Pigiama Party 2o3b57

Ermanno Andrea Rosa

Pigiama party

© 2014 Gilgamesh Edizioni

Via Curtatone e Montanara, 3 – 46041 Asola (MN)

[email protected] - www.gilgameshedizioni.com

Tel. 0376/1586414

ISBN 978-88-6867-031-3

È vietata la riproduzione non autorizzata.

In copertina: A. A.

© Tutti i diritti riservati

UUID: 978-88-6867-031-3

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Indice

I. II. III. IV. V. VI.

ANUNNAKI

Narrativa ebook

2

Lontano dal mondo degli adulti, in fuga da una maturità che ormai è alle soglie, i giovani protagonisti di Pigiama party, tra equivoci, incomprensioni, telefonate irruenti e liti amorose, si ritrovano a combattere per non rinunciare a ciò che preme di più a loro: le esperienze amorose, la popolarità tra coetanei, la ricerca di rapporti sinceri. In una parola la leggerezza della propria gioventù.

Ermanno Andrea Rosa, nato a Roma, ventisei anni, laureato in Studi Filosofici presso l'Università degli Studi di Parma con una tesi intitolata Sulla scrittura – Tra Derrida e Sini, sta ultimando i suoi studi al corso di laurea magistrale in Filosofia. Apionato di letteratura sin dagli anni del Liceo, spazia dai romanzi di genere (fantasy, gotico, horror) ai classici dell’Ottocento e del Novecento. Durante la sua formazione ha esercitato la pratica della scrittura in varie forme, articoli di giornale, racconti brevi, poesie. Ha collaborato scrivendo articoli di politica, recensioni di libri e rubriche sulla vita studentesca per “FXP” organo di stampa ufficiale dell’Istituto di Istruzione Superiore Giovanni Falcone di Asola (MN). Continua a coltivare interessi artistici e letterari. Pigiama Party è il suo esordio.

A mio fratello Lorenzo

I.

«Ok, va bene… sto a casa tesoro… ciao, baci.» Simone attaccò il telefono incazzato nero. Quando quel sabato pomeriggio Paola gli aveva telefonato per dirgli che quella sera non potevano vedersi, perché aveva preso la febbre, si era messo a organizzare una serata vecchio stile con gli amici. Birra, fumo, salto dei bar in via Garibaldi e per finire puttan tour. Ora Paola gli aveva telefonato per chiedergli di stare a casa. Era un mese che stavano insieme ma lei ancora non si fidava. Aveva la paranoia dei tradimenti. Ogni volta lamentava il fatto che i suoi ex l’avevano tradita. Simone cominciava a capire perché: lei prima di fare sesso voleva conoscere bene il suo ragazzo e probabilmente i suoi ex, stanchi di aspettare una meta lontana, avevano ripiegato su altre ragazze. Paola era bella, ma prima che smollava i freni doveva are molto tempo. Simone lo sapeva bene e siccome era sempre stato insieme a bagasce, aveva deciso di stare, finalmente, con una brava ragazza. Paola infatti era una studentessa modello, andava a ballare ma non si ubriacava, la domenica mattina andava in chiesa, faceva volontariato e aveva sani principi e saldi valori. Simone non aveva tanti problemi ad aspettare per il sesso, ma la storia di dover stare a casa pure lui, quando lei si sentiva male, non gli andava proprio a genio. Lui, in fin dei conti, si era dimostrato fedele e a differenza delle sue ex aveva sempre trattato Paola con un occhio di riguardo. Però questa volta decise di sbattersene. Prese il giubbino, salutò i genitori e uscì di casa. Il Max, Umbi e il Giò lo stavano aspettando con venti euro di erba. Probabilmente avevano già cominciato senza di lui. Davanti al cancello del giardino di casa, però, venne assalito da alcuni sensi di colpa. Lui si era messo con Paola perché voleva mettere veramente la testa a posto. Anche se non aveva intenzione di tradirla, a lei non sarebbe piaciuto che lui fe serate del genere. Guidato da quello che era un vago senso di responsabilità decise di starsene a casa. Rientrò e mandò dei messaggi di scuse al Max, a Umbi e al Giò. Poi si chiuse in camera deciso a dimostrare per l’ennesima volta di essere una persona affidabile.

«Alessia mi ha telefonato prima e ha detto che non viene, perché è andata a ballare al RedSunset» annunciò Paola accogliendo all’ingresso del suo appartamento Roberta e altri due ragazzi. «Che peccato…» fece Roberta non troppo dispiaciuta. Il primo si chiamava Riccardo ed era il nuovo ragazzo di Roberta. Era alto, magro, con i capelli corti neri e un naso orribile. Il secondo era messo peggio. Capelli rossi, grasso con la pelle bianchiccia e una faccia piena di lentiggini. I suoi occhi troppo grandi e vacui gli davano l’aria di pesce lesso. Si chiamava sco, era un amico di Riccardo che si era unito all’ultimo momento al pigiama party. Era uno di quei salta fossi della quinta C. Roberta andava sempre a cercare col lanternino i peggiori ragazzi dell’istituto. Paola, in quel momento, si rese conto che sarebbe stata una serata noiosa.

Tutto era cominciato due giorni fa. Paola aveva detto a Roberta che il fine settimana i suoi sarebbero andati sul lago e che quindi avrebbe avuto la casa libera. Roberta aveva colto l’occasione al volo. «Perché non facciamo un pigiama party da te?» Paola sapeva che la domanda, in realtà, era un’altra “Io e il mio ragazzo non abbiamo un posto dove pomiciare in santa pace, perché lui non ha la macchina e a casa nostra c’è sempre qualcuno”. Roberta voleva quindi avere un letto per pomiciare con Riccardo, il quale a quanto pare non si dava molto da fare per reperire un luogo adatto. Comunque per Paola l’idea del pigiama party non era male. Avrebbe chiamato Simone e tutti sarebbero stati contenti se non fosse stato per Alessia. Roberta infatti aveva invitato al pigiama party anche Alessia. Paola non capiva perché Roberta aveva la mania di organizzare serate coinvolgendo gente che non c’entrava un cazzo. Il problema grosso, comunque, era un altro. Alessia era la ex di Simone. Alessia era un’amica di Paola. Simone non sapeva che Alessia e Paola si conoscevano. Alessia non sapeva che Paola stava ora col suo ex. I fatti erano andati più o meno così. Alessia si era mollata con Simone, l’ultimo di una serie di ragazzi inaffidabili. Lei sapeva di avere le sue colpe, di avere fatto scelte sbagliate e di non essersi comportata sempre in modo corretto, ma aveva anche deciso di chiudere con certi giri. Voleva mettere la testa a posto insomma.

Aveva così ricontattato le vecchie amiche che andavano al liceo, Roberta e Paola. Paola era stata contenta di questo riavvicinamento. Solo che Paola, nel frattempo, aveva preso a frequentarsi con Simone, ignara del fatto che fosse lui il coglione a cui si riferiva Alessia quando mandava imprecazioni al proprio ex. Lo scoprì solo quando ormai si era impegnata ufficialmente con lui. Paola fu invasa da quella che fino ad oggi era diventata la sua più grande paranoia. Aveva paura che Simone prima o poi l’avrebbe mollata per tornare con Alessia, la quale agli occhi dei maschi era una superfiga. Mora con i capelli lunghi, una terza di reggiseno, gambe da paura e un volto allegro che si lasciava andare a una varietà di tenere smorfie che facevano perdere la testa agli uomini. Così, per precauzione, non aveva mai detto niente né a Simone di Alessia né ad Alessia di Simone. Anzi, aveva sempre cercato di fare in modo che i due non s’incontrassero di nuovo. Come quella sera. Sapendo che Alessia veniva al pigiama party aveva dovuto rinunciare a invitare Simone e aveva dovuto accampare la scusa della febbre. Lei ci teneva molto a Simone – non come Alessia che a quanto pare lo aveva tradito – e impedendogli di tornare con la sua ex lo stava infine proteggendo. Purtroppo Alessia era di umore ballerino. L’aveva chiamata poco fa per dirle che aveva deciso di andare a ballare con altri amici al RedSunset. A quel punto la situazione era stata nuovamente a rischio. Il RedSunset era la discoteca preferita di Simone, dove quasi sicuramente sarebbe andato quella sera se non fosse uscito con lei. Anche se il luogo era piuttosto grande i due potevano facilmente incontrarsi. Paola non poteva permettere una cosa simile. Quindi aveva chiamato il suo ragazzo e aveva cercato di convincerlo in tutti i modi a restare a casa: «Lo sai che mi preoccupo se esci. Lo sai quanto i miei ex mi hanno fatto del male…» e via dicendo. Simone non l’aveva presa bene, ma il piano aveva funzionato. Paola si sarebbe fatta perdonare nei prossimi giorni.

Dopo le presentazioni la padrona di casa squadrò i tre ospiti cercando di mascherare il suo malcontento. «Di là ci sono la camera e il bagno se volete mettervi subito il pigiama.» «Va bene» fece Roberta mentre tirava fuori dalla borsa una bottiglia.

«Ho anche portato della vodka alla pesca!» «Bene.» Paola si sforzò di sorridere. Aveva già capito come sarebbe andata a finire. Roberta si sarebbe ubriacata con Riccardo e i due se ne sarebbero andati a pomiciare sul letto in camera sua. Lei avrebbe ato il resto della serata a parlare con quel pesce lesso, che a parte il suo nome non aveva ancora spiccicato una parola.

Il Max non appena vide il messaggio di Simone lo chiamò. «Cazzo Mona! Non si tira un bidone così! Perché non vieni? Sei stato tu a dire di far serata!» «La mia ragazza non vuole.» Il Max rimase per un attimo allibito e senza parole. «Cos’è uno scherzo? Ma quando mai hai dato retta a una ragazza?» «Senti ci tengo veramente a questa. Non voglio mandare tutto a puttane come al solito.» La voce di Simone, detto il Mona, era decisa. Il Max si girò verso Umbi e il Giò che si stavano ando una canna. «Merda, questo è cotto veramente, si sta rincoglionendo» disse a bassa voce. Poi parlò nuovamente al cellulare. «Fai come vuoi. Se cambi idea sai dove trovarci.» «Va bene Max, divertitevi.» «Mi raccomando, non mi diventare scemo.» Simone impostò il cellulare sulla modalità silenzioso e lo appoggiò sul comodino. Si mise il pigiama e si sdraiò sul letto accendendo il trentadue pollici, schermo piatto, che era riuscito a farsi comprare qualche mese fa dai suoi. Aveva

visto nei giorni scorsi la pubblicità di Fast Five. Se gli andava bene lo facevano quella sera. Toretto, il protagonista, era proprio un duro e Umbi gli aveva detto che in quel film il suo nemico era l’attore del Re Scorpione. Un altro duro. Toretto però era il migliore. Guidava macchine strapotenti e modificate, dove era installato il NOS per farle andare più veloci. Inoltre incontrava un sacco di belle fighe. Simone girò vari canali ma non trovò traccia del film. Controllò il televideo. Cazzo, il film lo facevano domani. Fece per un po’ zapping e alla fine optò per un film intitolato Come Dio comanda. Si rammentò che Paola gli aveva detto che era un bel film, tratto dal romanzo di un ottimo scrittore. Decise di seguire il suo consiglio, in fondo stava diventando una persona diversa e doveva pur farsi una cultura.

Dopo neanche venti minuti Simone stava per sclerare. Il film era la solita cazzata italiana sul rapporto genitori-figli, roba inguardabile. L’unico personaggio del film che gli suscitava una certa simpatia era quel maniaco di Quattro Formaggi. Proprio grazie a lui ebbe un’ispirazione. La sua ragazza gli aveva detto di rimanere a casa, ma non gli aveva detto cosa doveva fare. Per esempio non gli aveva detto “Rimani a casa e non guardare i porno”. Simone pensò che il porno fosse l’unica soluzione per dare una svolta a quella serata di merda. Era da un po’ che non ne guardava uno. Ma sì, perché no? Si sarebbe visto un bel film a luci rosse, uno di qualità, americano. Non un porno italiano con donne orribili, grasse e dalle ere pelose. Magari si tirava una o due seghe così si sarebbe anche addormentato. Ma sì, avrebbe trascorso un sabato sera alternativo. Spense la tele e andò a sedersi alla scrivania dove teneva il suo Pc con connessione Fastweb.

Paola, Roberta, Riccardo e sco erano seduti per terra su un tappeto, in pigiama, circondati da cuscinetti e materassi. Roberta aveva fatto stappare la bottiglia di vodka. Solo che Paola non aveva voglia di bere, mentre sco era astemio. Riccardo accettò un solo bicchiere con l’intenzione di berlo molto lentamente. Paola stava cercando di ravvivare un poco la serata. Aveva messo su un cd di Tiziano Ferro e aveva preso il Monopoli. Quel coglione di Riccardo aveva occhi

solo per Roberta e continuava a sparare battute ridicole. Quel pesce lesso di sco invece parlava a tratti e finiva le frasi a metà. Quella serata era una palla pazzesca. A un certo punto le squillò il cellulare. «Pronto?... Ciao, dimmi!... Ok, va bene, ti aspettiamo.» Riattaccò col sorriso sulle labbra, forse non era tutto perduto. «Fra poco arriva anche Alessia, ha detto che al RedSunset non va più perché non se la sentiva.» «Bene, così possiamo giocare a briscola chiamata» disse Riccardo. A Paola venne voglia di accompagnare Riccardo alla balaustra del terrazzo e di fargli fare un volo di tre piani. Perché i coglioni li beccava tutti Roberta?

II.

sco alla notizia che arrivava una terza ragazza si tirò su di morale. Quella sera si stava decidendo per andare a giocare al bowling con Andrea e Davide, quando gli aveva telefonato Riccardo. «Ma quale bowling? Là ci vanno gli sfigati della terza.» Da quando si era trovato la ragazza si sentiva un dio. «Vieni con me a un pigiama party.» Aveva detto. «Sarà pieno di figa.» Aveva detto. «Ti divertirai tantissimo, soprattutto tu che non hai la ragazza.» Aveva concluso. sco sulle prime stava rifiutando, ma Riccardo, grazie alla sua parlantina logorroica e a una testardaggine da fare invidia a un mulo, riusciva a prendere chiunque per sfinimento. sco pur di non starlo più a sentire e non sorbirsi per tutto il pomeriggio un bombardamento di telefonate e messaggi, alla fine accettò. Lui era molto timido, ma magari stando con molte ragazze in un ambiente ristretto sarebbe riuscito a interagire un poco. Sarebbe stato più facile socializzare. Il pigiama party però si stava rivelando una gran fregatura. Erano solamente in quattro e il “pieno di figa” erano Roberta, che oltre a essere la ragazza di Riccardo, era grassa, svampita e rompiballe, e l’altra, rullo di tamburi, era l’intoccabile Paola Rossellini. Intoccabile per due motivi. Uno. Era considerata da tutto il Liceo Scientifico GiovanniBattistaMorgagni una bernarda d’acciaio. Era bella, ma non era una preda facile. Lui inoltre, timido

come era, non avrebbe avuto speranze. Due. Anche sorvolando sui problemi del primo motivo, Paola era la nuova ragazza del Mona, l’imbecille pluribocciato della quinta A. Alle ragazze, però, a quanto pare piaceva. Le ragazze del Mona non si toccavano, perché il Mona era rispettato da tutti, era palestrato e si diceva che menasse come un fabbro. sco, mentre tirava i dadi e muoveva di malavoglia la pera sul tabellone del Monopoli, decise che non si sarebbe mai più fatto coinvolgere da Riccardo in serate simili. Tiziano Ferro gli stava pure sulle balle. Nel frattempo non vedeva l’ora che arrivasse questa Alessia, sperando dentro se stesso che non fosse una cozza.

Simone navigava su vari siti vietati ai minori, senza trovare un porno americano di qualità. Se non andava nei siti a pagamento trovava solo inguardabili orge interraziali, milf orrende, convinte di avere il fisico di una ventenne, e film amatoriali con attrici così brutte che al posto di fartelo rizzare te lo ammosciavano completamente. Alla fine ripiegò sul made in Italy e cominciò a scaricare un film intitolato La moglie infedele. Nei forum ne parlavano piuttosto bene e la piccola copertina che vedeva su internet mostrava una bionda con un seno sodo e due labbra sensuali. Mentre la linea del avanzava sullo schermo, uscì dalla camera e andò in cucina a prendersi una birra. I suoi se ne stavano seduti in salotto sul divano e con la coda dell’occhio vide che guardavano quella cagata di Come Dio comanda. Quando ormai si era scolato quasi tutta la bottiglia, finalmente il film fu a sua disposizione. Per fare le cose fatte bene lo copiò su una chiavetta USB e lo caricò sul televisore. Così poteva gustarselo sdraiato sul letto. Il film si aprì sulla scena della bionda che usciva dalla doccia nuda. Era veramente una figa da paura. Dopo essersi asciugata, se andò in camera da letto e sì infilò calze e reggicalze neri. Poi si mise un perizoma e un reggiseno anche essi neri. Completò il tutto infilandosi dei tacchi a spillo vertiginosamente alti. Simone era già arrapato come un riccio. Una volta la sua ex Alessia, per il suo compleanno, si era vestita allo stesso modo. L’attrice si diresse verso un armadio in cerca di qualcosa. Lo aprì. Ne uscì un venticinque centimetri muscoloso e completamente depilato. La bionda sorrise maliziosa e felice come una pasqua si chinò davanti all’uomo e cominciò a eseguire un pompino ricercato. A Simone venne duro. Era proprio un film di alta qualità, forse avrebbe dovuto rivalutare i film a luci rosse italiani. Quella succhiava

veramente bene. Poi la coppia di pornoattori andò sul letto, dove lei si tolse le mutande e si mise a pecorina. Lo stallone, inginocchiandosi dietro di lei, cominciò a penetrarla. Simone cominciò a masturbarsi. A un certo punto squillò un cellulare e la bionda prendendolo dal comodino rispose. Era suo marito. «No caro. Ho la febbre, sto andando a dormire. Tu mi raccomando non uscire dall’albergo questa sera, rimani a casa, ti voglio bene caro.» Riattaccò e girandosi verso il suo stallone disse: «Che aspetti, vai più forte». A Simone gli si afflosciò mentre una lampadina si accendeva in un angolo remoto del suo cervello. I suoi neuroni diedero vita a nuove sinapsi. La febbre… no caro stai a casa… erano le stesse parole di Paola. Poi ricordò una frase che quel pomeriggio gli aveva detto la sua ragazza “I miei questo week-end non ci sono”. Troia! Simone scattò in piedi dal letto. Si tolse il pigiama e cominciò a vestirsi in fretta. Quella stronza lo stava tradendo! Ecco perché non faceva sesso con lui… ne aveva abbastanza perché lo prendeva da altri. Gli vennero in mente le parole del Max, che a figa era messo meglio di lui e al quale s’ispirava “Occhio alle brave ragazze, sono le peggiori. Sembrano calme, ma sono quelle che ne fanno di peggio”. Fanculo! Quella troia di Paola aveva le paranoie che lui la tradisse perché lei era la prima a farlo. Scattò fuori di casa senza avvertire i suoi. Alla tv, nel frattempo, la bionda e il venticinque centimetri continuavano la loro performance.

Poco prima che arrivasse Alessia, Paola aveva pensato di telefonare a Simone per dirgli che poteva uscire. Non c’era più pericolo che incontrasse la sua ex. Solo che così avrebbe dato un’immagine di sé completamente sbagliata. Una ragazza confusa, incerta e soggetta agli sbalzi d’umore. Invece per stare con Simone doveva dimostrarsi sicura e decisa, se no sarebbe stata piantata in asso. Ormai il danno era fatto. Paola però si ripromise di uscire con lui a tutti i costi domani. Doveva per forza farsi perdonare.

Effettivamente l’arrivo di Alessia aveva ravvivato un poco la situazione. Si era

bevuta un bicchiere di vodka e si era inserita nel Monopoli con uno strappo alle regole. Si era seduta tra Paola e sco e teneva banco. Parlava molto di sé, ma cercava di dare attenzioni un po’ a tutti. Paola la ringraziò dentro di sé: Alessia rendeva a Riccardo le sue battutacce ed era anche riuscita a risvegliare sco dal torpore. Quest’ultimo parlava un po’ di più e in fondo sembrava anche simpatico. Roberta, che non teneva l’alcol, era già sbronza e non perdeva un minuto per strusciarsi contro Riccardo in modo spudorato. «Ma quello è il regalo che ti ho fatto per il compleanno!» disse Alessia indicando un vaso di fiordalisi posto su una credenza. «Ma certo! È uno dei regali più belli che ho ricevuto e qui in salotto ci sta benissimo. Me ne prendo cura con molta attenzione» rispose Paola. «Ma sei un amore!» esclamò Alessia. Poi abbracciò Paola. Le due ragazze si scambiarono alcuni baci sulle guance e con parole affettuose rinnovarono la loro amicizia.

sco era completamente ringalluzzito. Alessia non era una semplice Alessia, bensì era Alessia Spagna. Il suo grande amore delle medie. All’epoca lei non era così bella, ma lui ne era completamente cotto. Aveva scoperto quel fiore non ancora sbocciato molto tempo prima di tutti i suoi compagni. Non aveva avuto però il coraggio di confessarsi. Non si conoscevano e sebbene avessero frequentato lo stesso istituto lei, all’epoca, stava in un'altra classe in un altro corridoio. Poi le medie erano finite, lui era andato al liceo, mentre lei era andata a ragioneria. sco, però, la pensava spesso e considerava un prezioso tesoro ogni piccola informazione che ogni tanto sentiva su di lei. Aveva saputo molte cose, le principali erano che era diventata una “gran gnocca” e che, di conseguenza, “ci andava” con tutti. Con la prima cosa era d’accordo, anche se preferiva l’espressione bellissima ragazza. Con la seconda no. Non ci voleva credere che la sua dolce Alessia era diventata una “poco di buono”, o come preferiva dire una “ragazza facile”. Sicuramente erano voci che avevano messo in giro alcuni ragazzi che ci avevano provato con lei e a cui era andata male. Oddio, quando era arrivata da Paola aveva indosso una camicetta bianca, che mostrava una generosa scollatura, una minigonna rossa, delle calze a rete nere e degli stivaletti col tacco alto. Poi si era andata a cambiare ed era arrivata in

salotto con un pigiama rosso supersexy. Tutto questo aveva fatto venire qualche dubbio a sco. Beh, che male c’era in fondo… era un pigiama party e ognuno si metteva il pigiama che voleva. Quello di Alessia era attillassimo e le metteva in risalto il seno e i capezzoli, le cosce e la curvatura dei fianchi. S’intonava perfettamente col rossetto rosso e creava un fantastico contrasto con i capelli neri, lunghi e lucenti. sco si era fatto coraggio. Doveva tentare di far colpo, questa era l’occasione della sua vita, una partita che forse poteva giocare solo quella volta. Naturalmente doveva fare i conti con vari problemi. Uno. Sperava che Riccardo non si ricordasse che Alessia era il suo amore delle medie e che in caso contrario non decidesse di dirlo così su due piedi davanti a tutti, altrimenti sarebbe diventato il citrullo della situazione e si sarebbe dovuto sorbire una serie di fastidiosi commenti e di patetiche prese in giro. Due. Alessia era purtroppo la ex del Mona. Ora, sapeva che le ex del Mona non erano tabù, ma non capiva come mai Paola e Alessia fossero amiche. Non è che il Mona se le faceva tutte e due e loro consapevoli accettavano? Nel caso, doveva considerare Alessia una ragazza del Mona? «Scusa sco, ma tu andavi alle medie al Bergamaschi?» Il cuore di sco cominciò a battere a mille. Furono per lui secondi di beatitudine. Non solo Alessia lo aveva chiamato per nome, nonostante si fossero appena conosciuti, ma si ricordava pure di lui alle medie. «Sì, ero nella B» biascicò. «Davvero! Io ero nella E. Avevi un volto familiare infatti.» sco volò al settimo cielo. Con la coda dell’occhio vide Riccardo che ghignava. Ecchissenefrega! Avrebbe affrontato le canzonature di Riccardo e le insidie del Mona, pur di conquistare Alessia Spagna. «Quindi eri in classe con quel figo di Massimo, giusto?» sco si sentì sprofondare nell’abisso.

III.

Simone sfrecciava sulla statale a bordo di quella schifezza del Maggiolino che divedeva con la sorella. Quando i loro genitori avevano deciso di comprare una macchina per i loro due figli, avevano come sempre seguito esclusivamente le direttive dell’amata figliola, di due anni più grande di Simone, responsabile e brava a scuola. Fanculo! Quel Maggiolino di merda Simone lo odiava. Come previsto la sorella ne aveva preso il pieno possesso riempiendolo di schifosi peluche e di profumi rivoltanti. Non vedeva l’ora che quel pirla del suo ragazzo la mettesse incinta, la sposasse e se la portasse fuori dalle scatole. Ora però doveva concentrarsi su cose più importanti. Cosa sapeva di Paola? L’aveva conosciuta a una festa d’istituto in discoteca. Lei stava nella B. Lui, che si era lasciato da poco con Alessia, l’aveva abbordata. Paola era bella – anche se non poteva competere con Alessia – aveva un fisico niente male e oltre a questo gli ispirava tranquillità e fiducia. Almeno fino a un quarto d’ora fa, fino a quando La moglie infedele non gli aveva svelato l’arcano. In effetti, oltre a questo, cosa sapeva lui di Paola? Quasi niente. Non avevano gli stessi giri di amici e durante la loro frequentazione non avevano provato neanche a farli incontrare. Lei diceva sempre che doveva studiare e uscivano una volta alla settimana, di sabato. Due quando lei non aveva verifiche. Ora capiva: quella se la faceva con qualcun altro. E lui che pensava di stare con una brava ragazza. Aveva ragione il Max, quella, nascondendosi dietro quel suo faccino dolce da schiaffi, lo pigliava per il culo.

Alessia aveva convinto gli altri a cambiare musica e a ballare un po’. La partita a Monopoli era stata abbandonata senza che nessuno protestasse. Dallo stereo del salotto di Paola proveniva In Da Club di 50 Cent. Le due ragazze erano state le prime a cominciare a ballare, seguite poco dopo da Roberta e Riccardo. sco si era seduto su una sedia e stava lentamente risalendo dall’abisso. Le parole di Alessia, “Massimo è proprio uno stronzo”, gli avevano ridato un bagliore di speranza. Solo che lui a ballare era veramente una frana e la musica commerciale gli stava sulle balle. A un certo punto Roberta si accostò a Paola e

le disse qualcosa all’orecchio. Paola annuì. La coppietta della serata uscì dal salotto per appartarsi in un’altra stanza. sco si sentì ancora più a disagio. Come doveva comportarsi ora? Alla radio cominciò Satisfaction di Benny Benassi. Le ragazze si scatenarono. Alessia ballava assumendo pose sensualissime. Anche Paola, con il suo pigiama bianco e blu, però non scherzava. Le due ogni tanto si prendevano e si strusciavano l’una contro l’altra. Oppure si mettevano schiena contro schiena e allargando le gambe si piegavano sulle ginocchia muovendo il busto in maniera provocante. A un certo punto Paola e Alessia si scambiarono alcune parole sottovoce. sco le guardava indeciso sul da farsi. Si stava arrovellando il cervello in cerca di un’idea. Come poteva mettersi in mostra senza rendersi ridicolo? Non fece in tempo a pensare ad altro che Alessia gli si avvicinò. Lo prese per le mani e sfoggiando uno dei suoi migliori sorrisi esclamò: «Dai balla pure tu!». «Sì, fai due i, non preoccuparti, non sentirti in imbarazzo» le fece eco Paola. sco decise di lasciarsi trascinare dagli eventi. Il suo cuore ricominciò a battere alla velocità della luce. Non poteva tirarsi indietro, questa era una possibilità per guadagnare punti. Alessia ballava di fronte a lui continuando a muoversi in modo da ostentare il suo fisico mozzafiato. sco era così agitato che si muoveva a scatti, in modo incerto. Cercò di fare qualche o che ricordava di aver visto in tv, ma la sua esibizione riuscì malamente. Paola e Alessia però sembravano divertite. Era un buon segno? Perché era così difficile capire cosa volevano le ragazze? «Vado un attimo in bagno» disse Paola, e uscì dal salotto. sco in quel momento avrebbe abbracciato chiunque colmo di gioia. Qualche minuto lui e Alessia Spagna soli. Non doveva fare errori. Qui si giocava la partita della sua vita. Alessia gli sorrise e poi di scatto lo spinse sulla poltrona. sco fece per dire qualcosa ma Alessia fu più veloce di lui: «Posso farti una lap dance?» disse sorridendo, mentre muoveva la testa agitando la lunga chioma di capelli corvini. sco con gli occhi strabuzzati non riuscì neanche a rispondere. Si limitò ad annuire con la bocca aperta. Era proprio come in Grindhouse – A prova di morte, quando la porcellina faceva la lap dance al maniaco. Solo che questa volta il protagonista era lui, che non era un maniaco, e la ballerina era niente meno che Alessia Spagna, la donna della sua vita! Il sorriso scomparve dalle labbra di Alessia, la quale assunse un’espressione languida. Molto lentamente si tolse la maglia del pigiama mostrando un reggipetto nero, senza spalline. Le tette abbondanti e sode traboccavano da esso.

A sco venne duro immediatamente. Il resto del corpo era impietrito di fronte allo spettacolo più incantevole e allo stesso tempo più trasgressivo che avesse mai visto.

Paola sorrise mentre era seduta sul water. Pensava a Alessia che probabilmente stava facendo la lap dance a quel pesce lesso di sco. Chissà che cosa si aspettava quello. A dire il vero non voleva divertirsi alle sue spalle, in fondo non era una persona antipatica, ma quella serata era noiosa e le due avevano deciso di darle una scossa. Lo scherzo era semplice. Lei sarebbe rientrata in salotto e vedendo lo spettacolo avrebbe finto di arrabbiarsi e insieme ad Alessia avrebbe accusato sco di essere un maniaco. Voleva proprio vedere la faccia di quel baccalà. Poverino però. In fondo un poco le dispiaceva. Sarebbe stato meglio farlo a Riccardo uno scherzo del genere. A un certo punto sentì squillare il citofono. Chi era a quest’ora?

Simone quando arrivò sulla via che fronteggiava la palazzina di tre piani, dove risiedeva Paola, andò completamente fuori dai gangheri. Da una finestra della casa, all’altezza di quello che doveva essere il salotto, veniva della musica dance. “Hai capito? La troietta fa pure i festini. Come cazzo non ho fatto a vedere certe cose?” si disse tra sé e sé. Ringraziò ancora una volta La moglie infedele. Scese dall’auto e si diresse al piccolo cancello di metallo. Sarebbe salito su nell’appartamento a dare una bella riata a tutti e se erano troppi avrebbe chiamato il Max, Umbi e il Giò a dargli man forte. Suonò il citofono.

«Rispondete voi per piacere.» La voce di Paola attraversò il corridoio e arrivò nonostante la musica alle orecchie di Alessia e sco. Alessia si mise le mani sulle tette. «Mi vergogno, puoi rispondere tu?» disse con una vocina porca. Lo scherzo stava funzionando alla perfezione. sco si alzò meccanicamente dal divano annuendo. Gli sembrava che tutto il suo essere si fosse elevato a uno stadio superiore di vita. Il suo cuore sembrava una mitragliatrice impazzita e il suo volto era completamente paonazzo, ma non se ne rendeva conto. Rispose al

citofono in uno stato catatonico. «Chi è?»

La voce che proveniva dall’altoparlante non era sicuramente quella del padre di Paola. Ecco, pensò Simone, ho beccato subito lo stronzo. «Chi cazzo sei tu morto di figa?» disse incazzato nero. sco tornò immediatamente sul pianeta terra. La voce gli era familiare ma non capiva di chi fosse. Come cazzo si permetteva? Sentiva che in lui ormai era avvenuta una svolta. Lui ora era un figo, che se ne andava per festini privati dove Alessia Spagna faceva la lap dance per lui e solo per lui e nessun altro. «Sono sco Paroldi, stronzo, e il morto di figa sei tu!» Simone stava per sbraitare ma si trattenne. Una vocina gli diceva che se faceva irruzione in casa e spaccava la faccia a quel figlio di puttana sicuramente rischiava una denuncia. Però quel pirla aveva fatto un errore, gli aveva dato nome e cognome. Per ora andava bene così. «Scusa ho sbagliato camlo, dovevo fare uno scherzo.» «Ah, ok» fece sco, e riattaccò. Doveva immediatamente tornare al suo posto per guastarsi la lap dance. «Chi è?» domandò Alessia con le mani ancora sulle tette. «Niente, hanno sbagliato camlo» rispose sco cercando di assumere un atteggiamento da duro. La breve conversazione al citofono aveva fatto emergere in lui un coraggio a lungo sopito. In fin dei conti, il mondo e Alessia Spagna erano alla sua portata. «Hanno sbagliato camlo!» gridò Alessia lungo il corridoio.

Simone risalì in macchina e sgommò via. sco Sparoldi non era un nome

nuovo. Qui ci voleva il Max che aveva una memoria di ferro. Mentre guidava lo chiamò. «Pronto Mona! Ma che ci hai ripensato? Vieni dai!» «No Max, mi serve un’informazione…» Simone ormai non aveva per niente voglia di unirsi alla serata. Quando beveva e fumava incazzato di partenza, diventava piuttosto aggressivo. «Conosci un certo sco Sparoldi?» «Sì che lo conosco. Era un mio compagno di classe alle medie. Mi sa che ora sta al liceo, nella D credo, perché?» «Niente devo sistemare delle cose con lui.» «Che ti fotte la ragazza?» A Simone per poco non prese un colpo. Come cazzo aveva fatto Max a intuirlo? Stava per tirare bestemmioni a destra e a manca quando il Max aggiunse: «Ehi, tranquillo Mona! Era una battuta. Quello è un pesce lesso». «Ok, ok, grazie. Ci sentiamo domani.» «Ok, cazzo, però potevi venire.» «Non posso.» Riattaccò. Il pesce lesso e la brava ragazza. Proprio perché insospettabili erano sospetti. E i sospetti erano già conferme. Comunque ora aveva abbastanza informazioni. Lunedì mattina avrebbe beccato all’uscita della scuola quel sco e lo avrebbe pestato per bene. Poi avrebbe mandato affanculo quella troia smorfiosa di Paola. “Non mi sento ancora pronta per un rapporto completo.” Ma che se ne andasse a cagare lei e le sue frasi filosofiche. Guardò l’orologio. Erano le undici, in fondo era ancora presto. Perché no? Se Paola lo tradiva a questo punto l’avrebbe tradita pure lui così da darle il ben servito. Cercò sul cellulare un numero. Sapeva che la sua ex era ancora innamorata di lui e che sicuramente ci stava. La chiamò.

IV.

Paola camminava lentamente per il corridoio pregustando la scena che si sarebbe trovata davanti. Sperava di essere anche lei un’ottima attrice. Con Alessia scherzi del genere erano una meraviglia. A un certo punto sentì squillare un cellulare. Ci furono dei i svelti in salotto e la musica si abbassò di volume. «Pronto?» Alessia aveva risposto al cellulare. «Ciao quanto tempo! Uhm… sì… sì… va bene, però non venire a casa mia, vieni a prendermi in piazza Caldani…un quarto d’ora e sono pronta… ok a dopo.» Paola entrò in salotto allarmata. Cosa era successo? Chi era al telefono? Il pesce lesso boccheggiava sulla poltrona guardando in direzione di Alessia. Questa, agitatissima, corse incontro a Paola e la abbracciò. «Tesoro mio! Indovina chi mi ha telefonato?» «Chi?» Paola sperò che il suo fosse un presentimento sbagliato. «Simone. Ha detto che vuole vedermi. Scusa se me ne vado, mi dispiace, ma devo assolutamente vederlo.» Paola cercò di mantenere un’aria compiaciuta mentre pensieri omicidi cominciavano a arle per la testa. «Simone? Il coglione? Ma perché lo vuoi rivedere?» «Devo chiarire alcune cose con lui. Mi ha mollato senza darmi giustificazioni e io ho da dirgli un paio di cosette. Mica mi ci voglio rimettere con quello.» Paola annuì e tentò di giocarsi la sua ultima carta. «Ma appunto, è stronzo. Non si merita neanche che ci parli!»

«Sì, ma io sono una tipa che preferisce dire due parole in più che restare indifferente. Dai vado… se non faccio tardi torno qua.» Detto questo raccolse la maglietta e corse a cambiarsi. Paola era sull’orlo di una crisi di nervi. Se Alessia si fosse incontrata con Simone, col cavolo che sarebbe tornata! sco stava ancora realizzando l’accaduto. I due rimasero in silenzio finché Alessia non ricomparve. Diede un bacio a Paola e salutò sco. «Scusa se me ne vado. Mi ha chiamato il mio ex, è una cosa importante. Salutatemi anche gli altri due.» sco si limitò a alzare una mano molto lentamente in segno di saluto. Sembrava un bambino a cui avevano rubato le caramelle. Perché il mondo lo voleva così male? Stava già pensando a notti di sfrenata ione con Alessia, e al matrimonio, quando quell’odioso cellulare aveva squillato. Quando Alessia ormai era uscita, fece per dire qualcosa ma Paola si buttò improvvisamente sul divano del salotto e con la testa affondata nel cuscino, cominciò a piangere.

Riccardo era contento. Roberta limonava come un polipo e si faceva mettere le mani dappertutto. Se la voleva godere pian piano. Il letto di Paola era pure comodo. Lui aveva capito una cosa fondamentale: ciò che piace al tatto non sempre piace alla vista. Roberta ne era la dimostrazione. Seppur sovrappeso e non particolarmente bella, al buio erano ottanta chili di carne abbondante e morbida. Aveva due tette enormi. Appena avrebbe avuto un po’ di respiro le avrebbe chiesto una spagnola. Tutti i suoi amici imbranati correvano dietro alle bernarde d’acciaio e se non erano gente come il Mona o il Max, i ganzi della scuola, non rimediavano un fico secco. Lui aveva scoperto che in fondo grasso è bello. Le ragazze grasse non se la tiravano, erano più disponibili a fare porcate per tenersi stretti gli uomini e non richiedevano grosso spreco di denaro nei corteggiamenti. Forse l’unico difetto è che erano un po’ appiccicose, ma in compenso fedeli.

sco non aveva la più pallida idea di come si consolava una ragazza. Però ci aveva visto lungo: il Mona se le faceva tutte e due, ma a quanto pare a Paola questa cosa non piaceva.

Ma perché? Cosa aveva il Mona che lui non aveva? Pensare che se non avesse chiamato Alessia, ora sicuramente starebbe pomiciando con lei. «Ehm, senti… mi dispiace…» disse avvicinandosi a Paola. «VA’ VIA» gli urlò. sco perse la pazienza. Quel deficiente di Riccardo era scomparso con quella cozza di Roberta e lui doveva starsene lì a guardare Paola che piangeva. Non la conosceva nemmeno. Fece per andarsene. Si era rotto le balle di tutto. «Aspetta…» disse Paola. «Scusami non volevo. Solo che il mio ragazzo mi vuole tradire con la mia migliore amica.» A sco gli rodeva di aver perso la possibilità con Alessia, quindi fu molto franco. «Beh, scusa… però è risaputo che il Mona ha tante ragazze.» «Il chi?» fece Paola. «Il Mona.» «Come?» Paola guardò sco con aria interrogativa. «È il soprannome di Simone… Tutta la scuola lo sa.» «Io non lo sapevo. E perché lo chiamano così? Vuol dire qualcosa questo soprannome?» sco deglutì, forse era meglio se stava zitto. «È un caso che lo chiamano così. Alle medie era ehm… un tantino effeminato e lo prendevano in giro chiamandolo Simona. Poi è cresciuto e hanno tolto il “SI”, ed è diventato Mona.» La storia non era del tutto completa. sco aveva omesso alcuni particolari per discrezione e per non causare ulteriori guai. Simone, alle medie, era effettivamente chiamato Simona per le sue fattezze androgine e i suoi modi

delicati. Poi la leggenda narra che all’età di sedici anni, mentre era in vacanza a Rimini con un paio di amici più grandi di lui, venne svezzato, in circostanze misteriose, da una prorompente quarantenne. Questa esperienza fu per Simone l’inizio di una carriera strepitosa per quanto riguardava i rapporti con il gentil sesso. A settembre, tornando tra i banchi di scuola, divenne in poco tempo un marpione di successo. E venne soprannominato Mona. «Ah, ho capito… un diminutivo» disse Paola. «Quindi cosa vuol dire che ha tante donne?» domandò ancora. sco rimase perplesso. Uno. Possibile che Paola non sapesse che Mona voleva dire figa? Due. Simone era il figaiolo della scuola. Tutto il Liceo Scientifico Morgagni lo sapeva. Come era possibile che Paola non se ne fosse resa conto? Forse certe voci giravano solo tra i maschi e tra le ragazze più pettegole. sco cercò di mantenere il tono più neutrale possibile. «Beh… è uno che piace molto alle ragazze e lui spesso ci esce…» Paola guardò imibile il pesce lesso. Era chiaro, era solo un ragazzino invidioso. Simone era solo suo e l’unica che poteva portarglielo via veramente era Alessia. Non sarebbe successo però. Decise di giocarsi il tutto per tutto. Lo avrebbe chiamato. Lo avrebbe fatto venire a casa sua. E gliela avrebbe data. Doveva però agire in fretta, prima che lui incontrasse Alessia. Naturalmente doveva fare in modo che Alessia non lo sapesse, se no avrebbe rovinato l’amicizia. «Aspetta un attimo» disse a sco. Prese il cellulare. Prima doveva sgamarlo per avere il coltello dalla parte del manico. Chiamò a casa sua. Il numero di casa Simone non glielo aveva dato, ma

lei lo aveva cercato sull’elenco telefonico per i casi di emergenza. Come questo. «Pronto» rispose una voce femminile di mezza età. «Salve, vorrei parlare con Simone Debernardi.» «Chi parla?» «Ehm… sono Paola, la sua ragazza…» «Ah sì? Sono la madre. Simone non ci ha raccontato mai nulla di te. Che lieta notizia che abbia la ragazza! Ma sai per caso dove è?» Ma che cavolo di domanda era? Se telefonava a casa sua era perché pensava che fosse lì. «No, vi ho chiamato proprio per questo. Non risponde al cellulare e sono preoccupata.» «Non risponde neanche a noi infatti… Senti posso farti una domanda?» «Certo.» Sperò che la conversazione non andasse per le lunghe. Il tempo stringeva e forse Alessia e Simone si erano già incontrati. Doveva chiamare al più presto quell’idiota. Sempre che rispondesse poi. «Simone ha per caso problemi di natura sessuale?» Ma che cazzo chiedeva questa qui? Vuoi vedere che era la tipica mamma impicciona che voleva sapere ogni cosa del figlio? Paola s’immaginò di essere alla guida di una Mercedes e di investire una signora di mezza età che reggeva delle buste della spesa, mentre attraversava la strada. Se la figurò con indosso una sottana dai colori autunnali, i capelli tinti tagliati a caschetto e una disgustosa collana di resina anni Settanta. Solo che non aveva ancora una Mercedes e non aveva mai visto la madre di Simone. «Signora… eh eh eh… è una domanda un po’ imbarazzante… poi fatta così su due piedi…»

«Lo so. Solo che io sono preoccupata e mio marito è arrabbiato. Simone è uscito in fretta e furia di casa. Siamo andati in camera sua e sul suo televisore c’era un film a luci rosse. Non solo, era per omosessuali. A mio marito è preso un colpo. Sospetta che Simone è omosessuale e non gli va giù.»

In breve. Finito di vedere Come Dio comanda i genitori di Simone avevano sentito provenire dalla camera del figlio mugolii e spasmi di piacere. Preoccupati avevano bussato parecchie volte alla porta di camera sua. Alla fine erano entrati con cautela e si erano resi conto che il figlio era uscito. In compenso si erano trovati davanti al proseguimento della Moglie infedele. Solo che chi aveva caricato il film su internet aveva deciso di tirare uno scherzo ai navigatori del web che lo volevano scaricare. Con un’operazione di copia e incolla aveva messo insieme vari sketch di film porno estremi, tra cui alcune scene con protagonisti dei transessuali. I genitori di Simone avevano beccato la scena in cui un giovane uomo glabro si faceva sodomizzare da una rossa con fattezze piuttosto virili. Dopo un momento di shock iniziale, la signora Debernardi aveva lanciato l’ipotesi che il figlio avesse lasciato la televisione accesa per distrazione e che nel frattempo fosse iniziata la programmazione notturna per adulti. Tuttavia il signor Debernardi la sapeva lunga sulla programmazione notturna italiana e sapeva che era ormai da tempo immemorabile che non si trasmettevano più film porno. Al massimo si poteva beccare su Rete 4 qualche film di Tinto Brass, oppure sulle tv regionali davano trasmissioni che ospitavano pornostar sul viale del tramonto. Comunque sia niente di pornografico nel vero senso della parola. Il signor Debernardi, naturalmente, non spiegò tutto ciò alla signora Debernardi. Si limitò a convincerla che, in definitiva, Simone teneva in camera del materiale per adulti. Per adulti sessualmente deviati. La madre di Simone non sapeva cosa dire. Il padre era su tutte le furie. Qualunque cosa, ma non un figlio frocio. Poi arrivò la chiamata di Paola. Paola, dall’altro capo della cornetta, era sconcertata dalle parole appena udite. «Signora, non lo so. Suo figlio con me si comporta bene, anche se questa sera è sparito. Non credo sia omosessuale. Se lo trovo vi avviso.» «Grazie, sei una cara ragazza. Sai non sappiamo mai nulla di quello che combina e…»

«Signora mi scusi, devo andare. Spero d’incontrarla presto.» «Certo, certo. Quando vuoi vieni qua con Simone, ci farebbe molto piacere conoscerti.» «Sicuramente, anche a me farebbe piacere. La saluto arrivederci.» «Ciao… ehm, come hai detto che ti chiami?» «Paola.» «Ciao Paola, a presto.»

Finita la telefonata, la signora Debernardi si rivolse al signor Debernardi. «Tranquillo caro. Ha la ragazza, non è frocio.» Il marito la guardò dubbioso. «E se fosse una copertura? Magari era una sua amica con la quale è d’accordo. Perché non ce l’ha mai presentata questa ragazza?»

Bene. Paola era contenta. Sperava solo di essere in tempo. Forse non avrebbe dovuto giocarsi neanche la verginità. La madre di Simone le aveva dato un’informazione che poteva usare a suo favore. Compose il numero di Simone.

Dopo aver telefonato ad Alessia, Simone si era accorto di avere una marea di chiamate perse dai suoi. Probabilmente erano preoccupati perché era uscito senza avvertirli. Ora, però, non aveva tempo di richiamarli. Tolse la modalità silenzioso dal cellulare. Stava per ficcarselo in tasca quando s’illuminò lo schermo e partì Buoni o cattivi di Vasco Rossi. Chiamata da Paola. Hai capito? La troietta voleva fargli sentire il tradimento in diretta! O magari voleva pigliarlo per il culo, dicendogli che se ne stava a casa ammalata, mentre sco se la sbatteva da dietro, proprio come nella Moglie infedele. Una volta

finita tutta questa storia, Simone si ripromise di comprare una copia originale di quel film e di darle un posto d’onore in camera sua. Rispose. «Dove sei?» la voce di Paola era adirata. «Io dove sono? E te che fai?» «Come sarebbe a dire? Io sono a casa ammalata, ti ricordi?» «E io sono a casa come mi avevi detto te!» «Bugiardo, stronzo… tu non sei a casa, ho chiamato i tuoi.» «Che cazzo hai fatto stronza?» «Tu sei un maledetto bugiardo, uno stronzo, un bastardo!» «Ah, io sono il bastardo, brutta zoccola?» «Come ti permetti?» «Guarda che lo so che sei a casa, ma non sei ammalata. Ti stai sbattendo uno.» «Modera il linguaggio con me! Io non mi sto proprio sbattendo nessuno, semmai sei tu che hai qualcosa da nascondere. Allora? Perché sei uscito?» «Senti zoccola, riferisci a sco Sparoldi che lunedì a scuola gli faccio il culo nero e che rimpiangerà di non essersi tenuto l’uccello nei pantaloni!» Paola guardò sco. Come faceva Simone a sapere che era lì da lei? Vuoi vedere che aveva già incontrato Alessia e questa, avendo scoperto tutto, gli aveva raccontato un sacco di balle per cercare di riprenderselo. «Non parli, eh! Allora è vero. Ci ho azzeccato, ti stai facendo sbattere dal quel coglione.» «Io non mi sto facendo sbattere da nessuno, ti stai inventando tutto. Sei tu che mi hai mentito e sei uscito.» «Sono uscito e sono ato a casa tua, ma tu eri impegnata a fare la zoccola. sco mi ha risposto al citofono. Ho le prove bagascia!»

Paola guardò di nuovo sco, prima con stupore, poi con aria truce. In lei stavano per esplodere emozioni assassine. Con grande sforzo cercò di contenersi e mantenere un atteggiamento razionale. Al novanta per cento Alessia non era ancora con lui. Tentò il primo asso nella manica. «Se non vieni entro venti minuti a casa mia, lunedì a scuola dirò a tutti che sei un frocio.»

sco si stava preoccupando. Di cosa discutevano Paola e Simone? Perché l’aveva guardato malamente? Doveva intervenire? Oppure doveva tagliare la corda? Dove erano Riccardo e Roberta? Il Mona era gay?

«E io dico che sei una puttana, che vuoi che me ne freghi a me se dici che sono un frocio, chi vuoi che ci creda?» «Ho le prove che sei frocio!» «Sì certo, inventane un’altra. Sei tu quella frigida che non la smolla.» «Tua madre mi ha detto che è entrata in camera tua e che stavi guardando un film per omosessuali. Tu sei un frocio, solo che non lo vuoi ammettere.» Simone per poco non sbandò con la macchina contro il guard-rail. Quel cazzo di film! Si era dimenticato quel cazzo di film accesso! Merda. Merda. Merda. Ma non era un film per froci. Si riebbe. Non poteva cedere ai ricatti di una bimba viziata. «Senti vaffanculo, non pensare che abbocco.» «Fai come cazzo ti pare, hai venti minuti.» Paola riattaccò. sco fece per dire qualcosa ma Paola lo aggredì. «CHI CAZZO ERA PRIMA AL CITOFONO?» urlò furiosa.

V.

Roberta sentì Paola urlare. Ma non poteva fermarsi proprio ora. Lo aveva preso tutto in bocca e non era bello lasciare i pompini a metà. Certo questo non era il massimo. Riccardo aveva un cazzetto proprio piccolo. Inoltre nei preliminari era una frana. Questo era il primo e l’ultimo pompino che gli avrebbe fatto. Domani o lunedì lo avrebbe piantato.

Simone aveva accostato in una piazzola ed era sceso dall’auto per darsi una calmata. Nel cruscotto aveva trovato un pacchetto mezzo pieno di Lucky Strike rosse, appartenente a sua sorella. In quei momenti una sigaretta era d’obbligo. Cercò di ricapitolare le ultime cose. Stava andando a prendere Alessia. Però le aveva telefonato Paola che voleva che andasse da lei. Nel frattempo i suoi genitori avevano scoperto che si stava guardando un porno. Paola, inoltre, minacciava di spifferare il tutto a scuola. Che fare? Lui era un tipo molto pragmatico. Pensò di attenersi al piano iniziale. Sarebbe andato a prendere Alessia per farsi una gran scopata. Poi le avrebbe chiesto se poteva stare a dormire da lei. In questo modo avrebbe lasciato i suoi sbollire un po’ e avrebbe pensato a come affrontarli. Sicuramente si sarebbe beccato una ramanzina. Non sarebbe stata la prima. Comunque era maggiorenne e poteva guardare quel cavolo che gli pareva. Quanto a Paola che andasse pure in giro a dire che era frocio. Lui era stato con le migliori fighe della scuola. Tutti avrebbero pensato che lei fosse solo gelosa per il fatto di essere stata mollata. Aspirò l’ultimo tiro di sigaretta. Entrò in auto. “Grande scopata Alessia sto arrivando.” Mentre rientrava in strada si propose di scoprire, non appena si fosse sistemata la situazione, perché La moglie infedele fosse stato considerato dai suoi genitori un film per froci.

«Te l’ho detto. Non so chi era. Ci siamo insultati e poi quando ha capito di aver

sbagliato camlo se n’è andato» disse nuovamente sco. Sperò che Paola si calmasse al più presto. Dopo la telefonata aveva cominciato a strepitare come una matta parlando a sproposito e lanciando maledizioni a chiunque. «Te lo dico io chi era! Era Simone! Era venuto a trovarmi e ha pensato che tu fossi il mio amante. Grazie, hai fatto un bel casino. Lo sai che lunedì a scuola ti vuole pestare?» sco con le ragazze cercava sempre di essere caro e buono, ma questa aveva sorato ogni limite. Era stata lei, in fin dei conti, a dirgli di rispondere. «Senti sono stufo. Mi sono rotto, me ne vado.» Detto questo andò all’ingresso, prese il giubbino e lo zaino e uscì in pigiama. Non voleva neanche cambiarsi. Voleva solo mettere più chilometri possibili tra lui e quella casa. La prossima volta se ne sarebbe andato al bowling. A quel paese Riccardo e i suoi pigiama party pieni di figa. «Ma vai a cagare» sentì dire Paola dietro di lui. Non rispose. Scese tre trombe di scale e arrivò al portone. Cercò il tasto per aprirlo. Era irrequieto. Maledizione, ci mancava solo il Mona che voleva menarlo. Tutta colpa di quella psicotica di Paola. Tuttavia sulla soglia del portone venne assalito da un tumulto di pensieri improvvisi. Uno. Aveva retto un confronto verbale col Mona. Due. Indubbiamente aveva fatto colpo su Alessia e, se il Mona non l’avesse chiamata, in questo momento lui sarebbe sulla strada per diventare il suo ragazzo. Tre. Anche Paola, nonostante un po’ strana, era una bella ragazza. Quattro. Durante la lap dance aveva deciso di dare una svolta alla sua vita. Cinque. Qualcuno doveva pur fermare lo strapotere del Mona. sco, entusiasta, fece marcia indietro lasciando il portone aperto. Il piano era semplice ma geniale. Se lui menava il Mona e gli fregava una ragazza, Paola o Alessia, sarebbe diventato il nuovo mito del Morgagni. Sapeva che poteva farcela. In

fondo i palestrati come il Mona i muscoli li mettevano solo in mostra, figuriamoci se sapevano usarli. Perché aspettare lunedì? Avrebbe fatto tutto quella sera. Rientrò in casa. Paola se ne stava seduta sul divano guardando il cellulare in silenzio. Quando vide sco sembrò sorpresa. «Dammi il cellulare. Fammi telefonare a Simone. So come farlo venire qua.» Questo è proprio scemo, pensò Paola. «Sì certo, così poi lui mi accusa di nuovo di averlo tradito» disse con sarcasmo. «Beh, tu lo vuoi o non lo vuoi far venire qua?» Paola ci pensò su. Ormai valeva la pena tentare il tutto per tutto. Magari il pesce lesso avrebbe combinato qualcosa di buono. Gli ò il cellulare con la chiamata già avviata verso Simone.

Simone, quando sentì squillare di nuovo il cellulare, pensò che fossero i suoi genitori. Fu sorpreso di vedere il numero di Paola. Chissà che cosa le saltava per la testa. Rispose per precauzione, magari a quella veniva in mente di richiamare i suoi genitori. «Pronto che vuoi ancora?» «Sono sco, ho sentito che mi vuoi picchiare.» Simone cominciò a scaldarsi di nuovo. «Certo che ti voglio menare pezzo di merda, ti voglio fare il culo nero a forza di calci! E contaci che lunedì lo faccio.» «Perché aspettare lunedì frocio? Dai vieni, ho una cura medievale per il tuo culo.» La frase di Marcellus Wallace – Pulp Fiction – faceva un ottimo effetto in situazioni come queste. «Frocio a chi? Ma che cazzo dici? Guarda che vengo lì veramente.» «Sì, sì, tu mi piaci, vieni a casa e ti faccio scopare mia sorella!» Anche la

citazione del tenente Hartman – Full Metal Jacket – non era male. «Ma come parli? Hai dei problemi? Giuro che adesso vengo lì e ti mando al pronto soccorso.» sco ci stava rimanendo male. Simone non sapeva apprezzare la sua cultura cinematografica. Fece un ultimo tentativo. «Vieni, vieni, che ti faccio un’offerta che non puoi rifiutare.» «Hai detto le tue ultime cazzate, dieci minuti e sono lì.» sco attaccò scocciato. Come faceva Simone a non conoscere la famosa frase di Don Vito Corleone del Padrino? Si rivolse a Paola. «Arriva a minuti.» «Bravo, bene.» Paola sperò solo che Simone non fe troppo male a quel pesce lesso. In fondo, in fondo una buona azione l’aveva fatta. Dopo che Simone si sarebbe sfogato su sco lei avrebbe giocato il secondo e ultimo asso nella manica: gliela avrebbe data. Così lui sarebbe stato suo e di nessun’altra. Peccato solo per l’amicizia con Alessia.

Alessia era da più di venti minuti in piazza Caldani. Quando arrivava Simone? Faceva un freddo cane. Dentro se stessa sperava di rimettersi insieme a lui, ma, a dire il vero, quella sera aveva più voglia di fare sesso che di parlare. Sperava che il suo ex fosse dello stesso parere. Il Maggiolino di Simone arrivò sfrecciando nella piazza. Lei salì. Non fece in tempo a salutarlo che lui le disse: «Scusa, prima devo are a sistemare una faccenda, dieci minuti al massimo». Sembrava incazzato. Alessia acconsentì senza replicare. Quando Simone era arrabbiato bisognava lasciarlo sbollire un po’, altrimenti diventava una belva. Lui riprese subito la strada accelerando a più non posso. Alessia lo guardò. Era sempre lui, cosi bello, così affascinante, così sicuro di sé.

sco era nel bagno di Paola e si stava sciacquando la faccia con acqua gelida. Sembrava impazzito. Doveva essere sveglio e attivo. Non ci credeva neppure lui. Aveva lanciato una sfida ufficiale al Mona. Ce la poteva fare. No, anzi ce l’avrebbe fatta. Punto. Chiuse il rubinetto. Cercò un asciugamano. Si guardò allo specchio. Si mise di profilo. Tirò qualche pugno all’aria. Non doveva essere difficile prendere a cazzotti il Mona. Quello era solo chiacchiere e distintivo. Probabilmente non aveva visto neanche Gli intoccabili. Aveva la fama di un duro, ma in realtà era un buonannulla. Lo si capiva da come trattava le ragazze. Che strano che Paola e Alessia non se ne fossero mai accorte. sco imputò parte della colpa a sé stesso, in quanto non si era mai fatto conoscere, né si era messo in mostra in alcun modo. Tuttavia era tempo di cambiamenti radicali. Già vedeva il suo rientro trionfale a scuola di lunedì. Gli altri ragazzi si sarebbero spostati per lasciarlo are mentre le ragazze lo avrebbero guardato con ammirazione. Alle sue spalle si sarebbero mormorate frasi del tipo “Quello ha steso il Mona! È un duro” oppure “Guarda, sco Sparoldi, che figo che è”. Avrebbe dovuto trovarsi un soprannome importante. Poi avrebbe avuto solo l’imbarazzo della scelta nel trovarsi una ragazza. Era chiaro che propendeva di mettersi con Alessia. Ma al Morgagni era poco conosciuta. Forse avrebbe fatto più effetto arrivare mano nella mano con Paola, che era comunque considerata una delle più belle della scuola. Perché no? Se le poteva dividere tutte e due, come il Mona. A un certo punto sentì il bisogno di orinare. Alzò la tavoletta e tirò fuori il pisello. La porta del bagno si aprì. Sulla soglia comparve Roberta. Era a petto nudo e aveva le tette coperte di un liquido bianco. I rotoli di ciccia le uscivano dai jeans. «Scusa credevo che fosse libero.» sco si tirò su i pantaloni frettolosamente, con fare impacciato. Sentì il pisello indurirsi. Notò con la coda dell’occhio che Roberta lo guardava incuriosita. «Scusa me, non ho chiuso.» Roberta entrò, chiuse la porta e girò la chiave. Aveva fatto una bellissima scoperta. L’amico di Riccardo, che al primo impatto sembrava non avere nulla

d’interessante, era dotato di un membro di dimensioni piuttosto generose. Non poteva lasciarselo sfuggire così. Si avvicinò a lui. sco era turbato. Non capiva perché gli si era rizzato visto che aveva davanti una cozza. Però che tette… e le labbra in fondo non erano male. Lei s’inginocchiò e gli tirò giù i pantaloni con un gesto secco. «Ehi» fece sco. Lei lo zittì immediatamente. «Adesso ti faccio una bella pompa, però non diciamo nulla a Riccardo, ok?» sco spalancò la bocca e strabuzzò gli occhi. Annuì col capo e si lasciò trascinare degli eventi.

Riccardo era disteso sul letto di Paola appagato. Roberta gli aveva fatto un pompino magico. Alla fine aveva pure preso il suo sperma sulle tette. Adesso era andata in bagno a lavarsi. Sperò che al suo ritorno gli fosse finita la refrazione, magari era la volta buona che riusciva a scopare. Aveva un pacco di preservativi pronti per l’uso. Quasi, quasi pensava di prendere quella storia più sul serio. Alla fine Roberta non aveva grandi pretese ed era anche piuttosto arrapata. Una ragazza niente male. Magari domani o lunedì le avrebbe chiesto di ufficializzare definitivamente il loro rapporto. E al diavolo sco e tutte le altre persone che dicevano che era una cozza. Quella era una pifferaia magica.

Simone parcheggiò davanti alla palazzina. Fece per scendere dall’auto quando Alessia disse: «Ehi, qui ci abita la mia migliore amica, Paola». Simone rimase di stucco. Ora tutto era chiaro. Alessia era zoccola. Paola anche. Zoccola chiama zoccola. Se lo avesse saputo prima che erano amiche avrebbe inquadrato meglio Paola e non si sarebbe fatto prendere per il culo. Ormai era chiaro che quando lei diceva cose del tipo “Non mi sento pronta”, “Voglio che la mia prima volta sia bellissima”, diceva in realtà un sacco di cazzate. Purtroppo c’erano ragazze così. «Faccio subito, tu resta qua» disse ad Alessia mentre scendeva dall’auto. Si fiondò verso il portone. Per un caso fortuito era aperto. Corse su per le scale.

Riccardo, mentre aspettava Roberta, si diede una sistemata e si diresse in salotto. Voleva qualcosa da bere, tipo una Coca-Cola, prima di riprendere a pomiciare con la sua ragazza. Rimase sorpreso quando vi trovò solo Paola, seduta sul divano in silenzio. «Cosa è successo?» Non ottenne risposta. Una mano gli si posò sulla spalla, facendolo rivoltare su se stesso e si ritrovò davanti la faccia incazzata del Mona. Prese un cazzotto in pieno volto. Sentì il naso fratturarsi e il sangue colargli sulle labbra mentre caracollava a terra. «Ma che cazz…» Il Mona cominciò a prenderlo a calci al costato, facendolo gridare di dolore. Poi lo prese per i baveri e lo incollò al muro. «Che cazzo volevi farmi te?» Riccardo boccheggiava. Paola guardava la scena in silenzio. Riccardo non riusciva a rispondere. Il Mona lo sbatté a terra e gli tirò un calcio nei coglioni. Riccardo emise un urlo strozzato. «Così impari a fottere le ragazze degli altri.» Poi si girò verso Paola. «Te, maledetta troietta!» Paola inclinò le labbra in un sorriso beffardo e malizioso. «Non sono una troietta. Senti, perché non ti sistemi sul divano? Io non ti ho fatto le corna, voglio solo te. Facciamo l’amore. Qui. Ora!» Simone realizzò che Paola era completamente folle. «Ma che me ne frega a me della tua era. Te la tiri troppo. Vaffanculo va!» Detto questo si voltò per andarsene. A Paola venne una crisi di nervi. Come era possibile? Perché non la voleva? Esplose. Lacrime di rabbia cominciarono a scenderle lungo le guance. Pervasa da una furia primordiale afferrò con ambo le mani il vaso di fiordalisi. Un’espressione maligna le attraversava il volto. Sembrava un’erinni, spietata e implacabile. Rincorse Simone. Lo vide che

scendeva la tromba di scale sotto la sua. Lasciò cadere il vaso. L’ultima cosa che sentì Simone fu un macigno crollargli sulla testa.

Alessia svoltando le scale vide Paola che lasciava cadere il vaso di fiordalisi e qualche attimo dopo Simone che ruzzolava per i gradini, lasciandosi alle spalle una scia copiosa di sangue. Cosa era successo? Alessia era salita per salutare di nuovo Paola e capire che cosa stava succedendo. Urlò per lo spavento. Poi realizzò. La sua migliore amica aveva ammazzato il suo più grande amore. Lo aveva ammazzato usando il vaso di fiordalisi, simbolo della loro inestimabile amicizia. Ora, ai suoi piedi giaceva il suo adorato Simone. Paola la guardava dalla ringhiera. Aveva gli occhi folli. Questo era troppo. Alessia, urlando come un’isterica, corse su per le scale e si scagliò contro Paola. Tra le due cominciò una rissa tra i pianerottoli e i gradini. Si tiravano i capelli, si mollavano schiaffoni, scalciavano e urlavano come pazze. «Troia!» «Zoccola!» «Puttana!» Si graffiavano, si sputavano, si morsicavano e cercavano di strangolarsi a vicenda. Gli altri condomini si affacciarono alle porte svegliati dal fracasso. Si trovarono davanti a una battaglia epica tra due arpie. Prima che potessero intervenire, Alessia mise un piede in fallo su un gradino. Afferrandole un polso, trascinò con sé Paola nella caduta. Cascarono rovinosamente lungo le scale, e finirono accanto al corpo inerme di Simone.

VI.

Lunedì mattina davanti al portone del Liceo Scientifico Giovanni Battista Morgagni si era radunata la solita folla di fumatori, quelli che entravano allo squillo dell’ultima campana. «Oh, ma lo sapete che il Mona è all’ospedale? È in coma. È ricoverata anche la sua ragazza, Paola.» A parlare era stato un ragazzo smilzo con i rasta. Alla notizia calò un momento di silenzio tra i presenti. «Cosa è successo?» «Un incidente?» «Io lo so» disse un compagno di classe di Paola. «Sabato sera a casa della sua ragazza hanno fatto un festone, erano circa una quarantina.» «Cazzo, quanti! Io non ne sapevo nulla di questa festa» fece un altro. «Quindi cosa è successo?» intervenne una ragazza. «Un certo Riccardo, della quinta C, ci ha provato con Paola. Al Mona la cosa non è andata giù e l’ha menato. Solo che dopo è arrivato sco, l’amico di Riccardo, il Rosso, e le ha date di santa ragione al Mona.» «Incredibile!» «No, ti sbagli» interloquì un ragazzo moro e piuttosto basso «Non è andata così. Riccardo ci stava provando con la ex del Mona. Lui però era geloso, non si erano mollati da molto, e ha picchiato Riccardo. Paola allora si è messa a litigare col Mona e la sua ex, sospettando che tra i due ci fosse ancora qualcosa. Poi è arrivato il Rosso e si è messo a darsele con il Mona. Allo stesso tempo se le sono date anche Paola e la ex. A parte il Rosso sono finiti tutti in ospedale.»

«Ma questo sco non mi sembra molto forte e violento. Anzi sembra un ragazzo molto tranquillo» disse la ragazza di prima. «Cosa? Quello mena come un fabbro! Il Mona è finito in coma.» «Che storiaccia, povero Simone…». «Probabilmente il Mona, oltre a picchiare il suo amico, deve averlo stuzzicato un po’ troppo. Mica ci si incazza in quel modo per niente» aggiunse uno. «Ma Riccardo non se la faceva con la cicciona? Che cazzo ci prova con le ragazze del Mona?» «Ehi, non parlate male di Roberta!» esclamò una ragazza vestita da dark. «Certo, che bel casino quella festa. Alcuni sono finiti in ospedale, mentre il Rosso avrà sicuramente delle grane con la legge. Qui secondo me partirà qualche denuncia… e rischia pure l’espulsione dalla scuola» rifletté il rasta che aveva dato inizio alla conversazione. Nessuno fece in tempo a commentare ulteriormente. Squillò l’ultima campana. Spensero i mozziconi di sigarette ed entrarono.

sco si chiuse in camera e si sdraiò sul letto. Aveva ato quasi tutta la domenica alla stazione dei carabinieri, insieme a Roberta. Interrogatori e stesura dei verbali. I due avevano avuto un bel da fare per dimostrare alle forze dell’ordine che con le colluttazioni della sera precedente c’entravano poco o nulla. Più difficile era stato il giorno dopo dare giustificazioni ai genitori, agitati e preoccupati. Ora bisognava aspettare la versione degli altri quattro partecipanti, ricoverati all’Ospedale Bartolomeo Eustachi. Simone era in coma. Paola e Alessia erano fuori pericolo, ma erano tenute in stato di osservazione in camere separate. Le due, non appena erano arrivate al pronto soccorso, nonostante i lividi, le ferite e qualche osso rotto, si erano di nuovo scagliate l’una contro l’altra. C’erano voluti quattro infermieri per dividerle. Infine c’era Riccardo. sco lo era andato a trovare lunedì pomeriggio. A parte il naso e qualche contusione non era messo particolarmente male. Solo che era andato in paranoia. Temeva che dopo il calcio nei testicoli datogli dal Mona, fosse diventato impotente. Inoltre Roberta non si era fatta sentire e non rispondeva alle sue

chiamate. sco cercò di tranquillizzarlo, dicendogli che sia lui, sia Roberta, avevano avuto un fine settimana parecchio estenuante. Ora sco si stava rilassando, cercando di non pensare a nulla. Voleva solo riposare. Squillò il cellulare. Numero sconosciuto. «Pronto?» «Pronto, ciao! Sono Roberta, mi sono fatta dare il tuo numero da Davide. Come stai?» «Ehm… bene… bene…» «Ti volevo dire che sei stato molto carino a non dire nulla ai carabinieri di quello… ehm… di quello che è successo in bagno…» «Non mi sembrava il caso.» «Infatti, neanche a me. Abbiamo avuto una bella intesa…» «Eh sì… Ascolta, sono andato a trovare Riccardo. Ti sta cercando, è preoccupato.» «Ah, davvero? Ok, poi magari lo chiamo… Lo sai che a scuola ti hanno soprannominato il Rosso? Si è sparsa pure la voce che sei stato tu a menare il Mona.» «Davvero?» «Sì! Senti ti volevo anche chiedere se uno di questi giorni ti andava di uscire…» sco sorrise ed ebbe dei moti interiori di autocompiacimento. Uno. Chissenefrega di Riccardo. Due. Era entrato nella lista dei vip del Morgagni. Tre. Era finita l’epoca del Mona. Era iniziata l’epoca del Rosso.