Enrico Farina
Psicologia della Scelta
UUID:
This ebook was created with BackTypo (http://backtypo.com) by Simplicissimus Book Farm
Table of contents
Prefazione Introduzione 1 – L’origine della "scelta" 2 – I Valori guida 3 – Lo specchio dell'Alterità 4 – relazionale 5 – Viaggio verso se stessi 6 – La scelta assertiva 7 – Stress e problem solving 8 – Psicologia della scelta 9 – Conclusioni Bibliografia
Prefazione
L'autore affronta gli aspetti implicati nel processo di decisione che ognuno di noi è chiamato, continuamente, ad affrontare: nel lavoro, in famiglia ed anche in ambito amicale. Il libro funge da valido o per approfondire la conoscenza dei meccanismi psicologici che sono alla base del processo di "scelta", per aiutare il lettore ad orientare le proprie energie verso obiettivi più confacenti alle esigenze ed ai valori personali.
Introduzione
Si ama il proprio desiderio e non la cosa desiderata. Friedrich Nietzsche
Ogni giorno le persone sperimentano l’esperienza di dover effettuare una scelta tra due o più alternative. Quale vestito indossare, portare o meno l'ombrello (soprattutto a marzo, quando il tempo è pazzerello), quale film noleggiare per la serata con gli amici, chi votare alle prossime elezioni e mille altri quesiti… Spesso, tuttavia, dopo aver preso una decisione, molte persone si chiedono se l’alternativa a cui hanno appena rinunciato non fosse in realtà quella più apprezzabile e preferibile; allora può subentrare un pizzico di malinconia. Quindi, dopo la fase della scelta (della quale l’individuo si accorge quando si rende conto di non riuscire a prendere una decisione spontaneamente, poiché teme di compiere una cattiva preferenza) si rischia di essere colti da un senso di amarezza per l'alternativa scartata. Ma quante e quali sono le scelte verso le quali l'essere umano è motivato a rispondere efficacemente? E quali di queste sono connaturate di un maggiore potenziale stressogeno? Possiamo affermare che tutte le scelte portano con sé una potenziale fonte di stress. Specifichiamo che l’accezione attribuita a tale termine è quella fornita dallo psicologo canadese H. Selye che ritiene lo stress un elemento naturalmente caratterizzante l’attuale società. Lo stress interviene per soccorrere l’individuo, mobilitando le risorse e le energie utili per rispondere alle richieste innescate dall’ambiente. Solo se tale dispendio risultasse eccessivo e controproducente, l’individuo potrebbe sperimentare il distress, ossia lo stress negativo. Grazie a questa chiave di lettura, il fenomeno dello stress può essere interpretato come un fattore positivo che può innescare nell'individuo le risorse utili a gestire con efficacia il processo di scelta, nel quale ciascuno è quotidianamente chiamato ad intervenire: come chiedere al proprio capo un permesso sul lavoro? a quale corso di laurea iscriversi? e così via. La natura stressogena insita nel processo di scelta è comprensibile se consideriamo che in ogni decisione tra due o più alternative è possibile rintracciare un meccanismo di scissione, ossia di perdita di un’opzione,
la quale nell'hic et nunc è presente, ma che una volta compiuta la scelta non lo sarà più, a meno che non si decida di ballare un oscillante valzer, fatto di andate e ritorni continui verso le mete agognate. Diventa quindi importante capire i meccanismi alla base del processo di scelta, al fine di poter acquisire gli strumenti utili per effettuare decisioni in linea con il personale modo di essere al mondo. In questo testo si proporrà una chiave di lettura sul processo di scelta assertiva, ossia consapevole e autonoma, attraverso le principali teorie psicologiche di riferimento, semplici esercizi e test che avranno l’obiettivo di guidare il lettore verso la scoperta di più efficaci e funzionali processi di decisione, i quali presuppongono inevitabilmente una più articolata e completa consapevolezza di sé e di ciò che guida il proprio agire quotidiano. Viene presentato al lettore un viaggio metaforico verso se stessi e i valori che guidano le scelte personali e motivano le azioni. Il presupposto da cui parte questo libro è che l’individuo potrà compiere valutazioni consapevoli e soddisfacenti, soltanto quando avrà preso consapevolezza dei fattori che condizionano i propri comportamenti, emozioni e pensieri. Il processo di scoperta di sé può avvenire imparando a guardarsi allo specchio con sguardo sincero, ma spesso ciò che lo specchio rimanda è solo l’enfatizzazione di alcune caratteristiche della nostra personalità e non la visione complessiva, la quale può essere acquisita solo confrontando i vari punti di vista dai quali si osserva. Le riflessioni maturate in questo testo nascono dalle esperienze professionali nel campo della psicologia con utenti e con gruppi, con i quali l’autore ha avuto la possibilità di confrontarsi. Questi gli specchi che hanno riverberato, ognuno da un’angolazione diversa, la luce che ha illuminato i i di un viaggio verso il nucleo del Sé.
1 – L’origine della "scelta"
L'anima libera è rara, ma quando la vedi la riconosci, soprattutto perché provi un senso di benessere quando le sei vicino. Charles Baudelaire
La facoltà di scegliere è propria dell’essere umano, quando questo si orienta più o meno consapevolmente verso il raggiungimento di un determinato obiettivo. L’azione conseguente al processo di scelta viene pianificata nella mente dell’individuo in funzione delle informazioni disponibili e dell’obiettivo prefissato. In questo senso, il valore della scelta è determinato dalla qualità del processo utilizzato da colui che attua tale decisione (sia esso individuo o gruppo). Secondo tale chiave di lettura, l’indecisionalità nasce nel momento in cui l’individuo perde di vista il proprio obiettivo o non è in grado di trovare le informazioni più utili per raggiungerlo. La psicologia della scelta studia i processi che guidano l’individuo verso la soluzione dei problemi, il raggiungimento dei propri obiettivi e le spinte motivazionali che sono alla base di tali processi. Ma cosa veramente motiva le nostre scelte e cosa innesca l’energia che spinge le persone ad alzarsi dal letto e compiere un percorso per raggiungere un determinato obiettivo e soprattutto come si può imparare l’arte di sentirsi appagati dalle scelte effettuate? Nella psicologia della motivazione si parla del processo di soddisfazione del bisogno, come un meccanismo che porta l’essere umano a dare inizio ad un’azione volta al conseguimento di un determinato fine. Già il buon vecchio Freud (e con questo non vogliamo alimentare la diffusa convinzione che la psicologia sia soltanto una conseguenza delle formulazioni teoriche del suo autore principale e più conosciuto, ma è necessario riconoscere la paternità e l’importanza di alcune analisi interpretative) osservava che, quando la nostra mente percepisce uno stato di carenza, si innescano in essa delle spinte che motivano l’individuo a programmare e pianificare azioni comportamentali volte alla soddisfazione dello
stato di bisogno. Freud utilizzava il concetto di pulsioni, per indicare “il rappresentante psichico degli stimoli che traggono origine dall’interno del corpo e pervengono alla psiche” (Freud 1915). Le pulsioni, definite in questi termini, stanno ad indicare il carattere di ciò che esercita una spinta, meglio definita da Freud con il termine di momento motorio. Egli ne distingueva due principali: Tanatos (o pulsione di morte) ed Eros (pulsione di vita). Con il termine pulsione di morte non intendiamo il desiderio di uccidere o di farsi del male, parimenti a come con il concetto di pulsione di vita, non intendiamo indicare necessariamente il desiderio di procreare, oppure quello di svolgere la professione d’infermiere professionale. Con tali concetti Freud intendeva indicare la spinta (Eros) a unificare le unità vitali esistenti e a costituire, a partire da esse strutture più comprensive; mentre con Tanatos, la spinta alla distruzione delle unità vitali, alla disgregazione e in ultima battuta al ritorno allo stato inorganico. Questo valzer ciclico di andata e ritorno, di unione e disgregazione è rintracciabile anche nella natura; pensiamo alla teoria del Ciclo di Wilson, secondo la quale i continenti si allontanano e si riavvicinano seguendo un ciclo della durata di 400-450 milioni di anni. Oggi saremmo alla fine del processo d’allontanamento: tra circa 200 milioni di anni si tornerà alla riunificazione in un continente solo. E poi si ricomincerà da capo; oppure alla teoria del Big Bang, secondo la quale da una grande esplosione sono nati i pianeti e le costellazioni, alla quale lentamente ma inesorabilmente seguirebbe un moto di contrazione dell'universo che si concluderebbe inevitabilmente in una grande implosione (in inglese Big Crunch). Nella prima esperienza possiamo rintracciare Tanatos, pulsione orientata alla disgregazione, mentre nella seconda fase prevarrebbe Eros, pulsione orientata all’integrazione. Questo ciclo naturale scandisce i tempi della vita degli esseri umani (pensiamo al rapporto tra Israele e Palestina, che oscilla tra guerre e armistizi instabili) oppure di ciò che circonda direttamente il comportamento individuale quotidiano, influenzato dalle spinte pulsionali ora verso un’opzione di scelta, ora verso un’altra. Le pulsioni permettono all’organismo di innescare le energie necessarie a soddisfare stati di bisogno: sia quando ci si reca in cucina per bere un bicchiere d’acqua, sia che ci si iscriva ad un corso di canto lirico, alla base possiamo rintracciare l’esigenza nell’individuo di soddisfare una carenza (la quale a sua volta potrà essere di natura organica o di tipo squisitamente psicologico). Ciò che può indirizzare la scelta dell’opzione a cui approderemo è condizionato dal tipo di pulsione che in quel determinato momento è prevalente.
La psicologia può intervenire nella vita quotidiana di ogni individuo fornendo una chiave di lettura sui fenomeni psico-sociali che caratterizzano le scelte e gli esiti di queste ultime. Imparando a conoscere le spinte che guidano le nostre azioni è possibile intervenire sulle stesse, modificandone i presupposti sui quali i bisogni si definiscono. A riguardo, il presente testo ha l’obiettivo di favorire lo sviluppo di una maggiore consapevolezza dei processi che sono alla base delle scelte individuali, integrando le conoscenze psicologiche che ciascuno ha sviluppato nel corso della propria vita e che Heider descrive con il concetto di psicologia ingenua, costituita da una serie di assunti e di principi teorici che guidano l’individuo nell’interpretazione dei fenomeni della propria vita. Tale psicologia risulta fondata non su dati scientifici e osservazioni condotte in maniera rigorosa e metodica, ma attraverso le esperienze vissute da ciascun individuo e dai valori di riferimento del suo gruppo sociale. La psicologia in quanto scienza sociale, al contrario di quella ingenua, cerca di spiegare e interpretare la realtà partendo da osservazioni multiple effettuate attraverso metodi che utilizzano diversi gradi di rigore scientifico. Per tale motivo essa può aiutare l’individuo ad avere informazioni più precise, per indirizzare i propri processi di scelta. Per fare un esempio: se acquistassimo un’auto di una certa marca e questa risultasse nel tempo un grosso “bidone”, la psicologia ingenua ci potrebbe portare a diffidare in futuro di tutte le autovetture costruite dalla stessa casa automobilistica, applicando l’euristica immediatamente più disponibile e di facile accesso; il ragionamento che se ne trarrà potrà apparire simile al seguente: “se questa macchina è un bidone, molto probabilmente anche le altre automobili della stessa casa potranno facilmente essere dei bidoni”. Un siffatto pensiero condizionerà inevitabilmente la scelta del futuro acquisto automobilistico. Ma l’euristica appena applicata presenta alcune perdite: anche se la casa produttrice di questa particolare auto ha messo sul mercato un certo numero di auto difettose, questo non vuol dire che tutte le rimanenti auto della casa automobilistica presenteranno necessariamente lo stesso difetto. Molti di noi per rendere la realtà più semplice, potrebbero essere portati a guardarsi bene dall’investire nella stessa casa automobilistica che ci ha fornito un prodotto difettoso. La psicologia scientifica, a differenza di quella ingenua, prima di formulare un giudizio negativo su tale casa automobilistica, si preoccuperà di valutare alcune statistiche ufficiali e attendibili sul modello in questione. Potrebbe anche decidere di compiere una nuova indagine a campione sui clienti che hanno acquistato lo stesso modello e alla fine scoprire che la percentuale di guidatori soddisfatti di tale modello è addirittura superiore alla media. Quindi
potenzialmente le possibilità che si acquisti per la seconda volta un’auto difettosa da quella stessa casa automobilistica sono inferiori alle possibilità di acquistarla da altre case di produzione. Altro fattore che condiziona enormemente il processo di scelta è dato dalle norme e dai valori dominanti presenti nel gruppo sociale di riferimento. Quest’ultimo potrà essere a suo volta il gruppo reale, nel quale l’individuo vive e del quale ha assunto come punto di riferimento i valori e le norme che ne caratterizzano l’identità, oppure potrà essere il gruppo ideale del quale l’individuo ambisce a fare parte. Presentiamo l’esempio della giovane adolescente desiderosa di divenire una modella affermata e di entrare a far parte del mondo dello spettacolo (sogno del resto spudoratamente promosso dalle riviste di settore, nonché dai principali mezzi di comunicazione di massa); se questa giovane maturasse come modello culturale di riferimento e parametro della propria bellezza le top model longilinee, presenti in tv e sulle erelle di moda, non deve stupire se la stessa si impegnerà in diete drastiche e insensate, che riuscirebbero a farle perdere velocemente e incautamente molto peso, con la conseguenza nefasta di spingerla sul bilico dell’anoressia. Non dovrebbe stupire che certuni imprenditori senza scrupoli possano speculare e incoraggiare questo fenomeno, basta pensare a cosa sia avvenuto in Spagna nel Gennaio del 2007, dove il governo regionale di Madrid ha dovuto procedere alla censura di un sito web, noto come Great Ana Competition, un sito che prevedeva premi per le iscritte che avessero dimostrato di aver ingerito la minor quantità di calorie nel corso della settimana. Il sito, dove Ana sta per anoressia, si ritiene possa aver spinto un certo numero di giovani sulla via della denutrizione sistematica, una patologia che può condurre alla morte (notizia ANSA). Si comprende quanto il gruppo di riferimento, che sia reale o ideale, abbia un grosso potere nel condizionare le scelte individuali. Lo stesso vale anche per il giovane ragazzo quattordicenne, che motivato dal bisogno d’integrazione esperito al primo anno delle scuole superiori, maturasse come modello di riferimento sociale il gruppo di bulli del quartiere. Non dovrebbe apparire strano come lo stesso abbia cominciato ad utilizzare atteggiamenti violenti nei confronti dei compagni più indifesi, bighellonare, utilizzare droghe leggere e ad atteggiarsi da grande con la sigaretta in bocca (spesso tali prodotti sono anche promossi nei cartoni animati presenti su emittenti satellitari: che questa scelta abbia alla base delle case di produzione l’intento di favorire l’instaurasi di certe dipendenze nei più giovani?); e non dovrebbe stupire neanche che questo stesso adolescente abbia iniziato ad attuare comportamenti in netto contrasto con i valori promossi
all’interno della famiglia. Quanti genitori quando scoprono il figlio adolescente commettere un reato, esclamano: “allora io non conosco mio figlio!” Quanto sopra esposto ci porta a riflettere che la comunicazione risulta essere un potente mezzo di persuasione e di condizionamento delle scelte individuali. Ma come proteggere i nostri figli e noi stessi da una comunicazione aberrante e corrotta? Già negli anni '50 in America si guardava con sospetto alle forme di pubblicità subdola ed eticamente scorretta. Nello specifico in questo periodo assistiamo allo studio di un particolare fenomeno: la pubblicità subliminale (dal latino sub, sotto, e limen, soglia, in riferimento al confine del pensiero conscio): una particolare modalità di trasmissione dei messaggi commerciali che il cervello di una persona assimila a livello inconscio. Può essere trasmesso attraverso suoni, scritte o immagini che presentano un qualsiasi argomento che nasconde al suo interno - come in un codice cifrato - altre frasi o immagini separate dal contesto iniziale, che rimangono inconsapevolmente nella memoria dell' osservatore. Per fare un esempio attuale, ci riferiamo alla pellicola Fight Club di David Fincher del 1999, dove viene fatto esplicito riferimento all'utilizzo delle immagini subliminali nelle scene delle pellicole cinematografiche, nel caso specifico si tratta dell’hobby di Tyler Durden (Brad Pitt). In questo film il protagonista (Brad Pitt) svolge per diletto l’attività di addetto alla proiezione di pellicole in un cinema. Per divertimento il protagonista inserisce all’interno delle pellicole, immagini del tutto estranee all’ambiente del film, al fine di creare nella mente dello spettatore determinati effetti emotivi. Lo scopo dei messaggi subliminali è quello di tentare di influenzare l’inconscio, in modo tale da spingere le persone ad attuare scelte che eludano il meccanismo del controllo da parte della coscienza. Uno dei primi tentativi di influenzare l’inconscio ebbe luogo nel 1956 e venne attuato da uno sconosciuto agente pubblicitario di nome James Vicary, titolare della Subliminal Projection Company («Compagnia di Proiezione Subliminale»). Dopo avere presentato regolare domanda per conseguire il brevetto, Vicary ricercò degli acquirenti interessati all’utilizzo di un’apparecchiatura detta tachistoscopio, strumento che ha la funzione di proiettare su uno schermo cinematografico, ogni cinque secondi, per solo 1/3000º di secondo, un messaggio del tipo «Hungry? Eat Popcorn»! («Hai fame? Mangia i popcorn»!); oppure «Drink Coke»! («Bevi Coca-Cola»!). Un cinematografo di Fort Lee, nel New Jersey, utilizzò questo macchinario per un periodo di sei settimane mentre veniva proiettato il film Picnic, e gli incassi delle vendite aumentarono vorticosamente: i popcorn del 37,5% e la Coca-Cola del 38%. Essenzialmente lo scopo di questi messaggi è
scavalcare la mente conscia per raggiungere direttamente l’inconscio per far accettare o riportare, come per magia, alla mente determinati concetti, messaggi, desideri (a volte inspiegabili). Alcuni pubblicitari utilizzano questa tecnica per indurre i cittadini ad acquistare determinatiarticoli, per far ricordare delle griffe, per stimolare specifici desideri ed impulsi e per indurre comportamenti di vario genere, per promuovere dottrine e culti quali, per esempio, il satanismo, ecc. Per chiarezza presentiamo di seguito alcuni esempi di messaggi subliminali rintracciati in prodotti multimediali attualmente in commercio: il brano Better by You Better Than Me ha spinto i Judas Priest in tribunale con l'accusa di aver istigato due ragazzi al suicidio, dato che alcuni critici hanno detto di aver avvertito la seguente esclamazione nel brano da lui cantato: Do It! Do It! (Fallo! Fallo!); nel brano Another One Bites the Dust dei Queen, se si ascolta al contrario il ritornello si sentirebbe "Start to smoke marijuana"; nel film Il Re Leone sembra essere leggibile la parola "sex" quando Simba alza della polvere. Ovviamente la preoccupazione mostrata dagli americani rispetto a questo tipo di messaggi è apparsa giustificata, ma non sostenuta da valide prove scientifiche, che invece non hanno potuto dimostrare la reale influenza nel processo di scelta da parte dei messaggi subliminali. La conclusione degli studi sulla pubblicità subliminale è stata appunto quella di invitare il pubblico a non dare eccessivo peso a questo tipo di messaggi, non fosse altro perché gli spettatori vengono costantemente bombardati da migliaia di messaggi commerciali dai contenuti esplicitamente fuorvianti e che mostrano di possedere una forte influenza sulle scelte e sui comportamenti individuali, andando a plasmare i valori di riferimento che guidano l’agire del singolo e della collettività. Un approfondimento a riguardo merita il concetto di valore: infatti solo influenzando i valori di riferimento è possibile condizionare le scelte individuali e collettive. Basta pensare cosa è riuscito ad ottenere Hitler intervenendo sui valori sociali del suo popolo. Ma fortunatamente per tutti noi nella storia non mancano dimostrazioni di valori che hanno mosso importanti gesti umanitari: portiamo l’esempio degli aiuti alle popolazioni colpite dallo Tsunami. In quest’occasione i valori di solidarietà e sostegno si sono riverberati tra le diverse popolazioni della terra, riuscendo a movimentare enormi flussi di aiuti alle popolazioni vittime della catastrofe.
2 – I Valori guida
Le tue convinzioni diventano i tuoi pensieri I tuoi pensieri diventano le tue parole Le tue parole diventano le tue azioni Le tue azioni diventano le tue abitudini Le tue abitudini diventano i tuoi valori I tuoi valori diventano il tuo destino Gandhi
Per Kluckhohn (1951) “i valori sono una raffigurazione mentale, esplicita o implicita, distintiva di un individuo o caratteristica di un gruppo, di ciò che è desiderabile, che influenza la selezione dei mezzi disponibili, delle modalità e mete di azione”. Essi si possono rintracciare dal modo in cui una persona interagisce con un’altra, dal suo stile o filosofia di vita, o da come pensa che dovrebbe essere il mondo. Il potere dei valori, nel condizionamento delle scelte, è quindi immenso. Sono i valori che condizionano le nostre decisioni, poiché ci suggeriscono, in primo luogo, ciò che è giusto e ciò che è sbagliato e, in seguito, ciò che per noi è prioritario. Individui ispirati da un nobile valore, possono considerare secondaria la propria stessa vita, pur di assolvere un alto principio morale. In merito possiamo menzionare un esempio fulgido, quale quello del giudice Falcone, il quale pur ben consapevole del rischio che correva nello svolgere il proprio lavoro, ciò non gli ha impedito di scegliere la strada più difficile e sacrificante, che lo ha condotto al martirio, guidato e sorretto in questo triste percorso da un valore più alto e profondo della propria stessa vita: la giustizia. Probabilmente
per ciascuno di noi esiste un valore più importante della propria vita, ma, per grazia ricevuta, molti sono destinati a non scoprirlo mai. Purtroppo conosciamo anche la funesta dedizione con la quale alcuni uomini sono disposti a immolarsi come bombe umane, pur di esprimere un sentimento di sopraffazione, rabbia e vendetta verso quello che percepiscono come una società oppressiva e malata. Dal canto nostro la percezione di una società nella quale individui si trasformano in bombe, al fine di attuare atti criminali contro la popolazione inerme, ci disorienta e disarma. La difficoltà che emerge nel creare un ponte comunicativo tra le nostre società, aumenta il senso d’incomprensione, rabbia e desiderio di vendetta. Probabilmente se si riuscisse a comprendere meglio la cultura, i valori e la percezione che ciascuno ha dell’altro diverso da sé, si riuscirebbe a convivere in armonia con il resto del mondo. Forse il motivo per cui questo confronto tarda ad arrivare è perché mantenendo lo status quo, si conservano gli interessi economici e politici delle classi dominanti, ma questa probabilmente è solo fantapolitica. Nei prossimi capitoli approfondiremo il concetto di comunicazione e le tecniche per favorire l’ascolto e il confronto con l’altro (almeno per ciò che riguarda l’applicabilità nel piccolo spazio di vita sociale che ciascuno di noi occupa; per ciò che riguarda le negoziazioni di pace tra i popoli le lasciamo gestire a persone molto più “competenti” e “motivate”). Prima di rapportarci all’ambizioso obiettivo di comprendere i valori culturali di società tanto distanti dalla nostra, è opportuno approfondire la conoscenza dei valori che guidano le scelte quotidiane. Per semplificare il concetto di valore, possiamo riferirci ad esso parlando di un complesso di idee individuali o collettive, utilizzate come standard o criteri di condotta. In questo senso i valori influenzano direttamente la scelta dei modi e i mezzi dell’azione. I valori sono raggruppati in sistemi, durevoli di credenze, relativi a modalità di condotta, lungo un continuum di importanza gerarchicamente organizzato. Quando un individuo apprende nuovi valori, essi vengono inseriti all’interno di questo sistema, secondo rapporti di priorità. Infrequenti e circoscritti sono, infatti, i casi in cui il comportamento di un individuo è indirizzato da un solo valore per un significativo periodo di tempo, in quanto i valori operano in relazione tra loro, secondo un piano generale, strutturato in modo tale da semplificare il processo di scelta e quindi per risolvere conflitti e per prendere
efficaci decisioni. Tale sistema valoriale è impiegato per sciogliere i conflitti e prendere decisioni: quando nelle circostanze di vita vengono attivati due o più valori, spesso in contrasto tra loro, la persona si basa sul proprio sistema di valori per risolvere il conflitto e conservare o innalzare la propria autostima. Il sistema di valore fornisce una chiave di lettura adeguata per comprendere le forze motivazionali che dirigono credenze, atteggiamenti e comportamenti. Partendo da quanto esposto si evidenzia la possibilità di stimolare cambiamenti di valori, atteggiamenti e comportamenti sociali. Il processo di cambiamento s’innesca mediante la percezione di un senso d’insoddisfazione di sé, generato dalla consapevolezza delle discordanze presenti nelle proprie convinzioni che, in particolar modo, sono implicate nella considerazione di sé come essere umano capace e corretto. Il cambiamento ha come fine la riduzione o l’eliminazione di tale insoddisfazione. L’ inalterabilità è, invece, la conseguenza dell’autosoddisfazione, che quindi rinforza l’attuale sistema di credenze. Per fornire un esempio di modificazione delle credenze riportiamo l’esperimento condotto da Kurt Lewin, quando egli si trasferisce negli Stati Uniti e ottiene dal governo americano l’incarico di effettuare una ricerca sul consumo e l’acquisto di carne da parte delle massaie, allo scopo di chiarire alcuni elementi cruciali nel processo di modificazione delle credenze. Il contesto nel quale si svolge tale esperimento è il seguente: ci troviamo alla fine degli anni '30, in un’epoca caratterizzata da un imponente sforzo bellico e da pressanti ristrettezze che connotano il risparmio come valore prioritario. L’incarico affidato a Lewin lo porta a studiare le strategie che potevano dissuadere o motivare le casalinghe ad introdurre nella dieta quotidiana l’uso delle frattaglie. Lewin prende due gruppi (ottica classica del disegno sperimentale: gruppo A con caratteristiche identiche al gruppo B salvo che per una caratteristica che è cruciale che in questo caso è un’informazione diversa per ogni gruppo); inserisce nel gruppo A un grande esperto nutrizionista che parla alle massaie per poi analizzare il comportamento di queste ultime successivamente all’esposizione del messaggio; nel gruppo B invece introduce un e non esperto, che fa dibattere le massaie sulla questione dell’uso della carne meno pregiata (frattaglie). All’interno dei gruppi avviene qualcosa che propone un effetto condizionante: attraverso la discussione e il confronto sulle motivazioni che sono alla base della scelta di utilizzare o meno carne di basso costo, è stato possibile modificare la scala dei valori guida delle casalinghe americane che hanno partecipato a questo esperimento. Nel gruppo analizzato dal nutrizionista c’è un incremento irrisorio, al contrario del gruppo guidato dal e. Come descritto nel capitolo precedente, i valori sono condizionati anche dal
gruppo di riferimento, al quale l’individuo riconosce un’importanza prioritaria. Se il gruppo di riferimento di un adolescente arrabbiato con il mondo viene rintracciato in una aggregazione di ultrà violenti, che nello sport ritrovano una valvola di sfogo per le proprie frustrazioni, allora quel giovane potrà essere anche stato allevato nella famiglia più rispettata della città, ma le probabilità che egli commetta dei reati contro un membro di una squadra avversaria, saranno reali e preoccupanti. Tale dato è stato confermato dalle ricerche dei coniugi Sherif, studiosi del comportamento umano che hanno osservato come il senso di appartenenza ad un gruppo sociale di riferimento divenga un fattore condizionante nelle scelte degli individui. I coniugi organizzarono un campeggio per minorenni, nel quale nessuno di questi si conosceva prima; nella 1a fase della sperimentazione gli scienziati si limitarono ad osservare come si intrecciavano le coppie di amicizie. Dopo essersi formate queste relazioni, separarono con giustificazioni organizzative i due gruppi in maniera apparentemente casuale, ma in realtà dividendo le coppie di amici che si erano formate. I due gruppi crearono presto delle identità proprie (nomignoli, gerghi) ed entrarono in rivalità.La competizione era tanto più forte, tra coloro che in principio costituivano le coppie di amici, in seguito divisi nei due gruppi. Entrambi avevano acquisito nuovi valori di riferimento, per valutare la realtà sociale e l’atteggiamento da utilizzare nei confronti degli altri. Successivamente gli studiosi provarono ad annullare questa competizione riunendo i due gruppi e creando un obiettivo sovraordinato, comune ai due gruppi, che richiedesse collaborazione per essere raggiunto. I ricercatori finsero la rottura del camion che riforniva di cibo il campeggio e chiesero la collaborazione di tutti i ragazzi per spingerlo. Questo costrinse tutti gli individui a cooperare e si ricostituirono le amicizie che si erano formate prima della divisione in gruppi. Gli individui tornarono a ragionare in base ai valori individuali e non più attraverso quelli del gruppo di appartenenza. L’influenza del gruppo di riferimento sulla costruzione dei valori che guidano le scelte personali è elevato e per questo motivo ciascun genitore o insegnante dovrebbe dare priorità, insieme alle materie canoniche come la matematica e l’italiano, anche all’educazione dei valori sociali e culturali della società in cui viviamo. Ovviamente non intendiamo dire che la matematica, l’italiano e le altre discipline impartite nelle nostre scuole non siano importanti, ma che l’insegnamento dei valori culturali, religiosi e sociali è fondamentale, per consentire all’individuo di poter indirizzare la propria vita verso obiettivi sani e socialmente adeguati.
Proviamo ora a rispondere alle seguenti domande: come nascono i valori e quali sono i meccanismi psicologici che portano le persone a decidere di confermarli oppure di porli ad un livello più basso nella propria scala personale? Per far luce su questo quesito partiremo dal buon vecchio Freud, il quale per spiegare il meccanismo che sovraintende alle scelte individuali, utilizza il concetto di Super-Io. Con tale nozione, Freud intende riferirsi ad un’istanza che, all’interno della nostra mente, ci condiziona a seguire determinate regole e valori di riferimento. Per usare una metafora possiamo immaginare il Super-Io come il Grillo Parlante di Pinocchio, il quale compare quando il burattino si trova di fronte a tentazioni che possono portarlo a conseguenze nefaste. Come tutti sappiamo, avendo letto la favola, il Grillo Parlante non gode di grande considerazione agli occhi del burattino, purtroppo, e viene spesso zittito e scacciato. Potremmo interpretare, in questo caso, il Super-Io di Pinocchio come poco influente nella sua psicologia della scelta. Caso opposto si verifica quando il Super-Io gode di credito illimitato e pertanto di un potere paralizzante e inibitorio. È questo il caso di individui che non riescono a godere appieno delle proprie risorse e facoltà di scelta, in quanto costantemente condizionai da imperativi categorici ai quali risulta impossibile sottrarsi e che non permettono di sentirsi liberi di agire secondo i propri desideri e slanci emotivi. Il Super-io è, quindi, l'istanza che promuove il sentimento della colpa, il quale può arrivare a limiti estremi, paralizzando l’individuo nel processo di scelta quotidiano. La persona non riesce più a rispondere alle esigenze fondamentali (ad esempio nel lavoro), mentre nello stesso tempo un sentimento di colpa opprimente si radica sempre più nella propria coscienza. Il sentimento di colpa si struttura a partire da cose che non solo non si possono dire, ma in alcuni casi nemmeno pensare. E quanto più c'è questa proibizione, tanto più l'Io è pressato e non può scegliere liberamente. II senso di colpa, quale stato di lacerazione interna e di disarmonia interiore, è una realtà psicologica universalmente umana. Tale meccanismo è rintracciabile anche nella dimensione religiosa, la quale attribuisce alla colpa la nuova dimensione di peccato, come sbaglio innanzi a Dio. La colpa non si definisce quindi in relazione all'ideale dell'Io, ma in relazione ad un altro e ai suoi valori, al tentativo di rifiutare Dio dal proprio progetto esistenziale, che, però, per mezzo del suo amore e perdono, dà la possibilità di trovare la pace nell'apertura all'altro. L’importanza dell’altro nel processo di sviluppo dell’identità e della scelta individuale verrà approfondito nel capitolo successivo.
Ma il Super-Io è necessariamente un’istanza alla quale dobbiamo soccombere, oppure è possibile stabilire un dialogo con essa, al fine di renderla corresponsabile delle nostre scelte? A riguardo Erik Berne, viene in nostro soccorso, presentandoci una possibile chiave di lettura a tale quesito. A differenza di Freud, Berne effettua una divisione concettuale, dividendo l’IO in tre istanze, che sovraintendono ai processi di scelta delle persone e ne condizionano il comportamento. Secondo quest’autore, infatti, ciascuno di noi possiede all’interno della sua mente, tre diverse istanze psicologiche caratterizzate ciascuna da un particolare registro di comportamenti, emozioni e cognizioni. La prima istanza è definita l’IO BAMBINO e fa riferimento al registro cognitivo e comportamentale che utilizzavamo quando eravamo fanciulli per poter soddisfare le nostre esigenze di cura e di attenzioni. Ci riferiamo ad esempio a quei comportamenti che utilizzavamo quando volevamo attirare l’interesse dei nostri genitori, attraverso ad esempio il pianto oppure scappando o chiudendoci in un ostinato e imbronciato silenzio. Secondo Berne, in alcune situazioni della vita adulta attuale, quando non si riesce a trovare una soluzione ai problemi e quindi ad optare per un’ alternativa efficace, possiamo essere condizionati ad utilizzare alcune modalità di cui ci servivamo da BAMBINI, per uscire dall’ime. A chi non è capitato di perdere le staffe di fronte ad una situazione altamente stressante e di conseguenza utilizzare comportamenti infantili e non funzionali, come piangere, buttare tutto all’aria o chiudersi in un ostinato e risentito silenzio (ad esempio nei confronti del proprio partner)? In questo caso stiamo utilizzando il registro di comportamenti, emozioni e convinzioni del nostro IO BAMBINO. Con questo non intendiamo che quest’istanza non possa essere funzionale alla vita attuale, ad esempio quando ci si lascia travolgere da una bella emozione, ammirando un bel quadro, ascoltando una canzone o andando sulle montagne russe. Anzi il nostro puer infantile deve essere alimentato, valorizzato e adeguatamente gestito. La seconda istanza viene definita da Berne IO GENITORIALE e si riferisce al registro cognitivo e comportamentale che abbiamo appreso dalla figure di riferimento nella nostra infanzia. In questo caso se nostro padre quando era coinvolto in una situazione particolarmente stressante, facilmente perdeva le staffe e imprecava, è probabile che da adulti si potrebbe presentare in noi tale comportamento in circostanze analoghe, in pratica gli stessi comportamenti che questo imprudente genitore ha mostrato come più adeguati a gestire tali situazione. Anche in questo caso tale istanza non ha un valore né negativo, né positivo in assoluto, in quanto deve essere impiegata in modo adeguato e
opportuno alla realtà attuale. Quando ci troviamo a gestire l’ansia e la paura di una vittima di un incidente stradale in preda al panico, possiamo volontariamente ricorrere alla nostra istanza genitoriale per impostare un rapporto di dominanza positiva nei suoi confronti, finalizzata a guidare tale persona, con forza e fermezza, verso i comportamenti più adeguati da tenere in tale situazione (queste tecniche vengono infatti impiegate e illustrate nei corsi di formazione sulla psicologia delle emergenze, rivolte ad infermieri e personale impiegato nel servizio di 118, al fine di aiutare gli operatori a gestire la paura e l’ansia delle persone vittime o testimoni di episodi psicologicamente disorientanti). In questo caso l’individuo in preda ad una condizione di forte stress, può involontariamente accedere all’istanza dell’IO BAMBINO, senza riuscire a dominare la situazione con scelte adeguate, ma nello stesso tempo ricettivo ad una istanza di IO GENITORIALE che sappia guidarlo fuori dai guai. L’ultima istanza descritta da Berne viene definita IO ADULTO, capace di valutare la situazione nell'hic et nunc e decidere senza lasciarsi condizionare e guidare né dall’IO BAMBINO, né dall’IO GENITORE nella scelta dei comportamenti più adatti per rapportarsi alla realtà attuale, anzi in questo caso, l’IO ADULTO ha la capacità di utilizzare in modo consapevole le risorse possedute dall’IO BAMBINO e dall’IO GENITORE. In pratica è l’IO ADULTO, che sulla base della propria scala di valori e delle esigenze contestuali, decide in che modo rapportarsi alla vita e alla realtà che lo circonda. La comprensione dei valori che condizionano il nostro agire è, quindi, fondamentale per poter capire la psicologia delle nostre scelte e successivamente intervenire su di essa, perché sia più funzionale al soddisfacimento delle nostre peculiari esigenze. Ma in quale modo è possibile prendere consapevolezza dei valori che condizionano le nostre scelte? A riguardo presentiamo al lettore l’esercitazione N 1, di seguito descritta. Ora che abbiamo fatto maggiore chiarezza sui valori fondamentali che guidano il nostro agire quotidiano, la domanda successiva è la seguente: è possibile modificare tale scala di valori, al fine di canalizzare meglio le energie personali necessarie per il raggiungimento degli obiettivi primari ed essenziali, necessari a percepire uno stato di appagamento e serenità? Si vuole porre l’accento sul fatto che non a caso il termine serenità sostituisce quello di felicità, poiché quest’ultima non viene presentata come uno stato auspicabile, in quanto consiste in uno stato difficilmente raggiungibile, di grande intensità ma di brevissima durata, per cui risulterebbe menomante considerarlo il punto di arrivo delle
nostre scelte e dei sacrifici impiegati per raggiungerlo. Economicamente risulta un investimento negativo quello che porta le persone ad investire tante energie per godere di uno stato di felicità di brevissima durata, seppur di alta intensità. Con questo non intendiamo dire che la felicità non debba essere ricercata, ma che sia preferibile ricercare la serenità, come stato che permette all’individuo di godere, in pace e per lungo tempo, del raggiungimento dei propri obiettivi, e cosa più importante, dell’appagamento dei propri bisogni determinati sulla base dei valori fondamentali del nostro essere. La risposta alla domanda posta poc’anzi, per nostra fortuna è affermativa. A tal fine presentiamo ora l’esercizio N 2 di seguito descritto. Ora che è stata modificata la scala dei valori, che guideranno le scelte future, il o successivo è analizzare la qualità di questa scala e quindi la qualità del nostro essere nel mondo. Per raggiungere questo obiettivo, nel capitolo seguente presenteremo il più potente strumento per effettuare un’efficace analisi dei valori che sono alla base delle scelte e quindi della stessa identità personale: lo specchio sociale del Sé, ossia l’Altro in quanto diverso e uguale a sé.
Esercizio N. 1 Per conoscere i valori personali che guidano il nostro agire quotidiano, presentiamo l’esercizio sottostante, il quale dovrà essere completato con i 7 valori personali percepiti come fondamentali. Per facilitare tale compito, si consigliano alcuni ipotetici scenari, tra i quali il lettore potrà optare per individuare quello maggiormente motivante:
Siete candidati alla carica di sindaco della vostra città e state presentando ai vostri elettori i 7 valori che meglio vi rappresentano; Siete un anziano signore che ha deciso di lasciare in eredità ai propri figli e nipoti la carta dei valori personali, che serviranno loro per non commettere i vostri stessi errori e per guidarli nella vita; Siete Mr. Scrooge, personaggio della favola di Charles Dickens, nella quale dovete raccontare a coloro che vi conoscono bene, quali sono i valori importanti, per i quali dovrebbero concedervi ulteriori anni sulla terra.
Una volta scelto lo scenario al quale ispirarvi elencate di seguito i 7 valori fondamentali della vostra vita e successivamente attribuitevi un numero che ne caratterizzi l’importanza, da 1 (massima importanza) a 7 (minima importanza). Inoltre per ciascun valore, descrivete l’obiettivo che viene raggiunto, anche non volutamente, attraverso tale valore. Si riportano a titolo di esempi un valore e l’obiettivo ad esso collegato: Valore: Avere autorità e leadership; Obiettivi: Mi rende immune da aperte critiche da parte dei colleghi. Scala di Valori 1.___________________________________________ 2.___________________________________________ 3.___________________________________________ 4.___________________________________________ 5.___________________________________________ 6.___________________________________________ 7.___________________________________________ Obiettivi 1.___________________________________________ 2.___________________________________________ 3.___________________________________________ 4.___________________________________________ 5.___________________________________________
6.___________________________________________ 7.___________________________________________
Esercizio N. 2 Una volta identificati i 7 valori principali che vi guidano nelle scelte quotidiane, iamo alla fase successiva e più costruttiva: modifichiamo la scala di valori, in funzione dei propri obiettivi personali e professionali. Descrivete di seguito, in primis gli obiettivi che vorreste realizzare nel breve, medio e lungo periodo, attribuendovi un ordine d’importanza. In seguito indicate qual è il valore che dovreste potenziare per raggiungere tale obiettivo. A riguardo è utile osservare che il conseguimento di obiettivi importanti e fondamentali nella vita di un essere umano (es. conseguire una laurea, costruire casa ecc) è la conseguenza di tante scelte, anche di minima importanza, che hanno guidato e motivato l’agire quotidiano. Nuovi Obiettivi 1.___________________________________________ 2.___________________________________________ 3.___________________________________________ 4.___________________________________________ 5.___________________________________________ 6.___________________________________________ 7.___________________________________________ Nuova Scala di Valori 1.___________________________________________ 2.___________________________________________
3.___________________________________________ 4.___________________________________________ 5.___________________________________________ 6.___________________________________________ 7.___________________________________________
3 – Lo specchio dell'Alterità
Gli amici si dicono sinceri, ma in realtà sinceri sono i nemici. Arthur Schopenhauer
Nel pensiero greco l'alterità si determina in rapporto all'appartenenza alla polis (città). La nostra identità non potrebbe esistere se non fosse rapportata all’altro, in quanto entità diversa dal Sé. Possiamo considerare l’altro come il limite della nostra individualità, il punto in cui si delimita la nostra identità e per questo i confini e le sfaccettature della nostra socialità. Ma quando l’essere umano prende per la prima volta consapevolezza di sé? Per Melanie Klein il bambino, nei primi giorni di vita, vive in simbiosi con la madre e non distingue il proprio corpo dal suo. Il bambino percepisce il seno materno (interpretato come riepilogativo di tutte le esperienze soddisfacenti: alimentazione, sazietà, benessere, calore, sensazioni tattili) come parziale a sé, cioè come prolungamento di sé stesso. In questa fase, quindi, il bambino inizia a percepire non solo che il seno materno è qualcosa di diverso da Sé, ma anche che la possibilità di soddisfare le proprie esigenze vitali dipendono dall’interazione tra il sé e l’altro diverso da sé. Il bambino sperimenta la sua prima frustrazione quando scopre che la fonte del suo nutrimento (il seno materno) è qualcosa che in realtà è scisso da sé, in pratica non gli appartiene, come ha creduto fin dall’inizio. In questa cruda e spietata realtà, l’essere umano riconosce la necessità di un altro che non gli appartiene e di cui non può disporre a proprio piacimento. In pratica la costruzione dell’identità personale inizia nel momento in cui prendiamo consapevolezza dell’esistenza dell’altro (diverso da sé). Come applicare questo concetto alla vita adulta di tutti i giorni, sul lavoro, in famiglia, in palestra ecc…? In che modo queste informazioni possono aiutarci a individuare con più precisione i processi di scelta? Come sopra anticipato, le scelte nascono dai valori che guidano il nostro agire e questi ultimi costituiscono l’impalcatura della nostra personalità sociale. Per
conoscere la nostra identità abbiamo uno strumento formidabile e illuminante: l’alterità. Questa realtà ci permette di prendere consapevolezza delle caratteristiche personali, osservando le reazioni che gli altri manifestano in risposta ai nostri comportamenti e atteggiamenti. La nostra identità può essere considerata come somma delle interazioni sociali e delle riflessioni sugli esiti di tali relazioni. Il bambino impara la differenza tra bene e male a partire dalle riflessioni che matura sulle conseguenze sociali delle proprie azioni. Resta inteso che tali conseguenze sono ovviamente in rapporto al sistema di valori che il caregiver (ossia la figura genitoriale di riferimento) utilizza per distribuire premi e punizioni, in risposta al comportamento dei bambini. Alla domanda “sono o non un bravo bambino”, la soluzione è inevitabilmente collegata al tipo di risposte che il caregiver ha saputo offrire. Come potremmo mai aspettarci un comportamento sereno e privo di contaminazioni aggressive, da un minore che ha vissuto tutta la propria infanzia, in una famiglia nella quale l’ira ha libero sfogo per ogni minima difficoltà relazionale e nella quale tutte le questioni si risolvono con la violenza fisica e un abbondante turpiloquio? Possiamo solo sperare che tale individuo trovi presto altri gruppi sociali ai quali ispirarsi e dai quali apprendere valori e modalità di comportamento socialmente più apprezzabili. La costruzione della personalità di ciascun essere umano è costellata da continue presenze e influenze dell'ALTRO. Entrare in relazione con l'altro certamente vuol dire venire in contatto con un'altra identità, cioè con qualcuno diverso da sé, il quale può arricchire e completare la realtà personale. Spesso però le persone cercano di annullare la diversità e l’unicità degli individui, mirando a creare universi omologati e conosciuti, comunità omogenee, nelle quali l’individuo si confonde con la massa. Ed è per tale motivo che la presenza del diverso mette in crisi il normale funzionamento del proprio sistema sociale di riferimento e di conseguenza della propria identità. La diversità assume una connotazione negativa e di minaccia alla propria identità, generando sentimenti di ansia, paura e sospetto. Riuscendo a percepire la differenza come un valore aggiunto, una risorsa, l'incontro con l'altro potrebbe diventare costruttivo e valorizzante. Ciò che limita tale possibilità di arricchimento culturale e personale è il pregiudizio, inteso come giudizio superficiale non confermato da fatti, ma ato solo da opinioni e che ostacola le opportunità di contatto, incontro, conoscenza dell’altro e quindi di sé. In psicologia con il termine pregiudizio
intendiamo l’opinione preconcetta che ci si fa su una persona o un gruppo sociale, in base alle opinioni comuni o alle “voci di corridoio”. Il pregiudizio si forma già dalla prima infanzia, influenzato dai valori familiari, ambientali, sociali, culturali. La nostra ricchezza collettiva, ha scritto Albert Jachard, è data dalla nostra diversità. L'altro, come individuo o come gruppo, è prezioso nella misura in cui è unico e diverso da noi. Nell’altro diverso da noi, è possibile rispecchiare la propria personalità, e ottenerne una restituzione unica. A questo punto introduciamo la metafora dell’alterità come specchio. Se è possibile affermare che la personalità si costruisce in rapporto alla qualità delle relazioni sociali che viviamo, allora è anche possibile provare ad immaginare il contesto sociale di riferimento come un labirinto pieno di specchi, che riflettono in modo più o meno enfatizzato una specifica caratteristica personale, a volte deformandola, a volte enfatizzandola. Allo stesso modo possiamo considerare l’alterità come un oggetto che rimanda su noi stessi.Facciamo qualche esempio: se pensiamo ad un giovane laureato in cerca di lavoro, intento a spedire decine di curriculum alle aziende della propria città, animato dall’idea che il mondo delle imprese stia ansiosamente aspettando che lui bussi alle dorate porte del successo, per accoglierlo con tutti gli onori e servirgli su un vassoio d’argento le chiavi di una carriera sfavillante, molto probabilmente questo giovane professionista imparerà a proprie spese a rimodulare la visione che ha di sé stesso, o per lo meno la sua identità professionale. In questo caso gli specchi sociali, rappresentati dai responsabili delle risorse umane delle aziende contattate, rimanderanno al giovane laureato un’immagine di lui come di una persona ancora non esperta e sufficientemente competente. A questo punto il giovane dottore dovrà prima di tutto rimodellare le aspettative che ha maturato su sé stesso e di conseguenza la percezione della propria identità professionale e successivamente dovrà valutare in che modo programmare i suoi obiettivi e le azioni utili a raggiungerli. Nei corsi di orientamento viene spesso presentata l’immagine ambigua della giovane e della vecchia diBorino e si chiede alle persone presenti di indicare se nell’ immagine presentata ritrovano i tratti di una donna giovane o di una vecchia. Quando un ragazzo risponde di vedere la giovane, gli si chiede se uscirebbe una sera a prendere un caffè con quella donna e la risposta di solito è positiva, mentre se un altro ragazzo dichiara di vedere nel ritratto l’immagine della vecchia, all’offerta di intrattenersi con tale donna di solito si ottiene una risposta negativa. In effetti l’immagine è la stessa per entrambi i giovani, ma essendo la stessa ambigua, permette a ciascuno di poter rintracciare una
rappresentazione individuale e soggettiva. L’aspetto interessante sul quale riflettere sono le conseguenze e la pianificazione delle proprie azioni in risposta alla percezione soggettiva della realtà osservata. Il processo può essere applicato a tutto ciò che ci circonda, compreso noi stessi. Per ritornare all’esempio precedente, se il giovane dottore interpreta il contesto aziendale verso il quale si propone come superiore alle proprie aspettative e quindi alla propria identità professionale, questo giovane potrebbe rinunciare all’invio del proprio curriculum e perdere così l’opportunità di essere assunto. Trova così una spiegazione la celebre teoria jamesiana dell' azione riflessa, in base alla quale ogni atto psichico non è che la risposta a uno stimolo pervenuto dall’esterno. Il contesto sociale influenza la vita psichica, la quale a sua volta, tramite l'azione, trasforma l'ambiente. Presentiamo ora un altro esempio. Ci riferiamo qui alla persona anziana che dopo un’onorata attività professionale festeggia la meritata pensione, immaginando i viaggi e il tempo libero di cui potrà godere appieno. Mille idee nella testa e progetti per il futuro ma dopo qualche mese di eggiate al parco e di pomeriggi spensierati davanti alla Tv, ritroviamo il nostro amico pensionato stretto da un fastidioso senso di nostalgia e malinconia. Sono venuti a mancare i rapporti sociali che hanno caratterizzato le sue interminabili giornate lavorative, che ora appaiono di tutt’altro colore nella scatola dei ricordi. Cosa è venuto a mancare al nostro amico pensionato? La risposta è: il suo ruolo sociale, ossia ciò che caratterizzava la sua identità professionale e personale. Se potessimo ascoltare con un sondino i suoi pensieri più nascosti, potremmo sentire frasi di questo tipo: “ora che non sono più il dirigente del mio reparto, il professore di matematica, il chirurgo dell’ospedale locale o il meccanico cosa posso dire di essere nella società?” La qualità della risposta a questa domanda sarà in stretto rapporto alla qualità della vita che questa persona riuscirà ad avere, una volta entrato nella fase della pensione. L’ancora di salvezza risiede nella capacità di costruire ed intessere relazioni sociali positive con persone alla quali attribuiamo importanza e rispetto. Saranno proprio queste ultime a rimandarci un’immagine di noi stessi apprezzabile e positiva. Per raggiungere lo stato di serenità, la maturazione di un’identità stabile e positiva, James consigliava di evitare rapporti con persone negative, le quali prosciugano l’individuo delle proprie forze e slanci emotivi all’azione costruttiva e propositiva. Il problema sussiste quando tali persone non possono essere assolutamente evitate, in quanto appartengono alla nostra vita familiare o professionale. In questo caso abbiamo la responsabilità di imparare a gestire le dinamiche relazionali che caratterizzano il rapporto con tali individui, e quindi lo stato di benessere o malessere che ne
consegue, ricade sulla personale capacità di comunicazione. Tale aspetto viene affrontato nel capitolo sull’assertività. Da quanto sopra esposto possiamo affermare che l’alterità si configura come uno specchio e per tale motivo risulta preferibile ricercare (quando possibile) specchi (amicizie e rapporti sociali) che rimandano emozioni positive e soddisfazione. Con questo non intendiamo dire che le esperienze sociali nelle quali si sperimentano stati di sofferenza non possano essere interpretate come momenti per favorire processi di crescita e cambiamento costruttivi (anzi è possibile imparare a gestire con maggiore efficacia tali situazioni), ma solo che dobbiamo impegnarci per selezionare e accumulare specchi positivi e costruttivi per la nostra identità (a riguardo è importante che ognuno diventi uno specchio positivo per gli altri). Per comprendere meglio la qualità delle risposte che provengono dagli specchi sociali che ci circondano, è fondamentale effettuare un bilancio delle reazioni sociali che maggiormente caratterizzano la propria vita, anche al fine di valutare se è il caso di mettere in discussione qualche aspetto del nostro modo di rapportarci al mondo e a noi stessi. Per rendere più agevole tale compito, di seguito viene presentato un semplice esercizio che potrà are il lettore nell’identificazione dei propri comportamenti, che maggiormente ottengono positivi e quelli che dall’atro canto ne ottengono di negativi.
Esercizio N. 3 Riserviamoci uno spazio e un tempo da dedicare a noi stessi, per poter riflettere con attenzione e serenamente sui compiti di seguito presentati. Al termine dell’esercizio avrai una visione più chiara della tua identità sociale e potrai programmare azioni utili ad avvicinare la tua immagine reale a quella ideale. 1.Pensando al tuo contesto familiare, descrivi le tipologie di reazione che maggiormente caratterizzano la vita familiare. ___________________________________________________________________________ 2.Descrivi adesso l’atteggiamento positivo che ti viene rivolto con maggiore frequenza.
____________________________________________________________________________ 3.Descrivi l’atteggiamento negativo che si ripresenta maggiormente.
____________________________________________________________________________ 4.Ora cerca di individuare quali sono i tuoi comportamenti, le frasi e gli atteggiamenti che innescano tali reazioni.
____________________________________________________________________________ 5.Effettua la stessa operazione anche immaginando il tuo contesto professionale o scolastico. 6.Infine porta a termine la stessa operazione immaginando questa volta il tuo gruppo di amici o l’ambiente relazionale nel quale sperimenti le emozioni più positive (es. con il tuo partner). Per avvalorare ulteriormente la tua analisi, prova a chiedere alle persone con le quali vivi quotidianamente un sul tuo comportamento e confronta le loro risposte con quelle da te fornite. Ora che hai maturato una visione più chiara di te stesso effettua l’esercizio successivo, che ti aiuterà a programmare i tuoi futuri obiettivi di cambiamento.
Esercizio N. 4 Descrivi in termini positivi l’obiettivo relazionale che vuoi raggiungere nell’ambito familiare, professionale/scolastico (es. voglio invitare il collega antipatico a prendere un caffè e in tale occasione chiarire i motivi che hanno portato ad una reciproca antipatia, al fine di migliorare la qualità della relazione professionale). Esprimi nel riquadro a fianco il tuo personale obiettivo relazionale in ambito familiare
____________________________________________________________________________
Esprimi nel riquadro a fianco il tuo personale obiettivo rela-zionale professionale/scolastico
____________________________________________________________________________
4 – relazionale
Ci dovrebbe essere una pace senza vittoria... ..solo una pace fra uguali alla fine può durare. Woodrow Wilson
Oggi viviamo nel mondo globale, cioè un mondo privo di spazi fisici determinati, che costringe tutti a essere sempre a contatto con tutto e con tutti. Internet a riguardo risulta essere un potente strumento di confronto sociale, in linea con quanto sopra esposto,un efficiente mezzo per poter ricevere su aspetti del proprio carattere e non solo, che nella vita di tutti i giorni avremmo difficoltà a far emergere. La più importante scoperta che una persona possa fare è quella di entrare in contatto con sé stessa, con le proprie paure, con le risorse e con i propri limiti. È solo dopo aver preso consapevolezza del proprio valore che ciascuno può rapportarsi in modo costruttivo ai propri obiettivi di crescita professionale personale. Un primo o verso questa direzione è stata effettuata nei capitoli precedenti, quando sono stati definiti i valori fondamentali che guidano il nostro agire quotidiano, il quale si costruisce in un contesto sociale ben definito e quindi in rapporto alle persone che caratterizzano la nostra realtà sociale di riferimento, il nostro palcoscenico, il nostro labirinto dai mille specchi, ciascuno con una propria angolazione che rimandano, ciascuno senza censure, parti enfatizzate di noi stessi. L’arduo compito consisterà nel bilanciare i seguenti aspetti: da un lato imparare a valorizzare e dare credito a quegli specchi che rimandano le caratteristiche più interessanti e positive, dall’altro non commettere l’errore di dimenticare e svalutare gli specchi che sottolineano, spesso con poca grazia e delicatezza, gli aspetti del carattere che sarebbe meglio migliorare. In questo capitolo affronteremo il più importante strumento a disposizione degli esseri umani per potersi evolvere e anelare alla piena soddisfazione del proprio essere sociale: la COMUNICAZIONE. Il termine comunicare deriva dal latino comunicare (rendere noto – comune)
ossia metter in comunione, per cui con il concetto di comunicazione intendiamo un processo che permette a due o più individui di entrare in relazione tra loro, al fine di condividere punti di vista differenti su una medesima realtà sociale. La comunicazione è per questo motivo un processo di crescita, in quanto ci permette di sviluppare e ampliare il nostro punto di vista grazie al confronto con l’altro. Ma è sufficiente parlare con le persone per poter affermare che stiamo comunicando? La risposta è negativa. Ciascuno di noi ha avuto esperienza di cosa voglia dire parlare con qualcuno e contemporaneamente rendersi conto che quest’ultimo non sta realmente ascoltando, ma soltanto sentendo i suoni che emettiamo, mentre la loro mente va in giro per il mondo, lasciando il corpo in uno stato di semi-programmazione posturale. Il vecchio concetto di comunicazione ad una via (per fare un classico esempio ci possiamo riferire alla stazione radio emittente e a quella ricevente) ormai risulta anacronistico ed inadeguato per spiegare la vastità e complessità del concetto, il quale prevede per il ricevente, la possibilità di poter emettere un , ossia un messaggio retroattivo, che funga da risposta e nuovo stimolo per la “stazione radio emittente”. Quale cambiamento ci potrà mai essere senza l’accettazione del relazionale? Psicologi come Milton Erikson, pongono grande importanza al concetto di ascolto, considerando quest’ultimo come fattore responsabile del successo di ogni processo comunicativo. Ma cosa vuol dire “saper ascoltare”? L’ascolto implica un’attenzione focalizzata non soltanto sulle parole (quindi il contenuto) della comunicazione, ma anche sul tipo di relazione che il nostro interlocutore sta cercando di instaurare nei nostri riguardi, attraverso il suo atteggiamento, il tono della voce, la velocità dell’eloquio e la sua postura. Proprio grazie all’attenzione verso ciò che l’altro intende trasmettere, possiamo trasformare l’atto organicistico del percepire suoni indistinti, in un processo di centratura sulla realtà emotiva e cognitiva dell’interlocutore. L’arte di saper ascoltare è il dono più grande che una persona può ricevere. A ben guardare possiamo notare intorno a noi tantissime persone che parlano, parlano ma poche in realtà sanno ascoltare con empatia. Si percepisce un grande bisogno di comunicare (nelle famiglie, sul lavoro a scuola ecc…), desiderio in larga parte non soddisfatto. Coloro che imparano ad utilizzare questa grande risorsa, riescono ad ottenere grandi soddisfazioni e un forte vantaggio nella vita di tutti i giorni. Questo dato lo possiamo rintracciare anche osservando l’esplodere di corsi di formazione e di libri sulla comunicazione e l’arte di ascoltare. Persino l’attività del venditore si è evoluta in tale senso. Se pensiamo alla figura del venditore di qualche anno fa, ciascuno di noi lo rappresenterebbe come una persona che bombarda di parole il
potenziale cliente, nella speranza di riuscire a sfinirlo e fargli cedere tutte le resistenze. Con il tempo è stato osservato che quanto più si cerca di vendere un prodotto, tanto più le persone alzano barriere nei confronti del venditore. La vera novità dei corsi di formazione sulle tecniche di vendita, consiste nell’attenzione oggi riservata all’arte di ascoltare: solo un venditore attento a percepire i reali bisogni del potenziale cliente, riuscirà a capire in che modo proporre il proprio prodotto come una soluzione alle esigenze del cliente. Quando parliamo di venditore, dobbiamo fare una precisazione. Con tale termine non intendiamo esclusivamente colui che per mestiere svolge l’attività professionale di venditore o rappresentate ma ci riferiamo a tutti coloro che hanno interesse a proporre (vendere) un oggetto, un’idea o una competenza a qualche altra persona (es. anche il giovane laureato di cui parlavano nel capitolo precedente cercherà di vendere le proprie competenze all’azienda che lo ha contattato per un colloquio di selezione). L’arte di ascoltare, e di conseguenza la più estesa arte della comunicazione, funge da epartout per la realizzazione delle nostre scelte. Il buon comunicatore sa innanzitutto che bisogna imparare il rispetto per i tempi comunicativi dell’interlocutore, evitando l’errore di interrompere chi sta parlando nella convinzione di aver intuito, come un veggente, il discorso dell’altro e di conseguenza sentendosi autorizzati a completare la frase o iniziare mentalmente a preparare la propria risposta, perdendo così di vista l’interlocutore. Per comprendere se si è un buon interlocutore, presentiamo di seguito un semplice test sulle capacità di ascolto.
Esercizio N. 5 Leggi le frasi sottostanti e rispondi apponendo una crocetta sull’affermazione che meglio rappresenta il tuo reale atteggiamento.
Quando parlo con qualcuno intuisco quello che vuole dire e quindi smetto di ascoltarlo oppure completo le sue frasi. Nel lavoro di gruppo, incoraggio tutti i partecipanti a parlare e ad offrire il proprio contributo, anche osservando la comunicazione non verbale (gesti, sospiri, silenzi prolungati ecc..).
Evito di offrire consigli e critiche in modo impulsivo. Evito di attirare l’attenzione su di me, togliendo la parola agli altri. Riporto spesso il discorso degli altri ai miei problemi personali. Cerco di parafrasare il discorso altrui, per verificare se ho ben compreso quanto mi è stato comunicato. Uso domande in modo appropriato, ossia in riferimento al contenuto dell’interlocutore. Evito di interpretare, giudicare, etichettare, valutare e criticare l’altro mentre sta comunicando.
Se le risposte affermative sono maggioritarie, allora molto probabilmente siete dei buoni ascoltatori. In caso contrario potreste esercitarvi nel rispettare quanto menzionato nell’esercizio appena svolto. L’esercizio sopra presentato è utile se effettuato con attenzione e sincerità, può contribuire ad evitare un errore molto comune nella comunicazione: quello di confondere l’intenzione di comunicare un concetto, con l’esito reale che tale concetto produce nell’interlocutore (ciò che si intende trasmettere non sempre viene percepito nello stesso modo). In realtà ciò che le persone intendono trasmettere resta soltanto una convinzione soggettiva, la quale potrà essere modificata da una miriade di fattori che andranno ad interferire con il processo di decodifica del messaggio da parte del nostro interlocutore. Ma quali sono i fattori che interferiscono nel processo di codifica e di decodifica del messaggio da un emittente a un ricevente? Le più banali sono ad esempio: lo stress, il rumore, la fretta, la disattenzione, oltre ovviamente alle ate esperienze analoghe che hanno avuto un esito positivo o negativo. Tutti questi fattori possono interferire nel sia nel processo di codifica del messaggio che di ricezione dello stesso. Per chiarire proviamo a immaginare un alunno chiamato dalla professoressa di matematica alla lavagna per un’interrogazione. Probabilmente l’alunno, anche se avrà studiato e avrà svolto diligentemente i compiti, imbarazzato dal fatto di trovarsi di fronte ai propri compagni, che di solito lo prendono in giro perché balbetta se emozionato, potrebbe avere grosse difficoltà ad esprimersi con naturalezza, dando alla professoressa l’impressione
di non essere preparato. In questo caso la responsabilità della comunicazione dovrebbe essere della docente, che di fronte a questa scena, applicando le tecniche dell’ascolto attivo con cui intuire il senso di disagio relazionale vissuto dall’alunno, potrebbe provare a farlo sedere e somministragli un esercizio, al fine di valutare se ha compreso l’argomento in valutazione. Altro esempio è quello del disoccupato che al primo colloquio di lavoro, nell’intento di fare bella figura con il selezionatore, inizia a parlare in modo logorroico, nella speranza che una grande quantità di informazioni possa procurargli un buon punteggio. In realtà il selezionatore potrebbe pensare che il candidato stia manifestando un’ansia da prestazione, il che denota immaturità professionale e mancanza di capacità di gestione dello stress sociale. Ma come bisogna comportarsi, quali modalità di relazione privilegiare per poter avere maggiori chance e soddisfazioni nella vita personale e professionale? Anche in questo caso la risposta nasce da un’attenta analisi dei propri punti forza, quindi dal saper riconoscere in se stessi caratteristiche positive da valorizzare ed enfatizzare, in funzione dei contesti relazionali chesono maggiormente in linea con le nostre aspirazioni e attitudini. Con questo concetto ci spostiamo nel più delicato terreno del: “cosa voglio?” e“di cosa ho bisogno per star bene con me stesso e sentirmi finalmente appagato da un punto di vista personale e professionale?”, “quali sono le scelte che mi potranno appagare maggiormente?” Nel prossimo capitolo affronteremo quanto sopra anticipato.
5 – Viaggio verso se stessi
Cerca di essere sempre te stesso, così un giorno potrai dire di essere stato l’unico Jim Morrison
L’opera che più di tutte rappresenta il tema simbolico del viaggio è probabilmente l'Odissea di Omero. Il viaggio che Ulisse percorre, per fare ritorno alla terra nativa, Itaca, può essere considerato il processo circolare (partenza - percorso - approdo) nel quale si traccia lo scopo ultimo dell’azione umana (la conquista della stabilità attraverso la riscoperta dei propri valori). Analizzando l’avventura di Ulisse, scopriamo che il viaggio consiste nel superamento di ostacoli, prove e pericoli. Il viaggio diventa impulso alla ricerca del nuovo, istintiva attrazione / repulsione per ciò che è estraneo, misura della distanza che ci separa dalle realtà sconosciute e capacità di adattamento a situazioni inaspettate. Leggendo l’Odissea traspare il carattere del navigatoreviaggiatore Ulisse: la sua fermezza nel sostenere le avversità naturali (intemperie), l'astuzia nell'aggirare i rischi (Polifemo), l’ardire nel varcare la sfera del conoscibile (viaggio negli Inferi), l'abilità oratoria nel presentare le varie tappe della sua Odissea (il racconto ad Alcinoo), l'eroismo e l’ audacia, il sapore dell’avventura e del rischio. Dunque il significato del viaggio è soprattutto nel suo percorso: la meta può prendere corpo in modo imprevedibile, rischiando di essere perennemente e vanamente inseguita. La metafora del viaggio è quindi quella che maggiormente rappresenta ed esprime il processo di scoperta di nuovi spazi e contesti la cui conclusione è l’acquisizione di un punto di vista più allargato e completo dal quale osservare le proprie origini e così sé stessi. Attraverso il viaggio e la conoscenza di nuovi mondi e nuove modalità di vita, l’essere umano acquisisce gli strumenti concettuali utili a comprendere in profondità ciò che maggiormente lo caratterizza: la propria identità.
La portata di tale concetto è vastissima; infatti il tema del viaggio è universalmente riconosciuto da tutte le civiltà umane di ogni tempo e area geografica. Secondo il sociologo Eric J. Leed, la metafora del viaggio esprime le transizioni e i cambiamenti e rappresenta una fonte di riferimenti continui, utili a spiegare le diverse aree del pensiero e dell’esperienza che ancora non sono familiari. Esso rappresenta in questo caso il mezzo che consente un aggio alla fase successiva della vita sociale, un’evoluzione della propria identità. Il bambino che inizia a camminare sperimenta il contesto circostante e acquisisce la conoscenza delle cose che si trovano intorno a lui, da un punto di vista non solo visivo, ma anche tattile. Se osserviamo un bambino, notiamo che porta in bocca (la zona più sensibile del corpo, canale privilegiato per sperimentare la realtà esterna diversa da sé) qualsiasi oggetto gli capita tra le mani. Più tardi quando inizierà a frequentare luoghi sconosciuti come l’asilo, imparerà nuove modalità di relazione, che influenzeranno inevitabilmente la costruzione della propria personalità. Da adulto utilizzerà il viaggio, attribuendovi un significato del tutto soggettivo e indipendente, risultato delle modalità di interazione vissute nell’infanzia: il viaggio servirà ad evadere dai luoghi ritenuti abitudinari e scoprire nuove realtà per ampliare i propri orizzonti e ritrovare, più o meno consapevolmente, le proprie origini. L’azione del movimento verso una meta, al fine di esplorare e conoscere nuovi mondi e culture, può essere effettuata oggi, nell’era di internet, anche senza spostarsi materialmente dalla propria scrivania, restando comodamente seduti davanti al proprio PC e leggendo o ascoltando storie che provengono dal mondo. La rete rappresenta la nuova frontiera del viaggio. Attraverso internet l’essere umano ha la possibilità di interagire con altri individui e da questi venire influenzato, per ciò che attiene la propria scala di valori. Le potenzialità di tale strumento vengono lasciate nelle mani di chi lo utilizza, quindi in maniera del tutto personale e singolare. Molte persone hanno potuto trovare amicizie e talvolta anche amori, inseguendo una conoscenza fatta in una chat. Tuttavia talvolta tale strumento ha avuto effetti estremamente negativi sulla vita degli individui, con cambiamenti inaspettati e devastanti: basti pensare alle trappole studiate da pedofili e maniaci, che utilizzano la rete per adescare vittime ignare. E’ chiaro dunque che internet è un potente strumento di viaggio virtuale e scoperta del nuovo, che necessita però di essere monitorato e controllato, al fine di evitare usi inadeguati e scorretti. Il desiderio di evadere, di scoprire realtà diverse dalla propria e di ampliare la conoscenza che si ha del mondo è insito da sempre nell’uomo. Maslow lo
identifica come il bisogno di conoscenza, che ha sempre spinto l’essere umano alla ricerca e all’esplorazione dello sconosciuto. Tale bisogno si manifesta nella scoperta dell’infinito oltre e dentro sé: sia l’infinitamente piccolo all’interno di noi stessi (ad esempio la cellula e le molecole che lo compongono), sia l’infinitamente grande (lo spazio, le galassie e i nuovi mondi). Nel primo caso, quello che maggiormente ci interessa, ci rifermiamo non solo a ciò che compone il nostro organismo, ma anche a ciò che ogni essere umano porta in sé stesso, nella propria mente e nel proprio cuore: i bisogni e i valori che guidano le nostre azioni. Ma in che modo possiamo ipotizzare una meta al termine dell’infinito? Se vi fosse una meta, non potremmo parlare di infinito. Se percorressimo una retta infinita e questa a un certo punto iniziasse a curvarsi, anche leggermente, potrebbe concludersi solo in un unico punto: nella propria origine, ricongiungendosi con se stessa. Allo stesso modo, l'uomo è il principio ed il termine di se stesso. Provando ad applicare tale teoria alla nostra vita e alla scoperta dei bisogni fondamentali della nostra personalità, potremmo affermare che al termine di noi stessi, delle teorie psicologiche, sociologiche e filosofiche che tentano di spiegare le origini e la meta delle nostre azioni, potremmo trovare l’uomo che guarda sé stesso allo specchio e che a braccia aperte comprende di essere giunto alla destinazione finale: l’accettazione di sé. Un viaggio nel quale non è necessario spostarsi fisicamente, perchè può essere effettuato anche dal divano, magari mentre scriviamo il racconto di noi stessi, lasciando fluire le parole come onde che si susseguono, increspandosi e riformando nuove onde che percorrono distanze elevatissime ma che alla fine ritornano sempre a se stesse, all’origine, ossia nella profondità dell’oceano della propria personalità. Attraverso la ricerca della comprensione di sé è possibile sfuggire alle logiche consumistiche rappresentate dalla continua ricerca di oggetti (automobili, cellulari di ultima generazione), che generano una soddisfazione e una felicità che si conclude poco dopo il momento in cui riusciamo a possedere quanto agognato. La corsa affannosa al consumismo non porta a nulla e alla fine resta solo una sensazione di vuoto e solitudine, perché abbiamo investito inutilmente energie che non hanno appagato il nostro reale bisogno. Ed è proprio partendo da tale bisogno di compensazione che le grandi multinazionali investono in campagne pubblicitarie milionarie, per lasciare intuire che solo attraverso tale profumo o tale marca di sigarette, ci si potrà sentire veramente appagati. Quello che ci viene offerto, se riflettiamo bene, è l’illusione di offrire finalmente
un’identità stabile e di successo (non a caso la maggior parte delle campagne pubblicitarie mira ad associare un profumo o un’acqua minerale, la faccia di un calciatore o una star di successo). La ricerca della felicità coincide quindi non con la ricerca dell’ultimo modello di auto sportiva, ma con la ricerca di sé, in pratica con il viaggio che ciascuno percorre per comprendere le motivazioni, i valori, i sogni e i bisogni della propria anima. Il viaggio rappresenta, pertanto, una valida metafora per descrivere il percorso di ricerca della propria identità. Tale dato è, infatti, utilizzato in psicologia del turismo, per comprendere le motivazioni della scelta turistica, la quale direziona il comportamento delle persone verso una determinata meta turistica, anziché un’altra, determinando in tal modo anche la direzione degli investimenti economici a favore delle aziende turistiche. Facciamo un esempio esplicativo: la scelta di trascorrere la settimana di ferragosto in gita culturale a Berlino, piuttosto che in un villaggio turistico all inclusive in Sardegna, dipenderà dalla percezione che l’individuo avrà dei propri bisogni e dalla rappresentazione che tale luogo ha fornito come elemento di soddisfazione di tali bisogni. Ci rendiamo pertanto conto del motivo che spinge le aziende ad investire grandi somme di denaro nella pubblicità. Inoltre possiamo rintracciare anche un ulteriore elemento di spinta, verso una particolare meta turistica: l’organizzazione delle vacanze rimanderà, infatti, nel contesto sociale d’appartenenza, anche una conferma della propria identità sociale. I turisti parleranno con senso di orgoglio delle proprie vacanze, che rispecchieranno un messaggio di sé stessi nei propri interlocutori; il messaggio nascosto tra le righe dei turisti culturali potrebbe essere assai diverso. Dietro una vacanza culturale, potremmo leggere un messaggio del tipo: trovo molto interessante studiare e conoscere la storia e la cultura di una nazione, in quanto mi reputo una persona sensibile e intellettuale. Il viaggio ci permette di conoscere meglio noi stessi non soltanto analizzando le motivazioni che ci hanno spinto ad optare per una determinata meta turistica, ma anche grazie ai rimandi che abbiamo su noi stessi durante il viaggio. Riprendendo in parte ciò che è stato descritto nei capitoli precedenti, la conoscenza di noi stessi arriva solo quando ci soffermiamo ad osservare gli specchi sociali che troviamo lungo il percorso della nostra vita, ognuno dei quali ci riflette una parte importante di noi stessi. È per tale motivo che risulta fondamentale, per comprendere fino in fondo se stessi, imparare a riconoscere i che provengono dal mondo esterno. Soltanto imparando ad ascoltare con attenzione l’altro diverso da sé, sarà possibile acquisire una migliore prospettiva sulla propria identità. La vera conoscenza di sé potrà avvenire solo
quando impareremo a sospendere il giudizio e inizieremo a concentrarci sull’altro, sui suoi limiti e le sue risorse. Quanto sopra affermato introduce il concetto di Assertività, ossia l’arte di saper entrare in relazione con l’altro, al fine di poter meglio rapportarsi sia a lui che a se stessi.
6 – La scelta assertiva
Libero è colui che per essere qualcuno non ha bisogno di sottomettersi né di sottomettere. Fëdor Mikhailovič Dostoevskij
Comunemente si attribuisce la definizione di Asino di Buridano a coloro che mostrano di non riuscire ad effettuare una preferenza tra due o più alternative. Il riferimento all'asino che muore perché non riesce a scegliere fra due campi in cui pascolare, è attribuito al filosofo Giovanni Buridano (1290-1358), discepolo di Guglielmo di Ockham, secondo il quale la difficoltà di scegliere nasce nel momento in cui le alternative sono equivalenti: nel caso dell’asino, l'intelletto non gli ha fornito le indicazioni necessarie e sufficienti ad effettuare una ponderata valutazione, pertanto la spinta volitiva non si è innescata. In tal modo la scelta non ha luogo e l’asino perisce nonostante l’abbondanza di cibo. Per Giovanni Buridano quindi la differenza tra l'uomo e l'animale consiste nel fatto che a quest'ultimo mancherebbe la capacità dell'autodeterminazione della volontà. Quanto indicato da Buridano viene utilizzato da Leibniz per ribadire il rifiuto del meccanicismo e la necessità della scelta autodeterminata. Con tali concetti intendiamo riferirci ai condizionamenti interni ed esterni a cui ciascuno di noi è continuamente sottoposto e che ci impediscono di poter effettuare scelte libere ed autodeterminate, in una parola: Assertive. L’assertività è un concetto ampio che fa riferimento al nostro modo di essere nel mondo. Ciascuno di noi è ben consapevole di quali siano gli atteggiamenti maggiormente presenti nella nostra vita quotidiana. Ci capita spesso di incontrare persone che manifestano, più o meno esplicitamente, l’esigenza di comandare e imporre la propria volontà sugli altri. Dall’altra parte troviamo persone speculari alle prime, che a questi ultimi si sottomettono e timidamente assolvono alla funzione di zerbini sociali. In entrambi i casi rintracciamo un’emozione condivisa: la paura, gestita però in modo totalmente differente.
Analizzando il fenomeno del bullismo oppure del mobbing, troviamo ancora due soggetti: una vittima e un persecutore. Se effettuassimo un’intervista campione e chiedessimo alle persone intervistate di individuare chi tra i due soggetti sopra descritti è mosso da un’emozione frustrante e minacciosa, molti probabilmente risponderebbero la vittima, che infatti sembra l’unico dei due ad esperire uno stato di minaccia o frustrazione. Tuttavia se leggiamo la teoria della frustrazione/aggressione di Dollar, scopriamo che alla base dei comportamenti aggressivi e di attacco è possibile rintracciare nel soggetto la percezione di un senso di minaccia, che spinge l’individuo ad innescare comportamenti e azioni aggressive, utili per difendersi. Alla base della teoria della frustrazione/aggressione, nell’uomo come nell’animale, esiste un meccanismo di difesa che può portare entrambi a decidere tra due alternative alla minaccia: l’attacco o comportamento aggressivo (principalmente utilizzato dal mobber o persecutore) oppure la fuga e in alternativa a questa l’immobilità (principalmente utilizzato dalla vittima). La fonte di minaccia in questo caso non è tanto materiale, quanto più psicologica e legata alla percezione che l’individuo ha di sé stesso; infatti il mobbing consiste in atti vessatori che mirano a svalutare l’identità e il ruolo dell’individuo, fino a spingerlo verso la rinuncia del proprio lavoro, vissuto come mortificante e depauperante. Le interazioni sociali asimmetriche generano problemi di diversa natura e gravità. L’essere assertivo sfugge a queste dinamiche, riuscendo ad esprimere sé stesso, pur rispettando l’altro, ossia non percependo quest’ultimo come una fonte di minaccia alla propria identità e sicurezza. L’assertivo è colui che gestisce in prima persona le proprie faccende, arrivando a gestire il processo di scelta sulla base di una profonda conoscenza di sé stesso e del contesto sociale che lo circonda. Essere assertivi significa vivere attuando quotidianamente i propri diritti in modo naturale, riconoscendo alle altre persone la corrispondenza biunivoca di questo concetto. Le premesse alla base della teoria assertiva sono, dunque, concetti funzionalisti che compongono il galateo dei rapporti sociali. Ne deriva che le abilità sociali sono stili di comportamento, indispensabili affinché sia la comunicazione che le relazioni tra gli individui siano efficaci. L'assertività è una filosofia di vita definita anche come teoria del sano egoismo: chi non è felice non può restituire felicità, chi non ha stima di sé non è in grado di dare agli altri sicurezza; l’assertivo si rapporta all'ambiente senza farsi sottomettere dai condizionamenti, ricercando il proprio bene da persona libera e saggia (ecologia delle scelte).
Questo presuppone una buona conoscenza di sé e delle modalità più efficaci per esprimere pensieri, emozioni e comportamenti. La scelta assertiva prevede alla base un atteggiamento maturo, consapevole, volitivo e responsabile. Bisogna tuttavia aggiungere che tale stile di pensiero non rende certo le persone immuni da scelte errate, ma permette di compiere decisioni sulla base dei valori che rispettano il proprio modo di essere al mondo, la propria unicità e per tale motivo in linea con i propri bisogni. La persona assertiva effettua le proprie scelte assumendosi in pieno la responsabilità, sia dei trionfi che delle sconfitte, senza cercare di attribuire al caso o alla sfortuna i propri fallimenti ma affrontandoli a viso aperto con un atteggiamento di coraggio ed umiltà, consapevole del fatto che solo in questo modo potrà imparare dai propri sbagli e potenziare in tal modo le proprie opportunità di successo per il futuro. La capacità di scelta assertiva va sviluppata e conquistata nel tempo, attraverso il difficile percorso di risorgimento dai propri insuccessi e fallimenti, facendo tesoro delle lezioni apprese dalla vita e godendo appieno dei risultati ottenuti. A riguardo è utile assimilare quanto commentava l’inventore della lampadina Thomas Edison. Un giorno un giornalista gli pose la seguente domanda:“Perché insiste nel voler inventare la lampadina elettrica? Tutti sanno che è impossibile e ha già fallito 2000 volte!”. Edison lo guardò e gli rispose: “Ragazzo, non ho fallito 2000 volte, ho solo trovato 2000 modi in cui la lampadina non funziona e prima o poi troverò quello giusto!”. Cosa sarebbe successo se Edison non avesse persistito nel suo intento con senso di responsabilità e atteggiamento volitivo? probabilmente ora questo libro lo stareste leggendo con l’ausilio di una candela..!? Diventa prioritario sviluppare la capacità di scelta assertiva, ma in che modo? La via più efficace è sicuramente un’educazione alla competenza sociale, la quale dovrebbe essere impartita ai bambini, sin dalla prima infanzia. È un obiettivo tanto ambizioso quanto difficile, poiché implica una rieducazione della popolazione adulta rispetto ai valori e alle norme sociali che fungono da guida per la propria condotta. Ma anche il singolo individuo può apprendere modalità relazionali assertive, per meglio gestire la propria vita e le scelte che la caratterizzano. A tal fine descriviamo di seguito la carta della scelta assertiva. Ciascun punto rappresenta una modalità preferenziale di comportamento o di pensiero, che la persona assertiva utilizza per guidare la propria vita e le proprie scelte. Segue ora un testo per valutare effettivamente il grado di assertività nelle diverse situazioni della propria vita. Al termine del test sarà opportuno riscrivere i punti contenuti nella carta della scelta assertiva e fissare i propri obiettivi di crescita, in riferimento ai punti cui si intende dare priorità. Un maggiore
approfondimento su tali concetti potrà essere effettuato seguendo il seminario “Psicologia della Scelta”.
Test sullo Stile Assertivo Leggete attentamente gli item sotto riportati e indicate con una crocetta la modalità relazionale descritta che rispecchia il vostro comportamento o atteggiamento abitudinario.
Non sperimentate alcuna difficoltà a prendere delle decisioni quando anche altri possono intromettersi sulla qualità delle vostre scelte! Richiamate con fermezza e buone maniere coloro che vi ano avanti in una fila, non rispettando il proprio turno! Avete piena fiducia nelle vostre capacità e competenze! Riuscite a controllare la vostra rabbia, quando gli altri mettono a dura prova la vostra pazienza! Quando il vostro capo o un superiore, vi chiede qualcosa, non vi è difficile rifiutare e dire di no, se pensate sia giusto! Non provate disagio se dovete intervenire in una discussione o in un dibattito pubblico! Quando una persona vi deve restituire del denaro o un oggetto prestato, non avete difficoltà a chiederlo, anche più volte! Vi risulta naturale esprimere apertamente i vostri sentimenti! Quando parlate con qualcuno lo guardate di solito negli occhi, senza abbassare lo sguardo! In treno, di solito, intrattenete una conversazione con il vostro vicino di posto.
Se avete apposto almeno 8 crocette sulle affermazioni sopra presentate, il vostro comportamento ha un orientamento assertivo. Al di sotto di questo punteggio il processo di scelta risulta inficiato da un atteggiamento poco assertivo e quindi libero da influenze fuorvianti e aberranti. Presentiamo ora la Carta della Scelta Assertivita, la quale potrà essere utilizzata per individuare le aree sulle quali intervenire per sviluppare l’assertività e di conseguenza un processo di scelta libero, naturale e sintonico con i propri bisogni e valori. Carta della Scelta Assertiva. Quanto segue riassume i principi guida da utilizzare per orientare lo sviluppo del proprio potenziale di scelta assertiva, evitando di lasciarsi influenzare da falsi bisogni e valori consumistici e fuorvianti. Chi desidera sviluppare uno stile di scelta assertivo, dovrà aver presente quanto segue: -La scelta assertiva prevede un contatto con le proprie emozioni e con i propri desideri; -La scelta assertiva nasce da una consapevole accettazione dei valori che guidano il proprio comportamento; -La scelta assertiva prevede piena responsabilità delle conseguenze ottenute in risposta alle proprie azioni; -La scelta assertiva non è definitiva, in quanto prevede la possibilità di ritornare sulle convinzioni che condizionano l’agire; -La scelta assertiva si serve delle critiche altrui per divenire più completa; -La scelta assertiva prevede il godimento dei risultati positivi.
Esercizio N. 6 Dopo aver letto con attenzione i punti descritti nella Carta della Scelta Assertiva, individua quelli che intendi potenziare e descrivi di seguito in quali aree della tua vita e con quali modalità intendi effettuare tali cambiamenti.
____________________________________________________________________________
____________________________________________________________________________
____________________________________________________________________________
____________________________________________________________________________
7 – Stress e problem solving
Così come si provocano o si esagerano i dolori dando loro importanza, nello stesso modo questi scompaiono quando se ne distoglie l'attenzione. Sigmund Freud
Il termine stress ha assunto nel corso degli anni diverse accezioni. La voce inglese stress ha il significato di sforzo/spinta; in Italia si è diffuso in occasione di un ciclo di conferenze tenute da Hans, verso la metà degli anni '50 e non ha tardato a diffondersi anche nel linguaggio corrente, seguito da qualche talvolta improprio derivato (stressante, stressato, etc.). L’accezione psicologica del termine fa riferimento alla pressione di eventi che innescano una reazione di adattamento agli stessi. Il processo di adattamento può sfociare in vari esiti, i quali potranno meglio inquadrare lo stress come distress (o stress negativo) se questo ha conseguenze disadattative, mentre potrà definirsi eustress (o stress positivo) se il soggetto otterrà esiti adattivi. La capacità di effettuare scelte funzionali e adattative implica sia la possibilità di pianificare attività finalizzate a modificare l'ambiente in funzione delle proprie necessità, sia l'eventualità di modificare le caratteristiche soggettive per ottenere un migliore adattamento alle richieste del contesto. Tali richieste potranno essere di tipo materiale, ma anche psicologico. Ad esempio, se la temperatura della propria abitazione risulta troppo fredda, l’individuo potrà scegliere di accendere i riscaldamenti (valutando eventualmente costi e mezzi), modificando in tal modo l’ambiente circostante, oppure di coprirsi di più: l'adattamento dipenderà dalle capacità di problem solving, ma anche dalla presenza di opportuni elementi ambientali, economici o relazionali. Le richieste potranno essere anche di tipo psicologico, immaginando ad esempio la difficoltà esperita da un giovane studente che deve comunicare alla propria famiglia di non aver superato l’esame. Se le reazioni emotive a tale insuccesso saranno immaginate come eccessivamente negative, queste genereranno uno stato di stress che, se non adeguatamente gestito, potrà portare a scelte disadattive: mentire alla famiglia o sperimentare un disagio
psicosomatico, fino anche a tentare il suicidio (e la cronaca è ricca di esempi di tali reazioni). La modalità di affrontare un problema e quindi di rapportarsi ad esso individuando le scelte più opportune, introduce al concetto più ampio di problem solving. Il problem solving può essere definito come la capacità dell’individuo di riuscire a trovare una soluzione ai problemi che si presentano sul suo cammino. Tale capacità prevede la possibilità per l’individuo di effettuare processi di scelta efficaci ed efficienti; intendendo con il primo termine la possibilità di raggiungere lo scopo prefissato, mentre con il secondo la facoltà di ottenere lo stesso risultato, ma con un minor dispendio di energie e risorse. La psicologia ha individuato differenti modalità e approcci al problem solving, i quali dipenderanno sia dalla natura del problema, sia dal tipo di strategie mentali in possesso dell’individuo. Il metodo più comunemente utilizzato nel problem solving consiste nel mettere in atto le seguenti fasi:
descrizione del problema; analisi delle cause; identificazione di soluzioni alternative; verifica della validità delle varie alternative; scelta di una soluzione; sviluppo di un piano di attuazione; monitoraggio del piano, fino ad ottenere il risultato desiderato. Tale modalità prevede una logica sequenziale, la quale può offrire la semplicità dell’esecuzione del processo, ma non facilita un tipo di soluzione creativa del problema.
La creatività serve appunto non solo per trovare soluzioni innovative e migliorare i processi di scelta, ma anche per immaginare i problemi possibili e per evitare che si manifestino.
Un metodo efficace e creativo per rapportarsi al processo di scelta, consiste nel modificare la prospettiva di osservazione del problema e delle risorse disponibili nel contesto di riferimento, per osservarlo in maniera diversa ed avere un quadro più completo della situazione. Spesso, quando le persone sono direttamente coinvolte nel problema trovano difficoltà ad individuare una soluzione, perché essendo troppo coinvolte, sono imprigionate da una prospettiva statica. A questo punto non conviene insistere nell’attuare le scelte risultate efficaci in ato, conviene piuttosto concentrarsi sull’obiettivo e porsi la seguente domanda: quali altri soluzioni posso utilizzare per raggiungere lo scopo prefissato? Può apparire come una soluzione ovvia e semplicistica, ma l’applicazione concreta di tale modalità di problem solving riesce a spostare l’attenzione dal problema all’obiettivo e quindi ad innescare decisioni più efficienti ed efficaci. Un problema esiste quando c’è un ostacolo al raggiungimento di un obiettivo. Riportiamo un esempio per spiegare il salto logico che sposta l’attenzione dal problema all’obiettivo. Immaginate di percorrere una strada di montagna con la vostra auto. Ad un certo punto vi imbattete in un’interruzione del percorso a causa di un palo della luce caduto. L’obiettivo è andare avanti, ma il palo appare troppo pesante per essere spostato. La logica del problema vi porterebbe a concentrarvi sugli strumenti da utilizzare per spostare il palo e risolvere così il problema. La logica dell’obiettivo invece mira a continuare il percorso, per cui si concentra sulle altre risorse presenti nel contesto di riferimento: in questo caso potreste accorgervi che si è aperto un varco, che si può aggirare dall’esterno della strada. In tal modo il problema non viene risolto, perché il palo della luce continua ad intralciare il percorso ma voi lo avete aggirato raggiungendo il tal modo il vostro obiettivo. Indirizzare le proprie scelte in funzione dei propri obiettivi permette all’individuo di aprirsi alla realtà esterna riuscendo in tale modo ad individuare con maggiore facilità le risorse presenti intorno a sé. Questa nuova modalità di rapportarsi alle cose e a sé stessi, implica un’autoeducazione del modo di vedere e sentire le cose, che permette di raggiungere i propri obiettivi. Presentiamo di seguito un semplice esercizio, utile ad imparare a gestire lo stress in termini positivi, valorizzando in tal modo le energie erogate dal nostro organismo, per affrontare con efficacia ed efficienza il quotidiano processo di problem solving; ci riserviamo di approfondire nel successivo capitolo i principi della psicologia della scelta.
Esercizio N. 7
Questo è un esercizio di gestione efficace dello stress, il cui scopo è aiutare le persone a riprendere contatto con sé stesse e con le proprie risorse personali, al fine di poter affrontare con maggiore efficienza il processo di problem solving. Per raggiungere tale obiettivo, seguite le istruzioni di seguito descritte: 1.disponetevi in posizione comoda (seduti o sdraiati) e chiudere gli occhi; 2.concentrate l'attenzione sulla propria respirazione; 3.prestate attenzione ai rumori intorno a sé, anche i più flebili e scontati; 4.immaginate che i rumori si nebulizzino e vengano da voi inspirati; 5.concentratevi ora sui rumori che avete inspirato, e trasformateli in aria calda e benefica che irradia energia nei vostri polmoni; 6.diffondete questa energia in tutto il vostro corpo, in modo tale che invada ogni tensione e la dissolva; 7.espirate le tensioni che sono state appena dissolte nel vostro corpo, raffigurandole nella vostra mente come uno smog grigio che esce dalla vostra bocca e dal vostro naso; 8.continuate l’esercizio fino a che tutte le tensioni non siano state prima espirate e dalla vostra bocca non uscirà aria trasparente, pulita da ogni impurità. 9.riaprite gli occhi e apprezzate il senso di serenità e rilassamento che avete conquistato; 10.infine concentratevi sul processo di problem solving ed effettuate le vostre scelte con maggiore serenità e contatto sia con voi stessi che con le risorse emotive e cognitive di cui disponete. L’applicazione della tecnica sopra descritta potrà essere approfondita all’interno del seminario “Psicologia della Scelta”.
8 – Psicologia della scelta
L’uomo infelice è colui che non può prendere decisioni a causa di un conflitto interiore di cui non vuole avere coscienza. Martin Buber
La psicologia della scelta studia le strategie utilizzate dalle persone per giungere alle proprie decisioni, per gestire situazioni di incertezza nelle quali vi è una scarsità di informazioni, ma anche per selezionare le informazioni maggiormente rilevanti, quando queste sono eccessive. Tali strategie ci vengono in soccorso sia nelle scelte più semplici (acquistare un vestito piuttosto che un atro), sia per gestire processi economici complessi (investimenti in borsa). La psicologia della scelta nasce per aiutare le persone a comprendere quali sono i processi mentali alla base delle proprie decisioni e in che modo questi possano essere potenziati, per gestire meglio il processo di scelta. Di solito gli individui, quando sperimentano una condizione d’incertezza, utilizzano in maniera preferenziale le informazioni più facilmente comprensibili e quelle che giungono da fonti ritenute affidabili o percepite intuitivamente come corrette. Nella pratica, per risolvere un problema, utilizzano prioritariamente le informazioni presenti nel testo del problema stesso, evitando di cercare ulteriori informazioni e risorse nel contesto circostante. A riguardo, secondo Watzlawick, per risolvere i problemi, bisogna favorire un cambiamento nel modo di vedere il problema, e nel modo di reagire ad esso. Il cambiamento deve essere qualcosa di diverso da ciò che normalmente facciamo, in caso contrario il nostro modo disfunzionale di rapportarci al problema contribuisce a mantenere lo status quo. Le scelte disfunzionali tendono a conservare il problema e a limitare agli individui la possibilità di rintracciare nuove risorse per uscire dalla situazione di eme. Spesso l’essere umano, concentrandosi sul problema e sulle modalità che in ato hanno avuto risultati positivi, perde di vista l’obiettivo e le nuove risorse che possono essere presenti al di là del proprio campo di attenzione. Poiché in ato una soluzione ha ottenuto successo, più o meno consapevolmente tendiamo a riutilizzarla, anche se solo parzialmente adeguata a fronteggiare la
nuova situazione. L’effetto è quello di intrappolarsi in autoinganni ricorrenti, in soluzioni disfunzionali e inefficaci. Per uscire dall’eme Watzlawick ci invita a osservare il problema da differenti punti di vista. A riguardo l’esercizio 8 di seguito presentato.
Esercizio N. 8 Concentrati su un problema che stai vivendo attualmente o che hai vissuto in ato, ma che è ancora vivo nella tua mente (ad esempio, un conflitto con un collega sul posto di lavoro, una lite con il partner). Pensa alle decine di soluzioni che hai tentato di utilizzare inutilmente per risolvere il problema. Descrivi di seguito quanto immaginato e l’obiettivo perseguito.
____________________________________________________________________________
____________________________________________________________________________
____________________________________________________________________________
____________________________________________________________________________
Ora cercando di porti nella mente e nei panni della persona con la quale hai vissuto tale problema, prova a inquadrare il suo punto di vista e in che modo l’obiettivo da te perseguito avrebbe potuto portare dei miglioramenti a tale persona.
____________________________________________________________________________
____________________________________________________________________________
____________________________________________________________________________
____________________________________________________________________________
In conclusione scrivi di seguito le parole che avresti utilizzato per descrivere la soluzione migliore per entrambi, per raggiungere l’obiettivo condiviso.
___________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________
L'uso di strategie euristiche volte ad organizzare lo spazio del problema o il recupero delle informazioni, permette generalmente di essere efficaci, ma non sempre è così. Parlando di psicologia della scelta ci riferiamo quindi ai processi psicologici che portano un individuo ad optare tra due o più opzioni a sua disposizione. Tutti i giorni prendiamo decisioni, piccole o grandi: comprare un bel giubbino blu visto in vetrina, organizzare una festa, programmare la giornata, dire il sì di tutta una vita ecc... Lo stimolo può risalire all’hic et nunc oppure essere virtuale o ideale(ad esempio l'anticipazione di un avvenimento futuro o un ricordo doloroso, che quindi appartiene al ato). Comunque sia, ciascuna scelta è legata ad un processo mentale complesso, spesso automatico e rapidissimo: ricordiamo il ato, valutiamo, giudichiamo, immaginiamo gli esiti della nostra azione e poi scegliamo. Il processo della scelta può essere scisso in due momenti volitivi: il volere emotivo e il volere razionale, che segue il primo; la prima reazione alla realtà ha un effetto sulle emozioni, prima che sulla parte razionale nel nostro cervello. Spieghiamo con precisione a cosa ci riferiamo parlando di volere emotivo: si tratta di una valutazione immediata dello stimolo, la quale porterà a due possibili esiti “mi piace oppure non mi piace”. L'oggetto è valutato come attraente o sgradevole in un dato momento e in uno specifico contesto, in quanto intuitivamente ritenuto capace di soddisfare o non soddisfare un bisogno. Se lo stimolo è valutato come piacevole, ne consegue un impulso di attrazione verso di esso; se invece è valutato come sgradevole, ne consegue una tendenza repulsiva di allontanamento da esso. Vediamo nel dettaglio come interviene e opera il processo del volere emotivo.
La prima fase consiste nella percezione dell’oggetto. Ad esempio, se camminando per strada ci si ferma ad osservare un vestito molto bello ma anche costoso, prendiamo ad osservarlo con attenzione. In seguito si innesca il processo di valutazione intuitiva, durante il quale lo stimolo viene rapportato all’individuo che osserva; da tale processo risulterà un effetto di attrazione o repulsione, nel caso l’esito sia positivo ci si avvicinerà all’oggetto, che ha ottenuto una stima positiva. Il tutto è accompagnato da un insieme di reazioni emotive e fisiche: la paura fa tremare, l'ira irrigidisce, il piacere eccita... L’emozione che nasce in seguito alla percezione di un oggetto ritenuto attraente oppure sgradevole, non è sufficiente a innescare un comportamento automatico, se questo non viene valutato anche da un punto di vista razionale. Per fare un esempio possiamo immaginare una persona golosa di dolci, che davanti a una deliziosa vetrina di un bar, desiste dall’acquistarli, poiché ha ritirato da poco le analisi del diabete, i cui esiti non sono positivi. Per tale motivo la fase successiva è di tipo razionale e si conclude con la seguente valutazione: conviene oppure no. Criterio da non intendersi in senso utilitaristico, ma come valutazione dell'oggetto in relazione al soddisfacimento dei valori e degli obiettivi personali: ciò che a livello percettivo mi attrae, mi conviene oppure no? Tale valutazione si ispira ai valori fondamentali che guidano l’agire dell’individuo, per questo motivo ciascuno deve conoscere quali sono i valori che orientano le scelte personali, al fine di poterli meglio comprendere e nel caso questi siano disfunzionali, anche modificarli. Questo è l'atto di volontà: la tendenza all'azione che viene innescata da una valutazione intuitiva ed emozionale, ma che necessita della valutazione razionale, prima di trasformarsi in azione. Il processo si conclude con l’emozione cosciente, che nasce dalla consapevolezza di aver fatto ciò che soddisfa i propri bisogni e valori in modo autonomo e maturo. In questo processo volitivo intervengono variabili che è necessario tenere in seria considerazione, in quanto condizionano le scelte personali. L'oggi è influenzato dal ato (memoria) e dal futuro (aspettative); inoltre ogni decisione una volta fatta non scompare ma lascia una segno, per cui l’individuo verrà condizionato nelle sue scelte future, definendo le euristiche personali, le quali sono semplici ed efficienti regole da utilizzare per risolvere i problemi, esprimere giudizi, prendere decisioni di fronte a situazioni complesse o informazioni incomplete. L'esistenza delle euristiche è giustificata dal principio secondo cui la struttura cognitiva umana è formata da un sistema a risorse limitate che, non potendo risolvere problemi tramite processi algoritmici, si serve delle euristiche come strategie efficienti per semplificare decisioni e problemi. Sebbene le euristiche funzionino correttamente nella maggior parte
delle circostanze quotidiane, in certi casi possono portare a sbagliare sistematicamente, in quanto i problemi non vengono valutati sulla base di tutte le informazioni che potrebbero essere acquisite. Analizzando più compiutamente il concetto di euristica, possiamo inficiare quanto segue: le informazioni recuperate dalla memoria per risolvere un problema, non sono quelle più efficaci e pertinenti, piuttosto quelle più vivide, cioè le informazioni alle quali l'individuo ha associato i connotati emotivi più intensi. Descriviamo di seguito le variabili che intervengono (in senso positivo e negativo) durante il processo di scelta. In primis ci riferiamo alla memoria, la quale si basa sui ricordi consapevoli e inconsapevoli, permettendo all’essere umano di poter apprendere dai propri errori ed individuare strategie più efficienti per gestire la realtà. Ogni situazione nuova richiama alla mente esperienze analoghe, sperimentate nel ato, che hanno lasciato nella nostra mente un'impronta affettiva non necessariamente consapevole. A seconda del tipo di emozione vissuta in ato (dolore o gioia), la memoria affettiva influenzerà la percezione della nuova situazione. Si produce così una costanza di valutazione: si tenderà a valutare un oggetto sempre nello stesso modo, anche se quello stimolo fornirà nuove informazioni. Inoltre la memoria affettiva generalizza, associando un effetto esperito in rapporto ad un dato elemento a tutta la classe di appartenenza. Se un individuo viene rapinato da un uomo di colore in pieno centro, molto probabilmente quando in futuro eggerà per la stessa strada sarà portato a guardare con sospetto le persone di colore che si avvicinano a lui. Oltre alla memoria vi è un altro fattore che interviene nel processo di scelta; si tratta dell’immaginazione delle conseguenze future delle nostre azioni, che permette di sperimentare le emozioni conseguenti ai possibili esiti e di conseguenza indirizzare il processo di scelta. Cosa accade nella nostra mente quando due scelte appaiono entrambe ugualmente attraenti o sgradevoli? Kurt Lewin è l’autore che meglio ha saputo teorizzare sul concetto di scelta. Secondo Lewin possiamo immaginare l’individuo impegnato nel tentativo di trovare una risposta definitiva alla sua incertezza, come se si trovasse al centro di un campo di forze, attratto contemporaneamente e in egual modo da più stimoli di pari intensità. Quando questo capita l’individuo sperimenterà un conflitto, cioè un contrasto fra due tendenze entrambe appetibili ma di diversa origine: entrambe le alternative sono desiderabili sotto certi aspetti e indesiderabili sotto altri. Il mi attrae mi spinge verso una direzione che potrebbe essere opposta a quella indicata dal mi conviene. Quale sarà la decisione definitiva? In questo caso l’individuo necessita di un faro che lo guidi verso la scelta più adeguata alle proprie reali esigenze e
che potrà essere soddisfatta solo attraverso un atteggiamento maturo, assertivo e consapevole dei proprio valori e dei propri bisogni. Per tale motivo le azioni dettate esclusivamente dalle emozioni possono essere definite come incapaci di affrontare il mondo da adulti, in quanto mancano dei criteri di universalità (al contrario La logica dell'affettività segue criteri di singolarità). L'uomo ha la capacità di agire contro i desideri emozionali e scegliere ciò che è immediatamente meno attraente, ma che più soddisfa le esigenze più profonde della propria personalità. In questo caso, non c'è più conflitto, anche se la decisione rimane difficile da portare avanti per la permanenza dell'attrazione emotiva. Ciò che si intende affermare è la capacità psichica di effettuare un atto di volontà. Il processo di scelta assertivo non è legato all'immediatezza delle emozioni, il giudizio e la presa di posizione sono possibili soltanto attraverso la subordinazione (e non l'eliminazione) dell'affettività alla razionalità. La famosa metafora “il dado è tratto”, si riferisce alla decisione presa e sofferta di Giulio Cesare di attraversare il fiume Rubicone. Ciò che conduce alla definizione di una scelta assertiva non è tanto la motivazione che ci spinge verso un oggetto o che ci allontana da esso, quanto il processo volitivo, ossia la volontà di perseguire per quella stessa strada. Possiamo riconoscere nelle persone di successo, la capacità di riuscire ad innescare un forte processo volitivo, in seguito alla decisione di intraprendere un determinato percorso e quindi rinunciando inevitabilmente all’alternativa. Ciò che crea più disagio non è definire una scelta, ma dover rinunciare all’alternativa, che quanto più si allontana da sé, tanto più diventa interessante e attraente. Questo dato può essere facilmente testimoniato riflettendo sul senso di malinconia che proviamo, quando pensiamo ai viaggi che non abbiamo fatto, oppure alle esperienze che non siamo riusciti a vivere (l’amore perduto). Se avessi acquistato l’altra auto, oppure se avessi comprato casa in un'altra zona, oppure se avessi accettato l’altro lavoro. Siamo abituati a vivere con nostalgia e senso di amarezza le scelte che non abbiamo effettuato e valorizzato. Ma quanto più viviamo nel rimpianto, tanto più ci allontaniamo dalla possibilità di godere del presente e di ciò che già si è conquistato. È appunto imparando a godere delle piccole scelte quotidiane, con maturità e responsabilità, che possiamo costruire una vita appagante e serena. Allo stesso modo non sono le grandi scelte (la persona che si sposerà o la città nella quale andremo a vivere) che costruiscono la nostra identità e lo stato di benessere o malessere ad esse associate, ma le piccole scelte di ogni giorno che pian piano, senza fare rumore indirizzano la nostra identità verso una caratterizzazione unica e irripetibile (ad esempio la scelta di trascorrere la serata in quel particolare bar, dove per “caso” si incontrerà la persona della propria vita). Lo stile assertivo
comprende l’esigenza di attribuire a ciascuna scelta l’importanza della sua unicità, come mattone nella costruzione della propria personalità. Proviamo ora ad effettuare un semplice esercizio che sarà utile a comprendere quali sono le scelte (piccole e grandi) che hanno condizionato la nostra vita e definito la nostra personale identità.
Esercizio N. 9 Scrivi di seguito le 7 esperienze che maggiormente hanno caratterizzato il tuo percorso di vita (partendo da oggi a ritroso fino all’infanzia) e descrivi perché hai preso proprio quella decisione, ma soprattutto quali sono stati i valori che ti hanno spinto ad optare per quella decisione. Questo esercizio servirà a riscoprire le originarie motivazioni che ti hanno spinto a diventare la persona che sei ora e a non rinnegare tali origini, bensì a riscoprirle e valorizzarle. Esperienze Fondamentali
___________________________________________ ___________________________________________ ___________________________________________ ___________________________________________ ___________________________________________ ___________________________________________ ___________________________________________
Valori guida
___________________________________________ ___________________________________________ ___________________________________________ ___________________________________________ ___________________________________________ ___________________________________________ ___________________________________________
Esercizio N. 10 Dopo aver effettuato l’esercizio N 8, riprendi i valori che sono emersi come guida delle tue esperienze e prova a sostituirli con i valori emersi dall’esercizio N 1. Nuova Scala dei Valori (esercizio N 1) 1.___________________________________________ 2.___________________________________________ 3.___________________________________________ 4.___________________________________________ 5.___________________________________________ 6.___________________________________________ 7.___________________________________________
Prova ad immaginare come avresti effettuato le scelte precedentemente descritte,
se avessi utilizzato i valori sostitutivi e descrivi la sensazione che ne consegue. ___________________________________________________________________________ ___________________________________________________________________________ ___________________________________________________________________________ ___________________________________________________________________________
Ora infine prova ad applicare questi nuovi valori guida alle tue scelte attuali e a quelle scelte che ancora non sei riuscito a prendere, provando ad immaginarne gli esisti e le sensazioni che proverai. ___________________________________________________________________________ ___________________________________________________________________________ ___________________________________________________________________________ ___________________________________________________________________________
9 – Conclusioni
L'importanza del viaggio non sta tanto nel sapere dove siamo, ma verso quale direzione stiamo andando, senza perdere nulla di ciò che troviamo durante il percorso. Romano Battaglia
In conclusione è possibile affermare che il processo di scelta assertiva e matura presuppone la consapevolezza di sé e dei valori fondamentali alla base del proprio agire. In principio e alla fine di qualsiasi teoria sul benessere, possiamo rintracciare un concetto universale e fondamentale: fai la cosa giusta, ossia mettiti in contatto con le tue emozioni e filtrale attraverso la tua conoscenza di te stesso e del mondo che ti circonda. L’essere umano è infatti costituito fondamentalmente da due parti inscindibili e complementari: una parte razionale, cognitiva e logica e una parte emotiva, istintuale e pulsionale. Questa differenziazione ha un’origine anche neurologica, infatti il cervello è suddiviso in due principali sezioni "Destra e Sinistra" , che nell'evoluzione si sono particolarmente diversificate modificando le infrastrutture neuronali degli Emisferi Cerebrali Superiori. Tale suddivisione del cervello in due ripartizioni suggerisce che le funzionalità del cervello, come manifestazione di una azione pensante, sia anch'essa duplice, e ciò vuol dire che possiamo attribuire significato a ciò che osserviamo attraverso due modalità alternative e complementari: una ad opera della parte sinistra del cervello, deputata ad una funzione logico-razionale (cioè sequenziale, analitica, deduttiva) e una assolta dalla parte destra intuitiva-olistica (cioè sintetica, globalizzante, induttiva) le quali corrispondono fondamentalmente alle procedure funzionalmente differenziate delle attività dei due emisferi cerebrali. È fondamentale comprendere in che modo queste due modalità complementari possano essere adeguatamente coordinate per
sviluppare un processo di scelta creativo ed efficace. La creatività è pertanto la modalità di riuscire a sapersi servire della plasticità encefalica, per rispondere alla complessità della realtà interna ed esterna, applicando le varie e complesse funzioni mentali di cui ogni individuo è geneticamente provvisto. Possiamo paragonare il cervello ad un blocco di marmo, il quale acquisisce la forma che lo scultore gli conferisce. Allo stesso modo il nostro cervello può essere potenziato, migliorando le funzioni intellettive e acquisendo in questo modo un benessere che solo la fiducia nelle proprie naturali capacità creative può conferire. Precisiamo che con il concetto di creatività non ci riferiamo esclusivamente alla capacità di creare qualcosa di nuovo (come una canzone o un quadro), ma anche la capacità di trovare strategie di problem solving funzionali e soddisfacenti. Con tale concetto ci riferiamo appunto alla capacità del nostro cervello di saper individuare ed elaborare modalità efficaci per la risoluzione dei problemi, evitando in tal modo di impegolarsi nelle euristiche disfunzionali, che impediscono la comprensione piena e completa del problema e delle possibili risorse presenti nel contesto, utili a risolvere l’eme. Il problema della scelta nasce quando ciascuno di noi ha perso la strada verso sé stesso, i propri bisogni, i valori e il senso di identità sociale che ne risulta. L’ascolto di sé stessi è quindi un aggio fondamentale per poter uscire dall’eme in cui ci troviamo quando la nostra mente non riesce a risolvere una difficile condizione di indecisione. Per favorire tale ascolto dovremmo imparare a prendere un po’ più di tempo per noi stessi e investire un po’ di energie, alla scoperta e conoscenza degli aspetti più profondi della nostra personalità, al fine di operare scelte che soddisfino le più profonde aspettative nascoste nel nostro cuore.
Bibliografia
ARNOLD Mindell, Emotion and Personality, Colombia Univ. Press, New York, 1960. ARONSON Elliot, L' animale Sociale, Apogeo 2006 BARTH, Fredrik, Ritual and Knowledge among the Baktaman of New Guinea, New Haven, Yale University Press, 1975. BAUMAN, Zygmunt, La società dell'incertezza, Il Mulino, 1999. BERNE Erik, L' analisi transazionale. Guida alla psicologia dei rapporti umani Garzanti Libri, 2000 FALCONE Giovanni e Marcelle Padovani, Cose di Cosa Nostra, Rizzoli, 1991 FERRAROTTI, Franco, Partire tornare. Viaggiatori e pellegrini alla fine del millennio, Donzelli ("Le Saggine"), 1999. FREUD Sigmund, Introduzione al Narcismo, Boringhieri 1975 GALIMBERTI, Umberto, "Viaggio, Istruzioni per l'uso", La Repubblica, 7 luglio 1999. GALLUZZO Lucio, Obiettivo Falcone, Pironti 1992 GEOFFREY Davies. Dynamic Earth, Cambridge University Press, 1999 GIOVANNOLI, Renato, "Nomadologia trascendentale", Alfabeta, n. 15/16, luglio-agosto 1980. HANDKE, Peter, Breve lettera del lungo addio, Feltrinelli, 1981. HEIDER Fritz, Psicologia delle relazioni interpersonali, Il mulino 1990
JAMES William, Princles of psicology, New York, Hold, Trad it Principi di Psicologia, Società Editrice Libraria, 1901; KALAT James, Biopsicologia, Edisen, 2004 KEARAY Philip, Vine Frederik. Tettonica Globale, Zanichelli, 1994, KLEIN Melanie, Il nostro mondo adulto ed altri saggi, Psycho 2002 KLUCKHOHN Clyde, Lo specchio dell'uomo, Garzanti 1979. LEED, Eric J., La mente del viaggiatore. Dall'Odissea al turismo globale, Il Mulino, 1992. LEIBNIZ G. W., Monadologia e Saggi di Teodicea, Carabba, Lanciano, 1930 LEWIN Kurt, La teoria, la ricerca, l'intervento, Il Mulino 2005 LUPIA Palmieri Elvidio, Parotto Maurizio. Il Globo Terrestre e la sua Evoluzione, Zanichelli 2000 MCLUHAN, Marshall, Gli strumenti del comunicare, Il Saggiatore ("Est"), 1997. MONGA, Luigi (a cura di), "L'odeporica/Hodoeporics" in "Travel and Travel Writing: An Historical Overview of Hodoeporics", Annali d'italianistica, n. 14, 1996. NIETZSCHE Friedrich, Così parlò Zarathustra,Barbera 2007 PALMONARI Augusto e Speltini Giuseppina, I gruppi Sociali, Il Mulino 1999 PRATKANIS Antony R., Elliot Aronson, Psicologia delle Comunicazioni di Massa, Il Mulino 1996 RHEINBERG Falko, Psicologia della Motivazione, Il Mulino 1995 ROKEACH Milton,The nature of human values, The Free Press, Collier Macmillan Publishers, 1973 SELYE Hans: The Stress of life; McGraw-Hill (Paperback)
SINGH, Big bang, Rizzoli, 2004 WEINBERG Steven, I primi tre minuti, Mondadori editore, 1977 WINNICOTT Donald Woods, The Family and Individual Development, Routledge 1990