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Alessia Rocco

A morte!

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Indice dei contenuti

A morte!

A morte!

È bastato poco. Ti ho visto cadere, quasi senza peso, con la bocca aperta e il terrore nelle pupille spalancate. In quell’istante ho temuto di crepare anch’io, ma solo per un attimo, perché il dolore ha subito lasciato il o alla ferma convinzione che quello fosse il giusto corso degli eventi. Si, il giusto corso degli eventi, perché la nostra storia non poteva avere altro che quell’epilogo, anche se qualcuno potrà storcere la bocca e ritenere il mio un gesto insano, criminale. Qualcuno potrebbe obiettare che, anziché fare ciò che ho fatto, avrei potuto andare via, semplicemente, sparire dalla circolazione, mettermi in salvo, eclissarmi. Invece no. Fino alla fine ho creduto che avresti abbandonato i tuoi progetti e ti saresti lasciato intenerire dal potere suggestivo dei ricordi. Ti ho amato e molto. C’è stato un tempo in cui, lo so, anche tu hai amato me! Me lo sentivo addosso quel sentimento, in ogni carezza, in ogni parola pronunciata con entusiasmo. Era magnifico condividere il tuo stesso spazio, vivere dei tuoi sorrisi, respirare la tua stessa aria, perché quando non ti avevo accanto, boccheggiavo. Ho sperato durasse per sempre, perché senza di te ci sarebbe stato il vuoto, l’abbandono, l’oblio.

Chissà se hai ripercorso la tua vita, mentre ti accorgevi di morire. Chissà se ti sei rammentato delle volte in cui mi trovavi ad aspettarti, sulla porta, felice di lasciarmi stringere, di respirare il tuo odore buono, di abbandonarmi con fiducia al tuo affetto… di dartene, incondizionatamente. Io non scordo niente. Le domeniche davanti alla televisione, con la pioggia scrosciante alle finestre; le corse a perdifiato sulla spiaggia, insieme, baciati dal sole, e dalla fortuna di esserci trovati. I tuoi occhi gentili, le tue mani calde, … mi ci crogiolavo, confidando nell’eternità di quel bene. Confidavo in te, l’ho fatto sin dal primo momento. Viverti accanto era un enorme privilegio, immaginavo di aver trovato la strada maestra, quella che ti conduce esattamente dove vuoi andare… tu sembravi il mio porto sicuro. Mi sbagliavo. Un giorno tutto è cambiato… tu sei cambiato. Mutamenti impercettibili, poi sempre più evidenti e ben presto ho capito che la fine era vicina. L’amore ha lasciato il posto all’indifferenza, poi quasi al fastidio. Mi avi accanto senza degnarmi di uno sguardo; mi sembrava di vederli i tuoi pensieri, lontani da me, da noi, indaffarati in qualcosa che non riuscivo a decifrare. Il dubbio ha cominciato a serpeggiarmi dentro, spargendo il suo fiele, avvelenando il mio tempo. Poi, bisbigli nella notte, cellulare sempre a portata di mano, uscite improvvise, ritardi inusuali.

Ed io perennemente là, in attesa che la chiave girasse nella toppa, appesa al tuo umore mutevole, elemosinando un briciolo d’attenzione, un segnale, anche flebile, dell’antica armonia. Nulla. Ho iniziato a provare pena per quell’ostinata fiducia che abitava in me e si rifiutava di accettare una verità troppo scomoda, talmente dolorosa da non poter essere nemmeno descritta. Ti ho seguito, spiato, nonostante tu non provassi nemmeno a nascondere ciò che ti balenava nella mente: li hai quasi gridati ai quattro venti i nuovi propositi! “Vacanza”, “cara”, sono state le parole hanno in me il camlo d’allarme. A chi dedicavi così tante premure? Poi una volta udii il tuo piano. Glielo dicesti chiaramente, al telefono, alla tua “amica” che volevi sbarazzarti di me. Chiacchierasti a lungo con lei, noncurante del dolore che mi avresti provocato, con una crudeltà che stentavo a riconoscerti. Eri certo che io dormissi, ma da settimane me ne stavo insonne ad analizzare ogni tuo comportamento. Da mesi ormai parlavate, facendo le ore piccole, sussurrandovi parole leziose, sospirando, di quando in quando. In quell’occasione ti sentii dirle che lo avresti fatto nottetempo, per non destare sospetti, e che poi avresti accampato un pretesto studiato a tavolino, per giustificare la mia assenza a chi mi conosceva. Nonostante fossi stato tanto chiaro, non potei credere che fosse vero e pensai di avere travisato. Ma glielo ripetesti, con voce calma, suadente, quasi fosse la soluzione più logica

del mondo. Lei, dall’altra parte, probabilmente rise, perché anche tu ridesti, sommessamente, ma con una nota di soddisfazione che mi colpì a morte. Finalmente sareste potuti andare via, indisturbati, senza gatte da pelare. Me ne restai immobile, con il sangue rappreso nelle vene e un groviglio di lacrime arrotolato in gola. Con quale coraggio hai ideato il tuo disegno? Come hai potuto farlo mentre mi vivevi accanto, e lasciavi che io ti venerassi, che vivessi per vederti appagato e sereno? Io, che vagheggiavo un legame indissolubile e tu che programmavi di farmi fuori. Ti ho amato. Ti ho amato di un amore che non ritroverai, sappilo. Mai nessuno al mondo ti seguirà come ho fatto io, senza chiederti nulla, sensibile ad ogni tua esigenza. Ti avrei dato tutto e tu invece eri pronto a rinunciare a me. Lo capisci che non te l’ho potuto lasciar fare? Lo capisci che non potevo soccombere a tale crudeltà? Non l’ho premeditato, ma quando ti ho scorto in bilico su quella sedia, sul limitare della scala, intento ad aggiustare il lume appeso alla parete, non ho saputo trattenermi. Se io non lo avessi fatto, tu avresti messo in atto il tuo intento criminoso. È stato un attimo.

Mi è bastato avventarmi sulla seggiola e hai subito perso l’equilibrio. Ti ho visto barcollare mentre tentavi di aggrapparti ad un appiglio inesistente. Nulla avrebbe potuto evitarti la caduta. In un soffio sei precipitato, rotolando giù per i gradini. Ho visto il tuo corpo rompersi e arrestare miseramente la sua corsa, dabbasso, sul pavimento di marmo. Senza fiatare, ti ho guardato diventare freddo, per un giorno intero, fino a quando qualcuno ha aperto la porta di casa, chiamando a gran voce il tuo nome. Un grido ha spezzato il silenzio irreale della stanza, l’urlo di una donna, accompagnata da un uomo, un tuo amico. Poi si sono girati verso di me, con un’espressione interrogativa. Me ne stavo in un angolo a scrutarli, mentre indaffarati facevano telefonate e piangevano, camminando increduli lungo la stanza. In seguito sono arrivate molte persone, ti hanno sollevato dal pavimento e messo in una bara di metallo. Per un momento ho pensato di fuggire, approfittando del trambusto generale. Poi tua sorella mi è venuta incontro. Occhi negli occhi, un sorriso, breve, e ho capito. Ti ho amato, non dimenticarlo, ma te la sei cercata. Se non ti avessi ammazzato, ora sarei io, ad aspettare la morte chissà dove. Fuori c’è il sole, è una bella giornata. Tua sorella è una brava persona, l’ho sempre saputo. Ad un certo punto se ne vanno tutti, la casa resta vuota e già mi sembra di non averci mai vissuto.

Tua sorella prende le mie cose, poche, essenziali e si avvia sull’uscio. Ha le chiavi in mano quando mi fa cenno di seguirla, con sguardo benevolo ed io sono felice di essere viva. Scodinzolo entusiasta verso le sue gambe e penso che, alla fine, non tutto è ancora perduto.