L’ibrook un artefatto ibrido
Breve analisi semiotica del testo nella sua evoluzione digitale
Giovanna Maria Russo
Meligrana Editore
Copyright Meligrana Editore, 2012 Copyright Giovanna Maria Russo, 2012
Tutti i diritti riservati ISBN: 9788897268543
Meligrana Editore Via della Vittoria, 14 – 89861, Tropea (VV) Tel. (+ 39) 0963 600007 – (+ 39) 338 6157041 www.meligranaeditore.com
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INDICE
Frontespizio
Colophon
Licenza d’uso
Giovanna Maria Russo
Presentazione
L’ibrook
Introduzione
EXCURSUS STORICO Da Gutenberg all’ebook Librerie online, Google books, ebook
SGUARDO SEMIOTICO Il testo Linguistica testuale e testualità Uso e interpretazione Il paratesto L’ebook ‘paratestuale’
LA SVOLTA INTERSEMIOTICA Materia, sostanza, forma Da testo ... a testo
Le conslusioni risiedono nel lettore
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Giovanna Maria Russo
Giovanna Maria Russo è nata a Scilla nel 1986 e vive tra Reggio Calabria e Rende. È laureata in Teoria della comunicazione e comunicazione pubblica presso l’Università della Calabria. Si interessa di editoria, ebook e tecnologia, temi oggetto delle sue recensioni; dirige e scrive, infatti, per una rivista online da circa due anni. Il contenuto di questo ebook che è la sua prima pubblicazione è estrapolato dalla sua tesi di laurea magistrale.
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Presentazione
È per me motivo di orgoglio presentare la tesi di laurea che Giovanna Maria Russo ha predisposto con precisione e ione, ricevendo lusinghieri apprezzamenti da parte della commissione d’esame. Si tratta di un lavoro molto ben articolato, in cui l’autrice osserva con le lenti della Semiotica, un artefatto per molti versi ibrido, che racchiude in sé aspetti sia tradizionali che di innovazione e che tanta importanza ha rivestito e riveste ancora, nel complicato percorso di salvaguardia e di progresso delle conoscenze e delle culture. L’ebook, che nel caso specifico entra in gioco direttamente poiché costituisce la forma pubblica del volume di Giovanna Maria Russo, rappresenta l’ultima frontiera dell’oggetto testo il quale, parafrasando Marshall McLuhan, “non è solo il mezzo per veicolare contenuti saggistici o narrativi, ma è esso stesso strumento conoscitivo che, oltre ad agevolare l’acquisizione del messaggio, promuove una fruttuosa sintesi, la cui cifra finale è molto più alta del valore delle parti”. Giovanna Maria Russo tutto questo lo illustra molto bene laddove, riprendendo il pensiero dei padri fondatori della scienza dei segni, esplora con perizia le nozioni di testo e di testualità, di storia e di narratività, di medium e di messaggio. Insomma, un volume valido e ben congegnato che potrà senz’altro rappresentare un interessante manuale per coloro che intendano avvicinarsi all’affascinante, quanto poco esplorato, mondo del giovanissimo ebook. Giorgio Lo Feudo Docente di Filosofia del linguaggio Università della Calabria – Cosenza
Introduzione
Scopo del presente lavoro è compiere una riflessione sulla rivoluzione in corso nel mondo dell’editoria. L’attuale situazione editoriale viene rapportata con l’innovazione tecnologica, che forse è destinata a divenire epocale per il mondo dell’editoria e dell’informazione: l’ebook. Nell’ebook viene ricostruita la storia del libro e di tutta la filiera produttiva ad esso legata, partendo da Gutenberg per poi attraversare tutte le tappe che approdano ai vari tipi di esperimenti digitali, comprese le esperienze delle librerie e delle biblioteche online. A seguire viene proposta una riflessione di tipo teorico-semiotico, tesa a trattare le questioni inerenti alla “traduzione” di uno stesso contenuto editoriale nel aggio da un medium all’altro. Sulle orme di Roman Jakobson si assume che, nel aggio dal testo cartaceo al libro elettronico, mantenuta come costante la materia, a mutare sia la sostanza dell’espressione lungo un continuum segnato dal testo scritto. Riprendendo i concetti di uso e interpretazione teorizzati da Umberto Eco (che mai si occupò in maniera organica di testo) si intende, inoltre, proporre un diverso approccio del lettore verso l’ebook rispetto al libro cartaceo.
EXCURSUS STORICO
Da Gutenberg all’ebook
La storia del libro affonda le sue radici ben prima dell’invenzione del carattere mobile gutenberghiano. Prima dell’avvento delle macchine, come in tutte le attività artigianali, era l’uomo a provvedere alla trasmissione del sapere ricorrendo alla manualità. Tralasciando i geroglifici, i graffiti, le pergamene e i papiri, materiali d’ausilio precedenti all’apparizione nel XII secolo della carta, si pensi all’attività degli amanuensi nel Medioevo. Costoro trascrivevano manualmente i testi sacri per poi arli ai copisti che provvedevano a realizzare con bella grafia le copie delle varie pagine, spesso dotate di minuziose illustrazioni a colori. Si trattava pur sempre di libri che, però, possedevano delle caratteristiche oggi totalmente sovvertite, quali la rarità, l’unicità, il pregio della realizzazione manuale cui corrispondeva una diffusione elitaria. Oggi il libro è una merce diffusissima e il suo “erede”, l’ebook, è un normale prodotto di consumo. Non è raro, non è unico ma è per tutti. Prima della stampa a caratteri mobili, la carta si prestava come o a una tecnica “veloce” di riproduzione in serie detta xilografia (o silografia), che nacque come stampa su stoffa e fu rapidamente adattata alla produzione di libri. «Le prime silografie conosciute sembrano risalire, infatti, all’ultimo quarto del XIV secolo [...]. Il nuovo sistema, che permetteva di moltiplicare le immagini religiose in numerosi esemplari con un’attrezzatura semplicissima (pochi pezzi di legno e un coltello) ebbe subito un enorme successo» (Febvre E Martin, L’apparition du livre, Edition Albin, 1958, trad. it., La nascita del libro, RomaBari, Laterza, 1992, p. 37).
La xilografia fu un efficace mezzo di propaganda religiosa, ma evidenziò dei vistosi limiti che poi vennero risolti con l’invenzione della stampa a caratteri mobili, come ad esempio l’impossibilità di stampare linee lunghe di testo, per via dell’uso di stampini che venivano realizzati prima di procedere alla stampa. Fu Johannes Gutenberg, con un’invenzione che possiamo ancora definire rivoluzionaria, a mettere a punto una soluzione tecnica per produrre in serie i singoli caratteri tipografici che una volta combinati assieme avrebbero dato luogo a sequenze di caratteri, righe e testi da stampare. «Dal 1446 ricorrono documenti ufficiali relativi a progetti editoriali di Gutenberg a Strasburgo dove, dopo un breve rientro a Magonza tra il 1444 e il 1448,
impiantò dal 1450 un’officina tipografica finanziata dal ricco commerciante maguntino Johannes Fust. Inizialmente destinata a stampe di breve entità, quali fogli volanti, piccole grammatiche e testi devozionali, tra gli anni 1452 e 1455 l’officina realizzò la grande Bibbia latina in due volumi» (Bertolo Fabio M., Cherubini Paolo, Inglese Giorgio, Miglio Luisa, Breve storia della scrittura e del libro, Roma, Carocci, 2004, p. 87). Con la Bibbia gutenberghiana delle 42 linee (per colonna) iniziò la storia della stampa meccanica che, oltre all’uso dei caratteri singoli in lega leggera ottenuti con degli stampini in legno incisi in negativo, introdusse l’uso del torchio. I caratteri mobili venivano disposti su forme guida o compositoi che consentivano di comporre intere pagine; poi il compositoio veniva posizionato sul torchio in modo da essere impresso sul foglio di carta. I primi incunaboli ebbero lo stesso aspetto dei manoscritti. «Nel periodo d’esordio, nonché innovare, gli stampatori spinsero all’eccesso l’imitazione [...]. Ancora più a lungo le iniziali dei libri furono eseguite a mano dai calligrafi e miniate dagli artisti che lavoravano per i manoscritti» (Febvre E Martin, L’apparition du livre, Edition Albin, 1958, trad. it., La nascita del libro, RomaBari, Laterza, 1992, p. 77). Questo perché il manoscritto era l’unico modello a disposizione del tipografo. Ci volle circa un secolo perché il metodo gutenberghiano si diffondesse nel resto d’Europa per opera per lo più degli allievi dello stesso Gutenberg. In Italia, nella prima tipografia impiantatasi a Subiaco, fu stampato nel 1465 il De Oratore di Cicerone e successivamente, nel 1470, con la messa in opera della prima tipografia in una capitale economica quale era Venezia, la stampa assunse i caratteri commerciali della moderna impresa. Nel Meridione, a Reggio Calabria, negli stessi anni, precisamente nel 1475, nacque la prima tipografia che utilizzava i caratteri mobili ebraici. La vera rivoluzione si ebbe con l’opera del veneziano Aldo Manuzio che sostituì gli originari caratteri gotici con il carattere latino. La guerra dei Trent’anni (1618-48) segnò un periodo di profonda crisi che si perpetuò per tutto il XVIII secolo nell’intera Europa, incidendo anche sulla produzione tipografica che però non si arrestò mai del tutto. In quegli anni l’industria della stampa continuò il proprio processo di modernizzazione e differenziazione dei ruoli con la nascita della figura dell’editore: «Il tipografo
esegue gli ordini di un editore senza avere più rapporti con il fonditore di caratteri o il fornitore della carta: ecco che il prodotto libro finisce per perdere la sua peculiare unità progettuale [...], per divenire luogo di assemblaggio di vari componenti, talora ben amalgamati tra loro» (Bertolo Fabio M., Cherubini Paolo, Inglese Giorgio, Miglio Luisa, Breve storia della scrittura e del libro, Roma, Carocci, 2004, p. 11) La centralità dell’editore caratterizzò la storia del libro sino almeno all’Ottocento affiancandosi alla sempre più frequente nascita di tipografie e stamperie promosse dall’autorità statale o dal clero e alla crescente produzione della stampa periodica; l’editoria portò avanti, inoltre, la sua fase di modernizzazione con una riforma del commercio dovuta alla crescente necessità di un’ampia diffusione del libro. Con l’Illuminismo si ebbe in tutta Europa uno straordinario fervore culturale e politico che fu di impulso all’inventiva degli allora tecnici della stampa. Se per circa tre secoli l’arte della stampa rimase sostanzialmente ferma alle tecniche introdotte da Gutenberg, l’Ottocento segnò una vera e propria rivoluzione. Innanzitutto si vide l’applicazione su vasta scala del torchio a vapore e del telegrafo. Era il 1811 quando Friedrich König depositò il brevetto per un torchio di stampa che «Utilizza – anziché la forza umana, come è stato fatto finora – l’energia del vapore [...]. La macchina inventata da König si chiama “pianocilindrica” e rinnova radicalmente i sistemi di stampa» (Gozzini Giovanni, Storia del giornalismo, Milano, Mondadori, 2000, p. 87). Con la pianocilindrica, il foglio anziché essere collocato manualmente sulla forma con i caratteri inchiostrati, veniva posizionato in modo da ruotare attorno a un cilindro che muovendosi lo portava a contatto con la forma dei caratteri. L’invenzione di König entrò in una prestigiosa redazione giornalistica in una notte di novembre del 1814 con la stampa di 1200 copie del quotidiano inglese The Times. In Italia giunse, invece, solo nel 1830 nella tipografia Pomba di Torino. Da allora prese l’avvio l’introduzione di tutta una serie di macchinari diretti al miglioramento della qualità della stampa, all’aumento delle tirature e all’ottimizzazione di materiali e tempi. La pasta di legno venne sostituita alla pasta di stracci, la quale diede origine a una nuova carta più deperibile ma più facilmente stampabile e soprattutto più economica. Una tappa importante nella storia della stampa editoriale si ebbe nella seconda metà degli anni quaranta dell’Ottocento (brevetto 1847) con l’invenzione della
rotativa: si trattava di «una macchina per la stampa a più cilindri che invece di fogli singoli, utilizza il nastro continuo di carta. A essa si affianca una nuova tecnica di stampa, la cosiddetta “stereotipia”» (Gozzini Giovanni, Storia del giornalismo, Milano, Mondadori, 2000, p. 89). La rotativa generò ben presto un nuovo standard produttivo. Alla fine dell’Ottocento la stampa entrò nella sua “età dell’oro” forte delle crescenti necessità comunicative ma anche di una seconda ondata rivoluzionaria che interessò l’industria e la tecnologia. «Nel 1886 è il Tribute di New York a impiegare la prima macchina inventata da Ottmar Morgenthaler [...] impiegato in una ditta per macchine da scrivere. Si tratta della linotype (“line of types”, linea di caratteri)» (Gozzini Giovanni, Storia del giornalismo, Milano, Mondadori, 2000, pp. 132-133). Il principio della linotype era quello di assemblare, mediante l’uso di una tastiera letterale, le matrici linea per linea per poi disporle sul compositoio, formare le righe e fonderle in blocco successivamente giustificato. Tre anni dopo la linotype, nel 1889, venne brevettata la monotype, che consentiva «una correzione degli articoli già composti più semplice e mirata, con la linotype, infatti, è necessario ogni volta sostituire e ricomporre il rigo intero» (Gozzini Giovanni, Storia del giornalismo, Milano, Mondadori, 2000, p. 133). Nel 1890 fu la volta della macchina a rotocalco che sfruttava la tecnica della stampa a calcografia, ovvero con una matrice in incavo anziché in rilievo. Nel 1904 fu messa a punto la stampa offset, applicazione delle tecniche della litografia tramite l’uso di tre cilindri: un cilindro in gomma faceva da intermedio tra il cilindro “portamatrice” e il cilindro a pressione con la carta. Ebbe un ruolo determinante nella diffusione e miglioramento della stampa, l’affinamento della tecnica fotografica che consentì l’introduzione della stampa di immagini a colori, tipologia che si diffuse in maniera preponderante nel primo Dopoguerra. Furono proprio le tecniche di produzione fotografica a incentivare l’introduzione di un’altra grande invenzione ovvero la fotocompositrice che portò all’abbandono delle linotype e delle monotype. La fotocompositrice consentiva di realizzare dei testi veri e propri che potevano essere visualizzati su un monitor permettendo di effettuare eventuali correzioni prima di stampare, con un
evidente risparmio di tempi e costi. Per tutto il Novecento si è assistito a un velocissimo processo di trasformazione della stampa: l’irruzione dei sistemi digitali ha stravolto le industrie tradizionali, determinando la nascita dell’editoria elettronica, nella quale gli editori sono stati subito pronti a fare grossi investimenti. Il computer ha permesso di dimezzare i tempi di composizione, controllo e realizzazione del progetto di stampa, rivoluzionandone completamente il processo. Basti pensare alla vastità di funzioni oggi fornite dai programmi di videoscrittura, diffusissimi anche al di fuori dell’industria editoriale o, ancora, alla varietà di software ed applicazioni dedicati al lavoro editoriale professionale; nonché al ruolo preponderante di Internet che consente di velocizzare le comunicazioni tra autore, editore e tipografo. Anche la trasmissione stessa del file pronto per la stampa risulta semplificata, con il vantaggio di un controllo migliore e più qualificato del lavoro da pubblicare. Una volta digitalizzato il testo e introdotta l’elettronica nel mondo editoriale o tipografico che dir si voglia è breve il salto dal tradizionale stampato cartaceo al progetto di diffusione dei libri (e altri prodotti editoriali) in formato elettronico. L’idea dell’ebook nacque assieme al personal computer nel 1968; precisamente scaturì con la progettazione del primo computer portatile nei laboratori dello Xerox Palo Alto Research in America, da parte di Alan Kay. Il prototipo si chiamò Dynabook: «Proprio da quella prima idea di “libro dinamico” derivò, nella successive interfacce grafiche dei primi personal, il concetto delle “finestre” che si aprono e si chiudono, si cercano o si sfogliano, come le pagine di un libro stampato» (Longo Brunella, La nuova editoria, Milano, Editrice Bibliografica, 2001, p. 106). Era il 1971 quando si realizzava un importante e allora rivoluzionario progetto. Si trattò del Project Gutenberg avviato dallo studente statunitense Michael Hart che avendo ricevuto a disposizione dalla sua università uno dei primi (costosissimi) computer decise di impiegarlo per l’archiviazione e la ricerca delle informazioni contenute nel patrimonio librario mondiale. Nel 1981 nacque invece la prima enciclopedia elettronica disponibile sul mercato, grazie al contributo de Dick Brass, colui che peraltro realizzò il primo software per la correzione ortografica. Ci vollero più di venti anni perché dal progetto del Dynabook nascesse il primo
ebook datato 1986 e realizzato dalla Franklin Electronic Publishers; si trattava di piccoli apparecchi che consentivano «di ricercare, ascoltare consultare e leggere dizionari ed enciclopedie che avrebbero occupato diversi metri se acquistati nella versione a stampa» (ivi, p. 107). Questi non furono di forte attrattiva per gli editori, ma dominarono quasi incontrastati la scena del libro elettronico per circa una decina d’anni. Nel fratempo furono avviati diversi altri progetti che si rivelarono tutti alquanto inconsistenti. Nel 1990 la Sony introdusse sul mercato il Sony Data Discman, un innovativo lettore di cd audio e cd-rom dotato di uno schermo a cristalli liquidi che associava alle capacità di lettura di compact disc audio e video anche quella di cd contenenti testi; la diffusione di questo apparecchio restò però circoscritta al mercato giapponese. Nel 1992 il progetto Personal Digital Tablet tenne con il fiato sospeso il mondo della stampa periodica perché nasceva come o per la visualizzazione personalizzata dei giornali; ma nel frattempo Internet era stato aperto al mercato e la quantità dei giornali online aumentava esponenzialmente. «Il numero dei giornali online era ato dalle 20 testate del 1993 alle 800 del 1995» (Longo Brunella, La nuova editoria, Milano, Editrice Bibliografica, 2001, p. 108), portando il progetto citato al fallimento quasi immediato. Nel 1998 veniva presentato alla fiera del libro di Francoforte il Rocket ebook di Nuvomedia, società fondata con il o di capitali di Bertelsmann Ventures e della Barnes&Noble. Il dispositivo, dotato di uno schermo monocromatico a cristalli liquidi sensibile al tocco, possedeva un proprio sistema operativo e un software applicativo appositamente progettato per rendere la lettura su dispositivo il più possibile fedele a quella su carta. L’hardware poteva essere usato indipendentemente da qualsiasi altro apparecchio per leggere oppure poteva essere collegato a un computer per caricare i libri acquisiti dalla libreria online titolare del formato (che in seguito è stato adottato da numerosi altri editori per le proprie edizioni elettroniche). Il Rocket ha avuto un discreto successo negli Stati Uniti e grazie all’alleanza con il gruppo Bertelsmann è sbarcato presto anche nel mercato europeo. «Il successo di Rocket non è dovuto solo alle caratteristiche tecniche dello strumento, ritenuto da più parti il migliore della sua categoria o alla strettissima integrazione con le tecnologie internet. I fattori critici di successo della Nuvomedia sono stati piuttosto le iniziali alleanze finanziarie con Bertelsmann e Barnes&Noble, l’estrema velocità di esecuzione dei piani e il rigoroso posizionamento» (Longo Brunella, La nuova editoria, Milano, Editrice
Bibliografica, 2001, p. 113). Il Rocket ebook con la sua tecnologia ha anticipato di poco un altro dispositivo, il Softbook, prodotto dalla Softbook Press. Tale dispositivo presentava caratteristiche analoghe al lettore della Rocket fatta eccezione per la presenza di un modem interno che permetteva di scaricare direttamente da Internet il libri elettronici. Inoltre il dispositivo, che ricordava molto il formato di una rivista, consentiva di ricercare parole nei testi, di inserire annotazioni di cambiare le dimensioni della pagine, ecc., proponendosi come diretto antesignano dei moderni device presenti sul mercato. Tuttavia risultava limitato da molti deficit funzionali che ne hanno determinato la scarsa distribuzione. Quanto riportato fin ora fa parte di una sorta di preistoria dell’ebook che conta molti altri piccoli e grandi progetti, ma che si è trasformata in storia, solo a partire dai primi anni del 2000 con l’avvio di importanti iniziative non solo in America ma anche in Europa e in Italia. Nel Belpaese sono stati avviati i primi progetti per la distribuzione e commercializzazione di libri elettronici da Mondadori, Rizzoli-RCS, Apogeo-Longanesi, Il Sole 24 ore, Fazi editore e Laterza. «In Italia il primo grande editore a muoversi in accordo con Microsoft adottandone il Reader e il relativo formato è stato Mondadori che ha scelto come primo titolo Pinocchio» (Longo Brunella, La nuova editoria, Milano, Editrice Bibliografica, 2001, p. 142). Il 2000, inoltre, è stato l’anno della nascita dell’ebook Microsoft con un reader specifico che implementa un formato oggi è tra i più obsoleti, ovvero il formato.lit (literature). Nella primavera 2000, battendo sul tempo la Adobe, Microsoft ha lanciato il Microsoft Reader caratterizzato dalla tecnologia ClearType che consente di aumentare la risoluzione del testo agendo sui pixel. Gli ebook visualizzabili su questi i non sono più soggetti allo scrolling verticale, ma il testo (che occupa la totalità dello schermo senza barre o menu) si legge sfogliando le pagine, «ovvero cliccando sul numero della pagina successiva» (Longo Brunella, La nuova editoria, Milano, Editrice Bibliografica, 2001, p. 145)presente a lato dello schermo. Inoltre sono disponibili tutta una serie di funzionalità che già si ritrovavano nel Softbook come la possibilità di evidenziare, sottolineare, compiere ricerche all’interno del testo. «Alla cura nel design e nell’interfaccia, non intrusivo, corrisponde tuttavia una menomazione profonda delle funzionalità attese [...]. In particolare, “il” libro elettronico Microsoft si può leggere, nel formato.lit solo su macchine con
sistema operativo Windows e con il Reader» (Longo Brunella, La nuova editoria, Milano, Editrice Bibliografica, 2001, p. 146). Questa caratteristica è condivisa da altri formati, come il mobi pocket di Amazon di cui si parlerà a breve. La svolta dell’ebook a livello mondiale si è avuta nel 2008 quando i colossi dell’elettronica sono scesi in campo con gli ebook reader di nuova generazione, imponendosi sul mercato. Ci si riferisce, in modo particolare, ad Amazon.com la società pioniera del commercio librario online, con il suo lettore Kindle, che tutt’ora domina il mercato americano. Il lettore di Amazon ha fatto il suo ingresso anche in Europa, da poco anche in Italia. Ma la produzione di device oggi, di fatto, interessa diverse case produttrici, come la Sony, la Apple con l’iPhone e l’iPad, solo per citare i nomi più celebri. Oggi un’ebook si può leggere, dunque, oltre che su un qualsiasi computer che possegga un software dedicato, su un tablet, su uno smartphone, un palmare o un ereader; pare che le case di produzione si siano dedicate in maniera particolare a quest’ultimo, allo scopo di eliminare il maggiore deficit di questi dispositivi ovvero il rapporto con l’occhio del lettore. Per questo, nel 1996, è stata messa a punto, da Joe Jacobson, per gli ereaderla tecnologia e-ink che, oltre che abbassare i consumi energetici del lettore, sfruttando lo stesso principio di riflessione della luce che avviene con il foglio bianco, consente di evitare di confrontarsi con un testo su uno schermo retroilluminato che dopo un certo tempo di lettura risulta fastidioso alla vista. Oggi dire ebook equivale a definire tre cose: il o di lettura o device, che può essere, come già detto, un computer, un ereader o qualsiasi altro apparecchio che si presti come hardware di lettura; un software, o applicazione, che consenta di aprire i file ebook; il file vero e proprio, oggi disponibile in diversi formati. Si è già accennato al formato Literature (.lit) di Microsoft, ma ne esistono molti altri tra cui il caro vecchio.pdf di Adobe, il mobipocket (.mobi) di Amazon che restringe la lettura del file ai soli lettori Kindle e il formato.epub che oggi può essere definito il formato standard poiché compatibile con la maggior parte dei dispositivi. Come si è potuto dedurre, i pionieri della lettura elettronica si trovano oltreoceano dove il mercato dell’editoria elettronica è molto più florido.
In Europa e in Italia il mercato è in una piena evoluzione. Sebbene infatti si sia parlato di impegni di distribuzione e commercio avviati da grandi case editrici già nel 2000, il mercato ha assunto un certo grado di maturità solo di recente, con l’ingresso nel panorama editoriale italiano dei grandi distributori come Stealth.it (Simplicissimus book farm), Edigita.it, BookRepublic.it e Biblet.it (di Telecom Italia, che ha messo in commercio un proprio lettore in collaborazione con De Agostini, Mondadori e RCS). Questi offrono alle case editrici, oltre al servizio di distribuzione, attività di conversione formati, di consulenza e risoluzione dei problemi riguardanti i diritti digitali. Lo sviluppo del mercato elettronico è stato trainato anche dall’interesse condiviso di tutta l’editoria, comprese le medie e piccole imprese, nonché dalle numerose piattaforme ecommerce presenti sul web. Nel breve tentativo di fare una quadro della storia del libro, che oggi dunque si divide su due diversi fronti (oltre alla classica stampa su carta anche il medium virtuale), è necessario dedicare maggiore attenzione al corollario di attività che compongono l’industria editoriale. Perché l’ebook non è solo – e nemmeno principalmente – il file elettronico, ma è anche il dispositivo di lettura (hardware e software), l’editore, nei suoi rapporti con il distributore, il commerciante e il lettore.
Librerie online, Google books, ebook
Fin dalla sua nascita, all’oggetto di consumo ‘libro’ si sono sempre accompagnate delle attività collaterali a quelle relative alla sua progettazione e produzione, riguardanti il commercio e la conservazione, nonché la vendita e l’attività bibliotecaria. Il lavoro bibliotecario nasce con la scrittura stessa, ben prima della diffusione del libro confezionato; mentre il lavoro commerciale acquista le sue caratteristiche di modernità dopo dell’invenzione della stampa, quando cioè il libro assume quei caratteri di riproducibilità e attualità che lo rendono potenzialmente accessibile a tutti. Nel corso dei secoli, la stampa e con essa i suoi prodotti editoriali hanno subito delle grosse evoluzioni sulle quali ha avuto un impatto determinante l’ingresso dell’innovazione informatica; di conseguenza a risultarne rivoluzionate sono state anche le metodologie di vendita e diffusione di un sapere, non più solo cartaceo, ma veicolato anche in bit. Il boom del commercio editoriale online si è avuto tra il 1993 e il 2000 con la diffusione di Internet. Oggi le librerie online dominano la scena del mercato dell’editoria al punto da minacciare la stessa esistenza delle corrispettive attività “fisiche”. Una tra le prime società dedicate al commercio virtuale su internet è stata la libreria Amazon, nata negli Stati Uniti nel 1995, che ha, in un certo senso, aperto la strada a un proliferare di attività simili, sia in Americache nel resto del mondo. «Era sbalorditivo all’epoca, il fatto di avere sul proprio computer un catalogo di milioni di titoli, la possibilità di scrivere recensioni e vederle pubblicate su un mezzo globale o di ricevere aggiornamenti personalizzati via e-mail sulle novità librarie di un certo interesse» (Longo Brunella, La nuova editoria, Milano, Editrice Bibliografica, 2001, p. 59). Ma la vera novità del servizio consisteva e consiste tutt’ora, nella possibilità di poter effettuare un ordine da casa, in tutta calma, previa consultazione e comparazione dei prezzi sui vari portali, pagando comodamente con carta di credito per poi ricevere i prodotti acquistati a domicilio. Oggi tutto questo è normale, sia per il mercato editoriale che per qualsiasi genere di merce di consumo; allora era sbalorditivo. Sia per Amazon che per tutti gli altri portali, non si trattò esclusivamente di
innescare un nuovo circuito di commercio di soli libri, ma offrire online una serie di prodotti editoriali (dvd e musica ad esempio) e di elettronica ad essi correlati. Amazon ha fatto il suo ingresso in Italia con Amazon.it nel 2010, precisamente nel mese di novembre, spopolando per via sopratutto dei prezzi estremamente competitivi, con una percentuale di sconto spesso superiore anche al 30%. Nel 2000, in Italia erano circa una trentina i portali di ecommerce editoriale, spesso anche differenziati e diretti a settori specifici (come ad esempio nel caso delle librerie universitarie); ad oggi il numero è di certo aumentato se si contano anche i servizi di vendita online presenti sul portale di molte case editrici e altri canali indiretti. Le librerie online attualmente più importanti sono, oltre Amazon, Internet Book Shop (Ibs.it) nata nel 1998 e Bol.it la versione italiana della libreria virtuale Bol del gruppo Bertelsmann realizzata in collaborazione con Mondadori nei primi anni del 2000. Si è già accennato al perché l’utente spesso prediliga questo canale di vendita indiretta e fai-da-te (agevolazioni in termini di tempo e denaro che l’acquisto online può consentire). Tuttavia si ritiene che tali tipi di attività siano determinanti ancor più nella distribuzione dei titoli elettronici la cui fetta di mercato è in continua crescita. Internet sembra il canale distributivo più appropriato per la vendita di prodotti virtuali e impalpabili, gli ebook. Un utente che voglia oggi acquistare un titolo ebook, non dovrà fare altro che connettersi allo store online direttamente dal proprio dispositivo di lettura (o da un altro dispositivo con accesso alla rete), e scaricarlo previo pagamento diretto. Il tutto in tempi brevissimi e con costi ridotti. L’unica limitazione cui l’utente sarebbe soggetto (salvo acquisire delle applicazioni che permettano di aggirare l’ostacolo) riguarda il device di lettura e la compatibilità con i diversi formati disponibili sul mercato (limite molto sottile oggi giorno). Ancor prima delle librerie online, ma parallelamente all’affermazione della rete internet, nasce e si sviluppa l’attività di archivi e biblioteche online. Non si tratta solo dei cataloghi virtuali messi a disposizione da quasi tutte le biblioteche “fisiche”, ma della possibilità di consultazione telematica dei testi (o di parti di essi) offerta da alcuni di questi portali. Oggi esistono diversi «siti di archivi e biblioteche digitali di testi di pubblico dominio [che], sebbene caratterizzati da una grande varietà di contenuti e sistemi
di publishing e di ricerca, sono accomunati dalla gratuità dell’accesso e, in generale, dalla adozione di formati di grande usabilità (ASCII, RTF, HTML e PDF) che ne consentono la fruizione a partire da diversi sistemi operativi» (Longo Brunella, La nuova editoria, Milano, Editrice Bibliografica, 2001, p. 103). La vera rivoluzione del concetto classico di biblioteca come luogo polveroso e pieno di scaffali ricchi di libri è stata quella messa in atto da Google nel 2007, anno in cui la società prendeva accordi con l’Università di Oxford per avviare la pubblicazione digitale dei testi contenuti nella biblioteca dell’ateneo. Il progetto prese l’avvio con la digitalizzazione di libri di pubblico dominio, resi disponibili alla lettura, consultazione e a tutti gli utenti della rete, per poi abbracciare anche testi protetti da copyright limitandone la consultazione e la ricerca testuale ad alcune parti. Ciò aveva creato problemi alla società, accusata dagli editori di violazione del copyright, risolti quando «dopo lunghe trattative mantenute segrete, le due parti annunciarono di avere raggiunto un accordo di transazione» (Darnton Robert, The case for books, past, present, future, PublicAffairs, 2009, trad. it., Il futuro del libro, Milano, Adelphi edizioni, 2011, p. 36). Google ha oggi ottimi presupposti per diventare la più grande biblioteca al mondo perché, di fatti, l’ambizione dei fondatori è quella di raccogliere, digitalizzare ad archiviare l’intero patrimonio librario dell’umanità. «Dei sette milioni di volumi che Google dichiarava di avere digitalizzato alla data di novembre 2008, un milione è costituito da opere di pubblico dominio; un milione da opere sotto copyright e reperibili sul mercato; mentre cinque milioni sono opere sotto copyright ma fuori commercio» (Darnton Robert, The case for books, past, present, future, PublicAffairs, 2009, trad. it., Il futuro del libro, Milano, Adelphi edizioni, 2011, p. 36). Attraverso un apposito software, gli utenti possono fare ricerche approfondite immergendosi nei libri; alcuni (di pubblico dominio) possono essere scaricati in formato pdf ma, della maggior parte, possono esserne consultati solo frammenti; questo dipende da una deliberata scelta dell’editore e dell’autore che hanno deciso di partecipare al programma partner di Google Books. Di certo anche la consultazione parziale è un strumento utile per capire quali siano i libri più pertinenti per lo studio di un determinato argomento e fare i giusti collegamenti
tra loro. Google Books è il corrispettivo virtuale di una biblioteca classica, dotata di enormi potenzialità legate sia alla conservazione che alla diffusione della cultura ata e presente. Dallo scaffale virtuale all’ebook il o è davvero breve. Il progresso, che attraverso i secoli ci ha concesso la scrittura, poi la carta e la stampa, l’informatica e il web, ha plasmato un modo diverso di trasmissione e accesso al sapere; questo mutamento non ha colpito solo il prodotto in sé, ma tutta l’industria che ruota attorno ad esso e ne ha totalmente ridimensionato il rapporto con l’utente. Il tipo di approccio che il lettore ha con le nuove tecnologie alla luce dei forti cambiamenti in atto, può essere messo in discussione e rivisto. Google Books in Italia è diventato nel 2010 Google libri dopo avere siglato un accordo con il Ministero dei Beni e delle attività culturali italiano; a breve avvierà anche in Italia un altro ambizioso progetto che è già realtà per i residenti negli Stati Uniti ovvero Google eBook volto alla vendita dei titoli digitali. Tale revisione verrà proposta nei seguenti paragrafi da uno dei possibili punti di vista che gli studi attuali ci offrono, ovvero la semiotica testuale.
SGUARDO SEMIOTICO
Il testo Definire un testo è un compito abbastanza complesso del quale si sono occupati diversi settori di studio, i quali hanno portato all’elaborazione di nozioni varie e talvolta contrastanti. La messa in evidenza, di volta in volta, di caratteristiche o valenze differenti dei testi ha dato vita a studi quali: la sintassi e la semantica testuale riunite nella grammatica del testo; la pragmatica testuale che indaga il rapporto del testo con il contesto extralinguistico; la semiotica del testo che, partendo dai testi propriamente detti, estende il concetto allo studio di tutta la realtà significante; la socio-semiotica e così via. Tutto ciò ha costituito un vastissimo panorama comprendente i fenomeni più disparati, nei confronti dei quali è difficile l’elaborazione di una definizione univoca e onnicomprensiva.
Linguistica testuale e testualità
La linguistica testuale può di certo collocarsi come materia trasversale e dal carattere interdisciplinare rispetto a tutte le altre. La disciplina assume come: « [...] maggiore unità linguistica il testo [...]. L’uomo parla e scrive in testi o, almeno, questo è il suo proposito: i testi sono i segni primari che egli esprime. Soltanto il testo considerato nella sua totalità, ha un senso conchiuso ed è quindi anche un unità adatta per una traduzione» (Dressler Wolfang Ulrich, Einführung in die textlinguistik, Max Niemyer Verlag, Tübigen, 1972, trad. it., Introduzione alla linguistica del testo, Roma, Officina edizioni, 1974, p. 24). Il testo, di conseguenza, si delinea come una sorta di enunciato complesso con una grammatica propria e diversa da quella delle singole frasi o meglio: «Un enunciato di grandi dimensioni, composto da frasi, secondo il principio della composizionalità, collocato, però, su un livello superiore alle frasi stesse che lo costituiscono» (Cicalese Anna, Testo e Testualità, 2000, in: Stefano Gensini, Felice Cimatti, a cura di, Manuale della comunicazione, Roma, Carocci, 2000, p. 169). Ciò che crea il testo, però, non è la lunghezza ma la natura contestuale della sua interpretazione. Se alla definizione proposta poc’anzi, che può comprendere oltre che i testi scritti quelli prodotti oralmente, aggiungiamo le situazioni di enunciazione, ovvero aggiungiamo al contesto linguistico quello enunciativo, vi individuiamo una componente fondamentale dal punto di vista comunicativo, in virtù della quale il testo potrà essere considerato come prodotto «sociale complesso e fortemente diversificato» (Cicalese Anna, Testo e Testualità, 2000, in: Stefano Gensini, Felice Cimatti, a cura di, Manuale della comunicazione, Roma, Carocci, 2000, p. 170). La complessità del testo, dunque, risiede non solo nella sua articolazione interna ma nelle sue relazioni con fattori extratestuali di diversa natura, che sono regolate da condizioni socialmente riconosciute grazie alle quali un testo risulta comunicativo; questo insieme di norme può essere definito testualità, della quale il testo non è altro che il prodotto concreto:«Il testo [è] un’occorrenza comunicativa che soddisfa sette condizioni di testualità. Quando una di queste condizioni non è soddisfatta, il testo non ha più valore comunicativo» (De Beaugrande Robert-Alain, Dressler Wolfang Ulrich, Einführung in die Textlinguistik. Tübingen, 1981, Max Niemeyer, trad. it, Introduzione alla linguistica testuale, Bologna, il Mulino, 1984, p. 17). «La testualità è il modo di manifestazione universale, sociale e obbligatorio in tutte le lingue per l’esecuzione della comunicazione [...]. Occorre perciò
distinguere due aspetti: la testualità in quanto tratto strutturale delle azioni sociocomunicative (e quindi pure linguistiche) di/tra partecipanti alla comunicazione; i testi in quanto corrispondenti realizzazioni concrete della struttura testualità in un determinato mezzo di comunicazione» (Cicalese Anna, Testo e Testualità, 2000, in: Stefano Gensini, Felice Cimatti, a cura di, Manuale della comunicazione, Roma, Carocci, 2000, p. 170). Nelle condizioni di testualità rientrano, oltre quelle inerenti la materia testuale ovvero l’organizzazione linguistica, le modalità di produzione e comprensione del testo. Sono sette i criteri individuati da de Beaugrande e Dressler: l’intenzionalità, l’accettabilità, l’informatività, la situazionalità, l’intertestualità, la coerenza e la coesione. Le prime due nozioni sono « [...] incentrate sugli utenti del testo riguardanti l’attività della comunicazione testuale in relazione tanto a chi produce il testo che a chi lo riceve» (De Beaugrande Robert-Alain, Dressler Wolfang Ulrich, Einführung in die Textlinguistik. Tübingen, 1981, Max Niemeyer, trad. it, Introduzione alla linguistica testuale, Bologna, il Mulino, 1984, p. 22). - L’intenzionalità riguarda l’emittente, il quale forma un testo che possa essere adeguato al raggiungimento di uno scopo preciso; costui « [...] vuole formare un testo coesivo e coerente capace di soddisfare le sue intenzioni, ossia di divulgare conoscenze e di raggiungere il fine specifico di un progetto» (De Beaugrande Robert-Alain, Dressler Wolfang Ulrich, Einführung in die Textlinguistik. Tübingen, 1981, Max Niemeyer, trad. it, Introduzione alla linguistica testuale, Bologna, il Mulino, 1984, p. 22). - L’accettabilità riguarda le attese del ricevente; costui si aspetta « [...] un testo coesivo e coerente che sia utile o rilevante per acquisire conoscenze o per avviare la cooperazione ad un progetto» (De Beaugrande Robert-Alain, Dressler Wolfang Ulrich, Einführung in die Textlinguistik. Tübingen, 1981, Max Niemeyer, trad. it, Introduzione alla linguistica testuale, Bologna, il Mulino, 1984, p. 22). Generalmente in casi in cui il testo presenti dei deficit informativi, il ricevente è disposto ad intervenire egli stesso attribuendo senso laddove sembra mancare, per contribuire al mantenimento della coerenza e della coesione: è il caso dell’inferenziazione.
- L’informatività, il terzo criterio, ovvero la misura in cui gli elementi « [...] sono attesi o inattesi oppure noti o ignoti/incerti» (De Beaugrande Robert-Alain, Dressler Wolfang Ulrich, Einführung in die Textlinguistik. Tübingen, 1981, Max Niemeyer, trad. it, Introduzione alla linguistica testuale, Bologna, il Mulino, 1984, p. 25) che condiziona, a seconda dai casi, il livello di applicazione da parte del ricevente: «L’elaborazione di notizie altamente informative è più impegnativa di notizie meno informative, però, in compenso è più interessante» (De Beaugrande Robert-Alain, Dressler Wolfang Ulrich, Einführung in die Textlinguistik. Tübingen, 1981, Max Niemeyer, trad. it, Introduzione alla linguistica testuale, Bologna, il Mulino, 1984, p. 25); ovviamente questo risulta essere un aspetto abbastanza delicato, perché gravare troppo sull’elaborazione può equivalere a compromettere l’esito comunicativo del processo testuale. - La situazionalità è quel criterio che, data una situazione comunicativa particolare, rende il testo rilevante e appropriato: « [...] la situazione decide senso e uso di un testo; agisce perfino sui mezzi della coesione» (De Beaugrande Robert-Alain, Dressler Wolfang Ulrich, Einführung in die Textlinguistik. Tübingen, 1981, Max Niemeyer, trad. it, Introduzione alla linguistica testuale, Bologna, il Mulino, 1984, pp. 26-27); si pensi al caso dei segnali stradali in cui la situazione – i segnali sono rivolti agli automobilisti, che hanno poco tempo per leggerli e agire conformemente ad essi – determina una massima economia del testo. - L’intertestualità riguarda le relazioni che un testo intrattiene con altri testi già accettati in precedenza e la conoscenza di queste relazioni. Gli ultimi due criteri, cui talvolta, gli altri citati in precedenza debbono essere funzionali; sono particolarmente importanti anche perché applicabili a qualsiasi tipo di testo, non solo a quello prettamente linguistico: si tratta di coerenza e coesione. Sono principi base costitutivi del testo che riguardano due diversi livelli di strutturazione: uno tematico e concettuale, l’altro grammaticale e sintattico; non sono interdipendenti e, di fatti, un testo coeso non è necessariamente coerente, e così via. Per «fattori di coesione intenderemo tutti gli strumenti grammaticali che rendono le frasi e le parole del testo connesse fra loro grazie a catene di rinvii e collegamenti» (Cicalese Anna, Testo e Testualità, 2000, in: Stefano Gensini, Felice Cimatti, a cura di, Manuale della comunicazione, Roma, Carocci 2000, p. 173); un testo coeso dunque è un testo grammaticalmente accettabile e
comprensibile alla lettura. È evidente che nel testo di superficie possano collocarsi delle ambiguità: questo è possibile perché «non è la sola superficie a decidere il senso del testo: ad essa si aggiunge necessariamente anche l’interazione fra la coesione e le altre condizioni della testualità affinché la comunicazione sia efficace» (De Beaugrande Robert-Alain, Dressler Wolfang Ulrich, Einführung in die Textlinguistik. Tübingen, 1981, Max Niemeyer, trad. it, Introduzione alla linguistica testuale, Bologna, il Mulino, 1984, p. 18). La coerenza risulta essere un parametro un po’ più complesso poiché, non essendo direttamente dipendente dalla coesione, risulta individuabile relativamente non solo al testo ma a tutte le variabili extratestuali, compresa la competenza del destinatario. Un testo è coerente se: « [...] la configurazione di concetti e relazioni soggiacente il testo di superficie, sono reciprocamente accessibili e rilevanti. Si può definire un concetto come una configurazione di sapere (contenuto cognitivo) che può essere richiamato alla mente o attivato da una unità e consistenza più o meno forte. Le relazioni sono gli anelli di congiunzione tra i concetti che si presentano assieme nel mondo testuale» (De Beaugrande RobertAlain, Dressler Wolfang Ulrich, Einführung in die Textlinguistik. Tübingen, 1981, Max Niemeyer, trad. it, Introduzione alla linguistica testuale, Bologna, il Mulino, 1984, p. 18). Con coerenza intendiamo in altre parole una «continuità tematica» (Cicalese Anna, Testo e Testualità, 2000, in: Stefano Gensini, Felice Cimatti, a cura di, Manuale della comunicazione, Roma, Carocci 2000, p. 173) dipendente dal modo in cui i concetti vengono organizzati in un testo per poter essere chiaramente compresi; talvolta in un testo vi possono essere dei “buchi” di informazione che a prima vista lo fanno apparire incoerente, ma che spesso richiedono semplicemente delle inferenze da parte del destinatario: « [...] talvolta, ma non sempre, le relazioni sono riportate nel testo non esplicitamente, ossia non vengono attivate direttamente per mezzo di espressioni del testo di superficie. Gli utenti apporteranno tutte le relazioni che saranno necessarie per rendere sensato un testo simile» (De Beaugrande Robert-Alain, Dressler Wolfang Ulrich, Einführung in die Textlinguistik. Tübingen, 1981, Max Niemeyer, trad. it, Introduzione alla linguistica testuale, Bologna, il Mulino, 1984, p. 18). I sette criteri appena esposti possono essere definiti come « [...] principi
costitutivi [...] della comunicazione mediante testi» (De Beaugrande RobertAlain, Dressler Wolfang Ulrich, Einführung in die Textlinguistik. Tübingen, 1981, Max Niemeyer, trad. it, Introduzione alla linguistica testuale, Bologna, il Mulino, 1984, p. 28); ad essi si aggiungono dei « [...] principi regolativi che non definisc[ono] ma controll[ano] la comunicazione testuale» (De Beaugrande Robert-Alain, Dressler Wolfang Ulrich, Einführung in die Textlinguistik. Tübingen, 1981, Max Niemeyer, trad. it, Introduzione alla linguistica testuale, Bologna, il Mulino, 1984, p. 28) collocandosi come fattori discriminanti nella distinzione fra testo e non-testo assieme naturalmente ai principi costitutivi. «L’efficienza di un testo, la quale dipende da un grado possibilmente limitato di impegno e sforzo da parte dei partecipanti alla comunicazione e all’uso di questo nel testo; l’effettività, che dipende dal fatto se il testo lascia una forte impressione e produce condizioni favorevoli al raggiungimento di un fine; l’appropriatezza di un testo, che è data dall’accordo fra il suo contenuto e i modi in cui vengono soddisfatte condizioni di testualità» (De Beaugrande RobertAlain, Dressler Wolfang Ulrich, Einführung in die Textlinguistik. Tübingen, 1981, Max Niemeyer, trad. it, Introduzione alla linguistica testuale, Bologna, il Mulino, 1984, pp. 28-29). Dunque un testo è efficiente se la comunicazione tra due interlocutori, sia che si tratti di testo scritto che di testo orale, riesce richiedendo il minimo sforzo inferenziale da parte di entrambi gli interlocutori. È effettivo se riesce nel fine preposto da chi lo ha prodotto e se questo fine è condiviso da chi lo riceve. È appropriato se il contenuto è conforme a quanto richiesto dalle condizioni di testualità che, come accennato, non riguardano esclusivamente la struttura interna del testo, ma anche dei fattori esterni ad esso e legati agli interlocutori.
Uso e interpretazione Nel trattare il testo e la testualità e le diverse definizioni che ne possono essere date vi è un elemento costante ovvero il ruolo interpretativo del destinatario/lettore, che deve sempre essere considerato. Nessuno studioso, infatti, qualsiasi sia la sua posizione teorica, negherà mai lo scopo comunicativo che soggiace a qualunque produzione testuale. Si può anche decidere di spostare totalmente il peso speculativo verso questo termine e allora ridefinire nuovamente il testo in sua funzione. Umberto Eco non si è mai occupato in maniera specifica di testo ma lo ha affrontato nel trattare altre questioni, in particolare quella dell’interpretazione e del ruolo del lettore. «Il testo è [...] intessuto di spazi bianchi, di interstizi da riempire, e chi lo ha emesso prevedeva che essi fossero riempiti e li ha lasciati bianchi per due ragioni. Anzitutto perché il testo è un meccanismo pigro (o economico) che vive sul plusvalore di senso introdottovi dal destinatario [...]. E in secondo luogo perché, via via che a dalla funzione didascalica a quella estetica, un testo vuole lasciare al lettore l’iniziativa interpretativa, anche se di solito desidera essere interpretato con un margine sufficiente di univocità. Un testo vuole che qualcuno lo aiuti a funzionare. [...] un testo postula il proprio destinatario come condizione indispensabile non solo della propria capacità comunicativa concreta ma anche della propria potenzialità significativa. In altri termini, un testo viene emesso per qualcuno che lo attualizzi» (Eco Umberto, Lector in fabula la cooperazione interpretativa nei testi narrativi, Milano, Bompiani, 1979, pp. 5253).
Dunque il testo è un “organismo” inerte che si presta ad essere manipolato da qualcuno che possa dargli la vita, ovvero il lettore che, di conseguenza, diviene condizione dell’esistenza stessa del testo come veicolo di contenuti. «Un testo è un artificio sintattico-semantico-pragmatico la cui interpretazione prevista fa parte del proprio progetto generativo» (Eco Umberto, Lector in fabula la cooperazione interpretativa nei testi narrativi, Milano, Bompiani, 1979, p. 67).
L’attivazione del testo, la sua trasformazione in qualcosa di comunicativo e significante per qualcuno è strettamente connessa alle competenze del lettore, le quali vengono definite in termini di “enciclopedia”, concetto che ritorna più volte nella produzione di Eco e che sta ad indicare competenze di tipo grammaticale, semantico, di inferenziazione, disambiguazione, eccetera che consentono al lettore di comprendere e interpretare un testo in maniera corretta: «quando interpretiamo qualcosa, anche una semplice parola [...] attiviamo virtualmente tutto quello che nella nostra cultura ha una qualche attinenza con quella parola, o frase, o testo di qualsiasi tipo» (Pozzato Maria Pia, Semiotica del testo, Roma, Carocci editore, 2003, p. 118); attiviamo, in altri termini, componenti del nostro bagaglio culturale che serviranno da “motore” per la nostra “auto” che è il testo.
Concepire il testo come una macchina pigra o come avente dei “buchi” da riempire non significa naturalmente assumere che esso non abbia un contenuto specifico e che sia dunque alla “mercé interpretativa” di chiunque lo scelga. Vi sono sempre delle scelte dietro al testo che riguardano le possibili letture a cui esso si apre; da qui le definizioni di «testo aperto» (suscettibile di una pluralità di letture) e «testo chiuso» (interpretabile in un solo modo) che riguardano innanzitutto le decisioni dell’autore che, nella generazione di un testo, agisce rivolgendosi a un lettore specifico, dunque a una serie di competenze che intende attivare o addirittura istituire nel suo lettore. «Per organizzare la propria strategia testuale un autore deve riferirsi a una serie di competenze (espressione più vasta che “conoscenza di codici”) che conferiscano contenuto alle espressioni che usa. Egli deve assumere che l’insieme di competenze a cui si riferisce sia lo stesso a cui si riferisce il proprio lettore. Pertanto prevederà un Lettore Modello capace di cooperare all’attualizzazione testuale come egli, l’autore, pensava, e di muoversi interpretativamente così come egli si è mosso generativamente. [...] L’autore da un lato presuppone ma dall’altro istituisce la competenza del proprio Lettore Modello. [...] Un testo non solo riposa su, ma contribuisce a produrre una competenza» (Eco Umberto, Lector in fabula la cooperazione interpretativa nei testi narrativi, Milano, Bompiani, 1979, pp. 55-56). Il Lettore Modello viene definito da Eco quale strategia testuale prevista quale elemento “in potenza” nel testo dall’autore empirico, nel momento in cui costui
ne prevede un percorso interpretativo, un significato specifico, verso cui intende indirizzare il proprio lettore. Perché la finalità comunicativa del testo si attualizzi, è necessario che il lettore empirico collabori con l’autore empirico mettendo in atto la strategia del Lettore Modello di cui costui accetta tacitamente l’esistenza e che disvela al solo scopo di seguirla. Inoltre « [...] il lettore empirico, come soggetto concreto degli atti di cooperazione, si deve disegnare un’ipotesi di Autore deducendola appunto dai dati di strategia testuale [...]. Deduce un’immagine tipo da qualcosa che si è precedentemente verificato come atto di enunciazione e è presente testualmente come enunciato» (Eco Umberto, Lector in fabula la cooperazione interpretativa nei testi narrativi, Milano, Bompiani, 1979, p. 62). Capita che l’autore empirico lasci tracce evidenti della “propria presenza” all’interno del testo, come si verifica anche il contrario: spetta al lettore il duplice compito di rispettare il ruolo designato dal Lettore Modello e di cogliere l’essenza dell’Autore Modello inteso come serie di operazioni testuali. Solo così si realizza la cooperazione: «Per cooperazione testuale non di deve intendere l’attualizzazione delle intenzioni del soggetto empirico dell’enunciazione, ma le intenzioni virtualmente contenute nell’enunciato. [...] il lettore empirico per realizzarsi come Lettore Modello, ha dei doveri “filologici”: ha cioè il dovere di ricuperare con massima approssimazione possibile i codici dell’emittente» (Eco Umberto, Lector in fabula la cooperazione interpretativa nei testi narrativi, Milano, Bompiani, 1979, p. 63). Il lettore empirico dunque interpreta il testo nel momento in cui ne attiva la strategia generativa soggiacente, seguendo quelle che sono le direttive implicite del suo autore. Ma ciò non toglie che egli possa accostarvisi in modo differente, decidendo di interpretarlo in maniera del tutto personale e strumentale, allo scopo di trarne ad esempio dei contenuti finalizzati a un piacere soggettivo ma per nulla pertinenti alla strategia dell’autore empirico. Qui ci troviamo nel campo « [...] dell’uso libero di un testo assunto quale stimolo immaginativo dell’interpretazione» (Eco Umberto, Lector in fabula la cooperazione interpretativa nei testi narrativi, Milano, Bompiani, 1979, p. 59). Posto che anche agire in termini di uso significhi comunque agire entro delle limitazioni imposte dal testo, questo è comunque un atteggiamento differente rispetto all’interpretazione intesa come realizzazione di una strategia autoriale.
L’uso è dunque un modo di tenere in esercizio la semiosi, ma non è interpretare il testo, cioè ricostruire il suo significato legittimo o quanto meno legittimabile. Si può assimilare a quella possibilità che Barthes chiama “testo di godimento”, intesa come fruizione che va oltre le conoscenze culturali dal testo trasmesse. L’uso può essere un modo per trarre, a partire dal testo, informazioni extratestuali ad esempio sull’autore o sul contesto di riferimento; ma differisce da ciò che si intende con interpretazione ovvero modo di seguire i percorsi dettati dal lessico dell’opera e dai mondi possibili in essa contenuti condizionati sempre dalle scelte dettate dallo status del Lettore Modello. Rapportate al testo elettronico ed alle possibilità da esso offerte (o meglio offerte dai i su cui viene visualizzato), le nozioni di uso e interpretazione possono assumere delle interessanti sfumature. Se l’interpretazione sostanzialmente non ne risulta problematizzata, appunto perché riguarda la generazione di percorsi semantici condizionati da scelte dell’autore che, oscillando tra un grado maggiore o minore di apertura, guidano il lettore verso il proprio Modello, diverso è il discorso dell’uso. Uso di un testo, si è detto, equivale a una sorta di “metabolizzazione” messa in atto dal lettore che decide, a partire da esso, di trarre informazioni ma anche sensazioni estetiche e non, poste su un livello diverso da quello testuale. Tale tipo di “impiego” del testo lo rende come una sorta di piattaforma di decollo da cui partire per giungere verso i più disparati approdi e risulta, se messo in rapporto al testo elettronico, indubbiamente potenziato. Questo perché si moltiplicano quasi all’infinito i richiami e i collegamenti extratestuali cui si accede in maniera diretta grazie alle funzionalità dei dispositivi di lettura, intesi come percorsi costruiti in autonomia dal lettore oppure suggeriti direttamente dal testo. È questa seconda direzione, a quanto pare, quella verso cui mirano i pionieri del libro elettronico di seconda generazione, inteso non come semplice conversione del cartaceo in un formato digitale, ma come prodotto ipermediale autonomo e aperto verso un’ampia rete di collegamenti. Nell’ebook che, rispetto al libro cartaceo, si presenta come testo “astratto” e digitale, anche l’uso si “digitalizza” diventando una nozione molto più complessa quanto più complessa è la dimensione extratestuale che si genera attorno ad essa; è un uso che equivale a possibilità, laddove queste possibilità sono potenzialmente infinite se riportate non solo alle connessioni costruite dal lettore ma a quelle suggerite e offerte dal prodotto.
Il paratesto «Lo statuto di un’opera dipende dal o che lo trasmette. Il o materiale – o virtuale se si parla di uno schermo – è fondamentale per il modo di ricevere un testo e dunque per la sua interpretazione» (Cadioli Alberto, Dall’editoria moderna all’editoria multimediale. Il testo, l’edizione, la lettura dal Settecento ad oggi, Milano, edizioni Unicopoli, 2001, p. 29).
Considerare la questione dell’interpretazione del testo significa assumere il fatto che il testo si trovi all’interno di una dimensione pubblica, sociale che gli conferisce esistenza sotto diverse forme e tramite diversi i. È altresì conseguente che il o (nello specifico di questo lavoro, cartaceo o elettronico) o la forma siano determinanti nei processi di costruzione dei significati che vengono influenzati sia dell’editore e dall’autore, che dal lettore. Una delle forme che il testo può assumere è il libro stampato. «Il libro stampato è composto da segni grafici del testo, cioè dai suoi segni linguistici [...] e in più, da tutti quegli elementi che si aggiungono sia sotto forma di paratesto sia come componenti materiali: carta inchiostro, rilegatura, eccetera. Il libro è dunque testo nella sua materialità: il termine – in greco biblìon, in latino liber – ha sempre indicato un o che proponeva “fisicamente” un testo scritto» (Cadioli Alberto, Dall’editoria moderna all’editoria multimediale. Il testo, l’edizione, la lettura dal Settecento ad oggi, Milano, edizioni Unicopoli, 2001, p. 38). E ancora: « [...] il paratesto può essere definito come l’insieme di quegli elementi grazie ai quali il testo diventa libro» (Cadioli Alberto, Dall’editoria moderna all’editoria multimediale. Il testo, l’edizione, la lettura dal Settecento ad oggi, Milano, edizioni Unicopoli, 2001, p. 38). Dalle molteplici potenzialità di un testo, inteso nella sua “immaterialità” si giunge al libro dunque, per tramite del paratesto. La nozione di paratesto è introdotta e minuziosamente analizzata da Gerard Genette; sta ad indicare tutto quell’insieme di elementi che accompagnano il testo e che lo rendono un libro, sia materialmente, che in quanto oggetto inserito in una rete di relazioni sociali e culturali: « [...] l’accompagnamento di un certo numero di produzioni, esse stesse verbali o non verbali, come un nome d’autore,
un titolo, una prefazione, delle illustrazioni, delle quali non è sempre chiaro se debbano essere considerate o meno come appartenenti ad esso, ma che comunque lo contornano e lo prolungano per presentarlo, appunto, nel senso corrente del termine, ma anche nel suo senso più forte: per renderlo presente, per assicurare la sua presenza nel mondo, la sua “ricezione” e il suo consumo, in forma, oggi almeno, di libro» (Genette Gérard, Seuils, Paris, Éditions du Seuil, 1987, trad. It Soglie. I dintorni del testo a cura di Camilla Maria Cederna, Torino, Einaudi, 1987 p. 3).
Il paratesto si suddivide in due categorie spaziali: « [...] un elemento del paratesto, se costituito da un messaggio materializzato, ha necessariamente un’ubicazione, che si può situare in relazione al testo stesso» (Genette Gérard, Seuils, Paris, Éditions du Seuil, 1987, trad. It Soglie. I dintorni del testo a cura di Camilla Maria Cederna, Torino, Einaudi, 1987 p. 6). Definiamo peritesto tutta quella serie di componenti che sono collocati nello spazio del libro, come la copertina e i suoi risvolti, prefazione e postfazione, i titoli e sottotitoli, le note, le illustrazioni, eccetera. È dunque tutto ciò che sta «intorno al testo, nello spazio del volume stesso» (Genette Gérard, Seuils, Paris, Éditions du Seuil, 1987, trad. It Soglie. I dintorni del testo a cura di Camilla Maria Cederna, Torino, Einaudi, 1987 p. 6). «Sempre intorno al testo ma a distanza più rispettosa (o più prudente), tutti i messaggi che si trovano, almeno originariamente, all’esterno del libro» (Genette Gérard, Seuils, Paris, Éditions du Seuil, 1987, trad. It Soglie. I dintorni del testo a cura di Camilla Maria Cederna, Torino, Einaudi, 1987 p. 7) costituiscono l’epitesto ovvero tutto ciò che pur trovandosi intorno al libro non ne fa parte materialmente, ovvero la collezione editoriale, le recensioni, interviste, pubblicazioni, altri libri o riviste, il diario dell’autore, eccetera. Il paratesto equivale naturalmente all’insieme di scelte dell’editore e talvolta dell’autore che si traducono in strategie dedicate al posizionamento del libro sul mercato e dunque alla capacità di attrattiva nei confronti del potenziale lettore. Possiede, in questo senso, uno «statuto pragmatico che è definito dalle caratteristiche della sua istanza, o situazione, di comunicazione: la natura del destinatore [per l’appunto l’autore/editore], del destinatario [in genere il lettore,
ma anche critici, librai, eccetera] il grado di autorità e responsabilità del primo, la forza illocutoria del suo messaggio, e indubbiamente da qualche altra caratteristica che ora mi sfugge» (Genette Gérard, Seuils, Paris, Éditions du Seuil, 1987, trad. It Soglie. I dintorni del testo a cura di Camilla Maria Cederna, Torino, Einaudi, 1987 p. 10). La forza illocutoria, direttamente legata all’effetto che il paratesto vuole ottenere, essendo veicolo di informazioni, nel suo destinatario, ci rimanda al valore funzionale di esso: «il paratesto in tutte le sue forme, è un discorso fondamentalmente eteronomo, ausiliare, al servizio di qualcos’altro che costituisce la sua ragion d’essere, che è il testo» (Genette Gérard, Seuils, Paris, Éditions du Seuil, 1987, trad. It Soglie. I dintorni del testo a cura di Camilla Maria Cederna, Torino, Einaudi, 1987 p. 13). Esso è una componente che ritroviamo in qualunque edizione di un libro e su qualsiasi o; a tal proposito Genette: « [...] i modi e le possibilità del paratesto si moltiplicano incessantemente secondo le epoche, le culture, i generi, gli autori, le opere, le edizioni della stessa opera, con differenze di pressione spesso notevoli» (Genette Gérard, Seuils, Paris, Éditions du Seuil, 1987, trad. It Soglie. I dintorni del testo a cura di Camilla Maria Cederna, Torino, Einaudi, 1987 p. 5). E ancora: «non esiste e non è mai esistito un testo senza paratesto» (Genette Gérard, Seuils, Paris, Éditions du Seuil, 1987, trad. It Soglie. I dintorni del testo a cura di Camilla Maria Cederna, Torino, Einaudi, 1987 p. 5). Ogni produzione testuale infatti, anche quelle più antiche, i manoscritti, i rotoli, senza copertine o prefazioni, ovvero privi degli elementi che oggi chiamiamo paratesto, in realtà possedevano elementi ad esso equivalenti. Pensiamo al proemio dei testi poetici o alle illustrazioni dei testi miniati. Il paratesto condivide la propria genesi ed evoluzione dunque, con il testo materializzatosi in libro. Il libro non esiste al di fuori dei “limiti” paratestuali. Gli elementi paratestuali non esistono se non per un testo ed entro una comunità di lettori: « [...] si potrebbe dire che il paratesto possiede i caratteri delle figure retoriche, la cui comprensione è possibile solo dentro le convenzioni linguistiche e sociali dell’epoca e del luogo in cui quelle figure sono in corso. Il paratesto non può essere astratto dalla presenza (anche se non fisica) dei lettori potenziali ai quali è indirizzato, dal momento che non si può eliminare il sistema letterario, il sistema culturale, il sistema ideologico e così via, in rapporto ai quali si manifestano gli elementi paratestuali» (Cadioli Alberto, Dall’editoria moderna all’editoria multimediale. Il testo, l’edizione, la lettura dal Settecento ad oggi,
Milano, edizioni Unicopoli, 2001, p. 51).
L’ebook ‘paratestuale’ Il paratesto possiede dunque un carattere “sociale” direttamente derivato dal rapporto che esso stabilisce con il contesto culturale in cui viene prodotto che lo condiziona e lo struttura. Il paratesto si evolve e si modifica con l’evolversi della cultura scritta e dell’editoria; viene messo in discussione, ripensato, adattato e in alcuni casi stravolto. Pensiamo all’ebook, innovazione editoriale che sta assumendo forma ed esistenza autonoma fuoriuscendo dai canoni strutturali del libro classico per via, soprattutto, delle potenzialità offerte dal o tecnico che lo veicola. E il cambiamento della sostanza espressiva che lo caratterizza influisce inevitabilmente sui suoi caratteri paratestuali. Pensando al peritesto, il libro elettronico è, generalmente (e salvo casi in cui ad esempio ritroviamo ebook gratuiti costituiti dal nudo testo senza elementi aggiuntivi: ma in tal caso forse non è nemmeno corretto parlare di ebook), strutturato in maniera tale da riprodurre la conformazione del libro cartaceo ma, inevitabilmente presenta delle caratteristiche che, rispetto al libro come noi lo conosciamo da secoli, non solo differiscono ma vanno oltre. Lo statuto paratestuale dell’ebook si lega, inevitabilmente, al o materiale che ne fa da veicolo. Innanzitutto la “soglia” genettiana con cui il lettore stabilisce un primo contatto, il peritesto più esterno non è la copertina, ma un dispositivo elettronico (notebook, lettore ereader dedicato, eccetera) che non intrattiene alcun legame con il contenuto che trasmette e che non è unico per ciascun testo ma può fare da o a diversi libri o essere utilizzato per diverse funzionalità non direttamente legate alla lettura. Ciò che il lettore incontra per primo nell’ebook è, più precisamente, una sorta di pre-soglia, dunque niente a che vedere con il peritesto “tradizionalmente” inteso. Superata questa “soglia della soglia” il lettore incontra un prodotto singolare, intangibile e impalpabile che conserva la stessa materia espressiva ma la struttura in maniera conforme a un diverso tipo di sostanza fatta non di fogli di carta rilegati ma di pixel. Nell’ebook, il peritesto è parte integrante del testo, si fonde e si confonde con
esso, in un unico prodotto ipermediale: il formato si standardizza perché non si ha più a che fare con prodotto a stampa e tutti gli altri elementi (copertina, frontespizio, note, eccetera) formano un continuum rispetto al testo stesso. La composizione, intesa da Genette come «materializzazione del testo» (Genette Gérard, Seuils, Paris, Éditions du Seuil, 1987, trad. It Soglie. I dintorni del testo a cura di Camilla Maria Cederna, Torino, Einaudi, 1987 p. 36) si slega dai caratteri « [...] d’ordine estetico (qualità della carta, della stampa), economico (valore di mercato di un esemplare), ed eventualmente materiale (maggiore o minore longevità)» (Genette Gérard, Seuils, Paris, Éditions du Seuil, 1987, trad. It Soglie. I dintorni del testo a cura di Camilla Maria Cederna, Torino, Einaudi, 1987 p. 36) ma si concentra prettamente su caratteristiche funzionali come ad esempio la leggibilità e dunque si interessa di scelta della font, margini, spaziature, eccetera. Il testo elettronico, inoltre, può essere manipolato dal lettore che può modificarne la risoluzione, aumentare la dimensione dei caratteri, inserire segnalibri, evidenziare, eccetera: la caratteristica che più si lega al rapporto tra testo e paratesto riguarda infatti una sorta di “apertura” dell’ebook. Il paratesto sia negli elementi peritestuali che epitestuali non è chiuso né vincolato da un’architettura gerarchica predefinita come avviene per il libro tradizionale, ma si apre, come avviene per il testo, alle esigenze del lettore. Costui può “decostruire” il libro elettronico, per poi ricostruirlo e con esso decidere di rielaborare le informazioni paratestuali, integrando con note, citazioni, informazioni biografiche dell’autore, informazioni bibliografiche reperite da fonti alternative a quelle canoniche e “indicate” dal paratesto: ciò a partire dall’ebook stesso o meglio a partire dalle funzionalità offerte dai dispositivi di lettura che offrono, ad esempio, collegamenti diretti dal testo alla rete o a fonti suppletive. «L’ordine del libro è decostruito, l’autorità dell’autore è indebolita, spetta ai lettori di far nascere il senso attraverso le loro letture plurali e i loro percorsi variabili. Laddove il libro tradizionale cercava di introdurre una strutturazione unica del reale, il testo digitale rinvia il lettore al paradigma della complessità che è proprio della nostra epoca. Decostruire i libri per proporne una nuova lettura, non è il cuore dell’attività di lettura quando questa non si accontenta di essere una registrazione iva di enunciati formulati da altri?» (Torrente, http://www.edscuola.it/archivio/software/e_book.pdf).
Siamo qui approdati a quello che è il territorio dell’epitesto, ovvero, ripetiamolo, quell’«elemento paratestuale che non si trova annesso al testo nello stesso volume, ma che circola in qualche modo in libertà, in uno spazio fisico e sociale virtualmente illimitato. Il luogo dell’epitesto è dunque anywhere out of the book, ovunque al di fuori del libro» (Genette Gérard, Seuils, Paris, Éditions du Seuil, 1987, trad. It Soglie. I dintorni del testo a cura di Camilla Maria Cederna, Torino, Einaudi, 1987 p. 337). Le scelte epitestuali che riguardano la pubblicazione di un libro cartaceo sono dovute anche a motivazioni pragmatiche e funzionali dettate da decisioni dell’editore o all’autore e rivolte al “pubblico”. Ad esempio, riprendendo Genette: « [...] quando un autore [...] sceglie di presentare la sua opera – in questo caso il suo inizio di opera – attraverso un’intervista che una prefazione, una simile scelta ha sicuramente una sua ragione e in ogni caso induce degli effetti come i seguenti: raggiungere un pubblico più vasto di quello dei primi lettori, ma, anche, rivolgergli un messaggio costitutivamente più effimero» (Genette Gérard, Seuils, Paris, Éditions du Seuil, 1987, trad. It Soglie. I dintorni del testo a cura di Camilla Maria Cederna, Torino, Einaudi, 1987 p. 337). Che si tratti di interviste, prefazioni, pubblicità a vario titolo, diari “pubblici” o privati, mediazioni di vario tipo, queste solitamente sono dirette dal lavoro dei destinanti del libro che mirano a degli effetti specifici sui loro destinatari. Ma con l’ebook il rapporto epitesto-destinante-destinatario muta radicalmente in ragione di quell’apertura e di quelle possibilità decostruttive di cui prima si era parlato. Le possibilità offerte dai i di visualizzazione del libro elettronico consentono al lettore infatti di costruire i propri percorsi di lettura integrando con tutte le informazioni che più possono risultargli congeniali. Non solo quanto pensato dal destinante, autore o editore che sia, ma tutto quanto immaginato e richiesto dal lettore rientra nell’epitesto che assume un carattere aperto e dislocato in ragione per l’appunto dell’attività del lettore. Niente di nuovo se si considera la possibilità che ha il lettore di integrare le proprie letture ricercando altrove informazioni; in realtà l’innovazione sta proprio nel prodotto stesso e nei suoi i che si prestano sia come strumenti di lettura che di navigazione per la ricerca di fonti informative alternative. Si è accennato di come già Genette assumesse la paratestualità, le sue forme, la
sua interpretazione, quali direttamente legati al contesto socio-culturale. Prendendo in analisi l’ebook, il quadro in cui nasce e il modo in cui esso influenza i nostri modi di pensiero e azione, concependo il libro e le sue appendici come strutture aperte e dai confini sempre ridefinibili, diviene naturale pensare che anche il prodotto culturale più antico del mondo si declini in variabili che possano soddisfare delle esigenze che sono proprie e peculiari della nostra cultura. Si pensi ad esempio alla molteplicità di canali divulgativi che ci bombardano di notizie e alle possibilità che abbiamo di scegliere in autonomia quali sfruttare e che tipo di informazioni trarne. A ciò si aggiunge la possibilità di accedere contemporaneamente a più fonti, confrontare, verificare integrare quanto a nostra disposizione in maniera del tutto autonoma, per lo più tramite l’utilizzo della rete. Tutte queste possibilità si riversano inevitabilmente sul modo dell’individuo di manipolare la cultura e di agire nel sociale assimilando procedure di elaborazione tipiche dei sistemi di cui si serve. Ci riferiamo in modo particolare all’elaborazione multitasking, per cui il cervello è in grado di svolgere più compiti simultaneamente senza provocare interferenze: come nel computer si ha la possibilità di aprire varie finestre ed elaborare in parallelo le informazioni, anche il nostro cervello è capace di svolgere più compiti contemporaneamente. La formazione cerebrale diviene in tal modo più flessibile e capace di suddividere l’attenzione in molteplici attività di elaborazione delle memorie e breve termine. È consequenziale che queste capacità cognitivo-pragmatiche richiedano un contesto adeguato alla loro applicazione. L’ebook è aperto al multitasking in maniera diversa rispetto al libro cartaceo perché offre al lettore delle funzionalità che gli permettono di mettere in pratica e sviluppare questa capacità tipica della nostra epoca che consiste in un modo diverso di pensare la comunicazione, l’informazione e il libro quale medium comunicativo, consentendogli di costruire i propri percorsi non sequenziali, né gerarchici, ma liberi e simultanei. Ritornando al nostro argomento di interesse, ovvero il paratesto dunque, potremo tranquillamente affermare che non è, come nel libro cartaceo, dato una volta per tutte, ma è costruito e ricostruito dal lettore che elabora delle informazioni secondo le proprie conoscenze pregresse e le proprie necessità attuali e future nonché può essere considerato una delle risposte alle necessità dettate da capacità cognitive specifiche della nostra cultura.
LA SVOLTA INTERSEMIOTICA
Dal punto di vista teorico considerare il aggio dal testo cartaceo all’ebook significa prendere spunto da un ampio raggio di problematiche derivanti da quel settore di studi semiotico-linguistici che si occupano di traduzione. È certamente un tipo di traduzione inusuale quella che qui si intende discutere e, per essere esplicata, richiede la trattazione di diverse nozioni teoriche.
Materia, sostanza, forma Si è detto che i testi sono «segni primari» (Dressler Wolfang Ulrich, Einführung in die textlinguistik, Max Niemyer Verlag, Tübigen, 1972, trad. it., Introduzione alla linguistica del testo, Roma, Officina edizioni, 1974, p. 24) che l’uomo esprime in forma orale o scritta, finalizzati a uno scopo comunicativo e che, in quanto segni, o sistemi organizzati di segni, possono essere analizzati dal punto di vista del rapporto che intercorre tra la materia espressiva di cui si servono per veicolare dei contenuti semantici particolari e i contenuti stessi. I concetti di espressione e contenuto e i rapporti che intercorrono tra essi sono presi in esame da diversi teorici della lingua, tra i quali Louis Hjelmslev: « [...] qualunque segno, qualunque sistema di segni, qualunque sistema di figure organizzate in funzione dei segni, qualunque lingua contiene in sé una forma dell’espressione e una forma del contenuto. [...] il piano dell’espressione e il piano del contenuto si possono descrivere in maniera esauriente e coerente come strutturati in modo analogo, sicché nei due piani si prevedono categorie strutturate in maniera identica. [...] Esse sono definite solo in maniera oppositiva e relativa, come funtivi reciprocamente opposti di una medesima funzione» (Hjelmslev Louis, Prolegomena to a theory of language, Regents of University of Winsconsin, 1961, trad. it. Fondamenti della teoria del linguaggio, Torino, Einaudi, 1968, pp. 64 – 65). La funzione di cui parla lo studioso è quella semiotica. Il piano dell’espressione e il piano del contenuto risultano strutturati in maniera analoga secondo delle categorie a partire dalle quali si generano delle corrispondenze, per convenzione, per somiglianza, per contiguità. Queste categorie sono materia forma e sostanza: « [...] la “sostanza” è l’interpretato, la “forma” è l’interpretante – che può essere a sua volta interpretato da un altro interpretante, cioè essere a sua volta “sostanza”. La “materia” (purport) è ciò che reso interpretato da un interpretante. [...] Simile alla nuvola di Amleto cambia aspetto da un momento all’altro [...]. Il lavoro semiotico [le] conferisce forme diverse e su [di essa] ogni lingua traccia le sue particolari suddivisioni; materia che è fisica, acustica nel caso delle lingue, per ciò che concerne la forma dell’espressione, ma che è anche la “massa del pensiero” amorfa, per ciò che concerne la forma del contenuto» (Ponzio Augusto, Calefato Patrizia, Petrilli Susan, Fondamenti della filosofia del
linguaggio, Roma - Bari, Laterza, 1999, p. 50). Dunque in “principio” c’è la materia che nel caso del testo è il continuum dei segni verbali, che si presta a divenire sostanza espressiva una volta assunta una forma specifica. La forma è dettata dal tipo di canale comunicativo che si decide di adottare e che delinea i parametri a partire dai quali la materia diviene sostanza; la sostanza di per sé è ciò che la forma estrae da un ventaglio di possibilità offerte della materia. «Prima che la lingua naturale abbia posto un ordine al nostro modo di esprimere l’universo, il continuum o materia è una massa amorfa e indifferenziata. Parti di tale massa vengono linguisticamente organizzate per esprimere altre parti della stessa massa [...]. Questo accade anche con altri sistemi semiotici: in un sistema di segnalazione stradale si selezionano certe forme visive e certi colori per esprimere ad esempio, direzioni spaziali. In una lingua naturale la forma dell’espressione seleziona alcuni elementi pertinenti nel continuum o materia di tutte le possibili fonazioni e consiste di un sistema fonologico, di un repertorio lessicale e di regole sintattiche. In riferimento alla forma dell’espressione si possono generare varie sostanze dell’espressione» (Eco Umberto, Dire quasi la stessa cosa, Esperienze di traduzione, Milano, Bompiani, 2003, p. 39).
Il concetto di sostanza sarà decisamente importante per comprendere come si realizza la particolare forma di traduzione con cui si può intendere il aggio dal formato cartaceo al formato digitale del libro.
Da testo a [...] testo Nell’analizzare la questione del rapporto tra linguistica e traduzione-argomento tutt’oggi ampliamente dibattuto e, nello specifico della traduzione intersemiotica, non del tutto sviluppato. Roman Jakobson distingueva tra tre forme di interpretazione, una sola delle quali, la traduzione interlinguistica, era da intendersi traduzione propriamente detta: «La traduzione endolinguistica o riformulazione [che] consiste nell’interpretazione dei segni linguistici per mezzo di altri segni della stessa lingua; della traduzione interlinguistica o traduzione propriamente detta [che] consiste nell’interpretazione dei segni linguistici per mezzo di un’altra lingua; la traduzione intersemiotica o trasmutazione che consiste nell’interpretazione dei segni linguistici per mezzo di sistemi di segni non linguistici» (Jakobson Roman, Essais de linguistique générale, Éditions de Minuit, 1963, trad. it. Saggi di linguistica generale, Milano, Saggi Feltrinelli, 2002, p. 57). Queste definizioni si rifanno alla visione di Charles Peirce, secondo cui « [...] sia per il linguista che per il parlante comune, il senso della parola altro non è che la trasposizione di esso in un altro segno che può essere sostituito in quella parola» (Jakobson Roman, Essais de linguistique générale, Éditions de Minuit, 1963, trad. it. Saggi di linguistica generale, Milano, Saggi Feltrinelli, 2002, p. 57) e che rimanda alla nozione di significato, per l’appunto, come interpretazione. La distinzione tra diversi tipi di traduzione e il rapporto tra traduzione e interpretazione sono stati risolti da Umberto Eco in una classificazione che prendendo in esame diverse tipologie traduttive le riunisce in un item un po’ più complesso e diversificato. Eco distingue innanzitutto tra: interpretazione per trascrizione come il codice Morse che obbedisce a una specifica codifica; interpretazione intrasistemica che avviene all’interno dello stesso sistema semiotico o della stessa lingua naturale; e intersistemica che si compie tra sistemi semiotici diversi. Quest’ultima, verificandosi, può determinare: variazioni di sostanza per cui si parlerà di interpretazione intersemiotica, interpretazione interlinguistica o rifacimento; mutazioni di materia definite come parasinonimia o trasmutazione. La variazione di sostanza è in realtà un fenomeno che interessa anche
l’interpretazione intrasistemica: « [...] ci sono interessanti casi di interpretazione intrasistemica, ovvero di interpretazione intrasemiotica, in sistemi non verbali. Potremmo parlare, con qualche licenza metaforica, di riformulazione per un brano musicale trascritto in una diversa tonalità [...]. Oppure quando si pantografa un disegno, o quando si riduce di scala o si semplifica (o al contrario si definisce meglio) una mappa. [...] Ogni volta che si abbia proiezione su scala ridotta cambia la sostanza dell’espressione, ma essa cambia anche quando la stessa frase viene pronunciata da due parlanti diversi, gridata o sussurrata, e il cambiamento viene accettato come non pertinente per amore di interpretazione» (Eco Umberto, Dire quasi la stessa cosa, Esperienze di traduzione, Milano, Bompiani, 2003, p. 238). Le mutazioni che avvengono però nella sostanza nei casi di interpretazione intrasistemica sono considerate poco rilevanti poiché, di solito, queste sono finalizzate a una sorta di chiarificazione del termine sottoposto a interpretazione. Diverso è il caso della interpretazione intersistemica: « [...] si pensi [...] alla riproduzione a stampa di un opera pittorica, dove la tessitura continua della superficie dipinta viene tradotta in termini di retino tipografico. Il procedimento sembra essere regolato da criteri puramente meccanici, ma si sa di editori che, nel preparare libri o cataloghi d’arte, fanno delle scelte, talora arbitrarie, per rendere ad esempio più brillanti e attraenti i colori del quadro riprodotto» (Eco Umberto, Dire quasi la stessa cosa, Esperienze di traduzione, Milano, Bompiani, 2003, p. 255). In questi casi, continua Eco, non c’è « [...] mutazione di materia [...], perché testo a fronte e testo di destinazione si manifestavano all’interno di un continuum comune» (Eco Umberto, Dire quasi la stessa cosa, Esperienze di traduzione, Milano, Bompiani, 2003, p. 256). Questo è a nostro avviso ciò che avviene nel aggio dal cartaceo all’ebook, in quanto si può assumere che questi si trovino in una sorta di continuum verbale. Da testo a [...] testo dunque, perché si rintraccia tra i due prodotti, una continuità resa possibile dalla comunanza del medesimo sistema di segni, ovvero un codice verbale scritto. A tal proposito Gideon Toury sostiene che: «perché sia possibile individuare un’operazione di trasferimento è necessario che le due entità abbiano qualcosa in comune [...]. Qualsiasi operazione di trasferimento presuppone la presenza di qualcosa di “costante nella trasformazione”. [...] ogni relazione a priori tra i codici non viene loro imposta in
maniera totalizzante, il che la condurrebbe ad agire indiscriminatamente su ogni livello, ma viene applicata solo a un livello specifico. È evidente che sarà proprio questo livello a prestarsi a essere impiegato come variabile, mentre i restanti livelli rimarranno inalterati e potranno assumere la funzione di costanti» (Gideon Toury in Nergaard Siri (a cura di), Teorie contemporanee della traduzione. Testi di Jakobson, Levý, Lotman, Toury, Eco, Nida, Zohar, Holmes, Meschonnic, Paz, Quine, Gadamer, Derrida, Milano, RCS Libri e Grandi Opere S.p. A., 1995, pp. 105-107). Nella trasformazione di un libro in un ebook la costante è la materia espressiva, ovvero il segno verbale composto sulla pagina per mezzo di programmi di videoscrittura; però cambia il o ossia la “forma dell’espressione”, per cui muta la sostanza, perché si a dalla superficie bidimensionale del foglio di carta stampato al pixel dello schermo del terminale di lettura. Si a da una forma che determina una sostanza concreta, tangibile e analogica a un altra che produce invece una sostanza astratta, impalpabile e digitale. La traduzione così intesa comporta delle scelte (come avveniva per l’editore del catalogo d’arte menzionato da Eco) che riguardano la resa ottimale del libro una volta verificatosi il aggio da una sostanza all’altra. L’attenzione si concentra specificatamente su aspetti come la formattazione e dunque la dimensione e la tipologia della font scelta, la spaziatura tra i caratteri, l’interlinea, i margini e tutto quanto potrebbe incidere sulla leggibilità che varia al variare del o. Nell’ ebook di fatti, il segno verbale potenzia in maniera particolare la sua componente grafico-visiva: questo aspetto non può essere tralasciato dall’editore che decide di trasporre un libro in digitale e che con ciò offre al suo lettore un prodotto diverso, che non solo deve uguagliare il libro di partenza ma deve “superarlo” in virtù per l’appunto delle potenzialità tecnologiche che lo caratterizzano. Il processo di traduzione intersistemica, così inteso, ovvero incidente prettamente sulla sostanza è meno complesso delle traduzioni che invece interessano la materia dei sistemi coinvolti, in quanto il contenuto non viene alterato significativamente rispetto al testo “madre” che peraltro è, per il libro stampato e per il libro elettronico il medesimo, ovvero il testo digitalizzato. Si può osservare però che la complessità si situa altrove e riguarda la potenzialità che risiede nei contenuti del testo che possono essere amplificati e di conseguenza inerisce anche all’effetto che il cambiamento di sostanza produce
sul destinatario. Riprendendo gli esempi portati da Eco in riferimento alla trasposizione grafica: « [...] in genere questi sono casi in cui l’interpretante sembrerebbe dire “meno” dell’espressione interpretata (c’è per esempio la perdita di colore), ma si potrebbe anche decidere in qualche modo, in certe litografie o incisioni ottocentesche, diceva di più perché adattava l’immagine originale ai gusti dei propri destinatari» (Eco Umberto, Dire quasi la stessa cosa, Esperienze di traduzione, Milano, Bompiani, 2003, p. 256). L’adattamento del testo al gusto del proprio destinatario, che richiama la nozione di uso del testo, diverso e collaterale rispetto all’interpretazione, è una delle possibilità offerte dal libro elettronico che dice di più rispetto al proprio antesignano cartaceo nella misura in cui si apre alle necessità del proprio lettore che può attivamente scegliere i percorsi di lettura che preferisce e se dispone di dispositivi dedicati, può istituire dei collegamenti intertestuali personalizzati. Ancora un altro esempio: «Si è parlato di traduzione intrasistemica (all’interno dello stesso sistema semiotico) per le trascrizioni di un brano musicale in un’altra tonalità. Ma ecco un caso in cui una trascrizione implica un mutamento timbrico [...]. il mutamento timbrico non è un fenomeno da poco [...]. Cambiando il timbro l’effetto sull’ascoltatore è diverso. Entra in gioco un sensibile mutamento di sostanza» (Eco Umberto, Dire quasi la stessa cosa, Esperienze di traduzione, Milano, Bompiani, 2003, p. 257). Il mutamento di sostanza produce sempre un effetto diverso sul destinatario/lettore diverso: spesso questo effetto coincide con l’apertura del prodotto verso altre dimensioni che emergono dal testo stesso o vengono istituite dal lettore. È questa la peculiarità della traduzione quale viene inteso il aggio da un libro cartaceo classico a un libro in formato ebook, ove la sostanza dell’espressione, per via delle caratteristiche dettate dal “dispositivo formante” appare come possibilità di scandaglio e ampliamento del contenuto verso direzioni che non sempre sono previste da chi ha pensato il prodotto. La traduzione di per se stessa risulta essere un meccanismo di rafforzamento della struttura del testo inteso come meccanismo pigro; più che mai nell’ebook si verifica in maniera concreta ciò che nel testo cartaceo si definisce come possibilità teorica ovvero l’intervento attivo del lettore nel “riempimento” dei vuoti del testo, non solo realizzando quel Lettore Modello che è possibilità insita
nel testo e studiata dall’autore, ma valicando la soglia interpretativa verso quell’uso soggettivo di cui si è parlato in precedenza.
Le conslusioni risiedono nel lettore
Che si parli di testualità, di uso e interpretazione, di materia/forma/sostanza, di editoria tradizionale e di ebook, costante pare rimanga il leit motiv della melodia argomentativa. Tutto quanto discusso fin qui, di fatti, richiama l’importanza del lettore, figura attorno a quale sia la teoria dell’ebook proposta, nonché la sua materia in un continuo evolversi, ruotano. Il libro non è solo un prodotto commerciale o un oggetto affettivo, ma è prima di tutto un testo, che assume i suoi caratteri culturali nel momento in cui viene introdotto in una rete intertestuale fatta di elementi materiali e immediati, ma anche impalpabili e non fisicamente legati ad esso. Tali caratteri derivano, prima di tutto, dall’ingegno di chi lo produce, ma necessitano dell’intervento di un utente per essere attivati, ando, dunque, dalla “potenza” all’“atto”. Il rapporto tra il lettore e il libro muta sensibilmente, se a mutare è la sostanza in cui il prodotto si presenta. Il aggio dal libro cartaceo all’ebook può essere definito, nei termini di traduzione intersemiotica, come processo in cui si verifica un cambiamento di sostanza espressiva. Tale traduzione si realizza a partire da un testo composto di fogli di carta rilegati tra loro, ma con un’anima digitale, a un altro testo che, invece, è digitale “anima e corpo”. La materia espressiva (il testo digitalizzato) rimane costante e non viene modificata se non nei termini di sostanza; questa si lega a un tipo di forma diverso che, nel caso dei libri elettronici, concerne il tipo di o utilizzato per la visualizzazione. L’utente è il fine ultimo della filiera che, pertanto, subisce il suo condizionamento nei termini in cui costui compie delle scelte. Tali scelte, hanno sia un effetto pratico (orientando le valutazioni dei produttori) che semiotico; poiché il lettore, di fronte a un dispositivo elettronico - che, oltre a costituire una sorta di pre-soglia, gli apre un mondo di possibilità conoscitive (o informative che dir si voglia) - cambia approccio nei confronti del testo. Riprendendo la distinzione tra uso e interpretazione proposta da Umberto Eco, il testo non è più solo oggetto di interpretazione ma anche riferimento d’uso. Esso diviene piattaforma di partenza verso risultati non più esclusivamente semantici.
Ci si chiede chi è, allora, il lettore dell’ebook, e vi sono ottime ragioni per credere che spesso non si tratti dello stesso tipo di lettore che sceglie il libro cartaceo. Questo si ritiene dipenda dal modo in cui uso e interpretazione si bilanciano nell’approccio del lettore, nonché dal ‘tipo’ di uso che viene messo in opera; che sia un uso attento alla dimensione semantica del testo, oppure alla dimensione pratica, rivolta alle funzionalità offerte dal dispositivo di lettura. Se si prende in considerazione un ebook rivolto al mondo della formazione e dell’istruzione, il lettore (inteso fisicamente e nella sua dimensione psicologica) sarà lo stesso del libro cartaceo, nel senso che avrà le medesime competenze e aspettative. Si dia il caso della figura che può essere definita “lettore forte”, inteso come l’acquirente abituale, il bibliomane, l’estimatore della quarta di copertina. Cosa dovrebbe spingere costui a preferire un da casa, dal fare un giro in libreria o dallo sfogliare il libro nuovo (o ancor di più quello antico custodito in biblioteca); o ancora a leggere da un dispositivo elettronico, preferendolo alle odorose pagine di un libro nuovo? Probabilmente nulla. Altrettanto probabilmente lo farà, se sarà il mercato ad imporlo o, ancora, lo farà, solo per provare il “gingillo” elettronico acquistato da poco. Tuttavia, sembra un altro lo stereotipo del lettore di ebook, speculare al “modello” descritto poc’anzi. Si tratta di colui che pur non possedendo una ione per la lettura e i libri, è più sensibile e influenzabile dall’innovazione tecnologica. Costui, presumibilmente in possesso di uno smartphone, un tablet, un iPad o un lettore ereader, acquisterà l’ebook per sperimentare una delle funzionalità del dispositivo: lo definiremmo, antiteticamente rispetto al primo modello, “lettore debole”. Questo è l’ebook. Oltre la sua triplice natura, una commistione di elementi teorico culturali che investono e al contempo sono investiti dal vivere sociale, lo modellano e ne sono modellati; un evoluzione parallela a tratti intrecciata in cui il cordone comune è chi sta sfogliando queste pagine. Lungi dalla pretesa dell’esaustività, quanto fin qui argomentato vuole essere occasione di spunto su diversi versanti che vanno dall’editoria, intesa come mercato, a tutte le implicazioni socioculturali che vi soggiaciono; il tutto con la aspettativa di avere stimolato il lettore, “forte” o “debole” che sia.
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