J. S. BACH (1685-1750)
MESSA IN SI MINORE (BWV 232)
La Messa in si minore (BWV 232) di Johann Sebastian Bach è stata spesso considerata una delle più belle opere musicali mai composte, e da qualcuno addirittura la prima in assoluto 1. Tra i più decisi estimatori di questo capolavoro c’è Carl Friedrich Zelter, compositore, amico di Goethe e suo consulente musicale. Promotore della prima esecuzione della ione secondo Matteo (sotto la direzione del suo allievo Mendelssohn), nel 1811 definiva la Messa in si minore “verosimilmente il più grande capolavoro musicale che il mondo abbia visto”. Un giudizio analogo è quello di Hans Georg Nägeli, che curò la prima edizione dell’opera nel 1818. Ma spesso succede che le cose più belle abbiano intricati natali. E' anche il caso di questo capolavoro: la storia della sua composizione è infatti singolare.
La missa del 1733 Come è noto, l’’ordinario’ della messa latina, ossia il testo comune a tutte le messe (contrapposto al ‘proprio’, ossia quella parte della messa la cui presenza era legata alla specifica occasione liturgica) era costituito da cinque sezioni: Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus, Agnus dei. Lutero intervenne in due modi sulla liturgia romana, una prima riforma (1523) lasciava comunque intatto il testo latino dell’ordinario, sicché nelle occasioni in cui la messa veniva cantata si continuavano a intonare tutte e cinque le sezioni; una seconda riforma (1526) introdusse un altro principio: quello della sostituibilità del testo latino con inni in tedesco, cantati sui corali, che traducevano il testo latino. Da questi due interventi partì la formazione della liturgia protestante, che si manifestò per lo più in forme miste di funzione, in cui parte dell’ordinario era mantenuta in latino e parte era sostituita da inni in tedesco. All’epoca di Bach, Kyrie e Gloria erano ancora recitati prevalentemente in latino, mentre il resto della funzione era costituito da inni in tedesco. Pertanto l’’ordinario’ delle funzioni liturgiche che veniva intonato, nelle grandi occasioni, a più voci (figuraliter) era in quell’epoca, nei paesi luterani, ristretto alla composizione di Kyrie 1
Il giudizio di Albert Schweitzer (J. S. Bach il poeta musicista, Suvini Zeroni, Milano,1952-1979, p. 269) è nettamente positivo, ma con qualche riserva: "La Messa in si minoreé senz'altro l'opera più vigorosa e più grandiosa del maestro, ma tuttavia non possiede quell'organica unitarietà che è la caratteristica ed il pregio della ione secondo S. Matteo. Nella Messa il soggettivismo religioso che è quasi l'anima della musica di Bach, non può avere libero sfogo; per quanto non manchino alcune parti ispirate a questo misticismo individualistico tutto tedesco, come ad esempio i brani Et incarnatus est e Crucifixus, tuttavia l'insieme ha piuttosto carattere di oggettività. Questa Messa è quasi un tentativo non riuscito di sintesi tra il soggettivismo protestante e lo spirito oggettivo cattolico, sintesi nella quale però le parti protestanti sono troppo scarse in contfronto a quelle che vogliono rappresentare il dogma cattolico."
e Gloria. Tali composizioni erano chiamate ‘messa luterana’ o missa brevis o deutsche Messe, o semplicemente missa. 1
Si sa che Bach compose, tra il 1733 e il 1748 sei messe brevi, la prima delle quali (BWV 232 , che Bach intitola, appunto, missa) fu da lui inviata con dedica al nuovo principe elettore di Sassonia, Federico Augusto II, accompagnata da una richiesta di concessione del titolo onorario di “compositore di corte”. In alcune parti di tale messa breve Bach ricorse alla consueta prassi della ‘parodia’, ossia riutilizzò, con adattamenti di varia entità, sue composizioni precedenti che risalivano agli anni venti.
La missa tota Tra il 1747 e il 1748, Bach realizzò un progetto per lui senza precedenti (e senza seguito): la composizione di una messa in latino che comprendesse tutto l’ordinario. Non si sa quale sia stata la motivazione a un’impresa così insolita per un compositore di area protestante: non ci sono dediche, né si conoscono committenze e neppure esecuzioni nei due anni successivi di vita che gli restavano (la prima esecuzione integrale documentata con sicurezza è del 1859). In questo vuoto è fiorita una serie di congetture, che purtroppo sono rimaste tali. Bisogna notare che una messa comprendente l’intero ordinario in latino non era necessariamente incompatibile con la funzione protestante dell’epoca, ma solo estremamente inusuale. Tuttavia, fin dal diciassettesimo secolo i compositori tedeschi, di norma, se avevano bisogno di un prodotto del genere per lo più non lo producevano essi stessi, ma utilizzavano le composizioni di autori italiani, che continuavano necessariamente a produrre messe complete in latino. Si sa che Bach stesso, tra la fine degli anni ’30 e gli anni ’40, studiò e trascrisse tutta la Missa sine nomine di Palestrina (ma ne eseguì solo il Kyrie e il Gloria) e la Missa sapientiae di Lotti, esempi che sicuramente influenzarono la composizione della sua missa tota. È certo, comunque, che la scelta di produrre personalmente una messa di questo genere si colloca in un’epoca della vita di Bach a cui appartengono altre grandi imprese compositive affrontate senza apparente committenza né altro scopo visibile se non quello di testimoniare e tramandare il proprio pensiero musicale in opere di imponente levatura: la terza parte della Klavierübung, la seconda parte del Wohltemperierte Klavier, e Die Kunst der Fuge. Per attuare il suo progetto Bach ricorse ancora a composizioni precedenti: l’idea di base fu di completare la 1
messa breve BWV 232 , di cui si è parlato sopra, dunque di ampliarla aggiungendo Credo, Sanctus e Agnus dei (sebbene tali testi risultino divisi in modo incongruo con la divisione tradizionale). Non c’è nulla di inusuale nella pratica bachiana della parodia, già utilizzata per la messa breve del ’33 e ora impiegata per ampliarla. D’altronde, la costruzione di un’opera con l’assemblaggio di materiali diversi potrà costituire problema solo dopo lo sviluppo della concezione romantica dell’opera d’arte come prodotto di un singolo atto creativo unitario, originale e irripetibile. Certo è che Bach non riutilizzava composizioni precedenti per mancanza di fantasia o di ispirazione, né tantomeno per pigrizia! L’inserimento in un lavoro di grande respiro di opere d’occasione (tipicamente, numeri di cantate) che, trascorsa l’occasione, erano destinate a restare ineseguite o quasi, era di per sé un sistema per salvare dall’oblio creazioni di straordinario pregio che, secondo il compositore, meritassero il lavoro, spesso non
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banale, di adattamento in contesti più ampi e duraturi. Questa considerazione ha suggerito l’ipotesi che Bach abbia voluto in questa messa creare come una galleria ideale delle sue composizioni vocali più riuscite nella poliedrica tavolozza stilistica di cui egli ebbe una maestria ineguagliata al suo tempo: la cantata da camera (arie), l’omofonia verticale (inizio del Sanctus), la polifonia che ricorda gli ultimi fiamminghi (secondo Kyrie), la composizione concertante in doppio coro alla veneziana (Osanna), il cantus firmus
del mottetto (Credo e
Confiteor), l'interpretazione pittorica 'ingenua' del testo attraverso figure retorico-musicali (Et incarnatus e Crucifixus), l'esegesi teologico-speculativa del testo mediante un simbolismo musicale nascosto ( Crucifixus, Sanctus e altre sezioni). Quali numeri esattamente siano parodie e quali no è tuttora insicuro. Nel Credo compare il brano più antico tra quelli riutilizzati noti: il Crucifixus (originale del 1714). Quello immediatamente precedente, l’Et incarnatus, non ha modelli conosciuti e fu aggiunto alla Messa in si minore dopo che era stata terminata da Bach (un ripensamento); pertanto è ritenuto di nuova fattura, forse l’ultimo brano corale scritto da Bach. Dalla compatta continuità stilistica, emotiva e drammatica di questi due numeri l’ascoltatore potrà farsi un’idea della consumata perizia con cui Bach era capace di inserire il vecchio nel nuovo; e potrà altresì riflettere sulla misura in cui una concezione evolutiva e progressiva dello stile individuale dell’artista sia fuori luogo nell’accostarsi a un musicista preclassico. Del resto, il solo brano di cui si sappia con certezza che fu composto appositamente per l’ampliamento della messa è il vasto Confiteor, che nel suo monumentale arcaismo potrebbe esser stato scritto trent’anni prima. La Messa in si minore (questo “capolavoro sospeso nel vuoto” come lo definisce Alberto Basso) è anche una delle più estese (forse la più estesa) che siano mai state composte: consta di ben 2492 battute. Comprende 15 brani corali, 6 arie e 3 duetti, per un totale di 24 brani. Il coro ha un ruolo largamente predominante anche per la durata complessiva e non solo per il numero di brani. Tra i cori, 6 sono a 4 voci, 7 sono a 5 voci, 1 (il Sanctus) è a 6 voci e 1 (l'Osanna) è a 8 voci (cioè un doppio coro a 4 voci). L'ultimo, il Dona nobis pacem è la ripetizione del Gratias (n. 6), con testo diverso ma esattamente la stessa musica. La dimensione monumentale, la straordinaria gamma stilistica, l’apparente gratuità, la sublime riuscita musicale, l’incredibile densità concettuale, sono tutti elementi che concentrati in una singola opera han contribuito decisivamente a farne un’icona universale della musica colta occidentale.
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I. KYRIE Il "Kyrie" è insolitamente ampio in questa Messa. Le pochissime parole "Kyrie eleison; Christe eleison; Kyrie eleison" danno luogo a ben tre brani distinti, due corali e un duetto.
1. KYRIE Coro a 5 voci (10' 22'')2 Testo Kyrie eleison Commento La Messa inizia direttamente col coro, che subito, senza nessuna introduzione orchestrale, con “un motto di quattro battute apre perentoriamente la pagina con un tutti significativamente mancante delle solenni trombe” (Basso). In questa frase abbiamo una modulazione dalla tonalità di si minore alla sua dominante, fa diesis maggiore. Il tempo è "adagio". Notare i vocalizzi, prima dei soprani primi e poi dei soprani secondi, che si staccano dalla massa corale. Subito dopo l'orchestra inizia una lunghissima fuga, con un tema dal carattere “tortuoso” (Basso) e nettamente strumentale 3. E' un tema abbastanza complesso per una fuga: è costituito da 4 battute lente, con molte crome e semicrome: un tema molto bello, dal carattere meditativo: è forse la melodia più conosciuta di tutta la Messa. Per me è uno dei quattro brani più belli dell'opera (gli altri sono, per me, il "Cum sancto spiritu", il "Gratias agimus" ripreso nel finale, e il "Confiteor"). Il tema della fuga viene intonato prima dai flauti primi insieme agli oboi primi, poi dai rispettivi secondi e successivamente dai fagotti. Quando, dopo questa introduzione strumentale, interviene il coro, il tema viene proposto prima dai tenori, poi dai contralti, dai soprani primi, dai soprani secondi e infine dai bassi. Segue una nuova parte per sola orchestra, poi la seconda parte della fuga comincia stavolta con i bassi, seguiti da tenori, contralti, soprani primi e soprani secondi. Nella terza parte cominciano invece i soprani primi, seguiti da soprani secondi e poi, dopo molte battute, dai bassi.
2. CHRISTE Duetto per 2 soprani (5' 18'') Testo Christe eleison Commento E' un tipico duetto da cantata, in re maggiore (la tonalità maggiore relativa al si minore di tutta la messa) con le due voci che si inseguono e di volta in volta si ricongiungono, con parti a canone e parti in omofonia. L’accompagnamento strumentale è molto contenuto e si limita a due violini e basso continuo. Per Schweitzer 4, questa seconda versione del Kyrie "con la sua musica serena e gioisa, vuole esprimere quella "fede soggettiva in Cristo che è la base del dogma luterano."
2 Le durate dei vari brani sono quelle dell'edizione discografica della Philips (direttore Neville Marriner, Academy and Chorus of St. Martin-in -the-Fields, registrazione: novembre 1977). 3 Osservazione di Georg von Dadelsen, e anche di Hermann Rauhe. 4 Cfr. op. cit., p. 269.
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Dopo un lungo fregio di scale e arpeggi dei violini, i due solisti espongono la prima frase una prima volta in perfetta omofonia (salvo l’ultima battuta). Poi comincia a manifestarsi la tecnica dell’imitazione: il soprano primo propone una frase seguita a mezza battuta di distanza dal soprano secondo che espone la stessa linea melodica con qualche modifica. E il gioco dell’inseguirsi e del raggiungersi e del tornare a separarsi continua tra le due voci, sullo sfondo dell’inarrestabile su e giù delle semicrome dei due violini. Gli strumenti eseguono un breve interludio, dopo di che il duetto prosegue. Nuovo interludio strumentale e nuovo episodio vocale, con una variante della melodia. E sono naturalmente gli strumenti a concludere da soli tutto il brano.
3. KYRIE Coro a 4 voci (4' 03'') Testo
Kyrie eleison
Commento Di nuovo una fuga. A differenza del primo Kyrie, qui le voci sono quattro e non cinque (i soprani, cioè cantano insieme, invece di essere divisi in due sezioni). Cominciano i bassi (accompagnati dal basso continuo e dai fagotti), seguiti, in ordine ascendente, da tenori (raddoppiati dalle viole), contralti (accompagnati dai violini secondi) e infine dai soprani (accompagnati dai violini primi). Praticamente è un pezzo quasi ‘a cappella’: anche se gli strumenti ci sono non eseguono parti indipendenti, ma si limitano a duplicare le parti delle diverse voci del coro. E' un pezzo non molto orecchiabile al primo ascolto, in stile arcaico, piuttosto 'severo'. E' caratterizzato da intervalli molto brevi, spesso di un solo semitono. Dopo un primo giro il tema è riproposto dai bassi, ma dà luogo ad un episodio centrale caratterizzato da una variante della melodia iniziale, di andamento un po’ discendente e un po’ altalenante, mentre il volume sonoro complessivo si amplia sensibilmente. Ma un tono di intimo raccoglimento sopraggiunge subito con la ripresa della fuga, che viene riproposta dai contralti seguiti, nell’ordine, da tenori, soprani e bassi. Verso la fine la frase delle scale discendenti viene ripetutamente ripresa, e qui emergono i soprani che ovviamente ne intonano la versione più acuta. Nella conclusione, in un brevissimo 'stretto'5, i bassi, anche se sono quasi sommersi dalle altre voci, ripren dono il tema principale della fuga – seguiti a brevissima distanza dai soli soprani - e il pezzo si conclude.
II. GLORIA Mentre il Kyrie ha uno stile che corrisponde allo stile tipico della musica religiosa di Bach (a quello delle ioni, per esempio), la maggior parte del Gloria riprende gli aspetti più brillanti della sua musica profana (di quella dei Concerti brandeburghesi, per esempio, o delle Suites per orchestra): è insomma il Bach più vicino a Haendel. Tuttavia anche qui sono presenti brani di carattere più meditativo, come il bellissimo Qui tollis. Eccezionalmente abbiamo in questa sezione due arie solistiche contigue (prima dell'ultimo brano corale) che però si differenziano per la tonalità e l'accompagnamento strumentale. Il Gloria si divide in otto parti: 1) Gloria, per coro a cinque voci 2) Laudamus te, aria per contralto 3) Gratias agimus, per coro a quattro voci 4) Domine Deus, duetto per soprano e tenore 5) Qui tollis, per coro a quattro voci 6) Qui sedes, aria per contralto 7) Quoniam, aria per basso 8) Cum sancto spiritu, per coro a cinque voci.
5 Punto culminante della fuga, in cui le voci si succedono a più breve distanza.
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Per quanto riguarda l'architettura del Gloria, Christoph Wolf6 osserva come i quattro brani solistici che vi sono compresi sono caratterizzati ognuno da un diverso strumento principale di accompagnamento: il violino per il Laudamus te, il flauto per il Domine Deus, l'oboe d'amore per il Qui sedes, e il corno per il Quoniam. Hermann Rauhe7 osserva che le diverse sezioni di questa parte hanno un’architettura basata sul contrasto: “Alla brillante prima sezione in re maggiore (‘Gloria in excelsis’) succede immediatamente un più solenne ‘Et in terra pax’ a 4/4 nel tono della sottodominante (sol maggiore). <…> Le sezioni seguenti propongono l’alternanza logica dei soli e dei tutti, che viene interrotta solo in un punto. Per concludere il Gloria con un brano per ‘tutti’ (‘Cum sancto spiritu’) Bach lascia che si succedano due brani solistici, che tuttavia contrastano tra loro sia per la tonalità che per l’accompagnamento strumentale”.
4. GLORIA Coro a 5 voci (6' 34'') Testo Gloria in excelsis Deo et in terra pax hominibus bonae voluntatis. Commento Questo brano è stato successivamente usato da Bach nella cantata di Natale in latino Gloria in excelsis Deo. Anche il n. 7 e il n. 77 sono stati riutilizzati, con testo cambiato, in questa cantata scritta nel 1740. Il brano si compone di due parti: la prima, sulla prima metà del testo (Gloria in excelsis Deo) è in tempo vivace in 3/8; la seconda parte, a cui si a senza soluzione di continuità ha un andamento più tranquillo ed é in 4/4. Nell'introduzione orchestrale si fa subito sentire il suono festoso delle trombe. Dopo 24 veloci battute il tema viene intonato dai contralti, cui seguono i tenori e poi il coro al completo. Il tema è caratterizzato da un alternarsi di crome staccate a semicrome legate. L'andamento di questo brano ha qualche somiglianza col brano finale di tutto il Gloria (cioè col Cum sancto Spiritu). Brani a canone si alternano con altri omofonici 8. Dopo le prime nove battute di coro, si ha un nuovo o orchestrale e poi il coro riprende a canone, cominciando stavolta coi soprani primi, seguiti dai soprani secondi. Questa volta il tema viene sviluppato un po' più ampiamente. Ci sono poi altre 4 battute di sola orchestra e il tema viene ripreso in forma di fuga, ma solo per poche battute. L'intreccio polifonico si sviluppa ulteriormente finché si a di colpo dal tempo di 3/8 a quello di 4/4 per cantare la seconda metà della frase del testo: et in terra pax hominibus bonae voluntatis. Alberto Basso (cit.) dice che questa ‘eterea fuga’ “chiama in causa la multitudo militiae coelestis (di cui parla il Vangelo di Luca (2.14) quando dice che “subito si unì all’angelo una moltitudine della milizia celeste che lodava Dio e diceva “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà”). Il tema della fuga viene enunciato prima da tutto il coro in modo un po' polifonico e un po' omofonico. Seguono alcune battute di sola orchestra in cui il tema viene esposto in modo più chiaro preparando il suo trattamento fugato subito dopo. La nuova fuga viene iniziata dai soprani primi, seguiti da contralti, tenori, bassi e, per ultimi, da soprani secondi. Apprezzate la bellezza di questo tema, che inizia sempre su un tempo debole, ed esattamente sull'ultimo ottavo della battuta (per cui diventa difficile, per chi canta, cominciare al momento giusto). E' un tema formato da coppie di crome ascendenti, legate due a due, che dà l'impressione di un saltellare moderato ma allegro di fanciulle su un prato. Il controsoggetto9 della fuga è invece un lungo e vivace vocalizzo di semicrome. Questo contrasto tra il tema delle crome accoppiate e quello del vocalizzo è veramente molto piacevole. Più avanti si hanno di nuovo delle frasi omofoniche seguite un'altra volta da i fugati fino alla conclusione del brano.
5. LAUDAMUS TE Aria del soprano secondo (4' 59'') Testo Laudamus te, benedicimus te, adoramus te, glorificamus te.
6 Nell'opuscoletto illustrativo citato sopra. 7 Nell’opuscoletto illustrativo citato. 8 Cioè brani in cui tutti vanno allo stesso ritmo e dicono le stesse parole contemporaneamente. 9 Cioè il tema che fa da contrappunto a quello principale e che è parte costitutiva di ogni fuga.
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Commento Per Schweitzer 10, qui, come in altri i, si nota l'aspetto protestante di questa Messa: il brano "anziché aver forma corale come vorrebbe il testo, è scritto per una voce sola con accompagnamentpo di violino quasi ad esprimere l'estasi dell'anima che ha trovato la pace in Cristo." Il brano è è una tipica aria da cantata, molto virtuosistica e abbastanza bella. Notare le terzine dell'accompagnamento del violino, e l'andamento a volte sincopato della melodia della solista. Il brano inizia con un’introduzione orchestrale che prepara il primo intervento della solista. Un interludio degli strumenti prepara quindi la seconda sezione, che presenta una variante della melodia già ascoltata. Ma dopo poche battute un secondo episodio strumentale introduce una terza sezione che comincia stavolta con la parola “adoramus”. Qui la melodia è trasformata in modo più consistente, anche se resta uguale lo stile complessivo. Dopo di che, senza soluzione di continuità, il soprano a alla ripresa del tema iniziale che viene presentato in forma identica per diverse battute e solo nella parte finale si modifica per poi lasciare di nuovo la parola finale agli archi.
6. GRATIAS coro a 4 voci (2' 48'') Testo
Gratias agimus tibi propter magnam gloriam tuam.
Commento E’ uno dei due o tre brani più belli, a mio parere, di tutta la Messa. Ed è anche uno dei due più conosciuti. Anche qui si tratta di una ‘parodia’. La musica infatti è stata ripresa dalla canta n. 29. In questa messa la stessa musica viene ripresa in modo identico - come già detto - nel brano finale, nel 'Dona nobis pacem'. Si tratta di una fuga di stile antico, tradizionale, dall'andamento pacifico e tran quillo. La melodia del soggetto della fuga ha un andamento ascendente, con le voci che si inseguono a distanza breve, di una battuta o di mezza battuta: cominciano i bassi, seguiti, l'una dopo l'altra, dalle voci più alte. Questa ascesa dà quasi l’impressione di un rafforzarsi reciproco delle voci nell’ascesa del ringraziamento verso il cielo. Alla quinta battuta appare il controsoggetto, sulle parole 'propter magnam gloriam', caratteriz zato da note più brevi (semiminime e crome invece di minime e semiminime). Piano piano il tono generale si fa più festoso. Le trombe, che prima si manifestano con una certa moderazione, poi, con un generale effetto di crescendo, intervengono con maggiore decisione fino ad arrivare ad una conclusione trionfale, con vocalizzi sulle note alte delle diverse voci, e anche delle stesse trombe. Alla fine alle trombe si uniscono anche i timpani per preparare così una conclusione solenne e trionfale.
7. DOMINE DEUS duetto soprano I e tenore (5' 44'') Testo Domine Deus, rex coelestis, Deus, pater omnipotens. Domine fili unigenite, Jesu Christe, Domine Deus, agnus dei, filius patris. Commento E' un tipico duetto da cantata, parallelo all’altro pezzo solistico del ‘Gloria’ (il “Laudamus te” n. 5). Ma i due brani solistici sono molto diversi e in qualche modo contrastanti (come osserva Hermann Rauhe nel suo commento nell’opuscoletto annesso al disco con la messa diretta da Neville Marriner) sia per la tonalità (qui sol maggiore, prima la maggiore) sia per la strumentazione: qui il protagonista è il violino, lì lo era il flauto. Uno dei principali motivi d'interesse del brano consiste nell'alternarsi di i a canone con i in omofonia completa o parziale (cioè limitata alle note, anche se i solisti pronunciano testi diversi). Alberto Basso commenta in questo modo il brano: “le due voci – acute – propongono dapprima simultaneamente i due primi versetti (sul Padre e sul Figlio) ma alternandosi nelle proposte dei due testi e conducendo il discorso in imitazione; sul terzo versetto, quello dell’Agnus Dei, invece, le due voci procedono in perfetto parallelismo e su un unico testo”. 10 Op. cit. p. 269.
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La musica di questo brano è stata successivamente riutilizzata da Bach nella cantata Gloria in excelsis Deo, sostituendo questo testo con quello del Gloria Patri. La conclusione sfuma nel brano seguente. Nella stessa battuta finale del “Domine Deuus” i contralti del coro si introducono per iniziare il successivo
8. QUI TOLLIS coro a 4 voci (3' 25'') Testo Qui tollis peccata mundi, miserere nobis, suscipe deprecationem nostram Commento E' il primo dei brani 'tristi' di questa Messa. E' un brano fugato, il cui tema principale è ca ratterizzato da un disegno discendente seguito da una nota lunga sulla quale di solito si fa una 'messa di voce' 11. Su questa struttura si inseriscono altri elementi di interesse musicale che ne fanno un brano molto bello. Notare anche il melanconico, anche se relativamente mosso ricamo delle semicrome dei flauti.
9. QUI SEDES Aria per contralto (5' 08'') Testo Qui sedes ad dexteram patris, miserere nobis. Commento Questo terzo brano solistico del ‘Gloria’ è caratterizzato da un altro strumento dominante: nel. N. 5 c’era il flauto, nel n. 7 il violino, qui abbiamo l’oboe d’amore (e nel successivo n. 10 il corno da caccia). Belle le brevi improvvise pause che danno un piccolo effetto di ‘suspence’. E interessante il contrasto tra le note tenute della solista e le semicrome dell'oboe d'amore 12 sullo sfondo delle note staccate del violoncello. Gli strumenti introducono la melodia ripresa poi dalla solista. Dopo un interludio strumentale comincia una seconda sezione con una variante della prima melodia, mentre successivamente, dopo un nuovo episodio strumentale, il contralto propone, sulle parole “miserere nobis” una melodia abbastanza differente.
10. QUONIAM Aria per basso (5' 48'') Testo Quoniam tu solus sanctus, tu solus Dominus, tu solus altissimus, Jesu Christe Commento E' forse il più bello tra i brani solistici di questa Messa. Caratteristica è la presenza dei corni da caccia, con le loro note alte ma cupe. Alle minime e semiminime dei corni da caccia si contrappongono i valori più brevi (crome e semicrome) degli altri strumenti e del basso. I corni da caccia portano avanti una melodia loro, indipendente, che si combina con quella in parte diversa e in certi punti uguale del solista. Quest'aria è anche indovinata per la sua posizione. Il suo andamento relativamente tranquillo contrasta con il brano che viene subito dopo. Quando il basso dice la sua ultima frase con maggiore enfasi, attenzione: c'è una conclusione orchestrale, con la ripresa del tema dei corni da caccia, che - con un 'rallentando' - fanno capire che la conclusione é prossima. E improvvisamente SCOPPIA, senza preavviso, il successivo esplosivo pezzo per coro. La nota finale del corno da caccia coincide con la prima nota dei tenori e dei contralti del
11. CUM SANCTO SPIRITU coro a 5 voci (3' 57") Testo 11 La 'messa di voce' é un 'crescendo' effettuato su una nota tenuta. Spesso si ha 'messa di voce' in occasione di una dissonanza e serve proprio a metterla in evidenza: il culmine del crescendo arriva nel punto in cui un'altra voce cambia nota, mentre la voce con la nota lunga prolunga (con un 'ritardo') la propria, enfatizzando così la dissonanza. 12 Fritz Volbach (op. cit.) definisce la parte dell'oboe d'amore in questo brano come "la più bella voce che sia mai stata scritta per questo strumento".
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Cum sancto spiritu in gloria Dei patris. Amen. Commento Il 'Cum sancto spiritu' è tradizionalmente un brano brillante, ma questa versione di Bach rappresenta forse il record da questo punto di vista, soprattutto se eseguito a grande velocità (nell'esecuzione diretta da Karl Richter assume un ritmo impetuoso e irrefrenabile). Per questo aspetto il brano finale del 'Gloria' richiama anche il carattere del brano iniziale ('Gloria', appunto). E, come è anche tradizionale, il brano contiene una sezione abbastanza estesa che è una fuga (di solito esso coincide totalmente con una fuga). Il brano é musicalmente identico al finale della cantata 191 ('Gloria in excelsis deo') con l'unica differenza del testo. Da notare soprattutto: a) le trombe, che qui sono importantissime b) il contrasto tra le note lunghe e note brevi tra diverse sezioni del coro c) gli arpeggi dei bassi sullo sfondo delle note lunghe delle altre voci in certi punti Il tempo è di 6/8, quindi è un tempo ternario (quello della prima parte del 'Gloria' iniziale era di 3/8) All'attacco di tenori e soprani secondi fa seguito, fin dalla seconda battuta, l'intervento dell'intero coro. Replicano soprani primi e contralti, e di nuovo tutto il coro insieme. Subito dopo: note lunghe tenute di tutte le voci, tranne i bassi che snocciolano baldanzosamente un grandioso arpeggio. Le cose continuano così per alcune battute, dopo di che la trama comincia a complicarsi. Poi di nuovo note tenute, stavolta di tutto il coro, compresi i bassi (l'arpeggio qui lo fanno le trombe). Nuovo ingarbugliamento e poi (dopo circa 20-25 secondi dall'inizio del pezzo) comincia la fuga, su uno sviluppo del tema iniziale. Incasinamento generale, poi tutti si ritrovano insieme sulla parola "Amen". Quattro battute di sola orchestra, poi riappare il coro con "Amen, in gloria dei patris". Di nuovo note lunghe di tutto il coro, di nuovo "in gloria dei patris", e poi comincia la seconda sezione della fu ga, iniziata, sullo stesso tema, ma in altra tonalità, dai soprani primi. Le altre voci si agganciano a distanza ravvicinata (é lo "stretto"). Nuovo complesso intreccio polifonico, nuove note lunghe di tutto il coro, nuovo addensamento, con progressioni13, e gran finale con svettante strombettamento delle trombe. Con questo brano finisce anche la prima delle due parti in cui di solito la Messa viene divisa nelle esecuzioni pubbliche.
III. CREDO "Dal punto di vista architettonico, il Symbolum Nicenum costituisce un culmine. Con il Crucifixus al centro, la simmetria e l'organizzazione ciclica delle nove sezioni, si riferisce evidentemente alla Croce, simbolo della fede cristiana. Formalmente ci sono due cori all'inizio e due alla fine <se si considerano il Confiteor e l'Et expecto come due brani distinti nonostante la mancanza di interruzione>. I due primi (Credo e Patrem omnipotentem) si ricollegano l'uno all'altro per il loro contenuto. Non vale lo stesso per i due ultimi ( Confiteor e Et expecto). La prima sezione di ciascuno di questi due gruppi è composta in contrappunto stretto, con l'antico tema del corale come cantus firmus e senza parti strumentali indipendenti. Le seconde sezioni mostrano invece una grande libertà nella tecnica di composizione e hanno bisogno di un accompagnamento strumentale più ricco" 14. Al centro ci sono invece - separati dalla parte iniziale e da quella finale mediante due brani solistici - "i tre cori Et incarnatus est, Crucifixus e Et resurrexit. Essi esprimono, nel modo più commovente, l'essenziale della storia del Cristo: l'incarnazione, la crocifissione e la resurrezione" 15. Il titolo esatto è "Symbolum Nicenum (Credo)". Così Bach probabilmente si voleva salvare dalla possibile accusa di incoerenza consistente nel fatto di scrivere una messa cattolica, lui che era protestante. Del resto i protestanti non avevano abolito del tutto la messa; ma la consideravano soltanto un rito di com memorazione. Il Credo è diviso in otto parti (o nove se si considera l'ultima, il Confiteor, composta di due brani uniti senza soluzione di continuità): 1) Credo in unum Deum, per coro a cinque voci 2) Patrem omnipotentem, per coro a quattro voci 3) Et in unum Dominum Jesum Christum, duetto per soprano e contralto 13Ripetizione di uno stesso frammento melodico su note successive, in senso ascendente o discendente. 14 Cfr. Rauhe. 15Ibidem.
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4) Et incarnatus est, per coro a cinque voci 5) Crucifixus, per coro a quattro voci 6) Et resurrexit, per coro a cinque voci 7) Et in Spiritum Sanctum dominum, aria per basso 8) Confiteor, per coro a cinque voci, seguito, senza soluzione di continuità, dal Et expecto resurrectionem mortuorum Buona parte del Credo è caratterizzato da uno stile piuttosto arcaico (chissà se questo non abbia a che vedere con il riferimento all'arcaico simbolo niceno?)
12. CREDO coro a 5 voci (2' 02") Testo Credo in unum Deum Commento Il carattere arcaico del Credo di Bach di cui si parlava sopra si vede soprattutto nel brano iniziale: lo si vede nella scelta del tempo (otto quarti), piuttosto inusuale, e poi nella presenza di "brevi" (note di otto quarti, appunto), molto rara nella musica posteriore al '700. E soprattutto lo si vede dalla scelta del tema, che è una (anche se non la più conosciuta) delle intonazioni gregoriana tradizionale del Credo, usata nella liturgia fin da tempi antichissimi. Fritz Volbach 16 scrive in proposito: "Un profondo simbolismo risiede nell'utilizzazione di questo motivo originario. Da esso esce fuori, come dalla radice della fede, tutto il brano; in nessun istante scompare, continua a risuonare in continuazione attraverso le diverse voci, partorendo se stesso, come la divinità, finché alla fine si perde in un potente allargamento come nella corrente dell'eternità". Come risultato dell’arcaismo che caratterizza il brano, all’ascolto si ha l’impressione di un canto di tipo ‘monacale'. A questa impressione contribuisce anche il fatto che i bassi cantano prevalentemente su note da tenori (e del resto tutte le voci si trovano piuttosto in alto). Il brano è sostanzialmente 'a cappella', in cui – a parte il basso continuo – gli strumenti non hanno ruoli indipendenti, ma si limitano a raddoppiare le parti delle voci. All'inizio non c'è orchestra, ma solo il basso continuo. Secondo Alberto Basso, si tratta di “un vero e proprio mottetto17 a 7 voci (5 vocali e 2 strumentali: cioè i violini primi e i violini secondi). La forma musicale è quella di una fuga. Sono i tenori a dare avvio al brano, con l‘intonazione, come sostituendo il sacerdote celebrante al quale la liturgia affida le prime parole del testo (“Credo in unum Deum”)”, mentre il basso continuo continua implacabilmente a scandire il tempo con le sue semimi nime in scale discendenti e ascendenti. Subito dopo le altre voci (nell’ordine: bassi, contralti, soprani primi e infine soprani secondi) si avvicendano nell’enunciazione del tema gregoriano. Verso la conclusione il tema gregoriano risalta con nuova enfasi quando i bassi lo espongono con valori raddoppiati. E, per coerenza con l’arcaismo del brano, nella conclusione abbiamo una cadenza 'plagale' (successione di accordi di sottodominante-tonica, invece che dominante-tonica). Il ricorso a questo tipo di cadenza era tuttavia abbastanza frequente nella musica religiosa, anche dopo Bach, ma qui si combina con gli altri arcaismi già menzionati e quindi ha un valore un po' diverso. E subito attacca il brano seguente:
13. PATREM coro a 4 voci (1' 52'') Testo Patrem omnipotentem, factorem coeli et terrae, visibilium omnium et invisibilium. Commento Qui l'arcaismo è meno pronunciato, un’elaborazione musicale più libera si sostituisce a quella più tradizionale (come ha osservato Rauhe, vedi sopra). La melodia, ancora discretamente 'monacale', ma meno di quella del brano precedente, inizia con minime e semiminime e poi si movimenta con una di screta frequenza di crome. L'inizio è teatralmente interessante perché mentre soprani, contralti e tenori continuano il testo del brano precedente, cantando "Credo in unum deum", i bassi si sovrappongono a loro iniziando un nuovo tema 16 op. cit. 17 Nel ‘Nuovo dizionario Ricordi della musica e dei musicisti’ il ‘Motetto’ (o ‘mottetto’) viene così definito: “una composizione corale a cappella, di soggetto sacro”.
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sulle nuove parole, e cioè "patrem omnipotentem", ecc. Poi anche le altre voci riprendono questo nuovo testo, ma ogni tanto ricompare l'esclamazione "Credo". Questo dualismo, questa sovrapposizione di testi diversi accentua il carattere polifonico del brano.
14. ET IN UNUM Duetto soprano I e contralto (5' 08'') Testo Et in unum Dominum Jesum Christum, filium Dei unigenitum, et ex patre natum ante omnia saecula, Deum de Deo, lumen de lumine Deum verum de Deo vero, genitum non factum consubstantialem patri per quem omnia facta sunt, qui propter nos homines et propter nostram salutem descendit de coelis. Commento L'inseguimento ravvicinato (a distanza di un solo quarto di battuta) delle due voci nel canone che caratterizza questo brano allude, a quanto pare, all'inseparabilità tra le prime due persone della Trinità 18. Dopo l’esposizione della prima frase (“Et in unum”, ecc.) sulle parole “Filium Dei unigenitum”, il procedimento a canone continua, ma la distanza tra le due voci si fa più larga (un’intera battuta), almeno all’inizio. Così l’ascoltatore può sentire la prima enunciazione completa delle prime tre parole. Ma dopo un breve interludio strumentale, sulle parole “et ex patre” ecc., si ritorna ad uno distanziamento di un solo quarto. Dopo che il contralto ha raggiunto il soprano, un secondo interludio strumentale prepara la terza parte (e un brano che parla della Trinità deve essere composto di tre parti) del duetto. Questo inizia con le parole “Deum de Deo”: di nuovo la distanza è di un solo tempo e dà l’impressione di un gioco di riflessi (la seconda persona che si specchia nella prima, come afferma la teologia neoplatonica in larga parte ripresa dalla teologia cristiana). Stavolta è il contralto a iniziare, non il soprano. Dopo che le due voci si sono di nuovo riunite le due voci enunciano insieme, in stile quasi omofonico, l’affermazione “per quem omnia facta sunt”. E per concludere, dopo una sola battuta di interruzione il contralto espone l’ultima parte del testo (“qui propter nos homines”, ecc., ritornando di nuovo ad una maggiore distanza (mezza battuta) tra le due voci. Gli strumenti chiudono tutto il duetto.
15. ET INCARNATUS Coro a 5 voci (3' 47'') Testo Et incarnatus est de spiritu sancto ex Maria virgine et homo factus est. Commento Il centro del Credo è occupato da due brani 'meditativi' che sostanzialmente formano un blocco unico. I violini iniziano un'introduzione orchestrale basata su un disegno che fa pensare ad un camminare doloroso e faticoso. Alla quarta battuta, a canone, le diverse voci intonano il mesto tema che caratterizza il brano. L'andamento discendente del tema allude chiaramente alla discesa di Dio nell'Incarnazione in un corpo umano. 19 Albert Schweitzer, il famoso medico, pastore e organista, dice a proposito di questo brano: "Lo spirito celeste si libra sul mondo e cerca, tendendo verso un essere in cui penetrare" 20 Quando si arriva alla seconda metà del testo ("ex Maria") l'andamento discendente viene sostituito da un andamento prudentemente ascendente e l'atmosfera sembra rasserenarsi anche perché allo stesso tempo c'è una modulazione da si minore a fa diesis maggiore. Ritornano le sospirose crome dei violini e riprende il tema discendente di prima. Alla fine, altre due battute di interludio orchestrale conducono alla conclusione sulle parole 'et homo factus est': qui di nuovo l'andamento ascendente della linea melodica sembra introdurre un barlume di speranza grazie anche al aggio finale da si minore a si maggiore. In questo brano (secondo Fritz Feldmann) abbiamo più che altrove tutta una complessa simbologia numerica che, fin dalla tradizione dei musicisti religiosi fiamminghi, “svolge un ruolo come esegesi segreta del testo”21. Un significato particolare hanno i numeri 3 (numero della Trinità), il 5 (Cristo sulla croce: le 5 piaghe) e 18 Suggerimento di Volbach, cit. 19Osservazione di Rauhe, che nota anche - citando Fritz Feldmann - come qui ci sia un vero e proprio gioco cabalistico basato sui numeri 3 (la Trinità), 5 (le cinque piaghe di Cristo sulla croce) e 7 (simbolo del Creatore, del cielo e dello Spirito Santo): numeri che si ritrovano, nascosti, nel numero delle battute e delle note dell'accompagnamento. Questo simbolismo numerico si ritrova anche nel Crucifixus. Secondo Schweitzer (op. cit. p. 269) "il musicista cerca di raffigurare il mistero della consustanzialità, cioè delle duepersone in una, svolgendo lo stesso tema in due modi diversi". 20 Citato da Volbach, cit. 21 Cfr. Rauhe, cit.
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il 7 (simbolo del Creatore, del cielo e dello Spirito Santo). “Le cifre 5 e 7 sono dissimulate nell’’Et incarnatus’ nel numero totale di battute (49 = 7 x 7) e nel tema discendente degli archi di cinque note eseguito 35 volte (7 x 5)” 22 (Ma alcune di queste osservazioni, e soprattutto l’ultima sul 7 x 5 = 35, ci sembrano francamente forzate. E’ vero che in Bach questa simbologia numerica è spesso presente, ma non sempre e non dappertutto; d’altronde si si vogliono trovare corrispondenze di questo genere è possibile trovarne anche quando non sono affatto intenzionali).
16. CRUCIFIXUS Coro a 4 voci (3' 43'') Testo Crucifixus etiam pro nobis sub Pontio Pilato, us et sepultus est. Commento La musica di questo brano è ripresa dalla cantata n. 12 "Weinen, Klagen, Sorgen, Zagen", del 1714. Si tratta di una acaglia 23. In questo brano, “5.a sezione e cuore del ‘Symbolum Nicenum’”, la simbologia numerica già osservata a proposito dell’’Incarnatus’ precedente si esprime nella centralità del numero 5 (simbolo appunto del Crocefisso). “Un ostinato inesorabile, che cade per 5 semitoni nel basso continuo, costituisce una netta espressione figurativa della ione, mentre il tema di 5 note che viene cantato successivamente dalle singole voci del coro simboleggia il dolore del Cristo sulla croce” (Rauhe), grazie anche al forte cromatismo e a intervalli dissonanti. Nelle quattro battute iniziali l'orchestra enuncia un basso ostinato cromatico (che cioè procede per semitoni) discendente che si ripete ossessivamente per tutto il brano. Da notare che rispetto all’originale della cantata n. 12, Bach cambia tre cose: a) la tonalità (lì fa minore che porta alla fine al suo relativo maggiore, la bemolle maggiore, qui mi minore che si conclude col relativo maggiore di sol maggiore); b) fa precedere il canto del coro da quattro battute strumentali; c) questa introduzione enfatizza il terzo cambiamento, quello che riguarda la forma dell’accompagnamento: alle lente tre minime per battuta della BWV 12 sostituisce 6 semiminime che danno il senso del faticoso incedere di Gesù verso la crocefissione. A questo effetto contribuisce peraltro anche il testo: le due sillabe iniziali della parola ‘crucifixus’, in minime, danno il ritmo dell’incedere (che viene come raddoppiato dalle semiminime del basso). Su questo basso prima i soprani, poi i contralti, i tenori e infine i bassi intonano una melodia dolente, fatta di poche note, a intervalli molto stretti, di un tono o di un semitono. L’angustia degli intervalli evoca l’angustia della ione e della crocefissione. Poi - in modo analogo a quel che era successo nel brano precedente - l'inversione della direzione melodica, il aggio da una linea discendente ad una ascendente, sembra introdurre un barlume di luce nella cupezza del quadro. La melodia cambia di disegno, ma non di carattere quando si a alla seconda parte del testo ("us et sepultus est"). Alla fine si ritorna alla prima parte del testo e ad una nuova versione variata della melodia iniziale. Nel finale del brano la ‘sepoltura’ del Cristo viene spazialmente rappresentata dall’autentico seppellirsi delle voci in un registro eccezionalmente basso, mentre il clima si fa ancora più ombroso con la scomparsa degli strumenti che lasciano il coro concludere a cappella il proprio intervento. E su questo clima funebre si innesta, con flagrante contrasto, l’attacco gioioso del successivo
17. ET RESURREXIT Coro a 5 voci (4' 09'') Testo Et resurrexit tertia die secundum scripturas, et ascendit in coelum, sedet ad dexteram Patris, et iterum venturus est cum gloria judicare vivos et mortuos, cujus regni non erit finis. Commento
22 Ibidem. 23 Per 'acaglia' si intende una "danza d'origine italiana o spagnola, in tempo ternario moderato, costituita da una serie di variazioni su basso ostinato, analogamente alla ciaccona, dalla quale in genere si differenzia per essere in tono minore e per avere il tema non costantemente al basso ma spesso anche nelle altre parti" (Dizionario Ricordi della musica e dei musicisti, Milano 1976, p. 498).
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La prima frase della parte dei soprani é un 'palindromo' 24: se la si legge cominciando dalla fine é identica (come il nome 'Asor Rosa', per esempio). E questo, probabilmente, perché la resurrezione é qualcosa che ristabilisce la situazione iniziale, é una 're-surrezione'. Il brano è in evidentissimo contrasto col precedente. Lì si parlava di morte e crocefissione e qui in vece di resurrezione. Il contrasto appare in modo evidentissimo dalla differenza musicale: torniamo qui allo stile brillante che caratterizzava i brani iniziale e finale del Gloria. Il registro molto basso di tutte le voci viene qui sostituito da un elevarsi spettacolare di tutte le sezioni del coro. Alla scomparsa degli sturmenti si contrappone la ‘ressurrezione’ di tutta l’orchestra al completo. Si inizia in modo omofonico con una perentoria enunciazione del tema sulle parole "Et resurrexit". Le trombe e i timpani, ovviamente, la fanno da padroni. E' una vera e propria fanfara. Dopo qualche battuta di orchestra i bassi iniziano una fuga piena di vocalizzi di veloci semicrome. Ma subito dopo la polifonia della fuga viene sostituta da una ripresa della trionfale melodia iniziale. Poi mescolanza e intreccio tra i due temi. Seguono alcune battute di interludio orchestrale finché sulle parole 'et ascendit' si apre una nuova sezione, che nel suo avvio presenta lo stesso disegno melodico dell’inizio, anche se su tonalità diversa. Dopo le prime sei battute di questa sezione, due battute strumentali introducono una sezione polifonica in cui l’’ascesa’ di Gesù verso il cielo è rappresentata sia dal movimento ascendente del tema, sia dalla successione ascendente delle diverse voci che si susseguono nel breve fugato. Un nuovo intermezzo orchestrale conduce poi ad un 'solo' del basso (o di tutti i bassi del coro) sulle parole "et iterum venturus est ...". Si tratta di un brano piuttosto strano, piuttosto difficile, con molti vocalizzi tortuosi e difficili. Subito dopo riappare - per tutto il coro - il tema iniziale, ma con le nuove parole "cujus regni non erit finis". Si ripete lo schema della prima parte del brano: enunciazione del tema, interludio orchestrale, nuova fuga, identica a quella iniziale, nuovo sviluppo in parte polifonico e in parte omofonico. La lunghezza dei vocalizzi sulla parola ‘regni’ allude forse alla interminabile lunghezza del regno di Dio di cui si sta parlando. La conclusione del brano è riservato alla sola orchestra.
18. ET IN SPIRITUM Aria per basso (5' 47'') Testo Et in Spiritum Sanctum, Dominum et vivificantem, qui ex Patre Filioque procedit, qui cum Patre et Filio simul adoratur et conglorificatur, qui locutus est per prophetas. Et unam sanctam catholicam et apostolicam Ecclesiam. Commento L'accompagnamento è di due oboi d'amore e basso continuo. La forma musicale è quello di una ‘siciliana’ (antica danza caratterizzata da un ritmo di 6/8 o 12/8). Ogni battuta è composta da sei crome legate tre a tre: la forma apparentemente ternaria diventa così in realtà un ritmo binario, praticamente di due tempi formati da due terzine, che salgono e scendono con un ritmo cullante, che fa pensare ad una ‘barcarola’. La parte del solista si svolge in un registro piuttosto alto e quindi è più da baritono che da basso. Questo tipo di registro, insieme al disegno melodico piuttosto contorto trasmette l’idea di una riflessione di un sacerdote che espone una dottrina teologica piuttosto complicata ed esoterica, come effettivamente è la dottrina della Trinità nella formulazione del concilio di Nicea (ricordiamo che Bach ha chiamato questo credo “Symbolum Nicenum”).
19. CONFITEOR Coro a 5 voci (7' 15'') Testo Confiteor unum baptisma in remissionem peccatorum et expecto resurrectionem mortuorum et vitam venturi saeculi. Amen. Commento Si tratta - per il mio gusto - di uno dei brani più belli, o forse addirittura del più bello di tutta la Messa. Ma non è un brano facile, né orecchiabile. Conviene quindi seguirlo con grande attenzione. Spesso questo brano 24 Osservazione suggeritami da Sergio Siminovich
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viene considerato la somma di due brani distinti, il Confiteor e l'Et expecto. Ed effettivamente le due sezioni hanno un carattere molto diverso, anzi contrastante. Ma vengono eseguiti senza alcuna soluzione di continuità. E del resto all'inizio della seconda parte c'è una lunga transizione che rende i due brani sostanzialmente un brano solo. La prima parte è una classica fuga: le voci entrano in successione, a piccola distanza, cominciando dalla più alta e andando verso il basso. Il tema della fuga ha qualche somiglianza con quello arcaizzante del secondo Kyrie (n. 3), per la prevalenza di intervalli piccoli. Dopo una quindicina di battute comincia una nuova fuga su un tema nuovo, sulle parole "in remissionem peccatorum". I due temi si mescolano dando luogo ad uno sviluppo polifonico piuttosto complesso. Poi, altra novità: alla battuta 73 ecco i bassi che se ne escono fuori con note lunghe cantate in timbro tenorile. E' la prima parte del testo che ora appare in una versione nuova, come cantus firmus25. Alla forma classica della fuga si unisce, o meglio si sovrappone, questo elemento arcaico del gregoriano che viene intonato prima dai bassi e poi dai tenori (non dalle altre voci probabilmente perché il gregoriano veniva cantato solo dai maschi, giacché le donne in chiesa non avevano 'voce in capitolo' - nel senso letterale della parola, per cui esse non potevano parlare nel '‘apitolo'’della chiesa). Questa sovrapposizione del gregoriano alla fuga ha un effetto bellissimo. A un certo punto tutto si rallenta ed entriamo nella 'fase di transizione 'sulla parola 'peccatorum'. L'indicazione di tempo sulla partitura è ora 'adagio'. Appaiono le parole della seconda parte di questo brano, cioè "Et expecto", ma non siamo ancora veramente nella seconda parte: stiamo appunto 'aspettan do' l'Et expecto': tutto l'andamento melodico, la lentezza, le armonie strane danno l'impressione di qualcosa che sta per arri vare ma ritarda. Limbo. Nebbia densa. La parola 'mortuorum' viene pronunciata su una linea melodica tortuosa che conduce ad un accordo tutto contratto e dissonante, come se il sentimento fosse legato più al contenuto triste della parola 'mortuorum' che non al contenuto gioioso della parola 'resurrectionem'. Poi per un attimo i soprani restano soli a dire 'e-ex-pe (cto), con tre note ascendenti. Il resto del coro segue i soprani, ma con poca convinzione. Ancora nebbia fitta. Di nuovo la parola 'mortuorum' viene pronunciata su strane armonie dense e caliginose. Ma dopo tanta incertezza sono di nuovo le donne ad essere le più decise e fiduciose: i soprani primi, di nuovo da sole, pronunciano su una nota ribattuta, sempre a ritmo lento, le sillabe "et ex-", e stavolta è fatta! Il tempo cambia come per miracolo, a metà parola, la velocità raddoppia e inizia il 'vivace e allegro'. Oltre al tempo cambia anche la strumentazione. Riappare tutta l'orchestra, nella quale ora hanno di nuovo un ruolo pre ponderante le trombe, che fanno sentire subito i battaglieri arpeggi ascendenti, da fanfara, che caratterizzano questa seconda parte e che sono analoghi a quelli che avevamo sentito nell''Et resurrexit' (n. 17), dal contenuto simile (lì si parlava della resurrezione di Gesù, qui di quella dei morti). Dopo una breve brillante enunciazione di questo tema e un breve interludio strumentale, appare una nuova fuga, brevissima, sempre sulle parole "Expecto resurrectionem mortuorum", con l'orchestra che ci fa risentire i soliti arpeggi. Poco dopo un'altra fuga ancora viene proposta dai tenori sulle due ultime parole di questa frase ("resurrectionem mortuorum"): stavolta su valori molto brevi (crome e semicrome). Segue un nuovo interludio orchestrale con nuovo sfavillio di arpeggi delle trombe e poi lo schema si ripete: altre due sezioni fugate molto simili alle due precedenti sulle parole 'et vitam venturi saeculi, amen' e poi "amen" e basta.
IV. SANCTUS, OSANNA BENEDICTUS AGNUS DEI E DONA NOBIS PACEM A questo punto, Bach che poteva fare? Era stato meditativo nel Kyrie, brillante e anche meditativo nel Gloria; poi, nel Credo, era stato ora arcaico, ora meditativo e di nuovo brillante. Per fare qualcosa di nuovo, si può ricorrere alla spettacolarità. Lo si vede sia nell'introduzione di nuove voci (abbiamo qui un coro a 6 voci, per la prima volta in questa Messa), sia nel carattere della composizione.
20. SANCTUS Coro a 6 voci (5' 59'') Testo
Sanctus, sanctus, sanctus, Dominus Deus Sabaoth. Pleni sunt coeli et terra gloria ejus.
25 Per cantus firmus si intende il canto gregoriano. Nelle prime forme polifoniche "si disse fermo il canto che serviva di base alla composizione. Tratto dal gregoriano o da una composizione profana, si presentava melodicamente invariato, spesso a valori larghi" (Nuovo dizionario Ricordi della musica e dei musicisti).
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Commento La musica di questo brano riprende un Sanctus già scritto nel 1724. E' una musica non solo uditiva, ma anche - in un certo senso - visiva, per le contrapposizioni che presenta tra diversi blocchi di voci. Il contrasto tra l'andamento prevalentemente orizzontale (vocalizzi di terzine di crome) delle voci alte e i salti verticali di ottava dei bassi forma una specie di croce immaginaria, come se nel dire "Sanctus" si eseguisse il gesto della benedizione. Del resto è molto frequente in Bach l'allusione alla croce tramite il disegno musicale. L'impianto armonico del brano é lo stesso della famosa Aria sulla quarta corda della Suite in Re Maggiore dello stesso Bach 26 (quella che, arrangiata, fa da sigla di "Quark"). Ma questa coincidenza non è facilmente percepibile. Altro simbolismo contenuto nel brano (e anche questo molto frequente in Bach) è la ricorrenza del numero tre. Tre volte i bassi cantano 'Sanctus' col salto d'ottava re-re. Poi lasciano una battuta a tre voci femminili, poi riprendono l'intera frase ("Sanctus Dominus Deus Sabaoth") sempre con salti discendenti. Poi di nuovo tre volte dicono "Sanctus"; nuova battuta lasciata a tre voci (non le stesse di prima), e nuova ripetizione dell'intera frase, ma stavolta in senso ascendente. Poi per la terza volta abbiamo lo stesso procedimento e stavolta i bassi non si fermano più perché il numero tre è stato ribadito a sufficienza. Ora anche i bassi possono concedersi i vocalizzi di terzine di crome come le altre voci e l'insieme viene sviluppato in modo parzialmente polifonico. Verso la fine solo i bassi ripetono la frase sullo sfondo di note tenute delle altre voci, e poi l'in treccio delle terzine di crome in tutte le voci rende il tessuto polifonico più complesso. Improvvisamente, senza soluzione di continuità, si a alla seconda parte del brano (che si può anche considerare come un brano a se stante), cioè il "Pleni sunt coeli et terra gloria ejus". Si tratta di una fuga in tempo ternario (3/8, come il primo brano del Gloria). All'inizio non c'è accompagnamento strumentale (a eccezione del basso continuo). Quando entrano in scena i bassi, entra anche tutta l'orchestra. Brano molto brillante: bel contrasto tra le crome dell'ini zio della frase ("Pleni sunt coeli et terra") e il vocalizzo di semicrome su "gloria". Molto belli sono i punti in cui le voci femminili restano sole a sfarfalleggiare i loro aerei vocalizzi.
21. OSANNA Coro a 8 voci (2' 44'') In questa seconda sezione della quarta parte (corrispondente alla quinta parte della tradizionale Messa cattolica), secondo Volbach 27 si a dalla miniatura che caratterizzava alcune parti del Credo, all'affresco. Questa sezione è contrassegnata dalla presenza del doppio coro dell"Osanna" e dalla ripresa, alla fine, nel "Dona nobis pacem", della musica già sentita nel "Gratias agimus". Testo Osanna in excelsis. Commento E' l'unico brano della Messa in si minore scritta per due cori, per un totale di otto voci. I due cori cantano una melodia molto semplice. Il carattere generale è simile a quello del "Pleni sunt coeli": alternanza e contrapposizione di frasi basate su crome e vocalizzi di semicrome. Uno dei principali motivi d'interesse del brano è la contrapposizione dei due cori, l'effetto stereofonico che deriva dalla tradizione veneziana (nella chiesa di S. Marco i fratelli Gabrieli avevano inaugurato gli effetti spettacolari del rispondersi e contrastarsi di due cori che si fronteggiavano). La musica di questo brano è stata ripresa dal coro iniziale della cantata n. 215, da cui Bach "toglie deliberatamente l'introduzione strumentale allo scopo di creare una continuità ed eliminare ogni impressione di indipendenza" 28. (Gli strumenti però si prendono la rivincita alla fine del brano). Spitta 29 dice che Bach qui "vede il cielo aperto e il Signore degli eserciti che siede su un trono dorato, circondato dai serafini che si richia mano a vicenda (doppio coro) cantando 'Santo, santo, santo è Dio il Signore', con voce tale che le fondamenta del tempio divino tremano". Al di là della lirica esagerazione di questo commentatore, il brano è molto efficace.
26 Osservazione di Sergio Siminovich. 27 Op. cit. 28 Cfr. Rauhe. 29 in Bach, II, p. 541, citato in Volbach, op. cit.
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22. BENEDICTUS E OSANNA Aria per tenore e coro (7' 56'') Testo Benedictus qui venit in nomine Domini. Osanna in excelsis. Commento Come nella maggior parte delle ‘messe’, anche in questo caso il ‘Benedictus’ è affidato ad un solista. E anche qui il carattere generale del brano è dolce, elegiaco. Si tratta forse della più bella delle ‘arie’ di questa messa, insieme al "Quoniam tu solus sanctus", per basso. Notare l'introduzione strumentale per basso continuo e flauto traverso (in altre edizioni della partitura sostituito dal violino solo), con le sue belle terzine di crome ondeggianti. Come spesso succede, poi il solista canta qualcosa che è in buona misura diverso dalla melodia di accompagnamento: l'andamento della parte del tenore é meno mosso e si ha una maggiore presenza di valori lunghi. La conclusione affidata agli strumenti conferma il tono meditativo dell’insieme del brano. Finito il 'Benedictus' il coro ripete, tale e quale, l'"Osanna" già cantato prima.
23. AGNUS DEI Aria per contralto (6' 31'') Testo Agnus Dei, qui tollis peccata mundi, miserere nobis. Dona nobis pacem. Commento La musica di questo brano viene ripresa da un'aria dell'Oratorio dell'Ascensione, "Ach, bleibe doch" (Ah, rimani dunque!") Anche questa aria ha un accompagnamento strumentale molto ridotto: violino solo e basso continuo. In un certo senso, dopo i tre pezzi spettacolari ("Sanctus", "Pleni sunt coeli" e "Osanna") qui Bach torna un po' sul triste-meditativo. Infatti sulle parole "Qui tollis" troviamo un andamento discendente che é simile (anche se non identico) all'altro "Qui tollis" incluso nel "Gloria". Fin dall’introduzione strumentale la tortuosità della linea melodica del violino richiama alla mente l’angustia e il peso del carico di peccati del mondo che l’agnello di dio si è assunto, e le crome staccate intervallate da pause di un ottavo del basso continuo, con la loro ossessiva scansione ritmica, sembrano alludere ad un incedere faticoso e doloroso della vittima verso il sacrificio. E il contralto che poi interviene conferma questa caratteristica con le numerose alterazioni che rendono complessa e difficile la linea melodica.
24. DONA NOBIS Coro a 4 voci (3' 08'') Testo
Dona nobis pacem.
Commento Musicalmente è la stessa cosa del "Gratias agimus". Le differenze riguardano solo il testo. Tuttavia la ripetizione di una stessa musica in un determinato momento produce sensazioni nuove: è come se una persona conosciuta la rivedessimo in una situazione modificata. Per questo ci fa un effetto diverso: dopo l’angustia’ della tortuosa melodia dell’’Agnus’ l’invocazione alla pace espressa dalla linearità di questa fuga in stile ‘severo’ ha un effetto quasi catartico, come di rasserenante scioglimento.
fine
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