Marco Ismaili
RICORDATI DI ME
Youcanprint Self - Publishing
Titolo | Ricordati di me Autore | Marco Ismaili ISBN | 9788891146489 Prima edizione digitale: 2014
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Questo libro lo dedico a Giovanna Ratti, Giulia Gelmi e Matteo. Grazie a loro ho avuto la forza e il coraggio di andare avanti a scrivere questo libro, loro mi hanno dato la spinta nel finirlo, dicendomi che potevo farcela, dicendomi che io parlavo alla carta e che il mio sguardo vede ciò che gli altri non possono vedere, e che io potevo vedere oltre. Grazie per la fiducia e per la vostra amicizia senza di voi non ce l'avrei mai fatta.
Tutto dobbiamo ancora vivere veramente ma nessuno sta ancora imparando.
Capitolo 1
Il cielo è completamente ricoperto di nuvole, il vento inizia a farsi sentire, il silenzio della gente è cosi frustrante. Erano già ati dieci minuti, ma continuammo a camminare per il cimitero. Dietro di noi una lunga fila di persone tristi e sconvolte. Non mi aspettavo cosi tanta gente. È mia moglie a conoscere la maggior' parte di essa. Anzi, era mia moglie. Verbo ato. Quando eravamo ormai vicini, guardai i miei figli. Charlie e Madison. Li tenevo per mano, guardando davanti a me, guardando la tomba di mia moglie. Chiedendomi come potevo farcela, come potevo gestire due ragazzi tutto da solo? Come potevo gestire la malattia di mio figlio Charlie? Sono cosi arrabbiato con te Isabel. Perché l'hai fatto? Perché?. Le lacrime iniziarono a scendere, feci in modo di ricacciarle dentro. Non volevo che i miei figli mi vedessero cosi. Quando il prete fini di parlare, Ana la cugina di mia moglie si avvicinò alla tomba, mentre l'abbassarono per seppellirla. Quella canzone che Ana inizio a cantare fu cosi bella e allo stesso tempo cosi irritante. La canzone che cantava era Amazing Grace. Mia moglie la adorava quella canzone, e prima che morisse, la ascoltava ogni singolo giorno. Mi chiese esplicitamente di metterla al suo funerale. Mia moglie soffriva di una malattia incurabile, l'alzheimer. Il tutto comincio, una mattina di novembre. Come ogni mattina, Isabel preparò la colazione ed io andavo a svegliare i ragazzi. Charlie aveva quattordici anni. All'età di tre anni, li avevano diagnosticato l'autismo. Io e mia moglie eravamo sconvolti, nel saper questa notizia, ma facevamo il possibile per rendere la vita di Charlie “normale”. Otto anni dopo venne al mondo la bellissima Madison, eravamo preoccupati che anche lei potesse aver riscontrato l'autismo, ma fortunatamente era sana, non per questo amavamo meno Charlie, entrambi li amavamo allo stesso modo. Entrai nella stanza di Madison, la vidi seduta per terra con una delle sue bambole preferite. Ne aveva molte di bambole, ma le Bratz erano quelle che usava di più. «Madison, scendi che e pronta la colazione, la mamma ti sta aspettando giù in cucina», si alzo di scatto e corse giù per le scale. Aprì la porta di Charlie era sveglio, sdraiato sul letto a fissare il soffitto, lo chiamai un paio di volte ma era come se non mi sentisse. «Charlie, Charlie» mi avvicinai al letto, lo fissai, poi lui si giro guardandomi per qualche secondo, «papà» gli sorrisi, «ciao Charlie, e pronta la colazione, hai dormito
bene?» annui con la testa, si alzo, e ci avviamo giù verso la cucina. Indossava quel pigiama azzurro con su i pupazzi che li piacevano molto, ormai Charlie era alto 1,74 con i capelli marroni scuro e occhi castani. E con quel' pigiama era cosi buffò. Quando arrivammo in cucina Charlie si sedette sulla sedia vicino a Madison, e li diedi il suo piatto. «Dannazione dove sono le chiavi del' auto, le avevo lasciate qui, vado a cercarle». La vidi girovagare per casa. «Ragazzi andate a prendere gli zaini». «Hai trovato le chiavi?» «che chiavi?» «le chiavi della macchina» «no! Perché dove sono?» «Amore va tutto bene?» «Si!» «Mi avevi detto che andavi a cercare le chiavi del' auto, perché non le trovavi più» «le ho lasciate in borsa». La guardai un po' stordito, ma pensai che fu solo stanca. Nei giorni seguenti iniziai a preoccuparmi, mi accusava di spostare oggetti, (tipo la pianta di sua nonna) in altri posti, gli dissi che non spostavo niente e che tutto rimaneva sempre allo stesso posto. Stavo uscendo di casa quando senti Isabel chiamarmi. «Matthew, Matthew» «Si dimmi» «mi prendi la crema per le mani» «certo». Quando tornai sali verso il bagno, sentivo scorrere l'acqua pensai che c'era mia moglie, apri la porta ma non c'era nessuno, furioso chiamai Isabel. «Isabel, dove sei?» girai per tutta la casa ma non c'era. Iniziò a squillarmi il cellulare, e l'educatrice che aiuta Charlie dopo la scuola. «Salve sono la Signora Smith, dovete venire a prendere Charlie» «Doveva are a prenderlo mia moglie» «mi dispiace Signor Evans, ma sua moglie non e arrivata» «arrivo subito» «Madison sali in macchina, andiamo a prendere Charlie». Mentre mi dirigevo a prendere Charlie, provai a chiamare Isabel, ma il telefono continuo a suonare a vuoto. Quando tornammo a casa vidi mia moglie in cucina a preparare la cena. «Perché non sei andata a prendere Charlie?» «perché! dovevo andarlo a prendere?» «Perché toccava a te oggi, andarlo a prendere dalla signora Smith» «smettila non e vero» «tu dovevi andarlo a prenderlo, non io. Mi dici perché non rispondevi al telefono? E dove diavolo sei stata?» «Non lo so, sono andata in giro, e smettila di aggredirmi» «amore domani ti porto dal dottore». La sera mi ricordai di aver lasciato la crema sulla mensola della cucina, la presi e mi dirigei verso il bagno, apro l'astuccio di mia moglie dove tenne le creme. Quando la apri dentro c'erano altre dieci creme per le mani della stessa marca tutte uguali, a come l'avevo presa io. Guardai dalla sogna della camera mia moglie che ormai stava già dormendo, e mi chiesi cosa li stava succedendo. Quella notte non riusci a dormire bene, continuai ad avere un pensiero fisso su
quello che stava succedendo a mia moglie. La prima volta che ai la notte in bianco fu per Charlie, che non stava bene per delle crisi che gli erano venute. La mattina seguente portai Isabel dal nostro medico di famiglia, il dott. Bennett, dopo aver' lasciato i ragazzi a scuola. «Salve dott. Bennett» «Isabel, Matthew» dopo esserci stretti le mani ci accomodammo sulle sedie. «Allora che succede?» «mia moglie si comporta in modo strano, si dimentica le cose a volte e confusa e diventa improvvisamente aggressiva» «dottore mio marito la sta facendo più grave di quello che e» «Isabel siediti sul lettino che ti faccio dei controlli» «dottore non e necessario» «Isabel». La guardai negli occhi, e lei mi fece la linguaccia, sbuffò e si sedette sul lettino alle nostre spalle. La stanza e molto accogliente, quando entrai nello studio notai subito il quadro appeso sul muro sopra la scrivania, le mura sono colorate di un arancione aspro, la scrivania e di legno chiaro con qualche tonalità più scura, sulla scrivania ci sono delle cartelle impilate uno sopra l'altra con accanto delle biro, un telefono fisso, con vicino una cornice della sua famiglia. Sulla finestra ce una pianta con le foglie che cadevano accanto al lettino su qui era seduta Isabel. Il dottore torno al suo posto, ed Isabel fece lo stesso. «non ce niente di strano ma vorrei comunque che Isabel fe una risonanza magnetica, mi sono accorto che ogni tanto i tuoi occhi anno degli strani scatti». «Dottore mi sta facendo preoccupare» «fin che non vedo i risultati delle analisi non posso sapere che cosa può essere». «Grazie Dott. Bennet, arrivederci». Lasciai mia moglie al lavoro. «Ti vengo a prendere quando hai finito» «guarda che posso farcela benissimo da sola a venire a casa, non sono ancora cosi stupida» «amore sai che non lo penso» «bene allora non trattarmi come se lo fossi» chiuse lo sportello sbattendolo forte e se ne andò, la fissai entrare nella scuola materna dove lavorava. Isabel lavorava come maestra da vent'anni e tutti quelli che la conoscevano la adoravano, riaccesi il motore e ripartì.
Capitolo 2
Sul lavoro ero completamente distratto e i collegi l'avevano capito, mi chiesero se andava tutto bene. «No! Non va bene niente, non so che cosa abbia mia moglie, e da qualche settimana che si comporta in modo strano». «Non preoccuparti, sarà solo stanca o stressata». George Powell, sapeva sempre come rassicurarmi o tirarmi su il morale. Erano ormai quindici anni che lavoravo nello studio medico come pediatra, al Free Medical Beam. quando fini di lavorare, andai a prendere Charlie e Madison a scuola, e poi Isabel al lavoro. Per tutto il viaggio di casa Isabel non disse una parola. Nei giorni seguenti fu confusa ed ebbe sbalzi d'umore. Iniziai a pensare che potesse essere incinta, i suoi sbalzi d'umore divennero frequenti, il problema e che li vennero per cose banali. Un pomeriggio Madison lascio qualche gioco sparso per casa, «Madison, Madison vieni subito giù, quante volte ti ho detto di non lasciare i giochi in giro per casa». Madison aveva il viso triste e stava quasi per piangere, «scusa mamma non lo farò più» Madison prese i giochi e corse verso la camera piangendo, dopo qualche minuto Isabel o davanti alla camera della piccola Madison la vide seduta sul letto con le sue bambole, tutta triste, «va tutto bene piccola» «sei ancora arrabbiata con me mamma?» «no tesoro perché dovrei essere arrabbiata» «perché mi hai sgridato per i giochi» «io non ti ho sgridato» «si mamma prima, giù di sotto» Isabel fisso sua figlia che ricomincio a giocare con le sue bambole, si alzo dal letto e si dirisse in bagno, chiuse la porta alle sue spalle e chiuse a chiave, si fisso allo specchio per qualche istante chiedendosi cosa li stava succedendo inizio ad avere paura. Nei giorni seguenti fu tutto tranquillo, Isabel ed io andammo al Center Hospital Collins per la visita di Isabel. Erano le dieci e trenta quando chiamarono Isabel dentro a fare la risonanza magnetica, io rimasi nella sala d'aspetto per circa venti minuti. Quando Isabel torno fuori arono altri venti minuti, prima che il medico ci chiamo nel suo studio per darci i risultati. «signori Evans, salve io sono il dottore Sanders, accomodatevi. Signori Evans purtroppo non ci sono buone notizie». Guardai Isabel e mentre la fissavo negli occhi notai un po' di paura, come del resto avevo anche io. «Di cosa si tratta dottore?» il medico guardo Isabel in silenzio per qualche secondo e fece un respiro di rammarico. «Signora Evans le abbiamo diagnosticato l'alzheimer» un improvviso vuoto dentro di me, non riuscivo a pensare a niente, non sapevo che emozioni stavo
provando, anzi pensavo di non averne più di emozioni mi sentivo come un vegetale, avevo lo sguardo perso nel vuoto, quando improvvisamente senti mia moglie piangere, mi voltai per aiutarla a calmarsi. Non sapevo cosa dire, non sapevo come comportarmi, non sapevo come affrontare questo nuovo problema. Pensai per un istante se dio ci stava punendo, e perché ce l'aveva con noi?. «Si può fare qualcosa?» facevo fatica a parlare ma Isabel aveva bisogno di me. «Si potrebbe presc vergli qualche medicinale?» «la malattia e avanzata non si può fare molto, vada dal suo medico di famiglia e si faccia prescrivere questi medicinali. E gli dica che sua moglie ha il morbo d'alzheimer avanzato». «Ma dottore come e possibile che una donna di quasi quarantanni, possa avere una malattia che viene diagnosticata alle persone sopra i sesanta anni» «signor' Evans e molto meno comune che succeda al età di sua moglie, può essere che sia genetica, sa se i suoi genitori ho qualche parente abbia riscontrato questa malattia?» «non che noi sappiamo», «vada dal suo medico ed inizi a fargli prendere qualche medicinale». «Ok! Arrivederci dottor' Sanders». Ci alzammo, il dottore diede la mano a Isabel e la saluto, poi la diede a me mentre stavamo uscendo il dottore mi chiamo. «Signor' Evans» mi girai. «Non perda di vista sua moglie, la controlli costantemente» feci segno di si con la testa e lo salutai. Nei mesi seguenti Isabel peggioro, era come se le medicine che ci a prescritto il medico non facevano effetto. Andai a prendere Isabel al lavoro, era il quindici marzo, la vidi ferma davanti al ingresso della scuola materna, le suonai il clakson ma lei rimase ferma a fissarmi, scesi dal auto. «Amore vieni dobbiamo andare» niente era ferma, continuava a fissarmi immobile, «Isabel va tutto bene?» piano piano mi avvicinai, «Isabel andiamo» quando mi avvicinai la stavo per prendere per una mano, ma lei indietreggio, la guardai preoccupato «Isabel» «io non vengo con te, non ti conosco» a quelle parole era come se mi avessero appena sparato in pieno petto. «Amore sono tuo marito» «tu non sei mio marito» altre parole che mi ferirono come un proiettile, le urla che stava facendo Isabel, fecero spaventare una donna che si avvicino a chiedere se era tutto a posto, ma poi mi accorsi che la donna che si era avvicinata era keyla, una collega di lavoro di mia moglie, gli dissi quello che stava succedendo, «facciamo cosi Matthew, Isabel stara con me fin che non tornerà in “se” e poi ti chiamo per venirla a prendere, va bene?» «certo va bene, ma se dovesse peggiorare chiamami subito» «si ok» rimasi fermo a fissarla andare via con Keyla, mettendomi la mano al collo, con qualche lacrima che mi scivolo sul volto, quando la vidi salire sul auto della sua collega io sali sulla mia, rimasi seduto sul sedile a non fare niente, quando iniziai a tirare pugni sul volante e poi crollai in un pianto. Charlie iniziò ad intuire che stava succedendo qualcosa a sua madre, e nei giorni
successivi era ingestibile non disse più una parola da quando Isabel non lo riconobbe più. Fu una giornata pessima fuori stava piovendo, i tuoni si facevano sentire, pensai che Charlie potesse avere qualche crisi, i lampi si facevano largo tra le finestre di casa. Charlie era seduto sul divano davanti alla TV. Senti un urlo capi che era Charlie, scesi di corsa le scale vidi Charlie muoversi avanti e indietro sul divano coprendosi la testa con le mani, pronunciando parole incomprensibili, mi girai e vidi mia moglie contro la parete del muro, vicino alla porta d'ingresso. «Isabel che succede» mentre mi sedetti vicino a Charlie stringendomelo tra le braccia continuando a muovermi avanti e indietro sussurrandogli che andava tutto bene. Isabel iniziò a urlare, «chi e quel' ragazzo mandalo via, mandalo via» «Isabel basta!» sapevo che avevo sbagliato a urlargli dietro ma Charlie continuo ad agitarsi. Isabel impallidì, rimase ferma a fissarci per qualche istante, «ma tu chi sei?, dove sono?» aprì la porta di casa e corse fuori, avevo gli occhi sbarrati, non potevo farcela non ancora, no! Dissi a Madison di stare con Charlie, per un attimo e che sarei arrivato subito, sapevo che non potevo lasciare una bambina di otto anni con Charlie. Corsi dietro a Isabel la vidi camminare lungo il marciapiede completamente confusa, «Isabel, Isabel fermati» pioveva a dirotto ed entrambi eravamo già bagnati fradici, riusci a raggiungerla, «vattene via» le macchine sfrecciarono al impazzata, quando Isabel corse in mezzo alla strada, le auto iniziarono a suonare, «Isabel torna qui» eravamo a piedi nudi, io ero in maniche corte e jeans, ed Isabel era in maglietta e gonna «isabel ti prego torna qua» «vattene io non ti conosco» «sono tuo marito dannazione» «non e vero, io non sono sposata, non sei mio marito» corsi in mezzo alla strada e riusci a prenderla, la tenni ferma tra le braccia, aspettai che qualche macchina si fermasse o almeno di riuscire a are, quando riuscimmo ad arrivare sul marciapiede Isabel continuò ad agitarsi provai a tenerla ferma, le presi le braccia stringendole forti con le mani, «lasciami mia fai male, smettila» «basta! Basta ora Isabel» iniziai a scrollarla leggermente, «guardami, Isabel guardami, io sono tuo marito e ti amo. A casa ci sono i nostri figli da soli, e dobbiamo andare da loro» «mi ami?» «si Isabel io ti amo, ma ora andiamo a casa» «va bene». Tornati a casa vidi Charlie e Madison seduti sul divano davanti alla TV, chiusi la porta d'ingresso alle mie spalle, e portai su Isabel, salimmo le scale e la portai nel bagno nella nostra camera, accesi l'acqua per farle fare un bagno, e le dissi di spogliarsi che arrivavo subito, scesi per mandare a letto i ragazzi, accompagnai Charlie e Madison nelle proprie camere, «o dopo a trovarvi» tornai da Isabel, dopo che fini di fare il bagno la aiutai a mettere la vestaglia, era completamente confusa e stanca la misi a letto e si addormento in pochi minuti,
«scusami amore se ti faccio “soffrire”» «no amore va tutto bene» «ti amo» «ora dormi» dopo che si fu addormentata andai a vedere Madison. La guardai ed era sveglia, «grazie per avermi aiutato, ti voglio bene piccola» «anche io ti voglio bene papà, buona notte» «notte tesoro» le diedi un bacio sulla fronte, rimboccandogli le coperte, e usci. Apri la porta della camera di Charlie, stava dormendo, li diedi una carezza spostandogli i capelli dalla fronte e li diedi la buona notte e chiusi la porta. Scesi le scale dirigendomi in cucina, era tutto buio, ormai erano già le dieci ate, non accesi la luce mi sentivo senza forze, mi sentivo debole, mi sentivo esausto, mi sentivo cosi frustrato da tutta questa cazzo di situazione, mi accasciai per terra con la schiena contro il mobile della cucina vicino al forno. Iniziai a piangere disperatamente e feci come Charlie, mi misi le mani sulla testa e continuai a piangere senza fine. La mattina seguente chiamai il lavoro di Isabel, rispose Keyla «ciao sono Matthew, volevo avvisarvi che Isabel non verrà al lavoro per qualche giorno» «non ci sono problemi per noi va bene, spero che nei prossimi giorni stia meglio» la sua voce e cosi dolce e piena di premura. Decisi che era meglio se Isabel stava a casa per un po' almeno fin che il dottore non mi diceva cosa potevo fare.
Capitolo 3
Charlie non diceva più una parola da quando Isabel non l'aveva più riconosciuto, provai in tutti i modi a farlo parlare ma nulla, anche alla sua educatrice la sig. Smith non parlava più. Quando Isabel torno in “se” provo a parlare con Charlie, ma non cambio niente, Isabel peggioro mese dopo mese, il medico mi consiglio di portarla in una di quelle strutture apposta per le persone affette d'alzheimer gli dissi di no, che non avrei mai portato mia moglie in un posto del genere, e di trovare un altra soluzione. «mi dispiace Matthew, non ce nessuna soluzione, purtroppo sua moglie e allo stadio avanzato e non ci sono cure, abbiamo provato a darvi i migliori medicinali ma con nessun successo» «mi sta dicendo che non ce niente da fare, e che ogni volta che avrà degli attacchi di confusione dovrò gestirmela senza nessun risultato» «mi dispiace Matthew posso capire come si sente» senza accorgermene la mia voce si alzo di otto ottave. «no! No lei non può immaginarlo, non può capire quello che provo io, quando mia moglie non mi riconosce più, ho quando non riconosce uno dei miei figli» uscì sbattendomi la porta dietro le spalle e mi avviai verso casa. Ero al lavoro, stavo visitando un bambino di cinque anni, che aveva la broncopolmonite, quando venne a bussare alla porta la segretaria dello studio. E molto graziosa, ha i capelli rossi, di altezza media e minuta, la cosa che mi piaceva di Megan e che si vestiva in un modo stravagante, ma come segretaria era perfetta. «Matthew e la scuola di Charlie, dicono che devi andare a scuola e che e urgente» «digli che arrivo subito, e chiamami dentro la mamma del piccolo» «va bene» «allora suo figlio sta bene, gli dia degli antibiotici, lo faccia riposare per un po' di tempo, e gli dia da bere molta acqua». Salutai il bambino, dandogli una carezza sui capelli arruffandoglieli tutti, e diedi la mano alla madre. Quando se ne andarono presi la giacca che avevo messo sulla sedia e corsi verso l'ascensore, dirigendomi al parcheggio tirai fuori dalla tasca le chiavi, e mi avviai verso la scuola. Arrivato a scuola mi mandarono nel ufficio del preside, quando aprì la porta mi trovai Charlie seduto di fronte al preside in silenzio muovendosi piano avanti e indietro, «si accomodi sig. Evans» li porsi la mano e mi accomodai vicino a Charlie e li misi una mano sulla spalla per tranquillizzarlo. «sig. Evans suo figlio e da qualche settimana che non parla più, e sta sempre da
solo, non prova ad integrarsi con gli altri alluni della sua età» «lei sa che mio figlio e autistico, e purtroppo negli ultimi mesi se chiuso in se stesso, e secondo me invece di farlo finire nel suo ufficio, e meglio che gli diate una mano a socializzare» «noi non siamo quel' genere di scuola» «con questo cosa vuole dire, che devo mandare mio figlio in una scuola adatta a lui?, non e quello che li serve» «be a quanto pare sig. Evans invece si» «senta non si permetta di venirmi a dire quello che e meglio per mio figlio» «si calmi sig. Evans» mi alzai di scatto dalla sedia e presi Charlie per la mano, «lei deve imparare a fare il suo lavoro, e aiutare insieme agli insegnanti, a far si che i ragazzi come Charlie vengano aiutati ad integrarsi invece di giudicarli» uscì dal ufficio senza salutarlo, ero furioso ma dovetti controllarmi per parlare con Charlie. Mentre eravamo in auto provai a parlarci ma non disse una parola, ma sapevo che mi ascoltava. «Charlie parlami, sai che la mamma ti vuole bene, solo che non sta molto bene in questi giorni, ed e per questo che dobbiamo starli vicino». Charlie balbetto qualcosa. «cosa Charlie?» «ho pa-u-ra» «paura di cosa?» mi chiesi perché balbettava, Charlie sapeva parlare benissimo, capitava di rado che balbettasse, ma era successo solo quando era piccolo. «pa-pà non vo-gli-o che su-cc-e-da qu-alc-osa alla ma-mma», «Charlie alla mamma non succederà niente capito» vidi dallo specchietto retrovisore che annuì, e si giro a guardare fuori dal finestrino per tutto il viaggio. «ti voglio bene Charlie» quando arrivammo a casa c'era Ana la cugina di Isabel, con Isabel sedute in cucina, salutai Ana e Isabel, e mandai Charlie in camera sua a lasciare giù lo zaino. «Ana, ti vuoi fermare qui a cena stasera?» «no, grazie Matthew o già preso altri impegni, sarà per un altra volta, Matthew mi accompagni alla macchina» «certo, Charlie vieni a salutare Ana» mentre Charlie scendeva dalle scale Ana saluto Isabel «ci vediamo domani Isabel» Ana saluto anche Charlie che poi si andò a sedere sul divano a guardare la TV. Accompagnai Ana al auto, «Ana va tutto bene?» «si, si Matthew solo che e difficile vederla cosi, oggi mi parlava tranquillamente, poi mi guardava confusa come se non mi riconoscesse» «posso capirti ma mi devi aiutare so che per te non e facile vederla in quelle condizioni, ma io non posso farcela da solo. Non posso farcela a gestire sia la malattia di Charlie e quella di Isabel» le lacrime iniziarono a scendermi in viso, scavandomi il volto. Non ce la facevo più, e Ana mi capiva, potevo liberarmi con lei, ma non volevo dargli troppo peso, già tiene Isabel tutto il giorno quando io sono al lavoro, ma era anche l'unica a capire come mi sentivo. Mi asciugo le lacrime e mi abbracciò. «Matthew andrà tutto bene e poi starai meglio» «e quello che dico io hai miei figli» «e fai bene a dirglielo perché sarà cosi» «smettila Ana, sappiamo tutte e due che Isabel non migliorerà» mi diede una una carezza sul volto e mi asciugo le lacrime, che continuarono a scendere. «grazie Ana per l'aiuto che mi stai
dando, non potrò mai ringraziarti abbastanza» scosto la testa di lato mi guardò e sorrise, mi saluto e sali in auto, tirò giù il finestrino e con la mano saluto, mi accorsi che sulla sogna della porta di casa c'era Isabel. E ato un anno dalla malattia di mia moglie, un anno pieno di ansia, frustrazione, rabbia, angoscia, irritazione, dolore, paura. Un anno fatto di pianti interminabili accucciato nel angolo della cucina a notte fonda. Non ce la facevo più, ero completamente senza forze, ero esausto, ed ebbi la sensazione di stare per avere un esaurimento nervoso. Ma quando certe notti guardavo i miei figli dalla sogna delle loro camere, sapevo che dovevo rimanere “stabile”, perché sapevo che loro avevano bisogno di me, come io di loro. Le crisi, e i vuoti di memoria erano sempre più frequenti, ed iniziarono a venirgli in qualsiasi momento, come la sera sul tardi. Eravamo tutti a letto, io ero giù in cucina contro il mobile, vicino il forno nel buio più totale a piangermi addosso come ormai facevo tutte le sere, senti dei i scendere le scale, alzai la testa asciugandomi le lacrime, notai che era Isabel, mi chiesi cosa ci faceva sveglia a questa ora della notte, accese la luce. «Isabel» si volto e mi fisso per qualche istante. No! Ormai sapevo benissimo quella sua espressione cosa volesse significare. «Isabel sono Matthew» ormai quelle parole mi rimbombarono nella testa e le pensavo anche quando non ce nera bisogno, mi avvicinai piano verso di lei, con uno scatto corse su per le scale, li corsi dietro ma riusci a chiudersi la porta dietro di se, provai ad aprire ma aveva chiuso la porta a chiave. Inizio ad urlare, sapevo che i ragazzi che dormivano l'avrebbero sentita. Continuai a picchiare sulla porta, «Isabel esci» «lasciami stare. Aiuto! Aiutatemi» «Isabel calmati, sono io Matthew» vidi Madison sulla porta della camera, impaurita. «Madison vammi a prendere il telefono» annuì con la testa e corse in camera mia, non sentivo più Isabel avevo una strana sensazione. «Isabel, Isabel, rispondi Isabel» con il cordless, feci il numero di Ana con le lacrime agli occhi e la voce roca, rotta dai singhiozzi, «Ana vieni subito ti prego» non mi disse nulla sapeva che centrava Isabel «arrivo» riattaccai. Madison era sulla sogna della sua camera, e notai anche Charlie che mi fissava spaventato. «Charlie vai in camera tua. Madison vai a dormire con Charlie» pensai che fosse una buona idea che Madison dormisse con Charlie almeno cosi se sentiva qualche rumore stava più tranquillo. Quando i ragazzi entrarono in camera, continuai a battere alla porta ma senza nessuna risposta, «Isabel, Isabel rispondi, parla Isabel» niente silenzio totale. Sentì la porta del ingresso aprirsi, immaginavo che era Ana perché era l'unica ad avere la coppia delle chiavi della casa, «Matthew, Matthew» «Ana sali sono su» quando la vidi salire gli ultimi gradini delle scale mi accorsi che era in
pigiama, ma era sempre bella anche se era un po' assonata. Aveva i capelli tutti arruffati e i ciuffi disordinati, la fissai per qualche istante e li sorrisi per quanto era buffa, sulla maglietta aveva un orsacchiotto e i pantaloncini che indossava ci sono disegnati dei fiori, non l'avevo mai vista cosi e per questo continuavo a sorridere come un ebete. «Matthew che succede» «ero giù in cucina, quando vidi Isabel scendere dalle scale, gli chiesi cosa ci fe sveglia a questa ora della notte, ma lei non rispose, e li comparve quella espressione del volto» «quale espressione Matthew?» «quella espressione di quando non si ricorda di niente e di nessuno» «Matthew calmati, e spiegami perché sei qui fuori dalla porta del bagno?» «perché se chiusa dentro, ed a iniziato ad urlare di andarmene, e urlava aiuto». Gli dicevo di calmarsi, poi al improvviso non lo più sentita, non parlava più. «Isabel sono Ana apri la porta» silenzio. Fissai Ana preoccupata e lei cambio lo sguardo. Capimmo entrambi cosa era necessario fare indietreggiammo, ci guardammo di nuovo. «pronta Ana?» lei annui con la testa ma io non ero pronto, non ero pronto a sapere cosa avrei visto dietro quella porta.
Capitolo 4
Chiusi gli occhi, feci un respiro quel ultimo respiro che mi spezzo dentro, li riapri e diedi una spinta alla porta. Si spalanco, io ed Ana vidimo Isabel sdraiata per terra, rimasi immobile davanti a quella scena ancora attaccato alla porta, mentre senti un urlo quel urlo che mi attraverso il corpo. «Isabel, Isabel» era Ana, si inginocchio a vedere cosa era successo, mi ripresi e guardai il lavandino dove vidi varie pillole e notai i flaconi vuoti erano più di due, rimasi basito da quante pillole potrebbe avere ingerito, mi misi una mano nei capelli ed inizio a scendermi qualche lacrima. Guardai Isabel a terra incosciente e notai Ana che mi chiamo, ma era come se non la sentissi. «Matthew, Matthew guardami, Matthew. Merda». Ana si alzo e mi scrollo, con la mano mi prese il viso e me lo sposto verso il suo volto. «Matthew non e il momento di piangerti addosso, Isabel a bisogno di te ed anche i tuoi figli. Hai capito?» annui un po' stordito, «Matthew rispondimi, hai capito?» «si, ho capito» «bene allora chiama l'ambulanza» mi diressi verso la camera e presi il cordless, avevo mille pensieri per la testa ma dovevo calmarmi, aveva ragione Ana, i miei figli anno bisogno di me. senti una voce dal altra parte del cordless, e una donna con una voce cosi angelica e armoniosa che mi calmo un po'. «pronto soccorso Hospital Collins» «salve mia... moglie...» non riuscivo a parlare. «Signore mi dica cosa e successo» «mia... mia moglie, a ingerito delle pillole ed ora e sdraiata in bagno incosciente» «signore sa quante pillole a preso?» «ha ingerito quasi due flaconi di pillole, abitiamo al Harlem street 3754. venite subito». «Si signore, le mandiamo subito un ambulanza» riattaccai e tornai in bagno. Ana era ancora accasciata a terra vicino ad Isabel. «Ora cosa faccio Ana?» «che intendi nel dire che cosa fai?» «i bambini, cosa li dico, cosa faccio con loro, e se lei dovesse...» non riusci a finire la frase. «Matthew, Isabel non morirà». «Come fai a saperlo» «lo so perché spero con tutta me stessa che non le succeda niente, e dovresti farlo anche tu» iniziammo a sentire il rumore della sirena avvicinarsi sempre di più, Ana si alzo e si avvicino a me. «Matthew quando arriva l'ambulanza a prendere Isabel tu vai in ospedale con loro ed io rimango qui con i ragazzi, e penso io a loro e a tutto il resto della casa» grazie Ana, grazie per tutto questo, non potrei mai farcela da solo» «non preoccuparti Matthew, per me Isabel e come una sorella e questo lo faccio senza problemi» «ma sei in pigiama, come farai per cambiarti?» «metterò qualche abito di Isabel, se per te non e un problema» «no tranquilla». Scesi le
scale per fare strada hai medici e accompagnarli in bagno, la presero e la misero sulla barella, e la scortarono sul ambulanza, sali anche io e vidi Ana sulla sogna di casa mentre l'ambulanza si allontano. Io e Ana decidemmo di rimanere in contatto se fosse successo qualcosa. La mattina seguente preparai la colazione per i ragazzi, ero molto assonata ma mi feci una doccia per svegliarmi, e per tutta la notte mi sono bevuta più di un litro di caffè, arrivai nella stanza di Charlie e notai che nel letto insieme a lui c'era la piccola Madison, e si tenevano per mano, li svegliai con dolcezza e calma. Mi avvicinai al letto e scrollai con dolcezza Charlie e poi Madison, dopo qualche istante si svegliarono con un espressione perplessa come se stessero pensando “e lei che ci fa qui”. Anzi ero sicura che lo stavano pensando. Madison piano piano apri i suoi occhi da cucciola, i suoi occhi sono cosi belli di un colore verde accesso, con i capelli lungi e neri, assomigliava tutta a Isabel, mi guardò senza togliere il suo sguardo dal mio. «dove papà» notai che anche Charlie mi stava fissando, ma quando se svegliato?. Non sapevo cosa dire, non volevo dirgli una bugia, ma non mi sembrava nemmeno il caso di dirgli la verità. «papà e con la mamma a fare delle visite in ospedale torneranno presto, ma per oggi vi porto io a scuola», «la mamma non sta bene?» li guardai pensando a cosa poterli dire, ma Madison aveva già intuito che qualcosa non andava, a solo otto anni ma era già molto in gamba. «la mamma e andata in ospedale perché non sta bene, e papà la portata per fargli fare delle visite ma la mamma stara meglio» spostai i capelli di Madison dalla fronte, Charlie si tiro su per mettersi seduto, «morirà? La mamma morirà?» guardai Charlie in silenzio per qualche secondo, “cazzo, e adesso cosa li dico?”. Matthew quella notte mi chiamo dicendomi che i medici stavano facendo a Isabel la lavanda gastrica, pianse per tutto il resto della telefonata, quando mi riattacco eravamo d'accordo che mi avrebbe richiamato per farmi sapere come stava Isabel, ma nulla, non mi chiamo più. E adesso non sapevo se era morta oppure viva. «no Charlie, la mamma non morirà, stara bene arriverà a casa presto» scrollai i capelli di Charlie e sorrisi sia a lui che a Madison. «Hey ragazzi non voglio vedere quelle facce tristi, la mamma stara bene, ed ora scendete in cucina a fare colazione» diedi un bacio sulla fronte a tutti e due e scesi in cucina. Dopo qualche minuto vidi scendere i ragazzi, e li diedi la colazione. Quando i ragazzi erano già pronti con li zaini in spalla, Madison mi guardò divertita. «va tutto bene Madison? perché sorridi?» «Ana io entro a scuola più tardi stamattina, perché manca la maestra Limpepot». Feci un sorriso e pensai a Matthew, e al fatto che non mi aveva detto niente ma non potevo fargliene una
colpa. «Madison Rose Evans, non mi starai prendendo in giro?» la guardai dritta negli occhi, e lei annui facendo il segno con la testa di no, come potevo non credere a quella bambina, con quei occhi color' smeraldo e quelle guanciotte paffutelle. Salimmo in macchina e portammo Charlie a scuola, dopo averlo lasciato, mi dirigei verso casa mia con Madison, volevo cambiarmi d'abito non volevo che Matthew mi vedesse con gli abiti di Isabel, anche se era stato lui a dirmi che potevo, ma a me non sembrava il caso di farmi vedere cosi, mentre sua moglie e in ospedale, in chissà quale situazione. Arrivata a casa mi diressi verso l'ingresso con la piccola che mi teneva per mano. Avevo buttato tutti i miei vestiti sul letto dove cera seduta Madison, che rideva come una stupidina, alla fine decisi di mettermi un paio di jeans con una maglietta lunga nera, che lasciava nuda la spalla sinistra, degli stivali marroni, con la giacca nera di pelle, ed una borsa color marrone chiaro. Notai Madison sul letto con le gambe incrociate che teneva in mano un vestito azzurro, e con indosso il mio capello rosa porpora da cerimonia, la guardai affascinata, era bella, e cosi graziosa con quel capello, sembrava una piccola principessa, ma con gli occhi pieni di paura. «Madison sei bellissima» «anche tu Ana» e tutte e due sorridemmo, «ti piace il capello vero?» sorrise timidamente e annui con la testa, pensai di regalarglielo tanto l'avevo indossato solo una volta, tanto tempo fa ad un matrimonio di una amica, che non mi stava nemmeno simpatica, mi avvicinai al letto e mi sedetti di fronte a Madison, «ti piace proprio questo capello vero» fece un sorriso, li diedi una carezza e glielo misi bene. «se lo vuoi te lo regalo» i suoi occhi si illuminarono, e da quella espressione capi che ci teneva veramente. «ora dobbiamo andare, che tra poco inizi la scuola» andammo in un bar avevo bisogno di caffeina, anche se ne avevo bevuta già troppa, «cosa vuoi bere Madison?» guardandola mi fece ridere, aveva ancora su il capello ed e cosi graziosa, «voglio la cioccolata» «sai cosa ti dico, anche io prendo una cioccolata, ma con su la panna con su gli m&m» salto sulla sedia contenta, «si... si... anche io... anche io per favore». Quando ci portarono le cioccolate rimasi sbalordita da quanto le tazze sono grandi, e dal enormità della panna e cioccolata ed m&m che misero. Lo stomaco mi brontolava e non avevo ancora messo il cucchiaino in bocca, quando alzai lo sguardo, vidi Madison tutta sporca di panna intorno alla bocca, le sorrisi e la pulì. quando aveva quasi finito la cioccolata, notai che il suo sguardo divento triste. «Che cosa hai piccola?» i suoi occhi diventarono sempre più cupi e tristi, e capi che voleva chiedermi di Isabel. «La mamma stara bene?» «Si, stara meglio, non ti devi preoccupare, tornerà a casa presto». Annui con la testa, ma i suoi occhi erano ancora pieni di tristezza e paura. Dopo aver lasciato Madison a scuola mi diressi in ospedale.
Capitolo 5
Arrivai al ingresso del Center Hospital Collins, chiesi alla donna del centralino dove era Isabel, ma non mi ascolto. Era la solita sciacquetta, bionda tinta con il seno in mostra, e con indosso un vestito che era più adatto mettere in uno street club che a un centralino del ospedale. «Mi scusi dove la stanza di Isabel Evans?» nessuna risposta, solo un cenno con la mano che diceva di aspettare. Li feci una smorfia, e mi avviai verso l'ascensore e chiamai Matthew, mi disse che era al quarto piano nella stanza 123. Entrai in ascensore e l'ansia inizio a farsi sentire, ero preoccupata nel sapere che notizia mi avrebbe dato Matthew. Arrivai davanti alla stanza di Isabel, rimasi li a guardarli per qualche minuto fin che Matthew si accorse che ero li in piedi sulla sogna. «Ana» si alzo e mi raggiunse, «Matthew come stai?» «andiamo a parlare nella sala d'aspetto» «come stanno i ragazzi?» «stanno bene, mi anno fatto qualche domanda, ma tranquillo non gli ho detto ciò che e successo, per non farli agitare di più di quello che sono già. Madison lo portata a casa mia per cambiarmi i vestiti e poi lo portata a scuola, visto che doveva entrare un ora più tardi» «oh maledizione, scusa me ne ero completamente dimenticato» «tranquillo e andato tutto bene, Isabel come sta?» mi guardo e scoppio in un pianto senza fine. Non sapevo cosa dirgli, lo presi tra le mie braccia, seduti su quelle sedie scomode della sala d'aspetto, li diedi una carezza sui capelli. Aveva il viso contro il mio petto, ed io avevo la maglietta bagnata, dalle sue infinite lacrime. Mi sembrava che fossero ate ore dal suo pianto, ma erano ati solo pochi minuti, non le dissi niente in quel momento, le parole non servivano, quel abbraccio diceva tutto, sentivo la sensazione che il tempo intorno a noi scorreva veloce e noi fermi li seduti immersi nel nostro dolore. Quando smise di piangere e tiro su il viso, i suoi occhi esprimevano, sofferenza, esasperazione, rabbia, paura. Non avevo mai visto Matthew cosi devastato, li accarezzai il viso, asciugandogli le guance bagnate, «Matthew devi riposare un po', vai a casa, ne hai bisogno» «no! Non posso lasciare Isabel» «ci sto io con lei, tu hai bisogno di farti un bagno caldo e riposarti per qualche ora» «va bene, ma come facciamo con i ragazzi?» «Matthew guardami» li presi la faccia con le mani, lo guardai negli occhi, «Matthew vai a casa penso io hai ragazzi e a Isabel, ora» «grazie Ana, grazie per tutto questo» «prego, ma ora vattene» era cosi bella quando mi dava ordini, le feci un sorriso divertito e mi diressi verso l'ascensore, mi voltai a
guardare Ana, anche lei mi guardo per vedere se me ne andavo, quando l'ascensore si aprì le sorrisi ancora, entrambi sapevamo che quel sorriso era di gratitudine, abbassai lo sguardo ed entrai. Matthew era cosi esausto da tutta questa situazione, che inizio a farmi preoccupare anche lui. Quando lo vidi entrare nel ascensore mi avviai nella stanza di Isabel, stava ancora dormendo, non chiesi a Matthew le condizioni di Isabel, non volevo rattristarlo di più, di come era già. Mi accomodai sulla sedia vicino al letto e presi la mano di Isabel, era presto per andare a prendere i ragazzi a scuola. Iniziai a parlarci non sapevo il perché e non sapevo nemmeno se mi sentiva, ma volevo fargli sapere che accanto a lei ce qualcuno. «ciao Isabel sono Ana tua cugina, come stai?» ma che domanda scema, quanto sono stupida, come posso dirle come stai, ma ce la fai Ana. «Isabel svegliati ci manchi, i ragazzi anno bisogno di te, anno bisogno della loro mamma, ti vogliamo tutti bene lo sai, vero? Svegliati Isabel, svegliati cosi torniamo a casa» appoggiai la testa sul letto stringendo le mani di Isabel. «signora, signora» senti qualcuno che mi scrollo delicatamente il braccio, alzai la testa, e un uomo alto e molto affascinante, mi fisso con una faccia divertita. Non sapevo cosa dirle, sapevo solo che mi sono addormentata e ho completamente i capelli in disordine, «si mi dica dottore» «salve io sono il dottore O'connor, posso chiedere chi e lei?» «io sono la cugina di Isabel, mi chiamo Ana Wilson» «piacere di conoscerla signorina Wilson» li strinsi la mano, era cosi calda, i suoi occhi sono cosi belli, sono neri di un nero intenso che mi dava la sensazione di qualche segreto, anche se il suo rapporto con le persone faceva capire che e una brava persona. «Dottore posso sapere come sta Isabel?» «le medicine che a ingerito anno rischiato di farla andare in arresto cardiocircolatorio, li abbiamo fatto una lavanda gastrica, ora sta meglio e ogni due ore veniamo a vedere se si sveglia» «ma si sveglierà o rimarrà cosi?» «no, dovrebbe svegliarsi tra qualche ora, o massimo tra qualche giorno» mi misi la mano sulla fronte e feci un grande respiro profondo, mi veniva da piangere vederla in quella situazione, ma non potevo crollare, Matthew e i ragazzi avevano bisogno di una persona stabile. Guardai Isabel e mi voltai di nuovo verso il dottore, li porsi la mano e ci salutammo. Quando il dottore se ne andò guardai Isabel, li diedi una carezza, «ciao Isabel». Erano ormai ate un paio d'ore , da quando rimasi con Isabel, era ora di andare a prendere i ragazzi a scuola, non volevo chiamare Matthew, volevo che riposasse e si stacco da tutta questa situazione. Quando presi i ragazzi da scuola li portai a casa, pensai di trovare Matthew ma non fu cosi, provai a chiamarlo mentre i ragazzi facevano merenda, ma continua a partire la segreteria. Iniziai a preoccuparmi, chiamai l'ospedale ma dissero che non cera, quando mi dissero che non era li iniziai ad avere paura, pensavo che era a casa a riposarsi. Perché non risponde al telefono?
Dove e andato? E perché non mi a detto niente? «Dannazione Matthew». mentre Charlie e Madison guardarono la TV ed io preparai la cena provai a chiamare Matthew per altre due volte, fin che non senti il rumore della chiave nella serratura. Quando entro saluto con baci e carezze i ragazzi, poi venne in cucina mi saluto ma non li risposi. Notai che Ana era arrabbiata, sapeva che ce l'aveva con me, ero sparito per ore senza dirgli dove ero, e tenendo il cellulare spento. «Ana parlami per favore». Sono cosi furiosa con lui ero preoccupata che li fosse successo qualcosa, sono troppo arrabbiata ma non potevo pretendere che si comportasse in un altro modo visto quello che stava ando. «Non voglio parlare con i ragazzi nel altra stanza, andiamo al piano di sopra» segui Ana per le scale fino in camera mia, «Ana so che sei arrabbiata per come mi sono comportato oggi, ma avevo bisogno di stare da solo» «posso capirlo che hai bisogno di stare da solo, ma non puoi sparire cosi senza dirmi niente, non e giusto per i ragazzi e ne i miei confronti» «cosa vorresti dire, che adesso che ci dai una mano devo dirti ogni cosa, e chiederti il permesso?» «Sai benissimo che non intendevo quello» mi accorsi che stavo iniziando ad alzare la voce, ma quando inizio a dirmi quelle cose mi fece arrabbiare. «devi prendere anche tu delle responsabilità verso i ragazzi Matthew, guarda che non sei l'unico a soffrire per quello che sta succedendo a Isabel» «smettila Ana, tu non sai quello che sto provando, ho quanto dolore io abbia, perciò se io voglio stare da solo da qualche parte lo faccio» «quello che stai provando Matthew, lo proviamo tutti, sia io che i tuoi figli, non sei solo ci siamo anche noi. E non puoi sparire quando vuoi, perché i ragazzi anno bisogno almeno di uno dei loro genitori, ed io non voglio che ti succeda qualcosa» perché non vuoi che mi accada qualcosa?» «perché Madison e sopratutto Charlie anno bisogno di te» «non e vero che anno bisogno di me, io non riuscirei a vivere senza di Isabel». Guardai Matthew e le lacrime iniziarono a scendermi mi avvicinai a lui, e li tirai dei pugni. «smettila, smettila, smettila, Matthew non voglio che dici cosi, non voglio perdere anche te, non voglio che ti succeda qualcosa». I pugni che tiro Ana, e il pianto che fece per tutta la serata, mi fece rendere conto che non poteva continuare a gestire questa situazione da sola. Quando smise di tirarmi i pugni la presi tra le braccia. Non avevo più le forze per tirarli i pugni, ne tanto meno per dirgli altre cose, appoggiai la testa contro il suo petto, continuando a versare lacrime che non riuscivo più a controllare, e ci sedemmo a terra tenendoci stretti tra le braccia l'uno del altro.
Capitolo 6
Eravamo in cucina a preparare la cena, e Matthew mi stava dando una mano con il sugo. Improvvisamente smise di girare il sugo e si volto a guardarmi, «che ce perché mi guardi cosi?» «Ana» oddio no! Non fare quello sguardo Matthew. «Si, dimmi» «Ana vuoi venire a vivere qui, per un po' di tempo?» «cosa??» «hai capito benissimo, ho bisogno di te qui, non posso farcela da solo, e non mi sembra giusto che tu debba fare avanti e indietro da casa tua a casa mia» «sei sicuro Matthew, non voglio essere un peso in più» «Ana ma smettila, non sei un peso, vuoi ho no?» «si, va bene, ma dobbiamo dirlo hai ragazzi e a Isabel» «hai ragazzi lo già detto e sono contenti, e a Isabel ci penserò io, ok» annui con la testa e chiamammo i ragazzi a tavola. Isabel era tornata a casa da una settimana, la situazione non cambio aveva i soliti sbalzi d'umore e continuo ad avere i suoi vuoti di memoria. Andammo ancora a fare altre visite, e non ci dissero niente di nuovo, niente era cambiato tutto come prima, Isabel aveva il morbo d'alzheimer avanzato e le medicine non avano fatto effetto. Ogni giorno e una sfida da affrontare, ma fortunatamente non la affrontavo da solo. Ana da quando si trasferì da noi e un grande aiuto, mi dava una mano con i ragazzi e con Isabel, ma i pianti al buio accasciato a terra appoggiato al mobile della cucina non mancarono, quelle notti da solo chiedendomi perché tutto questo capitava proprio a noi. Ebbene ora non sono più solo. Mentre scendevo le scale immerso nel buio, mi avvicinai alla cucina quando inciampai in qualcosa e mi ritrovai con il sedere a terra. «aaah, cazzo» «Matthew stai bene?» «Ana, che ci fai ancora sveglia?» «volevo stare un po' da sola» «cavolo ma almeno accedi la luce, mi stavi ammazzando» «scusa, e tu perché non hai la luce, mentre stavi scendendo?» «perché sei qua seduta al buio?» non rispose ma mi accorsi che stava singhiozzando. «Ana stai piangendo?» «si, scusami se ti ho fatto cadere, me ne vado in camera» «smettila di fare la stupida Ana, tu puoi stare qui quanto me» «ma non vuoi stare da solo?» «no, e meglio piangere in compagnia non credi» la guardai mentre si strinse le spalle, fece un sorriso, e gli asciugai le lacrime, rimasimo a fissarci per qualche istante. «e meglio che vado a dormire» mentre salivo le scale provai una strana sensazione, quando rimasimo a guardarci era come se provassi qualcosa. Rimasi immobile sdraiata sul letto,
fissa con lo sguardo sul soffitto, chiedendomi se stavo iniziando a provare qualcosa di più di una grande amicizia. Smettila Ana di pensare queste cose, lui e sposato ed Isabel e come una sorella per te, basta. Scrollai un po' la testa e mi voltai su un fianco, e chiusi gli occhi. Era ata qualche settimana, eravamo tutti a fare colazione, Isabel ebbe ancora un vuoto di memoria non riconobbe Charlie per quasi tutto il giorno. Ormai Charlie non parlava più. Questa mattina prima che i ragazzi andarono a scuola, Isabel chiamo Charlie che e fermo sulla sogna della porta d'ingresso, mentre Matthew li stava aspettando in auto. «Charlie» lui si volto senza dire una parola, «Charlie, questa e per te. Non togliertela mai, capito?» annui e gliela misi al collo. La collana che li diedi e una medaglietta come quella dei militari, e inciso sopra c'era scritto Ricordati di me! Lo guardai negli occhi, «ti voglio bene Charlie» li accarezzai i capelli e lo baciai sulla fronte, e lo salutai mentre saliva in auto. Mentre sistemavo un po' casa, chiesi a Isabel di aiutarmi, notai che in lei cera qualcosa di strano, non era quel espressione di quando stava per avere uno dei suoi attacchi, aveva uno sguardo che non avevo mai visto in lei, e da quasi tutta la mattina iniziai ad avere una strana sensazione. Dopo avere lasciato i ragazzi a scuola andai al lavoro, la mattina fu piena, ho tanti pazienti, stavo visitando un bambino di dieci anni, quando mi chiamo il capo. «Matthew nel mio ufficio» iniziai a preoccuparmi mi chiesi cosa potevo aver fatto, forse era perché chiedevo giorni di permessi, che poi si trasformavano in settimane, ho quando lasciavo lo studio a meta giornata, sempre per problemi familiari. Rimasi sorpreso quando mi chiamo direttamente il capo invece della segretaria. Entrai nel ufficio ci fissammo, notai che fece un sorriso. «Matthew congratulazioni sei il miglior pediatra di Houston city, e per questo volevo proporti un contratto per lavorare al Chicago Medical Of Junior, di Chiacago». Rimasi sbalordito da quella proposta, potevo immaginare la mia espressione da deficiente, mi ricomposi e tossi lievemente per schiarirmi la voce. «la ringrazio per la proposta, e lo sono grato per avere scelto me, per andare a lavorare in uno studio importante come lo quello di Chicago. Ma non posso accettare». A dire la verità volevo accettare, e già stavo saltando di gioia, ma dovevo rimanere con i piedi per terra e tornare alla realtà, non potevo sottoporre Isabel ad un cambiamento cosi improvviso. «Matthew, capisco il perché della decisione che hai preso, ma non voglio farti perdere questa buona opportunità, ed e per questo che ti darò qualche settimana per ripensarci». «La ringrazio» ma prima di finire la discussione mi squillo il cellulare, «rispondi pure, e pensaci bene prima di darmi una risposta» «certamente capo» corsi fuori
dal ufficio e risposi, capi che cera qualcosa che non andava. «Pronto Ana» «Matthew vieni subito a casa, corri» iniziai ad agitarmi corsi nel mio studio, presi le chiavi del auto e mi avviai al ascensore urlando alla segretaria di annullare tutti i miei appuntamenti e entrai in ascensore. Arrivato a casa avevo il cuore che mi batteva talmente forte da sentirlo uscire dal petto. Spalancai la porta urlando. «Ana, Ana dove sei?» «in bagno corri», sali le scale di corsa e mi trovai sulla sogna del bagno, e vidi Ana che teneva tra le braccia Isabel piena di sangue. «E morta» ero paralizzato sulla sogna del bagno, le lacrime continuarono a scendere e non riuscivo a respirare. «Isabel...» mi accasciai contro la porta del bagno. Guardai Matthew, era completamente distrutto, avevo tra le braccia sua moglie morta, con le vene tagliate. «Matthew, Matthew guardami» niente era completamente assente, «Matthew ascoltami sta arrivando l'ambulanza ti prego, aiutami» lo guardai ma non disse una parola, i suoi occhi sono fissi su Isabel, ma lui era come in coma. Charlie era in classe ad ascoltare la lezione di italiano, seduto al fianco di Cassandra, una sua compagna di scuola. Lei non era contenta di avere Charlie come compagno di banco, non li interessava della sua malattia, per lei Charlie era pazzo. Mentre ascoltava l'insegnante inizio ad avere una strana sensazione, inizio a capire che qualcosa non andava ebbe uno strano dolore allo stomaco, e fece fatica a respirare, e si prese la medaglietta tra le mani, ed inizio ad agitarsi. Cassandra chiamo l'insegnante e si sposto in un altro banco. L'insegnante si avvicino a Charlie e lo accompagno fuori classe, sapeva che se stava per avere una crisi non poteva farlo vedere dagli altri, quando lo porto fuori si appoggiarono al muro e inizio a muoversi compulsivamente avanti e indietro piangendo, tenendo la testa appoggiata al petto della professoressa che lo teneva tra le braccia. Quando l'ambulanza andò via notai Matthew seduto sul divano con lo sguardo fisso nel vuoto, dissi tutto quello che era successo prima di chiudermi la porta alle spalle. Dovevo andare a prendere i ragazzi tra circa mezzora e dovevo ancora pulire il bagno che era pieno di sangue, dalla vasca al pavimento. Mi avvicinai a Matthew e notai che era completamente sconvolto, mi sedetti vicino a lui e lo abbracciai, le parole non servivano ed infatti successe quello che pensavo scoppio in un esasperante pianto, lo tenni tra le mie braccia mentre lo accarezzavo un po'. Dopo un pianto frenetico e una fila di singhiozzi interminabili inizio a calmarsi, lo staccai un po' da me tenendolo per le braccia e guardarlo dritto negli occhi. «Matthew ascoltami, ora ti devi riprendere, nel frattempo che io pulisco il bagno tu ti devi risistemare, e tornare in te, so che questo e un momento difficile, ma tra poco dobbiamo andare a prendere i ragazzi a scuola» lui annui senza dire nulla. Mi alzai e andai nello stanzino a prendere
tutto il necessario per pulire il bagno.
Capitolo 7
Quando riusci a pulire tutto il bagno mi cambiai, perché mi ero sporcata di sangue mentre tenevo Isabel tra le braccia. Mentre mi cambiavo chiamai Matthew un paio di volte ma senza nessuna risposta, capi che cera qualcosa che non andava dalla prima volta che lo chiami, scesi le scale di corsa con le scarpe in mano e notai la porta del ingresso spalancata, ed un biglietto sulla mensola della cucina. «Ana scusami se me ne sono andato cosi, ma ho bisogno di stare da solo, dillo tu hai ragazzi, di Isabel perché io non riuscirei a farlo, perdonami». Rimasi senza parole nel leggere il biglietto, mi accorsi che stavo tremando, pensai che non poteva averlo fatto veramente. Ero in macchina davanti alla scuola quando vidi uscire Madison e Charlie, arrivarono verso di me, «ciao ragazzi, e andato tutto bene a scuola?» Madison fece un sorriso urlando un grande si, Charlie invece annui lievemente con la testa. Arrivati a casa li mandai in camera a lasciare gli zaini, quando tornarono giù erano cosi allegri che non volevo dirgli niente del accaduto. «Charlie, Madison, andiamo a sederci sul divano vi devo dire una cosa, negli ultimi mesi la mamma non stava molto bene era malata, abbiamo fatto in modo che stesse meglio ma non e successo, lei ora e in paradiso, sappiate che vi voleva molto bene, a tutte e due». Li guardai ed in Charlie ci fu la stessa espressione di Matthew, la piccola Madison inizio a piangere, mi alzai e mi sedetti in mezzo a loro due prendendoli tra le braccia. «La mamma e morta» «Charlie, la mamma e andata in paradiso ed ora sta bene», «posso andare in camera mia?» «certo Charlie, se ti serve qualcosa chiamami» «vado anche io» «va bene Madison, ma stai in camera con Charlie» «si, va bene». Quando li vidi scomparire per le scale rimasi seduta per qualche minuto, guardando il vuoto. Stavo camminando senza meta ormai da qualche ora, i miei pensieri sono confusi, sapevo solo che mia moglie era morta e non cera più. Continuai a camminare fin che non mi trovai al Center Hospital Collins non so il perché ero qui davanti. Entrai e mi avviai verso l'obitorio, quando mi trovai alla porta d'ingresso non volevo entrare, ma lo feci. «Mi scusi signore li serve aiuto?» «vorrei vedere mia moglie» «mi scusi cosa a detto» no basta, non avevo le forze di ripeterlo di nuovo, non so nemmeno perché ero qui. Sussurravo con un po' più di voce cercando di ricacciarmi dentro le lacrime. «Vorrei vedere mia moglie»
«come si chiama?» non rispose, notai che era sconvolto, be era normale reagire cosi alla morte di una persona cara. Mi avvicinai, e li misi una mano sulla spalla, ero abituato a vedere continuamente persone che non riescono a superare il lutto. «Signore si vuole sedere?» «no! Voglio vedere mia moglie, Isabel Evans» «va bene venga con me» annui con la testa. Lo segui lungo il corridoio cupo e triste. Quando arrivammo davanti ad una grande porta, sapevo cosa mi aspettava dentro, e non volevo che fosse vero, non volevo crederci, non potevo crederci, tutto questo come poteva essere vero?. Quando vidi il corpo di mia moglie senza vita capi che invece era tutto vero, e di come la realtà mi aveva schiaffeggiato dritto in faccia. Mi avvicinai al corpo di mia moglie, la guardai per qualche minuto senza dire una parola. Mi accorsi che il medico mi fissava, ma feci finta di niente. Le lacrime iniziarono a farsi l'argo tra i miei occhi, «perché l'hai fatto?, Isabel perché? Come hai potuto farlo?» mi appoggiai sul corpo di mia moglie senza vita, e continuai a piangere. Il medico si avvicino appoggiandomi nuovamente la mano sulla spalla, «signore e meglio che vada a casa, a riposare un po'» «no, non voglio lasciarla, non posso lasciarla sola un altra volta, non posso» «si calmi, so che in questo momento si sente sconvolto, ma deve superarlo, ora sua moglie e in un posto migliore, e non vorrà vederla cosi» «la smetta dottore, lei come fa a saperlo, come può credere nel paradiso?» «bisogna credere in qualcosa non crede?» «ormai non credo più a niente». Baciai mia moglie sulla fronte, e cosi fredda, e mi avviai verso l'uscita, senza guardarmi dietro. I giorni diventarono settimane, e le settimane divennero mesi, ogni singolo oggetto, stanza o luogo mi ricordava Isabel. Non uscivo più dalla mia stanza, da dopo la morte di Isabel cioè da due mesi circa, fin che una mattina senti la porta della mia camera aprirsi, ma non ci feci molto caso, sapevo che era Ana, ormai solo lei entrava nella camera per portarmi qualcosa da mangiare, ma ogni volta che torno a prendere il vassoio era ancora tutto li dove era, non mi andava di mangiare, non mi andava niente, non mi alzavo mai dal letto, almeno fino a questa mattina. Aprì le tende e spalancai le finestre, nella stanza cera un brutto odore, visto che era sempre tutto chiuso e Matthew non si alzava mai nemmeno per lavarsi, presi le coperte e gliele scaraventai a terra, sapevo che si poteva arrabbiare ma non mi importava, visto che avevo portato i ragazzi a scuola. «Ana smettila, lasciami in pace» «no! Matthew ora tu ti alzi e vai a lavarti» «basta... non posso, non ce la faccio» si mise le mani in volto coprendosi la faccia e pianse. Ero davanti al letto e lo fissai con le braccia incrociate, e con una espressione dura anche se stavo tremando come una foglia. «Matthew non puoi
continuare cosi, puoi continuare a piangere quanto vuoi, ma se non alzi il culo da quel letto ci penso io a farti alzare, Charlie e Madison anno perso la madre, non permetterò che perdano anche il padre, anno bisogno di te quanto tu di loro» mi guardo con quello sguardo vuoto era come se avesse un dopo sbronza. Si rimise sdraiato e appoggio la testa sul cuscino, ero stufa di quel comportamento. Matthew era arrabbiato con me, dopo che mi aveva lasciato il biglietto sulla mensola non torno a casa fino alla sera, quando torno ebbimo una brutta litigata. Entro in casa con il viso sconvolto e impaurito io lo guardai e li mollai uno schiaffo in piena faccia. «non farlo mai più». Mi guardo con gli occhi pieni di disperazione, ma mi aveva deluso. Mi fisso in silenzio per qualche istante e poi mi o oltre, io rimasi fissa sulla porta d'ingresso guardando fuori vedendo la pioggia che cadeva a terra, e sentivo il freddo che mi avvolse il corpo. «scusa Ana» chiusi gli occhi e feci un respiro pesante, senti che sali le scale e chiuse la porta, riapri gli occhi mi asciugai qualche lacrima che mi era scesa e chiusi la porta del ingresso. Andai in bagno accesi l'acqua della doccia e tornai difronte al letto, «Matthew» niente. Non rispose, era ora di giocare pesante, lo presi per le braccia e non so nemmeno io come riusci a buttalo giù dal letto «Matthew alzati, ho ti trascino fino in bagno» lo presi ancora per le braccia, ma inizio ad agitarsi, «Ana basta, lasciami» non so come si mosse in modo brusco e mi tiro una manata in faccia, caddi a terra con la guancia rossa e i capelli sul viso. «oddio Ana, scusami» mi alzai e mi porsi la mano sulla guancia, «per favore Matthew, alzati e fatti una doccia» si alzo mi guardo ed entro in bagno. Non riuscivo a smettere di tremare sentivo che stavo per piangere, ma dovevo resistere. Disfai il letto e portai tutto in lavanderia, andai in cucina e li preparai la colazione, quando lo vidi arrivare mi sembrava una persona nuova, sapeva di fresco. Ormai era ora di andare a prendere i ragazzi a scuola, li vidi uscire guardai Matthew e scesimo dal auto, quando i ragazzi videro il padre corsero verso di lui e lo abbracciarono insieme, Matthew li prese entrambi intorno alle sue braccia, mi guardo e sorrise. Tutto torno come prima ho cosi si poteva credere, si sentiva la mancanza di Isabel. Matthew torno al lavoro, ma era ancora un po' depresso, era una sera come le altre i ragazzi erano già a letto io scesi in cucina accesi la luce e mi trovai Matthew fisso a guardare fuori dalla finestra, «Matthew, va tutto bene?» quando si volto notai che sudava e stava piangendo mi avvicinai, «Matthew» ma lui corse fuori stava piovendo il rumore dei tuoni era fastidioso e la pioggia continuava a scendere a dirotto «Matthew, Matthew» riusci a fermarlo sul giardino della casa, mi guardo aveva ancora quello sguardo privo di emozioni, quello sguardo vuoto ma pieno di rabbia, li presi il viso tra le mani, eravamo
bagnati fradici, «torniamo dentro» lo presi per la mano, e chiusi la porta d'ingresso i lampi si facevano largo tra le finestre, salimmo le scale e entrammo nella camera di Matthew, tremava tutto, mi voltai per uscire ma mi prese per il braccio, lo guardai e lo aiutai a cambiarsi, quando li tolsi la maglietta mi guardo, e improvvisamente mi bacio.
Capitolo 8
Le gocce tintinnavano sul pavimento, ci stavamo guardando, non capi cosa stava succedendo ci baciammo di nuovo, fin che non mi trovai sul letto sotto la sua massa muscolare. I vestiti erano sparsi per la camera mezza bagnata, quando ricomposi i miei pensieri capi che stavamo facendo un errore «Matthew cosa stiamo facendo» mi sussurro al orecchio «shhh!» ormai era troppo tardi era dentro di me, e a me piaceva, anche se sapevo che sbagliavamo. I raggi di sole mi battevano in faccia, apri lievemente gli occhi e guardai il soffitto, mi ripigliai e quando mi voltai notai Matthew che stava ancora dormendo nudo affianco a me, mi alzai e usci dalla stanza. Ero con i ragazzi in cucina quando vidi scendere Matthew dalla scalinata, era ancora mezzo assonato, feci finta di niente, non sapevo cosa dire ho fare, avevamo fatto sesso, ed ora?, siamo amici o qualcosa di più? O sono solo una amica da letto? Scrollai lievemente la testa e mi dissi di smetterla di pensare certe cose. Si avvicino hai ragazzi e li accarezzo «ciao» «ciao papà» entrambi i ragazzi lo salutarono e sorrisero, Matthew si avvicino a me e prese la sua colazione, mi fisso io mi voltai e ci guardammo per qualche secondo, «ciao Ana» «ciao» era tutto cosi freddo e imbarazzante, almeno per me, lui sembrava il solito. portai i ragazzi a scuola e mi diressi verso il lavoro. Avevo appena finito di visitare una bambina con la varicella, quando ebbi finito la salutai. Andai nel ufficio del capo. «Ciao Matthew come stai?» «salve capo, bene grazie» «dimmi, Matthew ti serve qualcosa?» «volevo parlare della promozione per lo studio di Chicago, se e ancora valida l'offerta» «Matthew sono ati più di due mesi dalla mia offerta della promozione, capisci che e tanto tempo, ma comunque devi esserne sicuro di volerlo accettare» «sono sicuro capo» «posso sapere il perché di questa decisione?» «perché voglio chiudere con il ato, voglio una vita migliore per i miei figli, una casa, una città che non ricordi costantemente mia moglie» «capisco, e mi dispiace per la tua perdita, comunque questo e il tuo ultimo giorno, cosi puoi iniziare a preparare tutte le tue cose, ed io ti preparo l'ultimo assegno» li porsi la mano «grazie capo». La giornata fini presto quando arrivai a casa i ragazzi erano davanti alla TV vidi Ana in cucina e mi diressi verso di lei «Ana ti devo parlare» «certo dimmi» «siediti, per favore» «mi stai facendo preoccupare» «mi anno dato una promozione, per lavorare in uno studio di Chicago, ed io ho accettato» mi guardo sorpresa con gli occhi sbarrati, non
disse niente mi guardo con una espressione indecifrabile «Ana di qualcosa» si alzo e se ne andò, abbassai la testa sospirando, «merda» notai che sali le scale e la segui. «Ana fermati» entro nella sua camera e inizio a fare avanti e indietro per la stanza, provai a prenderla per un braccio, ma lei mi tolse la mano violentemente. «Ana calmati, non posso stare qui in questa città, ho in questa casa con ogni singolo oggetto che mi ricorda Isabel ho bisogno di cambiare» «pensi che andandotene te la dimenticherai? ogni volta che guarderai Charlie ho Madison ti ricorderai di lei, e poi io? Mi escludi cosi di punto in bianco» «ascoltami Ana solo tu puoi capire quanto ho bisogno di chiudere con tutto ciò, ho almeno di metterlo da parte so che non potrò mai dimenticarmi quello che e successo, ma non voglio ne anche ricordarmelo ogni singolo giorno» inizio a piangere «Isabel se ne andata, ed ora ve ne andate anche voi» «noi non ti lasceremo mai Ana» «sei una bastardo» ed inizio ad aggredirmi, mi tiro qualche pugno e sberla, ma la presi tra le braccia trattenendola, «calmati Ana» continuo ad agitarsi fin che non cademmo a terra. Lei era sdraiata sul pavimento, e gli tenevo le braccia sulla testa, ci guardammo ed iniziammo a baciarci, li tolsi la maglietta e lei la tolse a me, li slacciai il reggiseno e mi apri la cerniera. Eravamo in torno al tavolo della cucina con il computer e delle carte di varie case di Chicago la scuola per i ragazzi era già stata messa a posto grazie anche l'aiuto del preside, e la casa anche essa era sistemata dovevamo solo dire al agente immobiliare la data della nostra entrata. Guardai Ana e le sorrisi, mancava solamente dirlo hai ragazzi. «Quando lo dici hai ragazzi del vostro trasferimento?» «oggi quando tornano da scuola glielo diciamo, e domani li portiamo al luna park, cosi ano un ultima bella giornata qui a Houdson City, sei d'accordo?» «certo, Matthew promettimi che tornate a trovarmi» «Ana non fare la stupida e ovvio che verremo a trovarti e potrai venire anche tu da noi qualche week end». Quando lo dissi hai ragazzi la presero bene, almeno Charlie non disse nulla ma sembrava contento di lasciare questa scuola, Madison invece era un po' più dispiaciuta lei non voleva lasciare le sue amiche e sopratutto Ana. «Domani andiamo al luna park va bene ragazzi?». La giornata alle giostre fu stancate i ragazzi erano eccitati da tutti quei giochi li volevano fare tutti, solamente che io a meta ero già esausto, invece Ana sembrava una ragazzina della loro età, quando fortunatamente la giornata era quasi finita andammo a cena al Mcdonald, Charlie prese un panino con patatine fritte, e la cocacola, Madison e Ana presero un big mack con patatine fritte, un trancio di pizza e la spremuta d'arancia, con alla fine il gelato come dolce, mi
chiesi come facevano a mangiare cosi tanto io avevo la nausea per i giochi che mi fecero fare e presi solo un insalata mista con l'acqua naturale. Quando tornammo a casa avevo noleggiato un film ma hai primi minuti dal accensione i ragazzi si erano addormentati, li portammo a letto e li baciai, scesi di nuovo in salotto con Ana, a guardare il film. nei giorni seguenti tutto era pronto scatoloni, valige, e la casa era messa in vendita, tutto era al proprio posto, mancava solo chiudere con quel ato doloroso, «Ana tienimi i ragazzi» «Matthew, dove vai?» «a dire addio al mio ato» lo guardai e capì, e lo lasciai andare. Mi trovai di fronte a questo cancello grande di un colore verde marcio, entrai e continuai a camminare, fin che mi trovai di fronte alla lapide di Isabel. Le gambe non mi reggevano e caddi in ginocchio, nel cimitero cerano un paio di persone ma non li diedi importanza, guardai la tomba fisso in silenzio con qualche lacrima che mi scivola sul viso, sulla tomba ce scritto qui giace Isabel Evans, nata il 1965 – 2012, amata moglie, dolce madre. «Perché? Isabel perché l'hai fatto? Come hai potuto lasciarmi. Non mi accorsi di aver alzato la voce, tu mi hai abbandonato, come hai potuto, come hai potuto andartene». Quelle frasi mi rimbombava nella testa, mentre il mio sguardo era fisso sul furgone dei traslochi davanti a me. Quando lasciammo Ana ci furono pianti e sorrisi e parole dolci e commoventi. La abbracciammo e salimmo in auto, la guardai dallo specchietto retrovisore e sorrisi. La strada fu lunga e noiosa, Charlie aveva le cuffie al orecchio e ascoltava la musica del suo mp3 e la piccola Madison era seduta sul sedile del eggero a guardare fuori dal finestrino immersa nei sui pensieri con la musica della radio che suonava in sotto fondo. Il viaggio fu molto lungo e ci fermammo un paio di volte, con i signori del trasloco eravamo d'accordo di trovarci davanti alla casa, perciò potevo fermarmi a mangiare qualcosa con i ragazzi, dopo aver mangiato qualcosa ci dovemmo fermare di nuovo almeno per altre due volte visto che la prima volta Charlie doveva andare in bagno e la seconda volta della nostra fermata fu perché ci doveva andare Madison. Fortunatamente il viaggio continuo senza nessuna fermata, quando arrivammo a Chicago vidi che i ragazzi erano attaccati hai finestrini guardando felici fuori i grandi grattaceli della città, ero contento che la città li pie e speravo che li pie anche la casa che io ed Ana avevamo scelto. La casa e bellissima l'ingresso era coperto da un porticato con delle scalinate, la casa era di un colore giallo canarino, ce il vialetto con il giardino, la casa e di due piani sotto ce il salone open space, la casa era semi arredata, ci sono due
grandi divani bianchi, e una grande libreria che copri quasi una parete e due poltroncine accanto al camino, la cucina faceva da separatore al salotto, il tavolo era per sei persone, era una tavolo di legno antico, la cucina e molto graziosa, colorata di una tonalità verde chiaro. salendo le scale cera un lungo corridoio nella parte destra ci sono due camere, di qui una matrimoniale con una grande finestra dietro alla testata del letto, con un armadio con una delle ante fatta a specchio, nella stanza cera il bagno personale. accanto ce un altra camera singola, vuota con solo una scrivania attaccata al muro, con una finestra davanti, nella parte sinistra del corridoio ci sono altre due stanze ed il bagno alla fine del corridoio. La stanza di Madison era un po' più ampia di quella di Charlie aveva una armadio a muro ed una finestra che dava sul cortile dietro la casa, l'altra stanza invece era quella degli ospiti dove pensavo di far dormire Ana nei week end. Quando arrivammo nella casa vidi il camion dei traslochi, mi voltai verso i ragazzi «Charlie, Madison voi iniziate a portare qualcosa nelle vostre camere che io arrivo subito» «va bene papà» scesero dalla macchina con qualche borsa e con qualcuno dei loro bagagli che erano nel baule della macchina, scesi e mi avviai verso i signori dei trasloco e li dissi ciò che dovevano fare.
Capitolo 9
Quando i signori avevano finito di portare tutto in casa andai in camera dei ragazzi, vidi Madison che giocava con le sue bambole preferite e che l'unico scatolone che aveva aperto era quello delle bambole, sorrisi a quella scena, era cosi tenera e spensierata, «Madison aspettami giù in cucina che vado a chiamare Charlie» sbuffò sapevo che voleva giocare con le sue bambole ma volevo farli mettere apposto le loro camere e farli mangiare qualcosa «Madison» fece una smorfia e scese, quando mi o accanto per scendere la accarezzai e li scompigliai i capelli. Mi avviai sulla sogna della camera di Charlie e vidi che stava guardando fisso fuori dalla finestra, notai che sul letto cerano dei fogli con scritto The Mother e altre parole scritte, si giro e mi guardo, «Charlie andiamo in cucina» si avvicino a me e andammo giù, Madison ci stava aspettando in cucina seduta sullo sgabello, «ragazzi adesso mettiamo un po' a posto le nostre camere e poi ordiniamo la pizza vi va?» Madison urlo un grande sii, mentre Charlie sorrise e basta. Ormai non parlava più non balbettava ne anche, ormai dalla morte di Isabel non disse più una parola. Mentre Madison e Charlie mettevano a posto i propri vestiti negli armadi, io li facevo i letti. La pizza arrivo, avevo ordinato due pizze di qui una alla margherita e l'altra con wiusterl e patatine visto che piaceva a tutti e due i ragazzi, mentre mangiavano la pizza sul divano davanti alla TV io scrissi ciò che cera da fare per i giorni seguenti, tipo la spesa essendo che non potevamo sempre mangiare pizza anche se hai ragazzi sarebbe piaciuto, andare a comprare qualche vestito, giochi o oggetti per i ragazzi e andare a conoscere il mio nuovo capo, pensai come potevo fare tutto ciò con Charlie e Madison? Ma per fortuna Ana mi aveva lasciato una lista di persone che conosceva di Chicago ed io dovevo scegliere quale di queste persone potesse essere adatta per tenere i ragazzi quando io lavoravo, Ana mi consiglio Alyson una ragazza di venticinque anni che stava studiando all'università per diventare psicologa ma io preferivo vedere un po' di persone prima di vedere una ragazza di qui non sapevo niente e di qui avevo solo delle raccomandazioni, finito di scrivere la lista mi andai ad accomodare sul divano vicino hai ragazzi guardando la TV. Eravamo tutti a letto quando decisi di scendere in cucina, scesi e camminai per la casa non volevo avere una crisi, non potevo, non posso crollare proprio ora, Matthew basta! Con le mani mi copri il viso ed iniziai a contare e respirare 1... 2... 3... 4... 5... continuai cosi fin che non mi calmai, tolsi le mani
dal viso apro gli occhi e feci un grande respiro, apri il rubinetto del acqua della cucina presi un bicchiere dallo scatolone lo sciacquai e bevi un sorso d'acqua. Tornai in camera aprì la finestra e misi fuori la testa mi arrivo una leggera brezza, fu come un carezza, una carezza che mi mette i brividi chiusi gli occhi e la senti ancora, senti che mi accarezzo il viso e immaginai che fosse Isabel, «ti amerò per sempre Isabel» riapri gli occhi e andai a dormire lasciando la finestra aperta sentendo l'aria attorno al mio corpo. la mattina seguente portai i ragazzi fuori a fare colazione andammo in un un bar chiamato Caffè Smile, che mi consiglio uno dei miei vicini, stavo pensando di organizzare una festa per i miei vicini volevo conoscere tutto il vicinato e sapere che tipo di gente girava nel quartiere volevo stare tranquillo per i miei figli. Non ero uno che ascoltava i pettegolezzi e non ero nemmeno quella persona che giudicava dalla apparenza, la giornata era divertente dopo aver fatto colazione andammo a fare la spesa misi Madison nel carrello, forse era un po' troppo grande ma non mi importava era piccola e minuta e ci stava seduta benissimo, Charlie invece spingeva il carrello ed io li stavo affianco, e li dissi di non spingere troppo forte se no poteva fare male a Madison, mentre tenevo in mano la lista della spesa e mettevo qualcosa nel carrello mi accorsi che Madison e Charlie continuavano a infilare cibo di nascosto nel carrello, notai che si stavano divertendo, ridevano insieme non dissi nulla e da tanto che non li vedevo cosi felici, arrivammo alla cassa con il carrello che strabordava più di schifezze che di cibo sano. Portammo a casa il cibo, e lo mettemmo a posto. Uscimmo di nuovo per fare altre compere, mentre scegliemmo qualche vestito per Madison per la nuova scuola notai degli addobbi per feste palloncini ecc... presi un po' di decorazioni addobbi e qualche pacchetto di palloncini vidi qualche luce di natale non so il perché ma decisi di prenderne un paio di pacchetti fin quando non senti che mi stavano tirando la maglietta, mi voltai e notai che era Charlie, «dimmi, che ce?» non parlo non disse nulla facevo fatica a capirlo con il dito indico una scatolina di luci di natale verdi «le vuoi Charlie?» annui con la testa, le presi e gliele porsi in mano, fece un sorriso e il suo volto si illumino. Preparai i volantini sul computer e chiamami di nascosto Ana, volevo che ci fosse alla festa anche perché lei sapeva capire le persone e aveva un intuito nel giudicare le persone e ci azzeccava sempre. Chiamai i ragazzi che scesero dalle scale di corsa, «ragazzi sto organizzando una festa, inviteremo tutto il vicinato cosi potete conoscere dei ragazzi e farveli amici, ma ora dovete aiutarmi a portare questi volantini, vi va bene?» «si.. si» Madison era tutta entusiasta, Charlie non si pronuncio ma prese dei volantini in
mano, uscimmo e mi chiusi la porta a chiave mentre Charlie e Madison, mi aspettavano sul giardino di casa, li raggiunsi e andammo a suonare porta per porta riuscimmo a dare i volantini a tutte le persone del quartiere. La giornata della festa arrivo ed i miei figli erano agitati anche io lo ero ma ero più agitato per l'inizio della scuola visto che mancava solo un week end, la mattina senti il camlo sapevo chi era, apri la porta e la feci entrare, mise giù la borsa e chiamai i ragazzi quando furono a meta scalina corsero giù e la abbracciarono «Ana» Madison era eccitatissima nel vederla e Charlie la abbraccio stringendola forte senza emettere un fiato. Ana li abbraccio e li accarezzo i capelli, era ora di iniziare a decorare la casa per la festa ci vollero ore a spostare, attaccare e sistemare il tutto ma in due ore e mezza finimmo tutto, il cibo era pronto le bibite anche mancavamo solo noi dovevamo ancora lavarci e vestirci, io e Ana eravamo pronti Ana andò ad aiutare Madison a vestirsi ed io rimasi ad aiutare Charlie, mentre li sceglievo la camicia notai vari fogli sparsi sulla scrivania li porsi la camicia quando se la mise io provai ad avvicinarmi alla scrivania per vedere ciò che Charlie scriveva ma se ne accorse, li prese e li sposto, fece segno di no con la testa ed io indietreggiai «ok! Charlie non li leggero, ma mi farebbe molto piacere leggere le poesie ho le frasi che scrivi» sorrise e poso i fogli sulla scrivania erano tanti fogli e sparsi su tutta la scrivania mi chiesi perché non usava un diario o qualcosa del genere?. La sera fu alle porte e tutti eravamo pronti, Charlie era un po' agitato ma non molto da avere una crisi, Madison era bellissima, indossava un vestitino viola in pizzo lungo fino alle ginocchia e aveva i capelli legati in una coda, quando vidi Ana rimasi sbalordito sapevo che era una festa informale ma era comunque molto elegante, indossava un vestito lungo blu notte che li valorizzava le forme i suoi capelli cadevano di lato lungi e mossi come le onde del mare e con indosso una spilla bianca con delle piccole perle per tenerli fermi, non riuscivo a smetterla di guardarla, fin che il camlo non suono. Quasi la meta del quartiere era nella mia casa, i pettegolezzi furono piccanti, acidi e cattivi, mancava solo una persona Alex Braun quello che abitava di fronte alla mia casa, i commenti su di lui non furono cattivi, ma orribili mi chiesi come la gente poteva essere cosi cattiva a giudicare comunque fin che non lo conoscevo non avrei giudicato e non mi interessava ciò che diceva la gente. Charlie e Madison stavano giocando con i ragazzi dei vicini, mentre noi adulti stavamo bevendo lo Champagne, quando senti suonare svariate volte il camlo, andai ad aprire cera un uomo sulla porta alto fisico magro, con gli occhi castani e capelli neri, con un po' di barba, improvvisamente nella casa si
alzo un silenzio glaciale, si senti solo la musica dello stereo con la canzone di Aretha Franklin, in sotto fondo. Alex guardo tutta la gente che rimase in silenzio e la gente lo fissava come se avesse la peste. «come mai quelle facce, avete visto un fantasma?».
Capitolo 10
Dal arrivo di Alex la serata era diventata imbarazzante e fredda, tutti continuavano a fissarlo parlando sottovoce lo vidi vicino al tavolo dei dolci tutto solo, mi chiesi se lo voci su di lui fossero vere andai in cucina da Ana. «Ana hai sentito i pettegolezzi su quel uomo» «si, ma devi essere tu a giudicare e non devi giudicarlo dai giudizi degli altri» i pettegolezzi su Alex furono che era un alcolista, e che continuava a finire nelle case di cura per tossico dipendenti, seppi anche che era un ex militare, ma alla gente non importava più di tanto visto che era andato a letto con la metà delle mogli del quartiere, guardai Ana li sorrisi era cosi bella, senti qualcuno entrare nella cucina mi voltai ed era Alex, «io porto altro Champagne agli ospiti» annui con la testa, «allora Alex ti piace la serata?» Si mise a ridere «si, be se contiamo che nessuno mi parla, e tutti mi fissano facendo dei commenti discriminatori, si può dire che e come me la aspettavo» sorrisi sotto i baffi, «chissà poi cosa ti anno detto di me?» «da dove vuoi iniziare, mi anno detto che eri un militare, che sei un alcolista, e che continui ad entrare ed uscire dalle cliniche per tossico dipendenti» «sai Matthew mi piaci, sei l'unico che dice le cose come stanno» «grazie» «ma vedo che non ti fidi ancora e non posso darti torto, ne anche io mi fiderei di me stesso, poi hai due figli e di certo non vorrai uno come me che ti gira attorno sopratutto dopo la morte di tua moglie» spalancai gli occhi e il mio sguardo si intristì era come aver ricevuto un pugno nello stomaco, ma non mi arrabbiai perché Alex era l'unico a non fingere che tutto era apposto in confronto a tutti gli altri che stavano attenti a come parlare, era come se leggessero un copione. «Scusami ho detto qualcosa che non dovevo?» «No tranquillo sei stato l'unico ad essere sincero» la serata mi piacque molto, da quando iniziai a parlare con Alex in cucina rimasi con lui tutta la serata a conversare, ridere, e scherzare ero contento di tutto ciò e non mi importava se gli altri ci fissavano e spettegolavano a bassa voce, salutai tutti gli ospiti che uno dopo l'altro se ne andarono. Ana stava mettendo i ragazzi a letto ed io gli dissi che sarei ato dopo a dargli la buona notte, non cera più nessuno tranne Alex che decise di darmi una mano per sistemare la casa, quando Ana scese io sali a salutarli mentre Alex e Ana stavano finendo di pulire, entrai nella camera di Madison e poi in quella di Charlie e li baciai sulla fronte dandogli la buona notte. Quando scesi senti parlare Ana ed Alex, «allora, Ana giusto?» «Si» «conoscendo Matthew sembra un bravo uomo» «si lo e, solo che
non sta ando un bel periodo e non voglio che qualcuno lo faccia soffrire» «ognuno può are un brutto momento, ma bisogna solo saper gestire il dolore, o la rabbia che hai dentro». «Hai ragione ma non voglio che Matthew frequenti persone che gli possano creare altri problemi» «io non ti piaccio vero Ana? ma tranquilla nemmeno io mi piaccio certe volte» scesi le scale prima che Ana potesse rispondere, era quasi tutto sistemato perciò presi tre bicchieri di Champagne, «a una nuova vita migliore Chin Chin» Alex se ne andò dopo il brindisi «io vado, se fatto tardi», «sicuro che non vuoi rimanere ancora un po'» si volto verso Ana e poi torno a guardare me, «no grazie ci vediamo» mi porse la mano ed io feci lo stesso «ascolta Alex mi farebbe piacere invitarti a pranzo» «Matthew non e necessario» «ci terrei molto» «ok allora essendo che sei cosi insistente non posso non accettare, fammi sapere quando. Ciao Ana e stato bello conoscerti» «anche per me e stato un piacere conoscerti» li chiusi la porta alle spalle e guardai Ana che era vicino allo stereo con in mano un vassoio, alzai un po' il volume dello stereo ma non troppo perché sapevo che i ragazzi stavano dormendo, le porsi la mano, lei rise il suo volto si illumino non so che canzone era ma certamente era azzeccata per quel momento iniziammo a ballare con le luci piccole di natale attaccate sul soffitto come stelle nella notte, il suo vestito si muoveva lievemente come il vento, e lei continuo a sorridere, «sei bellissima Ana» «cosi mi fai arrossire Matthew» mi bacio stringendomi tra le braccia ed io mi staccai «Matthew scusa ma non possiamo continuare cosi» prese il vassoio e si allontano andando in cucina, la guardai sparire spensi lo stereo e andai in cucina da lei. «Ana, scusami non volevo crearti imbarazzo» «Cazzo Matthew non possiamo continuare cosi, tua moglie e morta e tu te la fai con me, ed io non capisco cosa siamo, dimmelo Matthew perché io continuo a chiedermelo io ti piaccio? Cosa sono io per te? Sono solo una da portarti a letto?» «Ana non dire cosi io provo qualcosa per te e so che e sbagliato farlo dopo quello che e successo e non so ne anche io cose questa cosa che stiamo facendo, ma so solo che la voglio, voglio stare con te» «e chi dice che non sia solo un ripiego per il “trauma” che stai vivendo?», «potrebbe essere che sia per quello ma non possiamo saperlo fin che non lo viviamo» mi guardo e mise via il vassoio, «io vado a dormire Matthew» la presi per un braccio la girai verso di me, sfiorandogli le labbra, «non lasciarmi mai» mi guardo, si stacco da me abbassando lo sguardo e spari salendo le scale. Scaraventai alcuni oggetti che erano ancora sul tavolo e mi appoggiai facendo un grande respiro. La mattina dopo Ana mi tenne i ragazzi, perché io dovevo andare a vedere il mio nuovo studio e per conoscere il mio nuovo capo. Quando arrivai allo studio mi si avvicino la segretaria, si chiamava Lauren era alta molto snella con lungi capelli biondi e gli occhi verdi come quelli di Madison, quando Lauren mi accompagno
nella sala riunione cerano altre persone che presumevo i miei nuovi collegi «ciao io sono Lauren Chepner» iniziarono a presentarsi tutti porgendomi la mano. Marck Steewart, Vaiolet Turner, Chris Duhamel, «Jherry Tutman, ma puoi chiamarmi J». «Piacere Matthew Evans, vi dico solo che vi richiederò i nomi, perché già me li sono dimenticati», mi misi la mano sulla testa come segno di imbarazzo e tutti scoppiammo a ridere. «Tranquillo anche noi ci abbiamo messo un po' prima di ricordarceli tutti» J era troppo forte aveva trenta cinque anni ma era pazzo come un adolescente, senti una voce ferma e decisa alle mie spalle mi girai ed era Giorg Bhowen «Sig. Evans, salve andiamo nel mio ufficio» «certamente» salutai i collegi e segui il capo, «Matthew, il tuo ex capo il sig. Fredman, mi a dato delle ottime referenze su di te, e noi abbiamo lottato per averti qui a Chicago, spero che soddisferai questo studio come quello di Houdson City» «certamente capo non la deluderò» «cosi mi piaci, allora ci vediamo lunedì alle nove» «non vedo l'ora» mi porse la mano e uscì dal suo ufficio e andai a sbattere contro J, «scusami» «no tranquillo e colpa mia ero sovrappensiero, senti Matthew ti andrebbe di andare a bere un caffè?» «ora?» «Si, se non sei impegnato» «no, va bene» andammo in un bar al angolo della strada al Chuk Cafè «ho sentito che arrivi da Houdosn City?» «si, ma sono nato in Kansas» «no, non ci credo, tu saresti del Kansas, non l'avrei mai detto» «perché no?» «Perché ti pensavo più tipo da città e non da fattoria» non me la presi, mi misi a ridere, non era il primo a dirmelo «tu invece hai sempre abitato qui a Chicago?» «no sono nato ad Atlanta, ho abitato a Miami per qualche anno, con la mia ex moglie e mio figlio Thomas, dopo il divorzio mi sono trasferito qua da qualche anno, tu invece come mai da queste parti?» ho avuto una promozione e questo studio mi a richiesto per lavorare con voi» «hai una moglie ho figli?» ancora quella domanda su mia moglie volevo urlare Basta! Non volevo pensarci per poi stare male volevo chiuderle quelle ferite, feci un respiro che mi fece male al cuore. «Mia moglie e... morta» respirai ancora pensai ad Ana quando mi diceva che dovevo imparare ad ammetterlo per fare in modo che le crisi si calmassero per poi andare avanti. «Scusami Matthew» «no tranquillo tu non potevi saperlo» «i tuoi figli come si chiamano?» «il più grande si chiama Charlie a quattordici anni e fa i quindici tra qualche mese, li anno diagnosticato l'autismo quando era bambino. La più piccola a nove anni e si chiama Madison». Continuammo a parlare per qualche ora fin che non si fece tardi, e J dovette andare. Arrivato a casa vidi Charlie e Madison davanti la TV e Ana in cucina cera ancora da mettere a posto alcuni scatoloni e qualche addobbo da mettere via, spensi la TV accessi lo stereo a tutto volume presi Ana ed iniziai a ballare poi presi Charlie, ballammo e sistemammo le cose e la giornata o velocemente e senza nessun pensiero per la testa i miei figli erano felici, Ana era
felice per noi, ed io in questo momento stavo bene.
Capitolo 11
Sono le otto del mattino i ragazzi stavano facendo colazione con Ana ed io stavo bevendo il caffè, mentre sistemavo le ultime cose. Mandai i ragazzi a prendere gli zaini, salutammo Ana, la stringevamo forte tutti tra le braccia stava per andare via ma ci mettemmo d'accordo per un altro week end, prese le sue borse e li mise in auto, mentre Charlie e Madison mi aspettavano in auto io chiusi la portiera ad Ana, «promettimi che mi chiamerai ogni giorno Matthew» «te lo prometto Ana» ci baciammo sulla bocca e li diedi una carezza sul volto e parti. Avevamo appena lasciato Madison alla scuola accanto a quella di Charlie quando fummo davanti alla Schol of Haamothyon, ci incamminammo verso l'ufficio del preside, «io sono il preside Wooths, e tu dovresti essere Charlie Evans» Charlie annui, il preside sapeva la situazione e capi, mi promise che avrebbe fatto tutto il possibile insieme agli insegnanti per rendere la scuola il migliore possibile per Charlie. Gli diedi un abbraccio, «fai il bravo Charlie, ti voglio bene» mi avviai verso l'uscita e Charlie rimasi a fissarmi fin che il preside non lo accompagno in classe. Il preside presento Charlie al professore che poi lo presento alla classe, «ragazzi lui e Charlie Evans il nuovo arrivato, salutate» «ciao Charlie» «Charlie scegli un posto che ti piace e vai a sederti» Charlie scelse un posto nel ultima fila con accanto una ragazza con i capelli rossi e gli occhi castani. «Io mi chiamo Aryel» Charlie sorrise e ascolto la lezione, Charlie era contento di questa scuola perché aveva anche come materia scrittura e poesia con l'insegnate Tom brook. «Ciao ragazzi allora per la mia prima lezione voglio fare qualcosa di nuovo, vorrei vedere come scrivete e come pensate ed e per questo che voglio che scriviate una storia ho una poesia scegliete voi, ma dovete consegnarmi il compito tra una settimana». Ero molto contento per quel compito non vedevo l'ora di iniziare a scrivere o per lo meno iniziare ad abbozzare qualcosa, suono la camla della ricreazione e iniziai a girare per la scuola per vedere come fosse, girai per tutta la scuola cerano molti ragazzi, potevo stare in mezzo a tutta questa folla ma sentirmi invisibile. Continuando a camminare mi trovai davanti ad un campo da Basket, e vidi dei ragazzi che stavano giocando ai accanto alla recinzione che divideva il campo dal cortile ai tranquillamente seguendo la fine della rete guardandomi in giro, con le cuffie al orecchio e con il quaderno e dei fogli in mano, vidi un ragazzo alto atletico e con i capelli castani e gli occhi azzurri non sapevo come si chiamava notai che stava
giocando con altri ragazzi nel campo di Basket, vidi un ragazzo che mi fisso e disse qualcosa, ma non potevo sentirlo e feci finta di niente sapevo che parlava di me. «avete visto quel ragazzo e nuovo o saputo che soffre d'autismo, non dice una parola, e non parla con nessuno» gli altri ragazzi del campo iniziarono a fare battute ed a prenderlo in giro. Quel ragazzo si volto verso di me, ed io mi giri mentre mi fissava, ed entrambi ci fissavamo, per qualche secondo, mentre continuai a camminare. La ricreazione durava mezzora perciò avevo ancora dieci minuti di tempo, mi andai a sedere nel giardino della scuola sedendomi sotto un grande albero e iniziai ad abbozzare qualcosa, per il compito che ci diede Brook, ma non riusci molto a concentrarmi continuai a pensare a quel ragazzo che mi fissava nel campo da Basket era cosi bello, indossava un paio di jeans blu chiaro e una maglietta senza maniche, scrollai la testa e provai a concentrarmi scrissi qualche parola e qualcuna l'avevo cancellata, la camla suono ed io tornai in classe. La giornata scolastica fini era l'una ata, quando Dylan si avvicino e mi spinse mettendosi a ridere insieme al suo gruppo di amici, non dissi niente tenni la testa abbassata e quando usci dal cancello della scuola vidi mio padre che mi aspettava accanto al auto. Scopri che il ragazzo del campo di basket si chiamava Dylan. Nei giorni seguenti Dylan e il suo gruppo di amici mi presero di mira, era l'ora di ricreazione stavo camminando per i corridoi con i solito quaderno e fogli per scrivere il compito, quando Dylan mi fece lo sgambetto e caddi per terra con tutti i miei fogli che si spargono a terra, tutti mi fissarono e si misero a ridere io non dissi nulla, tirai su tutte le mie cose quando una voce dolce e graziosa mi chiamo «Charlie stai bene ti sei fatto male?» Non le risposi «Aspetta che ti aiuto» era Aryel la guardai e mi sorrise, lei per me fu come un angelo custode, Dylan continuo a prendermi di mira mi spinse svariate volte contro il muro del bagno, quando ero nel cortile della scuola o quando ero seduto sotto l'albero mi prese i fogli e li lancio in giro, ed ogni volta Aryel era li a difendermi. Eravamo tutti a dormire quando senti dei rumori, usci nel corridoio e provenivano dalla stanza di Charlie, da quando Isabel era morta lasciavo sempre la porta aperta cosi potevo sentire se i ragazzi mi chiamavano. Apri la porta di Charlie e mi accorsi che aveva una crisi inizio ad urlare lanciando le cose per terra tutti i suoi fogli con scritto le sue cose i libri ed i quaderno li lancio tutti per terra, lo presi stringendomelo forte contro al petto, ma lui continuo ad agitarsi mi tiro qualche pugno e calcio, e mi lascio qualche graffio sulle braccia, quando si calmo lo misi a letto ed io mi sdraiai accanto a lui, e lo tenni avvolto tra le mie braccia mentre le ultime lacrime li scendevano prima che si addormento. Quando finalmente si addormento profondamente tirai su tutte le cose che aveva lanciato a terra tutti i suoi fogli quando rimasi immobile difronte a quel titolo, The Mother, iniziai a leggere.
The Mother: Mamma dove sei io sono qui ad aspettare la tua lieve carezza sul mio viso, quelle parole che mi sussurravi al orecchio, e quel tuo sorriso cosi caldo e splendente quanto il sole, quei tuoi occhi che mi fissavano come stelle luminose in cielo, mamma torna ti prego perché io... No! Mi fermai non potevo continuare, glielo avevo promesso gli avevo promesso che non li avrei letti e solo quando lui sarà pronto me li farà leggere. Mi chiesi cosa li stava succedendo negli ultimi giorni Charlie continuo ad avere le crisi, questa e la terza che li venne la prima fu quando era in salotto a guardare la TV quando inizio ad avere i suoi attacchi inizio a muoversi avanti e indietro lo vidi dalla cucina e corsi da lui posandogli la testa sul mio petto e li accarezzai i capelli fin che non si calmo la seconda crisi li venne in camera quando era appena tornato dalla scuola, mentre stava scrivendo inizio a strappare i fogli del quaderno ed a lanciare tutti i pezzi per la camera ed ora questa nuova crisi, decisi di andare a parlare con il preside a scuola domani stessa. Accompagnai Charlie a scuola e lo salutai io mi avviai nel ufficio del preside bussai. «Avanti» entrai e li porsi la mano «salve Sig. Wooths», «sig. Evans». «Preside state tenendo d'occhio Charlie? Perché ultimamente quando torna a casa a delle crisi e non vorrei che stesse succedendo qualcosa qui a scuola e voi non ve ne siate accorti» «sigior. Evans se succedesse qualcosa nella mia scuola io lo saprei, e comunque glielo abbiamo promesso che nella mia scuola Charlie sarebbe stato uno dei primi che avremmo seguito purtroppo i bulli ci sono dappertutto ma noi facciamo in modo che non prendano di mira suo figlio» «lei non può sapere se lo stanno già prendendo di mira e forse e già cosi e forse in questo momento lo stanno trattando male io ho riposto in voi la mia fiducia e mio figlio e questi sono i risultati» «singior Evans si calmi non ce bisogno di scaldarsi tanto ora faremo il possibile per tenerlo costantemente d'occhio» «non mi devo arrabbiare dice davvero? mio figlio non a più avuto una crisi dopo la morte di mia moglie ed io lo portato via da tutto per rendergli la vita migliore ed invece quando mi arriva a casa a i suoi attacchi dovevate pensarci fin da subito a tenerlo d'occhio non adesso che io vengo qui a lamentarmi, di come state gestendo le cose». Mi alzai furibondo, «Signor Evans capisco che ora e arrabbiato e posso immaginarlo visto che ho dei figli anche io, ma gli ho già detto che faremo il più possibile per che Charlie si trovi bene in questa scuola, e adesso che mi a posto questo problema dirò agli insegnanti di seguire di più suo figlio». «Grazie» «si figuri siamo qui per questo noi» li porsi la mano e lo salutai anche se non ero contento, e mi avviai verso l'ufficio.
Capitolo 12
Sono nel mio ufficio seduto con la testa china sul tavolo ero stravolto avevo appena finito di visitare un bambino quando entro J, «hey Matthew tutto bene?, che cosa hai?» «stamattina ho avuto una discussione con il preside della scuola di Charlie, e poi non ho dormito bene visto che mio figlio a avuto una crisi» «mi dispiace Matthew» «anche a me, J hai altri pazienti ora?» «No, perché?» «Verresti con me a comprare una cosa per Charlie?» «Certo, avviso la segretaria che usciamo». Uscimmo dallo studio, ma non sapevo dove andare J mi indico un posto vicino al Millennium Park, dissi a J che ciò che volevo prendere era un diario per Charlie essendo che li piaceva scrivere. «Davvero scrive che bello, che tipo di cose scrive» «non lo so, non vuole farmele leggere» «perché?» «Non lo so e questo il punto non parla più da quando sua madre e morta» «capisco» «voglio che abbia un diario personale per scrivere le sue storie o poesie non voglio che usi un quaderno che non vale niente voglio qualcosa che sia suo qualcosa che lo identifichi» entrammo nel negozio era carino non era molto spazioso ed infatti inciampammo in vari oggetti e in vari scaffali, il negozio era grazioso ma tetro cerano oggetti strani tipo ciondoli magici e oggetti vudu, ed altri vari oggetti. «salve volevo chiedere se avete qualche diario segreto» «si ne abbiamo con varie copertine, gli interessa avere la stella, o il tao oppure il simbolo tribale della magia» la signora era bassa con i capelli spettinati e dei vestiti da stracciona di vari colori diversi e con molti accessori per tutto il corpo. Me ne mostro un paio ma non mi piacevano anche a J non piacevano tanto e nel frattempo che ne prese altri io mi guardai attorno fin che non vidi un tavolo con su altri oggetti e vidi una specie di libro ma con le pagine bianche e sulla copertina cera su in simbolo strano come del resto tutto questo negozio era strano e mi chiesi dove J mi aveva portato. «Mi scusi questo che cose? Non e come gli altri diari» «infatti non lo e e un libro dove puoi scrivere incantesimi» io e J la guardammo con gli occhi sbarrati e ci trattenemmo per non ridere «certo e il simbolo cosa significa?» «questo simbolo si chiama Loa che egli viene attribuito il significato di misteri o di invisibili, i Loa non vengono solamente pregati si trovano anche a corrispondere agli angeli o ai santi» «lo prendo, va bene» pagai ed usci, quando salimmo in auto ci mettemmo a ridere, «ma dove mi hai portato J» «non lo so mi anno detto che cera della bella roba, ma almeno hai trovato ciò che cercavi», ridemmo per tutto il viaggio, fin che non arrivammo di
nuovo in ufficio, visitammo altri pazienti quando avevo finito andai a prendere Charlie a scuola. La sera decisi di preparare una grande cena avevo bisogno di stare in mezzo a degli amici per poi non pensare troppo a Isabel e per distrarre un po' i ragazzi dalla solita routine, invitai Alex e J alla cena di stasera. Quando senti suonare era J in anticipo gli avevo detto alle otto di farsi trovare da me ma lui arrivo alle sette e trenta capi che ci teneva a vedere i ragazzi per me J e un grande amico anche se lo conoscevo solo da una settimana circa, dietro di lui vidi arrivare Alex capi che qui dare degli orari non e necessario visto che tanto non arrivavano a quel ora prescritta, li feci accomodare sul divano aspettando che nel frattempo fini di preparare la cena Madison fece vedere le sue svariate bambole a J mentre Charlie rimase in cucina con me e Alex a scrivere per il compito del signor Brook. Eravamo tutti seduti al tavolo. «Charlie che cosa hai deciso di scrivere per il compito che ti anno assegnato?» Charlie guardo J e poi si volto verso di me guardandomi per qualche instante, e poi riposo il suo sguardo sul piatto «sai Charlie io non ero bravo a scrivere storie prendevo brutti voti ero ignorante tu invece prenderai un bel voto» Charlie sorrise senza dire niente e continuo a mangiare, «papà posso prendere i disegni che ho fatto oggi a scuola per farli vedere a J e Alex?» «certo, ma hai finito di mangiare?» «Si sono piena» «va bene vai a prenderli e torna subito» «Matthew sai che tra poco e il compleanno di Vaiolet e dobbiamo organizzargli una festa a sorpresa e dobbiamo fargli un regalo» «e che ne pensi se la facciamo qui la festa J» «penso che sia una buona idea, ma Vaiolet non vorrà crearti disturbo, e nemmeno gli altri» «non preoccuparti mi aiuterai tu a convincerli, tu Alex quando fai gli anni?» «tra un mese» «davvero quando?» «Il dodici aprile» «non ci credo anche Charlie li fa quel giorno, possiamo organizzare una festa anche per te» «no io non festeggio il mio compleanno, e non voglio una festa a sorpresa» ci misimo tutti a ridere, «perché? Non vuoi festeggiarlo» «perché non mi va e basta» «ok!» guardai Alex e rimasi perplesso da quella risposta cosi secca e privata. Quando Madison torno la mandai di la con J e Alex a guardare i disegni che aveva fatto, mentre Charlie era salito in camera a scrivere. stavo lavando i piatti quando Alex entro in cucina, «Matthew posso darti una mano?» «Non ti preoccupare sei mio ospite» ma non mi ascolto e inizio a pulire con me, «Matthew volevo chiederti scusa per come ti o risposto prima sono stato un idiota» «non preoccuparti avrai le tue motivazioni, e non sei obbligato a parlarne se non vuoi» si appoggio al lavandino ed inizio a piangere, «Alex tutto bene?» «Non festeggio il mio compleanno...»
non riusci a parlare, faticava a pronunciare le parole, era quello che facevo io dopo la morte di mia moglie e li capi cosa era successo. Mi guardo con le lacrime agli occhi, «mio fratello e morto il giorno del mio compleanno mentre io ero sotto le armi per proteggere questo patetico mondo di inutili e patetiche persone che non anno avuto la forza di trovare l'assassino» entrarono Madison e J nella cucina e Alex si giro asciugandosi le lacrime. «papà io vado a dormire» «metto a letto i ragazzi e poi torno» «vai finiamo noi qui» «non e necessario» «vai Matthew non ti preoccupare» «grazie» sali con Madison nella sua camera e li misi il pigiama rosa con i fiori, quando le rimboccai le coperte li diedi un bacio sulla fronte «ti sei divertita stasera piccola?» «si.. tantissimo lo facciamo ancora» sorrisi e fui contento che sera divertita «si presto lo rifaremo te lo prometto, buona notte» spensi la luce e chiusi la porta notai che Charlie stava ancora scrivendo e che per terra cerano vari fogli appallottolati intorno alla sua sedia, andai nella mia camera e presi il diario che gli avevo impacchettato e tornai da lui. «Charlie hai finito di scrivere? e ora di andare a letto, ti devo dare una cosa» si volto e sali sul letto si sedette incrociando le gambe, mi sedetti di fronte a lui, li accarezzai i capelli sorridendogli e li porsi il pacchetto, lui sorrise e inizio a strappare la carta quando vide il diario rimane un po' perplesso «Charlie questo e per te puoi scriverci tutte le poesie e le storie che vorrai senza che nessuno lo sappia e il tuo libro segreto» mi guardo e poi mi abbraccio lo poso sulla scrivania e si mise sotto le coperte, «da domani puoi iniziare a scriverci dentro ma ora dormi buona notte tesoro» lo baciai sulla fronte e usci socchiudendo la porta, scesi in cucina e tutto era già apposto «scusate se ci o messo tanto, non dovevate pulire tutto» «non preoccuparti l'abbiamo fatto con piacere» «posso offrirvi un po' di dolce?» «io accetto volentieri» «io no Matthew scusa ma domani ho un sacco di pazienti» «tranquillo, aspetta che ti accompagno alla porta». «Ciao ci vediamo domani J» mi saluto mentre saliva sul auto, quando lo vidi andare via chiusi la porta, e tornai in cucina da Alex.
Capitolo 13
Quando arrivai sulla sogna vidi Alex che piangeva e si asciugava le lacrime, li misi una mano sulla spalla e mi accomodai su una sedia accanto a lui, «ascoltami Alex se non te la senti di parlare non farlo, sfogati piangendo, a volte le lacrime sono meglio delle parole» lo guardai e lui mi fisso con le lacrime agli occhi «come ti ho detto ero in missione, quando tornai scopri che il giorno prima mio fratello Dean era morto ucciso da un uomo, Sergay Petroschi un russo che aveva già precedenti penali la polizia mi disse che non cerano prove sufficienti per dire che sia stato Petroschi, in poche parole mio fratello era nel posto sbagliato al momento sbagliato». «Mi dispiace Alex posso capirti non ti dico che devi superare la cosa perché ne anche io lo ancora superata la morte di mia moglie, ma non ti puoi fare del male» «Sai perché tutti mi danno del alcolista e del drogato perché quando arriva il mio compleanno mi chiudo in me stesso mi ubriaco, e mi faccio con un po' di marijuana e rimango chiuso in casa per una settimana a bere e a farmi di stupefacenti» «ed e sbagliato non puoi continuare ad auto lesionarti perché non serve a niente» «serve a dimenticare» «ricorderai sempre ciò che ti e accaduto e dopo quella settimana, ritornerai a ricordare ogni singolo giorno, anche io provavo a dimenticare ma era inutile Isabel era una parte della mia vita, e tuo fratello lo era per te. E una parte della nostra vita e cancellarla e sbagliato anche se e dolorosa. Al tuo compleanno invece di andare in qualche Bar a bere ho a farti di qualche stupefacente vieni qua da noi» «non posso, non potrei accettare e darti questo peso» «non era una proposta e un ordine». Alex mi guardo con gli occhi sbarrati e pieni di lacrime singhiozzando, ed io avevo il viso serio come per dire che ormai avevo già deciso anche se per un istante pensai che fosse uno sbaglio far venire un ex tossico dipendente e alcolista a vivere qui per qualche settimana con i miei figli, ma aveva bisogno d'aiuto ed io volevo toglierlo da quel giro di alcol e droga e poi ci sarebbe stata anche Ana ad aiutarmi visto che sarebbe venuta per il compleanno di Charlie «grazie Matthew sei un grande amico» «anche tu per me» «Alex vuoi rimanere qui a dormire?» «No grazie Matthew e ora che me ne vada a casa» «sei sicuro di stare meglio si, si grazie» lo accompagnai alla porta ci abbracciammo e ci salutammo. Ero davanti alla scuola guardando davanti a me il portone d'ingresso mi incamminai nei corridoi e incrociai Aryel e andammo in classe insieme notai che
in classe ci fu anche Dylan mi chiesi cosa ci faceva qua essendo che l'ultima volta non cera ci guardammo per qualche istante e poi segui Aryel hai nostri posti, Dylan si volto e mi lancio delle palle di fogli di carta, «senti Dylan piantala hai capito sei un idiota» «senti pazza stai zitta» Aryel dopo quelle parole li lancio i fogli che Dylan continuo a tirare. «Basta voi la infondo» entro il signor Brook in classe e si appoggio alla scrivania mentre ci fissava «allora ragazzi iniziamo con il compito che vi ho assegnato» iniziamo da Yasmin. Dopo che chiamo altri ragazzi mi chiamo, iniziai a tremare perché non pensavo che bisognava leggerlo di fronte alla classe «Charlie vieni tocca a te», mi alzai e mi misi di fronte alla classe con il foglio in mano ma rimasi in silenzio, «Charlie provaci dai che ce la fai» silenzio. Guardai la classe e poi fissai lo sguardo su Aryel, «professore non vede che non parla, e solo uno stupido, secondo me non sa nemmeno leggere» tutti iniziarono a ridere. «Smettetela fate silenzio» Guardai Dylan e poi abbassai lo sguardo quando senti la solita voce graziosa «professore posso leggere io il compito di Charlie?» «Certo Aryel vieni» quando si alzo diede una sberla sulla testa di Dylan, «stronza» si avvicino, «posso prendere il foglio Charlie?» annui con la testa e glielo diedi in mano «inizia pure Ariel» quando Ariel inizio a leggere rimasi basito aveva quel modo di parlare che quando inizio sembro che quelle parole uscissero dalla carta.
Angel:
maschere tutti ne indossiamo una, fingiamo di essere felici quando non lo siamo, fingiamo di odiare la persona che ci a lasciati quando in realtà non smettiamo di pensarla, urlo il tuo nome fino allo spazio ma sento solo il silenzio della mia anima, mi mancano i tuoi occhi, che mi guardavano con amore, le tue labbra che mi baciavano la fronte come segno d'affetto, quel tocco lieve delle tue mani sul mio viso. Torna da me perché o paura di dimenticarti, voglio che torni cosi puoi sussurrarmi al orecchio che mi vuoi bene, sentendo il tuo respiro accarezzarmi il collo, ti odio perché te ne sei andata, ti odio perché il tuo viso e costantemente nei miei pensieri, mi odio perché non ti o detto addio.
Il silenzio della classe fu cosi tetro, nessuna parlava, tutti rimasero a fissarmi con quei occhi di sbalordimento, sono sicuro che pensavano che non era possibile che un ragazzo come me poteva scrivere cose del genere, guardai anche Aryel ed anche lei rimase sbalordita da quelle parole cosi tristi ma allo stesso tempo piene di speranza, senti un applauso arrivare vicino alla finestra e quando mi voltai era il professore Brook con la faccia stupita come aveva tutto il resto della classe. «Complimenti Charlie veramente bella» annui facendo un sorriso ed io e Aryel ci sedemmo hai nostri posti. Dylan si volto dopo che mi ero seduto pensai che mi stava per lanciare altre palle di carta ma non fu cosi mi fisso per qualche secondo ed io feci lo stesso fin che non abbassai lo sguardo, per poi accorgermi che mi stava ancora fissando e poi si giro. Mentre il professore chiamo altri ragazzi a leggere io mi chiesi perché Dylan mi aveva fissato cosi senza dirmi ho farmi niente. Arrivai in ufficio con varie brioche e sei caffè per portarli hai miei collegi, e quando arrivai nella cucinetta dello studio le offri a tutti. La giornata fu tranquilla e negli ultimi giorni Charlie era tranquillo senza avere più una crisi e Madison e contenta e felice.
Capitolo 14
Era il solito mese d'aprile con la temperatura che sbalzava da caldo a freddo e non sapevi mai come vestirti, mancavano due settimane al mio compleanno, e non vedevo l'ora che papà mi organizzava la festa, come ogni mattina papà mi viene a svegliare guardandomi dalla sogna della camera se sono sveglio si avvicinava e mi dava una carezza spostandomi i capelli dalla fronte mentre io rimanevo a fissare il soffitto «ciao papà» andammo giù in cucina feci colazione accanto a Madison, rubandogli qualche biscotto come facevo di solito, sali in camera e mi vesti e quando fui pronto presi la medaglietta che mi regalo mamma che lasciavo appesa sullo specchio cosi da ricordarmi di indossarla, presi lo zaino e sali in auto. Le mattine furono tutte cosi ma stamattina mi sentivo strano avevo come un presentimento. usci dalla classe perché non mi sentivo molto bene, camminando per i corridoi della scuola non cerano molti ragazzi solo qualcuno che si nascondeva per fumare senza farsi notare, continuai a camminare, quando girai l'angolo mi scontrai con Dylan, il qui ovviamente venne buttato fuori dalla classe visto che lo cacciavano fuori quasi ad ogni lezione, Dylan mi tiro uno spintone facendomi cadere a terra, mi alzai «sei uno stronzo» glielo dissi sussurrando ma lui mi senti si volto e torno verso di me mi prese tra le braccia e mi spinse con la schiena contro il muro, tenendomi stretto le braccia per non farmi muovere, chiusi gli occhi per il dolore e quando li riapri fissai gli occhi di Dylan e lui fisso i miei, rimassimo a fissarci negli occhi per qualche breve minuto, la sua mascella si ritraeva e il cuore inizio a battermi cosi forte da sentirmelo in gola, non ci staccammo dallo sguardo l'uno del l'altro, porsi avanti la testa ma lui mi tenne fermo stringendomi di più le braccia, porsi ancora la testa in avanti facendomi sempre più vicino, ed improvvisamente ci baciammo, Dylan si stacco sbattendomi ancora contro il muro tenendomi sempre per le braccia, Dylan si avvicino e mi ribacio, si stacco alzando la mano chiusa a pugno mi fisso per un secondo o due e tiro il pugno contro il muro, mi fisso e se ne andò, rimasi in silenzio appoggiato contro il muro mentre lo fissai andare via. Dopo qualche ora la sensazione se ne andò e mi chiesi se era per quello che mi sentivo cosi e come sia potuto succedere, per tutta la giornata scolastica avevo la testa altrove, pensavo hai suoi occhi cosi azzurri ed a quelle labbra cosi morbide e a quella mascella cosi sexy mi ripetei che dovevo smetterla di pensarci anche se a me e piaciuto per lui certamente e stato un errore. Sono con Aryel, stavamo
camminando per i corridoi alcuni amici di Dylan mi spinsero e risero io feci finta di niente continuando a camminare, quando mi ritrovai fuori dalla scuola vidi Dylan che parlava con qualche amico si giro quando mi vide torno con lo sguardo su i suoi amici ed io sali in auto. Nei giorni successivi Dylan e il suo gruppo di amici non mi presero più di mira mi chiesi come mai?. Non mi sentivo pronto ma dovevo iniziare a comunicare con la mia famiglia, eravamo a cena Madison mangiava tanto come al solito e papà mangio solo la sua solita piccola porzione, dalla morte di mamma, non mangiava o mangiava troppo poco era molto dimagrito, «pa – pà» lui mi guardo fissandomi con gli occhi sbarrati e con lo sguardo pieno di dolore ma anche di gratitudine «dimmi Charlie» «pos – so tor – na – re da scu – ola da so -lo?» mi chiesi perché quella proposta? ma sopratutto mi chiesi come mai era tornato a parlare, anche se balbettava? «Charlie ci devo pensare, non puoi farti accompagnare da qualche amico al inizio?» «Si cer – to all – ora ti va be – ne?» «si, possiamo vedere come va al inizio ok, pero devi sempre essere accompagnato da un tuo amico» «si va be – ne, gra – zie pa – pà» sorrisi e fini di mangiare. Finito di mangiare sali in camera a scrivere un po' sul libro che mi regalo papà, scrissi scrissi ma niente non riuscivo a collegare i pensieri pensavo sempre a quel bacio, fin che non senti papà dietro di me, mi voltai «Charlie e ora di andare a letto», mi alzai appesi la collana sullo specchio e mi sdraiai a letto, «sono contento che tu sia tornato a parlare, ti voglio bene Charlie» li sorrisi e chiusi gli occhi. Come ogni notte li diedi un bacio sulla fronte e lasciai la sogna aperta, scesi in cucina di corsa e presi il cordless, feci il numero che salvai come preferito. «Ana», «Matthew cosa hai?» «Charlie.. Charlie..» «Charlie? cosa e successo?» «Parla.. Charlie e tornato a parlare» «davvero oh mio dio, e da quando?» «stasera.. da stasera a iniziato a parlare mi a chiesto se da domani può venire a casa da solo» «e tu cosa gli hai risposto?» «Di si, basta che al inizio venga accompagnato da qualche amico» «hai fatto bene ma devi esserne sicuro» «lo sono anche se sono un po' agitato» «immagino, ma deve iniziare a crescere e questi sono i primi i, ma perché proprio stasera a iniziato a parlare?» «si lo so che deve iniziare a crescere ma io non voglio, vorrei che rimanesse bambino per sempre, non lo so perché ma sinceramente non mi importa tanto a me basta che continui a parlare» «sai che non rimarrà ragazzo sempre e tranquillo continuerà a parlare basta che non glielo farai notare molto, non vorrei che tornasse a chiudersi in se stesso» «ok! Hai ragione grazie Ana» «figurati tu come stai?» «Bene stanco ma bene ed ora che Charlie e tornato a parlare sto meglio» «sono contenta per te il lavoro come va?» «Va tutto bene i pazienti continuano ad aumentare, ed o fatto nuove amicizie ma ti racconterò tutto quando vieni qua» «va bene, Matthew ti voglio bene buona notte» «notte Ana».
Era finita la lezione di matematica, quando inizio la lezione del signor. Brook, «Dylan non e questa l'ora di arrivare» «io arrivo quando voglio» «no, in questa scuola non funziona cosi e se non ti e chiaro ti mando dal preside hai capito» si sedette al suo banco «si o capito» lo guardai e lui mi fisso «che hai da guardare» abbassai la testa fin che lui non si giro, «ragazzi il nuovo compito e scrivere qualcosa che vi viene dal cuore non dico che deve parlare d'amore ma deve venire da dentro, ma non sarete da soli a scriverlo vi metterò in coppia, e le sceglierò io perciò non voglio sentire lamentele o proposte di mettersi con tale persone chiaro. Tra due settimane voglio il compito pronto», dopo aver letto alcune poesie di Emily Dickinson il professore ci disse con che compagni avremo fatto coppia Aryel con Yasmine Lucas con Thamara ed io con Dylan non ero molto contento e a quanto pare nemmeno lui «professore io non voglio stare con un ritardato» «sme – tti – la stu – pi – do» Dylan si giro e rise co – sa hai de – tto rit – ard – ato» balbetto prendendomi in giro, mi alzai e usci dalla classe e corsi in bagno piansi ma non volevo dargliela vinta, apri il rubinetto e mi diedi una sciacquata, arrivo il professore «Charlie va tutto bene?» annui con la testa «se non vuoi stare con Dylan posso metterti con un altro alluno della classe» «no! va be – ne sta – ro con lui, ma pos – so chi – ede – rle per – ché a dec – iso di met – ter – mi con Dylan?» «Charlie per come scrivi, tu riesci a parlare con la carta, quando sei nel tuo mondo le frasi che lasci sulla carta vengono da dentro e vorrei che lo insegnassi anche a Dylan» «ok!» «ora torniamo in classe» mi appoggio la mano sulla spalla e ci dirigemmo in aula, quando mi sedetti guardai Dylan e lui mi ignoro. Nei giorni seguenti tornai da scuola con Aryel era lei che mi accompagnava sempre a casa abitavo solamente a due isolati dalla scuola e scopri che lei abitava a solo un chilometro da casa mia, ed a volte mentre tornavamo a casa da scuola si aggiungevano anche Yasimin, Thamara e Lucas ero contento ad avere cosi tanti amici finalmente perché nel altra scuola nessuno mi parlava mi trattavano come se avessi la peste. Mentre mi avviai a casa con Aryel sentimmo una voce dietro di noi «aspettate fermi Charlie, Aryel, fermatevi» ci girammo e vidimo che era Dylan che correva verso di noi Ariel mi appoggio la mano sulla schiena e mi spinse in avanti come per dire di ignorarlo e di continuare a camminare e lo feci mi rivoltai in avanti e continuai a camminare fin che non mi ritrovai Dylan davanti «fermatevi per favore» «cosa vuoi Dylan vuoi prenderlo ancora in giro?» «No, voglio solo parlare con Charlie» «si certo per trattarlo male» «ma vuoi stare zitta, sarà Charlie a decidere se potrò parlagli o no» Aryel fece un espressione irritata quando la zitti e mi guardo io ero fisso sui gli occhi di Dylan e non sapevo cosa fare annui con la testa per dire che poteva parlarmi ma voleva parlarmi da solo «puoi andare avanti, voglio parlare con Charlie da solo» annui ancora ad Aryel e lei si incammino allontanandosi da
noi. «Sia chiaro io non faro niente sarai tu a fare il compito per tutti e due e chiaro?» Lo guardai speravo che si scusasse, ma mi ero solamente illuso lo guardai e notai che Aryel si era fermata più avanti a fissarci mentre continuammo a camminare mi fermai di fronte a Dylan «no!» «Come scusa» «hai cap - ito be - ne no! Io non fa - ro il com - pito per te, e se tu non lo vu - oi fa - re di - rò al pro – fes - sore che lo fat - to io da so - lo sen - za il tuo ai - uto, e se non vu - oi fin - ire dal pre - side anc - ora, ci ved - iamo a ca - sa mia dom ani do - po la scu - ola ciao». Mi guardo sconcertato con la faccia sbalordita ma anche con l'espressione furiosa, mi avvia verso Aryel e lui mi fermo prendendomi per il braccio mi voltai e lo guardai, mi fisso in silenzio e alzo lo sguardo dal mio braccio guardandomi negli occhi «Charlie baci dannatamente bene» sorrisi e me ne andai via con Aryel.
Capitolo 15
Camminavo per il quartiere con Aryel affianco la ringraziai del fatto che mi accompagnava sempre a casa per me era una grande amica anzi la mia migliore amica, arrivato a casa mangiai papà si vedeva che era stanco dal lavoro ma li piaceva ed era contento di aver fatto nuove amicizie, infatti ogni tanto tornava a casa con J, Alex o Vaiolet oppure con entrambi ed io ero contento di avere gente a casa e giocarci insieme, papà ci fece sedere in torno al tavolo mi chiesi cosa volesse dirci speravo niente di grave. «Ragazzi da lunedì dovrò iniziare a lavorare anche il pomeriggio perciò o chiesto a una persona di stare con voi quando io non ci sono» alla fine avevo scelto quella che Ana mi aveva consigliato. Alyson una bella donna alta con i capelli castano chiaro, ben vestita e con un viso angelico, studiava al università per diventare psicologa e questo per me era un vantaggio visto che se i miei figli avevano qualcosa lei poteva parlarne con loro. Li avevo già fatto il colloqui nel mio ufficio visto che non potevo trovare un altra soluzione essendo che ogni giorno avevo molti bambini da visitare e con me ci fu anche J un consiglio in più mi avrebbe fatto bene. Le loro facce erano un po tristi immaginavo quelle espressioni non volevano che io non ci fossi tutto il giorno ma i pazienti continuarono ad aumentare e il lavoro prosegui bene ma sapevo che li sarebbe piaciuta la nuova ragazza o almeno speravo. «Pa - pà e la mia fe -sta non la facc -iamo più, se tu non ci sei?» «Charlie non ti preoccupare quel pomeriggio sarò qui mi sono già messo d'accordo di stare a casa» sorrise contento e poi anche Madison tiro su il morale «allora vi va di conoscerla?» «Sii» urlo Madison e Charlie annui ridendo «viene domani pomeriggio». Senti suonare il camlo e vidi papà che si alzo a vedere chi era, senti parlare e quando mi alzai a vedere chi era notai che era Dylan rimasi sorpreso nel vederlo davanti alla porta di casa. Papà lo fece entrare e salimmo in camera lasciai la porta socchiusa essendo che papà non voleva mai che la chiudessi mi sedetti davanti alla scrivania e Dylan si accomodo sulla sedia accanto a me. «All – ora co -sa vu -oi scri – vere» mise le gambe sulla scrivania e mastico morbosamente la cicca. «Non mi interessa» «all -ora per -ché sei ven uto?» «Non avevo niente da fare» «all -ora vatt -ene» mi stavo per alzare quando mi prese e mi rimise seduto sfiorandomi le labbra tenendomi fermo seduto sulla sedia, guardandomi dritto negli occhi «vuoi baciarmi?» sentivo le sue labbra vicino alle mie e il suo respiro sul viso «Las – cia -mi» «dimmelo vuoi?
Dimmelo» provai a staccarmi ma non ci riusci più mi muovevo più mi tenne fermo e mi faceva male, allora lo baciai si stacco ed io mi alzai «ora vat – tene» «no! Voglio rimanere qui con te» lo guardai e tornai a sedermi sulla sedia spingendoli via le gambe dalla scrivania che provo a rimettere per altre due volte, inizio a mettere le mani in giro sulla scrivania e a guardare i fogli su qui avevo abbozzato frasi e pensieri anche su di lui gliele tolsi di mano ma ne tenne una in mano, «questa e su di me?» Non risposi, quando si stava per alzare entro mio padre feci un respiro di sollievo «Charlie posso lasciarti cinque minuti a casa da solo che accompagno Madison dalla vicina cosi gioca un po' con Lisa, tanto torno subito e poi ce qui il tuo amico» io non volevo che mi lasciasse solo con Dylan ma non volevo farlo preoccupare, «va be – ne» quando senti mio papà uscire Dylan si alzo non capi se era arrabbiato o no, il suo viso non esprimeva emozioni mi alzai e gli ripetei di andarsene apri la porta della mia camere ma lui la chiuse furiosamente «sme – tti – la» «dimmi e su di me questa?» mi prese e mi spinse sul letto e me lo trovai sopra di me tenendomi bloccato, si tolse la felpa e rimase con la maglietta senza maniche notai quanto le sue braccia erano muscolose quando le teneva appoggiate sul letto continuo a baciarmi e quando si stacco continuo a ripetermi quella domanda «e su di me?» «e su di me?» «si ora la – sci -ami» volevo che continuasse ma non volevo che mi usasse e basta inizio a baciarmi il collo ed io non capi più niente mi faceva uno strano effetto i suoi baci sul collo mi piacono molto facendomi andare in tilt. Sentimmo la porta, mi bacio di nuovo ma con la lingua si stacco rimase sopra di me guardandomi negli occhi, «ora sai su cosa scrivere Charlie» si alzo prese la felpa e andò verso la porta «te ne vai?» «Si ci vediamo domani a scuola» mio padre si trovo davanti a Dylan. «Vai già via?» «Si signore» Dylan scese le scale e usci di casa io mi ritrovai seduto sul letto con mio padre che mi guardava «va tutto bene figliolo» «si papà» mio padre socchiuse la porta e se ne andò, io tornai a sedermi sulla sedia della scrivania e iniziai a scrivere, contento per quello che era appena accaduto. Nei giorni seguenti il gruppo d'amici di Dylan non mi guardava e nemmeno mi sfiorava con un solo dito, ero in mezzo alla folla di ragazzi che girovagavano per la scuola quando Dylan mi prese e mi spinse contro il muro lo guardai infastidito non capivo perché quel gesto «ci vediamo nel corridoio dove ce la finestra che da sul cortile alle dieci capito?» annui con la testa ero stordito da tutto ciò mi trattava male ma voleva vedermi? Aryel si avvicino di fretta per far mandare via Dylan da me ma lui se ne andò prima che lei si potesse avvicinare, «tutto bene Charlie?» dissi di si con la testa ed entrammo in aula, continuavo a guardare l'orologio ed Aryel mi guardava strana erano le dieci la lezione era già cambiata, «prof – esso -ressa po -sso usc -ire? Mi gi -ra la te -sta» «certo Charlie ma stai vicino alla classe grazie» mi avviai verso il corridoio
quando vidi Dylan fisso a guardare fuori dalla finestra. «Dy – lan» lui si giro e mi prese per la mano e ci avviammo verso il bagno, aprimmo la porta ed entrammo in una delle cabine chiudendola a chiave, ci furono sei cabine nel bagno decise di entrare in quella in mezzo essendo che l'ultima era per quelli che fumavano spinelli e le prime sono per le coppie che fanno effusione sessuali, perciò decidemmo per quella centrale essendo che non volevamo essere visti da nessuno e Dylan non voleva essere beccato dai suoi amici o da qualche insegnante che ogni tanto andavano a vedere se nei bagni succedeva qualcosa. Avevo il solito battito accelerato, perché? Perché ogni volta che mi tocca mi sento cosi? Perché quel suo sguardo mi fa innamorare di lui sempre di più? Mi fisso sempre più vicino al inizio mi sfioro le labbra mentre mi guardava mi teneva una mano sulla testa e l'altra sulla schiena, mi bacio quei suoi baci, quel suo respiro quel tocco della mano sul mio corpo i miei ormoni iniziarono ad agitarsi, mi bacio sulla bocca poi si sposto sul collo mi prese le braccia e me le mise contro il muro sopra la testa e rimase a baciarmi continuamente sul collo, ebbi una erezione avevo paura che poteva accorgersene ma quando si appoggio al mio corpo senti la sua erezione sulla mia gamba, i baci sul collo mi fecero impazzire e senza accorgermene iniziai ad ansimare «ba – sta» ma lui continuo riprovai a dirgli di fermarsi ma il punto e che non volevo che si fermasse torno a ribaciarmi in bocca fin che Dylan non si stacco «perché non parli e balbetti?» Non risposi abbassai lo sguardo e lui con la mano mi tiro sul mento fissandomi, fin che non sentimmo la porta del bagno aprirsi, sentimmo parlare ed erano alcuni amici di Dylan, con la mano mi tappo la bocca mentre mi guardava spaventato quanto lo ero io ora ero agitato e se ci avrebbero beccati? E se aprirono la porta dove eravamo noi? Se ci vedessero Dylan mi avrebbe difeso? Cosi tante domande in un momento pieno d'ansia il mio cuore si fermo. Sentimmo che i ragazzi spalancarono tutte le porte delle cabine per vedere se cera qualcuno, quando arrivarono alla nostra maniglia ci guardammo con ansia e paura ma prima che la potessero girare un insegnante entro e li caccio tutti fuori, fortunatamente l'insegnante ando di li senti degli schiamazzi ed entro, sentimmo che l'insegnante cammino per il bagno, quando fuori in corridoio continuarono ad urlare allora usci. Ci fissammo sollevati, ma li tolsi la mano bruscamente dalla mia bocca lo guardai e girai la chiave per uscire, ma lui la richiuse, mi rigirai parlando a stento visto che ero ancora agitato. «Sme -ttila non pos – sia -mo con – tin -uare cosi, dob -biamo fin -irla, mi dis – pia -ce e fin – ita» apri la porta e me ne andai senza girarmi anche se volevo. Mi appoggiai al water mettendomi le mani nei cappelli sbattei la porta che si spalanco e mi avviai al lavandino appoggiando le mani e fissandomi allo specchio guardandomi non avevo pensieri in quel momento e nessuna espressione, tirai un pugno allo
specchio che si rompe in mille pezzi. Non ascoltai più nessuna lezione i miei pensieri erano fissi su Dylan. Quando le lezioni erano finite, camminai per il corridoio e ai di fronte alla infermeria notai che cera Dylan seduto sul lettino e accanto a lui un infermiera bassa e robusta che li stava medicando la mano e li mise una fascia, ero fermo sulla sogna ed entrambi ci fissammo, mi tirai bene sulla spalla lo zaino, lo guardai per l'ultima volta e poi abbassai lo sguardo e me ne andai. Lo guardai tutto il tempo mentre era davanti alla sogna e lo fissai mentre spariva. Avevamo festeggiato il compleanno di Vaiolet tutto lo studio era venuto in casa mia, e J ed Alex mi avevano aiutato a preparare la festa, io e J li avevamo preso un regalo insieme, era una collana fatta a goccia di swarovsky, che li piacque molto e la indosso subito, notai che Alex flortava con Vaioloet ed ero contento se tra loro fosse nata una storia.
Capitolo 16
Avevo appena dato i biglietti del compleanno a metà della classe lo diedi anche a Dylan, ma non so se sarebbe venuto, il compito che ci a assegnato il professore venne allo stesso giorno del mio compleanno cioè domani e fortunatamente l'avevo finito speravo di averlo scritto bene perché lo feci di fretta visto che il mio compleanno si avvicinava sempre di più. Papà ci fece conoscere la persona che doveva tenerci quando lui non cera Alyson era molto simpatica con lei giocavamo sempre e a papà ed anche a Madison piaceva perciò dovevo farmela piacere, papà aiuto Alex a portare i suoi bagagli qui da noi e ci disse che sarebbe rimasto per una settimana o più la sera arrivo anche Ana a cena, quando sali in camera a sistemare il mio compito arrivo Ana in camera mia e mi accarezzo i capelli ogni volta che entrava nella mia stanza si avvicinava allo specchio con appeso la medaglietta di mia madre e lesse sempre le parole incise ricordati di me! E poi fece la solita espressione triste anche a me succedeva ogni tanto, ma dovevo andare avanti per papà non volevo ricordargliela costantemente, Ana si piego in avanti tenendo le sue braccia avvolte al mio corpo, «che cosa stai scrivendo Charlie?» «il com – pito per do – mani» «posso leggerlo?» feci segno di no, «de – vo anc – ora fin – irlo» «posso dirti una cosa?» «Si» «mi piace il titolo» «gra – zie». Era la mattina del mio compleanno e sono molto agitato quando scesi in cucina vidi tutti gli addobbi sul divano del salone e mentre Ana ci preparava la colazione papà portava altri addobbi dalla cantina. Quando arrivai a scuola tutti mi fissavano non sapevo perché ma era fastidioso mi fissavano mi indicavano e bisbigliavano qualcosa sotto voce fin che non senti un urlo arrivare dietro di me (FROCIO) fu come un pugno nello stomaco mi chiesi se avevano scoperto cosa cera tra me e Dylan le urla continuarono per tutto il corridoio mentre lo attraversavo per andare in classe (FROCIO, FINOCCHIO, FATE SCHIFO!). E continuarono cosi fin che non entrai in classe e mi sedetti al mio banco accanto ad Aryel, che anche lei mi guardo con un po' il viso sconcertato «che ce?» «sono vere le voci che girano, su te e Dylan?» «che vo – ci?» «Che state insieme» «non vog - lio par–lar - ne ora, ne par - lia - mo fin - ita la scu – ola»lei mi guardo e sorrise e iniziammo la lezione, alla ricreazione ci furono ancora commenti volgari e cattivi, mentre aspettavo Aryel mi appoggiai al muro vicino al bagno dei maschi, dei ragazzi si avvicinarono «hey finocchio, hai sbagliato bagno, questo e quello degli uomini tu devi andare in quello delle
donne», mi spinsero facendomi cadere a terra, Dylan si avvicino e li spinse via i ragazzi reagirono ma lui gli tiro dei pugni prima a uno e poi al altro, e uno di loro glielo tiro a lui «stai difendendo la tua fidanzatina» tiro altri pugni fin che l'insegnante arrivo a dividerli «basta, fermi che succede qui?» Dylan mi fisso e mi tiro su accompagnandomi in classe non dissi niente non volevo dire qualcosa di sbagliato, lui mi guardava come per dirmi qualcosa ma dalla bocca non li usci niente, entro il professore ed ognuno inizio a leggere i propri scritti, e quando chiamo me e Dylan ci alzammo e ci mettemmo di fronte alla classe qualcuno inizio a ridere, ai il foglio a Dylan e lui inizio a leggere.
Bacio doloroso:
I tuoi occhi, le tue labbra, quel lieve tocco delle tue mani sul mio corpo. Perché mi fai questo effetto? E come posso provare tutti questi sentimenti per te? Dobbiamo smetterla di “amarci” perché non voglio soffrire ancora, le lacrime iniziarono a scavarmi il viso, e il mio respiro si fece affannoso e con la voce roca gli dissi di non lasciarmi, basta non riesco più a guardati, basta non posso più amarti, ti prego non guardarmi cosi, lasciami, lasciami, smettila di fissarmi con quei occhi pieni d'amore, smettila di abbracciarmi con tutta quella ione, perché non riesco a staccarmi dal suo sguardo? Quel bacio cosi doloroso per il mio fisico quel bacio cosi doloroso per la mia mente, quel bacio che ci fa solo del male.
La classe rimase ancora in silenzio e Dylan si giro a guardarmi, con quei occhi da qui non riesco mai a staccarmi, «che bella poesia Dylan la tua fidanzatina la dedicata a te, perché non lo baci ancora ho andate nel bagno a farlo» «smettila vai dal preside» ma prima che il ragazzo potesse uscire Dylan mi sbatte il foglio in mano e usci sbattendo la porta. Non sapevo il perché di quella reazione, speravo che il professore mi d'asse un bel voto visto che l'ultimo fu soltanto un otto per la poesia e un sei per lo scritto essendo che avevo fatto qualche errore io volevo arrivare ad avere il voto dieci, il professore mi mise una mano sulla spalla io guardai Aryel che anche lei mi guardo un po' stordita da quella poesia, e andai a sedermi «bravo Charlie» nelle lezioni seguenti Dylan non si vide più e quando la scuola fu finita il suo zaino era ancora vicino alla sedia del suo banco. «Charlie dicono che Dylan sia uscito dalla scuola» Aryel era sempre cosi gentile con me e speravo che capisse quello che stava succedendo, presi lo zaino di Dylan e andai a casa vidi che gli addobbi erano giù appesi e le bevande pronte con il cibo suoi tavoli. Era già tardo pomeriggio quando la festa continuo ormai avevo già aperto i regali ma non rimasi molto colpito visto che pensai per tutto il giorno a Dylan, andai in camera e me lo ritrovai nella stanza in piedi vicino alla finestra, «Dy – lan» «perché hai scritto quelle cose su di noi, sei uno stupido, già tutti ci insultavano perché anno scoperto che ci siamo baciati in bagno ed ora tu scrivi quelle stupidate sei uno scemo» iniziai ad agitarmi mettendomi le mani in testa muovendomi avanti e indietro mentre ero davanti a lui, continuo a gridarmi dietro dandomi dello stupido e provo a togliermi le mani dalla testa. Ero a bere con Ana e Alex giù in cucina quando senti delle urla provenire da sopra corsi per vedere cosa stava succedendo e senti che Charlie era agitato senti che qualcuno li stava urlando dietro, quando apri la porta vidi Charlie che si agitava tenendosi le mani sulla testa e notai un ragazzo vicino alla finestra presi Charlie tra le braccia muovendomi con lui indietro e avanti «cosa e successo?» il ragazzo davanti alla finestra non parlo era immobile davanti a quella scena e con Charlie al momento era impossibile dialogare mentre gli dicevo che andava tutto bene e di calmarsi mi voltai verso il ragazzo «vattene via» lui rimase in mobile fin che non mi arrabbiai e urlai «vattene via ho detto, ora» prese lo zaino e usci dalla stanza. Quando mi calamai papà mi chiese cosa era successo ma non mi andava di parlarne e mi sdraiai a letto. Quando lasciai Charlie in camera sdraiato a letto lasciai la porta socchiusa e scesi di sotto, dirigendomi verso la cucina «Ana aiutami a mandare via tutti per favore» non mi chiese cosa fosse successo mi aiuto e basta. «La festa e finita vi ringraziamo di essere venuti» io rimasi sulla porta di casa a salutare tutti gli ospiti mentre Ana disse che la festa era finita.
Guardai se Charlie stava meglio, ma quando apri la porta notai che stava dormendo quella sera chiusi totalmente la porta, scesi di nuovo in cucina e cerano Ana e Alex a finire di pulire mentre Madison guardava la TV. «Quel moccioso giuro che se lo rivedo li spacco la faccia», «Matthew calmati e dicci cosa e successo» «lo visto solo due volte quel ragazzo, la prima volta quando era venuto a fare i compiti con Charlie e oggi e basta, non so cosa sia successo, io sono arrivato in camera di Charlie mentre lui era in mobile vicino alla finestra, mentre Charlie aveva una crisi» «dannazione ed ora come sta?» «Sta dormendo» «non vuoi svegliarlo per farlo venire giù a mangiare qualcosa ho almeno un pezzo di torta?» «no sta dormendo ed e meglio cosi, almeno sta tranquillo per un po'» «e meglio che vada a casa mia Matthew non voglio essere un peso in più» «no Alex tu stai qua» notai che Alex era triste tutto il giorno, avevo nascosto tutti gli alcolici che avevo in casa e qualcuno lo regalai hai miei collegi dello studio, dissi tutto a Ana su quello che era capitato ad Alex e lei rimase sconvolta nel saperlo e mi promise che mi avrebbe aiutato in quella settimana che Alex sarebbe rimasto mio ospite. Dopo che avevamo finito di mangiare rimasimo a guardare la TV e poi andammo tutti a letto controllai Charlie per l'ultima volta e andai a letto, parlando con Ana che era accanto a me di quello che era successo fin che non ci addormentammo.
Capitolo 17
Le giornate scolastiche iniziavo ad odiarle, tutti mi prendevano in giro mi insultavano mi spingevano facendomi cadere per terra in mezzo hai corridoi e Dylan la maggior parte delle volte non fece niente non ce la facevo più iniziai a pensare di non andare più a scuola ma non volevo fare agitare papà certe notti non riuscivo a dormire e piangevo coprendomi il viso con il cuscino. Ero sulle scale della scuola mi avevano appena tirato un pugno e mi fecero inciampare insultandomi, decisi di sedermi sulle scalinate a piangere quando vidi Dylan accanto a me, mi mise una mano sulla spalla io gliela presi e gliela spostai con forza alzandomi e andandomene. Era notte fonda e continuai ad agitarmi nel letto, quando improvvisamente senti dei rumori alla finestra, mi tolsi il cuscino dal viso bagnato dalle lacrime, e continuai a sentire i tintinni, mi alzai per vedere che rumore era, quando apri la finestra vidi che era Dylan sul giardino che tirava i sassi, inizio ad arrampicarsi sulla corniciata a fiori che arrivo alla mia finestra, si appese ed entro in camera, «vat – ttene via» «no, io sto qua con te» stavo per uscire dalla porta quando mi prese e mi volto verso di lui, mi poso le sue mani sulla testa tenendomela ferma e mi bacio, guardandomi, quando si avvicino mi accorsi che aveva il labbro spaccato «co -sa ti e succ -esso?» «e stato mio padre Charlie scappa con me, scappiamo insieme» «co – sa? No non pos – sso» «si che puoi, io ti amo Charlie e non ti lascerò mai, ti prego scappa con me» appoggio la sua testa alla mia «ti prego Charlie» il riflesso della luna sbatteva sullo specchio della mia camera facendo splendere la collana della mamma lo guardai negli occhi che erano di un azzurro cupo, «si va be – ne» «allora vestiti che partiamo» ero un po' indeciso ma poi mi cambiai intanto che Dylan mi buttava qualche vestito nello zaino. Dylan era pronto e stava per uscire, «asp -etta un att – imo» «muoviti Charlie» mentre Dylan mi guardava agitato perché era l'una ata e pensava che qualcuno ci potesse vedere, scrissi due righe a mio papà e appoggiai il foglio sul letto, mentre scendemmo dalla cornicione, Dylan mi prese in spalle e corremmo verso l'auto. Eravamo in viaggio da qualche ora, l'alba si fece largo tra l'oscurità della notte e il sole si batte sul nostro viso la macchina di Dylan era una jeep di due posti blu, avevo il braccio appoggiato fuori dal Finestrino mentre fissavo Dylan che era
concentrato a guidare anche se anche lui si volto a guardarmi ogni tanto, ero fisso a guardare fuori dal finestrino, a pensare a papà a come avrebbe potuto reagire iniziai a pensare che forse questo viaggio fosse un errore, ma dopo la morte di mamma Dylan mi a fatto sentire vivo e anche se fosse sbagliato questo viaggio mi potrebbe rendere felice. Mi voltai a guardare Dylan e lo fissai era cosi sexy aveva lo sguardo fisso sulla strada ma quando lo chiamai si volto, «do -ve sia -mo dir -etti Dy – lan?» «non ce una meta, tu dove vorresti andare Charlie?» «non lo so, in spiaggia?» mi guardo e sorrise e «spiaggia sia» il viaggio era lungo e iniziai ad avere fame ci fermammo in un fast food lungo la strana, non avevo molta fame continuai a pensare che forse avevamo sbagliato a scappare, mangiai solo un panino Dylan invece ne mangio due con patatine e cocacola era cosi buffo quando mangiava essendo che era affamato mangio veloce strafogandosi con patatine e panini. «Perché ridi Charlie?» «Per -ché sei buf -fo qua -ndo ma -ngi, e ri -do per -ché qua -ndo par -li con la boc -ca pie -na co -me ade -sso mi fai rid – ere» «a si» dopo avergli detto che e buffo inizio a fare lo stupido con il cibo in bocca e facendo delle facce strane risi per tutto il tempo, eravamo quasi vicini alla spiaggia quando stavamo per la strada circondati di prati e montagne verdi troppo verdi per i miei gusti, iniziai a giocherellare con la medaglietta che indossavo al collo guardando fuori dal finestrino, senza accorgercene iniziamo a discutere, «Dy -lan for -se abbi -amo sba – gli -ato a scap -pare» «perché dici cosi non vuoi stare con me?» «non di -re co -si, sai che vo -glio sta -re con te, ma o pa -ura di co -sa succ -ederà se ci tro vano» «non e detto che ci trovino, se vuoi torniamo indietro» inizio a urlare «sme – ttila, Dy -lan» «ma perché devi rovinare tutto cavolo» «fer -mati... fer mati» iniziai ad agitarmi, sbattei le mani su cruscotto urlandogli dietro «fer -mati ho det - to fer – mati» inizio a rallentare e si fermo alla prima sosta mentre le altre auto continuarono a sfrecciare, scesi dalla macchina sbattendo la portiera alle mie spalle poi senti scendere anche Dylan, «Charlie.... Charlie, dove stai andando» iniziai a camminare nel prato che era vicino al autostrada l'erba era un po' alta ma riusci a camminare «las -ciami in pa -ce vatt -ene via» «vieni qua, Charlie fermati subito» riusci a prendermi per un braccio, provai a spingerlo via ma cademmo a terra e dopo pochi istanti me lo ritrovai sopra di me, «lasci -ami» «no! Non ti lascerò» «ho pau – ra delle con – segu – enze» «anche io ma hai visto come ci anno trattano» «lo so ma a me ma -nca mio papà e mia sor – ella» Charlie se vuoi torniamo indietro mi bacio e mi accarezzo, e si levo da sopra di me sdraiandosi affianco a me sul prato. Intorno a noi molti fiori una ondata di vento fresco facendoci sentire il profumo dei fiori che ci circondavano guardavamo le nuvole che giravano e quel sole che splendeva in cielo. «Qua -nto man -ca alla spia – ggia?» si volto a guardarmi e sorrise, mi bacio ed io
ricambiai torno sopra di me e mi bacio il collo si tolse la maglietta e rimasi a guardare il suo fisico cosi atletico e la sua tartaruga cosi scolpita mi accarezzo e con le mani, piano piano mi accarezzo il petto scendendo sempre di più ancora e ancora, quando lo senti che provo a slacciare la sua cerniera, lo fermai. «Non so -no pro -nto» lui mi guardo con una strana luce nei suoi occhi io volevo farlo ma non era il momento giusto «ok, come vuoi Charlie» tornammo verso l'auto e ci riavviammo verso la spiaggia. Mentre eravamo in auto notai che Dylan aveva l'espressione seria, «sei arra – bbi - ato per -ché ho non vol -uto far – lo?» «no non lo sono, sono solamente un po' stanco» «ok!» Mi voltai verso il finestrino e guardai fuori per tutto il viaggio, pensando a mio padre. Mi sono svegliato con accanto Ana nuda mi misi i boxer in pantaloni e una maglietta nera a mezze maniche, scesi in cucina a preparare la colazione e andai a svegliare Madison che come la maggior parte delle volte era già sveglia seduta sul letto a giocare con le sue bambole apri la porta di Alex che stava ancora dormendo, «e ora di svegliarsi, la colazione e quasi pronta» ai per il corridoio e la porta di Charlie era come sempre socchiusa, la apri ma vidi il letto disfatto con su un pezzo di carta, stavo tremando tutto e non riuscivo a respirare provai a urlare il nome di Ana ma mi accorsi che non stavo emettendo nessun suono le lacrime iniziarono a scendermi come fontane. «Ana... ANA!» mi ritrovai Ana dietro di me semi nuda con la vestaglia aperta, «che cosa succede Matthew» silenzio notai che tremava e non la smetteva di piangere «Matthew rispondimi» «Charlie... Charlie non ce» «come non ce, cosa stai dicendo?» mi indico verso la camera di Charlie con la mano quando mi voltai notai che il letto era disfatto entrai nella camera mentre Matthew era immobile sulla sogna e vidi un biglietto sul cuscino. Scusami papà se me ne sono andato cosi, ma non potevo più sopportare tutta questa situazione, non e colpa tua, ti voglio bene Charlie. Rimasi sconvolta da quello che stava succedendo, senti un lieve brivido su tutto al corpo e notai che la finestra era aperta e capi che era uscito dalla finestra, mi voltai verso Matthew che era devastato da tutto ciò e l'ultima volta che lo vidi con quella espressione fu dalla morte di Isabel.
Capitolo 18
Ero sul giardino davanti a casa a camminare avanti e indietro aspettando la polizia Madison l'avevo portata dalla signora Ghotwin la nostra vicina di casa, mentre Alex era con Matthew in cucina a provare a farlo riprendere sembrava ancora in coma dal accaduto, io ero ancora in vestaglia e non mi importava se la gente mi vedeva cosi, vidi la pattuglia della polizia arrivare e feci segno di entrare. Quando eravamo tutti nel salone seduti il poliziotto guardo Matthew in silenzio poi guardo me, «signorina ci può dire cosa e successo per favore» «ieri era il compleanno di Charlie andava tutto bene fin che Matthew non senti delle urla provenire dalla camera del ragazzo e quando lui sali vide Charlie agitato purtroppo soffre d'autismo e certe volte gli vengono delle crisi, ma con lui ci fu un altro ragazzo un certo Dylan che poi cacciamo di casa» «e questo Dylan va a scuola con vostro figlio?» «pensiamo di si visto che già in ato e venuto in questa casa per fare i compiti con Charlie» «capisco, e la scuola cosa vi a detto» «non l'abbiamo ancora chiamata, voi siete stati i primi che abbiamo chiamato» «sapete se e scappato insieme a questo ragazzo?» «forse, ma di certo non può essere scappato da solo con la malattia che ha» «a lasciato solo questo biglietto?» «Senta perché invece di stare qui a farci domande non va a cercare mio figlio dannazione» «si calmi sigior Evans, noi stiamo cercando di capire cosa sia successo e perché suo figlio a scritto questo biglietto» guardai Matthew e li misi una mano sulla spalla, «sua madre e morta qualche mese fa circa potrebbe essere per quello?» Matthew si alzo e usci sbattendo la porta piangendo, Alex provo a seguirlo ma era troppo tardi aveva presso la macchina e se ne era andato via. «signorina lei capisce che dobbiamo farle queste domande per capire cosa e successo» «certamente ma deve capire agente che Matthew non a ancora superato la morte di sua moglie ed ora le sta succedendo questo capisce che per lui e molto difficile», «capisco» «ora andrete a parlare con la scuola?» «si signora e poi con la famiglia del altro ragazzo». Quando i poliziotti se ne andarono mi copri il viso con la faccia e mi spostai i capelli indietro, guardai Alex e feci un sospiro di frustrazione, mi chiesi dove era potuto andare Matthew aveva indosso una maglietta e dei pantaloncini quando usci, «Alex vado a vestirmi poi esco a cercare Matthew, tu potresti stare qui se nel caso tornasse?» «Si certo vai pure» corsi su per le scale e mi vesti, pensai a dove potrebbe essere andato ma non mi venne in mente nessun posto in
particolare. Quando scesi vidi Alex che stava sistemando la cucina «Alex non sei obbligato a sistemare, lo avrei fatto io quando sarei tornata» «non ti preoccupare anche io vorrei dare una mano in qualcosa» «grazie, volevo chiederti tu sai dove potrebbe essere andato Matthew, avresti in mente qualche posto?» «forse alla scuola» «perché pensi alla scuola?» «Perché quel ragazzo va nella stessa scuola di Charlie ed essendo che non conosciamo la sua famiglia Matthew sarà andato a lamentarsi con la scuola, e un ipotesi» «Alex sei un genio» mi avvicinai e li diedi un bacio sulla guancia e corsi verso la macchina. Stavo camminando per i corridoi mentre tutti i ragazzi della scuola mi fissavano sconcertati per come ero vestito, arrivai davanti alla porta del preside ed entrai senza bussare «signor Evans buon giorno» mi porse la mano ma non ricambiai, «buon giorno un cazzo, lei mi aveva detto che avreste tenuto d'occhio Charlie ed ora sa che e scappato di casa lasciandomi un biglietto, chi e Dylan?» «mi scusi signor Evans si calmi non so di cosa stia parlando» «no che non mi calmo mio figlio e scappato di casa lei mi sa dire il perché? si presume che sia scappato con un certo Dylan» «controllo subito se Dylan e nella sua classe» il preside usci un attimo dal ufficio e quando rientro aveva un espressione turbata, «signor Evans Dylan Cooper non ce in classe» «allora e vero sono scappati insieme oh mio dio» «mi sono state riferite altre notizie dagli insegnanti» «quali mi dica quali» «girano certi voci nella scuola, che suo figlio e quel ragazzo Dylan anno una relazione, e che qualcuno li aveva visti baciarsi nei bagni della scuola, e da quel giorno iniziarono a prenderli in giro, e insultarli» rimasi spiazzato da questa notizia, non potevo credere che mio figlio sia gay, come o potuto non accorgermene, «e voi non avete fatto niente per aiutarli, e perché diavolo non mi avete chiamato, questa e una scuola di merda», ero in piedi di fronte al preside e iniziai a scaraventare tutta la sua roba che aveva sulla scrivania, iniziando ad urlare «siete degli stupidi, questa scuola non vale un cazzo» uscito dal ufficio del preside continuai a lanciare oggetti e scaraventare cose a terra che erano sulle scrivanie di qualche segretaria e vidi un paio di ragazzi nel corridoio. Faceva molto caldo oggi ma cera un po' d'arietta fresca che ogni tanto si faceva sentire parcheggiai la macchina del parcheggio della scuola ed entrai nel istituto chiesi a una segretaria dove era il preside e mi indico un ufficio alla mia sinistra, bussai alla porta due volte fin che non senti una voce che mi diede il permesso di entrare, lo trovai accasciato a terra a raccogliere qualche pezzo di vetro e altri oggetti sparsi per tutta la stanza, capi che era stato Matthew e che ero arrivata troppo tardi, «salve, posso darle una mano?» «no, non si preoccupi, sono il preside Wooths lei e?» «sono Ana Wilson e sono la cugina della defunta moglie di Matthew Evans, e posso immaginare che questo casino lo abbia creato lui», «si la creato lui e spero che lei non e qui per fare altrettanto» «no, ma vorrei sapere chi e Dylan» «signorina
come ho già detto a il signor Evans, Dylan Cooper e un ragazzo un po' problematico, definiamolo come il bullo della scuola, ho saputo dalle insegnanti che Dylan e Charlie anno una relazione e qualche ragazzo a sparso la voce che li aveva visti baciarsi in bagno, e cosi anno iniziato a prenderli in giro» rimasi scioccata dal sapere quella notizia, Charlie era Gay? Come era possibile a me non importava sinceramente se lo era o no perché ognuno al diritto di amare chi essi vuole uomo o donna che sia. «ma come e possibile che voi non ve ne siate accorti prima di quello che stava succedendo» «signorina noi non possiamo tenere d'occhio i ragazzi venti quattro ore su veniti quattro, ma facciamo il possibile per tenerlo sotto controllo, ma capisce che ci sono altri duecento ragazzi nella scuola e noi facciamo il possibile per sapere gestire il tutto» «capisco ma noi le avevamo detto che Charlie aveva bisogno di più attenzione, a differenza di altri ragazzi, io non le sto dicendo che state sbagliando a fare il vostro lavoro però dovevate saper gestire la situazione di Charlie» «capisco comunque quando ritroveranno Charlie faremo tutto il necessario per tenerlo d'occhio» «grazie, mi scusi posso chiederle se per caso saprebbe dove e andato Matthew?» «certamente, dopo che mi a sfasciato mezzo ufficio inizio a rompere oggetti nel corridoio dove cerano le segretarie e a aggredito qualche ragazzo, fortunatamente era arrivata la polizia che mi a chiesto di Dylan Cooper e dopo anno portato via il signor Evans» avevo gli occhi sbarrati con la bocca aperta fui sconvolta da quella notizia e mi avviai subito verso l'auto porsi la mano al preside, «grazie preside Woohts e scusi ancora per l'accaduto» «non si preoccupi anche io sarei furioso e spaventato se mio figlio fosse scappato, arrivederci signorina Wilson» ci stringemmo la mano e usci dal ufficio. Salita in macchina mi diressi nella questura della polizia, quando entrai mi fermai di fronte ad un bancone con dietro una poliziotta donna con il viso serio, non era molto alta e mulatta con i capelli neri raccolti in una coda alta «salve sono Ana Wilson sono venuta a prendere Matthew Evans».
Capitolo 19
Ero seduta nella sala d'aspetto ad aspettare che fecero uscire Matthew, mi dissero che dovevo pagare una cauzione di ottocento dollari per farlo uscire. La sala in qui aspettavo era piena di persone, molte donne di qui la maggior parte madri di famiglia e donne con meta del viso spaccato, tenevo lo sguardo basso non riuscivo a guardare nessuna di quelle donne che dopo essere state picchiate dal loro compagno presumo, venivano a tirarli fuori. Quando vidi arrivare Matthew accompagnato da un poliziotto che si avvicinarono verso di me, presi Matthew e lo accompagnai alla macchina, per tutto il viaggio in auto rimase rivolto fuori dal finestrino senza parlare io lo guardavo ogni tanto ma non volevo parlare per prima aveva sbagliato e speravo che lo ammettesse. Eravamo in auto e finalmente strada facendo vidimo il mare, continuai a giocare con la medaglietta, quando finalmente arrivammo in Luisiana sulla spiaggia. Dylan mi prese per la mano e iniziammo a correre sulla sabbia, ci eravamo tolti le scarpe e le calze, la sabbia un po' scottava e quando arrivammo sulla riva ci bagnammo i piedi, entrambi ridevamo e saltavamo quando arrivo l'acqua mi prese tra le braccia e mi porto un po' più in la dove toccavo ma l'acqua mi arrivava sotto le ginocchia inizio a schizzarmi addosso ed io feci lo stesso, dopo essere usciti dal l'acqua ci sedemmo sulla sabbia guardando il mare di fronte a noi e le onde che si schiantavano sulla riva mentre la luce del sole si rifletteva sul mare. «Dy -lan va - do a pren -dere lo za -ino» «va bene Charlie ti aspetto qui» corsi verso l'auto e presi lo zaino camminando verso la riva vidi Dylan in pedi fissando il mare non riusci a smettere di guardarlo quella visione fu come uno scatto fotografico non riuscivo più a dimenticare quella immagine era come in pressa nella mia mente, si volto e mi sorrise corsi verso di lui che mi prese in braccio e mi fece girare continuavo a ridere, ero felice ora, ero veramente felice. Tornammo a sederci io tirai fuori qualche foglio e iniziai a scrivere voltandomi ogni tanto a fissare il profilo del suo viso. Dopo essere rimasti seduti per più di un ora decidemmo di incamminarci lungo la riva del mare, camminammo per qualche chilometro notammo un campo da basket, dove stavano giocando alcuni ragazzi ci sedemmo su un muretto fatto a scalinate «Charlie vado a giocare stai qui ok» «si va be – ne», entro nel campo di basket e inizio a giocare, inizio a correre saltare e tirare era bellissimo ed era bellissimo guardarlo. Ormai era sera tardi, e ci avviammo verso l'auto tenendomi per mano. arrivammo al Motel Days
Inn, e mentre Dylan prendeva la camera io lo aspettavo fuori con lo zaino in spalla. Salimmo nella stanza novantotto, quando entrammo nella stanza era cupa e puzzava di chiuso apri la finestra mentre Dylan si lancio sul letto io accesi la basciure vicino, mi prese per il braccio e mi fece cadere sul letto feci un urlo e lo guardai «Charlie cosa vuoi che facciamo?» Odiavo quando mi guardava con quegli occhi e con quel giglio di seduzione, «una do – ccia» mi guardo e sorrise «stai dicendo che puzzo?» Annui a quella risposta ed inizio a farmi il solletico «sme -ttila ba -sta ba – sta» continuai a ridere e poi si fermo mi guardo e mi bacio accarezzandomi il viso con le nocche mentre una brezza di aria fredda entro dalla finestra, «cosa vorresti mangiare stasera Charlie?» «piz – za» «va bene, ora vai a lavarti che io ordino la pizza» «ok» «come la vuoi?» «al ton – no» mi staccai dalla sua massa muscolare e mi alzai dal letto e entrai in bagno quando ebbi finito vidi la pizza sul tavolo con qualche porzione di patatine e con delle bibite una alla cocacola, una al arancia e una bottiglia d'acqua naturale avevo ancora i capelli bagnati, e Dylan me li spettino baciandomi sulla guancia mentre entrava nel bagno per farsi un bagno. Dopo avere mangiato la pizza rimasi seduto sul letto con le gambe incrociate a guardare la TV, erano rimasti alcuni avanzi della pizza, avevo chiuso la finestra e mi ero messo un felpa grigia con il cappuccio essendo che avevo freddo, scostai la gamba di Dylan che continuava a tirarmi addosso ma non lo faceva apposta visto che dopo aver mangiato la pizza si sdraio a letto e appena tocco il cuscino si addormento. Erano le dieci ate quando i miei occhi iniziarono a socchiudersi ogni tanto provai a aprirli ma senza nessun risultato spensi la televisione e mi sdraiai accanto a Dylan, presi il suo braccio e me lo tenni stretto mentre giocavo con la collana. Iniziai a pensare a mia madre e fissai la frase sulla medaglietta RICORDATI DI ME! La lessi fin che non mi addormentai. Ormai quelle parole erano in prese nella mia testa e le pensai anche quando non ce nera bisogno. Ero sulla sogna della camera di Matthew a guardarlo, stava dormendo ormai a qualche ora, da quando eravamo tornati dalla centrale di polizia si era chiuso in camera senza parlare con nessuno provai a portargli qualcosa da mangiare ma ritrovai ancora tutto sul vassoio, era tornato nella fase vegetale come quando era morta Isabel, ma Charlie non era morto e non avrei fatto in modo che si chiudesse di nuovo in se stesso, scesi in cucina dove cera Alex anche lui era un po' giù di morale essendo che ieri era il giorno in qui suo fratello venne assassinato, fortunatamente cera lui ad aiutarmi in questa situazione, aveva pulito e sistemato tutta la casa mentre io ero cercavo Matthew. «grazie Alex per avermi aiutato, in questi giorni» «figurati e un piacere, e poi e Matthew ad avere più bisogno di noi in questo momento» «già.. e tu ora come ti senti?» «Da schifo
ma sto sopportando il mio dolore, comunque tu vuoi qualcosa da mangiare?» «no, sinceramente non ho molta fame» «Ana devi mangiare qualcosa, devi essere in forze, in questi giorni» prima che potessi rispondere mi trovai una fetta di torta davanti. Mi o un cucchiaino e un bicchiere d'acqua, «grazie Alex», il suo viso e triste e cupo e la sua espressione fu triste anche se lo nascondeva ogni tanto si riusciva a vedere la sua tristezza, Alex andò a dormire ed io misi a posto le ultime cose in cucina. Quando sali ai di fronte alla camera di Charlie una camera vuota e fredda si sentiva che non cera ed ogni volte che avo di fronte alla sua camera era come ricevere un pugno nello stomaco, qualche sera guardando quella camera vuota rimanevo li a fissare il vuoto ero come ipnotizzata mi mancava Charlie ed ero preoccupata che li succedesse qualcosa. Andai a vedere Madison che dormiva profondamente e sorrisi ogni volta che la guardavo era cosi piccola con quella espressione innocua, desideravo che rimanesse cosi piccola per sempre cosi non affrontava i dolori della vita, ma non era possibile, prima o poi doveva affrontarli anche lei e questo mi rattristava molto. Chiusi la porta e mi avviai nella camera di Matthew rimasi a fissarlo dalla sogna dormiva ormai da qualche ora ma la sua espressione di dolore non se ne era andata dal suo viso, chiusi la porta alle mie spalle e mi tolsi la vestaglia appoggiandola sulla poltrona vicino alla porta del bagno della camera e mi sdraiai a letto, mi misi sotto le coperte e li diedi una carezza, senti che il suo volto era bagnato dalle lacrime, chiedendomi perché? Perché accade tutto questo? Perché a lui? E un uomo fantastico un padre amorevole ed era un marito pieno d'amore. Li asciugai il viso e mi appoggiai al suo petto avvolta tra le sue braccia, mentre la luce della luna o attraverso la finestra battendosi sui nostri volti.
Capitolo 20
I miei occhi si aprirono a stento mentre il sole mi batteva in faccia, mi porsi la mano sul viso coprendo i raggi di sole dal mio sguardo, mi girai e Dylan stava ancora dormendo, sbadigliai ancora assonato richiusi gli occhi e dopo qualche istante li riapri sfregandomeli, mi voltai su un fianco guardando Dylan dormire. E cosi bello rimasi a fissarlo fin che non si sveglio mi guardo con quella espressione buffa era ancora addormentato mi guardo con gli occhi socchiusi e mi accarezzo. «Ciao bello» sorrisi e li diedi un bacio sulla guancia, e lui mi diede un bacio in bocca poi si alzo e si diresse in bagno io ero seduto sul letto ad aspettare che uscisse e quando usci mi guardo un po' perplesso, «va tutto bene Charlie?» rimasi seduto in silenzio a giocare con la collana e lo guardai poi si avvicino «Charlie» mi mise una mano sulla spalla e si sedette sul letto accanto a me, «vo -glio mia ma -mma, vo -glio and -are a tro -vare mia ma -mma» «e dové?» «e morta» «e dove l'anno sepolta?» «Do -ve abi -tavo pri -ma, a Hou dson City, poss -iamo an -dare da mia ma -mma Dy -lan?» Dylan mi guardo con quella espressione sconvolta non si immaginava che mia madre fosse morta, «certo partiamo oggi» lo abbracciai e lui mi bacio appoggiandomi lievemente sul letto continuando ad accarezzarmi mentre mi baciava. Era mattino e quando mi svegliai speravo anzi pregavo che non fosse un giornata di merda, quando mi ripresi notai che Matthew non cera iniziai ad agitarmi e scesi di corsa le scale trovandomi di fronte Alex, «dove Matthew, dove?» «e andato al lavoro da un ora circa» «e tu lo hai lasciato andare?» «si» «smettila di guardarmi con quella espressione da ebete», perché mi guardi cosi?» non mi staccava gli occhi di dosso e io lo guardavo stranita da quella espressione da scemo che aveva, «sei in intimo» abbassai la testa e mi guardai, cazzo!! ero mezza nuda mi copri con le mani ma ormai era inutile mi aveva già visto e capi perché aveva quel espressione da deficente, corsi di sopra chiudendomi in camera, imbarazzata dal accaduto. Quando scesi giù di sotto per andare a trovare Matthew nel suo studio vidi Alex che stava pulendo la casa con l'aspirapolvere urlai il suo nome ma fu inutile visto che il rumore della aspirapolvere era troppo forte mi avvicinai e li diedi una pacca sulla spalla, «Alex vado a trovare Matthew» «ok!» lo guardai senza dire nulla e poi mi avviai verso la porta d'ingresso, mi fermai e tornai da lui ridandogli la pacca sulla spalla lui sorrise
«dimmi» «non hai visto niente vero?» «assolutamente no» tornai verso la porta e senti ripartire il rumore della aspirapolvere e poi improvvisamente fermarsi «Ana» ero sulla porta semi aperta con la mano sulla maniglia mi voltai verso di lui, «hai un corpo fantastico» ero sulla sogna impietrita con la faccia sbalordita sapevo che aveva visto tutto ma feci finta di non crederci, risi e usci chiudendomi la porta del l'ingresso alle spalle. Ero in ufficio dalle otto avevo appena finito di visitare il mio primo paziente, e non avevo voglia di fare niente se non di urlare a squarciagola, sono appoggiato allo schienale della poltrona della scrivania guardando fuori dalla finestra guardando la città, quando senti la porta del ufficio aprirsi mi voltai per vedere chi era e vidi J sulla sogna guardandomi con quello sguardo di rammarico, «Matthew che cosa ti succede?» «mio figlio e scappato ecco cosa mi succede» «vuoi andare a parlare mentre andiamo a bere un caffè?» «no! Voglio stare da solo» «sei sicuro che non ne vuoi parlare» «no, ti ho detto che voglio stare da solo, vattene» la mia voce si alzo senza accorgermene e J mi guardo preoccupato, «Matthew me ne vado, ma sbagli a chiuderti in te stesso» appoggiai la testa sulla braccia che misi sulla scrivania e iniziai a piangere fin che non senti bussare. Non rispose nessuno pensai che non cera ed iniziai a preoccuparmi vidi are J in quel momento, «J dove Matthew?» «e nel suo ufficio» «ho bussato un paio di volte ma non risponde» «e dentro, ma e un po' agitato, abbiamo appena avuto una discussione, Ana francamente e meglio che vada a casa, non può lavorare in quelle condizioni» entrai nel ufficio senza bussare e lo vidi appoggiato alla scrivania senti che stava piangendo e quando lo chiamai non rispose. «Matthew non puoi crollare ogni volta che succede qualcosa posso capire che sei sconvolto per quello che sta succedendo ma sbagli a chiuderti in te stesso ogni volta» non volevo ma iniziai ad urlare, «Ana ma cosa vuoi e? Ma chi ti a chiesto niente, vattene smettila di fare l'eroina della situazione, nessuno ti a chiesto niente perciò vattene e non rompermi le palle» lo guardai stavo tremando ma non glielo feci notare, «so che non pensi quello che hai detto Matthew, e spero che quando torni a casa ti sarai calmato» usci senza guardarmi indietro ed entrai nel ascensore. Man mano che l'ascensore scendeva mi ricomposi, e parlai tra me e me, dicendomi che non dovevo piangere che non potevo piangere, le porte si aprirono feci un sospiro di sofferenza usci e ai in mezzo alla folla fingendo che andava tutto bene fingendo di stare bene quando in realtà volevo solo piangere e tirare molti pugni a quello stronzo di Matthew. Quando sali in macchina misi la musica a tutto volume perché non volevo pensare a quello che era successo nel cruscotto trovai un cd di Charlie con su scritto The Pretty Reckless non so chi fosse questa band ma lo misi su e ne anche a farlo apposta
questa musica rock andava bene per farmi dimenticare il tutto. Dovevo andare a fare la spesa ma non me la sentivo e quando arrivai a casa provai a salire al piano di sopra ma andai a sbattere contro Alex provai a scostarmi da lui ma mi prese per le braccia per tenermi ferma «Ana che cose e successo?» «lasciami» «no!» mi guardo con quei occhi marroni ma pieni di tristezza, «Ana!» mi guardo e inizio a piangere a dirotto, ci sedemmo sulle scale mentre la tenevo stretta tra le mie braccia, quando smise di piangere la accarezzai levandogli i capelli dal viso. «Cosa e successo?» mi calmai asciugandomi le lacrime, e risi continuai a ridere non riuscivo a smettere lo guardai e continuai «Ana?» «Tu mi hai visto nuda e nemmeno ti conosco, io sono qui a piangere disperatamente con te che non so nemmeno chi sei», quando fini di ridere lo guardai e anche lui rise per qualche secondo, quando ci riprendemmo e tornammo seri ci guardammo «immagino che non hai fatto la spesa» «stai dicendo sul serio? Io sono qui a piangerti addosso e tu pensi al cibo» la guardai sconcertato «cosa ho detto?» lei si alzo e si avvicino al bagno, io mi voltai ed anche lei si volto a guardarmi sorrise «scherzavo» «cosa?» «Alex scherzavo, ora preparati che andiamo a fare la spesa» la guardai chiudersi la porta alle spalle «tu sei pazza» la senti ridere mentre entravo nella camera per vestirmi, ero pronta e stavo aspettando Alex al ingresso, quando scese salimmo in macchina e accessi il motore, però mi ero dimenticata di abbassare la radio e quando accesi il motore parti la musica del cd a tutto volume Alex si spavento ed io lo presi in giro per tutto il viaggio. Stavamo preparando la cena insieme, mentre Madison era seduta nel soggiorno a fare i compiti, sentimmo la porta del ingresso aprirsi e vidimo Matthew salutare la piccola e salire le scale, ci aveva visto ma fece finta di niente volevo andare su ma Alex mi fece cenno di no quando vidi Matthew scendere le scale con una borsa li corsi incontro «Fermati!» Alex capi cosa stava succedendo e mando Madison in camera. «Dove pensi di andare?» «Vado a cercare Charlie» «dove, se non sai ne anche dove» «non lo so andrò a cercarlo» «no, tu non esci di casa» «Ana togliti» «no!» «Ana smettila» la presi e provai a spostarla, «Matthew mi fai male, mi fai male» Alex si avvicino, «toglietevi fatemi cercare mio figlio» mi spinse facendomi cadere, sbattei contro un mobiletto Alex gli tiro un pugno in pieno viso facendolo indietreggiare, rimasi scioccata dal accaduto avevo l'espressione spaventata e quando li tiro il pugno mi misi la mano sulla bocca sconvolta, si accascio a terra piangendo, «voglio mio figlio, non ce la faccio più, cosa ho fatto di male perché? Perché e scappato? Perché capita tutto a noi? Alla mia vita? Alla mia famiglia?» Si mise la mani nei capelli e mi guardo con gli occhi lacrimanti, «perché?...».
Capitolo 21
Ero in macchina con la musica di sotto fondo e scrivere, qualche bozza su i miei fogli mentre eravamo in viaggio per Houdson City. Ci fermammo una volta per andare in bagno e bere un po' di caffè. Avevo portato Matthew a letto, mi faceva ancora male il braccio dopo la caduta che feci in salotto, scesi e cercai una crema con una fascia cosi da medicarmi il braccio, non mi accorsi di Alex e mi fece spaventare quando non lo vidi, «Alex avvertimi quando sei in cucina, invece di farmi prendere uno spavento ogni volta» «scusami Ana, vuoi una mano con la medicazione?» li feci segno di si con la testa, mentre mi medicava lo guardai, «grazie per avermi difeso, ma non era necessario tirargli un pugno» «lo so forse ho esagerato ma stava andando fuori di testa, e non volevo che ti fe ancora del male» lo guardai e senza accorgermene me lo ritrovai vicino, molto vicino, talmente vicino da sfiorarmi le labbra. Respirai e quei respiri erano respiri di eccitazione ma quando mi stava per baciare indietreggiai, e ora che vada a dormire avevo il cuore che mi batteva a mille ma sapevo che se l'avrei baciato era solo un bacio di consolazione, entrai nella camera della piccola Madison e mi addormentai sul divano che aveva vicino alla parete, non volevo dormire con Matthew, perché ero troppo arrabbiata con lui, e poi era meglio che stava da solo per capire ciò che a fatto. Decisi di andare a parlare con la polizia il giorno dopo per sapere novità su Charlie e Dylan. Eravamo arrivati a Houdson City, e ci recammo al cimitero. Ero davanti a un cancello verde marcio, rimasi fermo immobile davanti al ingresso mentre l'aria mi circondo, tremavo non so se di paura o per il freddo, iniziai a giocherellare con la collana quando Dylan mi prese per la mano ed iniziammo a camminare per il lungo percorso del cimitero fin che non mi ritrovai di fronte alla lapide di mia madre. Ero in piedi fin che non mi sedetti guardando davanti a me in silenzio, Dylan si sedette dietro di me tenendomi per le braccia e iniziai a piangere «mamma, mamma» diedi una carezza a Charlie e li asciugai le lacrime che non smettevano di scendere, mi accorsi che non balbettava più, e mi domandai come mai? «Cosa e successo a tua mamma Charlie?» Sapevo che poteva essere una domanda indiscreta, ma volevo sapere come era morta. «Non lo so che cosa aveva ci dissero solo che era malata, molto malata, e quando
tornammo a casa da scuola lei non cera più era andata in paradiso. Ma prima che morisse mi regalo questa medaglietta con su questa incisione» me la porse e la lessi, RICORDATI DI ME!. Capi che si era suicidata, a scuola una volta ci fecero studiare la morte il suicidio ecc... e lessi che quando una persona regala un oggetto o qualsiasi altra cosa prima di morire vuol significare che vuole tentare di suicidarsi e prima di farlo ti danno un dono cosi da farti capire che tu non centri per il gesto da loro compiuto e che l'oggetto a te regalato e il significato del bene che ti vogliono. Continuo a piangere fin che non apri lo zaino e non tiro fuori un foglio con una busta colorata di un viola pastello, «che cose Charlie?» «una poesia che ho scritto su mia mamma», sorrisi e gliela poso sulla lapide, non li chiesi cosa cera scritto o di leggermela già mi aveva detto tanto, rimasimo davanti alla sua sepoltura per qualche ora fin che non ci alzammo e decidemmo di andarcene e di andarcene alla spiaggia. Avevo appena accompagnato Madison a scuola quando ero in macchina con Alex dirigendomi alla centrale di polizia. Quando entrammo vidi la poliziotta del altra volta quando ero venuta a prendere Matthew «vorrei parlare con il sergente Fergoson» «attenda un attimo vado a vedere se e libero». Aspettammo seduti nella sala, quando vidi l'agente avvicinarsi «potete entrare» ci stringemmo le mani e dopo ci accomodammo sulle sedie «signori ci sono buone notizie, il ragazzo Dylan Cooper a usato la sua carta di credito, in Luisiana perciò ho chiamato alcuni amici della centrale e ora li stanno cercando, quando sanno qualcosa mi chiameranno e vi contatteremo» «oh dio grazie, sergente quanto ci vorrà prima che li trovino?» «non lo so signorina Wilson ma faranno il possibile» abbassai la testa ero triste ma allo stesso tempo contenta del fatto che sapevamo dove era Charlie, improvvisamente inizio a suonare il telefono nel ufficio e il sergente rispose, aveva il telefono in mano mentre con le dita giocava con il filo del telefono fisso, poi mi guardo con una espressione sconvolta ma sollevata e riattacco, «signori i ragazzi sono stati segnalati a Houdson City, Dylan a usato nuovamente la sua carta per fare benzina, sapete il perché sono andati fino a Houdson City?» guardai Alex sconvolta non potevo credere che potessero essere cosi lontani e soli, pensai a Charlie, e se avrebbe avuto una crisi? E se la già avuta? Oh mio dio non potevo pensarci non potevo credere che fossero cosi lontani, senza accorgermene iniziai a giocare con la collana che mi regalo Isabel al mio venticinquesimo compleanno e capi tutto. «So dove sono, sono andati al cimitero, ma certo, Charlie sarà voluto andare a trovare sua madre» «signora si calmi e mi spieghi cose questa storia» «certamente, la mamma di Charlie e morta qualche mese fa, aveva l'alzheimer ma se suicidata perché non riconosceva più i suoi figli, ma prima di uccidersi regalo una
medaglietta a Charlie e poi io la trovai in bagno con le vene tagliate ma quando la trovai ormai era troppo tardi» «capisco chiamo la centrale della città e gli dico di andare a vedere se sono ancora al cimitero, o almeno di cercarli per la città» appoggiai la mano sulla fronte come segno di sollievo speravo solo che i ragazzi stessero bene. «Quando so qualcosa la contatteremo, signora Wilson» ci alzammo e li diedi la mano e uscimmo dal ufficio dirigendoci verso casa. Quando Matthew arrivo a casa gli dissi ciò che mi riferi il sergente ed anche lui fu sconvolto ma sollevato nella notizia ora bisognava solo aspettare. Eravamo sulla spiaggia Dylan era seduto ed io tenevo la testa appoggiata sulle sue gambe mentre mi accarezzava i capelli guardando le onde schiantarsi sulla riva e sentire la brezza del freddo avvolgerci mentre aspiravo l'odore del mare ed il sole si fece spazio tra le nuvole, «Charlie ti va di leggermi ciò che hai scritto a tua mamma se te la senti?» rimase appoggiato sulle mi gambe ma con la testa rivolta verso il mio sguardo, e annui tirando fuori il libro che gli regalo il padre.
THE MOTHER:
Mamma dove sei? Io sono qui ad aspettare la tua lieve carezza sul mio viso, quelle dolci parole che mi sussurravi al orecchio, e quel tuo sorriso cosi caldo e splendente quanto il sole, quei tuoi occhi che mi fissavano come stelle luminose in cielo. Mamma torna ti prego, perché io ho bisogno di te, so che ora sei un angelo che mi guarda ad ogni mio singolo o, ma io senza di te mi sento vuoto come terra deserta, le mie lacrime sono come gocce di pioggia che cadono sul asfalto, senza essere protette dalle tue caldi mani, ho bisogno di te, torna da me.
Ritornai a guardare l'acqua che suonava dolci melodie, mentre sentivo quelle stupende parole che lesse Dylan, «e bellissima Charlie, tu sei bravissimo a scrivere queste cose, tu hai un dono, tu puoi parlare con la carta, e quando scrivi queste frasi la carta le prende e le avvolge nelle sue braccia, come fai? Come fai a scrivere certe cose?» «Non lo so, io guardo la mia vita, guardo il mondo, esprimo ciò che ho dentro, scrivo quello che ho dentro, e Dylan puoi farlo anche tu se ci credi» mi guardo prendendomi per il mento e mi bacio.
Capitolo 22
Non so come poteva permetterselo, ma capi che iniziai ad amarlo entrammo in questo Hotel. L'Hotel Cristal, eravamo al ingresso e andammo al bancone cera questo uomo alto ben vestito e biondo con indosso una giacca nera con su scritto vicino al taschino Hotel Cristal la cravatta e di un colore rosso sangue i suoi capelli biondi brizzolati io ero in mezzo alla hole ad aspettare Dylan che prendeva una camera quando arrivo mi prese per mano e entrammo nel ascensore vidi i numeri che aumentavano mi chiesi perché stavamo salendo cosi in alto 8 -9 – 11-15 fin che non arrivammo al ventesimo piano quando le porte del ascensore si aprirono ci fu un piccolo corridoio e ci trovammo davanti a una grande porta bianca quando Dylan o la tessera dentro una serratura e giro la maniglia rimasi sbalordito non immaginavo che poteva permettersi cosi tanto era una suite enorme vedevamo tutta la città dalle finestre della camera ed il letto era enorme penso di tre piazze «Dylan perché? Come puoi permetterlo? Non era necessario prendere una stanza in Hotel» Dylan mi accompagno vicino le finestre mentre il sole si schianto contro esse mi mise davanti a lui «io ti amo e non smetterò mai di amarti» ero senza parole mentre la luce del sole mi schiaffeggiava in faccia rimasi in mobile guardando il suo sguardo che si illumino. «Ti amo anche io» ordinammo la cena che mangiammo in terrazzo mentre il sole calo e la luce del buio si fece largo tra le finestre della suite. Dopo aver cenato e guardato un po' di TV ci sdraiammo sul letto per dormire mi voltai verso Dylan e lo baciai lui venne sopra di me, e continuammo a baciarci e toccarci, fin che non mi senti pronto e per la prima volta facemmo l'amore con la luce della luna che si rifletteva su di noi sui nostri corpi nudi, sul suo corpo cosi sexy e cosi attraente era cosi leggero faceva tutto cosi dolcemente e per tutto il tempo che lo facevamo ci dicevamo quelle parole che ci scaldavano il cuore, io non credevo nel amore fin che poi non conobbi Dylan. La mattina seguente eravamo vestiti e ci baciavamo davanti alle finestre mentre gli zaini erano vicini alla porta quando sentimmo bussare, aprimmo la porta ed era la polizia. Dylan provo a chiudere la porta ma i poliziotti riuscirono ad aprirla e lo presero poi vennero a prendere anche me e iniziai ad urlare «Dylan, Dylan» «lasciatemi, Charlie... lasciatemi bastardi, Charlie... Charlie» fu tutto cosi veloce che non capi cosa stava succedendo vidi che Dylan provava a liberarsi ma lo sbatterono a terra per calmarlo e tenerlo fermo per non fargli del male. La polizia ci porto a
Chicago e non vidi più Dylan fino al giorno dopo a scuola, quando scesi dalla macchina vidi papà e Ana sulla porta d'ingresso e quando mi avvicinai a papà mi strinse in un abbraccio pieno di dolore ma anche di gratitudine Ana mi appoggio una mano sulla spalla sorridendomi ed entrammo in casa. Ero in camera mia non avevo voglia di mangiare niente no avevo fame, continuai a pensare solamente a Dylan la mattina dopo mi svegliai e mi preparai ad andare a scuola quando ero in cucina senti suonare il camlo e papà andò ad aprire, improvvisamente sentimmo delle urla, al ingresso cera Dylan. «Vattene via da qui subito» «no, signore vorrei parlare con Charlie» «no, vattene ho ti ammazzo, tu hai rapito mio figlio» «vorrei vedere Charlie» io mi alzai di corsa e lo vidi fermo sul ingresso «Charlie!» provo ad entrare ma mio padre lo spinse facendolo cadere a terra in mezzo a salotto, lui si alzo avvicinandosi, ma papà li tiro un pungo facendolo ancora cadere e gliene stava per tirare un altro, mi avvicinai a Dylan e mi misi di fronte a lui «papà no» «Charlie spostati» «no smettila, io lo amo» quelle parole lo sconvolsero ma non mi importava non volevo che fe ancora del male a Dylan. Vidi Ana e Alex con l'espressione sbalordita, «papà io lo amo, non fargli del male» «lui ti a rapito Charlie» «no, mi a solamente chiesto se volevo scappare con lui, e sono stato io ad accettare, sapevo cosa stavo facendo, e lui non mi a obbligato a farlo, so che non puoi capire quello che ce tra me e Dylan, e non pretendo che tu lo capisca da un giorno al altro, ma ora sono felice, sono veramente felice da quando lo conosciuto, perciò papà non mi rendere ancora triste, dopo la morte della mamma questa e la migliore cosa che mi potesse capitare». «pero digli di andarsene da casa mia» «no, io vado a scuola con lui papà», papà non rispose mi guardo in silenzio e sali al piano di sopra sbattendo la porta della sua camera. Salutai ed usci tenendo per mano Dylan facemmo tutta la strada insieme quando sentimmo Aryel chiamarci ci voltammo «ciao Charlie come stai?» «Aryel» l'abbracciai ero contento di vederla mi mancava, lei rimase basita nel sentirmi parlare «Charlie ma tu parli» «si!» mi misi a ridere era cosi buffa quando lo disse ma non li davo tutti i torni non avevo mai parlato con lei, balbettavo qualcosa ma non era proprio parlare quello. Arrivammo davanti a scuola tentai di togliere la mano di Dylan dalla mia perché pensavo che non voleva farsi vedere con me tenendomi per mano ed invece me la strinse ancora di più girandosi e sorridendomi continuammo a camminare, ando il portone della scuola e ci incamminammo in mezzo hai corridoi con tutti i ragazzi della scuola che ci guardavano senza dire una parola. Finalmente la scuola era quasi finita ed il professore Brook ci diede l'ultimo
compito, da fare prima della fine del' anno sapevo già cosa scrivere e non vedevo l'ora di leggerlo alla classe e al professore. Ero in giro mentre i ragazzi erano a scuola Matthew al lavoro e Ana a fare delle commissioni mi serviva un po' d'aria e staccarmi da tutto, erano ati solo pochi giorni dalla morte di mio fratello e dal mio compleanno e questa mattina dopo le pulizie non riuscivo a respirare mi sentivo in trappola, usci e presi un po' d'aria fresca e mentre camminavo per il quartiere vidi bimbi piccoli ho persone insieme a ridere e in ogni singolo posto o persona vedevo mio fratello. Mi trovai davanti a un bar ed ero fermo sul marciapiede a fissarlo dentro di me sapevo che non dovevo entrare e mi dicevo no, Alex no! Ma vidi Dean difronte al bar sapevo che non poteva essere lui sapevo che era solo la mia immaginazione, ma alla fine entrai. Quando tornai a casa non cera nessuno mi aspettavo di scontrarmi in Alex ma non cera avevo una strana sensazione, dopo una mezzora senti la porta del ingresso aprirsi ed era Alex aveva il viso strano quando mi avvicinai per chiedergli se andava tutto bene senti la puzza d'alcol che li usci dalla bocca. «Alex hai bevuto?» «solo qualche bicchiere, sei cosi bella Ana» «Alex sei sbronzo?» fuori pioveva a dirotto e iniziai a preoccuparmi per lui. «Shhh fai silenzio» inizio ad accarezzarmi i capelli spostandomeli «sei cosi bella perché non ti spogli di nuovo» «Alex smettila» provai a indietreggiare ma lui mi prese e mi bacio con forza gli tirai uno schiaffo ma lui mi guardo con uno sguardo da pazzo. «Puttana!» e mi tiro anche lui uno schiaffo facendomi cadere a terra. Provai a correre fuori ma mi prese facendomi scivolare per terra sbattei la testa e quando mi fece voltare con il viso rivolto al suo mi tenni la mano sulla testa, lui mi bacio aggressivamente io provai a liberarmi dalla sua presa ma era troppo forte. «Basta Alex mi fai male fermati» mi tocco il seno baciandomi dappertutto «aiuto, aiuto». Quando scesi dalla macchina senti delle urla provenire da dentro casa scesi di corsa e mi bagnai tutto quando apri la porta vidi Alex sopra Ana che cerco di violentarla, lo presi e lo spinsi via tirando su Ana lui corse verso di me cercando di tirarmi un pugno ma lo schivai e glielo tirai io iniziammo a picchiarci con pugni e calci fin che Ana non provo a dividerci senza riuscirci, senti le sirene della polizia chiedendomi come potevano essere qui, ma capi che era stata Ana mentre io mi picchiavo con Alex, due agenti entrarono e lo portarono via quando chiusi la porta Ana crollo in un pianto isterico. Le lezioni erano finite e vidi Aryel venire agitata verso di me, «Charlie Dylan e impazzito e negli spogliatoi a spaccare tutto» corsi verso li spogliatoi e vidi
Dylan tirare calci agli armadietti mi appoggiai contro il muro spaventato non l'avevo mai visto cosi era furioso tiro calci e pugni, notai che le sue mani erano rosse quasi nere, «smettila! Calmati» ma non mi ascolto e inizio ad urlare «io non ti ho protetto, non sono riuscito a proteggerti, tu non mi meriti, non merito la tua felicità, non merito il tuo amore, non merito niente di tutto ciò» iniziai ad avere uno dei miei attacchi di panico e quando mi succedeva balbettavo perché sono troppo spaventato per riuscire parlare correttamente. Mi misi le mani sulla testa e mi appoggiato al muro iniziai a muovermi avanti e indietro. Notai che Charlie stava avendo uno dei suoi attacchi e inizio a dire cose incomprensibili, notai che si era accasciato a terra muovendosi avanti e indietro, mi fermai e mi sedetti di fronte a lui, cercai di abbracciarlo ma Charlie si ribello, aspettai qualche secondo e ritentai abbracciandolo continuo a ribellarsi ma riusci a tenerlo tra le mie braccia cosi da farlo calmare. Lo guardai e li tirai su la testa prendendogli il viso «Scusa Charlie» «io ti amo pezzo di idiota».
Capitolo 23
Nei giorni seguenti provai a parlare con Alex, ma non mi rispose mai alle chiamate e nemmeno quando andavo a casa sua a bussare o a suonargli il camlo, mi stava facendo preoccupare, senza dirlo a Matthew andai a cercare Alex in svariati bar della città e quando lo trovai era in un quartiere malfamato di Chicago, mi avvicinai a lui e lui mi guardo sbuffando «ma che cosa vuoi? Vattene» «no, se non vieni con me» non rispose, cercai di prenderlo per un braccio, «Ana ma la smetti, non sei mia madre» un signore dietro di me che stava bevendo mi urlo contro «hey bellezza l'hai sentito vattene e non rompere», «senta lei mi porti rispetto capito, siete tutti qui in un bar a bere e a ubriacarvi, e tornerete a casa ubriachi fradici, e per tornarci dovreste guidare immagino, perciò se non volete che chiami la polizia per giuda in stato di ebrezza non mi rompa le palle chiaro», «come scusi, mi sta forse minacciando?» si alzo dalla sedia e mi si mise d'avanti, Alex mi prese prima che mi fe qualcosa e mi porto fuori, «ma sei impazzita, sai che quel uomo poteva farti del male, ora vattene» «no se non vieni anche tu» «smettila! Tu ora vai a casa ed io rientro» «se tu rientri entro anche io, e rimarrò a romperti le palle per tutto il tempo» «dio Ana, ma cosa vuoi? perché mi stai cosi addosso, dopo quello che ti ho fatto» «hai sbagliato e vero ma tutti sbagliamo, tutti facciamo degli errori, ma siamo esseri umani, ed e proprio sbagliando che si impara a non fare gli stessi errori in futuro, perciò sali in macchina, e lasciamoci il ato alle spalle va bene?» annui e sali in macchina senza fiatare. Nei giorni seguenti non stavo bene, volevo vedere mia madre, e questa non e la mia vita, non dormivo più continuai a girarmi e rigirarmi nel letto avevo scritto l'ultimo compito per la scuola e una lettera per Dylan che avevo nascosto dietro lo specchio della camera, la scuola si stava preparando alla festa finale. Era arrivata l'ora del signor Brook mi alzai di fronte alla classe e lessi l'ultimo mio compito. «Charlie vuoi che qualcuno legga il tuo compito?» «no signor Brook lo leggo da solo». Rimase stupito e mi sorrise, ed iniziai a leggere.
UN LIBRO SENZA FINE:
Il mio sguardo ormai e vuoto, ma quando sono con gli altri faccio in modo che non lo sia, non ce nero ho bianco ma ce quello che fai vedere, la vita si combatte da soli e devi saper nascondere le tue emozioni dal tuo viso e dal tuo essere. Nessuno può capire il dolore la rabbia la paura che combattiamo, non desidero o spero più niente per me ora e tutto vuoto, solo tu puoi renderti felice, e solo tu puoi far si che questa sofferenza i, senza che nessuno ti aiuti. Ogni volta proviamo fare strada alla felicita e cerchiamo risposte che non troviamo, ho forse le sappiamo ma non vogliamo crederci, noi speriamo che la nostra vita sia come un libro sempre con un lieto fine, ma noi siamo come un libro senza fine, fin che non siamo noi a scriverla.
Nessuno si immaginava che io potessi leggere ciò che ho scritto da solo senza aiuto, ma l'avevo fatto e ne ero felice, mancavano pochi giorni alla fine della scuola e prima di tornare a casa con Dylan gli misi la lettera che avevo scritto con una busta color azzurro cielo nel armadietto sapendo che l'avrebbe trovata il giorno dopo, quando tornai a casa, la sera chiamai Dylan e gli dissi di non armi a prendere perché non mi sentivo bene e lo dissi anche a mio papà, e mi diede l'ok. La sera senti suonare il camlo usci dalla camera e mi trovai Dylan davanti alla porta, lo feci entrare e ci baciammo «cosa ci fai qui?» «Mi hai detto che non stavi bene e sono venuto a vedere come stavi» «ti amo un casino pezzo d'idiota» lui sorrise «mi piace, il fatto che me lo dici» sorrisi ci baciammo per un po' fin che papà non busso alla porta e disse che era ora che Dylan andasse a casa, li chiesi ancora due minuti, guardai Dyla prima che se ne andò «ti amo» e iniziai a piangere «Charlie, che cosa hai?» «niente, grazie per avermi fatto vivere, ti amo e ti amerò per sempre» «Charlie calmati» mi asciugo le lacrime e mi bacio di nuovo «ora vai». Prima di andare a dormire diedi il libro a papà di tutte le poesie che avevo scritto e i feci vedere la pagina dedicata alla mamma The Mother. ai la notte in bianco continuando a fare avanti e indietro dalla stanza senza fare troppo rumore per non svegliare papà. La mattina seguente volevo are da Charlie ma non volevo farlo agitare ancora, camminai per i corridoi della scuola con una strana sensazione stavano per iniziare le lezioni apri l'armadietto per prendere alcuni materiali quando vidi cadere una busta, la tirai su, quando apri la busta vidi un foglio con in fondo la collana di Charlie che gli regalo sua madre
DYLAN: perdonami per ciò che ho fatto, spero che mi amerai lo stesso, tu sei l'unica persona che mi abbia capito, anche se all'inizio non andavamo d'accordo tu sei la mia vita il mio essere, eri quella persona che pensavo quando mi svegliavo e ti pensavo prima di andare a letto, tu mi hai fatto credere nel amore e nella felicità e dopo la morte di mia madre io ho smesso di credere in tutto ciò che riguardava felicità, amore ecc... ma poi arrivi tu come un onda che si schianta sulla riva, e mi fai capire che la felicità esiste mi hai fatto vivere dei mesi bellissimi e se potessi, li vivrei ogni giorno, ma non posso continuare a vivere una vita che non sento più mia, che non mi appartiene, ricordati di me! Perché io mi ricorderò di te ogni singolo giorno. (Ti amo pezzo d'idiota).
Guardai la medaglietta che tenevo stretto tra le mani tremanti e corsi verso l'uscita. Feci tutta la strada di corsa mentre i raggi di sole battevano sul asfalto bollente, corsi, corsi, e corsi, e mentre mi dirigevo a casa di Charlie chiamai suo padre «venga subito a casa sua e successo qualcosa a Charlie» e riattaccai avevo il cuore che batteva a mille ma non era perché ero stanco dalla corsa ma per il brutto presentimento che avevo. Arrivai di fronte alla casa di Charlie quando senti una frenata avvicinarsi, non mi girai corsi su per le scale ed entrai in camera ma Charlie non c'era vidi la porta del bagno semi aperta e vidi Charlie sdraiato a terra con le vene tagliate e affianco a lui un coltello da cucina «no! Charlie, svegliati» lo presi tra le braccia piangendo come un bambino. Senti la voce di Dylan che si a fievoli allontanandosi da me, improvvisamente mi trovo in quel enorme prato dove ero stato con Dylan, con tutti quei fiori che mi circondavano, sentendo quell'aria fresca che mi accarezzo il corpo, apri le braccia che alzai lievemente al cielo guardando quelle nuvole bianche e rossastre, e rimasi fermo per vari minuti fin che non vidi mia madre che mi poso la mano ed iniziai a correre in quell'enorme prato fiorito andando verso di lei. Senti gridare Dylan e mentre sali le scale lo senti piangere quando arrivai sulla sogna del bagno mi sembrava di riviere la stessa scena di Isabel. Charlie era disteso sul pavimento tra le braccia di Dylan pieno di sangue, Dylan non smise di piangere e a me non uscivano parole di bocca. non di nuovo, non ancora, vidi Ana terrorizzata dalla scena e notai Alex fermo sulle scale sconvolto. Ana aveva chiamato l'ambulanza e sentimmo le sirene spianate avvicinarsi alla casa. I funerali si tennero il giorno prima della fine della scuola, tutti i suoi amici e Dylan erano presenti e mentre seppellirono la tomba, non ci fu quella dolce voce angelica di Ana a cantare una canzone, ma la voce di Dylan Cooper, quelle parole quel esprimersi in modo doloroso, quel amore proibito e quella rabbia che li usci da quelle frasi scritte sulla carta. lesse una lettera che scrisse prima dei funerali e mentre leggeva notai che aveva indosso la collana che gli regalo Charlie.
Capitolo 24
Ricordati di me!
Le paure sono quasi tutte nella nostra testa, la paura di sbagliare, la paura di morire, la paura di amare, ma grazie a Charlie sono riuscito ad affrontare tutte queste paure, quando lo guardavo negli occhi vedevo quella luce che mi faceva impazzire, non riesco a stare senza di te, voglio sentirti dire ti amo pezzo d'idiota, e stringerti nelle mie braccia. La parola felicità nella mia vita non ce lo mai avuta, fin che non ti ho conosciuto e la frase amore e felicità sono entrate nella mia vita. Mi mancherà averti di fronte a me e baciarti, tu mi hai insegnato a vivere e mi hai insegnato a scrivere ciò che ho dentro, non voglio più provare emozioni solo tu potevi rendermi ciò che sono, solo tu puoi rendermi felice ed ora tu non ci sei più, sei un angelo che ci sorveglia e che ci sta accanto, appoggiandomi la mano sulla spalla per farmi sentire la tua presenza. ma Charlie ti chiedo solo. RICORDATI DI ME! Perché io mi ricorderò sempre di te. Alzai il viso guardandomi intorno vedendo tutta la gente che piangeva, le lacrime mi scavavano il viso mentre sussurravo il tuo nome guardando il cielo, dopo che la tomba era stata sepolta mi incamminai verso la macchina fermandomi di fronte al padre di Charlie che era sconvolto ci guardammo senza dire una parola lui mi porse la mano e mentre mi fissava mi sussurro, «Grazie» mi avviai verso l'auto guardando indietro vedendo tutte le persone attorno alla sepoltura guardai il signor Brook che mi guardo e mi fece un lieve sorriso sapevo che cosa significava quel sorriso, ero riuscito a parlare alla carta ero riuscito a parlare da dentro, sali in auto e accessi il motore mi tolsi la collana di Charlie e la appesi allo specchietto retrovisore, parti senza guardarmi dietro, sapendo dove stavo andando sapendo quale era la mia meta, la spiaggia, quella spiaggia dove capi di amare veramente Charlie.
FINE.