Honoré de Balzac, Sarrasine
Originally published in French
ISBN 978-88-674-4102-0
Collana: EVERGREEN
© 2014 KITABU S.r.l.s.
Via Cesare Cesariano 7 - 20154 Milano
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Progetto e realizzazione grafica: Rino Ruscio
SARRASINE (ITALIANO)
Ero immerso in una di quelle meditazioni profonde che capitano a tutti, anche a un uomo frivolo, in seno alle feste più tumultuose.
Mezzanotte era suonata da poco all'orologio dell'Elysée-Bourbon.
Seduto nel vano d'una finestra, e nascosto sotto le pieghe ondulate d'una tenda di moire, potevo contemplare a mio agio il giardino del palazzo in cui avo la sera. Gli alberi, imperfettamente coperti di neve, si staccavano debolmente sul fondo grigiastro d'un cielo nuvoloso appena schiarito dalla luna.
Visti in quell'atmosfera fantastica, somigliavano vagamente a spettri male avviluppati nei loro lenzuoli funebri, immagine gigantesca della famosa "danza dei morti". Poi, volgendomi dall'altra parte, potevo ammirare la danza dei vivi! un salotto splendido, dalle pareti d'argento e oro, dai lampadari scintillanti, splendente di candele. Là, formicolavano, s'agitavano e sfarfallavano le più belle donne di Parigi, le più ricche, le più titolate, brillanti, pompose, abbaglianti di diamanti! con fiori sulla testa, sul seno, nei capelli, sparsi sulle vesti, o in ghirlande ai loro piedi. Erano leggeri fremiti di gioia, i voluttuosi che facevano ondeggiare i merletti, le blonde, la mussolina intorno ai fianchi delicati. Qualche occhiata troppo vivace si faceva strada qua e là, eclissava le luci, il fuoco dei diamanti, e animava ancor più cuori già troppo ardenti.
Si sorprendevano così cenni di teste significativi per gli amanti, e negativi per i mariti. Gli scoppi di voce dei giocatori, a ogni colpo imprevisto, il tintinnio dell'oro si frammischiavano alla musica, al mormorio delle conversazioni; per finir di stordire quella folla inebriata da tutto quello che il mondo elegante può offrire di seduzioni, un vapore di profumi e l'ebbrezza generale agivano sulle
immaginazioni che si smarrivano. Così, alla mia destra, la fosca e silenziosa immagine della morte, a sinistra, i decenti baccanali della vita: qui, la natura fredda, cupa, in lutto; là, uomini in gaudio. Io, sulla frontiera di questi due quadri disparati, che, mille volte ripetuti in diversi modi, rendono Parigi la città più divertente del mondo e la più filosofica, facevo una macedonia morale, mezzo faceta mezzo funebre. Col piede sinistro segnavo il tempo, e credevo d'aver l'altro nella tomba. La mia gamba destra era di fatti ghiacciata da uno di quegli spifferi che vi gelano una metà del corpo mentre l'altra metà sente il calore umido dei salotti, cosa abbastanza frequente nei balli.
- Non è molto tempo, è vero? che il signor de Lanty possiede questo palazzo?
- Ma sì. Sono quasi dieci anni che il maresciallo de Carignan glielo ha venduto...
- Ah!
- Devono avere un patrimonio immenso?
- Certo.
- Che festa! un lusso insolente.
- Li credete ricchi come il signor de Nucingen o come il signor de Gondreville?
- Ma non lo sapete anche voi?
Sporsi la testa e riconobbi i due interlocutori come appartenenti a quella razza curiosa che, a Parigi, si occupa esclusivamente dei "Perché?" dei "Come?" " Di dove viene?" "Chi sono?" "Che succede?" "Che ha fatto lei?". Si misero a parlare sottovoce, e s'allontanarono per andare a discorrere con più comodo su qualche canapé solitario. Una miniera feconda s'era aperta ai dilettanti di misteri. Nessuno sapeva da quale paese veniva la famiglia de Lanty, né da quale commercio, da quale spoliazione, da quale pirateria o da quale eredità provenisse un fortuna stimata parecchi milioni. Tutti i membri della famiglia parlavano l'italiano, il se, lo spagnolo, l'inglese e il tedesco, con sufficiente correttezza per far supporre che avevano dovuto soggiornare a lungo tra quei diversi popoli. Zingari?
filibustieri?
- Fossero anche il diavolo! - dicevano i giovani politici danno ricevimenti meravigliosi.
- Se anche il conte de Lanty avesse svaligiato qualche "Casauba", ne sposerei volentieri la figlia! - esclamava un filosofo.
E chi non avrebbe sposato Mariannina, giovinetta di sedici anni, la cui bellezza realizzava le favolose concezioni dei poeti orientali? Come la figlia del sultano nella favola della Lampada meravigliosa, essa avrebbe dovuto restare velata. Il suo canto faceva impallidire i talenti incompleti delle Malibran, delle Sontag, delle Fodor, nelle quali una qualità dominante ha sempre escluso la perfezione dell'insieme; mentre Mariannina sapeva unire allo stesso grado di perfezione la purezza del suono, la giustezza del movimento e delle intonazioni, l'anima e la tecnica, la correttezza e il sentimento. Quella ragazza era il tipo di quella poesia segreta, luogo comune di tutte le arti, e che sfugge sempre a quelli che la cercano. Dolce e modesta, istruita e intelligente, nessuna donna poteva eclissare
Mariannina, tranne sua madre.
Avete mai incontrato qualcuna di quelle donne la cui bellezza sfolgorante sfida le offese dell'età, e che a trentasei anni appaiono più desiderabili di quel che dovevano essere quindici anni prima? Il loro volto è un'anima apionata, scintilla; ogni lineamento vi brilla d'intelligenza; ogni poro possiede uno splendore speciale, soprattutto alla luce artificiale. I loro occhi seducenti attirano, respingono, parlano o tacciono; il loro o è innocentemente sapiente; la voce spiega le melodiose ricchezze dei toni più seducentemente dolci e teneri. Fondati su paragoni, i loro elogi accarezzano l'amor proprio più suscettibile. Un movimento delle sopracciglia, la minima occhiata, il labbro che si corruga incutono una specie di terrore a quelli che fanno dipendere da loro la vita e la felicità. Inesperta dell'amore e docile ai discorsi, una ragazza può lasciarsi sedurre; ma per quella specie di donne, un uomo deve sapere, come il signor de Jaucourt, non gridare quando, nascosto in fondo a un salottino, la cameriera gli spezza due dita nella fessura d'una porta. Amare quelle potenti sirene, non è forse mettere in gioco la vita? Ed ecco perché forse le amiamo con tanta ione! Tale era la contessa de Lanty.
Filippo, fratello di Marianna, aveva ereditato, come sua sorella, la bellezza meravigliosa della contessa. Per dir tutto in una sola parola, il giovanotto era un'immagine vivente dell'Antinoo, con delle forme più gracili. Ma quelle magre e delicate proporzioni quanto si addicono alla giovinezza quando una carnagione olivastra, sopracciglia vigorose e il fuoco d'un occhio vellutato promettono per l'avvenire ioni maschie, idee generose! Se Filippo restava, nei cuori di tutte le ragazze, come un tipo di perfezione, rimaneva anche nel ricordo di tutte le madri, come il miglior partito di Francia.
La bellezza, la ricchezza, lo spirito e le grazie di quei due ragazzi venivano unicamente dalla madre. Il conte de Lanty era piccolo, brutto e butterato; cupo come uno Spagnolo, noioso come un banchiere. ava del resto per un profondo politico, forse perché raramente rideva, e citava a ogni proposito Metternich o Wellington.
La misteriosa famiglia offriva tutta l'attrattiva d'una poesia di Lord Byron: le sue difficoltà venivano tradotte in modo diverso da ciascuna persona del bel mondo; era un canto oscuro, di strofa in strofa sublime. Il riserbo del conte e della contessa de Lanty sulla loro origine, sulla loro vita ata e sulle loro relazioni con le quattro parti del mondo non sarebbe stato a lungo una ragione di meraviglia a Parigi. In nessun paese forse l'assioma di Vespasiano è meglio inteso. Gli scudi, anche macchiati di sangue o di fango non rivelano niente e rappresentano tutto. Purché il mondo conosca la cifra delle vostre rendite, siete classificato tra le somme eguali a voi, e nessuno chiede di vedere le vostre pergamene, perché tutti sanno quanto costino poco. In una città in cui i problemi sociali si risolvono con equazioni algebriche, gli avventurieri hanno molte probabilità in loro favore. Ammettendo che la famiglia de Lanty fosse d'origini zingaresche, era così ricca, così attraente, che il mondo poteva ben perdonarle i suoi piccoli misteri. Ma, disgraziatamente, la storia enigmatica di casa Lanty offriva un rinascente interesse di curiosità, molto simile a quello dei romanzi di Anna Radcliffe.
Gli osservatori, gente che tiene a sapere in quale negozio comprate i vostri candelabri, o che vi chiedono quanto pagate di pigione quando il vostro appartamento sembra loro bello, avevano notato, di tanto in tanto, in mezzo alle feste, ai concerti, ai balli, ai grandi ricevimenti dati dalla contessa, l'apparizione d'uno strano personaggio. Un uomo. La prima volta che si fece vedere fu durante un concerto, e sembrò che fosse stato attirato in salotto dalla voce incantatrice di Mariannina.
- Da un momento in qua, ho freddo - disse alla sua vicina una signora che stava vicino alla porta.
Lo sconosciuto, che si trovava vicino alla signora, se ne andò.
- E' strano! ho caldo - disse la donna dopo che l'estraneo si fu allontanato. - E direte forse che sono pazza, ma non posso fare a meno di pensare che il mio vicino, quel signore vestito di nero che se n'è andato ora, era la causa di quel freddo.
Presto l'esagerazione naturale alle persone dell'alta società fece nascere e accumulare le idee più buffe, le espressioni più bizzarre, le favole più ridicole su quel misterioso personaggio.
Senza essere precisamente un vampiro, un uomo artificiale, una specie di Faust o di Robin dei boschi, aveva, secondo le persone amanti del fantastico, qualcosa di tutte quelle nature antropomorfe. C'erano qua e là dei Tedeschi che prendevano sul serio questi motteggi ingegnosi della maldicenza parigina. Lo straniero era semplicemente un vecchio. Parecchi di quei giovanotti, abituati a decidere, tutte le mattine in qualche frase elegante dell'avvenire dell'Europa, volevano vedere nello sconosciuto un gran criminale, possessore d'immense ricchezze. Dei romanzieri raccontavano la vita di quel vecchio, e vi davano particolari veramente curiosi sulle atrocità da lui commesse quando era a servizio del principe di Mysore. Dei banchieri, gente più positiva, accreditavano una favola convincente:
- Bah! - dicevano alzando le larghe spalle in una mossa di commiserazione - il vecchietto è una "testa genovese"!
- Signore, se non sono indiscreto, vorreste avere la bontà di spiegarmi che cosa intendete per una testa genovese?
- E' un uomo, signore, sulla cui vita riposano enormi capitali, e dalla salute di lui dipendono probabilmente le rendite di questa famiglia.
Mi ricordo d'aver sentito in casa della signora d'Espard un magnetizzatore il quale provava, con considerazioni storiche molto speciose, che quel vecchio, messo sotto vetro, era il famoso Balsamo detto Cagliostro. Secondo il moderno alchimista, l'avventuriero siciliano era sfuggito alla morte e si divertiva a fare dell'oro per i suoi nipoti. Infine il balivo de Ferette sosteneva d'aver riconosciuto nello strano personaggio il conte di San Germano. Queste sciocchezze, dette in tono spiritoso, con l'aria beffarda che ai giorni nostri caratterizza una società incredula, mantenevano sulla casa de Lanty come un'aura di sospetto. E poi, per uno strano concorso di circostanze, i membri di quella famiglia giustificavano le congetture del bel mondo, tenendo una condotta misteriosa verso il vecchio, la cui vita era in qualche modo sottratta a ogni investigazione.
Se questo personaggio varcava la soglia dell'appartamento che doveva occupare nel palazzo Lanty, la sua apparizione causava sempre nella famiglia una grande sensazione. Si sarebbe detto un avvenimento importante. Filippo, Mariannina, la signora de Lanty e un vecchio domestico erano i soli che avevano il privilegio di aiutare lo sconosciuto a camminare, ad alzarsi, a sedersi.
Ciascuno ne sorvegliava i minimi movimenti. Pareva che fosse una persona incantata da cui dipendessero la felicità, la vita o la fortuna di tutti. Timore o affetto? La gente del bel mondo non riusciva a scoprire nessun indizio che li aiutasse a risolvere il problema. Nascosto per mesi interi in fondo a un santuario sconosciuto, quel genio familiare ne usciva a un tratto come furtivamente, senza essere atteso, e compariva in mezzo ai salotti come le fate d'altri tempi che scendevano dai loro draghi volanti per venire a turbare solennità a cui non erano state invitate.
Solo gli osservatori più esercitati potevano allora indovinare l'inquietudine dei padroni di casa, che sapevano dissimulare con singolare abilità i loro sentimenti. Ma, a volte, pur continuando a ballare una quadriglia, la troppo spontanea Mariannina gettava un'occhiata di terrore sul vecchio che sorvegliava da lontano.
Oppure Filippo si slanciava scivolando attraverso la folla, per raggiungerlo, e restava accanto a lui, tenero e attento, come se il contatto con gli uomini o il minimo soffio dovesse spezzare quella creatura bizzarra. La contessa cercava di avvicinarsi a lui, senza mostrare di aver l'intenzione di raggiungerlo, poi, assumendo dei modi e una fisionomia improntati di servilità e d'affetto, di sottomissione e di dispotismo, diceva due o tre parole alle quali il vecchio quasi sempre obbediva, e spariva condotto, o, per meglio dire, portato via da lei. Se la signora di Lanty non c'era, il conte impiegava mille stratagemmi per arrivare a lui; ma pareva che gli riuscisse difficile di farsi ascoltare, e lo trattava come un bambino troppo accarezzato di cui la madre ascolta i capricci o teme le bizze. Qualche indiscreto si era azzardato a interrogare con una certa storditaggine il conte de Lanty, ma quest'uomo freddo e riservato pareva che non capisse mai le domande dei curiosi. Così, dopo molti tentativi, resi vani dalla circospezione di tutti i membri della famiglia, nessuno cercò più di scoprire un segreto così ben custodito. Le spie di alto grado, i creduloni e i politici avevano finito, scoraggiati, col non occuparsi più di quel mistero.
Ma, in quel momento, c'erano forse in quei salotti splendenti dei filosofi che, prendendo un gelato, un sorbetto, o posando sopra una mensola il bicchiere vuoto, si dicevano:
- Non mi stupirei di venire a sapere che sono dei bricconi. Quel vecchio che si nasconde e compare ogni equinozio o ogni solstizio, mi ha tutta l'aria d'un assassino...
- O d'un fallito...
- E' quasi lo stesso. Uccidere il patrimonio d'un uomo, è qualche volta peggio che uccidere lui.
- Signore, ho scommesso venti luigi, me ne vengono quaranta.
- In fede mia! signore, ce ne sono solo trenta sul tappeto...
- Ebbene, vedete che razza di gente frequenta qui. Non ci si può giocare.
- E' vero. Ma sono quasi sei mesi che non abbiamo visto lo spirito. Credete che sia una persona viva?
- Eh! eh! tutt'al più...
Queste parole venivano dette, intorno a me, da sconosciuti che se ne andarono nel momento in cui ricapitolavo, in un ultimo pensiero, le mie riflessioni miste di bianco e di nero, di vita e di morte. La mia sbrigliata immaginazione da un lato e i miei occhi dall'altro contemplavano volta a volta e la festa giunta al suo più alto grado di splendore e il quadro cupo del giardino. Non so quanto tempo meditai su queste due facce della medaglia umana; ma all'improvviso il riso soffocato d'una giovane donna mi riscosse. Restai stupefatto all'aspetto dell'immagine che mi si offrì allo sguardo. Per uno dei più rari capricci della natura, il pensiero in mezzo lutto che mi si aggirava per la testa ne era uscito, si trovava innanzi a me personificato, vivo, era balzato come Minerva dalla testa di Giove, grande e forte, aveva allo stesso tempo cent'anni e ventidue anni, era vivo e morto. Sfuggito dalla sua camera, come un pazzo dalla sua cella, il vecchietto era senza dubbio abilmente scivolato dietro una siepe di persone attente alla voce di Mariannina che finiva la cavatina del "Tancredi". Pareva fosse uscito di sottoterra, spinto da una macchina di teatro. Immobile e cupo, restò per un momento a contemplare la festa il cui frastuono gli era forse giunto all'orecchio. La sua preoccupazione, che aveva del sonnambulismo, era così concentrata sulle
cose che si trovava in mezzo alla gente senza vederla. Era spuntato senza cerimonie accanto a una delle più seducenti donne di Parigi, danzatrice elegante e giovane, dalle forme delicate, uno di quei visi freschi come quello d'un bambino, bianco e rosa, e così fragili, così trasparenti che uno sguardo d'uomo dovrebbe attraversarle, come i raggi del sole attraversano un pezzo di ghiaccio limpido. Stavano lì, innanzi a me, tutti e due, insieme, uniti e così vicini, che lo straniero sfiorava e il vestito di velo, e le ghirlande di fiori, e i capelli leggermente crespi, e il nastro ondeggiante della cintura.
Ero stato io a condurre al ballo della contessa de Lanty quella giovane donna. Siccome era la prima volta che veniva in quella casa, le perdonai il suo riso soffocato; ma le feci vivacemente un cenno imperioso che la fece restare interdetta e le ispirò rispetto per il suo vicino. Essa sedette accanto a me. Il vecchio non volle lasciare la deliziosa creatura, a cui s'attaccò capricciosamente con quella ostinazione muta e senza causa apparente a cui vanno soggette le persone molto vecchie, e che le fa somigliare a bambini. Per sedersi accanto alla giovane signora, dovette prendere un seggiolino pieghevole. I suoi minimi movimenti ebbero la pesantezza fredda, la stupida indecisione che caratterizzano i gesti d'un paralitico. Si accomodò lentamente sul suo seggiolino, borbottando qualche parola inintelligibile. La sua voce fessa somigliò al rumore che fa un sasso cadendo in un pozzo.
La giovane donna mi strinse forte la mano, come se avesse voluto garantirsi da un precipizio, e rabbrividì quando l'uomo, che essa guardava, rivolse su di lei due occhi senza calore, due occhi glauchi che non si potevano paragonare che a una madreperla che ha perduto la sua lucentezza.
- Ho paura - mi disse piegandosi verso il mio orecchio.
- Potete parlare - risposi. - Sente molto difficilmente.
- Lo conoscete dunque?
- Sì.
Riacquistò allora abbastanza coraggio per esaminare per un istante quella creatura senza nome nel linguaggio umano, forma senza sostanza, essere senza vita, o vita senza azione. Era sotto il fascino di quella paurosa curiosità che spinge le donne a procurarsi emozioni pericolose, a vedere tigri incatenate, a guardare serpenti boa, piene di spavento all'idea di non esserne separate che da deboli barriere. Benché il vecchietto avesse la schiena curva come quella d'un vecchio contadino, era facile accorgersi che la sua persona aveva dovuto essere regolare. La sua eccessiva magrezza, la delicatezza delle sue membra, provavano che le sue proporzioni erano sempre state svelte. Portava dei calzoni di seta nera, che ondeggiavano intorno alle cosce scarnite facendo le stesse pieghe d'una vela ammainata. Un anatomista avrebbe riconosciuto subito i sintomi di una spaventosa etisia vedendo le magre gambette che servivano a sostenere quello strano corpo: due ossa messe in croce sopra una tomba. Un senso di profondo orrore vi prendeva il cuore quando una fatale attenzione vi rivelava i segni impressi dalla decrepitezza su quella macchina casuale. Lo sconosciuto portava un panciotto bianco, ricamato in oro, all'antica, e la sua camicia era d'un bianco abbagliante. Una gala di merletto d'Inghilterra un po' ingiallito, la cui ricchezza avrebbe fatto invidia a una regina, s'increspava in onde gialle sul suo petto; ma su di lui quel merletto era più un cencio che un ornamento. In mezzo al merletto, un diamante d'un valore incalcolabile scintillava come un sole. Quel lusso antiquato, quel tesoro intrinseco e senza gusto, facevano anche meglio risaltare il volto di quell'essere bizzarro. La cornice era degna del ritratto. La faccia nera era angolosa e incavata dappertutto. Il mento incavato, le tempie incavate; gli occhi si perdevano nelle orbite giallastre. Gli ossi mascellari, messi in evidenza da una magrezza indescrivibile, disegnavano cavità in mezzo alle gote.
Quelle protuberanze più o meno rischiarate dalla luce artificiale, producevano ombre e riflessi curiosi che finivano per togliere a quel volto ogni carattere umano. Poi gli anni avevano così fortemente incollata sulle ossa la pelle gialla e
fine di quel volto che essa vi descriveva dappertutto una quantità di rughe o circolari, come i cerchi dell'acqua turbata da un sasso che vi getta un fanciullo, o a raggi come la frattura d'un vetro, ma sempre profonde e così fitte come i fogli nel taglio d'un libro.
Ci sono vecchi che presentano spesso un aspetto più orrendo; ma quel che maggiormente contribuiva a dare l'apparenza d'una creazione artificiale allo spettro sopravvenuto innanzi a noi, era il rosso e il bianco vistosi del belletto. Le sopracciglia della sua maschera ricevevano luce da un lampadario che rivelava una pittura molto bene eseguita. Fortunatamente per la vista rattristata da tante rovine, il cranio cadaverico era nascosto da una parrucca bionda i cui riccioli innumerevoli tradivano una pretesa straordinaria. Del resto, la civetteria femminile di quel personaggio fantasmagorico era molto energicamente affermata dagli orecchini d'oro che gli pendevano dalle orecchie, dagli anelli le cui ammirevoli pietre preziose brillavano sulle sue dita ossificate, da una catena da orologio che scintillava come una riviera di diamanti al collo di una donna. Infine, quella specie d'idolo giapponese conservava sulle sue labbra bluastre un riso fisso e deciso, un riso implacabile e canzonatorio, come quello d'una testa di morto. Silenzioso, immobile come una statua, esalava l'odore muschiato dei vecchi abiti che gli eredi d'una duchessa esumano dai loro cassetti durante un inventario. Se il vecchio volgeva gli occhi verso gli invitati, pareva che i movimenti di quei globi incapaci di riflettere una luce fossero dovuti a un artificio ignoto; e quando gli occhi si fermavano, colui che li osservava finiva col dubitare che si fossero mossi.
Vedere, accanto a quei resti umani, una giovane donna col collo, le braccia, e il petto nudi e bianchi, dalle forme piene e fiorenti di bellezza, dai capelli ben piantati sopra una fronte d'alabastro che ispiravano l'amore, dagli occhi che non ricevevano, ma diffondevano la luce, che era soave, fresca e i cui riccioli vaporosi, l'alito odoroso sembravano troppo pesanti per quell'ombra, per quell'uomo ridotto in polvere; ah! erano proprio la morte e la vita, il mio pensiero, un arabesco immaginario, una chimera orribile per metà, divinamente donna nel torso.
"Eppure ci sono matrimoni di questa specie che si fanno abbastanza spesso nel bel mondo" mi dissi.
- Manda odore di cimitero - esclamò la giovane donna spaventata che mi strinse come per accertarsi della mia protezione, e i cui movimenti tumultuosi mi dissero che aveva molta paura. - E' una visione orribile - riprese - non posso più restar qui. Se lo guardo un'altra volta, crederò che la morte in persona è venuta a cercarmi. Ma è vivo?
Pose la mano sul fenomeno con l'audacia che le donne attingono dalla violenza dei loro desideri; ma un sudore freddo uscì dai suoi pori, perché, appena ebbe toccato il vecchio, sentì un grido simile a quello d'una raganella. Quella voce acre, se pure era voce, sfuggì da una gola quasi inaridita. Poi a quel clamore tenne dietro una tossettina di bambino, convulsa e d'una sonorità speciale. A quel rumore, Mariannina, Filippo e la signora de Lanty rivolsero gli occhi verso noi, e i loro sguardi furono come lampi.
La giovane donna avrebbe voluto trovarsi in fondo alla Senna.
Prese il mio braccio e mi trascinò verso un salottino. Uomini e donne, tutti ci fecero largo. Arrivati in fondo all'appartamento da ricevimento, entrammo in un salottino semicircolare. La mia compagna si gettò sopra un divano, palpitando di spavento, senza sapere dove si trovasse.
- Signora, siete pazza - le dissi.
- Ma - riprese lei dopo un momento di silenzio durante il quale l'ammirai - è forse colpa mia? Perché la signora de Lanty lascia andare in giro fantasmi in
casa sua?
- Via - risposi - voi fate come gli sciocchi. Prendete un vecchietto per uno spettro.
- State zitto voi - replicò lei con l'aria imponente che tutte le donne sanno prendere così bene quando vogliono aver ragione. - Che grazioso salottino! esclamò guardandosi intorno. - Il raso azzurro fa sempre un bell'effetto come tappezzeria. Com'è fresco!
Ah! che bel quadro! - aggiunse alzandosi, e andando a mettersi in faccia a una tela magnificamente incorniciata.
Restammo un momento in contemplazione davanti a quella meraviglia, che sembrava opera d'un pennello soprannaturale. Il quadro rappresentava Adone steso sopra una pelle di leone. Il lume sospeso in mezzo al salottino dentro un vaso d'alabastro, illuminava in quel momento la tela d'una luce dolce che ci permise di cogliere tutte le bellezze della pittura.
- Ma esiste un essere così perfetto? - mi chiese dopo aver esaminato, non senza un dolce sorriso di soddisfazione, la grazia squisita dei contorni, la posa, il colore, i capelli, tutto insomma.
- E' troppo bello per un uomo - aggiunse dopo un esame eguale a quello a cui avrebbe sottoposta una rivale.
Oh! come sentii il morso di quella gelosia a cui un poeta aveva invano cercato di farmi credere! la gelosia delle stampe, dei quadri, delle statue, in cui gli artisti esagerano la bellezza umana, in conseguenza della dottrina che li porta a idealizzare tutto.
- E' un ritratto - le risposi. - E' dovuto al talento di Vien. Ma il grande pittore non ha mai visto l'originale, e la vostra ammirazione sarà forse meno viva quando saprete che questo nudo è stato fatto su una statua di donna.
- Ma chi è?
Esitai.
- Voglio saperlo - aggiunse lei con vivacità.
- Credo - le dissi - che questo Adone rappresenti un... un... un parente della signora de Lanty.
Ebbi il dolore di vederla immergersi nella contemplazione di quella figura. Sedette in silenzio, io mi misi accanto, e le presi la mano senza che se ne avvedesse! Dimenticato per un ritratto! In quel momento il rumore leggero d'un o di donna la cui gonna frusciava, risuonò nel silenzio. Vedemmo entrare la giovane Mariannina, più brillante ancora per la sua espressione d'innocenza che per la sua grazia e la sua fresca toletta; camminava lentamente, e teneva per il braccio con una cura materna, con una filiale sollecitudine, lo spettro vestito che ci aveva messi in fuga dalla sala di musica; lo condusse guardando con una specie d'inquietudine come posava i suoi piedi deboli.
Tutti e due arrivarono con una certa difficoltà a una porta dissimulata nella tappezzeria. Mariannina bussò piano. Subito apparve, come per magia, un uomo alto, magro, una specie di genio familiare. Prima di affidare il vecchio a quel guardiano misterioso, la giovinetta baciò rispettosamente il cadavere ambulante, e la sua casta carezza non fu esente da quel vezzeggiamento grazioso il cui segreto appartiene a qualche donna privilegiata.
- ADDIO, ADDIO! - diceva con le più graziose inflessioni della sua voce.
Aggiunse anche sull'ultima sillaba un gorgheggio eseguito ammirevolmente, ma a voce bassa come per esprimere poeticamente l'effusione del suo cuore. Il vecchio, colpito all'improvviso da qualche ricordo, restò sulla soglia di quel ridotto segreto.
Sentimmo allora, grazie a un silenzio profondo, il pesante sospiro che gli uscì dal petto: sfilò il più bello degli anelli di cui le sue dita di scheletro erano cariche, e lo mise in seno a Mariannina. La pazzerella si mise a ridere, riprese l'anello, l'infilò di sopra al guanto in uno dei suoi diti, e si slanciò verso la sala, in cui in quel momento risonarono i preludi d'una contraddanza. Ci vide.
- Ah! eravate lì! - disse arrossendo.
Dopo averci guardati come per interrogarci, corse al suo cavaliere con la spensierata petulanza della sua età.
- Che vuol dir questo? - mi chiese la mia giovane interlocutrice.- E' suo marito?
Mi pare di sognare. Dove mi trovo?
- Voi! - risposi - voi, signora, che siete esaltata, e che, comprendendo così bene le emozioni più impercettibili, sapete coltivare in un cuore d'uomo i più delicati sentimenti, senza avvilirlo, senza infrangerlo sin dal primo giorno, voi che avete pietà delle pene d'amore, e che allo spirito d'una Parigina unite un'anima apionata degna dell'Italia o della Spagna...
Vide bene che il mio linguaggio era pieno d'un'amara ironia; e, allora, senza mostrare di essersene accorta, m'interruppe per dirmi:
- Oh! voi mi fate quale mi volete. Strana tirannia! Volete che io non sia ME STESSA.
-Oh! non voglio niente - esclamai spaventato della sua severità. - Ma è vero almeno che vi piace sentir raccontare la storia di quelle ioni energiche prodotte nei nostri cuori dalle seducenti donne del Mezzogiorno?
- Sì. Ebbene?
- Ebbene, verrò domani da voi verso le nove, e vi svelerò questo mistero.
- No - rispose con aria capricciosa - voglio saperlo subito.
- Non m'avete ancora dato il diritto di obbedirvi quando dite:
"Voglio".
- In questo momento - rispose con una civetteria da far disperare - ho il più vivo desiderio di conoscere questo segreto. Domani, forse, non vi ascolterò neppure...
Sorrise e ci separammo; lei sempre così fiera, così rude, e io sempre così ridicolo, in quel momento come sempre. Ebbe l'audacia di ballare con un giovane aiutante di campo, e io restai via via offeso, imbronciato, ammirandola, amandola, geloso.
- A domani - mi disse verso le due del mattino, quando lasciò il ballo.
"Non andrò", pensai, "ti lascio. Sei più capricciosa, più fantastica mille volte forse... della mia immaginazione".
Il giorno dopo, eravamo davanti a un buon fuoco, in un salottino elegante, seduti tutti e due; lei sopra una poltrona, io, su dei cuscini, quasi ai suoi piedi, e col mio occhio sotto il suo. La strada era silenziosa. La lampada diffondeva una luce dolce. Era una di quelle serate deliziose all'anima, uno di quei momenti che non si dimenticano mai, una di quelle ore ate nella pace e nel desiderio, e di cui, più tardi, il fascino è sempre oggetto di rimpianto, anche quando siamo più felici. Chi può cancellare la viva impronta delle prime sollecitazioni dell'amore?
- Su - disse - vi ascolto.
- Ma io non oso cominciare. L'avventura ha dei punti scabrosi per il narratore. Se mi entusiasmo mi farete tacere.
- Parlate.
- Obbedisco - Ernesto-Giovanni Sarrasine era l'unico figlio d'un procuratore della Franca-Contea - ripresi dopo una pausa. - Suo padre aveva abbastanza onestamente guadagnato da sei a ottomila franchi di rendita, patrimonio da magistrato, che, un tempo, in provincia, ava per colossale. Il vecchio procuratore, che aveva un solo figlio, non volle trascurare nulla per la sua educazione, sperava di farne un magistrato, e vivere tanto da vedere, in vecchiaia, il nipote di Matteo Sarrasine, bifolco nel paese di San Dié, sedersi sui gigli e addormentarsi all'udienza per la maggior gloria del Parlamento; ma il cielo non gli riserbava questa gioia. Il giovane Sarrasine, andato per tempo ai Gesuiti, diede prova d'una turbolenza poco comune. Ebbe l'infanzia d'un uomo di talento. Non voleva studiare che a modo suo, si ribellava spesso, e restava a volte ore intere immerso in confuse meditazioni, occupato, ora a contemplare i suoi compagni che giocavano, ora a figurarsi gli dei di Omero. Poi, se gli accadeva di divertirsi, metteva nei suoi giochi un ardore straordinario. Quando sorgeva una lotta tra un compagno e lui, raramente il combattimento finiva senza sangue. Se era il più debole, mordeva. Di volta in volta pieno d'iniziative o ivo, senza attitudini o troppo intelligente, il suo carattere bizzarro lo fece temere dai suoi maestri quanto dai suoi compagni.
Invece d'apprendere gli elementi della lingua greca, disegnava il reverendo padre che gli spiegava un o di Tucidide, schizzava il maestro di matematica, il prefetto, gli inservienti, il censore, e ricopriva i muri di abbozzi informi. Invece di cantare in chiesa le lodi del Signore, si divertiva, durante le funzioni, a tagliuzzare il suo banco; o quando aveva rubato qualche pezzo di legno, scolpiva qualche figura di santa. Se il legno, la pietra o la matita gli mancavano, esprimeva le sue idee con la mollica di pane. Sia che copiasse i personaggi dei quadri che guarnivano il coro, sia che improvvisasse, lasciava sempre al suo posto grossolani abbozzi, il cui carattere licenzioso faceva disperare i padri più
giovani; e i maldicenti dicevano che i vecchi gesuiti ne sorridevano. Alla fine, se dobbiamo prestar fede alla cronaca del collegio, fu cacciato, perché, mentre aspettava il suo turno al confessionale, un venerdì santo, aveva scolpito un grosso ceppo in forma di Cristo. L'empietà impressa in quella statua era troppo forte per non attirare una punizione all'artista. Non aveva egli avuto l'audacia di collocare sull'alto del tabernacolo quella figura abilmente cinica? Sarrasine venne a cercare a Parigi un rifugio contro le minacce della maledizione paterna. Aveva una di quelle forti volontà che non conoscono ostacoli, obbedì perciò agli ordini del suo genio ed entrò nello studio di Bouchardon.
Lavorava tutta la giornata, e, la sera, andava a mendicare di che vivere. Bouchardon, meravigliato dei progressi e dell'ingegno del giovane artista, indovinò presto la sua miseria; lo soccorse, gli si affezionò, e lo trattò come un figlio. Poi, quando il genio di Sarrasine si fu rivelato con una di quelle opere in cui il futuro talento lotta contro l'effervescenza della giovinezza, il generoso Bouchardon cercò di riconciliarlo col vecchio procuratore. Di fronte all'autorità dello scultore celebre lo sdegno paterno si raddolcì. Tutta Besançon si rallegrò d'aver dato i natali a un futuro grand'uomo. Nel primo momento d'estasi in cui lo immerse la vanità lusingata, l'avaro curiale mise il figlio in condizioni di far buona figura nel mondo. I lunghi e laboriosi studi reclamati dalla scultura domarono per molto tempo il carattere impetuoso e il genio selvaggio di Sarrasine. Bouchardon, prevedendo la violenza delle ioni che si sarebbero scatenate in quella giovane anima, che aveva forse la tempra vigorosa di Michelangelo, ne soffocò l'energia sotto continui lavori. Riuscì a mantenere in giusti limiti la foga straordinaria di Sarrasine, proibendogli di lavorare e offrendogli distrazioni quando lo vedeva trasportato dalla furia di qualche idea, o affidandogli importanti lavori nel momento in cui stava per abbandonarsi alla dissipazione. Ma, con quell'anima apionata, la dolcezza fu sempre l'arma più potente, e il maestro prese un grande ascendente sul suo allievo eccitando in lui la riconoscenza con una bontà paterna. All'età di ventidue anni, Sarrasine fu per forza sottratto alla salutare influenza che Bouchardon esercitava sui suoi costumi e sulle sue abitudini. Scontò la pena del suo genio vincendo il premio di scultura fondato dal marchese di Marigny, fratello di madame de Pompadour, che tanto fece per le Arti. Diderot vantò come un capolavoro la statua dell'allievo di Bouchardon. Non fu senza dolore che lo scultore del re vide partire per l'Italia un giovane di cui, a ragion veduta, aveva favorito l'ignoranza profonda nelle cose della vita. Sarrasine da sei anni era il commensale di Bouchardon. Fanatico della
sua arte come fu più tardi Canova, si alzava all'alba, entrava nello studio per non uscirne che a sera, e viveva solo con la sua musa. Se andava alla ComédieFrancaise, vi era trascinato dal maestro. Si sentiva così imbarazzato nel salotto di madame Geoffrin e nel gran mondo in cui Bouchardon cercò d'introdurlo, che preferì restare solo, e ripudiò i piaceri di quei tempi licenziosi. Non ebbe altre amanti che la Scultura e Clotilde, una delle celebrità dell'Opera. E del resto questo intrigo non durò molto. Sarrasine era piuttosto brutto, sempre mal vestito, e per natura così libero, così poco regolare nella sua vita privata, che l'illustre ninfa, temendo qualche catastrofe, restituì presto lo scultore all'amore delle Arti. Sofia Arnould ha detto non so quale spiritosaggine a questo proposito. Si stupì, credo, che la sua collega avesse potuto vincerla sulle statue.
Sarrasine partì per l'Italia nel 1758. Durante il viaggio, la sua calda immaginazione s'infiammò sotto un cielo di rame e all'aspetto dei monumenti meravigliosi di cui abbonda la patria delle Arti. Ammirò le statue, gli affreschi, i quadri; e pieno d'emulazione venne a Roma, in preda al desiderio d'iscrivere il suo nome tra quelli di Michelangelo e di Bouchardon. Così, nei primi giorni, divise il tempo tra i suoi lavori di scultura e l'esame delle opere d'arte di cui Roma è ricca. Aveva già ato quindici giorni nella specie d'estasi che s'impadronisce di tutte le giovani immaginazioni all'aspetto della regina delle rovine, quando, una sera, entrò nel teatro Argentina, innanzi al quale s'accalcava una gran folla. Chiese la causa di quell'affluenza, e gli fu risposto con due nomi: "Zambinella! Jomelli!". Entra e siede in platea, tra due abati notevolmente grossi, ma il posto era buono, vicino alla scena. Si alzò il sipario. Per la prima volta nella sua vita sentì quella musica di cui il signor Gian Giacomo Rousseau gli aveva così eloquentemente vantato le delizie, in una serata in casa del barone d'Holbach. I sensi del giovane scultore furono, per così dire, lubrificati dagli accenti della sublime armonia di Jomelli. Le languide originalità di quelle voci italiane abilmente intrecciate lo immersero in un'estasi deliziosa. L'anima gli ò nelle orecchie e negli occhi; gli parve d'ascoltare con ognuno dei suoi pori. A un tratto, applausi da far crollare la sala accolsero l'entrata in scena della prima donna. Questa s'avanzò per civetteria sul davanti del teatro, e salutò il pubblico con grazia infinita. Le luci, l'entusiasmo di tutto un popolo, l'illusione della scena, il prestigio d'una toletta che, in quei tempi, era molto seducente, cospirarono in favore di quella donna. Sarrasine mandò gridi di piacere. Ammirava in quel momento la bellezza ideale di cui aveva fino allora cercato qua e là le perfezioni nella natura, chiedendo a un modello spesso ignobile, il
tondeggiare d'una gamba perfetta; a un altro, i contorni del seno, a questo le sue bianche spalle; prendendo infine il collo d'una giovinetta e le mani di questa donna, e i ginocchi lisci di quel fanciullo, senza mai incontrare sotto il cielo freddo di Parigi le ricche e soavi creazioni della Grecia antica. La Zambinella gli mostrava riunite, piene di vita e delicate, le squisite proporzioni della natura femminile così ardentemente desiderate, e di cui uno scultore è, insieme, il giudice più severo e più apionato. Una bocca espressiva, occhi pieni d'amore, una carnagione splendida. E aggiungete a questi particolari, che avrebbero rapito in estasi un pittore, tutte le meraviglie delle Veneri riverite e ritratte dallo scalpello dei Greci. L'artista non si stancava d'ammirare la grazia inimitabile con cui le braccia s'attaccavano al busto, la rotondità piena di prestigio del collo, le linee armoniosamente tracciate dalle sopracciglia, dal naso, poi l'ovale perfetto del volto, la purezza del suo vivo disegno, e l'effetto delle folte ciglia ricurve che terminavano larghe e voluttuose palpebre. Era più che una donna, era un capolavoro! C'era in quella creatura insperata tanto amore da mandare in estasi tutti gli uomini e bellezze degne di accontentare un critico. Sarrasine divorava con gli occhi la statua di Pigmalione, scesa per lui dal piedistallo. Quando la Zambinella cantò, fu un delirio. L'artista ebbe freddo; poi, sentì una fiamma che divampò all'improvviso nelle profondità del suo essere intimo, di quello che, per mancanza di parole, diciamo cuore! Non applaudì, non disse nulla, provava un impeto di pazzia, specie di frenesia da cui siamo agitati solo in quella età in cui il desiderio ha un non so che di terribile e d'infernale.
Sarrasine voleva slanciarsi sul palcoscenico e rapire quella donna. La sua forza centuplicata da una depressione morale impossibile a descrivere, giacché tali fenomeni si verificano in una sfera inaccessibile all'osservazione umana, tendeva a proiettarsi con una violenza dolorosa. A vederlo, si sarebbe detto un uomo freddo e stupido. Gloria, scienza, avvenire, esistenza, allori, tutto crollò. Essere amato da lei, o morire, tale fu la sentenza che Sarrasine pronunciò su se stesso. Era così completamente ubriaco che non vedeva più né la platea, né gli spettatori, né gli attori, non sentiva più la musica. Anche più, non c'erano distanze tra lui e la Zambinella, la possedeva, i suoi occhi, attaccati a lei, se ne impadronivano. Una potenza quasi diabolica gli permetteva di sentire il fiato di quella voce, di respirare la cipria profumata di cui i suoi capelli erano impregnati, di vedere i aggi da un piano all'altro di quel volto, di contarne le vene azzurre che ne sfumavano l'epidermide di raso. In fine quella voce agile, fresca come un camlino d'argento, docile come un filo a cui il minimo
soffio d'aria dà una forma, che avvolge e distende, svolge e disperde, quella voce assaliva così vivamente il suo animo che egli si lasciò più volte sfuggire di quei gridi involontari strappati dalle convulse delizie troppo raramente concesse alle ioni umane. Presto fu obbligato a uscire di teatro. Le gambe gli tremavano e rifiutavano quasi di sostenerlo. Era abbattuto, debole come un uomo nervoso che s'è abbandonato a una collera spaventevole. Aveva provato tanto piacere, o forse aveva tanto sofferto, che la vita gli era sfuggita come l'acqua da un vaso rovesciato da un urto. Sentiva in sé un vuoto, un annientamento simile a quelle atonìe che sono la disperazione dei convalescenti all'uscire da una grave malattia.
Invaso da una tristezza inesplicabile, andò a sedersi sui gradini d'una chiesa. Lì, col dorso appoggiato a una colonna, si perse in una meditazione confusa come un sogno. La ione lo aveva fulminato. Tornato a casa, cadde in uno di quei parossismi di attività che ci rivelano la presenza di principi nuovi nella nostra esistenza. In preda a quella prima febbre dell'amore che partecipa ugualmente del piacere e del dolore, volle ingannare la sua impazienza e il suo delirio disegnando a memoria la Zambinella. Fu una specie di meditazione materializzata. Sopra un foglio, la Zambinella aveva l'atteggiamento calmo, e freddo in apparenza, preferito da Raffaello, da Giorgione e da tutti i grandi pittori. Su di un altro, volgeva la testa con finezza mentre finiva un gorgheggio, e sembrava ascoltarsi da sé.
Sarrasine disegnò la sua amata in tutte le pose: la fece senza velo, seduta, in piedi, giacente, o casta o innamorata, realizzando grazie al delirio della sua matita, tutte le idee capricciose che sollecitano la nostra immaginazione quando pensiamo fortemente a una donna amata. Ma il suo pensiero furioso andò più oltre del disegno. Vedeva la Zambinella, le parlava, la supplicava, divorava mille anni di vita e di felicità con lei, mettendola in tutte le situazioni immaginabili, abbozzando, per così dire, il suo avvenire con lei. Il giorno dopo, mandò il lacché a prendere in affitto, per tutta la stagione, un palco vicino alla scena. Poi, come tutti i giovani dall'animo potente, si esagerò le difficoltà della sua impresa, e diede, come prima pastura alla sua ione, la felicità di poter ammirare senza ostacoli la sua amata. Questa età dell'oro dell'amore, durante la quale godiamo del nostro proprio sentimento e in cui ci troviamo felici quasi di noi stessi, non
doveva durar molto per Sarrasine.
Pure gli avvenimenti lo sorpresero quand'era ancora sotto il fascino di quella primaverile allucinazione, ingenua quanto voluttuosa. Per circa otto giorni, visse tutta una vita, occupato il mattino a impastare la creta con l'aiuto della quale riusciva a copiare la Zambinella, a dispetto dei veli, delle gonne, dei busti e i fiocchi di nastro che gliela dissimulavano. La sera, installato per tempo nel suo palco solo, sdraiato sopra un sofà, si fingeva, simile a un Turco ubriaco d'oppio, una felicità così feconda, così prodiga quale la desiderava. Per prima cosa si familiarizzò gradatamente con le emozioni troppo vive che gli procurava il canto della sua amata; poi addomesticò i suoi occhi a vederla, e finì col contemplarla senza dover temere l'esplosione della sorda rabbia da cui era stato animato la prima volta. La sua ione divenne più profonda facendosi più tranquilla. Del resto, il selvaggio scultore non permetteva che la sua solitudine, popolata d'immagini, ornata delle fantasie della speranza e piena di felicità, fosse turbata dai suoi colleghi. Amava con tanta forza e così ingenuamente che dovette subire gli scrupoli innocenti da cui siamo assaliti quando amiamo per la prima volta.
Cominciando a intravvedere che presto avrebbe dovuto agire, intrigare, domandare dove abitava la Zambinella, sapere se aveva una madre, uno zio, un tutore, una famiglia; pensando insomma al modo di vederla, di parlarle, sentiva il cuore gonfiarglisi così forte a idee tanto ambiziose, che rimandava queste cure al giorno dopo, felice delle sue sofferenze fisiche quanto dei suoi piaceri intellettuali.
- Ma - mi disse la signora Rochefide interrompendomi - non vedo ancora né Mariannina né il suo vecchietto.
- Ma io vi sto parlando di lui - esclamai impazientito come un autore che vede guastato l'effetto d'un suo colpo di scena. - Da qualche giorno - ripresi dopo una pausa - Sarrasine era venuto con tanta puntualità a sedersi nel suo palco, e i suoi sguardi esprimevano tanto amore, che la sua ione per la voce della
Zambinella sarebbe diventata la favola di tutta Parigi, se questa avventura fosse avvenuta qui; ma in Italia, signora, a teatro, ognuno assiste per conto proprio allo spettacolo, con le sue ioni, con un interesse di cuore che esclude lo spionaggio dei binocoli. Pure la frenesia dello scultore non poteva sfuggire a lungo agli occhi dei cantanti e delle cantanti. Una sera, il se si accorse che ridevano di lui dietro le quinte. Sarebbe difficile sapere a quali estremi sarebbe arrivato, se in quel momento non fosse entrata in scena la Zambinella. Gettò a Sarrasine una di quelle occhiate eloquenti che dicono spesso molto più di quel che una donna vorrebbe. Quello sguardo fu per lui una rivelazione. Sarrasine era amato! "Se non è che un capriccio", pensò accusando già la sua amante di troppo ardore, "non sa sotto quale dominio sta per cadere. Il suo capriccio durerà, spero, quanto la mia vita". In quel momento, tre colpi leggeri alla porta del palco eccitarono l'attenzione dell'artista. Aprì. Una vecchia entrò misteriosamente. "Giovanotto", disse, "se volete essere felice, siate prudente, avvolgetevi in una cappa, abbassate sugli occhi un gran cappello; poi, verso le dieci di sera, trovatevi in via del Corso, davanti all'Albergo di Spagna". "Ci sarò", rispose mettendo due luigi nella mano grinzosa della vecchia. Uscì dal palco, dopo aver fatto un segno d'intelligenza alla Zambinella, che abbassò timidamente le sue palpebre voluttuose come una donna felice d'essere stata finalmente compresa. Poi corse a casa, per chiedere alla toletta tutte le seduzioni che avrebbe potuto prestargli. Uscendo di teatro, uno sconosciuto lo fermò prendendolo per il braccio. "Badate a voi signor se", gli disse all'orecchio. "Il cardinale Cicognara è il suo protettore, e non scherza". Se anche un diavolo avesse messo tra Sarrasine e la Zambinella le profondità dell'inferno, in quel momento egli le avrebbe superate d'un balzo. Simile ai cavalli degli immortali dipinti da Omero, l'amore dello scultore aveva in un batter d'occhio valicato spazi immensi. "Se anche la morte dovesse attendermi all'uscire dalla casa di lei, vi andrei ancora più presto",rispose."Poverino!",esclamò lo sconosciuto dileguandosi. Parlare di pericoli a un innamorato non è forse proporgli dei piaceri? Mai il lacché di Sarrasine aveva visto il padrone così minuzioso in fatto di toletta. La sua più bella spada, dono di Bouchardon, il suo abito ricamato di lustrini, il panciotto di damasco d'argento, la tabacchiera d'oro, gli orologi preziosi, tutto fu tratto fuori dal baule, ed egli si adornò come una ragazza che deve incontrare a eggio il suo primo innamorato. All'ora detta, ebbro d'amore e ardente di speranza, Sarrasine, col naso nel mantello, corse al convegno fissato dalla vecchia. La governante lo aspettava. "Avete tardato molto!" gli disse. "Venite". Trasse il se per parecchie stradine, e si fermò innanzi a un palazzo di abbastanza bell'apparenza. Picchiò.
La porta si aprì. La vecchia condusse Sarrasine attraverso un labirinto di scale, di gallerie e di stanze illuminate solo dalla incerta luce della luna, e giunse presto a una porta, dalle cui fessure sfuggivano vive luci, da cui partivano gioiosi scoppi di molte voci. Tutto a un tratto Sarrasine fu abbagliato, quando, a una parola della vecchia, fu ammesso nel misterioso appartamento, e si trovò in una sala così brillantemente illuminata come sontuosamente arredata. In mezzo alla sala sorgeva una tavola ben servita, carica di sacrosante bottiglie, di ridenti boccette le cui sfaccettature arrossate scintillavano. Riconobbe i cantanti e le cantanti del teatro, in compagnia di donne incantevoli, tutti pronti a cominciare un'orgia di artisti che non aspettava più che lui. Sarrasine represse un movimento di dispetto, e fece buon viso a cattivo gioco. Aveva sperato di trovare una camera poco illuminata, la sua donna accanto a un braciere, un geloso a due i, la morte e l'amore, confidenze scambiate a voce bassa, da cuore a cuore, baci pericolosi, e i volti così vicini, che i capelli della Zambinella avrebbero accarezzato la sua fronte carica di desideri, ardente di felicità. "Viva la pazzia!", gridò.
"SIGNORI E BELLE DONNE, mi permetterete di prendere più tardi la mia rivincita e di mostrarvi la riconoscenza per il modo come accogliete un povero scultore". Dopo aver ricevuto complimenti abbastanza affettuosi dalla maggior parte delle persone presenti, che conosceva di vista, cercò di avvicinarsi alla poltrona su cui la Zambinella stava negligentemente sdraiata. Oh! come gli batté il cuore quando vide un piedino calzato di quelle pianelle che, permettetemi di dirlo, signora, davano un tempo al piede delle donne un'espressione così civettuola, così voluttuosa, che non so come gli uomini potessero resistervi. Le calze bianche ben tirate e ad angoli verdi, le gonne corte, le pianelle a punta a tacchi alti del regno di Luigi Quindicesimo hanno forse contribuito un poco a demoralizzare l'Europa e il clero.
- Un poco! - disse la marchesa. - Non avete dunque letto niente?
- La Zambinella - ripresi sorridendo - aveva sfrontatamente incrociato le gambe,
e agitava scherzando quella di sopra, atteggiamento di duchessa, che stava bene al suo genere di bellezza capricciosa e piena di una certa mollezza invitante. Si era tolti gli abiti di teatro e portava un corpetto che disegnava un personale svelto messo in valore da "panieri" e una veste di raso ricamata di fiori azzurri. Il petto, di cui un merletto dissimulava con un lusso di civetteria i tesori, risplendeva di bianchezza. Pettinata presso a poco come si pettinava madame du Barry, il suo volto, benché sormontato da una larga cuffia, non ne risultava che più grazioso, e la cipria le stava bene. Vederla così, significava adorarla. Essa sorrise graziosamente allo scultore. Sarrasine, benché scontento di non poterle parlare che in presenza d'altri, sedette educatamente accanto a lei, e le parlò di musica lodandola del suo prodigioso talento; ma la voce gli tremava d'amore, di timore e di speranza. "Che paura avete?" gli disse Vitagliani, il cantante più celebre della compagnia.
"Andate franco, qui non avete nessun rivale da temere". Il Tenore sorrise silenziosamente. Quel sorriso si ripeté sulle labbra di tutti i commensali, la cui attenzione aveva una specie di malizia nascosta di cui non poteva accorgersi un innamorato. Quella pubblicità fu per Sarrasine come un colpo di pugnale. Benché dotato d'una certa forza di carattere, e benché nessuna circostanza potesse influire sul suo amore, non aveva ancora pensato che Zambinella era quasi una cortigiana, e che lui non poteva avere insieme i puri godimenti che rendono l'amore di una giovinetta una cosa tanto deliziosa e i trasporti focosi coi quali una donna di teatro fa pagare i tesori della sua ione.
Rifletté e si rassegnò. La cena venne servita. Sarrasine e la Zambinella si misero senza cerimonie l'uno accanto all'altra.
Nella prima metà della cena, gli artisti osservarono una certa misura, e lo scultore poté discorrere con la cantante. Trovò in lei un certo spirito e una certa finezza; ma era di un'ignoranza sorprendente, e si mostrò debole e superstiziosa. La delicatezza dei suoi organi si riproduceva nella sua intelligenza. Quando Vitagliani stappò la prima bottiglia di Champagne, Sarrasine lesse negli occhi della sua vicina un timore abbastanza vivo della piccola detonazione prodotta
dalla sfuggita del gas. Il trasalimento involontario di quell'organismo femminile fu dall'innamorato interpretato come indiziodieccessiva sensibilità. Quella debolezza affascinò il se. C'entra tanta protezione nell'amore di un uomo! "Disporrete del mio vigore come d'uno scudo!". Questa frase non è forse scritta in fondo a tutte le dichiarazioni d'amore? Sarrasine, troppo apionato per snocciolare galanterie alla bella italiana, era, come tutti gli innamorati, a volta a volta, ridente o concentrato in sé. Benché paresse ascoltare i commensali, non sentiva una parola di quel che dicevano, tanto s'abbandonava al piacere di trovarsi vicino a lei, di sfiorarle la mano, di servirla. Nuotava in una gioia segreta.
Nonostante l'eloquenza di qualche occhiata scambievole, fu stupito della riservatezza della Zambinella verso di lui. Aveva certo cominciato lei a premergli il piede e a stuzzicarlo con la malizia di una donna libera e innamorata; ma subito s'era ravvolta in una modestia di giovinetta, dopo aver sentito raccontare da Sarrasine un tratto che dipingeva la grande violenza del suo carattere.
Quando la cena si mutò in orgia, i commensali si misero a cantare ispirati dal "Peralta" e dal "Pedro Ximenes". Furono duetti deliziosi, ariette calabresi, seguidiglie spagnole, canzonette napoletane. L'ebbrezza era in tutti gli occhi, nella musica, nei cuori e nelle voci. Sgorgò a un tratto una vivacità incantevole, un abbandono cordiale, una bonomia italiana di cui non si può dar l'idea a quelli che conoscono soltanto le riunioni di Parigi, i ricevimenti di Londra o i circoli di Vienna. Gli scherzi e le parole d'amore s'incrociavano, come palle in una battaglia, attraverso le risate, le empietà, le invocazioni alla Santa Vergine o al "Bambino". Uno si coricò sopra un divano e si mise a dormire. Una ragazza ascoltava una dichiarazione d'amore senza accorgersi che versava vino di Xeres sulla tavola. In mezzo a quel disordine, la Zambinella come presa da terrore, restò pensierosa.
Rifiutò di bere, mangiò forse un po' troppo: ma la golosità, si dice, è una grazia nella donna. Meravigliandosi del pudore della sua innamorata, Sarrasine fece
serie riflessioni sull'avvenire.
"Vuole senza dubbio farsi sposare" si disse. Si abbandonò allora alle delizie di quel matrimonio. La sua vita intera non gli pareva abbastanza lunga per esaurire la sorgente di felicità che si sentiva in fondo all'anima. Vitagliani, che era suo vicino di tavola, gli versò così spesso da bere che, verso le tre del mattino, senza essere completamente ubriaco, Sarrasine si trovò senza forza contro il suo delirio. In un momento di foga, portò via la donna correndo a chiudersi in una specie di salottino che comunicava colla sala da pranzo, e alla cui porta aveva più volte rivolto lo sguardo. L'Italiana era armata d'un pugnale. "Se ti avvicini" disse, "sarò costretta a immergerti quest'arma nel cuore. Va' ! mi disprezzeresti. Ho concepito troppo rispetto per il tuo carattere per abbandonarmi così. Non voglio decadere dal sentimento che tu m'accordi". "Ah! ah!" disse Sarrasine, "è un cattivo mezzo per estinguere una ione quello di eccitarla. Sei dunque già così corrotta, che, vecchia di cuore, agiresti come una giovane cortigiana, che stuzzica le emozioni di cui fa commercio?". "Ma oggi è venerdì", rispose lei spaventata della violenza del se. Sarrasine, che non era bigotto, si mise a ridere. La Zambinella con un balzo da capriolo si slanciò nella sala del banchetto. Quando Sarrasine vi apparve correndole dietro, fu accolto da una risata infernale. Vide la Zambinella svenuta sopra un divano. Era pallida e come esaurita dallo sforzo straordinario che aveva fatto. Benché Sarrasine sapesse poco d'italiano, sentì la sua amante dire a voce bassa a Vitagliani:
"Ma egli mi ucciderà!". Quella scena strana rese tutto confuso lo scultore. La ragione gli tornò. Restò sulle prime immobile poi ritrovò la parola, sedette accanto alla sua amante e le protestò il suo rispetto. Trovò la forza di ingannare la sua ione, dicendo a quella donna le cose più esaltate; e, per dipingerle il suo amore, spiegò i tesori di quella eloquenza magica, interprete officioso che raramente le donne si rifiutano di credere. Nel momento in cui le prime luci del mattino sorpresero i convitati, una donna propose di andare a Frascati. Tutti accolsero con vive acclamazioni l'idea di are una giornata alla villa Ludovisi.
Vitagliani scese per trovare delle vetture da nolo. Sarrasine ebbe la fortuna di condurre la Zambinella in "phaeton". Appena usciti di Roma, l'allegria, repressa un momento dalla lotta che ciascuno aveva sostenuto col sonno, si risvegliò subito. Uomini e donne, tutti parevano abituati a quella strana vita, a quei piaceri continui, a quella foga d'artisti che fa della vita una festa perpetua in cui si ride senza pensare ad altro. La compagna dello scultore era la sola che apparisse abbattuta. "Vi sentite male?" le disse Sarrasine. "Preferireste tornarvene a casa?". "Non sono abbastanza forte per sopportare questi eccessi", rispose. "Ho bisogno di grandi riguardi; ma, accanto a voi, mi sento così bene!
Se non ci foste stato voi, non sarei rimasta a cena; una notte senza sonno mi fa perdere tutta la mia freschezza". "Siete così delicata!" riprese Sarrasine contemplando i lineamenti graziosi di quella incantevole creatura. "Le orgie mi rovinano la voce". "Ora che siamo soli", esclamò l'artista, e che non avete da temere l'effervescenza della mia ione, ditemi che mi amate".
"Perché?" replicò la Zambinella, "a che serve? Vi sono parsa graziosa. Ma voi siete un se, e il vostro sentimento erà. Oh! non mi amereste come vorrei essere amata". "Come?".
"Senza scopi di ione volgare, puramente. Abborro gli uomini, anche più di quel che odio le donne. Ho bisogno di rifugiarmi nell'amicizia. Il mondo è deserto per me. Sono una creatura maledetta, condannata a comprendere la felicità, a sentirla, a desiderarla, e, come tante altre, costretta a vederla sfuggirmi continuamente. Ricordatevi, signore, che non vi avrò ingannato. Vi proibisco di amarmi. Posso essere un amico devoto per voi, perché ammiro la vostra forza e il vostro carattere. Ho bisogno d'un fratello, d'un protettore. Siate tutto questo per me, ma niente altro". "Non amarvi!", esclamò Sarrasine; "ma, angelo caro, tu sei la mia vita, la mia felicità!". "Se dicessi una parola, mi respingereste inorridito". "Civettuola! niente può farmi paura.
Dimmi che mi costerai l'avvenire, che tra due mesi morirò, che sarò dannato per
averti solo baciata". E la baciò nonostante gli sforzi della Zambinella per sottrarsi a quel bacio apionato.
"Dimmi che sei un demonio, che vuoi quanto posseggo, il mio nome, la mia celebrità! Vuoi che non sia più scultore? Parla". "E se non fossi una donna?" domandò timidamente la Zambinella con una voce argentina e dolce. "Che bella trovata!", esclamò Sarrasine. "Credi di poter ingannare l'occhio d'un artista? Non sono dieci giorni che divoro, scruto, ammiro le tue perfezioni? Solo una donna può avere questo braccio rotondo e morbido, questi contorni eleganti.
Ah! vuoi dei complimenti!". Essa sorrise tristemente, e disse mormorando: "Fatale bellezza!". Levò gli occhi al cielo. In quel momento il suo sguardo ebbe non so che espressione d'orrore così potente, così viva, che Sarrasine ne trasalì. "Signor se", riprese lei, "dimenticate per sempre un momento di pazzia. Vi stimo; ma, quanto ad amore, non me lo chiedete; questo sentimento è stato soffocato nel mio cuore. Non ho cuore!" esclamò piangendo.
"Il teatro su cui mi avete veduta, gli applausi, la musica, la gloria a cui m'hanno condannata, ecco la mia vita, non ne ho altra. Fra qualche ora non mi vedrete cogli stessi occhi, la donna che voi amate sarà morta". Lo scultore non rispose. Era in balia di una sorda rabbia che gli opprimeva il cuore. Non poteva che guardare quella donna straordinaria con degli occhi infiammati che gli bruciavano. Quella voce piena di debolezza, l'atteggiamento, i modi e i gesti di Zambinella, improntati di tristezza, di malinconia, di scoraggiamento gli risvegliavano in cuore tutte le ricchezze della ione. Ogni parola era un pungolo. In quel momento erano arrivati a Frascati. Quando l'artista porse il braccio alla sua amante per aiutarla a scendere, la sentì tutta tremante. "Che avete? Mi fareste morire", esclamò vedendola impallidire, "se aveste il minimo dolore di cui io fossi causa anche innocente". "Una serpe!" disse lei mostrando una biscia che strisciava lungo un fosso. "Ho paura di queste odiose bestie".
Sarrasine schiacciò col tallone la testa della biscia. "Come siete coraggioso!"
riprese la Zambinella contemplando con visibile spavento il rettile morto. "Ebbene", disse l'artista sorridendo, "oserete ancora dire che non siete donna?". Raggiunsero i loro compagni e eggiarono nei boschi della villa Ludovisi, che apparteneva allora al cardinale Cicognara. La mattina ò troppo presto per l'innamorato scultore, ma fu piena di una folla d'incidenti che gli rivelarono la civetteria, la debolezza, la leziosaggine di quell'anima molle e senza energia. Era la donna con le sue subite paure, coi suoi capricci irragionevoli, i suoi turbamenti istintivi, le sue audacie senza motivo, le sue vanterie e la sua deliziosa finezza di sentimento. Ci fu un momento in cui, avventurandosi nella campagna, la piccola comitiva dei gioiosi cantanti vide da lontano degli uomini armati fino ai denti, e il cui costume non aveva niente di rassicurante. Alla parola: "I briganti!" ciascuno raddoppiò il o per mettersi al sicuro nel recinto della villa del cardinale. In quel momento critico, Sarrasine s'avvide dal pallore della Zambinella che essa non aveva più la forza di camminare, la prese tra le braccia e la portò, per qualche tempo di corsa. Quando fu arrivato a una vigna vicina, la mise a terra. "Spiegatemi", le disse, "perché la vostra estrema debolezza che, in ogni altra donna, sarebbe orribile, mi dispiacerebbe, e la cui minima prova basterebbe quasi a spegnere in me l'amore, in voi mi piace, mi affascina? Oh! quanto vi amo!" riprese. "Tutti i vostri difetti, i vostri terrori, le vostre piccolezze aggiungono non so qual grazia alla vostra anima. Sento che detesterei una donna forte, una Saffo coraggiosa, piena di energia, di ione. O fragile e dolce creatura! come puoi essere diversa? Questa voce d'angelo, questa voce delicata, sarebbe un controsenso se uscisse da un altro corpo". "Non posso" disse lei, "darvi nessuna speranza. Cessate di parlarmi così, perché si befferebbero di voi. Non m'è possibile vietarvi l'entrata del teatro ma, se mi volete bene, o se avete giudizio, non ci verrete più. Ascoltatemi, signore". "Oh! taci", disse l'artista inebriato.
"Gli ostacoli attizzano l'amore nel mio cuore". La Zambinella restò in un atteggiamento grazioso e modesto; ma tacque, come se un pensiero terribile le avesse rivelato qualche disgrazia. Quando fu necessario tornare a Roma, essa salì in una berlina a quattro posti, ordinando allo scultore, con un'aria imperiosamente crudele, di ritornarvi solo nel "phaeton". Durante il viaggio, Sarrasine risolse di rapire la Zambinella. ò tutta la giornata a far piani l'uno più stravagante dell'altro. Al cader della notte, nel momento in cui usciva di casa per andare a domandare a qualcuno dove era situato il palazzo abitato dalla sua amante, incontrò sulla soglia della porta uno dei suoi colleghi. "Mio caro", gli
disse questi, "sono stato incaricato dal nostro ambasciatore d'invitarti a venire questa sera da lui. Dà un concerto magnifico e quando saprai che ci sarà Zambinella...".
"Zambinella!" esclamò Sarrasine delirante a quel nome, "io ne vado pazzo!". "Tu come tutti", gli rispose il suo collega. "Ma se voi siete amici miei, tu, Vien, Lauterbourg e Allegrain mi darete aiuto per un colpo di mano dopo la festa", chiese Sarrasine. "Non ci sono cardinali da uccidere, non ci sono...?". "No, no", disse Sarrasine, "non vi chiedo niente che una persona onesta non possa fare". In poco tempo lo scultore dispose tutto perché la sua impresa riuscisse. Fu uno degli ultimi ad arrivare all'ambasciata, ma vi venne in una vettura da viaggio tirata da cavalli vigorosi guidati da uno dei più intraprendenti vetturini di Roma. Il palazzo dell'ambasciatore era pieno di gente, e non riuscì facile allo scultore, sconosciuto a tutti gli invitati, arrivare alla sala dove in quel momento cantava Zambinella. "Per riguardo probabilmente ai cardinali, vescovi e abati che son qui", chiese Sarrasine, "essa si è vestita da uomo, e ha una borsa dietro la testa, i capelli arricciati e una spada a fianco!". "Essa! Chi essa?" rispose un vecchio signore a cui Sarrasine s'era rivolto.
"La Zambinella". "La Zambinella?" rispose il principe romano.
"Scherzate? Da dove venite? Mai una donna è salita sul palcoscenico a Roma! E non sapete da quali creature sono tenute le parti di donna negli stati del Papa? Sono stato io, signore, che ho dotato Zambinella della sua voce. Ho pagato io tutto per quel mariuolo, anche il suo maestro di canto. Ebbene! ha così poca riconoscenza per il servigio che gli ho reso, che non ha voluto mai rimettere piede in casa mia. Eppure, se fa fortuna, lo dovrà interamente a me". Il principe Chigi avrebbe potuto parlare, certo, molto tempo, Sarrasine non lo ascoltava. Una orribile verità era penetrata nel suo animo. Era stato colpito come da un fulmine. Restò immobile, con gli occhi fissi sul preteso cantante.
Il suo sguardo fiammeggiante ebbe una specie d'influsso magnetico su
Zambinella, perché il "musico" finì col volgere gli occhi verso Sarrasine, e allora la sua voce celeste s'alterò. Tremò! Un mormorio involontario dell'assemblea, che egli teneva come sospesa alle sue labbra, finì di turbarlo; sedette, e interruppe l'aria che cantava. Il cardinale Cicognara, che con la coda dell'occhio aveva spiato la direzione presa dallo sguardo del suo protetto, scorse allora il se; si chinò verso uno dei suoi aiutanti di campo ecclesiastici, e parve domandare il nome dello scultore.
Quando ebbe ottenuto la risposta che desiderava, contemplò con molta attenzione l'artista, e diede qualche ordine a un abate, che sparì subito. Frattanto Zambinella, che s'era riavuto, ricominciò il pezzo che aveva interrotto così capricciosamente; ma lo eseguì male, e rifiutò, nonostante tutte le istanze che gli vennero fatte, di cantare altri pezzi. Fu la prima volta che esercitò quella tirannia capricciosa che, più tardi, lo rese non meno celebre del suo talento e della sua fortuna, dovuta, si disse, non meno alla sua voce che alla sua bellezza. "E' una donna", si disse Sarrasine credendosi solo. "C'è sotto qualche intrigo segreto. Il cardinale Cicognara inganna il Papa e tutta Roma!". Immediatamente lo scultore uscì dalla sala, riunì i suoi amici, e li nascose nel cortile del palazzo. Quando Zambinella si fu assicurato della partenza di Sarrasine, parve recuperare qualche tranquillità.
Verso mezzanotte, dopo aver errato nelle sale come un uomo che cerca un nemico, il "musico" lasciò l'adunanza. Nel momento in cui varcava la porta del palazzo, fu abilmente preso da uomini che lo imbavagliarono con un fazzoletto e lo misero nella vettura presa a nolo da Sarrasine. Agghiacciato d'orrore, Zambinella restò in un angolo senza osare fare il più piccolo movimento. Si vedeva innanzi la figura terribile dell'artista che serbava un silenzio di morte. Il tragitto fu breve. Zambinella, rapito da Sarrasine, si trovò presto in uno studio oscuro e nudo. Il cantante, mezzo morto, restò sopra una sedia, senza osar guardare una statua femminile, nella quale aveva riconosciuto i suoi lineamenti. Non proferì una parola, ma batteva i denti. Era ghiacciato di paura.
Sarrasine andava in su e in giù a grandi i. A un tratto si fermò innanzi a
Zambinella. "Dimmi la verità", domandò con voce sorda e alterata. "Sei una donna? Il cardinale Cicognara...".
Zambinella cadde in ginocchio, e non rispose altrimenti che abbassando la testa. "Ah! sei una donna", gridò l'artista in delirio; "perché anche un...". Non continuò. "No", riprese, "non avrebbe tanta bassezza". "Ah! non m'uccidete", gridò Zambinella scoppiando in lacrime. "Non ho acconsentito ad ingannarvi che per far piacere ai miei compagni, che volevano ridere". "Ridere!" rispose lo scultore con una voce che ebbe uno scoppio infernale.
"Ridere, ridere! Tu hai osato prenderti gioco d'una ione d'uomo, tu?". "Oh! grazia!" replicò Zambinella. "Dovrei farti morire!" gridò Sarrasine sfoderando la spada con mossa violenta "Ma", riprese con un freddo disdegno, "frugando il tuo essere con un pugnale, vi troverei forse un sentimento da spegnere, una vendetta da soddisfare? Tu non sei niente. Uomo o donna, t'ucciderei! ma...". Sarrasine fece un gesto di disgusto, che lo obbligò a volgere la testa, e allora guardò la statua. "Ed è un'illusione!" esclamò. Poi rivolgendosi verso Zambinella: "Un cuore di donna era per me un asilo, una patria. Hai delle sorelle che ti somigliano? No. Ebbene! muori! Ma no, vivrai. Lasciarti la vita non è forse votarti a qualche cosa di peggio della morte? Non rimpiango né il mio sangue né la mia vita, ma l'avvenire e la mia fortuna di cuore. La tua mano debole ha abbattuto la mia felicità.
Quale speranza posso rapirti in compenso di tutte quelle che tu hai fatto apire? Tu m'hai abbassato fino a te. Amare, essere amato! sono oramai parole vuote di senso per me, come per te.
Continuamente penserò a questa donna immaginaria ogni volta che vedrò una donna reale". Indicò la statua con un gesto disperato.
"Avrò sempre nel ricordo un'arpia celeste che verrà ad affondare i suoi artigli nei miei sentimenti d'uomo, e che segnerà tutte le altre donne d'un suggello d'imperfezione! Mostro! tu che non puoi dar vita a niente, tu m'hai spopolata la terra di tutte le donne".
Sarrasine sedette di fronte al cantante spaventato. Due grosse lacrime uscirono dai suoi occhi aridi, corsero lungo le sue gote maschie e caddero a terra: due lacrime di rabbia, due lacrime acri e scottanti. "Niente più amore! sono morto a ogni piacere, a tutte le emozioni umane". A queste parole, prese un martello e lo lanciò contro la statua con una forza così stravagante che non la colpì.
Credette d'aver distrutto quel monumento della sua pazzia, e allora riprese la spada e la brandì per uccidere il cantante.
Zambinella gettò acute grida. In quel momento entrarono tre uomini, e subito lo scultore cadde trafitto da tre colpi di stile.
"Da parte del cardinale Cicognara", disse uno di essi. "E' un beneficio degno d'un cristiano", rispose il se spirando. I cupi emissari dissero a Zambinella l'inquietudine del suo protettore che aspettava alla porta, in una vettura chiusa, per poterlo portar via appena liberato.
- Ma - mi disse la signora de Rochefide - che relazione c'è tra questa storia e il vecchietto che abbiamo visto dai Lanty?
- Signora, il cardinale Cicognara s'impadronì della statua di Zambinella e la fece eseguire in marmo, si trova oggi nel museo Albani. Lì la famiglia Lanty la ritrovò nel 1791, e pregò Vien di copiarla. Il ritratto che vi ha mostrato
Zambinella a vent'anni, un momento dopo che l'avevate visto centenario, è servito più tardi per l'Endimione di Girodet, avete potuto riconoscerne il tipo nell'Adone.
- Ma quel o quella Zambinella?
- Non può essere che il prozio di Mariannina. Dovete capire ora l'interesse che può avere la signora de Lanty a nascondere la fonte d'una fortuna che proviene...
- Basta! - disse lei facendomi un cenno imperioso.
Restammo un momento immersi nel più profondo silenzio.
- Ebbene? - le dissi.
- Ah! - esclamò alzandosi e eggiando tutt'agitata nella stanza. Venne a guardarmi, e mi disse con voce alterata: - Mi avete disgustata per molto tempo della vita e delle ioni.
Salvo la mostruosità, tutti i sentimenti umani non si risolvono così in atroci delusioni? Madri, i figli ci assassinano o con la loro cattiva condotta o con la loro freddezza. Spose, siamo tradite. Amanti, siamo lasciate, abbandonate. L'amicizia! esiste poi? Domani mi darei alla vita devota, se non sapessi che posso restare inaccessibile come una roccia in mezzo alle tempeste della vita. Se l'avvenire del cristiano è ancora un'illusione, almeno essa si distrugge solo dopo la morte. Lasciatemi sola.
- Ah! - le dissi - voi sapete punire.
- Ho forse torto?
- Sì - le risposi con una specie di coraggio. - Terminando questa storia, che in Italia è abbastanza nota, posso darvi un'altra idea dei progressi fatti dalla civiltà attuale. Non vi si fanno più di quelle infelici creature.
- Parigi - disse lei - è un paese molto ospitale; accoglie tutto, e le fortune vergognose e le fortune insanguinate. Il delitto e l'infamia vi godono diritto d'asilo, v'incontrano simpatie; solo la virtù vi è senza altari. Sì, le anime pure hanno una patria nel cielo! Nessuno mi avrà conosciuta! Ne sono fiera.
E la marchesa restò pensosa.
Parigi, novembre 1830
SARRASINE (FRANÇAIS)
À MONSIEUR CHARLES DE BERNARD DU GRAIL
J'étais plongé dans une de ces rêveries profondes qui saisissent tout le monde, même un homme frivole, au sein des fêtes les plus tumultueuses. Minuit venait de sonner à l'horloge de l'Élysée-Bourbon. Assis dans l'embrasure d'une fenêtre, et caché sous les plis onduleux d'un rideau de moire, je pouvais contempler à mon aise le jardin de l'hôtel où je ais la soirée. Les arbres, imparfaitement couverts de neige, se détachaient faiblement du fond grisâtre que formait un ciel nuageux, à peine blanchi par la lune. Vus au sein de cette atmosphère fantastique, ils ressemblaient vaguement à des spectres mal enveloppés de leurs linceuls, image gigantesque de la fameuse danse des morts. Puis, en me retournant de l'autre côté, je pouvais irer la danse des vivants ! un salon splendide, aux parois d'argent et d'or, aux lustres étincelants, brillant de bougies. Là, fourmillaient, s'agitaient et papillonnaient les plus jolies femmes de Paris, les plus riches, les mieux titrées, éclatantes, pompeuses éblouissantes de diamants ! des fleurs sur la tête, sur le sein, dans les cheveux, semées sur les robes, ou en guirlandes à leurs pieds. C'était de légers frémissements de joie, des pas voluptueux qui faisaient rouler les dentelles, les blondes, la mousseline autour de leurs flancs délicats. Quelques regards trop vifs perçaient ça et là, éclipsaient les lumières, le feu des diamants, animaient encore des cœurs trop ardents. On surprenait aussi des airs de tête significatifs pour les amants et des attitudes négatives pour les maris. Les éclats de voix des joueurs, à chaque coup imprévu, le retentissement de l'or se mêlaient à la musique, au murmure des conversations ; pour achever d'étourdir cette foule enivrée par tout ce que le monde peut offrir de séductions, une vapeur de parfums et l'ivresse générale agissaient sur les imaginations affolées. Ainsi, à ma droite la sombre et silencieuse image de la mort ; à ma gauche, les décentes bacchanales de la vie : ici, la nature froide, morne, en deuil ; là, les hommes en joie. Moi, sur la frontière de ces deux tableaux si disparates, qui, mille fois répétés de diverses manières, rendent Paris la ville la plus amusante du monde et la plus philosophique, je faisais une macédoine morale moitié plaisante, moitié funèbre. Du pied gauche je marquais la mesure, et je croyais avoir l'autre dans un cercueil. Ma jambe était en effet
glacée par un de ces vents coulis qui vous gèlent une moitié du corps tandis que l'autre éprouve la chaleur moite des salons, accident assez fréquent au bal.
- Il n'y a pas fort longtemps que M. de Lanty possède cet hôtel ?
- Si fait. Voici bientôt dix ans que le maréchal de Carigliano le lui a vendu...
- Ah !
- Ces gens-là doivent avoir une fortune immense ?
- Mais il le faut bien.
- Quelle fête ! Elle est d'un luxe insolent.
- Les croyez-vous aussi riches que le sont M. de Nucingen ou M. de Gondreville ?
- Mais vous ne savez donc pas ?
J'avançai la tête et reconnus les deux interlocuteurs pour appartenir à cette gent curieuse qui, à Paris, s'occupe exclusivement des Pourquoi ? des Comment ? D'où vient-il ? Qui sont-ils ? Qui a-t-il ? Qu'a-t-elle fait ? Ils se mirent à parler
bas, et s'éloignèrent pour aller ca plus à l'aise sur quelque canapé solitaire. Jamais mine plus féconde ne s'était ouverte aux chercheurs de mystères. Personne ne savait de quel pays venait la famille de Lanty, ni de quel commerce, de quelle spoliation, de quelle piraterie ou de quel héritage provenait une fortune estimée à plusieurs millions.
Tous les membres de cette famille parlaient l'italien, le français, l'espagnol, l'anglais et l'allemand, avec assez de perfection pour faire supposer qu'ils avaient longtemps séjourner parmi ces différents peuples. Étaient-ce des bohémiens ? étaient-ce des flibustiers ?
- Quand ce serait le diable ! disaient de jeunes politiques, ils reçoivent à merveille.
- Le comte de Lanty eût-il dévalisé quelque Casauba, j'époais bien sa fille ! s'écriait un philosophe.
Qui n'aurait épousé Marianina, jeune fille de seize ans, dont la beauté réalisait les fabuleuses conceptions des poètes orientaux ? Comme la fille du sultan dans conte de La lampe merveilleuse, elle aurait dû rester voilée. Son chant faisait pâlir les talents incomplets des Malibran, des Sontag, des Fodor, chez lesquelles une qualité dominante a toujours exclu la perfection de l'ensemble ; tandis que Marianina savait unir au même degré la pureté du son, la sensibilité, la justesse du mouvement et des intonations, l'âme et la science, la correction et le sentiment. Cette fille était le type de cette poésie secrète, lien commun de tous les arts, et qui fuit toujours ceux qui la cherchent. Douce et modeste, instruite et spirituelle, rien ne pouvait éclipser Marianina si ce n'était sa mère.
Avez-vous jamais rencontré de ces femmes dont la beauté foudroyante défie les atteintes de l'âge, et qui semblent à trente-six ans plus désirables qu'elles le
devaient l'être quinze ans plus tôt ? Leur visage est une âme ionnée, il étincelle ; chaque trait y brille d'intelligence ; chaque pore possède un éclat particulier, surtout aux lumières. Leurs yeux séduisants attirent, refusent, parlent ou se taisent ; leur démarche est innocemment savante ; leur voix déploie les mélodieuses richesses des tons les plus coquettement doux et tendres. Fondés sur des comparaisons, leurs éloges caressent l'amour-propre le plus chatouilleux. Un mouvement de leurs sourcils, le moindre jeu de l’œil, leur lèvre qui se fronce, impriment une sorte de terreur à ceux qui font dépendre d'elles leur vie et leur bonheur.
Inexpériente de l'amour et docile au discours, une jeune fille peut se laisser séduire ; mais pour ces sortes de femmes, un homme doit savoir, comme M. de Jaucourt, ne pas crier quand, en se cachant au fond d'un cabinet, la femme de chambre lui brise deux doigts dans la ture d'une porte. Aimer ces puissantes sirènes, n'est-ce pas jouer sa vie ? Et voilà pourquoi peut-être les aimons-nous si ionnément ! Telle était la comtesse de Lanty.
Filippo, frère de Marianina, tenait, comme sa sœur, de la beauté merveilleuse de la comtesse. Pour tout dire en un mot, ce jeune homme était une image vivante de l'Antinoüs, avec des formes plus grêles. Mais comme ces maigres et délicates proportions s'allient bien à la jeunesse quand un teint olivâtre, des sourcils vigoureux et le feu d'un oeil velouté promettent pour l'avenir des ions mâles, des idées généreuses ! Si Filippo restait dans tous les cœurs de jeunes filles, comme un type, il demeurait également dans le souvenir de toutes le mères, comme le meilleur parti de .
La beauté, la fortune, l'esprit, les grâces de ces deux enfants venaient uniquement de leur mère. Le comte de Lanty était petit, laid et grêlé ; sombre comme un Espagnol, ennuyeux comme un banquier. Il ait d'ailleurs pour un profond politique, peut-être parce qu'il riait rarement, et citait toujours M. de Metternich ou Wellington.
Cette mystérieuse famille avait tout l'attrait d'un poème de lord Byron, dont les difficultés étaient traduites d'une manière différente par chaque personne du beau monde : un chant obscur et sublime de strophe en strophe. La réserve que M. et Mme de Lanty gardaient sur leur origine, sur leur existence ée et sur leur relations avec les quatre parties du monde n'eût pas était longtemps un sujet d'étonnement à Paris. En nul pays peut-être l'axiome de Vespasien n'est mieux compris. Là, les écus même tachés de sang ou de boue ne trahissent rien et représentent tout. Pourvu que la haut société sache le chiffre de votre fortune, vous êtes classé parmi les sommes qui vous sont égales, et personne ne vous demande à voir vos parchemins, parce que tout le monde sait combien peu ils coûtent. Dans une ville ou les problèmes sociaux se résolvent par des équation algébriques, les aventuriers ont en leur faveur d'excellentes chances. En supposant que cette famille eût été bohémienne d'origine, elle était si riche, si attrayante, que la haute société pouvait bien lui pardonner ses petits mystères. Mais, par malheur, l'histoire énigmatique de la maison Lanty offrait un perpétuel intérêt de curiosité, assez semblable à celui des romans d'Anne Radcliffe.
Les observateurs, ces gens qui tiennent à savoir dans quel magasin vous achetez vos candélabres, ou qui vous demandent le prix du loyer quand votre appartement leur semble beau, avaient remarqué, de loin en loin, au milieu des fêtes, des concerts, des bals, des raouts donnés par la comtesse, l'apparition d'un personnage étrange. C'était un homme. La première fois qu'il se montra dans l'hôtel, ce fut pendant un concert, où il semblait avoir été attiré vers le salon par la voix enchanteresse de Marianina.
- Depuis un moment, j'ai froid, dit à sa voisine une dame placée près de la porte.
L'inconnu, qui se trouvait près de cette femme, s'en alla.
- Voilà qui est singulier ! j'ai chaud, dit cette femme après le départ de l'étranger. Et vous me taxerez peut être de folie, mais je ne saurais m'empêcher de penser que mon voisin, ce monsieur vêtu de noir qui vient de partir, causait ce froid.
Bientôt l'exagération naturelle aux gens de la haute société fit naître et accumuler les idées les plus plaisantes, les expressions les plus bizarres, les contes les plus ridicules sur ce personnage mystérieux. Sans être précisément un vampire, une goule, un homme artificiel, une espèce de Faust ou de Robin des bois, il participait, au dire des gens amis du fantastique, de toutes ces natures anthropomorphes. Il se rencontrait ça et là des Allemands qui prenaient pour des réalités cet railleries ingénieuses de la médisance parisienne. L'étranger était simplement un vieillard. Plusieurs de ces jeunes hommes, habitués à décider, tous les matins l'avenir de l'Europe, dans quelques phrases élégantes voulaient voir en l'inconnu quelque grand criminel possesseur d'immenses richesses. Des romanciers racontaient la vie de ce vieillard, et vous donnaient des détails véritablement curieux sur les atrocités commises par lui pendant le temps qu'il était au service du prince de Mysore. Des banquiers, gens plus positifs, établissaient une fable spécieuse :
- Bah ! disaient-ils en haussant leurs larges épaules par un mouvement de pitié ce petit vieux est une tête génoise !
- Monsieur, si ce n'est pas une indiscrétion, pourriez-vous avoir la bonté de m'expliquer ce que vous entendez par une tête génoise ?
- Monsieur, c'est un homme sur la vie duquel reposent d'énormes capitaux, et de sa bonne santé dépendent sans doute les revenus de cette famille.
Je me souviens d'avoir entendu chez Mme d'Espard un magnétiseur prouvant, par des considérations historiques très spécieuses, que ce vieillard, mis sous verre, était le fameux Balsamo, dit Cagliostro. Selon ce moderne alchimiste, l'aventurier sicilien avait échappé à la mort, et s'amusait à faire de l'or pour ses petits enfants. Enfin le bailli de Ferette prétendait avoir reconnu dans ce singulier personnage le comte de Saint-Germain. Ces niaiseries, dites avec le ton spirituel, avec l'air railleur qui, de nos jours, caractérise une société sans croyances, entretenaient de vagues soupçons sur la maison de Lanty. Enfin, par
un singulier concours de circonstances, les membres de cette famille justifiaient les conjectures du monde, en tenant une conduite assez mystérieuse avec ce vieillard, dont la vie était en quelque sorte dérobée à toutes les investigations.
Ce personnage franchissait-il le seuil de l'appartement qu'il était censé occuper à l'hôtel de Lanty, son apparition causait toujours une grande sensation dans la famille. On eût dit un événement de haute importance. Filippo, Marianina, Mme de Lanty et un vieux domestique avaient seuls le privilège d'aider l'inconnu à marcher, à se lever, à s'asseoir. Chacun en surveillait les moindres mouvements. Il semblait que ce fût une personne enchantée de qui dépendissent le bonheur, la vie ou la fortune de tous. Était-ce crainte ou affection ? Les gens du monde ne pouvaient découvrir aucune induction qui les aidât à résoudre ce problème. Caché pendant des mois entiers au fond d'un sanctuaire inconnu, ce génie familier en sortait tout à coup comme furtivement, sans être attendu, et apparaissait au milieu des salons comme ces fées d'autrefois qui descendaient de leurs dragons volants pour venir troubler les solennités auxquelles elles n'avaient pas été conviées. Les observateurs les plus exercés pouvaient alors seuls deviner l'inquiétude des maîtres du logis, qui savaient dissimuler leurs sentiments avec une singulière habileté. Mais, parfois, tout en dansant dans un quadrille, la trop naïve Marianina jetait un regard de terreur sur le vieillard qu'elle surveillait au sein des groupes. Ou bien Filippo s'élançait en se glissant à travers la foule, pour le dre, et restait auprès de lui, tendre et attentif, comme si le des hommes ou le moindre souffle dût briser cette créature bizarre. La comtesse tâchait de s'en approcher, sans paraître avoir eu l'intention de le redre ; puis, en prenant des manières et une physionomie autant empreintes de servilité que de tendresse, de soumission que de despotisme, elle disait deux ou trois mots auxquels déférait presque toujours le vieillard, il disparaissait emmené, ou, pour mieux dire, emporté par elle. Si Mme de Lanty n'était pas là, le comte employait mille stratagèmes pour arriver à lui ; mais il avait l'air de s'en faire écouter difficilement, et le traitait comme un enfant gâté dont la mère écoute les caprices ou redoute la mutinerie. Quelques indiscrets s'étant hasardés à questionner étourdiment le comte de Lanty, cet homme froid et réservé n'avait jamais paru comprendre l'interrogation des curieux. Aussi, après bien des tentatives, que la circonspection de tous les membres de cette famille rendit vaines, personne ne chercha-t-il à découvrir un secret si bien gardé. Les espions de bonne compagnie, les gobe-mouches et les politiques avaient fini, de guerre lasse, par ne plus s'occuper de ce mystère.
Mais en ce moment il y avait peut-être au sein de ces salons resplendissants des philosophes qui, tout en prenant une glace, un sorbet, ou en posant sur une console leur verre vide de punch, se disaient :
- Je ne serais pas étonné d'apprendre que ces gens-là sont des fripons, le vieux, qui se cache et n'apparaît qu'aux équinoxes ou aux solstices, m'a tout l'air d'un assassin...
- Ou d'un banqueroutier...
- C'est à peu près la même chose. Tuer la fortune d'un homme, c'est quelquefois pis que de le tuer lui même.
- Monsieur, j'ai parié vingt louis, il m'en revient quarante.
- Ma foi ! monsieur, il n'en reste que trente sur le tapis...
- Hé ! bien, voyez-vous comme la société est mêlée ici. On n'y peut pas jouer.
- C'est vrai. Mais voilà bientôt six mois que nous n'avons aperçu l'Esprit. Croyez-vous que ce soit un être vivant ?
- Hé ! hé ! tout au plus...
Ces derniers mots étaient dits, autour de moi, par des inconnus qui s'en allèrent au moment où je résumais, dans une dernière pensée, mes réflexions mélangées de noir et de blanc, de vie et de mort. Ma folle imagination autant que mes yeux contemplait tour à tour et la fête, arrivée à son plus haut degré de splendeur, et le sombre tableau des jardins. Je ne sais combien de temps je méditai sur ces deux côtés de la médaille humaine ; mais soudain le rire étouffé d'une jeune femme me réveilla. Je restai stupéfait à l'aspect de l'image qui s'offrit à mes regards. Par un des plus rares caprices de la nature, la pensée en demi-deuil qui se roulait dans ma cervelle en était sortie, elle se trouvait devant moi, personnifiée, vivante, elle avait jailli comme Minerve de la tête de Jupiter, grande et forte, elle avait tout à la fois cent ans et vingt-deux ans, elle était vivante et morte. Échappé de sa chambre, comme un fou de sa loge, le petit vieillard s'était sans doute adroitement coulé derrière une haie de gens attentifs à la voix de Marianina, qui finissait la cavatine de Tancrède. Il semblait être sorti de dessous terre, poussé par quelque mécanisme de théâtre. Immobile et sombre, il resta pendant un moment à regarder cette fête, dont le murmure avait peut-être atteint à ses oreilles. Sa préoccupation, presque somnambulique, était si concentrée sur les choses qu'il se trouvait au milieu du monde sans voir le monde. Il avait surgi sans cérémonie auprès d'une des plus ravissantes femmes de Paris, danseuse élégante et jeune, aux formes délicates, une de ces figures aussi fraîches que l'est celle d'un enfant, blanches et roses, et si frêles, si transparentes, qu'un regard d'homme semble devoir les pénétrer, comme les rayons du soleil traversent une glace pure. Ils étaient là, devant moi, tous deux, ensemble, unis et si serrés, que l'étranger froissait et la robe de gaze, et les guirlandes de fleurs, et les cheveux légèrement crêpés, et la ceinture flottante.
J'avais amené cette jeune femme au bal de Mme de Lanty. Comme elle venait pour la première fois dans cette maison, je lui pardonnai son rire étouffé ; mais je lui fis vivement je ne sais quel signe impérieux qui la rendit tout interdite et lui donna du respect pour son voisin. Elle s'assit près de moi. Le vieillard ne voulut pas quitter cette délicieuse créature, à laquelle il s'attacha capricieusement avec cette obstination muette et sans cause apparente, dont sont susceptibles les gens extrêmement âgés, et qui les fait ressembler à des enfants. Pour s'asseoir auprès de la jeune dame, il lui fallut prendre un pliant. Ses moindres mouvements furent empreints de cette lourdeur froide, de cette stupide indécision qui caractérisent
les gestes d'un paralytique. Il se posa lentement sur son siège, avec circonspection, et en grommelant quelques paroles inintelligibles. Sa voix cassée ressembla au bruit que fait une pierre en tombant dans un puits. La jeune femme me pressa vivement la main, comme si elle eût cherché à se garantir d'un précipice, et frissonna quand cet homme, qu'elle regardait, tourna sur elle deux yeux sans chaleur, deux yeux glauques qui ne pouvaient se comparer qu'à de la nacre ternie.
- J'ai peur, me dit-elle en se penchant à mon oreille.
- Vous pouvez parler, répondis-je. Il entend très difficilement.
- Vous le connaissez donc ?
- Oui. Elle s'enhardit alors assez pour examiner pendant un moment cette créature sans nom dans le langage humain, forme sans substance, être sans vie, ou vie sans action. Elle était sous le charme de cette craintive curiosité qui pousse les femmes à se procurer des émotions dangereuses, à voir des tigres enchaînés, à regarder des boas, en s'effrayant, de n'en être séparées qui par de faibles barrières. Quoique le petit vieillard eût le dos courbé comme celui d'un journalier, on s'apercevait facilement que sa taille avait dû être ordinaire. Son excessive maigreur, la délicatesse de ses membres, prouvaient que ses proportions étaient toujours restées sveltes. Il portait une culotte de soie noire, qui flottait autour de ses cuisses décharnées en décrivant des plis comme une voile abattue. Un anatomiste eût reconnu soudain les symptômes d'une affreuse étisie en voyant les petites jambes qui servaient à soutenir ce corps étrange. Vous eussiez dit de deux os mis en croix sur une tombe. Un sentiment de profonde horreur pour l'homme saisissait le cœur quand une fatale attention vous dévoilait les marques imprimées par la décrépitude à cette casuelle machine. L'inconnu portait un gilet blanc, brodé d'or, à l'ancienne mode, et son linge était d'une blancheur éclatante. Un jabot de dentelle d'Angleterre assez roux, dont la richesse eût été enviée par une reine, formait des ruches jaunes sur sa poitrine ;
mais sur lui cette dentelle était plutôt un haillon qu'un ornement. Au milieu de ce jabot, un diamant d'une valeur incalculable scintillait comme le soleil. Ce luxe suranné, ce trésor intrinsèque et sans goût, faisaient encore mieux ressortir la figure de cet être bizarre. Le cadre était digne du portrait. Ce visage noir était anguleux et creusé dans tous les sens. Le menton était creux ; les tempes étaient creuses ; les yeux étaient perdus en de jaunâtres orbites. Les os maxillaires, rendus saillants par une maigreur indescriptible, dessinaient des cavités au milieu de chaque joue. Ces gibbosités, plus ou moins éclairées par les lumières, produisirent des ombres et des reflets curieux qui achevaient d'ôter à ce visage les caractères de la face humaine. Puis les années avaient si fortement collé sur les os la peau jaune et fine de ce visage qu'elle y décrivait partout une multitude de rides ou circulaires, comme les replis de l'eau troublée par un caillou que jette un enfant, ou étoilées comme une fêlure de vitre, mais toujours profondes et aussi pressées que les feuillets dans la tranche d'un livre. Quelques vieillards nous présentent souvent des portraits plus hideux ; mais ce qui contribuait le plus à donner l'apparence d'une création artificielle au spectre survenu devant nous, était le rouge et le blanc dont il reluisait. Les sourcils de son masque recevaient de la lumière un lustre qui révélait une peinture très bien exécutée. Heureusement pour la vue attristée de tant de ruines, son crâne cadavéreux était caché sous une perruque blonde dont les boucles innombrables trahissaient une prétention extraordinaire. Du reste, la coquetterie féminine de ce personnage fantasmagorique était assez énergiquement annoncée par les boucles d'or qui pendaient à ses oreilles, par les anneaux dont les irables pierreries brillaient à ses doigts ossifiés, et par une chaîne de montre qui scintillait comme les chatons d'une rivière au cou d'une femme. Enfin, cette espèce d'idole japonaise conservait sur ses lèvres bleuâtres un rire fixe et arrêté, un rire implacable et goguenard, comme celui d'une tête de mort. Silencieuse, immobile autant qu'une statue, elle exhalait l'odeur musquée des vieilles robes que les héritiers d'une duchesse exhument de ses tiroirs pendant un inventaire. Si le vieillard tournait ]es yeux vers l'assemblée, il semblait que les mouvements de ces globes incapables de réfléchir une lueur se fussent accomplis par un artifice imperceptible ; et quand les yeux s'arrêtaient, celui qui les examinait finissait par douter qu'ils eussent remué. Voir, auprès de ces débris humains, une jeune femme dont le cou, les bras et le corsage étaient nus et blancs ; dont les formes pleines et verdoyantes de beauté, dont les cheveux bien plantés sur un front d'albâtre inspiraient l'amour, dont les yeux ne recevaient pas, mais répandaient la lumière, qui était suave, fraîche, et dont les boucles vaporeuses, dont l'haleine embaumée semblaient trop lourdes, trop dures, trop puissantes pour cette ombre, pour cet homme en poussière ; ah ! c'était bien la mort et la vie, ma pensée, une
arabesque imaginaire, une chimère hideuse à moitié, divinement femelle par le corsage.
- Il y a pourtant de ces mariages-là qui s'accomplissent assez souvent dans le monde, me dis-je.
- Il sent le cimetière, s'écria la jeune femme épouvantée qui me pressa comme pour s'assurer de ma protection, et dont les mouvements tumultueux me dirent qu'elle avait grand-peur.
- C'est une horrible vision, reprit-elle, je ne saurais rester là plus longtemps. Si je le regarde encore, je croirai que la mort elle-même est venue me chercher. Mais vit-il ?
Elle porta la main sur le phénomène avec cette hardiesse que les femmes puisent dans la violence de leurs désirs; mais une sueur froide sortit de ses pores, car aussitôt qu'elle eut touché le vieillard, elle entendit un cri semblable à celui d'une crécelle. Cette aigre voix, si c'était une voix, s'échappa d'un gosier presque desséché. Puis à cette clameur succéda vivement une petite toux d'enfant, convulsive et d'une sonorité particulière. À ce bruit, Marianina, Filippo et Mme de Lanty jetèrent les yeux sur nous, et leurs regards furent comme des éclairs. La jeune femme aurait voulu être au fond de la Seine. Elle prit mon bras et m'entraîna vers un boudoir. Hommes et femmes, tout le monde nous fit place. Parvenus au fond des appartements de réception, nous entrâmes dans un petit cabinet demi-circulaire. Ma compagne se jeta sur un divan, palpitant d'effroi, sans savoir où elle était.
- Madame, vous êtes folle, lui dis-je.
- Mais, reprit-elle après un moment de silence pendant lequel je l'irai, est-ce ma faute ? Pourquoi Mme de Lanty laisse-t-elle errer des revenant dans son hôtel ?
- Allons, répondis-je, vous imitez les sots. Vous prenez un petit vieillard pour un spectre.
- Taisez-vous , répliqua-t-elle avec cet air imposant et railleur que toutes les femmes savent si bien prendre quand elles veulent avoir raison. Le joli boudoir ! s'écria-t-elle en regardant autour d'elle. Le satin bleu fait toujours à merveille en tenture. Est-ce frais ! Ah ! le beau tableau ! ajouta-t-elle en se levant, et allant se mettre en face d'une toile magnifiquement encadrée.
Nous restâmes pendant un moment dans la contemplation de cette merveille, qui semblait due à quelque pinceau surnaturel. Le tableau représentait Adonis étendu sur une peau de lion. La lampe suspendue au milieu du boudoir, et contenue dans un vase d'albâtre, illuminait alors cette toile d'une lueur douce qui nous permit de saisir toutes les beautés de la peinture.
- Un être si parfait existe-t-il ? me demanda-t-elle après avoir examiné, non sans un doux sourire de contentement, la grâce exquise des contours, la pose, la couleur, les cheveux, tout enfin.
_ Il est trop beau pour un homme, ajouta-t-elle après un examen pareil à celui qu'elle aurait fait d'une rivale.
Oh ! comme je ressentis alors les atteintes de cette jalousie à laquelle un poète avait essayé vainement de me faire croire ! la jalousie des gravures, des tableaux,
des statues, où les artistes exagèrent la beauté humaine par suite de la doctrine qui les porte à tout idéaliser.
- C'est un portrait, lui répondis-je. Il est dû au talent de Vien. Mais ce grand peintre n'a jamais vu l'original, et votre iration sera moins vive peut être quand vous saurez que cette académie a été fait d'après une statue de femme.
- Mais qui est-ce ? J'hésitai.
- Je veux le savoir, ajouta-t -elle vivement.
- Je crois, lui dis-je, que cet Adonis représente un.. un... un parent de Mme de Lanty. J'eus la douleur de la voir abîmée dans la contemplation de cette figure. Elle s'assit en silence, je me mis auprès d'elle, et lui pris la main sans qu'elle s'en aperçût ! oublié pour un portrait ! En ce moment le bruit léger des pas d'une femme dont la robe frémissait retentit dans le silence. Nous vîmes entrer la jeune Marianina, plus brillante encore par son expression d'innocence que par sa grâce et par sa fraîche toilette ; elle marchait alors lentement, et tenait avec un soin maternel, avec une filiale sollicitude, le spectre habillé qui nous avait fait fuir du salon de musique ; elle le conduisit en le regardant avec une espèce d'inquiétude posant lentement ses pieds débiles. Tous deux, ils arrivèrent assez péniblement à une porte cachée dans la tenture. Là, Marianina frappa doucement. Aussitôt apparut, comme par magie, un grand homme sec, espèce de génie familier. Avant de confier le vieillard à ce gardien mystérieux, la jeune enfant baisa respectueusement le cadavre ambulant, et sa chaste caresse ne fut pas exempte de cette câlinerie gracieuse dont le secret appartient à quelques femmes privilégiées.
- Addio, addio ! disait-elle avec les inflexions les plus jolies de sa jeune voix.
Elle ajouta même sur la dernière syllabe une roulade irablement bien exécutée, mais à voix basse, et comme pour peindre l'effusion de son cœur par une expression poétique. Le vieillard, frappé subitement par quelque souvenir, resta sur le seuil de ce réduit secret. Nous entendîmes alors, grâce à un profond silence, le soupir lourd qui sortit de sa poitrine : il tira la plus belle des bagues dont ses doigts de squelette étaient chargés, et la plaça dans le sein de Marianina. La jeune folle se mit à rire, reprit la bague, la glissa par-dessus son gant à l'un de ses doigts, et s'élança vivement vers le salon, où retentirent à ce moment les préludes d'une contredanse. Elle nous aperçut.
- Ah ! vous étiez là ! dit-elle en rougissant.
Après nous avoir regardés comme pour nous interroger, elle courut à son danseur avec l'insouciante pétulance de son âge.
- Qu'est-ce que cela veut dire ? me demanda ma jeune partenaire. Est-ce son mari ? Je crois rêver. Où suis-je ?
- Vous ! répondis-je, vous, madame, qui êtes exaltée et qui, comprenant si bien les émotions les plus imperceptibles, savez cultiver dans un cœur d'homme le plus délicat des sentiments, sans le flétrir, sans le briser dès le premier jour, vous qui avez pitié des peines du cœur et qui à l'esprit d'une Parisienne joignez un âme ionnée digne de l'Italie ou de l'Espagne...
Elle vit bien que mon langage était empreint d'un ironie amère ; et, alors, sans avoir l'air d'y prendre garde, elle m'interrompit pour dire :
- Oh ! vous le faites à votre goût. Singulière tyrannie ! Vous voulez que je ne sois pas moi.
- Oh ! je ne veux rien, m'écriai-je épouvanté à son attitude sévère. Au moins estil vrai que vous aimez à entendre raconter l'histoire de ces ion énergiques enfantées dans nos cœurs par les ravissantes femmes du Midi ?
- Oui. Hé ! bien ?
- Hé ! bien, j'irai demain soir chez vous vers neuf heures, et je vous révélerai ce mystère.
- Non, répondit-elle d'un air mutin, je veux l'apprendre sur-le-champ.
- Vous ne m'avez pas encore donné le droit de vous obéir quand vous dites : Je veux.
- En ce moment, répondit-elle avec une coquetterie désespérante, j'ai le plus vif désir de connaître ce secret. Demain, je ne vous écouterai peut-être pas...
Elle sourit, et nous nous séparâmes ; elle toujours aussi fière, aussi rude, et moi toujours aussi ridicule en ce moment que toujours. Elle eut l'audace de valser avec un jeune aide de camp, et je restai tour à tour lâché, boudeur, irant, aimant, jaloux.
- À demain, me fît-elle vers deux heures du matin, quand elle sortit du bal.
- Je n'irai pas, pensais-je, et je t'abandonne. Tu es plus capricieuse, plus fantasque mille fois peut-être... que mon imagination. Le lendemain, nous étions devant un bon feu, dans un petit salon élégant, assis tous deux ; elle sur une causeuse ; moi, sur des coussins, presque à ses pieds, et mon œil sous le sien. La rue était silencieuse. La lampe jetait une clarté douce. C'était une de ces soirées délicieuses à l'âme, un de ces moments qui ne s'oublient jamais, une de ces heures ées dans la paix et le désir, et dont, plus tard, le charme est toujours un sujet de regret, même quand nous nous trouvons plus heureux. Qui peut effacer la vive empreinte des premières sollicitations de l'amour ?
- Allons, dit-elle, j'écoute.
- Mais je n'ose commencer. L'aventure a des ages dangereux pour le narrateur. Si je m'enthousiasme, vous me ferez taire.
- Parlez.
- J'obéis.
- Ernest-Jean Sarrasine était le seul fils d'un procureur de la Franche-Comté, repris-je après une pause. Son père avait assez loyalement gagné six à huit milles livres de rente, fortune de patricien qui, jadis, en province, ait pour colossale. Le vieux maître Sarrasine, n'ayant qu'un enfant, ne voulut rien négliger pour son éducation, il espérait en faire un magistrat, et vivre assez longtemps pour voir, dans ses vieux jours, le petit-fils de Matthieu Sarrasine, laboureur au pays de Saint-Dié, s'asseoir sur les lys et dormir à l'audience pour la
plus grande gloire du Parlement ; mais le ciel ne réservait pas cette joie au procureur. Le jeune Sarrasine, confié de bonne heure aux Jésuites, donna les preuves d'une turbulence peu commune. Il eut l'enfance d'un homme de talent. Il ne voulait étudier à sa guise, se révoltait souvent, et restait parfois des heures entières plongé dans de confuses méditations, occupé, tantôt à contempler ses camarades quand ils jouaient, tantôt à se représenter les héros d'Homère. Puis, s'il lui arrivait de se divertir, il mettait une ardeur extraordinaire dans ses jeux. Lorsqu'une lutte s'élevait entre un camarade et lui, rarement le combat finissait sans qu'il y eût du sang répandu. S'il était le plus faible, il mordait. Tour à tour agissant ou if, sans aptitude ou trop intelligent, son caractère bizarre le fit redouter de ses maîtres autant que de ses camarades. Au lieu d'apprendre les éléments de la langue grecque il dessinait le révérend père qui leur expliquait un age de Thucydide, croquait le maître de mathématiques, le préfet, les valets, le correcteur, et barbouillait tous les murs d'esquisses informes. Au lieu de chanter les louanges du Seigneur à l'église, il s'amusait, pendant les offices, à déchiqueter un banc ; ou quand il avait volé quelque morceau de bois, il sculptait quelque figure de sainte. Si le bois, la pierre ou le crayon lui manquaient, il rendait ses idées avec de la mie de pain.
Soit qu'il copiât les personnages des tableaux qui garnissaient le chœur, soit qu'il improvisât, il laissait toujours à sa place de grossières ébauches, dont le caractère licencieux désespérait les plus jeunes pères ; et les médisants prétendaient que les vieux jésuites en souriaient.
Enfin, s'il faut en croire la chronique du collège, il fut chassé pour avoir, en attentant son tour au confessionnal, un vendredi saint, sculpté une grosse bûche en forme de Christ. L'impiété gravée sur cette statue était trop forte pour ne pas attirer un châtiment à l'artiste.
N'avait-il pas eu l'audace de placer sur le haut du tabernacle cette figure ablement cynique ! Sarrasine vint chercher à Paris un refuge contre les menaces de la malédiction paternelle. Ayant une de ces volontés fortes qui ne connaissent pas d'obstacles, il obéit aux ordres de son génie et entra dans l'atelier
de Bouchardon. Il travaillait pendant toute la journée, et, le soir, allait mendier sa subsistance. Bouchardon, émerveillé des progrès et de l'intelligence du jeune artiste, devina bientôt la misère dans laquelle se trouvait son élève ; le secourut, le prit en affection, et le traita comme son enfant. Puis, lorsque le génie de Sarrasine se fit dévoilé par une de ces oeuvres où le talent à venir lutte contre l'effervescence de la jeunesse, le généreux Bouchardon essaya de le remettre dans les bonnes grâce du vieux procureur. Devant l'autorité du sculpteur célèbre le courroux paternel s'apaisa. Besançon tout entier se félicita d'avoir donné le jour à un grand homme futur. Dans le premier moment d'extase où le plongea sa vanité flattée, le praticien avare mit son fils en état de paraître avec avantage dans le monde. Les longues et laborieuses études exigées par la sculpture domptèrent pendant longtemps le caractère impétueux et le génie sauvage de Sarrasine. Bouchardon, prévoyant la violence avec laquelle les ions se déchaîneraient dans cette jeune âme, peut-être aussi vigoureusement trempée que celle de Michel-Ange, en étouffa l'énergie sous des travaux continus. Il réussit maintenir dans de justes bornes la fougue extraordinaire de Sarrasine, en lui défendant de travailler, en lui proposant des distractions quand il le voyait emporté par la furie de quelque pensée, ou en lui confiant d'importants travaux au moment où il était prêt à se livrer à la dissipation. Mais, auprès de cette âme ionnée, la douceur fut toujours la plus puissante de toutes les autres, et le maître ne prit un grand empire sur son élève qu'en en excitant la reconnaissance par une bonté paternelle. À l'âge de vingt-deux ans, Sarrasine fut forcément soustrait à la salutaire influence que Bouchardon exerçait sur ses mœurs et sur ses habitudes. Il porta les peines de son génie en gagnant le prix de sculpture fondé par le marquis de Larigny, le frère de Mme de Pompadour, qui fit tant pour les Arts. Diderot vanta comme un chef-d’œuvre la statue de l'élève de Bouchardon. Ce ne fut pas sans une profonde douleur que le sculpteur du Roi vit partir pour l'Italie un jeune homme dont, par principe, il avait entretenu l'ignorance profonde sur les choses de la vie. Sarrasine était depuis six ans le commensal de Bouchardon. Fanatique de son art comme Canova le fut depuis, il se levait au jour, entrait dans l'atelier pour n'en sortir qu'à la nuit, et ne vivait qu'avec sa muse. S'il allait à la Comédie-Française, il y était entraîné par son maître. Il se sentait si gêné chez Mme Geoffrin et dans le grand monde où Bouchardon essaya de l'introduire, qu'il préféra rester seul, et répudia les plaisirs de cette époque licencieuse. Il n'eut pas d'autre maîtresse que la Sculpture et Clotilde, l'une des célébrités de l'Opéra. Encore cette intrigue ne dura-t-elle pas. Sarrasine était assez laid, toujours mal mis, et de sa nature si libre, si peu régulier dans sa vie privée, que l'illustre nymphe, redoutant quelque catastrophe, rendit bientôt le sculpteur à l'amour des Arts. Sophie Arnould a dit je ne sais quel bon
mot à sujet. Elle s'étonna, je crois, que sa camarade eût pu l'emporter sur des statues. Sarrasine partit pour l'Italie en 1758. Pendant le voyage, son imagination ardente s'enflamma sous un ciel de cuivre et à l'aspect des monuments merveilleux dont est semée la patrie des Arts. Il ira les statues, les fresques, les tableaux; et, plein d'émulation, il vint à Rome, en proie au désir d'inscrire son nom entre les noms ( Michel-Ange et de M. Bouchardon. Aussi, pendant les premiers mois, partagea-t-il son temps entre ses travaux d'atelier et l'examen des oeuvres d'art qui abondent à Rome. Il avait déjà é quinze jours dans l'état d'extase qui saisit toutes les jeunes imaginations à l'aspect de la reine des ruines, quand, un soir, entra au théâtre d'Argentina, devant lequel se pressa une grande foule. Il s'enquit des causes de cette affluence, et le monde répondit par deux noms "Zambinella ! Jomelli !" Il entre et s'assied au par terre, pressé par deux abbati notablement gros ; mais il était assez heureusement placé près de la scène. La toile se leva. Pour la première fois de sa vie il entend cette musique dont M. Jean-Jacques Rousseau avait si éloquemment vanté les délices, pendant un soirée du baron d'Holbach. Les sens du jeune sculpteur furent, pour ainsi dire, lubrifiés par les accent de la sublime harmonie de Jomelli. Les langoureuses originalités de ces voix italiennes habilement mariées le plongèrent dans une ravissante extase. Il resta muet, immobile, ne se sentant pas même foulé par deux prêtres. Son âme a dans ses oreilles et dans ses jeux. Il crut écouter par chacun de ses pores. Tout à coup des applaudissements à faire crouler la salle accueillirent l'entrée en scène de la prima donna. Elle s'avança par coquetterie sur le devant du théâtre, et salua le public avec une grâce infinie. Les lumières, l'enthousiasme de tout un peuple, l'illusion de la scène, les prestiges d'une toilette qui, à cette époque, était assez engageante, conspirèrent en faveur de cette femme. Sarrasine poussa des cris de plaisir. Il irait en ce moment la beauté idéale de laquelle il avait jusqu'alors cherché çà et là les perfections dans la nature, en demandant à un modèle, souvent ignoble, les rondeurs d'une jambe accomplie ; à tel autre, les contours du sein ; à celui-là, ses blanches épaules ; prenant enfin le cou d'une jeune fille, et les mains de cette femme, et les genoux polis de cet enfant, sans rencontrer jamais sous le ciel froid de Paris les riches et suaves créations de la Grèce antique. La Zambinella lui montrait réunies, bien vivantes et délicates, ces exquises proportions de la nature féminine si ardemment désirées, desquelles un sculpteur est, tout à la fois, le juge le plus sévère et le plus ionné. C'était une bouche expressive, des yeux d'amour, un teint d'une blancheur éblouissante. Et joignez à ces détail qui eussent ravi un peintre, toutes les merveilles de Vénus révérées et rendues par le ciseau des Grecs. L'artiste ne se lassait pas d'irer la grâce inimitable avec laquelle les bras étaient attachés au buste, la roideur prestigieuse du cou, les lignes harmonieusement décrites par les sourcils, par le
nez, puis l'ovale parfait du visage, la pureté de ses contours vifs, et l'effet de cils fournis, recourbés qui terminaient de larges et voluptueuses paupières. C'était plus qu'une femme c'était un chef-d’œuvre ! Il se trouvait dans cette création inespérée de l'autour à ravir tous les hommes, à des beautés dignes de satisfaire un critique. Sarrasin dévorait des yeux la statue de Pygmalion, pour lui descendue de son piédestal. Quand la Zambinella chanta, ce fut un délire. L'artiste eut froid ; puis, il sentit un foyer qui pétilla soudain dans les profondeurs de son être intime, de ce que nous nommons cœur, faute de mot ! Il n'applaudit pas, il ne dit rien, éprouvait un mouvement de folie, espèce de frénésie qui ne nous agite qu'à cet âge où le désir a je ne sais quoi de terrible et d'infernal. Sarrasine voulait s'élancer sur le théâtre et s'emparer de cette femme. Sa force, centuplée par une dépression morale impossible expliquer, puisque ces phénomènes se ent dans une sphère inaccessible à l'observation humaine, tendait à se projeter avec une violence douloureuse. À le voir, on eût dit d'un homme froid et stupide. Gloire, science, avenir, existence, couronnes, tout s'écroula.
" Être aimé d'elle, ou mourir ", tel fut l'arrêt que Sarrasine porta sur lui-même. Il était si complètement ivre qu'il ne voyait plus ni salle, ni spectateurs, ni acteurs, n'entendait plus de musique. Bien mieux, il n'existait pas de distance entre lui et la Zambinella, il la possédait, ses yeux, attachés sur elle, s'emparaient d'elle. Une puissance presque diabolique lui permettait de sentir le vent de cette voix, de respirer la poudre embaumée dont ces cheveux étaient imprégnés, de voir les méplats de ce visage, d'y compter les veines bleues qui en nuançaient la peau satinée. Enfin cette voix agile, fraîche et d'un timbre argenté, souple comme un fil auquel le moindre souffle d'air donne une forme, qu'il roule et déroule, développe et disperse, cette voix attaquait si vivement son âme qu'il laissa plus d'une fois échapper de ces cris involontaires arrachés par les délices convulsives trop rarement données par les ions humaines. Bientôt il fut obligé de quitter le théâtre. Ses jambes tremblantes refusaient presque de le soutenir. Il était abattu, faible comme un homme nerveux qui s'est livré à quelque effroyable colère. Il avait eu tant de plaisir, ou peut être avait-il tant souffert, que sa vie s'était écoulée comme l'eau d'un vase renversé par un choc. Il sentait en lui un vide, un anéantissement semblable à ces atonies qui désespèrent les convalescents au sort d'une forte maladie. Envahi par une tristesse inexplicable, il alla s'asseoir sur les marches d'une église. Le dos appuyé contre une colonne, il se perdit dans une méditation confuse comme un rêve. La ion l'avait
foudroyé. De retour au logis, il tomba dans un de ces paroxysmes d'activité qui nous révèlent la présence de principes nouveaux dans notre existence. En proie à cette première fièvre d'amour qui tient autant au plaisir qu'à la douleur, il voulut tromper son impatience et son délire en dessinant la Zambinella de mémoire. Ce fut une sorte de méditation matérielle. Sur telle feuille la Zambinella se trouvait dans cette attitude, calme et froide en apparence, affectionnée par Raphaël, par Giorgion et par tous les grands peintres. Sur telle autre, elle tournait la tête avec finesse en achevant une roulade, et semblait s'écouter elle-même. Sarrasin crayonna sa maîtresse dans toutes les poses : il la fit sans voile, assise, debout, couchée, ou chaste ou amoureuse, en réalisant, grâce au délire de ses crayons, toutes les idées capricieuses qui solliciter notre imagination quand nous pensons fortement à une maîtresse. Mais sa pensée furieuse alla plus loin que le dessin. Il voyait la Zambinella, lui parlait, suppliait, épuisait mille années de vie et de bonheur avec elle, en la plaçant dans toutes les situations imaginables, en essayant, pour ainsi dire, l'avenir avec elle. Le lendemain, il envoya son laquais louer, pour toute la saison, une loge voisine de la scène. Puis, comme tous les jeunes gens dont l'âme est puissante, il s'exagéra les difficultés de son entreprise, et donna, pour première pâture à sa ion, le bonheur de pouvoir irer sa maîtresse sans obstacles. Cet âge d'or le l'amour, pendant lequel nous jouissons de notre propre sentiment et ou nous nous trouvons heureux presque par nousmêmes, ne devait pas durer longtemps chez Sarrasine. Cependant les événements le surprirent quand il était encore sous le charme de cette printanière hallucination, aussi naïve que voluptueuse. Pendant une huitaine de jours, il vécut toute une vie, occupé le matin à pétrir la glaise à l'aide de laquelle il réussissait à copier la Zambinella, malgré les voiles, les jupes, les corsets et les nœuds de rubans qui la lui dérobaient. Le soir, installé de bonne heure dans sa loge, seul, couché sur un sofa, il se faisait, semblable à un Turc enivré d'opium, un bonheur aussi fécond ; aussi prodigue qu'il le souhaitait. D'abord il se familiarisa graduellement avec les émotions trop vives qui lui donnait le chant de sa maîtresse ; puis il apprivoisa ses yeux à la voir, et finit par la contempler sans redouter l'explosion de la sourde rage par laquelle il avait été animé le premier jour. Sa ion devint plus profonde en devenant plus tranquille. Du reste, le farouche sculpteur ne souffrait pas que sa solitude, peuplée d'images, parée des fantaisies de l'espérance et pleine de bonheur, fût troublée par ses camarades. Il aimait avec tant de force et si naïvement qu'il eut à subir les innocents scrupules dont nous sommes assaillis quand nous aimons pour la première fois. En commençant à entrevoir qu'il faudrait bientôt agir, s'intriguer, demander où demeurait la Zambinella, savoir si elle avait une mère, un oncle, un tuteur, une famille ; en songeant enfin aux moyens de la voir, de lui parler, il sentait soit
cœur se gonfler si fort à des idées si ambitieuses, qu'il remettait ces soins au lendemain, heureux de ses soufs physiques autant que de ses plaisirs intellectuels.
- Mais, me dit Mme de Rochefide en m'interrompant, je ne vois encore ni Marianina ni son petit vieillard.
- Vous ne voyez que lui, m'écriai-je impatient comme un auteur auquel on fait manquer l'effet d'un coup de théâtre. Depuis quelques jours, repris-je après une pause, Sarrasine était si fidèlement venu s'installer dans sa loge, et ses regards exprimaient tant d'amour, que sa ion pour la voix de Zambinella aurait été la nouvelle de tout Paris, si cette aventure s'y fût ée; mais en Italie, madame, au spectacle chacun y assiste pour son compte, avec ses ion avec un intérêt de cœur qui exclut l'espionnage de lorgnettes. Cependant la frénésie du sculpteur ne devait pas échapper longtemps aux regards des chanteurs et des cantatrices. Un soir, le Français s'aperçut qu'on riait de lui dans les coulisses. Il eût été difficile de savoir à quelles extrémités il se serait porté, si la Zambinella n'était pas entrée en scène. Elle jeta sur Sarrasine un des coups d'œil éloquents qui disent souvent beaucoup plus de choses que les femmes ne le veulent. Ce regard fut toute une révélation. Sarrasine était aimé ! "Si ce n'est qu'un caprice, pensa-t-il en accusant déjà sa maîtresse de trop d'ardeur, elle ne connaît pas la domination sous laquelle elle va tomber. Son caprice durera, j'espère, autant que ma vie." En ce moment, trois coups légèrement frappés à la porte de sa loge excitèrent l'attention de l'artiste. Il ouvrit. Une vieille femme entra mystérieusement.
- Jeune homme, dit-elle, si vous voulez être heureux, ayez de la prudence, enveloppez-vous d'une cape, abaissez sur vos yeux un grand chapeau ; puis, vers dix heures du soir, trouvez-vous dans la rue du Corso, devant l'hôtel d'Espagne.
- J'y serai, répondit-il en mettant deux louis dans la main ridée de la duègne. Il s'échappa de sa loge, après avoir fait un signe d'intelligence à la Zambinella, qui baissa timidement ses voluptueuses paupières comme une femme heureuse d'être
enfin comprise. Puis il courut chez lui, afin d'emprunter à la toilette toutes les séductions qu'elle pourrait lui prêter. En sortant du théâtre, un inconnu l'arrêta par le bras.
- Prenez garde à vous, seigneur français, lui dit-il à l'oreille. Il s'agit de vie et de mort. Le cardinal Cicognara est son protecteur, et ne badine pas. Quand un démon aurait mis entre Sarrasine et la Zambinella les profondeurs de l'enfer, en ce moment il eût tout traversé d'une enjambée. Semblable aux chevaux des immortels peints par Homère, l'amour du sculpteur avait franchi en un clin d'œil d'immenses espaces.
- La mort dût-elle m'attendre au sortir de la maison, j'irais encore plus vite, répondit-il.
- Poverino ! s'écria l'inconnu en disparaissant. Parler de danger à un amoureux, n'est-ce pas lui vendre des plaisirs ? Jamais le laquais de Sarrasine n'avait vu son maître si minutieux en fait de toilette. Sa plus belle épée, présent de Bouchardon, le nœud que Clotilde lui avait donné, son habit pailleté, son gilet de drap d'argent, sa tabatière d'or, ses montres précieuses, tout fut tiré des coffres, et il se para comme une jeune fille qui doit se promener devant son premier amant. À l'heure dite, ivre d'amour et brouillard d'espérance, Sarrasine, le nez dans son manteau, courut au rendez-vous donné par la vieille. La duègne attendait.
- Vous avez bien tardé ! lui dit-elle. Venez.
Elle entraîna le Français dans plusieurs petites rues et s'arrêta devant un palais d'assez belle apparence. Elle frappa. La porte s'ouvrit. Elle conduisit Sarrasine à travers un labyrinthe d'escaliers, de galeries et l'appartements qui n'étaient éclairés que par les lueurs incertaines de la lune, et arriva bientôt à une porte, entre les fentes de laquelle s'échappaient de vives lumières, d'où partaient de
joyeux éclats de plusieurs voix. Tout à coup Sarrasine fut ébloui, quand, sur un mot de la vieille, il fut is dans ce mystérieux appartement, et se trouva dans un salon aussi brillamment éclairé que somptueusement meublé, au milieu duquel s'élevait une table bien servie, chargée de sacro-saintes bouteilles, de riants flacons dont les facettes rougies étincelaient. Il reconnut les chanteurs et les cantatrices du théâtre, mêlés à des femmes charmantes, tous prêts à commencer une orgie d'artistes qui n'attendaient plus que lui. Sarrasine réprima un mouvement de dépit, et fit bonne contenance. Il avait espéré une chambre mal éclairée, sa maîtresse auprès d'un brasier, un jaloux à deux pas, la mort et l'amour, des confidences échangées à voix basse, cœur à cœur, des baisers périlleux, et les visages si voisins, que les cheveux de la Zambinella eussent caressé son front chargé de désirs, brûlant de bonheur.
- Vive la folie ; s'écria-t-il. Signori e belle donne, vous me permettrez de prendre plus tard ma revanche, et de vous témoigner ma reconnaissance pour la manière dont vous accueillez un pauvre sculpteur. Après avoir reçu les compliments assez affectueux de la plupart des personnes présentes, qu'il connaissait de vue, il tâcha de s'approcher de la bergère sur laquelle la Zambinella était nonchalamment étendue. Oh ! comme sa cœur battit quand il aperçut un pied mignon, chaussé de ces mules qui, permettez-moi de le dire, madame donnaient jadis au pied des femmes une expression coquette, si voluptueuse, que je ne sais pas comment les hommes y pouvaient résister. Les bas blancs bien tirés et à coins verts, les jupes courtes, les mules pointues et à talons hauts du règne de Louis XV ont peut-être un peu contribué à démoraliser l'Europe et le clergé.
- Un peu ! dit la marquise. Vous n'avez donc rien lu ?
- La Zambinella, repris-je en souriant, s'était effrontément croisé les jambes, et agitait en badinant celle qui se trouvait dessus, attitude de duchesse, qui allait bien à son genre de beauté capricieuse et pleine d'une certaine mollesse engageante. Elle avait quitté ses habits de théâtre, et portait un corps qui dessina une taille svelte et que faisaient valoir des paniers à une robe de satin brodée de fleurs bleues. Sa poitrine dont une dentelle dissimulait les trésors par un luxe de
coquetterie, étincelait de blancheur. Coiffée à peu près comme se coiffait Mme du Barry, sa figure quoique surchargée d'un large bonnet, n'en paraissant que plus mignonne, et la poudre lui seyait bien. La voir ainsi, c'était l'adorer. Elle souriait gracieusement au sculpteur. Sarrasine, tout mécontent de ne pouvoir lui parler que devant témoins, s'assit poliment près l'elle, et l'entretint de musique en la louant sur son prodigieux talent ; mais sa voix tremblait d'amour, de crainte et d'espérance.
- Que craignez-vous ? lui dit Vitagliani, le chanteur le plus célèbre de la troupe. Allez, vous n'avez pas un seul rival à craindre ici. Le ténor sourit silencieusement. Ce sourire se répéta sur les lèvres de tous les convives, dont l'attention avait une certaine malice cachée dont ne devait pas s'apercevoir un amoureux. Cette publicité fut comme un coup de poignard que Sarrasine aurait soudainement reçu dans le cœur. Quoique doué d'une certaine force le caractère, et bien qu'aucune circonstance ne dût influer sur son amour, il n'avait peut-être pas encore songé que Zambinella était presque une courtisane, et qu'il ne pouvait pas avoir tout à la fois les jouissances rares qui rendent l'amour d'une jeune fille chose si délicieuse, et les emportements fougueux par lesquels me femme de théâtre fait acheter les trésors de sa ion. Il réfléchit et se résigna. Le souper fut servi.
Sarrasine et la Zambinella se mirent sans cérémonie à côté l'un de l'autre. Pendant la moitié du festin, les artistes gardèrent quelque mesure et le sculpteur put pa avec la cantatrice. Il lui trouva de l'esprit, de la finesse ; mais elle était d'une ignorance surprenante, et se montra faible et superstitieuse. La délicatesse à ses organes se reproduisait dans son entendement. Quand Vitagliani déboucha la première bouteille de vin de Champagne, Sarrasine lut dans les yeux de voisine une crainte assez vive de la petite détonation produite par le dégagement du gaz. Le tressaillement involontaire de cette organisation féminine fut interprété par l'amoureux artiste comme l'indice d'une excessive sensibilité. Cette faiblesse charma le Français. Il entre tant de protection dans l'amour d'un homme ! Vous disposerez de ma puissance comme d'un bouclier ! Cette phrase n'est-elle pas écrite au fond de toutes les déclarations d'amour ? Sarrasine trop ionné pour débiter des galanteries à la belle italienne, était, comme tous les amants, tour à tour grave, rieur ou recueilli. Quoiqu'il parût écouter les convives, il
n'entendait pas un mot de ce qu'ils disaient ; tant il s'adonnait au plaisir de se trouver près d'elle, de lui effleurer la main, de la servir. Il nageait dans une joie secrète. Malgré l'éloquence de quelques regards mutuels, il fut étonné de la réserve dans laquelle la Zambinella se tint avec lui. Elle avait bien commencé la première à lui presser le pied et à l'agacer avec la malice d'une femme libre et amoureuse mais soudain elle s'était enveloppée dans une modestie de jeune fille, après avoir entendu raconter à Sarrasine un trait qui peignit l'excessive violence de son caractère. Quand le souper devint une orgie, les convives se mirent à chanter, inspirés par le peralta et le pedro ximenès. Ce furent des duos ravissants, des airs de la Calabre, des seguidilles espagnoles, des canzonettes napolitaines. L'ivresse était dans tous les yeux, dans la musique, dans les cœurs et dans les voix.
Il déborda tout à coup une vivacité enchanteresse, un abandon cordial, une bonhomie italienne dont rien ne peut donner l'idée à ceux qui ne connaissent que les assemblées de Paris, les raouts de Londres ou les cercles de Vienne. Les plaisanteries et les mots l'amour se croisaient comme des balles dans une bataille, à travers les rires, les impiétés, les invocations de la sainte Vierge ou al Bambino. L'un se coucha sur un sofa, et se mit à dormir. Une jeune fille écoutait une déclaration sans savoir qu'elle répandait du vin le Xérès sur la nappe. Au milieu de ce désordre, la Zambinella, comme frappée de terreur, resta pensive.
Elle refusa de boire, mangea peut-être un peu trop ; mais la gourmandise est, diton, une grâce chez les femmes. En irant la pudeur de sa maîtresse, Sarrasine fit de sérieuses réflexions pour l'avenir. "Elle veut sans doute être épousée," se dit-il. Alors il s'abandonna aux délices de ce mariage. Sa vie entière le lui semblait pas assez longue pour épuiser la source le bonheur qu'il trouvait au fond de son âme. Vitagliani, son voisin, lui versa si souvent à boire que, vers les trois heures du matin, sans être complètement ivre, Sarrasine se trouva sans force contre son délire. Dans un moment de fougue, il emporta cette femme en se sauvant dans une espèce de boudoir qui communiqué au salon, et sur la porte duquel il avait plus d'une fois tourné les yeux. L'Italienne était armée d'un poignard.
- Si tu approches, dit-elle, je serai forcée de te plongé cette arme dans le cœur. Va ! tu me mépriserais. J'en conçu trop de respect pour ton caractère pour me livrer ainsi. Je ne veux pas déchoir du sentiment que tu m'accordes.
- Ah! ah ! dit Sarrasine, c'est un mauvais moyen pour éteindre une ion que de l'exciter. Es-tu donc déjà corrompue à ce point que, vieille au cœur, tu agirais comme une jeune courtisane, qui aiguise les émotions dont elle fait commerce ?
- Mais c'est aujourd'hui vendredi, répondit-elle effrayée à la violence du Français. Sarrasine, qui n'était pas dévot, se prit à rire. La Zambinella bondit comme un jeune chevreuil et s'élança dans la salle du festin. Quand Sarrasine y apparut courant après elle, il fut accueilli par un rire infernal. Il vit la Zambinella évanouie sur un sofa. Elle était pâle et comme épuisée par l'effort extraordinaire qu'elle venait de faire. Quoique Sarrasine sût peu d'italien, il entendit sa maîtresse disant à voix basse à Vitagliani :
- Mais il me tuera ! Cette scène étrange rendit le sculpteur tout confus. La raison lui revint. Il resta d'abord immobile puis il retrouva la parole, s'assit auprès de sa maîtresse et protesta de son respect. Il trouva la force de donner le change à sa ion en disant à cette femme les discours les plus exaltés ; et, pour peindre son amour, il déploya les trésors de cette éloquence magique, officieux interprète que les femmes refusent rarement de croire. Au moment ou les premières lueurs du matin surprirent les convives, une femme proposa d'aller à Frascati. Tous accueillirent par de vives acclamations l'idée de er la journée à la villa Ludovisi. Vitagliani descendit pour louer des voitures. Sarrasine eut le bonheur de conduire la Zambinella dans un phaéton. Une fois sortis de Rome, la gaieté, un moment réprimée par les combats que chacun avait livrés au sommeil, se réveilla soudain. Hommes et femmes, tous paraissaient habitués à cette vie étrange, à ces plaisirs continus, à cet entraînement d'artiste qui fait de la vie une fête perpétuelle où l'on rit sans arrière-pensées. La compagne du sculpteur était la seule qui parût abattue.
- Êtes-vous malade ? lui dit Sarrasine. Aimeriez-vous mieux rentrer chez vous ?
- Je ne suis pas assez forte pour er tous ces excès, répondit-elle. J'ai besoin de grands ménagements ; mais, près de vous, je me sens si bien ! Sans vous, je ne serais pas restée à ce souper ; une nuit ée me fait perdre toute ma fraîcheur.
- Vous êtes si délicate ! reprit Sarrasine en contemplant les traits mignons de cette charmante créature.
- Les orgies m'abîment la voix.
- Maintenant que nous sommes seuls, s'écria l'artiste, et que vous n'ai plus à craindre l'effervescence de ma ion, dites moi que vous m'aimez.
- Pourquoi ? répliqua-t-elle à quoi bon ? Je vous ai semblé jolie. Mais vous êtes français, et votre sentiment era. Oh ! vous ne m'aimeriez pas comme je voudrais être aimée.
- Comment !
- Sans but de ion vulgaire, purement. J'abhorre les hommes encore plus peutêtre que je ne hais les femmes. J'ai besoin de me réfugier de l'amitié. Le monde est désert pour moi. Je suis une créature maudite, condamnée à comprendre le bonheur, à le sentir, à le désirer, et, comme tant d'autres forcée à le voir me fuir à toute heure. Souvenez-vous, seigneur, que je ne vous aurai pas trompé. Je vous
défends de m'aimer. Je puis être un ami dévoué pour vous, car j'ire votre force et votre caractère. J'ai besoin d'un frère, d'un protecteur. Soyez tout et pour moi, mais rien de plus.
- Ne pas vous aimer ! s'écria Sarrasine ; mais, chère ange, tu es ma vie, mon bonheur !
- Si je disais un mot vous me repousseriez avec horreur.
- Coquette ! rien ne peut m'effrayer. Dis-moi que tu me coûteras l'avenir, que dans deux mois je mourrai, que je serai damné pour t'avoir seulement embrassée. Il l'embrassa malgré les effrois que fit la Zambinella pour se soustraire à ce baiser ionné.
- Dis-moi que tu es un démon, qu'il te faut ma fortune, mon nom, toute ma célébrité ! Veux-tu que je ne sois pas sculpteur ? Parle.
- Si je n'étais pas une femme ? demanda timidement la Zambinella d'une voix argentine et douce.
- La bonne plaisanterie ! s'écria Sarrasine. Crois-tu pouvoir tromper l'œil d'un artiste ? N'ai-je pas, depuis dix jours, dévoré, scruté, iré tes perfections ? Une femme seule peut avoir ce bras rond et moelleux, ces contours élégants. Ah ! tu veux des compliments ! Elle sourit tristement, et dit en murmurant : - Fatale beauté ! Elle leva les yeux au ciel. En ce moment son regard eut je ne sais quelle expression d'horreur si puissante, si vive, que Sarrasine en tressaillit.
- Seigneur Français, reprit-elle, oubliez à jamais un instant de folie. Je vous estime ; mais, quant on à de l'amour, ne m'en demandez pas ; ce sentiment est étouffé dans mon cœur. Je n'ai pas de cœur ! s'écria-t-elle en pleurant. Le théâtre sur lequel vous m'avez vue, ces applaudissements, cette musique, cette gloire, à laquelle on m'a condamnée, voilà ma vie, je n'en ai pas d'autre. Dans quelques heures vous ne me verrez plus des mêmes yeux, la femme que vous aimez sera morte. Le sculpteur ne répondit pas. Il était la proie d'une sourde rage qui lui pressait le cœur. Il ne pouvait que regarder cette femme extraordinaire avec des yeux enflammés qui brûlaient. Cette voix empreinte de faiblesse, l'attitude, les manières et les gestes de Zambinella, marqués de tristesse, de mélancolie et de découragement réveillaient dans son âme toutes les richesses de la ion. Chaque parole était un aiguillon. En ce moment, ils étaient arrivés à Frascati. Quand l'artiste tendit les bras à sa maîtresse pour l'aider à descendre il la sentit toute frissonnante.
- Qu'avez-vous ? Vous me feriez mourir, s'écria-t-il en la voyant pâlir, si vous aviez la moindre douleur dont je fusse la cause même innocente.
- Un serpent ; dit-elle en montrant un couleuvre qui se glissait le long d'un fossé. J'ai peur de ces odieuses bêtes. Sarrasine écrasa la tête de la couleuvre d'un coup de pied.
- Comment avez-vous assez de courage ! reprit la Zambinella en contemplant avec un effroi visible le reptile mort.
- Eh bien, dit l'artiste en souriant, oserez-vous bien prétendre que vous n'êtes pas femme ? Ils rejoignirent leurs compagnons et se promenèrent dans les bois de la ville Ludovisi, qui appartenait alors au cardinal Cicognara.
Cette matinée s'écoula trop vite pour l'amoureux sculpteur, mais elle fut remplie
par une foule d'incidents qui lui dévoilèrent la coquetterie, la faiblesse, la mignardise de cette âme molle et sans énergie. C'était la femme avec ses peurs soudaines, ses caprices sans raison, ses troubles instinctifs, ses audaces sans causes, ses bravades et sa délicieuse finesse de sentiment. Il eut un moment ou en s'aventurant dans la campagne, la petite troupe des joyeux chanteurs vit de loin quelques hommes armés jusqu'aux dents, et dont le costume n'avait rien de rassurant. À ce mot : "Voici des brigands", chacun doubla le pas pour se mettre à l'abri dans l'enceinte de la villa du cardinal. En cet instant critique, Sarrasine s'aperçut à la pâleur de la Zambinella qu'elle n'avait plus assez de force pour marcher ; il la prit dans ses bras et la porta, pendant quelque temps, en courant. Quand il se fut rapproché d'une vigne voisine, il mit sa maîtresse à terre.
- Expliquez-moi, lui dit-il, comment cette extrême faiblesse qui, chez toute autre femme, serait hideuse, me déplairait, et dont la moindre preuve suffirait presque pour éteindre mon amour, en vous me plaît, me charme ?
- Oh ! combien je vous aime ! reprit-il. Tous vos défauts, vos terreurs, vos petitesses ajoutent je ne sais quelle grâce à votre âme le sens que je détesterais une femme forte, une Sapho, courageuse, pleine d'énergie, de ion. Ô frêle et douce créature ! comment peux tu être autrement ? Cette voix d'ange, cette voix délicate, eût été un contresens si elle fût sortie d'un corps autre que le tien.
- Je ne puis, dit-elle, vous donner aucun espoir. Cessez de me parler ainsi, car l'on se moquerait de vous. Il m'est impossible de vous interdire l'entrée du théâtre ; mais si vous m'aimez ou si vous êtes sage, vous n'y viendrez plus. Écoutez, monsieur, dit-elle d'une voix grave.
- Oh ! tais-toi, dit l'artiste enivré. Les obstacles attisent l'amour dans mon cœur. La Zambinella resta dans une attitude gracieuse et modeste ; mais elle se tut, comme si une pensée terrible lui eût révélé quelque malheur. Quand il fallut revenir à Rome, elle monta dans une berline à quatre places, en ordonnant au sculpteur, d'un air impérieusement cruel, d'y retourner seul avec le phaéton.
Pendant le chemin, Sarrasine résolut d'enlever la Zambinella. Il a toute la journée occupé à faire des plans plus extravagants les uns que les autres. À la nuit tombante, au moment où il sortit pour allez demander à quelques personnes où était situé le palais habité par sa maîtresse, il rencontra l'un de ses camarades sur le seuil de la porte. Mon cher, lui dit ce dernier, je suis chargé par notre ambassadeur de t'inviter à venir ce soir chez lui. Il donne un concert magnifique, et quand tu sauras que Zambinella y sera..
- Zambinella ; s'écria Sarrasine en délire à ce nom j'en suis fou.
- Tu es comme tout le monde, lui répondit son camarade.
- Mais si vous êtes mes amis, toi, Vien, Lautherbourg et Allegrain, vous me prêterez votre assistance pour un coup de main après la fête, demanda Sarrasine.
- Il n'y a pas de cardinal à tuer, pas de... - Non, non, dit Sarrasine, je ne vous demande rien que d'honnêtes gens ne puissent faire.
En peu de temps le sculpteur disposa tout pour le succès de son entreprise. Il arriva l'un des derniers chez l'ambassadeur, mais il y vint dans une voiture de voyage attelée de chevaux vigoureux menés par l'un les plus entreprenants vetturini de Rome. Le palais de l'ambassadeur étant plein de monde, ce ne fut pas sans peine que le sculpteur, inconnu à tous les assistants, parvint au salon où dans ce moment Zambinella chantait.
- C'est sans doute par égard pour les cardinaux, les évêques et les abbés qui sont ici, demanda Sarrasine, qu'elle est habillée en homme, qu'elle a une bourse derrière la tête, les cheveux crêpés et une épée le côté ?
- Elle ! Qui elle ? répondit le vieux seigneur auquel s'adressait Sarrasine.
- La Zambinella.
- La Zambinella ? reprit le prince romain. Vous moquez-vous ? D'où venez-vous ? Est-il jamais monté de femme sur les théâtres de Rome ? Et ne savez-vous pas par quelles créatures les rôles de femme sont remplis dans les États du pape ? C'est moi, monsieur, qui ai doté Zambinella de sa voix. J'ai tout payé à ce drôlelà, même son maître à chanter. Eh bien, il a si peu de reconnaissance du service que je lui ai rendu, qu'il n'a jamais voulu remettre les pieds chez moi. Et cependant, s'il fait fortune, il me la devra tout entière. Le prince Chigi aurait pu parler, certes, longtemps, Sarrasine ne l'écoutait pas. Une affreuse vérité avait pénétré dans son âme. Il était frappé comme d'un coup de foudre. Il resta immobile, les yeux attachés sur le prétendu chanteur. Son regard flamboyant eut une sorte d'influence magnétique sur Zambinella, car le musico finit par détourner subitement la vue de Sarrasine, et alors sa voix céleste s'altéra. Il trembla. Un murmure involontaire échappé à l'assemblée, qui tenait comme attachée à ses lèvres, acheva de le troubler; il s'assit, et discontinua son air. Le cardinal Cicognara, qui avait épié du coin de l'œil la direction que prit le regard de son protégé, aperçut alors le Français ; il se pencha vers un de ses aides de camp ecclésiastiques, et parut demander le nom du sculpteur. Quand il eut obtenu la réponse qu'il désirait, il contempla fort attentivement l'artiste, et donna des ordres à un abbé, qui disparut avec prestesse. Cependant Zambinella, s'étant remis, recommença le morceau qu'il avait interrompu si capricieusement ; mais l'exécuta mal, et refusa, malgré toutes les instances qui lui furent. faites, de chanter autre chose. Ce fut la première fois qu'il exerça cette tyrannie capricieuse qui plus tard, ne le rendit pas moins célèbre que son talent et son immense fortune, que, dit-on, non moins à la voix qu'à sa beauté.
- C'est une femme, dit Sarrasine en se croyant seul. Il y a là-dessous quelque intrigue secrète. Le cardinal Cicognara trompe le pape et toute la ville de Rome ! Aussitôt le sculpteur sortit du salon rassembla ses amis, et les embusqua dans la
cour du palais. Quand Zambinella se fut assuré du départ de Sarrasine, il parut recouvrer quelque tranquillité. Vers minuit, après avoir erré dans les salons, en homme qui cherche un ennemi, le musico quitta l'Assemblée. Au moment où il franchissait la porte du palais, il fut adroitement saisi par des hommes qui le bâillonnèrent avec un mouchoir et le mirent dans la voiture louée par Sarrasine. Glacé d'horreur, Zambinella resta dans un coin sans oser faire un mouvement. Il voyait devant lui la figure terrible de l'artiste qui gardait un silence de mort. Le trajet fut court. Zambinella, enlevé par Sarrasine, se trouva bientôt dans un atelier sombre et nu.
Le chanteur, à moitié mort, demeura sur une chaise, sans oser regarder une statue de femme, dans laquelle il reconnut ses traits. Il ne proféra pas une parole, mais ses dents claquaient. Il était transi de peur. Sarrasine se promenait à grands pas. Tout à coup il s'arrêta devant Zambinella.
- Dis-moi la vérité, demanda-t-il d'une voix sourde et altérée. Tu es une femme ? Le cardinal Cicognara... Zambinella tomba sur ses genoux, et ne répondit qu'en baissant la tête. Ah ! tu es une femme, s'écria l'artiste en délire ; car même un... Il n'acheva pas.
- Non, reprit-il, il n'aurait pas tant de bassesse.
- Ah ! ne me tuez pas, s'écria Zambinella fondant en larmes. Je n'ai consenti à vous tromper que pour plaire à mes camarades qui voulaient rire.
- Rire ! répondit le sculpteur d'une voix qui eut un éclat infernal. Rire, rire ! Tu as osé te jouer d'une ion d'homme, toi ?
- Oh ! grâce, répliqua Zambinella.
- Je devrais te faire mourir ! cria Sarrasine en tirant son épée par un mouvement de violence. Mais, reprit-il avec un dédain froid, en fouillant ton être avec un poignard, y trouverais-je un sentiment à éteindre, une vengeance à satisfaire ? Tu n'es rien. Homme ou femme, je te tuerais ! mais... Sarrasine fit un geste de dégoût, qui l'obligea de détourner sa tête, et alors il regarda la statue. "Et c'est une illusion ! s'écria-t-il. Puis se tournant vers Zambinella :
- Un cœur de femme était pour moi un asile, une patrie. As-tu des sœurs qui te ressemblent ! Non. Eh ! bien, meurs ! Mais non, tu vivras. Te laisser la vie, n'estce pas te vouer à quelque chose de pire que la mort ? Ce n'est ni mon sang ni mon existence que je regrette, mais l'avenir et ma fortune de cœur. Ta main débile a renversé mon bonheur. Quelle espérance puis je te ravir pour toutes celles que tu as flétries ? Tu m'as ravalé jusqu'à toi. Aimer, être aimé ! sont désormais des mots vides de sens pour moi, comme pour toi. Sans cesse je penserai à cette femme imaginaire en voyant une femme réelle. Il montra la statue par un geste de désespoir.
- J'aurai toujours dans le souvenir une harpie céleste qui viendra enfoncer ses griffes dans tous mes sentiments d'homme, et qui signera toutes les autres femmes d'un cachet d'imperfection ! Monstre ! toi qui ne peux donner la vie à rien, tu m'as dépeuplé la terre de toutes ses femmes. Sarrasine s'assit en face du chanteur épouvanté. Deux grosses larmes sortirent de ses yeux secs, roulèrent le long de ses joues mâles et tombèrent à terre : deux larmes de rage, deux larmes âcres et brûlantes.
- Plus d'amour ! je suis mort à tout plaisir, à toutes les émotions humaines. À ces mots, il saisit un marteau et le lança sur la statue avec une force si extravagante qu'il la manqua. Il crut avoir détruit ce monument de sa folie, et alors il reprit son épée et la brandit pour tuer le chanteur. Zambinella jeta des cris perçants. En ce moment trois hommes entrèrent, et soudain le sculpteur tomba percé de trois
coups de stylet.
- De la part du cardinal Cicognara, dit l'un d'eux.
- C'est un bienfait digne d'un chrétien, répondit le Français en expirant. Ces sombres émissaires apprirent à Zambinella l'inquiétude de son protecteur qui attendait à la porte dans une voiture fermée, afin de pouvoir l'emmener aussitôt qu'il serait délivré.
- Mais, me dit Mme de Rochefide, quel rapport existe-t-il entre cette histoire et le petit vieillard que nous avons vu chez les Lanty ?
- Madame, le cardinal Cicognara se rendit maître de la statue de Zambinella et la fit exécuter en marbre, elle est aujourd'hui dans le musée Albani. C'est là qu'en 1791 la famille Lanty la retrouva, et pria Vien de la copier. Le portrait qui vous a montré Zambinella à vingt ans, un instant après l'avoir vu centenaire, a servi plus tard pour l'Endymion de Girodet, vous avez pu en reconnaître le type dans l'Adonis.
- Mais ce ou cette Zambinella ?
- Ne saurait être, madame, que le grand-oncle de Marianina. Vous devez concevoir maintenant l'intérêt que Mme de Lanty peut avoir à cacher la source d'une fortune qui provient...
- Assez ! dit-elle en me faisant un geste impérieux. Nous restâmes pendant un
moment plongés dans un plus profond silence.
- Hé ! bien ? lui dis-je.
- Ah ! s'écria-t-elle en se levant et se promenant à grands pas dans la chambre. Elle vint me regarder et me dit d'une voix altérée :
- Vous m'avez dégoûtée de la vie et des ions pour longtemps. Au monstre près, tous les sentiments humains ne se dénouent-il pas ainsi, par d'atroces déceptions ? Mères, des enfants nous assassinent ou par leur mauvaise conduite ou par leur froideur. Épouses, nous sommes trahies. Amantes, nous sommes délaissées, abandonnées. L'amitié existe-t-elle? Demain je me ferais dévote si je ne savais pouvoir rester comme un roc inaccessible au milieu des orages de la vie. Si l'avenir du Chrétien est encore une illusion, au moins elle ne se détruit qu'après la mort. Laissez-moi seule.
- Ah ! lui dis-je, vous savez punir.
- Aurais-je tort ?
- Oui, répondis-je avec une sorte de courage. En achevant cette histoire, assez connue en Italie, je puis vous donner une haute idée des progrès faits par la civilisation actuelle. On n'y fait plus de ces malheureuses créatures.
- Paris, dit-elle, est une terre bien hospitalière ; il accueille tout, et les fortunes honteuses, et les fortunes ensanglantées. Le crime et l'infamie y ont droit d'asile,
rencontrent des sympathies ; la vertu seule y est sans autels. Oui, les âmes pures ont une patrie dans le ciel ! Personne ne m'aura connue ! J'en suis fière.
Et la marquise resta pensive.
Paris, novembre 1830.
NELLA STESSA COLLANA:
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Émile Zola - Germinale Émile Zola - I Misteri di Marsiglia Émile Zola - Nanà Emily Jane Brontë - Cime Tempestose Federico De Roberto - I Viceré Fëdor Michajlovič Dostoevskij - I Fratelli Karamazov Fëdor Michajlovič Dostoevskij - Il Giocatore Fëdor Michajlovič Dostoevskij - L'Idiota Franz Kafka - La Metamorfosi e Altri Racconti Friedrich Nietzsche - Così Parlò Zarathustra Gabriele D'Annunzio - Il Piacere Giacomo Leopardi - Canti Giovanni Pascoli - Canti di Castelvecchio Giovanni Verga - I Malavoglia Giovanni Verga - Mastro Don Gesualdo Giovanni Verga - Tutte le Novelle Grazia Deledda - Canne al Vento Henryk Sienkiewicz - Il Diluvio Henryk Sienkiewicz - Natura e Vita Henryk Sienkiewicz - Quo Vadis? Honoré de Balzac - Eugenia Grandet
Honoré de Balzac - Facino Cane Honoré de Balzac - I Piccoli Borghesi Honoré de Balzac - Il Colonnello Chabert Honoré de Balzac - Papà Goriot Honoré de Balzac - Sarrasine Italo Svevo - La Coscienza di Zeno Italo Svevo - Senilità Ivan Sergeevič Turgenev - Padri e Figli Ivan Sergeevič Turgenev - Terra Vergine Jane Austen - Emma Jerome K. Jerome - Tre Uomini in Barca (per non parlare del cane) John Milton - Il Paradiso Perduto Juri Signorini - Impara l'Arte e Mettila da Parte (Dizionario dei proverbi popolari italiani) Laurence Sterne - Viaggio sentimentale Lev Nikolaevič Tolstoj - Il Padrone e il Lavorante Lev Nikolaevič Tolstoj - Resurrezione Luigi Pirandello - Il fu Mattia Pascal Luigi Pirandello - Novelle per un Anno Luigi Pirandello - Uno, Nessuno e Centomila Marco Polo - Il Milione
Matteo Maria Boiardo - Orlando Innamorato Michail Jur'evič Lermontov - Un Eroe del Nostro Tempo Nikolaj Vasil'evič Gogol' - Anime Morte Nikolaj Vasil'evič Gogol' - I Racconti di Pietroburgo Oscar Wilde - Il Delitto di Lord Arthur Savile Oscar Wilde - Il Ritratto di Dorian Gray Pierre Choderlos De Laclos - Le Relazioni Pericolose Robert Musil - I Turbamenti del Giovane Törless Søren Aabye Kierkegaard - Diario del Seduttore Stendhal (Henri-Marie Beyle) - Il Rosso e Il Nero Stendhal (Henri-Marie Beyle) - La Certosa di Parma Stendhal (Henri-Marie Beyle) - Ricordi di Egotismo Torquato Tasso - Gerusalemme liberata Ugo Foscolo - Ultime Lettere di Jacopo Ortis Victor Hugo - I Miserabili Voltaire - La Pulzella d'Orléans Walter Scott - Il Racconto dello Specchio Misterioso Walter Scott - Ivanhoe Walter Scott - La Sposa di Lammermoor William Makepeace Thackeray - Le Memorie di Barry Lyndon
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