labbra, di colore violaceo. Bacio entrambe le sue palpebre che si chiudono sul giallo dei suoi occhi. Poi, tra le sue labbra, con la mia cerco la sua lingua, aguzza ed affilata, come quella dei rettili. “Non devi assumere nessuna altra forma” le sussurro all'orecchio, stretto e allungato. “È questa quella che amo e con la quale voglio vivere.” Alle mie parole, Ipsia sembra risplendere di felicità. “Ma magari, di notte, qualche scappatella ci sta” le dico sorridendo. Un lampo perverso attraversa il suo sguardo. “Mai provato con un uomo?” mi chiede. Strabuzzo gli occhi mentre Ipsia muta ancora una volta forma.
“Buongiorno, Capitano” mi saluta il poliziotto Eianus.
L'autore
Ricerca, fantascienza, fantasia ed alta tecnologia sono i mondi che Luca Rossi vive e trasferisce nelle proprie opere letterarie. Crede nel Web come mezzo in grado di avvicinare gli individui e rendere il mondo un luogo più aperto, giusto e democratico. Popola "Energie della Galassia", la sua prima collana di racconti su mutanti, vampiri, regine, poliziotti. Sono loro che si muovono in un universo che vede mosso non solo dalle leggi della fisica, ma da quelle altrettanto vere dell'eros, della ione, del desiderio, del sesso e della voglia degli esseri viventi di unirsi e congiungersi. Nasce a Torino il 15 aprile 1977. Gli piace andare in bicicletta, eggiare nella Natura e dedicare la maggior parte del suo tempo libero alla sua famiglia.
Luca Rossi è su Facebook, Twitter, Google+ e Pinterest.
È possibile seguire il suo blog a questo indirizzo.
Il Regno di Turlis (primi capitoli)
1
“Antelmo, tesoro, il pranzo è quasi pronto. Preparati! Non voglio che quando metto i piatti caldi in tavola poi ti fermi ancora a giocare col telefonino!” Anna è a fornelli. I pantaloni bianchi le cadono ampi e morbidi lungo le gambe. Indossa una canottiera. È un bellissimo sabato d'estate. Io sono intento per l'ennesima volta a scrutare con sguardo torvo la viabilità del territorio sul navigatore. Se solo trovassi il modo di are dal vialetto, eviterei ogni volta di allungare la strada di sette chilometri. Mia moglie Anna e io viviamo in una bella villetta nel precollina. La nostra abitazione è separata da quella del vicino, Costantino Valenti, da un vialetto pedonale. Il breve tratto è chiuso a valle da un muretto alto circa trenta centimetri, oltre il quale si distende un prato. Il verde arriva fino alla statale, che dista dalle nostre case non più di centocinquanta metri. La pigrizia del costruttore e le beghe dei regolamenti comunali non hanno reso possibile la realizzazione di un collegamento diretto con la statale. Occorre invece percorrere una stradina che si snoda per chilometri tra decine di abitazioni come la nostra, immerse nel verde dei boschi. Valenti è anziano, non si muove mai da casa e a lui naturalmente non interessa poter raggiungere velocemente il centro. Anna e io invece andiamo al lavoro, al cinema, al ristorante e dagli amici. Ogni volta dobbiamo fare il giro dei colli prima di arrivare a casa. I vicini di casa possono davvero essere insopportabili. Il nostro in effetti lo è. Basta. Questa storia deve finire! “Amore, vado a controllare se ho chiuso l'autorimessa. Ho paura di averla lasciata aperta,” dico a Anna. Esco rapidamente, risparmiandomi le proteste in arrivo.
Nel casottino degli attrezzi prendo sottobraccio un asse da cantiere e lo porto nel vialetto. Ne appoggio un'estremità alla sommità del muretto e l'altra più in basso. Finalmente! Ora vedrà se riuscirà a fermarmi! Mi affretto in garage, inforco la sella della mia Honda Cr 250 e accelero sul vialetto. L'asse regge senza problemi il peso della moto e in un batter d'occhio supero il prato e mi ritrovo sulla statale. Wow! Giro dei sette colli risparmiato! Mentre avo davanti alla casa di Valenti, mi è sembrato di vedere la tendina della finestra scostarsi leggermente. Sarà solo paranoia? Ormai mi sogno il vicino persino di notte! Non penso che Anna sia entusiasta della mia piccola escursione. Il giornalaio dista appena cinquanta metri. Decido di andarle a comprare l'ultimo numero di Glamour. La mia gentilezza dovrebbe mitigare la sua probabile ira. Mi esalto all'idea di andare e tornare dal giornalaio senza dovermi sorbire chilometri di strada inutile. Una volante dei vigili urbani percorre la corsia opposta alla mia! No, non è possibile! Ma magari hanno altro da fare e mi lasceranno stare. Ecco, appunto! Accendono gli abbaglianti e si fermano al centro della strada con la freccia inserita. Si apprestano a svoltare a U per raggiungermi. E io sono su una Honda elaborata senza casco. Ok, proviamo a fingere di non essermi accorto di loro! Posso proseguire la marcia e alla prima stradina svolterò a destra. Poi raggiungerò i boschi e li seminerò. Non mi va proprio di prendermi una multa per la mia piccola escursione. Tanto non possono avermi preso la targa con tutto il fango raccolto nel mattino che ancora copre la moto! In ogni caso decido di non accelerare troppo. Almeno, se mi dovessero fermare, eviterei la multa per eccesso di velocità. Ho quasi raggiunto la fine del muro di cinta della prima villa. Oltre c'è il bosco.
La sirena! E che cavolo! Sto solo guidando senza casco! Non sono mica un delinquente! Il gioco è finito. Decido di fermarmi. Non sarà qualche decina di euro di multa che mi manderà in rovina. La Fiat Punto dei vigili si avvicina, sirene spiegate e lampeggianti accessi. Qualcosa non va. Il vigile dal lato eggero estrae la pistola. È la prima volta in vita mia che vedo un vigile urbano estrarre l'arma dalla fondina. La vettura si avvicina. La pistola del vigile è puntata verso l'alto. Poi, a un tratto, si abbassa, nella mia direzione! Non rimango oltre a guardare. Do gas e mi dileguo nei boschi.
2
Mentre guido tra gli alberi mi accorgo che il mio corpo è scosso da tremiti. Ho paura e sono preoccupato. Ero a capo scoperto! Il pensiero che i vigili mi abbiano riconosciuto mi terrorizza. Però non si sono avvicinati a sufficienza! E poi non prendo una multa da dieci anni e di Honda come la mia è piena la città. Mi fermo per controllare la targa. È sufficientemente infangata, non possono averne letto le lettere. Anna! La cena! La smetto di perdermi in pensieri inutili e mi concentro sul tragitto. Conosco questi boschi a memoria. Riesco a evitare statale e altre strade frequentate. Attraverso solo boschi e prati. Procedo con molta circospezione. Quando sono ad appena centocinquanta metri da casa mia, noto qualcosa di strano. Valenti! È proprio lui, davanti al portone di casa. Parla con i vigili! La loro
Punto è parcheggiata poco più in là, portiere aperte e lampeggianti accessi. Ma perché mi stanno inseguendo? Possono aver scambiato la mia Honda con quella di qualche zingaro ricercato per i furti nelle villette della zona. Magari Valenti si sta solo lamentando del mio attraversamento illegale del vialetto pedonale con la moto. Ai vigili non dovrebbe importare più di tanto. Uno dei due vigili guarda nella mia direzione. Sono fermo al limite del bosco, riparato dietro agli alberi. Forse ha sentito il rumore del motore quando mi sono avvicinato. Spengo il motore. Il vigile torna a parlare con Valenti. Accendo il motore e punto la moto nella direzione da cui sono venuto. Lentamente mi dileguo nei boschi. Se solo potessi chiamare Anna! Perché non ho preso con me il telefono? Guido tranquillo per qualche minuto. Questa volta non ho idea di dove andare. Penso che potrei tornare a casa tra qualche ora. I vigili se ne saranno andati a cercare gli zingari da qualche altra parte. Anna sarà infuriata. Ma tutta questa storia almeno sarà finita. Una, due, tre, quattro sirene della polizia! E, sopra di me, il rumore delle pale di un elicottero. Non è possibile! Ma cosa sta succedendo? Se mi stanno cercando con l'elicottero, non avranno difficoltà a rilevare il movimento della moto attraverso il fogliame degli alberi. Devo studiare come uscirne, velocemente! Se mi consegno, cosa rischio? Al massimo una multa per guida su due ruote senza casco e occultamento della targa. A questo punto la cosa migliore è porre fine a tutta questa storia. Mi dirigo verso il rumore delle sirene delle volanti. Sono quasi allo scoperto quando qualcosa dentro di me mi dissuade. Nella mia mente rivedo quella pistola puntata nella mia direzione. Non ce la faccio a continuare. Quando siamo in preda al panico spesso commettiamo delle solenni stupidaggini. So che anche quello che sto per fare ne fa parte. Arresto la moto, la lascio a terra, la copro di foglie e continuo a piedi.
Dopo qualche minuto raggiungo una villetta, immersa nel bosco. Decido di chiedere aiuto. Non sono un delinquente, ma uno stimato professionista. Posso dire di essermi preso una storta nel bosco e di aver bisogno di aiuto. Mi fermerò nella casa giusto il tempo che elicottero e volanti della polizia proseguano le loro ricerche altrove. Suono il camlo. Nessuna risposta. Ancora. Non sento nulla. Un'ultima volta. Niente. Sto per andarmene quando sento il rumore delle pale dell'elicottero. Sembra avvicinarsi proprio nella mia direzione. Decido di suonare ancora, ma mi accorgo che la porta di ingresso è socchiusa. Forse da dentro non sentono il camlo. “C'è nessuno?” chiedo a voce non troppo alta. L'elicottero sembra avvicinarsi ancora. Scavalco il cancelletto. Mentre mi avvicino alla casa continuo ad annunciare la mia presenza: “Scusate, avrei bisogno di aiuto.” Entro. “Chiedo scusa. Ero nel bosco a mi sono fatto male al piede. Avrei bisogno di cure mediche.” Nel casa tutto tace. “Scusatemi, questa non è un intrusione. Avrei un piccolo problema. Qualcuno può darmi una mano?” Il rumore dell'elicottero si fa più forte. La porta dietro di me è ancora aperta.
Decido di chiuderla, per evitare che dall'elicottero si possa notare qualcosa di strano. Appena in tempo! Il rumore dell'elicottero ora sembra provenire esattamente da sopra la villetta. Mi allontano dall'uscio e entro in quello che sembra essere il soggiorno. Lo stile è un po' vecchiotto. I mobili sono in legno povero, scuro. Il soggiorno ha le finestre su due lati, sul terzo si apre sulla cucina a vista e sul quarto lato c'è un grosso mobile che funge sia da dispensa sia da libreria. Più in là c'è un enorme orologio a pendolo, proprio prima delle finestre. Vado in direzione dell'orologio, scosto di qualche centimetro una tendina e osservo il movimento dell'elicottero. Sembra allontanarsi. Finalmente! Ora, ragiona! In casa non dovrebbe esserci nessuno. I proprietari avranno solo dimenticato la porta socchiusa quando sono usciti. La cosa migliore è starmene qui dentro ancora qualche minuto per essere sicuro che elicottero e polizia si siano allontanati. Poi uscirò. Ora che il pericolo sembra allontanarsi preferirei evitare che i proprietari di casa mi trovino qui al loro ritorno. Un'accusa per violazione di domicilio non sarebbe la cosa migliore per un avvocato. Il pranzo! Anna sarà fuori di sé dalla rabbia. Se non mi fossi dimenticato il cellulare! Click, clack. Sento aprirsi la porta di ingresso. Mi nascondo dietro il grosso pendolo. “Don't hide yourself in regret Just love yourself and you're set I'm on the right track, baby I was born this way, born this way.” È una bella voce femminile a cantare. Deve avere numerose borse con sé, perché impiega diversi giri a trasportare tutto dentro casa, prima di chiudersi la porta alle spalle.
Poi entra nel soggiorno e per fortuna si dirige in cucina. Mi sporgo appena appena oltre l'angolo del pendolo per cercare di capire di chi si tratti. È una ragazza, capelli bruni, non molto alta. Veste pantaloni tuta color prugna, le Converse e una canottiera verdognola. Sembra un po' robusta. Ha le lentiggini. Al braccio ha un iPod fissato con un cinturino. Ha ancora gli auricolari alle orecchie. Con la mano regge numerosi sacchi della spesa. “Don't be a drag, just be a queen Don't be a drag, just be a queen Don't be a drag, just be a queen Don't be” Ok, se ha gli auricolari, non mi sentirà mentre cerco di uscire. Mia moglie, Anna, appena porta la spesa in casa, subito inizia a riporre gli acquisti in frigo, nel freezer e in dispensa. Anche questa ragazza appoggia i sacchetti sul tavolo della cucina e inizia a fare lo stesso. Il problema è che è molto rapida. Mette le mani nella borsa, si gira verso la dispensa e subito si volta di nuovo a prendere qualcos'altro. Finalmente si ferma a cercare qualcosa nel frigorifero. Mi sembra il momento giusto. Sto per lasciare il mio nascondiglio quando lei si gira nuovamente. Mi appoggio con le spalle al muro. Quando sono uscito allo scoperto mi è sembrata alzare gli occhi nella mia direzione, ma poi ha preso un altro acquisto dalla borsa e ha continuato la sua occupazione. Non può avermi visto! “No matter gay, straight or bi Lesbian, transgendered life I'm on the right track, baby I was born to survive”
Mi sforzo ancora di ragionare. Se mi faccio vedere, probabilmente si spaventa e non ho idea di come farei a gestire a la situazione. Potrei aspettare che finisca di riporre la spesa nella dispensa. Quando andrà in camera sua a cambiarsi, uscirò di casa senza farmi notare. Osservo le finestre. Mi sembrano del tipo che quando si aprono fanno troppo rumore. Devo per forza uscire da dove sono entrato. DON, DON, DON. I tre rintocchi del pendolo fanno breccia nel mio stato di tensione e mi fanno sobbalzare. Con la mano colpisco pesantemente la parete del grosso orologio. Il canto della donna si arresta. Deve avermi sentito nonostante la musica nelle orecchie. Ho fatto troppo casino! Rimango immobile nella mia posizione, trattenendo il respiro. Con i circospetti la ragazza sembra allontanarsi dal soggiorno. Se chiama la polizia, questa volta sono fregato! Decido che la cosa migliore sia non aspettare ancora e fuggire . Se anche si accorgesse di me, sono un uomo e sono sicuramente più forte e veloce. Una donna non avrà voglia né di bloccarmi né tanto meno di inseguirmi. Quando indagheranno si metteranno sicuramente a seguire le solite bande di topi di appartamento. In ogni caso, se ancora non si è accorta di me è meglio che non lo faccia adesso, quindi esco dal mio nascondiglio dietro il pendolo in punta di piedi cercando di fare meno rumore possibile. Cammino davanti alla libreria. Dove il soggiorno si apre sull'atrio dell'ingresso mi fermo. Mi sporgo appena per dare un'occhiata. Lei è lì, immobile, al centro dell'atrio, con lo sguardo fisso nella mia direzione.
3
“Cercavi qualcosa?” mi chiede. Dovrebbe essere impaurita. Sono più alto e sicuramente più forte di lei. Invece, è ferma a pochi metri da me, con le braccia lungo i fianchi. Sembra tranquilla, addirittura determinata. Magari è maestra di qualche arte marziale. “Guardi, le chiedo davvero scusa. Ho suonato il camlo in cerca di aiuto. Poi ho visto la porta socchiusa e sono entrato chiedendo se in casa ci fosse qualcuno. Lei è arrivata dopo di me e a quel punto ho avuto timore che vedendomi si sarebbe spaventata. Così mi sono nascosto, in attesa che uscisse dal soggiorno. Volevo semplicemente uscire da casa sua senza darle noie. Le rinnovo ancora una volta le mie scuse. Comunque piacere, sono l'avvocato Antelmo Ubaldini.” Mentre parlo lei non fa una piega. Sì, deve essere una che li allena e probabilmente starà pensando a come stendermi. “Lo so chi sei, ti conosco da molti anni.” Una cliente? O una cliente assistita da un altro avvocato contro la quale mi sono battuto in Tribunale? “Ah bene, mi dispiace veramente per l'accaduto, ma sono contento che ci conosciamo … temevo di spaventarla. Allora direi che forse sarebbe meglio che io la lasci tranquilla, visto il disturbo che le ho creato.” “Non direi proprio! Le pare che ci si possa introdurre a casa d'altri e poi uscirsene come se niente fosse accaduto. E poi, tornando a casa, ho notato che c'era un elicottero della polizia che perlustrava la zona. E sono anche stata superata da diverse volanti. Lei perché è qui?” “Ma davvero? Non mi sono mica accorto di tutto questo trambusto! Ero nei boschi a cercare funghi. Purtroppo ho preso una brutta storta e ho deciso di cercare aiuto. La sua è la prima villetta nella quale mi sono imbattuto.” “E i funghi? Dove li ha lasciati?” “Faticavo a reggere il mio stesso peso. Non è che avessi molta voglia di portare anche i funghi con me.”
“Però adesso non mi sembra avere grossi problemi a reggersi in piedi.” Sguardo indagatore. “Ma, in effetti, mi fa ancora molto male la caviglia. Ma non mi sembra di essere nella situazione appropriata per chiederle aiuto per le medicazioni.” “Ma no! Ci mancherebbe! Non si rifiuta mai un aiuto! Vieni, ti faccio accomodare sul divano e vediamo un po' cosa riesco a fare.” Il tono ora è gentile, ma le sue parole mi appaiono stranamente minacciose. Ha iniziato a darmi del tu. Si muove verso di me, mi supera e va verso la dispensa. “Non stare lì impalato. Mettiti sul divano. Togliti calza e scarpa. Io cerco qualcosa per il dolore e un bendaggio.” “È molto gentile. Forse se decide di aiutarmi, le chiederei, prima di prendersi cura della caviglia, se potesse essere così gentile da lasciarmi fare una telefonata. Sono uscito da un po' e mia moglie, non vedendomi rientrare, sarà probabilmente in pensiero per me”. “Guarda, capiti male. Purtroppo non ho la linea fissa e qui il cellulare non ha campo.” E lei come comunica con il resto del mondo quando è a casa? Per essere una tipa con l'iPod al braccio non è poi molto hi-tech! “E poi, per favore, dammi del tu. Io sono Irene.” “Ah bene. Senti Irene, ti sembrerò molto scortese. Ma non riesco proprio a ricordarmi quando ci siamo conosciuti. Puoi aiutarmi?” “Oh … non indovineresti mai quanto tempo fa è stato … Ecco, trovati! Vedrai che adesso ti erà tutto.” Irene si avvicina verso di me con in mano delle forbici, una bomboletta spray, una crema e un bicchiere con una pastiglia effervescente che si sta sciogliendo nell'acqua. Si siede sul tavolino di fronte al divano.
“Allora, fammi vedere questa caviglia ammaccata. Tu intanto bevi questa, così ti andrà subito via il dolore.” Con un certo imbarazzo avvicino il mio piede nudo a questa ragazza di cui non ricordo nulla. Lei lo prende e se lo porta in grembo. “Ti fa male qui?” mi chiede. Cerco di ricordarmi dove sia localizzato il dolore quando si prende una storta. Giocando a calcio qualche volta ho subito degli infortuni veri! “No, un po' più su. Ecco lì,” le rispondo. “Bevi, forza. Vuoi mica startene lì a soffrire!” mi dice Irene. Osservo la medicina. L'acqua è diventata un po' violetta. Di solito preferisco non prendere medicinali, ma non la vorrei contrariare. Con quattro sorsi bevo l'intero contenuto del bicchiere. Lei intanto sta ando lo spray sulla mia caviglia perfettamente sana. “Ecco fatto! Come ti senti?”, mi chiede, appoggiando il mio piede sul pavimento. “Grazie, Irene. Il dolore mi sembra stia scomparendo.” Senza rispondermi, lei si alza e va a riporre tutto in cucina. Mi alzo anche io. O meglio, provo ad alzarmi. Il piede rimane immobile sul pavimento. Tento di muoverlo. È come se fosse incollato. Ma che medicine ha usato? Provo a muovere la gamba tirandola con le mie mani. “Non darti pena. Non riuscirai a muoverlo,” mi dice Irene. Lei è appoggiata al tavolo della cucina. Ha in mano un calice di vino. Mi osserva e sogghigna. “Oh cucciolotto,” continua lei, “ma guarda con che occhietti impauriti mi guardi ora! Non riesci più a muovere il piedino? Aspetta che ti aiuto. Eina ta sturam!” Piede, caviglia e polpaccio iniziano lentamente a risplendere della stessa tonalità della medicina effervescente. Mi stropiccio gli occhi, pensando a
un'allucinazione. “Ma cosa …?” “Non ti preoccupare. È un piccolo trucchetto da apprendista, “ mi dice Irene. Lascia il calice di vino sul tavolo e si avvicina a me. “Però efficace, vero?” mi chiede, accarezzandomi la guancia. “Non mi dire che non ne hai mai visti di simili? Cloradil dev'essere molto brava a nascondersi.” “Cloradil?” “Non conosci neppure il suo vero nome? Tu come la chiami, quell'adorabile creaturina che ti prepara i pranzetti?” “Anna? Stai parlando di mia moglie?” “Tua moglie? Pensi che lei sia davvero tua moglie?” Non so come sia riuscita a bloccarmi la gamba, ma questa donna deve essere decisamente insana di mente. “Ancora non capisci? Magia, incantesimi … pensi sia tutta fantasia, giusto? Al fami spes eriat.” Il mio piede inizia lentamente a librarsi nell'aria. Quando è a metà altezza, perdo l'equilibrio e cado con la schiena sul divano. Ma il piede non si ferma nella sua levitazione verso l'alto. Mi tira con sé. La mia schiena si alza dai cuscini. Quando il piede arriva al soffitto, mi ritrovo appeso a testa giù, saldamente ancorato al soffitto. “Ora hai qualche dubbio in meno?” mi domanda Irene, avvicinandosi a pochi centimetri dalla mia testa. Penso ad Anna. Ma perché sono entrato proprio in questa casa? Non so chi sia costei, ma vorrei tanto essere a casa con mia moglie a gustarmi uno dei suoi deliziosi pranzetti del fine settimana. “Senti … Irene, ho sicuramente sbagliato a introdurmi in casa tua. Ti chiedo scusa. Ora però vorrei uscire di qui e tornare da mia moglie.”
“Oh Antelmino, ti ho fatto preoccupare? Hai proprio ragione. Sei tu che devi scusarmi. Sono stata molto scortese. Vai a casa. La famiglia viene prima di tutto. Scendi pure. Is medil ancorat.” Sono di nuovo sul pavimento, in piedi. Provo a muovere il piede. Questa volta si alza senza problemi. Ho mille domande nella mente, ma qualcosa mi dice che se Irene ora è ben disposta è meglio che mi affretti a dileguarmi quanto prima. “Allora, arrivederci.” Faccio il gesto di darle la mano. Lei non si muove. Così mi volto e mi dirigo verso l'ingresso, appoggio la mano sulla maniglia e apro la porta: di fronte a me c'è la nebbia più fitta. Il bosco e gli alberi sono scomparsi. Mi inginocchio sull'uscio di casa. Tasto di fronte a me dove dovrebbe esserci il vialetto. Le mie mano brancolano nel vuoto. Mi sporgo ulteriormente. Provo a allungare la mano sotto il pavimento della casa: nulla. “Se fossi in te farei attenzione a non cadere,” mi avvisa Irene. Nella nebbia soffia un venticello gelido. Mi sembra di congelare. Richiudo la porta. “Non siamo più nei tuoi boschetti, caro Antelmo.” “E dove siamo?” chiedo io. “Sono sicura che preferisci non saperlo.” “Irene, chi sei davvero?” “Sono l'amica del cuore di Cloradil, tua moglie. Sai, ci volevamo tanto bene. Eravamo così unite!” L'ironia è palese nella sua voce. “E cosa vuoi da me?” “Da te? Diciamo che ci sono un paio di cosette che dobbiamo sistemare.” “Dove siamo?”
“In viaggio verso casa.” “Casa?” “Certo. Il regno di Turlis.” “E dov'è?” “Non proprio vicino alla Terra. Ora però devo andare. Ci vediamo tra un po'” Sono in un sogno, ne sono sicuro. Irene intanto si dirige verso la porta, la apre, fa un o in avanti e scompare nel vuoto. La seguo sull'uscio, ma nella nebbia non c'è traccia di lei. Mi affretto a chiudere per evitare che l'aria gelida mi congeli. Sono solo.
4
Solo. In una casa che vola nella nebbia fitta. Continuo a non crederci. In salone scosto le tendine per guardare oltre la finestra. Nebbia. No, non mi sembra affatto di essere vicino ai boschi di casa mia. Cloradil, mia moglie, ha a che fare con la magia? No, tutto questo non ha senso. Mi sono ritrovato appeso a testa in giù con il mio piede incollato sul soffitto. E metà della mia gamba risplendeva! Come fa un arto umano a essere illuminato dall'interno? Deve esserci da qualche parte una spiegazione logica a tutto a questo. Forse, posso trovarla in questa casa. Mi avvio verso la cucina. Controllo frigorifero e dispensa. Nulla di strano. Non mi rimane che salire di sopra. Un letto matrimoniale, un bagno e una cameretta per bambini con un letto a
castello. Lo stile è sempre lo stesso. Questa casa sembra vecchia. Non è il tipico arredamento di una villetta di un quartiere residenziale da seimila euro al metro. Controllo comò e armadio nella camera da letto matrimoniale. I vestiti riposti sono di bassa qualità e vecchi almeno di venti anni. Se questa Irene fosse davvero una strega non potrebbe perlomeno fabbricarsi del vestiario un po' alla moda? E se la casa non fosse sua? Dove sono diretto? E perché? Le domande continuano a affollarsi nella mente. “Alia fas no sdreil imas catel biron.” Oh mio Dio, riconosco questa voce. È quella di Anna, mia moglie. “Puoi ancora farcela. Non c'è tempo per le spiegazioni. Ma puoi ancora salvarti. Devi avere fiducia. Apri la finestra e buttati. Non avere paura. Io ti salverò.” La voce sembra provenire dalla nebbia. Mi affretto a aprire la finestra, che emetta uno spiacevole scricchiolio. L'aria gelida mi fa subito venire la pelle d'oca. Fuori dalla casa, nella nebbia, la temperatura deve essere decine di gradi sotto lo zero. Mi giro verso il letto, prendo un lenzuolo e me lo avvolgo intorno al corpo. Anche così mi sembra di congelare. Torno alla finestra. Mi sporgo. Dov'è Anna? Da dove proviene la sua voce? “Non aspettare. Manca poco tempo e poi non potrai più tornare indietro,” continua la voce di mia moglie. “Anna, dove sei? Perché non riesco a vederti?” “Antelmo, non indugiare. Tra poco sarai perso per sempre. Non potrò più fare nulla per te. Scavalca la finestra. Torna da me. Ho bisogno di te.” “Anna, ti prego. Rispondimi. Dove sei?”
“Fallo ora. Il tempo a tua disposizione è quasi finito.” Con la gamba destra scavalco il davanzale della finestra. Provo a guardare se dalla finestra riesco a vedere qualcosa, ma c'è solo nebbia. E freddo. Appoggiandomi al davanzale alzo la gamba sinistra. Sono terrorizzato all'idea di cadere nel vuoto. “Fermati!” È la voce di Irene. La sua figura si delinea sull'uscio della camera da letto. “Non c'è nulla la fuori. Se lo farai, morirai.” Mi sento invaso dalla disperazione. Sono terrorizzato dall'idea di lasciarmi andare nel vuoto, ma non ne posso più di trovarmi in questa casa. “Vieni qui, Antelmo. Non ne vale la pena di sacrificare la propria vita. Hai già dato troppo a Cloradil,” dice Irene “Antelmo, amore mio, ti manca poco. Fallo per me. Fallo per noi. Torna da tua moglie. Sono qui che ti aspetto.” È ancora la voce di Anna, mia moglie. Non desidero altro che tornare tra le sue braccia. Lei ha ragione. Mi sono sempre fidato di me. Irene intanto si avvicina a me. Scavalco il davanzale anche con la gamba sinistra. Sono fuori dalla finestra. Resto per un attimo appeso al davanzale esterno e poi mi lascio andare. La presa salda di una mano mi afferra e inizia a sollevarmi. Con la testa appena oltre il davanzale noto che è quella di Irene. Ma come fa a essere così forte? Mi tira oltre il davanzale e io la lascio fare. Vorrei ribellarmi. Ma ancora non riesco a essere del tuo persuaso che il salto nel vuoto sia la cosa giusta. Ho paura. “Antelmo, amore mio...” La voce di Anna è sempre più lontana.
“Sono eco-voci,” Irene sembra intuire i miei pensieri “le ha lanciate con il Mistrofal dalla Terra appena ha capito dove ci siamo diretti. Per questo non ti rispondeva. Erano solo parole che ti rincorrevano. Lei non poteva sentirti. E se fossi caduto nel vuoto saresti semplicemente morto.” Sento la collera montarmi. “Non ti credo! Non so chi o cosa tu sia. Ma quella era mia moglie. Perché ci stai facendo questo? Come hai potuto rapirmi e chiudermi in questa casa.” “Sei tu che sei entrato qui dentro di tua spontanea volontà. È stata una tua scelta. Forse Turlis è entrato nel tuo cuore e ti ha indicato la giusta via.” Mentre parla sento l'ultimo eco della voce di Anna. “Antelmooo...”. Con uno scatto improvviso mi getto verso la finestra, spicco un balzo e mi getto di fuori. Poco prima che il mio corpo sia completamente fuori dalla casa, un bagliore fortissimo mi abbaglia e mi obbliga a abbassare le palpebre. Sento il mio viso sbattere su un terreno umido. Apro gli occhi. La casa è ancora di fronte a me, ma ora è candida e splendente. I muri sono di marmo bianco. Dentro la stanza l'armadio, il comò e il letto sono ora intarsiati e impreziositi di gemme. Irene è coperta di veli bianchi. I capelli sono raccolti in una treccia che le fa da corona. Mi guardo intorno. Sono su un praticello, costellato di fiori di ogni colore e specie. Poco lontano da noi c'è un fiumiciattolo, oltre il quale inizia un bosco. In lontananza vedo tante collinette. Ci sono molte altre abitazioni luccicanti. Il cielo ha una spiccata luminosità. Qualcosa mi incuriosisce nella lieve ombra della casa vicino a me. Il sole mi è di fronte. Non dovrebbe esserci un'ombra in direzione in direzione dell'astro. Mi volto. Dietro di me scorgo altri tre soli, uno simile al primo, due molto più piccoli. Non ho idea di dove possa trovarmi, ma certamente questa non è la Terra.
Continua a leggere! La versione integrale di “Il Regno di Turlis” è disponibile.