Poesie
Muhammad Iqbal
In copertina: Germaine Fabius Brest, Fuori dalla moschea, Collezione privata
© 2010 REA Edizioni
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Indice
da “Messaggio d’Oriente”
IL TULIPANO DEL SINAI
I
II
III
IV
V
VI
VII
VIII
IX
X
XI
XII
XIII
XIV
XV
XVI
XVII
XVIII
XIX
XX
XXI
XXII
XXIII
XXIV
XXV
XXVI
XXVII
XXVIII
XXIX
XXX
XXXI
XXXII
XXXIII
XXXIV
PENSIERI
I
II
III
IV
V
VI
VII
VIII
IX
X
XI
XII
XIII
XIV
PARLANDO CON DIO
L’ETERNA RIVOLUZIONE
Da IL SEGNALE DELLA CAROVANA
LA CANDELA E LA FARFALLA
LA LUNA NUOVA
L’UOMO E LA NATURA
LA LUCCIOLA
CHE COS’È DAVVERO LA BELLEZZA
SICILIA
IN OCCASIONE DEL DONO D’UN FIORE
LA LUNA
PREGHIERA
Da I SALMI DI PERSIA
AL LETTORE
I
II
III
IV
V
VI
VII
VIII
IX
X
Da “L’ala di Gabriele”
FRAMMENTI DI UN DIALOGO CON DIO
I
II
III
IV
V
VI
VII
VIII
IX
X
VARIE
I
II
III
IV
V
VI
VII
VIII
IX
X
POEMETTI BREVI
I
II
III
IV
V
VI
VII
ODE ALLA MOSCHEA DI CORDOVA
ALLA SPAGNA
LA TERRA È DI DIO
GLI ANGELI PRENDONO CONGEDO DA ADAMO AL SUO ALLONTANARSI DAL PARADISO
LO SPIRITO DELLA TERRA DA’ IL BENVENUTO ALL’AVVENTO DI ADAMO
MESSAGGIO DI STELLA
SEPARAZIONE
da “La spada di Mosè”
IL DESTINO
RASSEGNAZIONE
LA META
L’OSPITE CARO
LE PIRAMIDI, OVVERO LA NATURA E L’ARTE
LA MORTE
AURORA NEL GIARDINO
da “Il Dono del Hegiàz”
POEMETTI
I
II
III
IV
V
VI
VII
VIII
IX
X
XI
XII
XIII
XIV
XV
XVI
XVII
XVIII
XIX
XX
XXI
da “Messaggio d’Oriente”
IL TULIPANO DEL SINAI
(QUARTINE)
I
Ai giardini brezza d’Aprile dona l’Amore
Ai prati boccioli stellanti dona l’Amore;
I raggi del sole penetrano oceani profondi:
al pesce, occhio che vede la Via dona l’Amore.
II
In questo giardino sconvolto aleggio come profumo:
che cosa cerco non so, che cosa voglio neppure.
- Che il mio desiderio s’appaghi o inappagato pur resti,
martire io sono del fuoco e del continuo ardore.
III
Diceva l’Usignolo al Giardiniere all’alba:
« Spuntano in questa terra soltanto germogli di pena;
la Spina nei luoghi deserti giunge a tarda vecchiezza
ma la Rosa, qui, appena sboccia, muore ! »
IV
Non cerco il Principio io, non cerco la Fine:
son tutto mistero e solo voglio misteri.
Se nudo dovesse svelarsi il volto del Vero,
continuerei a cercare, io, il Dubbio e il Forse.
V
Creati un corpo plasmato d’un pugno di terra,
un corpo più solido e forte d’un vecchio castello di sasso,
e, dentro, un cuore che sappia palpitar di ione,
come un torrente spumante fra vaste pareti di monte.
VI
Rapida tu sei ata, o stella dell’Alba!
Forse te ne sei andata sdegnata del nostro dormire:
io per ignavia ignara ho perduto la strada,
tu sei venuta desta e desta lungi andasti.
VII
Quale letizia di vita vedo negli esseri tutti!
Per mostrarsi vivo nel mondo freme ad ogni atomo il cuore:
quando il bocciolo del fiore trafora la scorza del ramo,
per il piacere d’esistere trabocca di risa.
VIII
Udii, nei deserti del Nulla, che una farfalla diceva:
« Dammi un attimo solo di vita, di febbre e d’èmpito!
Disperdi pure, al mattino, al vento le ceneri mie,
ma dammi una notte sola di ione e di vampa! »
IX
Tu sai come aprirti una via in seno alle stelle,
ma poco conosci dei segreti dell’Io!
Apri sopra te stesso un occhio vivo qual seme
che possa da sotto la terra spuntare a florida palma.
X
Io nulla conosco degli usignoli del prato
e solitario canto in familiare nido di rami.
Se hai debole il cuore, vola lontano da me:
Le mie armonie trasudano gocce di sangue!
XI
Se ha posto, il Destino, in questo tuo pugno di terra,
un cuore straziato e piagato piovoso di sangue,
impara il pianto, tu, dalla nube d’Aprile,
che dalle lacrime tue germoglino prati di fiori.
XII
Non ho legato il cuore a questo giardino murato,
mi son liberato dai lacci di Questo e di Quello;
come una brezza d’aurora ho breve vagato, ed ai fiori
acqua e colori ho donato, e poi sono partito.
XIII
Che chiedi tu del legame fra l’anima e il corpo?
Non sa impigliare la rete del Quanto e del Come!
Io sono un soffio avvolto e sconvolto,
e soltanto sfuggito all’abbraccio del Flauto divengo Armonia!
XIV
Non adornar tuo banchetto sopra le sponde del mare,
é troppo soffice e molle, è là l’armonia della vita!
Gettati lieto nel mare e affèrrati fiero alle onde:
Vita eterna significa Vita di Lotta solitaria!
XV
Mi disse un giorno, triste di mestizia, un fiore:
« L’apparir nostro è come una scintilla!
M’attrista la vana fatica di quell’Eterno Pittore,
perché il segno che traccia il Suo càlamo
vacuo e incostante mi sembra ».
XVI
Il nostro Universo, che limiti ha solo infiniti
è, come pesce, affogato nel mare del Tempo.
Ma apri un istante lo sguardo sull’esile cuore
e il mare del Tempo vedrai in una coppa racchiuso.
XVII
Sono compagno di canti, agli usignoli del prato,
sono la lingua, io, dei muti germogli di rosa:
quando morrò, la mia terra mescolate alla candida brezza
perché null’altro so fare che correre attorno fra i fiori.
XVIII
Da stella a stella vibrano innumerevoli mondi,
dovunque vola la Mente non trova altro che Cielo.
Ma quando ebbi bene osservato nell’intimo mio
vidi nascoste nel cuore le Sponde dell’Infinito.
XIX
L’anima è un’onda sconvolta del mare Suo immenso,
il flauto nostro e il suono, son del Suo soffio un alito.
Noi germinammo com’erba in riva a ruscelli d’Eterno:
le Sue rugiade hanno bevuto le radici nostre e le vene.
XX
Non siamo Afgani noi, non Tartari o Turchi,
nati siamo d’Un giardino, d’Un solo ramo i germogli.
Distinguer colori e profumi è colpa grave per noi,
perché noi tutti, unica e sola allevò Primavera.
XXI
Nel fondo del nostro petto c’è un mondo nascosto
nella Terra nostra un Cuore; nel Cuore nostro un Dolore.
E di quel Vino sacro che la Vita un giorno ci accese
nell’anfora nostra ancora è rimasta una stilla.
XXII
O cuore mio, o cuore, o cuore, o cuore!
Mio mare e nave mia, mia riva e mia sponda!
Sei tu gocciato dall’alto come rugiada nella polvere mia?
O qual bocciolo tu germinasti dalla mia terra?
XXIII
Come svelare potrei il segreto del Bene e del Male?
Mi trema la lingua, perché questo è un arcano difficile ed erto:
Fuori del ramo, spuntati, puoi vedere il fiore e la spina,
ma nel segreto del ramo non v’è spina alcuna, né fiore.
XXIV
Vieni, o Amore, o simbolo arcano del Cuore,
vieni, o mio campo fiorito, o raccolto mio!
Troppo sono invecchiati questi uomini fatti di polvere!
Vieni, e dalla mia terra più nuovo edifica Adamo!
XXV
Mentre incedevo, già morto, nei paradisiaci Giardini,
mi si libravano sugli occhi ancor questo cielo e la terra
e un dubbio si levò allora nell’animo mio stupefatto:
«E’ questo un mondo, Signore, o pittura inerte d’un mondo? »
XXVI
Il mondo nostro non è che un abbozzo rude e indigesto,
prigioniero ancora del girar delle sere e dell’albe!
E il Destino è pialla che serve a spianarlo:
ancora incompleta è questa forma di fango !
XXVII
Con l’ascia tua apriti strade fra il sasso:
seguire le strade degli altri è colpa e tormento.
Se opera vergine e nuova esce dalle tue mani,
anche se fosse peccato, è opera degna di Dio!
XXVIII
Apprendi dal bocciolo, o Cuore, della Vita il simbolo vero,
perché una realtà senza veli brilla nella metafora sua.
Spunta dall’umida terra nera, ma l’occhio
sempre, e lo sguardo, si volge ai raggi d’un Sole!
XXIX
Il Cosmo, che di se stesso non ha comprensione né scienza
vagò, nei Primordi, verso sentieri di brama;
e un giorno furtivo fuggì dall’abbraccio del Nulla
e prese rifugio nel fondo del cuore dell’uomo.
XXX
È confidente il mio cuore dei segreti dell’anima e del corpo:
Non credere tu che la morte sia per me cosa greve.
A che spaventarmi se un mondo ora mi sfuggì dalla vista,
quando, profondi nel petto, ho cento mondi ancora?
XXXI
La nostra vita eterna è un ardere sempre imperfetto,
e, come ai pesci del mare, è lecito solo il palpito.
No, non cercare la riva, perché nell’abbraccio suo
avrai d’un attimo il frèmito, e morte eterna, poi.
XXXII
Volavo ad ali spiegate negli spazi del Nulla
libero ed estraneo, allora, da lacci d’acqua e di terra.
Di gran pregio, Signore, certo ti parvi allora,
tanto che tu mi portasti nel bazar immenso dell’Essere.
XXXIII
La terra è polvere solo alla soglia della nostra Taverna,
il Firmamento è un giro che facemmo fare alla Coppa.
Lunga è la storia della nostra bruciante ione:
il mondo non è che il proemio alla nostra eterna fiaba.
XXXIV
Quando la mia Fantasia, che coglie fiori nel cielo,
verginali e nuove crea immagini d’arte,
il cuore mi trema nel petto, come petalo esile, quando
sopra vi cade una goccia di rugiada dall’Alto.
PENSIERI
I
LA PRIMA ROSA
Non vedo ancora nel prato nessun compagno; vengo con la Primavera, sono la Prima rosa.
Guardo il ruscello e mi specchio, che possa almeno così vedere il volto amico d’un altro.
Ma con la penna eterna che traccia linee di vita fu scritto un messaggio segreto nei petali miei:
Il cuore mio guarda a ieri, l’occhio mio è fisso all’esempio dell’oggi, mentre son martire d’un domani fiorente, prima fedele d’una Fede nuova!
Sbocciai dalla terra umida e scura e mi misi una veste di fiore, ma sono, sappiate, della collana delle Plèiadi l’ultima stella!
II
LA CONQUISTA DELLA NATURA
a
La nascita di Adamo
Gridò l’Amore: « È nato qualcuno che ha il cuore stillante di sangue ! »
Tremò la Bellezza : « È nato qualcuno che ha sguardo acuto e brillante! »
Sconvolta fu la Natura : « Dalla terra iva e costretta è nato chi sa libero plasmare se stesso, se stesso spezzare, se stesso guardare ! »
E dal Cielo giunse notizia alla casa notturna dell’Eternità: « Badate, Fanciulle Celesti, è nato qualcuno che strappa ogni velo !
-Una brama ignara di sé, all’abbraccio di Vita
Ha aperto gli occhi, ed è nata d’un nuovo mondo la Forma ! »
E disse la Vita : « Per secoli e secoli mi sono contorta fremente in seno alla terra,
Ed ecco in questa Cupola antica s’è aperta ora una porta ! »
b
Il rifiuto di Satana
Non sono una creatura sciocca di luce che possa prostrarmi ad Adamo:
ch’egli è per natura Fango, ed io razza pura di Fuoco!
È per il mio ardore che palpita il sangue nelle vene d’ogni creatura:
Nella fuga dell’uragano, nel fragore del tuono, là io sono!
I legami misteriosi degli elementi, la connessione salda delle Madri
brucio e riplasmo possente, come il fuoco d’abil vetraio;
E l’opera mia poi spezzo di nuovo in frammenti,
e dalla polvere vecchia creo nuovi volti di forme!
Per il ribollir del mio mare si muove ondeggiante la sfera irrequieta del Cielo,
sono l’artefice del Tempo, il bruciante stillar del Diamante!
Tu hai fatto il volto alle stelle, delle stelle la corsa Io produco,
son l’anima fonda nel mondo, la vita latente degli esseri!
Tu infondi nel corpo l’anima, io nell’anima infondo frenesia,
Tu mostri la via della quiete, io sono guida al palpito!
Io non vo mendicando prostrazioni da miseri esseri vili
senza Inferno tutto soggiogo; senza Giudizio son giudice, io!
E questo Uomo di fango, di vile sguardo, inesperto
in braccio a Te è nato, ma invecchierà sul mio petto!
c
La tentazione di Adamo
« Una vita ardente di lotta è meglio dell’eterno riposo,
È falco la mite colomba se pàlpita contro la rete!
E tu null’altro sai fare che prostrazione mendica : lèvati come cipresso,
in alto, o molle e lento all’azione! Le fonti del Giardino del Cielo t’han tolto la gioia d’agire,
prendi, dalla coppa della Vite, il vino dal diafano color dello Specchio!
Levati, che un nuovo Regno io possa mostrarti:
apri l’occhio tuo veggente sul mondo, muoviti a contemplare le cose!
Non sei che una misera goccia, diventa perla splendente !
Gèttati dalla vetta del cielo, prendi dimora nell’onde!
Tu sei una spada lucente, spezza la vita d’un mondo, mostra la lama affilata, esci dalla guaina,
apri artigli di falco, versa sangue d’imbelli colombe, ch’è morte per il falco possente vivere eterno in un nido!
Tu ancora non sai: il desiderio muore se sei riunito alla Mèta
La Vita Eterna è null’altro che vivere in mai appagata ione! »
Adamo, uscito dal Paradiso, dice:
Com’è bello far della vita una lotta incessante
E liquefare con un alito ardente il cuore del Monte, e la Foresta, e il Piano!
Aprire dalla gabbia una porta verso lo spazio ampio del prato,
misurare le strade del Cielo, intimo confidente alle stelle!
Nascondendo fuochi brucianti sotto manifeste preghiere,
gettare uno sguardo impertinente nel santuario di Verginale Vanto!
Or non cercare che Uno solo nella folla dei tulipani del prato,
or preferire alla Rosa la Spina dal morso pungente!
Sono un bruciare incompiuto, son tutto brama e ione, vendo la certezza per il dubbio,
perché martire son del Cercare!
e
Il Mattino della Resurrezione
(Adamo alla presenza del Creatore)
O Tu del cui sole s’illumina l’Astro di Vita,
e col mio cuore accendesti la lampada a un mondo già cieco,
l’arti mie hanno riversato mari in un esile ruscello,
e l’ascia mia fa sprizzare latte dal cuor della pietra!
Venere ho presa al mio laccio, la Luna m’adora e mi serve,
e l’intelletto mio, possente, sopra ogni mondo ha dominio:
sono penetrato nel seno della terra, sono asceso oltre i cieli,
legati alla mia magia sono l’Atomo e il Sole lucente!
L’incantesimo di Satana dalla retta via m’ha stornato,
ma Tu il mio errore perdona, accetta scusa alla colpa!
Il Mondo da noi non si doma se prima non subiamo quel incanto
Perché fiero Vanto non si dà prigioniero altro che al laccio di supplicante Bisogno!
E a che quest’Idol di pietra si sfe vinto da un caldo sospiro
mi fu giocoforza il cingermi della sua cintura idolatra
Ed ora la ragione ha preso nel laccio l’agile viva Natura,
e Satana nato di Vampa, ecco ora adora la Terra! »
III
IL PROFUMO DELLA ROSA
Una hùri{1} , sotto una pergola del Giardino del Cielo disse fremente:
« Nessuno mai m’ha parlato di quel che c’è sotto le stelle!
Non comprendo che cosa sia l’alba; che cosa il tramonto, che siano il giorno e la notte;
e quel che dicono Nascita e quel che chiamano Morte, mi danno stupore strano alla mente! »
Così si fece onda d’aromi e alitò da un cespo di rose, scese dal cielo su questa terra fatta d’oggi e di ieri.
Aprì gli occhi e si fece bocciolo; e sorrise un istante, e fu rosa; e foglia a foglia lenta si disfece sopra la terra.
E quando rivolò nel cielo, libera il piede dai ceppi, ne rimase, ricordo, un sospiro.
E l’hanno chiamato profumo.
IV
IL CANTO DEL TEMPO
Ho il sole nella mia veste, e le stelle nel lembo del mio manto!
Se guardi a me son nulla; se guardi a te, son l’intima anima tua!
Sono nelle città e nei deserti, nei palazzi lucenti, in grembo alla Notte!
Sono il dolore e sono il rimedio, sono la gioia traboccante,
La spada che brucia il mondo, la fonte dell’Acqua di Vita!
* * *
Il turbine di Genghis Khan e di Tamerlano non è che un pugno della mia polvere,
il tumulto dell’Europa non è che un riflesso della mia scintilla,
L’Uomo e tutto il suo mondo sono un disegno sottile tracciato dalla mia mano possente,
Tutto il sangue versato dai cuori non è che il succo della mia Primavera!
Io sono il fuoco bruciante, io il fresco verziere del Paradiso !
* * *
Eccomi placido e fermo, e pur vago per ogni dove; rimira questo spettacolo arcano:
Nel vino spumeggiante dell’oggi guarda il disegno vivo del domani!
Nascosti nel profondo mio petto, guarda, cento universi palpitanti di bellezza,
Cento astri in folle corsa, cento cupole verdi di cielo!
Io sono il manto dell’uomo, la veste pura di Dio!
* * *
Mio incantesimo è il Destino, la Libertà il tuo incantesimo;
Innamorato della mia inaccessibile Bellezza t’avvolgi nel deserto della Follia!
Come purissimo spirito nulla curo del tuo « quanto » e del tuo « come »:
Tu sei il mistero del mio cuore, io sono l’arcano del tuo petto,
Generato dall’anima tua, vivo nascosto nel tuo seno!
* * *
Io sono il viandante e tu la meta, io il campo seminato, tu il raccolto,
Tu sei il liuto dalle cento armonie, tu sei il calore vivo di questa grande assemblea!
Vagando sull’acqua e sulla terra, trovo infine riposo nella meta del tuo cuore:
Guarda! In una piccola coppa entra questo sconfinato mare!
E’ dalle onde gonfie del tuo cuore che emerge il capo spumeggiante del mio Uragano!
V
LA PRIMAVERA
Vieni, perché su monti e pianure ha piantato le tende la nube di Primavera!
Ebbri delle melodie dell’usignolo
Francolini e eri e storni,
sulle rive fresche del fiume
prati di rose e di tulipani,
vieni, vieni a vedere!
Vieni, perché su monti e pianure ha piantato le tende la nube di Primavera!
** *
Vieni, che ai giardini ed ai prati è giunta, è giunta la carovana del Fiore!
Soffiano brezze d’Aprile,
crea suoi concerti l’uccello,
il tulipano strappa il bocciolo,
La Bellezza coglie la prima Rosa,
L’Amore acquista nuovo dolore,
Vieni, perché ai giardini ed ai prati è giunta, è giunta la carovana del Fiore!
** *
Trillano gli usignoli, tubano le colombe,
ribolle caldo il sangue del prato;
O tu che siedi silente!
Spezza i riti secchi della Ragione,
Bevi il Vino del Vero,
Intona canzoni vestito di fiori!
Trillano gli usignoli, tubano le colombe,
** *
Lascia la stanza buia, vieni sul prato verde,
siedi in riva al ruscello,
guarda l’acqua che corre, e il vezzoso narciso,
brandello del cuor dell’Aprile sulla fronte bacialo!
Lascia la buia stanza, vieni sul prato verde!
** *
Apri l’occhio dello Spirito, o tu ignaro della Realtà manifesta!
Il Tulipano dai curvi lombi
ha il petto già arso di fuoco,
e gli goccia lieve sul cuore
rugiada di lacrime d’alba:
Guarda l’aurora delle stelle!
Apri l’occhio dello Spirito, o tu ignaro della Realtà manifesta!
** *
La terra del prato ha svelato il segreto del cuor del creato:
L’essere e il non essere degli Attributi,
L’apparizione dell’Essenza,
Quel che consideri Vita,
quello che tu chiami Morte
costanza alcuna non ha.
La terra del prato ha svelato il segreto del cuor del creato!
VI
VITA ETERNA
Non credere che i Magi abbian finito l’opera loro antica,
Mille vini non mai bevuti spumeggiano in cuore alla Vigna!
Bello è il prato, sí, ma non si può viver di bocciòli in eterno,
e zèfiri divini ci strappano di dosso la veste di Vita.
Se bene hai intuito il mistero segreto del Vivere,
non fidarti d’un cuore privo di pungenti spine di Brama!
Vivi in te stesso raccolto e possente come Montagna
non come lieve pagliuzza, perché, bada,
rapido è il Vento e ardita e ardente la Fiamma!
VII
PENSIERI DI STELLE
a) Ho udito una stella che diceva a una stella: « In un gran mare noi siamo, e mai ci appare una sponda! L’eterno viaggiare impressero un dì nella nostra natura; ma, ahimè, questa carovana non si è mai fermata! »
b) « Se le stelle sono sempre le stesse che furono, a che servono questi profondi bagliori? Preda noi siamo del laccio del Tempo: oh felice, felice colui ch’è privo d’ogni esistenza! »
c) « Nessuno potrà alleggerirci di questo carico greve: è meglio il Nulla eterno che l’essere nostro! L’immenso spazio azzurro io l’odio e lo spregio: della sua vetta più alta quanto è migliore quella terra bassa, laggiù! »
d) « Felice l’uomo, che ha l’animo apionato e incostante! Cavaliere del destriero del Tempo, alla sua taglia s’adatta la Veste di Vita, perché sempre egli crea nuove cose e vergini forme! »
VIII
LA VITA
Una notte piangeva mesta la Nube di primavera,
diceva : « Non è questa vita altro che pianto incessante! »
Il rapido Lampo allora brillò lieto tagliente
e disse : « Tu sbagli, la vita è un istante fugace di riso! »
Non so chi tutto questo riferì nel giardino:
parole grosse corrono fra la rugiada e il fiore.
IX
IL CANTO DELLE STELLE
L’essere nostro è l’ordine,
L’ebbrezza nostra è incedere:
giri incessanti avvolgono
nostra vita perpetua.
Gira il destino come vogliamo, veniamo guardiamo iamo !
L’apparir dei fenomeni
(immagini vaghe d’idoli)
la lotta aspra degli esseri,
dell’esistenza il palpito,
e il mondo immerso nel Tempo vano, veniamo guardiamo iamo!
Il calor delle mischie,
l’acerbità dei savi,
corone, troni e cattedre,
l’abiezione dei principi,
e il gioco vasto del destino umano, veniamo guardiamo iamo !
Finì il regno del nobile,
la schiavitù dei miseri,
Cesare e Augusto finirono,
finì d’Alessandro l’epoca :
finita è l’arte degli idoli e noi, veniamo guardiamo iamo!
Terra tacita e a strepito,
terra inetta e pur strenua,
ora in banchetti e flauti,
or carica di cadaveri;
alti sovrani, silenti schiavi, veniamo guardiamo iamo !
Tu schiavo sei del magico
Tempo, e la mente hai trepida,
come gazzella timida
che, presa al laccio, palpita :
e noi sopra alti lucenti troni, veniamo guardiamo iamo !
Visibile e invisibile?
Che cos’è luce e tenebra?
Che cosa l’occhio e il cuore e l’anima?
E che natura intrepida?
Che cos’è questo spazio disteso? Veniamo guardiamo iamo!
Per noi il tuo « grande » è minimo,
per noi il tuo anno è un attimo,
e quel che vanti oceano
è di rugiada goccia:
alla ricerca d’un mondo vero, veniamo guardiamo iamo!
X
LO ZEFIRO DEL MATTINO
Vengo dal vasto mare, dalle cime dei monti,
Ma non conosco il luogo lontano dove son nato.
Al triste uccello porto messaggi di Primavera, in fondo al suo nido riverso gelsomini d’argento.
Rotolo sopra l’erba, e allo stelo del tulipano m’avvinghio, e colori e profumi gli spremo nell’intimo seno;
e, perché non si pieghi a mie carezze il suo gambo, soavissimo e lieve m’abbraccio al collo del fiore.
E quando il Poeta lamenta il dolor dell’Amica alitando a fiotti, mi mescolo ai suoi melodiosi sospiri!
XI
LA GOCCIA D’ACQUA
Una goccia d’acqua gocciò da una nube e si stupì vergognosa vedendo il vasto mare:
« Chi sono io — disse — di fronte all’Oceano immenso? Davvero, se Lui è, io nulla sono! »
Ma un grido giunse dal mare:
« Non vestirti il volto di vergogna per la tua piccolezza! Tu hai visto albe e i tramonti,
hai visto i prati, hai visto pianure e deserti,
hai carezzato l’erba, hai cavalcato le nubi,
luccicante di sole!
Sei stata in compagnia di labbra assetate nella steppa, sei stata confidente del
petto lacerato dei fiori:
Diventa ora perla e vivi nell’abbraccio del mare
vivi più scintillante che stella, più brillante che luna!»
XII
DIALOGO FRA UOMO E DIO
Dio
Il mondo ho creato
d’una argilla sola, d’un’acqua.
Tu
Tartari Negri Persiani creasti!
Io
in seno alla terra ho creato purissimo acciaio.
Tu
spade frecce fucili creasti!
Tu
fredde asce creasti per i germogli
Tu Tu
chiudesti in gabbie melodie d’uccelli!
L’Uomo
La notte nera Tu creasti:
Io
La lampada.
L’argilla molle tu creasti:
Io
il vaso.
Il deserto i monti i pianori creasti:
le vie le aiuole i giardini.
Io
Io
la pietra faccio specchio!
Io Io
farmaco traggo dal veleno!
XIII
SOLITUDINE
Andai sulla spiaggia e dissi all’onda stravolta del mare:
« Che mai ti tormenta che sempre cerchi cerchi qualcosa?
Mille perle lucenti splendenti conservi nel seno:
O, come me, forse nel petto tu anche hai un cuore di gemma? »
Scivolò via fremente e nulla disse.
Andai alla Montagna e chiesi: « Che cos’è la iva freddezza
che tutta t’avvolge? Non senti il sospiro e il lamento dei tristi?
Se il rubino che chiude il tuo cuore di sasso è goccia impietrita di sangue,
A questo oppresso d’affanni orsù parla dunque un istante! »
S’indurì ad un sospiro e nulla disse.
E dopo lunga via chiesi all’altissima Luna :
« O viaggiatrice eterna! Mai avrai tu dunque dimora?
Tu copri il mondo intiero di bianchi gelsomini di luce:
La luce del marchio tuo in cielo è simbolo forse d’un cuore? »
Guardò invidiosa una stella e nulla disse.
Allora ai oltre il sole e la luna alla casa di Dio
e dissi : « Nel mondo ch’hai fatto nessuno, ahimé, m’è compagno!
Il mondo è vuoto di cuore e tutto cuore son io, questo pugno di terra!
Belli sono i boschi e i prati ma indegni d’un solo mio canto! »
Sorrise misterioso e nulla disse.
XIV
LA HURI E IL POETA
La Hùri
Né del vino hai tu la voglia né
d’uno sguardo mi degni,
strana cosa è che non sappia
l’arte e il gioco dell’Amore!
Tutti fatti di ricerca,
impastati son di brama,
il respiro che tu ardi
la canzone che tu intoni.
Quale mondo malioso
hai creato con un canto !
Il giardino del Paradiso
sol mi sembra freddo incanto!
Il Poeta
Travi il cuore dei viandanti
con parole ardite aguzze,
ma il piacere suo non giunge
alla punta della spina!
Ma che far, se mia Natura
non s’adatta mai a una mèta?
Impaziente e inquieto è il cuore
come brezza in un roseto !
Quando l’occhio si sofferma
su fanciulla graziosa
sento già nel cuore un palpito
per bellezza più sublime!
Da scintilla voglio stella,
nella stella cerco un sole,
spregio stazioni e mete,
ché fermata é, per me, morte!
Quando il soffio smeraldino
m’offre il vino dell’Aprile,
già ad un altro canto il labbro
s’apre a nuove primavere.
Il mio fine cerco in quello
che non ha fine mai:
con lo sguardo inquieto errante,
con speranze tante in cuore.
Muore il cuore degli amanti
in un Paradiso Eterno:
luogo senza pena, e canti,
senza strazio, senza amico!
PARLANDO CON DIO
Hai fatto conoscer la storia nostra ad ogni spina,
Ci trascinasti in deserti di follia e poi
ci hai svergognati avanti a tutto il creato!
Cento mondi sbocciano come fiori dai prati del nostro pensiero
e tu non hai fatto che un mondo, e un mondo intriso di desiderio e di sangue!
Il raggio della Tua bellezza si rifrange come un colore:
del muro azzurro del cielo hai fatto una coppa di vino.
Getta or nuove basi d’un mondo più serio, ché più seri ora siam noi!
Che cos’è mai questa galleria di stupori fatta di giorni e di notti,
d’oggi e di domani e di ieri?
L’ETERNA RIVOLUZIONE
In questa vecchia terra vedo brillare una perla di vita
e l’occhio d’ogni atomo vedo vigile come le stelle!
Il seme che in seno alla terra è ancora sommerso lo vedo albero alto,
e ricco di fronde e di frutti!
Sento il monte leggero come pagliuzza volante
ed ogni pagliuzza umilissima vedo pesante Montagna.
E vedo, e non so dire come, una rivoluzione possente
e non la sanno contenere i confini del cuore dei cieli!
Felice colui che nella polvere densa sa scorgere
immagine di cavaliere a lieto galoppo!
Felice colui che nel tremare della corda tesa del liuto
sa vedere succo di canti!
Da IL SEGNALE DELLA CAROVANA
LA CANDELA E LA FARFALLA
Perché tanto t’ama, o candela,
la debole farfalla?
Perché la vita sua inquieta
immola a te?
Il fascino tuo la fa palpitante mercurio:
le hai forse insegnato
i dolci riti d’Amore?
Come pellegrino corre attorno al tuo Santuario
è forse il lampo del tuo sguardo divino
che tutta l’accende?
Perché soltanto in agonia di morte
essa trova riposo?
Forse la vita eterna nella tua fiamma è nascosta?
Se in questo triste mondo non esistesse la Luce tua
non sarebbe mai verde la palma,
la palma della sua brama!
Cadere alla tua presenza è la sola sua preghiera:
nel suo piccolo cuore palpita
la gioia d’ardere a fiamma.
V’è in lei un fremito antico ancora
degli amanti della Bellezza Primigenia :
minuscolo Profeta
sul tuo piccolo Sinai !
Farfalla, eppur tanto sublime ione di Luce!
Insetto, eppur tanta brama di Vampa!
LA LUNA NUOVA
È naufragata la nave del Sole, nell’acque è affondata del Nilo
E ne galleggia ora sull’acque, ondeggiante, un frammento.
Goccia nel gran vassoio del cielo il sangue purissimo del crepuscolo,
quasi che una lancia sottile abbia aperto le vene del sole!
Che il firmamento ha rubato un orecchino alla sposa della Sera?
O è liquido pesce d’argento che guizza nell’acque del Fiume?
Senza squilli di camle s’avvia ora la tua carovana,
e orecchie umane non possono udire il tuo o leggero.
Tu mostri agli occhi dell’uomo come si declina e si cresce:
la patria tua dov’è? A qual paese vai?
O astro errante colorato di quiete! Portami con te lontano,
perché una spina di nostalgia pungente mi penetra l’anima.
Brama di luce m’agita in questa stretta dimora,
vagabondo fanciullo che vuol fuggire leggero dalla scuola triste dell’Essere!
L’UOMO E LA NATURA
All’alba
contemplando il sole lucente sorgente
io chiesi al popoloso immenso banchetto dell’Essere:
« Dall’alito dei raggi del sole deriva ogni tua luce.
Liquido argento che scorre, di tutti i tuoi fiumi è l’acqua.
Il sole ti veste di vesti di luce,
la lampada sua al tuo banchetto è scintilla.
I tuoi fiori, i giardini tuoi,
immagini sono d’immense eterne dimore,
vivente commento tutti al Giuramento del Sole
Vestite di rosso le rose, ammantati di verde gli alberi,
entro il tuo gran Concistoro son fate smeraldine e scarlatte.
E quando nubi rossastre attorniano il cerchio del cielo,
orlata d’oro si mostra la tenda del Firmamento.
Quale bellezza vedono gli occhi al rossor del tramonto,
quando riversi il vino rosato in anfore di sera!
Grande è la gloria tua, immenso il tuo pregio,
ogni tua cosa è velata di veli ammantati di luce!
L’alba è un tuo immenso canto totale di gloria,
e sotto il sole non una traccia rimane di tenebra.
E di questa dimora raggiante anch’io sono cittadino:
ma perché è bruciata e affranta del mio destino la stella?
Lontano dalla luce
prigioniero di tenebre
perché nero?
Nero di sorte,
nero di fortuna,
nero sono d’opere? »
E mentre parlavo venne da un Luogo una voce
(forse dal tetto del cielo o dall’ampia corte del mondo):
« Alla tua luce è legato l’essere e il non essere mio !
Tu sei il giardiniere del gran giardino del cosmo,
Tu sei corteo di bellezza, ed io
son quadro dipinto dal tuo dito.
Tu sei una Bibbia d’Amore ed io ne sono il commento,
Tu sei il costruttore dei miei istinti confusi!
Il carico che m’opprimeva tu l’hai levato leggero.
La mia sostanza ha bisogno di chiarori di sole,
ma tu brilli scintilli
senza grazie d’astri.
Oh, tu che non comprendi ancora,
ancora questo svelato mistero
impigliato ancor nella rete di brame vacue e vane!
Ahimé ignaro, dagli occhi legati a metaforiche forme!
Tu ch’eri bellezza fiera ed or sei umiltà miseranda!
Se la tua vera natura sapessi
non di sorte nero saresti,
non nero d’opere.
LA LUCCIOLA
C’è luce di lucciola nel nido del Giardino,
o arde solitaria candela in un banchetto di fiori?
È venuta volando dall’alto cielo una stella
o forse è stillata un’anima in un raggio di luna?
o è ambasciatore di Giorno nel reame di Notte,
ambasciatore in patria ignorato, scintillante d’esilio?
o brandello strappato alla veste del chiaro di luna e caduto,
o un atomo già scintillante nel manto regale del Sole?
o è un segreto luccichio d’antica Bellezza,
che riportò la Natura, da solitari recessi, nel mondo?
In quella piccola Luna vibra ora tenebra o lampo,
ora s’offusca in eclisse, ora risorge a luce.
Verme la falena, verme la lucciola e pure
uno bramoso di luce, l’altro impastato di luce!
* * *
Ad ogni cosa nel mondo la Natura diede bellezza:
alla farfalla il palpito, alla lucciola luce.
A uccelli ignari di lingua diede armonie variopinte,
diede una lingua al fiore, insegnando eterno silenzio.
Del tramonto l’esile fata è bella per immediata morte:
effimera vita le diede con un bagliore furtivo.
Diede colori all’Aurora e come a elegante sposa novella
di rosse vesti vestita, le diede, a specchio, rugiada.
L’ombra diede all’albero, diede al vento volo vivido,
liquidità lieta all’acque, inquietudine alle onde.
Ma solo nostro è questo singolare destino:
notte è per noi, quel che alla lucciola è giorno!
* * *
In ogni cosa scintilla d’Eterna Bellezza un bagliore:
la Parola brilla nell’uomo, nel bocciolo lieto colore,
quella Luna nel cielo è il cuor d’un poeta, diresti
si fa lassù luna quel che qui è pena e palpito.
La parola ci tende ben strane reti di inganno, altrimenti
il canto è profumo d’uccelli, il profumo è canto di fiori.
Nel brulichio dei Molti è nascosto il segreto dell’Uno:
quel ch’è scintillio nella lucciola è fragranza di luce nel fiore.
Perché dunque l’odio, nella immensa folla degli Esseri,
quando giace in fondo a ogni cosa il primitivo Silenzio?
CHE COS’È DAVVERO LA BELLEZZA
Domandò un giorno a Dio la Bellezza: « Perché, o Signore, nel mondo, tu non mi hai fatta immortale? »
E rispose: « Il mondo è come una splendente galleria di dipinti, il mondo è una fiaba della lunga notte del Nulla!
E poiché sin dal principio è impresso del colore della mutevolezza, bello è solo quello la cui essenza è avere una fine! »
La Luna, ch’era vicina, udì queste parole, e si diffo pallide in cielo, e le udì la Stella del Mattino,
E l’Aurora l’udì dalla Stella e le narrò alla Rugiada, e questa, confidente della terra, riseppe quelle parole di cielo.
E per il messaggio della Rugiada si riempirono di lacrime gli occhi del Fiore, e il tenero cuore bambino del Bocciolo si riempì, per il dolore, di sangue.
Dal giardino piangente se ne andò Primavera. Era venuta a visitarlo la Giovinezza: poi anch’ella partì, sconsolata.
SICILIA
Piangi ora a cuore aperto, o occhio mio bagnato di sangue!
Ecco t’appare da lungi la tomba della civiltà araba.
Un tempo qui v’era una folla di snelli abitatori del deserto,
correvano agili il mare, qui, le loro navi, un tempo.
Uomini che facevano tremare i troni di re vittoriosi,
nido di lampi erano le loro scimitarre ricurve.
L’apparir loro diede il messaggio d’un nuovo mondo,
la lama loro impaziente divorava i secoli vecchi.
Un mondo morto fu vivo al loro grido : « Risorgi! »
E l’uomo fu liberato dai lacci di dogmi vani.
C’è ancora un orecchio che sappia gustare il loro grido?
Tacerà dunque per sempre il grido di battaglia d’un tempo?
* * *
O Sicilia ! Tu sei la perla e l’onore del mare
dall’acque azzurre da lontano spunti come una guida.
O possa restar tu per sempre monile sul volto dell’acque,
rimanga tua immagine sempre nell’occhio al veloce viandante,
per sempre davnti l’onda abbracciata alle tue coste di roccia!
Tu fosti un tempo la culla della civiltà di quel popolo
la tua bruciante bellezza fu fuoco, un tempo ai suoi sguardi!
***
Pianse l’usignolo di Shiràz sulla Baghdàd distrutta,
Verso Dàgh lacrime di sangue su Gihànàbàd
e quando il cielo distrusse la potenza, un dì, di Granada,
ne gridò infelice d’un Ibn Badrún il cuore.
Ora al triste Iqbàl fu dato in sorte il tuo lutto :
Ha scelto un cuore il destino, un cuore che fu tuo compagno.
** *
Nei tuoi antichi palazzi di chi è nascosta la storia?
Nel silenzio delle tue coste v’è accenno lieve di voce:
dimmi il tuo dolore dunque ! Vedi, io son tutto dolore,
son polvere d’anima, io, di quelli cui fosti dimora!
L’antico quadro riempi di nuovi colori, mostrati a me qual’eri,
e fammi tremare narrando d’antichi tempi le storie:
le porterò qual dono laggiù verso i lidi dell’India.
Io, qui, piango. Altri, laggiù, farò piangere ancora!
IN OCCASIONE DEL DONO D’UN FIORE
Quel cespo di rose, ebbro di tenerezza, che spunta su dal giardino
con la lingua d’ogni bocciolo sembra che dica:
« O Dio ! Ch’ella mi colga, me fra tutti i fiori
e di bocciolo piccino mi renda oggetto d’invidia del girasole splendente! »
E Lei, proprio te, ha colto dal ramo. Oh felice tua sorte!
Tremano d’invidia ora i tuoi rivali nel prato.
Triste lontananza hai sofferto, ed ora sei giunto all’Unione,
l’essenza della tua vita è giunta all’apice sommo.
E questo cuore mio, fiore ch’è invidia di tutti i veggenti,
e che dà grazia e fragranza al giardino della mia giovinezza,
mai questo fiore non fu abbracciato a un oggetto d’amore,
non conosce il grembo rosato della veste d’alcuno.
Mai lo potrà far fiorire primavera nessuna
e l’apisce l’attesa di chi voglia coglierlo un giorno.
LA LUNA
O Luna! La bellezza tua è l’onore dei cieli
tu, che per antica natura t’aggiri adorante attorno a questo santuario di terra!
Quel marchio che porti nel petto è cicatrice d’amore,
o forse è segno cocente di sempre viva brama?
Turbato io qui sulla terra, inquieta tu alta nel cielo,
noi siamo in eterna ricerca, tu cerchi e cerco anch’io.
Forse della stessa santa Assemblea candela è l’uomo
e tu pure? Forse la tua ultima tappa è quella cui anch’io, viandante, m’avvio?
E su pianori e deserti e campi ampi e montagne identico brilla il tuo volto lucente,
come sul cuore dell’Uomo!
PREGHIERA
Signore! Al cuore dei musulmani ispira quella vivente brama
che l’anima fa trepidare e rende caldo il cuore.
Guida la gazzella sperduta verso il Tempio, ancora,
a chi abita in città dona l’ampio alitar del deserto!
Ad ogni cuore sconvolto in queste tenebre lontane
dona marchio cocente d’amore che n’abbia vergogna la Luna!
E i nostri intenti, Signore, fa’ alti come le Plèiadi,
dacci la pensosa saldezza delle rive, la libertà ampia del Mare!
Sono usignolo che piange in un desolato giardino,
sono voglioso d’azione, dona, o Signore, chi senta della mia azione il bisogno!
Da I SALMI DI PERSIA
AL LETTORE
I
Il velo che gli occhi miei copre m’è leggero qual pagliuzza, talvolta.
E con un solo sguardo l’occhio mio abbraccia i contorni dei mondi, talvolta.
Lontana e molto lunga è la vallata d’Amore,
Ma un cammino lungo cent’anni s’attraversa in un sospiro, talvolta.
Cerca sempre, e non perdere di mano il manto della Speranza:
C’è un tesoro nascosto sul ciglio della Strada, talvolta!
Che cos’è questo mondo? Variopinta pagoda creata dal mio pensiero!
E il suo manifesto gioco è pegno all’occhio mio desto.
E l’orizzonte immenso che posso abbracciare con lo sguardo non è che un cerchio tracciato dal como ampio dell’Io. Essere e Non-Essere provengono dal mio vedere, dalla mia cecità;
Tempo e Spazio altro non sono che scherzi del mio Pensiero eterno.
Sono il liuto del Destino e ho dentro cento canti nascosti, e ogni volta che il plettro dell’Idea ne tocca le corde, ecco che dolci risuonano.
E Tu, Tu che me rendesti vivente a un traboccare di Grazia, qual segno o traccia ho di Te?
Se questi due mondi son opera mia, il Mondo tuo grande, dov’è?
II
L’ardente ione della Vita non è che il piacer di cercarti;
la strada ci morde qual serpe se verso di Te non andiamo !
E fugge l’Angelo abbracci ampi d’amanti divini quando scintilla lo coglie del Fuoco del Tuo desiderio.
Ora, bramanti bellezza, il velo strappiamo al Tuo volto, ora, con sguardi incapaci, lo ricopriamo d’un velo. Ch’io corra a cercare di Te o vaghi a cercare il mio io è la Tua Via che assorbe lo sguardo il cuore la mente. Del Tuo giardino siam fiori, una goccia dà a noi di rugiada: vedrai un bocciolo che s’apre e non mancherà acqua al Tuo fiume !
III
Nel mio pensiero non scorgo lotta di Fede e Peccato,
nell’anima mia dolente non vedo brama di cielo.
Se tu mi scavi ora il cuore troverai l’immagine Tua
ondulante fioco chiarore come chiaro di luna su sabbia!
IV
In questa taverna, o Coppiere, non ho nessun confidente.
O forse son io il primo Adamo d’un altro mondo lontano?
Ora questa forma consunta tu plasmi a pugno di Terra
Ora la dissolvi nell’Acqua e arcano Fuoco v’inspiri!
V
Stelle m’ha versato sul petto quest’occhio mio sempre piangente,
m’ha lanciato fuori del cielo questo eterno amor del Vedere!
Sì, sulla terra ora incedo, ma più alto son delle Plèiadi,
non mi s’addice, lo sai, vita brillante e breve come scintilla.
L’albe e i tramonti del mondo nascono dal mio andare perenne,
non mi s’adattano, lo sai, questi tramonti e quest’albe!
Tutto l’abbiamo bevuto il vino della coppa del cielo, ed è vuota:
non scoraggiarti, Coppiere, portaci ancora liquore azzurrino!
Non basta alla nostra ebbrezza d’ambedue i mondi l’abbraccio,
questo mondo non è che aggio, e l’Altro pure è aggio !
VI
A questo inquieto cuore dona più travolgente ione
alla lucente tua treccia aggiungi ancora altri nodi!
Da te il profondo del petto è illuminato da lampi,
al sole e alla luna ho lasciato amarezze d’attesa.
La brama di scorger l’Eterno creò nel mondo i templi idolatri:
troppo talvolta inganna l’Amore l’animo gonfio di speme!
Affinché con animo quieto a melodia nuova dia inizio,
di nuovo al giardino ridona l’uccello cantante del prato!
Mi hai dato natura sublime, or scioglimi il laccio dal piede,
a che le vesti regali io spregi per il tuo umile saio.
Perché parlar dell’amante che l’ascia provò sulla pietra?
L’amore rapisce sul dorso via tutti i monti del mondo!
VII
La nostra immagine eterna ha percorso tutti i cieli,
ha cavalcato la luna, ha stretto la Via Lattea al seno!
Non credere, no, che questa terra sia la nostra dimora,
perché ogni stella è un mondo o un mondo è stata in antico!
E nell’occhio umilissimo della formica si scorgono chiare e lucenti
mille segrete saggezze, all’occhio nostro nascoste.
Sostiene la terra sul dorso il Bisutún e l’Alvand possenti,
ma è la nostra polvere viva che sulla schiena sua pesa!
VIII
Un Dio ci ha persi, ed Egli ci cerca ancora
come noi bisognoso d’amore, preda del desiderio!
Ora ci scrive un messaggio sull’esile petalo del tulipano,
ora ci grida di Lui il cuore segreto degli uccelli, pieno di melodie.
S’è nascosto silente nel narciso per vedere la nostra bellezza
e tanto è ebbro di carezze di sguardi che sembra parli con gli occhi.
È un sospiro mattutino che gli sgorga dal cuore per la pena di non ritrovarci
tutto quel ch’è fuori e dentro le cose e il sopra e il sotto, e tutto lo spazio!
Ha suscitato un tumulto per vedere un pugno di polvere,
ed è pretesto di sguardi cercanti lo spettacolo dei colori e dei profumi del mondo.
Nascosto in ogni atomo, oppure invisibile ancora,
chiaro come luce di luna, ma come chiaro di luna abbracciato a strade e castelli notturni.
È sperduta nella nostra terra la perla lucente di Vita:
È Lui quella perla splendente, è Lui? Oppure siam noi?
IX
No! questo mondo decrepito deve diventar giovane ancora!
E una sua pagliuzza deve essere dura e greve qual monte!
Quel pugno di terra che onniveggente sguardo possiede nel petto ha bisogno di grida impastate di cuore! Questo vecchio sole, questa vecchia luna camminano senza mèta ciechi:
stelle nuove ci vogliono per ricostruire il mondo!
Ogni bella fanciulla che mi si presenti allo sguardo, è bella, sì, ma più bella deve essere ancora!
Iddio mi dice: « Così è, e tu non dir più parole! »
Ma risponde l’uomo: « Così è, ma altrimenti deve essere, e meglio! »
X
Né chiese né tempio v’è più: me stesso io adoro !...
Nel petalo della rosa e del tulipano dove son più i colori, dove rugiada di lacrime?
Dove più la melodia dolce nei lamenti degli usignoli?
Non vedo alcun nuovo disegno nell’officina del mondo: nel nulla
ancor non nato nessun progetto più resta...
Si son fermati tutti prima di arrivare alla mèta, e nulla più cerca nessuno.
Non è rimasto più un alito in cuore agli uomini sulla terra polverosa.
O che nel quaderno dell’essere non v’è più una pagina bianca,
o non ha più forza di scrivere il càlamo di Dio?
Da “L’ala di Gabriele”
FRAMMENTI DI UN DIALOGO CON DIO
I
Se storte vagano le stelle... Tuo è il cielo oppure mio?
A che pensare, io, al mondo?... Tuo è il mondo oppure mio?
Se il mondo immortale è vuoto di grida mordenti di brama,
di chi la colpa, o Signore? Mio è il mondo immortale o Tuo?
Perché Satana ha osato negare, là, nel mattino prima del tempo?
Che ne so io? Confidente Tuo egli era, o mio? Muhammad è Tuo, Tuo Gabriele, Tuo il Corano
la dolce Parola è Tuo interprete, o mio?
Del chiarore di quest’astro il Tuo mondo è luminoso:
la fine dell’uomo di terra è danno Tuo o mio?
II
La treccia Tua luminosa falla più lucida ancora,
rapisci ragione e saggezza, rapisci il cuore e lo sguardo!
Velato resti l’amore, velata resti Bellezza,
manifestati dunque, o me stesso fa manifesto !
Tu sei l’oceano immenso, io miserabile ruscello,
Abbracciami or dentro le Tue sponde, o rendimi alfine infinito!
Io sono la conchiglia, e l’acqua della mia perla è in Tua mano,
io sono terra secca, fammi gemma regale !
Se canti di primavera non m’ha donato la sorte,
quest’alito mio semispento fallo usignolo d’aprile !
Perché mi fu allora ordinato di fuggir dal Giardino del cielo?
Molto ho da fare ora nel mondo, ora sii Tu ad aspettarmi!
E il dì della resa dei conti, di fronte al Registro delle Opere,
svergognami pure, Signore, ma vergognati un poco Tu ancora!
III
Sia esso efficace o non sia, ascolta il mio grido,
non chiede giustizia questo liberissimo servo!
Questo pugno di terra, questo gelido vento, questo deserto dei cieli!
È crudeltà dunque o grazia il Tuo piacer di creare?
Il padiglione del fiore nulla è durato nell’aria del prato:
È questa dunque primavera?
Sì, son lo Straniero, sì, sono il Colpevole, ma
il Tuo desolato deserto non seppero popolare gli Angeli!
IV
Che amore può esserci dunque per una vita ch’è metafora solo,
che amore fra chi sempre esiste e chi a effimera vita sfiorisce?
Quell’amore che il soffio di morte spegne come candela pallida
non vale il palpito lungo, non vale l’attesa e l’ansia!
La mia gioia? L’ardore di un attimo. E inutile
inutile per la Scintilla è mescolarsi alla Vampa.
Donaci, prima, la vita eterna, e vedrai
gusto nuovo e ione nel sempre instabile cuore!
Dacci una spina che ci punga il cuore in eterno,
dacci, Signore, un dolore il cui morso non abbia mai fine!
V
La mia polvere, una volta dispersa, non ritorni cuore mai più,
il problema ch’ora m’avvolge non torni più ad intricarmi.
Nel Paradiso ancora non mi costringano le Hùri a cantare,
il mio petto che brucia, più non riscaldi riunioni d’uomini.
La nostalgia della casa (al viandante, dell’abbandonata casa un ricordo)
non mi penetri più pungente il petto.
L’amore mi ha reso un Oceano di cui non si vedono le sponde:
il desiderio di conservare me stesso non mi divenga ora sponda.
Son spaventate le stelle dall’ascesa dell’uomo di Terra,
che questa stella spezzata non si faccia purissima luna!
VI
Il Tuo mondo: un mondo di pesci variopinti e d’uccelli.
Il mio mondo: un sospiro d’alba.
Nel Tuo mondo, io sono servo e costretto;
nel mio mondo, Tu sei Signore e sovrano!
VII
Ha cancellato il coppiere il mondo Tuo e il mio col vino
il vino di « non v’è altro dio che Dio! »
Ora non più vino, non versi, non coppiere, non vocìo di liuti
un solo silenzio alto di monte, e riva di fiume e — nati da sè —
papaveri rossi.
Guarda il mendicante della taverna come non sente più il bisogno di nulla:
(giunto alla fonte dell’Acqua di Vita ha spezzato l’anfora).
A che serve a me l’anfora in quest’ora, quando
vuote sono le zucche dei sufi nel monastero?
Di nuove cose ora ho bisogno, io
e lo sguardo meglio sarebbe velato di velo,
lo sguardo mio che eccede il cuore, sguardo sfrenato!
Se pure luogo alla perla son l’onde muggenti del mare,
perfetta abluzione è per lei purissima argilla.
C’è un mago negli sguardi del poeta coloriti di melodia,
e tulipani e rose appaiono, per la sua grazia, più belli.
VIII
Il petto al papavero trabocca di vino - rubino
(e il sufi ha capito quel cenno e ha abbandonato l’ascesi).
Dovunque l’Amore ha disteso il suo tappeto
il mendicante ha reso erede di Re!
Son troppo vecchie queste stelle, troppo consunto il firmamento:
io ho bisogno di un mondo neonato e nuovo!
Chi conosce cosa sia la Fine del Mondo, il Giudizio?
A me un Tuo sguardo è la Resurrezione!
Non rubarmi il piacere dei mattutini sospiri,
restino duri i Tuoi occhi, non finger grazie e favori!
A un cuore rattristato non s’addice la stagione dei fiori:
troppo suadente la voce degli uccelli del prato.
Dicono gli sciocchi: « Adattati dunque al Destino! »
Io dico : « A te s’adatti il Destino, altrimenti lotta con lui! »
IX
Questo segreto sottile appresi io da un teologo,
Che l’anima non si dissolve al morire del corpo.
Lo scintillìo come mai potrebbe restare nel sole,
se egli si stancasse del suo raggio?
X
Credevo che teatro del moto mio fosse qui sotto il cielo,
ed il mio mondo fosse gioco d’acqua e di terra.
Al tuo svelarti, tutto s’infranse il talismano di sguardi:
e nulla più che un azzurro mantello pensavo essere il cielo!
La carovana, stanca, si disperse lenta nelle pieghe di spazio:
compagni di viaggio avevo creduto Giove, il Sole e la Luna!
Con un balzo d’Amore tutta la vecchia storia,
fu finita e superata, (pensavo infiniti il cielo e la terra).
I segreti ciambellani del Desiderio mi ridissero i Misteri d’Amore
(e seppi ch’era sospiro quello che avevo creduto freno ai sospiri).
Non era che un grido dolente di viandante attardato
quello che un tempo credevo segnale desto di viaggio!
VARIE
I
Mondo d’acqua, d’aria, di terra! Segreto manifesto tu sei, o io?
Tu o io siamo il mondo che è nascosto ad ogni sguardo?
Quelle notti di dolore, ione e tormento che chiamano vita,
io o te ne siamo l’aurora, io o te il sacro annunzio?
L’albe e i tramonti per l’apparizione di Chi si inseguono a corsa?
Tu o io siamo il peso greve sulla spalla del Tempo?
Tu pugno di polvere cieco, io pugno di polvere conscio,
io o tu siamo l’acqua per i campi seminati dell’Essere?
II
Tu non sei per la terra, non per il cielo
il mondo è per te, tu non sei per il mondo.
Questa Ragione, questo Cuore, non son che scintille di vampa d’Amore:
l’una per bruscoli e spine, l’altra per gli ampi canneti.
Fonte di lamenti e sospiri è questo giardino,
non serve a guardare le rose, non serve da nido.
Finché esisteranno il Gange, il Nilo e l’Eufrate,
la tua nave sarà per l’oceano infinito !
III
O prigioniero dello spazio ! Non è lontano il mondo infinito!
Quei manifesti splendori non sono lontani dal tuo globo di terra!
Quel giardino nel quale non v’è timore d’autunno
dal tuo nido — non rattristarti — non è lontano.
Questo è in essenza il segreto della mistica scienza:
« Freccia lanciata è la Vita, ma non è lontana dall’Arco ».
Lo spazio tuo è un po’ oltre la Luna e le Plèiadi,
alza il piede, dunque, il tuo luogo non è lontano dal cielo.
Non dire alla Guida : « Lasciami ora! » perché tali
parole sarebbero indegne d’un saggio viandante.
IV
Ogni cosa è viandante, in viaggio sono gli esseri tutti,
e le stelle e la luna e i pesci guizzanti e gli uccelli.
Tu sei, uomo, eroe di battaglia, e condottiero principe
e, tue armate, luminose presenze.
V
Perché dovrei domandare ai sapienti qual è il mio Principio,
io che sempre medito su quale sarà la mia Fine?
Rendi il tuo io sì sublime che, prima d’assegnarti un destino,
Iddio domandi al suo servo: « Qual è il tuo desiderio? »
M’appaiono abissi di Fato in un mio ardente sospiro:
non chiedermi, dunque, o compagno, che cos’è quell’occhio veggente !
Se fosse vissuto in quest’èra l’estatico folle Nietzsche,
Iqbàl gli avrebbe insegnato lo stadio della Divina Potenza.
Un suono d’alba m’ha fatto sanguinare il cuore. O Signore,
qual è il peccato del quale io sono punito?,
VI
La tua scienza metti in confronto con la Natura:
conquista i paesi dei profumi, le contrade dei colori.
Tu hai perduto il tuo Io: questa perduta parola ora cerca di nuovo!
Immenso e senza confini è lo spazio alle stelle;
anche tu dunque brama quei luoghi, quegli spazi!
Le huri del tuo giardino son nude e reiette, ripara gli strappi alla veste dei fiori.
Se anche non è la Natura priva di gusto creante,
quel ch’essa non seppe fare sappilo fare tu!
VII
Ci sono altri mondi infiniti, oltre, oltre le stelle,
ancora prove d’amore molte, molte vi sono!
Non te ne star contento di questo mondo quaggiù di colori e profumi:
altri giardini vi sono, oltre, vi sono altri nidi!
Un falco superbo tu sei e l’alto volo è tua arte:
altri cieli s’aprono a te dinanzi ampi, ancora!
Non restare qui impigliato in questi giorni del mondo, in queste sue notti :
davanti a te s’aprono altri spazi, ed altri tempi, ancora!
VIII
L’Io corroborato di Scienza è invidia di Gabriele,
ma se ha la forza dell’Amore è come la tromba dell’Arcangelo!
Ben conosco il tormento della scienza moderna,
io che vi fui immerso, come Abramo nel fuoco!
La carovana l’inganna il dolce amore del nido,
ma ben più grande che stare è la gioia d’andare!
È notte scura e lungi sperduto tu sei dalla tua carovana:
per te sia la mia fiamma di canto lampada al viaggio.
Strana e semplice e rossa è la fiaba del Santuario:
Husain non è la fine e non è principio Ismaele.
IX
Non m’ha donato natura pensiero rapido.
Forse è rimasta quella potenza di volo dentro la terra:
quella terra la cui follia è pulizia di menti,
quella terra che ha lacerato all’Angelo la purissima veste
quella terra che nulla cura l’immobile stare
e mai toglie dall’ampio giardino le scorie e gli sterpi.
A quella terra Iddio ha donato la lacrima,
lacrima il cui scintillare sconvolge le stelle!
X
Di Semplicità son miracoli le corone, i troni, le armate,
la Semplicità è dei principi principe, dei sovrani sovrana!
Mira la Scienza a chiarezza di ragionante intelletto,
Mira la Semplicità a purezza d’occhio e di cuore.
La Scienza è il savio e il giurista, la Semplicità è Mosè ed è Cristo.
La Scienza cerca la via, Semplicità conosce la via :
La Semplicità sa per visioni, per esperienza conosce la Scienza,
Nella Semplicità l’ebbrezza è lecita, nella Scienza è peccato.
Quando batte sulla pietra della Semplicità la spada tagliente dell’Io
il colpo d’un solo soldato fa opera, allora, d’esercito.
Se un cuore sveglio e vivo nasconde dell’uomo la terra,
lo sguardo tuo saprà fendere specchi di sole e di luna.
POEMETTI BREVI
I
Nelle tenebre del mare
perditi e stai;
vibra, palpita, muta :
non è tuo destino la sponda, onda!
Trabocca, e dovunque tu vuoi libera fuggi!
II
Sono nello spazio, o sono
libero di spazio?
Vedo di contro il mondo,
o tutto il mondo son io?
Possano liberi ed ebbri vagare in luoghi nudi di spazio
quelli che sappiano dirmi
dove io sia!
III
Nella ione degli Arabi è nascosta
l’armonia dei Persiani.
L’unità delle stirpi è un segreto del Tempio.
Di vacue unità parla il mondo d’Europa:
la civiltà d’occidente è priva d’un Santuario!
IV
In ogni atomo, forse, è nascosto un cuore che vibra.
In ogni essenza palese c’è forse un cuore eremita;
prigioniero, sì, del domani e di ieri,
ma non schiavo del Tempo che eterno s’aggira, il Cuore.
V
Un àlito
è nel tuo petto, non un cuore.
E nell’àlito tuo
non c’è calore umano di folla.
a, a oltre la Ragione, perché luce
è quella, ma luce solo di lampada a un viaggio,
non lume familiare dell’Ultima Casa.
VI
Non son cavaliere di cammelli alti e di cavalli
sono un segno di via, non ultima meta.
E’ mio destino bruciare gli inutili sterpi!
Non sono che semplice lampo, non sono,
non sono, non sono il Raccolto.
VII
Ombreggia il mondo tutto con la forza dell’Io,
scopri segrete essenze nel cosmo dei colori e dei venti.
Colorato di mare, sii familiare alla sponda,
ma, come l’onda,
dal pugno rapace dell’argine ritrai rapido il manto!
ODE ALLA MOSCHEA DI CORDOVA
Catena di giorni e di notti è creatrice di cose,
Catena di giorni e di notti fonda la Vita e la Morte,
Catena di giorni e di notti fila bicolore tela lucente
dalla quale l’Essenza prepara degli Attributi il Mantello!
Catena di giorni e di notti è il lamento primigenio di quell’Armonia
Te ancora mette alla prova e me ancora mette alla prova
catena di giorni e di notti, questo crogiolo del mondo!
E s’io fallisco alla prova, se tu fallisci alla prova
morte è il brevetto mio, morte il destino tuo!
Quale altra reale essenza v’è nel tuo dì, nella notte?
Un correr lieve di Tempo che notte e dì non conosce!
Istantanei ed effimeri tutti sono i miracoli dell’arte,
incostante è l’opera del mondo, incostante è l’opera del mondo:
Morte è l’Ultimo e il Primo, morte il Nascosto e il Presente.
Nuovo o vecchio il Disegno, la meta ultima è Morte!
* * *
E pur v’è un colore d’Eterno in quel disegno sublime
che opera sia stata di mano creatrice d’Uomo di Dio!
L’opera dell’Uomo di Dio acquista luce da Amore:
Amore è la fonte di Vita, d’Amore è colpa la Morte.
Sia lento o rapido il corso del lungo fluire del Tempo,
l’Amore è un torrente, ch’ogni altro torrente supera!
Nel calendario d’Amore, oltre questo tempo che corre
ben altri tempi vi sono, tempi nudi di nome.
Amore è l’alito d’Angelo, l’Amore è il cuore del Santo,
Messaggero di Dio è l’Amore, l’Amore è Parola di Dio!
È per ebbrezza d’Amore che brilla il volto del Fiore,
L’Amore è il primo Vino, l’Amore è dei nobili Coppa! Sacerdote del Tempio è l’Amore,
l’Amor condottiero d’Armate,
l’Amore antico viandante, non stanco di mille dimore!
Con il plettro d’Amore risuona la corda del Mondo,
Da lui prende luce la Vita, da lui la Vita ha il suo fuoco!
* * *
O Tempio di Cordova! È per Amore che esisti
L’Amore è eterna Durata ch’essere e andare non conosce!
Colore sia, o sasso, liuto sia, o voce
sgorga il miracolo dell’Arte solo dal sangue d’un Cuore!
Una goccia bruciante di sangue fa cuore durissima pietra,
Sangue bruciante è voce, ione, letizia e canto.
M’illumina il petto il tuo spazio, a melodie calde il cuore:
da te presenza di cuori, da me sbocciare di cuori.
Il petto d’Adamo, più basso non è del trono di Dio,
Se pur quel pugno di terra ha per livido termine un cielo!
Quest’empio figlio dell’India, guarda, a te viene pieno di brama,
in cuore una preghiera ed un canto, una preghiera e un canto sul labbro!
ione è la mia melodia, di ione trabocca il mio flauto:
Il grido « Egli è Dio Possente » m’imbeve le vene ed il sangue!
* * *
La tua Maestà e la tua Grazia son cenni d’un Uomo di Dio,
egli maestoso e grazioso, tu ancor maestosa e graziosa!
Possente è la tua costruzione, le tue colonne infinite,
come una folla di palme in un deserto di sera.
Sulle tue mura e sui tetti c’è la luce dei santi deserti
e il tuo minareto alto è luogo d’ascesa all’Angelo.
Mai morirà il Musulmano, perché nei suoi gridi di Dio
vive ancor dispiegato di Mosè il segreto e d’Abramo.
La terra sua non ha limiti, non ha confini il suo cielo,
Tigri, Danubio e Nilo son tutte onde al suo mare!
Miracolosi i suoi tempi, meravigliose le sue fiabe
all’Era vecchia egli diede il segnale d’addio.
Guerriero che ha per corazza il « Non v’è dio che Lui»
« Non v’è altro dio che Lui » gli è riparo in ombra di spade!
* * *
Tu manifesti il segreto d’un servo credente di Dio:
il palpitar dei suoi giorni, delle sue notti l’ardore!
La sua potenza eccelsa, le sue immagini alte,
la gioia sua, la ione, la sua umiltà, sua fierezza.
La mano del servo fedele è la mano di Dio
Trionfatore, Creatore, Dispiegatore, Possente!
Impastato di terra e di luce, con mosse potenti
spregia il suo cuore fierissimo questo suo mondo e ancor l’altro.
Le sue speranze, poche; le mire sue, sublimi;
Il suo parlare, fascino; il suo sguardo, carezza!
Centro al como di Dio è la certa fede dell’uomo
e tutto il resto del mondo è simbolo vacuo e magia.
Lui è di Ragione la mèta, lui dell’Amore il raccolto,
agli orizzonti immensi dà calore di folla vivente.
* * *
O Tempio! Se al fondo del cielo esiste un tuo pari in bellezza,
solo nel cuor dei credenti è racchiusa simile gemma!
Ahimè quegli uomini santi, quegli Arabi dagli agil corsieri
portatori dell’Indole Nobile, signori di sincere certezze
il cui dominio ed impero provò questo simbolo strano:
« Povertà è il regno dei Saggi, non gloria e fasto regale! »
I loro sguardi educarono i popoli d’Occidente e d’Oriente,
la loro scienza, nel buio d’Europa, vedeva la Via;
del loro sangue ancor oggi vive la gente di Spagna,
dal cuore lieto e caldo, semplici fronti serene.
Ancor oggi in questo paese scintillano occhi di gazzella,
Ancor oggi frecce di sguardi nerissimi spaccano il cuore,
Ancor oggi il profumo dello Yemen si respira in quest’aria soave
Ancor oggi colori d’Arabia rivestono le sue melodie.
* * *
Cielo è la terra tua agli occhi viandanti di stelle...
Ahimè, che per secoli lunghi restò senza preghiera il tuo spazio!
In quale valle è sperduta, in quale tappa lontana
del tormentoso Amore la carovana spietata?
Vide già la Germania il tumulto della Riforma
che non lasciò in alcun luogo traccia d’antiche cose,
il celibato dei preti divenne favola falsa,
e del pensiero la nave corse più lieve sull’onda.
L’occhio già vide in Francia la Rivoluzione grandiosa
che trasformò il mondo dell’Occidente d’un tratto.
La nazione erede di Roma, vecchia d’antiche forme,
col rinnovarsi, pure giovane, nacque a vita.
Nello spirito all’Islam vibra oggi la stessa inquietudine:
La lingua ridirlo non può, questo è segreto di Dio.
Vedete forse sommuoversi nuovo il fondo a quel mare?
Vedete la cupola azzurra del cielo mutare colore?
* * *
Sulle vallate dei monti s’annega la nube in color di tramonto,
il sole partito ha lasciato dispersi rossi rubini.
Semplice e pieno d’ardore suona il canto di lieta fanciulla,
sulla nave del cuore si getta a tempesta il ricordo dei giovani anni.
O acqua del Guadalquivir ! Le tue rive stanno forse vedendo
il sogno d’un’altra età nei placidi abissi del Tempo?
Ma un mondo nuovo è ancora nascosto in seno al Destino:
nei miei sguardi scintilla svelata di quel tempo nuovo l’aurora.
Ma s’io i volti svelassi ai vergini pensieri miei, ora,
non sopporterebbe l’Occidente l’ondata possente del canto !
Morte è quella vita in cui Rivoluzione non ferva:
Vita dell’anima ai popoli è lotta e rivolta!
Sembra una spada in mano al destino quel popolo
che ad ogni èra sa fare un dì del giudizio a sue opere.
Incompleto è ogni disegno privo del sangue del cuore
E senza il sangue del cuore malinconia acerba è il Canto !
ALLA SPAGNA
O Spagna! Tu sei del sangue dei Musulmani custode,
qual santuario purissimo tu allo sguardo m’appari !
Tracce velate di prostrate preghiere vi sono nella polvere tua
e inviti silenti alla pace nelle tue brezze d’aurora!
Lucenti come stelle erano le lance di quelli
che un tempo piantarono le tende nei tuoi pendii e nei monti.
C’è ancor bisogno di smalto per le tue belle, ancora?
Ancora le vene mie hanno colore di sangue !
Perché sepolto è ora il Credente fra bruscoli e sterpi?
Sembra svanita ogni febbre nella sua scintilla, e fiamma!
Granada ancora hanno visto i miei occhi, ma nulla
può più appagare il viandante, né la presenza né il viaggio.
Ho visto, e mostrato ; ho sentito, e narrato
ma il cuore più non consola né visione né fama.
LA TERRA È DI DIO
Chi alimenta il seme nell’oscurità della terra?
Chi dalle onde dei mari innalza feconde le nubi?
Chi dai paesi dell’Ovest crea il vento?
Di chi è questa terra, di chi è questa luce del sole?
Chi ha riempito di perle il seno alla spiga del grano?
Chi alle stagioni ha insegnato a rincorrersi nuove?
Latifondista! Non è tua questa terra, no, non è tua
non dei tuoi padri né tua, questa terra, né mia.
GLI ANGELI PRENDONO CONGEDO DA ADAMO AL SUO ALLONTANARSI DAL PARADISO
T’è stata donata, Adamo, l’irrequietezza dei giorni, delle notti,
non si sa, ormai, se tu sei d’argento vivo o di terra!
Udimmo già che tu sei fatto di terra, ma pure
nella sostanza tua v’è la stella, v’è il chiaro di luna!
Se tu pure in sogno vedessi la tua bellezza, più dolce
ti sarebbe il sonno e il sogno che mille risvegli!
Ben prezioso e grave è il tuo pianto d’aurora:
con quello tu sai abbeverare la Palma tua antica, a vita.
LO SPIRITO DELLA TERRA DA’ IL BENVENUTO ALL’AVVENTO DI ADAMO
Apri gli occhi, guarda la terra, guarda il cielo, guarda lo spazio!
Guarda il sole che splendido sorge all’orizzonte orientale!
Guarda questa gloria svelata eppure nascosta nei veli!
Guarda il crudele tormento, che t’attende, dei giorni della separazione!
Non essere impaziente, guarda la lotta del timore e della speranza!
Sono tutte ai tuoi ordini queste nubi, questi cieli,
questa volta celeste, queste distese silenziose, queste montagne,
questi deserti, questi mari, questi venti: sono gesti
graziosi d’Angeli dinanzi al tuo sguardo acuto!
Ma oggi, nello specchio del Tempo, guarda o Uomo,
la tua immagine bella!
Sì, il Destino comprenderà i cenni silenziosi dei tuoi occhi;
ti vedranno, da lontano, le stelle del Cielo. Invisibili sono
le sponde del mare infinito del tuo pensiero, le scintille
dei tuoi sospiri raggiungeranno il firmamento!
Costruisci dunque il tuo Io: guarda quanto è
grande la potenza d’un tuo sospiro!
In ogni scintilla ardente che t’esce dal cuore c’è la luce
d’un sole che splende su tutto l’Universo; un mondo
nuovo è vivo nell’arcano della tua arte. Il Paradiso,
se è cosa donata, povero dono è ai tuoi occhi: il Cielo
è nascosto nell’intimo dell’animo tuo, nel sangue del tuo cuore!
Guarda, o immagine di terra, come grande è il premio
della tua lotta eterna!
Dall’eternità che mai ebbe principio ogni corda dell’arpa tua
vibra dolci lamenti. Dall’eternità che mai ebbe principio
tu fosti cliente del lieto mercato d’Amore.
Dall’eternità tu fosti sacerdote del Tempio dei più ascosi misteri;
dall’eternità, in travaglio purissimo, hai sofferto
e offerto il sangue del cuore !
Guarda! La tua Volontà cavalca sovrana il destriero del Destino !
MESSAGGIO DI STELLA
Non mi può spaventare l’oscurità dello spazio
perché la mia natura è purezza e splendore:
Tu, viandante notturno, sii di te stesso lampada,
fa luminosa la notte con lampi di cuore!
SEPARAZIONE
Il sole tesse con fili d’oro
al mondo veste di luce.
Ebbro e silenzioso è il cosmo, diresti
ogni cosa soddisfatta presenza.
E fiumi e monti e luna e stelle
che sanno dell’impaziente distacco?
Io solo son degno d’una inquieta ione:
della separazione è confidente solo l’Uomo di Terra!
da “La spada di Mosè”
IL DESTINO
(DIALOGO FRA DIO E SATANA)
Satana
O Signore e Creatore, io non avevo inimicizia con Adamo...
Puah! Quel prigioniero imbelle dello Spazio e del Tempo!
Di fronte a Te parlare di superbia non sarebbe stato mai possibile :
dunque era nella Volontà tua ch’io non mi chinassi adorante?
Dio
E quando ti fu svelato questo mistero? Prima del Diniego, o dopo?
Satana
Dopo, o Tu dal cui manifestarsi compaiono le perfezioni dell’Essere!
Dio (agli Angeli)
È la vile natura che ha dato un simile argomentare,
ed egli dice: « Era nella Volontà Tua ch’io non mi chinassi adorante! »
Sta dando alla sua Libertà il nome di costrittore Destino.
Con se stesso ingiusto, la sua fiamma avvampante la chiama fetido fumo!
RASSEGNAZIONE
In ogni ramo è svelato questo sottile segreto:
Anche i germogli hanno il senso dell’immensità dello spazio!
Non se ne stanno, pii, a ringraziare Dio nell’umida prigione di terra.
No! Ad ogni istante il granello freme folle per prorompere fuori crescendo!
Non chiudere dunque la via all’Azione con la scusa delle « esigenze della Natura »,
No, ben altro è il senso della rassegnazione all’Eterno!
Abbi dunque l’ardire di crescere, osa! Non è così stretto lo spazio!
O Uomo di Dio! Non è stretto il Regno dei Cieli!
LA META
(DIALOGO FRA SPINOZA E PLATONE)
Spinoza
Getta il Saggio uno sguardo sulla vita, e la Vita cos’è?
Esistenza Presenza Gioia Luce!
Platone
Getta il Saggio uno sguardo sulla morte, e la Vita cos’è?
Parvenza di scintilla in buia notte!
Iqbal
Non son degne di cura vita e morte: solo n’è degno l’Io,
Unica meta è l’Io di sguardi profondi.
L’OSPITE CARO
Il petto ai Teologi è pieno d’idee e di ragioni:
Chi può, in quest’epoca, distinguere il Bene dal Male?
Vorremmo un angolo vuoto nella casa del cuore
che vi entri, da ignoto luogo, un Ospite caro:
LE PIRAMIDI, OVVERO LA NATURA E L’ARTE
In questo spazio silenzioso di tormentoso deserto
non seppe creare, la Natura, altro che mucchi di sabbia.
Di quest’erte tombe la gloria dà le vertigini al cielo:
quale mano potè disegnare queste forme d’Eterno?
Da servitù alla Natura sia libera l’Arte:
gli artisti son cacciatori, o non sono che preda?
LA MORTE
Ancora, sotto le fredde lastre
questo grido d’Assenza e Presenza durerà.
Se tu sei vivo, ancora nel petto ti resterà,
impaziente di morti, un cuore.
La luna e le stelle son come
un momentaneo palpitar di scintille:
L’Angelo Nero di Morte
il corpo ti palpa un attimo, lontano
dal tuo Centro essenziale.
AURORA NEL GIARDINO
IL FIORE
Forse pensavi che in lontananze immense gie
la patria mia, o rugiada, messaggera del Cielo!
Non è lontana.
LA RUGIADA
Ma solo lo sforzo del volo m’ha rivelato alla fine
questo sottile segreto, che dall’alto cielo, la terra
non è lontana.
L’ALBA
Entra soffice alba nel recinto di questo giardino
senza distruggere col piede le perle della rugiada.
Abbraccia stretti i monti al tuo petto e i deserti,
ma non ti sfugga dal pugno il manto del Firmamento!
da “Il Dono del Hegiàz”
POEMETTI
I
Percorro una Via che non ha stazioni né Mèta,
E semino un seme di cui non si vede il raccolto:
Dolore non temo, eppure, Signore, ti prego,
Non darmi un dolore che non sia degno del cuore !
II
Sono servo, e null’altro desidero che soddisfarTi
E nessun’altra strada percorro che quella cheTu m’hai ordinato.
Ma se a questo ignorante servo dicessi :
« Chiama cavallo l’asino ! » non lo farei !
III
Che vuoi Tu da quest’uomo corposo di terra,
che ogni vento che soffia strappa dal luogo suo?
Prono in preghiera, scorsi d’eternità l’Aurora:
del suo mattino adorna, Signore, questo volto di sera.
IV
Tornerà un giorno, o mai più, la gioia andata lontano?
Verrà una brezza bruciante di vita?
S’è chiuso il viaggio del Tempo per questo povero viandante:
Tornerà un giorno, o mai più, un altro confidente al Segreto?
V
Pezzente è il Musulmano, ubriaco di povertà abietta :
delle sue azioni turpi piangono gli angeli in cielo.
Vieni, d’un’altra Nazione Santa gettiamo le basi,
che questa nazione corrotta è un peso greve per il mondo!
VI
Fa, o Dio, questo mondo, eterno come il Giardino del Cielo!
Non vedi dunque? Noi, polvere, abbiamo reso adorna la Terra!
Tu conosci cos’è la Vita Eterna, Signore, ma nulla Tu sai dell’istante di Morte.
E se, dunque, un attimo solo non toglie al Tuo Tempo,
che danno, che danno ne avresti, s’io fossi eterno e immortale?
VII
Non chieder nulla dei viandanti ebbri di Vita,
che vanno e vanno, straniati e dimentichi al mondo.
Hanno un brivido in cuore quando squilla il segnale di partenza,
come onda di vento d’Aprile in vasti canneti.
VIII
A questa età avanzata ho preso la Via di Medina
intonando canzoni gioiose d’Amore,
Come l’uccello nel deserto, che sul far della sera,
dispiega le ali al dolce pensiero del Nido.
IX
Che chiedi tu delle mie melodie?
Non sanno da dove vengono nemmeno gli amici:
Ho sciolto il mio bagaglio qui in mezzo al deserto,
per cantare solo.
X
LA CAMMELLA
a
All’alba dissi alla Cammella: « Più dolce e lenta cammina!
Il tuo cavaliere è stanco, e vecchio e malato! »
Ebbra batteva gli zoccoli a terra
avresti detto che seta era sotto i suoi piedi la sabbia.
b
Non ha bisogno di briglie, o cammelliere
perché l’animo suo, come il nostro, è veggente.
Dall’onda dell’incedere suo la riconosco,
come me prigioniera nel talismano d’un cuore!
c
È lacrima quella che dall’occhio suo nero trabocca?
Mi bruciano il cuore i suoi mattutini sospiri!
Quel vino che qui nel mio petto fluisce lucente,
si versa a fiotti ora nell’onda di aguzzo suo sguardo.
XI
Fa più lieto il dolore della Via!
Fa più folle il lamento del mio cuore!
Prendi la strada più lunga, o cammelliere!
Aumenta in me il bruciore del distacco!
XII
Tutto il mondo è dentro il mio petto,
Brama di mondi eccelsi ho nella mente,
Ma quando abbandonai quest’alto tetto...
Come polvere mi cadde il Volo dalle ali.
XIII
Sì, dentro questo inondo c’è un Paradiso in fiore,
e rugiada di lacrime per i suoi rami sorgenti...
Ma non ione di grida e di canti l’avviva:
Ancora attende un Adamo.
XIV
Prigioniero tu sei dei lacci del prete e del frate,
E più non trai sapienza dal Corano.
Nulla t’ispirano i suoi versetti possenti:
solo ti valgono di preghiere funèree
per morire più dolcemente!
XV
AL RE FARUQ
« Califfato » significa povertà interiore, pure fra troni e corone,
Sublime potenza, questa, che non ha mai tramonto.
O fortunato giovane, questa povertà sacra non perdere mai,
perché, senza di lei, presto la regalità muore!
XVI
Son frantumato e disperso come polvere sopra le strade
che s’adagia sulle spalle volanti del vento.
Felice fortuna, e gioia lieta,
se fuori di questa polvere uscisse, un giorno, un Cavaliere Regale !
XVII
Il cuore mi dice nel petto: « Sì, c’è un Signore dei Cuori,
Sì, c’è un conquistatore per il mondo ! »
E presso ora sono alla Morte e m’ha detto il cielo all’orecchio:
« Quando si sfoglia il fiore, ecco è vicino il Frutto ! »
XVIII
Spacca il monte durissimo con l’ascia,
perché gioco è il Tempo e pèrfido è il Destino.
E lascia pur discutere i filosofi
se le scintille sprizzano dall’ascia o dalla pietra!
XIX
IL CREDENTE
Nelle sue notti è nascosta l’alba,
per la sua stella brilla il mondo e il cielo:
Come potrei dirti il segno dell’Uomo di Dio?
Quando a Lui giunge la morte, gli ombreggia sul labbro un sorriso!
XX
DÌ A SATANA
Dì a Satana, per me, questo messaggio:
Fin quando palpitare sotto una rete?
A me non piace questo mondo di terra
il cui mattino non è che preparazione a una sera!
Quando il mondo dal Nulla fu estratto,
Videro che il suo intimo era freddo ed immoto...
Ma dov’era la ione bruciante se non nell’animo nostro?
Tu, Satana, dal fuoco nostro fosti creato!
La separazione dà al Desiderio vista più pura,
la separazione più incline alla ricerca ha creato la Brama!
Il tuo stato non so quale sia:
A me di me stesso mi dà notizia il fango.
Sei stato scacciato lontano dalla soglia divina,
Sei stato chiamato reietto, miscredente:
Io fin dall’Alba Primigenia mi contorco fremente,
per quella spina che m’hanno piantata nel cuore!
Tu conosci il mio Giusto e conosci pure l’Ingiusto:
Non cresce granello dal mio campo distrutto!
Tu non ti sei prostrato, e pieno di dolente ione
Su di te prendi le mie innumerevoli colpe.
Vieni, e giochiamo ora ad un gioco regale,
sciogliamo questo mondo dai quattro immutabili assi:
Con incantesimi d’Arte dalla pagliuzza del mondo,
Creiamo un Cielo qui, da questa parte del Cielo !
XXI
Di questa terra sono alunno antico,
Ma di questa mia casa ho stanco il cuore.
Seppur sbocciato dalla sua rugiada,
la terra non considero il mio cielo.
{1} Secondo la tradizione islamica le Hùri sono delle fanciulle vergini che attendono in paradiso l’arrivo degli uomini nel giorno del giudizio, per poterli ricompensare.