UN VECCHIO FANTASMA
di sca Angelinelli
“Un vecchio fantasma” © Copyright 2015 sca Angelinelli Tutti i diritti riservati
Titolo | Un vecchio fantasma Autore | sca Angelinelli ISBN | 9788891172723 Prima edizione digitale: 2014 © Tutti i diritti riservati all’Autore Youcanprint Self-Publishing Via Roma 73 - 73039 Tricase (LE)
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945 d.C. Heiankyo (Kyoto)
Il consigliere Fujiwara no Noritake guardò l’albero che aveva di fronte e storse le labbra. Era un vecchio pino, cresciuto in quel terreno quando ancora né la sua residenza né la Capitale esistevano. Tuttavia, per quanto antica, la pianta era stata colpita da un fulmine, forse in un tempo in cui l’Imperatore non aveva ancora portato ordine sulla terra e i demoni vagavano liberi per il Giappone. E non si poteva in alcun modo tollerare oltre la sua presenza.
L’uomo incrociò le braccia sul petto. Come quel pino secolare avesse fatto a resistere per tanto tempo era un mistero, dato che il tronco era stato diviso in due parti, quasi che un’enorme scure fosse calata dal cielo su di esso. Eppure, sulla doppia chioma, spuntavano ancora aghi sottili di un verde intenso.
«Può essere opera di uno spirito» disse una voce alle sue spalle.
Il consigliere Noritake si voltò e scosse il capo «Seimei». Si inchinò al nuovo arrivato, ma non mutò la propria espressione contrariata. Il maestro onmyōji pareva avergli letto nel pensiero e la cosa era ancora più fastidiosa della vista di quell’albero che turbava la perfezione del suo giardino. «Che cosa ci fate voi qui?»
L’astrologo di corte si limitò a rispondere con un sorriso.
Noritake strinse i pugni. Il pallido viso del maestro onmyōji era enigmatico come la luna e il suo sguardo intenso concentrato sulla pianta che egli desiderava tanto far sparire del suo terreno. «Siete interessato a questo pino, Seimei? Se lo
desiderate posso farlo portare al vostro palazzo, una volta che i miei uomini lo avranno divelto».
Seimei piegò appena il capo «E da quanto tempo ci stanno provando?»
Il consigliere a stento trattenne un fremito. «Come lo sapete?» Si pentì subito di quella domanda e agitò una mano a mezz’aria per impedire all’astrologo di rispondere. «Non importa. Di certo grazie ai vostri poteri non vi sarà difficile sapere ogni cosa che accade nella Capitale».
«Non sono ancora efficiente a tal punto, Consigliere» rispose il mago, inchinandosi appena «Ma, devo ammettere, che il mio sonno è stato disturbato queste ultime notti e per questo sono stato attirato nella vostra residenza. Ora, vogliate essere così cortese, ditemi: da quanto tempo i vostri operai cercano di sradicare questo pino?»
Noritake sciolse le braccia e fece cenno all’onmyōji di accomodarsi accanto a un basso tavolino sistemato in veranda. «Sono sette giorni che pago questa gente perché scavi attorno all’albero e tagli quelle maledette radici» ammise, indicando il terreno smosso del giardino.
«Perché non tagliare di netto il tronco?» domandò Seimei, versandosi il tè.
Il consigliere si accigliò «Perché sembra fatto di pietra! Seghe e scuri non lo scalfiscono neppure e, in ogni caso, non voglio un moncone d’albero nel mio giardino. Pianterò un ciliegio o un salice o piuttosto un acero, quando del dannato pino sarà stato sconfitto».
Seimei si coprì le labbra con la manica del kimono «Dunque è una sfida tra voi e quel pino».
Noritake deglutì a vuoto.
«Badate, Consigliere, c’è qualcosa di innaturale in quella pianta. State attento a non sfidare forze più grandi di voi» disse l’onmyōji alzandosi.
L’uomo lo guardò allontanarsi, senza avere neppure il tempo di controbattere. Poi si volse di nuovo verso il pino e colpì con un pugno il pavimento. «All’inferno!» imprecò sottovoce, senza sapere egli stesso se stesse rivolgendosi all’albero o all’indovino di corte.
«Pazzo sconsiderato» brontolò il mago, chiudendo con forza il tramezzo alle sue spalle.
Abe no Semei si sedette nel proprio studio e osservò il dipinto che raffigurava la mappa della Capitale. La visita al palazzo del Consigliere Noritake aveva rafforzato i suoi sospetti: lo spettro che da diverse notti turbava il suo sonno doveva essere lo spirito guardiano imprigionato nel pino secolare che il dignitario aveva deciso di sradicare.
L’onmyōji sospirò e aprì un rotolo che riportava alcune antiche leggende. «Il cavaliere del Palazzo Orientale» lesse a bassa voce «un nobile cadetto dei Fujiwara». Quando ancora la Capitale non esisteva, dove ora sorgeva la residenza del Consigliere, non c’erano che boschi e prati. L’uomo, un cavaliere
che si stava recando in visita da alcuni parenti, era stato sorpreso dal temporale e aveva deciso di cercare protezione sotto l’ampia chioma di un pino. Sfortunatamente un fulmine aveva colpito proprio l’albero che egli aveva scelto come riparo, uccidendolo sul colpo. «Quell’uomo è divenuto uno spettro e molte cose orribili sono accadute in quella residenza, prima che Noritake ne prendesse possesso». L’indovino guardò il cielo che andava facendosi scuro e si accigliò. Sfidare gli spiriti non era mai saggio, ma il Consigliere pareva non rendersi conto della gravità della sua decisione.
Alzandosi e dirigendosi verso la veranda, Seimei osservò l’albero di canfora piantato nel suo giardino. Una corda decorata con fazzoletti bianchi era legata attorno al suo tronco e tra le radici si trovavano diverse offerte di fiori e frutta. Tutto attorno la vegetazione cresceva rigogliosa e un intenso profumo di gelsomino riempiva l’aria. Anche in quella pianta albergava un seirei, uno spirito guardiano, e, benché differente, anche la sua storia parlava di una morte violenta. La donna, infatti, si era impiccata ai rami dell’albero in seguito alla morte della figlioletta adorata e, traata in preda al dolore, la sua anima era rimasta imprigionata nell’albero di canfora per mille generazioni, fino a divenire un seirei.
Ma da quante generazioni lo spettro del cavaliere era imprigionato in quel pino? E, se mai nessuno aveva portato offerte o recitato preghiere per la sua anima, che tipo di guardiano poteva mai essere lo spirito che albergava in esso? Seimei strinse i pugni e seguì i i delicati della donna in abito bianco che eggiava accanto alla canfora. I lunghi capelli neri le coprivano il viso, ma le sue mani erano grigie e le unghie dei piedi ormai annerite. La osservò chinarsi verso un fiore e sfiorarne i petali, facendoli apire, mentre una lacrima cadeva sul terreno facendone sbocciare altre decine. Egli stesso aveva dovuto lottare per pacificare il seirei dell’albero del suo giardino e ora la loro convivenza era serena. «Ma Noritake non comprende il valore di un guardiano, a quanto pare» disse, voltandosi di nuovo verso l’interno della stanza.
Sul tavolo un mazzetto di pergamene bianche e dell’inchiostro lo attendevano e,
con un sospiro rassegnato, l’onmyōji si sedette e cominciò a vergare i suoi più potenti incantesimi sulla carta, così da farne talismani in grado di contrastare anche il più antico degli spiriti.
La luce argentea della luna filtrava dai tramezzi di carta e legno impedendogli di dormire. Il Consigliere Noritake si mise seduto sul futon e strinse il lenzuolo fra le dita. La visita di Abe no Seimei lo aveva turbato e, voltandosi verso il giardino, sentì un brivido attraversargli la schiena. “Che ci sia davvero un seirei, uno spirito guardiano, in quell’albero?”
Aveva compiuto tutti i riti di purificazione richiesti sia quando aveva preso possesso della residenza, sia quando aveva deciso di abbattere quel dannato pino. «Allora perché?» domandò alla notte. Nessuno dei monaci che avevano visitato la sua casa aveva proferito parola sulla presenza di uno spirito e, dopotutto, egli stesso aveva sempre considerato sciocchezze le chiacchiere della dame della casa su oggetti che scomparivano misteriosamente da scrigni chiusi a chiave, per poi ricomparire giorni dopo in tutt’altro posto, e aveva sempre liquidato come inutili superstizioni le ansie degli operai che continuavano a fare offerte all’albero prima di mettersi al lavoro. «Tutto questo è ridicolo» disse, scostando con forza le coperte e alzandosi. «Se quel dannato albero non vuole andarsene dal mio giardino di suo spontanea volontà, spirito o meno, sarò io stesso a sradicarlo. Questa è casa mia, dopotutto».
Così prese con sé la spada e uscì sotto la luce della luna. Il pino si innalzava fiero, come dipinto da inchiostro nero su una tela bianca, di fronte ai suoi occhi. I rami erano protesi verso l’astro che splendeva in tutta la sua luce. Il consigliere serrò il pugno sull’impugnatura della propria arma. Se quella pianta fosse stata in un bosco o nel cortile di un santuario, forse si sarebbe lasciato commuovere dalla sua languida bellezza, ma lì, nel suo giardino, essa rappresentava un affronto. Sì, Seimei aveva ragione. Ormai era una sfida, una sfida tra lui e il seirei di quel pino secolare.
«Maledetto!» gridò Noritake, calando il primo colpo di spada.
Ma la lama non colpì, come spesso era accaduto alle scuri degli operai, il tronco durissimo. Un suono argenteo, di metallo contro il metallo, riecheggiò insieme al vento nella notte silenziosa.
Il Consigliere alzò lo sguardo e sgranò gli occhi di fronte alla figura imponente che gli si parava di fronte. Un uomo, bellissimo nei lineamenti e dal fisico asciutto, si frapponeva fra lui e l’oggetto della sua ossessione. Un guerriero con indosso un candido kimono, i cui ricami rosso sangue ricordavano i rami sottili del pino e i suoi aghi protesi verso la luna, e pantaloni neri come la notte, legati attorno ai polpacci dalla corda di sandali di paglia.
«Chi accidenti sei tu?» tuonò Noritake, portando un secondo attacco.
Il guerriero allora schivò, rapido, la lama della spada diretta verso il suo cuore e si scostò di lato. In quell’istante il Consigliere notò che non erano ricami quelli che decoravano il kimono dello sconosciuto, ma schizzi di sangue rappreso e che il volto del suo avversario non era pallido, come quello di una dama, ma grigio, cinereo, come quello di un…
«Cadavere». Ancora una volta la voce alle sue spalle fece sobbalzare Noritake. «Spostatevi, Consigliere» ordinò Seimei, mentre lo spirito calava sull’uomo colpi via via più potenti che lo costringevano ad arretrare.
«Che fate voi qui?»
L’onmyōji scosse il capo, ma lanciò ugualmente uno dei sui talismani contro il guerriero. «Contro ogni mia aspettativa, vi salvo la vita, Consigliere» rispose.
Noritake tuttavia, fremente di rabbia e con gli occhi iniettati di odio e di sangue, si scagliò nuovamente contro lo spettro. Le loro spade si incontrarono, scintille simili a lucciole sfavillarono nella notte raggiungendo il tronco del pino.
«Fermatevi Consigliere» ordinò Seimei.
Ma come in preda a una follia ultraterrena, Noritake continuò a scambiare con lo spettro fendenti sempre più decisi, mentre alle loro spalle le fiamme divampavano e avvolgevano il tronco del pino in un abbraccio di fuoco.
«Consigliere» lo chiamò di nuovo l’indovino, ma senza successo. Di fronte ai suoi occhi l’albero custodito dall’antico seirei era in fiamme e con esso anche lo spirito del guerriero prese ad ardere come una torcia. Anche i suoi occhi ardevano, il suo sguardo era furente e la potenza del suo braccio vigorosa come quella di un dio o di un demone. Un vento impetuoso si agitava attorno alla sua figura, alimentando le fiamme, e contro il suo corpo solido quanto il tronco che lo aveva ospitato per secoli, i talismani del mago si incenerivano in pochi istanti. E, tuttavia, Noritake non accennava a volersi fermare. Continuava, incurante delle ustioni che egli stesso stava riportando, a duellare con lo spettro, affondando e parando, sfuggendo i sui colpi e attraversando le fiamme con la propria spada. «Vi ucciderete» lo ammonì di nuovo l’ onmyōji, mentre con i talismani formava un cerchio protettivo così da impedire al fuoco di divampare oltre.
«Non intromettetevi» ordinò il Consigliere.
«È un vostro antenato» insistette l’indovino.
Ma il dignitario, ormai succube della propria follia, non sembrava averlo sentito. E mentre alle sue spalle il maestro onmyōji recitava gli incantesimi, il Consigliere Noritake si gettò tra le fiamme, affondando la lama nel petto del seirei. Una vampata si alzò fino al cielo, avvolgendo entrambi ed incenerendo del tutto l’albero secolare. Così, come un urlo nella notte, tanto rapidamente era divampata, altrettanto velocemente si spense.
Abe no Seimei chiuse gli occhi e recitò una preghiera per le anime dei defunti, ma quando sollevò lo sguardo vide la luna attraverso i rami sottili del pino e sul doppio tronco, annerito e contorto, le ombre formavano immagini spaventose, simili a maschere di demoni, simili a volti di guerrieri in lotta.
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