Marco Merisia
5 Ore
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Table of contents
5 Ore © Marco Merisia Italia, ____________ ISBN-13: ISBN-10: Graphic by: 2 4 6 8
5 Ore
5 ORE
© Marco Merisia
All rights reserved
Italia, ____________
ISBN-13:
978-1512352696
ISBN-10:
1512352691
Graphic by:
Selfmadepixel
all right reserved
Dedicato a tutte le persone che hanno ancora il coraggio di amare e di essere amate .
1
Ancora un altro inverno. Ancora un altro anno. Milano è molto più bella colorata di bianco. Spazzaneve qua e là… clacson… La città stava iniziando a svegliarsi, mentre il sole sorgeva facendosi largo tra le ombre.
La sveglia squillò, più di una volta. Federico la sentiva e la guardava con occhi stanchi e depressi. Allungò la mano con molta calma e la spense. Si mise a sedere sul letto, gettò uno sguardo alla camera… Vestiti sparsi qua e là. L’armadio semiaperto era in disordine e non si distinguevano tra loro i pantaloni dalle maglie o dalle felpe. Dalla finestra filtrava poca luce; su una scrivania stava il portatile dello scrittore, circondato da pacchi di patatine, sigarette e altre cianfrusaglie varie. Quando Elisa ancora abitava con lui, la casa era molto più ordinata e pulita. Federico guardò la sveglia: segnava le otto in punto. Si alzò dal letto e sbatté i piedi contro una bottiglia di whisky.
La presenza di quella bottiglia d’alcool completamente finita era più che giustificata per un uomo di quarant’anni, divorziato, con una vita alle spalle provata e complicata. Federico era uno scrittore, su questo non c’erano dubbi ma non
aveva mai avuto molta fortuna in questo settore. Il suo unico libro pubblicato non aveva ottenuto il successo che si aspettava ma non si era mai dato per vinto; quello era il mestiere che voleva fare… la sua maledizione.
Barcollando si diresse verso il bagno, afferrò lo spazzolino e iniziò a lavarsi i denti dimenticandosi del dentifricio… Si accorse e si fermò, guardando la sua immagine riflessa nello specchio sgocciolato. La barba stava crescendo a dismisura; ormai da un po’ non curava più il suo aspetto. I capelli riccioluti e castani scendevano sulle sue spalle in modo non poco confusionale. Gli occhi stanchi e provati parlavano da soli ed una piccola smorfia sprezzante, segnava il contorno della sua bocca.
“Sei un bastardo” pensava, mentre si osservava con disprezzo. Sentiva che qualcosa in lui non andava. Forse era solo una mancanza di sicurezza o forse era il rimorso per le scelte compiute in ato. Qualunque fosse la causa Federico odiava se stesso, odiava il mondo, odiava la gente ed odiava la sua vita. Per questo scriveva; perché tra quelle mille parole morte e senza tempo, riusciva a vivere la vita che voleva lui, a creare il suo mondo, con i valori che lui voleva imprimere ma sempre con la
coscienza che la realtà non era come quella dei suoi libri… una maledizione quindi ma anche, allo stesso tempo, una benedizione.
Fece una doccia gelata per riprendersi dopo la sbornia della sera prima. Non era un alcolizzato, ma una di quelle persone che beveva per
dimenticare, o almeno ci provava. Quel detto “ ubriaco e sballato ” non si era mai dimostrato veritiero: una bottiglia tira l’altra e dal bere per dimenticare si a solamente a bere.
Sul tavolino del salotto stava il posacenere, il pacco di sigarette al suo fianco con l’accendino; nel lavandino della cucina i piatti aspettavano ancora di essere lavati e, a giudicare dal loro aspetto, anche da parecchio. Federico ava le sue giornate a mangiare cibo in scatola; era molto più sbrigativo, non c’era bisogno di ripulire niente e bastava solamente mangiare e buttare via.
Federico si avvicinò alla moka spenta sui fornelli; l’aprì per preparare il caffè. Era completamente annerita e sporca, per non parlare della puzza di bruciato che ne fuoriusciva. La rimise dov’era pensando che, forse, era meglio prendersi un caffè al bar.
L’ultima cosa che rimaneva da fare era fumare una sigaretta. Di prima mattina, appena svegliati, era un rituale obbligatorio.
Si distese nella vecchia poltrona che possedeva da più tempo di quanto riuscisse a ricordare. Era la poltrona dove suo padre stava ogni sera a guardare le soap opera ed era anche la stessa poltrona in cui
suo nonno si addormentava, per non andare a dormire con sua nonna. Così, era una tradizione per i maschi di quella famiglia possedere la magica poltrona, o quel che ne restava. Alcuni pezzi mancavano ed aveva strappi qua e là, inoltre era
un po’ storta… ma comunque era “La Poltrona” quindi, comunque comoda!
Federico portò al suo fianco il posacenere e accese la sigaretta. Il fumo iniziò a propagarsi per la casa. Non era nel suo stile aprire le finestre. Lui era un fumatore e quindi la puzza di fumo non lo disturbava affatto. Questo era uno dei tanti motivi per cui Elisa lo aveva lasciato un anno prima. Nulla di personale, diceva, ma quello che in realtà voleva dire, era che odiava l’idea di are la sua vita insieme ad un fallito trasandato, irresponsabile, cinico e scansafatiche. Non che Federico si sorprendesse di quei giudizi… erano più o meno le stesse motivazioni per cui lo aveva lasciato anche Giulia, quando era all’università e le stesse di quando sua madre lo buttò fuori di casa a 19 anni. Così, anche Federico, aveva iniziato a pensare che quelle critiche avessero un fondo di verità.
Nessuno, però, aveva mai parlato dei suoi lati positivi. Questo avrebbe spezzato qualche lancia in suo favore ma più ci pensava più si rendeva conto che i lati positivi erano di molto inferiori rispetto a quelli negativi. Nulla da ridire, quella era l’esatta situazione in cui Federico voleva trovarsi: la follia di un quarant’enne senza famiglia, divorziato,
alcolista e molto depresso… Tutto questo, era fonte di grande ispirazione per scrivere un romanzo avvincente.
Così venne fuori la sua ultima storia, il suo ultimo racconto, il suo ultimo tentativo per sfondare nel mondo della scrittura. Il romanzo si intitolava “ La natura morta ”, titolo regalatogli da Elisa che, prima di andarsene, disse che Federico poteva essere paragonabile, appunto, soltanto alla natura morta, ovviamente nel senso più dispregiativo possibile.
Così, questo romanzo raccontava, quasi per caso, di un saccente scrittore quarant’enne che scrive il diario della sua vita. Un racconto non proprio leggero, abbastanza drammatico ma con il classico tocco di Federico che cercava di imprimere a fondo le sensazioni dei personaggi, più che l’emozione della trama stessa.
A Federico quel libro non piaceva. L’aveva scritto perché era l’unica storia che potesse venirgli in mente. Per certi versi parlava di lui e quindi fu abbastanza semplice comporne la trama. Il suo difetto era che ava il suo tempo a cercare la storia perfetta, quella che spiazza i lettori, quella che prima fa gridare e poi piangere, poi ridere e sussultare… quella storia che non ha errori ma dettagli, non ha momenti noiosi ma eccitanti, quella storia che mescola con sapienza curiosità e fantasia e che colpisce nel profondo quella che è la realtà quotidiana… La storia metafora che piace a tutti: giovani, anziani, operai e medici… quella
storia che avrebbe potuto segnare un confine alla sua carriera, ai suoi sforzi, ai suoi desideri, perché con una storia simile gli sarebbe bastato un solo
libro, unico ed impareggiabile, pronto ad aprirgli le porte della gloria!
Purtroppo quella storia perfetta non gli era ancora balzata in mente e si trovava alle strette con il tempo e con i soldi. Così, un romanzo spazzatura era quello che ci voleva in un momento tanto critico.
Tanti e troppi i pensieri che incupivano Federico... Aveva già finito la sua sigaretta da diversi secondi ma era rimasto fermo, quasi in trance, prima di accorgersi che era del tutto consumata.
Il cellulare iniziò a squillare. Il rumore proveniva dalla camera. Con finta nonchalance Federico lo raggiunse e lo prese. Vide il numero del suo agente, Fred, sul display e sbuffò.
“Pronto” rispose Federico con aria seccata.
“Ehi vecchio mio! Come ti sei alzato stamattina? Hai preso gli antidepressivi che ti ho mandato? Sai, non sapevo che regalo farti e così…beh… ho pensato alla salute! Eheheheh” parlava frettoloso l’interlocutore.
“Lo sai che non ho bisogno di prenderli! E’ stato il regalo più inutile ed offensivo che io abbia ricevuto” replicò contrariato Federico.
“Ed è stato anche l’unico vero? Non prenderla come un fatto personale… io sto dalla tua parte! In fondo che cos’è un compleanno? Se non una geniale
trovata commerciale? Non preoccuparti, non servono i regali, li avresti sicuramente messi in un angolo e
te ne saresti dimenticato!” esclamò Fred, noncurante del tono infastidito dello scrittore.
“Arriva al punto, perché hai chiamato?” tagliò corto, rigidamente, Federico.
“Beh… innanzitutto per vedere se eri sveglio… Sai… i tuoi affari sono anche gli affari miei e dovevo accertarmi che non perdessi il treno… Giusto?” rise ironicamente ma quando si accorse che era l’unico a ridere, si schiarì la gola e riprese un tono contenuto.
“In ogni caso ti volevo dire che ho fatto leggere la prima del tuo libro ad alcune mie conoscenze… Strepitoso hanno detto! Strepitoso il fatto che tu abbia scritto ancora un altro libro, ma non preoccuparti, sono dei bastardi quelli! Il loro giudizio non conta niente, non sono dei critici… almeno non tutti! In ogni caso, volevo avvisarti che non riuscirò a prendere il treno; ho altri affari di cui occuparmi e mi vedo costretto a lasciarti andare da solo a Parigi. Ricorda che devi vederti con il tipo, Andrej, alle quattro pomeridiane nel lussuoso albergo Castille! Fagli due sorrisi… qualche complimento… ridi alle sue battute anche se sono pessime e dimostrati per quello che sei, leone!”.
“Devo solo consegnargli la copia del mio libro?” chiese Federico per nulla interessato alle fasulle moine del suo agente.
“Teoricamente si… ma sai come sono fatti questi tizi! Ti faranno sicuramente qualche domanda… Tu non
cedere! Quel libro è buono e noi lo sappiamo! Faglielo capire e vendi il tuo prodotto! Semplice no? ”.
“Certo, come no!?!” commentò sarcasticamente Federico.
“Riguardati. Ci sentiamo mentre sei in viaggio!” salutò Fred, chiudendo finalmente la chiamata.
Il suo agente era una di quelle tipiche persone che pagheresti per farle stare zitte almeno per un minuto. Federico, essendo di poche parole, non era mai riuscito a capire da dove Fred tirasse fuori tutta quella voglia di parlare, per la maggior parte, di cose totalmente banali né tantomeno, perché avesse così tanta voglia di fare battute poco costruite e sulla base di prese in giro e dannato sfottimento. Fortunatamente, oramai i due si conoscevano molto bene oltre al fatto, per nulla rilevante per lo scrittore, che erano anche parenti. Fred sapeva che non doveva dire troppe puttanate e Federico sapeva di non poter contare troppo su di lui, che molto spesso era meglio completare da soli certe questioni… o tutte.
L’amicizia tra i due era molto complicata, anzi… totalmente assente. Diciamo che si rispettavano, a grandi linee. Il problema più ricorrente era che Fred appariva, ed era, un approfittatore. Non aveva a cuore nient’altro che i suoi interessi! Federico, invece, era un uomo molto stressato mentalmente,
con nessuna voglia di sentirsi raccontare tante storie o congetture pragmatiche… insomma, i soliti dialoghi abitudinali con il suo bizzarro agente! Per quanto ne sapeva, Federico non poteva avere agente peggiore ma per uno scrittore fallito come lui, non si poteva chiedere di meglio.
Ora, però, avrebbe dovuto prepararsi. Non mancava poi molto alla partenza del treno. Una piccola parte di lui, forse, avrebbe preferito non andare…
Magari, alla sua età, era ormai venuto il momento di lasciar perdere i sogni e di vivere in quella triste e monocromatica realtà.
Federico era un minimalista, dunque non gli occorreva molto per partire. Prese il portafoglio, le sigarette, l’accendino e si diresse alla porta. In fondo tra pochi giorni sarebbe tornato e avrebbe ritrovato tutto esattamente come lui lo aveva lasciato.
Prima di chiudersi la porta alle spalle, si paralizzò istantaneamente, col pensiero di aver dimenticato sia le chiavi di casa che quelle della macchina, anche se, forse, avrebbe fatto prima ad andare a piedi e prendere la metro per raggiungere la stazione. A Federico non piaceva guidare, non gli era mai piaciuto, era troppo disinvolto e senza la minima premura in quello che faceva e, da quando guidava, non riusciva neppure più a ricordare tutte le multe che aveva dovuto pagare… Optò, dunque, per la metro.
Inutile perdersi a descrivere il semplice viaggio di una persona dalla sua casa alla metro e dalla metro alla stazione. Tralasciamo particolari del tipo: tutti i mozziconi di sigaretta che Federico si lasciò dietro lungo la strada, perso nei suoi pensieri, in mezzo alla gente… e ce n’era molta, quella mattina.
La metropolitana era piena zeppa, un tutto esaurito! Per Federico i volti della gente erano libri aperti… Ognuno con una storia diversa da raccontare: le sue paure, le sue gioie, i suoi ricordi felici e quelli tristi, le complicazioni, le soluzioni… Il viaggio della loro vita che li aveva condotti ad essere lì, presenti, quel medesimo giorno, in metropolitana.
Federico pensava molto, troppo, più del possibile. Per lui non era neanche più un gioco, come quando era bambino. Adesso faceva parte di lui immaginare storie, chiedersi che cosa pensava la persona al suo fianco, cosa si nascondesse dentro ogni casa della città, quando migliaia di persone si trovavano sedute a tavola per cenare con la propria famiglia… l’amante, il fratello, gli amici… oppure da soli… lo “ stile ” di Federico.
Lui era da solo, si, circondato da un mondo che ignorava la sua presenza. Una sagoma nera, così, come tante altre. Perlomeno, si diceva, “io c’ho provato”… ma provato a fare cosa? A sfondare con una storia stampata… ma, anche se ce l’avesse
fatta, cosa sarebbe cambiato nella sua vita? Odiava ammetterlo, ma lui non aveva niente, se non le sue storie.
Alla sua età, magari, avrebbe dovuto mettere su una famiglia, fare dei figli, amarli ed educarli. Ci rifletteva ogni tanto ma poi si diceva che andava tutto esattamente bene così! Lui aveva la sua libertà che non era cosa da tutti! Lui aveva la facoltà, la capacità e la volontà per fare quello che voleva, per gridare in faccia alla società che anche se si era portata via tutto, lui era ancora lì, a prendere il suo treno alla stazione: destinazione Parigi, la città dell’amore.
Una volta arrivato controllò quanto tempo aveva ancora prima della partenza. In ogni caso, il tempo di un caffè non era mai troppo lungo. A Federico piaceva molto il caffè delle stazioni, lo faceva sentire, in qualche modo, un viaggiatore, un pellegrino, uno… come dire… “ on the road ”.
Un sorriso alla giovane ed affascinante ragazza del bar ed un grazie quando le servì il suo nero caffè. Carina, non c’era nient’altro da dire. Si sarebbe sicuramente ricordato di lei e chissà, magari l’avrebbe resa partecipe di una sua storia… un personaggio oltre i personaggi. Dopotutto, nelle storie romanzate che parlano di cuori infranti, famiglie rovinate o uomini incazzati, ci stava sempre una barista.
A Federico piacevano anche le stazioni, sempre piene di gente che viene e che va. Curiosava tra i meandri della sua immaginazione, sfogliando le facce dei eggeri. Osservava i loro bagagli e si
divertiva a pensare cosa potessero contenere. Dopotutto, un uomo si vede da quello che porta con sé.
Lì poteva guardare le copertine di playboy, l’ultima marca di dopobarba, fantomatici preservativi alla frutta, pc portatili, smartphone, iphone, windowsphone… phone.. phone.. gente in viaggio di lavoro , turisti… e chi, a volte con uno sguardo troppo rassegnato, tornava a casa.
Ma fermiamoci qui… in fondo era solo il tempo di un caffè! Lasciò la moneta da un euro sul banco, distratto, e si allontanò.
Controllò il numero del binario dove sarebbe arrivato il treno che doveva prendere e si accorse che era già in stazione, così decise di salire; del resto… perché aspettare!?! Poi ci ripensò e si disse che, forse, prima sarebbe stato meglio fumarsi l’ultima sigaretta: 5 ore di treno sono 5 ore di treno …e di astinenza!
Caso o destino che sia, nel pacchetto era rimasta proprio l’ultima sigaretta.
Il pacchetto finì sotto la scarpa di Federico; la sigaretta, una volta aspirata avidamente, venne invece lanciata tra i binari, tra migliaia di suoi simili. Inutile rimandare l’inevitabile, ormai. Dopo
un breve sospiro di coraggio, Federico entrò nel treno.
Non era colpa sua se quella mattina era così diffidente, così negativo; se anche il suo ultimo briciolo di speranza era stato spazzato via dalla triste realtà. Aveva già avuto, nell’arco di un anno, sei incontri con agenti editoriali: Germania, Austria, Svizzera e Italia ma nessuno aveva voluto prendersi la briga di vendere il libro di Federico. Pensava che anche questo viaggio sarebbe stato la solita disfatta della sua autostima, che già si trovava, comoda comoda, a respirare la polvere sotto le sue scarpe!
La Francia…! Non ci era mai stato. Non ne masticava tanto, del se ma azzeccava qualche parola qua e là. La verità era che a lui non piaceva viaggiare. Preferiva l’armonia di casa, anche di una casa come la sua, piena di brutti ricordi, false speranze e, soprattutto, piena di sporcizia. Tuttavia era un luogo conosciuto, qualcosa che non gli avrebbe fatto del male, un posto dove non avrebbe dovuto atteggiarsi, né perdersi a pensare alla macchia sporca sui pantaloni (che solitamente è un’ innocua macchiolina destinata a svanire).
Il suo posto nel treno era il numero 16. Come di solito ci si aspetta, il numero ha un significato estremamente curioso, che spesso nasconde un messaggio lasciato al personaggio. In questo caso
non era così, perché il 16, per Federico, non contava proprio nulla!
Il posto era vicino al finestrino e, per questo, Federico ringraziò Trenitalia; non era stato Dio ad avergli attribuito quel posto!
Non aveva bagagli, perciò tutto quello che gli restava da fare, era sedersi. Le persone iniziarono a “popolare” i vagoni del treno. Dapprima personaggi tranquilli che, senza fretta, trasportavano borsoni e cercavano il posto che gli era stato assegnato poi i ritardatari che sanno di dover salire in fretta nel treno per non perderlo… normale routine del eggero.
L’Aria condizionata era accesa e mandava calore. Federico ci posò la mano, accarezzando l’aria che scorreva tra le dita. Già pensava a cosa avrebbe potuto fare durante il viaggio: dormire o are 5 ore a pensare, immaginare storie, farsi gli affari delle altre persone. Per il momento era da solo, un posto occupato, circondato da altri tre.
D’altra parte, per lui sarebbe stato meglio starsene in compagnia di se stesso. Al di là del fatto che era abituato a stare da solo e che era una cosa che riusciva a fare molto bene, preferiva la solitudine perché durante i viaggi lunghi in auto, in treno o in aereo, a lui non piaceva conversare, né gli piaceva che altre persone, a lui sconosciute, lo osservassero dormire. Era un fissa stupida e malsana lo sapeva, ma pensava che, per una persona, dormire fe parte della sua intimità e lui amava molto la privacy.
Inoltre, ritenendo il mondo un luogo poco sicuro, non sapeva chi avrebbe potuto sedersi al suo fianco. Poteva essere un terrorista, un uomo con
certe tendenze tutt’altro che etero, una vecchia signora in crisi d’età che non aspettava altro che raccontare, al primo che a, tutta la storia della sua vita… “di quando era giovane e c’era la guerra”.
Ma quel giorno Federico dovette ammettere che, a volte, si poteva anche sbagliare… perché alla fine, la persona che si sedette nel posto davanti a lui era tutt’altro che una visione di tristezza e rottura di scatole!
Per un uomo come lui che non possedeva una visione eccentrica della vita, che si accontentava della birra quando il vino non c’era - o il contrario - che era intrappolato nella spessa ragnatela che bloccava la sua testa impedendo ogni fuoriuscita d’aria - per evitare che pensasse troppo e si fe del male - bastava dire: bionda, con vanitose sfumature rosse… vanitose perché esattamente come dovrebbero essere per dare quel tocco affascinante e stravolgente… giovane, snella e contornata da quei lineamenti sottili e delicati che ostentano forme raggianti e misteriose. Pirati di ogni tipo rincorrerebbero un tesoro simile!
Ma per Federico quei semplici dettagli non bastavano.
Il tuffo al cuore non gli fu dato tanto dall’aspetto della ragazza, bensì dal sorriso che lei gli lanciò
quando posò la borsa nel proprio posto. La parte “a luci rosse” arrivò dopo, quando la giovane dovette sollevarsi in punta di piedi per mettere la sua valigia nello scomparto sopra i sedili. A
Federico, in un quell’istante, cadde l’occhio… e non si preoccupò di “raccoglierlo”!
Rimase incollato a guardare la “spaccatura” naturale tra la maglietta e i jeans ma quel momento scandaloso, seppur del tutto ovvio, finì trepidamente non appena la valigia fu messa a posto e la ragazza si riabbassò, mettendosi a sedere.
Federico distolse lo sguardo, facendo di finta… di fare finta di niente. Dopotutto era solo una bella ragazza come ne aveva viste tante, ma qualcosa di indescrivibilmente innaturale e dalla presenza ingiustificata si faceva largo tra la marea di sentimenti confusionari, all’interno del corpo spirituale dello scrittore…
Il treno finalmente iniziò a muoversi lasciando l’ormeggio e allontanandosi, lentamente, dalla stazione che, dapprima gigantesca e maestosa, divenne presto nient’altro che un puntino in lontananza… un puntino sul ato… così come tanti altri.
Federico, da buon pensatore qual’ era, si abbandonò al ritmo frenetico delle ruote sui binari, allo scorrere del paesaggio, alla vista accecante del sole. Testa appoggiata al finestrino ed occhi aperti, in stato di standby, con la “copertura” di essere ben sveglio ma con la mente chissà dove.
Certo, non che ci fosse poi tanto da vedere. L’ Interland milanese è, perlopiù, caratterizzato da alberi, pianura, alberi e… pianura.
Ma quello a cui ambiva il percorso del treno erano le montagne che si profilavano alte e possenti, ricoperte di bianco. Di quel bianco “ che dona ”, diceva Federico.
Non era la prima volta che si trovava a dover oltreare i valichi delle Alpi ma questa cosa, in lui, produceva sempre un effetto strano. are attraverso le montagne, a volte anche entrarci dentro tramite le gallerie, gli procurava quella sensazione di onnipotenza che la maestosità dell’altezza rievoca nell’animo umano.
Le montagne ispiravano allo scrittore l’ignoto, il pensiero che da lì in poi “non sai cosa c’è” e non perché non lo sai realmente, ma perché non lo vedi… e così, le montagne, segnavano quel confine naturale che c’è tra realtà e fantasia. In entrambi i casi, non sai mai dove vai a finire.
Federico era una di quelle persone che, “ nel mezzo del cammin di nostra vita ”, iniziava non più a porsi domande ma ad accettare il fatto che la vita va così come deve andare… o come vuole andare.
E’ che dapprima, quando sei giovane, ti fai tante domande e cerchi di trovare un senso laddove un senso probabilmente non esiste e ti chiedi il perché di ogni cosa che ti accade intorno e cerchi di cercare un lato positivo anche quando ciò che
ti circonda ti riempie di dubbi, paure, distrazioni, sofferenze e, la piaga più grande di tutti, di rimorso… o pentimento… il pensiero costante che “avrei potuto fare diversamente”. Ma solo quando il tempo a e la pelle che abbiamo speso così tanto tempo ad abbronzare e a tenere da conto si colma di grinfie e rughe, ecco, lì ti rimangono solo accidenti… lì la domanda non è più “avrei potuto” ma si trasforma in una pacata esclamazione con sottili note di cinismo e terrore: “cosa succederà adesso?”. La verità è che tutti abbiamo i giorni contati. Come ogni buon calendario che si rispetti anche noi abbiamo il 31 dicembre, la fine del vecchio e l’inizio del nuovo… se capite ciò che intendo.
Federico si trovava in quell’esatta posizione: nel momento in cui ci si rende conto di avere solo una vita e che il mestiere che l’uomo svolge quotidianamente e con ammirabile caparbietà è quello di prendere la vita e buttarla - letteralmente non parlando - nel cesso.
Chissà quante cose avrebbe voluto fare e quante cose fatte avrebbe, volentieri, evitato.
La verità è che quest’esistenza universale chiamata vita, sistema perverso e con infinite cause collaterali è dettato, diretto e prodotto, solamente da infiniti attimi casuali che si scontrano con altri infiniti attimi casuali creando scompiglio e panico. Panico che può essere gestito in due modi: al positivo o al negativo; se le
cose ti vanno male sorridi, così magari l’universo penserà che sei immune ad ogni sorta di tortura e potrebbe farti capitare qualcosa di bello.
“Prendi la vita per esasperazione” pensava Federico.
Certamente lo scrittore non si poteva definire come una vera e propria persona che svolge la sua funzione abituale al positivo… ma neanche al negativo; diciamo che era a metà. Nella metà esistono le vie di mezzo e le vie di mezzo sono il centro, come la metti la metti. Chi è a metà non ha altro che la metà! Chi chiede di più è avido, chi ha di meno è una vittima, chi ha di più si sente superiore, chi vuole di meno è stupido e chi non vuole niente… è un illuminato e non nel senso di elettricista! – un uomo che prende quello che viene e lo accetta così com’è, perché la vita, anche se a primo impatto può sembrare un po’ scorbutica, in realtà lavora sempre a tuo favore… perché nell’universo non possono esistere incompletezze ma solo imperfette perfezioni.
A Federico piaceva molto interrogarsi, porsi domande del quarto tipo - quelle del primo sono “Eh?”, del secondo “a che ora si mangia?”, del terzo “mi hai tradito?” e del quarto “perché dio ci ha creati
a sua immagine e somiglianza? Con tutto quel potere non poteva farci venire anche un po’ più belli?”.
Tuttavia, domande di questo genere non portano quasi mai a nulla di buono, perché a quel punto la vita non la vivi più come partecipante ma come osservatore e anche se trovo ammirevole l’arte dell’osservare essa non è… come dire... apparentemente sociale ma con un bell’“ anti ” di fronte all’ultimo sostantivo! Non ti soffermi più a godere dei piaceri della vita ma, al contrario, quando arriva il piacere, inizia il terzo grado, del tipo “ Cosa vuoi? Chi ti conosce? Perché esisti? ” Inutile negarlo: la mente è una macchina da guerra!
Quella di alcuni funziona un po’ come un disco rotto ma quella di Federico lavorava 24 ore su 24, come uccello del malaugurio!
Il cinismo, però, non era la caratteristica peggiore dello scrittore, anzi, se paragonata alle altre, forse, era un pregio. Ovviamente anche Federico aveva la sua giustificazione, falsificata naturalmente!
La sua infanzia si era basata soprattutto sul “ non fare questo e non fare quello ma fai esattamente quello che ti dico ” – famoso aforisma del padre – .
Era sempre stato un bambino problematico, uno di quelli che giocava da solo per cui, agli occhi di tutti, appariva come un fatto “ raccapricciante ” , considerato come una “ tragedia ”. Ma Federico aveva i suoi amici… immaginari ovviamente ma perlomeno ne aveva parecchi e questo favoriva
l’emarginazione del ragazzino. Ma aveva un desiderio… che si tramutò in ione… ed infine in un sogno lontano, perché quando era ragazzino sapeva esattamente quello in cui credeva e quello su cui avrebbe scritto. Peccato che, crescendo, un uomo perde credibilità se vive troppo nella fantasia. Così lo scrittore si trovò ad un bivio inevitabile: sopportare la solitudine, i giudizi e le critiche che riceveva abitualmente, o adattarsi e seguire lo schema. Scelse la seconda direzione.
Certo è che lo fece comunque a suo modo, da primo attore com’era nel suo stile.
Quello che tutti sanno è che, appunto, in un film, è proprio il protagonista ad avere ogni sorta di problema, di avvenimenti devastanti, di avventure sconvolgenti e straordinarie rivelazioni, (che più o meno erano state le caratteristiche della vita di Federico… togliendo magari aggettivi quali straordinarie e sconvolgenti) ma quello che tutti vorrebbero credere è che, alla fine, il protagonista si aggiudichi il suo “felice e contento”. I martiri sono ormai fuori moda!
Nonostante tutto, Federico era riuscito ad ottenere una quiete innaturale che era sostanzialmente e incondizionatamente… innaturale appunto. Nonostante i suoi fallimenti in amore, in amicizia, il fallimento come figlio e gli straordinari fallimenti del conto corrente, lui aveva raggiunto una sorta di “pace minacciosa”. Una sorta di accettazione della realtà, una macabra, malinconica felicità. Federico
aveva un’anima sensibile, catapultata nel pianeta terra.
che sarebbe il grasso in avanzo dell’universo e i cuori docili come il suo, in un mondo temprato e lavorato a prova di pallottola, hanno solo due scelte: indurirsi e sopravvivere o diventare i servi di qualcuno o di qualcosa. In entrambi i casi, un uomo resta sempre schiavo di qualcosa, che sia la dipendenza dalle sigarette, da se stessi, dipendenza d’amore. C’è poi chi dipende dai profumi, la pericolosa dipendenza da “ciò che pensa la gente”, la dipendenza dal non avere dipendenze, la dipendenza dal lavoro o dalla libertà o, esagerando, la dipendenza dall’acqua, materia prima necessaria alla continuità del corpo che, pur essendo indispensabile, può creare dipendenza se pensiamo di quanta acqua abusiamo ogni giorno. L’uomo dipende. Diciamo che, la cosa che ci resta da fare, è soltanto scegliere le giuste dipendenze.
Federico era una di quelle persone che realizza, nel momento in cui lo ritiene più opportuno, che la vita ha una vita propria; che l’universo non si sa come - né il nesso logico - ha una ruota che gira in continuazione e che fa capitare, secondo regole precise, tutto ciò che desideri accada… “Prima o poi la fortuna girerà dalla tua parte, a condizione che, però, prima avesse girato solo la sfiga”! Così, se la sua vita non era esattamente come se la immaginava o come voleva che fosse, non dava la colpa a se stesso che, teoricamente, avrebbe dovuto fare in modo che la ruota girasse solo nel senso in
cui lui voleva che girasse ma affibbiava la colpa, molto più comodamente, a cause astratte e a dir poco soprannaturali delle quali, le più gettonate, erano Dio – Madre Natura – Karma – Destino.
2
Di viaggi tridimensionali ne facciamo continuamente, senza nemmeno renderci conto se questo sia un fatto di spirito, materia o di qualche traccia, non perfettamente organica, che si diverte a stare “un po’ di qua e un po’ di là”.
Sul finestrino era rimasta la traccia lasciata dalla “capa” di Federico che ora stava iniziando veramente ad annoiarsi, poiché i pensieri erano tanti, molti, esagerati ma il tempo non era amico del pensiero e, sebbene alcuni pensano che pensando il tempo i più veloce, in realtà non è così, o almeno non era così per lo scrittore che sfornava pensieri ad una velocità da fare invidia alla luce… metaforicamente parlando si intende!
Non era ato molto dalla partenza. Il treno ancora si snodava tra la pianura padana, seguendo la sua pista come un serpente ubriaco.
La ragazza avanti a lui si era messa a leggere un libro (chissà da quanto, poiché fino a quel momento Federico era stato un’ ameba pensante e, a dir poco, interattiva); sulla copertina azzurra, tenuta abbassata dalle le sue mani, era nascosto il titolo.
Federico odiava i libri che non erano prodotti dalla sua mano (così come odiava tante altre cose al punto che diventava una gara con se stesso su quante cose un uomo potesse giungere ad odiare), non perché non amasse leggere, o perché quando era piccolo a scuola la maestra lo bacchettava quotidianamente, per non parlare delle tirate di orecchie che, tutto sommato, avevano lasciato un trauma in saldo, di quelli che contano poco e di cui un “ onesto commerciante ” vorrebbe sbarazzarsi il più in fretta possibile (pena la rovina di una fornitissima vetrina guarnita di innumerevoli traumi: Traumi d’amore – Traumi di morte – Traumi di un soldato che è stato in guerra per tanti anni e dopo tutte le bestemmie e le maledizioni lanciate ai soldati nemici e poi tutti i ringraziamenti a Dio e all’Universo per essere riuscito a sopravvivere, torna a casa e scopre che quella che doveva essere sua moglie ad aspettarlo, sì lo aspettava, ma nel letto insieme al vicino di casa…).
In ogni caso, Federico odiava gli altri libri per un motivo pressoché egoistico: il fatto era che non riusciva a capire perché i suoi libri non andassero e, di contro, vedeva arrivare il primo sprovveduto con la classica storia strappalacrime, con i classici personaggi, le classiche ambientazioni, i classici avvenimenti e… classicamente parlando, il suo libro diventava un libro di “classe”. Federico cercava l’originalità e si scontrava con le banalità. Dire che non leggeva non era del tutto corretto; lui
leggeva, non molto spesso ma abbastanza per definirsi un lettore – persona che legge che può essere un quotidiano, un fumetto o semplicemente la lista della spesa – . Il suo problema non era il modo di scrivere; in questo se la cavava genialmente bene. A lui mancava una trama, una vera storia.
Quando era giovane, di storie ne aveva a bizzeffe ma, per motivi oscuri, nel tempo scomparvero totalmente dalla sua mente. Non ricordava nulla dell’immaginazione fervida che aveva quando non era altro che un ragazzino, così doveva sforzarsi il doppio per smettere di pensare alla sua vita e alle cose che gli erano andate male e che lo avevano fatto soffrire. Doveva concentrarsi su una storia… e non una storia mossa da un irrazionale pensiero del tipo “ sono uno scrittore quindi scriviamo un libro ”. Ci voleva ione e, se ione non c’era, ci voleva umiltà, perché le parole di un libro conquistano solamente se c’è l’emozione, il sentimento e, tra le tante, un pizzico di verità.
Il libro di Federico - quello che stava andando a presentare - non era altro che l’ ombra di una vera e propria storia – ; basti dire che il finale era stato tagliato di ben venti pagine, perché non aveva voglia di finirle e la motivazione era che aveva, semplicemente, perso la sua motivazione! – .
Ora non scriveva più perché amava quello che faceva; ora scriveva solo per abitudine, perché era una cosa che gli riusciva… bene o male gli riusciva. Così si era adattato e si era detto che, se nella sua
vita doveva essere qualcuno, non avrebbe potuto essere altro che uno scrittore. Che, tuttavia, non è un pensiero brutto ma, visto con gli occhi di Federico ovvero che qualsiasi altra cosa fe, poteva andare solo male e che, nonostante sentisse di fare schifo nello scrivere non faceva, né pensava di fare, nulla per migliorare - allora il pensiero risultava del tipo “Mi rassegno a questa vita”.
Ora osservava distintamente, inarcando leggermente il sopracciglio, la ragazza. Ricordò la prima volta che vide Eleonora… ricordò il timore che aveva provato quando si disse “ lei è quella giusta per me ” e le frasi d’amore come “ staremo insieme per sempre ” o il tatuaggio che portava nascosto con le iniziali “ FE ”. Certo, allora erano ragazzi e i ragazzi l’amore lo conoscono e lo sanno portare avanti. I problemi arrivano dopo, quando fanaticamente, crescendo si sente l’esigenza di avere di più o di cambiare ciò che si ha perché non è abbastanza.
Federico aveva amato Eleonora, a modo suo magari, ma non aveva mai creduto all’amore inteso come “eternità”. Secondo lui i felici e contenti, alla fine, si concludono sempre con le carte del divorzio!
Lui non si era mai lasciato andare del tutto in una relazione di coppia perché l’aveva sempre vissuta col pensiero che, prima o poi, doveva probabilmente e, contro ogni probabilità di improbabilità, finire.
Federico preferiva attaccarsi alle cose che sapeva non avrebbero mai potuto tradirlo, come le
sigarette, ad esempio. Bene o male che facciano, loro te lo dicono dove ti porteranno: la scelta spetta a te.
Ma prima di Eleonora, prima di lei, c’era stata Giulia, che forse era stato l’unico vero amore provato da Federico.
Strano come le persone siano sempre pronte a fare scelte ma mai pronte ad affrontarne le conseguenze; come se, quando arriva il conto da pagare, pensano che avrebbero potuto ordinare meno da mangiare o digiunare del tutto.
Con Giulia fu tutta un’altra storia. Quando stavano insieme, abbracciati, si poteva distinguere, tra l’indistinguibile, un’aura d’argento scintillante che li ricopriva… si assaporava quell’energia sottile che, per un ignorante, poteva essere definita solamente come “amore”. Ma era di più… era l’unione delle calamite, era l’equilibrio, erano la coppia che era nata per esserlo. Nulla di più, nulla di meno.
Un innocente ed improvviso scossone nei binari riportò Federico alla realtà.
Il vagone era immerso in un deprimente silenzio, spezzato dal costante rumore del treno e dalla tastiera di un portatile. Nei sedili opposti a Federico stava un uomo anziano che batteva freneticamente le dita sulla tastiera, scrivendo chissà che. Lui quel rumore lo conosceva molto bene.
Nel frattempo la probabile cerniera di una valigia sbatteva a ritmo di binario sul ferro, lanciando un ticchettio nervoso all’interno del vagone.
In lontananza, quasi in un altro mondo, a distanza di circa cinque metri, un’apparente voce femminile, ma dal contorno di un orango che ha imparato da poco ad unire correttamente vocali e consonanti in modo da formare delle frasi – anche se non del tutto di senso compiuto – stava intonando il suo dialogo (di cui è meglio non fare menzione).
I dettagli che circondavano lo scrittore non erano poi così eccitanti. Erano l’insieme di burrascosi suoni che apparivano alle sue orecchie, attente, come un’orchestra disorganizzata, così Federico concentrò la sua vista sulla ragazza davanti a lui. Lo incuriosiva. Osservò distrattamente il bel volto di lei, scorse un timido neo che prima si nascondeva alla sua vista, appoggiato saldamente allo zigomo destro e, guardandola con attenzione, poteva anche svelare l’opaco trucco che le coloriva le guance. I suoi occhi che ora scoprì essere verdi, erano contornati di nero, così da favorire il mistero e il fascino degli stessi. Le mani, sottili, tenevano dolcemente il libro e voltavano le pagine con la stessa precauzione che usa un soldato quando toglie la sicura prima di sparare. La sua gamba sinistra stava a cavalcioni sopra l’altra e ogni qual volta un ciuffo ribelle e, con un gran senso dell’umorismo, si rovesciava davanti agli occhi di
lei, con la mano compiva il classico “tic”… gesto… delle donne (e anche di alcuni uomini).
Era quasi tentato di dirle qualcosa, si, qualcosa del tipo “ Ciao !”… No no (chi mai direbbe ciao a una persona che non conosce… gli suggerisce il sarcasmo)… qui ci voleva qualcosa di più originale o lei non avrebbe avuto il desiderio di rispondergli o lo avrebbe fatto solo per educazione. Serviva una frase d’effetto; del tipo “ Ehy !” (occhiolino) ma di certo, dopo, avrebbe pensato “ questo qui mi si vuole solo fare ” e sarebbe stato un dispiacere… in ogni caso!
C’era quasi… la sua bocca stava per ribellarsi alla mente che chiamava a sé tutti gli organi del corpo per contrastare quella rivoluzione… e squillò il cellulare. Classica ironia universale!
Federico tirò fuori dalla tasca il cellulare rimanendo per un attimo a pensare se rispondere o meno, quando vide che a chiamarlo era il suo agente… (che, tra l’altro, forse era l’unico che ancora lo cercava).
“Pronto” meccanicamente lo scrittore rispose, portandosi il piccolo mezzo di comunicazione all’orecchio.
“Ehy! Non riattaccare! Lo so che non vuoi che la gente… e in questo caso io… Ti chiamo solo per sapere come sta andando il viaggio… quindi, se ancora sto parlando significa che, per ora, non mi hai chiuso il cellulare in faccia e perciò… come stai? Sei in viaggio?” La voce dell’interlocutore provocava
un nervosismo inspiegabile e non giustificato – forse solo un po’ – nella mente di Federico.
“Lo so che mi hai chiamato per ricordarmi qualcosa quindi non perdere tempo e arriva al punto”.
“… …” nessuna risata di compagnia “Ehm… si beh… ho parlato poco fa con Andrej e mi ha detto che farà un po’ tardi all’appuntamento… sai com’è... è un se… un po’ di trucco qua un po’ di trucco là… metti la cera togli la cera… quella roba là!”.
“Non è una filosofia se” osservò, contrariato ma rassegnato, lo scrittore.
“In ogni caso l’appuntamento è rimandato di due ore… circa… un po’ più un po’ meno che differenza fa, sarai ad aspettare a Parigi!!! Fatti un giro, beviti una birra… ma non ti ubriacare! Tieni il gomito basso… se capisci ciò che intendo. Non vorrei che al tuo primo vero incontro con una persona professionalmente fidata ti mettessi a vomitare come un water che sgorga! Eheheh”.
Quello era uno di quei momenti in cui Federico avrebbe picchiato Fred.. peccato che fosse presente solo la sua voce, peraltro odiosamente logorroica.
“Ah… vestiti bene, mi raccomando. Questa è gente che ci tiene molto all’immagine e tu, di solito, sembri solo un barbone ripulito…. Almeno ti sei pulito?”.
A quella domanda lo scrittore non sapeva cosa rispondere. Era evidente che la ragazza stava ascoltando la conversazione, anche se involontariamente e sentiva quello che rispondeva Federico. Lui non aveva alcuna intenzione di fare
brutta figura. Cosa avrebbe potuto rispondere? “Si mi sono lavato?”…
Così prese la decisione più corretta: cambiare argomento.
“Due ore di ritardo, una birra, ok… c’è altro?” questa volta il suo tono era molto seccato ma controllato, per non dare l’idea alla ragazza che stava parlando con qualcuno che non gli andava perfettamente a genio (e di genio, lì, non c’era traccia) così il tono che ne risultò era del tipo “pacatamente seccato”.
“Credo di no. Fa buon viaggio, non fumare troppo e non dormire… non vorrei che ti risvegliassi in un qualche posto ambiguo dove i maschi si vestono con gonnelline e le donne come dei boscaioli appena entrati nella congrega del “miglior taglialegna dell’anno””.
“Ma che cazzo…!” l’esclamazione arrivò... Semplicemente arrivò ma Federico riuscì a fermarla in tempo. Incrociò per un istante equivalente a un millesimo di secondo lo sguardo di lei. E’ che la sopportazione che aveva nei confronti del suo agente aveva un limite… e la pazienza di Federico equivaleva a quella di un cocainomane strafatto.
“Va bene capito! Ti richiamo più tardi” tagliò corto lo scrittore chiudendo la chiamata e spegnendo il cellulare, onde evitare altre conversazioni spiacevolmente imbarazzanti.
Ora non c’era niente che potesse fare se non aspettare; aveva già rinunciato in partenza ad attaccare bottone con la ragazza.
Dopotutto, era solo una eggera che sarebbe scesa alla sua fermata e sarebbe andata per la sua strada, qualunque essa fosse, mentre Federico sarebbe andato al “patibolo”. Voleva che il suo libro vendesse ma con quale coraggio si sarebbe presentato all’ennesimo agente editoriale? Era inutile continuare a prendersi in giro; quella non era una storia scritta col cuore e non avrebbe mai sfondato… era la solita, perspicace, fregatura.
Il rumore di un carrello catturò l’attenzione dello scrittore riportandolo, per metà, a quella triste e tediosa realtà. Era un cameriere che, a turno tra i eggeri, serviva bevande e cibi. Sarebbe arrivato presto pure da lui che non voleva consumare assolutamente niente.
Quando il cameriere, puntualmente, arrivò nei suoi pressi, Federico era già pronto a dire “ no grazie ” ma non venne minimamente calcolato. Infatti, l’uomo col carrello volse i suoi servizi prima alla ragazza.
“Vuole qualcosa da bere? Da mangiare?”, chiese gentilmente.
“Ehm… solo un po’ d’acqua grazie..”. Era la prima volta che la sentiva parlare e non ne restò deluso. La sua voce, alle orecchie di Federico, giungeva come uno zuccherino… dolce e tremendamente determinata; sfrontata ma mantenendo la gentilezza che c’è in ogni voce femminile o quasi – ad esempio, quella della donna nei posti
retrostanti, pareva più una brutta copia di qualcosa che già era venuto male – .
Il cameriere versò in un bicchiere di plastica dell’acqua e la pose garbatamente alla ragazza, dopodiché venne la volta dello scrittore.
“E per lei? Qualcosa da bere? Da mangiare?” domandò il cameriere quasi come avesse un copione da recitare ogni qualvolta doveva offrire qualcosa a qualcuno ma, dopotutto, era il suo lavoro quello di vendere.
“No grazie” rispose educatamente Federico accennando un sorriso, anche se i sorrisi dello scrittore somigliavano più a smorfie deformi e raccapriccianti. Non era colpa sua, solo che non ricordava l’ultima volta che aveva sorriso veramente.
“Una coca magari? Può essere l’ideale per un viaggio così lungo, riempie e le evita di prendere qualcosa da mangiare!” insistette il cameriere mostrandogli una lattina di coca-cola.
“No… grazie… non mi piace la coca” rifiutò nuovamente lo scrittore.
“Ah! Lo sapevo che lei era più un tipo da Fanta! Ho anche quella se vuole? Vuole?” questa volta cambiò la lattina con quella di Fanta.
“No guardi… proprio non ho sete… ma grazie comunque, molto gentile!”.
Per formulare quella frase piena di cordialità e cortesia lo scrittore aveva richiamato a sé tutte le sue forze e capacità mentali; non era la persona
migliore in grado di mettere insieme così tanti verbi gentili.
“Capisco… gradisce un panino dunque? Ne ho di molti tipi, mi dica solo che condimento preferisce”. L’insistenza del cameriere, seppur col sorriso, stava lentamente stressando i nervi perennemente tesi di Federico il quale, sconcertato e tremendamente seccato, non sarebbe riuscito a rispondere tranquillamente ancora per molto. Richiamò a sé tutto il Karma dell’Universo e, con un profondo respiro, ribatté “No… grazie. Niente. Può andare.” prendendo una pausa, parola per parola, come un padre che cerca di far entrare nella testa di suo figlio, l’algebra.
“Beh… con tutto il rispetto ma qualcosa dovrà pur prendere! Il viaggio dura 5 ore e io non posso far avanti e indietro per assecondare le sue voglie…avanti non faccia il difficile!”.
Quello fu un vero e proprio piccolo shock per Federico. Il cameriere, insistente e predicatore, sicuramente sarebbe potuto diventare un gran venditore e avrebbe potuto fare parecchi soldi… se non fosse che quello che vendeva erano solo panini e bibite!
“Un caffè d’orzo..”. Esasperato, lo scrittore optò per la soluzione più semplice per far andar via quel molestatore.
Il cameriere sorrise, allargò le braccia e…
“Quello non ce l’ho…”, rispose sdegnato ed “addirittura” irritato, prima di proseguire col carrello, borbottando a bassa voce tra sé e sé,
cercando di non farsi sentire – anche se il suo tono era quello di uno che aveva tutte le intenzioni di farsi sentire e capire molto bene – “Proprio a me doveva capitare l’uomo del caffè d’orzo!”.
La fresca e sincera risata, trattenuta a stento dalla ragazza, distolse Federico dall’intenzione di alzarsi per andare a discutere con quell’ammirabile, determinato e irriverente cameriere.
Appena il venditore si fu allontanato, lei non riuscì a contenere la risata e… come solitamente e normalmente dovrebbe accadere… rise, portandosi la mano davanti alla bocca.
Lo scrittore la osservava, metà del volto imbarazzata e l’altra curiosamente curiosa.
“Scusami…” espresse la ragazza schiarendosi la gola e sospirando “non succede spesso di assistere ad una simile scena!”.
Federico non sapeva cosa dire ma sapeva che qualcosa avrebbe dovuto dire – ed avrebbe anche dovuto cambiare lo sguardo da ebete che aveva impresso sul volto –.
“Già… da non crederci” fu l’unica risposta che gli venne in mente.
C’è qualcuno che dice di seguire sempre l’istinto; se questa teoria ha una base di verità, in quel momento non aveva funzionato. Lo scrittore aveva detto la prima
cosa che non gli era venuta in mente! Nonostante la sua età, in fatto di donne, si ritrovava spesso alle strette e collezionava magrissime figure.
“Sembrava volesse venderti a tutti i costi qualcosa… e poi… gli hai chiesto il caffè d’orzo e lui..” le parole le uscivano tra una risata e l’altra, fino a che anche lo scrittore non riuscì a trattenersi e rise insieme alla ragazza.
“Piacere… Giulia” si presentò lei, porgendogli la mano.
Ora…: in Italia ci sono milioni e milioni di milioni di persone ed un nome come Giulia lo si può trovare tranquillamente dietro l’angolo ma, come accade in questi casi, arriva simultaneo e, per nulla fuori posto, il pensiero “ tra tutti i cazzo di nomi che poteva avere… proprio quello della mia ex?! ”.
“Piacere… Federico” I due si strinsero la mano. Una scena davvero commuovente perché lo scrittore, talmente preso dal fatto che, non si sa come, aveva iniziato a parlare con quella ragazza, aveva distrattamente colpito il bicchiere mezzo pieno d’acqua, rovesciandolo tra le gambe di Giulia che fece un rapidissimo e scattante movimento seguito da vocale e consonante “Uh!”.
“Mi dispiace… mi dispiace tanto… che sbadato!”. Parlava frettolosamente, Federico, mentre si precipitava con un fazzoletto tra le sue gambe. Lei lo fermò e rise.
“Fermo… faccio io… tranquillo non è successo niente.. è solo un po’ d’acqua!”. Giulia prese il fazzoletto dalle mani dello scrittore e si asciugò la macchia di bagnato.
Non è certo il modo migliore per conoscere una ragazza… fortunatamente era solo acqua e niente di più… bollente!.
In quel momento Federico non avrebbe mai voluto essere nato (eufemismo).
Certamente nessuna ragazza si sogna di conoscere per la prima volta un uomo che le rovescia addosso dell’acqua ma, dopotutto, avrebbe dovuto reagire.
“Scusami davvero, non avrei mai pensato di…” la frase che stava formulando era partita così, senza nesso logico e la ragazza gli lanciò uno sguardo pieno di aspettativa mentre lui, a bocca aperta e alle strette, doveva terminare ciò che stava dicendo.
“Di.. ecco.. che la mia mano prendesse proprio la… diciamo la traiettoria… e il bicchiere ecco… troppo distratto”. Era andata… bene o male era andata e poteva tirare un sospiro di sollievo nella sua mente.
“Per essere così distratto devi essere uno scrittore!” esclamò divertita la ragazza.
Federico - che in effetti era uno scrittore - esitò ma sarebbe più corretto dire che temporeggiò, perché quella Giulia ci aveva, contro ogni probabilità, preso.
“Effettivamente… io… sono uno scrittore…” parlò, quasi confessando un peccato inimmaginabile.
“Ma davvero?” esclamò sorridendo la ragazza “quando si dice il caso!”.
Federico ripeté nella sua testa “ caso ”. In effetti, dall’arrivo del cameriere, quel momento era stato
dettato, unicamente ed impareggiabilmente, dal puro e caotico caso. Teoricamente parlando, se il cameriere non avesse avuto quell’atteggiamento stranamente ed incondizionatamente inspiegabile, lui non avrebbe mai iniziato a parlare con quella ragazza e se lui non avesse rovesciato sbadatamente quel bicchiere d’acqua addosso a Giulia lei non avrebbe, scherzosamente ma realisticamente, affermato che lui era uno scrittore. Era come se il destino avesse deciso di prendersi la briga, al posto di Federico, di far iniziare una conversazione che, forse, in altro modo non sarebbe mai iniziata.
“Forse c’è l’ho scritto in fronte!”
L’autore di questo libro non si prende la responsabilità dello scarso carisma e savoir-faire di Federico che, a volte, sarebbe meglio se ne stesse in silenzio.
Fortunatamente la ragazza stava già per parlare e non prestò la minima attenzione a quella che doveva essere stata una battuta dello scrittore.
“E quali libri hai scritto? Io sono una che legge molto… chissà… magari ne ho già letto qualcuno”.
Federico spalancò gli occhi con sguardo smarrito e scoraggiato. Avrebbe voluto amabilmente evitare di confessarle di essere uno scrittore fallito che, in tutta la sua vita, aveva venduto non più di 500 copie… delle quali 5 comprate da Fred, 2 dalla
famiglia, 1 da Elisa… 1 da lui stesso (e altre 50 donate ad un’associazione nominata “I giovani amanti della lettura”, ovvero giovani ragazzi che amano la lettura e comprano ogni nuovo libro in uscita… tanto per dire “io ce l’ho”).
Tuttavia il mondo è grande e anche se lei avesse affermato di non conoscere i suoi libri, non voleva dire che lui non poteva essere uno scrittore importante. Oppure poteva mentire ma, si sa, le bugie hanno le gambe corte.
senza offesa per i nani, nessuno qui vuole dar loro dei bugiardi!
Così, dopo giri e rigiri mentali – formatisi in frazioni minimillesimali di secondi – optò per la soluzione più onesta: la sincerità. Come doveva andare sarebbe andata.
“Sbarre” la parola uscì con esitazione, incoraggiata dallo sguardo di attesa di lei.
“Come?”.
“Cosa?” – La donna “orango” tossì freneticamente –
“No... intendevo... che hai detto?”.
“Sbarre.. è il titolo di un libro che ho scritto…” questa volta, rassegnato, lo scrittore raccolse le sue forze e rispose come una persona normale avrebbe
dovuto fare.
“Sbarre… lascia intendere molte cose… In ogni caso, non l’ho mai sentito” osservò vagamente incuriosita Giulia che, nel frattempo, aveva messo da parte il
suo libro come se, adesso, il suo atempo fosse stato quello di parlare con Federico.
“Diciamo che è un libro solo per determinati lettori, non è una storia molto semplice da assorbire” spiegò Federico enfatizzando l’orribile storia che avrebbe preferito non aver mai scritto.
“Determinati lettori? Potrei essere adatta per questa categoria no? Di che parla?” insistette curiosa Giulia appoggiandosi il mento sulla mano e fissando lo scrittore con aria di sfida.
“Beh… di un uomo che nasce… cresce e… insomma… la vita di un uomo all’interno di una prigione, per farla breve. Ma è una… almeno per come la definisco io, storia metafora... perché la prigione sarebbe in realtà il mondo… e la persona sarei... ehm.. sarebbe lo specchio di tante persone.”.
Stava per dire che la persona era lui ma, senza una motivazione apparente, preferì evitare o avrebbe dato l’impressione di essere un uomo pieno di problemi.
“A me sembra una storia interessante, forse un giorno me lo leggerò” disse lei sorridendo e tornando alla posizione statica che aveva tenuto fino a quel momento: schiena appoggiata, gambe a cavalcioni.
In quell’istante imprecisamente non classificato, Federico realizzò che aveva tenuto una conversazione con quella ragazza già per diversi minuti. Ciò lo divertiva e quasi non si accorse che il treno era da poco entrato nel territorio
montano, avanzando, salendo e scendendo tra le disordinate
vie… così come nella vita… un viaggio tra “alti e bassi”.
“Perché stai andando a Parigi? Lavoro o piacere?” chiese la ragazza – fortunatamente, poiché Federico non stava dando un gran contributo alla conversazione – .
“Ehm… la terza?” L’unica volta che non voleva fare una battuta la ragazza rise meccanicamente e lui, per stare al gioco e non offenderla, sorrise di rimando.
“In ogni caso penso lavoro… se così si potrebbe definire… diciamo che devo incontrare una persona”, rispose infine Federico.
“Dato che sei uno scrittore, suppongo sia un incontro importante… diciamo… champagne e alberghi 5 stelle?” la buttò lì la ragazza.
“Conoscendo il mio agente credo sia più probabile latte avariato e albergo una stella in fallimento…” disse ironicamente ma, in cuor suo, con un fondo di assoluta ed invariabile verità.
“Non mi convince sai? Uno scrittore che parte… da solo… senza valigia… verso Parigi… non credo che ci sia questo ad aspettarti” riprese cercando di indagare, Giulia.
“Confido vivamente nella tua intuizione!” sorrise Federico.
“Mia madre dice che non mi sbaglio mai e prima che me lo dici tu, te lo dico io” fece cenno col dito di avvicinarsi a lui e, come se stesse per confidargli
un segreto “sono molto presuntuosa e… adoro, incondizionatamente, avere ragione”.
“E tu? Perché vai a Parigi? Lavoro o piacere?” domandò a sua volta lo scrittore nascondendo a fatica l’imbarazzo della vicinanza al viso di lei.
“La terza?” esclamò incerta e ridacchiando la ragazza.
“Incontro con champagne e albergo 5 stelle?” domandò sarcastico Federico.
“Magari… non tutti abbiamo la fortuna di essere super star!”. Giulia giocava con lui e questo gli faceva piacere. Sorrise, svagato e tranquillizzato dalla scioltezza di lei.
“E’ morta mia madre… devo andare al funerale” confessò lei. Calò il silenzio… uno di quei silenzi imbarazzanti dove lo stesso silenzio era imbarazzato… interrotto solo da colpi di tosse.
“Mi dispiace… se avessi saputo…”.
“Se avessi saputo cosa? Saresti rimasto in silenzio a pensare come reagire di fronte a una persona in lutto?”.
“No... è che… si… forse hai ragione”.
Qualcuno starnutì.
“Le cose vanno come devono andare… è inutile piangersi addosso no?” disse sorridendo Giulia, cercando di alleggerire la tensione che si era addensata nell’aria. “Le cose vanno come devono andare”… una frase che lui conosceva fin troppo bene.
“Ma già sai troppe cose di me” disse lei avvicinando il suo sguardo a quello di lui… “parlami un po’ di te, della tua famiglia… sempre se ti va naturalmente”.
“Da dove cominciare…”.
3
C’era una volta un paese… paesino… paesuccio… diciamo un agglomerato, indefinito ma abbastanza evidente, di qualche casa sparsa a casaccio, con una strada che lo divideva in due andoci in mezzo. Dove ogni casa aveva almeno 150 anni. Immaginatevi quelle case in pietra, con le cantine colme di una società ben organizzata e difesa di ragni. Questo paesino ovviamente è conosciuto solo dalle persone che lo abitano e, come ogni paesino che si rispetti, ha il suo comune, il suo bar-tabacchi, il suo negozio di alimentari – il quale, visto che è l’unico nel raggio di chilometri, si fa, rispettosamente ma forzatamente, pagare più di quello che già dovrebbe essere “ più del dovuto ” – . I non più giovani, indaffarati a radunarsi – senza un orario preciso, ma con un perfetto senso del tempo… ovvero che si incontrano perfettamente e sincronicamente ad un certo punto casuale della giornata – come falene che si danno appuntamento sotto la luce, al bar, a parlottare di politica, lamentandosi di tutto quello di cui è possibile lamentarsi e a “ spettegolare ” su quello che succede in paese… nella sua più totale tediosità.
Per mantenere un senso di intimità, l’autore ha deciso di non rivelare il nome del luogo.
E, come ogni paesino che si rispetti, c’è il “boss”, ovvero l’uomo più ricco, che eggia per le uniche due strade – scorciatoie – con aria soddisfatta e appagata; la classica faccia dell’uomo che la fa da padrone. E quest’uomo era… ed è ancora – anche se non ha più una posizione diciamo, di rilevanza – il padre di Federico.
Si chiama Alberto. “Albi” per gli amici, “Al” per il fratello e “Moscio” per la moglie e madre di Federico.
Tralasciamo il perché di quel nomignolo dalle tante interpretazioni sottintese apparentemente ma che, magari, potrebbero rivelare particolari sconvolgenti, portando i lettori a chiudere il libro e a lasciarsi tutti i ricordi alle spalle, con l’aiuto di un po’ d’alcool. Tanto alcool.
Alberto era più o meno la rappresentazione in grande del figlio cinico a livelli in cui anche il cinismo non riesce a stargli dietro; pessimista fino al punto che anche il pessimismo comincia a rivedere la sua situazione sociale e ad optare per un po’ di ottimismo, angosciante e tormentato così tanto che, anche lo strazio si sente martoriato… Insomma… immaginatevi un uomo ateo, astemio, intollerante al fumo e al lattosio, allergico alle
camomille ed anche alle befane, che odia soprattutto i dolci e i bambini – e questi ultimi perché adorano i dolci – e che non se la sente mai di uscire fuori dal guscio della sua abitudinale routine, per paura di perdersi in quel vasto mondo che è … la provincia in cui vive – per non dire mondo. Perché, un uomo come lui, rimane molto perplesso di fronte alla parola mondo… immaginandosi… immaginandosi… a dire la verità, non riesce a immaginarsi altro che la sua provincia… perché non è mai uscito da lì – .
Era il proprietario dell’unica azienda agricola che vi era nel paesino e la maggior parte delle persone lavoravano per lui, il che le rendeva, in qualche modo, asservite al potere del padrone dei campi.
Il paesino, tra le tante cose, aveva addirittura una scuola elementare, composta da una classe contenente all’incirca non più di 10 bambini tenuti tutti insieme, dalla prima alla quinta e la maestra era una signora anziana di 87 anni, un po’ sorda, un po’ cieca ed egregiamente ipocondriaca.
I ragazzi, già in prima media, devono affrontare ogni mattina il viaggio in autobus – l’unico autobus che a di lì… alle 6 spaccate – di 2 ore per raggiungere il paese… paesino, dove possono avere una minima educazione scolastica che, seppur scarsa, consente ai ragazzi di allontanarsi, per un breve lasso di tempo, dal deprimente e spossante paesuccio… paesello. Inoltre, l’unico e coraggioso autobus che si prende la briga di riaccompagnarli a casa, a alle 13 e 20 spaccate
di modo che i ragazzi, appena usciti da scuola, devono correre come in una campestre per non ritrovarsi abbandonati nel paese… paesino, fino alle 13 e 20 del giorno dopo.
Federico era sempre stato, per quel paesino, paesuccio, un’ anomalia. Nessuno del posto aveva mai desiderato o ambiziosamente pensato di essere qualcosa oltre a nessuno.
Amavano oltre ogni amore, la propria intimità, la propria riservatezza e la propria casa e questo, tra le mille imperfezioni, era un pregio da non sottovalutare.
Tutti i ragazzi del paese andavano a studiare solo perché anche i propri genitori lo avevano fatto o, almeno, ci avevano provato. Era luogo comune pensare, ormai, che ogni persona di quel paese, grande, piccola o anziana che fosse, non era in grado di unire due verbi correttamente o di dire la tabellina del 9 senza fermarsi a pensare, avidamente, per ogni numero.
Federico, invece, al contrario di tutti, era un bambino brillantemente geniale; era riuscito a dire – senza sbirciare – l’intero alfabeto e... in un solo pomeriggio, riuscito a risolvere un terribile problema di matematica: “In un pollaio ci sono 16 galline, 10 vengono mangiate dal lupo, 4 dalla volpe e 2 scompaiono misteriosamente. Quante galline rimangono?” Problema abbastanza semplice. Il difficile era leggerlo e capirlo! Un talentuoso,
ignorante ragazzo del posto, aveva osato chiedere: “come fa un lupo solo a mangiare 10 galline?”.
Inoltre, tutti i ragazzi del posto, non avevano minimamente il minimo desiderio di fuggire da quel luogo per cercare fortuna da qualche altra parte ma, al contrario, erano contentissimi di continuare, quasi come un dovere irrevocabile, l’attività del padre, qualsiasi essa fosse: dal tagliare la legna al lavorare nei campi o a gestire l’ alimentari… insomma seguivano devotamente, ed incondizionatamente, la tradizione.
Al contrario di tutti gli altri Federico s’immaginava il mare, le foreste, alte montagne, grandi città. Sognava le opportunità e desiderava scoprire la verità sul famoso detto “ tutte le strade portano a Roma ”. Federico si trastullava a leggere romanzi quali “ Robinson Crusoe ” o “ 20.000 leghe sotto i mari ” o “ L’Isola Dimenticata ”. Sognava l’ignoto e desiderava andare alla scoperta. Lo faceva con la mente… semplicemente si metteva lì, sia che fosse a sedere o che fosse in piedi e pensava e immaginava posti lontani, avventure sconvolgenti, guerrieri e principesse, tesori nascosti, guerre e scoperte.
Tuttavia lui era il figlio di Alberto.. e Alberto era il “boss” del paesino… paesuccio. Sarebbe stato condannato a portare avanti l’azienda agricola, così come la sua famiglia si aspettava fe e così come se lo aspettavano anche tutti gli altri.
Ma lui non trovava niente di così speciale o eccitante a mettersi un cappello di paglia sulla
testa ed uno spago in bocca. La vita del contadino non faceva assolutamente per lui.
Certo, il ragazzo amava giocare con le pecore dello zio o andare a raccogliere le uova per la signorina Gelmani, la sua maestra. Più che un favore, il fatto di portarle le uova, era solo per evitare un brutto voto… che alla fine prendeva lo stesso… con l’aggiunta di un +. E, poi, adorava correre tra l’erba alta e contare quante formiche potevano entrare ed uscire da un formicaio in un’ ora.
Era un bambino iperattivo; su di lui anche i tranquillanti potevano avere effetti eccitanti e, fin quando era piccolo, non aveva avuto problemi a restarsene lì a are le giornate tra i campi e gli animali. Ma crescendo, cresceva con lui anche quel senso di impotenza. Si sentiva chiuso in una scatola per topi. Iniziò a fare molte e troppe domande, dapprima ai suoi genitori, riguardanti tutto quello che c’era da sapere sul mondo ma mamma e papà non erano molto afferrati sull’argomento. Il più delle volte riceveva risposte del tipo “ Non è importante quanto sia grande o piccolo, l’importante è quante uova può fare ”.
Così, quando il ragazzo vide che con i suoi genitori non c’era niente da fare, provò con lo zio che, dopo una riflessione attenta ai quesiti del bambino, esordì con un “ domani ho bisogno d’aiuto con le balle di fieno! ”.
Quando anche con lo zio non ci fu più niente da fare, allora, il piccolo provò con la sua maestra, credendola un po’ più intelligente di tutti gli altri e
lei, senza neanche farlo finire di parlare, gli gridò “Invece di metterti a pensare al mondo, studia scansafatiche!!!”.
Così Federico rimase perplesso per molti anni ancora, chiedendosi se la sua vita fosse veramente tutta lì o se si potesse fare qualcosa per rimediare.
Quando ebbe l’età giusta per andare alle superiori, ovvero 15 anni – vi chiederete come sia possibile, visto che alle superiori un ragazzo ci va a 14 anni, ma era tradizione per i ragazzi del paesino... paesuccio, essere bocciati almeno 3 volte. A Federico era andata anche piuttosto bene, visto che aveva solo 15 anni quando decise, stranamente, di frequentare le scuole superiori. Stranamente perché non era uso per i ragazzi del posto fare quella scelta. Pensavano che, finite le medie, avevano finito di studiare tutto quello che c’era da studiare.
Ora, prima di continuare, è necessaria una premessa.
Federico non era mai riuscito a legare con gli altri ragazzi del posto, sia perché non aveva il minimo interesse verso di loro, sia perché tutti gli altri lo vedevano come una specie di super – genio nerd.
Il padre lo incitava spesso ad andare a giocare con gli altri, si arrabbiava ma non c’era assolutamente niente che potesse fare per costringerlo e lo preoccupava non poco il fatto che suo figlio parlasse spesso e volentieri da solo o, come diceva
lui, con il suo gruppo di amici (Gianni, Pino, Dino, Rino, Vittorino… che poi sono anche i nomi dei capigruppo degli anziani del bar). Tuttavia, per quanto si sforzassero di spiegare al bambino come funzionava quella insolita “realtà” di quei cittadini strampalati, Federico rimaneva nel suo “mondo”.
Federico faceva discorsi strani. Così li definivano gli abitanti ma nessuno si rendeva conto che, in realtà, era un bambino prodigio. Ma d’altronde, come potevano rendersene conto? Sicuramente nessuno di loro conosceva nemmeno la definizione della parola “ prodigio ”.
Per il ragazzino esistevano i libri, i giochi con gli animali, gli amici immaginari e foglio e matita. Si, perché lui scriveva… parlava di quello che faceva coi suoi amici, di quello che faceva quando era in giro col suo cane o con le pecore; parlava di insetti, raccontando l’abilità architettonica con cui i ragni tessevano le loro case.
Ma non gli piaceva che altri mettessero le mani e gli occhi sulle sue storie, che racchiudevano tutta la sua realtà.
Alle scuole superiori ebbe il primo contatto con la “civilità”.
Ritrovarsi in classe con ragazzi e ragazze a lui sconosciuti, che provenivano da grandi città e che avevano un tasso di cultura decisamente più alto del suo, lo faceva sentire fuori posto. Così, iniziò a darsi da fare e a studiare tutto quello che poteva e anche di più. Alberto non faceva in tempo a
mandarlo in camera a studiare che Federico era già con i libri in mano.
Alle superiori trovò i suoi primi amici; sperimentò le uscite in gruppo – caratterizzate specialmente da alcool e giochi con l’alcool, qualche spinello e sfide del tipo “ chi riesce a pisciare più lontano ” – sperimentò il sesso, fece le sue prime marinate dalla scuola ma continuò a scrivere, esattamente come aveva sempre fatto; solo che, dal parlare di insetti, ò al parlare di sesso, di droga ed un pizzico di rock’ n’ roll.
I problemi arrivarono poco dopo, quando Federico scoprì che viveva in un vasto mondo pieno di possibilità, di scelte, di strade, di infinite opportunità.
Il suo paesino non lo saziava più ed i suoi genitori iniziarono ad incazzarsi con lui perché, nonostante avesse 19 anni, continuava a pensare solo al mondo e a tutto quello che avrebbe potuto fare andandosene ma, soprattutto, perché continuava a pensare alla scrittura quando il padre lo incitava a lavorare e la madre a prendersi in sposa qualche ragazza del posto.
Così, senza sapere il come né il perché, Federico venne sbattuto fuori di casa dai suoi genitori che dissero di non volere uno scansafatiche come figlio. Alberto era assoggettato tremendamente all’idea dell’immagine che doveva dare agli altri abitanti del paese e non poteva permettersi di avere un figlio che pensava alle fantasie.
Federico andò a vivere da suo cugino, un tipo molto bizzarro e stravagante che, all’età di 16 anni aveva abbandonato il paesino per sfuggire a quella tediosa realtà e trasferirsi in città. Amava molto giocare d’azzardo, vincere, fare scommesse e vincerle.
Il ragazzo fece qualche lavoretto part – time, tutto quello che riusciva a trovare per dare una parte di soldi al cugino e l’altra per risparmiarla, per potersi pagare l’università. In quel momento era disorientato… il ritmo della sua vita era cambiato da un giorno all’altro ed ora si trovava nel bel mezzo della civiltà, dove non sei nessuno, dove capisci di essere veramente solo al mondo.
E siccome non aveva nessun obbiettivo da raggiungere, decise di continuare gli studi, per vedere dove lo avrebbero condotto.
All’università conobbe Giulia, una ragazza estroversa e molto sveglia che adorava divertirsi e fare follie. I due s’innamorarono subito ed iniziarono presto a fantasticare su quanto sarebbe stata bella la loro vita, con una casa al mare, una in montagna per le vacanze e 4 figli: Debora, Michele, Lucia e Gianni – quest’ultimo in ricordo del miglior amico immaginario di Federico – matrimonio da sogno e luna di miele in Nuova Zelanda – Giulia era una fanatica del Signore degli Anelli e voleva a tutti i costi andare a visitare quella che lei pensava fosse la “Terra di Mezzo” – .
Federico lasciò, così, l’università al suo secondo anno, per avere il tempo di lavorare a tempo pieno, nell’unico posto in cui riuscì a lavorare: una fabbrica di utensili. La paga non era male, anche se doveva sgobbare 8 ore e a volte di più, al giorno, ma il ragazzo veniva dalla campagna ed era temprato per questo genere di lavoro.
Riuscì a permettersi una casa in affitto dove andò a vivere con Giulia. Era una coppia fantastica, sempre sorridente, mai una litigata, a parte quelle per decidere che canale guardare alla televisione, il ristorante da scegliere, il film al cinema da andare a vedere o se fosse meglio avere un gatto, un cane o un criceto. Alla fine optarono per un pesce rosso, che morì dopo mezza giornata per cause naturali, ma pressoché soprannaturali.
A Federico piaceva molto la sua nuova vita, lontano dai campi, in quella che doveva essere la civiltà evoluta o, così come la definiva suo cugino Alfredo (Fred), “ la moderna Babilonia, dove tutto è possibile a patto che tu abbia soldi da spendere ”.
Abbandonò ben presto anche la scrittura, tanto era preso dalla sua nuova vita, dalla sua nuova personalità, dal suo nuovo grado all’interno della società – e dal suo nuovo taglio di capelli – Ora, lontano dal paesino paesuccio sperduto, si sentiva membro di una comitiva gigantesca che si estendeva in ogni angolo del mondo.
Le cose precipitarono quando, di ritorno da una cena con suo cugino e la sua nuova ragazza, beccò Giulia assieme ad un altro.
Ora, per rispetto del protagonista di questa storia, non entriamo nei dettagli. E’ già abbastanza imbarazzante parlare di un uomo che, nel bel mezzo della sua vita felice perde la colonna centrale che sorregge tutto l’edificio e, nello specifico, Giulia.
Tralasciamo la parte in cui Federico malmenò l’amante della sua donna (che venne poi ricoverato per 3 lunghissimi giorni) o quella in cui si ubriacò risvegliandosi in una panchina assieme a un cane impegnato a urinargli nella gamba o di quando il suo capo lo chiamò per avvisarlo che mancava da più di 2 settimane e che, per questo motivo, era licenziato. Tralasciamo anche particolari del tipo “ Federico non si lavò per 1 mese intero ” o i discorsi di Fred per farlo stare meglio – o almeno l’impressione era quella–… discorsi del tipo “ Tranquillo.. a tutto… basta solo trovarsene un’altra ”.
Federico cadde in depressione, in bancarotta, diventò nervoso, impaziente ed iniziò ad odiare per la prima volta in vita sua… iniziò a provare un senso di odio verso la gente, verso se stesso, verso il mondo che tanto aveva fatto per conoscere… iniziò a fumare ed iniziò a bere.
Insomma, iniziò ad essere una vittima, come la maggior parte delle persone che vivono in questo pianeta: si inizia a farsi del male cercando di intenerire e di impietosire il Creatore.
Ritrovò la scrittura e scrisse, scrisse, scrisse così tanto da fargli male le mani, perché era l’unico modo che conosceva per esprimere il suo dolore ed il suo tormento. Scrisse per dimenticare e per pensare al futuro o almeno pensare che un futuro ancora potesse esistere. Scrisse perché gli ricordava casa, gli ricordava il profumo dei biscotti fatti in casa dalla mamma, la puzza di sterco delle stalle, il campanile, le bacchettate della maestra… ricordava le pulci e le zecche dei cani, il formaggio andato a male che mangiava dalla nonna. Ma Federico non era mai stato il tipo d’uomo che torna indietro sui suoi i o almeno, il “nuovo” Federico, non era così. Si adattò e andò avanti.
Così finì il suo primo libro: “ Sbarre ”, affidando al cugino il compito di venderlo – in verità fu il cugino a voler vendere il suo libro – . Sembrava abbastanza divertente da poterci provare e Fred, sebbene all’apparenza potesse sembrare un po’ eccentrico ed indecentemente sfacciato - a volte anche un po’ stravagante e del tutto insensato - era esattamente così. Ma era anche un uomo che viaggiava molto, visitava locali e giocava d’azzardo. Aveva conosciuto molti personaggi in gamba… aveva “i contatti”, per così dire.
Ora Federico aveva ritrovato una sorta di stabilità. Erano ati anni e aveva ormai accettato il fatto che Giulia non fosse più la sua ragazza e che fosse chissà dove a scaldare il letto di qualcuno. Si concentrò solo su se stesso e si trasferì a Milano, pensando che forse, cambiando città, avrebbe anche cambiato vita – anche se non fu esattamente così – .
“E con la tua famiglia? Chiusi i rapporti per sempre?” chiese Giulia che ascoltava voracemente il racconto dello scrittore, proprio come un bambino ascolta la favola della buonanotte.
“L’ultima volta che ho rivisto la mia famiglia è stato 6 anni fa, al funerale di mio padre” rispose Federico con una smorfia di rammarico.
Avevano parlato a lungo – più che altro Federico cercava di raccontare la sua storia e lei poneva, ad ogni virgola di lui, una nuova domanda che capovolgeva tutto il racconto – . Federico concretizzò in quel momento che non si era mai aperto così facilmente davanti ad una persona sconosciuta. Dopotutto, lei era una sconosciuta… semplicemente una compagna di viaggio.
Non era il tipo che si lasciava convincere tanto facilmente a parlare di se stesso, forse perché pensava che la sua vita fosse noiosa e tremendamente tormentata da fatti spiacevoli e amari. Tuttavia c’era qualcosa nello sguardo aggraziante di lei, in quello sguardo di una donna con gli occhi di una bambina.
“E tua madre?” chiese ancora Giulia.
“L’ultima volta che l’ho vista era così sbronza che non si ricordava nemmeno chi fossi” rispose vagamente Federico, ricordandosi sua madre collassata su una sedia a dondolo instabile, lo zio che starnutiva lacrime e la nonna – nonostante i suoi 97 anni d’età – che arzillamente gridava agli uomini che trasportavano il carro funebre di non calpestare le sue aiuole, minacciandoli con il manico di una scopa.
Il treno ora era piombato nel silenzio; la maggior parte dei eggeri era intenta ad ascoltare musica con le cuffie, isolati nella loro parte di mondo, mentre altri non avevano resistito al meditativo e psichedelico suono dei binari e si erano addormentati. A Federico e Giulia non importava degli altri; in quel momento esistevano solo loro due, tanto erano presi l’uno dall’altra da non accorgersi neppure del tempo che era ato o del paesaggio che scorreva loro intorno.
“Su questo siamo simili. Sono 12 anni che non vedo i miei genitori e ho saputo della morte di mia madre da mia sorella… almeno con lei mi sono tenuta in contatto. Così sto tornando a dare l’addio che ogni madre merita dalla figlia, sia buona che cattiva… Prima o poi si torna sempre alle origini no?” disse lei assorta nella conversazione.
Federico annuì e pensò che, dopotutto, la ragazza avesse ragione ma il fatto che prima o poi sarebbe dovuto tornare alle proprie origini lo spaventava non poco.
“Allora?” la domanda arrivò senza preavviso. Federico era perplesso. Poteva significare tante cose oppure nessuna. Con sguardo vago sorrise, sperando che la ragazza desse una spiegazione a quella domanda irrazionalmente dubbia.
“Dico... hai fatto tanto per conoscere questo mondo... Come ti sembra? Deluso? Realizzato?”.
Federico non sapeva cosa rispondere. Il mondo era praticamente pieno di atrocità, sofferenza, problemi, cattiveria, acidità, pizzichi, malattie, razzismo, giudizi, ignoranza.
Questo solo per elencarne alcuni, potrei continuare all’infinito usando anche i sinonimi per ogni singola parola.
Ma esistevano anche cose belle come… come… il ristorante sui Navigli dove cucinano un pesce deliziosamente prelibato - anche se quando poi ti portano il conto ti spingono a rivomitarlo tutto -.
“Non so…” disse infine lo scrittore. Un semplice e banalissimo “non so”.
“Tutto qui?” esclamò lei strabuzzando gli occhi.
“Beh… è difficile da dire… Penso che il problema non sia se il mondo è bello o brutto.. ma sia cosa può fare un uomo.”
Rimasero silenziosamente a contemplare il fatidico dilemma sollevato da Federico.
“Crisi esistenziali!” esordì lei dopo alcuni secondi di confuso silenzio, ridendo tanto per alleggerire.
“Credo sia così” commentò sorridendo Federico. Prima d’ ora non aveva mai pensato a quella parola: “crisi esistenziali” ma, ripensandoci, come poteva avere una crisi l’esistenza?
La conversazione stava prendendo una piega prettamente filosofica e, quando entri in discussioni di questo tipo, non sai mai dove potrebbe portarti la tua mente. Non che a Federico dispie; aveva sempre creduto che gli uomini si soffermassero troppo su domande del tipo “Di che colore porti le mutandine?” o “Quante volte ti sei masturbato oggi?”. Invece le donne, per lo scrittore, avevano una mente più… aperta per così dire,
anche se molto più testarde e accanite sulle proprie idee e quando ti trovi a discutere sul perché di questioni come il “Simposio di Platone” sai già che la risposta è NO! No a quello che affermi tu.-
Non è che lo facciano volontariamente. E’ come il gatto ed il topo… naturale! E’ naturale che maschi e femmine si diano contro, come poi è naturale che facciano la pace a letto per poi litigare nuovamente su a chi spetta pulire i piatti dopo mangiato. E’ guerra e pace continua, senza un inizio né una fine. Semplicemente si contrastano, perché l’uno non può essere meno intelligente dell’altro. Lo fanno non rendendosi conto che sono entrambi stupidi e che, quello veramente intelligente è il cane, che si piglia i croccantini e le carezze, nonostante abbia lasciato di nascosto un piccolo ricordino marrone dall’odore sgradevole. Di certo, però, non può
esistere un mondo fatto solo di uomini che “vanno” con gli uomini e donne che “vanno” con le donne. Perciò hanno trovato una sorta di alleanza, in cui la procreazione va bene ma solo se prima ci sposiamo e metà dei tuoi beni diventano miei... come garanzia diciamo. I maschi e le femmine sono i colori del mondo, sono la parte sentimentale dell’esistenza, la sensibilità dell’universo. Perché, da che mondo e mondo, esiste sempre il maschio e la femmina. Non si sfugge, perché senza di loro non esisterebbe la vita. Possono odiarsi, picchiarsi, detestarsi e mandarsi a quel paese ma alla fine saranno sempre attratti l’uno dall’altra: gli opposti che si attraggono sono la luce dell’esistenza.
Federico ripensò alle parole di Fred che una volta gli parlò dei maschi e delle femmine. Lui diceva che non è importante come, quando o perché, l’importante è che prima o poi tu sia pronto ad amare la tua metà esattamente come lei ama te – le parole che aveva usato realmente erano – “ Se stai a pensare a come, quando o perché, ti perdi tutto il divertimento sotto le lenzuola! ” ma poi Federico l’aveva abbellita a suo modo.
“Ma ora che ti ho parlato del mio ato sono curioso di conoscere il tuo” esordì Federico tanto per mantenere attiva la loro conversazione. Non che in fondo gli importasse molto di chi lei fosse. Ormai, è una prerogativa vecchio stile parlare del ato.
Solitamente si va dritti alla parte sentimentale del tipo “Sei fidanzata?”.
“Credo che ti spetti di diritto” osservò Giulia con il sorriso malizioso di chi, fondamentalmente, non aspettava altro che parlare di se stessa.
La maggior parte delle persone non inizia a parlare di sé spontaneamente. Tutti o quasi aspettano la domanda dell’altro, come a dire: “allora ti interesso”.
4
Giulia conobbe il suo primo spinello a 16 anni. Non fu proprio uno di quegli incontri eleganti e affascinanti a lume di candela. Diciamo che le era stata presentata, da un modesto spacciatore che si faceva chiamare “Er Mejo” (Il meglio), un’innocua “cimetta” verde dall’aspetto innocuo. Lei non sapeva bene come avveniva il processo dello sballo. Certo, per sentito dire sapeva che si doveva fumare ma, con quel pezzo d’erba in mano non riusciva a capire come doveva fare per fumarselo… Magari dandogli semplicemente fuoco e respirandone l’odore – che, tecnicamente, potrebbe funzionare ma sarebbe un’offesa per gli accaniti fumatori di “maria” – .
La sua amica d’infanzia, Lorena, era molto più afferrata in queste esperienze e sapeva perfettamente come avveniva il procedimento: bastava possedere una cartina lunga, un pezzo di carta da farne un filtro – che avrebbe dovuto essere una specie di cono posto ai lati della cartina per aspirare il fumo – avere dell’erba e, se è poca… un’aggiunta di tabacco e, cosa fondamentale per
dare inizio al processo, un accendino o dei fiammiferi all’occorrenza.
Così, quel sabato sera di tanti anni fa, Giulia e la sua amica restarono a casa – tanto i loro genitori erano fuori città – anche se nessuno le aveva avvertite dell’odore che uno spinello aveva fama di lasciare all’interno di una stanza. Sciuparono in tutto 26 cartine prima di riuscire a formare un nonsoché abbastanza simile a quella che doveva essere una “ canna ”.
Che problema c’era a fumarsi uno spinello? La maggior parte della gente, da giovane, l’ha provato. Si trattava solamente di una serata.
E’ luogo comune ormai dire che tutte quelle cose che iniziano con un “Solo per stavolta”, alla fine finiscono con un “Non riesco a smettere”.
Quella non fu l’ultima sera nella quale Giulia e Lorena fumarono erba…
Ovviamente la ragazza si trovava in una di quelle situazioni paradossalmente di “cacca”, visto che i suoi genitori erano le classiche persone antidroga, anti sigarette, anti - alcool… Insomma, ogni piacere distruttivo della vita, andava debellato dalla società.
Una causa già persa in partenza. Un po’ come dire ad un bambino di non urlare: fai prima a metterti dei tappi nelle orecchie nell’attesa che crolli, addormentandosi. Un po’ come per tutti i vizi che dovrebbero essere proibiti, solo che
alcuni non portano a letto ma alla tomba… Sottile metafora macabramente realista.
Inutile raccontare le sfuriate che ci furono da quella serata in poi nella casa della ragazza! Tornava abitualmente a casa ricoperta da un olezzo pressoché indentificato come “odore d’erba”. Come se non bastasse la ragazza non frequentava una compagnia del tutto sobria, per così dire. I rave party erano ormai la seconda casa di Giulia e del suo gruppo. Loro li frequentavano scrupolosamente senza mai mancarne uno. Lei era una ragazza emarginata, - d etto papale papale e non come lo direbbe qualche Papa che avrebbe usato frasi del tipo “ Non fate la guerra fate l’amor… no no.. fate la guerra …” - non solo perché si vestiva prevalentemente di nero, dando l’idea ad ogni persona di trovarsi in presenza di un’esaltata che si crede una vampira…
Che tra l’altro, per l'appunto, non vestivano di nero perché a loro piaceva quel colore ma perché possedevano solo quei vestiti . Dopotutto, nessun designer ha mai dato vestiti di altro colore ad attori vampiri.
non solo perché, assieme alla sua amica, mostrava le chiappe ogni martedì pomeriggio alla banda degli anziani del bar “Caffè Primavera” che iniziavano a sbattere i piedi a terra e a gridare frasi del tipo “Ieiuppaieeeee!” e non solo perché ava la maggior parte del suo tempo a stendersi
con droghe tutt’altro che naturali che rendevano un uomo un’ ameba, incapace di pensare e di agire ma con un incredibile senso dell’umorismo.
Giulia era emarginata perché a tutti dava l’aria di essere una ragazza con dei seri problemi come, per esempio, il fatto che non mangiava derivati di carne, odiava le patate, i broccoli e i peperoni e non beveva acqua ma solo vino, birra, vodka, cognac… Insomma, quelle bevande lì.
per un ragazzo sarebbe stato davvero difficile portare Giulia a mangiare fuori: in primo luogo perché se toccava a te fare la parte di quello che ordinava, non avresti mai saputo cosa consigliarle; in secondo luogo perché ti saresti ritrovato a dover dare delle spiegazioni a tutto il personale della ragione per la quale la tua presunta fidanzata stava ballando sopra i tavoli cantando una copia venuta male del “coccodrillo come fa” rigurgitando qua e là pezzi di insalata poco condita – inoltre le piaceva ballare quando c’era la luna piena (che poi, fondamentalmente, è quello che fanno le persone in discoteca o alle feste, sia che ci sia la luna piena, che sia a metà o che scompaia improvvisamente. Nessuno si accorgerebbe della sua sparizione ma penserebbero che sia l’effetto di qualche pasticca.
Giulia ballava da sola, al chiarore della luna, fuori città, nei prati o nei boschi… soprattutto quando era strafatta di acidi – il film “Balla coi lupi” lei non lo aveva mai visto ma quando era stravolta di droghe si divertiva a pensare di essere circondata
dai lupi e ballava tremendamente male per fare in modo che i temibili cacciatori animaleschi se ne andassero schifati ed imbarazzati – .
Non erano cose propriamente adatte a una ragazza bella come lei… perché lei era bella… questo nessuno lo negava, anche se nascondeva la sua bellezza sotto tessuti di trucco sparso qua e là a casaccio, tanto per dare l’idea di una pazza appena scappata da un manicomio.
Così si ritrovò, anni dopo, in un centro di cure, dove molte persone si sedevano in cerchio, con facce lunghe e inespressive e a turno dicevano cose del tipo:
“Ciao.. sono Paolo.. e sono un drogato.”
“Ciao.. Sono Mario.. e sono un drogato.”
“Ciao.. sono Martina.. e sono una drogata.”
“Ciao, sono Giulia e sono qui per accontentare i miei genitori… non penso che smetterò mai di drogarmi ma non penso nemmeno che resterò qui con voi per molto. Sono curiosa di ascoltare la storia di ognuno di voi e tenermela bene impressa a mente, in modo tale da non diventare, per nessuna ragione al mondo, come voi”.
“Stai esternando il tuo senso di colpa per quello che in realtà non vorresti fare” aveva detto, sagace e tranquillo, lo psicologo sco Svilla.
“Io non esterno proprio un cazzo!” aveva risposto con tutta la sua dolcezza Giulia, attirando lo sguardo scongiurante di tutta la platea che l’ammoniva pensando: “Figlia della perdizione!”.
A Giulia piacevano le fragole, i giochi da tavolo – il suo preferito era il gioco dell’oca – fare puzzle, disegnare, tirare le uova alla finestra della signora Mortadella – nome derivato dall’odore che emanava. Non era colpa sua se suo marito era morto da poco lasciando a lei il dovere di mandare avanti la macelleria –… A Giulia piaceva bruciare le bambole, mordere il fondo delle penne e delle matite, amava prendere in giro tutto quello che poteva essere preso in giro e amava i gatti, non perché li trovasse più attraenti di qualche altro animale, ma perché i gatti facevano e fanno quello che gli pare; non si impongono regole se non le proprie e rispettano le tue solo quando gli conviene – cospirando e tramando contro il loro padrone ed il mondo intero, pronti, da un momento all’altro, a tendere un imboscata alla scatoletta di tonno che poserai sul tavolo – .Le piacevano le barzellette di suo nonno Carlo e rubare il whiskey a sua nonna Carla quando dormiva. Le piacevano i romanzi strappalacrime – ma solo per ricercare nel testo le parti sentimentali, per poi strapparle e gettarle nel fuoco. Era una sua mania. Odiava le storie a lieto fine, per lei erano tutti idioti – adorava gli Iron Maiden e non disdegnava minimamente gli AC-DC… tanto per dare un tocco di cattiveria in più.
Era una ragazza alquanto lunatica: un giorno poteva amare il mondo ed il giorno dopo odiarlo ma era anche coerente perché riusciva sempre a trovare le giuste referenze, sia per odiare che per amare. Solitamente le referenze erano “ Se mi piace
lo amo, se non mi piace lo odio e se mi piace e a lui non piaccio allora lo odio ma soprattutto, se non fa come dico io, in entrambi i casi lo odio” .Non era neanche puramente cattolica o cristiana. Diciamo che a lei non piacevano le religioni – neppure l’ateismo che, sebbene non si tratti di una vera e propria religione, secondo lei aveva qualcosa a che fare con tutte le altre, altrimenti nessuno avrebbe dovuto inventarsi un termine per definire una persona non credente, il che voleva dire che l’ateo credeva di non credere… ed era religione – questo era un altro fattore determinante nelle discussioni tra lei ed i suoi genitori, che erano indubbiamente e minuziosamente cattolici, così tanto da non saperlo neppure loro.
Il cattolico standard è una di quelle persone che segue la moda e così si ragguaglia di seguire, anche se non del tutto repentinamente, le regole della religione. Un cattolico devoto come i genitori di Giulia era, invece, una di quelle persone che pregavano perché volevano farlo e non perché lo facevano tutti gli altri. Ora, in un mondo ipocrita come quello in cui ci troviamo, persone così sono da ammirare, nonostante i contorni noiosi della loro vita sociale.
Inoltre Giulia aveva un odio particolare per i matti, per le persone che non avevano problemi causati da malattie genetiche o patologie varie. Odiava le persone che erano matte a causa di traumi o sintomi repressi e non per via dei loro problemi,
che a grandi linee erano gli stessi che aveva lei, ma perché si facevano trattare dagli altri come dei comuni essere umani pazzi… Quando, in realtà, erano solo persone che dovevano, almeno per come la pensava lei, rimboccarsi le maniche ed iniziare a decidere consapevolmente della propria vita, senza lamentarsi troppo di quello che andava male e pensare più a come poterlo migliorare.
Per lei credere di essere pazzi era una via troppo facile da prendere; una scappatoia per non affrontare i veri problemi, per sviare le difficoltà - ti giochi il jolly per come dire, dici di essere pazzo e sai per certo che qualunque cosa farai nessuno ti giudicherà perché, appunto, sei pazzo.-
“Elogio alla Follia” di Erasmo da Rotterdam era uno dei suoi libri preferiti, perché secondo lei solo le persone abbastanza pazze, da pensare di non esserlo, avevano la facoltà di cambiare il loro mondo e renderlo perfettamente instabile, creando così l’equilibrio perfetto… come l’universo: un miscuglio di gerarchica confusione che dona, però, quel tocco di bellezza incontrollabile. Oltretutto, pensava lei, solo una persona completamente priva di buon senso poteva dire di comprendere l’infinito e di essere un tutt’uno con esso.
Giulia era anche imprevedibile… non potevi mai sapere con certezza che cosa le asse per la testa; avevi sempre il dubbio che prima o poi avrebbe complottato contro di te per tenderti qualche scherzo o lanciarti qualche battuta aspra e praticamente offensiva. Era la maestra delle offese
e non importava a chi fossero dirette, l’importante era che potessero ferire.
Anche lo psicologo, al quale era stata affidata dai suoi genitori, decise prematuramente di dimettersi dal suo lavoro e di ricominciare a studiare tutto il processo della psicologia dall’inizio pensando che, forse, aveva tralasciato qualche aggio fondamentale al proseguimento del suo lavoro.
E, alla fine, anche i suoi genitori si arresero, sconfitti ed ormai rimasti a secco di idee. La ragazza non sembrava neppure figlia loro. Da chiunque avesse preso, non era uno di quella famiglia che seguiva, al contrario, in modo rigidamente inflessibile, le regole della buona educazione e della galanteria.
Giulia, invece, faceva tutto ciò che era in suo potere per andare contro ogni regola possibile ed immaginabile. Pensava che non aveva senso venire al mondo e vivere se poi c’erano un mucchio di regole che non ti permettevano di fare appieno ciò che tu volevi fare. Era una grandissima seccatura.
Ovviamente, pensavano i genitori, prima o poi, se la ragazza non aveva intenzione di cambiare da sola, ci avrebbe pensato il mondo.
Il mondo cambia sempre le persone, le rimodella a seconda delle situazioni, delle complicazioni e delle strade che ognuno di noi, ogni giorno, sceglie di percorrere.
Furono presto smentiti perché Giulia non cambiò mai il suo atteggiamento, anzi, andò peggiorando sempre più e dal lanciare le uova, ò a lanciare san pietrini contro i celerini alle manifestazioni. Non aveva importanza il motivo della manifestazione, l’importante era lanciare le pietre e fare casino.
In ogni società servono i ribelli. Sono l’unica parte non corrotta del sistema, la parte che crede di cambiare le cose gridando e mostrando cartelli. Anche perché ad ogni politico spetta un po’ di divertimento una volta tanto… con tutto il lavoro che è impegnato a fare. (L’autore avrebbe dovuto avvertire, fin da subito, che anche il sarcasmo era un personaggio di questa storia.)
Certo la cosa positiva fu che, crescendo, Giulia smise di abusare di droghe. Nonostante tutto, era arrivata alla conclusione che se anche il mondo faceva schifo non era necessario stendersi con ogni tipo di stupefacenti possibili e smise anche di vestirsi di nero – forse perché si era stancata il sabato sera di dirsi “ Che vestito mi metto? Nero su nero o nero su nero ? – .
Ma la sua mentalità restò totalmente invariata: libertà appagata e regime di rivolta erano la chiave della lettura analitica della sua vita.
Ed una come lei non poteva andare a fare altro che la giornalista free lance, andandosene in giro a ricercare notizie scandalose e sconvolgenti da annunciare al mondo intero. Poi, col are del
tempo, si rese conto che alla gente non importava assolutamente niente e che, anche se importava, diciamo che aveva raggiunto il grado di menefreghismo più menefreghista possibile.
Dopotutto, anche se i bambini in Africa stanno morendo, noi possiamo sempre inviare un messaggio di coraggio tramite i nostri smartphone da 600 euro, invece di donare, magari la metà di quei soldi, ad un centro d’accoglienza. Questo si che è spirito di fratellanza!
Volontariato e servizio civile furono il secondo hobby di Giulia – il primo era quello di criticare l’umanità tre volte al giorno: mattina, pomeriggio e la sera prima di addormentarsi – tuttavia arrivò poi alla conclusione che nemmeno quei due servizi sociali servivano a qualcosa.
Strano come l’uomo occidentale pensi che si possano risolvere i problemi dei bambini dell’Africa che soffrono la sete e la fame, portandogli la coca-cola.
Così alla fine, come spesso accade alle persone buone, anche lei si rassegnò, restando da parte. Ci sono molte teorie e congetture che hanno cercato di dare una spiegazione al perché di questo mondo, a perché le cose siano così e non diversamente e a come fare per poter migliorare. Secondo Giulia, se
un metodo esisteva, anche quello alla fine aveva abdicato.
La ragazza, ora matura, incontrò un uomo che scriveva poesie, se vogliamo chiamarle così. Quella che lui definiva come “ La mia poesia più riuscita ” era intitolata “ Leggiadra Primavera ” e faceva “ Oh Leggiadra Primavera, quest’anno, non puoi arrivare un po’ prima per non pagare la caldaia? ”.
Il poeta si chiamava Giovanni, era alto, muscolosamente scolpito e, beh… ad un uomo basta questo. Tuttavia era dannatamente stupido e a Giulia piacque proprio quel lato, perché la sua stupidità era genuina. La faceva ridere anche quando non c’era niente da ridere e quando piangeva aveva sempre pronto un fazzoletto – nascosto chissà dove… si poteva chiamare l’uomo dei fazzoletti se non fosse che aveva anche un sacco di caramelle.. l’uomo dei fazzoletti con tante, tante caramelle – .
Era un tipo molto tranquillo, con una vita regolare e dettata da un atteggiamento mite e rilassato. Giulia poteva mandarlo a quel paese quanto voleva, lui aspettava educatamente che finiva di insultarlo e poi le offriva una caramella – questo era uno dei tanti motivi per cui ogni tanto tornava a casa con un occhio gonfio – . Giulia sapeva perfettamente di non essere innamorata di lui. Un po’ di sentimento c’era ma era più uno “ Sto con te perché sei dolce e non sopporterei di vederti piangere a causa mia ”. In effetti, Giovanni, aveva un’ anima gentile, fin troppo – tanto che se avesse schiacciato per sbaglio una
formica, sarebbe andato dai suoi genitori, al formicaio, a chiedere scusa e a dar loro un degno funerale – e quando lei si arrabbiava, ecco che lui la guardava con due occhioni grandi grandi e tremendamente cucciolosi e non riusciva a non perdonarlo. Altrimenti avrebbe avuto il rimorso a perseguitarla per il resto della vita.
Giulia si era sempre rifiutata di fare discorsi tutt’altro che ordinari con il suo compagno, forse perché sapeva che lui aveva avuto una vita molto diversa dalla sua e che non avrebbe mai potuto comprendere il suo punto di vista. Un giorno, però, curiosa, parlò con lui del mondo, della società e per tutta risposta, ottenne una frase che non si sarebbe mai dimenticata: “ Un uomo non può pretendere di cambiare il mondo… solo Dio può farlo e se non lo fa, significa che tutto deve essere così… un uomo può solo rendere il proprio mondo migliore… e già sarebbe tanto ”.
Giulia allora capì che se veramente voleva fare qualcosa per rendere “il tutto” un posto migliore, doveva cambiare unicamente il proprio punto di vista.
Fondamentalmente il nostro corpo, prima o poi, ci tradirà cessando di muoversi e respirare, ma la nostra anima, energia o materia no. Quella è un tutt’uno con l’universo e non cesserà di esistere. Quindi perché preoccuparsi? Sorridi e vivi ogni giorno come se fosse l’ultimo. Carpe diem o qui e ora… è inutile angosciarsi pensando al futuro o
ricordando il ato.. dopotutto, il futuro è già presente e il presente è già ato.
Tuttavia, fu proprio a causa di questo cambiamento repentino, che la parvente idilliaca relazione tra lei e Giovanni cessò. Era inutile continuare a prendersi in giro e a prendere in giro una persona buona ed onesta. Lei non l’amava e senza amore è soltanto noia.
Fu una scena raccapricciante. Giovanni versò tutte le lacrime che un uomo avrebbe mai potuto versare, chiedendosi che cosa aveva fatto di sbagliato per meritarsi questo. Giulia sapeva, in cuor suo, che era tutta colpa di se stessa, che quel giorno non avrebbe mai dovuto fidanzarsi con lui. Era una farsa e, come tutte le cose false, prima o poi la verità le avrebbe beccate.
Un po’ come la polizia e il malvivente. Almeno, la verità, il suo lavoro lo compie a pennello e senza ricevere mai niente in cambio... se non un vaffanculo ogni tanto.
In seguito, dopo una metodica riflessione – durata all’incirca 10 minuti, in realtà 9 minuti e 56 secondi ma si fa per arrotondare – Giulia decise che non avrebbe mai più avuto una relazione se non fosse stata ispirata da vero amore.
Ma che cos’è questo vero amore di cui tutti parlano? Molti ne parlano e pochi lo
conoscono…e quei pochi che lo conoscono sono solitamente quelli che l’hanno appena perso. La realtà è che l’amore non è mai un per sempre ma è più un “proviamoci insieme e vediamo come va a finire”. Potrebbe suonare male, o non appropriatamente giusto ma le storie sull’anima gemella sono per l'appunto… storie. Un uomo non può starsene con le mani in mano aspettando che la donna giusta le cada dal cielo – primo non è eticamente corretto per quella povera donna farsi 100 metri e più di volo fino a terra e, secondo, non è strettamente realistico e in un mondo reale la fantasia è severamente bandita e tenuta sotto controllo – e poi l’amore è una scelta: incontri una donna che ti piace e che ti fa battere forte il cuore che ogni volta che non è con te, ti manca e ogni volta che è con te senti l’irrefrenabile impulso di dirle quanto la ami e quanto ti piace la sua presenza. Poi diventa fonte d’ispirazione e si diventa stupidi e impulsivi, perché da che mondo e mondo, l’amore non è dettato dalla realtà ma dalla fantasia, dalla follia. Si perde tutto ciò che si ha di se stessi e l’Io si trasforma in Noi. Ma la donna o l’uomo a cui affidare tutto te stesso non è scelta dal destino, è scelta da noi stessi. Siamo noi che scegliamo a chi affidare il nostro cuore – metaforicamente parlando – perché donare il nostro cuore a una ragazza… si, sarebbe romantico ed un pochino inquietante, ma non ci permetterebbe di ascoltare il “grazie” di lei.. perché saremmo alquanto morti. I momenti neri in una relazione fanno parte di quel grazioso quadro d’amore ma in amore servono molte altre caratteristiche, come ad
esempio, la pazienza. Bisogna sempre essere pazienti ed affrontare ogni situazione nel migliore dei modi, per entrambi, non più solo per se stessi. Occorre ascoltare pazientemente tutti i problemi della nostra metà, aiutarla, consolarla e serve anche dell’umorismo, perché devi saperla far ridere… una donna ha sempre bisogno di ridere, tanto quanto un essere umano ha bisogno dell’ossigeno per respirare… e serve anche una buona dose di coraggio – non quel coraggio che serve per poterla difendere da un’ aggressione o da un pericoloso animale o da un parente – perché quando si giungerà a quel momento nella relazione, quel momento che c’è e ci sarà sempre, in cui uno dei due (o entrambi), si stancherà dell’altro, servirà coraggio e anche buona memoria. Così da poter dire “Io ho scelto te… nel bene e nel male… e non ti abbandonerò di certo adesso dopo così tanto tempo”. Perché se due persone si amano ma… un giorno si stancano, non significa necessariamente che non si amino più.. ma semplicemente che manca qualcosa al loro rapporto che, mentre la loro vita scorreva nella più totale monotonia, si sono dimenticati di essere una coppia e per riformare l’amore basta semplicemente ricordarselo.. riconquistarsi ancora una volta… l’amore può finire solo se qualcuno cessa di amare, altrimenti, è già per sempre.
Giulia aveva afferrato appieno questi concetti, erano perfettamente e presuntuosamente corretti... non facevano una piega… Si sforzava di pensare
che doveva essere così o niente avrebbe avuto un senso.
Ma d’altronde, ad ogni essere umano serve anche credere che esista un destino... tanto per non essere spaventato, giorno dopo giorno, dall’idea di poter morire da un momento all’altro - che è una cosa puramente possibile ma, quando entra in gioco il destino, un uomo può sempre dire “Se è mio destino morirò e se non lo è, allora vivrò.”
Poi si attraversa la strada ad occhi chiusi, stravolti dall’alcool ed ecco che si viene investiti da un camion… A parere dell’autore è pura e semplice stupidità ma mettendoci di mezzo il fato, assume un tocco più filosofico e drammatico.
Giulia però era una di quelle persone che avrebbe preso a schiaffi pure il destino, senza distinzioni, perché era una persona molto precisa e sarebbe morta esattamente quando lei lo voleva o, in mancanza di altro, quando aveva ormai fatto tutto quello che, secondo lei, doveva fare.
E… quando, si muore? Ecco il grattacapo più diffuso tra gli esseri umani (molto più diffuso del gratta e vinci…) Non si tratta tanto di un fatto su cui grattare, più che altro è un fatto su cui rimuginare. Dopotutto, chi vuole morire? L’uomo è attaccato alla vita quanto un koala è attaccato all’eucalipto ma dimentica sempre che nessuno può sfuggire alla morte. E’ una delle poche
certezze che abbiamo nella vita, sia che siamo presidenti, medici, mendicanti, musicisti, imprenditori, stupidi, intelligenti, forti, deboli, simpatici, brutti o belli. Prima o poi, il “Signore con la falce” arriva per tutti… o il tunnel di luce... Mi sembra un po’ più pratico.
Giulia era il genere di persona che riflette e naviga su un mare di idee, di pensieri e di congetture e spazia in campi in cui la mente umana non può arrivare.
Potrebbe suonare come offesa ma la verità è che l’essere umano non è poi così intelligente come tutti pensano.. è solo intelligentemente stupido. Ma che senso ha, per un uomo, sapere che il pianeta si sta surriscaldando, che il buco dell’ozono si sta restringendo sempre più… se il sole si sta avvicinando alla terra quanto basterà per darle fuoco o se esseri provenienti da un altro pianeta a breve sbarcheranno e schiavizzeranno l’umanità, se quella sera c’è la partita? L’uomo crede di poter illudere il tempo. Quello che non ha ancora capito è che il tempo non è corruttibile, almeno non è corruttibile con le cose degli essere umani. Un uomo può solo mettersi in pace con la sua coscienza ed essere grato per ogni giorno della sua vita sulla terra. Con tutte queste storie di reincarnazioni è diventato tutto un gran casino… pensa se nella prossima vita capitasse di rinascere molluschi o, peggio ancora, piante e are il resto della vita con le api che ti ronzano intorno per raccogliere il polline, senza nemmeno chiedere il permesso! Sarebbe meglio
reincarnarsi in una pianta carnivora, almeno potresti dire di compiere, ogni tanto, qualche movimento volontario e non causato dal vento o dalle gocce della pioggia che ti cascano nei petali. Con la storia del Paradiso e dell’Inferno era tutto più semplice: ei buono? Santità e beatitudine eterna. Sei cattivo? Fiamme e torture eterne. In entrambi i casi, il vero problema è quell’eterno… cioè: sai che palle! Insomma, essere uomini è molto appagante ma nessuno se ne rende conto.
“Pensi che io sia pazza?” domandò improvvisamente Giulia interrompendo il racconto.
Federico sapeva che non avrebbe dovuto, per nessun motivo al mondo, rispondere erroneamente a quella domanda. Le donne possono essere molto vendicative quando pongono domande del genere.
“No?” rispose titubante Federico lanciandole uno sguardo vago.
La ragazza si mise a ridere.
“Rispondi alla mia domanda con una negazione interrogativa?” e questa era già la terza domanda.
“Perché no?” ecco la quarta.
“Forse perché ad una domanda si dovrebbe dare solo una risposta?”. (Questa non è proprio una domanda ma siccome termina col punto interrogativo credo che siamo arrivati alla quinta domanda.)
“E la mia non poteva essere una risposta a modo suo?” Ora… questa era un’imbarazzante questione di stallo perché l’importanza non era più il dover
dare una risposta ma era: “Chi avrebbe fatto l’ultima domanda?”.
“A modo suo!” esclamò con una smorfia Giulia.
“Non ne ero sicuro” si rassegnò lo scrittore… dopotutto, pensò: “E’ così bella, diamole ragione!”.
“Quindi non sei sicuro sul fatto che io sia pazza o meno?” domandò ancora una volta Giulia che voleva un chiarimento. Un carattere come il suo non permetteva a nessuno di non rispondere correttamente ad una sua domanda. E’ una questione di principio e di botta e risposta. Insomma, a domanda risposta. E’ la legge del dialogo civile, non si possono cambiare le regole tutt’un tratto solo perché Federico non ne era sicuro.
“No” rispose infine Federico, pregando in cuor suo di aver dato la risposta corretta.
“Ti sbagli”… lo scrittore aveva fallito “l’esame” e la ragazza gli lanciò uno sguardo di disapprovazione.
“Io sono completamente pazza… così come lo sei tu e come lo sono tutte le persone che ci circondano”.
Federico si guardò approssimativamente intorno… il vagone secondo lui non si avvicinava minimamente all’immagine di una clinica psichiatrica.
“Intendo dire che ognuno di noi dentro di sé è pazzo, ognuno di noi ha le sue manie puramente non normali. La differenza è che voi le tenete nascoste mentre io sono così come sono, niente maschere, nessun trucco” spiegò Giulia leggendo l’incomprensione nel volto dello scrittore.
“Che manie intendi?” chiese Federico tanto per restare in tema.
“Vuoi veramente che te le elenchi?” Lo scrittore notò lo sguardo torvo ma indubbiamente sincero e provocante della ragazza e… dopo una riflessione attenta… preferì rifiutare.
“No grazie” riuscì a dire, ricomponendosi e sospirando.
“Sei buffo” esordì lei, sorridendo.
“Anche tu” rispose prontamente lui, sorridendole di rimando.. e, dopo aver lentamente ripetuto le parole nella sua mente, diventò rosso d’imbarazzo. Quell’ “anche tu” avrebbe potuto, anzi dovuto, risparmiarselo. Non si risponde “anche tu” ad una ragazza che ti ha detto “sei buffo” che, tradotto, potrebbe stare a dire “mi piaci”. Insomma, va contro le regole del dialogo civile!
Che, chiunque le abbia inventate, sicuramente dal canto suo ha fatto un ottimo lavoro… peccato che in pochi le rispettino.
Ma Giulia, contro ogni probabilità, si mise a ridere divertita. Se far ridere una donna è il primo o per conquistarla, allora Federico, non rendendosi nemmeno conto, aveva già fatto molta strada.
" Anche io? ” rise “ Beh.. grazie ”.
“Già… pensavo che un grazie sarebbe stato troppo banale”.
“Indubbiamente!” affermò Giulia guardandolo di traverso. I suoi occhi ora brillavano di una luce
propria, che le gridava “Guarda i suoi occhi! Quanto sono belli!”.
E quelli di Federico… “ Guarda le sue tette! Quanto sono belle !”.
5
Federico cominciava a sentire un leggero languorino… si ava delicatamente la lingua tra le labbra pensando a un cheeseburger. Aveva fame ma come poteva staccarsi da lei? Gli piaceva troppo conversare con Giulia, gli piacevano i suoi sguardi, le sue parole, la sua voce, le sue risate. Gli piaceva la sua sicurezza, che era la sicurezza che Federico non aveva mai avuto. Gli piaceva il suo modo di essere libera e aperta, che era la libertà che Federico avrebbe sempre voluto avere e gli piaceva la sua positività, che Federico conosceva per sentito dire; qualche accenno qua e là regalatogli dal suo più grande amico: il pessimismo.
Giulia aveva tutte le qualità che Federico stimava e che avrebbe voluto avere. Sembrava fatta su misura, giunta da lui per completarlo, mettere i tasselli mancanti… i complementari che si incontrano.
E si chiedeva, in cuor suo, se anche la ragazza avesse avuto i suoi stessi pensieri. L’assurdità di quel momento non valeva la pena di essere nemmeno calcolata. In quel preciso istante a
Federico non importava niente di tutto il resto, perché tutto il resto era, appunto, tutto il resto.
Aveva perfino dimenticato il motivo per cui si trovava su quel treno, anzi, si era addirittura dimenticato di trovarsi su quel treno… quasi non sentiva più i rumori dei binari, tanto era intento a guardare la ragazza negli occhi mentre lei parlava e gli spiegava come sarebbe stato per lei il “matrimonio perfetto”. Ma lo scrittore era entrato in una sorta di trance… quasi non percepiva il suono delle parole di lei… era da molto tempo che non provava una simile emozione ed ora non sapeva come comportarsi.
“Hai capito?” proruppe Giulia riportando Federico sulla “terra”.
“Certo.. cavalli e carrozze” disse prontamente lo scrittore, ripetendo le prime cose che si ricordava.
“Certo.. mi rendo conto di essere molto pretenziosa.. ma i sogni devono esserlo no? Se no a che serve sognare?” continuava imperterrita a parlare “e poi, un matrimonio deve essere qualcosa da ricordare e non come 2 ore pallose in cui il prete ti dice la messa e stanno tutti seduti ad ascoltare.. serve musica, balli.. una real discoteca, ma con un po’ meno di tutte e due.. e poi magari, al posto del riso, si potrebbero lanciare petardi, non addosso agli sposi naturalmente e… mi stai ascoltando?”.
Le ultime tre parole riportarono nuovamente Federico alla realtà.
“Petardi.. non sugli sposi.. capito” annuì lentamente e flebilmente.
“Già.. ma forse sto chiedendo troppo… In primo luogo va contro tutte le regole della tradizione e in secondo luogo: dove lo trovi un uomo disposto ad organizzare un matrimonio simile?”.
“Io lo farei!” esordì involontariamente Federico che, si, voleva trovare un modo per corteggiare la ragazza… ma in modo misterioso... senza che lei se ne accorgesse – o avrebbe potuto fare figuracce – .
“Ma davvero?” disse la ragazza avvicinandosi a lui “E mi porteresti in braccio fino all’altare?”.
“Credo di potercela fare”.
“E diresti al prete di stare zitto zitto per non annoiare la tua donna con inutili discorsi tradizionalmente noiosi e inconcludenti?”.
“Scotch nella bocca, funziona sempre” continuò Federico. Ora i due nasi si trovavano a pochi centimetri di distanza ed il cuore batteva così all’impazzata che lo scrittore temeva potesse perforare il suo petto ed andarsene via da un momento all’altro.
“E mi baceresti?”.
“Una volta e un’altra ancora, quella è la parte più semplice”.
Ecco… erano vicini… il bacio poteva arrivare da un momento all’altro… ma non arrivò e Giulia si ritrasse indietro con un sorrisetto malizioso, il classico sorriso del ragazzino che lancia la pietra e nasconde la mano.
Il cuore di Federico tornò al suo battito normale ed il pessimismo sussurrava al suo orecchio “ Visto? Te l’avevo detto ”.
“Si… lo faresti… si vede che sei diverso” disse lei dopo alcuni secondo di silenzio.
“E da cosa?” domandò curioso Federico. Ora si parlava di lui.
“Dal fatto che non mi hai ancora chiesto se sono fidanzata” rispose prontamente la ragazza.
In realtà, Federico non glielo aveva chiesto solo perché era un fifone ma, dopotutto, la sua codardia questa volta gli era stata parecchio d’aiuto.
“Vuoi saperlo?” chiese lei in un sospiro.
“Vuoi dirmelo?” ribatté lui. Ora che aveva fatto colpo, doveva tenere alto il livello di interesse verso di lui ma cose di questo tipo con Giulia non funzionavano, a tal punto che gli stava lanciando uno sguardo di rimprovero.
“Va bene.. si, voglio saperlo” si corresse colpevolmente lo scrittore.
“No, non lo sono” rivelò lei, appoggiandosi allo schienale e volgendo il suo
sguardo fuori dal finestrino con fare indifferente.
Federico rimase perplessamente in dubbio. Il fatto che non fosse fidanzata gli faceva piacere, molto piacere ma non capiva esattamente come avrebbe dovuto comportarsi. Ovviamente, si era ormai accorto che stavano giocando al gatto e al topo e chi fosse il gatto e chi il topo Federico lo sapeva
esattamente. E’ che non si immedesimava troppo nella parte dello squitt squitt: anche lui, aveva il suo orgoglio maschile!
Si chiedeva se non fosse giunto il momento di fare qualcosa; un o avanti, per così dire ma non riteneva ingegnoso avventarsi. Fondamentalmente ancora non si conoscevano bene e lui doveva esaminare appieno quell’irrefrenabile impulso, piacevolmente imbarazzante, che lo stava permeando di colpi al cuore ogni volta che la ragazza si rivolgeva a lui. Qualcosa c’era, questo ormai era fuori discussione, rimaneva da capire che cos’era quel qualcosa. Amore non poteva essere, si diceva, due persone non possono innamorarsi così velocemente l’uno dell’altra. Va contro ogni logica e Federico era un uomo che viveva di razionalità.
Che gli piaceva era ormai assodato. La questione era se gli piaceva perché era bella o perché provava veramente qualcosa - come quando incontri per la prima volta il sapore delle patatine fritte e non puoi più fermarti.
Ora Giulia stava osservando il bianco nei monti dal finestrino, assorta in chissà quali pensieri. La verità era che Federico aveva iniziato a fantasticare su di lei e lei aveva iniziato a fantasticare su di lui.
Lo immaginava vestito con grembiule e retina per i capelli, intento a cucinare e lei assaporava gli odori. S’ immaginava una casa modestamente grande, tanto per fare la snob quando sarebbe andata al supermercato o a bere con le amiche – cose del tipo: “V enite a casa mia? Tanto c’è spazio! E se
volete da mangiare c’è Federico che lo prepara divinamente” – e poi si immaginava un camino, grande e bianco, col fuoco che riscaldava ed illuminava tutto il salone e loro due, seduti, l’uno al fianco dell’altra, a leggere e a raccontarsi storie.
I pensieri di Federico erano miserabilmente più pratici: vento tra i capelli, spiaggia, sole e l’invidia di tutte le altre ragazze stese a prendere il sole vedendo are lui assieme a Giulia che sorride e fa l’occhiolino, come dimostrazione del suo sex-appeal. Le avrebbe anche fatto fare un calendario, se solo non sapesse che poi lo avrebbero visto anche molte altre persone e Federico era alquanto possessivo.
“A che pensi?” chiese lei improvvisamente – proprio nel momento in cui Federico stava per farsi un bagno al mare con lei – .
“Tu a che pensi?” domandò a sua volta lo scrittore. Tutti e due erano pienamente in imbarazzo poiché quello a cui stavano pensando, guarda caso, era incentrato proprio su entrambi e nessuno dei due poteva rispondere onestamente.
“Alle montagne” rispose prontamente lei, guardandolo torvamente e con fare indispettito. Dopotutto lei non era così “cagasotto” come Federico – non che si fe ancora la cacca addosso! Infatti lo scrittore aveva smesso di farsela nelle mutande già all’età di 24 anni… nessuno si azzardò mai a chiamarlo ragazzo precoce – e tra
l’altro non era nemmeno così stupida, come Federico.
Ricordatevi che, comunque, lui viene dal paesino... paesuccio.
Federico stava iniziando un po’ ad annoiarsi. Si chiedeva se fosse il caso di mettere lo zampino intralciando il destino, qualunque esso fosse. Che si piacevano lo sapevano entrambi, o forse lo sospettavano o forse volevano entrambi crederci, perché fondamentalmente erano entrambi soli ed erano, anche, entrambi notevolmente attaccati alla routine della propria vita. Cambiarla all’improvviso, per un fatidico incontro su un treno, non pareva proprio il caso.
Vennero poi interrotti dal fastidioso vociare, inconfondibilmente siciliano, del controllore che ava, eggero per eggero, a verificare che non ci fossero intrusioni clandestine di nessun genere. Si vedeva che ci teneva veramente molto al suo lavoro.
Quando arrivò dai due, ecco che anche lui non calcolò minimamente Federico ma ò educatamente prima a Giulia. Era anche normale, visto che lei era una ragazza bellissima, piena di forme e appariscente mentre Federico se ne stava gobbo, col volto disprezzante e pessimista e l’aria di un uomo che è tornato a casa adesso dopo 12 ore di lavoro continuo in una miniera vecchio stampo, proprio di quelle da pala e piccone!
“Biglietti signorina… e perdoni la mia interruzione.. .prenda tutto il tempo che le serve” disse in tono cordialmente gentile il controllore: un uomo non propriamente alto né esageratamente basso, caratterizzato da due grandi baffetti sotto al naso, impossibili da non notare. Sembrava un siculo incrociato con un messicano e con gli occhi di un panda.
Giulia gli ò il suo biglietto che il controllore timbrò. Federico nel contempo stava cercando il suo, non riuscendo nell’impresa, rovistando tra le tasche dei pantaloni e tra i sedili.
“Biglietti signore! Non mi faccia perdere tempo, ho altri 6 vagoni da controllare!” esclamò rigido e seccato il controllore, battendo nervosamente la penna che teneva in mano, nel suo orologio. Federico lo squadrò per un istante; pochi secondi prima era stato cortese e aveva detto a Giulia di prendersi tutto il tempo che voleva e adesso, come per magia, si era tramutato nel controllore più spietato della storia.
“Un’attimo! Non vede? Lo sto cercando…” rispose freneticamente Federico mentre continuava a rovistare tra le tasche, imprecando mentalmente e sperando di non averlo dimenticato.
“Certo.. dicono tutti così! Da dove vengo io tutti cercano il biglietto ma mai una volta che il biglietto salti fuori” continuava senza pietà il controllore, accentuando sempre più la sua tipica pronuncia meridionale.
Federico stava ormai perdendo le speranze. Si sarebbe preso una multa, nel migliore dei casi e nel peggiore, si sarebbe preso una multa e sarebbe stato sbattuto fuori. Continuò a cercare lanciando un sorriso impacciato a Giulia.
“Allora… questo biglietto salta fuori o no!?! La prego, adesso non mi dica che glielo ha mangiato il cane...” commentò sarcasticamente il controllore, gesticolando e battendo il piede a terra.
Federico si paralizzò, ricordandosi della tasca interna della sua giacca… quella era la sua unica speranza e riuscì a trovare il biglietto, un po’ stropicciato ma ancora valido. Lo ò, scattando, al controllore.
“Io non ho cani… grazie” rispose cercando di sorridere per nascondere la rabbia nascente che stava lentamente scaturendo nel suo corpo, provocandogli leggeri balzi all’alluce del piede sinistro.
Quando Federico iniziava ad arrabbiarsi, ecco che il suo alluce iniziava a muoversi all’impazzata senza controllo, quasi in preda ad una terribile frenesia. Le uniche persone a conoscenza di questo “tic” erano la sua famiglia… e Fred.
Il controllore timbrò rigidamente il biglietto e lo gettò scortesemente sul sedile per poi allontanarsi.
Federico iniziava a pensare che la scortesia del personale fosse dovuta ad un fatto di karma. Il mondo si stava lentamente ritorcendo contro di lui o forse era solamente troppo paranoico ma,
d’altronde, lui non era mai stato gentile e simpatico con le persone e tantomeno cortese e se la ruota gira per gli altri… gira anche per lui.
Il detto “ non fare agli altri quello che non vuoi che gli altri facciano a te ” non era mai stato preso troppo sul serio da Federico che pensava, invece, di “ fare agli altri prima che gli altri facciano a te ”. Tuttavia, analizzando attentamente la sua vita, quella filosofia non gli era servita proprio a niente.
“Pensavo che non saresti più riuscito a trovare il biglietto. Una volta è capitato anche a me ma in autobus. La cosa peggiore non è la multa ma l’imbarazzo… tutti gli occhi puntati su di te come tutte le altre fossero brave persone, rispettose verso la legge e tu il cattivo” osservò accuratamente Giulia.
“Non ho mai dato tanto peso ai giudizi delle persone… loro sono loro e io sono io” commentò sintetizzando il suo pensiero lo scrittore.
“Non ho mai detto di dar peso ai giudizi.. E’ solo che.. non ti disturba affatto? “ chiese Giulia cercando di inquadrare perfettamente la personalità altalenante di Federico.
“A volte si e a volte no.. dipende da che persona vengo giudicato” rispose lui.
“Penso sia giusto… Teniamo di più ai pensieri delle persone a noi care, però, se ci pensi bene, le amicizie o gli amori si formano col tempo. Inizialmente siamo tutti perfetti sconosciuti, perciò dapprima non ti interessa di ciò che pensano e poi, quando inizi ad avere affetto e stima di loro, ti interessa” continuò
Giulia mentre formava piccoli cerchi col dito nel vetro appannato.
Fuori, nel frattempo, aveva iniziato a nevicare. I fiocchi cadevano leggeri ed imbizzarriti, prendendo mille strade diverse contemporaneamente. Man mano che procedevano verso nord, tutto era più bianco. Avevano ormai superato il confine italiano da diverso tempo. Non sapevano di preciso dove si trovassero, anche perché non furono mai troppo attenti a leggere i cartelli o ad osservare i luoghi che stavano attraversando. Quello che era certo era che, dove si trovavano adesso, parlavano una lingua completamente diversa dalla loro.
“Come lo dici tu suona male… ma è così. Sono tutti diffidenti verso le persone che non conoscono. Devono conquistare la tua fiducia prima di essere chiamati amici no?” osservò delicatamente Federico, sperando in cuor suo che la ragazza fosse della stessa idea o, almeno, non proprio dell’idea contraria.
“Per me manchi di coraggio” disse improvvisamente Giulia, squadrandolo fisso.
“Cioè?” chiese Federico e lo chiese anche a se stesso. Quell’affermazione lo aveva colpito senza dubbio, forse perché dentro sapeva che era la verità ed in questo caso la ragazza aveva toccato un tasto dolente.
“Da come parli non sembri avere molti amici… penso tu sia molto chiuso in te stesso. Perché non dai fiducia se non sono prima gli altri a darla a te. Ma
questa non è amicizia. La fiducia si ottiene dandola, non pretendendola”.
Allo scrittore sembrava di ricordare le parole di sua madre, quando da ragazzo gli disse: “ Non puoi pretendere tutto se non dai tutto in cambio ”. Era arrivato a capire, molto tempo dopo, che l’universo era come un grande mercato ma senza soldi, solo baratto. Funzionava in una maniera così semplice da crederlo quasi impossibile. Si trattava di uno scambio reciproco: se vuoi amore devi dare amore, se vuoi coraggio devi dare prova del tuo coraggio, se vuoi potere devi essere potente. Il paradosso più ingegnoso di sempre, che porta l’uomo che crede, a vivere una vita dannatamente bella perché, se vivi d’amore dando amore cos’altro potrebbe mai servirti?
Tuttavia Federico anche dopo aver compreso appieno questo concetto, faceva esattamente il contrario. Lui voleva, anzi pretendeva, che l’universo gli desse tutto ciò di cui lui aveva bisogno ma non si rendeva conto che non si sforzava minimamente di dare qualcosa in cambio. Forse, se l’infinito avesse visto un lievissimo sforzo da parte sua, magari gli sarebbe andato incontro.
“Colpito ed affondato” commentò sarcasticamente Federico che, in realtà, era stato davvero colpito ed affondato. Non la vedeva come un’ offesa, anzi ne era felice. Giulia per lui era un talento nello scovare i sentimenti dell’essere umano ma la cosa più importante era che stava concentrando i suoi pensieri su di lui, altrimenti non sarebbe arrivata a
simili conclusioni. Si sentiva in qualche modo avvilito, ma importante.
“Puoi sempre migliorare no!?!” esclamò lei col sorriso a 33 denti stampato in volto.
“Non credo di averne la voglia” osservò demoralizzato Federico, col pessimismo sulla spalla ad incitarlo “Bravo... stai andando molto bene”.
La ragazza rise. Federico non ne rimase più sorpreso. Ormai aveva capito che se faceva battute, andava a finire male e se parlava seriamente faceva ridere. Era a dir poco imbarazzante ma solo per se stesso e lui era abituato fin troppo bene a conviver con se stesso e se a Giulia piaceva il suo modo di essere, o almeno così sembrava, chi era lui per contraddirla?
Il viaggio aveva preso, contro ogni probabile probabilità, una piega a dir poco interessante. Stava accadendo qualcosa di straordinario. Era come se, per tutta la vita, lo scrittore avesse atteso quel momento, anche se non sapeva esattamente che cosa volesse dire. Forse aveva sbagliato paragone ma se l’idea era quella… e se lui era uno scrittore, di certo non avrebbe cambiato facilmente opinione.
Sapeva ancora poco della ragazza ma quella poteva benissimo essere un’altra delle sue solite paranoie. Lei gli aveva già raccontato molto della sua vita e lui aveva fatto lo stesso; avevano scambiato opinioni e discutevano, si stavano conoscendo molto più velocemente di quanto una scimmia
faccia con una banana ma la parte pessimista del suo Io iniziava a trasmettergli brutti pensieri di cospirazione. Come se illudersi di avere anche solo una possibilità con quella ragazza, non fosse altro che illudersi.
Dal canto suo, Giulia era molto indecisa, cosa puramente nuova nella sua vita. Non aveva mai conosciuto personalmente il dubbio, se non qualche avvistamento di aggio. Era sempre stata brava a prendere decisioni lampo, sia sbagliate che giuste. Era un suo talento e se ne vantava pienamente. A lei gli uomini come Federico non piacevano o almeno gli uomini che parevano, secondo lei, deboli e chiusi, pessimisti e paranoici, titubanti ed indifferenti che, guarda caso, erano le caratteristiche più spiccate dello scrittore.
Ma Federico aveva anche molti altri aspetti che teneva nascosti, molto nascosti. Aveva imparato, a proprie spese, che quando una persona ti conosce integramente le cose iniziano sempre ad andare male. Non che dovesse essere necessariamente così ma la sua esperienza gli diceva questo. E’ vero che un rapporto dev’essere in primo luogo basato sulla sincerità; una piccola ed insignificante bugia, a volte, poteva mettere una toppa laddove ci fosse stato uno strappo.
In ogni caso, anche a Federico le donne come Giulia non piacevano. Troppo vivace, troppo aperta, troppo schietta ed irriverente. Questo, tuttavia, poteva essere qualcosa di meravigliosamente imperfetto e, come ormai aveva imparato, non c’è
nulla di perfetto se non a prima dall’imperfezione.
E poi, la donna ideale non esisteva. Forse era per quello che nel mondo c’erano così tante relazioni incompiute, proprio perché tutte le persone sono alla ricerca della donna o dell’uomo perfetti, immaginando l’altra metà senza difetti, senza insufficienze ma, di contro, le relazioni che durano più a lungo sono quelle tra due persone completamente diverse tra loro. Dopotutto, come fanno a completarsi due persone se hanno le stesse caratteristiche, gli stessi hobby e gli stessi desideri?
Così erano entrambi sulla stessa barca che veleggiava verso luoghi sconosciuti, patria di indigeni ed isole tropicali. Peccato che la barca era un treno e che i luoghi, seppur sconosciuti ad entrambi, non erano altro che città moderne. Non che Parigi fosse brutta ma niente a che vedere con il fascino esotico.
Insomma, chi non vorrebbe prendersi il sole ai caraibi? Tanto per dirne una.
“Sai di che cosa ho paura io?” domandò inaspettatamente Giulia.
Ormai Federico si era abituato all’idea che la ragazza aveva l’innata capacità di are da un discorso all’altro tralasciando il mare di differenza che c’era tra loro.
“Di cosa?” la incitò, curioso, lo scrittore.
“Di invecchiare” rispose serenamente lei.
“Rughe, grinfie e tutto il resto?” domandò Federico.
La vecchiaia poteva avere i suoi difetti è vero: la pelle che si tira, i capelli bianchi – che per Federico avevano grande stile – l’addio all’alzabandiera mattutino, i denti che se ne vanno in vacanza prepagata col biglietto di non ritorno e poi… c’erano le malattie. E’ veramente ammirabile la quantità di malattie che un anziano può contrarre. Ce ne sono a bizzeffe e una più interessante e raccapricciante dell’altra. Allo scrittore la cosa che poteva fargli più paura era quella di perdere la memoria: cosa sarebbe stato un uomo senza il ricordo?
Sono i ricordi che costruiscono la nostra vita. La memoria è la base della nostra esistenza; senza di essa saremmo solo degli involucri fermi ed immobili ad apire, non ci ricorderemmo il nostro nome, la funzione del nostro corpo, le nostre origini, non sapremmo niente di niente... perché la memoria è il magazzino più grande delle galassie: Contiene una vita intera, pensieri, parole, gesti e sogni. Contiene tutto il nostro essere.
“No quelle potrei sopportarle” analizzò Giulia. “Quello che mi terrorizza è il fatto che, quando invecchi, sai già che il prossimo o è la morte. Non c’è altro da lì in poi. Arrivi a pochi metri dal traguardo e quello è un traguardo che devi superare per forza. E, giorno dopo giorno, mi chiedo se io
morirò felice oppure no ma, soprattutto, come mi ricorderanno le altre persone perché di certo non mi ricorderanno così come sono ora. Mi ricorderanno come una vecchietta che ava le sue giornate a cucire o a bere del tè. Inquietante non trovi?”.
A quello non aveva mai pensato. Per Federico la morte poteva benissimo essere una carissima amica dell’uomo perché, dopotutto, metteva fine a quel grande incubo che è la realtà.
“Decisamente… ma…forse è troppo presto per pensarci non credi?”.
“Lo è? Ricordo quando avevo 6 anni e non vedevo l’ora di averne 16. Poi ne ho avuti 16 e non vedevo l’ora di averne 20… e così via… Ma oggi, qui, in questo preciso momento, mi rendo conto che il tempo non è lento come ci immaginiamo ma è, anzi, velocissimo. Ogni istante che a è un istante che non tornerà più… è un pezzo della tua vita che se ne va” continuò con aria attonita Giulia.
Calò il silenzio… come era suo solito fare beccava sempre i momenti più giusti. Federico si grattava pigramente la barba, non sapendo esattamente che cosa potesse dire. Sicuramente quello era qualcosa su cui riflettere ma riflettere, in quel momento, non gli sembrava così interessante.
“Le persone pensano di poter catturare il loro ato in una foto… che cosa stupida! La foto è solo un’ ombra di quello che eri veramente…” parlava nuovamente Giulia mentre Federico annuiva, assorto…
“Ti piacciono le fotografie?”.
“Assolutamente no” sentenziò, sicuro di aver detto la cosa giusta, lo scrittore, annuendo convinto.
6
Erano ate tre ore e mezza. Dall’altro capo del mondo probabilmente stavano già dormendo da un pezzo. Il tempo era ato così velocemente e l’ultima ora e mezza, prima dell’arrivo, pareva ben misera cosa.
Federico aveva una sensazione tutt’altro che gradevole e persistente, comunemente chiamata ansia.
Il tempo che aveva ato su quel treno, a parlare con Giulia, era valso ogni istante della sua vita ma per quanto era destinato ancora a durare? Ed il suo cuore ora boccheggiava.
Per quanto un cuore potesse mai farlo.. dato che si trova a corto degli apparati necessari.
La sua mente lo tempestava di pensieri e la gamba era in prenda alla classica agitazione del su e giù. Repentinamente coordinato, il suo stomaco stava iniziando ad accusare i colpi della fame, mandando input tutt’altro che normali al capo reparto del cervello, inviandogli immagini di bistecche al sangue, patatine fritte contornate da maionese,
involtini di carne dall’aria “stuzzicantemente” appetibile.
Il suo sedere aveva ormai lasciato la sua impronta sul sedile, quasi a trasmettere una sorta di messaggio: le persone che verranno a sedersi qui in futuro, sapranno che, in un lontano ato,c’era un uomo taglia 44, con la cintura firmata Dolce e Gabbana. Dopotutto, cos’aveva il suo sedere per non meritare anch’esso un posto nella storia?
Posto… storia… battuta affine.
Giulia aveva iniziato a chiacchierare con sua sorella al cellulare perciò, lo scrittore, aveva tutto il tempo per cercare argomenti interessanti e poco noiosi, anche perché non gli veniva in mente nient’altro da fare. Era come un gioco: intrattenere Giulia per intrattenere se stesso che a sua volta voleva essere intrattenuto da lei.
Poi ripensò a quando spense il cellulare… quasi fu tentato di riaccenderlo, tanto per fare ma poi pensò che doveva essere colmo di chiamate perse e messaggi da parte di Fred, anche se in quel momento si sentiva stranamente molto più rilassato e forse… ma forse.. sentiva che avrebbe potuto resistere ad un dialogo col suo agente e che, magari sarebbe anche riuscito a ridere a qualche sua battuta. Se tutto ciò era vero, non poteva che essere colpa di Giulia e la scusante perfetta sarebbe l’amore ma, per essere sinceri, la verità era che Federico da maniacale pensatore qual’ era,
stava cercando tutte le ragioni per dire che quello non era amore e poi, una volta che le trovava, cercava di invertirle in modo che sembrasse amore.
E se anche fosse stato amore? Cosa avrebbe potuto fare? La ragazza era ammirabilmente enigmatica, era molto difficile dire o provare a dire che cosa le asse per la testa. Magari l’aveva solo preso in giro… si annoiava a leggere per cinque ore e cercava qualcuno con cui fare un po’ di conversazione e, guarda caso, l’unico a portata di mano era lui e così…
Ma una persona che vuole soltanto chiacchierare per perdere il tempo non racconta la sua vita, non parla d’amore, né ragiona sulla vita o esprime le sue paura. Molto più semplicemente parlerebbe del più o del meno, tipo “ Hai visto il meteo? Pioggia e neve tutta la settimana… sabato sole ma solo da mezzogiorno alle 2... tanto per chi volesse fare pranzo pic-nic all’aperto! ”.
Le persone non amano parlare di se stesse, è un dato di fatto… in qualche modo le spaventa perché non sanno cosa l’interlocutore potrebbe pensare di loro, come potrebbe giudicarli o criticarli… che più o meno è quello che fanno tutti quotidianamente, con una dedizione da fare invidia. Le persone hanno un vocabolario di insulti, critiche, rimproveri e valutazioni: la famosa frase “sii giudice di te stesso” è ormai andata a farsi fottere tanto tempo fa… chiunque l’avesse messa al mondo, non aveva ancora capito che razza di mondo era. Il giudizio è lo
sport più praticato. Questo perché è praticato da tutti: giovani, adulti e anziani, tutti hanno la laurea nel giudicare gli altri! Certo è che serve un po’ di pratica ma alla fine si impara che il trucco è semplice: osservi che cosa fa la persona e poi le dici che non si fa così… Ci si prende la mano con il tempo. E’ una gara a chi ne sa di più, a chi riesce ad avere l’ultima parola, a chi sembra meno ignorante e a chi è più intelligente. E’ una gara che pare dare prestigio ma è soltanto una brutta copia di quello che dovrebbe essere il prestigio. Le persone non diventano importanti solo perché hanno detto che tal dei tali si è comportato male e che se avesse fatto come “lui” aveva detto, tutto sarebbe andato nel verso giusto. A volte si può anche avere nettamente ragione sul consiglio/giudizio che si da… il problema è che di un consiglio se n’è fatto un vanto e del male altrui una lode personale.
Federico aveva giudicato ed era stato giudicato a sua volta. Non si sentiva colpevole ma nemmeno innocente. Si sentiva umano, perché l’essere umano è questo. L’essere umano è ciò che è, niente di più e niente di meno.
Il santo è troppo santo ed il cattivo è troppo cattivo ma la persona che sa dell’esistenza del bene e del male e decide di chiuderle gentilmente fuori dalla porta della propria vita, ha trovato l’essenza dell’infinito. E’ inutile, dopotutto, che il bene continui a scontrarsi con il male o viceversa… senza l’uno non esisterebbe l’altro. Se
il male non esistesse non esisterebbe nemmeno il bene perché non avrebbe più senso definire qualcosa di buono se non esiste qualcosa di cattivo. Di conseguenza, il discorso rimane assolutamente invariato per il suo contrario. Tuttavia le persone non sanno che il buio esiste indipendentemente dalla luce accesa mentre la luce ha sempre bisogno di un mezzo per farsi vedere! Con questo non ho intenzione di dire che l’oscurità è meglio della luce, dico solo che quel meglio è irrilevante. Non esiste nessuna preferenza, esiste solo buio e luce… elementare … e a chi pensa che dal buio possa fuoriuscire una qualche creatura soprannaturale, l’uomo nero, la bambina che abita nel pozzo o qualche spirito infestatore, si ricordi che al buio non vedono nemmeno loro e che molto probabilmente, vedono te come una creatura soprannaturale ed hanno paura ma hanno paura soprattutto perché loro non esistono mentre tu si, hai forma ed identità… loro invece hanno la forma e l’identità che tu dai loro… e niente di più.
Federico non aveva mai avuto paura dei fantasmi, anzi, aveva sempre voluto conoscerne uno di persona, giusto per chiedergli come era il trao… insomma… avere una qualche informazione su ciò che tutti si aspettano. Ma, in cuor suo, non aveva mai creduto alla loro esistenza, non perché riteneva non ci fossero prove realisticamente accettabili se non da pochi considerati per la maggior parte “incapaci di intendere e volere” ma perché riteneva il vero
mistero la domanda: perché una persona considerata malata mentalmente crede di vedere fantasmi? Non sarebbe più logico se dicesse di vedere Babbo Natale? O la Befana? O la Fata Madrina?
Invece molte persone riconosciute col titolo di “pazzi” giurano di essere state rapite dagli alieni. Ora, oltre ad essere fuori di testa, hanno un’immaginazione così fervida da fare invidia a Tolkien. Nessun problema con gli orchi che vogliono schiavizzare l’umanità, dopotutto sono orchi ed è nella loro natura, ma dei presunti hobbit dall’aspetto di ragazzini che fumano l’erba pipa no.. non è moralmente giusto.
La fantasia era il posto preferito di Federico. In quel luogo nessuno lo giudicava se non te lo immaginavi… lì poteva essere un re, un principe, un leggendario eroe destinato ad essere, appunto... un eroe. Poteva sognare pianeti infiniti, poteva volare a cavallo di grifoni o, se vogliamo esagerare, a cavallo di draghi… con l’immaginazione poteva viaggiare in ogni luogo; nessun confine o limite ancestrale lo avrebbe fermato… poteva scorrazzare libero in qualsiasi posto gli pareva… poteva avere tutte le donne del mondo, tutti i soldi del mondo, tutti i chupa-chupa del mondo.
Andiamo! Nel mondo la gente come hobby spara agli animali, si da cazzotti sui ring, litiga per un pallone e fa la guerra simulata… però sta perdendo la fantasia, perché oramai è definita
come totale banalità che ti distoglie dalla cosa più importante di tutti… la realtà.. ma sarebbe più appropriato dire: dai soldi. Perché la gente, per considerarti un bravo ragazzo, deve vedere i verdoni che hai in tasca. Più soldi hai più sei rispettato! Alcuni potrebbero addirittura chiamarti “dottore”… anche se non hai mai operato un individuo in vita tua, se non quando tagliavi le code delle lucertole da bambino, per poi vederle ricrescere il giorno dopo! (escludendo la plausibile possibilità che il giorno dopo invece fosse un’altra lucertola… è molto più affascinante vederla come la stessa lucertola con la coda ricresciuta).
Vivere nella fantasia è diventato, nel contesto, un fare da nerd, un fare da dissociati, un fare da stupidi… nessun commento, dopotutto il discorso sui giudizi lo abbiamo fatto poco fa… la gente deve dire qualcosa su di te, fa parte del gioco.
Federico starnutì e per non colpire Giulia si voltò di scatto verso destra, accorgendosi di avere starnutito verso l’uomo col portatile, che lo fissò con sguardo severamente dissonante.
“Mi scusi… le allergie, sa com’è” si giustificò, rammaricato, Federico.
L’uomo continuò a fissarlo, mezzo incredulo e mezzo incazzato, realizzando che nei suoi pantaloni da 200 euro stava appiccicato il muco dello scrittore.
“Le allergie” ripetè con tono sarcastico e malvagio.
“Deve essere qualcosa nell’aria, polline o qualcosa di simile, sono allergico a… a .. molte cose… mi scusi di nuovo” disse, colpevolizzandosi, Federico.
“Ma vai a cagare” lo incitò con disprezzo infinito l’uomo, sguainando un fazzoletto e ripulendosi.
Federico si voltò, demoralizzato, verso il finestrino… quella se l’era cercata.
“I viaggi in treno mi annoiano… non succede mai niente di interessante” disse sospirando Giulia mentre riponeva il cellulare nella sua borsetta.
Quella poteva benissimo essere la risposta per i pensieri angoscianti dello scrittore. Il fatto che avesse detto che non succedeva niente di interessante poteva voler dire che non si era divertita affatto a conversare con lui e che la sua teoria, sul fatto che la ragazza aveva iniziato a parlargli solamente per are il tempo, ora, con quell’ultima affermazione, calzava alla perfezione.
Tuttavia poteva anche voler dire che si aspettava che Federico fe qualcosa, qualsiasi cosa per ravvivare l’ambiente. Forse Giulia gli aveva lanciato a modo suo il “pallone”, nel senso che ora stava allo scrittore fare un o verso di lei.
Le persone non ti chiedono mai esplicitamente di fare qualcosa, sono sempre preparate a portarti a fare quello che loro vogliono, spontaneamente, in modo da evitare qualsiasi rinfaccio futuro.
“Sei uno scrittore… raccontami una storia” disse lei con uno sguardo così deciso che era impossibile rifiutarsi.
Questo era vero, Federico era uno scrittore ma… ogni volta che si trovava a dover scrivere una storia, aveva bisogno come minimo di ore di meditazione che per lui la meditazione era un momento di completa intimità, in compagnia di una qualsiasi bottiglia d’alcool giusto per inebriare un po’ le parti troppo terrene del cervello e fare in modo che la fantasia, seppure non perfettamente sobria, potesse scorrere verso nuovi orizzonti.
Non gli era mai capitato di raccontare una storia su due piedi ma sapeva che non poteva rifiutarsi. Quella era la sua occasione per fare colpo, perciò decise di lasciarsi ispirare dal momento, dalle sensazioni che provava per la ragazza.
“Un uomo… sabbia… case in rovina e macerie sparse qua e là... rumori di spari… grida. E’ uno scontro a fuoco, l’uomo è un soldato, anche se non per sua scelta. E’ ferito e sta perdendo molto sangue, troppo sangue… cammina a stento barcollando attraverso le raffiche dei fucili avversari.. i suoi compagni sono troppo lontani, troppo impegnati, non lo notano.. è da solo.” Mentre raccontava, Giulia lo guardava deliberatamente incuriosita ed i suoi occhi mostravano una luce quasi innaturale.
“Cade… le gambe gli formicolano… inizia a sentire i rumori distanti, non ha più paura dei proiettili. Ora sta pensando a lei… la sua donna. Pensa a casa, all’odore dei petali di rose del loro giardino… al rumore dei fornelli della cucina… ai costanti profumi
degli incensi che ricoprono l’interno della loro casa... pensa ai campi, ai boschi… striscia per alcuni metri fino a quando non si ritrova dietro ad un cumulo di macerie, protetto ma con ancora poco tempo. Al suo fianco, un cellulare… lo prende e si accorge che funziona alla perfezione. Quella è la sua ultima possibilità per chiamare casa, per sentire un’ultima volta la voce della sua donna. Ma il telefono ha pochi soldi, sarebbe riuscito a fare una telefonata di 1 minuto… niente di più. Compone frettolosamente il numero… il suo corpo è ormai circondato da una chiazza di sangue… A stento riesce a tenere gli occhi aperti e la mente lucida… Il telefono squilla… qualcuno risponde. E’ lei… “Pronto? Pronto?” dice… “Amore… sono io”… la sua donna poteva sentire gli spari e le grida… “Dove sei! Che sta succedendo?” vociava spaventata “Ascoltami tesoro... non ho molto tempo… volevo che tu sapessi che… che… che ti amo e che...” la voce della donna lo interrompe “Ma che stai dicendo? Dove sei? Chi sta sparando? Sei ferito?” singhiozzava e la voce era molto agitata… il soldato tira fuori da una tasca la foto del loro matrimonio, sorride mentre l’accarezza… “Ricordi quando ti chiesi di sposarmi? Guardavamo le stelle… io guardavo te… e tu, infastidita, mi implorasti di guardare il cielo… di ammirare l’universo… te lo ricordi vero?” e lei “si… mi ricordo”. Lui “ricordi cosa ti dissi?”… lei stava già piangendo e rimettendo le lacrime… disse “dicesti che non avevi bisogno di guardare il cielo per vedere l’universo… ti bastava guardare i miei occhi”…
“esatto… ed era una vista magnifica..”. La donna aveva capito… “Non prenderai l’aereo domani vero? Amore rispondimi” ma il soldato non rispose… aveva già spirato il suo ultimo respiro… ora i suoi occhi erano chiusi e sorrideva beatamente mentre il suo pugno teneva la foto vicino al cuore... La telefonata, dopo pochi secondi, si chiuse”.
Giulia ne era rimasta colpita… triste non c’era dubbio ma con un fondo di verità. Quello era lo spirito che a Federico era sempre mancato. Forse questa era la prova definitiva che quello che provava per lei era qualcosa di vero… chiamarlo amore avrebbe rovinato tutto… chiamiamolo, semplicemente, verità.
“Commuovente… i tuoi lettori devono odiarti. Se tutte le tue storie sono come questa allora avranno sicuramente versato molte lacrime” osservò compiaciuta Giulia.
In effetti, era probabile che i pochi lettori delle sue storie lo odiassero ma per motivi tutt’altro che drammatici.
Tuttavia, pensava Federico, le storie drammatiche erano le più semplici da scrivere; bastava mettere un pizzico di rimpianto… un amore che finisce con uno dei due che muore… qualche piccolo atto eroico… ed il gioco era fatto.
“Scrivo generi diversi” disse, rammaricato, lo scrittore.
“Magari dovresti concentrati su questo allora. A me è sembrata una traccia molto buona. Non che mi
intenda chissà quanto di scrittura ma da buona lettrice quale sono, ti dico che un libro così lo comprerei senza dubbio” commentò francamente Giulia.
Un lampo di genio balenò nella mente di Federico. Forse era giunto il momento di cambiare approccio con la scrittura, forse doveva cambiare genere… dopotutto a chi interessa leggere di un uomo che odia il mondo e che prende solo bastonate nei denti dall’inizio alla fine della storia? Serviva qualcosa di più toccante, più sensibile.
Aveva sempre rinnegato la propria parte sensibile, avendo sempre pensato che la delicatezza era per le persone deboli che non riusciranno mai a combinare qualcosa nella vita ma, pensandoci bene, lui aveva sempre cercato di essere forte e di non fare il sensibile e, nonostante questo, la sua vita faceva schifo lo stesso.
“Prenderò in considerazione il tuo consiglio” disse infine.
“Fai bene, in molti l’hanno fatto e mai nessuno ne è rimasto deluso” commentò Giulia accennando un occhiolino di vanto.
“Che modestia” osservò sarcastico lo scrittore.
“E’ il mio secondo nome” disse lei sorridendo.
“Hai qualche altro consiglio?” domandò Federico.
“Assolutamente si! Tagliati la barba… Per una donna potrebbe essere difficile baciarti con tutto quel barbone” esclamò ridendo lei, pizzicandogli il mento con fare giocoso.
“Non credo che bacerò mai un’altra donna e perciò… il barbone resta. E poi… non è così male, mi fa sentire più grande” disse Federico.
“Più grande? Perché credi di essere giovane?” esclamò con aria di sfottimento Giulia.
“Che vorresti dire?” ribadì Federico che si sentiva ancora nel fiore degli anni.
“Voglio dire che sei vecchio!” disse la ragazza spalancando gli occhi con aria di critica.
“Ah… io sono vecchio? E tu invece?”
“Io cosa?”
“Non sono forse dei capelli bianchi quelli che vedo?” analizzò Federico puntando il dito verso i capelli di Giulia che spalancò la bocca, quasi sconvolta.
“Se è vero giuro che ti uccido” borbottò controllandosi freneticamente.
Lo scrittore rise…
Quello si che era un momento deliziosamente bello. Stavano giocando, per così dire… e Federico si sentiva ringiovanito di 20 anni.
“Anche da vecchia io sarò lo stesso più bella di te” commentò vincente Giulia.
“Non credo proprio… mi avevano offerto, tempo fa, di lavorare come modello...” disse spavaldamente Federico.
“Ah si?” continuò ridendo lei… “E tu cosa gli hai risposto?”
“Che non volevo diventare una di quelle persone che riceve telefonate moleste alle 3 di notte!” esordì
Federico. I due risero insieme, per poi fermarsi l’uno negli occhi dell’altro.
La magia non esiste. Questo è quello che pensano tutti... o, almeno, possiamo certamente affermare che non esistono maghi dal cappello a punta che lanciano palle di fuoco o dardi magici… o che hanno il potere di trasformare i principi in ranocchi (o forse quello lo facevano le streghe… ma penso sia, comunque, una cerchia ristretta di magia). In ogni caso dipende sempre dai punti di vista. Io penso, tralasciando la corretta etimologia della parola magia, che essa sia una sostanza relativamente esistente. Prendiamo, per esempio, persone disadattate senza lavoro e senza casa che però trovano lo stesso il coraggio di lanciarti un sorriso… o madri di famiglia che devono pensare a tenere in ordine la casa, facendo due lavori ed in continuo stress e che, nonostante questo, riescono lo stesso ad educare correttamente i propri figli… o pensiamo a come ragazzi giovani, che vivono senza un soldo in tasca, con un rapporto in famiglia di liti e botte che, nonostante tutto, riescono a conseguire una laurea e a cambiare la propria vita. Ora, tutti questi e molti altri esempi, per me non sono un fatto di destino – che sarebbe ignoranza – o un fatto di fortuna – tanto per semplificare gli eventi – per me si tratta di pura e vera magia.
E adesso, tra i loro sguardi, in mezzo a loro due, c’era della magia… invisibile agli occhi di tutti, perché l’uomo non è più abituato a vedere cose che
vanno fuori dal loro ordinario… ma c’era, era presente e volteggiava attorno ai due, unendoli. Si erano trovati.
Quante persone possono dire di aver trovato la donna o l’uomo giusti? Siamo sinceri, viviamo in un caotico mondo che ha il pienone, siamo in così tanti che è facilissimo sbagliarsi ed azzeccarsi può capitare solamente una volta nella vita. Insomma, una possibilità su sette miliardi… se sei abbastanza fortunato… vuol dire che sei abbastanza fortunato!.
“Io non ci credo” commentò acidamente Giulia.
“Nemmeno io” continuò Federico mantenendo la stessa acidità di lei.
Giulia si mise a ridere.
“Hai appena detto che ti avevano offerto di fare il modello, ti dico che non ci credo e mi rispondi nemmeno io???” osservò divertita Giulia. “Sei un racconta balle”.
“No… sono un racconta storie” ribadì, quasi offeso, Federico.
“Beh… allora sei un pessimo racconta storie” commentò malignamente Giulia, con sguardo soddisfatto.
“Non mi sembrava di essere pessimo... poco fa hai detto che era molto bella la storia che ti ho raccontato” osservò pacatamente ma con aria boriosa, lo scrittore.
“Oh… allora ho mentito” ribatté prontamente Giulia, senza inibizioni.
“Allora sei una bugiarda” ribadì aspramente Federico.
Giulia rimase di stucco. L’avevano chiamata in tanti modi nella sua vita ma bugiarda mai. Tuttavia, quel bel visino da orsacchiotto dello scrittore, poteva essere perdonato.
Non ci sono cose veramente belle come guardare un uomo e una donna che giocano, (per così dire) che si prendono in giro e si divertono l’uno con l’altro… è alchimia, è la reazione spontanea che ognuno di noi ha dentro. Siamo tutti bambini, magari un po’ cresciuti: con la barba, foreste tropicali sotto le ascelle… ma l’anima rimane sempre tale, perché l’uomo ha bisogno di giocare… troppa serietà nuoce gravemente alla salute. Le persone tendono a mettere da parte il lato giocoso e vivace per rimpiazzarlo con quello serio e snervante, di modo che tutte le altre persone ti considerino esattamente come tutte le altre persone. La gente ha paura di osare, ha paura di arrischiarsi a distinguersi dalla massa, ha paura di sbagliare. La gente ha paura di così tante cose che anche la paura è costretta ad inventarsi sempre nuove “assoggettazioni” per non perdere di credibilità. Viviamo nella costante paura dell’avere paura ed è bello vedere come la razza più potente sulla Terra, la razza dominante, si spaventi alla sola vista di un innocuo ragnetto che eggia per la stanza chiedendosi dove piazzare la propria ragnatela, in totale pace con se stesso e col mondo – poco prima di venire
spiaccicato… brutta vita quella degli insetti! – . Nelle epoche antiche la paura la combattevano con piacere ricercando gloria e fama. Oggi la cosa migliore che si possa fare, quando si ha paura, è nascondersi sotto le coperte, pensando che lì il, fantasma, non possa toccarti.
Giulia e Federico continuarono, ininterrottamente, a giocare tra loro. Ora anche Federico si era sciolto, per così dire. Persino il suo caro pessimismo se ne stava in disparte ad osservare, incredulo, come il suo regno stava per finire.
Ma il treno, che non aspetta nessuno – finché è azionato – stava proseguendo il suo tragitto così veloce, da non risparmiare nemmeno un secondo di tempo. Erano entrati ormai da diverso tempo in Francia e, all’insaputa dei due, presto sarebbero giunti a Parigi.
Vista da un turista, potrebbe essere una delle città più belle al mondo; da visitare costi quel che costi. Per alcuni, addirittura, da andarci a vivere ma per Federico, Parigi, in quel momento, era paragonabile ad un baratro senza fondo e lui vi stava precipitando.
I loro sguardi, le loro parole, le risate… c’era dell’alchimia tra loro… l’universo ballava attorno a loro concedendogli parte della propria energia – una piccola e microscopica parte – Non erano neanche più imbarazzati. Ora erano davvero aperti tra loro, come se, in fondo, si conoscessero da sempre.
Dopo alcuni minuti Federico si ritrovò a girarsi e rigirarsi l’accendino tra le dita, con fare nervoso. Voleva fumarsi una sigaretta con tutto se stesso. Non era mai stato così tanto senza fumare. Era sempre stato abituato ad accendersene una subito dopo che l’altra si era consumata… era forse l’unico tic che aveva lo scrittore – oltre a quello dell’alluce – ma la cosa che lo infastidiva di più non era il fatto che non dovesse fumare… dopotutto, un normale eggero aspetta la fine del viaggio e poi si accende voracemente una sigaretta. Il problema era che sapeva perfettamente che non poteva fumare e questo non faceva che aumentare la sua voglia.
Giulia notò il gioco frenetico dello scrittore con l’accendino.
“Tu fumi?” chiese lei.
“Si vede vero?” commentò Federico.
“Lo so… i viaggi lunghi sono una seccatura per un fumatore. Ma io sono esperta nel risolvere le “beghe” e soprattutto, dato che fumo anche io, ho proprio voglia di fumarmene una” disse con sguardo ambizioso Giulia.
“Le ho anche finite… poco prima di salire in treno” osservò dispiaciuto Federico.
“Non c’è problema” disse con un sorriso lei mentre sfoderava tra le mani un pacchetto di sigarette “Io ho il rimedio a tutto!”.
“E dove vorresti fumarla? Non credo che il treno possa sostare una decina di minuti per noi due” commentò sarcastico Federico.
“No… però potremmo andare a fumarla in bagno… non è il posto più affascinante che ci sia ma per una sigaretta basta e avanza non credi?” osservò astutamente Giulia.
“Direi che potremmo provare” disse convinto lo scrittore.
Mentre si dirigevano verso il bagno Federico poté constatare che Giulia non era alta. Era poco più bassa di lui e lui non era di certo una stanga!. Oltrearono la grassa donna orango, che dormiva avidamente con la bava a penzoloni. Raggiunsero i modestissimi bagni dei treni, fatti per una persona… il che vuol dire, pensava Federico, che lì dentro sarebbero stati stretti e… vicini.
Si chio là dentro. Quell’inopportuna vicinanza con una donna creava scompiglio all’interno di Federico. Il cuore batteva all’impazzata, i polmoni chiedevano più aria e i testicoli cominciarono a sfornare testosterone in gran quantità. La ragazza aprì la finestrella a metà ed accese una sigaretta, allungandone un’altra a Federico che, a sua volta, l’accese.
Non è molto romantica la scena di due fumatori accaniti che divorano una sigaretta… quindi parleremo di altro.
Da quella distanza Federico riusciva a percepire il respiro trattenuto di lei. Stavano in silenzio, forse perché entrambi aspettavano la mossa dell’altro.
Quello, pensò lo scrittore, doveva essere il momento perfetto. Non avrebbe avuto un’altra occasione. Certo, d’altro canto avrebbe preferito evitare che il momento perfetto fosse all’interno di un bagno che tra l’altro emanava un leggero, ma persistente, olezzo di piscio. La realtà, però, è molto diversa da quella di un film.
Senza che Federico potesse aprire bocca Giulia lo batté sul tempo.
“Tu credi nell’amore a prima vista?”
“No.”
“Nemmeno io…”
Quando le due labbra si incontrarono… tutto, intorno a loro, sembrò scomparire. Il bacio, che durò all’incirca 5 secondi, pareva fosse durato anni.
Esistono diverse categorie di baci. Esistono i baci d’addio, smielati ed apionanti al punto che chi parte si pente di averlo fatto – e rimugina sul perché quando stavano assieme tutti i giorni non riceveva mai baci del genere – Esistono i primi baci, che sono l’apice primordiale dell’imbarazzante cozzare di due giovani ragazzi che hanno visto un film e hanno detto “deve essere fatto così”. Esistono poi i baci tra gli innamorati, che sono una forte ispirazione per grandi poeti, scrittori, racconta storie. I baci tra gli innamorati sono forse i più riconosciuti, sono la classica parte romantica che tutti cercano ma che pochi trovano. E poi, ci sono i baci d’autore, comunemente chiamati baci falsi. Prendete un
film, la scena del bacio, i due attori devono farlo. Poi, che vogliano o meno è indifferente. Fai la parte, prendi i soldi e vai per la tua strada. Quello tra Federico e Giulia era il bacio dei baci… quel bacio che tutti si aspettano e che sanno, che prima o dopo, i personaggi lo faranno e tutti sorridono perché finalmente c’è stato il bacio che solitamente segna l’inizio di una grande storie d’amore. E’ il bacio standard, che c’è. Impossibile da evitare ed impossibile da prevedere.
In quel momento... a Federico importava poco della propria sigaretta.
7
Tecnicamente tutte le storie finiscono con un lieto fine, tuttavia, questa stava andando dritta dritta verso un tragico disastro. Il conto alla rovescia, per così dire – poichè si dovrebbe partire da 10 faremo un piccolo strappo della regola – era cominciato. Mancava poco, anzi, troppo poco, prima dell’arrivo del treno. Federico aveva in bocca ancora il sapore dolce ed afrodisiaco di lei che lo rese, per la prima volta negli ultimi 15 anni, felice… anzi, incondizionatamente felice.
Dopo il bacio erano tornati a sedersi, in silenzio… qualche sguardo, sorriso, qualche accenno, nulla di più… dopotutto avevano già detto tutto.
La malinconia si presenta sempre come la faccia gelosa della felicità, l’invidia di aver visto le porte del paradiso chiuse e con il cartello “ vietato l’ingresso, attenti al cane ”. Si erano trovati ma per quanto ancora? Alla fine della corsa che cosa li aspettava?
Per lo scrittore era come se il destino gli avesse messo davanti dieci milioni di euro in contanti che,
però, non avrebbe potuto spendere. Federico guardava, attraverso il finestrino, l’immagine riflessa di lei che, ad occhi socchiusi, pensava a chissà cosa. Con sua grande sorpresa, pure lei lo stava guardando e gli sorrise distrattamente mentre lui pensava di osservarla inosservato.
Inutile negarlo… la situazione sarebbe degenerata… da un momento all’altro. Per quanto ancora sarebbero riusciti a fare finta che non fosse successo niente? Il ricordo di quel bacio era presente, seduto vicino a loro, a chiedersi perché. Nonostante la sua presenza, i due non erano ancora del tutto convinti di loro stessi.
La fiducia aspetta sempre perché chi può fidarsi della fiducia? Il nostro ordinario non ammette niente che non sia appunto… ordinario. Non può mica permettersi che un uomo ed una donna possano innamorarsi in 5 ore? Ci vogliono mesi o anni di amicizia e poi, se entrambi sono consenzienti, si a a consumare l’amore. Quello è il mestiere ordinario di una coppia praticamente e banalmente ordinaria. Ma la vita è fatta di straordinario, altrimenti non varrebbe nemmeno la pena di soffrire per vivere. Voglio dire… va bene avere fame e tardare per mangiare ma, almeno, facciamo in modo di mangiare cinghiale in agrodolce quando si mangia!.
Così Federico, ancora una volta, non si fidava pienamente del suo sentire che gridava all’impazzata il nome di lei. Ricordò di quando si
era separato da Elisa. Aveva giurato che non avrebbe mai più avuto una relazione per il resto della sua vita. Tuttavia, che razza di giuramento era? (Non sai cosa ti riserverà la restante parte della tua vita, quindi, è da sciocchi prevenire per un futuro che neppure esiste).
E Federico era molto stupido… forse pensava che fosse inutile ricominciare tutto d’accapo per l’ennesima volta.
Un uomo non può vivere senza una donna? La risposta, francamente, è si. Un uomo può vivere senza una donna e, a dire la verità, un uomo può vivere senza molte cose, l’importante, dopotutto, è respirare, mangiare e dormire. Ma un uomo ha bisogno di una donna, questo è il punto! La rabbia, il dolore… sono tutte emozioni che possono portare un uomo a fare cose perdutamente stupide che già potrebbe fare in stato di normalità… figuratevi poi un uomo che viene lasciato di punto in bianco dalla donna con cui ha condiviso il letto per 7 anni consecutivi. Si dicono tante cose ed è giusto, è naturale… come dire… è umano. Tuttavia una volta che sono state dette si dovrebbe tornare alla metodica realtà e quotidianità. Però, esiste l’orgoglio... il vanto di ogni guerriero. Una volta lo rispettavano e veniva considerato il compagno obbligato di ciascun uomo che si rispetti. Oggi, invece, è una canaglia travestita che non vede l’ora di metterti nei guai. L’uomo cade spesso nel tranello dell’orgoglio - che sarebbe colui che da forza alle tue idee da
incazzato - L’orgoglio ti impone di non cambiare idea perché un “vero uomo” non cambia mai idea ma continua per la strada che ha scelto, sia giusta che sbagliata. Ora, l’orgoglio, però, in tempi di crisi come questi, è stato costretto a fare un’alleanza con il vittimismo e in questo modo hanno creato un’arma letale per rendere gli uomini ancora più stupidi. Adesso non entra più in gioco il fatto di dire “ho detto così e ormai è così” ma entra in gioco il fatto che, orgogliosamente parlando, è colpa nostra ma non lo ammetteremo mai (orgoglio) … piuttosto ci facciamo del male spontaneamente e “prima o poi ti pentirai e verrai tu da me” (vittimismo ).
Ma Federico non poteva lasciare andare le cose semplicemente come devono andare; non gli sembrava eticamente giusto. Oltretutto, non era nemmeno egoisticamente giusto… insomma, lui non aveva voce in capitolo?
“Ti rivedrò?” domandò istantaneamente col pensiero che avrebbe rischiato di non vederla più.
“Parigi non è poi così grande se ci pensi, dipende da che punto di vista la guardi” rispose lei vagamente, con una sottile nota di tristezza.
“Non ho paura di Parigi, potrei girare il mondo intero per rivederti” confessò, rassegnandosi all’idea che forse il romanticismo non era poi così malvagio.
“Addirittura? Ma perché dovresti farlo se io sono qua” disse concretamente lei.
“E domani dove sarai? Insomma… voglio dire… vorrei solo rivederti o è stato solo un viaggio? E
quando il sole sorgerà di nuovo dovrò ripensare a tutto questo come ad un abbaglio?” disse vacuo Federico.
“Voi uomini non sapete ascoltare... e non conoscete la fiducia” commentò acidamente lei.
Questo fece arretrare lo scrittore, che era stato preso in contropiede. Non si aspettava una risposta del genere ma forse, ancora una volta, aveva sbagliato a sperare troppo.
Un piccolo spazio deve essere dato anche alla speranza. Tutti la conoscono, molti ce l’hanno, ma pochi ne realizzano veramente il senso. La speranza è la forza che rende il coraggio così… coraggioso. L’eroe ha coraggio perché ha speranza, perché sa che, in un modo o nell’altro, le cose andranno come devono andare e, un uomo, di fronte alla legge universale, conta come il due di picche.
“Con questo che vorresti dire?” Federico trovò così il coraggio di rispondere a tono. Voleva delle risposte, voleva dei chiarimenti. Per tutta la sua vita gli eventi gli erano sfuggiti di mano e si erano presi gioco di lui in tutti i modi possibili ed immaginabili.
“Intendo dire che… ci siamo conosciuti per caso giusto?”
“Giusto.”
“Perciò non pianifichiamo niente, vediamo come andrà a finire” disse Giulia,
evidenziando un leggero broncio interrogativo e perplessamente confuso.
“Il mondo è grande, come pensi che potremmo mai rincontrarci, a casaccio?” domandò sbalordito lo scrittore.
“Beh… l’abbiamo già fatto no?” ribadì indispettita lei.
Federico stava quasi per risponderle ma ritirò il suo pensiero e, con esso, ritirò se stesso. Era inutile continuare… del resto… era abituato a questo genere di avvenimenti. Erano state 5 ore eggere, ecco tutto. Era stato incredibilmente stupido a pensare che avrebbe potuto esserci di più di quello che… secondo lui, in quel momento, non era stato niente.
Giulia gli prese la mano nella sua e Federico la guardò, confuso, dopo quel gesto inaspettato.
“Non sto mica dicendo che non voglio rivederti” disse lei… ora in tono più dolce e pacato.
“Allora non sto capendo ciò che vuoi dire” disse Federico scontroso.
“Potresti lasciarmi il tuo numero” disse lei speranzosa.
Federico ci pensò su.
Perché non aveva detto “P otrei lasciarti il mio numero ”? Forse perché lui era sicuro che l’avrebbe richiamata… lei no.
“Certo” disse infine con un filo di voce lo scrittore, sconfitto in cuor suo.
Lei lo accarezzò in guancia.
“Scemo… non hai ancora capito niente vero?” disse divertita.
“Sono molto confuso” rispose sincero Federico.
“Dico… andiamoci piano… ci siamo conosciuti appena ma… mi piaci.. mi piaci tanto.. e anche io non voglio perderti se proprio vuoi saperlo” commentò Giulia.
Le paranoie di Federico non avranno mai fine.
“Quindi il piano qual’ è? Incontrarsi e bere qualcosa insieme in una qualche caffetteria se? Spero che almeno tu sappia come ordinare” disse Federico.
“Pensavo a qualcosa di più… originale…” commentò mentre rifletteva tra sé e sé Giulia.
“Ogni tanto andrebbe bene anche andare sul classico, no?” domandò lo scrittore.
“No mai! Odio le cose classiche… sai sempre come vanno a finire” rispose con trepidazione la ragazza.
“Quello che vuoi…” si limitò a dire Federico che sapeva perfettamente che il luogo in cui sarebbero andati non aveva importanza. L’unica cosa che contava era rivederla e magari... anche ribaciarla.
“Quanto ti fermerai a Parigi?” chiese la ragazza.
“Un po’” rispose lui.
Tecnicamente avrebbe ripreso il treno la mattina seguente e sarebbe tornato a Milano. Dopotutto, era andato fino a lì solo per un incontro. Ma forse avrebbe potuto fermarsi un po’ di più… sempre che la sua carta di credito glielo avesse permesso.
“Un po’ basta e avanza” rispose lei con un sorriso.
E così si erano trovati… niente di più e niente di meno.
La ruota universale, che gira e gira trasportando doni e scherzetti ad ogni essere umano… Spera sempre che ti capiti prima lo scherzetto perché poi, secondo le leggi della logica… dovrebbe capitarti il dono.
Parigi già si profilava, in attesa degli inaspettati viaggiatori che percorreranno le sue strade, che vedranno le sue meraviglie…
Tecnicamente, che ci eranno a fianco senza nemmeno degnarle di uno sguardo… Dopotutto, importanti affari di lavoro necessitano di attenzione… La Notre Dame non è nulla di speciale… la puoi trovare anche su Google!. Le storie d’amore piacciono a tutti, perché tutti vorremmo viverne una come si deve… Le storie da “una botta e via” sono molto piacevoli, senza dubbio ma non sono niente in confronto allo stare accanto alla donna che si ama… E’ logica. Non si sfugge a questo dato di fatto. Ogni essere umano sogna una storia d’amore. Chi dice che non è così, sta mentendo in primo luogo a se stesso ed in secondo luogo a tutto il resto del mondo. Alcune storie possono lasciarti l’amaro in bocca, altre le puoi odiare o addirittura ripudiare… alcune fanno sorridere, altre fanno piangere… altre ancora fanno pensare ed alcune
penetrano l’anima ma, comunque sia, le storie servono sempre e piacciono sempre… belle o brutte che siano. Tutto questo perché sono storie. A tutti piace mettersi nei panni di qualcun altro, anche solo per pochi istanti. Questo anche perché, la maggior parte della popolazione mondiale odia se stessa, il classico e comune pensiero che “non ho scelto io di nascere in questo mondo”. Certo che non l’hai scelto tu ma, prima lo accetti e prima vivi meglio!... semplice no? Ovviamente no… le cose non sono mai semplici… questo solo perché siamo legati al fatto che tutto è difficile, se non, addirittura, impossibile. Di chi sia la colpa io non lo so e, francamente, non me ne frega un cazzo. La cosa fondamentale è continuare a vivere, continuare ad andare avanti… anche perché indietro non si può tornare. Tuttavia, perlomeno io, muoio dalla curiosità di scoprire che cosa mi accadrà fra vent’anni, due o anche lo stesso domani. Penso che non ci sia poi tanto a cui pensare; le cose verranno da sé… una frase che, se non tutti, la maggior parte hanno già sentito. Trovare un capro espiatorio non serve a cambiare le cose, invece accettarle può condurre ad un cambiamento. Viverle senza aspettative è la cosa migliore da fare.
A Federico bastava questo… bastava essere amato, senza dare nulla in cambio e senza che l’altra persona si aspettasse niente. L’amore non è un baratto… è un offerta spontanea.
A Giulia bastava questo… chiedere di più sarebbe stata avidità ma, dopotutto, di più di questo non c’era poi molto.
Quello che viene dopo è noia. La parte più bella è stata già raccontata, si erano trovati come già detto… e chi trova un tesoro “se lo tiene molto stretto”. Ed il tesoro che loro due avevano trovato sarebbe stata l’invidia di molti e la gioia di pochi… triste, ma assolutamente vero. Quello che avrebbero fatto, che avrebbero costruito insieme, non era poi così importante e, in ogni caso, Federico si merita, dopotutto, un po’ di privacy. Ma, ancora, in ogni caso sarebbe stato fantastico. Sarebbe stato come vivere in un sogno, un sogno meraviglioso, di quelli che quando ti svegli rimpiangi di averlo fatto. Sarebbe stato troppo, sarebbe stata la realizzazione di una vita intera, sarebbe stata… se non fosse che…
8
Federico sentiva il treno che lentamente iniziava a rallentare. La città sfrecciava andando a scalare sotto lo sguardo ispirato dello scrittore. Si sentiva come se si fosse risvegliato dopo una lunga e tremenda ibernazione. Quello non era di certo stato un viaggio normale… aveva pensato, riflettuto, immaginato, aveva immaginato tanto… come non aveva mai fatto in tutta la sua vita. La ragazza aveva ormai deposto il libro all’interno della sua borsa e si stava sistemando i capelli. Aveva dormito a lungo all’interno del treno… oltre a dormire aveva letto e Federico l’aveva osservata, di tanto in tanto pensando di parlarci e forse lo avrebbe pure fatto, se non fosse che aveva paura, paura mista ad imbarazzo e vergogna interpersonale.
Le relazioni che dovrebbero essere la cosa più semplice da svolgere a volte si rivelano come la bega più terribile da affrontare.
Lo scrittore, quasi sconvolto, ripensò alla fantastica storia che aveva vissuto in terza persona, immaginando se stesso in un viaggio differente da quello che in realtà aveva compiuto. Alla fine, si
raggiunge sempre la consapevolezza che la finzione è molto meglio della realtà… ma la verità, alla fine, ti riporta sempre indietro.
E la verità era che Federico non era riuscito a proferire parola, anche se avrebbe voluto farlo con tutto se stesso. Così aveva chiesto indignatamente aiuto alla propria mente, portandosi in un mondo in cui lo scrittore (se stesso) avrebbe potuto parlare con quella splendida ragazza e magari, chissà… Magari se lo avesse fatto veramente, forse qualcosa sarebbe potuto accadere.
Invece Federico, preso in ostaggio dalle proprie paranoie, aveva ato cinque ore di treno con la testa appoggiata al finestrino o allo schienale, senza mai addormentarsi, senza leggere, senza parlare… senza fare niente di niente… rimanendosene soltanto fermo a pensare e a lasciarsi cullare dal movimento traballante del treno (qualche volta girando i pollici).
Sorrise, dopotutto anche se non aveva realmente parlato con quella giovane donna aveva comunque trovato una storia, avvincente al punto giusto e… vera.
Lui non aveva mai creduto nell’amore a prima vista.
Ma la gente lo fa, ci crede... o vuole crederci. La realtà è sempre diversa, è sempre più tetra, è sempre più… reale.
Quella ragazza poteva essere chiunque… dunque, perché chiederle direttamente chi fosse quando poteva fantasticarci sopra?
E’ una filosofia alquanto bizzarra ma che merita un posto tra le altre mille filosofie di questo mondo. Va analizzata e messa in discussione. Federico ne era sicuro, non era solo una sua idea, poteva benissimo essere uno stile di vita.
Ma pensare di avere una donna è molto diverso dall’averla effettivamente… anche a questo aveva pensato… ma lui stava bene anche da solo… anzi, stava bene solo da solo.
E ora aveva la sua storia, la storia che da tanto rincorreva. Sorrise, anche se il suo sorriso non era proprio la raffigurazione della soddisfazione. Assomigliava più ad un sorriso che esprimeva l’idea di una malinconica felicità.
E mentre il treno cigolava prendendosi il tempo di rallentare sui binari, Federico comprese che la mente di uno scrittore non era perfettamente “sana”. Non tutte le persone sono in grado di scrivere, di raccontare storie servendosi delle parole.
Le parole hanno un potere che fa invidia a tutti gli altri tipi di potere. Le parole possono distruggere, creare, ispirare, modificare la verità e ingigantire la realtà. Le parole devono essere
sempre rispettate ed usate con la giusta precauzione, con la responsabilità di usarle a dovere e… se si può.. per fare del bene.
Il treno aveva raggiunto la fermata. Sbuffi di fumo qua e là, il chiacchiericcio della gente proveniente dall’esterno. I eggeri iniziarono a recuperare i loro bagagli e ad accingersi verso l’uscita. Federico fu l’ultimo a scendere, seguendo indistintamente i i della ragazza che trasportava quella valigia più grossa di lei, con movimenti goffi e di sforzo. Lo scrittore avrebbe anche potuto offrirsi in aiuto ma, osservarla mentre trascinava il bagaglio, era molto più divertente e meno faticoso.
Il sole illuminava la grande stazione parigina, un sole freddo ma comunque gradevole. Federico era fuori, ancora una volta solo in mezzo alla gente che ava… una folla in preda ai loro doveri ed intenta a raggiungere le proprie destinazioni, con una fretta tale da far innervosire lo scrittore.
Stava fermo, guardandosi intorno, ancora provato dal viaggio. Quasi non si ricordava più com’era bello starsene in piedi a guardare l’azzurro cielo e le nuvole che proiettavano forme psichedeliche e del tutto straordinarie, muovendosi veloci sopra Parigi. “ Nuvole si ” pensò lo scrittore, considerando che non c’era poi tanta differenza tra le nuvole ma quelle erano in Francia, perciò erano si.
Come avrebbe potuto chiamarla quella storia?
“Nella mente dello scrittore” ,pensò, ma era troppo chiaro, troppo trasparente e lasciava intendere troppe cose.
“Il Treno dell’amore” … ma era troppo delicato, troppo sintetico e non dava esattamente l’idea di quello che realmente successe.
Poi, scavando tra i meandri della sua mente… arrivò “ 5 Ore ”. Perché no? Semplice, d’effetto e naturalmente vero… dopotutto erano soltanto 5 ore di treno… tutto qui… niente di speciale.
Una ragazza gli si avvicinò, capelli lunghi e lisci, neri. Indossava graziosi abiti colorati, leggeri, evidentemente non sentiva caldo o forse sfoggiava il suo corpo e non ambiva a nasconderlo.
“Mi fai accendere?” chiese con un sorriso tremendamente bello.
Federico rimase a guardarla. Tra tutte le persone che avrebbe mai potuto incontrare alla stazione di Parigi doveva incontrare proprio un’altra italiana.
In quel momento, mentre si accingeva a recuperare l’accendino dalla sua tasca, gli venne in mente che lui aveva finito le sigarette. Tuttavia, quel nuovo arrivo aveva chiesto da accendere, quindi evidentemente lei le aveva…
Le sigarette degli altri sono sempre le più buone.
FINE
Ora, per chi non si accontenta di un finale banalmente e realisticamente vero, ho aggiunto un finale alternativo… ma per chi si sente già sazio di questo finale consiglio vivamente di non leggerselo… Lascio la scelta a voi… se volete il lieto fine continuate e andate avanti.. altrimenti chiudete il libro… riponetelo o usatelo come carta per il fuoco.
FINALE ALTERNATIVO
Gli applausi riecheggiavano per tutto il salone, la gente si alzava dai tavoli da quanto era orgogliosa! Qualcuno fischiava, ma non c’era nessuno che non battesse le mani.
In piedi, davanti al podio, col microfono, Federico aveva gli occhi lucidi e teneva stretto tra le mani un libro, intitolato “ 5 Ore ”. Quello era il suo sogno, la sua realizzazione. Era riuscito ad esaudire il proprio desiderio. Rideva e piangeva allo stesso tempo, così dannatamente felice da non nascondere nemmeno una sua lacrima. Al suo fianco un uomo in giacca e cravatta gli diede una pacca amichevole sulla spalla.
“Ce l’hai fatta” disse sorridendo.
Tra tavoli Federico poteva vedere Fred, che alzò un bicchiere per brindare in suo nome. Era già il suo sesto bicchiere e quella serata non sarebbe certo finita lì... Gli fece l’occhiolino e Federico rise.
L’uomo in giacca e cravatta aveva un trofeo tra le mani… d’oro: una piccola statuina con un libricino in mano… lo porse a Federico.
“Questo è tuo.. come miglior libro dell’anno” disse.
“Grazie…” si limitò a dire lo scrittore. “Vi ringrazio” disse, parlando al microfono.
“Questo è molto più di quanto io avessi mai potuto chiedere… grazie a tutti”. La voce rotta dall’emozione non gli permetteva di aggiungere altro.
Lo scrittore si sentì toccare la spalla. Voltandosi, ritrovò un viso inconfondibilmente familiare… davanti a lui stava la ragazza del treno.
“Piacere Giulia” gli disse porgendogli la mano.
Federico sorrise… le storie non sono mai frutto di sola immaginazione, né di troppa verità. Sono storie…
Così era finito l’incessante percuotere di una vita che ha una taglia troppo piccola… troppo stretta… ma che può sempre essere modificata a nostro piacimento.
Ringrazio tutte le persone che hanno contribuito a portare a termine questo progetto…
Grazie Marco.