Barbara Graneris
Ricomincio da te
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Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write http://write.streetlib.com
A chi, nonostante tutto, trova sempre il coraggio di andare avanti.
PRIMA PARTE
1
Quando ti trovi a contemplare un paesaggio, come quello che ho io davanti in questo momento, ti manca il fiato. Attraverso la finestra vedo il mare blu e piatto, sembra una distesa d'olio. Il sole che sta tramontando all'orizzonte è arancione e giallo, mentre il cielo somiglia a un arcobaleno: una serie di colori, caldi e intensi, che si uniscono a formare sfumature mai viste prima. La natura è davvero stupefacente. Fisso il paesaggio e per la prima volta dopo mesi, mi sento a mio agio. Provo un senso di assoluta pacatezza, in completa sintonia col resto del mondo. La stanza intorno a me è vuota, ci siamo solo io e il mare. Stare sola con le mie sensazioni e i miei pensieri non mi dispiace, ma quando sento i suoi i avvicinarsi e fermarsi a fianco a me, capisco che lo stavo aspettando. «Ciao, Lu.» La sua voce. Da quanto tempo non la sentivo. «Ciao, Andre.» rispondo, mentre mi volto a guardarlo. Quasi un metro ottanta, con gli occhi color nocciola e i riccioli biondi ribelli, Andrea è davvero uno spettacolo. È il mio paesaggio personale. Resto a fissarlo per qualche istante, fino a quando non si volta e mi sorride. «Che stai facendo, Luce?» mi domanda. «Guardo il mare.» dico, tornando a fissare il paesaggio. Andrea scuote la testa. «Non intendevo in questo momento.» Fa una pausa e poi prosegue. «Cosa stai combinando? Perché non vivi più?» «Lo sai perché.» dico senza distogliere lo sguardo dal tramonto. Sento i suoi occhi addosso. Andrea si avvicina e mi prende la mano, e io poso la testa sulla sua spalla. «Puoi farcela, Lu.» mi sussurra dolce. Non è vero, penso. «Mi sei mancato. Resta qui con me, per favore.» lo supplico. Quando siamo insieme il mondo gira nel verso giusto, ma quando siamo
separati, nulla ha senso. Andrea si volta, prende il mio viso tra le mani e posa le sue labbra calde sulle mie; quando si stacca resta a guardarmi per alcuni secondi, con la fronte appoggiata alla mia. «Lo sai che non posso.» dice, stringendomi le guance. «Vai avanti, Luce. Hai il nome più luminoso dell'universo, ma ti sei spenta. Riaccenditi. Torna a sorridere, a vivere.» Chiudo gli occhi per assimilare le sue parole e sento gli occhi inumidirsi. «Sei venuto per dirmi addio, vero?» Andrea non mi risponde, ma i suoi occhi dicono che ho ragione. Faccio un lungo respiro, inalando l'odore della sua pelle per l'ultima volta. «Ti ricordi i nostri progetti?» mi chiede, e io annuisco. «Portali avanti, Lu. Fallo per entrambi.» Sto per rispondergli che non è così semplice, che senza di lui mi manca l'aria, che è come se mi avessero amputato una gamba, ma il rumore di un tuono mi fa girare di scatto verso la finestra. Il bellissimo tramonto si è appena trasformato in un temporale. Tuoni e fulmini invadono il cielo, e il mare, ora mosso, sembra che voglia inghiottire tutto tra le sue onde. Andrea mi tocca una guancia, mi sorride poi si volta e si allontana. Cerco di fermarlo ma ho le gambe pesanti e faccio fatica a muovermi. «Andrea!» urlo, ma lui è sempre più lontano. La stanza comincia a roteare vorticosamente; cerco di andare nella direzione di Andrea, ma un suono continuo ed insistente, cattura la mia attenzione… DRIIIIIN!! DRIIIIIN!! Apro gli occhi e vedo il soffitto della mia stanza color salmone. Sbatto le palpebre un paio di volte e capisco che il suono del camlo di casa mi ha riportata alla realtà. Mi alzo controvoglia e sbircio dalla finestra per vedere chi è: il postino. Qualunque cosa mi debba consegnare può aspettare, non ho voglia di fare le scale. Mi ributto sul letto e mi copro col piumone caldo; quando riemergo da sotto la coperta trovo il musetto simpatico del mio cane che mi lecca la faccia. «Sì, sì, buongiorno anche a te, Charlie.» dico ridendo. Un meticcio di media taglia, a macchie nere e marroni e buono come il pane, mi guarda divertito.
Charlie vive con noi da cinque anni. Mio padre l'ha trovato abbandonato in autostrada e appena è sceso dall'auto per soccorrerlo, è stato amore a prima vista. Mentre accarezzo le orecchie di Charlie, non posso non pensare al sogno che ho appena fatto. Non avevo mai sognato Andrea. È ato poco più di un anno da quell’orrenda serata, un anno dall'inizio del mio declino. Le sue parole continuano a ronzarmi in testa. Riaccenditi. Torna a sorridere, a vivere. Mi è apparso durante il mio sonno per farmi la predica, per spronarmi ad andare avanti con la mia vita. Andare avanti senza di lui, però, perché mi ha detto addio. Ma era solo un sogno. Un sogno come tanti altri, e allora perché sono così turbata? Forse perché Andrea ha ragione, mi sono spenta. Mi rigiro nel letto, sperando di trovare una posizione comoda, ma senza risultati, così mi fermo a fissare la parete di fronte a me. Una parete tappezzata di fotografie e di ricordi. I miei occhi si posano su una foto che ritrae me e Andrea a una festa. Lui mi cinge la vita con un braccio e insieme sorridiamo, ma mentre Andrea guarda verso l'obiettivo, io guardo lui, così bello e perfetto. Peccato che la vita sia così imprevedibile. Nell'ultimo anno è cambiata ogni cosa. La mia vita è stata investita da un ciclone, che ha distrutto tutti i miei progetti e mi ha resa gelatina. Sospiro frustrata. Forse è meglio iniziare questa nuova giornata e smettere di pensare. Scendo dal letto e mi infilo le mie pantofole di peluche. La casa è vuota, come sempre. I miei genitori sono via per lavoro e tornano solo a fine settimana alternati. Accendo la musica per colmare il silenzio e comincio a mettere in ordine i vestiti sparsi per la stanza. Sto per aprire la finestra per far cambiare l'aria, ma mi blocco. Resto imbambolata a fissare il mio riflesso nello specchio. Sono io? Vedo una ragazza che mi somiglia, non tanto alta, con gli occhi azzurri e i capelli color cioccolato. Faccio qualche boccaccia, mi tiro la pelle in viso, mi guardo da tutte le prospettive. Sì, sono io, eppure non mi ricordavo esattamente così. Ho le occhiaie e le guance scavate, e devo ammettere che ho perso diversi chili. Sono diversa rispetto alla ragazza delle foto della mia parete. Mi sto guardando per la prima volta dopo un anno, ed è come una secchiata d'acqua gelida in pieno volto. Per quanto tempo posso andare avanti in questo modo? Il dolore torna a galla, ma mentre mi siedo sul letto cerco di ricacciarlo indietro. Ho accettato quello che è successo, ma mi sono fermata a quell'evento, non ho provato a reagire, anzi, tutto quello che ho fatto è stato mollare ogni cosa e rintanarmi in casa, preda di attacchi di panico e dolori allo stomaco. Ho lasciato
gli studi e smesso di fare tutto. Se mi allontano per più di qualche metro da casa, spesso mi capita di essere colta dal panico con il cuore che accelera, il respiro affannato e le mani che tremano. Mangiare fuori casa è impensabile perché le fitte di mal di stomaco sono laceranti. La mia casa è diventata l'unico luogo dove posso stare tranquilla e sentirmi protetta. Da un anno non vado al cinema o ad un concerto, non mangio una pizza con le amiche e non faccio shopping. Gli eventi mi hanno travolta e l'unica cosa che sono riuscita a fare è stata sopravvivere come un'automa. Un anno della mia vita buttato così. I miei genitori e i miei amici mi sono stati accanto e hanno provato a spronarmi ad andare avanti, ma senza riuscirci. Andare avanti significa lasciarsi Andrea alle spalle ed io non voglio, ma è stato proprio lui stanotte a dirmi che devo farlo. Serviva lui per ricordarmi che vivere è tutta un'altra cosa? Che non posso continuare a nascondermi nella mia camera e vedere la mia vita che mi scorre davanti senza fare nulla per viverla? Queste consapevolezze mi fanno male. Ho vissuto l'ultimo periodo chiusa in una bolla di sapone, isolata dal mondo esterno, dove ho convissuto solo col mio dolore e le mie paure. Ma oggi la bolla è scoppiata. Sono agitata, le mani cominciano a tremarmi, ma so che se non provo a rialzarmi adesso da questa situazione, potrei non riuscirci mai più. Guardo per l'ennesima volta le foto e mi soffermo su una in particolare. Andrea è in spiaggia con le braccia allargate di fronte al mare. Ricordo con chiarezza quella giornata e anche le parole che mi disse mentre eravamo seduti sulla sabbia. “Il mare non è poi così speciale, Lu. È troppo vasto ed è troppo salato. E comunque lo guardi sarà sempre e solo mare, mentre tu ed io siamo liberi di scegliere cosa essere”. Ho scelto io di rassegnarmi. Ho scelto io di stoppare la mia vita e di vivere isolata dal mondo. Devo scegliere io di ripartire. Sì, dipende tutto da me. Scendo di corsa le scale e mi precipito in cucina. Mia madre me lo aveva proposto qualche mese fa, ma io avevo scartato l'idea. Ora penso di averne bisogno, perché da sola non credo di farcela. Frugo dentro qualche cassetto fino a quando non trovo un bigliettino da visita. Psicologo Robert Menotti Compongo il numero e dopo un breve dialogo ottengo un appuntamento per la prossima settimana. Ho scelto di provarci. Grazie Andrea.
2
Il freddo invernale mi punge il viso. Ho il naso e le orecchie congelate, le guance arrossate e inoltre piove, ed io odio la pioggia. Mi mette tristezza e rende gli spostamenti complicati. Se sei in auto e sei per strada, ti ritrovi imbottigliato nel traffico, dato che le persone tendono a entrare nel panico quando guidano con la pioggia. Vanno avanti lenti e frenano di continuo, come se avessero paura di perdere il controllo della macchina da un momento all'altro, ma non è la pioggia a causare gli incidenti, bensì chi guida. Se invece sei un pedone, ti va anche peggio. Per quanto ti copri con gli impermeabili e l'ombrello, qualche schizzo di pioggia ti arriva sempre addosso, e se una macchina ti a a fianco ando su una pozzanghera, ti ritrovi completamente inzuppato. Nel paesino in cui abito io, a pochi chilometri da Torino, i vicoli sono stretti e le strade piene di buche, perciò è facile uscire di casa asciutti e rientrare fradici. Sto per andare alla mia prima seduta dallo psicologo e sono preda dell'agitazione. So che dovrò ripercorrere tutto quello che mi è successo, ricordare i momenti felici ma soprattutto quelli dolorosi, e la crisi che mi è presa due giorni fa dal panettiere è un chiaro segno che non sono pronta a farlo. Avevo voglia di focaccia, così sono andata nella panetteria di Angelo, che è solo a cinquanta metri da casa mia. Davanti a me avevo quattro persone e un bambino di circa tre anni, che stava giocando con un soldatino mentre attendeva il suo turno con la mamma. Ho guardato quel bambino sereno e dall'aria spensierata, e solo per un secondo, ho pensato che sarebbe bello poter tornare così, piccola e senza preoccupazioni, invece di essere nel bel mezzo di una tempesta che non termina mai. Un pensiero di troppo che mi ha scatenato una fitta lancinante allo stomaco togliendomi il respiro. Angelo mi ha guardato e sicuramente stava per chiedermi se stavo bene, ma non gliene ho data l'occasione perché in un lampo sono uscita dal negozio. Ho corso dritta verso casa e mi sono chiusa in camera, dove sono rimasta a fissare il soffitto per il resto della giornata. È a causa di questi attacchi di panico che ho smesso di uscire da casa. All'inizio pensavo fossero solo episodi, ma poi sono diventati sempre più frequenti, e la paura che potessero prendermi in qualsiasi momento mi ha paralizzata. La mia paura ha
prevalso su di me, mi ha messa in ginocchio e mi ha sovrastata. Spero che lo psicologo possa aiutarmi a sconfiggerla, anche se oggi la pioggia non aiuta il mio stato d'animo. Ma il Dr. Menotti mi aspetta, così infilo le cuffie e mi dirigo all'appuntamento. Lo studio dello psicologo somiglia a quelli che si vedono nei film. Un ampio salotto con una poltrona e un divanetto. Nella parete di fianco al divano c'è una finestra che dà sul retro del palazzo e mostra un'ampia fetta di cielo grigio. Un largo tappeto rettangolare sul pavimento, una scrivania con delle scartoffie sopra e una libreria colma di volumi completano l'arredamento. Lo psicologo è seduto sulla poltrona di fronte a me, con un taccuino in mano e mi osserva sorridente. È un bell'uomo di circa quarant'anni, con i capelli brizzolati e gli occhi scuri. «Dunque Luce, vuoi spiegarmi perché sei qui?» Rifletto qualche secondo prima di rispondere. Da dove comincio? «Sono qui perché spero che lei possa aiutarmi.» dico semplicemente. «Ti serve il mio aiuto per cosa?» mi domanda lui. Penso al sogno e alle parole di Andrea. «È da un anno che ho smesso di vivere e non esco più di casa. Soffro di attacchi di panico e la mia vita è pervasa da mille paure.» dico di getto. Ho le mani sudate e sono davvero nervosa. Guardo fuori dalla finestra, e mi accorgo che non piove più. Mi sento anormale rispetto al resto del mondo. Gli eventi negativi fanno parte della vita, giusto? E allora perché io sono l'unica a non riuscire ad accettarlo? Lo psicologo si accorge del mio stato d'ansia e quando torna a parlare ha un tono molto gentile. «Tranquilla, Luce. Io non ti giudico, anzi, sono qui per cercare di aiutarti.» mi spiega. «Ora, ti va di raccontarmi cosa ti è successo nell'ultimo anno?» «Da dove parto?» domando. «Parti dal principio.» mi suggerisce lui. Io so che è Andrea il motivo per cui sono qui oggi, ma se devo raccontare quello che è accaduto, sono obbligata a partire da più lontano. Così accetto il suo consiglio e comincio a parlare di un altro ragazzo.
3
Diciotto mesi prima Anna e Cecilia, le mie amiche, sono davvero due ragazze piene di sorprese. Un'ora fa ero a casa, intenta a studiare per l'interrogazione di inglese, quando sono piombate in camera mia e mi hanno rapita, letteralmente. Mi hanno fatta lavare e vestire e senza ascoltare ragioni mi hanno caricata in macchina per portarmi da Luca. «Questa è una pazzia. Se Luca volesse parlarmi potrebbe chiamare.» dico chiaramente irritata, seduta al posto del eggero. Non mi piace questa situazione, e il mio sesto senso mi sta inviando dei chiari segnali da giorni ormai. «Tranquilla Lucciola, vedrai che Luca sarà contento di vederti e potrete chiarire.» mi dice Anna, mentre si ferma a uno stop. Io ho i miei dubbi, ma non li espongo ad alta voce. Cecilia annuisce dal sedile posteriore, senza mai staccare gli occhi dal suo smartphone. «Ma sì, Lucy, al massimo entro stasera torni single.» Anna scoppia a ridere e io alzo gli occhi al cielo. «Tu sì che sai come incoraggiarmi, Ceci.» rispondo in preda all'esasperazione. Le mie due migliori amiche sono totalmente l'opposto di me, ma entrambe giocano un ruolo fondamentale nella mia vita. Anna è il mio porto sicuro, è sempre pronta ad offrirmi il suo aiuto e a darmi dei consigli. I suoi occhi dolci nascondono una personalità insicura, ma allo stesso tempo determinata e tende a non arrendersi mai. Cecilia, invece, è ossessionata dal look. Abbina gioielli e smalti ai vestiti ed è sempre incollata al suo cellulare. Sa tutto di tutti, ma nonostante la sua aria da superficiale, quando sei giù di morale, lei è lì, pronta a farti ridere con qualche battuta idiota.
Sono le mie anime gemelle al femminile e non potrei mai rinunciare a loro, anche se rinuncerei volentieri ai nomignoli con cui mi chiamano. «Dai Cecilia, non le dire così, altrimenti le vien voglia di buttarsi fuori dalla macchina in movimento.» ironizza Anna, ma quasi quasi lo faccio davvero. Non voglio vedere Luca perché sento che mi sta nascondendo qualcosa, solo che non so ancora cosa. Ci siamo conosciuti ad una festa di un amico in comune ed è subito scoccata la scintilla. Stiamo insieme da qualche mese e nonostante alcune incomprensioni, ho sempre pensato che la nostra relazione fosse stabile. Da un paio di giorni, però, Luca è diventato freddo e distaccato, dimenticandosi anche del mio compleanno e smettendo di scrivermi e di farsi vedere. Vista la mia rassegnazione al suo comportamento, Anna e Cecilia hanno deciso di farci incontrare, dicendomi che se c'è qualcosa che non va, lui deve avere il coraggio di dirmelo in faccia, e che non è ammissibile che non mi abbia fatto gli auguri. Ma il mio sesto senso non sbaglia mai e io so che c'è qualcosa sotto. Quando arriviamo a casa di Luca e troviamo le luci spente, tiro un lungo sospiro di sollievo. «Ragazze non c'è, possiamo tornare a casa.» Faccio per dirigermi verso la macchina, ma Anna mi blocca e mi sfila il cellulare dalla tasca; cerca il suo numero e avvia la chiamata, poi mi a il telefono e al terzo squillo Luca risponde. «Ehi ciao!» dice in tono allegro. Non mi risponde da giorni, doveva farlo proprio ora? Le mie amiche mi guardano e mi invitano a parlarci. «Ehm, ciao. Io sono fuori da casa tua.» dico impacciata. «Davvero? Allora aspettami che arrivo.» Dopo una manciata di minuti, Luca mi appare davanti e mi fissa con i suoi meravigliosi occhi azzurri. «Be', noi andiamo a fare un giro, voi parlate.» dice Cecilia. Vorrei supplicare le mie amiche di restare, ma ormai si sono già allontanate. Luca mi sorride e si avvicina per darmi un bacio, ma ha un sapore strano e non mi convince. Poi senza che io dica nulla, lui comincia a parlare. «Scusami Luce se negli ultimi giorni sono stato poco presente, ma ho troppi pensieri per la testa e non è proprio periodo.» Lo guardo incredula e poi scoppio in una risata isterica. «Come scusa? Non è periodo? Cosa vuol dire? Io mi sto preparando per l'esame di maturità e vivo praticamente da sola, e tu che non fai nulla per tutto il giorno, non trovi nemmeno il tempo per mandarmi un messaggio di auguri per il mio compleanno!» sbraito, agitando anche il mio dito indice sotto il suo volto. Sono io quella che ha mollato lo studio per vederlo e cercare di chiarire, e ora lui mi dice che ha troppi pensieri per la testa? «Il tuo compleanno?» Luca mi guarda sbalordito. «Oddio perdonami, Luce.
Sono un cretino.» dice in tono supplichevole. «Sì, lo sei.» confermo subito. Lui mi sorride e mi abbraccia. «Mi farò perdonare, vedrai.» L'unica cosa che ho visto cinque giorni dopo, sono delle foto di Luca che bacia con ione un'altra ragazza. Le ha messe su Facebook, senza prendersi il disturbo di dirmi che tra noi era finita. Ecco cosa tormentava i suoi pensieri. Anna e Cecilia volevano andare a prenderlo a casa per staccargli la testa, e non solo, ma io ho detto di lasciare stare. Che senso ha rincorrere un ragazzo che non ti vuole più? Dentro di me forse sapevo che la nostra storia stava arrivando al capolinea, non eravamo mai stati molto compatibili. Perfino i nostri nomi accostati suonavano male! Ma per quanto Luca sia stato uno stronzo patentato, devo ringraziarlo, perché di lì a qualche mese, avrei scoperto cosa significa realmente amare ed essere amata. *** Oggi Quando ho finito di parlare, il Dr. Menotti annota qualcosa sul suo taccuino, e io ho qualche secondo per perdermi tra i miei pensieri. Parlare di Luca non mi fa più nessun effetto, ormai è ato. Il suo tradimento sotto gli occhi di tutti, però, mi ha fatto male, perché mi sono sentita umiliata e in difetto. Lui è stato il mio primo vero ragazzo ma so che i miei sentimenti per lui non erano amore. Amare una persona è tutta un'altra cosa, ora lo so. Quando alzo gli occhi, trovo Robert che mi sta fissando. Imbarazzata cerco di ricompormi, e mi metto dritta con la schiena sul divanetto che, ad essere sinceri, non è nemmeno molto comodo. «Quindi tu credi nell'amore, giusto?» mi domanda. «Sì, certo.» rispondo sincera. Lo psicologo sorride. «Ci credi, ma non pensi di poterlo ricevere?» «Preferisco non riceverlo più se è come quello che mi è stato offerto fino ad oggi. Mi accontento dell'affetto dei miei parenti e amici.» Ed è realmente quello che penso. Mi sono convinta che l'amore che ho provato durante la mia vita sia un amore malato, un amore infetto. Un tipo di amore che mi ha contagiata e annullata, fino a farmi diventare un mollusco.
«Sai Luce, tu sei giovane e la vita spesso ci mette alla prova, ma ricordati che come la vita toglie, la vita può dare. Ha sempre un piano di riserva, e il fatto che tu creda ancora nell'amore, dimostra che dentro di te hai la speranza di rincontrarlo un giorno. Non credi?» «Non so. Non ci ho mai pensato.» «Sono sicuro che tornerai a sorridere, basta fare un o alla volta.» conclude il Dr. Menotti. E mentre ascolto le sue parole, non posso far altro che sperare che abbia ragione. Dopo quasi due ore di seduta psicologica torno a casa con un gran mal di testa e con un mix di emozioni che mi turbina nel petto. Vista la giornata fredda e piovosa, non mi resta che bere un tè caldo e guardarmi un film. Opto per P.S. I love you e rischio di finire annegata nelle mie stesse lacrime. Come ha fatto la protagonista ad andare avanti e a ripartire da zero? Mi piacerebbe chiederle il trucco. Il mio cellulare squilla e rispondo con ancora gli occhi lucidi. «Ciao, Lucciola. Com'è andata dallo psicologo?» È Anna. Ormai è diventata una seconda mamma per me. Mi chiama almeno un paio di volte al giorno, e ogni tanto si presenta senza preavviso a casa mia per accertarsi che mi stia nutrendo adeguatamente. È grazie a lei se nell'ultimo anno non sono crollata del tutto. «Ciao, tesoro. La seduta è andata bene anche se è stata strana.» dico con la voce impastata dal pianto. «Ma stai piangendo?» mi domanda subito allarmata. «Ho appena finito di guardare P.S. I love you.» La sento sbuffare. «Ma perché non ti guardi una bella commedia, invece di farti del male con questo genere di film?» In effetti ha ragione, farmi una risata sarebbe stato senz'altro meglio, ma anche un pianto a volte è liberatorio, no? «Sai, lo psicologo mi ha detto che un giorno ritornerò ad amare.» dico, mentre sprofondo sul divano. Anna tace per qualche secondo. «Lo sai che ha ragione.» No, non lo so e in questo momento mi viene anche difficile crederlo. «Lucciola so cosa pensi, ma credimi che lui vorrebbe che tu andassi avanti.» Sposto la cornetta da un orecchio all'altro. Queste parole le ho sentite un centinaio di volte, Andrea stesso mi è apparso in sogno per dirmele. Ma è quello che sto provando a fare, sto cercando di andare avanti, solo che dietro di me continuo a trascinarmi un macigno enorme. «Lo so. E hai ragione Anna, per questo sto andando dallo psicologo. Spero che
mi aiuti.» Dopo la telefonata di Anna, il mio cellulare suona di nuovo. E dopo una breve conversazione con mia madre, la casa piomba in un silenzio assordante.
4
La settimana trascorre veloce e finalmente il sabato sera i miei genitori tornano a casa. È bello avere della compagnia. Se non fosse per Charlie, probabilmente sarei già impazzita. So che i miei genitori si sentono in colpa perché non sono molto presenti, soprattutto vista la mia situazione, ma so anche che mi amano con tutto il cuore. Ci sediamo a tavola tutti insieme e chiacchieriamo del più e del meno. Sono davvero contenta di vederli. «Allora, come ti sembra il Dr. Menotti?» mi domanda mia madre. «Mi sembra bravo, ma l'ho visto solo una volta quindi è presto per valutare.» dico, masticando un boccone di pollo. «Pensi che ti possa aiutare?» interviene mio padre. «Lo spero.» rispondo. Loro si scambiano un'occhiata e l'argomento termina lì. È chiaro che è troppo presto per valutare il potere delle sedute psicologiche, ma sono preoccupati e sperano che io torni la figlia allegra e spensierata che ero un tempo. Dopo cena ci accomodiamo in salotto per guardare un film, e mio padre accende il camino. Charlie mi si accoccola a fianco sulla poltrona grigia, mentre i miei genitori si siedono vicini sul divano. Stanno insieme ventiquattro ore al giorno, fanno tutto insieme, eppure sembra che non ne abbiano mai abbastanza l'uno dell'altra. Trasudano amore da tutti i pori. Quando eravamo piccoli, io e Nicolò, mio fratello, avamo il tempo a spiarli, a osservare i loro gesti d'amore e a come facevano subito pace anche dopo una discussione. E più di una volta ci siamo detti che saremmo stati fortunati se nella vita avessimo incontrato anche noi un amore come quello dei nostri genitori. Mio fratello vive lontano, a Londra, dove gestisce un piccolo pub. Mi dice sempre che è felice della sua vita ma che a volte gli manca qualcosa. Spero che un giorno possa trovare una brava ragazza che gli faccia battere il cuore, così come è capitato a me. Mi tornano in mente le parole di Robert e penso che abbia ragione. Io non ho mai smesso di credere nell'amore, ma sarò in grado di provarlo di nuovo? Se esiste un'altra anima gemella per me, riuscirò a non farmela scappare? Per scoprirlo devo cercare di uscire da questo mio periodo buio, anche se non so come. Lo scoppiettio del fuoco mi riporta al presente, e quando mio padre preme il tasto play, decido di rimandare tutti i miei
pensieri a un altro giorno. *** Gli attacchi di panico sono meno frequenti ultimamente, ma non sono spariti, e le fitte allo stomaco sono sempre in agguato. Le mie giornate trascorrono tutte uguali e la mia routine viene interrotta di tanto in tanto da qualche visita di Cecilia o Anna, sempre pronte ad aiutarmi in qualche modo. Un tempo non mi fermava nessuno. Ero sempre a so per il mondo. Concerti, cene fuori, discoteche e cinema, e mille altre cose, mentre ora non riesco a mettere il naso fuori di casa per più di dieci minuti, salvo che per le sedute dal Dr. Menotti. Questo weekend i miei genitori non tornano a casa, ma Cecilia ha detto che erà a farmi compagnia. Mentre l'aspetto, leggo per la ventesima volta il libro La scelta. È un libro che mi fa sempre riflettere. Ogni scelta nella vita comporta delle conseguenze, anche le scelte non fatte ne hanno. Ma siamo sempre noi a scegliere o a volte è la vita che lo fa al posto nostro? Basta un'indecisione di troppo, e la vita sceglie per te, e tu devi solo adattarti. Se il protagonista del libro avesse ascoltato i suggerimenti degli altri, probabilmente non avrebbe avuto il suo lieto fine. Ma nella vita reale non sempre c'è il lieto fine, soprattutto nel mio caso. Suona il citofono e quando vado ad aprire mi trovo davanti una Cecilia sorridente ma visibilmente turbata. «Ciao Lucy, scusa il ritardo.» dice, entrando. Mi abbraccia calorosamente, poi si leva il giaccone e quando si volta, mi fissa con due occhi castani enormi. «Stai bene?» le chiedo preoccupata. «Ho trovato una cosa.» mi dice. La guardo interrogativa. Un camlo d'allarme si accende nella mia testa, questa situazione non mi piace. «Te la faccio vedere, ok?» Prende il mio computer portatile e inserisce la sua chiavetta. Digita alcuni tasti e dopo qualche secondo parte un video. Sono sconvolta. Rivederlo nella sua bellezza e sorridente fa male. Un male atroce. Le immagini scorrono, e ci siamo tutti. Io, Anna, Cecilia, Richy, tutti gli altri nostri amici, e poi c'è Andrea. È vestito elegante, porta una camicia bianca che gli mette in risalto i muscoli, e ha i capelli tirati su col gel. Io a fianco a lui, ho un vestitino nero e i capelli lisci e sciolti che mi cadono sulle spalle. È il video della sua festa di compleanno. Guardo Cecilia. «L'ho trovato nel mio computer stamattina. Non ricordavo
nemmeno di averlo.» Annuisco e torno a fissare lo schermo. I nostri sorrisi mostrano quanto la festa a sorpresa per Andrea sia ben riuscita, e quanto tutti ci stiamo divertendo. All'improvviso si spengono le luci e qualcuno appare dal fondo con una torta enorme con le candeline accese. Iniziamo ad intonare Tanti auguri a te e Andrea spegne con decisione le venti candeline di fronte a sé. Parte l'applauso e quando comincio a tagliare la torta, Andrea arriva e mi abbraccia da dietro. Nel video si vede esattamente il momento in cui lui prende una fetta di torta piena di panna e me la spalma diritta in faccia. Da quel momento la festa si trasforma in una guerra, dove tutti alla fine sono imbrattati di glassa e crema. Nella mia camera ho delle foto di quella serata. Ricordo anche che dopo l'apertura dei regali, Andrea mi ha presa per mano, e siamo usciti a prendere una boccata d'aria fresca. Essendo Andrea leggermente brillo, ci siamo seduti su una panchina a guardare il cielo stellato. Ho appoggiato la testa sulla sua spalla e lui mi ha stretta a sé, facendo scomparire tutto il resto. «Grazie della bella festa, Lu.» mi ha sussurrato. «Non c'è di che.» gli ho risposto, aggiustandogli un ciuffo ribelle. Siamo rimasti così, stretti e isolati dal mondo, fino a quando qualcuno non è venuto a reclamare la presenza del festeggiato. Non abbiamo mai avuto bisogno di troppe parole, ci bastava stare insieme per essere felici e tranquilli. Sono senza fiato per la potenza del video e del ricordo che è appena riaffiorato. Cecilia mi guarda e noto che anche nei suoi occhi c'è un velo di tristezza. «Fa strano vederlo.» dico con un mezzo sorriso. Lei annuisce. «Ne hai già parlato con Robert?» mi chiede. Scuoto la testa. Non siamo ancora arrivati a lui, e probabilmente non sono ancora pronta per parlargliene. «Capisco.» Cecilia spegne il computer poi si ricompone facendomi un largo sorriso. «Che ne dici di una crêpe alla nutella?» Sorrido. «Mi pare un'ottima idea.» Quando la malinconia o la tristezza prevalgono in serate come queste, finiamo sempre a mangiare della cioccolata. Perché come dice Cecilia: «Il cioccolato è il rimedio migliore per ogni dolore della vita, o quasi.» *** Questa mattina ho la quarta seduta col Dr. Menotti. È ato un mese da quando ho iniziato e devo dire che qualche piccolo miglioramento c'è stato. Inizio ad essere un po' più serena e tranquilla, ma la strada da percorrere è ancora lunga.
Negli incontri precedenti abbiamo scavato nel mio ato, nella mia infanzia e ci siamo soffermati ad analizzare le mie emozioni riguardo al tradimento di Luca e a cosa provavo realmente per lui. Abbiamo parlato di come gli amici e la mia famiglia abbiano reagito alla mia attuale situazione da eremita. Non sono più nervosa come la prima volta, ma non so mai cosa aspettarmi dalle sedute. «Come stai oggi, Luce?» mi domanda Robert dalla sua poltrona. «Sto bene, grazie.» «E come vanno gli attacchi di panico e il mal di stomaco, ora che è quasi ato un mese da quando ci vediamo?» «Sono diminuiti, e questo è già un enorme miglioramento, però non riesco ancora ad allontanarmi troppo da casa.» dico un pochino scoraggiata. A livello emotivo comincio a stare meglio, ma a livello pratico non c'è stato nessun cambiamento. Lo psicologo annota qualche appunto sul suo taccuino. «E le tue giornate tipo come sono?» chiede. «Noiose.» dico, sospirando. «Sono tutte uguali. Mi alzo, metto in ordine, mangio, guardo dei film, leggo e ascolto musica. Vado a fare la spesa solo se mi manca qualcosa di strettamente necessario, e di tanto in tanto le mie amiche vengono a farmi compagnia.» Mentre parlo mi rendo conto di quanto sia inutile la mia vita. Non combino niente, e ripeto gli stessi gesti tutti i giorni. Vivo come intrappolata in una gabbia che mi sono costruita da sola. «E cosa provi di solito?» continua Robert. Mi stringo nelle spalle. «Be', provo quasi sempre nostalgia per il mio ato. Prima ero sempre felice, mentre da un anno mi sento quasi anormale. Vedo le altre persone andare avanti mentre io resto immobile.» Il Dr. Menotti posa i suoi occhi marroni su di me. «Tu non sei assolutamente anormale, Luce. E non devi mai pensarlo. Sei solo in un periodo negativo della tua vita.» dice serio. «Sì, può essere, ma io proprio non riesco a uscire da questo periodo. Sento la vita che mi scivola dalle mani. Mi sembra di essere in autostrada, con la macchina in panne, e mentre tutti mi sfrecciano a fianco e seguono la strada davanti a loro, io sto ferma, incapace di muovermi.» Robert ascolta le mie parole con attenzione, mentre i miei occhi diventano lucidi. Ci sto provando in tutti i modi, ma non riesco ancora a intravedere la fine del tunnel. Le mie mani sudano, così faccio un respiro profondo per cercare di rilassarmi. «La vita spaventa, Luce, ma è degna di essere vissuta. Solo che fino a
quando non accetterai quello che ti è successo, perdonando te stessa e il fato, non riuscirai ad andare avanti.» Alzo gli occhi e fisso l'uomo di fronte a me. In questo preciso istante capisco che lo psicologo lo sa, sa che sto tentando di tenere nascosto qualcosa. Sa che c'è un valido motivo se sto così, ma non dico nulla e lui prosegue. «Non pensi mai al futuro, Luce?» mi domanda di punto in bianco. No. Il mio futuro non ha consistenza, è tutto grigio. Per come la vedo io, tra dieci anni potrei ancora essere chiusa in camera mia con solo Charlie a farmi compagnia. «Faccio fatica a concentrarmi sul presente. Pensare al futuro mi è impossibile.» ammetto con un nodo in gola. Odio apparire così fragile. «Non hai dei progetti?» mi chiede ancora Robert. «Li avevo. Ma ormai non ci sono più. È come se fossero stati bruciati e trasformati in cenere.» La realtà è che io ho una vita, ma non so cosa farci. Potessi la regalerei a qualcuno che ha voglia di godersela. «So che per te è difficile, ma se vuoi tornare a stare bene, devi pensare a cosa fare.» «Lo so, ma...» Lascio la frase incompleta. «Pensi di non riuscirci?» Annuisco. Tutti hanno uno scopo nella vita, mentre io no. Sono bloccata perché tutto quello che avevo di importante se n'è andato e quello che volevo per il futuro è irrealizzabile. Non so più quale sia la strada da intraprendere, l'ago della mia bussola gira all'impazzata. Il Dr. Menotti mi guarda serio. «Devi riuscire ad affrontare la realtà. Lascia che il tuo dolore esca fuori, Luce. Devi lasciar uscire fuori tutto ciò che senti. Urla, scrivi, piangi. Sfogati. Solo così posso aiutarti. Pensaci, ok? Perché è esattamente da qui che ripartiremo la prossima settimana.» Quindi ci siamo. Presto dovrò raccontare quello che è successo, il reale motivo per cui sono così oggi, il motivo per cui tutte le sere abbraccio il cuscino per soffocare le lacrime e il senso d’abbandono. E la sola idea mi attanaglia il cuore. *** Tornata a casa sono davvero distrutta. Mi sento spossata e ho perso tutte le
energie. L'idea della prossima seduta da Robert e di ciò che potrebbe emergere mi fanno venir voglia di chiudermi in camera con il volume della musica al massimo e tappare i miei pensieri. Apro la porta di casa e Charlie mi viene ad accogliere scodinzolando. «Ciao, piccolo. Ora ti do la pappa, d'accordo?» Charlie mi lecca tutta la faccia in segno di approvazione. Dopo avergli dato da mangiare, salgo in camera mia e mi sdraio sul letto. Non mangio da ieri sera, ma il mio stomaco non reclama cibo. È silenzioso come le mura che mi circondano. Fisso il soffitto, e tutte le parole dello psicologo mi rimbalzano in testa senza darmi pace. Guardo la parete con le foto e penso che vorrei poter tornare indietro nel tempo. Vorrei che Andrea fosse qui. Vorrei rannicchiarmi tra le sue braccia e sentirmi dire che starò di nuovo bene. I miei occhi spostano la loro attenzione sullo scaffale vicino alla libreria, in particolar modo su una scatola di legno. Mi alzo dal letto e la prendo tra le mani. Soffio via lo strato di polvere che si è depositato sopra, e mi siedo sul pavimento a gambe incrociate. Con un bel sospiro la apro e comincio a frugarci dentro. Tagliandi del cinema, biglietti d'auguri, alcune fotografie, e un portachiavi. Sposto i due biglietti aerei per Parigi, e trovo la busta. Sfioro la sua calligrafia con un pollice, poi la apro e tiro fuori la lettera, ancora in buone condizioni. Ehi Luce dei miei occhi! Lo sai che a voce non riesco mai ad esprimere i miei sentimenti, così spero di esserci riuscito con carta e penna. Sembra ieri che eravamo piccoli, due bambini inseparabili che avano il tempo a rincorrersi. Abbiamo trascorso la nostra infanzia insieme, condividendo ogni piccola nuova esperienza. Tu e la tua famiglia eravate la mia salvezza, il mio porto sicuro, dove scappavo quando le liti dei miei genitori diventavano insopportabili. Correvo da te, e quando aprivi la porta, mostrandomi il tuo sorriso sdentato mi accoglievi sempre dicendomi: “Giochiamo a Piedino e Tricky?”. Io accettavo e partivamo all'avventura. Abbiamo guardato quel cartone mille volte e sapevamo le battute a memoria, per questo ci piaceva interpretare i due piccoli dinosauri. Nel cortile di casa tua sono nati giochi di ogni genere, e noi correvamo, gridavamo e ridevamo. Galoppavamo via con la fantasia, in posti inventati da noi, lontani da tutto e tutti, solo io e te. Crescendo siamo diventati sempre più
complici, e il nostro rapporto si è rafforzato sempre più anche se il tempo da are insieme era diminuito. Io ho sempre saputo che su di te potevo contare, così, quando a sedici anni i miei genitori si sono separati, io sono corso da te, e quando hai aperto la porta mi sono trovato davanti la donna stupenda che stavi diventando e che da qualche parte nascondeva ancora la bambina sdentata. Hai aperto le braccia e mi hai accolto contro di te, mi hai tenuto stretto tutta la sera mentre mangiavamo patatine e guardavamo una maratona di qualche stupido telefilm. La vita però è strana, e senza nemmeno rendermene conto ti ho persa, proprio nel momento in cui stavo iniziando a capire cosa provavo per te. Mi sei scivolata via dalle mani come una saponetta, e quando ho iniziato ad uscire con Monica, ti sei staccata da me definitivamente. Ora so perché l'hai fatto. Mi hai lasciato andare per rendermi felice, ma non sai il male che mi hai provocato. Ricordi quando giocavamo a nascondino? Nonostante il tuo cortile offrisse decine di nascondigli diversi, te sceglievi sempre lo stesso. E io ti trovavo. Ti trovavo sempre, Luce. Un giorno ti ho chiesto di provare a nasconderti in un altro posto, e tu con i tuoi occhi azzurri mi hai guardato tutta seria e preoccupata. “Ma se io cambio nascondiglio, tu come fai a trovarmi?”. Beh, amore mio, sono davvero contento che tu non lo abbia mai cambiato, perché ora che ti ho ritrovata, non ti faccio più andare via. Monica e Luca sono stati solo la strada che ci ha riportati l'uno nelle braccia dell'altra. Ora sei mia, e se tu lo vorrai lo sarai per sempre. Sei il mio tutto Luce, lo sei sempre stata, solo che ci ho messo tanto tempo a capirlo. L'altra notte, mentre ti guardavo dormire, ho capito quanto tempo ho sprecato, tempo che avremmo potuto are insieme. Certo, esserti amico era già bello e pensavo mi bastasse, ma non si può essere solamente amici della propria anima gemella. Ti ho promesso che tra qualche anno ce ne andremo. Il mondo è vario, e merita di essere vissuto. Andremo ovunque, e tutti i posti saranno casa finché staremo insieme. Scusami se ci ho messo tanto a capire cosa volevo, ma d'ora in poi le cose non potranno che migliorare. Tu sei la mia luce, Luce. Senza di te è tutto buio, ma
ora che so che il nostro futuro è insieme, è tutto illuminato. Ti amo, Andrea. Poso i fogli per terra e resto a fissarli per qualche istante portandomi le ginocchia al petto. Due gocce cadono dal mio viso e si posano sulla lettera, sbiadendo qualche parola. Mi asciugo gli occhi con la manica del maglione, e come se Charlie avesse capito, viene a posare il muso sulla mia coscia. «Manca tanto anche a me.» gli dico, mentre gli accarezzo la testa. Questa lettera rappresenta tutto ciò che non c'è più e tutto ciò che non potrà mai esserci. È arrivata dopo. È arrivata troppo tardi. Ripongo tutto nella scatola e la rimetto al suo posto sullo scaffale. Il Dr. Menotti ha ragione. Devo vivere il dolore per avere la possibilità di andare avanti. Così, dopo tanto tempo, la mia mente si apre, e tutti i ricordi, le risate e i momenti insieme, tornano a galla.
5
Diciotto mesi prima Le settimane successive alla rottura con Luca ano lente e monotone. Più penso a quello stronzo, più mi rendo conto che forse, alla fine, non ho poi perso così tanto. Luca mi piaceva ma definirlo amore mi pare esagerato. Era semplicemente un'infatuazione, anche se essere umiliata pubblicamente su un social network ha reso le cose difficili da accettare. Così mi sono buttata a capofitto nello studio, dedicando il tempo libero alle mie amiche, che stasera hanno deciso di trascinarmi in discoteca per distrarmi, nonostante io abbia continuato a ribadire di stare bene. Ragione per cui ora mi ritrovo davanti all'armadio alla ricerca di qualcosa di adatto da mettere. In discoteca la maggior parte delle ragazze tende a mostrare più pelle possibile, fermamente convinte di risultare sexy e provocanti. Tutte ben truccate e con i tacchi alti, con la speranza di abbindolare quanti più ragazzi possibile. L'ultima cosa che io invece desidero da questa serata è di farmi notare da qualche ragazzo. Opto così per un look sobrio: un paio di pantaloni neri aderenti, una canotta color crema e una paio di ballerine basse e comode. Chi balla per tutta la notte con dei tacchi vertiginosi, è davvero fuori di testa! Mi faccio una coda di cavallo alta e metto un po' di terra sulle guance, un filo di matita nera agli occhi e mi guardo allo specchio. abile. Non sono mai stata una grande amante delle discoteche, ma la cosa che mi irrita di più è l'attesa. Un'ora di coda ad aspettare al freddo prima che il buttafuori decida di farti entrare. Guardo Cecilia coperta solo da un vestito a tubino color pesca, e vengo pervasa dai brividi. «Si gela accidenti!» dico. «Smettila di lamentarti Luce, sei quella più vestita qui!» mi risponde Cecilia acida, probabilmente snervata anche lei dall'attesa. Mi tiro su il colletto della giacca per coprirmi meglio. Anna si guarda attorno curiosa, come se stesse cercando qualcuno ed è talmente concentrata che sobbalza quando mi avvicino per parlarle.
«Tutto bene?» le chiedo. «Ehm... Sì, certo. Tranquilla.» mi risponde nervosa, mentre si aggiusta la minigonna nera. «Chi stai cercando?» Anna mi guarda come se l'avessi colta nel fatto. «Nessuno!» Alzo gli occhi al cielo. Certo, come no. Le lancio il mio sguardo guarda che non mi freghi e lei arrossisce. «Sto aspettando Richy.» ammette. Le mie orecchie devono aver capito male. RICHY?! Strabuzzo gli occhi incredula. «Richy il ragazzo che odi? Lo stesso ragazzo che andava a dire in giro che eri una ragazza facile? Quel Richy?» Anna annuisce e io non posso crederci. La guardo senza parole, mostrando tutta la mia perplessità. «È cambiato. Non è una cattiva persona se provi a conoscerlo. E io e lui stiamo uscendo insieme da un paio di settimane. Ti prego Lucciola, non dirmi anche tu che sto sbagliando.» Ha gli occhi che brillano e il colore roseo delle sue guance mi fa capire che le piace davvero. Mi sono sempre fidata della capacità di giudizio di Anna, perciò chi sono io per stroncare la nascita di un nuovo amore? Mi avvicino e l'abbraccio stretta, poi le sorrido. «Spero solo per lui che sia diventato un agnellino, altrimenti sarò costretta ad ucciderlo!» Scoppiamo a ridere complici, mentre Cecilia ci raggiunge. «Ragazze ci siamo. Ci fanno entrare.» Finalmente, penso. Rischiavo di diventare un ghiacciolo. Una volta fatta la coda anche per posare le giacche, possiamo dirigerci verso la pista da ballo. Le discoteche non mi fanno impazzire perché sono sempre troppo caotiche, e le persone quasi tutte ubriache. Si sta tutti ammassati in pista, strettissimi, e in questo modo gli strusciamenti casuali sono sempre molto frequenti. Le luci mi rendono quasi cieca e il volume assordante della musica mi fa fischiare le orecchie, ma nonostante tutto, mi trovo a sgambettare e ad alzare le braccia a ritmo della musica. La serata sta trascorrendo velocemente e mi sto davvero divertendo. Le mie amiche hanno fatto bene a trascinarmi fuori di casa. Anna sta ballando con Richy, che con mio grande sollievo, sembra davvero diverso. Io e Cecilia balliamo vicine, pronte ad allontanare qualsiasi ragazzo che invade il nostro spazio, e quando un ragazzo si avvicina a Cecilia prendendosi la libertà di metterle le mani sulle natiche, lei lo ripaga con un sonoro ceffone e con l'intervento del buttafuori. Più ballo, più sento scivolare via gli eventi negativi dell'ultimo periodo. Finalmente sono pronta a continuare con la mia vita. Sono talmente concentrata
a lasciarmi andare, che ci metto un paio di secondi ad accorgermi che tutto intorno a me sta girando, anzi, che sono io che sto girando per aria come una trottola! Qualcuno mi ha afferrata da dietro, sollevata e mi sta facendo roteare. Il drink che ho in mano cade e io comincio a sbracciarmi e a scalciare per farmi rimettere a terra dal mio rapitore. Possibile che le mie amiche non mi vengano ad aiutare? «Mettimi giù!» urlo. Non riesco a capire chi sia sto pazzo che mi ha presa in braccio, fino a quando non mi rimette coi piedi sulla pista. Sto per scatenargli tutta la mia ira contro quando mi fermo a fissarlo. Due occhi color nocciola mi stanno guardando, mentre la sua bocca mi sorride e i suoi riccioli biondi gli ricadono spettinati sulla fronte. «Ciao, Lu!» Riconosco i suoi lineamenti delicati e faccio un tuffo con la memoria nel ato, a quando giocavamo insieme da bambini. Andrea. Da piccoli eravamo inseparabili e anche per parte della nostra adolescenza lo siamo stati fino a quando lui non si è fidanzato con Monica. Con l'odiosa Monica. Lei mi ha costretto ad allontanarmi da lui perché pensava che tra noi ci fosse qualcosa. Quando poi ho incontrato Luca, la mancanza di Andrea si è fatta meno pesante, ma trovarmelo davanti in tutto il suo splendore, palesemente contento di vedermi, mi ha appena dimostrato quanto mi sia mancato non avere il mio migliore amico al mio fianco nell'ultimo anno. So che Andrea e Monica non stanno più insieme. Il paese dove abitiamo è piccolo e le voci circolano in fretta, ma non avevo ancora avuto modo di esaminare l'informazione. Fino ad ora. Gli salto al collo abbracciandolo e lui mi accoglie stringendomi forte. Il suo profumo mi riempie le narici e vorrei non staccarmi da lui per il resto della serata. «Come sei diventata bella.» mi sussurra all'orecchio. Fortunatamente è buio, e nessuno può vedere le mie guance arrossire. «Vorrei poter dire la stessa cosa di te.» gli rispondo, scherzando. Ci stacchiamo dall'abbraccio e restiamo lì, al centro della pista a fissarci, senza sapere bene cosa dire, mentre tutti intorno a noi continuano a ballare, comprese Anna e Cecilia. È ato un bel po' di tempo dall'ultima volta che ci siamo parlati, ma anche se siamo cambiati, io e Andrea avremo sempre un legame speciale che ci unisce. «Ma tu mi devi un drink!» gli urlo all'improvviso, per farmi sentire sopra la musica. Il mio bicchiere è finito per aria mentre roteavo. Andrea mi guarda e
sorride. «Vieni, Lu. Andiamo al bar.» Mi prende per mano e ci facciamo strada tra le persone e una volta raggiunto il bar, Andrea si stacca da me per poter ordinare da bere. Sarà l'effetto dell'ambiente, le luci, la musica, ma quel contatto inaspettato con lui mi ha provocato un brivido. Una volta presi i drink ci accomodiamo su un divanetto, dove riusciamo a comunicare senza urlare troppo. Mi chiede come sto, come stanno i miei genitori e come procede l'ultimo anno di liceo. Lui mi dice che sua madre sta bene e che con suo padre non parla più da un paio di mesi. Ha preso il diploma l'anno scorso e ora si tiene occupato con qualche lavoretto, dal cameriere al giardiniere. La nostra tensione si affievolisce e ritroviamo la complicità che da sempre ci unisce. Mi ero dimenticata quanto fosse bello e spontaneo parlare con lui. Non gli chiedo nulla di Monica, non mi pare né l'ambiente né la circostanza giusta, così come lui non mi chiede di Luca, anche se so che lo sa, perché Facebook l'ha svelato a tutti. Stiamo parlando tranquillamente, ricordando qualche episodio divertente di quando eravamo bambini, quando si avvicina un amico di Andrea. «Ciao Andre! Come stai?» Dalla voce impastata sembra abbastanza ubriaco e Andrea lo guarda divertito. «Sto bene grazie, e te Matte?» Matte ride e fa il segno OK con le dita, poi si volta e comincia a fissarmi. «E tu chi sei? Sei proprio carina.» dice, poggiandomi una mano sulla spalla. Andrea gli lancia un'occhiata intimidatoria. «Non sono affari tuoi Matte e levale le mani di dosso. Lei è off-limits.» Matteo beve dal suo bicchiere, ormai vuoto, e ride. «Ah, ho afferrato. Tranquillo, è tutta tua.» E se ne va. Lo guardo allontanarsi divertita e vorrei ribattere che io non sono di nessuno, ma sto zitta. Guardo Andrea e penso al suo atteggiamento protettivo nei miei confronti. L'ha sempre avuto. Ricordo quando frequentavo la seconda media e un bulletto mi aveva rubato la merenda. Andrea, che frequentava la terza, era subito intervenuto e spintonandolo lo aveva fatto cadere a terra, rompendogli un polso. Mi aveva sorriso e restituito la merenda prima di essere portato in presidenza e prendersi tre giorni di sospensione. «Grazie.» gli dico, sorridendo. Andrea ricambia il mio sorriso, poi estrae il cellulare e guarda l'ora. «Scusa Lu, ma vado a recuperare i miei amici ubriachi per riportarli all'ovile.» «Certo, non ti preoccupare. Credo che anche le mie amiche vogliano tornare a
casa.» Mi alzo e mi sistemo i pantaloni, e avvicinandomi ad Andrea, gli do un bacio sulla guancia. «È stato bello parlare con te.» gli sussurro, e senza dargli la possibilità di rispondere mi volto e raggiungo Anna e Cecilia e insieme decidiamo di andare via. Sono le cinque del mattino e i nostri stomaci borbottano, segno che prima di tornare a casa, faremo una sosta al bar per la colazione. Ritiriamo le giacche e usciamo dalla discoteca. Fa freddissimo e il ronzio dovuto alla musica alta mi infastidisce le orecchie, ma un ampio sorriso è impresso sul mio volto. Ci stiamo dirigendo verso la macchina quando mi sento picchiettare una spalla. Mi giro e i miei occhi incontrano quelli di Andrea. «Volevo chiederti se domani pomeriggio ti andava di prendere un caffè.» mi dice sorridendo. Ci rifletto qualche secondo, ma non ho nessun motivo per rifiutare. Voglio assolutamente rivederlo. «Certo che mi va.» dico. «Bene. Alle tre da Mauro?» «Va bene.» Andrea si avvicina e mi restituisce il bacio sulla guancia. «Buonanotte Lu, a domani.» E si dirige verso la sua auto. Anna e Cecilia mi guardano divertite. Sanno tutto il mio trascorso con Andrea e hanno sempre sostenuto che saremmo stati una coppia perfetta, perciò so cosa stanno pensando in questo momento. Io e Andrea però siamo sempre stati solo amici, e la nostra amicizia mi manca, quindi sono ben contenta di poterla recuperare, anche se devo ammettere che su una cosa ho mentito. Mentre guardo Andrea allontanarsi nel parcheggio della discoteca, penso che nel tempo ato lontani sia decisamente diventato ancora più bello. *** Il giorno dopo mi sveglio a mezzogiorno. Faccio una bella doccia calda e rilassante e mangio una colazione abbondante. Mi metto a studiare per la verifica di scienze fino a quando non è ora di prepararmi per uscire. Alle tre in punto sono da Mauro. «Ciao, Luce.» «Ciao Mauro. Tutto bene?» Mauro ha visto are intere generazioni nel suo bar, e col suo sorriso caldo ha sempre una parola gentile per tutti. «Tutto bene, grazie.» La porta si apre ed entra Andrea vestito con un maglione e i pantaloni comodi della tuta. Mi saluta con un bacio sulla guancia e ci sediamo.
«Che dici se prendiamo una cioccolata calda?» mi chiede con aria spavalda. Lo sa che alla cioccolata calda non so resistere. «Sì, va bene ma...» non faccio in tempo a parlare che lui termina la frase al posto mio. «Ma niente panna. Lo so, me lo ricordo.» mi dice, facendomi l'occhiolino. iamo le ore successive a raccontarci cosa ci è successo nell'ultimo anno, ridendo e scherzando. Parliamo dei suoi lavori e della scuola, del mio esame di maturità che incombe, degli amici e di come sia bello essere insieme in questo momento a parlare. Il clima è rilassato, così quando Mauro ci porta altre due cioccolate calde e Andrea mi guarda serio, resto interdetta. «Mi spiace per Luca.» mi dice. Ah, lo sapevo che lo sapeva! Scrollo le spalle. «Grazie, ma ormai è andata così. Ho capito che uno come lui è meglio perderlo che trovarlo.» rispondo. «Tanto ci ha perso lui. Una come te non si trova in giro.» Arrossisco e mi copro il viso bevendo un sorso di cioccolata. «E tu invece con Monica?» gli chiedo. Lo sguardo di Andrea si incupisce un po'. «Ci siamo lasciati quattro mesi fa.» Lo guardo e aspetto che prosegua. Lui fa un respiro profondo e riprende a parlare. «Un giorno è venuta da me dicendomi che era incinta. È stato uno shock, ma le ho detto che ero pronto a prendermi cura di lei e del bambino, che insieme ce l'avremmo fatta, ma lei non era d'accordo. Mi ha detto che in un paio di occasioni mi aveva tradito e che il bambino non era mio. Abbiamo discusso e se n'è andata. Dopo un mese ho scoperto che usciva con un altro ragazzo e che del bambino non c'era più traccia. Non so nemmeno se sia davvero mai esistito.» La sofferenza appare sul suo volto. Non posso credere a quello che mi ha detto. Monica non mi è mai piaciuta fin dal primo momento ma ora la detesto con tutto il cuore. Allungo la mia mano sul tavolino fino a posarla su quella di Andrea, lui la apre e intreccia le dita con le mie. «Mi spiace, Andre.» Lui fa un debole sorriso. «Sei la prima con cui ne parlo. Certe cose non cambiano mai. Con te riesco sempre ad essere me stesso.» Ora sono io a sorridere. Restiamo qualche istante in silenzio a sorseggiare le nostre bevande con le dita intrecciate. «Ora devi spiegarmi una cosa, Luce. Perché ti sei allontanata da me, spezzando
la nostra amicizia?» Lascio la sua mano e deglutisco facendomi forza per rispondere. «Monica ha voluto così.» Lui mi guarda incredulo. «Cosa?» Annuisco. «Già. Avevate appena iniziato ad uscire insieme, e una sera che eravamo tutti in compagnia lei mi ha presa da parte e detto che dovevo allontanarmi da te. Diceva che tu provavi qualcosa per me. Io ho cercato di spiegarle che noi eravamo solo amici, ma lei ha detto che era meglio per tutti staccarsi, per non avere problemi. Tu eri felice e così ti ho lasciato andare per la tua strada.» Andrea mi guarda con tenerezza. «Avrei preferito che tu non l'avessi ascoltata. Mi sei mancata terribilmente, soprattutto perché non sapevo con chi parlare.» «Lo so. Mi sei mancato anche tu, credimi.» Andrea si alza dal suo posto e si mette vicino a me. Mi abbraccia forte, quasi mi volesse stritolare. «Be', Lu, sappi che d'ora in poi non ti permetterò più di uscire dalla mia vita.»
6
Diciassette mesi prima «Sei agitata?» mi domanda Andrea, mentre accarezza la testa di Charlie. Ha un sorriso beffardo stampato in faccia e sa benissimo che sono nervosa. Sto camminando avanti e indietro, mentre ripeto la maggior parte degli argomenti, ando da una materia all'altra. Ogni tanto butto un'occhiata su qualche appunto sparso sulla scrivania e mi annoto mentalmente l'informazione. Lo guardo, e vederlo così rilassato mi irrita al punto che vorrei prenderlo a schiaffi. «Finiscila di ridere.» gli intimo. Sono sull'orlo di una crisi di nervi. Non dormo da giorni e delle brutte occhiaie nere mi circondano gli occhi. Troppo studio fa male! Andrea si avvicina e mi mette le mani sulle spalle. Quel tocco delicato per un attimo mi fa sussultare. Ma ultimamente tutto in Andrea mi fa sussultare e mi provoca uno strano effetto. «Respira, Lu. Andrà tutto bene, sei preparatissima. E poi sarò lì a guardarti, e se le cose si dovessero mettere male ti salvo io.» «E come?» chiedo disperata. «Salterò sul banco della commissione e reciterò l'Amleto.» Mi strappa una risata, e vorrei proprio vedere la scena. Sto per presentarmi davanti alla commissione per sostenere l'esame orale e porre fine alla mia carriera scolastica da liceale. Almeno spero. Sono ati due mesi dalla serata in discoteca ed è come se fossimo tornati bambini. iamo ogni istante libero insieme, ricreando quell'atmosfera serena che c'era un tempo tra di noi. Mi ha aiutata a studiare per le varie verifiche e per l'esame, e io l'ho aiutato a cercare lavoro, anche se con scarsi risultati. La sua presenza ha riempito le mie giornate e la mia casa, sempre vuota a causa dell'assenza dei miei genitori che sono via per lavoro. L'anno che abbiamo trascorso separati è come se non fosse mai esistito, ma qualcosa è cambiato
dentro di me. Avere Andrea così vicino, che mi riempie di attenzioni e mi incoraggia in tutto quello che faccio, mi ha nuovi sentimenti nei suoi confronti. E le serate ate insieme abbracciati sul divano a guardare un film non hanno fatto che rafforzarli. Ogni tanto poi, lo scopro che mi fissa, e quando meno me lo aspetto si avvicina per coccolarmi o stringermi a sé. So che l'ho appena ritrovato e l'idea di perderlo di nuovo mi spinge a soffocare i miei sentimenti e a tenerlo stretto come amico. Certo, se lui non fosse così seducente e provocante, sarebbe molto più facile. «Allora Lu, pronta?» Annuisco e Andrea mi dà un bacio in fronte, mandandomi sottosopra lo stomaco, come se non fossi già abbastanza agitata. Infilo gli appunti nello zaino e partiamo. Dobbiamo percorrere solo pochi chilometri ma seduta sul sedile del eggero non faccio che agitarmi. Odio questo esame di maturità. A un certo punto Andrea accende lo stereo e alza il volume al massimo. Le note di Moves like Jagger inondano l'auto e Andrea comincia a cantare a squarciagola. Io scoppio a ridere davanti alla sua voce stonata ma comincio a ballare. Chi ci vede da fuori deve pensare che siamo due pazzi. La tensione se ne va e quando mi giro per guardarlo capisco che sono davvero fregata. A me Andrea piace, ma non riesco a capire se per lui sia la stessa cosa. Un'ora e mezza dopo, un signore di circa cinquant'anni, coi capelli folti e grigi e una bella pancia tonda mi dice: «Bene signorina, può andare. Buona fortuna per il suo futuro.» Mi alzo dalla sedia leggera come una piuma. Sono libera finalmente. Sto uscendo dall'aula quando Andrea per poco non mi fa cadere a terra. Mi è saltato addosso, mi fa roteare e urla. I commissari ci guardano male mentre raggiungiamo il corridoio della scuola. «Bravissima, Lu. Sono orgoglioso di te.» Mi guarda con i suoi occhi da cerbiatto e io mi ci perdo all'istante. «Grazie.» dico, sorridendo. «Stasera dobbiamo festeggiare. Cena e discoteca?» mi domanda. Avrei preferito fare altro, tipo dormire e ancora dormire per recuperare le ore di sonno perse a causa dello studio, ma are una serata con Andrea tutta dedicata a me, mi sembra un'ottima idea. Dopo due enormi pizze prosciutto e funghi siamo pieni e pronti per andare a scatenarci tutta la notte. Non posso fare a meno di pensare a tutte le attenzioni
che mi dà Andrea, a tutto il tempo che a con me. Possibile che ci sia solo amicizia tra noi? Da parte mia c'è sicuramente qualcosa di più, ma lui cosa prova? Siamo in coda fuori dalla discoteca, è una serata calda dei primi di luglio, ma appena siamo dentro ci buttiamo in pista e balliamo, balliamo e balliamo. Qua e là incontriamo qualche persona che conosciamo, ma nessuno si unisce a noi e per tutta la serata stiamo solo io e lui. Esausti e accaldati decidiamo di fare una pausa. Io vado a cercare un tavolino libero mentre Andrea va al bar a prendere da bere. Mi faccio aria con la mano per riprendere fiato, quando al mio tavolino si avvicina un ragazzo. «Ciao.» È alto e robusto, non proprio il mio tipo ideale. «Mi chiamo Marco.» dice tendendomi la mano. «Luce.» rispondo, stringendola. «Posso farti compagnia Luce?» «Veramente sto aspettando che torni una persona che è andata al bar.» In quel momento infatti, sbuca Andrea con due bicchieri in mano. Guarda prima Marco e poi me, poi di nuovo lui. Marco capisce che sono già in compagnia, così decide di andarsene ma prima aggiunge: «Fatti solo dire che hai davvero dei begli occhi, Luce. È stato un piacere.» E sparisce in mezzo al caos della discoteca. Andrea lo guarda allontanarsi e a me sembra che sia un tantino irritato dalla scena a cui ha appena assistito. Posa le bibite sul tavolo e mi guarda curioso. «Che c'è?» chiedo. «Chi era quello?» Il suo tono è strano, sembra quasi geloso. «Si chiama Marco se non sbaglio, è un tipo carino.» dico, mentre bevo un lungo sorso dalla mia bibita. Andrea si acciglia. «Se è carino perché non vai da lui?» «Perché non voglio lasciarti solo.» gli rispondo, sorridendo. Lui alza un sopracciglio e mi fissa. «Pensi davvero che con tutte le ragazze che ci sono in questo posto, io possa restare solo a lungo?» Le sue parole mi feriscono più di quanto immaginassi. Ha appena ammesso che vorrebbe la compagnia di un'altra ragazza? Ora capisco che i miei sentimenti sono a senso unico e che tutte le attenzioni che lui mi riserva, sono attenzioni che si danno a una sorellina e non a una ragazza che ti piace. Non riesco a trovare nulla di adatto da dire, ma non ce n'è bisogno perché proprio in quel momento si avvicina una ragazza, diretta verso Andrea. Gonna corta, top, occhi chiari e capelli biondi. Non ho nessuna speranza a confronto.
«Ciao. Cosa ci fai qua tutto solo?» gli chiede. Io la guardo infastidita. Improvvisamente sono diventata invisibile? Andrea le dà corda compiaciuto e iniziano a parlare. Lei ride a ogni sciocchezza che dice lui e ogni scusa è buona per mettergli le mani sul corpo. Assisto alla scena come pietrificata. Non posso credere che stia flirtando con un'altra ragazza proprio a qualche centimetro da me. I miei sentimenti sono appena stati calpestati e mi prende una fitta di dolore allo stomaco. Mi alzo e senza dire niente me ne vado. Esco dalla discoteca e mi siedo su un muretto nel parcheggio a prendere fiato. Stupida, stupida, stupida. Chiamo Anna e le spiego quello che è successo: tra una decina di minuti a a prendermi. Vorrei tornare bambina, a quando correvo tranquilla senza paura di cadere e di farmi male. A quando i sentimenti non compromettevano le amicizie. «Luce perché sei corsa fuori? Stai bene?» Andrea è in piedi davanti a me, ma della biondina nessuna traccia. «Sì, sto bene. Torna pure dentro.» rispondo senza guardarlo. «No, hai qualcosa che non va. Che succede?» Sento salire la rabbia. Non riesce a capirlo da solo cosa c'è che non va? «Possibile che tu sia così stupido?» sbraito, ma Andrea mi guarda interrogativo, così mi rassegno. «Senti non ti preoccupare, torna dentro dalla tua amichetta. Anna sta venendo a prendermi.» «Amichetta? Luce ma che ti prende? Quella non conta nulla per me. Se non ti conoscessi direi che sei gelosa.» Apro la bocca per ribattere ma non riesco a dire niente. Non una parola di risposta esce dalle mie labbra ma i miei occhi parlano al posto mio, così sposto lo sguardo da lui e lo fisso su una stella luminosa in lontananza. «Oh. Luce io non pensavo che tu...» Lascia la frase a metà e non ha nemmeno la forza di guardarmi. Non ho più voglia di parlare. Voglio solo andare a casa e lontana il più possibile da lui. Vedo la macchina di Anna e mi ci dirigo senza dire una parola. In quel momento mi a accanto Marco che mi sorride, e io lo ricambio con un cenno della testa e un mezzo sorriso. Mi giro in direzione di Andrea che è rimasto immobile accanto al muretto e scuote la testa come per scacciare via quello che è appena successo. Salgo veloce in macchina e scoppio a piangere tra le braccia di Anna, consapevole di aver appena perso il mio migliore amico per la seconda volta.
Evviva il giorno del mio diploma. *** Per le due settimane successive io e Andrea non ci vediamo né sentiamo. La discussione in discoteca, ma soprattutto la rivelazione dei miei sentimenti nei suoi confronti, ha turbato entrambi. È chiaro che lui non prova la stessa cosa, così questa volta è stato lui a prendere le distanze da me. L'estate calda e afosa non mi aiuta. Fa troppo caldo per fare qualsiasi cosa e mi ritrovo ad avere troppo tempo libero per pensare. Per qualche giorno, Marco, il ragazzo della discoteca, mi ha scritto su Facebook. Ha letto che ero single ed è partito all'attacco. Più chiacchieravo con lui, più capivo che non mi interessava, e poi c'era qualcosa di sbagliato nel suo atteggiamento. Sembrava quasi ossessivo nei miei confronti, e mi tempestava di messaggi in continuazione. Così ho deciso di allontanarlo. Ho smesso di rispondergli nella speranza che lui capisse da solo che la cosa non mi interessava. Sembrava che la mia tecnica avesse funzionato e che Marco fosse sparito dalla mia vita, ma nel giro di una settimana le cose sono precipitate. Il mio telefono ha iniziato a squillare di continuo. Ricevevo messaggi a qualsiasi ora. Ehi, come stai? Ti penso. Mi manchi. Ti voglio. Mille domande mi rimbalzavano nella testa. Ho fatto o detto qualcosa per fargli capire che poteva avere qualche speranza? Mi sono mostrata disponibile? No. Ho cercato di essere educata anche nel respingere ogni suo tentativo di seduzione, ma evidentemente senza riuscirci. Il mio telefono scotta talmente squilla ormai, e meno rispondo, più i messaggi aumentano. Messaggi che sono diventati via via più osceni e volgari, e che ora cancello senza nemmeno aprirli. Oppressa dalla situazione e dalle mura di casa di mia decido di uscire per schiarirmi le idee, forse dovrei contattare la polizia o parlarne con qualcuno. Sì, ma a chi? Se Andrea mi parlasse mi confiderei con lui, ma non lo sento e vedo da giorni e non credo che lui voglia parlarmi. Entro al supermercato per comprare qualche schifezza da mangiare, ma solo
quando sono alla cassa mi accorgo di chi ho accanto. Marco, ancora più alto e robusto di come me lo ricordavo, mi sta guardando, ma ha gli occhi da pazzo furioso. «Ciao Luce.» Sentirgli pronunciare il mio nome mi mette in stato d'allerta. Il mio cuore comincia a battere veloce e guardo la cassiera nella speranza che si faccia il più in fretta possibile in modo da pagare e tornare a casa, al sicuro. «Ciao.» dico fredda. «Non mi hai più risposto ai messaggi, così quando ti ho vista ho pensato di venirti a salutare. Come stai?» Ha la voce tranquilla ma il suo sguardo mi fa paura, e se ripenso al contenuto dei messaggi temo che la sua intenzione non sia solo quella di chiedermi come sto ma di avermi tutta per sé, non importa come. «Bene, grazie. Scusa ma devo proprio andare.» Infilo la spesa nelle borse ed esco dal negozio con o deciso senza nemmeno degnarlo di uno sguardo. Faccio appena qualche o quando mi rendo conto che Marco mi segue. «Qualche problema?» chiede. Sì, sei tu il mio problema,penso. «Aspetta, ti aiuto con la spesa.» dice, mentre tenta di prendermi le borse. Mi ritraggo. «Faccio da sola, grazie.» La paura si sta impossessando di me così accelero il o. Lui mi si para davanti, impedendomi di are, e l'unica cosa che riesco a pensare è che se dovesse toccarmi mi metto a urlare. «Luce guarda che l'ho capito che non ti interesso, tranquilla. Volevo solo salutarti. Scusami.» «Sicuro?» chiedo agitata e con il cuore in gola. «Ma certo.» mi dice sorridendo. «Ho esagerato. Non volevo spaventarti. Mi dispiace.» Le sue parole sembrano sincere, ma non mi fido del tutto. Lo guardo, lui continua a sorridermi e prima che io possa dire qualcosa si volta, e se ne va senza aggiungere una parola. Torno in fretta a casa in preda all'agitazione e con una strana sensazione addosso. L’illusione di essermi liberata di lui dura davvero un attimo. I messaggi non tardano ad arrivare e continuano anche nei giorni seguenti, rendendomi sempre più sconvolta. Sei bella. Rispondimi. Mandami delle foto. Sei mia. Tanto so dove abiti. Se sa dove abito è perché mi ha seguita e per quanto ne so potrebbe essere fuori da casa mia proprio in questo momento. Sto diventando pazza, e quando esco di casa credo di vederlo ovunque, col suo ghigno malefico, pronto a saltarmi
addosso. Sto vivendo nel terrore, ma non mi sento di parlarne con nessuno. È colpa mia se sono in questa situazione? Di sicuro ho fatto o detto qualcosa di sbagliato. Probabilmente sono io stessa un errore come persona. Ecco che effetto faccio ai ragazzi: sono una calamita per psicopatici. Spengo tutte le luci e tengo basso il volume della televisione, come d’abitudine negli ultimi giorni. Sono le nove e mezza di sera e il mio quartiere è praticamente deserto. Sono tutti al mare, in vacanza. Charlie segue con lo sguardo ogni movimento che faccio intuendo che qualcosa non va, ma se si trovasse Marco davanti, temo proprio che il mio cane non potrebbe aiutarmi. È di taglia media ma è un cane troppo buono. Non potrebbe fare del male a nessuno, e a volte ha paura persino della sua stessa ombra. Cerco di rilassarmi sul divano, ma appena socchiudo gli occhi, il camlo suona. Il mio cuore smette di battere e un pensiero mi paralizza. Il cancello... non ho chiuso a chiave il cancello. E ora, chiunque sia, è già davanti alla mia porta. Porta che improvvisamente vedo sottile e fragile, come se bastasse solo un soffio d'aria per abbatterla. Suonano ancora una volta, e poi cominciano a bussare. «Luce sono Marco. So che ci sei, aprimi.» No, no, no. No! Non può essere vero. Sembra un brutto film dell’orrore. Balzo giù dal divano mentre le mie mani cominciano a tremare. «Vattene!» urlo con tutto il fiato che ho. «Vattene o chiamo qualcuno!» Lo sento scoppiare a ridere. «Dai, piccola. Non ti voglio fare nulla, solo parlare.» «Vattene brutto psicopatico!» «Non mi parlare così puttana!» sbraita, mentre inizia a bussare violentemente alla porta. «Sei mia, chiaro? Ti devo avere tutta per me altrimenti...» Altrimenti? Charlie inizia ad abbaiare e a ringhiare e tutto comincia a girarmi intorno. Sento le lacrime riempirmi gli occhi e la paura invadermi ogni centimetro di pelle. Cosa posso fare? Pensa Luce, pensa. È mercoledì sera. Mercoledì! È il giorno in cui Andrea si raduna al bar da Mauro per il torneo di calcetto. E il bar è solo a pochi minuti da me. Mi precipito sul cellulare posato sul tavolino e compongo nervosamente il numero. E se non dovesse rispondere? Se fosse ancora arrabbiato? Io cosa farò? Squilla.
Marco continua a urlare e a tirare pugni alla porta. Charlie abbaia nervoso e io sto per cedere alla disperazione. Squilla. Rispondi dannazione! «Ciao, Lu! Sono contento di sentirti, ho bisogno di parlarti...» Lo interrompo. «Andrea!» ho la voce da pazza disperata, le lacrime mi bagnano il viso e il respiro è affannoso. «Luce che succede? Dove sei?» mi chiede Andrea. «A casa. Ho paura, Andre. Ti prego...» Sento la linea che si interrompe. Fisso il telefono muto e mi accascio contro il muro vicino alla porta che Marco continua a sbattere con violenza. Potrei riprovare a chiamarlo e fargli capire che sono in pericolo, oppure potrei provare a chiamare i Carabinieri, ma probabilmente ci metterebbero troppo ad arrivare. Mi prendo la testa tra le mani e penso al peggio. Non so quanto la porta possa reggere. Sembra che si possa staccare dai cardini da un momento all’altro. Charlie continua ad abbaiare e per un attimo penso che potrebbe difendermi. Potrebbe salvarmi da quel pazzo fuori casa mia, ma lo osservo meglio e noto che è impaurito e trema, e capisco che non potrebbe fare nulla per me. «Luce aprimi dai. Non faccio che pensare a te. Al tuo viso, al tuo corpo...» Il suo tono si è addolcito ma questa frase mi provoca la nausea. Perché sta succedendo proprio a me? Sembra un orribile film. «Penso a te e a me, a noi che...» Viene interrotto. Sento un gran casino e un tonfo. Scatto in piedi come una molla, con il viso bagnato dalle lacrime e il cuore che sta per esplodere. Riconosco la voce di Andrea e d’istinto apro la porta. Vedo Marco a terra con Andrea che lo blocca con un ginocchio. «Cosa cazzo vorresti fare tu?» urla furioso. Resto immobile sul ciglio della porta, troppo terrorizzata per poter fare o dire qualsiasi cosa. «Se ti avvicini ancora una volta a lei, o osi anche solo guardarla o parlarle, io ti ammazzo! Ti ammazzo, chiaro?» Marco sbuffa con la guancia schiacciata al suolo e annuisce debolmente. Lo sguardo di Andrea è colmo di rabbia e solo ora mi accorgo che ha un labbro spaccato. Rallenta la presa e si allontana. «Vattene! Vattene finché sei in tempo.» gli intima. Marco si alza, si a il dorso della mano vicino al naso per asciugarsi il sangue e si dirige verso il cancello. Sta per andarsene quando si gira e mi guarda. Sento la paura impadronirsi di nuovo di me e con un unico scatto Andrea mi si para davanti per proteggermi. Marco assume una strana espressione e mi fissa diritto negli occhi. Vedo Andrea irrigidirsi pronto a scattare, ma si
blocca sorpreso quando sente le parole di Marco. «Mi dispiace Luce.» dice con voce roca. «Non volevo farti del male. Io…Credimi non so cosa mi sia preso.» Scuote la testa come per scacciare i ricordi degli ultimi minuti. Probabilmente si è reso conto della gravità delle sua azioni e di come sarebbe finita questa situazione. Leggo il dispiacere nei suoi occhi, ma non riuscirò mai a perdonarlo. Questo ragazzo mi ha terrorizzata nelle ultime settimane e non oso pensare cosa sarebbe successo se non fosse arrivato Andrea. Non ricevendo risposta, Marco si gira, apre il cancello e se ne va. Le mie spalle si rilassano leggermente e guardo Andrea rimasto rigido e fermo davanti a me, e tutto quello che esce dalla mia bocca è appena un sussurro. «Grazie.» Andrea si volta e mi guarda. Ha la mascella serrata e il labbro gonfio dove Marco lo ha colpito. Senza dire una parola mi afferra per un braccio e mi spinge dentro casa, poi esce e va a chiudere il cancello a chiave, infine entra chiudendo la porta alle nostre spalle, con Charlie che ci cammina intorno nervoso. «Perché cazzo non hai chiuso a chiave il cancello, Luce?» grida all’improvviso. Resto paralizzata mentre le lacrime continuano a solcarmi il viso. Non mi ero nemmeno resa conto di aver continuato a piangere per tutto questo tempo. «Cosa credi sarebbe successo se non fossi arrivato in tempo, eh? Rispondimi! Da quanto tempo va avanti questa storia?» Non posso credere che mi stia facendo la predica in questo momento. È davvero fuori di sé e mi sta spaventando. Faccio un o indietro mentre lui continua a urlarmi addosso. «Allora? Cosa diamine ti ha detto il cervello?» Non ne posso davvero più e con le ultime forze che mi restano esplodo. «Basta!» dico urlando. «Smettila! Stai zitto!» Il mio corpo è scosso dai singhiozzi e questo sembra fargli cambiare atteggiamento. «Smettila di urlarmi addosso!» grido disperata, scaraventandomi contro il suo petto e iniziando colpirlo violentemente con dei pugni. Continuo a piangere disperata fino a quando Andrea mi blocca abbracciandomi e comincia a stringermi forte a sé. Mi accarezza delicatamente i capelli e io mi faccio avvolgere dalle sue braccia sentendomi senza forze ma finalmente al sicuro. Il suo tono si addolcisce. «Shh, calmati. Scusami Lu, non volevo urlare. Mi sono spaventato a morte. Ora tranquilla però, ci sono io con te.» Mi lascio andare a un pianto disperato e scarico tutta la tensione accumulata nelle ultime settimane. Un'ora e mezza dopo il mio respiro torna normale. Racconto ad Andrea tutto quello che è successo con Marco e lui assume un atteggiamento colpevole. So
che ora si sente in colpa perché dal giorno del mio diploma non è stato presente, ma è qui in questo momento, e va bene così. Il mio viso è rosso e sento gli occhi gonfi e pesanti, ma mi sto tranquillizzando. «Tieni Lu, ti ho fatto un tè caldo.» Prendo la tazza dalle sue mani, ne bevo un sorso e la poso sul comodino. Sono esausta e l'idea di stare da sola mi spaventa. Andrea non mi ha persa di vista nemmeno un momento; di tanto in tanto ha dato un'occhiata fuori dalla finestra per controllare che non ci fosse nessuno, e ora è in piedi di fronte al mio letto. Perfino Charlie sembra drizzare le orecchie a ogni rumore. «Senti Lu, io...» Mi guarda imbarazzato, e vedendolo così non posso fare a meno di sorridere. «Puoi fermarti qui stanotte? Non voglio restare sola.» Andrea sorride mostrando le sue fossette sulle guance. «Certo. Non ti lascio, tranquilla.» Ci corichiamo sul mio letto, lui allarga un braccio e io poggio la testa sulla sua spalla. Restiamo in silenzio immersi nei nostri pensieri. Voglio cancellare dalla memoria gli eventi degli ultimi giorni. Ora sono tranquilla tra le braccia di Andrea. Sono fortunata ad averlo al mio fianco, al diavolo i miei sentimenti. La stanchezza sta per prendere il sopravvento quando la voce di Andrea mi riporta alla realtà. «Luce?» «Sì?» dico con voce roca. «Perdonami se sono sparito dopo la nostra discussione. Mi serviva del tempo per pensare.» Mi scosto leggermente dalla sua spalla. «Andre non importa.» «No, fammi finire. Dio, prima ho avuto una paura assurda, e la sola idea che qualcuno possa farti del male mi distrugge. Non saprei cosa fare senza di te.» Sorrido alle sue parole, finalmente rilassata dopo tutto il trambusto di qualche ora fa. «Sai, credo che Monica avesse ragione.» Sollevo la testa e i miei occhi incontrano i suoi. «Riguardo a cosa?» Mi sfiora una guancia con il pollice. «Provo qualcosa per te, anzi, ho sempre provato qualcosa per te.» Ci scambiamo uno sguardo profondo e intenso. Qualcosa dentro di me si scioglie, e ancor prima che me ne renda conto Andrea avvicina le sue labbra alle mie e mi bacia. È un bacio casto e leggero, ma basta per farmi sentire le farfalle
nello stomaco. Quando ci stacchiamo gli sfioro il labbro ferito con il pollice e sorrido. Andrea mi avvicina di più a sé e posa il mento sulla mia testa. «Ora dormi, Lu.» Chiudo gli occhi mentre lui mi culla teneramente e dopo un attimo crollo addormentata. Quando al mattino mi sveglio, nel letto sono sola. Appena ripenso al bacio il mio volto si illumina e una scossa mi pervade la schiena. Non l'ho sognato, vero? Andrea mi ha realmente baciata! Sento dei rumori provenire dal piano di sotto così decido di alzarmi. Scendo le scale e quando entro in cucina vedo Andrea che versa il caffè in due tazze. «Buongiorno.» Lui si gira e mi rivolge un ampio sorriso. «Buongiorno, Lu. Ho fatto il caffè e comprato i croissant.» Mi siedo e addento un croissant, mentre Andrea sorseggia il suo caffè bollente. Nell'aria c'è uno strano imbarazzo e nessuno dei due dice una parola sul bacio. Finita la colazione mi accorgo che è già metà mattinata, e che probabilmente la madre di Andrea si starà chiedendo che fine abbia fatto il figlio, così mi alzo dalla sedia, un po' impacciata. «Be', se devi andare a casa, vai pure. Io ora posso cavarmela da sola.» Andrea posa la sua tazzina ormai vuota e poi scoppia a ridere. Ride così tanto che fa sorridere pure me. «Cosa c’è da ridere?» gli chiedo. Lui si avvicina e mi attira a sé. «Forse non hai capito una cosa, Lu.» dice, mentre mi scosta una ciocca di capelli dietro l'orecchio. «Io d'ora in poi non ti lascio più.» Non ho nemmeno il tempo di replicare, che le sue labbra sono di nuovo sulle mie e questa volta per un bacio apionato contenente la promessa di un nuovo inizio.
7
Sedici mesi prima «Ma la smetti di piangere?» mi chiede Andrea divertito. Tiro su col naso e mi asciugo le lacrime. «Non è colpa mia!» replico. «Sei tu che sei un insensibile.» Andrea mi guarda e ride di gusto. «È stupido piangere per un film, mia cara Luce.» sentenzia e io sbuffo contrariata. Non è colpa mia se Le pagine della nostra vita è un film troppo straziante; tutte le volte che lo guardo piango a dirotto! «Stai dicendo che sono stupida?» chiedo, fingendomi offesa e incrociando le braccia al petto. «Forse» scherza lui, «però quando piangi sei ancora più bella.» e si avvicina per baciarmi. «Ma smettila.» gli rispondo, ridendo. Siamo sdraiati sul divano e abbiamo appena finito di guardare il film, che ovviamente Andrea ha criticato per tutta la sua durata ritenendolo troppo smielato per i suoi gusti. Sono ate tre settimane da quando Marco è piombato a casa mia terrorizzandomi ma fortunatamente ora non è più un problema. Io l'ho denunciato, e dopo di me anche un'altra ragazza, così è stato preso e internato chissà dove. Tre settimane dal primo bacio con Andrea. Adesso non siamo più solamente amici, siamo ben altro. Tutto ciò che provo per lui ha il sapore dolce dell'amore. Siamo diventati realmente inseparabili; dove c'è lui ci sono io e viceversa. Cosa ho fatto per meritarmi il suo amore non lo so, ma sono felice e voglio continuare ad esserlo. Quando si è sparsa la voce che siamo diventati una coppia tutti sono rimasti contenti, e Anna e Cecilia ci hanno guardati dicendo: «Era ora che accadesse!» Ma ogni cosa ha bisogno del suo tempo, no? Mi arriva un cuscino dritto in faccia. Guardo Andrea incredula. «Ma come osi?» dico, lanciandogliene uno di rimando che lui schiva prontamente, poi senza neanche che me ne accorga cominciamo a lottare sul divano. Ci facciamo il solletico e le nostre risate riempiono la stanza. Andrea mi schiaccia con il suo
peso e nonostante io provi a liberarmi divincolandomi, lui mi blocca con il suo corpo e solleva le mie braccia sopra la mia testa. «Sei una piagnucolona!» dice scherzosamente. Mi perdo nei suoi occhi nocciola che mi guardano intensamente, mentre Charlie ci osserva curioso. Iniziamo a baciarci e ci lasciamo andare alle nostre carezze, con i respiri che si fanno più affannosi e le mani che esplorano la pelle. D’un tratto però, sentiamo scattare la serratura della porta e poco dopo mio padre entra in casa. Presa dal panico, spingo via Andrea che cade dal divano con un gemito di protesta e io balzo in piedi come una molla. «Ciao papà.» dico rossa in volto. Mio padre posa le valigie mentre Andrea si rimette in piedi. Accidenti! È già sabato e io non me ne sono neanche resa conto. Sono troppo inebriata da Andrea ultimamente. «Ciao tesoro.» risponde mio padre, dandomi un bacio in testa. È un bell'uomo, alto e forte e con gli occhi color smeraldo. Si guarda attorno fino a posare il suo sguardo su Andrea. Sa benissimo chi è, lo ha visto crescere e gli vuole bene, ma da come lo guarda ho capito che il suo radar da padre ha captato qualcosa. «Andrea.» dice in tono serio. «Ehm, ciao Bruno.» risponde lui in imbarazzo. Guardo prima uno e poi l'altro, ma nessuno dice una parola fino a quando anche mia madre non entra in casa. «Ciao Luce! Stasera siamo tornati un pochino prima, spero non ti dispiaccia… Oh ma guarda chi c'è! Ciao Andrea, quanto tempo! Come stai?» esclama mia madre, abbracciando prima Andrea e poi me. «Sto bene Elisa, grazie. E te?» «Tutto bene grazie. Solo un po' stanca per il viaggio.» risponde mia madre, che poi si ferma ad osservare l'espressione di mio padre. «Tutto bene, Bruno?» «Sì, tutto bene.» replica lui, poi posa lo sguardo su Andrea e sorride. «Noi andiamo a darci una sistemata e a disfare le valigie, poi prepariamo la cena. Tu Andrea ti fermi, vero? Così possiamo raccontarci le ultime novità.» Ok, mio padre sa già tutto. I miei genitori spariscono su per le scale, e vedo le spalle di Andrea rilassarsi ma ha lo sguardo terrorizzato. «Inventati una scusa.» mi implora, ma ormai siamo incastrati nella trappola di mio padre. Mi avvicino e gli do un leggero bacio sulle labbra, intrecciando le mani dietro la sua nuca. «Tranquillo. Mio padre ti conosce e ti ha sempre voluto bene.» Andrea deglutisce. «Sì, ma era prima che io e te…Insomma ora è diverso. Hai visto come mi ha fulminato con gli occhi?» Scuoto la testa divertita. «Fidati di me.»
Dopo qualche minuto i miei genitori tornano, pronti a mettere sul fuoco la cena. «Mi date una mano a preparare?» ci chiede mio padre. Sorrido, e mentre prendo Andrea per mano e lo trascino in cucina, lui avvicina le labbra al mio orecchio e sussurra: «Mi vuole uccidere, me lo sento.» Siamo tutti e quattro seduti a tavola e il clima si è disteso. Mia madre tira fuori qualche aneddoto di quando eravamo bambini e ridiamo ricordando i bei tempi ati insieme. «È bello vederti, Andrea. Ci è dispiaciuto molto quando l’anno scorso te e Luce vi siete allontanati.» dice mia madre in tono dolce. «Abbiamo avuto un disguido, ma ora ci siamo riavvicinati.» spiego con un mezzo sorriso. «Lo vedo e mi fa piacere. Da bambini trascorrevate tutto il tempo insieme. Nessuno riusciva a dividervi.» ricorda mia madre, e io e Andrea ci scambiamo una tenera occhiata. «Sai cara, mi sembra di capire che ano parecchio tempo insieme anche ora, solo che non giocano più.» interviene mio padre. Per poco non mi cade la forchetta di mano. Andrea sbianca e mi tira un calcio da sotto il tavolo, ma io non so davvero cosa dire. «Cosa stai dicendo, Bruno?» chiede la mamma. Mio padre ci guarda e sorride. «Sto dicendo, Elisa, che ora Luce e Andrea sono una coppia.» Mia madre ci osserva incredula. I suoi occhi azzurri stanno per schizzare fuori dalle orbite talmente è sbalordita. «Davvero?!» esclama. «E io sono l'ultima a saperlo?» dice con un pizzico di delusione nella voce, ma poi si ricompone e aggiunge: «Luce tesoro, sono davvero contenta per voi. Ho sempre pensato che restassi zitella a vita! Ma ora che so che hai Andrea al tuo fianco, posso stare tranquilla dato che io e tuo padre non ci siamo mai.» Grazie tante, mamma, penso. Mio padre sorride, poi si rivolge ad Andrea che sembra che si sia dimenticato di respirare. «Eravate belli da vedere quando eravate piccoli, avevate un bel rapporto, e io ero contento di vedere due persone così diverse andare così d'accordo. Luce è speciale, Andrea, e resterà sempre la mia bambina, ma sono contento che abbia scelto te. So che le vuoi bene e che la tratterai con rispetto, ma ricordati che io ti osservo anche quando non ci sono. Falle del male e io lo faccio a te.» I suoi occhi smeraldo minacciano Andrea per qualche istante, poi il suo viso si
distende e la sua bocca si allarga in un gran sorriso. Andrea mi tende la mano e quando gli porgo la mia me la stringe forte. «Non ti preoccupare, Bruno. Mi prenderò cura di lei.» Mio padre annuisce soddisfatto. «Bene, allora possiamo are al dolce.» dice mia madre. «No, lascia tesoro, ci penso io.» Mio padre accarezza dolcemente la mano di mia madre, poi si alza per preparare le coppette di gelato. Amo i miei genitori, il loro modo di guardarsi e di capirsi dopo trent’anni di matrimonio. Chi è che non vorrebbe vivere una storia d'amore come la loro? Sono il lieto fine fatto a persona. Guardo Andrea e mi viene spontaneo chiedermi se sia lui l'amore della mia vita. Non so cosa ci riserverà il destino, ma ora come ora non riesco a immaginare il mio futuro senza di lui. «Non pensavo di riuscire a sopravvivere alla cena.» mi rivela Andrea una volta andati in camera mia. «Te lo avevo detto che sarebbe andata bene, anzi, abbiamo avuto anche la loro benedizione.» dico mentre lo abbraccio. Andrea mi accarezza i capelli. «Stanotte dovrai dormire senza di me, con i tuoi a casa ne approfitto per lasciarti un po'.» «Be', meno male. Inizio ad essere stufa di te.» gli dico. Lui mi guarda perplesso. «Ah, davvero?» chiede. «Assolutamente no!» gli rispondo, baciandolo. Mi infilo sotto le coperte e mi immergo nella lettura del mio libro con Charlie che dorme ai miei piedi, quando mia madre si affaccia alla mia porta. «Luce?» «Sì, mamma?» «Volevo solo augurarti la buonanotte tesoro, e dirti che si vedono.» Resto un attimo confusa. «Che cosa si vedono?» «I tuoi occhi felici e luminosi. Gli occhi dell'amore.» Mi sorride felice e detto questo, se ne va. Sorrido spontaneamente perché non posso non darle ragione. Sono molto felice e anche fortunata, ma forse è meglio non darlo troppo a vedere perché la sfortuna è sempre in agguato. *** Ho sempre pensato che condividere il proprio corpo con un'altra persona, sia una
delle cose più importanti della vita, e mi ha sempre fatto un po' paura. Così, quando accade con Andrea non so assolutamente cosa aspettarmi e cosa fare. Sono impacciata e imbarazzata. Non mi sono mai esposta tanto in là con un ragazzo. Ma Andrea è diverso. Unico. Ha reso tutto perfetto, facendomi sentire a mio agio e rendendo la mia prima volta indimenticabile. Mi ha spogliata con delicatezza, accarezzando ogni mio centimetro di pelle e riempiendomi di baci. Ho sentito il profumo della sua pelle inebriarmi le narici, e quando mi ha sorriso e mostrato le fossette, mi son lasciata travolgere dalla nostra ione. Ci siamo sdraiati sul letto, con Andrea attento a non schiacciarmi con il suo peso, e quando è entrato dentro di me, un mix di dolore e piacere si è propagato per tutto il mio corpo, facendomi provare emozioni mai sentite prima. Siamo diventati un tutt'uno e abbiamo raggiunto l'apice del piacere insieme. Mi sono lasciata andare completamente a lui e con lui, e ora, sdraiata al suo fianco dopo aver fatto l'amore, non posso che sentirmi felice, amata e appagata. «Non guardarmi così, smettila!» «Perché?» mi chiede lui divertito. «Perché mi imbarazzi.» ammetto, coprendomi fino alla testa con il lenzuolo. Andrea mi scopre e accarezza la mia pelle con un dito, dal collo fino a scendere alla pancia, provocandomi la pelle d'oca. «Ma io ti guardo perché sei bella, Lu.» «Te dici sempre che sono bella.» rispondo. Andrea mi bacia il collo, poi la spalla e infine le labbra. «Perché è vero. Sei bella anche con il pigiama, struccata e con l'influenza. Tu sei la Luce dei miei occhi, sempre e comunque.» mi sussurra. Qui, esattamente in questo preciso istante, so per certo di essermi innamorata. Innamorata persa, e la cosa ancora più bella ed eccitante, è che sono ricambiata al cento per cento. Potrei desiderare qualcosa di meglio? Per quanto mi riguarda, il mondo potrebbe finire in questo preciso istante, ma a me non importerebbe, perché io sono tra le braccia del ragazzo che mi ha fatto capire cos'è il vero amore a soli diciannove anni. Appoggio la testa sul suo petto, che si alza e si abbassa al ritmo regolare del suo respiro.
«Sai Lu, un giorno me ne voglio andare da qui. Andare via e costruirmi una vita in un posto nuovo, lontano da tutto e da tutti.» Ascolto le sue parole e resto interdetta. Abbiamo appena condiviso la nostra intimità, e sentir dire che desidera andarsene mi rattrista un po'. Se vuole mollare tutto, vorrà mollare anche me? «Dove vorresti andare?» gli domando. «Non lo so, ma so che non voglio restare piantato qui per sempre. Il mondo è troppo vasto per stare fissi in un posto solo.» dice, mentre gioca con una ciocca dei miei capelli. Lo conosco e so che quando si mette in testa qualcosa, fa di tutto per raggiungere il suo obiettivo, ma non riesco a capire che ruolo ho io in tutto ciò. «Capisco.» dico, e la paura comincia a farsi spazio dentro me. Come posso lasciarlo di nuovo andare per la sua strada, quando io vorrei solo percorrerla con lui? Andrea mi guarda e mi sorride. «Però non posso farlo se tu non vieni con me. Siamo giovani, ma so per certo che il mio futuro è con te. È il mio cuore che me lo dice.» La mia bocca si allarga in un sorriso enorme e non posso fare altro che baciarlo. «Certo che verrò con te. Il nostro futuro è insieme. Promesso?» chiedo. «Promesso. Ce ne andremo via tra qualche anno, magari dopo la tua laurea.» «Laurea?!» chiedo, strabuzzando gli occhi. Lui scoppia a ridere. «Sì, amore. Tu adori studiare, quindi vediamo di iscriverti all'università il più presto possibile, non voglio are per ignorante nel resto del mondo.» Rido e mi rannicchio sempre più stretta a lui. «Come vuoi, però perché devo studiare solo io?» «Sei tu quella intelligente qui.» mi risponde. Continuiamo a parlare e a fantasticare sul nostro futuro insieme; sui luoghi da visitare e su quelli dove potersi fermare, e ci addormentiamo a notte inoltrata, stretti l'uno all'altra, sereni e speranzosi. Sto dormendo così bene che faccio fatica ad aprire gli occhi, anche quando sento Andrea ripetere il mio nome. «Luce. Luce svegliati. Alzati dai, dobbiamo andare.» Mi giro dall'altra parte. «Luce!» urla Andrea mentre mi scuote. Apro un occhio per scrutarlo. «Buongiorno.» dico. «Sì, buongiorno Lu. Ti alzi?» Apro anche l'altro occhio e
guardo l'ora. Cinque e mezza. Butto un occhio alla finestra: buio. Cinque e mezza di mattina. Mattina! «Tu sei pazzo!» esclamo. «No che non mi alzo.» Mi metto il cuscino sopra la testa. Per quale motivo dovrei alzarmi, quando tutto quello che desidero è che lui venga sotto le coperte con me? Andrea mi scopre il viso. «Alzati, Lu. Abbiamo dormito fino a tardi per tutta l'estate.» Lo fisso. «Se vieni con me ti prometto che domani faremo tutto il tempo questo.» mi dice, dandomi un bacio. «E anche questo e questo.» E continua a baciarmi le labbra, il collo fino a scendere alla clavicola. Un brivido mi pervade, ma sono costretta a cedere. «Va bene.» dico rassegnata. «Perfetto. Ti aspetto di sotto, sbrigati.» Quaranta minuti dopo siamo in viaggio, verso una destinazione ignota. «Allora dove andiamo?» chiedo. «È una sorpresa.» mi risponde Andrea. Gli punto un dito contro. «Tu non puoi buttarmi giù dal letto alle cinque e mezza del mattino e non dirmi dove siamo diretti.» «Ma se te lo dico non è più una sorpresa, testona.» Vero, ma io sono curiosa. «Sei crudele.» dico acida. Andrea mi afferra la mano e se la porta alle labbra per baciarla. «E tu sei bellissima anche da arrabbiata.» Alzo gli occhi al cielo e lui scuote la testa divertito. «Ci sono le brioche lì.» mi dice, indicando un sacchetto sul cruscotto. Lo afferro e ne addento una. «Sappi che ti odio.» dichiaro, masticando. «Non è vero.» replica lui. «Sì invece, ma ti perdono solo per via di questo croissant alla marmellata.» «Come vuoi tu, Lu.» Sorride e allunga la mano per accendere la radio mentre io mi volto a guardare fuori dal finestrino. Il paesaggio scorre veloce e le prime luci dell'alba tingono il cielo di colori vivaci e allegri. Siamo quasi a fine settembre, ma si prospetta una bella giornata calda. Cullata dalla macchina e rilassata dalla musica, mi addormento. Il tocco di Andrea che mi sfiora una guancia con le dita, mi desta dal mio sonno. «Sveglia dormigliona. Siamo quasi arrivati.» Distendo i muscoli intorpiditi e mi guardo attorno. Davanti a me ci sono ancora chilometri e chilometri di autostrada, ma i miei occhi si fissano su quella linea azzurra e limpida al di là del parabrezza. Il mare. Erano anni che non lo vedevo. Così immenso e profondo. «Siamo al mare!» urlo eccitata. «Sorpresa!» esclama Andrea. Sa da quanto tempo desideravo andare al mare anche solo per un giorno, così mi ci ha portata.
Cavolo, ho davvero il ragazzo perfetto al mio fianco. Mi avvicino per baciargli la guancia. «Grazie.» dico senza smettere di sorridere. Continuo a contemplare il paesaggio e ogni tanto sbircio Andrea, che con i suoi occhiali da sole e i riccioli biondi mossi dall'aria, è ancora più bello e attraente del solito. Verso le undici siamo con i piedi affondati nella sabbia, con l'odore di salsedine che ci riempie le narici. Scopro che Andrea ha organizzato questa sorpresa da giorni, e non ha tralasciato nessun particolare, ricordandosi anche asciugami, costumi e crema solare. La giornata trascorre tranquilla. Camminiamo sulla sabbia bagnata, prendiamo il sole e tentiamo di affogarci in acqua, riuscendo ad affogare solo nelle nostre risate e nel nostro amore. Mi piace sentirlo ridere e sapere che spesso sono io che gli ho provocato quella risata. «Cosa fai?» gli domando divertita. Andrea prende un bastoncino e traccia le nostre iniziali sulla sabbia, circondandole con un cuore. «Quando più tardi la marea si alzerà, il mare cancellerà le nostre iniziali e ci porterà via con lui, lontano. In questo modo diventeremo parte del mare.» dice. «Adoro il mare.» dico, sospirando. Andrea mi guarda. «Il mare non è poi così speciale, Lu. È troppo vasto ed è troppo salato. E comunque lo guardi sarà sempre e solo mare, mentre io e te siamo liberi di scegliere cosa essere.» spiega. Resto rapita dalle sue parole. «Ok piccolo filosofo.» dico mentre gli sistemo un ciuffo di capelli ribelle. «Il mare sarà solo mare, ma a me un giorno piacerebbe viverci.» Ho sempre avuto un debole per questa vasta distesa di acqua salata, e il mio desiderio più grande è sempre stato quello di abitarci a fianco, per poterlo ammirare tutte le mattine dalla mia finestra. Andrea mi abbraccia da dietro e posa il mento sulla mia testa. «Dopo che avremo viaggiato per il mondo, sceglieremo un posto con il mare per fermarci. Va bene?» Annuisco e mi appoggio contro il suo petto. Restiamo a fissare le onde fino a quando non si fa sera e dobbiamo rimetterci in viaggio per tornare a casa.
8
Tredici mesi prima Ho bisogno di capire. Sono forse un egoista? Probabile. Eppure ne sento la necessità. Nelle ultime settimane ho ricevuto diverse chiamate, tutte dallo stesso numero. L'ho cancellato dalla mia rubrica tempo fa, eppure so esattamente chi è. Monica. Ho tentato in tutti i modi di lasciar perdere, di ignorarla, ma alla fine ho ceduto e ho risposto. E così eccomi qua. In un bar di piazza Vittorio, ad aspettare la mia ex mentre la mia attuale ragazza è a lezione per il suo primo giorno di università. Prendo posto in un piccolo tavolo rotondo e mi guardo in giro a disagio. Cosa vorrà Monica da me dopo tutto questo tempo? Sento la porta del bar aprirsi e sollevo lo sguardo. Monica entra fiera e sicura di sé. Indossa una minigonna di jeans e degli stivaletti con il tacco. Ha i capelli raccolti in un morbido chignon e un accenno di matita nera agli occhi. È dannatamente bella e perfetta e con ogni probabilità tutti i ragazzi presenti se la stanno mangiando con gli occhi. Mi manca il respiro mentre la vedo avvicinarsi al mio tavolo. I ricordi della nostra storia riaffiorano e sono come un pugno in piena faccia. Lei è stata la mia prima ragazza, la mia prima storia seria, la mia prima volta, il mio primo amore. E in questo istante mi rendo conto che una parte di me è ancora legata a lei. Si sfila la giacca e si siede davanti a me mostrandomi un sorriso mozzafiato. Lo stesso sorriso che mi mostrava quando diceva di amarmi. Lo stesso sorriso di quando mi mentiva. Probabilmente lo stesso sorriso che mostrava a tutti i ragazzi con cui è stata. Questo pensiero basta a placare i miei nervi e a ricordarmi quanto male in realtà lei mi abbia causato. Non dovrei essere qui. Tra un'ora devo andare a prendere Luce all'università e cosa le dirò? Non mi piace l'idea di doverle mentire. «Ciao, Andre.»
«Cosa vuoi, Monica?» chiedo impaziente. «Quanta fretta! Fammi prima ordinare, no?» In quello stesso istante il cameriere si avvicina e le sorride ammiccante. Sento la rabbia ribollirmi il sangue. «Cosa posso portarti?» «Un cappuccino con il cioccolato.» Il ragazzo si volta poi verso di me. «A te invece?» «Nulla. Sono a posto così, grazie.» Rivolge un'ultima occhiata alla scollatura di Monica e se ne va. «Allora come stai?» mi domanda Monica tornando a sorridermi. «Sto bene.» dico a denti stretti. Il cameriere ritorna e posa il cappuccino. Monica lo guarda e gli sorride civettuola, mandando in estasi il ragazzo. Scuoto la testa disgustato. Sono stato insieme a questa ragazza per un anno, e non mi sono mai accorto dei suoi modi di fare. Non mi stupisce che sia riuscita a tradirmi così facilmente, dato che sono stato facile da abbindolare. La osservo mentre beve un sorso del suo cappuccino e dopo aver posato la tazza, mi scruta con gli occhi. «E così, ora stai con Luce.» esordisce. La fisso scocciato. «Non è un segreto. Lo sanno tutti.» «Già. Però questo prova che avevo ragione io. Hai sempre provato qualcosa per lei.» Il suo modo di parlare mi irrita. «Per questo hai insistito così tanto per vedermi? Volevi dirmi te lo avevo detto?» Si appoggia allo schienale della sedia e fa un profondo respiro. «No. Volevo chiederti scusa per come sono andate le cose tra noi.» La guardo confuso. Lei si schiarisce la voce e prosegue. «Sono stata una pessima fidanzata, lo so. Ma non volevo farti soffrire. Solo che è stato più forte di me, io non sono fatta per stare con un'unica persona. Ci ho provato con te, e all'inizio ha pure funzionato ma poi… Le vecchie abitudini sono dure a morire.» fa un sorrisetto tirato. «Mi dispiace, Andre. Per tutto. Sappi solo che ti ho amato davvero, anche se in un modo contorto.» Resto completamente spiazzato dalle sue parole. Non pensavo che mi avesse cercato per pormi delle scuse. In realtà, non sapevo proprio cosa pensare quando mi ha chiesto se potevamo vederci.
«Non c'è mai stato nessun bambino, vero?» chiedo, immaginando già la risposta. «Era l'unico modo per far sì che tu mi lasciassi. Sapevo che avresti perdonato i miei tradimenti, ma crescere un bambino non tuo era troppo anche per te.» Si morde un labbro a disagio. «Volevo che mi odiassi. Non meritavo nulla da te.» Deglutisco a fatica l'amaro delle bugie. «Avresti potuto lasciarmi te, no? Avremmo evitato tutta questa situazione.» Scuote la testa e sul suo volto vedo davvero rimorso e senso di colpa. «Non potevo, te l'ho detto. Ti amavo e una parte egoista di me voleva restare con te. Dovevi essere tu a troncare. Io ti ho solo dato un ottimo motivo per farlo, senza il quale avresti continuato a starmi accanto e a cercare di salvarmi da me stessa. E io avrei continuato a farti del male.» Mi sta dicendo che l'ha fatto per me? Che enorme paradosso. «Hai proprio ragione. Hai avuto davvero un modo contorto di amarmi.» «Lo so.» Beve un sorso della sua bevanda e io do un'occhiata all'ora. «Ma perché mi vieni a dire queste cose adesso?» domando all'improvviso. «Perché ti meritavi delle scuse. E poi perché ora stai con Luce, quindi questo significa che tra noi è proprio finita, giusto? Anche se mi domando come abbia preso il fatto che sei qui con me.» Non rispondo ma il mio volto deve rivelare la verità. «Oh, non gliel'hai detto.» Monica fa un sorriso malizioso e trionfante. Sono caduto nella sua trappola. Non è cambiata affatto. Che idiota che sono. E se penso che è stato a causa sua se Luce si è allontanata da me per un anno intero, mi sento ribollire il sangue. Mi irrigidisco ma non intendo dargliela vinta. Se prima di vederla ero confuso, ora non lo sono più. Io amo un'unica ragazza. E non è quella seduta di fronte a me. Il legame con Monica si è rotto definitivamente.«Non gliel'ho detto perché non è importante. Accetto le tue scuse, ma potevo benissimo farne a meno visto che tutto quello che è successo tra noi alla fine mi ha portato dritto da Luce. Non potevo chiedere di meglio.» Il suo sorriso vacilla, ma non si scompone del tutto. «E io sono felice per te, Andre. Volevo solo parlarti niente di più, credimi. Ti auguro solo il meglio perché te lo meriti.» Le sue parole sembrano sincere e io riesco finalmente a rilassarmi. «Auguro anche a te di incontrare la persona giusta un giorno.» rispondo sincero. Usciamo dal bar e Monica mi saluta con un bacio sulla guancia. La vedo andare
incontro a un ragazzo alto e con gli occhi verdi, e non appena la vede la abbraccia stretta. Lo riconosco e gli faccio un cenno di saluto con la testa che lui ricambia sollevando la mano. Ho mezz'ora prima che esca Luce, ma mi incammino lo stesso verso l'università. o sotto i portici e osservo le vetrine, ma a un tratto ce n'è una che attira la mia attenzione. Ha esposti vari cartoncini colorati con località e prezzi. È un'agenzia di viaggi. E non appena mi rendo conto di cosa ho in mente, sorrido e varco la soglia. *** Il primo giorno di università è un inferno. Aule stracolme di studenti tutti ammassati, corridoi infiniti dove mi perdo in continuazione, una lista di materiale e libri da comprare che mi fa pensare che dovrò chiedere un finanziamento per poterli acquistare, e ore e ore interminabili di lezione. L'unica notizia positiva è che per il primo semestre avrò lezione solo tre volte la settimana. Esco distrutta e spossata, ma la vista di Andrea appoggiato a un muretto che mi aspetta, mi rianima. Non si è ancora accorto della mia presenza e ne approfitto per spiarlo. È bello. Lo è sempre stato, ma ora lo è ancora di più, e io non posso che ritenermi fortunata ad averlo al mio fianco. Poco lontano da me, due ragazze chiacchierano tra loro. Mi accorgo che una delle due lo indica e si lascia scappare un commento sul suo fisico atletico e sulla sua sensualità. Il sangue mi ribolle dalla gelosia e con tutta l'energia che trovo comincio a correre per saltargli addosso. Andrea se ne accorge appena in tempo per spalancare le sue braccia e accogliermi nella sua stretta forte e sicura. Il suo viso si illumina e sorridendo mi bacia. Mi spiace ragazze, ma lui è mio. «Ciao piccola universitaria! Com'è andata?» mi chiede. «Ciao.» dico io, sbuffando. «Là dentro è un inferno. Possiamo fare cambio? Io vado a lavorare e tu studi.» propongo. Andrea scoppia a ridere. «Lo sai che io odio studiare. Ci metterei vent'anni a laurearmi e non potremmo girare il mondo.» Probabile, ma è un rischio che sarei pronta a correre. Mi scosta una ciocca di capelli dietro l'orecchio e mi lascia andare dall'abbraccio per estrarre qualcosa dalla tasca dei jeans. «Ad ogni modo.» aggiunge. «Che ne pensi se cominciassimo il nostro tour mondiale a Capodanno?» Mi sventola due biglietti aerei sotto il naso e io glieli strappo dalla mano per osservarli. «PARIGI?!» esclamo di gioia. «Ti va?»
«Non possiamo partire già domani?» rispondo, guardandolo con gli occhi che mi brillano di felicità. Gli salto al collo e lo bacio. Andrea ride soddisfatto e mi prende la mano per andare verso la macchina, pensando già a cosa mettere in valigia.
9
Tredici mesi prima «Luce dei miei occhi!» esclama Andrea dall'altra parte della cornetta. «Ciao amore.» «Sei proprio sicura di non voler venire?» mi domanda, ma la sola idea di levarmi la tuta e le pantofole per uscire di casa, mi rende ancora più pigra. «Sì, Andre. Sono troppo stanca. L'università mi sta uccidendo, e poi più tardi dovrebbero arrivare i miei.» È sabato sera e per la prima volta dopo tanto tempo, io e Andrea eremo la serata separati. Lui va a ballare per festeggiare il compleanno di Giacomo, un suo amico, mentre io sto a casa a riposarmi e a are un po' di tempo con i miei genitori. «Ma mi mancherai.» si lamenta lui. «Anche tu, ma domani eremo tutta la giornata insieme, e poi se ti annoi puoi sempre scappare da me.» propongo. Lui ride. «Magari Lu, ma stasera non sono con la mia macchina.» Ah, me ne ero dimenticata. Segue qualche secondo di silenzio. «Lu?» «Sì?» «Credo che sia arrivato il momento di dirti una cosa importante, ma a voce mi viene difficile, così te l'ho scritta e tra qualche giorno ti arriverà a casa.» Sorrido con il cuore che mi batte velocissimo. «E ti dovrò rispondere?» «Solo se lo vorrai.» sentenzia Andrea. «Lo vorrò sicuramente.» rispondo. Lo sento tirare un respiro di sollievo e rilassarsi.
«Allora a domani, amore.» «Sì, a domani.» *** Questa serata in discoteca è un vero fiasco. È noiosa e la musica che suona questo DJ è pessima. Le ragazze sono pronte a saltarti addosso in qualsiasi momento e i miei amici sono tutti ubriachi, tant'è che inizio a domandarmi come farò a tornare a casa. E poi mi manca Luce. Non mi piace l'idea di lasciarla anche solo per un paio d'ore, figuriamoci per un'intera serata. Come farò ad addormentarmi senza averla tra le mie braccia? Sono fortunato ad averla tutta per me. L'ho sempre adorata fin da quando eravamo bambini, e Monica ci aveva visto giusto. Ho sempre provato dei sentimenti per lei, solo che avevo paura di manifestarli. Stringerla a me mentre guardiamo un film e assaporare il suo odore sarebbe stato molto meglio che questa serata. Sono un idiota, dovevo stare a casa con lei. Stefano mi a a fianco biascicando qualcosa che non riesco a capire, ma quando mi vomita sulle scarpe capisco che forse è ora di tornare a casa. Sono quasi le quattro del mattino e sicuramente Luce starà dormendo. Spero che mi sogni. Prendo Stefano sotto braccio. «Dai Ste, cerca di riprenderti che ce ne andiamo.» Trovo Giacomo e Fabrizio distesi su un divanetto, e nemmeno loro sembrano molto lucidi. Rimetto tutti in piedi e usciamo dalla discoteca, sperando che il freddo di novembre li faccia rinsanire. «Jack dammi le chiavi, guido io.» dico. Lui mi guarda di sbieco. «No.» biascica. «La macchina è mia e la guido io.» «Ma sei troppo ubriaco Jack, dammi le chiavi.» «Non è vero!» urla, guardandomi diritto in faccia. «E poi tu non hai la patente dietro.» Cerco di prendergli le chiavi con la forza ma lui si ritrae. Guardo Stefano e Fabrizio, loro non possono sicuramente mettersi al volante e io non ho i documenti con me. Non so che fare. Posso fidarmi delle capacità di Jack? Aspetto dieci minuti, sperando che il freddo faccia riprendere i suoi neuroni dalla sbronza, ma la verità è che preferirei andare a piedi. Giacomo mi guarda.
«Sto meglio Andre. Guido io, tranquillo.» Lo studio per qualche secondo. In effetti ha ripreso colore, riesce a reggersi sulle gambe e ha le pupille quasi normali. Sono solo pochi chilometri da qui a casa mia, ma non voglio rischiare. «Perché non lasci guidare me?» insisto. Giacomo scuote la testa e mi urla di nuovo addosso. Il suo alito sa di alcool. «Ho detto di no! Ora sali se non vuoi tornare a casa facendo l'autostop!» Sale in macchina e mette in moto, io resto fuori ancora qualche istante. Questa situazione non mi piace, ma non ho molta scelta. Scuoto la testa contrariato e salgo in auto. *** Sono appena uscita dalla discoteca e l'aria gelida mi punge le guance. Richy mi tira per un braccio. «Che c'è?» chiedo. «C'è Andrea là.» mi dice, indicando una direzione con il dito. Sposto la mia attenzione da quella parte e vedo Andrea che discute con Giacomo. Luce me l'aveva detto che sarebbe venuto da solo perché lei era troppo stanca. Sarebbe potuto stare a casa con lei, dato che la serata ha fatto davvero schifo. «Secondo te perché discutono?» mi domanda Richy. «Non ne ho idea. Possiamo tornare a casa? Sto congelando!» Vedo Andrea in lontananza scuotere la testa e salire in macchina, e vedo Giacomo che parte sgommando. Richy mi prende per mano e ci incamminiamo verso la nostra auto. Ho le orecchie ancora tappate e ronzanti, e faccio fatica a sentire i rumori intorno a me, ma lo schianto che riempie il silenzio della notte lo sentiamo tutti. Un tonfo assordante e la gente si precipita in strada per vedere cosa è successo. Mi manca un battito e sento la paura paralizzarmi. Oh, no. Fa che non siano loro, ti prego. *** La chiamata nel cuore della notte, mia madre che corre in camera mia e mi sveglia scuotendomi. E mentre mi abbraccia sento le sue lacrime bagnarmi il viso. Non riesco a capire cosa sia successo, e penso subito a mio fratello a Londra, ma poi mia madre pronuncia quelle dannate parole e mi stringe il viso tra le mani. Mio padre mi abbraccia stretta e io smetto di respirare. È tutto irreale. Tutto sfocato e confuso. Per un breve, brevissimo momento, sono convinta che sia solo un incubo. Svegliatemi. Svegliatemi perché non può essere vero. Mi spengo. Non riesco più a percepire nulla. Sono completamente assente.
Il mio sguardo è vuoto, perso chissà dove. E la mia gola è secca. Sono giorni che dalla mia bocca non esce una parola. Un incidente stradale. Quattro ragazzi. Tre feriti non gravi. Un morto. Anna mi abbraccia e mi racconta cosa è successo. «Oh, Lucciola. Se solo avessi saputo, lo avrei accompagnato a casa io.» singhiozza. Non mangio. Non bevo. Non dormo. Riesco a malapena a respirare. Mi sento una Luce spenta. Cosa farò, ora? Senza Andrea? Lui era la spina che accendeva la mia vita. Il giorno del funerale è straziante. Non guardo nessuno negli occhi, perché non voglio vedere i visi comionevoli degli altri. Solamente quando Maria mi stringe forte a sé, riesco a lasciarmi scappare qualche lacrima. Mi è stato strappato via. Il ragazzo che amo non c'è più. Il ragazzo che negli ultimi mesi mi ha riempito la vita di gioia e colmato il cuore d'amore mi ha lasciata. Come si può morire a quest'età? La chiesa è invasa dalla gente. Parenti, amici, amici di amici e conoscenti. Ci sono tutti meno che suo padre. Non si è nemmeno degnato di venire a salutare per l'ultima volta il figlio, stroncato da un incidente a soli vent'anni. Il parroco spende belle parole, che alle mie orecchie sanno di niente. Andrea era molto più che un bravo ragazzo. Qualche amico racconta degli aneddoti divertenti, qualche marachella fatta di nascosto. Io non dico una parola, e nessuno si aspetta che io lo faccia. Incrocio solo per un istante gli occhi di Giacomo, invasi dal dolore e dal senso di colpa, ma non provo rabbia nei suoi confronti, non provo niente oramai. Provare dei sentimenti equivale a essere vivi. Ma io non sono certa di volerlo essere. Finita la cerimonia andiamo al cimitero per la sepoltura e una folla di persone si avvicina per stringermi la mano, abbracciarmi e dirmi qualche parola di conforto. Ma non esiste nessun tipo di conforto in queste situazioni. Alzo gli occhi solo per un istante e qualcuno attira la mia attenzione. La vedo là, leggermente staccata dalle altre persone che guarda nella mia direzione: Monica. I nostri sguardi si incontrano, e noto che sta piangendo. Con quale diritto? Gli ha spezzato il cuore, gli ha mentito e lo ha tradito, non dovrebbe nemmeno essere qua. Sto per andare da lei come una furia, quando Cecilia mi si para davanti. Ha
gli occhi rossi e gonfi a causa del pianto. «Lascia perdere, Lucy. Lasciale vivere il suo dolore. Andrea amava solo te. Credo che saranno mesi difficili per tutti.» Mi scosta i capelli dietro l'orecchio e mi abbraccia forte per poi andarsene. Dolore. Ecco come si chiama quella fitta che da due giorni mi preme sullo stomaco. Non voglio viverlo il mio dolore. Voglio imbottigliarlo e buttarlo in mare. Nello stesso mare che si è riversato sulla spiaggia, cancellando solo l'iniziale di Andrea e lasciando la mia sulla sabbia, da sola. Continuo a stringere mani e a ricevere abbracci, fino a quando non mi manca il respiro e corro via. Scosto un paio di persone che cercano di fermarmi ma ho bisogno di allontanarmi, e correndo torno a casa. Sento le lacrime invadermi gli occhi ma le ricaccio indietro. Mia madre è dovuta ripartire per lavoro, ma mi ha preparato la torta al cioccolato, la mia preferita. Solo che la sola idea di mangiare mi fa venire la nausea. Quando entro in casa trovo mio padre, che dev'essere tornato poco prima di me, mentre un Charlie dal muso triste è accucciato vicino al camino. Guardo mio padre e mi avvicino a lui, che mi accoglie tra le sue braccia forti, esattamente come faceva quando ero piccola. Mi stringe forte, e dopo giorni, le mie labbra pronunciano una frase. «Grazie per essere rimasto a casa, papà.» gli dico, aggrappandomi a lui. «Resto tutto il tempo che vuoi, piccola mia.» Appoggiati al cancello ci sono due dozzine di mazzi di fiori, mentre il tavolo della cucina è sommerso da bigliettini di condoglianze. Maria ha fatto spedire tutto da me, ma non so bene il motivo. Non ho avuto il coraggio di parlarle. Ho avuto troppa paura che mi crollasse davanti, e io con lei. Mio fratello ha chiamato e ha detto che tornerà a casa qualche settimana prima di Natale. Manca meno di un mese a Natale. Manca appena un mese a Parigi. Mi viene una fitta tremenda allo stomaco e guardo tutti i biglietti sul tavolo. «Puoi fare sparire tutto, per favore? Sia i fiori sia i biglietti.» chiedo a mio padre. «Certo tesoro. Me ne occupo subito.» Sto per rintanarmi in camera mia, quando mio padre mi porge una busta. «Non voglio leggere nessun bigliettino, papà.» Lui scuote la testa. «È una lettera, Luce. Una lettera indirizzata a te da parte di Andrea. Sii forte, bambina mia.» Mi
dà un bacio in fronte ed esce dalla stanza. Mi tornano in mente le sue parole. Credo che sia arrivato il momento di dirti una cosa importante, ma a voce mi viene difficile, così te l'ho scritta e tra qualche giorno ti arriverà a casa. Mi ero dimenticata della lettera. Mi chiudo la porta di camera mia alle spalle. Ho la dichiarazione d'amore di Andrea tra le mani, ma l'unica cosa che riesco a pensare guardando la busta, è che rappresenta tutto ciò che non c'è più e un futuro che non ci sarà mai. La leggo in silenzio tra le quattro mura della mia stanza, accasciandomi a terra. E appena ho finito, mi lascio andare alle lacrime e alla disperazione. Mi sento vuota e priva di ogni forza. È un dolore troppo grande per me. E forse è per questo che da quel momento in poi c'è stato solo il buio.
SECONDA PARTE
10
Oggi Robert ha ascoltato in silenzio ogni mia singola parola nell'ultima ora e mezza. Le parole mi sono uscite di bocca fluide come se non vedessero l'ora di essere dette. Ho la gola secca e gli occhi rossi. Le lacrime mi bagnano il viso e il cuore mi martella nel petto, colpito dall'intensità e dalla sofferenza del ricordo di Andrea. Da una decina di minuti sono in silenzio, seduta sul divanetto dello studio a fissare il vuoto. L'unico rumore che percepisco è il ticchettio dell'orologio vicino alla libreria che mi ricorda che il tempo trascorre senza che io possa controllarlo. Lo psicologo mi a un fazzoletto con cui mi soffio il naso e mi asciugo gli occhi. «Mi spiace per quello che è successo ad Andrea.» dice sinceramente il Dr. Menotti. «Grazie». Mi volto verso la finestra e con mia grande sorpresa mi scappa un sorriso. «Sa che è stato Andrea a spingermi a venire da Lei? Mi è apparso in sogno e mi ha detto che era arrivato il momento per me di ricominciare, di provare ad andare avanti. Ha detto che ero diventata una Luce spenta. Gli è sempre piaciuto giocare con il mio nome.» racconto mentre continuo a sorridere. Il Dr. Menotti prende qualche appunto e il rumore delle lancette dell'orologio inizia a infastidirmi. «Quindi è stato lui a darti la spinta iniziale, ma tu credi di essere pronta di poter andare avanti?» Sollevo gli occhi. «Ho altra scelta?» domando. «C'è sempre un'altra scelta, Luce.»
«Forse. Ma che senso avrebbe continuare così? Voglio dire, io sono qui mentre Andrea è…» Mi mancano le parole. «Morto.» conclude il Dr. Menotti al posto mio, e io sento una fitta di dolore allo stomaco e gli occhi inumidirsi di nuovo. «Tu e Andrea vi amavate molto. Siete cresciuti insieme e avevate fatto dei progetti per il futuro. È sempre difficile andare avanti quando perdiamo qualcuno a noi caro, soprattutto se perdiamo la persona che amiamo.» Inizia a mancarmi il respiro e un miscuglio di emozioni mi percuote tutto il corpo. E oltre al dolore, vengo invasa dalla rabbia. «È così ingiusto! Perché tra tutti è morto proprio lui?» grido. «Andrea doveva restare con me! Me l'aveva promesso!» Vengo percossa da un brivido e dai singhiozzi e il Dr. Menotti mi a la scatola dei fazzolettini. «È normale essere arrabbiati. Fa parte del dolore.» «Io…» farfuglio. Faccio un respiro profondo per tranquillizzarmi. Il continuo tic tac dell'orologio però è snervante. Maledetto tempo! Se solo avessi saputo che ce ne restava così poco, avrei potuto fare le cose diversamente? «Io vorrei solo aver avuto più tempo. Alla mia età uno si aspetta di avere tutta la vita davanti e invece non è stato così. Perché?» dico più calma e tirando su con il naso. Robert mi guarda e mi domando quante donne disperate abbia dovuto ascoltare nella sua carriera. Di colpo, so esattamente cosa mi sta distruggendo dentro. So qual è la sanguisuga che mi ha succhiato via tutta l'energia vitale, strappandomi la voglia di vivere. «È che non sono mai riuscita a dirglielo.» dico e dalla mia voce trapela un'infinita tristezza. «Che cosa?» «Non gli ho mai detto cosa provavo. Non sono mai riuscita a dirgli che lo amavo, mentre Andrea con me l'ha fatto, con la lettera.» Sento un peso enorme sulle spalle, come se qualcuno mi stesse spingendo verso il basso. Sono spossata e priva di tutte le energie perché fa male. Fa male essere consapevole che non potrò mai dirglielo e che lui sia morto senza saperlo. «Purtroppo non tutti riescono a esprimere i propri sentimenti, ma da quello che
mi hai raccontato, sono certo che Andrea fosse consapevole di cosa provassi per lui. Non hai mai pensato che, forse, è proprio per questo che ti è apparso in sogno? Voleva dirti che era tutto a posto e che non devi continuare a vivere nei rimpianti.» Le sue parole mi colpiscono diritte in faccia come una pallonata. Io non ho mai detto ad Andrea di amarlo, ma forse gliel'ho fatto capire con i miei gesti? Se avevo acconsentito a progettare un futuro insieme era perché lo amavo, e stavo solo aspettando il momento giusto per dirglielo. Faccio un lungo sospiro. «Forse ha ragione.» dico a Robert e lui mi sorride. «Cos'è successo dopo il funerale?» Mi prendo qualche istante prima di rispondere perché il ricordo di quel periodo è sbiadito. «Ho trascorso le settimane successive chiusa in casa a piangere. Il Natale è ato senza che me ne accorgessi, e i biglietti per Parigi mi ricordavano che lui non c'era più e che nemmeno i nostri viaggi ci sarebbero mai stati. Ho odiato tutto e ho maledetto la vita per essere stata così crudele con me.» Faccio una pausa per riprendere fiato, mentre serro le mani a pugno, stritolando il fazzolettino di carta. «E poi ho sentito il bisogno di fare qualcosa per riempire il vuoto lasciato da Andrea. Così ho stampato tutte le nostre foto insieme e le ho appese sulla parete di camera mia. In questo modo lui è sempre lì, con me. E quando ho provato a tornare alla mia vita di tutti i giorni non ci sono più riuscita. Appena mi allontanavo troppo da casa mi colpivano il mal di stomaco e gli attacchi di panico, e allora ho mollato tutto. Ho lasciato l'università e cominciato a are le giornate tra le mura della mia stanza. Ho lasciato che il dolore mi logorasse senza provare a combattere.» Il Dr. Menotti annuisce, come se capisse di cosa parlo. Il mio cuore è a pezzi e il mio stato d'animo è decisamente sotto terra. Come farò a riprendermi? L'amore per Andrea è stato la mia malattia. E come posso guarire se non so quale cura fare? «Dev'essere stato un anno davvero difficile, ma ora sei qui. E questo significa che una piccola parte di te vuole tornare a stare bene. Andrea era il tuo ato, il tuo presente e sarebbe stato anche il tuo futuro, ma ora che lui non c'è più, devi capire come andare avanti. E la forza per farlo è solo dentro di te, Luce.»
«Non so se ne sono in grado.» dico, guardando il pavimento. «Sei più forte di quanto credi, Luce. E te ne accorgerai.» Scuoto la testa, per niente convinta. «Non è vero.» «Io credo di sì, invece. Molte persone al posto tuo avrebbero già mollato, avrebbero preferito farla finita piuttosto che provare a lottare.» Lo guardo dritto negli occhi, consapevole di stare per confessare un segreto di cui non vado fiera. «In realtà ci ho pensato. Più di una volta.» «Hai detto bene, l'hai pensato. Tutti in un momento difficile lo abbiamo pensato, ma hai mai provato a farlo?» Scuoto la testa. «E perché?» «Perché non potevo dare questo tipo di dispiacere ai miei genitori.» ammetto in un sussurro. «Riuscirai a superare questo momento. È solo un periodo brutto, ma i periodi ano, non credi?» I pensieri mi rimbalzano in testa e tutto ciò che vorrei fare è chiudermi in camera con la musica a tutto volume, e dimenticare la realtà. Tiro un sospiro frustrato. «Sto provando a capire come fare, ma non ne ho proprio idea.» «Io sono qui per questo e posso aiutarti. Perché non provi a stilare una lista dei desideri? Scrivi una decina di cose che ti piacerebbe fare.» «Ma io non so cosa vorrei fare. Cosa dovrei scrivere?» dico del tutto sorpresa da questa sua proposta. Robert mi guarda quasi divertito. «Decidi te, Luce. Pensa ai tuoi sogni, perché ci sono, credimi, li hai solo nascosti da qualche parte. Provaci, ok?» Sbuffo contrariata, come se avessero appena detto a un bambino di mangiare le verdure. Ma alla fine mi arrendo, perché sono disposta a fare qualsiasi cosa pur di tornare a stare bene. «Ok, ci proverò.» *** Una lista dei desideri. Un elenco di cosa mi piacerebbe fare. Certo che è davvero un'idea bizzarra. Mi sarei aspettata di tutto dal Dr. Menotti meno che questo. Riesco a malapena a mettere il naso fuori di casa e a sopravvivere, figuriamoci
se posso scrivere dieci cose che vorrei fare. Prendo la penna e comincio a picchiettarla sul foglio bianco. Cosa potrei scrivere? Lo psicologo mi ha detto di pensare ai miei sogni, ma ne ho? Lui è convinto di sì. I miei sogni erano tutti legati ad Andrea, avevamo programmato tutto nei minimi dettagli. Mi appoggio allo schienale della mia sedia e cerco di spremere le meningi. Quando avevo tredici anni mi ero fissata con il voler fare un lancio con il paracadute. Sentire l'adrenalina che ti schizza da tutte le parti mentre ti getti nel vuoto. Potrei scriverlo. Cos'altro però? Be', avendo un padre a cui piace molto il calcio, mi piacerebbe andare allo stadio. Vedere una partita dal vivo e capire cosa si prova in mezzo a tutti i tifosi che urlano, cantano ed esultano per la propria squadra. Dev'essere bello. Potrei anche aggiungere di voler incontrare una persona famosa! La mia lista comincia a prendere forma e stilo tutti i punti. Aggiungo che vorrei anche laurearmi e insegnare e ovviamente tornare a stare bene. Spero non siano desideri troppo scontati, ma vista la mia situazione di eremita, anche le cose più semplici per me sono complicate. E poi lo psicologo mi ha detto che potevo scrivere qualsiasi cosa. Ho nove punti su dieci. Me ne manca solo uno. Ma non so proprio cosa poter aggiungere. Mi guardo intorno per cercare un'ispirazione ed eccola lì, in un angolo: la chitarra. Mio padre mi ha raccontato che da giovane sapeva strimpellare qualche nota ma che a causa del suo lavoro non è mai riuscito a iscriversi a un corso vero e proprio. Io amo la musica, riesce a portarmi lontano con la mente e mi rilassa. È il mio modo di evadere dal mondo, inoltre mi piacciono vari generi, dal rock alla classica, e non sarebbe male imparare a suonare uno strumento. Scrivo l'ultimo punto e rileggo la mia lista. Non sembra così assurda. Spero solo che il Dr. Menotti la pensi come me.
11
Manca una settimana a Natale e per il paese si respira un'aria frizzante. Le previsioni del tempo annunciano la prima nevicata dell'anno proprio per la Vigilia e sono tutti entusiasti. Quando ero bambina amavo questa festa. Vedere le case e i negozi tutti illuminati e decorati e le luci degli alberi di Natale che riempiono di colore le abitazioni, creava una sorta di magia. Ricordo che tentavo sempre di restare sveglia per aspettare Babbo Natale, per vedere se scendeva davvero dal camino. Ora che sono cresciuta continua a piacermi l'atmosfera che si crea e la preparazione al Natale. Mi piace andare alla ricerca del regalo giusto per le persone a cui voglio bene. Mi piace il buon umore che le persone trasmettono per strada, il sorriso sui volti dei bambini e avere la mia famiglia accanto, ma ora che so che Babbo Natale non esiste, il Natale ha perso un pizzico di magia. I miei regali sono tutti pronti sotto l'albero. Un libro del genere poliziesco per mia mamma, l'ultimo CD di Michael Bublè per mio padre, un profumo per Nicolò, dei cosmetici per Anna e Cecilia e un osso di gomma per Charlie. Fortunatamente al giorno d'oggi esistono gli acquisti online, in questo modo non mi sono dovuta allontanare molto da casa. Lo scorso anno il Natale è stato orrendo. Non ho fatto altro che stare chiusa in camera a piangere e dormire. Ma quest'anno sto meglio e ho proprio voglia di festeggiare. Non vedo l'ora di godermi la compagnia della mia famiglia, di mio fratello che torna a casa per le feste e dei caldi abbracci di mia nonna, che riesco a vedere solo di rado. Il freddo invernale si insinua diritto nelle mie ossa non appena varco la porta di casa. Il giaccone pesante, il cappello e la sciarpa non bastano a tenermi calda, ma per fortuna lo studio del Dr. Menotti non è molto distante da casa mia. Quella di oggi è l'ultima seduta di quest'anno, poiché la prossima volta che rivedrò lo psicologo sarà già fine gennaio. Inspiro a fondo l'aria natalizia e con la mia lista dei desideri in tasca mi dirigo allo studio. Il Dr. Menotti tiene il foglio in mano e lo legge accuratamente. Sembra anche divertito da quello che ho scritto.
«Queste sono le dieci cose che ti piacerebbe fare?» mi domanda. Io annuisco con un gran sorriso. Conosco la mia lista a memoria e nell'ordine con cui ho scritto ogni singolo punto:
Fare un lancio con il paracadute. Andare allo stadio a vedere una partita di calcio. Incontrare una persona famosa. Tornare a ridere. Laurearmi. Insegnare. Ballare la salsa. Tornare a stare bene. Invecchiare. Imparare a suonare la chitarra.
Robert mi guarda e sorride. «Pensavo peggio, ma noto con piacere che sono quasi tutte cose a tua portata. E alcuni punti dimostrano la tua determinazione nel voler tornare a stare bene. Ma perché non hai messo di voler viaggiare?» «Perché viaggiare era ciò che dovevo fare insieme ad Andrea, ma senza di lui non ha senso.» Io e Andrea avremmo dovuto girare il mondo e fermarci in un luogo con il mare. Insieme. Da sola dove vado? «Capisco.» dice Robert mentre fissa di nuovo i miei punti. «Portala sempre con te, Luce. In modo che ti possa ricordare che stai lavorando per ottenere questi obiettivi.» mi dice, consegnandomi la mia lista. Io annuisco, la piego con delicatezza e la infilo in tasca.
«Come ti senti oggi? La scorsa seduta eri molto scossa.» «Sto meglio. Averne parlato con Lei mi ha aiutata anche se Andrea continua a mancarmi ogni giorno e ogni minuto, ma cerco di concentrarmi per superare il mio dolore. Ora voglio solo godermi il Natale in famiglia.» Robert mi sorride. «Sono contento di sentirtelo dire.» Mi sento abbastanza fiduciosa in questo momento, e sono davvero grata al mio psicologo. È soprattutto merito suo se comincio a fare qualche o avanti. «Ora non resta che mettersi al lavoro.» Lo guardo perplessa. Lavoro? Che lavoro? «Scegli un punto della lista e prova a svolgerlo.» mi suggerisce tranquillamente il Dr. Menotti. Spalanco gli occhi incredula. «Che cosa?!» chiedo e lo psicologo ride divertito vedendo la mia espressione. «Sono sicuro che ce la farai, Luce. a il Natale con la tua famiglia e cerca di divertirti. Quando ci rivedremo tra un mese, voglio che tu mi dica che stai provando a fare qualcosa, ok?» «Ma... ma io non credo che sia una buona idea.» balbetto. «Perché no?» «Perché non so se sono in grado di farlo. Ho ancora gli attacchi di panico e uscire di casa per troppo tempo mi spaventa.» Lo psicologo mi osserva. «Scegli qualcosa di semplice. Provaci, Luce. E se va male pazienza, riproverai, ma devi iniziare a provarci, se vuoi riuscirci.» E dette queste parole, mi congeda augurandomi buone feste, e mi fa uscire dal suo studio senza minimamente preoccuparsi della mia espressione sbigottita. Esco in strada completamente incredula per la svolta che ha preso la seduta. Non so mai cosa aspettarmi quando vengo qui. Se avessi saputo che avrei dovuto svolgere i punti nel presente e non in un lontano futuro, avrei scritto cose decisamente meno complicate. Come guardare tutti i film di Harry Potter o mangiare un chilo di gelato. Cosa potrei fare? Non posso di certo tornare all'università o lanciarmi dal tetto con il paracadute! Non posso tornare a stare bene solo con uno schiocco delle dita e per ballare la salsa devo avere un compagno mentre io sono sola. Non riesco ad allontanarmi da casa e per fare le cose che ho scritto mi devo allontanare di chilometri. Accidenti, mi sono messa in un bel casino con le mie stesse mani.
Mi incammino a i veloci verso casa perché con questo freddo rischio di diventare un pinguino. Mi guardo un po' attorno e vedo la gente che corre da tutte le parti, entra ed esce dai negozi per comprare gli ultimi regali. Le decorazioni luminose del paese quest'anno sono a forma di stelle cadenti e pupazzi di neve e mettono davvero allegria. Sto ancora pensando a cosa poter scegliere dalla mia lista, quando il mio piede pesta un volantino e per poco non finisco con il sedere all'aria. Con qualche movimento poco elegante riesco a staccare il mio stivaletto dal volantino umido e leggermente sbiadito dal freddo. Resto a fissarlo incredula e alla fine mi piego a raccoglierlo. C'è una chitarra stampata sopra. È forse un segno? Leggo che dal dieci gennaio comincia un corso per principianti in un'aula del Municipio. Un'ora alla settimana. Posso sopravvivere un'ora a settimana fuori di casa. E non devo nemmeno allontanarmi troppo. Lo infilo in tasca assieme alla mia lista e torno a casa. Una volta rientrata resto a fissarlo e a rileggerlo per una decina di minuti buoni, fino a quando non mi decido e chiamo per aderire con il cuore che batte forte per l'agitazione. Quando termino la chiamata mi scappa un sorriso. Mi sento stranamente soddisfatta di me stessa. Ho fatto un piccolo o avanti e credo che il Dr. Menotti sarà certamente orgoglioso di me. *** La mattina di Natale vengo svegliata da mio fratello che piomba sul mio letto e comincia a saltare. «Svegliati sorellina! È Natale!» Apro gli occhi e lo osservo per qualche secondo mezza addormentata. Ha un largo sorriso e i suoi occhi azzurri sono allegri. È eccitato come se fosse un bambino di cinque anni. «Quando sei arrivato?» gli domando, mentre lo abbraccio stretto. «Dieci minuti fa.» «È bello vederti. Mi sei mancato tanto.» «Anche tu sister, ma ora preparati che sotto ci sono i regali da scartare e ho anche una sorpresa.» mi dice, facendomi l'occhiolino. Esco dal letto e mi infilo i pantaloni della tuta. Lancio un'occhiata alla mia parete piena di foto. «Buon Natale, Andre.» dico a bassa voce, poi scendo in salotto. La mia famiglia è già raccolta intorno all'albero, pronta per aprire i regali. «Buongiorno tesoro, buon Natale.» mi saluta mio padre con un abbraccio. Sorrido felice e resto anche
un attimo sorpresa nel vedere mio fratello che tiene per mano una ragazza. Una bella ragazza con i capelli neri e la frangetta, slanciata e con due occhi castani che emanano dolcezza. «Lei è Claire.» mi dice Nicolò sorridente. Claire è chiaramente inglese ma con mio grande stupore parla italiano, anche se con un accento particolare. Mio fratello si è trovato una ragazza. Che bel regalo di Natale! Claire mi porge la mano ma io la abbraccio di slancio, accogliendola in famiglia. Scartiamo i nostri regali con la radio in sottofondo che a le tipiche canzoni natalizie. Ricevo due libri e un maglione dai miei genitori e un cappotto stile londinese da mio fratello, di cui mi innamoro alla follia. Dopo che abbiamo finito di aprire i doni, mia mamma prepara una cioccolata calda per tutti, che io gusto seduta sul pavimento con le gambe incrociate. Tra poco arriverà mia nonna e tutti gli altri parenti per il pranzo di Natale e dobbiamo ancora prepararci. Faccio una piccola smorfia. So già che dovrò farmi coraggio perché sarà una giornata lunga e piena di domande. Sto per alzarmi da terra ma un altro pacchetto attira la mia attenzione. «E quello per chi è?» chiedo a mia madre. Lei guarda mio padre preoccupata, poi prende coraggio e mi si avvicina. «È per te, Luce. Te lo manda Maria.» Al suono di quel nome il mio cuore smette di battere. Perché la mamma di Andrea mi ha mandato un regalo? È da più di un anno che non la vedo. Dal giorno del funerale per essere più precisi, e un po' me ne vergogno perché so che avrei dovuto starle vicina. Prendo il pacchetto tra le mani e senza dire una parola salgo le scale e mi chiudo in camera mia. Tocco la carta delicatamente e leggo il bigliettino. Questa è l'unica foto che Andrea aveva appesa in camera sua. Ho pensato che fosse giusto che ce l'avessi tu. Buon Natale, Luce. Un abbraccio, Maria. Apro il regalo e trovo una cornice dorata che contiene una foto di Andrea e me da bambini. Siamo sorridenti e sdentati, e Andrea tiene tra le mani una lucertola che mostra soddisfatto all'obiettivo della macchina fotografica. Non sapevo dell'esistenza di questa fotografia. Non l'ho mai notata in camera sua, ma è anche vero che avamo quasi tutto il tempo da me. La levo dalla cornice e la appendo assieme alle altre sulla parete. Resto in piedi a fissarla per un paio di minuti in preda alla nostalgia, fino a quando Nicolò non entra in camera. «Ehi,
tutto bene?» Lo guardo e gli rivolgo un sorriso amaro. «Sì, tranquillo.» Mio fratello si avvicina e mi stringe le spalle con un braccio, poi segue il mio sguardo e osserva la fotografia. «È una bella foto.» «Sì, lo è.» dico, ripercorrendo con la mente i momenti in cui io e Andrea correvamo spensierati per il cortile. «E anche tu e Claire siete belli. Mi sembri felice.» Mio fratello sorride. «Infatti sono felice, sorellina.» dice mentre mi dà un bacio in testa. «Sai, inizio a vederti un pochino più serena. So che lui ti manca e credo che ti mancherà sempre, ma sono sicuro che col tempo farà meno male.» «Lo spero.» dico onestamente. Restiamo in silenzio a fissare le foto. «Credo che sia ora di prepararsi per l'arrivo della nonna. Sei pronta ad affrontare tutta la mandria di parenti, sorellina?» mi chiede Nico divertito. «Assolutamente no!» ammetto. «Lo immaginavo. Per fortuna io abito a Londra e li vedo solo una volta all'anno!» «Sei un ragazzo fortunato.» Mi strizza l'occhio e mi sorride. «Puoi ben dirlo.» dice prima di uscire dalla camera per farmi cambiare. Sorrido, e mi rendo conto che, nonostante tutto, sono felice di poter festeggiare serenamente quest'anno. Ho la mia famiglia vicina, ed è l'unica cosa su cui voglio concentrarmi. Almeno per un giorno.
12
Le feste sono ate velocemente e l'anno nuovo è già cominciato. Ho trascorso il veglione di Capodanno con mio fratello e Claire a guardare film di ogni genere, e devo ammettere che Claire mi piace proprio tanto. È dolce e gentile e allo stesso tempo sfrontata e simpatica. Credo che mio fratello abbia fatto un'ottima scelta. Sono ripartiti per Londra prima dell'Epifania mentre i miei genitori sono tornati al lavoro ieri. Questo nuovo anno ha portato con sé una sensazione nuova: la speranza. Non so come, ma sento che un o alla volta tornerò alla normalità. Credo che riuscirò a riaccendermi, proprio come mi ha detto di fare Andrea in sogno, anche se so che ci vorrà ancora molto tempo. Oggi comincia il corso di chitarra e l'idea mi spaventa a morte. Spero che vada tutto bene e di non essere colpita da qualche attacco di panico di fronte a degli estranei. Le lezioni si tengono in un salone comunale di cui non conoscevo nemmeno l'esistenza. Una stanza ampia che mi ricorda la mia classe del liceo, con cinque file da quattro banchi. Alle pareti sono appese fotografie e quadri raffiguranti persone che suonano e strumenti musicali. La parete sinistra è occupata dagli strumenti e uno scatolone contiene quelli più piccoli come tamburelli, maracas e triangoli. All'angolo è presente una tastiera e su due piedistalli sono presenti una chitarra classica e una elettrica. È qui che la banda musicale del paese fa le prove. Decido di sedermi in ultima fila in un banco semi nascosto e abbastanza vicino alla porta, in modo tale da poter fuggire in caso di attacchi di panico. L'ultima cosa che voglio è dare nell'occhio. Altre persone prendono posto e in totale siamo in dodici, quasi tutti di età inferiore ai trent'anni. Poso la chitarra appoggiandola a lato del banco e prendo il blocco per gli appunti e la penna e li metto davanti a me proprio mentre un altro ragazzo entra in aula. Noto subito che deve avere solo qualche anno più di me, solo che invece di prendere posto in un banco si dirige verso la cattedra. Posa il suo zaino e ci rivolge un sorriso. «Salve a tutti, io sono Diego e da qui a giugno sarò il vostro insegnante di chitarra.»
Per poco non mi cade la mascella. Dire che sono sorpresa è un eufemismo. Mi aspettavo un insegnante pelato, con la pancia e sulla sessantina, non un ragazzo alto, bello e con gli occhi verdi. Le due ragazze in prima fila si guardano compiaciute e scommetto che faranno di tutto per mettersi in mostra. «Ora faccio l'appello, così inizio a imparare i vostri nomi e poi possiamo cominciare. Spero che vi divertirete in questi mesi e se avete dei problemi non esitate a parlarmene.» Ha un atteggiamento molto sicuro di sé ma allo stesso tempo davvero cordiale. Il problema è che io non voglio interagire con ragazzi della mia età, e il fatto che il mio insegnante sia giovane e affascinante per chiunque lo guardi, mi mette subito a disagio. Valuto l'ipotesi di scappare e ritirarmi dal corso, ma poi penso che lo sto facendo per me stessa, per tornare serena, così faccio un bel respiro e guardo l'orologio. Ancora cinquanta minuti e poi posso tornare a casa. Finito l'appello, cominciamo la lezione. Diego ci spiega come si chiamano le varie parti della chitarra, a tra i banchi ad aiutarci ad accordare le nostre chitarre e ci mostra a quale nota corrisponde ogni corda. Il tempo a decisamente in fretta e credo che, se tutte le lezioni saranno così e se nessuno cercherà di invadere troppo il mio spazio personale, potrò resistere e frequentare questo corso. Ritiro le mie cose e mentre mi infilo la giacca per uscire vedo che le due ragazze si sono già avvicinate al nostro insegnante con un atteggiamento civettuolo. Cominciamo proprio bene, penso mentre esco. Dal cancello del Municipio alla strada principale bisogna percorrere trenta metri di vialetto. Svolto l'angolo e o davanti al bar di Mauro, dove non entro da più di un anno. Andrea lavorava lì e tutto in quel posto mi ricorda lui. So anche che Mauro gli era molto affezionato. Magari uno di questi giorni erò a salutarlo. In fondo devo provare a ricominciare, no? Tiro dritto e dopo dieci minuti arrivo a casa dove Charlie mi accoglie leccandomi la faccia. La prima lezione è andata. *** «Allora, come stai Luce? È da un mese che non ci vediamo.» mi domanda Robert. Vedo che è abbronzato e deduco che abbia ato le vacanze lontane dall'Italia, magari in qualche posto esotico. «Sto bene, grazie.» dico mentre gioco con una ciocca di capelli.
«Hai ato bene le feste?» «Sì, sono stata con la mia famiglia e sono state piacevoli.» Ripenso per un attimo al regalo di Maria, e un velo di tristezza mi attraversa gli occhi. «Anche se la mamma di Andrea mi ha inviato un regalo. Una foto di me e lui da bambini che Andrea teneva appesa in camera sua.» «E come ti senti al riguardo?» «Vuota. Sento che mi mancherà sempre di più, ma allo stesso tempo sono contenta che lui avesse la nostra foto in camera perché mi dimostra quanto fossi importante per lui.» «Credi che col tempo riuscirai ad andare avanti?» Ancora quella parola. Tempo. Perché l'uomo non può controllarlo? «Non lo so. Andrea è stato senz'altro la parte più bella della mia vita ma in qualche modo dovrò accettare che lui non ci sarà nel mio futuro. Spero che anche gli attacchi di panico spariscano prima o poi.» «Sei sulla buona strada, Luce. Devi solo imparare a darti tempo, ok?» Faccio segno di sì con la testa, anche se non ne sono completamente convinta. «E con la tua lista dei desideri?» «Ehm...Ho iniziato un corso di chitarra e ho già fatto tre lezioni.» Robert mi guarda soddisfatto. «Molto bene! E ti piace?» «Abbastanza.» ammetto. «Ed è lontano da casa tua?» «Più o meno, ma è solo un'ora alla settimana perciò è un po' più semplice.» Quando sono al corso di chitarra cerco sempre di mantenere la concentrazione su quello che sto imparando e se sento che il cuore comincia a battere forte, faccio lunghi respiri profondi fino a calmarmi. Fino ad ora ha funzionato, e nelle ultime settimane non ho più avuto attacchi di panico. «Hai fatto amicizia con qualcuno?» Scuoto la testa. «Non proprio, ho solo chiacchierato con alcuni compagni, ma solo cose riguardanti le lezioni.»
«Capisco.» Gli rivolgo un debole sorriso. «E il tuo insegnante invece com'è?» «Bello...Cioè no, non bello, volevo dire che è giovane.» farfuglio. Sento le guance avvampare e sono in pieno imbarazzo. Il Dr. Menotti sorride divertito e annota qualcosa sul suo taccuino. «Non c'è niente di male nel trovare bello un ragazzo.» mi dice. «Sì, invece.» «Perché?» Resto in silenzio e mi mordo il labbro inferiore. Detesto quando le sedute cambiano improvvisamente direzione. Partiamo da una cosa semplice e arriviamo ad analizzare le emozioni e i pensieri più profondi e intensi. «Luce, nessuno potrà mai sostituire Andrea.» aggiunge il Dr. Menotti. «Bene, perché tanto non lo permetterei.» affermo seria. Lo psicologo prende qualche appunto e io spero che non stia scrivendo nulla a proposito di Diego o dei ragazzi in generale. So che il mio insegnante è un bel ragazzo e ha già le sue ammiratrici in prima fila, ma io non penso a lui in quel modo. Non riesco a immaginare nessun al mio fianco che non sia Andrea. «Potrebbe diventare solo un amico, no?» Scuoto la testa. «Io non ho bisogno di altri amici.» *** Anche se all'inizio ero restia e spaventata, devo ammettere che il corso di chitarra mi sta dando diverse soddisfazioni. Gli altri studenti sono simpatici, e qualche volta mi fermo un paio di minuti a farci due chiacchiere. Le due ragazze della prima fila, Emma e Martina, continuano ad adulare Diego come se fosse un Dio con la speranza che lui inviti una delle due a uscire. È divertente stare ad osservarle. Si rendono talmente ridicole che Sergio e Mattia, due ragazzi del corso, hanno aperto delle scommesse su chi riuscirà a conquistare il cuore del nostro insegnante. C'è chi punta su Emma, bionda e tutta curve, e chi su Martina, rossa e con un sorriso che abbaglia, ma io temo proprio che non vincerà nessuno perché il nostro insegnante non sembra ricambiare le loro avance. In ogni caso, io sono qui solo per imparare a suonare la chitarra, cosa che Diego sa fare molto bene. La scorsa lezione gli è stato chiesto di suonarci un pezzo, e senza farselo ripetere due volte, ha afferrato la chitarra elettrica e suonato Sweet Child O'
Mine. Siamo rimasti tutti molto colpiti. Emma e Martina in particolar modo. Sulle mie dita cominciano ad apparire dei piccoli calli a forza di pizzicare le corde, cosa che non sempre mi riesce bene. Gli accordi sono davvero complicati da eseguire e io che ho la mani minute, non riesco a fare la giusta pressione sulle corde e a pizzicarle in maniera corretta, con il risultato che i suoni che ne escono sembrano più urla che note musicali. Mi serve sicuramente più esercizio, ma magari anche una chitarra più piccola! Quando sono a casa, ho finalmente qualcosa da fare. o le ore a esercitarmi e le giornate sembrano meno vuote ora che mi tengo impegnata e sono distratta dai miei pensieri. Mentre provo gli accordi, la casa viene invasa dal suono delle note e Charlie mi osserva curioso fino a quando non si addormenta ai miei piedi e comincia a russare. Molti mi han detto che nell'ultimo periodo mi vedono più serena, ed è vero, ma la verità è che Andrea mi manca come può mancare l'ossigeno a una persona che sta annegando. Non riuscirò mai a placare il rimpianto di non avergli mai detto quanto lo amavo. E se mi fermo a pensare o a ricordare è finita. Sento il cuore battermi veloce, le mani mi sudano e vengo anche invasa dalla rabbia. Rabbia contro la vita che me l'ha portato via troppo presto. E oggi è proprio una di quelle giornate in cui non riesco a smettere di pensare a lui. Da quando mi sono alzata il mio stomaco non ha fatto altro che borbottare, e a causa del mio umore grigio ho anche pensato di saltare la lezione di chitarra, ma alla fine ho deciso di andare, e ho fatto bene perché almeno per un'ora sono riuscita a distrarmi dai miei pensieri. Il freddo di febbraio è decisamente intenso e mi penetra nelle ossa, e mi fanno male le spalle a causa del peso della chitarra. Sono quasi arrivata a casa e sto riando mentalmente gli accordi che ho imparato oggi quando mi fermo di colpo attanagliata da un dubbio. Tiro giù la custodia della chitarra e guardo dentro. Non c'è. Il mio blocco per gli appunti non c'è. Dev'essere rimasto sul banco. Non posso aspettare una settimana per riaverlo, devo fare i miei esercizi a casa. E se qualcuno lo trovasse e lo buttasse? Accidenti! Faccio un lungo respiro. Sono obbligata a tornare indietro, proprio oggi che avrei preferito starmene chiusa in casa. Tiro un calcio a un sassolino sul ciglio della strada e frustrata torno verso il Municipio.
L'aula è vuota e silenziosa. Fino a venti minuti fa le nostre chitarre riempivano l'ambiente di musica, mentre ora non c'è più nessuno. Gli strumenti sono poggiati ai loro posti e stanno lì, ad aspettare che qualcuno li suoni. Penso che non ci sia nulla di più triste di uno strumento musicale che non faccia musica. Mi avvicino al banco e poso la chitarra. Eccolo qua il mio blocco degli appunti. Ha la copertina rigida e verde e sul retro c'è una foto che ritrae Anna, Cecilia e me ad una grigliata di qualche anno fa. Approfitto del fatto che ci sono solo io nell'aula e comincio a guardarmi attorno. Le fotografie appese alle pareti sono davvero molto belle. Ci sono immagini della banda musicale alle sagre del paese, immagini in bianco e nero risalenti a una cinquantina di anni fa e immagini più recenti. Qualche foto di musicisti famosi e anche solo di strumenti musicali. Le osservo attentamente, rapita da ogni dettaglio, così come faccio a casa con quelle di Andrea. Scorro le pareti e sfioro alcune foto con la mano, poi mi fermo ad ammirare una fotografia in particolare. Il cielo è limpido e azzurro e sullo sfondo si intravedono delle bancarelle. Probabilmente è la fiera del paese di una decina di anni fa. C'è un uomo in primo piano, coi capelli grigi e una tromba in mano. È accovacciato a fianco a un bambino che deve avere circa dieci anni, ed entrambi sorridono divertiti. Il bambino mostra un sorriso sdentato, tiene una chitarra in mano e ha due occhi verdi grandi e luminosi. Il suo viso ha qualcosa di familiare. Assomiglia a… Non ci posso credere, è lui! È Diego. I suoi occhi sono inconfondibili, e il signore che è con lui dev'essere il nonno. Era bello già da bambino. Arrossisco a quel pensiero e sorrido vedendo il suo viso paffutello e a come mostra fiero la sua chitarra. Sono talmente concentrata a osservare la foto che per un attimo mi dimentico del mio malumore e mi estranio dalla realtà. Sono i momenti che più preferisco. Quelli dove tutto si assopisce e io sto realmente bene. Talmente bene che non mi accorgo che qualcuno è entrato nell'aula e che mi sta osservando. «Ehi, ciao.» Il suono di una voce mi fa sobbalzare. Faccio un o indietro spaventata e inciampo sulla gamba di un banco. Cerco di tenermi in equilibrio, ma non essendo molto agile né una grande sportiva, finisco diritta per terra, sbattendo la testa contro la sedia. La botta mi stordisce per qualche secondo. Sento la tempia sinistra pulsare e una fitta di dolore mi invade la nuca. Strizzo gli occhi un paio di volte e mi metto seduta, cercando di focalizzare cosa mi circonda. E di prendere fiato. Due mani mi afferrano per le spalle e due occhi verdi mi guardano preoccupati. «Ti sei fatta male?» Istintivamente mi tocco il punto della testa dove ho battuto. «Merda! Non ti
muovere, vado a cercare del ghiaccio.» E dove potrei andare? Non so nemmeno se riesco ad alzarmi! Diego scompare dalla mia vista e io resto lì ad aspettare, confusa e imbarazzata. Cavoli che figuraccia. Per quanto tempo mi avrà osservato? Si sarà accorto che stavo osservando la foto sua e di suo nonno? Faccio un bel respiro e dopo qualche istante Diego riappare al mio fianco con una busta di ghiaccio solubile. Si inginocchia e me la posa sulla nuca. I nostri visi sono a pochi centimetri di distanza. Sento il suo respiro leggero solleticarmi il volto e sono sicura che sto arrossendo visibilmente. «Sei Luce, giusto?» Annuisco. «Mi sa che ti verrà un bel bernoccolo.» mi dice con un sorriso senza smettere di guardarmi, che io ricambio imbarazzata. «Perdonami, sono davvero un'imbranata.» Lui ride. «Ma no tranquilla, sono io che non dovevo piombarti così alle spalle. È colpa mia.» La sua voce è dolce, e i suoi occhi sono davvero penetranti. Continua a fissarmi e a tenermi il ghiaccio premuto in testa, fino a quando non decido di tenermelo da sola, in modo tale da allontanare il suo viso dal mio. «Vuoi provare ad alzarti?» mi domanda. «Sì.» Mi afferra delicatamente per le braccia e mi aiuta ad alzarmi. Una volta in piedi mi accorgo di quanto sia alto rispetto a me. «Va meglio?» «Sì, credo di sì.» Diego mi libera dalla sua presa dopo essersi accertato che posso stare in piedi senza barcollare. Continua a sorridermi e si a una mano tra i capelli scuri. «Avevi bisogno di qualcosa dato che sei tornata indietro?» mi chiede, leggermente in imbarazzo. Ovviamente deve sembrargli strano il fatto che mi abbia sorpresa nell'aula dopo che la lezione era finita da un pezzo. «Ehm, no. In realtà ho dimenticato il mio blocco degli appunti e sono venuta a prenderlo.» Sposto lo sguardo verso il basso, raggiro il suo fisico e mi avvicino al mio banco. «Be', grazie dell'aiuto. E scusa ancora per la scena patetica.» Lui sorride. «Nessun problema.» Raccolgo la mia chitarra e afferro il blocco degli appunti. Mi dirigo verso la porta e andogli accanto gli restituisco la busta del ghiaccio. «A martedì prossimo.» Diego annuisce. «A martedì.»
Sento i suoi occhi addosso fino a quando non sparisco dall'aula. La testa continua a pulsarmi e quando esco il freddo non mi dà alcun sollievo. Ho davvero preso una bella botta e fatto una pessima figura davanti al mio insegnante di chitarra. Ma a cosa stavo pensando? Fortunatamente nessun altro ha assistito alla scena. Sono quasi arrivata al fondo del vicolo del Municipio, quando mi sento chiamare. «Luce! Aspetta!» Mi volto e vedo Diego corrermi incontro. «Hai pers… » Si ferma di fronte a me e riprende fiato. «Hai per caso bisogno di un aggio fino a casa?» mi domanda con gentilezza. Che?! «Oh. No, grazie. Abito qui vicino.» Non voglio stare da sola con lui. I suoi occhi continuano a guardarmi e io abbasso lo sguardo a disagio. La sua gentilezza è davvero disarmante. «Insisto. Hai preso una bella botta e non vorrei che ti venissero le vertigini per strada.» Ottima osservazione. Sono contrastata. Non ho mai più parlato con un ragazzo dopo la morte di Andrea e non mi fido degli estranei dopo la mia esperienza con Marco, e tecnicamente, Diego è un estraneo. Ma allora perché qualcosa in lui mi infonde sicurezza? Inoltre fa freddo, sta diventando buio e la testa mi fa parecchio male… «Ehm, d'accordo.» dico poco convinta. «Bene. Vado a prendere la mia roba e arrivo.» mi dice con un sorriso. Sono sicura che se fossi tornata a casa a piedi avrei impiegato meno tempo visto che con l'auto bisogna fare tutto il giro dell'isolato, e inoltre avrei evitato un'evidente situazione di disagio. Questi minuti ati in completo silenzio, sono sembrati ore e non appena scorgo il mio cancello tiro un piccolo sospiro di sollievo. «È questo cancello.» Diego ferma la macchina, mette in folle e tira il freno a mano. «Grazie per il aggio, e anche per prima ovviamente.» «Nessun problema.» risponde lui. Prendo il blocco e la chitarra e scendo dall'auto. Giro intorno alla macchina e sto per aprire il cancello, quando Diego abbassa il finestrino. «Allora ci vediamo a lezione, Luce.» mi dice sorridendo. «Spero di ricordarmi di venire. Sai, la botta in testa è stata forte.» scherzo io,
sorprendendo me stessa per questo atto di coraggio e spontaneità. Gli strappo una risata e sentirlo ridere mi fa piacere. «Mi dispiacerebbe non vederti. Sei una brava allieva.» risponde, poi ingrana la marcia e se ne va. Entro in casa e Charlie mi guarda quasi adirato. «Lo so, piccolo. Sono in ritardo, scusami.» Mi piazzo davanti al camino al caldo, con la testa che di tanto in tanto mi pulsa. I miei pensieri si concentrano su Diego e su come sia stato gentile nei miei confronti. Lo è con tutti o gli ho semplicemente fatto pena per la mia patetica caduta? È davvero cordiale per carattere o usa questo tipo di atteggiamento per fare colpo? Continuo a pensare ai suoi occhi verdi, a come mi guardavano e fissavano. Scuoto la testa per scacciare ogni pensiero. Questa situazione non mi piace. Non sono andata al corso di chitarra per farmi un nuovo amico o peggio ancora, per trovare un nuovo ragazzo. Io non voglio nessuno al mio fianco. Sto solo cercando di tornare ad avere un equilibrio e ad accettare il dolore per la morte di Andrea. E Diego mi ha aiutato solo per via della mia caduta. E stop. E dato che è sempre gentile con tutti, non ho nessun motivo per cui preoccuparmi.
13
Okay. Che diavolo è successo ieri dopo la mia lezione? Ho trovato Luce che osservava le foto nell'aula e a mia volta mi sono fermato a osservare lei. È una brava allieva. Apprende in fretta e si impegna. Ma è sfuggevole e misteriosa. Me ne sono accorto fin dalla prima volta che ho fatto l'appello. Seduta in fondo, lontana da tutti e pronta a scappare via in qualsiasi momento. Ma non è tanto il suo atteggiamento a incuriosirmi, bensì l'alone di tristezza che la circonda. Come può una ragazza così bella essere tanto triste? Non dovrebbe importarmi, lo so. Ma è più forte di me. Voglio scoprire cosa si nasconde dietro quegli occhi azzurri, tanto belli quanto spenti. Ecco perché sono rimasto sorpreso di vederla ieri dopo la lezione. Aveva la guardia abbassata e sorrideva. Non potevo crederci. Aveva fatto un sorriso vero! Volevo solo provare a parlarle ma le cose sono decisamente precipitate. Per un attimo ho pensato che si fosse fatta davvero male. L'ho aiutata a rimettersi in piedi e di certo non avevo l'intenzione di riaccompagnarla a casa, ma poi ho trovato il foglio, l'ho inseguita per ridarglielo e invece ho finito per darle un aggio fino a casa e tenermi il suo foglio. Foglio che giace sul mio comodino e che avrò letto almeno una ventina di volte, avendo così la conferma dei miei sospetti. Non dovevo farmi coinvolgere così tanto. È sbagliato. Non insegno musica per conoscere le ragazze ma per pagare l'affitto. Eppure qualcosa mi dice che con Luce non potrò più tirarmi indietro. Voglio sapere cosa nasconde. Voglio farla ridere e cancellare quella brutta espressione triste che non le dona affatto. Credo che abbia bisogno di un amico di cui si possa fidare. Sì, ho deciso. Proverò a parlarle martedì dopo la lezione. Bravo, Diego. Ottima decisione, anche se temo proprio che ti stai andando a cacciare in una situazione
più grande di te. Ma poco importa. Mi piacciono le sfide. *** Il martedì successivo non sono andata al corso di chitarra. Non perché il colpo in testa mi abbia provocato un'amnesia ma perché ho avuto l'influenza. Ho ato cinque giorni dove i miei migliori amici sono stati il raffreddore, la tosse e la febbre. Il lato divertente è che Anna si è trasferita da me e mi ha fatto letteralmente da infermiera. Mi ha dato le medicine e mi ha talmente ingozzata di cibo che credo di aver messo su un chilo in questi giorni. È stato bello averla con me. La sua presenza ha riempito il vuoto di casa mia. Mi ha raccontato di come sta procedendo l'università e della sua storia con Richy, e io le ho detto delle ultime sedute dal Dr. Menotti e della lista dei desideri. Nessun accenno all'episodio con Diego poiché scatenerebbe troppe domande di cui non conosco nessuna risposta. È venerdì pomeriggio e da due giorni sto decisamente meglio. Io e Anna siamo sdraiate sul mio letto e abbiamo appena finito di guardare un film. Tengo lo sguardo fisso sulla mia parete piena di fotografie di Andrea, immersa nei ricordi. Anche Anna fa lo stesso, ma poi si alza di scatto, va dritta alla parete e mi indica una foto. «E questa? Siete buffissimi!» La guardo e sorrido. «Me l'ha mandata Maria per Natale. Andrea ce l'aveva in camera sua.» «L'hai più vista o sentita?» Scuoto la testa. «Povera donna. Perdere un figlio deve causare un dolore immenso.» aggiunge Anna con un triste sospiro. Io resto in silenzio e torno ad ammirare le fotografie. Posso solo immaginare il dolore di un genitore che perde un figlio, ma tutto sommato credo di sapere bene cosa sia il dolore. Lo provo sulla mia pelle da un anno. È come un virus inguaribile che ti infetta ogni muscolo, tendine e vena del corpo. E dato che non puoi sconfiggerlo tutto quello che ti rimane da fare è adattarti, assecondarlo e imparare a conviverci. «Senti, Lucciola, che ne dici se chiamiamo Cecilia e ci andiamo a prendere un caffè da Mauro?» La guardo esitante. Non so se me la sento. Non ho ancora ripreso a fare questo tipo di cose. Gesti semplici per tutti, è vero, ma non per me che sono sempre in allerta attacchi di panico. E poi andare da Mauro mi spaventa, Andrea lavorava lì e tutto me lo ricorderebbe. Guardo Anna che mi fa un sorrisino. «Dai, solo per un'ora.Almeno prendi una boccata d'aria fresca dopo
che sei stata malata per quasi una settimana.» Forse ha ragione, ma non sono del tutto convinta. «Ma se...» Anna mi blocca con un cenno della mano. «Se senti che stai per avere un attacco di panico, ti prometto che ti riporto subito a casa.» dice, facendosi una croce sul cuore. Vorrei ribattere ma non credo servirebbe a molto, e non avendo più scuse, non mi resta che arrendermi e acconsentire. Entriamo al bar di Mauro e scorgo qualche persona che conosco seduta ai tavoli. Con mia grande sorpresa, Mauro oggi non c'è e sento un pizzico di delusione pervadermi. Mi avrebbe fatto piacere rivederlo. Ci sediamo a un tavolo e una cameriera viene a prendere la nostra ordinazione. Prendo un tè al posto del caffè, dato che la caffeina mi rende nervosa, ed è l'ultima cosa di cui ho bisogno. «Vi devo dire una cosa.» annuncia Cecilia tutta contenta, appena la cameriera ci porta le nostre bevande. «Racconta.» esclamiamo io e Anna insieme. Cecilia beve un sorso del suo caffè poi ci guarda e le sue guance arrossiscono. «Sto uscendo con una persona. Si chiama Amedeo. E be', credo proprio di essermi innamorata.» Anna ed io restiamo a bocca aperta. Questa sì che è una notizia bomba. La mia piccola amica dal cuore di ghiaccio, che ha sempre detto che l'amore non faceva per lei, si è innamorata. Wow! «Sono davvero contenta per te, Ceci.» dico sinceramente. Cecilia comincia a raccontarci dettagliatamente com'è successo. Ci racconta che è un suo compagno di corso e che escono insieme da poco più di un mese. Ha gli occhi che brillano e non smette mai di sorridere mentre parla di lui. Anna è entusiasta quanto me per la notizia e quando Cecilia le chiede se qualche volta possono fare un'uscita a quattro, lei lancia un gridolino di gioia. Osservo le mie migliori amiche, entrambe innamorate e ricambiate, e non posso che essere contenta che abbiano qualcuno su cui poter sempre contare, dato che io nell'ultimo anno non sono stata molto presente. Stare con loro a chiacchierare al bar è rilassante. Il mio corpo si è tranquillizzato, e forse sono davvero sulla buona strada per tornare a stare bene e tenere sotto controllo gli attacchi di panico. Sono concentrata ad ascoltare Anna e Cecilia che
mi parlano delle ultime novità e di qualche pettegolezzo, quando sento una voce alle mie spalle. «Ciao Luce.» Sento un leggero fremito percorrermi la schiena. Mi volto e vedo Diego. Dev'essere appena entrato al bar e alle sue spalle scorgo Sergio e Mattia, i miei compagni di corso ma a quanto pare anche suoi amici. Ecco perché hanno così tanta confidenza con lui durante le lezioni. I due ragazzi mi fanno un cenno di saluto che ricambio con un sorriso e vanno a prendere posto a un altro tavolo, mentre Diego resta immobile. Porta un paio di jeans e una felpa con il cappuccio che sbuca dal giaccone. I suoi capelli scuri sono più corti del solito, mentre i suoi occhi verdi sono intensi come sempre. Mi sembra ancora più bello dall'ultima volta che l'ho visto. «Ciao Diego.» dico con un sorriso impacciato. Sento gli occhi delle mie amiche addosso. Di sicuro hanno notato la mia espressione, e già so che, appena Diego si allontanerà, dovrò sottopormi al loro terzo grado. «Come stai? Sai, martedì non ti ho vista a lezione e ho pensato che la botta in testa ti avesse fatto perdere davvero la memoria.» Mi tocco con una mano la nuca, nel punto dove ho sbattuto e dove fino a qualche giorno fa c'era il bernoccolo. «Ah no, tranquillo. Sono stata solo poco bene.» gli rivelo. Diego mi sorride. «Meno male, pensavo già di doverti dare qualche lezione extra per insegnarti di nuovo tutto.» Oddio! Si è appena offerto di darmi lezioni private? «Ehm, non credo che ce ne sarà bisogno, ma grazie lo stesso.» farfuglio, nel più completo imbarazzo. «Nessun problema.» risponde, poi lancia un'occhiata ad Anna e Cecilia che ci stanno guardando come ipnotizzate. «Non voglio disturbarvi oltre. Mi fa piacere sapere che stai meglio, Luce. Ci vediamo a lezione la prossima settimana?» «Sì, certo.» rispondo, e con un ultimo sorriso Diego raggiunge i suoi amici dall'altra parte del bar. «E quello chi è?» mi domanda Cecilia non appena mi volto verso di lei e Anna. «È il mio insegnante di chitarra.» «Che cosa?! Quel gran fico ti insegna chitarra?» sbraita incredula. «Abbassa la voce, Ceci!» le ordino, arrossendo per la terza volta nel giro di pochi minuti. Non voglio che Diego senta che stiamo parlando di lui, sono già troppo imbarazzata nei suoi confronti.
Cecilia si appoggia allo schienale della sedia. «Accidenti, Lucy. Averlo saputo mi sarei iscritta pure io. Pensavo che il tuo insegnante fosse un vecchio!» «Credimi, lo pensavo pure io.» dico, portandomi la tazza del tè alle labbra. Anna ci osserva divertita ma poi si fa seria. «Scusa Lucciola, ma perché sei caduta a lezione?» «Be', non sono proprio caduta, più che altro sono inciampata.» ammetto e racconto brevemente cosa è successo, e di come Diego mi abbia aiutata e poi accompagnata a casa. «Però, gentile il ragazzo.» ironizza Cecilia. «Troppo.» Sbircio in direzione di Diego e vedo che sta ridendo e parlando con Sergio e Mattia. «Che c'è?» chiedo, notando che Anna e Cecilia si sono scambiate un'occhiata. «Ti piace?» mi domanda cautamente Anna. Poso la tazza sul tavolo e la allontano verso il centro. «È un bel ragazzo, ma io non voglio nessuno al mio fianco. Sono troppo incasinata. E poi non credo di essere il tuo tipo.» «Secondo me ti sbagli.» interviene Cecilia. «Da come ti ha guardata prima sembrerebbe tutto il contrario.» «Esatto.» aggiunge Anna. «Continua a guardare nella nostra direzione anche adesso.» A sentire queste parole divento di nuovo tutta rossa. Non voglio pensare a Diego in quel senso, e sapere che mi osserva mi mette in soggezione. Incrocio le braccia al petto contrariata. «Vi sbagliate.» dico. «Fa così anche con altre due ragazze del corso. È gentile con tutti.» Cecilia scruta la mia espressione, cercando di capire se credere o meno alle mie parole. «Se ne sei convinta tu Lucy, allora lo siamo anche noi. Però è un peccato.» afferma. Alzo gli occhi al cielo. Io non sono sicura di niente. So solo che Diego inizia a invadere il mio spazio personale e questo mi confonde. Devo evitare che accada di nuovo perché non sono pronta ad avvicinarmi a nessuno, specialmente ad un ragazzo. Il mio cuore continua a essere legato ad Andrea. Le mie amiche cambiano argomento e poco dopo decidiamo di tornare a casa. E tutto ciò che penso appena esco dal bar è che questo corso di chitarra rischia davvero di complicarmi ancora di più la vita.
*** Questa settimana il Dr. Menotti non mi ha potuta ricevere. Avrei voluto parlargli di Diego, del suo atteggiamento gentile nei miei confronti e delle insinuazioni che hanno fatto Anna e Cecilia. Non ci vuole molto per accorgersi che Diego è davvero un bel ragazzo. Alto, con i capelli scuri e due occhi verdi che incantano. Potrebbe avere ai suoi piedi molte ragazze. Ma potrebbe interessarmi? È diverso rispetto ad Andrea, e forse è per questo che mi incuriosisce. Sono davvero confusa e mille pensieri mi invadono la testa senza sosta. Come potrei uscire con un altro ragazzo? Andrea era tutto per me. Era la mia anima gemella. Ma questo significa che resterò da sola per tutta la vita? I miei sentimenti per Andrea sono tuttora vivi nonostante lui non ci sia più, quindi non credo di poter provare altri sentimenti per un'altra persona. Tutto ciò che devo fare è concentrare le mie forze solo su me stessa per sconfiggere i miei attacchi di panico, in modo da poter tornare a vivere in maniera normale. Devo cercare di staccare la spina dai miei pensieri. Sono al corso di chitarra e ho seguito solo la metà di quello che Diego ha spiegato. Sono in totale imbarazzo e non riesco a rivolgergli lo sguardo senza pensare alle parole delle mie amiche e alla pessima figura che ho fatto con la mia caduta. L'unica parola che gli ho rivolto oggi è stato un «Grazie.» quando a fine lezione mi ha consegnato il foglio con un nuovo brano da imparare, e lui mi ha risposto con un semplice sorriso. Mi sto incamminando verso casa e penso che una volta arrivata, proverò a schiarirmi le idee con una lunga doccia calda. I miei pensieri pesano più della chitarra sulle mie spalle ma non appena svolto l'angolo, il mio corpo si paralizza e la mia mente si libera di ogni tipo di pensiero lasciando posto solo alla paura. È lì, dall'altra parte della strada che cammina tranquillamente. Per un attimo sono convinta di aver visto male, che la mia vista mi abbia giocato un brutto scherzo, ma quando si volta e lo vedo in viso, sono certa di non essermi sbagliata. Marco. Cosa ci fa lui a piede libero? Il cuore comincia a martellarmi. E se dovesse vedermi e riconoscermi? Chi mi salverà questa volta? I ricordi dei suoi messaggi e delle sue parole ritornano a galla, e senza quasi rendermene conto, mi volto e comincio a correre. Mi infilo nel vicolo del Municipio, butto la mia roba a terra e
mi appoggio con la schiena al muro accasciandomi. Non riesco a respirare. Ho il fiato corto, vedo sfocato e il cuore mi batte così forte che temo possa schizzarmi fuori dal petto. Il mio corpo è scosso da brividi e sento le lacrime rigarmi le guance. Ordino a me stessa di calmarmi ma il mio fisico non intende obbedirmi. Mi porto una mano sul cuore e sento il mio petto che si alza e abbassa a ritmo velocissimo. Sono in apnea. Porto le ginocchia contro il petto raggomitolandomi su me stessa, e mi prendo la testa tra le mani in preda al peggior attacco di panico di sempre. Marco è libero e io sono sola e spaventata, senza protezione. Mi sembra di essere in un incubo. «Luce!» Qualcuno urla il mio nome. «Luce!» Sento dei i avvicinarsi veloci a me, e sollevo appena il volto. Vedo Diego che si inginocchia al mio fianco e prendendomi per le spalle mi scuote. «Luce! Luce che c'è? Che succede?» Non riesco a parlare e non riesco a respirare. Ho la gola secca e sto cercando in tutti i modi di riprendere il controllo dei miei polmoni e del mio diaframma. Diego apre il suo zaino e tira fuori un sacchetto di carta. Lo svuota e me lo porge. «Respira qui.» mi ordina, avvicinando il sacchetto alla mia bocca. «Prova a fare dei lunghi respiri e a concentrarti su qualcosa intorno a te.» Cerco di seguire il suo consiglio e i miei occhi incontrano i suoi. Non mi ero resa conto di quanto verdi fossero in realtà. Sono di un verde chiaro con dei riflessi più scuri vicino alle pupille, e le sue lunghe ciglia nere sbattono più volte mentre mi osserva. Mi concentro su altri dettagli del suo viso, come il suo naso perfettamente diritto e le sue labbra semichiuse e sottili. Afferro il sacchetto con la mano e Diego ritrae la sua. Continuo a respirare affannosamente dentro il sacchetto che si gonfia e sgonfia velocemente e che credo contenesse delle caramelle a giudicare dall'odore che emana. Ho la fronte sudata e le mie mani tremano. Diego ha un'espressione davvero preoccupata mentre resta al mio fianco. Con una mano mi sistema i capelli dietro l'orecchio sfiorandomi la guancia con il pollice. Non so per quanto tempo vado avanti così, forse un'eternità, ma ad un certo punto il mio respiro comincia a rallentare e il cuore torna ad avere dei battiti regolari. Levo il sacchetto dalla mia bocca e chiudo gli occhi mentre appoggio la testa al muro. Nella mia mente riaffiorano le immagini di Marco e di Andrea che mi difende. Vorrei che fosse qui con me in questo momento, ad abbracciarmi e
infondermi sicurezza. Inspiro ed espiro rumorosamente e solo quando sono abbastanza tranquilla riapro gli occhi. Diego è ancora davanti a me e mi guarda. Contro ogni mia volontà le lacrime continuano a rigarmi le guance e cerco di tamponarle con il dorso della mano. Sono stanca di mostrarmi debole. Sono stanca di sentirmi la preda preferita di una vita crudele e feroce. Porgo il sacchetto vuoto e stropicciato a Diego che lo afferra con un sorriso. «Grazie.» sussurro con una voce talmente roca da non sembrare nemmeno la mia. «Nessun problema.» dice in tono gentile, mentre mi posa una mano sulla spalla. «Mio fratello soffre di attacchi di panico da sempre, quindi ci sono abituato.» Continua a guardarmi, e io non posso fare altro che distogliere lo sguardo dalla vergogna per quello a cui ha appena assistito. Diego mi prende il mento con il pollice e l'indice e mi costringe a guardarlo. «Ehi, va tutto bene. È ato.» Il suo tono è dolce e i miei occhi si riempono di nuovo di lacrime. Senza rendermene conto avvicino la testa e la appoggio contro la sua spalla. Comincio a singhiozzare, mentre lui mi accarezza i capelli e mi sussurra parole dolci all'orecchio. È un gesto troppo intimo e da cui non si torna più indietro. E so che è sbagliato. È sbagliato perché non voglio più affezionarmi a nessuno e che nessuno si affezioni più a me. Ma sono spaventata e confusa e in questo momento tra le braccia di Diego mi sento al sicuro. Quindi, solo per questa volta, ho deciso di permettergli di invadere il mio spazio personale. Perché sono sola e ne ho bisogno. Diego mi lascia sfogare tutta la tensione e quando vede le mie spalle rilassarsi mi scosta da sé. Mi asciuga le lacrime con i pollici e mi scruta attentamente con i suoi occhi verdi. «Stai meglio?» Tiro su con il naso. «Credo di sì.» «Ti capitano spesso questi episodi?» mi domanda gentile, senza lasciarmi andare del tutto dalla sua presa. «A volte, ma mai come questo.» «Mi spiace, Luce. Ma sai che cosa te lo ha scatenato?» Deglutisco a fatica. «Io ho visto una persona e sono stata presa dal panico e dai ricordi e… Non lo
so.» So che queste parole per lui non hanno senso, ma io non voglio parlare, voglio solo dimenticare. Diego sembra capire il mio disagio e non mi fa altre domande né chiede spiegazioni. E io gliene sono enormemente grata. Quando il mio respiro è tornato del tutto alla normalità, Diego mi aiuta ad alzarmi. Le mie gambe sono molli e le mani tremano ancora, ma almeno riesco a respirare. Sono davvero a disagio e mi vergogno terribilmente per quello che è successo. Nessuno aveva mai assistito ad un mio attacco di panico fino ad ora, e non so davvero cosa dire. «Senti Luce, posso offrirti un tè? Sei ancora visibilmente scossa e anche pallida, e non mi va di lasciarti da sola.» mi domanda, ciondolando da un piede all'altro. Lo guardo e nei suoi confronti provo un grande senso di gratitudine. Annuisco e decidiamo di raggiungere il bar a piedi. Diego mi sfila la chitarra e la porta sulle sue spalle, assieme al suo zaino. Mentre camminiamo in silenzio, i miei sensi sono tutti vigili perché ho paura di trovarmi di nuovo Marco di fronte, ma per fortuna sono con Diego, e in qualche modo so che posso stare tranquilla. Entriamo da Mauro e appena varchiamo la soglia veniamo accolti dal calore del locale. Mauro è dietro al bancone e quando mi vede mi rivolge un ampio sorriso. «Non ci posso credere. Luce!» esclama sorpreso. «Ciao Mauro.» rispondo con un timido sorriso. Aggira il bancone e viene ad abbracciarmi. Un abbraccio impacciato ma che racchiude un grande significato. Ci stacchiamo e mi guarda con affetto. «Hai le guance rosse e gli occhi lucidi. Tutto bene?» «Sì, ma credo che questo freddo mi stia facendo ammalare.» mento. Mi scruta per qualche secondo prima di sorridermi nuovamente. «E lui chi è?» chiede, indicando Diego dietro di me. «Ehm, lui è Diego. Un amico.» rispondo. «Benvenuto nel mio bar, Diego.» «Grazie.» risponde lui, leggermente confuso. «Mauro ci fai un tè caldo, per favore?» «Arriva subito, Luce, intanto andate pure a sedervi.» Ci accomodiamo a un tavolino nell'angolo. Abbiamo giusto il tempo di levarci le giacche e prendere posto, che Mauro arriva con il vassoio. Posa la teiera e le
tazze di fronte di noi, e mi mette una mano sulla spalla. «È bello vederti, Luce.» mi dice in tono dolce. «È ato tanto tempo dall'ultima volta. Come stai?» Ripenso a quando Andrea lavorava qui. Ogni volta che entravo lo vedevo dietro al bancone insieme a Mauro a stuzzicarsi e ridere, come nonno e nipote. Credo che Mauro capisca il mio dolore e che anche lui senta la mancanza di Andrea. Sul mio volto appare il primo vero sorriso dopo l'attacco di panico. «Sto abbastanza bene. Diciamo che vado avanti, ecco.» Mauro mi stringe forte la spalla, come per farmi capire che mi sostiene. «Brava ragazza.» Poi, prima di allontanarsi, mi strizza l'occhio. «Il tè è offerto dalla casa.» Diego ha assistito a tutta la scena in silenzio e dal suo viso capisco che è confuso, ma ancora una volta non mi fa domande, anzi, mi fa un sorriso e versa il tè nelle nostre tazze. Bevo una lunga sorsata di tè caldo e mi sento subito meglio. Le mani hanno smesso di tremarmi e i brividi sono spariti. Diego porta la tazza alle labbra e mentre beve noto che mi scruta. «Mi spiace.» dice all'improvviso. «Per che cosa?» Posa la tazza e mi guarda. «Per qualsiasi cosa ti sia successa. Non dev'essere una situazione piacevole.» «Come fai a sapere che mi è successo qualcosa?» chiedo sconcertata. «L'ho capito.» «L'hai capito dalle parole di Mauro?» chiedo, ma lui scuote la testa. «No, da quelle ho solo avuto la conferma. L'ho capito dai tuoi occhi.» «I-i miei occhi?» balbetto. «Sì. Hanno un velo di tristezza dentro.» Sono sorpresa da questa sua affermazione. So di non rappresentare il massimo della gioia, ma non credevo neppure di far trasparire così tanta infelicità. «E poi l'attacco di panico di oggi e il fatto che tendi a essere riservata, sono tutti segnali che c'è qualcosa che ti fa soffrire.» aggiunge infine. Riprende la tazza tra le mani per sorseggiare il suo tè. Sono davvero perplessa. Mi ha appena letto come un libro aperto e questa cosa mi inquieta. La mia espressione deve riflettere i miei pensieri perché Diego mi guarda e mi sorride. «Non pensare che io ti spii, è solo che tu mi incuriosisci e io ho un acuto senso d'osservazione.»
«Sì, l'ho notato.» dico ironicamente, mentre incrocio le braccia a disagio. Diego mi fissa, tutto a un tratto serio. «Non volevo spaventarti, Luce. Scusami.» Gli rivolgo un debole sorriso. «Non mi hai spaventata. Sono solo sorpresa. La mia è una situazione complicata e non volevo coinvolgerti.» dico sincera. «Non mi dispiace essere coinvolto. E comunque credo di doverti chiedere scusa anche per un'altra cosa.» «Per cosa?» chiedo confusa. Apre il suo zaino, tira fuori un foglio ripiegato su se stesso e me lo porge. «Credo che questa sia tua. È scivolata dal tuo blocco degli appunti quando sei uscita dall'aula il giorno che hai preso la botta in testa. Avrei dovuto ridartela prima, ma non trovavo mai un'occasione giusta.» Accidenti! Come ho fatto a non accorgermi che la mia lista dei desideri era sparita? Meno male che dovrei portarla sempre con me come memento dei miei obiettivi. Prendo il foglio e lo metto nella tasca dei jeans. Vedo Diego che mi guarda dispiaciuto per il suo gesto, ma come posso arrabbiarmi con lui? È sempre e solo stato gentile con me. Non mi chiede mai nulla di personale nonostante abbia intuito tante cose, e poi c'è qualcosa in lui che mi spinge a fidarmi. «L'hai letta?» gli chiedo, e lui annuisce. «Allora starai pensando che sono matta.» Lui mi sorride, sorpreso della mia reazione. «Be', matta no, ma un pochino strana sì.» Sorrido pure io. «È per via di questa lista che hai iniziato il corso di chitarra?» «Sì. Il mio psicologo prima me l'ha fatta scrivere e poi mi ha detto di provare a eseguire un punto.» Gli spiego, mentre bevo un sorso di tè. «Quindi le altre cose non le hai fatte?» «No. Sono troppo complicate.» Lui alza un sopracciglio. «Ridere non è complicato.» sentenzia. «Anche se, effettivamente, tu non ridi molto.» «Io non rido molto?» Diego scuote la testa. «Tu sorridi, Luce. Ma non ridi mai.» Probabilmente ha ragione. «Mi capita di ridere a volte. Magari un giorno mi vedrai.» dico. «Lo spero.» I nostri occhi si incontrano per un momento e una strana sensazione mi pervade. Distolgo lo sguardo e mi concentro sulla mia bevanda calda. «Parlami di te.» dico. «Tu non abiti qui, vero?» «No. Vivo in un monolocale a Torino, ma mio nonno viveva qui, e i miei zii ci
abitano ancora.» mi spiega. «E i tuoi?» «I miei genitori vivono sempre a Torino, ma non con me. Mi aiutano a pagare gli studi e io lavoro per permettermi l'affitto del monolocale.» «Cosa studi?» chiedo curiosa. «Studio musica al Conservatorio, anche se in realtà la musica è sempre stata la mia vita.» Sono davvero colpita, e ora capisco perché ci mette così tanta ione nel corso di chitarra. «Ma quanti anni hai?» Lui mi guarda divertito. «Quanti me ne dai?» Faccio finta di pensarci su, mettendomi anche una mano sul mento. «Io ne devo fare ventuno quindi immagino che anche tu abbia la mia età.» Lui ride. «Ci sei andata vicina. Ne ho ventitré in realtà. Vuoi sapere altro?» mi domanda con un sorriso. «Sì. Siete tu e tuo nonno nella foto dell'aula di musica, vero?» Diego annuisce. «Esatto. È merito suo se amo la musica. Era nella banda musicale di qui, per questo motivo mi hanno dato l'opportunità di tenere il corso di chitarra, anche se preferisco suonare il pianoforte.» Lo guardo sorpresa. «Quindi componi?» Lui fa un mezzo sorriso. «Ci provo. Ogni tanto vado nel cortile sul retro del Municipio e mi lascio ispirare. Spero di vivere della mia musica un giorno, ma chi può sapere cosa ci riserva la vita?» Ripenso a tutto quello che è successo a me e credo che non ci sia frase più veritiera. La vita è troppo imprevedibile. «E sei soddisfatto della tua vita?» Mi guarda pensieroso. «Credo di sì, anche se credo che si possa sempre migliorare.» Rifletto sulle sue parole e quando sollevo lo sguardo vedo che sta sorridendo. «Perché sorridi?» Lui scrolla le spalle. «Perché stavo pensando che per essere una ragazza riservata fai un sacco di domande.» Gli rivolgo anche io un ampio sorriso. «Credo che tu abbia ragione.» iamo quasi un'ora al bar a chiacchierare. Stare con lui è rilassante e mi sono completamente persa nel nostro dialogo. Il mio brutto attacco di panico sembra solo più un ricordo sbiadito. Diego mi pare una bella persona anche interiormente oltre che esteticamente. Prima di uscire dal bar, Mauro viene di nuovo ad abbracciarmi. «Fatti vedere più spesso, Luce. D'accordo?» Lo stringo forte. «Lo farò, Mauro. Promesso.»
Diego mi accompagna fino davanti al cancello e mi restituisce la chitarra. Da dentro si sente Charlie che abbaia rumorosamente. «Hai un cane?» «Sì, una piccola peste.» dico con un sorriso. Tra noi cala il silenzio. Mi dispiace doverlo salutare e sapere che per una settimana non lo vedrò, perché se non fosse stato per lui, probabilmente sarei ancora nel vicolo disperata e agitata. «Be'» dico imbarazzata. «Grazie per tutto, davvero. Non so cosa avrei fatto senza di te.» «Nessun problema.» «Lo dici sempre.» Lui aggrotta la fronte. «Che cosa?» «Nessun problema. Me lo dici sempre.» Diego mi guarda divertito. «Lo dico perché è vero. Stare con te e aiutarti quando sei in difficoltà non mi crea nessun problema.» Sono ancora una volta colpita dalle sue parole e dalla sua personalità. Questo ragazzo è pieno di sorprese e con il suo atteggiamento mi sta mandando in tilt il sistema nervoso. Cerco di mascherare il mio disagio con un sorriso. «Ci vediamo martedì, allora.» Diego si avvicina a me, si china e mi dà un bacio sulla guancia. Un gesto all'apparenza innocente, che però mi immobilizza. «A martedì.» sussurra, e se ne va. Entro in casa dopo aver chiuso a chiave il cancello e la porta. Marco è in giro e io tremo di paura al solo pensiero che possa tornare a infastidirmi. Faccio giusto in tempo a posare la chitarra e a levarmi la giacca, prima di sprofondare in uno stato confusionale. È stata una giornata davvero pesante. La vista di Marco, i ricordi e l'attacco di panico mi hanno lasciata senza forze. E poi Diego. Mentre singhiozzavo sulla sua spalla mi sono sentita protetta e al sicuro. E solo Andrea è stato in grado di farmi sentire così. Cos'è questa sensazione che si è scatenata dentro di me? Possibile che inizi a provare dei sentimenti per Diego? Mi corico sul divano esausta, pensando che probabilmente ero solo sopraffatta dagli eventi e che in quel momento con me c'era solo lui. E nel giro di una decina di minuti mi addormento. Vengo svegliata dallo squillo insistente del mio cellulare. L'orologio indica che sono le dieci ate perciò ho saltato la cena. Di nuovo. «Pronto?» «Lucciola!» La voce acuta di Anna mi rimbomba nell'orecchio. «Ciao Anna.» rispondo poco entusiasta e con uno sbadiglio. «Ma si può sapere dov'eri oggi?»
Una domanda così diretta implica che lei sa già esattamente dov'ero e soprattutto con chi. Probabilmente qualcuno mi ha vista al bar e glielo ha riferito. Odio questo paesino dove nessuno riesce mai a farsi gli affari suoi. «Sono stata al bar da Mauro con Diego.» La sento emettere un gridolino estasiato. «Lo sapevo! E com'è andata?» Sbuffo. Sono troppo confusa e ancora frastornata per aver visto Marco per poter rispondere alle sue domande. «Bene.» «Tutto qui?» mi chiede Anna delusa. «Sì, Anna. Tutto qui.» rispondo seccata. Non ho voglia di parlare dei miei sentimenti. E non ne ho voglia perché non riesco a smettere di pensare alle labbra di Diego sulla mia guancia, a come mi ha tenuta stretta mentre piangevo e a come si è preso cura di me e a tutto quello che mi ha provocato. Emozioni che ho provato solo con Andrea in ato, e provarle con un'altra persona mi fa sentire terribilmente in colpa. «Ok, Lucciola. Non volevo farti arrabbiare.» mi dice mortificata. «No, scusami. È che è stata una giornata difficile e ho avuto un brutto attacco di panico dato che… ho visto Marco.» Le spiego mentre mi siedo diritta sul divano. Oltre ad Andrea, Anna è l'unica che sa cos'è successo con Marco. «Oh, no. E ora come stai?» «Bene, credo. Diego mi ha aiutata. Sembra sempre che sia al posto giusto al momento giusto. Non so come faccia.» «Be', meglio così, no?» «Non so.» La sento fare una pausa. «Mi dispiace, Lucciola. Speravo proprio che non incontrassi Marco.» Mi alzo di scatto dal divano. «Tu sapevi che era in giro e non mi hai detto nulla?» chiedo stupita. «Sì, però puoi stare tranquilla. Sembra che sia andato fuori di testa ed è sotto psicofarmaci. È talmente imbottito che se ti vedesse non ti riconoscerebbe. Credo che non si ricordi nemmeno il suo nome, perciò è del tutto innocuo.» Ci metto qualche secondo per comprendere a pieno le sue parole. Tiro un profondo respiro di sollievo. Finalmente questo capitolo della mia vita è definitivamente
chiuso. Marco non sarà più problema. «Grazie, Anna. Davvero grazie. Non potevi darmi notizia migliore.» dico, tornando a sorridere.
14
Le giornate fredde e invernali hanno ceduto il posto a quelle tiepidi di marzo. La natura si sta risvegliando dal suo letargo e i parchi e l'oratorio sono di nuovo pieni di bambini che giocano spensierati. La mia routine quotidiana però, non ha subito nessuna variazione. Di tanto in tanto vengo colta di sorpresa da qualche attacco di panico e dal mal di stomaco, e per quanto ce la stia mettendo tutta mi sembra di non aver fatto nessun progresso. Il Dr. Menotti mi ha spiegato che devo aver pazienza, che non esiste una bacchetta magica in grado di far scomparire tutto con un solo gesto della mano. Mi ha anche detto che probabilmente il mio rapporto con Diego sta influendo molto sul mio inconscio perciò il mio corpo ne esce di nuovo scombussolato. Odio questa mia situazione, e non mi piace il fatto che Diego si sia insinuato nella mia vita senza chiedermi prima il permesso. E se iniziassi davvero a provare qualcosa per lui? Io ho amato una volta sola e una persona soltanto, e pensavo che ci avrei ato tutta la vita. In fondo, ce lo eravamo promessi. Quando guardo le foto di Andrea sulla parete e lo vedo sorridente, mi tornano in mente tutti i nostri momenti ati insieme. E quando Diego si infila nei miei pensieri, mi sembra di dimenticare Andrea. Non voglio voltare pagina. Voglio tenermi Andrea stretto. Non posso lasciarlo andare. Non voglio. Non sono ancora pronta. Per questo motivo ho evitato Diego nelle ultime due settimane. Sono sempre arrivata a lezione in perfetto orario, e appena terminava sgattaiolavo fuori veloce, senza incontrare mai il suo sguardo o rischiare di parlarci. Mi sento un verme se ripenso a tutto quello che ha fatto per me, ma cos'altro posso fare? Se continuo ad evitarlo magari anche le sensazioni che mi ha suscitato spariranno. Oggi il cielo è limpido e senza una nuvola. Il sole è bello caldo e mi pento di aver messo un maglione di troppo. La chitarra pesa sulle mie spalle, e arrivo al corso già stanca e sudata. Il nuovo brano che ci ha assegnato Diego ha dei aggi davvero complicati. Stiamo tutti provando ad eseguirlo correttamente, ma io mi blocco sempre sullo stesso accordo. Le mie dita corte non riescono ad arrivare a pizzicare correttamente le corde, e il suono che ne esce è distorto.
Diego si avvicina al mio banco e mi sorride. «Ti aiuto, Luce?» I suoi occhi verdi mi scrutano e non riesco a non pensare che nelle giornate di sole sono ancora più belli. Non mi dà nemmeno il tempo di rispondere, che si mette al mio fianco e mi prende la mano per posizionarmela correttamente. Mi ruota leggermente il polso e mette ogni mio dito nella giusta posizione sulla tastiera. Tento di non pensare al brivido che il suo tocco mi ha provocato, ma è tutto inutile. D'istinto vorrei levare la mano, ma sarebbe un comportamento davvero infantile. In fondo mi sta solo insegnando a suonare la chitarra, no? «Ecco, così. Prova.» Faccio scorrere il pollice sulle corde e magicamente la nota esce perfetta. «Grazie.» gli dico senza guardarlo. Sento che avvicina le sue labbra al mio orecchio. «Posso parlarti alla fine della lezione o scappi di nuovo?» sussurra. Ho di nuovo un brivido, questa volta lungo tutta la schiena. Dannazione! Si è accorto che l'ho evitato di proposito e se mi dovesse domandare delle spiegazioni non saprei cosa dirgli. Non credo però di poter fuggire per sempre da lui, anche perché sa dove abito. «Sì, ok.» dico semplicemente. Diego si alza e senza aggiungere nulla, va ad aiutare un altro ragazzo che ha problemi con il mio stesso accordo. Finita la lezione, ritiro la chitarra e il mio blocco e mi fermo ad aspettare che tutti vadano via. Emma e Martina si sono accorte che sto aspettando Diego e quando mi ano davanti, mi guardano in cagnesco. Credo di essermi appena fatta due nemiche. Quando Sergio mi a accanto mi fa l'occhiolino e io lo guardo perplessa. «Non dirlo a nessuno, ma io avevo scommesso in segreto su di te. Quelle due sono troppo oche per Diego.» Resto a bocca aperta. «Ma…Che?! Guarda che io e lui non stiamo insieme.» preciso in fretta. «Non ancora.» mi dice con un sorriso furbo prima di uscire. Non faccio in tempo a riprendermi da questo breve scambio di battute, che Diego mi si avvicina. Ormai siamo rimasti soli in aula. «Allora, sbaglio o nelle ultime settimane mi hai palesemente evitato?» mi domanda accigliato. Io abbasso lo sguardo. «Non è proprio così. È che ho avuto delle cose da fare.» Diego scoppia a ridere. «Non le sai dire le bugie, Luce.» Scappa un sorriso anche a me. «Hai ragione.»
«Ho per caso fatto qualcosa di sbagliato?» mi chiede serio. «No, assolutamente no, anzi sei sempre stato gentile con me.» Sento il suo sguardo confuso addosso. «Allora non capisco.» Alzo gli occhi e lo guardo. «Non posso darti una spiegazione, Diego. È troppo complicato.» gli dico semplicemente. Diego scruta il mio volto, come se cercasse di capire se sono sincera, poi si volta e raccoglie il suo zaino. «Magari se me ne parlassi potrei aiutarti, no?» dice in tono calmo. «Non credo che tu possa fare qualcosa per aiutarmi.» «Questo lo vedremo. Puoi venire con me in un posto?» «Ora?» chiedo sorpresa, e lui annuisce. Butto subito un'occhiata all'orologio sulla parete: sono le quattro e mezza. «Io non…» «Non staremo via molto, promesso. E in caso tu abbia un attacco di panico so già come comportarmi.» mi rassicura. Non riesco a resistere al suo fascino e alla curiosità, perciò non credo di avere altra scelta. «D'accordo.» Saliamo in macchina e ci fermiamo prima a casa mia in modo da poter posare la chitarra e il blocco. Quando esco dal cancello vedo che Diego ha parcheggiato l'auto. «Da qui facciamo prima a piedi.» spiega. Dopo dieci minuti arriviamo di fronte ad un edificio, alto e grigio, che conosco ma dove non ho mai messo piede. Mi volto verso di lui e lo guardo confusa. «Perché siamo qui?» «Lo vedrai.» Mi prende per mano ed entriamo. L'atrio è stretto e Diego mi guida attraverso un corridoio pieno di foto di anziani sorridenti e alcuni anche sdentati. Entriamo in un salone ampio e spazioso con una grande finestra che dà sul cortile. Al centro c'è un televisore e tutt'attorno sono raccolti degli anziani che guardano un programma del pomeriggio. A lato ci sono diversi tavoli, alcuni vuoti, e altri con dei giochi da tavola sopra. Nell'angolo, infine, ci sono diverse macchinette di bevande e cibi, e immagino che siano per chi viene a trovare i propri parenti. Appena ci vedono, alcuni anziani sorridono contenti. Un signore su una sedia a rotelle, stempiato e dagli occhi dolci, attira l'attenzione di Diego che mi lascia la mano per raggiungerlo. Mi sento quasi vuota ora che le mie dita non sono più intrecciate alle sue. Più sto con Diego, più sento nascere qualcosa nei suoi confronti. E questo mi terrorizza.
Lo vedo inginocchiarsi a fianco dell'anziano e posargli una mano sul ginocchio. «Salve, Giovanni. Come sta oggi?» Il signor Giovanni gli fa un largo sorriso. «Oh giovanotto, fino a quando sono ancora vivo, non posso lamentarmi.» Diego ride, poi si rivolge a un altro anziano che seduto su una sedia sta guardando la televisione. «E lei, Ernesto? Come sta?» Quest'ultimo si volta e grugnisce qualcosa, poi torna a concentrarsi sullo schermo di fronte a sé. Io resto immobile a osservarmi intorno. Siamo alla casa di riposo del paese, e mi sorprende che nonostante questo posto odori di ospedale e disinfettante l'ambiente sia caldo e allegro grazie ai sorrisi dolci degli anziani. «Ciao, Diego. Sei venuto per la merenda?» Un'infermiera entra nella stanza e spinge un carrello con delle caraffe di tè caldo e dei biscotti. Diego si alza e viene verso di me. «Esatto, Marta. E ho anche portato due mani in più per aiutarmi.» dice indicandomi. La donna mi guarda e mi sorride. «Più siamo e meglio è.» Sorrido imbarazzata e sto per dirigermi verso il carrello, quando sento una mano posarsi sul mio braccio. Una signora con i lunghi capelli bianchi raccolti in una treccia, si è avvicinata a me e noto che si regge in piedi grazie ad un bastone. «Salve cara.» mi dice dolcemente. «Salve.» Mi scruta e mi sorride, poi mi posa una mano sulla guancia. Sento che è ruvida e rugosa, ma allo stesso tempo calda. «Sei davvero una bella ragazza. Somigli molto a mia nipote, anche se lei è ancora una bambina, sai? Come ti chiami?» «Luce.» rispondo confusa. «Luce.» ripete lei tra sé. «È un bel nome, luminoso, ma il tuo viso non lo rispecchia. Dovresti cercare di risplendere di più.» mi dice come se niente fosse. Sono completamente esterrefatta. Sono sempre più convinta che il mio nome e la mia persona siano in netto contrasto tra loro. Sto per aprire la bocca per replicare, ma Marta si avvicina a noi. «Nonna, lascia stare questa bella ragazza e vieni a sederti per il tè.» La signora la guarda. «Marta, che ci fai qui? Sei ancora una bambina, dovresti stare a casa a giocare con le bambole.» Resto confusa e osservo Marta. Un lampo di tristezza le a negli occhi e senza dire una parola accompagna sua nonna a un tavolo. In effetti ci assomigliamo. Abbiamo i capelli dello stesso colore e gli occhi chiari, ma quella signora pensa che sua nipote sia ancora una bambina. «Ti va di servire la merenda con me?» mi domanda Diego, richiamando la mia attenzione. Annuisco con un sorriso e ci mettiamo al lavoro.
Ci impieghiamo una buona mezz'ora per servire il tè e i biscotti a tutti i presenti. Alcuni anziani riescono a servirsi da soli, ma altri hanno bisogno di aiuto. Mi siedo di fronte a un signore coi capelli e lunghi baffi grigi, e vedo che ha le mani raggrinzite e tremanti. Lo aiuto a bere la sua bevanda calda e a mangiare qualche biscotto. Ma viene colto all'improvviso da un colpo di tosse ed è costretto a sputacchiare ciò che ha in bocca. Pezzi di biscotti mi finiscono diritti in faccia. Il suo sguardo assume subito un'espressione colpevole e dispiaciuta, ma con mia grande sorpresa, invece di arrabbiarmi, scoppio a ridere. Una vera risata rumorosa che contagia anche l'anziano che ho di fronte. E quando incrocio lo sguardo di Diego dall'altra parte della sala, vedo che mi guarda ammirato e che ride pure lui. Dopo la merenda ci fermiamo con alcuni anziani a giocare a carte e a scacchi. Non posso fare a meno di pensare a quanta solitudine debbano provare queste persone. Sono rinchiuse qui dalle loro famiglie e ano le giornate tutte uguali, sperando che qualche volontario o qualche parente venga a far loro compagnia. A pensarci bene, anche le mie giornate sono tutte uguali, con la differenza che invece di essere in una casa di riposo sono a casa mia. Sbircio Diego che sta ultimando una partita di scacchi con il signor Giovanni, e mi domando quando la smetterà di stupirmi. Il suo non è semplicemente un atteggiamento. La bontà è intrinseca nella sua persona. Fa parte di lui. E questa giornata me ne ha data la prova. Quando usciamo dal ricovero è buio ed è quasi ora di cena. Il tempo è trascorso veloce e io non ho mai temuto, nemmeno per un istante, di avere un attacco di panico. Ci incamminiamo verso casa mia inspirando l'aria fresca di marzo. «È stato bello vederti ridere prima.» mi dice Diego a un certo punto. Sorrido ripensando alla scena. «Ci vai spesso?» gli chiedo e lui annuisce. «Sì, tutte le volte che riesco. Ho iniziato perché andavo a trovare mio nonno, e ho continuato a farlo anche dopo la sua morte.» Immagino che dovessero avere un bellissimo rapporto. «È ammirevole da parte tua.» dico sincera. Facciamo qualche o in silenzio prima che io interrompa i nostri pensieri. «Ma perché hai voluto che io venissi con te?» Diego infila le mani nelle tasche della sua felpa. «Volevo che vedessi con i tuoi occhi.» «Che cosa?» gli chiedo curiosa. Lui smette di camminare e mi guarda diritta in faccia. «Io non cosa sia successo a te, Luce. Ma volevo che vedessi che quelle
persone vanno avanti nonostante la vecchiaia e la malattia. Sai che molti di loro hanno l'Alzheimer e che domani non si ricorderanno nemmeno chi siamo?» Abbasso lo sguardo. «No, non lo sapevo.» dico triste, e in testa visualizzo subito il volto gentile della signora con la treccia bianca, e il volto addolorato di Marta nel vedere la nonna in quello stato. «Già.» prosegue Diego. «Però continuano a vivere e ogni giorno lo trascorrono con il sorriso. Mi piacerebbe che lo fi anche tu.» E come sempre, le sue parole fanno breccia nel mio cuore. Lui mi capisce senza che io gli abbia mai detto nulla. «Ci sto provando, credimi.» dico e lui mi sorride. «Lo so.» Riprendiamo a camminare e una volta arrivati di fronte al mio cancello sono completamente infreddolita e con nessuna idea su cosa dire al ragazzo che mi sta di fronte. Vedo Diego leggermente imbarazzato e nervoso. «Senti Luce, non è che, sì insomma…Ti va di cenare insieme?» Sono spiazzata e il viso deve rivelare la mia incertezza, poiché Diego tenta di ritrattare. «Ma no scusa, non dovevo chiedertelo, probabilmente hai altro da fare e…» «No, non ho nient'altro da fare.» dico, interrompendolo. «È solo che io non mangio fuori casa.» rivelo a disagio. Diego mi guarda perplesso. La mia deve sembrargli una scusa anche se è la verità. «Ah, ok.» dice semplicemente. Ci è rimasto male, e mi sento in colpa se penso a tutto quello che lui ha fatto per me e alle belle parole che mi ha detto poco fa. E poi c'è una vocina dentro di me che continua a dirmi di non lasciarlo andare via. Così, ancor prima che me ne renda conto le parole mi escono dalla bocca. «Però se per te va bene, possiamo mangiare qui.» dico. «Qui fuori?» scherza lui allentando la tensione, e io rido. «No, dentro naturalmente, ma ti devi accontentare di una semplice pasta.» Lui mi guarda e solleva le spalle. «Nessun problema.»
15
Metto a bollire l'acqua e accendo lo stereo. La cucina si riempie così di musica e crea un'atmosfera rilassata. «Ti va un sugo con le verdure?» domando a Diego. «Sì, perfetto.» Apro il frigorifero ed estraggo due zucchine, una melanzana, una carota e una cipolla. Charlie ci osserva curioso, e guarda con sospetto Diego, ma dopo che ha ricevuto due coccole dietro le orecchie, prende a leccargli la faccia. Mi metto a tagliare le verdure, lasciando la cipolla per ultima. «Hai davvero una bella casa, Luce. Molto spaziosa.» «Grazie. Ma i miei sono sempre via per lavoro, e viverci praticamente da sola spesso mi mette tristezza. Per fortuna ho Charlie con me, vero bello?» Charlie mi guarda e scodinzola felice, sentendosi chiamato in causa. «Posso immaginare. Io invece ho il problema opposto. Il mio monolocale è talmente stretto che a volte mi sento soffocare.» Lo guardo e sorrido. Diego si avvicina al tavolo dove sono intenta a tagliare a cubetti la melanzana. «Posso darti una mano? Mi sento inutile se resto a guardarti.» Gli o un tagliere e un coltello. «Puoi tagliare la cipolla, se vuoi.» Lui mi guarda con un ghigno. «Vuoi farmi piangere, vero?» «Hai indovinato. Sono stufa di vederti sempre sorridente.» scherzo. Restiamo in silenzio per qualche minuto ad affettare le verdure con la musica di sottofondo. Sbircio Diego con la coda dell'occhio e vedo che fa ogni tipo di smorfia per cercare di trattenere le lacrime. Quando si volta ha gli occhi arrossati. «Temo di cavarmela meglio con la chitarra.» mi dice, asciugandosi gli occhi con il dorso della mano. «Temo di sì.» dico con un sorriso. Prendo una pentola e metto a soffriggere la cipolla, poi aggiungo le altre verdure e infine la ata di pomodoro.
«C'è davvero un buon profumino.» commenta Diego. Mi volto e me lo ritrovo vicino. Troppo vicino. Sento il mio stomaco stringersi, ma non è la solita fitta di panico. È desiderio. Ho una voglia tremenda di posare le mie labbra sulle sue. Non faccio in tempo a dire nulla che lo sguardo di Diego si illumina. «La senti?» Si dirige verso lo stereo e alza il volume. Ascolto le note uscire dalle casse e ci metto solo qualche secondo prima di riconoscere la melodia. Diego mi porge una mano ma io la guardo e scuoto la testa. «oh, no. Io non ballo.» dico, incrociando le braccia al petto. «Dai, Luce. È una salsa. Non puoi rifiutare, l'hai scritto nella tua lista dei desideri, ricordi?» Accidenti! Mi domando se il destino non l'abbia fatto di proposito a are questa canzone proprio in questo momento. Allungo la mano e la poso nella sua. Diego mi afferra per la vita e mi stringe a sé, poi comincia a muovere i piedi a tempo di musica. «È facile, segui me.» mi dice sorridendo. Abbiamo le mani intrecciate e con la testa guardo i suoi piedi muoversi e cerco di seguirne i i. I nostri corpi ora non sono solo vicini, sono a contatto. E io sto cercando in tutti i modi di reprimere le emozioni che Diego mi provoca. Ci facciamo trasportare dalla musica e quando la canzone finisce Diego mi fa fare una piroetta e un inchino e poi mi attira a sé. Restiamo così, pelle contro pelle. L'odore del suo profumo mi invade le narici e i suoi occhi verdi mi scrutano attentamente. Non riesco a muovermi, e quando mi sorride, sento che potrei sciogliermi. Vedo Diego che avvicina il viso al mio. Le nostre labbra si sfiorano appena e nonostante lo desideri con ogni cellula del mio corpo, ho paura per quello che sta per succedere. Ma soprattutto ho paura di come mi sentirò dopo. Lo squillo del telefono di casa interrompe la magia e ci riporta bruscamente alla realtà. Mi scosto veloce da Diego e afferro il cordless. «Vado a rispondere al piano di sopra.» comunico a Diego, che annuisce mentre mescola il sugo. Salgo le scale ed entro in camera mia. «Pronto?» dico con il fiatone, non so se causato dalla corsa su per gli scalini o da quello che stava per accadere con Diego. «Ciao tesoro. Come stai?» «Ciao mamma. Sto bene e voi? Com'è andata la riunione di oggi?» «Stiamo bene, e la riunione è stata un successone, solo che…» Sento mia madre
che prende un lungo sospiro. «Mi spiace dirtelo tesoro, ma sabato non possiamo tornare a casa.» Una punta di delusione si insinua nella mia voce, ma cerco di mascherarla. So che i miei genitori sono dispiaciuti quanto me nel non tornare a casa questo fine settimana. «Oh, non importa mamma. Vorrà dire che ci vediamo il prossimo sabato.» «Ma sì, tesoro. Certo. Ti voglio bene.» «Anch'io. Saluta papà.» Terminata la telefonata, mi siedo sul bordo del letto e poso gli occhi sulla parete di fronte a me, persa tra i miei pensieri. Sento dei i salire le scale e poco dopo Diego appare sulla soglia della mia camera. Vedendomi con lo sguardo triste, mi si avvicina. «Ehi, tutto bene?» Io lo guardo, e ancora una volta non riesco a non notare i suoi meravigliosi occhi verdi. «Sì, sto bene. Solo che ho appena saputo che i miei genitori non saranno a casa per il mio compleanno.» Diego mi guarda. «Mi dispiace.» dice sincero. «Posso chiederti qual è il giorno in cui invecchierai?» Sollevo lo sguardo e gli sorrido. «Invecchio questo sabato.» dico. «Ma non importa. Tanto non mi piace molto festeggiare.» aggiungo, quasi più per digerire l'amaro della delusione, che per dare una sorta di spiegazione a Diego. Lo sento sospirare e quando si volta si accorge della parete piena di fotografie e comincia ad ammirarle curioso. Sofferma lo sguardo su una delle tante foto di Andrea in primo piano, e mi accorgo che sembra quasi sorpreso nel vederlo, come se lo conoscesse. Ma è una cosa impossibile. Diego non può sapere chi sia Andrea, dato che non ha mai abitato nel nostro stesso posto. Io stessa non lo avevo mai visto prima del corso di chitarra. Dal piano di sotto si sente la musica dello stereo, mentre Diego continua a scorrere con gli occhi i vari scatti. Si gira a guardarmi, interrogativo. Io mi alzo dal letto e mi avvicino alla parete. «Lui era Andrea.» dico, indicando la foto della sua festa di compleanno. «Era il mio ragazzo e anche il mio migliore amico. È morto circa un anno fa in un incidente stradale.» Diego fissa per qualche istante la foto di Andrea, poi allunga la mano verso la mia e me la stringe forte. «Mi spiace davvero tanto, Luce.» Lo guardo negli occhi e gli sorrido in segno di riconoscenza, confortata dal suo gesto. Ora deve avere più chiaro il perché di tanta tristezza nei miei occhi. Ma ancora una volta non mi fa
nessuna domanda. «Che ne dici se andiamo a mangiare?» mi chiede, tirandomi leggermente per il braccio. «Ormai dev'essere quasi pronto.» Annuisco e serro la presa sulla sua mano mentre ritorniamo in cucina. La cena trascorre tranquilla e serena, nonostante io abbia mangiato appena due forchettate di pasta. Chiacchieriamo molto e Diego mi racconta della sua infanzia, del Conservatorio e della sua enorme ione per la musica. Scopro con mia grande sorpresa che è anche un tifoso di calcio e che di tanto in tanto partecipa a qualche torneo di calcio a cinque con i suoi amici. Io non accenno nessun particolare su Andrea, ma gli racconto che dalla sua morte soffro di attacchi di panico e che faccio fatica ad allontanarmi da casa. Lui ascolta in silenzio ogni mia parola e mi accorgo di non sentirmi per niente giudicata, al contrario, Diego tenta di comprendermi. Finita la cena carico la lavastoviglie e ci spostiamo in salotto, sedendoci in due divani differenti. Fino ad ora Diego non ha più tentato di baciarmi, e in un certo senso, e forse da un lato è meglio così. «Posso farti una domanda?» mi chiede di punto in bianco mentre accarezza Charlie. Il mio corpo si irrigidisce. Lui non fa mai domande, perciò non so cosa aspettarmi. «Sì, certo.» Diego mi guarda e mi sorride. «Mi sono sempre chiesto il perché del tuo nome. Devo ammettere che Luce è un nome insolito.» Faccio un lieve sospiro di sollievo. «Figurati che io ho sempre pensato di avere il nome di una cosa.» rivelo. «Ma i miei mi hanno raccontato che io sono nata dopo un periodo buio per loro.» gli spiego. «Io non credo che tu abbia il nome di una cosa, anzi, hai un nome pieno di significati. Cosa c'è di più luminoso della luce? La luce rappresenta la speranza.» Lo fisso impalata, meditando sulle sue parole. «Mmm, credo che tu abbia creato una versione troppo poetica del mio nome.» dico divertita. Diego alza le spalle. «Sarà, ma sicuramente è quello che tu sei stata per i tuoi genitori. Comunque sappi che a me il tuo nome piace.» sentenzia. Osservo i suoi occhi verdi, e mi domando ancora una volta da dove sia spuntato fuori questo ragazzo. Sempre gentile e disponibile, con le parole giuste al momento giusto. Intorno alle dieci Diego si alza dal divano e si stiracchia. «Sarà meglio che vada. Domani ho lezione presto.» Annuisco e mi alzo a mia volta. Si china per dare
un'ultima carezza a Charlie che mugola felice e lo accompagno alla porta. Si volta e mi guarda, con le mani infilate nelle tasche dei jeans. «Grazie mille per la cena e per la compagnia, sono stato bene.» Io sorrido in imbarazzo. «Figurati, anzi, grazie a te per la bella giornata. Mi ha fatto piacere stare con gli anziani. E poi parlare con te è semplice.» dico sincera. Sto per aggiungere qualche altra parola, ma senza nemmeno avere il tempo di prendere aria, mi ritrovo il viso tra le sue mani e le sue labbra sulle mie. Chiudo gli occhi e assaporo il piacere del nostro bacio e sento un brivido percuotermi tutto il corpo. Quando Diego si stacca, mi sorride e mi accarezza una guancia, poi senza aggiungere una parola, si volta e se ne va. Io resto sulla soglia della porta, frastornata. È stato senza dubbio un gran bel bacio. E lo volevo. L'ho desiderato per tutta la serata. E allora perché non appena mi chiudo la porta alle spalle, in testa mi appare il volto di Andrea? Sento gli occhi riempirsi di lacrime, e non è di certo questa la reazione che si deve avere dopo un bacio. *** Trascorro la notte insonne e piena di pensieri. Diego mi piace sempre di più, e questo ormai è palese. Mi è entrato dritto nel cuore senza che lo volessi, ma ogni volta che sto con lui mi sembra di tradire Andrea. Ma si può tradire una persona che non c'è più? Ho bisogno di essere illuminata perché non so davvero cosa fare. Decido così di prenotare una seduta extra dal Dr. Menotti. «Mi aiuti a capire.» lo supplico mentre mi osserva dalla sua poltrona. «Luce, nessuno ti può dire cosa fare e cosa non fare. E nessuno ti dirà che sia facile prendere una scelta, ma innamorarsi fa parte della vita. E se tu vuoi andare avanti, devi accettare il fatto che possa accadere. Se Diego ti fa stare bene e ti sprona a lottare per tornare a stare bene, non dovresti rinunciarci. Tu sei viva ed è giusto che continui a vivere.» Le sue parole sono lame taglienti. Sento il cuore lacerato e diviso in due parti contrastanti. Una mi spinge verso Diego e l'altra mi dice di restare legata ad Andrea. Ma io ho bisogno di continuare a vivere. È questo il mio obiettivo, no? Voglio tornare ad essere serena, e anche se fa male ammetterlo, ho bisogno di Diego. Ho bisogno delle sensazioni che provo quando siamo insieme, anche se questo
significa dover seppellire una volta per tutte i sentimenti per Andrea. Dopo la seduta con Robert sono più tranquilla, ma nonostante i miei sforzi, ho paura. E questa sensazione non mi abbandona nemmeno nei giorni seguenti. Non credo che riuscirò mai a separarmi del tutto da Andrea, ma in qualche modo devo provarci. Sto sprofondando nella mia tristezza e nella mia confusione e dover are il giorno del mio compleanno da sola di certo non aiuta. I miei genitori lavorano, mio fratello è a Londra e le mie amiche hanno avuto entrambe degli imprevisti. Sono a casa da sola con Charlie, e ciliegina sulla torta, dalla sera del nostro bacio non ho più visto né sentito Diego. Il mio cellulare squilla e allungo la mano sul tavolino per rispondere. «Pronto?» «Ciao sorellina. Tanti auguri!» Malgrado tutto, sentire la voce di Nicolò mi scalda il cuore. «Ciao Nico, grazie mille.» dico, mentre gioco con una ciocca di capelli. «So che mamma e papà non sono potuti tornare, ma sono sicuro che vi rifarete l'anno prossimo, magari tornerò a casa pure io per l'occasione. Tu cerca solo di non abbatterti sorellina.» Ecco, questo è mio fratello: sa sempre cosa voglio sentirmi dire e riesce a sollevarmi l'umore. «Lo so, Nico. Grazie.» «Figurati. Anche Claire ti fa gli auguri.» Sento la voce della ragazza in sottofondo che urla: «Happy Birthday!» Sorrido e scuoto la testa. Se non fossi bloccata dagli attacchi di panico e dalla paura, ora potrei essere a Londra insieme a loro. «Ringraziala da parte mia. Vi voglio bene.» «Anche noi te ne vogliamo. Fai la brava. Ci sentiamo presto.» Riaggancio la telefonata e sprofondo sul divano. Devo decidere cosa prepararmi per cena e a che film guardare per festeggiare in solitaria la sera del mio compleanno. Ho quasi optato per saltare la cena e are direttamente al film, quando suonano il camlo. Mi alzo controvoglia e non appena apro la porta, vengo assalita. «Auguriiiiiii.» mi urlano tutti nelle orecchie. Anna, Cecilia, Richy e Amedeo invadono il mio salotto, stringendomi in un abbraccio collettivo. Hanno portato palloncini e della pizza da mangiare. «Che ci fate qui?» chiedo sorpresa e contenta. Cecilia mi strizza le guance. «Non potevamo lasciarti sola la sera del tuo compleanno, Lucy! Così abbiamo pensato di farti una
sorpresa, anche se in realtà l'idea è stata sua.» mi spiega indicando dietro di sé. Sposto lo sguardo e trovo Diego sulla soglia della porta con una borsa di bibite e birre. Mi guarda e arrossisce timidamente. «Spero che non ti dispiaccia.» mi dice. Io mi avvicino a lui con un largo sorriso in volto, gli getto le braccia al collo e gli do un leggero bacio sulle labbra. «No. Non mi dispiace affatto.» dico entusiasta, mettendo da parte tutti i dubbi. Pizza, birra, le mie migliori amiche e il ragazzo che mi piace. Non potevo chiedere di meglio per festeggiare i miei ventuno anni. Trascorriamo la serata a ridere e scherzare, a bere e a mangiare. Anna e Cecilia mi sorridono e mi lanciano occhiate di approvazione nel vedermi con Diego. Se fino a questo momento ho cercato di tenere a bada i miei sentimenti per lui, da questa sera sono esplosi. Sento la necessità di averlo presente nella mia vita, perché averlo incontrato è stata una vera fortuna. E forse il Dr. Menotti ha ragione, non dovrei negarmi l'opportunità di essere di nuovo felice. Quando a tarda serata i miei amici vanno via, io e Diego restiamo da soli. Mi siedo sul divano e poco dopo Diego mi raggiunge con in mano un tortino al cioccolato con sopra una candelina. «Dovresti esprimere un desiderio.» Lo guardo divertita ma soprattutto grata per tutto quello che ha fatto per me da quando lo conosco. Mi sollevo e con un soffio spengo la fiamma. Diego si siede accanto a me e io mi appoggio alla sua spalla. Forse, e dico solo forse, sono sulla buona strada per svolgere il punto Tornare a stare bene della mia lista.
16
Le settimane successive trascorrono veloci e ho ripreso a sorridere. Diego e io usciamo insieme e ogni giorno scopro lati del suo carattere che mi attirano ancora di più tra le sue braccia. È una continua sorpresa, e anche se lasciarmi andare completamente è difficile, cerco di procedere un o alla volta, proprio come mi ha suggerito il Dr. Menotti. Mi impegno a valorizzare i miei sentimenti nei confronti di Diego, ma dimenticare Andrea è impossibile. Tutte le sere mi addormento fissando la parete con le sue foto, immaginandomi come sarebbe la mia vita se lui fosse ancora con me. È da egoisti, lo so. Perché se Andrea fosse vivo, Diego non sarebbe con me, ma io non posso mascherare i miei sentimenti del tutto, e Diego sembra accettare questo inconveniente. Non entra quasi mai in camera mia, perché probabilmente convivere con il fatto che non riesco a separarmi da Andrea è difficile per lui. Ad ogni modo non mi dice niente, non mi chiede niente, e io per il momento sono contenta così. Dentro di me sento una forza nuova. E nonostante i mille conflitti interiori sento che con Diego sono pronta a ricominciare. Al corso di chitarra tutti hanno capito che tra noi c'è qualcosa. I nostri sorrisi reciproci e il modo in cui ci guardiamo hanno svelato il segreto. E se già prima non stavo molto simpatica ad Emma e Martina, ora ho la certezza che mi odiano. Ma a me non interessa molto quello che pensano, non mi è mai importato in realtà. Tutto ciò che desidero è cercare di godermi il più possibile la mia nuova relazione sentimentale con un ragazzo fantastico. «Il brano che ci hai assegnato oggi è davvero difficile.» gli dico mentre usciamo dalla gelateria, mano nella mano. «Non è vero, ma se vuoi sono disposto a darti qualche lezione privata.» ammicca. Gli tiro una gomitata nelle costole e lui ride. Do una leccata al mio cono gelato e scuoto la testa divertita. «Credo che le tue lezioni private finirebbero con noi che ci baciamo sul divano.» «Probabile, ma non sarebbe male, no?» mi chiede con un sorrisetto furbo sul
viso. «Non le voglio altre lezioni di chitarra da te. Sei un pessimo insegnante.» lo prendo in giro. «Ah, davvero?» Annuisco. «Be', se la pensi così, vorrà dire che le darò a Emma e Martina.» Smetto di camminare e gli tiro un'altra gomitata, ancora più forte. «Non è divertente.» Lui si volta verso di me e ride. «Sì che lo è. Guarda.» E così dicendo il suo gelato finisce spalmato sulla mia faccia. Resto qualche secondo immobile a sbattere le palpebre impiastricciate di gelato, poi reagisco. «Vuoi la guerra!» dico mentre tento di spalmargli quel che resta del mio cono sul suo viso. Iniziamo a ridere e a dimenarci sul marciapiede. I nostri coni cadono a terra mentre Diego mi fa il solletico. Tento in tutti i modi di liberarmi dalla sua presa, ma lui è troppo alto e più forte di me, quindi ha la meglio. Mi tiene ferma per i polsi e ride. Mi piace il suono della sua risata. Mi fa sentire uno strano sfarfallio allo stomaco. «Mi hai sporcato tutto.» si lagna. «Oh povero cucciolo.» lo prendo in giro io. «Ehi, donna. Smetti di prenderti gioco di me.» «Hai iniziato tu.» protesto divertita. Mi lascia andare e ne approfitto per prendere dei fazzoletti di carta dalla tracolla della chitarra. Mi levo il gelato dalla faccia, poi mi avvicino a Diego e faccio lo stesso col suo viso. «Ecco, ora rivedo la tua brutta faccia.» dico mentre levo del gelato dal suo sopracciglio nero. Lui mi sorride e avvicina il volto al mio per baciarmi dolcemente. Un bacio che sa di nocciola e fior di latte. Ci perdiamo nel nostro bacio, dimenticandoci di essere per strada. Mi piace il modo in cui Diego riesce a farmi dimenticare della realtà e mi trasporta in un mondo tutto nostro. Rende tutto magico e lo trasforma in qualcosa di bello e prezioso. Sento una voce pronunciare il mio nome e all'improvviso l'incantesimo svanisce. «Luce.» Mi stacco da Diego e non appena mi volto resto pietrificata. «Ciao.» riesco a dire a malapena. Maria si avvicina e mi abbraccia stretta. «Che bello vederti. Come stai?» mi domanda stringendomi il viso tra le sue mani. «Sto bene, grazie. E te?» Lei mi sorride. «Sono stata meglio.» La osservo e devo dire che è quasi irriconoscibile. È cambiata molto dall'ultima volta che l'ho vista, più di un anno fa. Ha perso diversi chili e le sue guance sono scavate. I suoi occhi sono vuoti e trasmettono
tristezza. Ecco cosa provoca il dolore per la perdita di un figlio. Sembra prosciugata e priva di ogni energia. Ricordo che fino a sei mesi fa anche io avevo un aspetto simile. Evidentemente il dolore ti mangia da dentro e ti consuma. Ma nell'ultimo periodo la mia sofferenza si è affievolita, cosa che per Maria invece non è accaduta. «Ho ricevuto la foto a Natale, ti ringrazio.» dico all'improvviso. Mi sorride. «Era giusto che ce l'avessi tu.» Annuisco e Maria lancia un'occhiata furtiva a Diego che ci osserva in silenzio. Con ogni probabilità ha assistito alla scena del gelato in faccia, e ci ha colto in flagrante mentre ci baciavamo. Questo pensiero mi provoca una fitta di dolore allo stomaco e la realtà mi piomba addosso con tutto il suo enorme peso. Maria mi guarda e mi prende una mano, stringendomela forte. «Sono contenta di averti rivista, Luce. Perché non vieni a trovarmi uno di questi giorni? Così possiamo parlare.» Non riesco a guardarla negli occhi. Non sono pronta a parlare di Andrea con lei. «C-certo.» farfuglio. Lei mi guarda ancora una volta. «Ti aspetto, allora.» E con un sorriso si allontana. La guardo andare via, e improvvisamente sento che sto sbagliando tutto. Vengo assalita dalla nausea e il senso di colpa mi pervade ogni centimetro di pelle. «Chi era?» mi domanda Diego. Io deglutisco. «Era la mamma di Andrea.» dico senza riuscire a guardarlo negli occhi. Camminiamo in silenzio fino a casa mia e una volta entrati, Diego si va a sedere sul divano con Charlie che reclama le coccole. Io resto in piedi, con lo sguardo perso nel vuoto. Non posso dimenticare Andrea e quello che è stato per me. I miei sentimenti per lui continuano ad essere vivi e sono in netto contrasto con quelli che provo per Diego. Si possono amare due persone contemporaneamente? Non posso coinvolgere Diego in questa situazione senza essere sicura di quello che realmente voglio. Ma forse ormai è tardi, lui è già coinvolto. Faccio un lungo sospiro e finalmente sollevo lo sguardo. «Diego io…» Le parole si bloccano nella mia gola mentre le lacrime mi sgorgano dagli occhi. Lui si alza e viene verso di me. Mi abbraccia e io poggio la testa sul suo petto. Sento il rumore del suo cuore battere, un suono che nelle ultime settimane mi è diventato familiare e mi ha fatto sentire protetta. Mi accarezza i capelli con una mano. «Shh, Luce. Tranquilla.» «Io non so cosa fare.» singhiozzo. «Prenditi il tempo che ti serve.» mi dice, stringendomi più forte a sé.
«Perdonami, ma non so se posso stare con te. Non credo di riuscirci.» Diego assimila le mie parole e sono sicura di avergli appena inferto una pugnalata dritta al cuore. Lo sento irrigidirsi e prendere un grosso respiro. Vorrei che mi dicesse le sue solite paroline, per indicare che è tra noi è tutto a posto, ma quando si stacca da me non pronuncia niente. Mi dà un bacio in fronte, apre la porta ed esce. Pochi istanti dopo sento anche il cancello chiudersi e la casa piomba nel silenzio. Il dolore che ero riuscita a tenere incubato riemerge tutto e mi trascina di nuovo nel buio. *** Fisso il soffitto della mia stanza e non riesco a smettere di pensare. Penso ad Andrea, all'incontro con sua madre e all'espressione ferita di Diego. Gli ho riversato addosso tutti i miei problemi e l'indecisione riguardo i miei sentimenti. È una settimana che non lo vedo e non lo sento. Ho anche saltato la lezione di chitarra. Da una settimana non faccio che pensare e ripensare e tutto mi è di nuovo sfuggito dalle mani. Intorno a me è tornato di nuovo il buio. L'incontro con Maria è stato inaspettato, e vederla provata dal dolore mi ha riportata di colpo alla realtà. È ato un anno e mezzo dalla morte di Andrea. Possibile che io sia già pronta ad amare un'altra persona? Maria mi ha sempre vista innamorata folle di suo figlio, perciò cosa avrà pensato nel vedermi baciare un altro ragazzo? Sono totalmente confusa, ed è come se gli ultimi mesi con Diego siano stati solo un raggio di sole in mezzo alla tempesta. Posso poter amare Diego senza smettere di amare Andrea? Nemmeno il Dr. Menotti ha saputo aiutarmi nell'ultima seduta. Mi ha detto che la vita è fatta di scelte e che la scelta spetta solo a me. Ho bisogno di un confronto. Guardo l'ora e vedo che sono le tre e mezza. Sarà a casa? Devo provare. Mi alzo dal letto, afferro la borsa ed esco di casa. Per essere quasi fine aprile, non fa troppo caldo e la felpa che ho addosso non mi ripara abbastanza dall'aria fredda, ma per fortuna non devo andare troppo lontano. Mi ci vuole tutto il mio coraggio per bussare, ma quando Maria apre mi accoglie con un bel sorriso. «Sapevo che saresti venuta. Vieni, entra.» Attraverso il corridoio e lo sguardo mi cade verso la stanza di Andrea. La porta è semiaperta e intravedo il letto disfatto con alcuni scatoloni sopra. Maria si ferma vicino a me e mi posa una mano sulla spalla. «Ho impiegato un anno prima di riuscire a entrare in camera sua. Ho inscatolato alcune sue cose ma non riesco a disfarmene, così le lascio lì.» Ha lo sguardo triste mentre parla, e un'ondata di
ricordi mi invade. Entro in salotto e mi accomodo sul divano di pelle nera mentre Maria prepara il tè. Sui mobili ci sono delle fotografie di Andrea ad ogni età e persino l'aria che respiro in questo istante ha l'odore della sua pelle. Posso solo immaginare quanto sia stato difficile per Maria affrontare la perdita di Andrea da sola. Credo non esista dolore più grande per un genitore che sopravvivere alla morte di un figlio. Se non fossi stata così egoista, forse avrei potuto aiutarla, sarei potuta starle accanto. Ma la realtà è che non sono stata in grado nemmeno di gestire il mio di dolore, figuriamoci quello di un'altra persona. Maria mi raggiunge in salotto e posa le tazze e la teiera sul tavolino di fronte a me. «Ancora grazie per la foto.» dico prima di bere un sorso di tè. Maria sorride poi mi guarda diritta negli occhi. «Chi è quel bel ragazzo dell'altro giorno?» Poso la tazza e mi allungo le maniche della felpa per coprirmi le mani. Sono a disagio e mi sento come se avessi commesso un peccato a stare con Diego, e ora che sono davanti a Maria è come se fosse arrivato il giorno del Giudizio Universale. «Si chiama Diego.» «State insieme?» Scuoto la testa. «No. Ma ad essere sincera non lo so nemmeno io. È troppo complicato.» Lei mi guarda e prima di farmi la domanda successiva, beve un lungo sorso di tè. «È complicato per via di Andrea?» mi domanda tranquillamente. «Sì.» ammetto. «Ogni volta che sto con Diego mi sembra di tradirlo. Mi sembra di venire a meno a tutte le promesse che ci siamo fatti.» Sento formarsi un groppo in gola ma non voglio piangere. Sono stanca di piangere, non faccio altro da un anno. Maria si sposta vicino a me e mi solleva la testa con una mano per costringermi a guardarla. «Andrea ti amava così tanto, Luce. E so che tu lo ricambiavi al cento per cento, e che una parte di te lo ama ancora. Probabilmente lo amerà sempre. Sono convinta che se lui fosse ancora vivo avreste ato tutta la vita insieme.» Vedo che i suoi occhi diventano lucidi e di conseguenza trattenere le mie lacrime diventa più difficile. «Non puoi vivere nel suo ricordo, Luce, ma puoi sempre ricordarlo. Non devi sentirti in colpa se stai cercando di essere felice. Hai una lunga vita davanti a te ed è giusto che tu la viva al meglio. Tutto ciò che Andrea ha sempre desiderato era la tua felicità, e allora sii felice, Luce.» «Come?» chiedo con la voce che trema. «Questo lo puoi decidere solo tu. Anche se mi piacerebbe che le cose fossero andate diversamente.» Ascolto le sue parole
e il peso che mi sovrastava le spalle si affievolisce leggermente. Andrea sarebbe contento di sapere che io sono felice, e per quanto io lo ami, l'unica persona che nel presente mi fa stare bene è Diego. Le lacrime mi scorrono copiose sul viso a questa consapevolezza e anche Maria comincia a piangere. L'abbraccio stretta e singhiozziamo insieme, come avremmo dovuto fare tempo indietro. «Mi manca tanto.» le sussurro. Lei mi stringe forte. «Anche a me, non sai quanto.» Quando un'ora più tardi esco da casa di Maria mi sento spossata ma allo stesso tempo meglio. Ora non mi resta che capire cosa fare. Guardo l'ora sul display del mio cellulare. Forse riesco a prendere il pullman per Torino. È da più di un anno che non mi allontano da casa ma ho bisogno di farlo. Sono io che comando il mio corpo, e non viceversa, perciò non permetterò alla paura e agli attacchi di panico di fermarmi. Mi dirigo verso la fermata e dopo mezz'ora di viaggio sono in Piazza Vittorio. Mi guardo attorno e individuo il palazzo giusto e ne ho la conferma leggendo il nome sul citofono. Il portone è aperto, così entro e salgo fino all'ultimo piano. Ho il cuore che batte forte e sono agitata. Sento lo stomaco serrarsi e il panico venire a galla. Vorrei girarmi e correre a casa, al sicuro. Invece faccio dei respiri profondi e deglutisco. E quando mi sento un pochino meglio comincio a bussare freneticamente alla porta. Quando si apre noto sul volto di Diego tutta la sorpresa e la confusione nel vedermi lì, davanti a lui. «Luce che succede? Stai bene?» Io lo guardo e senza aspettare che lui mi inviti, entro e mi chiudo la porta alle spalle. Il suo monolocale è davvero minuscolo ma allo stesso tempo è accogliente e molto luminoso. È arredato con un angolo cottura, un piccolo mobile che fa da dispensa, un tavolo con due sedie, un altro mobiletto con sopra la televisione, il letto matrimoniale e nell'angolo in fondo ci sono una tastiera e una chitarra. Una portafinestra dà sul balcone e mostra una visuale mozzafiato di Torino. È tutto concentrato in poco spazio e non mi meraviglio che Diego spesso si senta soffocare in casa sua. Alzo gli occhi e immediatamente mi perdo nei suoi che mi scrutano curiosi. Non ho risposto alla sua domanda e non intendo nemmeno farlo. Mi avvicino a lui e gli stampo un bacio sulle labbra. Indugio sulla sua bocca e afferro il suo viso per attirarlo a me. Voglio fargli capire che lo voglio. Che ora so cosa sento. Sembra funzionare, visto che Diego schiude le labbra e ricambia il bacio, ma poi qualche
pensiero deve prendere il sopravvento su di lui, perché mi prende i polsi e si stacca. «Luce no.» mormora con voce roca. I suoi occhi verdi scintillano e una strana ruga prende forma sulla sua fronte. «Non voglio che accada così. Se tu non sei sicura dei tuoi sentimenti non dovresti fare niente di cui poi potresti pentirti.» Gli accarezzo il viso e poi una guancia. Non ho più voglia di pensare perché io ora so cosa voglio. Ho scelto la mia felicità. «Sono sicura.» dico decisa, guardandolo negli occhi verdi. Lui mi fissa incerto, ma quando avvicino di nuovo il mio viso al suo per baciarlo, non si tira indietro. Cadiamo sul letto dove i nostri corpi si toccano, si sfiorano e si accarezzano. Ci baciamo fino a consumarci le labbra. Iniziamo a spogliarci dolcemente, e pelle contro pelle ci abbandoniamo al piacere, unendo le nostre anime in una sola. *** Diego mi accarezza i capelli e io resto abbracciata a lui in silenzio a godermi il momento. Mi sento felice ed appagata come non ero da tanto, troppo tempo. «Hai fame?» mi domanda Diego. Io sollevo la testa e lo guardo maliziosa. Lui rotea gli occhi sorridendo. «Fame di cibo. Non fare la furbetta.» Gli faccio una smorfia. «No, grazie. Sono a posto così.» Diego mi stringe una coscia. «Dovresti mettere su un po' di ciccia, Luce. Sei deperita.» Non rispondo, perché tanto so già che mi ingozzerà di cibo in ogni caso. Noto la chitarra e la tastiera e mi volto verso di lui. «Suonami qualcosa.» Diego mi guarda perplesso. «Dai, tu sei un musicista e componi, suonami qualcosa.» lo stuzzico. «Solo se prima mangiamo un boccone. Io sto morendo di fame.» E detto ciò si alza, si infila i pantaloni della tuta e va verso la dispensa. Ritorna con un piatto con dei toast, delle pizzette e due birre. Io spilucco qualcosa mentre lui divora il resto. Finito di mangiare si alza, si avvicina alla tastiera e preme qualche tasto. Mi guarda e un po' imbarazzato comincia a suonare una melodia che non ho mai sentito prima. È allegra e mi provoca uno sfarfallio allo stomaco. Suona per una manciata di minuti canticchiando anche alcune parole poi smette. «Tutto qua?» gli domando delusa. «Sì, non voglio che mi rubi la canzone e la vendi spacciandola per tua.» scherza lui. Gli lancio un cuscino addosso che lui schiva prontamente. «Sei davvero perfido!» gli urlo. Diego ride e balza sul letto bloccandomi le braccia e facendomi il solletico. Mi dà un bacio. «Io sono buono come il pane.» puntualizza appena si stacca dalle mie labbra, mentre mi guarda diritta negli occhi. Io sbuffo divertita. «E allora fammi una serenata.» gli chiedo.
Lui scuote la testa e si sdraia di nuovo accanto a me. «Forse un giorno te la farò, ma non oggi.» Mi appoggio al suo petto e sento il rumore regolare del suo respiro. «Luce?» «Sì?» «Cosa ti ha spinta a venire qui?» Mi sollevo per guardare la sua espressione, diventata seria. Capisco che forse è arrivato il momento di dargli delle risposte. «Sono andata a trovare la mamma di Andrea oggi e mi ha aperto gli occhi.» gli spiego con un mezzo sorriso. Diego ascolta le mie parole e mi accarezza una guancia. «Davvero?» Annuisco. «Ho capito che tu mi rendi felice.» gli confesso. Lui mi rivolge un bellissimo sorriso e mi stringe più forte a sé. «Ti va di raccontarmi di te e Andrea?» «Sei sicuro?» gli chiedo. Non voglio che si senta a disagio o in imbarazzo, ma lui annuisce e così inizio a raccontare. «Andrea ed io siamo cresciuti insieme. Eravamo vicini di casa e da bambini avamo ogni secondo del nostro tempo a giocare e a ridere. Abbiamo vissuto mille avventure nel cortile di casa mia, e più crescevamo più il nostro rapporto si rafforzava. Eravamo l'uno l'ombra dell'altro.» Diego gioca con i miei capelli e di tanto in tanto mi traccia dei piccoli cerchi sulla spalla scoperta, senza mai interrompermi. «Durante l'adolescenza le nostre esperienze ci hanno portato ad allontanarci per un po', ma quando i suoi si sono separati lui è corso da me per evitare di crollare in mille pezzi. Lui e sua mamma si sono trasferiti ma noi non ci siamo mai lasciati fino a quando non si è messo con Monica.» «Monica?» mi domanda Diego con la fronte aggrottata. «Sì. Sono stati insieme per un anno durante il quale io e lui non ci siamo mai parlati perché lei sospettava che tra di noi ci fosse qualcosa.» La sua espressione si fa strana. Sembra turbato da qualcosa. «Che c'è?» chiedo confusa. Mi sorride e mi dà un bacio sulla tempia. «Nulla. Va' avanti.» Tralascio i dettagli della storia tra Andrea e Monica, poiché troppo privati e intimi, e riprendo a parlare dopo aver fatto un bel respiro. «Quando abbiamo ripreso a frequentarci all'inizio ero contenta di riavere il mio migliore amico, ma poi ho iniziato a provare sentimenti più profondi per lui che lui sembrava non ricambiare.» Sollevo la testa e punto il mento sulla sua spalla. «Ti ricordi quando mi hai trovata in preda
all'attacco di panico?» Fa cenno di sì con la testa. «Era perché avevo visto Marco, il ragazzo che mi perseguitava e minacciava e da cui Andrea mi ha letteralmente salvata. È stata in quell'occasione che lui ha capito che ricambiava i miei sentimenti. E ci siamo innamorati. Lui mi faceva sentire protetta e amata. Ero felice.» Mi si inumidiscono gli occhi, ma ricaccio indietro le lacrime. «Più ava il tempo più eravamo legati. Era tutto perfetto. Avevamo fatto anche dei progetti per il futuro. Ma poi Andrea è morto in quel dannato incidente. E il giorno del suo funerale ho ricevuto una sua lettera dove diceva di amarmi ed è stata la fine per me. Senza di lui nulla aveva più senso. Mi sono chiusa in casa e sono iniziati gli attacchi di panico. Ho lasciato che il tempo trascorresse senza viverlo. Poi qualche mese fa sono andata dallo psicologo e il resto lo sai.» Smetto di parlare e nel monolocale cala il silenzio. Non so esattamente perché ma mi sento più leggera. Aver condiviso la mia storia con Diego mi ha fatto bene. Lui mi guarda dolcemente mentre è appoggiato su un fianco. «Ti manca?» mi domanda. «Sì, sempre.» dico sincera, sperando che questo non cambi le cose tra noi. «Ma sono parecchio combattuta in realtà.» «Perché?» «Non so. Se Andrea non fosse morto io ora non sarei qui con te. Mi sento come se fossi su un'altalena, hai presente? Non faccio che dondolare tra la felicità e il dolore.» Diego assorbe le mie parole, dopodiché mi fissa intensamente con i suoi occhi verdi, tanto da farmi mancare il fiato. «Io credo che tutto accada per un motivo.» Annuisco e sorrido. «Lo credo pure io.» Mi attira vicino a sé, pelle contro pelle, e io chiudo gli occhi. «Luce?» «Mmh?» rispondo assonnata. «Grazie.» sussurra al mio orecchio. Sorrido ancora una volta e mi addormento appoggiata a lui, con la mia mano intrecciata alla sua. Quando al mattino mi sveglio, il posto accanto a me sul letto è vuoto. Sul cuscino dove ha dormito Diego c'è un biglietto. Grazie per essere entrata a far parte della mia vita. Rendi tutto molto più “luminoso”.
Comunque sono a lezione e torno verso le due. Aspettami se ti va. P.S. Mangia qualcosa, per favore! Sorrido e guardo l'ora. È quasi mezzogiorno e ho due ore prima che arrivi Diego. Mi alzo e mi vado a fare una doccia prima di vestirmi. Mi guardo un po' attorno, e mi domando come faccia Diego a vivere in un posto così piccolo. All'improvviso mi viene una voglia tremenda di torta al cioccolato, così apro la dispensa e con mia grande fortuna trovo una barretta di cioccolato fondente. Prendo uova, burro, zucchero e farina e preparo l'impasto. Verso tutto in una teglia e la inforno. Quaranta minuti dopo la torta è pronta, e proprio mentre la tiro fuori sento la serratura della porta scattare. Diego appare alle mie spalle e mi abbraccia da dietro. «Buongiorno. Dormito bene?» Io mi volto e gli metto le braccia intorno al collo. «Sì, ma mancavi tu al mio risveglio.» Lui sorride. «Scusa. Però sono tornato prima.» «E io ho fatto la torta al cioccolato. Hai fame?» Diego mi guarda malizioso e io roteo gli occhi al cielo, esattamente come ha fatto lui con me ieri sera. «Di dolce.» specifico. Lui mi bacia e mi sfiora una guancia con le dita. «Non credo esista qualcosa di più dolce di te.» Lo sfarfallio del mio stomaco sale alle stelle nel sentire queste parole, e nello stesso istante in cui le nostre labbra si incontrano, decidiamo che la torta può attendere ancora un po' prima di essere mangiata.
17
Sono ate tre settimane dall'incontro con Maria e io sono riuscita a lasciarmi andare completamente con Diego. I suoi occhi verdi e la sua solarità mi hanno rapito il cuore. Non avrei mai pensato di potermi affezionare di nuovo ad un ragazzo, ma è successo e sono davvero contenta. Il Dr. Menotti ha ridotto i nostri incontri a due volte al mese, segno che inizio a stare molto meglio. I miei attacchi di panico sono quasi spariti del tutto e l'altra sera sono anche riuscita ad andare al cinema. Diego sa come prendermi e riesce sempre a tranquillizzarmi. iamo la maggior parte del nostro tempo insieme, nonostante lui sia molto impegnato tra le lezioni al Conservatorio e il corso di chitarra. A metà giugno si terrà il concerto per la fine del corso e tutti ci stiamo preparando al meglio, ma io sono più avvantaggiata dato che il mio ragazzo mi impartisce lezioni extra, che però spesso finiscono in coccole e baci. La scorsa settimana ho fatto conoscere Diego ai miei genitori. Sono bastate due chiacchiere e qualche battuta per conquistare la loro fiducia. Mio padre l'ha squadrato per un paio di minuti, ma quando Diego ha detto di essere un tifoso della stessa squadra di mio padre ha subito ricevuto la sua benedizione. Sono davvero serena ultimamente e anche se Andrea continua a mancarmi, stare con Diego è la scelta giusta. «Mi piace il tuo nuovo ragazzo, tesoro.» mi dice mio padre mentre guida. «Sembra un tipo a posto, e poi ti ha ridato il sorriso perciò dev'essere una persona speciale.» Io mi volto a guardarlo e sorrido. «Lo è, papà. Mi ha aiutata molto negli ultimi mesi.» Siamo in auto e stiamo andando a Torino. Visto che ora riesco ad allontanarmi da casa, lo psicologo mi ha consigliato di realizzare un altro punto della lista, così ho deciso di andare allo stadio. Dato che mio padre è un grande tifoso e apionato di calcio, e da bambino andava sempre allo stadio con mio nonno, ho pensato di condividere questa mia esperienza con lui. Quando arriviamo davanti allo stadio resto sbalordita. È una struttura immensa e c'è una folla di gente impressionante tutt'attorno. Le persone sono tutte tese ma allo stesso
tempo sorridenti, e ando accanto a loro colgo frammenti di conversazioni riguardanti l'importanza della partita di oggi. Bandiere, magliette, sciarpe e altri accessori riempiono il luogo di colore. «Mostra bene la sciarpa, Luce. Il simbolo della squadra deve risaltare.» mi dice mio padre mentre mi aggiusta la sciarpa al collo. Sono talmente tanto intenta a respirare il clima pre-partita e a mantenere sotto controllo la respirazione per evitare attacchi di panico, che non mi accorgo di avere Diego a fianco. «Ciao piccola.» Mi sorride e mi dà un bacio sulla guancia. Sono sorpresa di vederlo qui, ma sono anche felice. «Che ci fai qui?» gli domando allegra. «Mi ha invitato tuo padre.» Mi volto verso l'uomo che mi ha cresciuta, che mi guarda e solleva le spalle. «Ho pensato che ti avrebbe fatto piacere, e poi ogni tifoso oggi è il benvenuto dato che ci giochiamo la permanenza in Serie A.» Io sorrido e guardo Diego. Ha la sciarpa legata in vita e sembra tranquillo, ma quando incrocio i suoi splendidi occhi verdi ho la sensazione che siano tristi. Mi prende per mano e tutti e tre ci dirigiamo verso i tornelli. La partita è stata senz'altro spettacolare, ma ancora più emozionante è stato partecipare attivamente al tifo. Cantare i cori e incitare la squadra a dare di più, ed infine esultare per il goal che ha portato alla vittoria e alla salvezza. È stata una sensazione che mi ha fatto sentire viva. Tutti si abbracciavano come se si conoscessero da sempre e devo ammettere che non vedo l'ora di ritornarci. Una volta tornati a casa, mio padre si dà una rinfrescata, prepara la valigia, e dopo avermi dato un bacio in testa, sale in macchina con mia madre e insieme partono per le ennesime due settimane di lavoro lontani da casa. Charlie mordicchia un osso di gomma emettendo strani grugniti, mentre io e Diego lo osserviamo abbracciati sul divano. «È stata una bella giornata. Grazie per essere venuto.» dico. Lui mi scosta una ciocca di capelli dietro l'orecchio. «Nessun problema. Io sto sempre bene finché sto con te.» Sorrido e dopo qualche istante vado in cucina a infornare una teglia di lasagne preparata da mia madre. Quando torno nel salone, trovo Diego seduto diritto con un volto serio e pensieroso. «Tutto bene?» Lui solleva la testa e mi fa un mezzo sorriso. Lo vedo prendere un respiro profondo. «C'è una cosa che devo dirti.» Mi agito all'istante. La sua espressione indica che è una cosa seria e non positiva. Si alza e avvicinandosi mi porge una busta. «È arrivata ieri. Credevo che mi avessero scartato. Poi ho incontrato te e non ci pensavo nemmeno più.» Sul suo volto appare un velo di tristezza e preoccupazione. Apro la busta con il cuore che mi batte veloce nel petto. Trovo una lettera del Conservatorio di
Francoforte che comunica a Diego che è stato preso per frequentare il corso di musica per un anno, con partenza già a metà giugno. Per un attimo mi manca il fiato e sento formarsi un groppo in gola. Esiste un complotto per cui i ragazzi di cui sono innamorata mi vengono strappati via? Scuoto la testa e mi rimprovero. Devo essere contenta per lui. Il suo sogno è di vivere della sua musica, e andare a Francoforte lo potrebbe portare sulla giusta strada per realizzarlo. «È magnifico, Diego. Congratulazioni.» riesco a dire senza scoppiare a piangere. Mi ha preso il cuore e ora parte per Francoforte portandoselo con sé mentre io resto qua. Mi sento sconfitta dalla vita e dall'amore. Ed egoisticamente vorrei chiedergli di non andare, di restare qui con me, ma so che non posso farlo. Trovo la forza per guardarlo e anche se ho gli occhi lucidi, gli faccio un sorriso. Lui scatta verso di me, mi prende il viso tra le mani e mi dà un bacio. «Sentimi bene, Luce.» sussurra sulle mie labbra. «È solo un anno e un anno a in fretta. Io non rinuncio a te, ok? Sarà difficile ma potremmo vederci qualche weekend e durante le vacanze. E poi avrò una camera tutta per me e quando verrai a trovarmi potrai fermarti a dormire. So che per te non è facile allontanarti da casa ma sono sicuro che ce la faremo.» Preme la fronte contro la mia e una lacrima mi solca il viso. Come faccio a dirgli di no? Come posso spiegargli che i miei progetti per il futuro non vanno mai a buon fine? Odio il fatto di dover programmare il futuro e non potermi semplicemente godere il presente. Tiro un sospiro e guardo i suoi meravigliosi occhi verdi. «Io voglio stare con te.» aggiunge infine, con la voce che trema. «Voglio stare anch'io con te.» gli dico, accarezzandoli i capelli. Il timer del forno suona per indicarci che la nostra cena è pronta ma noi non ci muoviamo. Ancora una volta mi trovo a lottare per qualcuno che sta per essermi strappato via, ma voglio almeno provarci. «Promettimi solo che non ti innamorerai di una bella tedesca bionda.» gli dico con un sorriso per alleggerire l'atmosfera. Diego sorride e mi stringe a sé. «Non c'è pericolo. Io ho occhi solo per te.» Resto aggrappata a lui e penso a quante prove mi riserverà ancora la vita. Riuscirò mai a godermi solo e semplicemente il presente? E la mia anima gemella mi verrà di nuovo portata via o resterà con me anche in futuro?
18
Ho capito che il tempo è nemico dell'uomo. Quando vorresti che asse veloce trascorre lento come una lumaca, mentre quando vorresti che asse piano trascorre veloce come il vento. Sfugge al tuo controllo e prosegue diritto per la sua strada senza fare nessuna sosta o fermata. Se fino a qualche giorno fa ero elettrizzata per il saggio di chitarra, ora ne sono spaventata. Più si avvicina la sera del concerto, più vengo colta dall'angoscia per la partenza di Diego. Nonostante tra noi ci sia un legame forte, siamo solo all'inizio della nostra storia, e are un anno separati ci metterà a dura prova. Stiamo cercando di vivere questa situazione il più serenamente possibile e Diego tenta in tutti i modi di tranquillizzarmi, ma percepisco che anche lui è preoccupato. iamo insieme ogni minuto e ogni secondo del nostro tempo libero. Dormiamo insieme ogni notte. Ci facciamo travolgere dalla ione, dalle carezze, dagli abbracci e dai baci senza saziarci mai, sperando così di colmare il più possibile il nostro amore e fortificarlo per quando saremo lontani. Il saggio si terrà di sabato sera e Diego partirà il lunedì mattina. Ha già dato la disdetta del suo monolocale per quella data e io gli ho dato una mano a inscatolare le sue cose e a portarle dai suoi genitori, due persone gentili e disponibili. Abbiamo deciso che non lo accompagnerò all'aeroporto perché salutarsi sarebbe troppo difficile, ma abbiamo programmato il mio viaggio a Francoforte dopo due settimane. Spero solo di farcela. Anzi no. Devo farcela. Non permetterò agli attacchi di panico di fermarmi. Trascorriamo le ultime settimane nella nostra routine quotidiana e di tanto in tanto andiamo a fare visita agli anziani del ricovero che sono sempre felici di vederci. iamo anche delle serate insieme a Cecilia e Amedeo e ad Anna e Richy, ma spesso preferiamo restare soli a goderci il nostro amore. Prima della sua partenza voglio rivelargli i miei sentimenti e dirgli cosa provo per lui. Non voglio commettere lo stesso errore che ho fatto con Andrea. Non voglio avere nessun rimpianto perché ho imparato che la vita è imprevedibile e che non sempre i nostri progetti vanno a buon fine.
Oggi c'è stata l'ultima lezione di chitarra in vista del saggio di sabato ma io ho deciso di saltarla. Il pezzo che dovrò suonare insieme ad alcuni miei compagni lo so alla perfezione, grazie all'aiuto extra di Diego. Ma soprattutto, non voglio vedere le facce dispiaciute dei miei compagni di corso. Tutti sanno della relazione tra me e Diego, e si sono preoccupati per noi quando hanno saputo che lui partirà per Francoforte e ci resterà un anno. La situazione è già difficile così, e non ho bisogno anche della loro comione. Tutti non hanno fatto che compatirmi dalla morte di Andrea. Questa sera ho pensato di preparare una cena speciale in modo da poter dire a Diego che lo amo. So che lui prova la stessa cosa per me ma non me l'ha ancora detto. Probabilmente aspetta che sia io a fare il primo o, un o che sono pronta a fare. È tutto il pomeriggio che cucino e quando alzo il coperchio della pentola l'odore d'arrosto invade la cucina. «Che dici, Charlie? Sarà buono quanto il profumo?» Il mio cane solleva il muso e mi mostra un grosso sbadiglio per poi ritornare a dormire. Scuoto la testa e quando gli o a fianco mi chino per fargli una carezza. «Sei proprio pigro, piccolo mio.» È tutto pronto per la cena, devo solo are in pasticceria a ritirare il vassoio con le bignole. Butto un occhio all'orologio, Il corso è finito da un pezzo ormai, ma so che Diego si doveva fermare in aula per gli ultimi preparativi per sabato sera. Non lo vedo da ieri sera, e già mi manca. Come farò quando lui sarà a Francoforte? Decido d'impulso di are a salutarlo per un bacio veloce prima di andare in pasticceria. Infilo le scarpe ed esco di casa. Se penso a com'è cambiata la mia vita negli ultimi mesi ancora non riesco a crederci. Diego mi ha riportata alla vita, ha saputo conquistarmi con gesti semplici, e ha raccolto i brandelli del mio cuore, ricomponendoli. Ora sono di nuovo una Luce accesa, così come avrebbe voluto Andrea. E cosa ancora più importante, sono di nuovo innamorata. Non lo avrei mai ritenuto possibile. Arrivo in aula ma di Diego nessuna traccia. Possibile che sia già andato via? Se così fosse, devo sbrigarmi a tornare a casa altrimenti arriverà prima lui di me. Mi soffermo a guardare il mio banco in fondo, gli strumenti musicali e le foto appese alla parete e mi viene spontaneo sorridere. Non avrei mai pensato che un corso di chitarra mi avrebbe cambiato la vita. Sto per andarmene, quando mi viene in mente che spesso Diego va nel cortile sul retro per trovare un po' di ispirazione e rielaborare le idee. Scendo le scale e percorro il corridoio. La lunga
vetrata mi permette di vedere il cortile con l'erba tagliata all'inglese, le aiuole piene di fiori colorati e le panchine. Sto per aprire la porta e uscire, ma mi accorgo che Diego non è solo. È seduto in fondo ed è leggermente girato di spalle, perciò non può vedermi. Ha un braccio poggiato sulle spalle di una ragazza che sta singhiozzando. Se fosse una ragazza qualsiasi non mi agiterei, ma vedendola lì, stretta a lui, mi si gela il sangue. Cosa ci fa Monica con Diego? Come fanno a conoscersi? Improvvisamente mi vengono in mente le espressioni di Diego quando ha visto le foto di Andrea in camera mia e di quando quella notte a casa sua, ho fatto il nome di Monica. Lui li conosce. Oh mio dio. Sapeva già tutto. Mi sento pervadere dalla nausea e il pensiero che Diego mi abbia mentito e che magari mi possa avere anche tradito con la ragazza che di più detesto a questo mondo, mi fa tremare le gambe. Torno silenziosamente sui miei i e mi precipito verso casa, delusa e con la mente annebbiata. *** Seduta sul divano fisso il vuoto da circa mezz'ora, cercando di trovare una spiegazione logica a quello che ho visto poco fa. Ma non ne trovo neanche una. Se Diego sapeva la verità fin dall'inizio perché non mi ha mai detto nulla? E che legame c'è tra lui e Monica? Non riesco a credere che tra loro ci possa essere qualcosa e che Diego mi farebbe un torto del genere. Non gli ho chiesto io di insinuarsi nella mia vita, ha fatto tutto da solo e io gliel'ho permesso perché mi fidavo. Cosa ne sarà di noi? Del nostro futuro? Quante volte il mio cuore dovrà ancora spezzarsi prima di cedere definitivamente alla solitudine? Quando sento Diego bussare alla porta mi desto dai miei pensieri e cerco di ricompormi. Questa doveva essere la nostra serata speciale, la serata in cui gli avrei donato il mio cuore, ma lui se lo è già preso con la forza e me lo ha calpestato. Apro la porta e mi trovo davanti Diego con un sorriso smagliante. «Ciao amore.» mi dice entrando. Mi dà un leggero bacio sulle labbra e mi domando se poco fa abbia baciato anche quelle di Monica. «Scusa se ho fatto tardi ma mi sono fermato in aula per tutti i preparativi. Sai, tutti mi hanno chiesto come mai oggi non c'eri a lezione.» Si ferma sentendo l'odore della cena che arriva dalla cucina. «Mmm, ma che buon profumino. Che hai preparato?» Non riesco a guardarlo. Mi sento come un vulcano pronto ad eruttare e a sputare dal suo cratere tutta la lava incandescente che ha dentro di sé.
«Arrosto.» rispondo dura, sollevando appena lo sguardo. Diego mi fissa e nonostante tutto non riesco a non pensare a quanto sia bello. Forse troppo bello per una ragazza come me. Sono già stata fortunata che Andrea si fosse innamorato di me. Quante probabilità avevo che capitasse con un altro ragazzo? «Ehi, che succede?» mi domanda notando la mia espressione. Deglutisco per cercare dentro di me la forza di parlare. Voglio davvero parlarne? Voglio davvero sentire le sue parole e spezzarmi un'altra volta? «Prima sono venuta in aula per salutarti e ti ho visto.» Diego contrae il viso. «Prima quando?» Mi mordo il labbro inferiore e incrocio le braccia attorno alla mia vita, quasi per proteggermi dal dolore che tra poco mi invaderà. «Ti ho visto con Monica.» Il suo volto assume l'espressione di chi è appena stato scoperto, e tutto il mio mondo mi crolla addosso per la seconda volta in appena vent'anni di vita. Diego fa un o verso di me ma io indietreggio. «Temo che tu ti sia fatta un'idea sbagliata, Luce.» Lo guardo e mi sembra di essere davanti ad un estraneo. «Tu sapevi tutto, vero?» gli chiedo. Lui distoglie lo sguardo. «Io non sapevo che era lo stesso Andrea fino a quando non ho visto le foto e ho avuto la conferma quando hai fatto il nome di Monica.» Sto per sentirmi male. Resto ferma e in silenzio e sento la rabbia ribollirmi il sangue. «Divertiti con lei. È bravissima a imbrogliare le persone, ma da quello che ho appena visto sei molto bravo anche tu.» La mia voce è rigida e cattiva, e Diego mi lancia un'occhiata di incredulità. «No, Luce, hai frainteso. Tra me e Monica non c'è nulla e non c'è mai stato nulla.» «Perché dovrei crederti, eh? Ho appena scoperto che mi hai sempre mentito! E poi conosco bene Monica. So com'è fatta. E ora non riesco nemmeno a guardarti in faccia!» urlo. «Dannazione Luce, Monica è mia cugina!» mi risponde alzando la voce. «C-cosa?» balbetto confusa. «Te lo avevo detto che i miei zii abitano qui. E credimi prima o poi ti avrei rivelato di Monica. E per quanto riguarda Andrea, io l'ho visto solo un paio di
volte ma non l'ho mai conosciuto realmente.» Lo guardo e so che è sincero. E da un lato mi sento anche sollevata nel sapere che tra lui e Monica non c'è mai stato niente, ma non posso credere che siano parenti. Come possono avere lo stesso DNA ed essere così diversi? Non poteva ereditare anche lei la bontà e la gentilezza, invece di essere una gatta morta e una manipolatrice? «Perché è venuta da te oggi?» gli domando brusca. Diego tira un sospiro. «Ha avuto una brutta lite con il suo ragazzo.» Mi scappa una risata crudele. «Sì, con uno dei tanti.» commento acida. Diego si acciglia, immagino che sia perché è pur sempre una sua parente. «Non essere cattiva.» mi dice secco. Spalanco gli occhi e subito parto all'attacco. «Cattiva io? Ma tu lo sai cosa ha fatto la tua cara cuginetta ad Andrea?» «Sì lo so, ma tutti commettono degli errori, Luce.» «Lei non ha commesso degli errori.» dico irritata. «Lei ha volutamente ferito Andrea, ed è stato a causa sua se io e lui non ci siamo parlati per un anno. Mi dispiace dirtelo, Diego, ma tua cugina è una brutta persona.» Lui scuote la testa. «Ormai dovresti sapere che nessuno è perfetto.» «Be', di certo lei è lontana secoli dalla perfezione, e Andrea non meritava ciò che lei gli ha fatto!» La rabbia mi percuote il corpo e vorrei solo che Diego provasse a vedere la situazione dalla mia prospettiva. «Già, certo. Invece Andrea era perfetto, vero?» ribatte con una cattiveria che di solito non gli appartiene. «E questo cosa c'entra?» Apre la bocca per rispondere ma poi si blocca. Fa un cenno della mano come per scacciare il pensiero. «Niente. Sono stanco, me ne torno a casa.» dice, mentre si dirige verso la porta, ma io sono rapida e lo afferro per un braccio costringendolo a voltarsi verso di me. «Cosa stavi per dire?» gli chiedo agitata. «Lascia stare, credimi. Voglio solo tornare a casa.» Lo spintono leggermente. «No! Dimmi cosa stavi per dire!» Mi guarda e dai suoi occhi verdi percepisco che le sue parole non mi piaceranno. Sento che sta per esplodere una bomba.
«Se Andrea era così perfetto come credi, allora perché si è visto con Monica qualche settimana prima di morire?» Boom! La bomba è appena esplosa e le sue schegge mi hanno colpito in pieno petto. Mi sento le gambe molli e sono costretta a indietreggiare per non crollare. «Non è vero. Tu… tu menti.» farfuglio. «Certo. In fondo sono io il bugiardo qui, vero?» Non rispondo e Diego scuote la testa rassegnato. «Sai che c'è? Io mi arrendo.» mi dice freddo. «Ci ho provato, ma tanto è tutto inutile. Non ce la faccio.» «Provato a fare cosa?» gli chiedo con la voce che trema. Lui sospira e quando parla la sua voce trapela rassegnazione e delusione. «La parete con le foto e tutti i tuoi dubbi. Mi fa male sapere che non ti abbia infastidito vedermi con un'altra ragazza, ma solo il fatto che fosse Monica. Io sono stanco di vivere in competizione con Andrea, perché tanto sono destinato a perdere.» Noto la sua espressione addolorata e vorrei che tutta questa conversazione non fosse mai avvenuta. Vorrei non averlo mai visto con Monica. Vorrei non aver mai scoperto la verità. Gli occhi mi si inumidiscono. «Non puoi chiedermi di dimenticare Andrea.» gli dico con voce flebile. «E infatti non te l'ho chiesto.» replica in tono duro. «Ma pensavo che col tempo avresti scelto me e amato me.» «È quello che ho fatto.» Lui mi guarda severo. «Non è vero, Luce!» urla. «E se aprissi gli occhi ti renderesti conto che è così! Merda! Perché non capisci? Non tutti muoiono in un incidente stradale. E tu che hai la fortuna di essere ancora viva cosa fai? Vivi aggrappata al ricordo di un morto!» Mi muovo rapida e il ceffone lo colpisce in pieno viso. Cinque dita gli lasciano un segno rosso sulla sua guancia e l'eco dello schiaffo rimbomba nel salone. Non so nemmeno dove ho trovato la forza per darglielo così violento. Charlie alza il muso e ci guarda perplesso. Sento una voragine aprirsi dentro di me. Sono ferita dalle sue parole e allo stesso
tempo provo un enorme senso di colpa nei suoi confronti. Se Diego si sente in questo modo è perché sono io che non l'ho fatto sentire importante come merita. Ma da quanto tempo si sente insicuro? Come poteva pensare di partire per Francoforte e riuscire a mantenere la nostra relazione, se è lui il primo a non crederci? La testa comincia a pulsarmi e ho il viso inondato dalle mie lacrime. Diego è immobile davanti a me, visibilmente scosso anche lui da quello che è appena successo. «Oddio, perdonami, Luce. Io non volevo essere così crudele. Io…» Guarda prima me e poi il pavimento. E nonostante tutto io vorrei solo che lui mi stringesse tra le sue braccia, perché è l'unisco posto dove sto bene e mi sento protetta dal dolore che mi circonda. Ma resto ferma al mio posto, e quando lui si dirige verso la porta per andarsene non faccio niente per fermarlo. Questa volta è davvero la fine. Non c'è più ritorno per noi. Non c'è né futuro né presente. Non c'è più nulla. Mi accascio sul pavimento e comincio a singhiozzare. Charlie mi viene vicino e poggia il muso sulle mie gambe. Sento il mio respiro farsi sempre più affannoso e corto e una fitta di dolore mi colpisce lo stomaco. Era da più di un mese che non avevo attacchi di panico, e non mi erano affatto mancati.
19
Non si è presentata. Non posso credere che non sia venuta al saggio. Era importante che ci fosse. Non tanto per me, ma per se stessa. Avrebbe capito gli enormi i in avanti che ha fatto fino a questo momento. So quanto si è preparata per questa sera. L'impegno che ha messo per imparare il pezzo alla perfezione. Eppure ora non c'è. Merda. Merda. E ancora merda. È tutto sbagliato. Com'è possibile che tutto si sia sfasciato nel giro di pochi istanti? Ci sono voluti mesi prima che lei si fidasse di me. Prima che mi permettesse di avvicinarmi. Mesi per costruire qualcosa di bello, importante e unico. Ed è bastata una sola folata di vento per distruggerlo. È tutta colpa mia. Avrei dovuto essere sincero con lei non appena ho scoperto che il suo ragazzo morto in un incidente era lo stesso che un tempo stava con mia cugina Monica. Sono stato un idiota. E soprattutto sono stato crudele. Il volto di Luce ricoperto dal dolore e dalle lacrime mi tormenta da giorni. E sapere di essere stato io a provocarle tutta quella sofferenza mi fa sentire da schifo. I ragazzi del corso continuano a correre di qua e di là in preda all'agitazione e all'entusiasmo. Sono tutti carichi e pronti. Continuano ad accordare le chitarre, a riare i pezzi e a sistemarsi i vestiti e i capelli. È tutto pronto. Mi chiedono gli ultimi consigli e io mi rendo disponibile e mi fingo allegro. Questa è la loro serata. È la mia serata. Dovrei essere al settimo cielo, invece non faccio che guardare la porta nella speranza di vedere arrivare Luce. «Ehi amico. Tutto ok?» mi domanda Mattia avvicinandosi. Faccio un mezzo sorriso. «Sì, certo. Sono solo un po' nervoso.» «Andrà tutto bene. Sei stato un bravo insegnante. Ma Luce non è ancora arrivata?» No. E non arriverà. «No. L'ho sentita poco fa e mi ha detto che sta male. Di' a Martina di sostituirla. Conosce il pezzo.» Mattia mi guarda sospettoso ma alla fine annuisce. «D'accordo. Vado subito.»
Do un ultimo sguardo alla porta da dove continua arrivare un sacco di gente. Tutti tranne l'unica persona che interessa a me. Traggo un profondo respiro e mi faccio forza. Il saggio sta per iniziare. E nonostante tutto, lo spettacolo deve andare avanti, no? È stato un successone. Più di quanto potessi sperare. Sono stati tutti bravissimi. Alla fine dello show non ho fatto altro che ricevere complimenti e stringere mani. Sono molto soddisfatto di me stesso e dei miei ragazzi. E mi dispiace sapere che il prossimo anno non sarò qui con loro ma a Francoforte. Questo pensiero mi stringe lo stomaco. Io sto per partire e non ho neanche salutato Luce. E le ultime parole che ci siamo detti erano cariche di rabbia. Infilo le mie chitarre nelle loro custodie e le metto nel baule dell'auto. «Ehi, Diego. Vieni a festeggiare con noi il successo della serata?» mi chiede Emma nel parcheggio. «No, mi spiace. Vado a casa a finire di preparare le valigie.» «Oh, ok. Be', buona fortuna per tutto, allora.» mi augura con un sorriso. Salgo in macchina e stringo forte il volante. È quasi mezzanotte. Lo spettacolo è andato bene. Io sto per andare a Francoforte dove studierò musica per un anno come ho sempre desiderato. Dovrei essere felice, giusto? Ma non lo sono. Giro la chiave e metto in moto. Se non ci provo non me lo perdonerò mai. Parto e dopo dieci minuti sono davanti casa di Luce. Le luci del portico sono accese questo significa che è sveglia. Il quartiere invece è buio e silenzioso. Sto per scendere quando scorgo una figura vicino al suo cancello e mi blocco. Non la vedo da una paio di giorni eppure il mio cuore salta un battito come il primo giorno che l'ho scorta nella mia aula. «Charlie! Dai Charlie, vieni!» la sento dire. Fa un fischio e si batte la mano sulla coscia per richiamare l'attenzione del cane. «Dai, pigrone. È tardi per stare in giro.» Charlie spunta da dietro un albero e scodinzolando felice si avvicina a Luce e le lecca la faccia. Le scappa una leggera risata e il vento le smuove i capelli sciolti sulle spalle. È bella da mozzare il fiato. All'improvviso capisco. Capisco che non c'è nulla che io possa dire per sistemare la situazione. Per rimediare alle parole dette. Non posso darle le certezze che
vuole dato che parto tra due giorni. E lei non può darmi le certezze che voglio finché non si rende conto che è giusto voler essere di nuovo felici. Faccio un profondo respiro e accendo di nuovo il motore. «Ti amo.» mormoro. «E mi dispiace.» Sento il cuore spaccarsi a metà, mentre le mie parole vengono portate via dal vento e Luce si chiude il cancello alle spalle. *** Sto giocando nervosamente con un filo della maglia mentre aspetto che il Dr. Menotti finisca di annotare qualcosa sul suo solito taccuino. Ho appena finito di raccontargli quello che è successo con Diego e del ritorno dei miei attacchi di panico. Il mio stomaco è una centrifuga di emozioni e sentimenti contrastanti, e mi sento catapultata al punto di partenza. Robert solleva lo sguardo su di me. «E poi cos'è successo?» Faccio un lungo sospiro e smetto di tormentare il filo dell'orlo. «Niente.» dico in tono arreso. «Non è più successo niente.» «Non vi siete visti al saggio di chitarra?» Incrocio le mani sopra le ginocchia. «Non ci sono andata. Non sarei stata in grado di gestire la situazione.» «E Diego?» Abbasso lo sguardo sulle mie scarpe da ginnastica. Detesto questa situazione. Mi sento il cuore e l'anima spappolati, ridotti in poltiglia. Se continuo così cosa ne sarà di me? Di questo o il mio corpo sarà solo un enorme guscio vuoto. «Lui è partito una settimana fa.» Dopo la nostra lite, io e Diego non ci siamo più parlati e visti. Ho saputo che il saggio è stato un successone poiché il giornale del paese ne ha scritto un breve articolo. Io non ho avuto il coraggio di presentarmi. Non avrei saputo come comportarmi ma soprattutto cosa dirgli. Nemmeno lui ha cercato di mettersi in contatto con me, ma probabilmente tra il saggio e la partenza non ha avuto molto tempo libero. È partito lo scorso lunedì, senza un saluto e senza voltarsi indietro. Sto male e ancora non riesco a credere che sia finita così. Nel suo volto leggevo solo dolore e rammarico e non ho saputo fare niente per rassicurarlo. Ancora una volta mi ritrovo sola, con i progetti per il futuro andati alla deriva. Mi mancano i suoi occhi verdi e il suo modo di stringermi, ma non posso fare altro che rassegnarmi e accettare la realtà. Di nuovo.
«Pensi che abbia ragione su quello che ha detto a proposito di Andrea?» «In parte credo di sì. Andrea è una parte troppo importante della mia vita, e sarà sempre così ma…» «Ma?» «Ma io mi sento pronta ad andare avanti e custodirmi solo il ricordo di lui. Non voglio più vivere nel dolore.» Lo psicologo mi fissa. «Nessuno ti toglierà mai i suoi ricordi.» Esatto. I ricordi che ho con Andrea saranno sempre un tesoro per me e li conserverò gelosamente, ma appartengono al ato. A un ato che non avrà mai futuro, mentre con Diego oltre al presente avrei avuto anche un avvenire, ma ancora una volta non sono riuscita a dimostrarlo. Ancora una volta non ho fatto in tempo. «E ora cosa pensi di fare?» «Non lo so. Diego è importante per me. Mi ha ridato la forza per tornare a stare bene e per questo gli sarò sempre grata. Ma non sono riuscita a dirgli cosa provo e lui si è sentito messo da parte, e questo mi fa star male. Ma devo andare avanti. Voglio provarci.» Faccio un lungo sospiro e mi volto a guardare fuori dalla finestra. C'è un bel sole oggi. Il cielo è azzurro e senza nuvole. E io mi sento una sciocca ad essermela presa così tanto per la storia di Monica. Avremmo potuto affrontare la cosa in maniera diversa, ma la situazione ci è sfuggita di mano e ora è troppo tardi per rimediare. «Sei ancora in tempo per dirglielo.» Guardo Robert come se avesse appena detto un'enorme eresia. «No che non posso. Lui è ormai è lontano.» Sento un'ondata di dolore pervadermi il corpo. Mi domando se tutte le mie storie d'amore finiranno sempre così, con me che resto da sola e con il cuore a pezzi. Eppure a differenza di Andrea, che mi è stato portato via, con Diego sarebbe potuta finire diversamente. Sarei potuta essere felice. Quando sollevo lo sguardo, il Dr. Menotti mi sta fissando, e mi rendo conto che continuo a estraniarmi dalla seduta per perdermi nei miei pensieri. «Fai ciò che ritieni giusto, ma cerca di non vivere in troppi rimpianti, Luce. La vita ci offre sempre delle seconde possibilità, ma sta solo a noi riuscire a coglierle.»
*** Esco dallo studio frastornata come sempre. Andrea mi manca come l'aria e Diego mi manca ancora di più. Credo di voler diventare apatica nei confronti dell'amore e penso che per molto, moltissimo tempo, resterò sola. Devo andare avanti con le mie forze. E concentrarmi su me stessa. Voglio di nuovo mollare proprio ora che ho ricominciato a stare meglio? Sto per dirigermi verso casa, ma all'improvviso cambio strada perché sento il bisogno di andare in un posto dove non vado da moltissimo tempo. La lastra di granito è fredda nonostante il caldo afoso di questa giornata di fine giugno. Ci sono due bei mazzi di fiori freschi e colorati che emanano un buon profumo. La ghiaia scricchiola sotto i miei piedi mentre osservo la foto di Andrea che sorride mostrando le fossette e i suoi riccioli biondi che gli cadono sulla fronte. Tocco la lapide con la mano. Ancora oggi faccio fatica a credere che lui non sia più qui con me. «È la vita, Lu. Non sai mai cosa ti aspetta.» mi ha detto una volta. E so che dal piccolo filosofo che era, ebbe queste parole per giustificare la sua morte. Noto la frase incisa sulla lastra. “ Ti ricorderemo così: con gli occhi pieni di vita e il cuore colmo di sogni.” Mi viene da sorridere. So che avrebbe detestato questa frase, ma in fondo è veritiera. Lui era la vitalità fatta a persona. Mi tornano in mente tutte le parole che mi sono state dette negli ultimi mesi. Quelle di Robert, quelle di Diego la prima volta che siamo andati al ricovero degli anziani, e anche quelle di Andrea nel sogno. Mi aveva detto di vivere per entrambi e io non lo sto facendo. Continuo a nascondermi e a fermarmi davanti al primo ostacolo. Rileggo la frase e improvvisamente mi sento pronta. Carica di un'energia nuova. Posso farcela. Posso andare avanti anche se Andrea e Diego non sono più con me. Non posso permettermi di continuare a non vivere la mia vita. Una folata di vento mi scompiglia i capelli, e sento che è il modo in cui Andrea ha appena approvato i miei pensieri. Sorrido e sento le lacrime punzecchiarmi i lati degli occhi. «Ti amo, Andre.» dico finalmente. «Ma tu l'hai sempre saputo, vero?» Sospiro e sfioro la sua foto con le dita. Mi vengono in mente le parole di Diego. E credo che sia vero che Andrea abbia incontrato Monica. Ma sono più che certa che non sia successo nulla. Ci amavamo e solo il destino è riuscito a
separarci. Poso un bacio delicato sulla mia mano e l'avvicino alla lapide. Inforco gli occhiali da sole, mi volto ed esco dal cimitero. Determinata e forte. Quando arrivo di fronte a casa mia trovo Anna ad aspettarmi davanti al cancello. «Ciao Lucciola. Ho pensato di are a trovarti.» mi dice mentre mi abbraccia. Io le sorrido. «Vieni, entra.» Preparo un caffè e ci spostiamo in camera mia con Charlie al seguito. «Allora come stai?» mi domanda gentile. «Sto bene, credo.» Anna mi analizza per qualche istante. «Si è fatto sentire?» Scuoto la testa e bevo un sorso di caffè. «Quindi tra voi è proprio finita?» «Sì, temo di sì. Non l'ho fermato. E ormai lui è andato per la sua strada.» ammetto. «E non vorresti che tornasse?» mi domanda poco dopo. Io la guardo e faccio un mezzo sorriso. «Spero che si presenti alla mia porta ogni giorno.» Lei mi guarda con occhi dolci e mi abbraccia. Quando ci stacchiamo mi volto verso la parete piena di foto di Andrea. «Ti va di aiutarmi a fare una cosa?» le domando. Anna scatta sull'attenti. «Certamente.» Mi alzo e dal cassetto della scrivania tiro fuori un album di foto, spesso e vuoto, e una cartellina con dentro varie fotografie di me, Anna, Cecilia, alcune con mio fratello e altre con i miei genitori, e infine un paio anche con Diego. Mi volto verso Anna che mi guarda curiosa e allo stesso tempo preoccupata. Ha già capito cosa voglio fare. «Ne sei proprio sicura, Lucciola?» Guardo per l'ultima volta la mia parete. «Andrea nel sogno mi ha detto di andare avanti, giusto? Ma non posso farlo con tutte le sue foto appese alla parete che mi ricordano quello che è successo, perciò sì. Sono pronta a fare questo o. Per ricominciare.» Anna annuisce e mi rivolge un sorriso, e insieme cominciamo a staccare le fotografie dal muro. *** Esco da casa di Luce e mi incammino verso la macchina mentre il caldo afoso mi fa appiccicare i capelli al collo. Non riesco a credere che la mia migliore amica sia di nuovo con il cuore a pezzi. È una delle persone più buone che conosca, ma la vita continua a mostrarle solo il suo lato peggiore. Le ha portato
via l'amore della sua vita, il suo migliore amico e la sua anima gemella, e io l'ho vista spegnersi poco per volta senza riuscire a fare niente per aiutarla. Parecchie volte io e Cecilia abbiamo pensato che non si sarebbe mai più rialzata e che non avremmo più rivisto il suo sorriso, ma poi il sogno di Andrea l'ha spronata e l'arrivo di Diego l'ha riaccesa. L'ho vista tornare in vita ed è stato così bello rivederla felice. Ma chi l'avrebbe mai immaginato che Diego e Monica fossero cugini, e che lui sapeva tutto ma non le ha mai detto nulla? Stupida mentalità maschile! Lui ora è a Francoforte, mentre Luce è a casa a ricucire ancora una volta i brandelli della sua vita e del suo cuore. Devo ammettere però che mi ha sorpresa. Ho visto nei suoi occhi una scintilla. Una forza nuova. E ne ho avuta la conferma quando ha deciso di levare le foto di Andrea dalla sua parete. Ha scelto di andare oltre. Di ricominciare. E in un certo senso ha scelto Diego, ne sono convinta. Se solo lui lo sapesse… Salgo in macchina e accendo l'aria condizionata per rinfrescare l'abitacolo. Io voglio che la mia migliore amica sia felice e so per certo che è Diego la persona con cui lei può esserlo. Non l'ha mai giudicata, anzi, l'ha sempre spronata e aiutata, e sono sicura che la ama. Sicuramente starà male anche lui a Francoforte, perciò cosa mi vieta di fare da intermediaria? Sfilo il cellulare dalla borsa e cerco il suo numero nella rubrica. Sto sbagliando? Mi sto impicciando in affari non miei? Scuoto la testa e sospiro. No. È la cosa giusta da fare. Luce merita il suo lieto fine.
20
L'estate tra trascorrendo lenta e monotona e io sono sovrastata dalla noia. o le mie giornate al parco con Charlie a leggere sotto un albero oppure sto in compagnia di Anna e Cecilia. Ma ci sono giornate come questa dove non ho voglia di fare niente e dove resto sdraiata sul letto a guardare il soffitto. Continuo a lavorare su me stessa decisa più che mai a riprendere il controllo della mia vita senza farmi sopraffare dagli eventi. È difficile, ma non impossibile. Basta solo non avere fretta. Sposto gli occhi sulla mia parete ora così diversa. Ho attaccato la scritta “RICORDI” e sotto ho affisso nuove foto. Ci sono scatti di me da bambina, della mia famiglia e delle mie amiche. C'è qualche immagine anche di me con Diego e di me con Andrea, tra cui quella dove siamo bambini. Sono i miei ricordi, i miei momenti felici. E vederle mi provoca un sorriso e non più una fitta di dolore e nostalgia. Sbuffo e mi volto verso Charlie che sta dormendo al fondo del letto. «Andiamo a fare un giro, bello?» Lui apre un occhio, mi guarda e si gira dall'altra parte. Lo prendo per un no. Sto per impazzire nel silenzio di casa mia. Anna e Cecilia sono partite ieri per il mare. E io continuo a domandarmi cosa stia facendo Diego e se almeno ogni tanto mi pensa. Scuoto la testa per scacciare il pensiero nell'esatto istante in cui mi squilla il cellulare. Lo afferro e leggo sul display il nome di mio fratello. «Ciao Nico.» «Ciao sorellina. Che fai?» Sono troppo felice di sentire la sua voce. «Sto contemplando il soffitto della mia camera, te?» Lo sento sorridere. «Io sto cercando le chiavi di casa, ma credo di averle perse.» «Sai che novità. Tu le perdi sempre.» lo prendo in giro. «Vero. Ma scusa se tu sei a casa potresti anche venirmi ad aprire, no?» Mi alzo di scatto dal letto. «Cosa?!» Corro giù per le scale e apro la porta con ancora il cellulare attaccato all'orecchio. Nicolò è davanti a me. Gli salto addosso e lo abbraccio forte. «Ehi, quanto entusiasmo.» Quando mi stacco resto a fissare i suoi occhioni azzurri. «Ma che ci fai qui?» gli chiedo tutta eccitata. Lui fa spallucce. «Volevo farti una
sorpresa. Mi ospiti per due giorni?» «Non devi neanche chiedermelo.» gli dico, sorridendo. «Bene, allora poso il borsone e ci andiamo a prendere un gelato, ti va?» «Certo che sì!» rispondo, abbracciandolo di nuovo. Esco dalla gelateria con un cono nocciola e pistacchio, decisa a godermi la compagnia di mio fratello. Anche se qualcosa mi dice che è qui per un motivo preciso, è comunque dannatamente bello averlo tutto per me. «Vuoi dirmi perché sei venuto a trovarmi?» gli domando. Lui dà un morso al suo ghiacciolo. «Volevo vedere come stavi. Sai, la mamma mi ha detto di te e Diego. Mi spiace tanto sorellina.» Alzo gli occhi al cielo e sorrido. «Certo che alla mamma piace proprio tanto spifferarti i miei problemi, eh?» Nicolò ride ma poi si volta per guardarmi serio. «Si preoccupa per te, Luce. A dire la verità ci preoccupiamo tutti per te.» «Lo so.» dico sincera. «Sai, con Andrea è morta anche una parte di te. E abbiamo paura che tu possa di nuovo chiuderti in te stessa assieme al tuo dolore.» Butto il mio gelato nel bidone della spazzatura e medito sulle parole di mio fratello. La mia famiglia mi vuole davvero bene, ma che anno infernale hanno ato a causa mia? Mi hanno vista chiusa in camera a piangere, ad avere attacchi di panico e a lasciarmi andare alla disperazione senza provare a combattere. Poi mi hanno vista riprendermi un o alla volta, e ora è normale che abbiano paura di una mia ricaduta, ma io non mi ridurrò di nuovo così. «Non accadrà, Nico.» dico guardandolo. «Pian pianino riuscirò ad andare avanti contando solo sulle mie forze. Te lo prometto.» Nicolò mi mette un braccio sulle spalle e mi guarda orgoglioso. «Era quello che volevo sentirti dire. E se posso darti un consiglio, perché non riprendi gli studi? So che vuoi laurearti e insegnare, e allora non rimandare più.» «Ci stavo già pensando. Magari potrei riprendere dal prossimo semestre.» Nicolò mi sorride. «Devi laurearti in fretta sorellina, perché presto avrò bisogno di te a Londra.» Lo guardo interrogativa. «Bisogno di me?» Il suo volto si illumina. «Esatto. Claire è incinta.»
Un sorriso a trentadue denti mi si imprime sulla faccia. Diventerò zia! Non ci posso credere. Faccio un urlo di gioia e abbraccio mio fratello più forte che posso. Mi sento davvero felice come non ero da tanto. Voglio essere un buon esempio per il mio futuro nipote. Ora sì che ho un motivo in più per voler tornare a stare bene a tutti i costi. *** È domenica pomeriggio e io sono sdraiata sul letto. Mio fratello è ripartito per Londra questa mattina alle sei e abbiamo ato la notte svegli a guardarci una maratona di film e a chiacchierare. È stato davvero fantastico averlo per casa per tutto il fine settimana, solo io e lui. Ora però sono stanca e assonata. Sono ventiquattr'ore che non chiudo occhio. Sono entusiasta all'idea di diventare zia e non vedo l'ora che arrivi gennaio per poter stringere tra le mie braccia il mio primo nipotino. Sto per prendere finalmente sonno ma sento Charlie che si alza di scatto dal letto e corre giù per le scale, facendomi riaprire gli occhi. Non so che rumore abbia sentito ma non ho nessuna intenzione di andare a controllare. Mi metto su un fianco ma proprio quando richiudo gli occhi Charlie comincia ad abbaiare. Mi metto a sedere sul letto frustata. «Basta Charlie!» urlo, ma senza risultati. Lo sento tornare di corsa in camera. Si piazza davanti al mio letto, mi guarda agitato e poi corre di nuovo di sotto. Che il mio cane stia impazzendo? Ricomincia ad abbaiare come un matto e comincio a preoccuparmi. Scendo da letto e infilo le infradito. «Charlie ma che…?» mi blocco. Delle note musicali si levano nell'aria e il suono di una chitarra invade la mia stanza. Riesco a distinguere alcuni accordi che ho imparato al corso, ma questo brano non l'ho mai suonato, eppure mi è familiare. Sembra quasi… Mi precipito alla finestra. Non ci posso credere! Diego è davanti casa mia, appena fuori dal cancello, e sta suonando la sua canzone. La canzone che aveva accennato a casa sua. Lui è qui per me e mi sta facendo una serenata! La mia serenata! Scendo le scale di corsa e senza nemmeno mettere le scarpe mi precipito fuori di casa. Il mio cuore batte veloce e io non posso credere che lui sia qui. Le ultime settimane sono state difficili e lui mi è mancato terribilmente. Apro il cancello e gli corro incontro. Lui si accorge di me e mi sorride. Posa giusto in tempo la chitarra per potermi accogliere tra le sue braccia. Lo stringo forte a me perché ho bisogno di capire che è la realtà e non un sogno. Lui mi
tiene talmente stretta al suo corpo che posso sentire i suoi muscoli contrarsi. «Mi sei mancata, Luce.» mi sussurra all'orecchio. «Tu di più.» gli rispondo sorridendo. L'odore della sua pelle mi inebria le narici e vorrei che il tempo si fermasse esattamente in questo istante. Quando ci stacchiamo, Diego mi carezza una guancia e nei suoi fantastici occhi verdi vedo dispiacere per tutto quello che è successo. «Luce io…» Gli tappo la bocca con la mano e scuoto la testa. «È tutto a posto.» dico e subito dopo poso le mie labbra sulle sue. Ho bisogno di sentirlo mio. Non mi interessano le scuse. Mi interessa solo averlo qui, con me. Quando ci stacchiamo lui poggia la sua fronte alla mia e a me manca l'aria per l'intensità del momento. «Ti amo, Diego.» sussurro sulle sue labbra. Lui mi fa un sorriso smagliante e mi stringe il viso tra le mani. «Ti amo anche io, Luce.» Lo guardo con il cuore colmo di felicità e gli sorrido ancora una volta prima di tornare a baciarlo. Il Dr. Menotti aveva ragione. Sta a noi cogliere le seconde possibilità che ci offre la vita. E io ho deciso di coglierla con tutta me stessa.
Epilogo
Due mesi dopo Osservo lo studio del Dr. Menotti e penso che non sia cambiato di una virgola in tutti questi mesi, mentre io sono una persona totalmente diversa. Sono cresciuta, maturata e mi sono fortificata. La vita mi spaventa ancora ma a chi non fa paura? È probabile che mi metterà ancora in difficoltà ma io affronterò tutto un o alla volta, senza cedere mai. «Credo che questa sia l'ultima volta che ci vediamo.» dico con un sorriso. «E ti dispiace?» «Un pochino sì. Cominciavo ad affezionarmi a Lei.» Lo psicologo mi sorride e anche io non riesco a trattenere un sorriso, ma ultimamente mi sembra di non fare nient'altro che mostrarmi felice. «Dunque, Luce, a che punto sei della tua vita?» «Sono decisamente a un bel punto.» ammetto soddisfatta. «E con la lista come procede?» Cerco una posizione comoda sul divanetto e incrocio le gambe. «Sto cercando di fare più cose possibili, tranne che per invecchiare, perché per quello ho ancora tanto tempo davanti a me.» Robert mi guarda sorpreso. «Ti sei già lanciata con il paracadute?» «Non ancora, ma io e Diego abbiamo un lancio prenotato per il prossimo giugno. E ho anche incontrato una persona famosa a Francoforte. Un professore di musica di Diego che ho scoperto essere un musicista e compositore di successo, anche se non mi ricordo il nome!» spiego allegra. Lo psicologo continua a guardarmi e sembra contento nell'udire i miei progressi. Io finalmente riesco a sentirmi tranquilla e felice. La mia macchina non è più ferma in autostrada, anzi,
ora sfreccia a tutta velocità in direzione della vita. «E l'università?» «Sto studiando per dare degli esami tra qualche settimana, ma per ora credo che studierò solo da casa e darò gli esami nelle varie sessioni. Ho intenzione di laurearmi e insegnare storia, ma prima devo fare molte altre cose.» «Per esempio?» «Per esempio andare a Londra da mio fratello per la nascita della mia nipotina.» dico estasiata. «E poi Diego intende fare un piccolo tour europeo per far sentire la sua musica, e io ho deciso di accompagnarlo, così potrò visitare posti nuovi come avevo promesso ad Andrea.» «Vedo che hai davvero dei bei progetti per il tuo futuro, Luce.» Annuisco. «Esatto, e sono determinata a portarli avanti questa volta.» Il Dr. Menotti posa il suo taccuino e mi guarda premuroso. «Non so che dire. Sono davvero contento per te e ti auguro solo il meglio. Sei una ragazza forte e ho sempre saputo che saresti tornata in piedi da vincente.» Ringrazio Robert con un abbraccio caloroso. Ormai è più un amico che uno psicologo. Gli sono davvero grata per tutto quello che ha fatto per me. È anche merito suo se ora sono di nuovo serena e piena di voglia di vivere. Non posso fare a meno di pensare a quanto la vita sia strana e piena di sorprese. Mi ha tolto Andrea, strappandomelo via violentemente, e quando pensavo che non mi sarei mai più ripresa, mi ha donato Diego. Ho ato quasi due anni su delle montagne russe che mi hanno scombussolato la vita, ma ora ho imparato a prendere le cose per come vengono. Esco dallo studio e una brezza leggera mi pizzica le guance. Mi piace pensare che sia Andrea che mi viene a toccare di tanto in tanto, per farmi sapere che sto andando bene e che sto facendo le scelte giuste. Avrà sempre un posto speciale nel mio cuore. È merito suo se so il significato della parola amore, ma ho capito di dover e di voler andare avanti, e so che lui ne sarebbe felice. Ho deciso di ricominciare. Ricomincio da me stessa, ma soprattutto ricomincio da Diego. Alzo lo sguardo e lo vedo dall'altra parte della strada che mi aspetta. Domani pomeriggio riparte per Francoforte e per un intero mese non riusciremo a vederci. Ma cos'è un mese lontani paragonato a una vita intera insieme? Ho
capito quanto potente e straordinario sia l'amore. Nonostante gli ostacoli riesce sempre a prevalere su tutto. E ho imparato sulla mia pelle che così come l'amore ti può distruggere, l'amore ti può anche guarire. E Diego è la mia cura. Attraverso la strada e lo raggiungo. «Ciao piccola. Com'è andata?» mi domanda dopo avermi dato un bacio. «Bene, ma credo proprio che mi mancherà il mio psicologo.» dico con un sorriso. Diego intreccia le dita con le mie e insieme ci incamminiamo verso casa mia, dove ci attende una cena di famiglia con i miei genitori, mio fratello e Claire con il suo pancione di cinque mesi. «Sai, Luce.» mi dice Diego ad un certo punto. «Stavo pensando che una volta che avremo visitato mezzo mondo con il mio tour, e tu ti sarai laureata, mi piacerebbe fermarmi e mettere radici in un luogo con il mare. Mi sarebbe sempre piaciuto poter svegliarmi la mattina con il rumore delle onde. Che ne dici?» Smetto di camminare e lo guardo nei suoi profondi occhi verdi. Gli ho raccontato che con Andrea avevo dei progetti, ma non gli ho mai raccontato quali progetti. E soprattutto non gli ho mai detto che avremmo voluto fermarci in un posto con il mare. Eppure lui mi ha appena chiesto di realizzare il mio desiderio più grande. Fin da bambina ho sempre sognato di vivere vicino al mare e poter respirare l'odore di salsedine tutti i giorni. Gli rivolgo un ampio sorriso e gli metto le braccia attorno al collo per attirarlo a me. Capisco ancora una volta quanto sia fortunata ad averlo al mio fianco. Io amo tutto di questo ragazzo, e lui mi ricambia con tutto se stesso. «Vuoi davvero sapere cosa ne penso?» Lui annuisce e io mi alzo sulle punte dei piedi per avvicinare il mio viso al suo. «Dico che non c'è nessun problema.» Ed entrambi sorridiamo prima di far incontrare le nostre labbra, desiderosi di vivere il nostro futuro insieme.
Indice dei contenuti
PRIMA PARTE 1 2 3 4 5 6 7 8 9 SECONDA PARTE 10 11 12 13 14 15 16
17 18 19 20 Epilogo Ringraziamenti
Ringraziamenti
Un grazie enorme ai miei genitori. Al loro sostegno e incoraggiamento. Ai loro insegnamenti e al loro amore incondizionato.
A mio fratello. Senza dubbio il migliore del mondo, o quantomeno del mio mondo. A Giada. Amica unica e insostituibile. Ad Alessandro. La mia ancora. A Lucrezia. Sorella non di sangue ma per scelta. A quei pochi amici che non mi hanno messa da parte quando avevo più bisogno di loro. A Sonia. Per avermi aiutata a raggiungere la consapevolezza di cui avevo bisogno e da cui ho preso ispirazione per il Dr. Menotti. A Simone. Per la bellissima copertina e la pazienza nel sopportare tutte le mie richieste. A quelli che non hanno mai creduto in me, che mi hanno delusa, ferita e sbattuto le porte in faccia. Be', grazie perché ora sono più forte di quanto potessi sperare. A te, che tempo fa mi hai detto: “Ehi, ma tu che leggi tanto non hai mai pensato di scrivere una storia?” Sì, l'ho pensato e alla fine l'ho anche fatto! Infine, un grazie a tutte le persone che leggeranno la storia di Luce. Alle loro critiche, ai loro suggerimenti e (spero) anche ai loro complimenti. Nell'ultimo anno ho scoperto diverse cose, tra cui che sognare fa bene alla salute.
Questo libro è il mio piccolo sogno diventato realtà. E la mia salute è certamente migliorata!
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Le altre mie storie, disponibili in tutti gli store: "E se fosse destino" e "Amami oltre le paure"