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“OLTRE IL TEMPO”
By Giancarlo Guidotti Published by Giancarlo Guidotti at Smashwords Copyright 2010 Giancarlo Guidotti
Chiara
Ogni tua riga mi rammenta la vita, di te resta parte del discorso di cui mancò la fine, è ciò che ora mi fa guardare indietro ancora. Lascerò cadere il giorno, basterà il tuo nome a farmi riprendere i fogli lasciati in bianco, e nel ricordo le tante volte che ho atteso al freddo e la certezza che il tempo non avrebbe cancellato nulla.
Accosto dietro di me la porta perciò che ti rivedo, giunta come un sogno da lontano la vita si sciolse il tempo e quelle immagini e le mille volte che mi avevi dato il braccio, a me che cercavo di fermare il tempo dietro un vetro grigio e un mucchio di libri. Vorrò conoscermi, cosa può impedirmi di sognare? Mi appoggerò alla tua forma scoprirò poi in quell’ampio groviglio di aver cercato ancora. Mi chiederò dov’è quell’uomo che davanti a quella porta aveva atteso invano e visto i tramonti del suo cuore. Mi dici che potrei ritrovare quei sogni
così come la solitudine non sarà più solo mia. E’ penoso scivolare alla deriva, la sera lasciar cadere il giorno, per me che credevo essere il padrone della mia sorte. Non ho bisogno più di parlare né di mentire Il tuo sguardo sa bene le mie angosce e le debolezze.
Un giorno mi alzerò e andrò lontano così saprò cosa sarà chiaro non verrò a turbare il tuo sogno camminerò in punta di piedi chiuderò la porta lentamente ti scriverò così saprai che ti ho cercato fuggirò dalla memoria, potessi farlo. Fa freddo verso sera l’anima spera una notte sola, una come questa Il tuo corpo contro il mio. Se avessi le ali
andrei a buttare sul sole quella poca legna che resta della esistenza perché possa scaldarti Poi il sole lascerei dietro e le stelle e l’universo intero, datemi quelle ali. Mi parlasti d’amore, ripenso quella sera il mio mondo si sciolse come cera. Come troverò la strada per quel viaggio, c’è un’anima che mi segue e si attarda scopro il volto che mi guarda è il tuo nell’anima mia.
A mia madre.
Cercai di decifrare al buio le tue pupille, le mie parole toccarono i tuoi occhi che mi accarezzavano, accostai l’orecchio e sentii dentro, esplodere. Mi aggrappai alla tua anima cercando di trattenerla: hai voluto are oltre senza un lamento alzando le braccia.
Tu che i.. fermati un istante porgimi il tuo bagaglio,
aggiungi qualche parola in più alle mie che sono morte sulle labbra. Ritorna l’angosciante quesito a che cosa serva la mia vita, dove sia Dio? Lo sapevo con certezza, e te lo dissi, ma, forse ad una svolta della vita, ci incontreremo ancora.
Ti si faccia vicino
Senza un cenno hai varcato l’ultimo lembo di giorno, hai bussato a quella porta senza parole. Sui quei fogli vi era scritto pure qualcosa e la maschera è calata e i fili del discorso sono in mano ad Altri… Che ti si faccia vicino. A noi rimane il ricordo di un pezzo di eternità che vaga in attesa di avere pace.
Mio padre
Vedi, sto arrivando a rivivere i ricordi nel rotolare dei giorni in un cielo immenso, stenta a morire la tua immagine dove ancora è rimasta l’infanzia. Un abbandono mi afferra la gola vicino a quella finestra alzasti tremante le braccia come tante volte(verso di me) con lo sguardo rivolto sul mio viso bisbigliando qualche cosa, hai visto spegnersi i miei occhi. Come una gran bolla di cristallo esplose dentro la mia realtà. Quello che mi sostiene ora è la ricerca dell’incomprensibile. Cerco lo spazio, del tuo
e del mio cammino diverso.
A volte la sera mi prende un’ostinata idea che uno sguardo mi segua dal fondo. Lo stesso che vide morire il mio, accanto al suo; labili numeri si intrattengono sul limite della memoria. Ti ho visto con il rammarico di voler risalire, forse hai scorto ciò che hai cercato di spiegarmi più volte. Ogni tua riga mi rammenta una via e di te non resta che parte del discorso ne manca uno, il mio.
Andiamocene io e te, bruceremo assieme la nostra fiaba, ora che sei mia trattengo a stento le parole con te la vita diviene, acquista forma, svanisce quando non ci sei. Riposerò nella certezza nessuno sgomento mi farà fuori, poi, cadere di schianto.
Se fossi accanto anche per poche ore non mi sentirei all’improvviso così solo racimolando sul palmo della mano i resti di un volto stampato e lo scorrere come polvere del tempo.
Ho tentato tante volte di far nascere figure umane e dato un nome a chi non lo aveva, chissà se un giorno butteremo la maschera che portiamo senza saperlo. I fogli rimasero bianchi parole senza nesso che significano nulla, troppo lunga l’attesa del giorno si lasciò tentare dal sonno poi si fece coraggio raccolse una voce che a stento riconobbe dietro un saluto.
21 settembre
Si scioglie con un brivido tra braccia scarne di rami e dossi larvati di brina l’alba d’autunno. Tra gialle folaghe che migrano rade si leva un brusio e volge distante sommesso richiamo a spazzi sconosciuti. Piaghe velate incidono fonde flaccide membra si ergono immote, attendono un cenno appreso insieme, ritrovarsi dove vi sarà tempo.
Giunge la luce dirada il sogno caro del ricordo con frastuono roco si affaccia fluire di vita.
Cristo e…l’Uomo
Fumi di gente diradano nel declino scarnito dal tempo. Slabbra un guizzo la coltre di piombo svela vibrante tra borri flaccide membra larva di uomo goccia sospesa sull’arido dorso. L’urlo si perde per l’aria, velata di fumi eco suprema squassa nel fondo ogni elemento. Sull’uomo volgono i globi a bandoli tesi levigata sostanza
nel curvo cristallo eco velata di una schiantata esistenza.
Alla stazione
Il sonno tarda a venire su poche righe di giornale accosto il volto al vetro che lo deforma, si fa vecchio all’improvviso, ritorna il desiderio di risalire gli anni. Un crocchio di maschere sulla banchina si scambiano sorrisi, vedo risalire migliaia di scale come tante volte dandoti il braccio, e le volte che ti ho atteso al freddo eggiando cercavo di scorgere tra tanti volti il tuo ultimo primo su tutti. Accosto dietro di me la porta (di questa vita) è perciò che ti rivedo, il tempo si è fermato su quelle immagini.
Mentre ci penso già stridono le ruote. Ci si rivede disse a me, che mi voltai un attimo, a salutare con la mano, a me che cercavo di fermare il moto. Non c’è sosta, poi, forse tutto finirà come un lume, di colpo, con un soffio.
Ritorno
Come in un teatro appoggio alla balaustra la mia anima salgo goffamente su, da quei sogni tra quelle mura. Sono tornato ai miei monti ai miei cari… Ogni voce è ormai un’eco sono tornato dopo aver visto spegnersi negli occhi l’accumularsi di tanti sogni. Quello che mi resta è lo scrosciare del vento tra i rami lo scalare del pensiero all’infinito e se mi guardo in quel cielo con il mio cuore d’oggi scopro la mia miseria.
Nel ricordo di Tiziana Rossi
Ho avuto la certezza che i giorni non avrebbero potuto cancellare nulla, nel tentativo di decifrare la vita, la mente ha fatto un’immane fatica nella ricerca dell’infinito. Se mi guardo in quel cielo con il cuore di oggi ho visto lo spegnersi di tanti sogni, ho finito per perdere l’essenziale e del mio percorso mi domando quale caso abbia fatto che io potessi giungere a Te. Senza un cenno hai varcato l’ultimo lembo di giorno hai bussato a quella porta per essere interrogata sull’Amore e le braccia aperte aspettando… e se qualche colpa è rimasta
se ne è addossato il peso l’amore di tuo padre, che hai chiamato a gran voce. A sera lascio cadere il giorno per ritrovarsi voglio che tu sia il ritorno voglio che tu sia il sogno e non l’annullamento. Mi fermo su questa riva a ricomporre lo sciame dei pensieri e scoprire che quell’ampio groviglio di immagini è il riflesso della mia anima.
La vita fugge
Lacera qualche lembo e sperde con un brivido la vita fugge. Nell’ora più fonda tornano a splendere le stelle e sembrano ascoltare una voce che spande nel buio. Altro tempo si attarda alla memoria come nel dondolare di lampade a sera, si allungano le ombre e il calpestio di zoccoli moriva dietro l’angolo e tutto si apprestava a riposare.
E’ un tempo ormai trascorso, ed ora, tra forme scialbe racchiuso, sento ad ogni giro la mia immobilità come un tormento.
La tua mano
Certamente non spunta dal nulla il tentativo di conoscerti. Sai chi tracciò la linea del mio viaggio, chi fu quello che allungò la mano verso la porta dietro la quale un uomo moriva stringendo la mia anima? Chissà da quanto tempo cerchi di rassicurarmi con un atto di fede che nelle profonde vie della Tua mente ci sia scritto anche il mio nome vicino al tuo e alle tante eco umane che ho visto morire e che non potrei ricordare.
In memoria di Bartolomeo P.
Come botta di vetro rotto sei arrivato attraverso quel vuoto e il silenzio che ingoia tutto a quella luce. Rovesciando le tasche e le braccia aperte aspettando… come sogno sei tu a giudicare. Se qualcosa di colpa è rimasta se ne è addossato il peso l’amore di un Padre, che hai chiamato a gran voce e che tu pensavi di aver perduto.
Oltre quella porta
Trascorrerà ancora il tempo prima che io varchi quella porta ed essere interrogato sull’Amore. Prima di inoltrarmi farò il tuo nome come per abitudine. A questo punto cadrà la penna su quei fogli scritti con scene di uno spettacolo che già dalle prime righe la mia testa ha fatto un’immane fatica a portare avanti. E i volti dati ai personaggi e il tempo… che è stato nostro si fermerà per sempre e tanto basta.
Sai, dove l’albatro abbia il suo nido quando stanco, al tramontare del giorno lambisce con volo rado le bianche creste che inarcanti le une sulle altre vanno a dispiegarsi nello sciacquio della risacca. Tanto simile alla tua è il giorno della vita umana che cerca il nido su cui posare tra sterpi e secchi rami di un piano brullo. Né l’animo mio aggrata il ricordo del tempo ormai trascorso, di quando stanco una mano lieve sfiorava la testa china. Seguo il volo nel cielo forse hai trovato su cui posare, ma chi ti guarda, non sa dove posare l’anima sua stanca.
Mi sono fermato in questa casa hai preso il mio fardello qui rivivrò sereno i miei ricordi ed i rimorsi come meglio si conviene e ripensando alla mano che si allungò da quella porta dietro la quale un’anima moriva. Dormirò pensoso in mezzo ad altri abbandonato e tranquillo. Se una carezza è mancata in ato confiderò nell’amico che interrompa il mio silenzio e mi prenderà come sono.
Cera d’alba vie che travasano sembianze ombre che lambiscono spazi chiari. Cera d’alba tragica forza sgorga dal fondo e l’uomo a. Salpa dall’arida spiaggia ascolta l’abisso sospeso nel buio una voce dilaga nel languore traspare. Protrae e il domani tra l’acque vive o forse dove la salsa bava tocca i margini di un vallo senza fine.
L’onda tracima le radici lascia che scabre torcano al cielo. Mani intrecciate occhi che si incontrano distanti nello spazio che vive, muro d’ombra, mani che sciolgono tese.
Sale e dirada tra braccia scarne il tempo, smuove indifferente foglie che sature scioglieranno nei fumi grigi del calcare. Un’aria assente con l’eco tenace arriva nella mia giornata cessa il battito sulla parete. Ti cerco ti ho incontrato pesce riarso del greto disseccato del vivere d’oggi.
Si frantuma la sera nell’argine distorto schiocca e sibila in un flusso guasto frantuma e sperde qualche parvenza. Sei giunta come un sogno da lontano a riempire i luoghi al lume di una lampada riarsa. Come lampo incidi il mio universo, profondamente, la notte è portata via dal tuo soffio e senza un cenno si è fermato il pendolo ansante nella sua curva.
La folata delle ore che scande l’esistenza, sorprese in questa eternità l’annaspare di un gesto, il posarsi su di un lembo scorto per avventura. Poi la vita si sciolse con un sospiro, percorsa da un crudo inganno, questo è il ricordo. Non saprei dirti se si trattasse di esistenza, se mi volgo la via trascorsa appare lunga e il vento ha confuso l’ombra tra quelle più livide, e si annulla il riversarsi vano della mente e il rovinare, come peso. Puoi condurmi se vuoi, volgere lo sguardo alle vane macerie, darne il senso
al ribollio profondo che mi giunge, come si piega il capo sul nostro abisso.
E’ una mattina gelida che la stagione d’autunno, fredda reca dalla trascorsa estate. Spira da nord un vento che porta cose nuove, e che nell’animo già sento nascere. Una dopo l’altra le pallide foglie si posano stanche sulla terra. Un muto stormo si allontana come il pensiero fugace. Agli ultimi fiori mi avvicinai felice, ne svelsi uno, come a festa, lascio cadere il fiore del desiderio che verso l’orizzonte, lento e a tratti sospinge il flusso gelido.
Aggrappato ai rami di un vecchio tronco mi circonda una quiete e sento che tutto è travaglio. Mi chiedo ch’io sia, smarrirò, o forse mi accoglierà un ritmo nuovo che mi libri nello spazio, e tarda sarà la sera se il fulmine la incide e dirada e il rombo, sarà il suono di una corda tesa in questa solitudine. Se la mano mi sfiora, una parola mi cade accanto, sarà per me conforto nell’ora che si scioglie. La vita nega a noi la gioia tra un fluttuare di sembianze vaghe si afflosciano le immagini stridendo sulla terra e l’uomo, appare solo.
Troppo spesso il corso della mia vita come fiume strozzato tra rupe gorgogliando precipita nella rovinosa corsa urta s’infrange gira in vorticosi cerchi per proseguire stremato. Indifferenti si ergono gli elementi nella fredda essenza. Prosegue il suo corso lento e tortuoso ai fini estremi di una via di cui non rimarrà forse che il nome.
L’ora della sera rapida giù dai monti cala, un flusso d’aria sfiora come carezza il piano del mare e lo scompiglia. Lontano l’immagine dei monti a me cari l’ora più bella è di là oltre quel piano tra quattro mura scialbe. In quei momenti pieni di attesa al sopraggiungere della tua voce simile all’eco velata del vento di aprile.
Ancona
Mugghiano scabri ossi di mare, sprizzi taglienti di luna incidono il cavo occhio scerpato dai fondi alla luce. Fruscia e risale in groppo le radici tracima la spuma nel piano abbandona e nel risucchio frizza. E’ sera ormai si affaccia la vita tra l’incessante beccheggiare di lampare chine sul mare. E’ sera gracidano i i sulla riva profondo sale su dal greto
un mugghio misto di affanno dirada fra strida un sogno che nasce.
Ascolta i silenzi di abbandono a me, che cerco di scoprire il punto morto che mi spinge al forte scotimento, ma questi fugge. Nel gioco che lambisce si asseconda il soffrire, il profilo ti incide e intacca l’animo che ne riparte vario. Cercavo allora, come oggi, il senso di un’esistenza sotto i veli di un cielo finito. Compresi che era la vita che scoppia come un greto e regge appena se ne riprendi il senso. Che deforma, che incrina, che non arresta, lo ignori ? Forse !
Come la mente che scrolla e dissolve il pensiero che si attarda in una vana soluzione.
Alla mia maestra
Ripenserò al tuo sorriso per me come acqua limpida tornerò indietro, all’improvviso, sui banchi. Tu certo mi udrai, anche se lontana, non sarà necessaria la tua voce non sarà necessario che la tua mano sfiori la mia testa sarai sempre presente.
La mia classe
Quella stanza in fondo al corridoio sprofonderà anch’essa nel mare del mio ricordo come i tanti nomi e i volti attenti alla vita su quei banchi troppo stretti. Lo sguardo della maestra che piano entrò nel cuore: Tutto come una fiaba si scioglierà nel tempo.
Nei giorni distrutti dall’afa un soffio di parole mi avrebbero rianimato ma avevi il fiato corto. Vorrò conoscermi probabilmente all’ultima stazione senza più dubbi. Cosa sentirò se non il mio cuore in rovina ? Mi aggrapperò a lui e potrò dire di aver cercato… e il resto non importa più.
La voce riarsa di costei lacera quei veli quei moti divenuti storti quei luoghi baluginanti nella notte. Non so quale era il punto a cui mirassi mi intrattenni nei tanti luoghi dove sostasse un volto, toccato appena, subito spento. Esalava tra un sentore più fondo del buio, e udii la mia voce che non era un sussurro, c’è forse sosta? Me ne andavo senza parole chino sul mio segreto.
Mi è stato concesso di sognarti ma non di possederti di qui sono ato tante volte e forse è stato ad un angolo della vita che ho sfiorato il tuo sguardo. Io sono un sogno che dura solo qualche ora in più dell’alba, sai forse quale sia stato il mio ato ? E’ forse il tuo riflesso sono forse tutto ciò che hai smarrito. L’infanzia buttata via e il resto, dentro, sei giunta forse per pena e se fosse che… giocheremmo insieme al tempo anche se poi per poche ore prima che il vuoto ci raggiunga. Attendi ancora un po’ cosa può impedirti di sognare? Scoprire poi che quell’ampio groviglio di immagini
è il riflesso della mia anima.
Ti adagi sul mio letto la fiamma ti accende convergono i segreti si confrontano i dubbi di chi sta cercando un fine. E’ una beffa dunque quel falso dubbio che mi dicevi di avere sciolto, di qualcosa di eterno che avevi scelto. La luce fioca che si attarda sul tavolo rischiara i fogli intrisi della tua voce, torneranno a lievitare i sogni dentro di noi, a volte può sembrare che tutto scorra bene.
Viscide età cupe nel fondo ano radenti sulla via senza traccia. Svanire è la sorte migliore, fra tante per l’uomo che attende invano una risposta. Il giorno sarà tardo se il fulmine lo incide e il tempo a ogni forma squassa e un’ombra sola si arrossa e si scioglie come tramonto.
Si sgretola la vita, inesorabile l’anima si discioglie e ci sfibra affonda nel tuffo sordo, quel frammento di greto aperto perché vi fosse vita. Si fa vecchio l’animo come d’incanto, se manchi comprendo tutto l’inganno, tieni il bandolo stretto che non si faccia un groppo.
Potessi io…. C’è tanta solitudine nel tuo sguardo sei come un fiore che sull’asperità del monte si aggrappa forte e china il capo. Potessi io spiccarlo bruciare insieme come un lampo.
Desiderio d’infinito.
Nel rotolare dei giorni la mia mente ha fatto un’immane fatica nella ricerca dell’infinito. Se mi guardo in quel cielo con il cuore d’oggi rivedo lo spegnersi di tanti sogni. Appoggio la mia anima per l’affanno e gli anni fatti pesanti e i tanti problemi. Attendi ancora un po’ se mi attardo per le molte cose da dimenticare. Annegare in Te come in un abisso e perdersi senza un grido.
Sarà il Tuo stesso nome a venirmi incontro e sciogliere i miei dubbi.
Spiove, si sciolgono i fumi sento che ritorna come frastuono la vita, la vela rigonfia scalfisce l’aria là, dove il cielo finisce. L’orizzonte disfa in sé, vedrà raccogliere le forze nell’atto estremo cadrà con sordo tonfo il ferro, tra l’onda rotta, poi tutto sarà pace.
Lo senti il sapore dell’aria e il vento che assiepa i tuoi sogni? Senti la voce che l’orecchio non intende? C’è forse gioia nel sorriso di un giorno? Nel veder spuntare la luna a raccogliere la pena segreta? Se una carezza è mancata confida ad un amico
che interrompa il tuo silenzio, ti prenderà come sei nel giorno che si compie. Mi fermo su questa riva a ricomporre lo sciame dei pensieri e tu possa sentire vicino la mia ombra.
I giorni non potranno cancellare nulla né il tentativo di decifrare la vita il suo inizio ho finito per perdere l’essenziale. E del mio percorso mi domando quale caso abbia fatto in modo che io potessi giungere alla tua pagina che vive oltre la penna che l’ha scritta. Ma! Portami via come sono non c’è bisogno di parlare se guardi la mia mente smarrita e il dubbio che il tempo possa dimenticare. A che cosa può essere servito allora che io abbia sofferto se soffro ancora?
Mi fu dato un tema oscuro in apparenza nel desiderio che espressi il giorno che ti raggiunsi fu come una scoperta che modificò il corso alla realtà. Mi presentai come un sogno frettoloso, ora non potrei permettere che tutto si possa estinguere a sera il desiderio di una vita.
Nel mare del ricordo farai riaffiorare i tanti nomi udrai nella memoria la lettura di quelle pagine sul tema che ci fu dato dalla vita oscuro in apparenza. E il tuo racconto cominciava… potrai dire di aver cercato il confronto e il resto, non importa più.
Al limite, dove la zona del tempo s’interrompe lasciando l’uomo solo con se stesso arresterai il o e le tante azioni della mente non potranno interrompere la legge della vita. Sei tu nel tempo, come un fiore a spogliarti e prendere la mia anima e soffocarla. Ora voglio tu sia il limite al mio mondo mentre arriva la sera nel rincorrere l'immagine segreta e il rialzo a strapiombo e il discendere sul mare. Ora voglio tu sia la sera che ritorna, che vive ancora.
Cosa sta avvenendo? Nessuno ascolta la mia voce il tentativo della mano di dare vita a quelle righe gli occhi che leggono sul foglio un racconto cominciato con un punto oscuro terminato in una perplessità e una scoperta che ha modificato le cose. Tendo la mano a lei, una forma che fu tolta. Lo sai, rivedrò gli oggetti lasciati al loro posto un posto studiato le foto di un istante, che non seppero mai di divenire eterne, ne rifarò il censimento e mi chiederò se non fossero mai queste
solo il pegno della mia vita. Mi fu prestato un volto e un nome qualcuno mi disse di quel dubbio e del fine e la verità che fu prospettata. Cosa potrei chiedere prima che si compia il giorno Tiziana, non corro verso di te perché sono io la sorgente.
Quanto tempo è ato le volte che hai frugato tra le pieghe della mano divenute rughe e le coincidenze e le esclusioni nella mente. La forma si fa eterna ora che ritorni ricordo l’esitazione dello sguardo e il tema che il tempo ha incrinato. Le frasi scambiate le curiosità dell’incontro. Ancora la vita mi lega a quelle fiabe non so perché durino nella memoria.
Nel rileggere il tuo nome non so immaginare se lo avessi scritto su un foglio che restò poi bianco alla risposta. Ti ho visto in sogno emergere in un dialogo, la tua figura, la costa come un richiamo ai miei segreti. Tu vuoi salvare il mio futuro? Aspetta che io indovini… Non chiedermi dove io abbia nascosto quella foto, finito il turno si vedrà chi fosse, smarrito ne era il senso, dimmi se è mancata qualche promessa, un nome estratto da mani false. Sonno profondo, addormenta la mia barca che scivola lontana dalla costa.
Mi chiedi perché la mente si sia fermata ora su quelle poche righe a ricercare nel desiderio che espressi il giorno che ti incontrai che fu per me come una scoperta che modificò all’improvviso la mia forma. Mi presentai vago come un sogno entrando nel tuo tempo. Come un fiore fosti tu a spogliarti e raccogliere la mia anima tra le mani come gli scogli ricevono il mare e potei affondare in te come un mito, tra le zolle come il seme si ravviva zuppo di brina della vita che ora lo cerca.
Sul foglio, favole antiche o solo poche righe nessuno volle leggerle e il tentativo di dare vita a quei sogni. Un tema incominciato tante volte, le forme che non seppero divenire eterne, la perplessità di una scoperta, il pegno di stagioni incerte, il dubbio di un volto. Mi chiedo perché il ricordo mi leghi a quelle righe che allora non ti dissero nulla, non so perché ora siano scattate fuori nella memoria, tu stessa mi hai cancellato tante volte senza saperlo. Ora ritorni, sei viva e non ci sei, ora, che è inutile, mi bastano solo quelle poche righe.
La sera mi raggiunse senza preavviso un sogno frettoloso. Si schio le mani felice fu lo smarrirsi, breve, paziente mi aspettavi rincorrendo un’immagine segreta che mille cadute avevano spento. Una scoperta che modificò le cose, la mia, il punto dove cominciò il racconto, il tentativo di riavvolgere il nastro il fatto di essere venuto al mondo senza essere consultato il desiderio che espressi e il foglio che rimase bianco. Ma ritorna spesso quell’idea, la sera.
Spero tu sia la sera senza mistero tu sia il ritorno a quei luoghi delusi quelli con cui sostando mi confrontavo. Quando la sera non ci sei come io diventi nessuno lo saprà mai.
Maturato in una sera da rapido germoglio si sciolgono le rughe flaccide di una parvenza fredda, come il giorno che muore senza un cenno. La vita che si sgretola in un cumulo, più fondo pure lo senti. Su quel dirupo accanto al mare ho sostato talvolta preso come da angoscia nell’osservare il nascere di un flutto lo sciogliersi di quei muri pieni di sogni. Ora ritorno risento il gioco dei ciottoli nella risacca, il crescere del mugghio
su, da quel greto. Lascio che l’onda tarli la mia muraglia e chini sul mare senza un lamento.
Chi mi può impedire di decifrare la luna la stessa luna di quel giardino che ti sta cercando e il giro della vita la lettura della tua pagina e le parole essenziali che sono in quelle righe. Io nel buio della platea ti ho visto riversa e alzatomi applaudendo piangendo e ridendo ti ho fatto cenno con la mano col dubbio che il tempo potesse dimenticare le tue parole che avevano impegnato il futuro. Poi il profilo intaglia la scena ridi, e come spiccata ti abbandoni fra le braccia.
La sera leggo perché non ho più sogni sento ancora l’acre odore di una disfatta voglio sapere a chi appartenga il mio ato, forse l’amore che mi è stato concesso l’ho perduto e la memoria consumata dall’affanno conserva quella sera. Ti potesse parlare quel viandante che raccolse il mio sguardo prima che si spegnesse dietro l’angolo. Aspetto ora per ora il tuo sogno per le molte cose da dimenticare, se riesco a decifrare le tue pupille nel buio il merito è del vento che stanotte mi ha scagliato in cielo e mi sprofondo senza un grido. Districherò i filamenti
ancora una volta cercando l’identità e un barlume d’amore. Aspetta che io indovini le tue intenzioni, apri la porta al nostro sillabario di scoperte e quando non ci sei tu, la sera è come il vento, senza fondamenta come l’abbraccio rosa del tramonto in un campo di morte tu sei la linfa che si insinua nelle pieghe dell’anima come potrei negarti quando sei parte di me? Tu salvi il mio affanno voglio essere il tuo sogno perché allora dormirei in te.
Si ripete di continuo un sogno che non ricordo, corro come per rincasare con il fardello che si fa sempre più pesante tra le braccia, qualcuno mi cammina accanto vorrebbe certo aiutarmi. Guarda se potessi incamminarti alla volta di quella via che percepii come la mia sorte, bramavi scioglierti come la luna quando il sole rovescia la sua faccia prima della notte in una sorta di complicità e attraverso il vuoto toccasti il vicino lo colpì la tua mano che lo spogliò dei suoi petali. Nella stanza arriverà l’istante! Mai lo sapremo.
Sosto ancora un po’ davanti alla tua porta ancora un po’ nel chiuso di me di me che non so dirti se negarti ma fai parte dei miei pensieri. E’ penoso scivolare alla deriva cercare un appiglio per riposare, a sera lascio cadere il giorno per ritrovare i sogni e potermi incamminare insieme, questi miei versi sono i tuoi perché da te provengo. Questo nostro andare trovarsi, ritrovarsi a sera, voglio che tu sia il ritorno voglio che tu sia il sogno
e non l’annullamento. Tu sei il mare che mi riceve e su cui chini te stessa. La mia anima è il mare che delira è il fruscio della risacca che come un bacio si stempra sulla riva. La mia anima è un quadro che la vita ha dipinto e il soffio ne ha fissato i colori..
Ma la vita è certa finché resti attecchisce la speranza resti muta nel rumore sottile del silenzio, riporta i segni della lucerna a sera, quando cala il sipario non si incupisca il pensiero. Gira la ruota, accumula i lampi sul conto del vivere e poserà la tua forma. Lasciatela andare o venire nel giorno che conclude.
Questo primo amore nato così per caso da quegli occhi neri che lungamente mi guardarono ando. Ti amo una volta e una volta ancora, pensando sento di amarti.
Sei Dicembre
(nel ricordo dell’anniversario di Tiziana Rossi)
Il giorno che invecchia mi riporta i ricordi con un altro colore di quel giorno che mi preparavo a seguire l’Eterno, poi ritornò il respiro e udii dall’altra sponda allontanarsi la marea, tremando ti ho riconosciuto. Perché non mi hai chiamato ho pensato; ero così solo, non mi fu concesso di scegliere il tempo, per quel viaggio, gli irti dirupi finiscono tutti in mare. Era certo dicembre, il sei, il giorno che venni o Signore e gridai,
era il sei quando venni recando un angoscioso fardello quel giorno fra tutti i giorni dell’anno conobbi il tuo amore.
Il sole già separa l’orizzonte la sera manifesta sempre uguale il volto, mi siedo al solito posto nella speranza che ritorni alla memoria quel fugace momento. Venni su questi banchi era certo dicembre Il sei Venni recando un angoscioso fardello l’ala del grande albero si chinò. Signore non donarmi la notte dona la luce alla voce triste di quest’uomo. Apri la porta aspetta ch’io indovini la tua voce c’è un richiamo dove convergono i miei segreti nel ricordo così simile ad una fede. Mi perdo, ma è il Tuo stesso nome a salvarmi, essendo io parte di Te.
Ribalta il senso della vita, converti il frastuono in ione, così le Tue parole possano toccare la mia anima.
Non so perché il ricordo mi lega a Roma che visitai anni addietro prima che finisse così insabbiata, non so… allora mi credevo padrone della mia sorte. Anche se tornassi accanto all’imbarcadero del fiume, non tornerebbe indietro l’acqua che varca i ponti e va distante. Come può scattare fuori una memoria, rammento il boschetto in salita le tue parole, le tue curiosità… ora più non rammento…nulla. Chiederai come tutto possa svanire in questa poca nebbia della memoria. il cammino finisce a queste sponde che rode la corrente, il tuo cuore che non si ode già salpa distante. Piove in un angolo di ottobre, ho dato appuntamento qui al ato, oltre quei cancelli, i parchi,
tra quelle stanze, le luci, quei profumi mai sentiti altrove. La sera quando spande contro il cielo, ritorna una domanda opprimente, …ma non chiedermi quale sia. Verrà di nuovo… verrà a portarci via con le sue lunghe mani striderà la mia incallita sul remo, mi aiuterà a bussare così la solitudine non sarà più solo mia. Sarebbe così semplice aprire il cancello sostare sotto i rami che offrono la loro ombra. E poi la notte… col camino, la fiamma che accende la faccia, lasciar cadere quel libro in terra aperto su quelle pagine che non terminai e non sapere se il sogno mi potrà giovare, e se vedete il volto piegarsi,
questa volta è per se, lasciatelo stare.
La mia terra
Vedi sto arrivando a rivivere i ricordi nel rotolare dei giorni in un cielo immenso. Stenta a morire la tua immagine dove ancora è rimasta l’infanzia. altro tempo si attarda alla memoria come nel dondolare di lampade a sera si allungavano le ombre e il calpestio di zoccoli che moriva dietro un angolo e tutto si apprestava a riposare. Salgo su da quei sogni, tra quelle mura sono tornato ai miei monti, ai miei cari sono tornato dopo aver visto spegnersi negli occhi
l’accumularsi di tanti sogni.
Mi hai chiesto più volte come tutto possa svanire in questa poca nebbia della memoria. Ho dato qui appuntamento al ato oltre gli anni chi mi può impedire di decifrare la vita la stessa anima che ti sta cercando e il giro della vita. Ora ritorno risento il gioco della risacca il crescere del mugghio dell’onda a sera aspetto ora per ora nuovi sogni senza preavviso che avevo spento. Una nuova scoperta che modifica le cose, il punto dove cominciò il racconto. Perché la mente si sia fermata ancora su quelle poche righe a ricercare il desiderio che espressi
il giorno che ti incontrai e che fu per me una scoperta che modificò la mia forma. Districherò ancora una volta i filamenti per un barlume d’amore aspetto che indovini, apri la porta, tu sei il flusso dell’onda che mi riceve e su cui chini te stessa. La mia anima è il mare che delira, la vita è certa se resti.
Soave
Quando il sole separa l’orizzonte e la sera manifesta sempre uguale il volto Aspetto al solito posto che ritorni il ricordo di quel fugace momento Soave Un nome che ritorna alla memoria.
Cercai la parte del discorso Ora ritorna il desiderio racimolando sul palmo della mano i resti di un volto stampato, i frammenti di uno a cui avevano dato un nome. Verrà di nuovo nel desiderio di ritrovare i sogni e non voler sapere se il sogno potrà giovare a me. L’ultimo lembo del giorno l’ho visto scomparire dietro l’orizzonte, avere le forze di darti il braccio riuscire a cancellare il freddo dei i solitari o risalire le migliaia di scale. Mi dici con certezza che potrei ritrovare quei sogni. Ancora una volta ho dato appuntamento al ato, verrà di nuovo…..
mi aiuterà a bussare così la solitudine non sarà solo mia. Lascerò cadere l’amico libro e non voler sapere Se mi potrà giovane questa volta Lasciami stare se vedrai un volto piegarsi.
L’orizzonte è in fuga cessano i garriti dai rapidi voli obliqui, tutto si arresta e si confonde. Natalia, la tua voce è quell’anima diffusa, è là che insiste Massimo nel martellare lo scandire del suono. La mezzaluna scende e il nembo la riduce. E’ troppo tardi che tanta luce illumini e tutto ruoti con rari guizzi la fugace altalena della vita. Il varco è qui, non puoi scorgere le cose di questa mia sera, i ricordi che scandiscono le ore sono racchiusi nel fondo e
tardano a salire.
Radicofani
Salgono i vapori dalla valle fino al cono diafano di Ghino e intorbidano le tue case, il fumo si agita col vento quando piove. Lo scalpitio solitario del o che risuona tra i tuoi vicoli è il mio mentre il sole chiude la sua corsa dietro il monte. Si accavallano i ricordi, Radicofani, del tempo remoto che vive ancora; là in fondo uno stormo si agita col pensiero nel tentativo di un fugace momento.
Oggi ho dato appuntamento al ato prima che tutto possa svanire è l’anima che sta cercando di decifrare, la stessa dove si credeva padrona della sorte. Si trattò di una nuova scoperta Il punto dove cominciò il racconto dove sostò la mente, su quelle poche righe dove ognuna rammentava la vita. Resta ancora quella parte del discorso di cui mancò la fine, quella che mi fa, guardare ancora indietro riprendere quei fogli lasciati in bianco e avere la certezza che il tempo non potrà cancellare il ricordo. Tiziana Il primo giorno che ti incontrai
fu una nuova scoperta, aspetta che indovini, quando a sera la domanda si fa opprimente. Ma non chiedermi quale siaApri la porta ch’io possa guardare e districare i molti dubbi.
Solo un o mi separa da te alla mia anima bastava un nome solo Ritorna indugi ancora, nessuno più bussa alla porta affido ora tutto alla notte. Troverò ancora riposo sulla tua spalla come un tempo? Dio! Allora esistevi eri nelle parole nella mente nell’ombra della sera, bastava, ora riprovo come un tempo ad aspettare, convergono i segreti ma la mente si isola e va lontano
con le ultime emozioni, il fuoco del camino non scalda più.
22 Settembre
Bastava prima un nome, nessuno più bussa alla porta se ripenso a sedermi ad aspettare come un tempo, la mente si isola e va lontano il fuoco non riscalda più, questa sera ho dato appuntamento al ato.
Fermati un istante tu che i porgimi la mano aggiungi una parola.
Come troverò la strada che mi resta per quel viaggio. Il mio mondo si è fermato sul tuo tra i mille senza nome
In quel mucchio di ricordi, non mi hai detto che potrei ritrovare il sogno ancora una volta nell’ultimo lembo di giorno prima di sparire dietro l’orizzonte.
Getterei sul sole quella poca legna rimasta della mia esistenza per poterti scaldare poi mi lascerei cadere come un sogno quando la sera giungerà a portarci via con le sue lunghe mani.
Mi affido alle ultime ore del giorno, l’anima fugge dal corpo con l’ardore delle prime emozioni per la presenza di un solo nome.
Perché indugi ancora ho affidato il tuo nome al vento che ne riporta leggero la tua voce. Cercavo una donna ho trovato la profondità di un’anima.
Ti invito a camminare verso il giorno a dissolversi e obliare il ato. Quando a sera tutto si fa freddo berrai al calore della mia mano. Chiudi la porta, tieni lontano il buio nell’incerta andatura del tuo o.
Ho sentito come un soffio la tua voce sussurrarmi qualcosa, la prima luce del giorno ha raccolto la mia anima abbracciata alla tua verso il giorno che corre.
Il sogno tarda quando ti penso salgo su da quei ricordi accumulati negli anni che attraversano la memoria come la mano che raccolse l’uomo che moriva dietro l’angolo e il cuore vi si appoggiò. Tieni iI bandolo che non si faccia un groppo sarai tu a scioglierne i dubbi. I sogni volano con le ultime emozioni ti corro incontro balzandoti tra le braccia Ti amo una volta e una volta ancora la vita è certa se rimani ritorneranno quei sogni ancora una volta.
Il giorno che invecchia mi riporta i ricordi con un altro colore di quel giorno che mi preparavo a seguire l’Eterno, poi ritornò il respiro e udii dall’altra sponda allontanarsi la marea, tremando ti ho riconosciuto. Perché non mi hai chiamato? Ho pensato ero così solo, non mi fu concesso di scegliere il tempo, per quel viaggio. Venni su questi banchi venni recando un angoscioso fardello l’ala del grande albero si chinò. Signore, non donarmi la notte dona la luce alla voce triste di quest’uomo. Apri la porta aspetta ch’io indovini la tua voce.
C’è un richiamo dove convergono i miei segreti nel ricordo così simile ad una fede. Quel giorno fra tutti i giorni dell’anno conobbi il tuo amore. Attendi ancora un po’ se mi attardo per le molte cose da dimenticare. Mi sono perso, ma è il Tuo stesso nome a salvarmi, essendo io parte di Te. Ribalta il senso della vita, converti il frastuono in ione, così le Tue parole possano toccare la mia anima.
Arqua’
Nel riposo dei colli gioca musica d’acque tra i calici increati, i minuti completano la tua figura conducono l’ansia al tuo riposo. Cercando rifugio sotto le navate, affido, dove il cielo si inarca, nel raccogliersi di un cumulo, la vita, i dolori, i segreti quando muore il cuore. Si scioglie la luna dietro il monte, ultima cosa prima della notte, poter discernere dove rifugiarsi, arrivare attraverso il vuoto ad un’altra riva, alle voci già stemperate da un rivolo d’amore e dimenticare i filamenti
creatisi al posto delle mani, e salire all’alba nell’ultimo tuo rifugio, Arquà.
Cercavo allora come oggi, il senso di un’esistenza sotto i veli di un cielo finito. Compresi che era la vita che scoppia come un greto e regge appena se ne riprendi il senso. Ti potesse parlare quel viandante che raccolse il mio sguardo prima che si spegnesse dietro l’angolo. Mi chiederai come tutto possa svanire in questa poca nebbia del nostro tempo. cosa sta avvenendo? Nessuno ascolta la tua voce il tentativo della mano di dare vita a quelle righe gli occhi che leggono sul foglio un racconto cominciato con un punto oscuro terminato in una perplessità che ha modificato le cose. Tendi la mano
hai dato appuntamento al ato, oltre quei parchi, quei profumi mai sentiti altrove. Sarebbe così semplice aprire la porta sostare e poi la notte col camino, la fiamma che ti accende la faccia lasciar cadere quel libro in terra aperto su quelle pagine mai terminate e non sapere se il sogno ti potrà giovare, e se vedete il volto piegarsi, questa volta è per se.
Angelica
Dalle vette il sole dà il suo ultimo saluto prima di giungere al grande riposo. Un flusso d’aria, come carezza, sfiora il piano del mare e lo scompiglia. In quei momenti pieni d’attesa ho affidato il tuo nome al vento che come sogno ci percorre tutti. Il sopraggiungere della tua voce sia limite al mio mondo, quando arriva la sera poter raccogliere la mia anima tra le tue mani così come gli scogli ricevono il mare. La tua anima è un quadro che il mio amore ha dipinto e il soffio ne ha fissato i colori.
Oltre quei parchi sarebbe così semplice aprire la porta sostare e sapere se il sogno potrà giovare.
Eri nelle parole nella mente nelle ombre della sera tanto bastava.
Con le ultime emozioni nella fugace altalena del tempo la mente si isola, si attarda e va lontano. Forse riuscirò a trovare la strada che mi resta nei frammenti di un volto affidato al vento che ne ripeté leggero la voce. Troverò forse ancora riposo, allora ero tutto nelle sue parole quando giunse a raccogliere la mia anima come gli scogli accolgono il mare. Felice fu smarrirsi in un sogno anche se breve e frettoloso, sapere a chi fosse appartenuto il ato, domandarsi chi tenga ora il bandolo del presente nella soluzione dei dubbi.
Nel desiderio di risalire gli anni accosto dietro di me la porta della vita. Certamente non spunta dal nulla Il tentativo di conoscere chi tracciò la linea del mio viaggio, chi allungò la mano verso la porta dietro la quale sostavo, e raccoglierne l’anima come gli scogli ricevono il mare.
Giancarlo Guidotti
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