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1 Per iniziare 2 Illegio 3 Toni 4 Stupinigi 5 Bolla di vetro 6 Arte povera 7 Tempo perso 8 Sorpresa 9 A casa 10 Strano gioco 11 Dentro 12 I coniugi Arnolfini 13 Lele 14 Ritorno a Torino 15 Oggi è domenica 16 Il muro 17 Villa Manin 18 Pier
19 Gino 20 Tango 21 Terremoto 22 Residence mostro 23 Venaria Reale 24 Palazzo Grimani 25 Gola profonda 26 Viola 27 Un incubo 28 Il sogno 29 Missione 30 Transumanza 31 Il mio nome è Tempesta 32 La Tempesta 33 Per finire
<< il Signore è il mio pastore. Non manco di nulla.>> Salmo 23
A Tina e Gelso
Per iniziare
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> Lei cominciò a farmi il solletico. Confessai subito, raccontandole la mia versione dei fatti. <
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2.
Illegio
Di solito preferisco fare un giro da solo in cerca di donne, insomma cercare tette e culi in giro, ma se gli amici mi portano da qualche parte per are la giornata assieme, allora va bene lo stesso, non è escluso che incontriamo le donne giuste. Almeno ci proviamo in compagnia. Mi preparo all’idea di are tutto il sabato in Friuli, una terra che ho frequentato per lavoro e per altro. Sono posti che in gruppo abbiamo già battuto e dove abbiamo abbondantemente dato e preso. Il gruppo è dei soliti quattro e lasciata l’autostrada prendiamo la direzione che ci porta su verso la montagna. Percorriamo strade sempre più strette e tortuose imbucando anche gallerie
scavate nella roccia e costeggiando canaloni strapiombanti e ghiaioni che promettono rovinose scariche di massi e sassi. Luoghi più adatti ai camosci o all’orso che all’uomo. <
> Dico avvicinandomi al vetro del finestrino per osservare l’esterno. <
> Gino è un mio vecchio amico, è lui che ha la macchina buona, è lui l’intellettuale del gruppo. Col fatto che lavora in un bar gli è capitato di procurare alcuni inviti per entrare in una mostra in un posto della Carnia. <
> dico,<
> Gino sorride sempre pensandoci, è un vero cultore del mondo e dell’universo femminile. L’invito arrivava da un gruppo di musicisti friulani, conosciuti in giro, che qui vicino partecipa a una festa con balli e canti. Con quattro inviti per la mostra e la promessa di are la giornata a far baldoria, chi volete che non si muova? <<Se è destino si va, si parte e si affronta la vita da cani da slitta.>> Aggiunge Gino. Con noi ci sono due compari, gli altri due della muta sistemati nei posti dietro; Arturo si è fatto una canna prima di partire e adesso è appoggiato con la testa al finestrino. Sta dormicchiando a bocca aperta e neanche un’esplosione lo sveglierebbe. Lele, già carico di ombre e di Spritz, sta ascoltando musica con la cuffietta.
È come non averli a bordo, tanto a loro non gliene frega un cazzo di dove andiamo, l’importante è muoversi, è andare per mantenersi in movimento, Da buoni cani da slitta appunto. Frega poco anche a noi due, ma almeno stiamo attenti alla strada, seguiamo la pista. <
> Dico. <
> Mi risponde Gino. <<Appunto, ma cosa ti sei fumato questa mattina?>>
Ribatto guardandolo impegnato nella guida. <
> Conclude lui. Conosco bene Gino, con lui mi è capitato di ritrovarmi dall’altra parte del confine a giocare a moscacieca con ragazze seminude, uno so. Veramente. Arriviamo in un paese con poche case e altrettante anime sperdute, ci saranno sì e no tre o quattrocento abitanti al massimo.
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> Aggiungo scendendo dall’auto. Mi adatto all’idea salendo lentamente a piedi il centro del minuscolo borgo, costeggiando un piccolo torrente che nel percorso alimenta alcuni vecchi mulini fatti interamente di legno.
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> Chiedo preoccupato. <
> Dice Gino. E’ lui l’intellettuale del gruppo, è lui che sa le cose. Arturo e Lele si sono fermati all’osteria di sotto, l’unica osteria aperta, non se la sono sentita di affrontare l’emozione di una mostra e poi… <<E poi la strada è così ripida.>> Aveva aggiunto Arturo. <
> Ribattei. <
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> Con gli amici musicisti entriamo nella mostra di opere sacre e dopo poco abbiamo le balle spappolate e siamo già stanchi di ascoltare questi giovanotti che si sforzano di spiegarci il valore e il significato di alcune statue e dei dipinti che incontriamo nel giro di questa casa carnica diventata museo e sede espositiva. Io vorrei gettare uno sguardo e via, con la velocità giusta, tanto per essere appunto superficiale, ma arriva una ragazza che raccoglie il mio interesse e quello di Gino. Lei si apiona nel descrivere i dipinti antichi e le sculture che provengono da mezzo mondo, io ho un solo pensiero. <
fanno tutte queste opere così preziose, da come me le descrive lei, qui cosi lontane dal centro dell’impero, e come ci sono arrivate?>> Gino, l’intellettuale del gruppo sta guardando fisso la ragazza e mi fa. <<Marco, che diavolo ci fa un angelo in un posto dimenticato da Dio e dagli uomini?>> Questo angelo è a proprio agio in mezzo a putti volanti e a dipinti sacri; svolazza nel cielo con le sue parole mentre io penso al cielo della mia stanza che è sempre lo stesso, bianco da una vita e dove non ho mai visto volare putti o angeli o tanto meno cavalli alati, ma a volte diavoli, dei poveri diavoli. Il tempo sta cambiando rapidamente da queste parti in Friuli e all’uscita dalla mostra ritroviamo Lele e Arturo che ci aspettano, già abbondantemente alticci, sotto una leggera pioggerellina che si trasforma poi, nel giro di pochi minuti, in una bufera di neve. <
> Dice Lele proteggendosi dentro un portico ad arco, fatto con conci di pietrame, <<e adesso la festa?>> Salutiamo i musicisti montanari che ci lasciano in braghe di tela, preoccupati più dei loro strumenti che di are qualche ora in nostra compagnia. <<Meglio! Così ritorniamo in osteria o troviamo un posto al caldo dove mangiare un boccone.>> Dico stringendomi agli altri dentro al portico, unico riparo in mezzo alla tormenta. <
> Sbotta Lele. <
> Aggiunge Arturo.
Poco dopo inizia a grandinare in modo furioso, da coprire tutto di chicchi ghiacciati e il paese viene invaso da una serie di torrenti impetuosi, carichi di magma ghiacciato, che portano con se tutto ciò che incontrano. <
> Dice Arturo col cappello rasta calato sulla testa. <
> Aggiunge Lele, bestemmiando sottovoce.
Troviamo riparo nell’antica osteria che ha anche uno storico fogolàr carnico e, tra ricordi di vecchie battaglie tra Partigiani e Cosacchi e vari amori antichi e moderni, ci siamo bevuti l’impossibile. Dalle due finestre affiancate poste nella stanza del fogolàr si vede un mondo invaso da chicchi di grandine che piano piano ritornano ad essere neve. Gli alberi, i prati e i boschi si ricoprono di un manto candido e tranquillo. Noi attorno a questo fogolàr vediamo il soffitto nero pece trasformarsi in spicchi di azzurro con nuvole multicolori. Il fumo sale lento dal ciocco sistemato al centro del camino. Sembra di essere in una tenda indiana. Ci siamo sistemati agli angoli del fogolar. <
> Dice Gino. <<È proprio vero>> ribatto, << con voi non si riesce a fare niente di normale, tutto dev’essere memorabile.>> Arturo da un pezzo gioca con il suo berretto rasta multicolore e Lele ha la faccia più stupida del solito, ma è tranquillo, sereno. <
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Arturo non scherza quando lo dice. Certo nessuno vuole lasciare quel luogo, quel paesaggio in mezzo alle montagne ricoperte di neve. Nessuno vuole lasciare quel fogolàr che è l’unica barca riscaldata e illuminata in mezzo a un mare bianco dove sta calando una serata struggente. Arturo continua a guardare una statuina della madonna, collocata sopra un piccolo mobiletto sistemato fuori dal fogolàr. Alta sì e no venti centimetri è attorniata da alcune candele votive accese e da altre immagini di madonne e santi. <
> E con un colpo di fiato, Arturo spegne tutte le candele. Lele che è seduto nell’altro angolo del camino gli dice: <
> Gino, l’intellettuale del gruppo, se ne sta con il bicchiere in mano a riflettere. <
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> Aggiunge Lele, guardando il fumo salire lento nel camino. <
> Gino se ne intende veramente. Nel suo bar, di vino, ne a molto e se ne vende in quantità. <
quanto tempo ci metterei?>> Sbotta Lele <
> E intanto Gino ride, ridiamo tutti... Io sto smaltendo la mia sbornia con gli effetti che conosco bene: non ci sento molto bene e ci vedo peggio, eppure rido. In questo clima da “mangiatori di patate sorridenti” non desidero altro che poter dormire un poco, magari per mezz’ora, magari appoggiato a uno dei tavoli d’angolo del fogolàr. Arturo intanto, ha preso di mira una cameriera, una bella mula del posto, che ha risposto al fascino caraibico del nostro con un sorriso di timida, ma sincera approvazione. <
> Dice Arturo al gruppo. <<E chi si muove!>> Risponde Lele, che aggiunge subito dopo: << Chi si muove è perduto!>> Arturo sparisce per il tempo necessario a farmi ricordare che questa storica osteria è anche una locanda. Quando ritorna ha i capelli rasta più scombussolati di prima e un sorriso stupido stampato sulla faccia. <
> <<Solo quello?>> Rispondiamo in coro noi tre. <
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Ritorniamo a casa di notte, seguendo le stelle del cielo e partendo dalla Stella d’Oro. Quelli dietro dormono, Gino ascolta la musica con le cuffiette canticchiando arie di opere liriche, io guido. Sono l’unico in grado di farlo.
3.
Toni
Alle quattordici in punto suono il camlo del condominio, poco dopo mi viene aperto senza richieste. Prendo l’ascensore e salgo al terzo piano mansardato dove trovo la porta aperta. <<Buongiorno Tes come va?>> <
> Tes è la badante di mio padre, vive con lui dopo la scomparsa di mia madre Lisa. Tes prende la sua roba, una borsa chiara e saluta. <
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> Rispondo accompagnandola. Chiudo la porta dell’ingresso e mi avvio verso la camera di mio padre. Toni come al solito a quest’ora dorme. La persiana della sua finestra è leggermente alzata e fa entrare una bella luce nella stanza, come piace a lui.
Ritornato verso il piccolo soggiorno, sistemo sul tavolo da pranzo due mazzi di carte, uno da scala e uno per il gioco della briscola e della scopetta. Fuori la giornata è calda e luminosa. Questa mattina sono andato al mercato e ho comperato del formaggio grana e della ricotta per la cena. Mi siedo davanti al tavolo da pranzo e comincio a fare un solitario con le carte. È sorprendente quanto tranquillo sia adesso questo piccolo soggiorno. Tra poco arriverà Toni ad animarlo perché, lo so, solo dopo qualche minuto che Tes se ne è andata, arriva lui, non so come fa, ma arriva puntuale e senza farsi sentire, col suo o antico, felpato, da giaguaro. Puntualmente si mostra all’ingresso del soggiorno, dentro le sue solite ciabatte consunte e indossando una camicia nuova fiammante, così bella che lo ringiovanisce. Ha la barba rasata di fresco e si è pettinato la folta chioma e le sopracciglia a cui tiene molto, da sempre. <<Buongiorno,>> dice entrando nella stanza. <
> Rispondo io. E’ il mio modo di salutarlo al lunedì. <<Tiriamo avanti la baracca, ma è sempre più pesante, sempre più dura.>> E si avvia al suo posto, vicino alla finestra che dà sull’ampia terrazza dell’appartamento. <
> <<È uscita, è appena andata a fare un giro.>> <
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Toni mima un gesto per dirmi che non ha inteso. Alzo la voce, perché Toni non ci sente bene, anzi è sordo, a volte molto sordo. <
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> Gli domando. <<Sì.>> Toni si sistema sulla sua sedia come se dovesse mettersi alla guida di un’auto. <<Ti va bene a briscola?>> Gli faccio. <
> Comincio a mescolare le carte, mettendomi da un lato del tavolo, poi le distribuisco. <<Mi devi fare un piacere.>> Dice lui sistemandosi le carte che ha in mano. <
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> E comincio a giocare. <
> Toni lo dice in modo sgarbato, ma deciso, e capisco che ci tiene molto. <
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