Il libro
Per Dylan Ivory, autrice di romanzi erotici, il controllo è tutto. Finché non incontra Alec Walzer, scrittore di thriller ed esperto “dominatore”. Lui vive per le esperienze estreme, anche in camera da letto, e quando Dylan lo intervista per conoscere il BDSM da un punto di vista professionale, tra loro scatta un’immediata attrazione fisica. Alec accetta di farle da “guida”, implicando che lei impari a fidarsi e a sottomettersi. Le mostra così che lasciandosi andare si possono sperimentare le più alte vette del piacere, ma quando il rapporto erotico si trasforma in sentimento, entrambi si ritrovano a combatterlo. Salvo poi rendersi conto che non è affatto una debolezza cedere all’amore...
L’autore
“Io ho una strana vita, perché sono per la maggior del tempo in pigiama: è uno dei vantaggi di fare lo scrittore! Le scarpe, l’arte, il cioccolato, i reality, i tatuaggi, i lucidalabbra e naturalmente i libri sono le mie piccole ossessioni. Ma siccome non riuscivo mai ad avere abbastanza libri da leggere, ho iniziato a scriverli io stessa. “Le mie storie sono calde ed erotiche. Adoro la fiction erotica anche con una venatura dark, ma non credo ci sia niente di più bello e importante dell’amore. Anche il mio alter ego, Eden Bradley, ha scritto una quantità di romanzi e racconti erotici e romantici.” Così si descrive Eve Berlin, che potete seguire sul suo sito (eveberlin.com) o quello della sua gemella (edenbradley.com).
Con questo romanzo eve berlin debutta nelle nostre collane.
Eden Bradley (Eve Berlin)
AI CONFINI DEL PIACERE Traduzione di Lucia Rebuscini
Un sentito grazie al mio critico e caro amico R.G. Alexander perché mi sostiene sempre nei momenti difficili e legge tutto ciò che scrivo. Grazie alla favolosa Lauren Murphy, che ha revisionato questo manoscritto in pochi giorni e ama il mio eroe quanto lo amo io, per l’entusiasmo da vera fan che ha dimostrato e per la sua oculata sincerità, che mi ha permesso di rendere migliore questo libro. Devo anche ringraziare la mia editor, Kate Seaver, che mi ha voluto con lei e mi ha dato l’ispirazione per questa storia.
1 Dylan Ivory capì subito, nel momento stesso in cui lo vide entrare nel parcheggio del Museo di Arte Asiatica su un’impeccabile Ducati nera e cromo, che si trattava di lui. Alec Walker, l’uomo che avrebbe dovuto intervistare. Un uomo famoso per il suo talento e la sua conoscenza nel ruolo di dominatore nell’ambiente BDSM di Seattle. Non era stato il giubbotto di pelle nera a tradirlo. Né la corporatura massiccia. Ma piuttosto l’atteggiamento impavido e l’estrema sicurezza con cui era arrivato e aveva dato un’ultima accelerata prima di spegnere il motore. Il modo in cui aveva scavalcato il serbatoio lucente e si era tolto il casco, come un cowboy che smonta da uno stallone. Emanava un’aura di puro potere che lei riusciva a percepire anche da parecchi metri di distanza. Alec Walker, senza casco, era persino meglio. Capelli scuri e mossi che gli sfioravano il bavero del giubbotto. Un profilo deciso che sembrava scolpito nel marmo. Dylan rimase ferma accanto alla sua auto, la portiera ancora aperta, le chiavi nel palmo. Perché il cuore le batteva all’impazzata? Non riusciva a staccare lo sguardo dai movimenti eleganti con cui quell’uomo si sfilava i guanti di pelle e posava il casco sul sellino della moto. Lo stava ancora osservando quando lui alzò gli occhi e la vide. Occhi penetranti, di un azzurro brillante che la riconobbero. E si accorsero che lei lo stava guardando. Per la prima volta nella sua vita adulta, Dylan si sentì completamente frastornata. Se solo il suo cuore avesse rallentato i battiti... Si trattava di un incontro di lavoro, accidenti! Eppure, questo non sembrava inibire minimamente la sua reazione nei confronti di quell’uomo. Doveva ricomporsi prima di parlargli. Si trovava lì per imparare qualcosa da lui, per fare delle ricerche. Jennifer, la sottomessa che aveva contattato via internet e che aveva incontrato tre settimane prima, le aveva detto di parlare con Alec Walker; ma non l’aveva avvisata di quanto
fosse irresistibilmente attraente. Era un uomo da trattare con cautela. Lui sorrise, mettendo in mostra i denti di un bianco immacolato, la bocca morbida e sensuale in un viso per altri versi assolutamente virile, circondata da baffi e pizzetto neri che gli conferivano un’aria leggermente mefistofelica. Le piaceva quella sua aria demoniaca. Un intenso calore si sprigionò nel suo ventre, come fuoco liquido. Stava avanzando verso di lei. Dylan aveva le gambe che le tremavano. Sempre più vicino, fino a quando si fermò dalla parte opposta della sua Audi bianca. — Ho la sensazione che lei sia la persona con cui ho un appuntamento. Voce profonda, ricca e sorprendentemente calda. Sexy. Dylan riuscì solo ad annuire. Lui incurvò le labbra dinanzi al suo protratto silenzio. — Dylan Ivory? Scrittrice di romanzi erotici? — Sì... Che cosa le stava succedendo? Perché non riusciva a mettere insieme una frase che avesse senso? — Io sono Alec. Entriamo? — Come? Sì, certo. Lei chiuse la portiera dell’auto cercando di ignorare il calore che le si era diffuso per tutto il corpo. D’un tratto il cappotto di lana le parve troppo pesante, nonostante la tipica umidità dell’autunno di Seattle. Era profondamente consapevole dell’uomo che le camminava accanto mentre si avvicinavano all’imponente entrata art déco del museo, fiancheggiata da due cammelli di pietra. Le era sempre piaciuto quell’edificio, come anche le mostre che proponeva. Quando Alec aveva suggerito d’incontrarsi nella sala da tè che la galleria ospitava, lei era rimasta piacevolmente sorpresa. Era un’amante dell’arte, di quella asiatica in particolare, ed era stata lì molte volte. Salirono l’ampia scalinata di pietra e Alec le posò delicatamente una mano sulla schiena. Dylan fu scossa da un brivido. Lo guardò e vide che le stava sorridendo. Varcarono l’entrata in silenzio. I loro i echeggiavano sul pavimento di marmo e poi su per le scale che portavano al Taste Café che si trovava nel giardino del museo. Mentre attraversavano il locale, Alec indicò uno dei tavolini sotto il soffitto a volta del cortile interno. Il giardino era circondato da statue: Buddha, Vishnu, Kali. Nell’aria immota, Dylan percepì l’odore delle pietre antiche mescolato a un aroma di spezie. Luci soffuse filtravano attraverso i vetri smerigliati delle finestre, accentuate dai candelieri d’ambra da parete che diffondevano un bagliore dorato. Era un luogo tranquillo, dove Dylan si era spesso recata a prendere una tazza di tè, ma quel giorno si sentiva un fascio di nervi.
Perché era così agitata? Alec Walker era solo un uomo. Si trattava di un’intervista come tante altre. Lui l’aiutò a togliersi il cappotto e le scostò la sedia. Ottimo, modi da gentiluomo d’altri tempi. Così rari in quella città cosmopolita. Alec si tolse il giubbotto di pelle, lo sistemò sullo schienale e si sedette, tranquillo e rilassato. Indossava un maglione grigio antracite che sottolineava l’ampiezza delle spalle. Era un uomo davvero imponente, un fisico da giocatore di football. I suoi lineamenti erano molto virili: mascella squadrata, mento deciso e zigomi pronunciati. Solo la bocca era delicata, in netto contrasto con il resto del viso. Terribilmente sexy. Dylan si mosse sulla sedia, prese il menù dal tavolo e scorse la selezione di tè. — Che cosa prende? — le chiese Alec. — Mi piace molto il tè verde al gelsomino. Alec fece un cenno al cameriere e, prima che lei potesse dire qualsiasi cosa, ordinò per entrambi. — Spero che le piacciano i biscotti — le disse con un sorriso. — Qui sono buoni quasi quanto a Roma. C’è quel piccolo caffè, proprio vicino alla gradinata di Piazza di Spagna... Non ci si aspetterebbe nulla di spettacolare in una zona turistica, ma in quel posto si trovano i migliori biscotti di tutta Italia. — Da anni non vado a Roma, ma ricordo i biscotti italiani. — Io ci sono stato l’anno scorso, di ritorno da un viaggio in Spagna in tenda e sacco a pelo. — Viaggia molto? — Ogni volta che mi è possibile. Non mi piace stare troppo a lungo in un posto, anche se di questi tempi il mio lavoro di scrittore mi trattiene a casa. La monotonia mi rende irrequieto. Ci sono tante cose da fare in giro per il mondo. Dylan si appoggiò al tavolo, sfiorando il cucchiaino posato sul tovagliolo di carta. — Per esempio? Santo cielo, stava flirtando con lui? — Tutto. — Alec sorrise. — Qualsiasi cosa. Ho fatto arrampicate in Brasile, mi sono immerso in una gabbia in fondo al mare al largo delle Fiji, mi sono accampato in tenda in Nepal. — Non può fare a meno delle emozioni forti. — Sì, suppongo che si possa dire così. Ma non sono uno sbruffone, queste sono semplicemente le cose che mi piacciono. Sfidare il destino. — Scrollò le spalle e incurvò le labbra in un sorrisetto. — La velocità. Adoro le mie moto, spingerle al massimo, vedere a quanti chilometri orari riesco ad affrontare una curva.
Lei rabbrividì. — Io non potrei mai salire su una moto. Nemmeno per tutto l’oro del mondo. — Potrebbe piacerle. — No, non credo. E così... viaggia per tutto il mondo in cerca di emozioni. — In un certo senso. Ma molti di questi viaggi hanno rappresentato per me anche un’esperienza spirituale. — Jennifer mi ha detto che lei scrive romanzi horror. Mi ha detto che il fatto che lei sia uno scrittore oltre che un... dominatore... sarebbe potuto essermi utile nelle ricerche che sto facendo per il mio libro. Lui annuì. — Sì, lo credo anch’io. Sembra un po’ a disagio con il termine “dominatore”. — Davvero? Forse lo sono. Pur essendo una scrittrice di romanzi erotici, non sono abituata ad avere conversazioni di questo genere. — Bene. Il cameriere portò il tè e Dylan lo versò nella tazza dalla teiera giapponese finemente smaltata, facendo molta attenzione a evitare i suoi occhi azzurri. Il profumo del gelsomino si sollevò immediatamente, intenso e familiare, rassicurante. Alec le porse un biscotto. — Prenda, deve assolutamente assaggiarlo. Era un ordine, non un consiglio. Dylan si sorprese ad accettarlo. — A dire il vero, io scrivo thriller psicologici — proseguì Alec. — Ha forse letto qualcuno dei miei libri? — No, mi dispiace. — Dovrebbe farlo. Dylan si stava spazientendo. Il confine tra la sicurezza e la boria si stava facendo labile. — Forse lei dovrebbe leggerne qualcuno dei miei. — L’ho fatto. Non appena Jennifer mi ha parlato di lei, ho acquistato il suo ultimo libro. — E? — chiese Dylan in tono di sfida. — E penso che lei sia molto in gamba. Intelligente. Attenta. Eccellente sviluppo dei personaggi. L’aspetto romantico non ha la meglio sulla storia, come accade in tanti altri libri del genere. E sa scrivere di sesso in modo molto realistico. Una schiettezza che apprezzo. — Oh! — Non si aspettava proprio che le dicesse questo. Per qualche istante rimase sconcertata. Di nuovo. — Grazie. — Allora, mi parli di questo suo ultimo progetto, del motivo per cui ha voluto incontrarmi.
Quegli occhi azzurri puntati su di lei... Dylan si sorprese nel constatare improvvisamente quanto fossero simili agli occhi di Quinn, sebbene quelli fossero stati innocenti come probabilmente gli occhi di Alec non erano mai stati, nemmeno quando lui era ragazzo. Erano di una tonalità di turchese che le fece pensare ai Caraibi. Nonostante la sfrontatezza, c’era sincerità nei suoi occhi. Fu costretta a spostare lo sguardo sulle sue dita che accarezzavano la tazza. Sembrava così piccola nella sua mano... Fragile. Come se avesse potuto romperla semplicemente stringendola. Quelle dita che scivolavano lentamente sulla sua superficie liscia... Dylan si impose di tornare a guardarlo in viso. Non le fu di alcun aiuto. — Sto scrivendo di una coppia che esplora il mondo BDSM. Gioco di ruolo e bondage, ma mi interessa soprattutto l’aspetto del dolore. E vorrei basarmi su qualcosa di autentico. Mi sono quindi resa conto di dover fare una ricerca molto approfondita, di dover parlare con persone che hanno esperienza diretta. Recentemente ho trovato Jennifer sul sito web di una comunità BDSM locale e le ho inviato un’e-mail, chiedendole di poterle parlare. L’ho intervistata, lei è stata molto gentile e mi ha parlato apertamente. Ma in qualità di sottomessa non si sentiva qualificata per offrirmi un panorama generale. È questo il motivo per cui mi ha consigliato di rivolgermi a lei. Alec annuì. — È difficile avere un’idea precisa di ciò che il BDSM sia e capirne le dinamiche psicologiche, parlando con una sola persona. Le esperienze sono tutte diverse e soggettive. Se Jennifer è una sottomessa non può capire come funzioni il pensiero di un dominatore, non può conoscere i suoi percorsi mentali. — Sì, è ciò che mi ha detto lei e, in effetti, ha senso. — Ha mai scritto qualcosa sul BDSM fino a ora? — No, ho scritto qualcosa su alcuni tipi di feticismo, ma nulla di serio. — Pensa che il BDSM sia una cosa seria? — Non lo è? Lui non rispose. — Non ha mai fatto esperienze personali di questo tipo? — Io... no. — Ah, vuole mantenere la conversazione su un livello puramente professionale, solo a scopo di ricerca. — Sì, certo. Alec si sporse in avanti, appoggiando i gomiti sul tavolo, e si avvicinò un po’, fino a quando lei poté sentire il suo profumo, qualcosa di fresco e intenso al tempo stesso. Come l’oceano e i boschi. Lui abbassò la voce, rivolgendosi a lei in maniera più intima. Forse più di quanto
potesse farla sentire del tutto a suo agio. — Ti dirò una cosa, Dylan, ed è semplicemente la verità. Non potrai mai fare un ritratto accurato di questo stile di vita dando semplicemente una sbirciatina. Devi avere un’esperienza diretta, ti ci devi immergere davvero. Ci sono troppe componenti sovrapposte le une alle altre: fisiche, psicologiche, emotive. Si tratta di una faccenda complessa, ed è il motivo per cui piace alle persone che lo praticano. La complessità. L’intensità. — Alec le prese la mano, sfiorandole il dorso con la punta delle dita. La sua era calda. Quella di Dylan ancora di più. — Si tratta di sensazioni, di ciò che accade nella tua mente. Può essere sensuale o sessuale. O entrambe le cose. Non puoi descrivere le dinamiche coinvolte senza viverle. Le si seccò la gola. L’idea era troppo scioccante. Quasi quanto il suo tocco. Dylan prese la tazza, sorseggiò il tè, si schiarì la voce. — Suppongo che tu abbia ragione. L’argomento è interessante, ma non credo... — Non fingere che per te si tratti solo di un argomento interessante, Dylan. — Fece scivolare la punta delle dita verso l’interno del suo polso, sotto la manica del maglione di cachemire. — Sento i battiti del tuo cuore. — Alec... — Andiamo, Dylan, non è necessario che tu faccia così con me. Fa parte del BDSM essere sinceri su ciò che siamo. — Stavo per dire che... hai ragione. Lo aveva ammesso davvero? Forse aveva ragione lui... per poter comprendere doveva essere sincera. Avrebbe dovuto immergersi in quell’esperienza. Tutto ciò non aveva nulla a che fare con la ridicola attrazione che provava nei confronti di Alec. Oppure sì? Ritrasse la mano e la ripose in grembo, al sicuro. — Tu e Jennifer conoscerete sicuramente degli uomini sottomessi. C’è qualcuno di cui ti fidi, verso cui puoi indirizzarmi? Pensi che potrebbero accettare di sottomettersi a una donna che non ha alcuna esperienza come dominatrice? Alec fece una risatina, appoggiandosi di nuovo allo schienale. — Stai dicendo che vorresti sottomettere, dominare questi uomini? — Sì. — Dylan, non ti rendi conto di essere slave? — Che cosa? — L’ho capito nel momento stesso in cui ti ho vista. L’ho percepito là fuori nel parcheggio, prima ancora di parlarti. — Non capisco che cosa intendi dire. Perché si sentiva il viso in fiamme? Perché era così confusa? Detestava il fatto che Alec avesse quell’effetto su di lei.
— Penso che tu ne sappia abbastanza da capire esattamente che cosa intendo dire. Dylan sospirò. — Certo che ho un’idea di ciò che significa. Una sottomessa. Ma non fa per me. Per me avrebbe senso solo avere un ruolo dominante. Non ho timore di ammettere di essere una persona con problemi di controllo. — È esattamente questo il motivo per cui hai bisogno di essere sottomessa. Hai bisogno di lasciarti andare. E, per farlo, devi delegare il controllo a qualcun altro. Ora Dylan si stava innervosendo, nonostante si sforzasse di mantenere la calma. — Sei molto arrogante. — Sì, lo sono, ma ho anche ragione. Ho sempre ragione su queste cose. Hai problemi di controllo, lo si capisce dal tuo atteggiamento. Lo capisco dalla rabbia che leggo nei tuoi occhi, nel modo in cui serri la mascella. Probabilmente potresti anche riuscire con successo a cambiare ruolo di tanto in tanto, a dominare un uomo. O una donna. Ma questo non ti toccherebbe profondamente come invece accadrebbe se fossi sottomessa. Non ti darebbe ciò di cui hai bisogno. Lei scosse la testa a denti stretti. Alec si sporse in avanti, prendendole di nuovo la mano. Era grande e avvolgeva completamente quella di Dylan con il suo calore e la sua forza. — Dylan, permettimi di farti una proposta. Sottomettiti per me. Lei cercò di ritrarre la mano, ma lui la tenne stretta. Il suo sguardo era fisso su di lei, i suoi occhi, incredibilmente convincenti, di un azzurro . — Provaci — proseguì Alec. — Per vedere come reagisci. Se si scoprirà che avevo ragione io, avrai imparato qualcosa su di te e avrai fatto una ricerca unica e personale per il tuo libro; se io dovessi sbagliarmi, be’... avrai pur sempre fatto la tua ricerca. — Posso farla anche come dominatrice. — No, non puoi. È estremamente difficile per un sottomesso insegnare a una dominatrice inesperta come e cosa fare. Quando le endorfine iniziano a diffondersi nel corpo di un sottomesso, una volta che lui è ormai entrato nella parte, in quella sfera magica dove tutto è ovattato e ciò che sente e vede è solo l’interazione con chi lo domina, le sensazioni e gli odori... non possiede più la lucidità per dirti ciò che dovresti fare. In questo modo non potresti imparare molto. Ma puoi imparare da me. Io sono molto in gamba in ciò che faccio. Sì, lo so — disse, facendo un gesto nell’aria con la mano libera — sono di nuovo arrogante, ma non importa. Ciò che importa è che questa è la verità. — Forse. Forse era vero che per lei quello fosse il modo migliore per imparare. Forse non aveva nulla a che fare con il fatto che Alec, seduto così vicino a lei, mentre le teneva ancora la mano, le faceva ribollire il sangue nelle vene. La faceva eccitare, santo Dio! Ma quella era solo chimica. Non significava nulla, non rendeva più persuasive le sue parole. Dylan era sicura di potergli dimostrare quanto lui si sbagliasse.
Si morse le labbra. Sì, si sbagliava su di lei. — Quanto tempo dovrebbe durare questa prova? — gli chiese. Lui scrollò le spalle. — Tutto il tempo che occorre. Tutto il tempo di cui hai bisogno per capire ciò che ti interessa. Per il tuo libro e per te stessa. — Quindi, dovremmo suonare a orecchio? Stare a vedere come andranno le cose? — Oh, ma io so già come andranno le cose. — Davvero? E come andranno? Era di nuovo arrabbiata. Alec le teneva ancora la mano. Con il pollice le accarezzava le nocche, risvegliando in lei il desiderio. Ma Dylan non gli avrebbe dato di nuovo la soddisfazione di vederla ritrarsi. — Dapprima ti opporrai. Dovrò essere molto paziente con te, guadagnarmi la tua fiducia. — La sua voce era bassa, un sensuale mormorio. Dylan dovette avvicinarsi per sentire. — Ma a poco a poco ti darai a me, ti metterai nelle mie mani. Sarò duro con te... e anche delicato. Le sollevò la mano e se la portò alla bocca. Il calore delle sue labbra la sconvolse. Dylan non riusciva a dire una parola. La sua mente era in preda alla confusione. Alec posò di nuovo la sua mano sulla tovaglia, fissandola negli occhi. — Ecco come andranno le cose, Dylan. Lei detestava sentirsi così frastornata e confusa. Non capiva perché. E si rifiutava di abbandonarsi a quello stato o ad Alec Walker. Prese la tazza e fece un sorso di tè. Inspirando a fondo, cercò di calmarsi e rimise la tazza sul tavolo con mano ferma. — Puoi pensare tutto quello che vuoi, Alec, ma è evidente che ancora non mi conosci. Anche lui sollevò la tazza e fece un lungo sorso, prendendo tempo. Il suo sguardo penetrante non la abbandonò mai. — Non quanto ti conoscerò se accetterai la mia proposta, questo è certo. — Accetto. — Ti piacciono le sfide. — Sì. — Anche a me. I penetranti occhi azzurri di lui erano fissi nei suoi, ma Dylan non avrebbe distolto lo sguardo, non lo avrebbe abbassato. Avrebbe lottato. Perché arrendersi non era nella sua natura. Nemmeno ad Alec Walker e al suo sguardo incantatore. Alle sue mani calde, alle sue labbra morbide e voluttuose...
Doveva solo mantenere la situazione sotto controllo, come aveva sempre fatto. E ignorare il suo fascino, il suo modo di parlare e di toccarla. Presto Alec l’avrebbe toccata davvero. S’impose silenziosamente di calmarsi, di fare un lungo e profondo respiro. Il controllo era la chiave di tutto e lei ne era la regina. La vita l’aveva costretta a esserlo, sin da quando era una bambina. Con una madre come la sua, non aveva avuto scelta. Quinn era troppo piccolo, qualcuno doveva prendersene cura. E lei era la sorella maggiore. Ma aveva fallito... Perché adesso stava pensando a quelle cose? Ricacciò indietro il ato in un angolo della mente, dov’era da sempre custodito, e si concentrò sull’uomo seduto di fronte a lei, che la stava osservando con attenzione. Sì, poteva controllare Alec Walker, che lui ci credesse oppure no. — Alec... — Sì? — Anch’io ho una proposta da farti. — Ah! — Lui inarcò un sopracciglio. — Se non riuscirai a dominarmi, come invece tu sembri convinto di poter fare... — Oh, ci riuscirò eccome. Anche se preferisco il termine “addomesticare”. — In qualsiasi caso, se non ci riuscirai, sarò io a sottomettere te. Alec la sorprese sorridendo. — D’accordo. Nella mente di Dylan prese vita l’immagine di Alec nudo, in ginocchio. Ma anche in quella fugace fantasia, lui non aveva l’aria di essere sottomesso. No, era forte e la sfidava, sicuro di sé come in quel momento. Dylan non pensava che sarebbe mai potuto apparire diverso ai suoi occhi. Non c’era nulla di morbido in quell’uomo. “Eccetto la bocca...” — Allora siamo d’accordo? Lui annuì di nuovo. — Assolutamente. Le sue lunghe dita si chio di nuovo sulla mano minuta di Dylan. E prima che lei si rendesse conto di quel che stava per succedere, Alec l’attirò a sé e, sporgendosi verso di lei sul tavolino, le sussurrò: — I patti importanti vanno sigillati con un bacio. La sua bocca era così vicina... quelle labbra così voluttuose e invitanti... Dylan si sentì mancare e si appoggiò a lui, sentendo il suo alito che profumava di dolci e di tè... in attesa del suo bacio.
Ma Alec tornò al proprio posto. — Ovviamente dovremo attendere fino a quando non sarai pronta per me, Dylan. Fino a quando mi implorerai di baciarti. Gesù! Era già quasi pronta a farlo! Lei scosse la testa. Avrebbe voluto premersi le mani fresche sul viso accaldato, scostare la ciocca di capelli rosso mogano che le era ricaduta sulla fronte, ma non voleva che lui capisse quanto fosse sconvolta. Ed eccitata. Un desiderio insopportabile. Di lui. Doveva uscire di lì, all’aperto, nell’aria fredda e umida. Aveva bisogno di respirare. — Devo andare, ho un altro appuntamento — disse, mentendo. — Certo, ti accompagno fuori. — Alec si alzò. — Non è necessario. Lui chinò il capo, di nuovo con quei modi da gentiluomo d’altri tempi. — Come vuoi. Anche lei si alzò e prese il cappotto e la borsa. — Io... non abbiamo nemmeno iniziato l’intervista. — Io credo invece che lo abbiamo fatto. — Oh... be’... sì. Suppongo che parleremo di più quando... dopo... — Sì, lo faremo. Anche se credo che dopo aver fatto esperienza di queste cose, non riterrai più necessaria un’intervista formale. Ti manderò un’e-mail per farti sapere quando ci incontreremo. Non era una domanda, ma lei non seppe come verbalizzare una qualsiasi forma di protesta. “Accidenti!” — Sì, parleremo. — Fece per mettersi il cappotto e lui fu subito alle sue spalle per aiutarla. Dylan sentì di nuovo il suo profumo: oceano e bosco. — Grazie per aver acconsentito a incontrarmi. — È stato un piacere. Alec la guardava sorridendo. Dylan inspirò a fondo cercando di non darlo a vedere e inalando il suo profumo. Gesù, doveva davvero riprendere in mano la situazione. Tornare in sé. Con lui però era tutto diverso. Alec Walker era un uomo pericoloso. Ma lei non si era mai tirata indietro davanti a una sfida in ato, e non lo avrebbe fatto nemmeno ora. Anche se quella sfida in particolare l’aveva già portata a dubitare di se stessa e a chiedersi chi fra loro due alla fine avrebbe sottomesso l’altro. Doveva essere lei.
2 Alec si chiuse alle spalle la porta del garage e salì i gradini dell’abitazione grigia in stile Craftsman di Beacon Hill. Inserì la chiave nella serratura della pesante porta di legno, la spinse con la punta dello stivale e la richiuse dietro di sé un po’ troppo violentemente. Dopo essersi tolto il giubbotto, lo lanciò sull’attaccapanni a stelo, facendolo quasi cadere e prendendolo al volo con un’imprecazione soffocata. Perché era così nervoso? Non c’erano possibilità che lui perdesse nell’accordo fatto con Dylan Ivory. Sapeva riconoscere le tendenze masochiste in una donna a distanza di parecchi metri e, nel caso di Dylan, le era stato seduto così vicino. Abbastanza vicino da sentire il profumo di vaniglia dei suoi arruffati capelli rossi, mescolato a qualcos’altro. Qualcosa di speziato e molto sensuale. I suoi i echeggiarono sul pavimento di legno finché lui non raggiunse il folto tappeto persiano. Lì divennero ovattati, poi ancora squillanti quando fu di nuovo sul parquet, dall’altra parte della sala. Prese un bicchiere dalla pesante credenza spagnola e si versò due dita di scotch liscio. Dylan avrebbe rappresentato una sfida, se n’era reso conto subito, ma a lui piacevano le sfide. Non era stato questo a turbare il suo equilibrio, né il fatto che lui doveva averla. Doveva avere quella donna, questo era fuori questione. Doveva posare le mani sulla sua pelle nuda. Doveva legarla, sentire i suoi muscoli rilassarsi mentre si offriva completamente a lui... doveva... Questo non gli piaceva. Non gli piaceva sentirsi sopraffatto dal desiderio che nutriva per lei. Quand’era stata l’ultima volta che gli era successo? Gli era mai successo? Lui non era il tipo da avere bisogno di qualcuno. Di qualcosa. Aveva imparato bene gli insegnamenti di suo padre. La chiave di volta era l’indipendenza. La conoscenza, le esperienze, erano queste le cose importanti. Per questo aveva ato buona parte della sua vita adulta in cerca di risposte, leggendo e viaggiando per il mondo. Non che fosse riuscito ad arrivare a una conclusione definitiva. Ma ora non doveva pensare a suo padre. Era una sofferenza che sembrava non sparire mai. Era un dolore sordo, dopo tutti quegli anni, ma ancora presente. Come una cicatrice che non sarebbe mai guarita. Trangugiò lo scotch quasi tutto d’un fiato, lasciando che gli bruciasse la gola. Ma non servì a nulla. Svuotò il bicchiere e lo appoggiò vicino alla finestra a bovindo affacciata sulla città che si estendeva sotto di lui. Seattle era grigia come al solito, ma nel cielo all’imbrunire s’intravedevano sprazzi di
luce, e Alec poteva vedere la sagoma lontana dell’isola di Bainbridge al largo di Puget Sound. Sorseggiò lo scotch meditando sul panorama. Meditando su Dylan! Sul fatto che si tratteneva, che era così controllata. Sapeva che cosa accadeva quando una donna come lei si lasciava andare. Quando era costretta a lasciarsi andare. Oh, lui non aveva mai forzato una donna. Viveva secondo il credo del sesso sano, sicuro e consensuale, come la maggior parte delle persone che facevano parte dei gruppi e dei club BDSM che frequentava. Ma questo non cambiava il fatto che se lui fosse stato in grado di condurre Dylan in quella dimensione magica, se fosse riuscito a convincerla ad aprirsi, a lasciarsi andare, lei si sarebbe abbandonata completamente. Si sarebbe slabbrata come un maglione fatto a mano. Non se. Quando. Dov’era finita la sua sicurezza? Forse perché la desiderava tanto intensamente. Troppo intensamente. Era già quasi in erezione al solo pensiero di lei, rammentando le pallide efelidi sul suo viso, la sua pelle delicata come fine porcellana. Quegli occhi grigi, come due pietre di quarzo scuro. La sua intelligenza splendeva brillante, intensa, con spigoli vivi. E la bocca, rossa e morbida, come il sesso. Dylan aveva un corpo snello e atletico, non era certo tutta curve. Questo gli piaceva. Apprezzava la delicatezza delle sue clavicole, dei suoi polsi, delle sue mani. Seni piccoli e sodi sotto il maglione morbido. Non gli piacevano le donne con i seni grandi. Non gli erano mai piaciute. E il suo fondoschiena tonico e ben disegnato non ava inosservato. Un fondoschiena da toccare... da sculacciare... Bevve il resto dello scotch, lasciò il bicchiere sul tavolino davanti all’ampia finestra e sprofondò su uno dei divani di cuoio. Dylan era molto intelligente, forse troppo. Non che avessero parlato a lungo, ma abbastanza da fargli capire che si sarebbe ritrovato in grossi guai se non fosse riuscito a mantenere il controllo con quella donna. Suonò il telefono e lui rispose automaticamente, i suoi pensieri ancora concentrati su Dylan. — Pronto? — Ehi, sono Dante. — Ehi! Alec e Dante De Matteo si erano conosciuti a una conferenza sulla psicologia del BDSM e del feticismo che si era tenuta tre anni prima al Regno del Piacere, un club fetish della città. Dopo aver scoperto il loro comune amore per le moto, erano diventati grandi amici e facevano
spesso lunghe gite attraverso le foreste dello Stato di Washington. Erano tornati al club molte volte ed entrambi avevano esplorato la loro tendenza alla dominazione con un certo numero di donne sottomesse. La primavera precedente, avevano anche visitato insieme l’Arizona e il Nuovo Messico in moto. Nonostante Dante fosse un avvocato e Alec uno scrittore, i due avevano molto in comune. E si capivano. — Allora, andiamo a fare quel giro sabato prossimo? — gli chiese Dante. — Come? Ah sì, sabato. — Alec fece scorrere la punta del dito sul bordo del bicchiere vuoto. Forse aveva bisogno di un altro drink. — Che c’è, Alec? — Che cosa intendi dire? — Sembri distratto. — Sì, è vero, lo sono — mormorò lui, più che altro a se stesso. — Allora? — insistette Dante. — Allora... ho incontrato questa donna... Dante rise. — C’è sempre di mezzo una donna o una moto. — Ne ho abbastanza di moto per il momento. — Ma non di donne? — Non che sia mai stato un problema, ma questa donna... — Alec, non termini le frasi, nel caso in cui tu non l’abbia notato. — Merda! — È tanto grave? — Non lo so. Intendo dire... sì, è stato un incontro piacevole. — Si alzò e andò a versarsi ancora da bere, sapendo che Dante avrebbe atteso con pazienza che lui si fosse chiarito le idee. — Questa donna... Dylan Ivory. Ti avevo detto che l’avrei incontrata oggi. Non è come mi aspettavo. Sul suo sito web non ci sono fotografie e io immaginavo... pensavo... be’, non mi aspettavo che fosse bella. Bella davvero. — E? — Ho fatto un patto con lei. — Un patto? — Lei non ha mai praticato il BDSM prima d’ora; di certo non al nostro livello. E non si è mai sottomessa. Ma io lo vedo in lei... posso sentirne il... profumo. E non mi sbaglio mai su queste cose.
— In che cosa consiste questo patto? — Lei crede di essere una dominatrice. — Sono sicuro che presto le dimostrerai che si sbaglia. Alec percepì il tono divertito di Dante. — Se non dovessi riuscirci, ho accettato di sottomettermi a lei. L’altro rise. — Non succederà. — No, non succederà. — E allora qual è il problema? Alec fece per sospirare, ma si trattenne. — Non ne sono ancora sicuro. Forse lo capirò meglio quando le metterò le mani addosso. — S’interruppe e fece un sorso di scotch. — Non so quale diavolo sia il problema. So solo che... mi è entrata nel sangue. — E così il grande Alec Walker si è innamorato — disse Dante. — Non ho mai detto che qualcuno si sia innamorato. — Alec strinse con forza il bicchiere. — No, infatti. — Va tutto bene. — Okay — mormorò Dante distrattamente. — Allora, ci vediamo sabato sera? — Sì. — E porterai anche lei? — Gesù, Dante! — Alec si sfregò il pizzetto. Sospirò. — Pensavo di aspettare una settimana o due. Come aveva potuto pensare di attendere tanto a lungo prima di rivederla? Oh sì, era in grossi guai. — Alec, non che io pretenda di dirti quello che devi fare, soprattutto con una donna che stai introducendo a questo stile di vita, ma credo che sarebbe meglio se tu la vedessi prima. — Perché? — Perché credo che ti verrà un colpo se non lo farai. — Andiamo, Dante, la situazione non è così grave! — No? Alec si sfregò il pizzetto. Avrebbe sospirato di nuovo, ma non lo fece.
— Ci vediamo sabato. — Okay, okay... a presto. Cristo, era così evidente? Era davvero ridotto in quello stato a causa di una donna? “Ehi, amico, riprenditi!” Si sarebbe ripreso. Lo aveva sempre fatto, no? Dylan scalò la marcia uscendo dalla quinta e si diresse a ovest, verso il Sound. La nebbia aumentò mentre lei si avvicinava all’acqua e al suo quartiere. Ma non le dispiaceva. Amava la nebbia, la sua eterea tristezza. L’umidità scese sul parabrezza e lei azionò il tergicristalli, felice che la sua Audi avesse i sedili riscaldati. Nonostante amasse la foschia, detestava avere freddo. Imboccò Western Avenue e raggiunse il box che aveva affittato vicino all’edificio in cui viveva. Belltown era un vecchio quartiere di Seattle. Il capannone che ora ospitava vari loft, tra cui il suo, era architettonicamente molto gradevole, ma privo di garage. Ai confini del quartiere esistevano ancora zone poco raccomandabili, anche se le cose iniziavano a cambiare. Dal momento che stava per fare buio, Dylan si guardò intorno mentre raggiungeva l’entrata dell’edificio. Si trattava di una grande struttura in mattoni, con altissime finestre che si affacciavano sul Puget Sound, a soli pochi isolati di distanza. Era stata fortunata a trovare quella casa e non l’aveva nemmeno pagata una cifra esagerata rispetto ai prezzi che si erano impennati pochi mesi più tardi, quando il quartiere aveva subito un rinnovamento. Caffè alla moda e ristoranti spuntavano un po’ ovunque, insieme a boutique, gallerie d’arte e locali molto più invitanti delle vecchie bettole che avevano popolato quella zona per anni. Il mese prima, dall’altra parte della strada, era stato aperto anche un negozio che vendeva prodotti alimentari di altissima qualità. Dylan prese l’ascensore fino al quarto piano ed entrò nel suo loft. Si trattava di un open space con pavimenti in legno che aveva rivestito lei stessa quando aveva acquistato l’appartamento, due anni prima. La maggior parte dei muri esterni erano costituiti ancora da vecchi mattoni a vista. Le poche pareti interne che aveva fatto innalzare per suddividere le stanze erano dipinte nei caldi colori che lei trovava più rilassanti: ambra, terracotta, oro, verde muschio. Ai muri era appesa la sua collezione di stampe in bianco e nero, per lo più fotografie architettoniche. Stava ancora cercando i mobili. Di solito era attratta dalle linee essenziali dell’arredamento contemporaneo, come quelle del suo divano a L ricoperto in raso verde. L’appartamento era reso più accogliente dalla complessa struttura di luci che correva sul soffitto, dai numerosi cuscini degli stessi colori delle pareti e dalle piante che occupavano ogni angolo. ando in cucina, accompagnata dal ticchettio degli alti stivali neri sul legno, Dylan si tolse il cappotto di lana e lo abbandonò su uno sgabello accanto al ripiano di granito. Aveva bisogno di una tazza di tè per togliersi l’umidità dalle ossa. Forse anche per chiarirsi le idee. Durante il tragitto verso casa era riuscita a fingere di ignorare la reazione che aveva
avuto nei confronti di Alec Walker, ascoltando a tutto volume la sua opera preferita. Ma ora che era a casa, in silenzio, nulla poteva distrarla. Riempì d’acqua il bollitore cromato e lo mise sul fuoco. Prese una bustina di tè al gelsomino dalla scatola che teneva sul ripiano, e la mise in una tazza di ceramica. Mentre attendeva che l’acqua bollisse, era irrequieta. Guardando dalla finestra, osservando le gocce d’acqua sui vetri e l’orizzonte che si andava oscurando, si strinse nelle braccia, cercando di riscaldarsi. Cercando di non pensare ad Alec. Ma, naturalmente, non riusciva a fare altro. Era un uomo molto strano. C’era qualcosa di sorprendente in lui e qualcosa di più... qualcosa in lei che la faceva reagire in modo insolito nei suoi confronti. Qualcosa che le permetteva di prendere in considerazione il fatto di potersi davvero sottomettere a lui, per quanto l’idea dapprima le fosse parsa bizzarra. Non era sicura di riuscire a farlo, anche se molte immagini avevano preso forma nella sua mente da quando lui gliene aveva parlato: le sue mani su di lei, che la trattenevano. Non più di questo, nulla di più esplicito, di più chiaro. A eccezione di quell’incontro mancato fra le loro labbra. Dylan rabbrividì e tentò di mettere a tacere l’accenno di desiderio che si faceva strada in lei. Ma l’esistenza del desiderio non significava che trasferire una fantasia sessuale in realtà avrebbe funzionato. Anzi, era più probabile il contrario. Dopotutto, alcune cose era meglio che restassero solo fantasie. “Non Alec Walker.” Ma lei aveva accettato quel piccolo esperimento. L’attrazione che provava per lui probabilmente l’avrebbe aiutata, anche se non fosse riuscita a sottomettersi del tutto. I suoi pensieri furono interrotti dal fischio del bollitore. Versò l’acqua bollente nella tazza, mentre il vapore le avvolgeva il viso insieme al delicato aroma del tè. Dylan tornò in soggiorno, scorrendo pigramente la posta posata su una mensola accanto alla porta, in attesa che il tè si raffreddasse. Lasciò trascorrere qualche minuto prima di rendersi conto che il suo sguardo era perso nel vuoto. Mentre il viso di Alec riempiva la sua mente, i suoi brillanti occhi azzurri, i ricci scuri e lucidi che gli sfioravano la camicia e il collo, il pizzetto più scuro dei capelli, le sue labbra, troppo sensuali in un viso così virile. Alec era una somma di contrasti. Il suo aspetto, il suo comportamento, il modo in cui parlava del BDSM, con quel tono suadente, come se si trattasse di una conversazione perfettamente naturale. Dylan non voleva ammettere a se stessa quanto fosse eccitante. La sua natura si ribellava a quell’idea. Era troppo legata al controllo, non aveva difficoltà a riconoscerlo. Ma il suo corpo bruciava a quei pensieri, soprattutto all’idea che fosse lui ad avere il controllo su di lei. Chiuse gli occhi, stringendo tra le mani la tazza calda, e immaginò Alec in piedi di
fronte a lei. Bastò quella semplice immagine per essere scossa da un fremito di desiderio. “Alec...” — Accidenti! Entrò in camera sua e si sedette sul letto di legno scuro dalla struttura elegante, ricoperto dal piumino bianco e tanti cuscini candidi, e si tolse gli stivali. Alzandosi, fece scorrere la cerniera della gonna e si sfilò dalla testa il maglione di cachemire, dimenticando la tazza di tè sul comodino. Si guardò nel grande specchio con la cornice in legno situato in fondo alla stanza. La sua pelle appariva pallida in contrasto con la lingerie nera. Forse era troppo magra, ma le piaceva andare in palestra. Adorava il benessere che le dava l’attività fisica. In quel momento, però, aveva bisogno di un altro tipo di sollievo. “È solo un’innocua fantasia...” Guardandosi allo specchio, si tolse il reggiseno e strinse i piccoli seni nelle mani a coppa. I capezzoli rosso scuro si stavano già indurendo, turgidi e vogliosi. Si pizzicò delicatamente le punte e gemette. Che cosa avrebbe provato se lui l’avesse toccata? Fece scivolare una mano all’interno degli slip e continuò a scendere fino al pube. Il piacere la investì all’improvviso, facendole trattenere il respiro. “Alec...” Sì... le sue mani addosso, che la toccavano. Allargò le labbra del suo sesso per scivolare nell’umido calore. Era già bagnata fradicia per lui... vogliosa... Allargò le gambe ancora un po’ e osservò la sua mano che si muoveva tra le cosce. Ben presto non riuscì più a resistere. In preda alla frustrazione, abbassò gli slip neri e se li tolse. La vista del suo sesso, delle labbra gonfie, del clitoride rosato che faceva capolino, la fece tremare. “Alec...” Divaricò ancora di più le gambe e infilò un dito. Trasalì e si morse la bocca. Dentro era così bollente. Le pareti della vagina si strinsero immediatamente intorno al suo dito. Ne aggiunse un secondo e poi un terzo. Voleva sentirsi riempita. Il suo cazzo sarebbe stato grosso quanto tutto il resto? — Oh... Gemette, premendo il palmo contro il clitoride. Iniziò a muovere la mano in piccoli cerchi, affondando le dita. Immaginò i penetranti occhi azzurri di Alec che la fissavano attraverso lo specchio. Con l’altra mano si strinse un capezzolo e fu scossa da un piacere intenso e improvviso. — Alec...
Oh sì, le sue grandi mani su di lei, dentro di lei... che la accarezzavano, la titillavano. Il piacere scorreva come lava nelle sue vene e scivolava sulla sua pelle come seta. Spinse le dita dentro e fuori, premendo a ogni movimento il palmo contro il clitoride. Il suo corpo s’irrigidì e iniziò a tremare, mentre lei veniva, gridando il nome di Alec nella stanza vuota. — Alec! Le cedettero le gambe, quasi cadde, ma si sostenne con una mano al bordo della cassettiera. Ansimava, le mancava l’aria. Aveva il viso arrossato, gli occhi sgranati, le iridi grigie quasi oscurate dalle pupille brillanti. Il suo corpo fremeva ancora di desiderio, nonostante l’orgasmo. “Alec...” Si voltò verso il cesto di vimini accanto al letto e pensò alla collezione di vibratori che custodiva. “Sì, ho voglia di venire ancora e ancora...” Attraversò la stanza, si sedette sul letto e prese uno dei suoi giochi preferiti dalla cesta, un vibratore ad alta velocità che la faceva urlare a ogni orgasmo. Forse questo l’avrebbe placata. Ma quando si adagiò sui cuscini e lo accese, posizionandolo tra le gambe aperte, capì che nulla sarebbe stato abbastanza. Che cosa diavolo le aveva fatto Alec Walker? Suonò la sveglia e Alec la zittì a tastoni, voltandosi sulla schiena. Aveva dormito a pancia in giù e si era svegliato con una dolorosa erezione che premeva contro il materasso. E con il viso di Dylan in mente. Gli era entrata dentro. Era andato a dormire che ce l’aveva duro, e si era svegliato ancora più eccitato. Avrebbe voluto calmarsi, ma il suo cazzo pulsava di desiderio. Nei suoi pensieri, vide lucidi boccoli color mogano e ambra risplendere al sole e ricadere su delle spalle minute. Due occhi freddi, grigi, che sembravano custodire un mistero, qualcosa che lei gli teneva nascosto; qualcosa che lui voleva, doveva, scoprire. Pallida, pelle pallida come alabastro. La delicata linea dell’esile collo che spuntava dal maglione e, più sotto, la curva dei seni dalla forma perfetta. La sera prima era rimasto sveglio fino a tardi immaginando di guardarli e toccarli. Il sapore di Dylan sulla lingua. Che cosa avrebbe provato con le sue lunghe gambe intorno ai fianchi, mentre pompava dentro di lei... la sua fica bollente e accogliente... Mugolò. — Cazzo!
Scostando le coperte e il lenzuolo, si accarezzò, chiudendo la mano intorno all’asta turgida. Che cosa avrebbe provato se le sue labbra rosse e voluttuose si fossero chiuse intorno a lui in quel modo, mentre la sua lingua serpeggiava sul glande? Gemette e continuò ad accarezzarsi, alzando e abbassando il bacino. La sua bocca sarebbe stata calda e bagnata, ma non quanto la sua fica. Lui le avrebbe aperto le gambe e sarebbe entrato in lei con decisione... ancora e ancora. “Dylan...” Il suo sguardo si sarebbe offuscato, lei avrebbe dischiuso le labbra, il suo corpo avrebbe iniziato a tremare mentre veniva, la sua fica si sarebbe stretta intorno a lui... oh, così stretta... Alec inarcò la schiena, massaggiandosi, facendo scivolare la punta delle dita sul glande gonfio. Stava per venire, il suo sesso pulsava... “Dylan...” Sì, doveva solo sculacciare il suo splendido culo ed entrare in lei. Farla venire. Scoparla. “Dylan!” Venne. Il piacere iniziò a scorrere bollente nelle sue vene, facendolo rabbrividire. Continuò a massaggiarsi, mungendo il suo cazzo fino all’ultima goccia. Fino all’ultimo istante di piacere. Per cercare di scacciare il desiderio che sentiva per lei. Non funzionò. Sapeva che non avrebbe funzionato. Nulla avrebbe funzionato, se non vederla, toccarla. Darle ordini. E dare ordini a quella donna non sarebbe stata cosa facile. Ma forse gli sarebbe stato utile per riacquistare il controllo. Abbassò lo sguardo sul proprio ventre impiastricciato e scosse la testa. Doveva rifarlo. Non aveva ancora ripreso fiato, ma sapeva che entro breve sarebbe stato di nuovo eccitato. Se lei fosse stata lì, lui le si sarebbe messo sopra e l’avrebbe posseduta, saccheggiata, facendola venire con le mani, con la bocca... Il suo cazzo ebbe un sussulto e lui si stupì nel vederlo gonfiarsi di nuovo. Si alzò e camminò sul freddo pavimento di legno. Fuori stava spuntando il giorno, la luce grigia dell’alba filtrava dalle finestre. Faceva freddo, ma dentro si sentiva ribollire. Era voglioso e di nuovo dolorosamente duro. Entrò nella doccia, dalle piastrelle color rame, marrone e bronzo, e aprì al massimo il rubinetto dell’acqua calda. Mettendosi sotto il getto si ripulì l’addome. Lo scroscio violento dell’acqua sulla pelle lo eccitò ancora di più. Staccò il telefono della doccia e lo puntò sul suo sesso che si andava indurendo. Si
appoggiò alle piastrelle fredde e chiuse gli occhi. Dylan era di nuovo lì, i capelli bagnati che le ricadevano sulla schiena, la splendida e sensuale bocca che formava una O, mentre lui s’inginocchiava tra le sue gambe e con la lingua iniziava a leccare la sua fessura bagnata. Dylan immergeva le mani tra i suoi capelli, trattenendolo contro di sé mentre gemeva di piacere. Alec aveva il respiro affrettato. Stava per venire di nuovo. Solo con il getto della doccia puntato sul cazzo e con in mente l’immagine di Dylan Ivory a gambe aperte. — Gesù! Inarcò la schiena e raccolse i testicoli in una mano; erano gonfi di desiderio. Non ebbe bisogno d’altro. Il suo corpo iniziò a tremare mentre veniva. “Dylan... cazzo!” Si lasciò andare contro le piastrelle alle sue spalle, con le gambe che gli cedevano. Il piacere lo investì, una scossa elettrica per tutto il corpo, che gli percorse il ventre e il sesso ancora pulsante. Inspirò a fondo, mentre l’acqua lo ripuliva. Era già abbastanza imbarazzante che lo avesse fatto due volte di fila come un adolescente. Che avesse dovuto farlo. Per la prima volta dopo anni si era eccitato semplicemente... pensando di fare sesso. Niente giochi di ruolo. Niente bondage. Né sculacciate, guanti di cuoio, corde o catene. Pensando solo a Dylan. Che cosa diavolo significava? Voleva saperlo davvero? Alec aveva sempre avuto il controllo totale sul sesso, ma c’era qualcosa in quella donna che lo aveva turbato profondamente. E aveva la sensazione che tutto fosse ancora in gioco. Non che avrebbe finito per sottomettersi a lei, questo era da escludere; l’avrebbe messa in ginocchio, senza alcun dubbio. Ma aveva la sensazione che, quando ci sarebbe riuscito, sarebbe stata un’esperienza travolgente sia per lei che per lui. Che anche lui avrebbe donato una parte di sé... a Dylan. Avvertì un fremito. In parte di fastidio, in parte di paura, anche se non voleva riconoscerlo, e in parte per quel desiderio che gli scorreva nelle vene. Le cose erano diverse con Dylan Ivory. Sebbene non volesse ammettere quanto lei lo turbava, avrebbe scoperto di che diavolo si trattava. Avrebbe scoperto chi fosse lei. Nel frattempo, maledizione, avrebbe mantenuto il controllo della situazione come sempre. “Cazzo!”
3 Dylan era seduta sul divano con un blocco per appunti in grembo e una pila di libri sparsi sul tavolino davanti a lei. Stava conducendo delle ricerche sul bondage, sul dolore, sul gioco di ruolo, sulle ragioni per cui queste cose eccitavano certe persone. Ciò che aveva letto aveva eccitato anche lei, senza dubbio. E si era immaginata in vari scenari: legata, sculacciata, persino frustata. E di questo incolpava il sordo pulsare tra le sue gambe, se voleva mentire a se stessa. In verità, non era un partner senza volto a farle quelle cose. Alec era sempre presente, le sue mani su di lei, dandole ordini. Sospirò, prese la tazza di tè e fece un sorso. Il liquido caldo e aromatizzato le placò la gola, ma il resto del suo corpo rimase teso come una corda di violino. Erano ati tre giorni da quando aveva parlato con lui, e da allora non l’aveva più sentito. Fu costretta a chiedersi se non si fosse più fatto vivo per dimostrarle di avere il controllo della situazione, oppure perché era semplicemente impegnato. In qualsiasi caso, la cosa non le piaceva. Non le piaceva alimentare il suo atteggiamento dominante. Sapeva che non avrebbe dovuto continuare a rimuginarci sopra, ma non poteva farne a meno. Lei non era una sottomessa iva che si sarebbe sciolta ai suoi piedi e avrebbe fatto tutto quello che lui le chiedeva. Non sarebbe rimasta seduta accanto al telefono come una bambola obbediente in attesa di una sua chiamata. E allora perché stava facendo esattamente questo? Era uscita con tanti uomini e non era mai stata quel tipo di donna. Lei non doveva stare ad aspettare nessuno. Una donna dalla mente aperta non aveva certo problemi a trovare uomini con cui fare sesso, e per lei era sempre stato così. Quando era interessata a qualcuno, glielo faceva sapere subito. A quel punto, gli uomini non avevano alcun bisogno di mettere in atto con lei i giochetti che facevano con le altre donne. Dylan si manteneva sempre a distanza, così loro non avevano mai la sensazione di possederla completamente. E, in effetti, nessuno l’aveva mai avuta del tutto. Non c’era bisogno di giochetti. Ma Alec aveva una strana influenza su di lei, che Dylan non riusciva a capire... Dopo aver posato la tazza, prese uno dei libri e lo sfogliò, nel tentativo di concentrarsi. Stava cercando la spiegazione di ciò che avveniva in una persona sottomessa a livello chimico e psicologico, e in particolare dello stato di trance che molte sottomesse raggiungevano durante la pratica del BDSM. Dylan capiva il processo chimico, il fatto che il corpo rilasciasse endorfine come reazione al dolore o alla stimolazione sessuale, ma non le era chiara la parte mentale ed emotiva del tutto. Perché le persone reagivano a certe cose e non ad altre? Aveva letto che alcune sottomesse iniziavano a raggiungere quello stato di trance semplicemente quando venivano legate o ricevevano ordini. A volte anche solo udendo la voce del loro dominatore. Le tornò alla mente quella profonda e suadente di Alec, che le percorse la pelle come corrente elettrica. Come se potesse sentirne le vibrazioni. Avvertendo uno spasmo improvviso, accavallò le gambe e le strinse.
Sì, forse era in grado di capire che cosa accadeva. Continuò a sfogliare il libro, e il suo sguardo cadde sulla fotografia di una donna legata con un complesso groviglio di corde. Ma non fu la donna inginocchiata e nuda ad attirare la sua attenzione, né l’intrico di corde. Fu la mano di un uomo non inquadrato, il modo in cui lui le accarezzava il viso. Un gesto in qualche modo tenero. Dylan amava i contrasti, il fatto che la mano di quell’uomo appartenesse a colui che l’aveva legata e che ora aveva il controllo totale su di lei. Provò un’ondata di desiderio. Una piccola parte di lei voleva essere quella donna. Se l’uomo fosse stato Alec Walker. Richiuse bruscamente il libro e si alzò dal divano. Ridicolo! Lei era forte, indipendente. E se anche provava il bisogno di sottomettersi ad Alec, era solo per puro desiderio sessuale. Per essere costretta a restare lì seduta mentre lui le faceva certe cose. Gemette. Il corso dei suoi pensieri non l’aiutava affatto. Suonò il telefono e ripose, felice di potersi concentrare su altro. — Pronto? — Ciao, sono Mischa. — Mischa, ciao. Mischa Kennon, una tatuatrice e autrice di brevi racconti erotici, era una delle sue migliori amiche. Si erano conosciute parecchi anni prima a San Francisco, in occasione di una conferenza sulla scrittura a cui avevano partecipato entrambe. Quando, parecchi mesi più tardi, Dylan era tornata in città per farsi tatuare, avevano ato un po’ di tempo insieme ed erano diventate subito amiche. Ora, malgrado le miglia che le separavano, si sentivano tutte le settimane e si vedevano ogni volta che era loro possibile. — Che fai, Dylan? — Oh, più che altro rimugino. Mischa rise. — Perché? Dylan si spostò verso le finestre che davano sull’acqua. Il cielo era oscurato dalle nubi, una pesante cortina grigia che prometteva pioggia. — Vorrei saperlo anch’io. — Stai cercando idee per un libro? — In realtà sto già facendo ricerche per il mio prossimo lavoro. Si tratta di un romanzo erotico, con il BDSM come tema centrale. Il che mi porta al motivo per cui sto rimuginando... più o meno. — Okay... hai intenzione di dirmi di che cosa stai parlando oppure no?
— Scusa, non volevo essere così vaga. — Dylan s’interruppe e fece un respiro profondo. — Ho incontrato un uomo. — Mi pare promettente. — Forse. Anzi, no. Cristo, Mischa, non lo so... questo uomo, Alec è... diverso da tutti quelli che ho conosciuto fino a ora. — In che senso? — In tutti i sensi. — S’interruppe di nuovo e appoggiò la mano aperta sul vetro della finestra, sentendo il freddo sulla pelle. — Alec fa parte della mia ricerca. Anzi, a questo punto, è la mia ricerca. Sono stata indirizzata a lui da una sottomessa, Jennifer, per parlare di BDSM. Ritenevo di non saperne abbastanza per poter scrivere in modo accurato. — Non capisco perché. Nei tuoi libri precedenti hai parlato di quasi tutto il resto. Non sei certo una puritana. Sei la persona a cui tutti noi guardiamo per avere risposte su quasi qualunque cosa riguardo al sesso. Sei la nostra regina, Dylan — concluse Mischa in tono scherzoso. — Ah ah! Non sono affatto la regina dell’erotismo! Avere un po’ di esperienza in fatto di sesso non è la stessa cosa. Si tratta di un ambito molto specifico. E questa volta mi rendo conto di non saperne molto. Ma più scopro le dinamiche coinvolte e più capisco di aver bisogno di informazioni reali, di dovermi basare su qualcosa che vada oltre la lettura di qualche libro. — E quindi hai deciso di parlare con una persona esperta di queste cose? — Sì. — E? Mi rendo conto dal tuo tono di voce e dal modo in cui ci stai girando intorno, che ci deve essere un seguito. Dylan tolse la mano dal vetro, fece scorrere la punta delle dita verso il basso e poi si staccò dalla finestra. — Un seguito piuttosto importante, Mischa. — Ehi, stai parlando con me. Nulla mi può scandalizzare. E nemmeno tu sei facilmente impressionabile. Per questo sono curiosa di sapere come abbia potuto un qualsiasi uomo sconvolgerti tanto. — Alec è un dominatore. — L’avevo immaginato. — E mi ha chiesto, per sfidarmi, di sottomettermi a lui. Non posso ancora credere di averlo fatto, eppure ho accettato. Sono sicura che non funzionerà. L’idea è assurda. Ma lui è così... carismatico. No, è più che carismatico. È incredibilmente bello, ma sarebbe affascinante anche se non lo fosse. — Dylan ripensò al suo viso. A quel demoniaco pizzetto nero, al suo sorriso smagliante. I suoi occhi penetranti, con quella loro luce azzurra... — Dylan?
— Sì? Scusa, stavo pensando... a lui. Non riesco a farne a meno. Non so quand’è stata l’ultima volta che mi è successa una cosa del genere. Che mi sono sentita così... smarrita. — Forse è proprio questo il punto. — Pensi che sia una specie di lavaggio del cervello che lui fa alle donne con cui interagisce? — No. Be’, forse, ma intendevo dire che magari è questo il punto per te. In generale. Magari è ciò di cui hai bisogno, Dylan. — Non capisco... — Tu sei sempre così misurata... Non c’è nulla di male nel voler avere il controllo sulla propria vita, soprattutto dopo quello che hai ato con tua madre. Ma per una volta potrebbe farti bene cedere le redini a qualcun altro, anche se solo per un po’. — Dubito che il destino abbia messo Alec Walker sulla mia strada in modo che lui potesse legarmi. — Invece io penso che possa essere proprio così. — Mischa! — Dylan, lo sai che ti voglio bene. Ti voglio così bene da dirti che ti gioverebbe lasciarti andare un po’. — Sono stata con tanti uomini, ho fatto molte esperienze sessuali. — Ma non è la stessa cosa, no? L’hai detto tu stessa. Se quello che so sul BDSM è esatto, si tratta di una questione di ruoli. L’esercizio del potere, giusto? — Sì, questa è la base di tutto, da quanto ho capito. — Quindi, io credo che tu dovresti cedere il potere per una volta. — È questa la parte che non mi piace. — Probabilmente è per questo che dovresti provarci. — Non lo so. Forse. — Dylan si arrotolò una ciocca di capelli intorno a un dito. — Probabilmente hai ragione, e una parte di me lo sa, per questo ho accettato. — Dopo dovrai dirmi com’è andata. Lo farai, vero? Lo rivedrai? Starai con lui? Lo avrebbe fatto? Aveva mai pensato, anche solo per un momento, di tirarsi indietro? Dylan sospirò. — Sì, ma non sarà facile per me. — A volte le cose difficili ci permettono di capire noi stessi. — So che hai ragione, ma il mio istinto mi spinge... a oppormi.
— Fallo, Dylan. Salta l’ostacolo... se puoi fidarti di quest’uomo, ma del resto mi hai detto che è stata una persona che conosci a indirizzarti a lui. Io credo davvero che dovresti provare. — Lo credo anch’io. — Il fatto che gli occhi azzurri di Alec, la sua voce, il suo profumo, la fero sciogliere, avrebbe facilitato un po’ le cose. Tutto ciò rendeva l’intera faccenda, e soprattutto lui, irresistibile. — Non so che cosa accadrà esattamente e questo mi fa sentire a disagio. Profondamente a disagio. Ma a essere sincera è anche eccitante... forse proprio il non sapere a cosa andrò incontro. — Accidenti! Non ti ho mai sentita così, Dylan... così insicura. — Non è da me, ma quest’uomo... La sua mente prese in esame le varie possibilità. Che cosa le avrebbe fatto Alec? Che cosa avrebbe preteso da lei? Provò una stretta allo stomaco e un intenso calore si diffuse tra le sue gambe. Lo avrebbe scoperto. L’unica cosa di cui era certa era che Alec Walker l’avrebbe cambiata. Irrevocabilmente. Parecchie ore più tardi, il telefono suonò di nuovo. Dylan posò libro e taccuino e guardò il numero sul display. “Alec.” Il suo cuore iniziò a battere all’impazzata, un metallico sferragliare nel torace. — È solo un uomo — disse alla stanza vuota, poi scosse la testa. Già sapeva che sarebbe stato molto più di questo. — Pronto? — Ciao, Dylan. Santo Dio, la sua voce era come una scarica elettrica che le scorreva nelle vene, concentrandosi tra le sue gambe. — Ciao, Alec. — Come stai? — Sto bene. Sì, bene. L’aveva chiamata per parlare del più e del meno? Non pensava di poterlo sopportare. Mettendosi un cuscino ricamato in grembo, iniziò a giocherellare con il bordino arrotondato. — Vuoi sapere come sto io? — le chiese lui in tono divertito. — Sì, certo. Scusa, stavo... ero concentrata sulle mie ricerche. Stavo pensando ad altro. — Dovrò faticare parecchio per ottenere la tua completa attenzione.
— Oh, non credo... — Non preoccuparti, so come fare. Dylan iniziò a balbettare qualcosa, ma lui proseguì. — È questa la ragione per cui ti ho chiamata. Dovremmo organizzare la nostra prima volta. — Oh... Da quando un uomo la faceva restare senza parole? Riusciva a pensare solo alle sue grandi mani su di lei, che la legavano. Che la toccavano. Non riusciva a immaginare nient’altro, pur sapendo che ci sarebbe stato altro. E stava cercando di controllare la propria reazione. “Riprenditi!” — Ricordavo mi avessi detto che mi avresti mandato un’e-mail. — È così. Dylan attese, ma lui non sembrava propenso a darle spiegazioni, cosa che accrebbe il suo disagio. — Che... che cosa devo sapere? — gli chiese. — Entrambi abbiamo bisogno di conoscere i nostri limiti. I nostri desideri. Molte persone usano dei questionari scritti, ma io preferisco parlare. Riesco a capire di più ascoltando le tue risposte alle mie domande. — Adesso sei anche uno psicologo? Lo sentì sospirare. — Dylan, essere sarcastica con me non farà che complicare le cose. — Hai ragione, scusami. È che tutto è così innaturale per me. — Si appoggiò allo schienale del divano, tenendo stretto il cuscino. — Per il momento ci limiteremo a parlare, okay? — Il suo tono di voce era cambiato, ora era più suadente che perentorio, come se potesse intuire lo stato d’animo di Dylan, i suoi bisogni. — Sì, okay. Lo avrebbe fatto, ma il cuore continuava a martellarle nel petto. — Innanzitutto, voglio essere sicuro che tu abbia capito che cosa significa BDSM. So che hai letto molto, che hai raccolto informazioni. Ma dammi una tua definizione, le conclusioni a cui sei arrivata. Dylan pensò per un attimo a tutto quello che aveva letto sull’argomento, alla breve conversazione con Jennifer, alle ricerche che aveva fatto on line. — Be’, so che BDSM è un acronimo che significa Bondage e Disciplina, Dominazione e Sottomissione, Sadismo e Masochismo.
— Ora dimmi la tua interpretazione, non quello che hai trovato nei libri o su internet. — Io penso... la definizione sembra coprire un’ampia gamma di comportamenti sessuali. Desideri. Feticismo. Ognuno sembra avere una definizione diversa e personale di ciò che è. E non tutti accettano qualsiasi pratica. Alcuni si limitano agli aspetti più soft, come lo spanking o il semplice bondage. Ma si tratta pur sempre di BDSM, anche se forse preferiscono non definirlo tale. Alla base di tutto c’è lo scambio di energia sessuale tra i partecipanti. — Sì, ma c’è dell’altro oltre alla definizione che puoi trovare in un libro. Tu che cosa ne pensi? Che cosa ti aspetti oltre alle informazioni per il tuo romanzo? — Voglio fare quest’esperienza, voglio provare, prima di rifiutarla a priori. Continuo a credere di essere per indole una dominatrice, non una sottomessa, quindi forse in parte voglio dimostrarlo a me stessa, nonostante la tua opinione di esperto. — Vuoi dimostrarlo anche a me? — Sì. Forse. Sì. — E cos’altro? — Non lo so ancora. Credo di dover provare, prima di poter capire esattamente che cosa mi piace e che cosa no. — Hai ragione, questo lo scopriremo col tempo, ma vorrei farti qualche domanda, e vorrei che tu provassi a rispondere istintivamente. Non stare troppo a pensarci. Lasciati andare, se mi tieni nascosto qualcosa, non serve a nulla. D’accordo? Era in parte una domanda e in parte un ordine. La prima reazione di Dylan fu quella di mettersi a discutere. Ma lui aveva ragione, così avrebbe solo ritardato il tutto. — Sì, certo, inizia pure. — Hai mai pensato di sperimentare il bondage prima d’ora? — Sì. — Lo hai mai fatto? — Una volta... ho legato il mio ragazzo con delle sciarpe di seta. — E com’è stato? — Divertente. Diverso dal solito. — Non ha funzionato? — Non lo so. È stato piacevole. Ma la realtà non è stata eccitante quanto la fantasia. — Forse perché le sciarpe erano un simbolo troppo delicato per te? — Sì, forse. Mi è sembrato banale. Anche un po’ stupido. Come se non riuscissi a prendere la cosa seriamente.
— Non potrebbe essere che avresti voluto essere tu la persona legata? Sentirti impotente? Dylan rabbrividì e la sua mente si svuotò da ogni pensiero. — Io... non lo so. Al momento non l’ho preso in considerazione e poi non ci ho più pensato. Immaginando questo tipo di esperienze, mi sono sempre vista nella parte attiva. — E adesso? Dylan trattenne il respiro. Era tutt’a un tratto infastidita. Sulla difensiva. — Ho accettato di provare a sottomettermi, no? Alec rimase in silenzio per qualche istante. Lo sentì sospirare e non riuscì a capire perché questo le fe trattenere il fiato. — Dylan, non andremo da nessuna parte fino a quando non ammetterai che almeno una parte di te lo desidera. Lei arrossì, la sua mano strinse il cuscino. — Okay, lo ammetto. Suppongo che sia naturale prenderlo in considerazione, a un certo momento della propria vita, per una persona dalla mentalità aperta. Come lo sono io. Altrimenti non sarei una scrittrice di romanzi erotici. “Smettila di blaterare, Dylan.” — Bene. È un inizio. — Ti basta come risposta? — Per il momento sì. Non dovrai essere del tutto convinta al termine della nostra conversazione. Si tratta di un lungo processo. — Okay. Lei allentò un po’ la stretta sul cuscino. — Dov’eravamo? Ah, sì... hai mai desiderato di essere sculacciata? — Io... sì. Lo aveva davvero detto ad alta voce? — Ah, molto bene. — Alec abbassò la voce e lei dovette concentrarsi per sentirlo. — In questo momento ti fa piacere sapere che sono soddisfatto della tua risposta? Di nuovo lei trattenne il respiro. Le faceva piacere? Si portò la mano al viso e sfiorò con la punta delle dita il sorriso che aveva sulle labbra. — Ci sei ancora, Dylan? — le chiese lui. La sua voce vellutata e carezzevole le scivolò come seta sulla pelle. — Sì, sono qui.
— Hai intenzione di rispondermi? Lei scosse la testa e si morse le labbra. — Preferirei di no. — Ma...? Aveva la sensazione che, se fosse stato necessario, lui avrebbe aspettato tutto il giorno per sentire la sua risposta. — Ma... sì, mi ha fatto piacere. Alec rimase in silenzio ancora per qualche istante. — Splendido, Dylan. Davvero. Lo sento dalla tua voce. Così come sento quanto sia difficile per te dirmelo. — Sì. — Vorrei che tu riflettessi su queste cose. Ne riparleremo prima di vederci. Preparati a incontrarmi al Regno del Piacere sabato sera. Alle nove. Ti spedirò via e-mail l’indirizzo. Prenderai un taxi. Non voglio che guidi, quella sera. Le girava la testa. Era arrabbiata. Innegabilmente eccitata. Che andasse al diavolo! Forse avrebbe dovuto opporsi su qualche punto, eppure tutto quello che le uscì dalle labbra fu: — Okay. — Voglio che tu sia a casa domani sera alle otto. Parleremo di nuovo. — Sì, credo di esserci. — Non era una domanda, Dylan. — Non ho pensato che lo fosse. — Sembri arrabbiata. — Forse lo sono. Lei strinse i denti e serrò la mascella. Perché le dava ordini? Non erano ancora al Regno del Piacere, non avevano ancora assunto i ruoli di dominatore e sottomessa. Oppure sì? — Hai ragione di essere in collera — disse lui. — Spesso la rabbia fa parte del processo mentale. È difficile lasciarsi andare, cedere il potere a un’altra persona. Ricordati solo che bisogna essere forti per riuscirci, per fare questa scelta. Capisci? — Forse. Devo pensarci. — Sì, pensaci. Ti chiamerò domani sera. Sogni d’oro. Alec riagganciò, e lei con mano tremante premette il tasto OFF del telefono. In quel momento non era sicura che sarebbe riuscita a dormire. Come poteva Alec sapere quelle cose su di lei, cose che lei stessa nemmeno conosceva del tutto? E lei come aveva potuto, ritenendosi sessualmente sofisticata, non aver mai scoperto
quella parte di sé? Dylan non lo sapeva. Sapeva solo che la rabbia e il desiderio lottavano dentro di lei, e a un certo punto non riuscì più a restare seduta. Si alzò dal divano e percorse il loft con lo sguardo puntato oltre la finestra, sul panorama oscurato dalla nebbia. Sotto di lei Western Avenue era illuminata dalle insegne di bar, locali e dai fari delle auto. Una volta tanto non stava piovendo, la notte era fredda e buia sotto la coltre di nebbia. Una coppia si stava baciando alla luce ambrata di un lampione. Dylan li osservò, mentre si abbracciavano apionatamente, e si sentì ancora più eccitata. Sospirando, distolse lo sguardo e pensò di andare in cucina a versarsi un bicchiere di vino. Ma non era il vino ciò di cui aveva bisogno. Attraversò invece il soggiorno e raggiunse la zona notte. Il letto bianco come la neve risaltava rischiarato dalla lampada accesa in soggiorno, creando un netto contrasto con la scura parete verde muschio alle sue spalle. Ma in quel momento Dylan non aveva bisogno nemmeno del rilassante conforto del letto. Si spogliò in fretta; l’aria fredda della sera le lambì delicatamente la pelle. Adorava stare nuda, ma quella sera le piaceva ancora di più. Salì sul letto, attirò a sé il cesto di vimini che giaceva lì accanto e ne sollevò il coperchio. Dentro c’era la sua collezione di giochi erotici. Sfiorò il vibratore che aveva usato tutte le sere da quando aveva conosciuto Alec, ma lo scartò. Cercava qualcosa di più delicato. Voleva venire più lentamente, più sensualmente. Scelse allora un dildo color carne dall’aspetto molto realistico, con la punta arrotondata. Lo tenne in mano per qualche istante, il materiale morbido come pelle era molto invitante, poi, mordendosi le labbra, prese anche un piccolo oggetto cromato a forma di uovo. Ricadendo contro i cuscini, allargò le gambe e l’aria fresca accarezzò il suo sesso nudo. Dopo aver il dildo, lo abbassò tra le cosce, sfiorò la punta del clitoride e gemette debolmente. Il piacere si diffuse nel suo corpo in piccole onde tremanti. Dylan chiuse gli occhi, vide il viso di Alec e premette ancora più forte, scivolando sul clitoride inturgidito. — Ah... Continuò a stuzzicarsi, lasciando che il desiderio crescesse lentamente, fino a quando lei iniziò a dimenarsi sul letto. Il suo sesso era bagnato. Allargò le gambe ancora un po’, spingendo il fallo all’interno. — Oh, Dio... Alec... Che cosa avrebbe provato se lui l’avesse scopata? Se l’avesse scopata tenendole le mani imprigionate sopra la testa? Alec era così grande... e lei sarebbe stata del tutto inerme sotto di lui. Doveva avere una muscolatura forte e potente. E Dylan poteva immaginare il suo cazzo che si spingeva dentro di lei... “Sì!”
Inclinò il dildo, colpendo il punto G. — Oh... oh... sì... Ora le sue gambe stavano tremando, il piacere ruggiva sommessamente dentro di lei, crescendo sempre più. Dylan spinse il vibratore più a fondo, poi lo estrasse inarcando il bacino, e continuò a ripetere il movimento. L’avrebbe scopata lentamente? Oppure sarebbe stato irruento, rapido, animalesco? “Alec...” Aveva bisogno di qualcosa di più. ò le dita inumidite dei propri umori sullo stretto buco tra le natiche per lubrificarlo, poi vi infilò il piccolo uovo. Facendo un respiro profondo, si costrinse a rilassarsi e roteò l’uovo prima di spingerlo leggermente dentro. Era talmente eccitata da non avvertire alcun bruciore, alcuna difficoltà. Il suo corpo si apriva spontaneamente, il suo sesso si contraeva, il suo bacino s’inarcava. “Oh sì, sto per venire... Alec...” Le sue forti mani l’avrebbero trattenuta, il suo cazzo avrebbe continuato a spingere... Dylan spinse con forza il dildo, facendolo affondare nel suo sesso, mentre le vibrazioni si riverberavano per tutto il corpo, insieme alle sensazioni provocate dal piccolo uovo che oscillava all’interno del suo ano. — Cristo, Alec... scopami! Ancora un’ultima spinta... tutto il suo corpo s’irrigidì, e lei venne. Il piacere esplose dentro di lei con il fragore di un tuono: nel suo sesso, nell’ano, nel ventre, nei seni. Dylan cavalcò l’onda e s’impennò con lei, sollevando il bacino. “Alec!” — Dio... Continuò a muovere il dildo e continuò a venire; il suo orgasmo era una spirale infinita di piacere. Infine, esausta, giacque tremante sul letto. Nella sua mente c’era il viso di Alec, le sue mani grandi. Il pensiero del suo corpo nudo contro di lei. Di lui che la imprigionava sul letto; Dylan voleva che lo fe. Oh sì, il lavaggio del cervello era già iniziato. Che cosa poteva accadere di peggio? E di meglio?
4 Alec sedeva alla sua grande scrivania di quercia e fissava lo schermo del computer.
Stava tentando di scrivere qualcosa dalle prime ore del mattino per cercare di organizzare il lavoro in modo coerente, ma la sua mente continuava a divagare. Si raddrizzò e tentò di leggere le poche annotazioni prese, ma le parole gli si confondevano davanti. Aveva ato una notte pressoché insonne. Si era svegliato alle cinque con gli occhi pesti. Era da giorni che dormiva poco. Quella mattina aveva cercato di riprendere sonno, ma dopo essere rimasto a letto a pensare a Dylan per più di un’ora, si era alzato, era entrato nella doccia e aveva avuto di nuovo un orgasmo sotto al getto bollente. Il suo cazzo pulsava, s’induriva. La situazione stava diventando ridicola. Si era masturbato tutti i giorni, parecchie volte al giorno, da quando l’aveva conosciuta. E le cose erano andate persino peggio dopo la conversazione telefonica della sera prima. Troppo eccitante parlare con lei dei suoi desideri. E altrettanto eccitante percepire la sua rabbia, immaginare di placarla. Aveva avuto un’erezione pressoché costante per tutta la notte, come se avesse fatto uso di Viagra. Cristo, quella donna era una specie di demone che invadeva i suoi sogni e buona parte del tempo in cui era sveglio. Non vedeva l’ora di metterle le mani addosso. Di mettere a tacere tutta la sua rabbia e le sue proteste. Di legarla. Di sculacciarla. “Oh, sì!” Al pensiero, il suo sesso ebbe un fremito di desiderio. Doveva davvero cercare di controllarsi. E doveva controllare lei. Gemette. “Devo rivederla.” Perché si opponeva a quel desiderio? Di solito, quando voleva qualcosa, faceva in modo che accadesse. Perché adesso avrebbe dovuto fare diversamente? Forse perché vederla prima del momento stabilito andava contro l’abituale protocollo. Disturbava la relazione dominatore/sottomessa, anche se si trattava di una relazione occasionale. Ma questa non sembrava essere occasionale. Al diavolo! L’avrebbe chiamata. Del resto, non ci sarebbe stato nulla di male se l’avesse colta di sorpresa. Se l’avesse scossa un po’. Con la sensazione di avere maggior controllo sulla situazione, prese il cellulare, compose il numero e sentì il suo respiro lievemente affrettato quando lei rispose. — Alec?
Oh, sì, la sua bella voce ansimante. — Dylan, come stai? — Sono le otto del mattino! — Sì. — Di solito chiami le persone a quest’ora? — Stavi dormendo? — No, ma... lascia perdere. — Voglio vederti, Dylan. — Non fece caso al suo tono infastidito. Prese una penna, iniziò a tamburellare sulla scrivania, ma smise subito quando si rese conto di quello che stava facendo. — Vuoi vedermi... adesso? “Sì.” — Questa sera. Nell’attesa della sua risposta, continuò a giocherellare con la penna. — Perché questa sera? La penna gli scivolò di mano, fece per recuperarla, ma questa cadde rumorosamente sul pavimento. “Cazzo!” — Hai bisogno di chiederlo, Dylan? E lui se l’era chiesto? Non voleva rimuginare troppo su quello che gli stava succedendo. Voleva solo vederla, dannazione! — No... suppongo di no. — Vediamoci alle sette al Wild Ginger, sulla Terza. Lo conosci? — Sì. — Sii puntuale. — Non arrivo mai in ritardo. Un accenno di ostinazione nella sua voce, ma non stava davvero cercando di opporsi. Alec si appoggiò allo schienale, rilassandosi. — Ah, Dylan, vestiti di nero. Hai un abito nero? — Quale donna non ne ha uno?
— Calze nere? Stivali? — Certo. Dal suo tono di voce, Alec non riusciva a capire come si sentisse Dylan nel ricevere ordini, ma ci avrebbe pensato in seguito, poiché in quel momento non gli interessava come forse avrebbe dovuto. — Ci vediamo questa sera, allora. Lei esalò un lungo respiro. — D’accordo. Bene. Sì, un tono lievemente spazientito, ma Alec se lo aspettava. E gli piaceva. — A stasera. Riagganciò senza darle il tempo di rispondere. Sapeva che questo l’avrebbe indispettita. L’avrebbe lasciata cuocere a fuoco lento. Forse si sarebbe calmata o forse sarebbe arrivata all’appuntamento ancora più combattiva. Sarebbe andata bene in qualsiasi caso. Parte del suo compito era quello di provocare le reazioni di Dylan. E se lei avesse cercato di opporsi, e con Dylan sarebbe sicuramente accaduto, sarebbe stato meglio che avvenisse il più presto possibile. Gli piaceva lo scontro. Vederla lottare. E ancora di più il momento in cui lei alla fine si sarebbe arresa. Persino troppo, forse. Ma anche di quello si sarebbe occupato al momento opportuno. Prima doveva liberarsi di quell’inspiegabile bisogno. Con Dylan. O con un’altra donna. Dopotutto, era uguale, no? Lo era? Non era mai successo prima di allora, e non avrebbe iniziato adesso a legarsi a una donna. Quello che provava per Dylan Ivory era solo un’insana attrazione, e nulla di più. “Devi vederla per liberartene.” Quella sera avrebbe cercato di conoscerla meglio, perché più fosse riuscito a entrare nella sua testa e più facile sarebbe stato sottometterla davvero. Dylan era una ragazza complicata. Il rapporto di dominazione/sottomissione sarebbe stato più efficace una volta che lui avesse capito meglio come funzionava la sua mente. Il motivo era solo questo, molto semplice. Alec scosse la testa, rivolgendo di nuovo l’attenzione al computer. Dentro di sé sapeva che stava mentendo a se stesso. Dylan scese dal taxi davanti al Wild Ginger, chiudendo la portiera con forza. Era stata furibonda per tutto il giorno. Fece scorrere le mani sui pantaloni marrone scuro e si sistemò la giacca di pelle color caramello. Per nulla al mondo avrebbe indossato quel dannato vestito nero! Aprì la porta del ristorante con più forza di quanta ne fosse necessaria. L’interno era molto elegante, arredato in stile asiatico minimalista, le pareti rosso cupo che facevano da fondale ai
tavoli di smalto nero, la fragile silhouette delle orchidee bianche dentro vasi alti e stretti. Dylan lo vide immediatamente. Era appoggiato al bancone del bar, con un drink in mano. Imponente e bello... no, l’aggettivo bello non era sufficiente per lui... con i pantaloni scuri e una camicia della stessa tonalità che gli aderiva al corpo muscoloso come fosse tagliata su misura. Probabilmente era così. In nessun altro modo una camicia sarebbe caduta a pennello su quelle spalle straordinariamente ampie scivolando poi con dolcezza a sottolineare la vita stretta. Ma per quanto lui potesse essere irresistibile, il suo aspetto non poteva temperare l’irritazione che le ribolliva dentro. Alec sorrise quando la vide. C’era qualcosa di sfrontato nel suo sguardo, che la fece infuriare ancora di più. E che fece avvampare il suo corpo di desiderio. Ricacciandolo indietro, Dylan gli fece un cenno e avanzò verso di lui. — Ciao, Alec. — Quindi sei venuta, ma hai voluto subito mettere in chiaro che non accetti ordini, è così? Lei sollevò il mento. — Sì, è esattamente così. Alec le sorrise. — Sei molto bella, Dylan. Quel complimento la colse di sorpresa, ma lei non era un’ingenua e voleva che lui lo avesse ben chiaro. — Forse questo fa parte del rituale con le ragazze con cui ti accompagni al club, ma io non sono una slave e questa mia incursione nella trasgressione non significa che qualcosa sia cambiato. Non è quello che mi interessa. Lui continuò a sorridere, e Dylan lo trovò vagamente fastidioso. — È proprio questa la ragione per cui siamo qui stasera. Per capire meglio che cosa ti interessa davvero. Possiamo sederci? — Io... sì. Non sapeva cos’altro dire e si sentiva stupida per ciò che aveva appena detto. Perché non riusciva a calmarsi? Alec fece un cenno altezzoso e una cameriera comparve dal nulla, una ragazza snella e attraente, con dei lucidi capelli neri. Sorrise ad Alec, sbattendo le lunghe ciglia. Dylan non ne fu sorpresa, non poteva certo biasimarla. Alec era probabilmente l’uomo più bello in tutto il ristorante, con quel suo sorriso così affascinante e dissoluto. Santo cielo, le era davvero venuto in mente il termine “dissoluto”? Dylan scosse la testa mentre seguiva la cameriera al tavolo con Alec a un o dietro di lei. Le pareva addirittura di sentire il calore del suo corpo.
Lui si chinò e le sussurrò all’orecchio. — Non mi aspettavo davvero che indossassi un abito nero, Dylan. Non tu. Lei si voltò a guardarlo sbattendo le palpebre, ma lui si limitò a sorriderle, ad aiutarla a sfilarsi il cappotto e a sistemarlo sullo schienale della sedia, prima di prendere posto di fronte a lei. — Una teiera di tè verde al gelsomino — disse alla cameriera, con lo sguardo fisso su Dylan. Alla luce soffusa, i suoi occhi erano di un profondo azzurro cupo. — Mi sorprendi — mormorò lei. — Davvero? Perché? — Questi modi gentili... ricordarti il tipo di tè che preferisco... — Essere un dominatore non significa essere maleducato, contrariamente a quel che pensa la gente. Del resto, non mi sono mai conformato ai luoghi comuni. — No, ne sono convinta. — E nemmeno tu. — Che cosa intendi dire? — Dylan sfiorò l’orlo del maglione d’angora color crema. Lui scrollò le spalle. — Sei una scrittrice di romanzi erotici. Qualcuno avrà sicuramente dei preconcetti su di te solo per questo motivo. — È probabile. E tu che ne pensi? — Io penso che il fatto di scrivere romanzi erotici ti renda mentalmente più aperta in fatto di sesso rispetto alla media delle donne. Forse mentalmente più aperta in generale. Ma non credo che tu la veda allo stesso modo. — Non capisco che cosa intendi dire. — Credo che tu sia più severa nel giudicare te stessa di quanto lo sia nei confronti degli altri. — È vero, non lo facciamo tutti? — Sì, hai ragione. — Lo fai anche tu? Lui le sorrise, i denti di un bianco abbagliante, il pizzetto che gli conferiva quell’aria demoniaca anche quando sorrideva. E lei, come sempre, rimase affascinata. “Maledizione!” — Anch’io — rispose Alec. — Ecco il tè. Con grande sorpresa di Dylan, di nuovo, lui sollevò la teiera e versò il tè, porgendole la piccola tazza bianca e rossa. Lei la prese, riscaldandosi le mani a contatto con la ceramica bollente.
— Grazie. — Di nulla. Non riusciva a comprendere appieno quell’uomo. Alec aveva ragione, lei aveva dei preconcetti nei confronti di una persona che dichiarava di essere un dominatore. Preconcetti che avrebbe dovuto cancellare per ripartire da zero. Se solo lui non avesse dato l’impressione di avere sempre tutto sotto controllo... O forse se lei non avesse... Rise. — Che c’è? — le chiese Alec. — Oh, stavo solo riflettendo su un paio di cose — ammise. — Stavo rivedendo il mio modo di pensare. Non che mi piaccia farlo. Alec si appoggiò allo schienale e sorseggiò il tè. — Ah, esattamente quello che speravo di ottenere. Lei sospirò. — Ecco, ci risiamo — mormorò. Alec rimase in silenzio a osservarla, facendola avvampare sotto il suo attento esame. Poi sollevò la tazza fumante, ci soffiò sopra, fece un sorso di tè e la ripose sul tavolo. Ogni suo gesto sembrava misurato. O forse Dylan aveva quell’impressione semplicemente perché stava aspettando che lui dicesse qualcosa. Il fatto che continuasse a fissarla la rendeva ansiosa. — Vuoi rappresentare una grande sfida per me, vero Dylan? — Non ho un obiettivo. — Davvero? — Sono solo me stessa. — Chi sei, Dylan? — Mi stai già trattando con superiorità? — Assolutamente no. Devo conoscerti, è vero, è nel mio ruolo. Ma in questo momento semplicemente desidero conoscerti. Va bene così? Si sporse verso di lei e le prese la mano. La sua era grande e le trasmetteva calore. Dylan si sentì illanguidire. — Sì, certo, non capisco perché sono così combattiva. O forse lo so. Sono stata sgarbata, scusami. — Non importa, ricominciamo da capo. Rilassati. Perché non mi racconti qualcosa di te?
— Che cosa vorresti sapere? — Parti dall’inizio. — Be’... Dylan si rese conto che Alec le teneva ancora la mano, impedendole di pensare con lucidità. Spostò gli occhi sulla loro stretta, poi sul suo viso. Lui le sorrise e ritrasse la mano come se avesse capito. — Parti dai tuoi libri, Dylan. Mi piacerebbe saperne di più sul tuo lavoro. Lei intrecciò le mani in grembo, sentendo ancora il calore trasmessole da Alec. — Sono una scrittrice a tempo pieno da quattro anni. — Hai sempre scritto romanzi erotici? — Sì, sempre. Ho iniziato a vent’anni, ma non ho mai pensato che i miei libri potessero essere pubblicati fino a quattro anni fa. Da allora le cose sono cambiate piuttosto in fretta. Ho trovato un agente, ho venduto il mio primo romanzo, poi altri tre, e parecchi racconti. Sono stata molto fortunata. Prima lavoravo nel settore bancario. — In banca? Non riesco a immaginarlo. Credo che il tuo vero talento fosse sprecato lì, in un anonimo ufficio. Sei una persona troppo... particolare. Dylan si mosse sulla sedia, torcendosi le dita. Non si era mai considerata una persona particolare. Quell’uomo la destabilizzava come nessun altro. Sospirò e proseguì. — Non mi piaceva. Ma il denaro che sono riuscita a risparmiare mi ha dato l’opportunità di smettere di lavorare e dedicarmi esclusivamente alla scrittura, quindi devo essere grata al mio vecchio lavoro. Per fortuna, sono riuscita a firmare il mio primo contratto prima che finissero i risparmi. E tu? Che cosa facevi prima di diventare uno scrittore? — Insegnavo inglese all’università. — E hai dato le dimissioni per scrivere? — Non subito. Ho smesso di lavorare tre anni fa. Le scadenze editoriali erano troppo impegnative. Non riuscivo a riservare la stessa energia a entrambe le cose e non volevo mancare di onestà nei confronti dei miei studenti. Mi piaceva insegnare. Alcune persone la considerano una professione banale, ma io no. — Ne sono convinta. Così come sono certa che cercassi emozioni altrove. Lui sorrise malizioso. — Certo, non intendo affatto negare ciò che sono. — Fece un altro sorso di tè. — A differenza di altre persone. — Che frecciatina... Dovrei sentirmi ferita? Negli occhi di Alec ò un lampo di malizia. — Non ancora. A questo penseremo più
tardi. Dylan arrossì di nuovo e il suo sesso si fece bollente. D’un tratto realizzò che quell’uomo presto l’avrebbe toccata. Sculacciata. E cos’altro? Accavallò le gambe sotto il tavolo per contrastare la dolorosa contrazione. “Concentrati, continua a parlare.” La conversazione faceva sembrare quell’incontro quasi un normale appuntamento... su cui lei poteva esercitare il suo controllo. — Alec, parlami delle attività estreme che hai menzionato l’altro giorno. Lui sorrise. — Mi piace tutto ciò che mi provoca una scarica di adrenalina. Faccio snowboard, paracadutismo, mi immergo all’interno di una gabbia nelle zone infestate dagli squali, come credo di averti già detto. E poi le moto. Ho fatto gare, ma non a livello agonistico. Dylan rabbrividì. Non voleva nemmeno pensarci. Aveva sempre detestato le moto. — Che c’è, Dylan? Lei fece un gesto noncurante con la mano, ma si accorse di essere impallidita. In buona parte era stato Quinn a fare di lei la persona che era adesso. “Diglielo, togliti il peso.” — Io... ho perso mio fratello minore Quinn in un incidente motociclistico. La sola idea che una persona guidi una moto... mi fa stare male. — Mi dispiace. È successo recentemente? — No, no. Possiamo cambiare discorso? Mi pare che tu abbia viaggiato molto. — Sì, infatti. In particolare amo il sudest asiatico, l’intero emisfero orientale. La Thailandia è bellissima. Bali. E il Tibet è stata una vera avventura, anche se in condizioni disagevoli. Lì mi sono fatto tatuare da un vecchio, con il metodo antico. Prendono una lunga canna di bambù affilata e picchiettano ripetutamente per far penetrare l’inchiostro sotto la pelle. Ci vogliono due persone per tenerti fermo, per tendere la pelle. Richiede ore. Ma dopo un po’ cadi in una specie di trance. Ce l’ho sulla spalla, proprio in corrispondenza dell’osso, una sofferenza inaudita, ma è il mio tatuaggio preferito. Sono tatuaggi personalizzati e hanno un significato spirituale che il tatuatore crea per ogni individuo. Un messaggio unico. È stata un’esperienza sorprendente. — Ho visto un documentario al riguardo. Dev’essere molto doloroso, ma i disegni erano bellissimi. — Magari ti mostrerò il mio. Ti piacciono i tatuaggi? — Sì, è una cosa così intima e interessante, parla della persona. Anch’io ne ho uno. — Ah sì?
— Sembri sorpreso. — Non particolarmente. Di che si tratta? — Un ramo con dei boccioli di pruno ad arco sul fianco destro. — I boccioli di pruno sono simbolo di perseveranza. — Sì, riescono a sopravvivere al gelo dell’inverno. — Forse un giorno mi dirai che significato ha per te. Dylan sorrise. — Forse. Hai altri tatuaggi oltre a quello fatto in Tibet? Lui annuì. — Una coppia di draghi sull’avambraccio. Li ho fatti a Hong Kong. Mi rimboccherei la manica per farteli vedere, ma una visione parziale non renderebbe giustizia all’artista. Dovrei togliermi la camicia. Santo cielo, come sarebbe stato Alec senza camicia? Dylan rabbrividì. — Che significato hanno per te? — I draghi simbolizzano potere, forza, protezione. — Da che cosa hai bisogno di essere protetto, Alec? Un’ombra attraversò il suo viso, ma scomparve tanto rapidamente da farle dubitare di averla vista. — Tutti noi siamo vulnerabili, altrimenti non saremmo umani, no? — Però non credo che tu mi dirai quali sono le tue debolezze. — Per il momento no. Ma sono qui per sapere qualcosa di te. — È proprio necessario? — Sì — rispose lui con semplicità. — Perché? — Il potere comporta delle responsabilità. Ho bisogno di capire come reagirai durante una seduta, e perché. Affinché io possa prendermi cura di te nel modo migliore. — Oh! Quel riferimento a ciò che avevano deciso di fare insieme risvegliò il desiderio e le annebbiò la mente. Stavano davvero avendo quella conversazione punteggiata da piccoli riferimenti erotici in un ristorante affollato? — Perché non mi parli della tua famiglia, Dylan? — La mia famiglia?
— Spesso è un buon argomento da cui partire. — Okay, okay. — Lei s’interruppe e rifletté per qualche istante. Che cosa poteva dirgli? — Sono originaria di Portland. — Un’altra pausa. Non voleva scendere nei dettagli. Era troppo complicato. Era più padrona di se stessa quando non pensava al suo ato. Soprattutto a sua madre. Come si faceva a spiegare certe cose? Sollevò la tazza di tè e scoprì che era vuota. Alec la prese, la riempì di nuovo e gliela porse. — Prosegui — la incitò. — La tua famiglia è ancora là? — No, ora sono quasi tutti ad Ashland, in Oregon. Mia zia Deirdre e mia madre. E anche mia nonna Delilah, a cui sono molto legata. — Mentre non sei altrettanto legata a tua zia e a tua madre? — I rapporti con mia madre sono... complicati. — Parlami di lei. — No. Dylan lo fissò negli occhi; lui sostenne il suo sguardo. — Un’altra volta, allora. Lei annuì e guardò altrove. — Vuoi parlarmi di tuo fratello? — le chiese Alec con voce pacata. — Non ci tengo particolarmente. — Lo farai lo stesso? Alec era così gentile con lei, le faceva venire voglia di parlargliene. Di farsi conoscere. Almeno un po’. — Quinn era... aveva tre anni in meno di me. Era un bravo ragazzo. E un bravo studente. Aveva il senso dell’umorismo, che a me manca. Mi faceva sempre ridere. Eravamo molto legati. Non litigavamo come la maggior parte dei fratelli. Forse perché avevamo bisogno l’uno dell’altra... S’interruppe. “Non vorrai dirglielo davvero...” — Perderlo dev’essere stato terribile. — Sì. L’arrivo della cameriera li interruppe e lei gliene fu grata. Alec ordinò per entrambi senza consultare Dylan o il menù. — Fai sempre così? — gli
chiese lei, quando la cameriera si fu allontanata. — Ordinare per due? Sì. Ti aspettavi qualcosa di diverso da me? — replicò Alec in tono ironico. Lei sorrise. — No. — Riprese la tazza di tè. — Adesso tocca a te, parlami della tua famiglia. — Non siamo molto legati. Mia madre e suo marito vivono a Scottsdale, insieme ai miei fratellastri, Gavin e Marianne. Eravamo già tutti adulti quando i nostri genitori si sono sposati e non ci conosciamo troppo bene. — Non hai altri fratelli? — No. — E tuo padre? — Mio padre... Alec s’interruppe, sorseggiò il tè che ormai si stava raffreddando e si mosse sulla sedia di legno. Gli riusciva difficile parlare di suo padre e di solito evitava l’argomento. Ma con Dylan si sentiva a proprio agio, malgrado la tensione sessuale, il desiderio che provava per lei che non riusciva ad accantonare nemmeno per un momento. Si costrinse a concentrarsi. — Mio padre era un fisico. Un professore. Un uomo brillante. Lo era davvero, non ero solo io a vederlo così. Mi ha insegnato molto, devo soprattutto a lui ciò che sono. — Hai detto “era”. Che cosa è successo? — È morto quando avevo ventidue anni. — Oh, mi dispiace... — C’era un reale rammarico nel suo tono di voce, sul suo viso. Nei suoi limpidi occhi grigi. Non pietà, solo rammarico. — Camminava lungo il bordo della strada ed è stato investito da un’auto. Un evento imprevedibile, ma essendo un fisico aveva sempre creduto nella casualità dell’universo. L’ho fatto anch’io per molto tempo. E ci credo ancora, in un certo senso, anche se ho a lungo cercato una risposta migliore. Forse è questa una delle ragioni dei miei numerosi viaggi. Alec s’interruppe, andosi una mano tra i capelli. Cazzo, aveva detto troppo! — Dev’essere stato terribile per te. Ho la sensazione che lui fosse l’unico membro della famiglia a cui eri legato. — Sì. Alec sentiva che si stava chiudendo, che la stava tagliando fuori. Non avrebbe voluto, ma non poteva continuare a parlare di quell’argomento. Arrivò la loro ordinazione. Tempismo perfetto.
Lui cambiò discorso e per tutta la durata della cena parlarono di argomenti meno personali: cinema, politica locale, arte, musica. Alec rimase sorpreso nel constatare quanto avessero in comune, e forse non avrebbe dovuto. Un’attrazione così potente doveva per forza di cose spiegarsi con qualcosa di diverso dal fatto che il profumo di Dylan fosse più buono di quello di qualsiasi altra donna lui avesse mai conosciuto. Quando ebbero terminato, la cameriera ritirò i piatti e Alec ordinò dell’altro tè. L’aveva osservata per tutto il tempo. Era affascinato dal modo in cui muoveva la sua splendida bocca mentre parlava e quando si portava il cibo alle labbra. La sua pelle d’alabastro era assolutamente perfetta, con solo un’ombra rosata sulle guance e quella spolverata di efelidi. Sì, era bella. Alec era ansioso di vedere quel lieve colorito diffondersi su tutto il suo corpo slanciato. Il divampare del desiderio. Il rossore causato da una bella sculacciata sulle natiche. A quel pensiero ebbe un’erezione. “Controllati.” — Ti è piaciuta la cena, Dylan? — Sì, molto. Grazie. — Non faremo tardi. Voglio che tu sia riposata questa settimana. Parliamo un po’ di ciò che accadrà al Regno del Piacere sabato sera. — Oh! Le sue guance rosa pallido si accesero, le pupille si dilatarono. Dylan si guardò intorno, probabilmente chiedendosi se qualcuno potesse udire quel che lui stava dicendo. Ad Alec non interessava che gli altri sentissero, ma tenne ugualmente la voce bassa. — Sai cos’è una safe word, Dylan? — Sì, una parola di sicurezza... — Esatto. “Giallo” significa che vuoi che io rallenti, che qualcosa sta diventando davvero troppo per te, che hai bisogno di una pausa, di bere un sorso d’acqua, che ti senti assalire dal panico, che nel tuo corpo succede qualsiasi cosa di veramente sgradevole. Se ti legherò, e probabilmente lo farò, controllerò che non ti si blocchi la circolazione. Ora Dylan era lievemente impallidita. Andava bene così. A lui non dispiaceva che lei fosse turbata nel sapere ciò che avrebbero fatto. Al contrario, gli faceva piacere. Il suo pene ebbe uno spasmo. Alec proseguì. — “Rosso” significa che vuoi che io mi fermi. In quel caso finirà tutto. Se sarai legata, ti libererò immediatamente. Non metterò in alcun modo in discussione la tua decisione. In questo senso, avrai tu l’ultima parola e voglio che tu sappia che con me sarai assolutamente al sicuro. Sono stato chiaro? Dylan deglutì.
— Sì. — Voglio anche che tu sappia che io non pratico il BDSM senza contatto sessuale. Naturalmente, non sarai costretta a venire a letto con me, ma se non sei disposta a spogliarti, se non vuoi che io ti tocchi, dimmelo subito e la chiudiamo qui. La stimolazione sessuale ti aiuterà ad accettare il resto, a lasciarti andare. Alcune persone praticano senza alcun contatto, io no. Alec la osservò con attenzione. Vide i suoi occhi spalancarsi, il respiro accelerare. Ora anche le sue labbra erano più scure, come se qualcuno le avesse morse. La riprova del suo desiderio. Ma si sarebbe tirata indietro dopo ciò che lui le aveva appena detto? Alec non sapeva cosa avrebbe fatto se lei avesse avuto un ripensamento. La desiderava troppo. Ma Dylan si limitò ad annuire e mormorò: — Va bene. Due semplici parole e lui si ritrovò duro come non mai. “Controllati.” — Hai delle domande? — Non... non lo so. — Se hai dubbi, puoi mandarmi un’e-mail prima di sabato. Dylan annuì ancora una volta, cercando di apparire coraggiosa, ma continuava a impallidire e ad arrossire alternativamente. Alec si sporse verso di lei e le strinse il polso, infilando le dita sotto la sua manica. Aveva il battito accelerato. La sua pelle era bollente e vellutata. — Dylan, ascoltami adesso. Se in un qualsiasi momento dovessi cambiare idea, ricordati che sta solo a te decidere. È così che funziona. Io non mi arrabbierò. Non ci sarà alcun risentimento da parte mia, né alcun giudizio. Alec detestava l’intensità con cui la desiderava. — Okay, sì, ho capito. — Vuoi ancora farlo? Lei fece una pausa, e Alec ebbe l’impressione che il proprio cuore mancasse qualche battito. — Sì, lo voglio fare. Hai ragione, questo è l’unico modo per capire davvero. E io... devo capire. Non solo per il libro. Devo capire anche una parte di me stessa. Lui annuì, sforzandosi di apparire calmo. Ma dentro aveva il caos completo, il cuore gli martellava nel petto, il suo cazzo pulsava di desiderio. Dylan Ivory non sarebbe stata una donna come tante altre. Alec non sapeva che cosa avrebbe rappresentato per lui. E per la prima volta in vita sua, da quando era morto suo padre, ebbe
paura.
5 Dylan aveva seguito esattamente le istruzioni che Alec le aveva dato nella sua e-mail e ora si trovava in un taxi, diretta al Regno del Piacere, vestita come lui le aveva chiesto: gonna corta, scarpe di vernice con il tacco alto e top senza maniche, con una profonda scollatura sulla schiena. Tutto assolutamente di nero. Sotto indossava reggiseno e slip dello stesso colore, ma trasparenti. Lui non le aveva chiesto questo, era stata una sua scelta. Dylan voleva che lui la desiderasse. Voleva che fosse eccitato e ansioso quanto lei. Non intendeva negarlo. A che pro? Non era contro il desiderio che lei lottava. Questo per lei non era mai stato un problema. Il sesso le piaceva ed era sempre stata pronta ad assecondare i propri desideri. Era l’idea di cedere tutto il controllo a un’altra persona. Semplicemente, non era certa di esserne capace. Poteva avvertire un principio di panico anche in quel momento, solo immaginandolo. Pioveva, come spesso avveniva in quella città. Le ruote delle auto affondavano nelle pozzanghere mentre percorrevano le strade nella notte. Le luci dei lampioni si riflettevano sull’acqua in un luccicante bagliore argentato. Le vetrine dei negozi erano illuminate e squarciavano il buio con le loro insegne colorate. Il suo cuore era un piccolo martello pneumatico. Non poteva credere che stava davvero per farlo. Presto arrivò a destinazione. Sfilò alcune banconote dalla pochette nera e le porse al conducente. Il Regno del Piacere si trovava in un vecchio capannone, molto simile al condominio in cui lei viveva: un edificio di mattoni a quattro piani, intonacato di grigio, con alte finestre oscurate. “Imponente” pensò, guardando fuori dal finestrino e sollevando gli occhi verso l’alto, dove la luna stava cercando di fare capolino tra le nuvole. Quando scese dal taxi, Alec la stava aspettando sotto l’ombrello, vestito completamente di nero. Subito le porse la mano per aiutarla. — Sei bellissima... come sempre — le disse sorridendo. Lei tentò di ricambiare il sorriso senza riuscirci. Alec la strinse a sé mentre si avvicinavano alla grande porta del club, dipinta di rosso. Come se volesse marcare il territorio... proteggerla... e a lei piaceva. — Va tutto bene. Non essere nervosa, Dylan. Penserò io a tutto. — È questo a rendermi nervosa. La risatina maliziosa di Alec non la rassicurò affatto.
Il portiere aprì la porta ed entrarono in un vestibolo buio. Alec si fermò per liberarsi del soprabito e dell’ombrello, consegnandoli alla ragazza del guardaroba che si trovava dietro al bancone. Nonostante il tempo pessimo, Dylan non aveva pensato di mettere il cappotto. Aveva indossato solo ciò che lui le aveva detto. Strano, a pensarci adesso, ma ricacciò quel pensiero e ciò che poteva significare in un angolo della sua mente. Quando i suoi occhi si abituarono alla penombra, notò che le maniche rimboccate della camicia di Alec mostravano i draghi cinesi tatuati all’interno dei suoi avambracci: un drago rosso e nero sul destro, oro e nero sul sinistro. Un lavoro perfetto, dettagliato, le lunghe code che si attorcigliavano intorno alle braccia, le teste con le saettanti lingue rosse all’interno dei polsi. Dylan avrebbe voluto osservarli più da vicino, poterli toccare, ma era distratta da quel luogo tutto nuovo per lei. Da qualche parte proveniva una musica ritmata. Dylan se la sentiva rimbombare nel ventre. — Sei pronta? — le chiese Alec. Lei annuì. — Sono pronta. Non era del tutto sicura che fosse vero. Ma Alec le aveva posato una mano sulla schiena e la stava guidando attraverso un’altra porta. La sala era grande. Le pareti erano dipinte con tinte scure, e sparse qua e là c’erano luci color ambra, porpora e rosso. Negli angoli in ombra c’erano delle persone, ma lei non riusciva a vedere che cosa stessero facendo, intuendo solo che si trattasse di coppie o piccoli gruppi. Osservando più attentamente, distinse pantaloni e abiti di pelle nera, imbracature, corsetti neri, rossi e bianchi. Alcune donne e alcuni uomini avevano dei collari, in cuoio o in metallo. Alcuni erano nudi, o quasi. Qua e là, contro le pareti, c’erano attrezzature varie. Dylan riconobbe le panche per lo spanking rivestite di pelle, affinché la persona sculacciata potesse appoggiarsi e posare le ginocchia sul gradino imbottito più in basso. C’erano grandi griglie in legno usate per il bondage e un’enorme X, sempre di legno, che veniva chiamata Croce di Sant’Andrea. Mentre osservava ogni cosa, era profondamente consapevole della presenza di Alec accanto a lei, del calore del suo corpo che la sovrastava nonostante portasse tacchi altissimi. Il suo profumo, quella divina miscela di bosco e mare. Alec e l’odore del cuoio, una lieve traccia di profumo e di sensualità che pervadeva tutta la sala. Dylan stava tremando... per l’attesa, il desiderio e qualcos’altro... — Tutto bene? — le chiese Alec. — Sì. Lui si fermò, le mise una mano sotto il mento e la costrinse a guardarlo negli occhi. — Davvero? Dylan deglutì. — Sì, davvero, te lo giuro. È solo che è tutto... nuovo per me. Sto cercando di orientarmi. È diverso da qualsiasi altro posto io abbia mai visto.
— Certo. — Alec le sorrise, lasciando ricadere la mano. — Dove stiamo andando? — Sssh... vieni con me. Lei zittì subito tutte le domande che le vorticavano nella mente e lo seguì. Non riusciva a capacitarsi del fatto che lo stesse facendo, che stesse permettendo a qualcun altro di gestire la situazione, di prendere le decisioni. A eccezione di quella di essere lì, rammentò a se stessa. Quello dipendeva solo da lei. Raggiunsero la parte opposta della sala e si fermarono di fronte a un divanetto imbottito di pelle rossa. — Siediti, Dylan — le disse Alec a voce bassa, ma in tono autoritario Lei obbedì, cercando di non porsi troppe domande. Era quello il motivo per cui si trovava lì. Per lasciarsi andare, per la prima volta. Per fare una nuova esperienza. Alec si sedette accanto a lei, facendo scivolare un braccio sullo schienale del divano. Dylan sentì che le sfiorava i capelli. Lui aveva un profumo particolarmente buono quella sera; solo quello era sufficiente a stordirla ed eccitarla. — Per un po’ staremo a guardare — le disse lui. — Voglio che ti rilassi, che ti orienti, come hai detto tu. Mentre osservi, cerca di respirare lentamente. Hai capito, Dylan? Lei annuì, guardandosi intorno. Riusciva a vedere meglio, ora che i suoi occhi si erano abituati alla penombra. — Dylan? — Cosa? — Guardami. Il tono autoritario la fece trasalire e lei si voltò. Il cuore pulsava all’impazzata, un sordo battito di tamburo nelle vene. Avrebbe voluto protestare, ma l’espressione di Alec le intimò di non farlo. Non si era mai lasciata intimidire da niente e da nessuno in vita sua, ma non si trattava di questo. Le stava succedendo qualcosa, nella sua testa gli ingranaggi stavano iniziando a mettersi in moto. Non riusciva a capire, era disorientata. — So che è difficile per te — le disse lui — ma devi fare lo sforzo di affidarti a me. — Sì — bisbigliò lei con la gola stretta. Le sembrava di non avere fiato a sufficienza per parlare normalmente. — Ci sono delle regole qui. Dopo che avremo iniziato, non potrai più parlare, a meno che io non ti faccia una domanda o a meno che tu non debba dirmi assolutamente qualcosa. E per assolutamente intendo solo se il tuo benessere fisico o psicologico è compromesso. Avere un po’ di paura non è un motivo sufficiente. Mi aspetto che tu ne abbia. Sinceramente, non farei bene la mia
parte se tu non ne provassi, a un certo punto. Dylan lo guardò, la sua mente si stava svuotando a velocità allarmante. Non le piaceva quella sensazione di abbandono alle braccia e alle gambe, quell’impressione di debolezza. — Mi hai sentito, Dylan? — Sì, ho sentito. — Ma...? — Ma non credo di poterlo fare. — Puoi farlo, lo sento. L’ho sentito dal primo momento in cui ti ho vista. Non sono arrogante. Mi ci sono voluti molti anni per capire queste cose. — Lo so, non sto dubitando delle tue abilità. Lo sguardo di Alec era fisso su di lei. Sicuro. L’azzurro dei suoi occhi era scuro, profondo, le sue pupille dilatate nella penombra. — Mi sono sempre considerata sofisticata dal punto di vista sessuale. Ho avuto molte esperienze. Non mi sto vantando. Pensavo che avrei potuto affrontare tutto questo, che sarebbe stato facile, ma ora che sono qui... Gesù, non riesco quasi ad ammetterlo né a te né a me stessa. Mi sento un’idiota e la cosa non mi piace. Adesso stava davvero tremando. — Non c’è motivo perché tu non possa ammettere di essere spaventata o insicura. — Per me è difficile, anche se questa è una reazione normale per altre persone che vengono qui per la prima volta. Io sono... io, e non so se... non credo di poter restare. — Dopo aver pronunciato quelle parole, il suo cuore riprese a battere all’impazzata e lei desiderò fuggire via. — Devo andarmene, Alec, davvero, non posso farlo. Si alzò, con le gambe così deboli da faticare a stare in piedi. Anche Alec scattò in piedi. Le ò un braccio intorno alle spalle e avvicinò il viso al suo. Dylan cercò di divincolarsi, ma lui la tenne stretta. — Dylan, calmati. Puoi farlo... va tutto bene. — No. Aveva voglia di piangere, ma non lo avrebbe fatto. Non avrebbe pianto. — Va tutto bene. Sei qui con me, penserò io a tutto. Quand’era stata l’ultima volta che un uomo le aveva detto quelle parole? Quand’era stata l’ultima volta che si era fidata di qualcuno dopo averle udite? Eppure si fidava di Alec, nonostante lo conoscesse appena. Suo malgrado. Malgrado il suo bisogno di mantenere il controllo. Non riusciva a capire perché.
Ma forse saperlo non era necessario. — Vieni, Dylan, va tutto bene — disse lui, la voce ridotta a un basso mormorio. Dylan si lasciò riportare sul divano. Questa volta lui le mise il braccio intorno alla vita, tenendola stretta a sé. E dopo pochi momenti, il suo profumo, il sentirlo al suo fianco, iniziarono a fare effetto. Dylan si abbandonò contro di lui e tutte le sue paure iniziarono a scomparire, lasciando che il desiderio prendesse il sopravvento. — Guarda che cosa fanno gli altri — le sussurrò lui all’orecchio, il suo alito caldo contro la pelle. — Guarda come sono belli, tutti. Qui non ha importanza l’aspetto fisico, ciò che importa è il dono della fiducia e l’energia che tutti si scambiano. È questa la parte più bella. È di questo che si tratta, Dylan. Lei guardò dall’altra parte della sala, dove una donna nuda era china su una delle panche, i capelli biondi che le ricadevano sul viso. L’uomo in piedi vicino a lei le scostò una ciocca e si chinò a baciarla, prima di spostarsi alle sue spalle e far scorrere la mano sulla curva dei suoi glutei. C’era tenerezza nel modo in cui la toccava, persino quando iniziò a sculacciarla. Dylan sentì il desiderio fremere tra le sue gambe. Era questo ciò che voleva? Si voltò a guardare Alec. I suoi occhi brillavano. Vi lesse il desiderio, ma anche controllo assoluto. Sì, poteva fidarsi di lui. Ancora non sapeva se avrebbe potuto fidarsi di se stessa, ma ci avrebbe provato. — Okay, okay... possiamo iniziare? L’espressione di Alec era perfettamente seria. — Puoi decidere di fermarti in qualsiasi momento, Dylan. L’ultima parola spetta a te. Lei annuì. Lui sorrise. — Allora, iniziamo. Alec le prese la mano e la sentì tremare. Non voleva che avesse paura, non troppa almeno, ma apprezzava sempre un pizzico di timore nelle sue donne, una trepidante anticipazione. E Dylan era così meravigliosa con la massa disordinata di riccioli intorno al viso pallido e gli occhi enormi e lucidi. Alec la condusse verso un angolo in penombra della sala. Raggiunse un grande divano di pelle rossa senza braccioli, e posò ai suoi piedi la borsa nera che conteneva l’attrezzatura BDSM: paddle, la bacchetta di bambù, fruste e manette.
— Cos’è? — chiese Dylan. — Vorresti qualcosa di estremo per la tua prima esperienza? — le chiese lui, punzecchiandola un po’. Conosceva già la risposta. — Non lo so. L’espressione di Dylan era assolutamente seria. Alec poteva vedere i suoi muscoli della mascella contrarsi. Stava facendo il possibile per razionalizzare la situazione. Avrebbe dovuto imparare che la razionalità non serviva in quelle circostanze. Alec avrebbe dovuto condurla oltre gli ingranaggi mentali. Doveva disarmarla. — Non preoccuparti, lo so io. Adesso spogliati. — Che cosa? Dylan indietreggiò di un o e Alec non poté fare a meno di sorridere. — Andiamo, Dylan, non penserai davvero di poter restare completamente vestita? Non c’era una reale sorpresa sul suo volto, solo un piccolo shock nel rendersi conto che stava per succedere proprio a lei. Rimase in silenzio per un attimo, poi, senza dire una parola, iniziò a sfilarsi il top dalla testa. Sosteneva lo sguardo di Alec, ma i suoi occhi non erano più della stessa tonalità di grigio. Una tempesta vi si stava scatenando, malgrado la linea decisa delle labbra, la postura ostinata delle spalle, e il silenzio di Dylan. Alec se lo aspettava da parte di una donna che teneva sempre tutto sotto controllo. E questo la rendeva ancora più attraente ai suoi occhi: la battaglia che, ne era certo, si stava dibattendo dentro di lei. La sua volontà di farlo comunque. Alec incrociò le braccia e attese, mentre lei abbassava la cerniera della gonna e se la sfilava, e non disse una parola quando Dylan gliela porse. Era troppo impegnato a guardarla con indosso il reggiseno nero trasparente e gli slip, le lunghe gambe valorizzate dalle scarpe nere col tacco alto. Il ramo con i boccioli tatuato sul suo fianco destro. Il disegno era delicato, sinuoso, come lei. I boccioli erano bianchi, orlati di rosa scuro. Un disegno innocente su un corpo a cui lui desiderava fare cose molto sconce. “Fottutamente meravigliosa.” Lei sollevò il mento, un debole segno di sfida, e le dita di Alec si strinsero sui suoi indumenti. Avevano il profumo di Dylan, molto femminile. Continuando a osservarla, si portò il top al viso e inalò profondamente. Sorrise quando lei arrossì. Quella donna non aveva la minima idea di quanto fosse sensibilmente reattiva. Ma lui lo sentiva e sapeva che sarebbe andato tutto bene. — Dylan — le disse dolcemente — resta lì... ferma. Alec sistemò i suoi abiti sugli appendini affissi alla parete e si chinò ad aprire la borsa in cui custodiva i giochi erotici. Non che avesse intenzione di farne uso, per il momento. Era la prima volta che Dylan andava al club, e chiunque non conoscesse il BDSM doveva esservi introdotto per
gradi. Ma gli piaceva vederla rabbrividire mentre lui estraeva ogni oggetto, posandolo sul basso tavolino di legno accanto al divano: uno slapper in pelle con due fettucce sovrapposte all’estremità, un paddle in legno, un frustino corto da equitazione, una lunga frusta intrecciata in pelle bianca e nera, un guanto borchiato, una bacchetta in rattan. Alcuni dei suoi oggetti più inquietanti. Gli occhi di Dylan erano spalancati, le pupille enormi, ma lei rimase in silenzio. Alec posò lo sguardo sui suoi seni. Erano piccoli e sodi e spuntavano appena oltre il bordo del reggiseno. Attraverso il tessuto trasparente, poteva intravedere i capezzoli, che si indurirono mentre lui la guardava. “Seni perfetti.” Doveva ignorare l’erezione che gli cresceva tra le gambe. “Concentrati.” La guardò di nuovo negli occhi. — Vieni qui, Dylan. Lei fece un o incerto verso di lui e si fermò. Alec le cinse la vita stretta e le diede uno strattone. Dylan trasalì. — Dylan, se dobbiamo fare questa cosa insieme, devi imparare a seguire le mie istruzioni. È inutile che tenti di opporti. Il respiro di Dylan era ansimante e affrettato. — Lo so, ma non posso farci nulla. — Supererai il panico iniziale. Fai semplicemente quello che ti dico. Fidati di me. Lei annuì. — Dillo. — Io... farò quello che mi dirai. Mi fido di te, Alec. Nella sua voce c’era ancora una punta di resistenza. Ma andava bene così. Presto l’avrebbe superata. Nel frattempo, il calore del suo corpo lo faceva impazzire, lo distraeva. “Concentrati!” Alec si sedette e l’attirò sulle sue ginocchia, cingendole la vita. Pelle come seta, pallida e liscia. Attraverso i pantaloni poteva sentire il calore del suo sesso. Le sfiorò il viso con la punta delle dita, poi i capelli, andole la mano tra i riccioli. Così morbidi... — Respira Dylan, cerca di rilassarti. Ascolta la mia voce. Lei annuì. — Chiudi gli occhi.
Lo fece senza protestare. — Voglio che ti concentri su te stessa, su ogni singolo respiro. Solo sul respiro, sulla mia voce e sulla mia mano tra i tuoi capelli. Nient’altro. Il sesso di Dylan si stava facendo sempre più bollente e Alec capì che ormai gli apparteneva, anche se lei non se n’era ancora resa conto. Il suo cazzo diventava sempre più duro e pulsava di desiderio. — Inspira ed espira — le disse. — Bene. Butta fuori l’aria lentamente. Ancora. Mentre inspiri, senti l’aria che pervade tutto il tuo corpo. I polmoni, lo stomaco, le braccia, le gambe. Senti le mie mani su di te. Alec le accarezzò la schiena nuda, la sottile colonna vertebrale, le scapole, la nuca, il collo lungo ed esile. Aveva la struttura fisica di una ballerina, il corpo snello, slanciato e tonico. “Perfetto.” — Molto bene, Dylan. Respira e concentrati. Scese con la mano fino a sfiorare il bordo degli slip. Lei rimase perfettamente ferma, mentre lui infilava le dita per accarezzarle la parte alta delle natiche. La tenne lì per un po’, semplicemente accarezzandola, mentre la pelle di Dylan si faceva sempre più bollente. Ma lei si stava a poco a poco rilassando. Alec poteva sentire i muscoli ammorbidirsi, il respiro farsi più lento. Il viso era ancora pallido, ma i suoi capezzoli erano duri e gonfi e diventavano sempre più scuri sotto il reggiseno trasparente. “Ho bisogno di toccarli, di leccarli, di leccarla ovunque.” Alec l’attirò a sé e avvicinò la bocca alla sua. Le labbra di Dylan erano morbide e arrendevoli. Mentre lui le ava la lingua sul labbro inferiore, lei socchiuse la bocca e lui scivolò all’interno. La lingua di Dylan fu una vera sorpresa: dolce e bollente. Alec non si aspettava quella vampata di intenso desiderio che lo trafisse come una lama. Avrebbe voluto darle un bacio leggero, sfiorarle appena le labbra. Ma il piacere ebbe il sopravvento e la baciò con ione. Dylan gemette, il suo alito caldo si fuse con quello di Alec, e le sue braccia gli cinsero la nuca. Così maledettamente dolce... Lui continuò a baciarla con avidità e lei ricambiò, fino a quando furono entrambi senza fiato. Il suo cazzo era duro come il marmo. Una tortura. Alec immerse le mani tra i suoi capelli e la tenne ferma. Non poteva fare altrimenti con lei.
Dylan infilò la lingua nella sua bocca. Si strinse a lui, premendo i seni contro il suo torace. Alec bruciava di desiderio, non riusciva a pensare ad altro che al suo nome. “Dylan...” Lei si mosse su di lui, premendo il fianco contro il suo sesso. Alec pensò che sarebbe esploso, che sarebbe venuto come un adolescente. “Merda!” Si ritrasse. — Alec? Ora Dylan aveva il viso arrossato, gli occhi lucidi. Doveva fermarsi per un attimo a respirare, a pensare, si disse lui. Era prepotentemente eccitato, con Dylan sulle sue ginocchia e quel desiderio sconfinato che le si leggeva in volto. Lui stesso stentava a controllare quel pulsare continuo al basso ventre. Non era abituato a quelle sensazioni estreme: calore, desiderio, pura bramosia animalesca. Ma era in grado di dominarsi, rammentò a se stesso. Lo aveva sempre fatto. Doveva semplicemente riprendere in pugno la situazione, arginare gli impulsi. E dare a Dylan ciò che desiderava. Era quello il suo compito e lo aveva sempre assolto al meglio. Mettendole una mano dietro la nuca, esercitò una lieve pressione. Lei aggrottò la fronte confusa. — Calmati, Dylan. Lei fece per parlare, ma poi richiuse la bocca. — Brava bambina. A quelle parole fu percorsa da un brivido. Ah, sarebbe stata una sottomessa perfetta! Quella irresistibile combinazione di forza e fuoco, e una naturale tendenza alla sottomissione. Strinse più forte, semplicemente trattenendola. Era un sistema per controllare l’altro fisicamente, ma che sembrava avere anche un effetto psicologico sulle persone con quella inclinazione. E su Dylan stava funzionando a meraviglia. Alec mantenne gli occhi puntati su di lei, mentre faceva scivolare l’altra mano tra le sue gambe, usandola per divaricarle. La bocca di Dylan formò una piccola O, ma lei non disse una parola. Attraverso gli slip neri, Alec posò la mano sul pube bollente. — Dimmi che è ciò che vuoi, Dylan — le ordinò. — Sì... è ciò che voglio.
Alec infilò le dita sotto il bordo degli slip. Un piccole gemito le sfuggì dalle labbra, ma continuò a tenere gli occhi aperti, lo sguardo fisso su di lui, mentre le sue dita le sfioravano le labbra gonfie della vagina. Cristo, era così bagnata... fradicia. Sarebbe impazzito nel toccarla in quel modo senza fare nulla per placare i sussulti del suo cazzo. Ma avrebbe continuato a farlo. Scostò le labbra e si fermò un istante. Era così bollente... poi trovò il clitoride e strinse lievemente. — Oh! — esalò lei, continuando a sostenere il suo sguardo. Alec massaggiò il clitoride turgido. Il respiro di Dylan si fece più affrettato, fino a quando iniziò ad ansimare, schiudendo le labbra rosse. Quando lui infilò due dita, trasalì. Il sesso di Alec ebbe uno spasmo. Dentro era come velluto, calda e bagnata, e il suo cazzo voleva penetrarla. “Controllati.” Alec fece un respiro profondo e spinse ancora di più le dita. Dylan si dimenò sulle sue ginocchia, facendolo impazzire, ma Alec era concentrato su di lei e mosse le dita fino a quando i suoi lamenti gli fecero capire che aveva trovato il punto G. — Vieni per me, Dylan. E lei obbedì, semplicemente. Il suo sesso si contrasse intorno alle dita di Alec, il suo corpo s’inarcò. Lui era tormentato dal desiderio, il suo cuore aveva accelerato i battiti. — Oh Dio... Alec... Dylan si morse le labbra e per Alec fu impossibile resistere. Sporgendosi verso di lei, addentò il carnoso labbro inferiore e morse abbastanza forte, poi le aprì le labbra con la lingua. Dylan stava venendo, ansimando nella sua bocca. E Alec assorbì tutto: il suo piacere, i suoi sospiri, il pungente profumo del desiderio che permeava l’aria. Dylan stava ancora tremando quando lui la fece girare e distendere a pancia in sotto sulle sue ginocchia. — Alec... Dylan s’irrigidì di nuovo. — Sssh... è arrivato il momento, Dylan. Siamo qui per questo... e tu sei pronta. — Alec... no, non posso. Si dibatteva per rimettersi a sedere, ma lui la tenne ferma con decisione. — Vorresti dire “rosso”? Vuoi usare la safe word? Se è così, ti farò alzare, vestire e ce ne andremo. È questo che vuoi?
— Io... no. Alec moriva dalla voglia di farlo, di tenerla ferma. Di sculacciarla. Il suo cazzo sarebbe diventato ancora più duro e mantenere il controllo sarebbe stato sempre più difficile. Nessuna donna aveva mai sfidato il suo self-control come faceva Dylan. Ma avrebbe mantenuto il controllo della situazione. Doveva farlo. In quel momento desiderava toccarla più di qualsiasi altra cosa al mondo. — Resterai, Dylan? — Sì. Avvertì una lieve arrendevolezza nel suo corpo. Era sufficiente. Riunì gli slip trasparenti nella fessura tra le natiche, denudandole per le sue mani. Fece scorrere il palmo sulla pelle vellutata, accarezzandola. Dylan, infine, si rilassò. Perfetto. Così com’era perfetta la curva del suo sedere nudo. Iniziò a darle piccoli colpetti con la punta delle dita e rimase ad ascoltare il suo respiro per assicurarsi che non si fe prendere dal panico, ma per il momento sembrava che andasse tutto bene. La colpì un po’ più forte, con il palmo, provocando il classico rumore della sculacciata. Dylan continuò a respirare lentamente, ma la sua pelle si fece più calda e iniziò ad arrossarsi. — Tutto bene, Dylan? — Sì. Era ancora rilassata e Alec si rese conto che stava entrando nella parte. Forse era già accaduto quando lui aveva iniziato a toccarla, prima ancora che lei venisse. Il suo cazzo ebbe uno spasmo e s’indurì. Alec la colpì più forte, mentre con l’altra mano posata sulla nuca continuava a tenerla ferma. Sapeva che lei sentiva dolore, ma sapeva anche che il desiderio poteva trasformare quel dolore in piacere se lui avesse agito correttamente. E intendeva farlo. Interrompendosi per accarezzare le sue natiche arrossate, Alec sorrise tra sé osservando quel delizioso colorito. Facendo scorrere la punta delle dita sui glutei, li pizzicò. Dylan lanciò un gridolino, ma il suo respiro rimase regolare. Non c’era tensione nei suoi muscoli. Alec sapeva che se avesse potuto vedere il suo viso, le sue pupille sarebbero state dilatate e le guance arrossate. — Dylan, ci sei? — Sì. — Adesso inizierò a sculacciarti seriamente. Un debole gemito, poi lei mormorò: — Sì. — Brava bambina. Alec sollevò la mano e la lasciò ricadere sulla natica soda. Lei trasalì, ma rimase ferma.
— Brava, Dylan. Respira lentamente, come ti ho insegnato prima. Attese che lei fe un respiro profondo e poi la colpì di nuovo. — Oh! — Brava, Dylan, puoi farcela. La colpì ancora sulle natiche che si stavano arrossando magnificamente. E lei non protestava. “Bellissima.” Lo stava facendo impazzire. Continuò a sculacciarla ritmicamente, segnando il tempo con la musica che si udiva in sottofondo. Non esisteva nient’altro. Solo la musica, la curva perfetta del culo di Dylan, e il prorompente desiderio che lui faticava a contenere, ma che, in qualche modo, riuscì ad arginare. Per lei. — Alec... — La voce di Dylan era bassa, ansimante. Lui si fermò. — Cosa c’è? — Io devo... venire di nuovo. Ah, Cristo! Quella ragazza era perfetta, assolutamente perfetta! Aveva un coraggio, una schiettezza nel sesso, che lo catturavano. Lo aveva davvero conquistato. Questo non era mai accaduto prima. Alec non aveva mai permesso che accadesse. Ma Dylan... Lei era perfetta. E lui sapeva che avrebbe potuto decretare la fine di quel controllo che aveva perfezionato nel corso di tutta la sua vita.
6 Dylan fluttuava in quella dimensione eterea in cui Alec l’aveva portata. Non riusciva a credere che gli stesse davvero permettendo di sculacciarla. E che fosse stata lei a chiedergli di farla venire. Di nuovo! Avrebbe voluto implorarlo di farlo subito, ma era troppo annebbiata e distante per pensarci. L’unica cosa a cui riusciva a pensare era il tocco delle sue mani, il loro calore sulla sua pelle, il piacere che scorreva su di lei a ondate. Le sculacciate, il desiderio che le bruciava dentro, erano un tutt’uno. Dolore e piacere, e lei desiderava entrambi.
Aveva i seni premuti contro le cosce di Alec, tutto il peso del suo corpo era sopra di lui. Il cazzo di Alec era qualcosa di duro contro il suo fianco. Avrebbe voluto sentirlo dentro. Voleva che lui la sculacciasse di nuovo, più forte, di più. Avrebbe voluto mettersi sopra di lui e cavalcarlo. Tutti questi pensieri si succedevano a velocità vorticosa nella sua mente, rendendola ubriaca di desiderio. — Alec... ti prego... Lui fece un sorrisetto compiaciuto prima di far scivolare la mano tra le sue cosce, cercando e trovando il clitoride. — Oh, sì... Dylan si spinse contro la sua mano, mentre lui premeva. Nello stesso tempo, con l’altra mano le colpì la natica. Il bruciore iniziale si trasformò rapidamente in puro piacere. E il piacere si moltiplicò, unito agli spasmi di desiderio del suo sesso. Alec iniziò allora a sculacciarla seriamente, colpo dopo colpo, con decisione e in rapida successione. Le dita che le titillavano il clitoride si muovevano altrettanto rapidamente, massaggiandolo. Il piacere iniziò a farsi strada nel corpo di Dylan, l’orgasmo si avvicinava velocemente. — Alec... Mio Dio... Lui le infilò il pollice. — Oh... Un’altra sculacciata... ormai stava per venire... il piacere era un luce abbagliante che la accecava. — Alec! Dylan iniziò a muoversi contro la sua mano mentre veniva... veniva... e lui continuò a sculacciarla e a muovere il dito avanti e indietro. Infine, lei si accasciò, il corpo ancora scosso da un lieve e intermittente tremore. Era esausta. Incapace di muoversi. Alec la rimise a sedere sulle sue ginocchia e la prese tra le braccia. Le baciò il viso, si portò la sua mano alle labbra e le sfiorò l’interno del polso. Poi avvicinò il viso al suo. L’alito era caldo tra i suoi capelli. Le stava sussurrando qualcosa che lei non riusciva a capire. Dylan avrebbe voluto dormire, ma il suo corpo era più vivo di quanto fosse mai stato. — Dylan, guardami. Era difficile fare ciò che lui le chiedeva, ma voleva assecondarlo. Voleva vedere i suoi meravigliosi occhi azzurri. Voleva obbedire. Aprì gli occhi.
Alec era ancora più bello di prima. I suoi occhi erano accesi dall’adrenalina o dal desiderio. Forse da entrambi. Dylan non riusciva a pensare con lucidità. Non riusciva a pensare a niente, solo al desiderio che lui la baciasse. Sollevò il viso e Alec si chinò su di lei, sfiorandole delicatamente le labbra. Il desiderio esplose di nuovo dentro di lei, ma Dylan era troppo illanguidita per riuscire a muoversi. Alec si ritrasse. — Molto bene, Dylan. Eccellente. La sua voce era bassa, roca. Continuava a toccarla, ad accarezzarle i capelli. E lei lo osservava, mentre tante emozioni diverse attraversavano il suo viso. O forse tutto era solo frutto della sua immaginazione? Il risultato di due potenti orgasmi e dei suoi confusi bisogni? Dylan iniziò a tremare, uno strano tremore che la scuoteva in profondità. Il desiderio fu sostituito da una vaga paura, una specie di panico che lei non riusciva a capire. — Alec? — Stai tremando. — Lui l’attirò a sé. — Hai freddo? — Sì, un po’. Dylan lottò contro le lacrime di cui non riusciva a capire l’origine, mentre lui prendeva una morbida coperta dal divano, che lei prima non aveva notato, e gliela drappeggiava intorno alle spalle. — Tra un po’ starai meglio. — Che cosa significa? Che cosa mi sta succedendo? — Può succedere nel momento in cui ritorni alla realtà. Può accadere anche a una sottomessa esperta. A causa di un sovraccarico di endorfine e a volte di adrenalina. A volte semplicemente per le intense sensazioni provate. — Non mi piace. — Certo, non mi aspettavo che ti pie. erà. Io resterò qui con te. Ma saperlo non la confortava. Dylan capì all’improvviso e con certezza che stare insieme ad Alec faceva parte del problema. Lui la faceva sentire così vulnerabile... troppo esposta. Si agitò, tentando di alzarsi. — Ehi, che cosa stai facendo? — le chiese lui. — Devo andare. — Dylan, stai tranquilla adesso. Ascoltami. Ti stai facendo prendere dal panico. Ma va tutto bene, te lo assicuro. Mi prenderò io cura di te. Resta qui seduta. Respira. — No. — Dylan...
— Non ci riesco! Aiutami ad alzarmi. Alec la prese tra le braccia, in una gabbia di muscoli. Il cuore le martellava nel petto. Dylan lottò contro la sua stretta, conficcandogli le unghie nella carne, ma lui non desistette. Gli occhi le si riempirono di lacrime. Che cosa diavolo le stava succedendo? Doveva andarsene da lì! — Dylan, calmati, va tutto bene. Non ti permetterò di alzarti. Per il momento devi restare qui con me. Avanti, respira. — Alec... Lui la strinse ancora più forte. — Fa’ come ti dico. Dylan capì che non l’avrebbe lasciata andare, e anche se una parte di lei si ribellava a quell’idea, l’altra ne fu rassicurata. Si morse le labbra e lasciò il polso di Alec. Se solo fosse riuscita a fermare le lacrime! — Okay... okay... — Bene. Respira come hai fatto prima. Inspira dal naso profondamente. Sì, così. Trattieni per qualche secondo il fiato nei polmoni. Ora fallo uscire dalla bocca. Come nello yoga. Hai mai fatto yoga? — Sì. — Ecco, esattamente così. Lascia che il respiro si diffonda in tutto il tuo corpo. Rilassati. Molto bene. Alec la guidò durante la respirazione. Dylan non avrebbe saputo dire da quanto tempo erano lì, ma non aveva importanza. Si concentrò sulla voce di Alec, sul proprio respiro, sul calore rassicurante della sua stretta. E infine, il suo corpo iniziò a rilassarsi. — Alec, sono così stanca... — Sì, è normale. Per questo non ho voluto che tu guidassi questa sera. È difficile capire che cosa si prova fino a quando non ci si a personalmente. — Hai ragione, non sarei mai riuscita a immaginarlo. Non mi aspettavo di... provare queste sensazioni. — Non sforzarti di analizzarle questa sera. Lei sospirò. — No, non ci riuscirei, non riesco nemmeno a pensare. — Questa esperienza non ha nulla a che fare con il pensiero logico, Dylan. Devi disconnettere la parte razionale della tua mente e lasciare semplicemente spazio alle sensazioni. — Tu fai così?
— Il mio ruolo è diverso. Io devo essere responsabile di tutto quello che succede. Di te. Alec s’interruppe, scostandole i capelli dal viso. Dylan sentì che il suo cuore accelerava i battiti, ma non voleva chiedersi perché. — Adesso ti senti meglio? — Sì, credo di sì. — Ti porto a casa. Insieme a me. — No, dovrei tornare a casa mia. — Non ho intenzione di discutere su questo. Lei era decisamente troppo stanca per opporsi. Non le piaceva quella sensazione di debolezza, ma proprio non riusciva a contrastarla. Lasciò che Alec l’aiutasse ad alzarsi e a vestirsi. Poi lui la prese per mano e insieme attraversarono il club. Dylan era solo vagamente consapevole di ciò che accadeva intorno a lei: mani e cuoio sulla pelle, grida e sospiri, profumo di sesso nell’aria. Giunti alla porta, Alec le mise la sua giacca di pelle sulle spalle e, nonostante l’inizio di un moto di ribellione, Dylan inalò il buon profumo del cuoio e di lui. “Non farti incantare.” Difficile, dopo ciò che avevano appena fatto. Forse era quello il pericolo... che tutto ciò la rendesse in qualche modo impotente. Alec la stava guidando fuori. L’aria umida fu un piccolo shock, e quando lui l’attirò a sé Dylan non protestò. L’usciere fermò un taxi. Alec l’aiutò a salire, poi prese posto al suo fianco e la strinse subito tra le braccia. — Non sei obbligato a farlo — disse lei. — Obbligato a fare cosa? Il taxi procedeva nella notte. Aveva smesso di piovere, ma le strade erano bagnate e si sentiva il rumore dell’acqua sotto le ruote. — Non sei obbligato... ad abbracciarmi. — Devo farlo. — Alec sembrava sorpreso. — Fa parte del tuo ruolo? Lui rimase in silenzio per qualche istante. — No. — E allora perché? Un altro lungo silenzio. — Perché voglio farlo — rispose infine. Dylan non sapeva che cosa replicare. Avrebbe voluto dire qualcosa. Le sembrava che
fosse tutto sbagliato. Ma la sua mente, ancora confusa, non riuscì ad argomentare nulla. Attraversarono la città in silenzio. Si udiva solo il basso ronzio dell’impianto di riscaldamento e il mormorio proveniente dalla stazione radio che il taxista stava ascoltando. E la presenza di Alec, forte e rassicurante, al suo fianco. Il taxi si fermò davanti a una grande casa a due piani, in stile Craftsman, dipinta di grigio chiaro, con le classiche colonne di pietra su entrambi i lati dell’ampio portico. Fino a quel momento Dylan non aveva prestato attenzione, ma riconobbe subito il quartiere di Beacon Hill. Era stupita che Alec vivesse lì anziché in centro, in un appartamento alla moda. Alec pagò il conducente, l’aiutò a scendere dall’auto e a salire le scale. Dopo aver aperto la pesante porta in vetro, la fece entrare e accese la luce dell’ingresso. L’ambiente era caldo. La temperatura, l’arredamento, tutto nei toni rilassanti del marrone, del grigio e del blu. Confortevole, pieno di oggetti e opere d’arte: pannelli di antico legno intagliato, dipinti e maschere provenienti da tutto il mondo. E libri ovunque, sulle librerie, sui tavoli, impilati ordinatamente sul pavimento. Tutto era grande e virile, come Alec stesso. — Ti metto a letto — le disse, togliendole la giacca dalle spalle. — A letto? Solo in quel momento lei si rese conto che avrebbero dormito insieme. Raramente Dylan ava la notte con un uomo. Solitamente, andava a casa del suo partner, faceva sesso e poi tornava a dormire nel suo loft, ma era così maledettamente stanca... non ricordava di essere mai stata tanto esausta in tutta la sua vita. — Andiamo. Alec la guidò al piano di sopra e la fece entrare in quella che, immaginò Dylan, doveva essere la sua camera da letto. Anche lì, tutto era imponente. Un letto enorme, con un’alta testiera imbottita di seta color cioccolato, coperto da un copripiumino bianco, uguale a quello che aveva lei. Un massiccio cassettone, imposte di legno scuro alle finestre. Tappeti persiani su antichi pavimenti di quercia. Con l’unica debole luce proveniente dal corridoio, era tutto troppo buio perché lei potesse notare altri particolari. E comunque era troppo stanca, tutto quello che le interessava sapere era che lì ci fosse un letto nel quale poter dormire. Nient’altro le sembrava importante, a eccezione del fatto che Alec fosse lì insieme a lei. Non avrebbe voluto che fosse importante. Non avrebbe voluto che lui fosse importante. “Accidenti!” Aveva di nuovo le lacrime agli occhi, ma riuscì a ricacciarle indietro. Doveva essere davvero esausta. Doveva essere la stanchezza e quello stato di vulnerabilità di cui lui le aveva parlato al club.
Alec si trovava proprio dietro di lei e aveva le mani sulle sue spalle. — Il bagno è dietro quella porta. Vuoi fare una doccia? Sarebbe stato splendido, ma non aveva le energie sufficienti. — Non ora. Adesso devo solo dormire. Alec la spogliò, le sue mani erano inaspettatamente delicate. E lei rimase lì, in piedi, lasciandolo fare. Riuscì a malapena a sollevare le braccia affinché lui potesse sfilarle il top dalla testa. Alec fu molto paziente e la svestì come se fosse stata una bambola. Infine Dylan rimase con indosso solo il reggiseno e gli slip. Alec la condusse verso il letto, scostò il piumino e l’aiutò a distendersi. Il letto era morbido, e lei sprofondò nel materasso di piume, che scricchiolò sotto il suo peso. Le lenzuola bianche erano fresche sulla sua pelle, e lei rabbrividì. Poi Alec fu al suo fianco, nudo, e la riscaldò, attirandola a sé e facendole appoggiare la testa sulla sua spalla. La sua pelle era morbida, liscia e calda contro il suo viso. Dylan avvertì una strana sensazione al petto mentre lui la teneva stretta, più stretta di quanto avesse fatto qualsiasi altro uomo da tanto tempo. Più stretta di quanto lei avesse permesso a qualsiasi altro uomo di fare. Avrebbe ricominciato a piangere, ma era troppo stanca. Non riusciva a pensare, né a provare emozioni. Chiuse gli occhi e lasciò che il sonno avesse il sopravvento. Alec rimase ad ascoltare a lungo il respiro di Dylan, chiedendosi che cosa diavolo gli fosse preso. Non rammentava l’ultima volta in cui aveva portato una donna a casa sua. Preferiva fare sesso al club o a casa della partner del momento. Dopo una sessione BDSM, si assicurava che la sua compagna stesse bene e poi tornava a casa da solo, beveva qualcosa o leggeva un po’ prima di dormire. Anche se la sessione non era andata come sperava, anche se c’erano stati problemi, Alec faceva in modo di risolverli prima di andare a dormire, di assicurarsi che tutto fosse tranquillo e a posto. Rientrava nel suo ruolo di dominatore. Non voleva fare qualcosa che non lo fe sentire bene. Che non gli trasmettesse sensazioni positive. Voleva avere il controllo di ogni cosa, o almeno del suo piccolo mondo. Allora perché era lì nel suo letto, sveglio, con una donna tra le braccia? Una donna con cui non aveva nemmeno fatto sesso? E perché questo non lo turbava? Aveva solo quel piccolo tarlo nel cervello che lo teneva sveglio e che lo portava a chiedersi che cosa ci fosse di diverso in quella situazione. In che cosa lei fosse diversa. Ma per il resto, sentiva una strana sensazione di benessere. Di soddisfazione. Era questo a turbarlo tanto?
Abbassò gli occhi e vide le lunghe ciglia scure di Dylan illuminate dalla luce azzurrognola della luna che filtrava dalla finestra, attraverso uno squarcio nella nebbia. Aveva gli zigomi molto pronunciati e sembrava che le sue ciglia vi si adagiassero sopra. La bocca era lievemente socchiusa, le labbra piene e voluttuose. Nel sonno Dylan appariva rilassata e innocente, a differenza di quando era sveglia. Alec non sapeva come definire quella strana sensazione che gli stringeva il petto. “Ignorala, se ne andrà.” Capì subito che si trattava di una bugia, quanto quella che Dylan Ivory fosse una ragazza come tante altre. Un’altra sfida. Aveva mentito a se stesso fin dal momento in cui l’aveva vista. “Cazzo!” Non poteva avere legami. Non era il tipo di persona che potesse farlo. Mai. Era figlio di suo padre. Non aveva bisogno di una donna nella sua vita più di quanto ne avesse avuto bisogno lui. Stava bene da solo. Quella strana emozione per Dylan sarebbe stata transitoria. Dipendeva solo dal fatto che era così bella, così incredibilmente reattiva... Lei si mosse nel sonno e Alec guardò l’orologio sul comodino. I numeri rossi luminosi segnavano le quattro e mezza del mattino. Dylan si mosse di nuovo contro di lui, facendo scivolare una gamba sopra la sua. Il suo sesso riprese vita. Alec rimase perfettamente immobile, cercando di respirare lentamente. L’avrebbe svegliata, toccata, resa vogliosa come aveva fatto poco prima. E come già era successo, Dylan sarebbe stata disponibile. Si sarebbe lasciata scopare. Ma sapeva che se lo avesse fatto, per lui sarebbe stata la fine. Fece un respiro, poi un altro, riempiendosi i polmoni con la fresca aria della notte. Delicatamente, spostò la sua gamba. La pelle di Dylan era liscia come seta sotto le sue dita. “Calmati.” Continuò a respirare, concentrandosi sull’aria che entrava e usciva dai suoi polmoni. Ancora e ancora, fino a quando i suoi occhi iniziarono a chiudersi, a bruciare per il bisogno di sonno. Anche mentre si addormentava, era consapevole del corpo caldo di Dylan accanto al suo, del suo peso delicato tra le braccia. Il profumo di vaniglia dei suoi capelli. Ma era troppo stanco per lottare contro quello che provava. Chiuse gli occhi e si addormentò. Il sole stava per sorgere quando Dylan si svegliò. La stanza era rischiarata dalla caliginosa luce dorata che filtrava attraverso le stecche aperte delle persiane. Accanto a lei, il respiro di Alec era un fievole sussurro contro il suo viso.
La pelle di Dylan era bollente nei punti in cui i loro corpi si toccavano e lei si scostò, rabbrividendo immediatamente quando sentì lo spazio freddo e vuoto. Solo in quel momento si rese conto di aver davvero ato la notte insieme a lui. Non solo con lui, ma rannicchiata tra le sue braccia come se fossero stati amanti. La sua mente si riempì di immagini della serata ata al Regno del Piacere. Lei distesa sulle sue ginocchia. Le luci soffuse. Il ritmo erotico della musica. La mano di Alec che si abbatteva su di lei. Il bruciore. La voglia irresistibile. La mano di Alec tra le sue gambe. L’orgasmo travolgente... e poi un altro. “Dio!” Il suo corpo fremeva ancora di desiderio. Si voltò a guardare il profilo di Alec nel sonno. Il suo viso era virile, nonostante quella bocca incredibilmente sensuale circondata dal pizzetto demoniaco. Il piumino lo copriva fino alla vita, il torace e le braccia erano nudi. I tatuaggi risaltavano sulla pelle e lei avrebbe voluto toccarli, tracciare con la punta delle dita le loro linee intricate e sinuose. Posarvi le labbra e sentirne il sapore. Ma non osava farlo. Lo desiderava. Così intensamente da essere riuscita a sottomettersi a lui senza alcuno sforzo, la sera prima. E avrebbe voluto farlo di nuovo. Com’era possibile? Era riuscita ad ammettere di avere da tanto tempo, in un angolino della sua mente, l’intenzione di provare certe cose, ma non si aspettava che le sarebbe stato così facile. Non le piaceva porsi domande. Era una cosa che non aveva più fatto dopo aver perso Quinn. Non aveva mai smesso di sentirsi in colpa, ma da allora aveva ato tutta la vita cercando di essere una persona migliore, di comportarsi in modo che non le accadesse mai più nulla del genere. E ora era come se la percezione della sua forza fosse diminuita, e questo la spaventava a morte. In parte doveva avere a che fare con Alec, con la sua figura imponente, con il modo in cui lui si muoveva e le parlava. Con il tipo di persona che lui era. Anche nel sonno era autorevole come lo era da sveglio. E il suo corpo stava reagendo esattamente come aveva fatto la sera prima: provava l’intenso calore e il desiderio che la rendevano disponibile a fare qualsiasi cosa lui le avesse chiesto. Qualsiasi cosa. La paura era violenta quanto il desiderio che faceva fremere il suo corpo. Doveva andarsene da lì. Prima che lui si svegliasse. Prima che... cosa? Prima di darsi completamente a quell’uomo. Scivolò fuori dal letto, trovò i suoi vestiti sul bracciolo di una poltrona di raso scuro vicino alla finestra e uscì in corridoio il più silenziosamente possibile. Scese le scale e si vestì in fretta nell’ingresso. Era strano indossare gli abiti sexy della sera prima in quel freddo mattino, nella
casa buia e silenziosa. Era in netto contrasto con quello che stava provando. “Vattene!” Si infilò le scarpe. Il cuore le batteva all’impazzata quando lei aprì la porta e uscì. C’era la nebbia. Il tempo era troppo freddo e umido per stare senza cappotto, ma la sera prima lei non l’aveva indossato. Era stata troppo ansiosa di arrivare al club. La notte precedente, Alec le aveva messo la sua giacca intorno alle spalle durante il tragitto in taxi, rammentò, e rabbrividì al ricordo del profumo di cuoio mentre lui le circondava le spalle, oltre che per il freddo del primo mattino. Iniziò a scendere la collina e percorse parecchi isolati fino a un piccolo supermercato con una panchina di legno davanti alla vetrina. Dylan si sedette, prese il cellulare dalla borsetta e chiamò un taxi. La strada era deserta, e solo allora Dylan pensò di controllare l’orario sul cellulare. Erano quasi le sei del mattino. Pensò che forse Alec sarebbe stato furibondo per il modo in cui se n’era andata. Sì, lo sarebbe stato. Ma aveva dovuto farlo. Non sarebbe riuscita a guardarlo negli occhi dopo quello che avevano fatto insieme. Dopo il modo in cui si era data a lui e aveva obbedito ai suoi ordini. In quel momento le era sembrato giusto. Le era parso del tutto naturale che il suo corpo e la sua mente reagissero così. Ma ora... era imbarazzata. Non per il fatto che lui l’avesse toccata, che avesse conosciuto tanto intimamente il suo corpo, ma soprattutto per la facilità con cui lei si era sottomessa. Si alzò e iniziò a eggiare avanti e indietro davanti alla panchina, troppo agitata per restare seduta. Cristo! Le girava la testa, era confusa. “Cerca di essere razionale.” Ma forse, per una volta, la razionalità non l’avrebbe aiutata a uscire da quella situazione. Per attraversare la vita, aveva sempre fatto affidamento sulla sua mente, sulla sua abilità di risolvere i problemi. Aveva dovuto farlo sin da quando era bambina, sin da quando sua madre aveva iniziato a non essere più in sé e a sprofondare nella malattia. Dylan si era ritrovata da sola a prendere in mano le redini della situazione e a occuparsi della loro piccola famiglia. Ma questa volta, la razionalità e le capacità organizzative non sarebbero servite. Erano ati anni dall’ultima volta che si era sentita impotente, e la cosa non le era piaciuta affatto. Ma quando si trattava di Alec Walker, faticava a mantenere il controllo. E quando lui le parlava da dominatore, il suo corpo e la sua mente rispondevano automaticamente sottomettendosi. Su questo Alec aveva avuto ragione. Perché lei non se n’era resa conto? Come aveva potuto essere così cieca davanti a quella
parte di sé? “Forse non volevi vederla.” Sì, era così, non voleva vederla nemmeno adesso. Arrivò il taxi, Dylan salì, diede il suo indirizzo e prese posto sul freddo sedile di vinile. Seattle stava ancora dormendo, come sempre la domenica mattina presto. Negozi e ristoranti erano chiusi, le serrande abbassate. I marciapiedi deserti. Persino i bar erano al riposo. Era tutto troppo silenzioso, e in quella situazione era troppo facile perdersi nei pensieri. Quando arrivò a casa, Dylan accese il riscaldamento e si liberò immediatamente degli abiti per indossare la sua camicia da notte bianca di cotone. Mentre si preparava un tè, accese la televisione sintonizzandola su un talk show, poi si mise a letto. Aveva solo bisogno di chiudere il mondo fuori. La televisione l’avrebbe aiutata. Era il suo modo di isolarsi sin da quando aveva dieci anni. Quando in casa la situazione si faceva troppo difficile, cosa che accadeva troppo spesso, lei si metteva ad ascoltare le notizie che provenivano da tutto il mondo. Fatti più grandi, più drammatici, di quelli che accadevano a casa sua, bombardamenti in Paesi stranieri, dibattiti politici, crimini commessi in luoghi dove lei non era mai stata. Qualsiasi cosa l’aiutava a prendere le distanze dalla sua vita, da se stessa. Una vecchia abitudine che in un certo modo le dava conforto. E quando non poteva accendere la televisione perché sua madre era troppo agitata o in preda al panico, si rifugiava nei libri. Per lei erano sempre stati una via di fuga, un modo per sottrarsi alle sue esplosioni d’ira. Rivide come in un montaggio cinematografico scene della sua infanzia: suo fratello, forse a cinque anni, che si nascondeva sotto il rifugio che lei aveva costruito con i cuscini del divano, mentre Darcy, sua madre, aveva uno dei suoi attacchi in cucina. Rumore di vetri rotti, singhiozzi e urla. Dylan aveva solo otto anni, ma raggiungeva Quinn nel loro nascondiglio, gli prendeva la mano e gli raccontava delle storie: storie di fate, assaggi di libri, tutto quello che riusciva a ricordare o a inventare, fino a quando era tutto finito. Poi Darcy era esausta e pentita. Piangeva e si scusava. E Dylan la confortava, sentendosi arrabbiata e in colpa al tempo stesso. Responsabile del benessere della sua famiglia, sia di sua madre che di Quinn. Avvertì una morsa allo stomaco. Fece un paio di respiri profondi e si costrinse a scacciare quelle immagini che la tormentavano ancora quando lei era troppo stanca per arginarle. Si concentrò invece su quelle che sfilavano sullo schermo, mentre fuori spuntava il giorno, eppure non riuscivano a distrarla. Dal ato. Dalla notte trascorsa con Alec. Prese il telecomando e fece scorrere i canali. Notizie, repliche di vecchie sitcom che non le erano mai piaciute. Infine si sintonizzò su un film: Insonnia d’amore. Aveva una ione segreta per i film romantici, una cosa che avrebbe ammesso solo con Mischa. Erano rassicuranti, anche se del tutto irreali. Forse era quello il motivo per cui le piacevano tanto. Era più facile perdersi in qualcosa che era solo frutto della fantasia.
Sorseggiando il tè, osservò la scena in cui Meg Ryan vedeva Tom Hanks da lontano per la prima volta. Notò l’emozione dipinta sul suo viso. E sentì muoversi qualcosa dentro di sé. Cambiò subito canale. Forse, dopotutto, il film non era così irreale. Spense la televisione. Era sfinita. Se solo fosse riuscita a dormire, si sarebbe svegliata con le idee più chiare. Il letto era caldo sotto il piumino. Non caldo come il corpo di Alec. “Non pensarci adesso. Non pensare a niente.” “Non pensare al calore della sua pelle. Alle sue mani sorprendentemente morbide. Alle sue abili dita. Alla dolcezza voluttuosa delle sue labbra.” Dylan gemette, il suo corpo era percorso da un desiderio che non era stato del tutto soddisfatto. D’un tratto capì con chiarezza che sarebbe stato così fino a quando non lo avesse rivisto. Fino a quando lui non l’avesse toccata. Sculacciata. Fino a quando non lo avesse avuto dentro di sé, cosa che fino a quel momento le era stata negata. Era una tortura desiderare qualcosa che sapeva non avrebbe avuto. Perché, se lei lo avesse permesso, poi non sarebbe più potuta tornare indietro. Si sarebbe persa irrevocabilmente, la forza che aveva costruito in tutta una vita si sarebbe disintegrata nel suo ridicolo bisogno di quell’uomo e di ciò che lui le offriva. “Alec...” Che cosa le aveva fatto? E quanto altro lei gli avrebbe permesso di fare?
7 Quando squillò il cellulare, ebbe l’impressione di essersi addormentata solo pochi minuti prima. Lo cercò a tastoni sul comodino e rispose. — Pronto? — Te ne sei andata. — Che cosa? Io... Alec... — Perché, Dylan? Lei si scostò i capelli dal viso e cercò di riacquistare la lucidità. Perché se n’era andata? Rammentò il calore di quel grande letto, il corpo di Alec accanto al suo, il conforto della sua presenza. Rammentò la propria paura di fronte a quel senso di assoluto benessere. Il bisogno di restare lì. Con lui.
Il suo cuore accelerò i battiti. — Io... dovevo andare. Alec sospirò all’altro capo della linea. O forse sbuffò per l’irritazione. — Dylan, dobbiamo parlare di questa faccenda. — Perché? Rientra anche questo nei tuoi compiti di dominatore? — Sì, io sono responsabile di te dopo una sessione. Devo essere certo che tu stia bene prima di lasciarti. — Sono io che me ne sono andata. — Senza avvisarmi. — Te l’ho già detto, Alec, io non sono una slave — sbottò lei in un moto di rabbia. — No, ma le regole esistono per un motivo preciso, qualunque sia il livello di sottomissione. Per la tua sicurezza. — Io sto benissimo. Alec rimase in silenzio per qualche istante. — Cazzo, Dylan, lo so che sei forte — disse in tono forzatamente pacato. — So che sai cavartela egregiamente nella vita di tutti i giorni. Ma tutte queste cose non c’entrano niente. Non quando ti dai a me. Quando sono io ad accompagnarti in quella dimensione in cui non sei in grado di prendere decisioni, quando sono io ad avere cura di te. Sei troppo inesperta su queste cose per capire se sei tornata alla realtà oppure no. Aveva ragione lui? In quel momento Dylan non riusciva a capirlo. Era ancora così stanca... — Dylan? Hai sentito quello che ho detto? — Sì, ho sentito. Sto... pensando. — Be’, pensa anche a questo, allora. Non sono disposto a praticare il BDSM con una donna che non rispetta le mie regole. E una di queste prevede che sia io a decidere se sei pronta a stare sola. — Perché sei così arrabbiato, Alec? Sono a casa mia, a letto. Stavo dormendo, o almeno stavo cercando di dormire, quando tu mi hai chiamata. È evidente che sto bene. — Davvero? — Certo! — Quella piccola bugia le uscì di bocca troppo facilmente. — La tua prima esperienza con il BDSM, la tua prima volta in un club fetish, e va tutto bene? Nessuna confusione riguardo a quello che ti è successo, nessuna difficoltà nell’accettare la tua reazione, i tuoi desideri. Anche se tutto questo è l’antitesi di ciò che sei normalmente? — Non ho detto questo.
— No, non è necessario. Ascolta, Dylan, pratico il BDSM da tanto tempo. Sviluppare un certo intuito, capire la transizione che attraversano le persone che entrano in questo mondo, fa parte di un buon dominatore. E io so quello che faccio. Quindi, il tuo tentativo di convincermi che stai benissimo, che non sei per nulla turbata da ciò che è accaduto ieri sera, è assolutamente vano. — Non ho detto di non essere per nulla turbata. — Tu stai razionalizzando, Dylan. Lei si morse le labbra, rigirandosi l’orlo del piumino tra le dita. — Forse. È la mia reazione abituale a... quasi tutto. — Devi andare più a fondo se vuoi davvero fare questa esperienza. Ora Dylan era arrabbiata. Sapeva che si trattava di un meccanismo di difesa, ma non le importava. — Non ho mai detto che... Sto solo facendo delle ricerche per il mio libro, Alec. Fino a dove devo arrivare per questo? — Fino a dove ti spingono i tuoi desideri. Fino a dove sei disposta ad arrivare. — Non conosco il mio limite, okay? — Ecco, così va meglio. — Io... cosa? — Ho detto che così va meglio. Si aspettava che lui continuasse a discutere. Non che la fe sentire ridicola. Inspirò a fondo, espirò, cercando di liberarsi della rabbia attraverso il respiro. — Mi dispiace di essermene andata — disse Dylan a denti stretti. — Okay. — Perché tutt’a un tratto sei così ragionevole? — Sono sempre ragionevole. Il fatto che io non mi arrabbi ti confonde? — Sì. — Detestava ammetterlo. Detestava il fatto che questo la fe sentire debole. — Bene, significa che faccio il mio lavoro a dovere. — Quindi, ammetti di volerti impadronire anche della mia mente? — È un aggio inevitabile. È uno dei motivi per cui dopo una sessione non dovresti restare sola fino a quando io non decido che puoi farlo. Parte della confusione che provi è dovuta semplicemente alla tua inesperienza, al fatto di aver provato certe cose per la prima volta. Al fatto di dover modificare la percezione di te stessa, dei tuoi desideri, della tua sessualità. Non è solo opera mia. Tutte le persone che si avvicinano al BDSM provano queste emozioni, anche se a livelli diversi. Il mio compito è occuparmi di te, valutare le tue reazioni. Assicurarmi che tu stia bene. E
non posso farlo adeguatamente se sei dall’altra parte della città. — Okay, okay, credo di aver capito. — Bene, perché dobbiamo essere d’accordo su questo, altrimenti non succederà più. Se vuoi che succeda di nuovo... Lo vuoi, Dylan? Oppure hai già chiuso con il BDSM? E con me? Una piccola parte della sua mente le urlava di riagganciare e di non rivederlo mai più. Ma non l’avrebbe fatto. Impossibile. — No, non ho chiuso. — Allora, torna qui questa sera. — A casa tua? L’eccitazione e il nervosismo la facevano tremare in uguale misura. — Sì, questa sera alle otto. — La sua voce era bassa e pacata, ma il tono autoritario era assolutamente evidente. — Prendi un taxi, lo pagherò io. — Non è necessario. — Sì, lo è — insistette lui, e Dylan capì dal suo tono di voce che era inutile tentare di discutere. Il suo corpo fremeva di desiderio semplicemente udendo il suo tono di voce. Controllo assoluto. Comando. Non poteva negarlo. — D’accordo, ci sarò. — Bene. E, Dylan? — Sì? — Preparati a restare qui fino a quando io non ti porterò a casa. Ci siamo capiti? Lei restò in silenzio, andosi una mano tra i capelli. Sentì crescere dentro di sé la ribellione, ma in quel momento le sembrava stupido protestare. La ricacciò indietro. — Sì, ho capito. — Voglio che arrivi qui affamata. Ho intenzione di nutrirti. E di parlare. — Cosa? — Mi sembrava di averti già spiegato che parlare è molto importante in questo tipo di rapporto. — Sì, ricordo, ma pensavo che, dal momento che... abbiamo iniziato... — Dylan s’interruppe, non sapendo come proseguire. — Pensavi che, siccome abbiamo iniziato, non abbiamo più nulla da conoscere l’uno dell’altro? Il viaggio è appena cominciato, Dylan. Ci vediamo questa sera. Sii puntuale.
Riagganciò e lei fece lo stesso, tremando per il nervosismo. Per il desiderio. Per la voglia irresistibile. E per un residuo di rabbia. Si era messa davvero nei guai con quell’uomo. Guai a cui ora non riusciva a sottrarsi. Era come tenere una tigre per la coda, ma l’aveva voluto lei. Ora l’unica cosa che poteva fare era non mollare la presa e sperare di non essere divorata. La casa di Alec era proprio come la ricordava: sorprendentemente accogliente, con l’ampio porticato e la luce dorata che filtrava attraverso le persiane di legno socchiuse. Gli aveva telefonato quando mancavano pochi minuti al suo arrivo, come lui le aveva detto di fare nell’e-mail che le aveva inviato in seguito alla loro conversazione telefonica, e ora l’aspettava sul ciglio della strada. Dylan riusciva a vedere solo la sua alta silhouette, illuminata alle spalle dalla luce proveniente dalla casa. Era così imponente... c’era qualcosa nella sua figura che la turbava. In qualche modo la faceva sentire più femmina. E ancora di più, quando lui le porse la mano per aiutarla a scendere dal taxi. — Buonasera, Dylan, sono felice che tu sia qui. — Io... anch’io. Era la verità. Inutile mettersi a discutere. Alec le tenne la mano mentre la guidava su per i gradini e in casa, lasciandola andare solo per aiutarla a togliersi il cappotto. — Sei molto bella — le disse, fissandola intensamente, e lei si sentì arrossire. — Grazie. La colpiva il fatto che a ogni loro incontro lui non mancasse mai di dirle che era bella. Non che lei avesse bisogno di sentirselo dire tutte le volte. Però, era una cosa molto piacevole. Alec era più attraente che mai, con i capelli scuri un po’ arruffati in cui lei avrebbe voluto infilare le dita. Quella sera era vestito in modo casual, con un paio di jeans sbiaditi e una maglietta nera che aderiva perfettamente alle ampie spalle e ai muscoli del torace. Aveva proprio l’aria del ragazzaccio, con il pizzetto e i tatuaggi. Se non fosse stato per il fatto che in lui non c’era assolutamente nulla di un ragazzo. — Non sono il miglior cuoco del mondo, ma so cucinare una pasta abile. Hai fame? — Un po’. Dylan notò che la casa era calda e che odorava di cibo. — Vieni con me in cucina, è quasi pronto. Lei lo seguì lungo un piccolo corridoio fino al retro della casa. La cucina era grande. L’architettura originale era stata conservata, ma i ripiani in granito rosso, i mobili d’acero e gli elettrodomestici d’acciaio erano nuovi. La stanza era moderna, ma come il resto della casa era calda
e confortevole. La pasta che cuoceva sul fornello sollevava vapore nell’aria, rendendo il locale ancora più accogliente. Un trillo la fece trasalire. — Dylan, non essere così nervosa, dobbiamo solo cenare. Per il momento, almeno. — Io non... è solo che... No, hai ragione. Detesto essere così nervosa, non avere completamente il controllo di me stessa, delle mie reazioni. Ma suppongo che risolvere questo problema faccia parte di questa esperienza, per quello che mi riguarda. Sto iniziando a rendermene conto a un livello più profondo. — Il BDSM più pesante a volte riserva vere e proprie rivelazioni. Non è insolito e non è nemmeno una cosa negativa. “Il BDSM più pesante...” Che cosa le avrebbe fatto? Dylan s’irrigidì e un brivido la percorse da capo a piedi ripensando a quello che avevano fatto la sera prima. — Cerca di rilassarti. — Alec si voltò verso i fornelli per controllare la cottura della pasta. — È pronta. Versati un bicchiere di vino, se vuoi. — S’interruppe, alzò lo sguardo e Dylan rimase ancora una volta sorpresa dalla brillantezza dei suoi occhi azzurri. — Ma solo uno. Alcol e BDSM non sono un buon abbinamento. Lei annuì. — Grazie. Prese la bottiglia già aperta di vino rosso appositamente lasciato a respirare sul mobile e guardò l’etichetta. Alec aveva gusti eccellenti in fatto di vino. Non che la cosa la sorprendesse. Prese uno dei bicchieri accanto alla bottiglia e lo riempì a metà. Non voleva compromettere in alcun modo le proprie percezioni. Non quella sera. — Ne vuoi anche tu, Alec? — Sì, grazie. Versò il vino e gli porse il calice. Lui la guardò al di sopra del bordo mentre faceva un sorso. — Lo sai fare bene. — Che cosa? — Servire. — Si tratta solo di buona educazione. — Forse. — Adesso mi stai prendendo in giro. Alec sorrise prima di voltarsi di nuovo verso i fornelli. Dylan lo osservò mentre scolava la pasta e poi la versava nei piatti, aggiungendovi da un tegame quello che sembrava un sugo alla
marinara. Era una situazione strana: Alec che aveva cucinato per lei, loro due che si sarebbero seduti a tavola a mangiare e a parlare come una coppia normale, pur sapendo quello che avrebbero fatto più tardi. Era... eccitante. Molto eccitante, dovette ammettere Dylan immaginandosi nuda, agli ordini di Alec. Un brivido di piacere le attraversò il basso ventre. — La cena è pronta. Andiamo in sala da pranzo. L’insalata e il pane sono già a tavola. Dylan lo seguì. Il pavimento di legno della stanza riluceva alla luce di una dozzina di candele sparse qua e là, sul pesante tavolo di quercia e sul cassettone antico. La tavola era apparecchiata semplicemente, con piatti di ceramica dai colori caldi e tovaglioli di lino bianco. Il pane era in un cestino di vimini. Al centro, una ciotola di bronzo piena di camelie galleggianti sull’acqua. Alec mise giù i piatti e ò qualche istante prima che Dylan si rendesse conto che lui le aveva scostato la sedia, in attesa che lei si accomodasse. Si sedette, stupendosi della sua galanteria. I suoi modi la facevano apparire una serata normale, quando invece ovviamente non lo era. — Funziona sempre così? — Che cosa intendi dire? Alec si era seduto a capotavola e si stava mettendo il tovagliolo in grembo. — Come se fosse un invito a cena. — Non lo è? In qualsiasi caso, la serata non terminerà con un casto bacio sulla porta di casa tua? — Non lo so. Terminerà così? Che cosa ci facciamo qui, Alec? Lui rimase in silenzio per qualche istante, mentre prendeva un panino e ne staccava un pezzo. Dylan si distrasse osservando il movimento delle sue mani. Erano così forti... avrebbero potuto spezzarla in due, se lui avesse voluto. Rabbrividì. Infine, Alec parlò in tono pacato. — Stiamo cercando di conoscerci. Vuoi sapere se lo faccio con tutte le donne con cui mi accompagno? Sì. A volte. Dipende se si tratta di una serata estemporanea al club o di una cosa più seria. Per seria intendo che si protrae per un periodo più lungo di tempo. — Hai sentito il bisogno di precisarlo. — Di precisare... cosa? — Che con “cosa seria” non intendi una vera relazione. — Non sono il tipo d’uomo da avere una relazione stabile. È questo che volevi sapere?
— Ho solo fatto un’osservazione. — Ah... — Alec prese una forchettata di pasta. — Che te ne pare? — Non l’ho ancora assaggiata, ma il vino è molto buono. — Provala. Dylan sapeva che Alec stava evitando quella conversazione, ma non le importava. Nemmeno lei era in cerca di una relazione stabile. Assaggiò la pasta: era deliziosa e cotta a puntino. — Sai cucinare. Lui sorrise, compiaciuto di se stesso, e sollevò il bicchiere in un brindisi ironico. — Sì, e tu? — In verità, sono una cuoca terribile, ma sono molto brava nell’ordinare cene a domicilio. Non mi piace interrompere il mio lavoro per occuparmi di faccende inutili, così telefono ai miei ristoranti preferiti e mi faccio consegnare il pranzo. — Il cibo non è inutile. — Be’, è necessario. — Necessario non significa che debba essere privo di gioia. Anche il sesso è necessario. — Hai ragione. Devo solo accettare di non saper cucinare. Preferisco sedermi e gustare un buon pranzo preparato da qualcun altro. Lui sorrise e sollevò di nuovo il bicchiere. — Alcuni di noi sono più attivi di altri. Dylan non poté fare a meno di sorridere. — Ti piace sottolinearlo, vero? — Mi hai smascherato. — Alec s’interruppe, sorridendo a sua volta. — Sei più a tuo agio con me questa sera. — Sì... forse è il vino, ma sono più rilassata. Forse perché siamo seduti a tavola e stiamo solo parlando. — Faceva parte del mio piano. Dylan rise. — Be’, sta funzionando. Mi piace il fatto di non doverti spiegare nulla. E non è lo stesso di quando abbiamo fatto sesso, non ha a che fare con i ruoli. Hai capito che cosa intendo? — Sì, assolutamente. L’atteggiamento dominante fa parte di me, del mio essere, non vi abdico mai. Mi aiuta ad approfondire le cose, a ottenere la tua fiducia, a rendere la relazione sessuale più intensa. — Sì. In quel momento, Dylan non aveva interesse a continuare il discorso. Le bastava sapere di stare bene con lui, di sentirsi a proprio agio. E, per una volta, voleva gustarsi quel momento senza
guastarlo. Pericoloso. Sì, il benessere che provava con lui era pericoloso. Perdersi sarebbe stato troppo facile. Alec era pericoloso. Ma era un gioco a cui lei voleva prestarsi. Per il momento. Alec fece un boccone e la osservò: le sue mani, la sua gola quando deglutiva. Non poteva ignorare quanto fosse bella alla luce delle candele. I suoi capelli erano una rilucente cascata di boccoli che incorniciavano il suo viso dai lineamenti delicati. Probabilmente sarebbe apparsa fragile alla maggior parte delle persone, nella vita di tutti i giorni, se non avesse sfoderato il suo atteggiamento deciso. Ma nelle sue mani Dylan era diversa. Il controllo si sbriciolava. La vedeva lottare per aggrapparsi agli ultimi residui rimasti e gli piaceva il fatto che ormai non le riuscisse più. Al pensiero, Alec stava per avere un’erezione. Dovette muoversi sulla sedia e costringere la propria mente ad allontanarsi dal ricordo del corpo nudo di lei. “Riprenditi... Concentrati...” Fece un lungo sorso di vino. — Allora, Dylan, mi vuoi dire qualcosa di tua madre? Lei apparve momentaneamente sorpresa. Poi sollevò il bicchiere e bevve. Lentamente lo posò di nuovo sul tavolo. — Preferirei di no. — È una situazione tuttora in corso? Lei lo stava guardando, gli occhi grigi chiari brillavano alla luce delle candele. Era attenta, all’erta. Dalla tensione del suo volto Alec capì quanto fosse circospetta sull’argomento, sebbene non avesse apertamente rifiutato di parlarne. — Sì. — E non ne vuoi assolutamente parlare. Lei sospirò. — Hai intenzione di continuare a insistere fino a quando non lo farò? — Non ora. — Grazie. Dylan lo stava ancora guardando, con gli occhi che luccicavano. Ad Alec piaceva che fosse un po’ in collera con lui. Doveva ammettere che questo lo caricava, aggiungeva eccitazione sessuale. Il fatto che lei si opponesse rendeva ancora più soddisfacente il momento in cui l’avrebbe messa in ginocchio, sia in senso letterale che figurato. Si appoggiò allo schienale della sedia e le sorrise. — Ti voglio nella giusta disposizione mentale per ciò che ho programmato più tardi. — Oh!
I lineamenti di Dylan si addolcirono immediatamente. Alec era certo che lei non se ne rendesse conto, che non avesse ancora accettato del tutto la facilità con cui si sottometteva a lui, anche in quei piccoli particolari. Sì, era perfetta per ciò che lui aveva in mente quella sera. Ma prima dovevano digerire la cena, e Alec intendeva prendersi tutto il tempo necessario. — Dimmi qualcosa delle tue relazioni ate, Dylan. Non ne abbiamo mai parlato. — Be’... non c’è molto da dire. — Nemmeno tu sei per le relazioni stabili? Dylan fece una pausa, bevve l’ultimo sorso di vino e il suo sguardo si fece più concentrato. — Direi di no. Ho avuto poche relazioni. Quand’ero al college ho avuto un ragazzo per due anni, ma terminati gli studi mi sono resa conto di non esserne innamorata, e non mi è sembrato giusto continuare il rapporto. — Dev’essere successo qualche anno fa, no? Mi rendo conto adesso che non sapere la tua età. — Trentatré. Quindi, sì, certo, è successo qualche anno fa. — E da allora non c’è più stato nessuno? — Sono uscita con molti uomini, a volte con lo stesso per parecchi mesi, ma non c’è mai stato nulla di più serio. — Perché no? Io ho le mie ragioni, mi chiedo quali siano le tue. Alec la vide incupirsi. — Non ci ho mai riflettuto. Lui non poté fare a meno di pungolarla. — Scrivi romanzi erotici in cui racconti anche di relazioni di coppia, oltre che di sesso, e non ti sei mai chiesta per quale motivi tu le eviti? — Non ho detto che le evito. — Io lo ammetto senza problemi, Dylan. — Alec scrollò le spalle. — Evito le relazioni serie. — E suppongo che tu sia del tutto a tuo agio nello spiegare perché. — Io amo le donne, amo il sesso, ma questo non si è mai tradotto in un rapporto permanente. Non ho mai provato il desiderio di farlo. Sono perfettamente felice così come sono. — E da quanto tempo? — Be’, ho trentasei anni... è stato così per tutta la mia vita adulta. — Dev’esserci un motivo. — Forse non mi interessa approfondirlo.
— Però sembra tu voglia che lo faccia io. Ora aveva un’aria davvero infastidita. Ad Alec piaceva quel suo sguardo , sapere di essere in grado di estinguere quel fuoco con poche parole scelte con cura o semplicemente posandole una mano sulla nuca. Preferiva pensare a quello piuttosto che alla domanda che lei gli aveva posto. Doveva tenere bene in mente che Dylan era quella che avrebbe dovuto essere turbata e confusa. E non voleva porsi le domande che avevano iniziato a fare capolino nella sua mente da quando l’aveva conosciuta. Chiedersi se la decisione di suo padre di voler condurre un’esistenza solitaria fosse del tutto giusta o adeguata anche per lui solo perché condividevano gli stessi geni. Erano interrogativi troppo grandi per essere affrontati in quel momento. — D’accordo, Dylan, cambiamo argomento. Mi sono reso conto che non hai mai menzionato tuo padre. Questa significava cambiare argomento? Be’, meglio parlare del padre di Dylan che del proprio. — Forse perché non l’ho più visto da quando avevo sei anni. — Ah! — Che cosa significa: “Ah!”? Si stava davvero innervosendo. Non le sarebbe piaciuto ciò che lui stava per dire. Non le sarebbe piaciuto affatto. Alec scrollò le spalle. — Forse è questo il motivo per cui eviti le relazioni serie. Lei distolse lo sguardo per un istante, serrando i denti, e Alec si pentì di averla provocata fino a quel punto. Le prese la mano. — Mi dispiace. Mi rendo conto di aver esagerato. Dylan si voltò verso di lui e la sua espressione tornò a essere dolce e rilassata. — Va... tutto bene. So di essere molto testarda a volte. — Sì, lo sei. — Ci sono cose della mia vita, del mio ato, troppo personali, Alec. Cose di cui non parlo con nessuno. — Con nessuno? — Forse con Mischa, la mia migliore amica. — È bello avere un’amica, qualcuno con cui potersi confidare. Forse un giorno ti sentirai sufficientemente a tuo agio con me da dirmene qualcuna. — Forse. Dylan gli sorrise e lui provò una strana sensazione al petto. Non voleva sapere perché, così come preferiva non sapere perché fosse tanto importante per lui che Dylan gli parlasse della
propria vita. Ma lo era. Doveva stare in guardia con quella donna, altrimenti si sarebbe ritrovato coinvolto più profondamente di quanto avrebbe voluto. Con chiunque altro. Non era il tipo d’uomo da legarsi a una donna. Quando si trattava di sesso, aveva sempre il controllo totale. Qualsiasi cosa esulasse da quella sfera era troppo imprevedibile, troppo vulnerabile al caso, come suo padre gli aveva insegnato. Era stato proprio il caso a separare i suoi genitori. O forse no? Alec stava iniziando a chiederselo... Ma non era quello il momento per soffermarsi a riflettere sul rapporto dei suoi genitori. Perché quella sera la sua mente aveva iniziato a divagare? Ciò che era importante era il presente, quella serata insieme a Dylan. E sarebbe stato meglio per tutti se lui avesse mantenuto il suo abituale distacco. Doveva concentrarsi, tornare su un terreno sicuro, sul suo compito. Un compito molto piacevole. Irresistibile. — Tutto bene, Dylan? Perché credo sia giunto il momento di iniziare. — Adesso? — Sì, adesso. La sua espressione non aveva prezzo. Alec vide un’intera gamma di emozioni attraversarle il volto: confusione, desiderio, paura, eccitazione. Tutto insieme. Lui stesso provò una fortissima emozione, una stretta allo stomaco. Sentì scorrere l’adrenalina e il suo cazzo indurirsi tra le gambe. Un’eccitazione così potente da cancellare qualsiasi altro pensiero. Tutte le domande. I dubbi. Sarebbe andato tutto bene se non ci avesse più pensato, se si fosse limitato a fare ciò che sapeva fare meglio. La vide mordersi le labbra, i denti bianchi affondare nella carne rossa e turgida. Meravigliosa. Era bellissima. La desiderava a tal punto da non riuscire quasi a resistere alla tentazione di toccarla. Presto l’avrebbe fatto. Si alzò in piedi e le scostò la sedia. Si accorse che lei era percorsa da un lieve tremore. Deliziosa. L’attirò a sé, inalando il profumo di vaniglia della sua pelle e dei suoi capelli. Chinandosi su di lei, le sussurrò all’orecchio: — Adesso ti porterò di sopra, Dylan, e ti farò tutto quello che ho sognato di farti dall’ultima volta che ti ho avuta nel mio letto. Sei pronta? — Sì. — La sua voce era ridotta a un sussurro, così fievole da farlo rabbrividire. Alec non voleva pensare a quello che le aveva appena detto: che aveva sognato di lei. Ma quello non era un sogno. Dylan sarebbe stata sua. L’avrebbe sculacciata e poi
l’avrebbe scopata. Più e più volte. E avrebbe mantenuto il controllo, come sempre. Il controllo come sempre. Ripeté tra sé quelle parole ancora una volta. E cercò d’ignorare il fatto che non ci credeva del tutto.
8 Dylan lo seguì su per le scale, la mano stretta in quella di Alec. C’era qualcosa nella sua presa così calda e lieve che, pur senza forzature, la faceva sentire al suo comando. Non si sarebbe fermata a riflettere su quanto il suo corpo amava quella sensazione. Su quanto l’atteggiamento deciso di Alec accelerava i battiti del suo cuore e la eccitava. Non avrebbe riconosciuto la battaglia psicologica che ancora si dibatteva dentro di lei, attimo dopo attimo. Se lo avesse fatto, avrebbe potuto mettere un freno a tutto ciò. Avrebbe sicuramente messo un freno. Molto meglio lasciarsi andare. Offrirsi, come diceva lui. Provarci, almeno. Era troppo piacevole per fermarsi. Era in una fase di negazione, lo sapeva. Fingeva che quello fosse semplicemente sesso trasgressivo, che non significasse nulla di più, per lei, sul modo in cui Alec la faceva sentire. “Sì, è solo sesso, una reazione puramente fisica, senza un significato particolare.” La camera era debolmente rischiarata da una lampada sul cassettone; un alone di luce dorata che illuminava il grande letto. Dylan rammentava bene la sensazione delle lenzuola fresche di bucato e del corpo nudo di Alec accanto a lei. Il suo sesso pulsava di desiderio. “Di già.” Alec si voltò verso di lei e, avendolo così vicino, Dylan poté rendersi conto della sua stazza, della sua altezza e dell’ampiezza del suo torace. Abbassò gli occhi sui suoi avambracci tatuati. Perché lo facevano apparire più sexy? Più perverso? — Dylan, fai attenzione. Alec le sollevò il mento affinché lei lo guardasse negli occhi, come per farle capire chi comandava. Non che lei avesse mai avuto dubbi, con lui. In quell’istante Dylan realizzò che era il primo uomo che lei avesse conosciuto con un controllo maggiore al suo. Forse questo spiegava quell’insana attrazione, così come la naturalezza con cui si sottometteva a lui. Fu percorsa da un’ondata di paura, di risentimento. “Non pensare.”
— Dylan, voglio che ti concentri, che tu non perda il contatto con me. Lei lo guardò, fissando i suoi penetranti occhi azzurri. — Ci sono. Lui socchiuse le palpebre. — Sì, adesso ci sei. Molto meglio. Alec lasciò la sua mano, indietreggiò di un o e lei pensò che le avrebbe detto di spogliarsi, come aveva fatto l’ultima volta. Il cuore le martellava nel petto, un turbinio di nervosismo ed eccitazione, sommato allo sforzo che doveva fare per mantenere la mente sgombra, per resistere alla tentazione di analizzare quello che stava succedendo. In silenzio, Alec le si avvicinò di nuovo e iniziò a svestirla. Lentamente, delicatamente, mentre lei rabbrividiva sotto il suo tocco. Ora la sua mente si stava svuotando, che lei lo volesse oppure no. Non riusciva più nemmeno a ricordare che cosa avesse pensato fin solo a pochi attimi prima. Alec le abbassò la camicetta sulle spalle. — Una pelle così bella... mi piace la carnagione così chiara... hai qualche efelide qui... delle piccole, dolci sorprese. Le sfiorò le spalle con la punta delle dita e il piacere l’attraversò come una scarica elettrica, scorrendole nelle vene. Le stava solo toccando le spalle! Alec staccò la mano per aiutarla a togliersi le scarpe col tacco alto, poi le aprì la cerniera dei pantaloni e glieli abbassò sui fianchi. Dylan rimase solo con gli slip di pizzo bianco e il reggiseno. Rimase solo con la potenza del suo desiderio. — Oh, mi piace che tu abbia scelto questa lingerie così innocente per incontrarmi. Ti dona molto il pizzo, ma questa notte toglieremo tutto. Dylan se lo aspettava, ma chissà perché rimase ugualmente turbata. Paralizzata. — Andiamo, Dylan, ho già toccato ovunque il tuo corpo. Un corpo straordinario, tra l’altro. Non puoi intimidirti all’idea che io ti veda nuda. — Non sono intimidita. — E allora qual è la causa di questo delizioso rossore? Non che mi dispiaccia, ma sono curioso di conoscerla. — Io... mi sento solo un po’... senza fiato. Come se non sapessi che cosa aspettarmi, pur sapendolo entro certi limiti. — Non pensare alle aspettative, cedere il controllo significa anche questo. — Sì, me ne rendo conto, ma non so come fare. — Forse hai bisogno di essere distratta. Alec le sorrise, mettendo in mostra i denti forti e bianchi. Non si rendeva conto di
quello che provocava in lei quando sorrideva. O forse sì. Riprese a toccarla e Dylan non riuscì più a pensare, le mani di Alec le accarezzarono le braccia e i fianchi. Scivolarono sulla sua schiena e scesero verso le natiche, stringendole dapprima delicatamente, poi attirandola verso di sé. Dylan poteva sentire la durezza della sua erezione anche attraverso il tessuto pesante dei jeans. “Splendido...” Il respiro di Alec era caldo contro i suoi capelli, vicino al suo orecchio, mentre lui le sussurrava: — Fallo, Dylan, lasciati andare. Donati a me. Mi prenderò io cura di te, te lo prometto. Lei sapeva che lo avrebbe fatto. E qualcosa nel tono basso e roco della sua voce, nelle sue mani su di lei, la indussero a rilassarsi, e il suo corpo si abbandonò al puro desiderio. Rimase perfettamente immobile, mentre Alec le slacciava il reggiseno. Sentì il cotone morbido della sua maglietta, mentre il reggiseno scivolava a terra e lui l’attirava contro il suo torace. I capezzoli le s’indurirono immediatamente. Dylan gemette. — Oh, ecco. Brava bambina. Lei rabbrividì nell’udire quelle parole. Avevano un effetto afrodisiaco su di lei. E quando Alec le abbassò gli slip di pizzo sui fianchi, i brividi divennero un tremore in tutto il corpo. — Coraggio, solleva i piedi. Ecco fatto. Dylan fece ciò che lui le chiedeva, liberandosi degli slip. Alec la teneva ancora stretta a sé, le sue mani sulle spalle, e lei poteva sentire ogni centimetro del suo corpo forte e muscoloso. Era una strana sensazione essere completamente nuda, mentre lui era ancora vestito. La faceva sentire vulnerabile. Le faceva girare la testa. Alec le strinse la nuca, e quel semplice gesto le svuotò la mente di qualsiasi pensiero, a eccezione dell’unica parola che desiderava dirgli. “Sì.” — Lo sento, sai? — mormorò Alec. — Sento che ti stai abbandonando. È come se il tuo corpo fosse più leggero, non è così? La tua mente tranquilla. È esattamente così che ti voglio, Dylan, in questo stato mentale. Questa volta ci sei arrivata facilmente. Sarà molto, molto piacevole questa notte. Con una mano le accarezzava i capelli, mentre l’altra continuava a tenerle la nuca fino a quando la stretta divenne quasi fastidiosa. Ma lei stava sprofondando in quella dimensione ovattata, dove c’era uno strano silenzio e una tranquillità mescolata a quello squisito desiderio. Era scossa da un lieve tremore. — Ti prego, Alec — bisbigliò. — Ti prego... cosa?
— Ti prego, toccami. Lui fece una risatina. — Oh, lo farò. Alec immerse le dita nei suoi capelli, strinse una ciocca nel pugno della mano e le tirò la testa all’indietro. Dylan non tentò di opporsi, anche se le faceva un po’ male. Lui tirò ancora un po’, solo per farle capire che ora era davvero nelle sue mani. Una parte di lei avvertì un inizio di panico. Una vocina in un angolo della sua mente le diceva di fermarlo, di fuggire via. Ma il piacere e il bisogno di compiacere Alec ebbero la meglio. “È arrivato il momento di cedere il controllo.” Mentre lui si chinava a baciarle il collo, Dylan lasciò ricadere la testa all’indietro. Il suo sesso era bollente, sempre più caldo e bagnato. E, come se avesse capito esattamente ciò di cui lei aveva bisogno, Alec fece scivolare una mano tra le sue gambe. — Apriti per me, Dylan. Lei dischiuse le gambe e le dita di Alec scivolarono tra le pieghe umide. — Oh... — Sei pronta, bambina mia. Staccò la mano e lei rimase delusa. Ma non disse una parola, mentre lui la conduceva ai piedi del letto. La portò fino al bordo e lei si sedette, in attesa, osservandolo mentre lui si sfilava la maglietta dalla testa. Il suo sesso ebbe uno spasmo alla vista dei muscoli guizzanti del suo addome, del torace e delle braccia. I capezzoli erano scuri. Dylan avrebbe voluto toccarli e leccarli, ma rimase ferma dov’era. — Sei molto brava — le disse lui, indietreggiando di un o per rivolgerle uno sguardo carico di apprezzamento. — Te ne stai lì seduta ad aspettare senza bisogno che io te lo dica. Perfetta. Come una bambola. Ti viene naturale, Dylan. Sapevo che sarebbe stato così. Lei non riusciva quasi a capire quello che lui stava dicendo. Non voleva chiedersi che cosa le stesse succedendo. Voleva semplicemente obbedirgli. Alec s’inginocchiò sul pavimento davanti a lei e le aprì le gambe, sistemandosi nel mezzo. Dylan sentì il tessuto ruvido dei suoi jeans contro le caviglie. — Inclinati all’indietro e sostieniti sui gomiti. Dylan fece come le era stato detto. — Bene, resta così, voglio che mi guardi. Non chiudere gli occhi, capito? — Sì. Il desiderio era lava fusa dentro di lei, scorreva nelle sue membra, nelle sue vene. E quando Alec usò entrambe le mani per separare le labbra del suo sesso, Dylan divenne bagnata
fradicia. — Allargati per me... sì, così... Alec le divaricò le gambe fino a quando lei fu completamente aperta davanti a lui. Si sentiva oscena. Bella. — Questa è la parte che preferisco del corpo di una donna — disse lui, massaggiando le labbra turgide. — Alcuni dicono che assomigli a un fiore, a un’orchidea, e io sono d’accordo. Altrettanto dolce, altrettanto preziosa. E così incredibilmente morbida. Mentre lei lo guardava, Alec s’infilò due dita in bocca e succhiò. Lei gemette. Non riusciva a restare ferma. — Ah, ti piace? — Sì — sussurrò Dylan con voce a malapena udibile. Alec sorrise, e mise quelle stesse dita tra le labbra della sua vagina. Massaggiò la parte esterna e lei pensò che sarebbe impazzita se non le avesse infilate subito. Il piacere faceva pulsare dolorosamente il suo sesso, il clitoride bruciava di desiderio. — Ti prego, Alec... — Vuoi già venire, piccola mia? — Sì! Infilò le dita e lei inarcò la schiena. Alec premette il pollice sul clitoride. — Oh! Iniziò a muovere la mano, le dita e il pollice, in piccoli cerchi. Il piacere s’intensificò, bruciando dentro di lei. — Stai per venire? — Sì, sì... — Aspetta. — No... — Ti ho detto di aspettare, Dylan. Lei si morse le labbra, cercando di tenere a freno l’ondata di piacere che minacciava di sopraffarla. Mentre faceva questo, l’altra mano di Alec le pizzicò con forza una natica. — Oh! — Ti piace? — Mi... hai fatto male.
— Ma ti piace? — le domandò lui. — Sì, mi piace... ah... Alec la pizzicò di nuovo, questa volta più forte, e dentro di lei il dolore si mescolò al piacere. — Alec, sto per venire, ti prego... — Non ancora. Il dolore ti fa eccitare di più? — S... sì. Non riesco a resistere, devo venire! — Aspetta. Trattieniti. Dimmi che lo farai. Un altro forte pizzicotto, come per punirla, e di nuovo il dolore si convertì in piacere. — Sì... — ansimò lei. — Aspetterò. Il suo corpo tremava, ma non le importava. Le mani di Alec continuavano a muoversi, le sue dita dentro di lei, il suo pollice che premeva sul clitoride inturgidito. L’altra mano che le pizzicava le natiche e la coscia. Le faceva male. Ma era incredibilmente eccitante. Dylan si perse in quelle sensazioni. — Sei così bella, Dylan... ora voglio vederti venire. Per me. Alec infilò le dita, mentre il pollice continuava a muoversi in cerchio sul clitoride. Al tempo stesso le pizzicava l’interno della coscia affinché il dolore enfatizzasse l’orgasmo. Dylan venne. Migliaia di stelle esplosero dentro di lei, sparandola nello spazio. Boccheggiò in cerca d’aria, mentre un grido sfociava dalla sua gola. — Oh... Dio... Alec! Inarcò il bacino, il corpo scosso dal piacere che la sommergeva. Poi ricadde sul materasso. Esausta, tremante. Alec salì sul letto e l’attirò su di sé. La fece voltare e, mentre le ultime ondate di piacere ancora scuotevano il suo corpo, iniziò a sculacciarla. La mano di Alec era fuoco sulla sua pelle, mentre la colpiva ripetutamente. Ma c’era anche piacere, e Dylan si sorprese a sollevare il bacino per incontrare la sua mano. Il rumore delle sculacciate le arrivava attutito alle orecchie, come se provenisse da lontano. Sentiva il respiro affrettato di Alec, ed era come se esistesse solo quello, il suo respiro e la dura protuberanza del suo sesso in erezione premuto contro il ventre attraverso i jeans. Il suo profumo virile. Alec continuò a sculacciarla più forte e più in fretta. Con l’altro braccio le cinse la vita, tenendola ferma. Il dolore era piacere; non esistevano più linee divisorie. Dylan aveva quasi l’impressione di poter venire di nuovo, semplicemente così. — Brava bambina. Sei proprio brava. Dylan non sapeva perché la rendesse tanto felice sentirsi dire quelle cose. Non riusciva
a pensare con lucidità. Era in un’altra dimensione. Voleva che lui la scoe. Aveva bisogno che lo fe. Mentre il desiderio cresceva, udì i propri gemiti ansimanti echeggiarle nelle orecchie. Ma non riusciva a trattenerli. E non voleva farlo. — Dylan, stai per venire di nuovo. — Oh... — Per me. — Sì, per te. Alec le lasciò la vita e fece scivolare la mano lungo il suo addome e tra le gambe, raggiungendo il clitoride. Era ancora intorpidita da prima, ipersensibile, ma lui iniziò a massaggiarla con forza, continuando a sculacciarla. Per qualche istante, il dolore ebbe la meglio, poi il piacere ricominciò a diffondersi nel suo corpo, e il suo sesso s’inturgidì. Il dolore intensificò l’eccitazione. Ogni sculacciata faceva sì che lei premesse il pube contro la mano di Alec e contro le dita che titillavano il suo clitoride. Dylan stava per venire di nuovo. Forti spasmi di piacere... ondate crescenti... Incredibile. Potente. Calore, desiderio... lui. Stava urlando, mentre annegava nel piacere. — Alec! La forza dell’orgasmo la lasciò tremante. Lui la tirò su in modo che lei potesse sedersi sulle sue ginocchia e la tenne stretta. Dylan appoggiò la testa sulla sua spalla, sentì la forza delle sue braccia che la stringevano. Dentro di lei, un calore delizioso: nel suo ventre, nelle sue membra, nella sua testa. Nel suo cuore. Se si fosse concessa di pensarci anche solo per un momento, si sarebbe detta che non poteva accadere. Zittì quella vocina. Non voleva ascoltarla in quel momento. Non voleva pensare. Avrebbe avuto tanto tempo per farlo più tardi. Per esaminare la situazione, sviscerarla e ricomporla in modo che assumesse un senso. Per il momento niente aveva importanza. Solo il fatto di trovarsi lì, insieme ad Alec. Lui la osservava mentre riprendeva fiato. Un delizioso rossore si era diffuso sulle guance di Dylan, come era accaduto anche sulla pelle delicata del suo fondoschiena dopo che lui l’aveva sculacciata. Un culo perfetto, dolcemente tondeggiante, posato su di lui. Contro il suo cazzo duro. Infilò di nuovo una mano tra le sue gambe e la sentì rabbrividire quando fece scivolare le dita in quell’umido calore. Era bagnata fradicia. Pronta. E lui non poteva aspettare un minuto di più. La riadagiò sul letto solo il tempo necessario per prendere un preservativo dal comodino
e sfilarsi i jeans. L’aria era fresca contro la sua pelle nuda, una languida carezza sul suo sesso duro come il marmo. Cristo, stava per esplodere semplicemente guardando i suoi lucenti occhi grigi come cristalli color fumo. Dylan li abbassò sulla sua erezione, e si leccò con la punta della lingua le sue splendide labbra rosa. “Cazzo!” Quasi gli sfuggì un gemito. I suoi seni erano perfetti come tutto il resto, i capezzoli rosso scuro contro la pelle chiara. Il suo cazzo sussultava mentre la guardava. — Alec... — La voce di Dylan era bassa, come se le mancasse il respiro. — Sì? — Stai per scoparmi? Perché io ne ho bisogno. Lui sorrise, facendo scorrere la mano per tutta la lunghezza del suo sesso, dalla base alla punta. — Sì, sto per scoparti. Bene e a lungo. Potrei anche sculacciarti mentre lo faccio. E tu verrai di nuovo per me, piccola. Dylan gli rivolse un languido sorriso, i suoi occhi brillavano come argento. No, lei non era esattamente languida, ma come sospesa in un’altra dimensione. Ma sapeva esattamente ciò che voleva. — Ti prego — fu tutto quello che disse. “Non posso aspettare un minuto di più.” Lui l’afferrò, cingendole la vita sottile, e la mise in mezzo al letto. Le divaricò le gambe con le ginocchia, facendo in modo che lei appoggiasse le gambe sulle sue. La sua pelle era così liscia... irresistibile. Con le cosce aperte, Alec poteva vedere la sua splendida fica rosata: bagnata, lucida, gonfia. Il suo cazzo ebbe uno spasmo. Doveva averla. Subito. Con l’altra mano le afferrò entrambi i polsi, sollevandoli sopra la sua testa, e lei lo lasciò fare. Dylan non tentava più di opporsi, e il fatto che si fosse abbandonata completamente a lui era qualcosa che andava al di là della solita eccitazione provocata dal gioco di ruolo. Con quella donna c’era di più. Ma non riusciva a pensarci in quel momento. No, adesso aveva solo bisogno di sprofondare in lei. E lo fece con un unico colpo di reni. Lei trasalì. Il piacere ingrossava il suo cazzo. Dentro, lei era una guaina calda, stretta e scivolosa. — Cristo, Dylan, sei così stretta, così bagnata... non posso fare a meno di scoparti...
— Sì... Alec iniziò a muoversi, ondeggiando il bacino. Lo sguardo di Dylan era incollato su di lui, gli occhi socchiusi, il respiro affrettato. Le guance di nuovo arrossate, i capezzoli più scuri, più duri. Alec si chinò a prenderne uno tra le labbra. — Oh! Lo succhiò con forza e lo morse. — Dio, Alec! Lui si ritrasse. — Ti ho fatto male? — Sì — bisbigliò lei. — E ti piace? — Oh, sì! Alec si chinò a succhiare l’altro capezzolo e anche questa volta lo addentò. — Ahi! Alec... Dylan inarcò il bacino, contorcendosi. Non voleva davvero divincolarsi, ma non riusciva a stare ferma per l’intensità del piacere. Lo stesso martellante piacere che ruggiva dentro di lui, mentre affondava in lei. La fica di Dylan imprigionò il suo cazzo, un guanto scivoloso che diventava sempre più stretto, e Alec capì che presto sarebbe venuto. Alzò la testa per guardarla, doveva guardarla. Lei aveva la fronte aggrottata, la bocca aperta per il piacere. Era troppo bella... Anche Alec sentiva brividi di piacere in tutto il corpo: lungo il pene, nei testicoli, nell’addome, dentro braccia e gambe. Portò una mano alla bocca di Dylan, toccando le sue labbra carnose con la punta delle dita. — Succhia — le ordinò. Lei lo fece, succhiando con avidità, come se le avesse offerto il cazzo. Alec gemette, ritraendo a fatica le dita dalle sue labbra e facendole scivolare sotto il suo bacino, tra le natiche. Tenendo sempre lo sguardo fisso negli occhi di Dylan, premette con un dito contro il piccolo foro. Le pupille di Dylan si dilatarono, ma non protestò. Quando Alec infilò la punta del dito, lei sospirò, e lui sentì il suo sesso stringersi ancora di più intorno al suo cazzo fremente. Dovette fermarsi un attimo per controllare il piacere. “Calmati.” Fece un respiro profondo, non voleva ancora venire. L’ano di Dylan era stretto e caldo e lui spinse un po’ più a fondo, oltreando l’anello del muscolo.
— Ti piace? Lei gemette. — Dillo — le ordinò. — Sì, mi piace. Mi piace tanto. Ancora... di più. Alec spinse più a fondo e lei gemette di nuovo, sollevando il bacino. — Di più, Dylan? — Sì, ti prego. — Fai un bel respiro. A poco a poco aggiunse un secondo dito. Lei respirava profondamente, il suo corpo si rilassava. Alec riusciva a stento a mantenere il controllo. — Ti piace se ti scopo il culo così, con le dita? — Sì, mi piace. Alec iniziò a muoverle dentro e fuori. Attraverso la sottile membrana, sentiva le sue stesse dita contro il proprio sesso che affondava in lei. Era troppo... troppo... — Ah... Cristo, Dylan! Le lasciò le braccia e lei gli cinse la nuca, mentre lui la scopava con forza, ritmicamente, continuando a penetrarla con le dita. Dylan sollevava il bacino verso di lui, scopandolo, come lui scopava lei. Entrambi ansimavano, col fiato corto. Il corpo di Dylan s’irrigidì, il suo sesso iniziò a contrarsi, stringendosi intorno al cazzo di Alec. Quando venne, lei gridò forte il suo nome. — Alec! Dio, Alec... Alec... Lui si trattenne, voleva scoparla il più a lungo possibile. Era troppo piacevole, non poteva smettere. Affondò in lei, mentre le sue dita continuavano a penetrarla. Dylan tremava, la sua fica era ancora un guanto bollente e vellutato. Una stretta calda e bagnata. Il piacere continuò a crescere fino ad accecarlo, quando infine anche lui venne, martellando dentro di lei. — Devo continuare a scoparti, piccola. Mmm... scoparti... sì! Alec aveva le vertigini. I loro corpi erano un groviglio di carne e di sudore, con l’odore di sesso ovunque, quando si accasciò su di lei, sfilando le dita dal suo ano. Era profondamente consapevole del corpo di Dylan sotto di sé. I seni morbidi, premuti contro il suo torace, il ventre liscio e concavo. Pelle di porcellana, era l’unico modo in cui poteva descriverla. Ma bollente, viva. E i suoi capelli... riccioli rossi ovunque. Alec affondò una mano in quelle spirali setose e inalò il profumo che quelli emanavano... che lei emanava.
I battiti del suo cuore erano selvaggi quanto i suoi capelli sparsi sul cuscino. Ma c’era dell’altro, oltre al martellare impazzito del suo cuore e all’estasi dei sensi. Che cosa diavolo gli stava succedendo? Si sollevò da lei, rotolando su un fianco. — Ti devo ancora una sculacciata — le disse. Lei fece una risatina e poi si voltò di spalle. — Okay, me la prendo subito — mormorò a bassa voce, parlando lentamente, come se le parole fossero state ricoperte di miele. — Ah, stai diventando sfacciata, Dylan. — No, sono solo disponibile. Non è questo che vuoi da me? Che pretendi da me? — Certo, assolutamente. Ma era del tutto vero? Lui voleva... più di quello. “Fanculo, non pensarci adesso.” Sollevò il braccio e la colpì con forza, sorridendo quando lei sobbalzò. Comando. Controllo. Il suo compito era quello di provocare la reazione di Dylan. Doveva essere lui a dirigere lo show. Sollevò di nuovo la mano, ma si fermò. No, non l’avrebbe sculacciata per dimostrare questo. Non era da lui. Sarebbe stato ridicolo. Irresponsabile. Imperdonabile. Fuori controllo. Abbassò la mano e le disse: — Per il momento lasceremo perdere le sculacciate. Dylan rimase immobile e in silenzio. E guardando le dolci curve del suo corpo, Alec non ebbe la forza di farla muovere. Posò invece la mano sulle sue natiche piccole e calde. E pensò: “È mia”. Un pensiero pericoloso. Era un dominatore, e il senso del possesso era naturale in quel genere di relazione. Ma tra loro c’erano accordi diversi. Del resto, lui non si era mai legato a nessuna donna. Mai. E Dylan non doveva fare eccezione. Alec non voleva pensare al perché avesse dovuto redarguirsi mentalmente per rimettere ordine nei propri pensieri. Ora si sarebbe calmato, si sarebbe ripreso dall’intensità di quell’orgasmo e poi ci
avrebbe pensato. O forse l’avrebbe scopata di nuovo e non ci avrebbe pensato affatto. Il punto era che non aveva fatto che pensare a Dylan Ivory da quando l’aveva conosciuta, e non aveva ragione di credere che le cose sarebbero cambiate entro breve. “Cazzo!”
9 Dylan era sul divano con una morbida coperta in grembo e ascoltava il rumore della pioggia, bevendo il suo tè verde al gelsomino. Era stanca e dolorante. Aveva l’impressione di trovarsi in uno stato di trance dalla sera prima, da quando era arrivata a casa di Alec. Il semplice fatto di recarsi da lui, obbedendo alle sue istruzioni, le aveva dato alla testa. Era scivolata troppo facilmente in quello stato, soprattutto dopo che avevano iniziato. E quello che era successo tra loro... Assolutamente incredibile. L’intimità che si era creata e che aveva reso il sesso in qualche modo diverso. Migliore. Più intenso. Ma quella mattina era nervosa e piena di dubbi, e aveva i battiti accelerati dall’ansia. Aveva davvero fatto quelle cose? Aveva davvero ceduto le redini a un uomo? Aveva accettato di perdere il controllo di se stessa. Ancora non riusciva a capacitarsene. Alec aveva ragione a proposito della sottomissione. Su questo non c’era da discutere. Ma perché quella mattina era tanto arrabbiata con lui, a tale proposito? Non era colpa sua. O forse sì? Non voleva essere in collera. Non voleva sentirsi spaventata. In quel momento desiderava solo restare seduta dov’era, dolorante e assonnata, confortata dalla sua coperta, dal suo tè e dal rumore della pioggia. Voleva godersi l’esperienza della notte precedente. Perché era stato bello. Più che bello. Perché rovinare tutto con infinite domande? Quando suonò il telefono, pensò di lasciare che si inserisse la segreteria. Ma poi le venne in mente che potesse essere Alec. E rispose. — Pronto? — Ciao, Dylan, sono Mischa. — Ah, ciao. — Be’, anch’io sono molto felice di sentirti. — Scusami, Mischa, pensavo fosse Alec. — Ah! — Che cosa significa: “Ah!”? — Significa che evidentemente sta succedendo qualcosa. Perché non mi hai chiamato
per dirmelo? — Io... — Dylan si morse le labbra. — Non lo so. — Ho la sensazione che io e te dobbiamo parlare. — Tu e le tue sensazioni, Mischa! — Stai evitando il discorso. — Sì. — Perché? Dylan sorseggiò il tè, inalando il vapore profumato. — So solo che... è diverso per me. Non so ancora nemmeno che cosa dire. — Perché non cominci con che cosa è successo da quando ci siamo sentite la settimana scorsa? — Io e Alec abbiamo parlato. E l’ho visto. Mi ha portata fuori a cena, il che mi è parso... un po’ bizzarro date le circostanze. Non è come mi aspettavo dopo quello che mi aveva detto Jennifer di lui, non lo è affatto. Pensavo fosse un tipo burbero, scorbutico e taciturno, e invece non lo è affatto. Ora mi sembra persino ridicolo averlo pensato. Ma non è nemmeno come mi aspettavo dopo la prima volta che ci siamo visti. Inizialmente, ho avuto quest’impressione di lui... forse perché ero a disagio per le mie reazioni nei suoi confronti, e allora mi sono inventata che dovesse essere un certo tipo di persona. La prima volta che ci siamo visti, ho capito subito che era un uomo intelligente e colto. Non dal punto di vista nozionistico, ma in quanto conoscitore del mondo. Un persona di buon senso. Forse è l’essere umano più sicuro di se stesso che abbia mai conosciuto. All’inizio ho pensato fosse arrogante e mi sono focalizzata su quello, ma non è vero, perché ha tutte le ragioni per essere tanto sicuro di sé. Fece una pausa e sorseggiò il tè. — Possiede un’autorevolezza che mi piace, ma ogni tanto mostra anche un lato dolce. E non si vergogna di farlo. Quando mi ha detto di aver perso suo padre... mi sono resa conto di quanto abbia sofferto, di quanto ne soffra ancora. Di solito, i maschi alfa hanno un atteggiamento molto macho, ma lui no. È più sofisticato. E non è affatto un narcisista, come tendono di solito a essere i machi. Perché quello è in realtà un segno di insicurezza e, credimi, quest’uomo non ha nulla di cui essere insicuro. Ripensò al suo viso, alla sua bocca sensuale, a quegli incredibili occhi azzurri. Rammentò il tocco della sua mano sulla pelle. — Pronto, Dylan? — Che c’è? — Pensavo fosse caduta la linea. — Oh, scusa, è che ho dormito poco ieri notte. — Si ò una mano tra i capelli,
scostandosi i riccioli dal viso. — Che cosa è successo? — Ho dormito insieme a lui. Ma prima è meglio che ti racconti dell’altra sera... Mi ha portato in una specie di club privé... — Che cosa? Non me l’avevi detto! — Lo so, lo so... La voce di Mischa si caricò d’ansia. — Stai bene? — Sì, sto bene. Intendo dire... fisicamente sto bene. È stato... strano. Sono un po’ confusa, tutto qui. — Non stai scherzando... Dylan sospirò. — Non riesco a capire. Quest’esperienza tocca qualcosa dentro di me. Mi sta facendo aprire. Lui mi sta facendo aprire. Questo mi spaventa molto, ma devo farlo. A volte vorrei solo scappare, fuggire via da lui, perché mi fa sentire... vulnerabile. — Però continui a vederlo. — Sì. — Pensi che si tratti di qualcosa di più di un’infatuazione? Qualcosa di più dell’eccitazione derivante dal fatto che ti sta facendo conoscere qualcosa di nuovo? Qualcosa oltre il semplice sesso? — Forse. — Wow! — Sì, wow! Il sesso con lui è incredibile. — Ci fu una lunga pausa dall’altra parte della linea. — Mischa? Non sei mai così silenziosa. Che cosa stai pensando? — Sto pensando che è tutto strabiliante. Perché stiamo parlando di te, Dylan, e queste cose a te non succedono. Mi sorprende che tu sia così calma. Che tu abbia accettato la cosa. — Oh, non sono affatto calma. Sto andando fuori di testa. È tutta la mattina che ci penso, e sono ancora un po’ confusa da quanto è successo. — Quanto lo rivedrai? Che accordi avete? — Ci siamo svegliati tardi questa mattina. Lui aveva una teleconferenza con il suo agente, e così mi ha caricata su un taxi. Mi ha detto che mi chiamerà in settimana. — Prima ti ha offerto almeno la colazione? — Solo un caffè. — Ah!
— Mischa, non desideravo altro. E poi lui doveva lavorare. E anch’io dovrei lavorare. Ho delle scadenze che ultimamente ho trascurato. È andata bene così. — Okay, se lo dici tu... Alfa o non alfa, se ti fa soffrire, vengo lì a prenderlo a calci in culo. Dylan sorrise. — D’accordo, affare fatto. Ma non permetterò che succeda. Mi sento molto egoista per aver monopolizzato la conversazione. Dimmi un po’ di te. — Il solito. Il negozio di tatuaggi va bene. Ho prenotazioni per i prossimi quattro o cinque mesi, anche perché ho limitato l’attività a quattro giorni alla settimana per poter scrivere. Ho consegnato un racconto pochi giorni fa e inizierò un altro libro, il mio primo romanzo, il prossimo fine settimana. Sto uscendo con un paio di ragazzi, ma nulla di serio. Sicuramente, non quanto la tua relazione. — La mia non è una relazione seria, non mi aspetto che lo sia. A nessuno dei due interessa un rapporto stabile. Ma quando Dylan riagganciò, un piccolo pensiero s’insinuò nella sua mente, un frammento di dubbio che le procurò una fitta allo stomaco. Perché lei non era più del tutto sicura che quello che aveva detto fosse vero. Alec trovò un posto libero al bancone del bar, si sedette e ordinò una birra. Non voleva ubriacarsi, ma aveva decisamente bisogno di staccare la spina. Il barman gli mise il bicchiere davanti e lui fece un lungo sorso, assaporando la bevanda scura e pastosa. Fuori stava ancora piovendo; aveva piovuto per tutto il giorno. Ma lui si sentiva disidratato come se fosse stato in mezzo al deserto. Completamente prosciugato. Si era svegliato in quello stato ed era terribilmente infastidito per non essere riuscito a riprendersi. Per quel motivo aveva mentito a Dylan quella mattina, dicendole che aveva un appuntamento con il suo agente. Tutte balle. Aveva semplicemente bisogno di restare solo. Di riflettere. Si sentiva svuotato. Per questo aveva telefonato a Dante e gli aveva proposto d’incontrarsi quella sera nel loro locale preferito. Alzò gli occhi e vide il suo amico entrare. Era alto e slanciato, con occhi e capelli scuri, e tutte le donne presenti nel bar si voltarono a guardarlo. Mezzo italiano e mezzo spagnolo, il suo aspetto gli permetteva di avere qualsiasi donna desiderasse. Ma entrambi preferivano accompagnarsi con quelle che incontravano nei fetish club. Sebbene Dante non fosse un irriducibile amante del BDSM come Alec, riusciva difficile a entrambi relazionarsi con una donna che non fosse interessata alla trasgressione. E nessuno dei due era tipo da tentare di convertire una donna “vanilla” al loro stile di vita. Il che non spiegava perché lui si fosse lasciato coinvolgere da Dylan Ivory. “Maledizione!” Trangugiò buona parte della birra prima che Dante arrivasse al bancone. — Ciao.
— Ciao. Dante si sedette sullo sgabello accanto al suo e Alec ordinò una birra per lui e un’altra per sé. — Allora, di che si tratta? — Che intendi dire? — Non è da te chiedermi un appuntamento improvvisato. Dovrei sentirmi lusingato? — ironizzò Dante con un sorrisetto malizioso. — Sì... scusami per averti chiesto di uscire in un giorno lavorativo. — Nessun problema, domani non devo andare in tribunale. Che cosa è successo? Alec sorseggiò la sua birra pensieroso. Che diavolo gli stava succedendo? — Forse ho bisogno del tuo aiuto per capirlo. Dante annuì, prendendo un sorso con la fronte corrugata. — Qualcosa dev’essere successo. — Sì. — Si tratta di quella donna con cui stai uscendo... Dylan. Non era una domanda. Come lui, anche Dante era un esperto dominatore, abile nel capire le persone. Alec non si stupì del fatto che avesse capito immediatamente quale fosse il problema. — Sì. — L’hai portata al Regno del Piacere? Alec emise un lungo sospiro. — Sì. — Com’è andata? — Benissimo. È naturalmente portata per la sottomissione come avevo sospettato. Si è sottomessa senza alcuna difficoltà, persino troppo facilmente. Mi aspettavo che opponesse almeno un po’ di resistenza. — Si ò la mano sul pizzetto. — Ma non si apre volentieri, infatti mi sta nascondendo qualcosa. Per il momento va bene così, ma riuscirò a capire di che cosa si tratta. — Ne sono convinto. Allora, qual è il problema? — Il problema sono io. Alec fece una pausa e bevve altra birra. Dante rimase in silenzio, lasciandogli il tempo di riordinare le idee. Una delle ragioni per cui erano diventati amici era il rispetto reciproco e il fatto che riuscissero a capirsi immediatamente. Alec posò con forza il bicchiere sul banco. — Okay, il fatto è questo... quella donna mi piace. Mi piace molto. E la cosa mi sta mandando fuori di testa.
— A te piacciono tutte le donne con cui fai sesso, Alec, e con loro mantieni un rapporto amichevole, come faccio io. Perché con lei dovrebbe essere diverso? — Ottima domanda. Dante lo stava osservando e Alec capì che cercava delle risposte. Cazzo, anche lui! Dante appoggiò i gomiti sul bancone. — Coraggio, Alec, andiamo in fondo a questa faccenda. Questa donna ti piace, hai fatto sesso con lei come con moltissime altre. Cosa c’è di diverso? — Tutto. — Alec emise un lungo sospiro, mantenendo lo sguardo sul bicchiere e tamburellando sulla sua superficie umida e fredda. — Ogni singola cosa. Non si tratta solo del suo corpo, assolutamente perfetto. O del sesso, che con lei è incredibile. O del modo in cui si sottomette a me. Ma di tutto, nel complesso. Va al di là dell’attrazione fisica. Non posso credere che ti stia dicendo queste cose, ma è la verità. Sto perdendo la testa. Penso troppo a lei. La vorrei sempre con me. Quando siamo insieme devo lottare per mantenere il controllo e poi sento il bisogno che lei se ne vada per potermi riprendere. Questa cosa non mi piace. Sono disgustato da me stesso. Se proprio vuoi sapere la verità, mi sento come un fottuto adolescente. Quando rialzò lo sguardo, Dante stava sorridendo. — Che c’è? — Ora Alec era seccato. Si era messo a nudo, per la miseria! — Ti piace davvero tanto. — L’ho appena detto. — Sì, ma c’è qualcosa di più, vero? — Cazzo... — mormorò Alec. — Io voglio solo che le cose restino come sono. Voglio fare sesso con lei e poi mandarla a casa e occuparmi degli affari miei. Lavorare... o qualsiasi altra cosa. Negli ultimi giorni non sono riuscito a scrivere. Questa mattina l’ho liquidata dopo una notte di sesso senza nemmeno sapere se fosse pronta a stare sola. Era ancora un po’ frastornata ed è stato irresponsabile da parte mia caricarla su un taxi. — Pensi che stia bene? — Sì, probabilmente sì. Le ho detto di chiamarmi in caso contrario. È una ragazza molto indipendente e non so se mi chiamerebbe se avesse bisogno. Quindi, non ho fatto il mio dovere. — Alec, smettila di sentirti in colpa. Quante volte tieni una donna con te tutto il giorno, anche dopo una sessione particolarmente impegnativa? Prima o poi le mandi a casa. Anch’io faccio così. Le hai parlato oggi? Hai controllato? — No, le ho detto che l’avrei chiamata. Dante guardò l’orologio, poi di nuovo Alec, e scrollò le spalle. — Sì, lo so, la chiamerò, sono una persona corretta. Gli uomini come noi, che praticano
a un certo livello, si comportano in questo modo. Cristo, ho persino tenuto dei corsi su come si deve comportare un dominatore responsabile! E ora con Dylan si stava comportando da bastardo. Doveva solo capire perché. E, nel frattempo, smettere di agire così. Doveva essere responsabile con le donne che si affidavano a lui. — Hai intenzione di continuare a vederla? — gli chiese Dante. — Sì. — Okay, so che farai quello che devi, ciò che è giusto. — Lo faccio sempre, ho solo bisogno di... riprendere il controllo. Forse dovrei prendermi una pausa con lei. — Forse. O forse dovresti continuare a vederla fino a capire come stanno le cose. Non posso decidere per te. — Lo so. Grazie per essere venuto, Dante. — Figurati. — Trangugiò il resto della birra e posò il bicchiere sul bancone. — Tutto a posto? — Tutto a posto. Dante gli diede una pacca sulla spalla, alzandosi. — Chiamami, fammi sapere come va. — Certo. Alec finì la sua birra prima di uscire. Fuori dal locale, si alzò il bavero della giacca di pelle per ripararsi dalla pioggia. Respirò a fondo, riempiendosi i polmoni con la fredda aria notturna, con l’odore dell’asfalto bagnato e dei gas di scarico delle auto, e anche con il profumo salmastro dell’oceano a qualche isolato di distanza. Aveva pensato di salire in macchina, prendere il cellulare e chiamarla, invece si ritrovò a camminare. Aveva i capelli bagnati, l’acqua gli colava all’interno della giacca, ma non gli importava. Isolato dopo isolato, osservava edifici e persone attraverso la cortina di pioggia. Non sapeva esattamente quello che stava facendo. Aveva solo bisogno di liberare la mente, di cancellare la tensione e l’incertezza e la rabbia che provava verso se stesso. Quando tornò all’auto, erano ormai le dieci ate ed era bagnato fradicio, con i jeans che gocciolavano. Pur sapendo che sarebbe stato un disastro per i sedili di pelle, salì in macchina e avviò il motore. Si diresse a nord e poi a ovest, verso lo Space Needle, dicendosi che non aveva preso quella direzione perché Dylan abitava a Belltown, all’ombra del Needle. ò davanti al vecchio edificio di mattoni che ospitava il loft di Dylan, rallentò e guardò in alto verso il quarto piano. Le luci erano accese, ma non riusciva a vedere nulla attraverso le alte finestre. Del resto, che cosa diavolo avrebbe voluto vedere? Lei.
Cazzo! Premette il piede sull’acceleratore e proseguì con il sangue che gli pulsava nelle vene. Chissà come, si ritrovò davanti al Regno del Piacere. Posteggiò ed entrò. All’interno del club faceva caldo, le luci erano soffuse e la musica risuonava in sottofondo. Ovattata. Alec non si prese la briga di consegnare al guardaroba la giacca bagnata. Se la tolse ed entrò direttamente nel salone principale, portandola con sé. Non c’erano molte persone, durante i primi giorni della settimana il club era sempre molto tranquillo. Non gli interessava. Voleva solo restare lì. Per fare... cosa? Attraversò la sala semibuia, rivolgendo un cenno di saluto ai molti volti familiari, e si diresse verso un divano libero, dove potersi sedere e osservare. Un dominatore che conosceva stava preparando l’attrezzatura per il bondage, inserendo la fune bianca negli occhielli affissi alla struttura di legno. Alec usava raramente le corde bianche. Di solito preferiva quelle rosse o nere, più belle esteticamente. E comunque il bondage non rientrava tra le sue trasgressioni predilette. Di solito faceva ciò che provocava la reazione più intensa nella sottomessa. In fondo, si trattava di soddisfare i loro bisogni, no? Gli tornò alla mente il viso di Dylan, i suoi splendidi lineamenti delicati, i suoi enormi occhi grigi, e si affrettò a scacciare quell’immagine. “Non pensare a lei.” Aveva bisogno di distrarsi. Non era quello il motivo per cui era andato lì? E aveva con sé la borsa con la sua attrezzatura. Se non avesse avuto intenzione di usarla, perché portarsela dietro? Si alzò e andò al piano superiore, dove il club ospitava una pista da ballo. Si trattava di una piattaforma sopraelevata, con luci intermittenti e tre pali da lap-dance. Due donne si stavano esibendo; una alta e bionda che lui aveva già visto al club, e l’altra piccola, con la pelle ambrata e una lunga cascata di capelli neri. Indossavano entrambe una tuta attillatissima di pelle nera e stivali con il tacco a stiletto, così comuni tra le donne del club. Si guardò intorno per vedere se stessero ballando per intrattenere un dominatore in particolare, ma lui era l’unico uomo che stesse dedicando loro attenzione. Erano libere. Alec si sedette davanti alla piattaforma, tenendo lo sguardo fisso sulle due ragazze, che ben presto se ne accorsero. Lui sorrise e fece un cenno con il capo, permettendo loro di avvicinarsi. La bionda si mise immediatamente carponi; alla brunetta occorse qualche attimo in più. Pochi minuti dopo Alec si era già accordato con loro per una sessione di BDSM in una delle stanze private del terzo piano. Alec le guidò su per le scale. I loro tacchi a spillo ticchettavano sui gradini di legno lucido, poi i loro i furono attutiti dalla moquette del corridoio. Trovò una tenda aperta e le fece are. All’interno c’era un tavolo imbottito con polsiere e cavigliere di cuoio attaccate ai quattro
angoli. Un paio di catene pendevano dal soffitto, e in un angolo c’era una panca da spanking. — In ginocchio — disse loro, ed entrambe obbedirono. Alec si prese tutto il tempo necessario per svuotare la borsa, posando sul tavolo le fruste, il guanto borchiato, il paddle, la bacchetta. Perché aveva la sensazione che gli mancasse il respiro? Guardò le due ragazze. Erano due perfette slave, entrambe. Accucciate sul pavimento, a testa bassa, con le mani posate sulle cosce divaricate e i palmi rivolti verso l’alto. Qualcuno doveva averle educate. Probabilmente sapevano il fatto loro. Erano molto belle, soprattutto insieme, per il contrasto dei colori... Ma non poteva farlo. Strinse le mani a pugno. Che cosa gli stava succedendo? Sospirò, andosi una mano tra i capelli bagnati. Era assurdo! Rimase in piedi davanti alle due donne, osservandole mentre respiravano profondamente. Percepì la tensione nell’aria, l’anticipazione, attese che l’eccitazione si fe strada. Ma non avvenne. Più restava lì e più l’ansia cresceva. Doveva fare qualcosa. Doveva andarsene. “Torna a casa.” “No, vai a cercarla.” “Dylan.” “Cazzo!” — Mi dispiace — borbottò goffamente. — Signore... — Fu la bionda a sussurrare quell’unica parola, come se temesse di disturbarlo. — Mi dispiace — ripeté lui — ma stasera non... — Abbiamo fatto qualcosa che l’ha infastidita, signore? — No, affatto. Tornate giù. Troverete sicuramente chi sarà felice di sottomettervi. Si alzarono entrambe, e la brunetta gli indirizzò un’occhiata carica di delusione prima di oltreare la tenda. Ma Alec ora non poteva pensare a loro. Ripose in tutta fretta la sua attrezzatura nella borsa di pelle nera. Doveva semplicemente andarsene.
Attraversò il club evitando qualsiasi sguardo e presto fu di nuovo in strada. Infine aveva smesso di piovere, ma il cielo era ancora denso di nubi che oscuravano la luna. Avrebbe voluto potersi nascondere, ma doveva affrontare la situazione. Doveva affrontare Dylan. Doveva fare qualcosa per togliersela dalla testa... forse. Salì in macchina e attraversò le strade deserte diretto di nuovo alla vecchia fabbrica di mattoni di Belltown. Imprecò quando non riuscì a trovare subito il parcheggio, ma finalmente qualcuno se ne andò e lui prese il suo posto. Spense il motore e rimase lì seduto. Non sapeva nemmeno che ora fosse. Forse prima avrebbe dovuto chiamarla. Quand’era stata l’ultima volta che era stato indeciso su cosa fare? Alec imprecò a mezza voce scendendo dall’auto, richiuse la portiera con forza e ripercorse a piedi la strada fino all’abitazione di Dylan. L’edificio era circondato da un cancello. Scorse i nomi sul citofono, trovò il suo e compose il numero corrispondente. Silenzio. Suonò di nuovo. Mentre attendeva, si ò una mano sul pizzetto. Indietreggiò di qualche o, guardò in alto e vide una luce accendersi nel loft di Dylan. — Sì? — chiese la sua voce attraverso il citofono. Lui tornò al cancello. — Dylan... — Chi è? — Sono Alec. Ci fu una lunga pausa. Poi: — È quasi mezzanotte. — Lo so. Vorrei salire. Appariva molto più calmo di quanto fosse in realtà. A dire il vero, si sentiva un fottuto molestatore. — Ti apro. Alec spinse il cancello e lasciò che si richiudesse alle sue spalle, entrò in ascensore e premette il pulsante del quarto piano. Gli parve che fosse ata un’eternità prima che la porta si aprisse e lui uscisse sull’ampio pianerottolo antistante l’appartamento di Dylan. La sua porta si spalancò e lei era lì, con i riccioli arruffati e il viso un po’ pallido. Ma la sua bocca carnosa era rossa e voluttuosa come sempre. Indossava una camicia da notte bianca e corta. Era assurdo quanto la fe apparire innocente, nonostante l’ombra dei capezzoli scuri che s’intravedeva attraverso il tessuto leggero. La camicia da notte e i piedi nudi, con le unghie dipinte di un tenero rosa baby. — Dormivi — disse lui, contrito solo in parte. Doveva assolutamente vederla. — Io... sì, ma non importa. Vuoi entrare?
Indietreggiò e lui avanzò di un o. Alec ebbe una vaga idea del suo appartamento, illuminato da una singola lampada che si trovava da qualche parte e che disegnava ombre sulla liscia superficie di legno del pavimento. La luce rendeva trasparente la camicia da notte di Dylan, illuminando il suo corpo snello. Alec poteva immaginare l’ombra scura tra le sue gambe. Non aveva previsto di farlo, non esattamente, ma le fu addosso in un attimo, prendendola tra le braccia e baciandola. Le sue labbra erano così dolci e morbide... I seni premuti contro di lui; il profumo dei suoi capelli era quasi intollerabile. Dylan socchiuse le labbra e Alec infilò la lingua nella sua bocca. Le sue mani scesero sulle sue natiche, stringendole, e lei sospirò quando lui la pizzicò lì, attraverso il tessuto leggero. Era già duro come il marmo, ma non si trattava solo di quello. Provava un senso di disperazione che non voleva indagare. Era mosso da un bisogno incontrollabile. E Dylan reagiva sospirando nella sua bocca, premendo il bacino contro il suo. Alec riuscì a sentire il calore del suo pube attraverso i jeans. La spinse all’indietro fino al divano. La fece abbassare, voltare e mettere a carponi, quindi le sollevò la camicia da notte bianca fino alla vita. Sotto era nuda. Alec sospirò alla vista del suo sedere sodo, delle labbra del suo sesso che le spuntavano tra le gambe, rosee e vellutate. Si tolse la giacca. Poi la camicia. Le agguantò con forza le natiche, lasciandovi l’impronta delle sue dita. Voleva... marchiarla. Ne aveva bisogno. “Sei mia.” Staccò le mani, si fermò e lei spinse il bacino all’indietro, offrendogli la dolce curva del suo fondoschiena. Alec la sculacciò con forza, il rumore echeggiò nel silenzio della notte. La sculacciò di nuovo, facendola scuotere tutta. La sua pelle si stava arrossando. “Troppo in fretta.” Alec si ò una mano tra i capelli, osservandola. Dylan aveva il respiro affannato. E anche lui. — Dylan... — Alec... — Dimmelo. — Dirti cosa? Alec s’inginocchiò ai piedi del divano e le posò una mano sulla nuca, sotto i capelli. Dylan era bollente. Lui era duro come l’acciaio. Immerse le dita tra i suoi riccioli, intrecciandole alle lunghe ciocche, e tirò per guardarla negli occhi. — Lo vuoi? Vuoi che io sia qui? Che ti tocchi? Che ti sculacci? Che ti scopi?
— Sì. Sì... La sua voce era ridotta a un sussurro, ma Alec non aveva bisogno d’altro. Lasciò andare il controllo, semplicemente. Ricadde su di lei, letteralmente, posandole la bocca sul collo e leccandole la pelle vellutata. Poi le posò le mani sui seni, massaggiandoli e pizzicandoli attraverso la camicia da notte. Lei gemeva debolmente, mentre i capezzoli s’indurivano. Alec si staccò un attimo solo per togliersi le scarpe e i jeans. Dylan rimase perfettamente immobile mentre lui lo faceva, sempre carponi e con la camicia da notte arrotolata intorno alla vita sottile. Alec non poteva più aspettare. La fece voltare supina. — Cazzo, il preservativo! Staccarsi da lei per prenderne uno dalla tasca e srotolarlo sulla sua asta fremente fu una vera tortura. Lei lo osservava, i suoi occhi grigi avevano riflessi argentati alla luce dell’unica lampada accesa nella stanza. Era così bella che quasi faceva male guardarla. Alec si chinò su di lei e trattenne il respiro quando Dylan si sollevò la camicia da notte, scoprendo i seni. Perfetta. Era perfetta. Aprì le gambe per lui e Alec la guardò, guardò il suo splendido corpo sinuoso e la fessura rosata tra le gambe. Il suo cazzo pulsava. Poi si abbassò su di lei e la forza del desiderio li sommerse entrambi. Quando la penetrò, il piacere fu come una scossa elettrica che gli attraversò il corpo. Spinse dentro di lei e Dylan inarcò il bacino. Quando fece per cingergli la nuca, lui le prese i polsi e glieli tenne sollevati sopra la testa. Non poteva sopportare che lei lo abbracciasse. Non voleva pensare al perché. In quel momento voleva solo il suo corpo e l’umido calore del suo sesso. La morbidezza dei suoi seni premuti contro il torace nudo. Il profumo della sua pelle. E voleva che lei venisse... voleva farla venire, più e più volte. Voleva farla sua. Sì, era questo ciò di cui aveva bisogno. “Non pensare, fallo.” Uscì da lei, sempre tenendole le braccia sollevate sopra la testa con una mano, mentre le infilava l’altra tra le gambe. Iniziò a titillarle il clitoride senza pietà e lo sentì gonfiarsi sotto le sue dita. Sapeva di essere brutale. Ma capì che a lei piaceva, sentendola contorcersi e ansimare sotto di lui. E mentre le pinzava il clitoride, tirandolo, lei venne, inarcandosi sul divano.
— Ah... Dio... Alec... Era scossa dall’orgasmo, le gambe rigide. Alec continuò a titillarla, con il sesso sempre duro che gli pulsava tra le gambe. — Basta — mormorò lei con gli occhi chiusi. — Basta. — Ancora. — Dammi solo un minuto. — No. Le infilò le dita. Era bollente e bagnata fradicia. Alec iniziò a pompare dentro di lei, piegando le dita alla ricerca del punto G, e infine, quando trovò quella morbida sporgenza spugnosa, Dylan gemette. Allo stesso tempo, lui le premette il pollice contro il clitoride. — Alec... io... sto per venire di nuovo. — Sì, vieni Dylan. Lei iniziò a tremare, dentro e fuori. Aveva i seni lievemente arrossati, gli occhi serrati e si mordeva le labbra mentre veniva di nuovo, strattonando le braccia come se volesse liberarsi dalla sua stretta. — Oh! Il cazzo di Alec fremeva di desiderio. Era durissimo e quasi gli faceva male, ma non poteva fermarsi adesso. — Ancora, Dylan. — Dio, Alec! — ansimò lei, aprendo gli occhi. Due cristalli scuri nel suo viso, illuminati dalla lampada e dal chiarore della luna che filtrava dalla finestra. — Voglio che questa volta mi guardi — le disse. Dylan si limitò ad annuire. Lui ricominciò, affondando le dita nel suo sesso bagnato. Grondava di umori, bollente e voluttuoso. Alec poteva sentire il suo profumo, il profumo dolce e pungente dell’eccitazione, dell’orgasmo femminile. Il clitoride era gonfio e lui era certo che ormai fosse anche dolente. Non poteva fermarsi. Dylan teneva gli occhi fissi nei suoi, e di nuovo si mordeva le labbra. Alec avrebbe voluto sentire il sapore di quelle labbra rosse e carnose. Ma non era ancora il momento. Era una vera tortura guardarla così. Negarsi ciò di cui aveva davvero bisogno: affondare
nel suo corpo. Baciarla. Aveva una voglia fottuta di baciarla. “No!” Spinse in fondo con le dita, mentre massaggiava il suo clitoride con il pollice, con lenti movimenti circolari. — Alec... mi piace tanto... ma non credo di poterlo fare di nuovo... — Puoi farlo e lo farai. Le lasciò andare i polsi e le braccia di Dylan rimasero dov’erano, allungate sopra la sua testa. Ora era in uno stato di abbandono, sentiva il corpo pesante. Alec adorava vederla così. Sopraffatta. Vinta. Completamente alla sua mercé. Fece scivolare la mano libera sotto di lei e intinse le dita nei suoi umori. Quando furono ben lubrificate, s’insinuò tra le sue natiche e infilò un dito nel buco stretto, sapendo che questo avrebbe suscitato la reazione di Dylan, che avrebbe aumentato ancora di più la sua eccitazione, che in quel modo l’avrebbe posseduta completamente. — Ah... Alec... Non fu necessario chiederle se le piaceva, glielo poteva leggere in faccia. Le sue pupille erano dilatate, le guance arrossate, il respiro rotto e affrettato. — Ancora, Alec. — Sì, era quello che volevo sentirti dire. È così che mi piaci, Dylan. Spinse più a fondo il dito e iniziò a pompare, mentre l’altra mano si muoveva, scopandole la fica e massaggiandole il clitoride. Pochi attimi dopo, Dylan stava per venire di nuovo. Il suo corpo si tese. Lei tenne lo sguardo fisso su di lui e per Alec fu come annegare nel suo piacere. Incredibile! Prima ancora che il suo orgasmo fosse terminato, Alec le si mise sopra, penetrandola con il cazzo ancora duro. E questa volta, quando lei gli cinse la nuca, non tentò di impedirglielo. Non ci pensò nemmeno. Voleva solo essere dentro di lei, sentirla. Affondò nel suo corpo, impossessandosi finalmente delle sue labbra. Labbra morbide come aveva immaginato. Le infilò la lingua in bocca, assaporandola avidamente. Il piacere trafisse dolcemente il suo pene, i suoi testicoli, il ventre. Spinse brutalmente più a fondo, cavalcandola con impeto. Ma ne aveva bisogno, cazzo! Voleva sentirla! L’orgasmo lo investì come un muro di mattoni che gli crollava addosso. Vide un milione di stelle esplodere in un’eruzione solare. Fuoco ed energia, e un bagliore accecante. Stava tremando mentre copriva il suo viso di baci. Non capiva che cosa diavolo gli stesse succedendo.
Sapeva solo che dentro di sé aveva quel terribile e incontrollabile bisogno mai provato prima. Non lo riconosceva. Eppure era lì, davanti a lui. E davanti a lei. Per la prima volta nella sua vita, Alec ebbe paura.
10 Dylan riprese finalmente fiato. Il peso di Alec sopra di lei non le facilitava le cose, ma non voleva che lui si spostasse. Era tutta dolorante. Esausta. Euforica. Che cosa era successo tra loro? Era stato... diverso. Lui l’aveva dominata, senza dubbio. Lei si era sentita completamente posseduta. Era scivolata subito nel ruolo della sottomessa, la sua mente si era svuotata nel momento stesso in cui lui era entrato in casa. Alec era stato brutale con lei, ma le era piaciuto. “Non pensarci.” Non voleva riflettere su quel che significava tutto ciò. No, se ci pensava troppo tornava la paura a inghiottire il piacere. “Smettila.” “Sì, smettila di pensare e goditi questo momento insieme a lui.” Sentiva il suo profumo dappertutto, quel suo profumo di oceano e di bosco, di sudore e di sesso. Le piaceva da impazzire. Santo cielo, quando i suoi pensieri avevano avuto quella svolta adolescenziale? Era successo a poco a poco, a partire dal giorno in cui si erano conosciuti. Ma ora la situazione le stava sfuggendo completamente di mano. Stava tornando coi piedi per terra. Era consapevole del proprio corpo, del peso di Alec su di sé, del suo respiro ancora ansimante. Del calore della sua pelle sotto le mani. Il suo pizzetto un po’ ruvido contro il viso, il suo respiro caldo sulle tempie. E quando pensò che non avrebbe mai voluto che lui si spostasse da lì, fu assalita da un’ondata di terrore. Si costrinse a restare ferma per calmare il panico. Alec sollevò la testa e la guardò. Dylan trattenne il respiro scrutando i suoi occhi di quell’incredibile tonalità di azzurro. O forse a causa dell’ansia che stava cercando di contenere. — Che c’è, Dylan? — Che intendi dire? — Ti sei irrigidita. — Va tutto bene, solo pesi un po’...
— Ah, scusa. Alec si staccò e Dylan provò un senso di perdita, mentre lui si sedeva sui talloni. Era ancora tra le sue gambe e lei avrebbe voluto chiuderle e tenerlo lì, sentirlo di nuovo dentro di sé. Non ne aveva mai abbastanza. Deglutì, sopraffatta dall’emozione. “Che ti prende?” Alec la fissava, ma il suo sguardo, solitamente penetrante, era un po’ annebbiato. I postumi dell’orgasmo, pensò soddisfatta. Alec era molto intuitivo, e in quel momento non le andava di parlargli di quello che provava. Nemmeno lei riusciva a capire che cosa fosse. Alec le accarezzò il viso, sorridendo, e Dylan si sentì sciogliere. Sentì un grande calore diffondersi in tutto il corpo, e un senso di vertigine che non sapeva come contrastare. Si rese conto di non volerlo fare. Perché avrebbe dovuto? Quel pensiero prese corpo all’improvviso, con estrema chiarezza. Perché non vivere quelle sensazioni senza soffermarsi ad analizzare ogni pensiero, ogni gesto d’intimità tra di loro? Nessuno dei due ambiva a guardare il tramonto mano nella mano. Questo sarebbe dovuto bastare a farla sentire al sicuro. Oh sì, Alec era pericoloso. Aveva un aspetto pericoloso. Un profumo pericoloso. Il modo in cui la baciava era molto pericoloso. Per non parlare del resto: il sesso e il BDSM. Dylan non si considerava una puttana, ma aveva fatto la sua buona dose di esperienze. Era in grado di tenere a bada quell’uomo e tutto quello che sarebbe accaduto mentre stavano insieme. I battiti del suo cuore rallentarono e lei riprese fiato. Poteva riuscirci. Se lui non se ne fosse andato. Questo non era certa di poterlo sopportare. — Alec? — Mmm... — Devo chiederti una cosa. — Che cosa? — Non mi aspettavo di vederti così presto. O meglio, così tardi stanotte. — Non me lo aspettavo nemmeno io. Lui le accarezzò i capelli. Dylan sentì un calore nel petto, una stretta che non aveva nulla a che fare con il sesso. Chiuse gli occhi per un momento e si concesse di assaporare quella sensazione.
“Non deve significare qualcosa a tutti i costi.” “Eppure è così.” “Non pensarci.” Che cosa voleva chiedergli? Perché era andato da lei quella sera? Che cosa provava per lei? Assurdo! Non aveva bisogno di saperlo. Lei stessa non sarebbe stata in grado di dire che cosa provava per lui. Aprì gli occhi e si sollevò sui gomiti. — Hai cenato? Posso preparare un tè. Ho dei biscotti che credo ti piaceranno. Lui ridacchiò. — Li hai fatti con le tue mani, suppongo. Dylan rise. — Li ho comprati al supermercato. Allora, ti va? — Da quello che mi hai detto sulle tue capacità culinarie, temo di non avere altra scelta. È questo che volevi chiedermi? — Forse. Alec alzò gli occhi al soffitto. — Ah, le donne... Per fortuna, lui lasciò cadere l’argomento. Non avrebbe saputo che cosa dirgli. Dylan avrebbe tanto voluto spegnere il cervello. Come faceva quando lui la baciava. La sculacciava... Alec le prese la mano e l’aiutò ad alzarsi, e in piedi davanti a lui Dylan si rese conto ancora una volta di quanto fosse alto, muscoloso e imponente. Odorava di sesso. Dylan rabbrividì. — Senti freddo? Hai una vestaglia? — In bagno. — Va’ a prenderla. Dylan entrò in bagno, in cui predominavano i colori grigio e verde salvia, e prese la vestaglia di raso rosa dall’appendino dietro la porta, soffermandosi a osservare la propria immagine riflessa nello specchio sopra il lavabo. Aveva i capelli scompigliati, un groviglio di riccioli color mogano. Il viso era pallido, ma aveva le guance arrossate. Gli occhi erano enormi. Posò le mani sulla superficie liscia del mobile d’acero e si avvicinò allo specchio. Era evidente che le sue labbra fossero state baciate con ione. Erano rosse e gonfie. Lei sembrava diversa. Si sentiva diversa. Ma ci avrebbe pensato più tardi. In quel momento, Alec la stava aspettando. Indossò la vestaglia, la annodò in vita e tornò da lui.
Alec era in piedi vicino al divano, con i jeans che gli ricadevano bassi sui fianchi. Non indossava altro. C’era qualcosa di incredibilmente sexy in un uomo con un paio di jeans, senza camicia e a piedi nudi. I tatuaggi e il pizzetto completavano il quadro. Un sofisticato bad boy. Con un corpo scultoreo. Meraviglioso. Perfetto. Scosse la testa di fronte a quelle fantasie adolescenziali, che si erano sviluppate nella sua mente probabilmente sin da quando era una ragazzina, su come dovesse essere un uomo. Su che cosa lo rendesse sexy. Alec era il suo uomo ideale, si rese conto: alto e muscoloso, un po’ rude, eppure gentile. Educato, colto, un uomo che ha girato il mondo e dai modi ineccepibili. E, naturalmente, trasgressivo. Lontano da una reale intimità tanto quanto lei. Anche se questa prerogativa sembrava essere cambiata per entrambi... Si schiarì la voce. — Faccio il tè — disse, voltandosi verso la cucina. Lui la seguì e si sedette sull’alto sgabello davanti al ripiano che separava la zona cottura dal soggiorno. Lo sovrastava, naturalmente, come tutto il resto. Alec appariva fuori tempo nella sua cucina ultra-moderna tutta acciaio, con le piastrelle bianche e i mobili di legno lucido. Appariva troppo pieno di vita in un luogo che era stato così poco vissuto, così asetticamente pulito. Alec era... animalesco, e la faceva sentire stranamente consapevole di quanto il suo loft fosse impersonale. Le faceva provare nostalgia per il calore e l’accoglienza della sua casa, della sua cucina. Ora stava diventando ridicola. Forse aveva ancora le endorfine in circolo. Sì, doveva essere così. Doveva essere quella la spiegazione per la sua debolezza, per la tentazione di rilassarsi insieme a lui. Riempì il bollitore e lo mise sul fuoco, prendendo il tè e le tazze dal mobile d’acero. — È un bell’appartamento — disse lui. — Ti piace? È così diverso da casa tua. — Intendi dire che casa mia è un gran casino. — No, affatto. È confortevole. Accogliente. — Non è certo da esposizione come la tua. L’hai arredata tu? — Sì, quando l’ho acquistata era solo un grande spazio vuoto. L’ho arredata partendo da zero. La cucina, il bagno, la camera... Ho persino rivestito io stessa il pavimento di legno e imbiancato le pareti... mi ci sono voluti mesi per sistemarla, ma mi sono divertita. — Hai rivestito i pavimenti? Lei rise. — Non essere così sorpreso, non sono completamente incapace. — Non ho mai pensato che lo fossi, ma è un lavoro pesante. — Un lavoro da uomo? — lo stuzzicò lei, solo per vedere accendersi quella luce nei suoi occhi azzurri.
Alec posò una mano sulla sua, risalì lungo il braccio, s’infilò sotto la manica della vestaglia. — Forse un po’ troppo rude per te. — Tu sei piuttosto rude con me — disse lei, sorpresa dal tono basso e sensuale della propria voce. Lui le rivolse quel suo sorriso malizioso. — Però ti piace. Il bollitore iniziò a fischiare e Dylan poté evitare di dire esattamente quanto le pie. Quanto ne avesse bisogno ultimamente. Si allontanò da lui e si avvicinò ai fornelli. — Lo prendi con lo zucchero, vero? — Mi piace la dolcezza. È una delle ragioni per cui mi piaci tu. Dylan versò l’acqua bollente nelle tazze e, quando alzò gli occhi, si accorse che lui la stava osservando. — Una delle ragioni? Cristo, lo stava stuzzicando, stava flirtando con lui come una scolaretta. — Una delle tante. Se non avesse fatto attenzione, avrebbe finito per chiedergli quali fossero le altre. Si concentrò per mettere lo zucchero in una delle tazze e porgergliela. — Grazie. Dylan si sedette accanto a lui sull’altro sgabello, stringendo le mani intorno alla tazza bollente. Non avrebbe dovuto essere così naturale avere un uomo nella sua cucina. Non avrebbe dovuto essere normale fare con Alec qualcosa di diverso dal sesso. — Alec... — Che cosa volevi chiedermi poco fa? — Io... questa è una cosa diversa. Forse... — Dylan s’interruppe e lo guardò. Alec attese che lei proseguisse. — È tutto così strano. Essere seduti qui dopo quello che abbiamo fatto e... parlare. Come due persone normali. Io... — Si scostò i capelli dal viso. — Non credo di riuscire a spiegarmi. — Intendi dire che, siccome pratichiamo sesso trasgressivo insieme, dovremmo essere sempre trasgressivi e nient’altro? — Alec scrollò le spalle. — Nelle persone trasgressive c’è molto altro, Dylan. È solo una parte di loro. A volte è predominante, ma non può essere l’unico modo per identificare qualcuno. — D’accordo, d’accordo, ma... vedi, noi siamo entrambi scrittori. Essere scrittrice mi definisce ampiamente. E credo sia lo stesso per te. — Sì, certo, ma io non sono solo uno scrittore. Sono anche molte altre cose. Tu no?
Dylan si soffermò a riflettere. Che cosa c’era d’altro nella sua vita? Le sue chiacchierate con Mischa, che spesso riguardavano la loro professione. Le telefonate occasionali a sua nonna e quelle ancora più occasionali per parlare con sua madre e sua zia. Lei scriveva, andava in palestra, autografava i suoi libri. Ma al di là di questo, la sua vita era parecchio monotona e non includeva molte relazioni personali. Era una cosa a cui non era abituata. Aveva imparato da piccola a stare sola. A essere autonoma. Fino a quel momento. — Suppongo di sì. — Forse è una cosa su cui dovresti riflettere. — Che cosa intendi dire? Alec rimase in silenzio per qualche istante, sorseggiando il tè. — Ci hai messo molto a rispondere alla mia domanda. Immagino significhi che hai dovuto pensare se sei altro all’infuori di una scrittrice. — Forse a volte non ne sono certa. È ciò a cui ho dedicato tutta la mia vita. — Hai altri interessi? Ci sono delle persone nella tua vita? — Certo. Era una bugia. La risposta era stata automatica. Come spiegargli che sistemare l’appartamento era stato in tanti anni l’unico progetto che esulava dalla sua professione? Anche i suoi viaggi riguardavano sempre il suo lavoro, quando partecipava a una conferenza sulla letteratura o si recava in una certa città per condurre delle ricerche per un libro. I suoi unici veri amici erano Mischa, Jade e C.J., che aveva conosciuto grazie al lavoro. E Mischa aveva ragione, lei avrebbe dovuto fare uno sforzo per incoraggiare l’amicizia tra loro. Dylan non aveva una vita personale. Una vera vita. — Ho toccato un tasto dolente? — Che cosa? No, no, va tutto bene. — Stava di nuovo pensando troppo. Non voleva pensare troppo con Alec. Perché era così scombussolata quella sera? La sua mente stava correndo a mille miglia all’ora. Doveva calmarsi. Sorseggiò il tè. Era troppo bollente e le scottò la lingua. — Ahi! — Tutto bene? — Mi sono scottata. — Povera piccola. Vieni qui. Prima che lei si rendesse conto di quel che stava succedendo, Alec la prese tra le braccia e la baciò, facendo scivolare la lingua tra le sue labbra. Dylan si sentì sciogliere immediatamente, si rilassò, pervasa da un gran calore; e la sua mente, grazie a Dio, iniziò a rallentare il o. Alec si ritrasse. — Va meglio?
— Molto meglio. Il che non spiegava per quale motivo il cuore le martellasse nel petto in modo forsennato. “È solo sesso. Solo sesso.” Sesso trasgressivo. Con l’uomo più sensuale su cui lei avesse mai posato gli occhi, per non parlare delle mani. Il miglior sesso della sua vita, in effetti. Se questo non fosse bastato a distrarla dalle sue elucubrazioni, non sapeva proprio cos’altro ci sarebbe riuscito. — Può essere ancora meglio — disse lui con gli occhi che gli brillavano. Di desiderio. Un desiderio eguale a quello di Dylan. Alec posò la tazza, si alzò in piedi e, ancor prima che lei ne fosse consapevole, lui la sollevò di peso e la mise seduta sul ripiano grigio e bianco della cucina. Era freddo e duro, Dylan poteva sentirlo attraverso la leggera vestaglia di raso. E quando lui scostò l’indumento e il suo sesso nudo si ritrovò a contatto con il granito, Dylan fu percorsa da un brivido in tutto il corpo. — Alec, cosa stai facendo? — Sssh... Dylan capì che era meglio non discutere. E poi non aveva quasi il tempo di fargli domande, lui agiva in fretta. Le posò una mano tra i seni e la spinse all’indietro, fino a quando lei fu costretta ad appoggiarsi sui gomiti per sostenersi. Con l’altra mano le slacciò la vestaglia, che si aprì scoprendo la parte anteriore del suo corpo. I capezzoli s’inturgidirono immediatamente a contatto con l’aria. O forse per il fatto di essere nuda davanti a lui. O per l’eccitazione provocata dal suo atteggiamento autoritario, questo Dylan non poteva più negarlo. Alec le sollevò le gambe e se le appoggiò sulle spalle, lasciando il suo sesso aperto, esposto. Allungò una mano e accarezzò l’umida fessura. — Ah, sei già pronta. Mi piace che tu sia sempre pronta per qualsiasi cosa io ti chieda. Dylan si leccò le labbra. Fremeva di desiderio. Non sapeva cosa dire. Lui le sorrise, di nuovo quel suo sorrisetto malizioso. Aveva davvero la bocca più bella che lei avesse mai visto in un uomo. Alec si chinò in avanti e le posò un bacio delicato e sensuale sulle labbra. Poi la morse, solo una lieve pressione dei denti sul suo labbro inferiore. Dylan gemette. — Ti piace la mia bocca su di te? — le sussurrò contro le labbra. — Sì... — Allora, ti piacerà ancora di più qui. Si chinò, abbassandosi tra le sue gambe. Aveva le spalle ampie, la schiena muscolosa. Dylan scorse la scritta tibetana che gli correva lungo una spalla e avrebbe voluto toccarla, sentire
l’inchiostro sotto la sua pelle. Ma il primo alito del respiro di Alec sul suo pube la distrasse. Allargò ancora di più le gambe, cancellando qualsiasi pensiero razionale, nella sua mente ora esisteva solo il desiderio allo stato puro. — Sì, così — mormorò lui. — Apriti per me. Sei bellissima. La lingua di Alec saettò sul suo clitoride gonfio e voglioso e lei inarcò subito la schiena, restando senza fiato. Era così... così bello. Un altro guizzo della sua lingua e lei trattenne il respiro. Il piacere era come una spirale di fumo che scendeva dentro di lei. E fu ancora meglio quando lui usò le mani per schiudere le labbra del suo sesso, stringendole forte fino a pizzicarle, mentre iniziava a leccare. Lunghi, lenti colpi di lingua lungo la fessura, infilando la punta all’interno per poi risalire fino al clitoride. E nel frattempo continuava a pizzicare le sue labbra con le dita. — Dio... Alec... La sua lingua umida e bollente iniziò a leccare più in fretta. Poi si soffermò a succhiare il clitoride turgido. Il piacere cresceva a spirale. Troppo in fretta. Troppo intensamente. E mentre Alec affondava le dita nel suo sesso continuando a succhiare, lei venne. L’orgasmo esplose in un piacere pulsante e acuto che la pervase tutta. Il cuore le batteva all’impazzata, mentre sopraggiungeva un secondo orgasmo, sommergendola. Dylan inarcò il bacino contro la sua bocca, la sua mano, mentre lui continuava a darle piacere con le dita e la lingua, stordendola. Assolutamente devastante. Quando Alec si staccò da lei, il suo respiro era pesante e affrettato. — Ti è piaciuto? Il viso di Alec era bagnato dai suoi umori, le sue labbra turgide e rosse. Il suo pizzetto le parve più demoniaco del solito. — Sì, molto. — Bene, allora ti meriti una punizione. Alec allungò la mano e prese un mestolo di metallo dalla brocca di ceramica in cui lei teneva gli utensili da cucina. L’impugnatura era lunga e stretta e la spatola piatta, di acciaio lucente. — Non vorrai usarla su di me. — Oh, sì. Gli occhi di Alec avevano un’espressione soddisfatta che la fece tremare. Ma erano brividi di desiderio, più che di paura. Alec posò il mestolo e le cinse la vita. La mise a terra e la fece voltare, in modo che fosse rivolta contro il mobile, poi la fece piegare sul ripiano di granito che ancora tratteneva il calore del suo corpo.
— Chinati — le ordinò. — Appoggia le mani sul ripiano e allarga le gambe. Brava bambina. Una piccola parte di lei non riusciva a credere che lo stesse facendo davvero, eppure seguì alla lettera le sue istruzioni. L’altra parte di lei rabbrividiva alle sue parole. Brava bambina. Eccitante. Alec le sollevò la vestaglia sino in vita e si mise dietro di lei. Le si appoggiò contro fino a farle sentire la sua prepotente erezione. — Sono così duro, Dylan. Impazzisco dalla voglia di scoparti. Ma prima... devo scaldarti. Le accarezzò le natiche nude, facendola rabbrividire. Poi la sua mano scese verso l’umida fessura. — Oh, mi piace sentirti venire tra le mie dita, piccola. Così dolce nella mia bocca. Voglio sentire ancora il tuo sapore. Voglio farti qualsiasi cosa. — Sì, Alec, fammi tutto quello che vuoi. La voce di Alec era ridotta a un basso e rauco mormorio. — Che effetto hai su di me... il fatto che tu mantenga sempre il controllo in qualsiasi circostanza eccetto quando sei con me... che tu ti dia così completamente... Non sarebbe altrettanto eccitante se tu fossi sempre così accondiscendente e remissiva. Ma non lo sei. Sei una donna forte. Così forte che quando ti sottometti, quando ti affidi a me, questa cosa mi mette in ginocchio. Nessuna donna ha mai avuto questo effetto su di me. Mi fai impazzire, Dylan. Che cosa stava dicendo? La mente di Dylan era ottenebrata. Il desiderio le impediva di concentrarsi come avrebbe dovuto. — Alec, ti prego, toccami. Lui fece una risatina compiaciuta, non certo di scherno. Dylan bruciava di desiderio. — Così, piccola? Sfiorò il clitoride gonfio, un tocco delicato. Troppo delicato. Lei emise un debole gemito. — Ah, vuoi qualcosa di più... vero? — Sì... Alec le infilò due dita e lei sollevò il bacino. — No, Dylan, voglio che tu stia assolutamente ferma. Farò tutto io. Capito? — Sì, Alec.
— Dillo. — Ho capito, non mi muoverò. — Brava bambina. Un altro lungo brivido a quelle parole. Lei trattenne il respiro e attese. Le dita di Alec le sfiorarono il solco tra le natiche, ancora umido dei suoi umori e scesero verso il basso fino ad accarezzare le labbra del suo sesso. Lei si morse la bocca, cercando di non aprirsi a lui, di non spingere il bacino fino a farsi penetrare dalle sue dita, che era ciò che voleva. Ma Alec le aveva ordinato di stare ferma e lei avrebbe obbedito. Lui continuò ad accarezzarla. L’attesa era quasi insopportabile. Il colpo dell’acciaio su una natica la colse di sorpresa; se n’era completamente dimenticata. Ma la fece fremere di desiderio, quanto le sue dita che la accarezzavano. — Oh, Alec... — Ti piace, vero? La colpì di nuovo, questa volta più forte, e lei trasalì. — Ferma, Dylan! Infilò le dita nel suo sesso e lei si morse le labbra ansimando. Ma rimase immobile. — Eccellente. La colpì di nuovo e Dylan si sentì mancare per il dolore acuto e bruciante. Stupendo. Alec prese il ritmo, colpendola più volte, prima una natica e poi l’altra e anche più in basso, all’attaccatura delle cosce. Le sue dita sapienti entravano e uscivano dal suo sesso, fermandosi di tanto in tanto per titillare il clitoride duro e voglioso, prima di affondare di nuovo in lei. Dylan era bagnata fradicia, le tremavano le gambe. I seni erano premuti contro il freddo e duro ripiano di granito, i capezzoli le dolevano. Alec infilò le dita più a fondo e la colpì più forte, fino a quando lei sentì la pelle gonfiarsi. Ma era incredibilmente eccitante. Alec aveva il respiro affrettato, mentre la spatola si abbatteva rumorosamente su di lei, facendola urlare. — Puoi sopportarlo, mia dolce bambina. — Alec, ti prego... — Ti prego... cosa? — Ti prego, scopami.
Lui smise di colpirla. Il silenzio era rotto solo dal loro respiro ansimante. Un attimo dopo lei sentì le sue cosce nude contro di sé, la mano di Alec tra i suoi capelli, che la teneva. Poi il suo cazzo, protetto dal preservativo, che premeva contro l’entrata del suo sesso. — Avanti, piccola, apriti per me adesso. Lei divaricò le gambe, sollevò il bacino e Alec affondò in lei. Dylan sentì il piacere crescere in calde ondate. — È così bello starti dentro, Dylan, mi fai sentire in paradiso. Spinse ancora più a fondo. — Oh! — Sì... puoi prenderlo tutto. Sei così bagnata... Alec si chinò su di lei, il suo torace muscoloso quasi le sfiorava la schiena, mentre con un braccio le cingeva la vita per tenerla ferma. Il suo viso le sfiorava l’orecchio. — Ora ti scoperò, Dylan, ti scoperò con forza. Devo farlo. — Sì... Lei era fuori di sé, completamente preda di un desiderio impetuoso e incredibile. Per lui. “Alec.” Lui iniziò a pompare, spingendosi ripetutamente dentro di lei, così violentemente e in fretta da toglierle il respiro. Proprio come le aveva promesso. — Dio... Alec... — ansimò Dylan. — Più forte... ti prego... Alec affondò in lei, sbattendo il bacino contro le sue natiche. Il desiderio le martellava nelle vene, incessante. Quando Dylan venne, sentì un rombo nelle orecchie, simile al ruggito dell’oceano. E vi annegò: piacere puro. Dolore. Dolore che si tramutava in piacere. Alec s’irrigidì, il suo cazzo iniziò a pulsare e, nonostante il preservativo, Dylan riuscì ad avvertire i suoi spasmi quando lui infine venne. — Dylan! Ancora pochi colpi e uscì da lei. Per un attimo Dylan sentì la mancanza del suo corpo, del suo calore. Poi Alec la sollevò tra le braccia, mettendola di nuovo a sedere sul ripiano di granito. Si infilò tra le sue gambe e lei gli cinse i fianchi. In quel momento aveva bisogno solo della sua vicinanza. Lui la tenne stretta, appoggiando il capo sulla sua spalla. La mente di Dylan era obnubilata da un vortice di sensazioni.
Come poteva sentirsi tanto legata a quell’uomo? Un uomo che conosceva appena. Ma il suo corpo lo conosceva come non aveva mai conosciuto nessun altro. E questo grazie al gioco di ruolo, al BDSM. Aveva l’assoluta fiducia che Alec si sarebbe preso cura di lei. Pericoloso. Sì, era pericoloso affidarsi a qualcuno. Era sempre stata lei a condurre il gioco, e questo non doveva cambiare. Ma era così piacevole essere stretta tra le sue braccia. Sentire il suo respiro affannato. Sentire contro di sé la massa solida e muscolosa del suo corpo imponente. Dylan si abbandonò a quel senso di sicurezza, rilasciò i muscoli, si rilassò. Cosa poteva esserci di male? Fino a quando lei non avesse perso la giusta prospettiva, fino a quando non si fosse aspettata troppo, non avrebbe corso alcun rischio. Sarebbe stata di nuovo razionale quando non avessero fatto sesso, quando non avessero praticato il BDSM. Ma Alec aveva ragione, quando erano insieme doveva lasciarsi andare, altrimenti l’esperienza non sarebbe stata completa. E lei voleva che lo fosse. Non solo per le sue ricerche, ma anche per se stessa. Aveva la sensazione di essere sul punto di scoprire qualcosa di sé. Di essere ormai in procinto di farlo. Era spaventoso e al tempo stesso meraviglioso. Forse lo sarebbe stato. “Non abbandonarti completamente. Non lasciare che questo influenzi anche il resto della tua vita.” Sì, poteva farcela, lo aveva sempre fatto. Alec aveva molto da insegnarle. Riguardo al sesso. Riguardo a come funzionava la mente umana. Forse le avrebbe anche insegnato a fidarsi di un’altra persona, fino a un certo punto, almeno. Non si trattava d’altro. Dylan ignorò quella piccola parte della sua mente che le sussurrava che si trattava già d’altro.
11 Alec l’aveva portata a letto. Troppo romantico, ma Dylan glielo aveva lasciato fare; non aveva le forze per protestare, dopo l’orgasmo e le endorfine scatenate dallo spanking. Alec aveva scostato il copriletto, l’aveva adagiata sulle lenzuola di un bianco immacolato e si era disteso accanto a lei. Dylan avrebbe voluto posare il capo sulla sua spalla, premere il viso contro il suo torace e ascoltare il battito del suo cuore, ma non osava farlo. Assurdo.
Non aveva mai desiderato quell’intimità post-sesso di cui la maggior parte delle donne sembrava aver bisogno. Probabilmente la sensazione che avvertiva quella sera era causata dall’insolita esperienza; come se, dopo il picco delle endorfine e di tutte le altre sostanze prodotte durante le sedute di BDSM, fosse crollata. Si sentiva scoperta. Nuda. Bisognosa. Alec si voltò verso di lei come se le avesse letto nel pensiero e la baciò con dolcezza, circondandole le spalle e stringendola a sé. Ah, era così bello! “Non abituarti.” No, ma per il momento era meraviglioso starsene lì distesa a letto insieme a lui. Era così intimo, con il rumore della pioggia che batteva contro le finestre e la luce soffusa che proveniva dalla cucina, come un pallido sole lontano. — Ehi... — bisbigliò Alec con voce bassa e roca. — Mmm... — Tutto okay? — Sì, sto bene. — Solo bene? Lei rise. — Più che bene, se proprio vuoi saperlo. — Perfetto. — Alec s’interruppe, accarezzandole distrattamente il collo. — Sei pronta a parlarmi di tua madre? Dylan provò una stretta allo stomaco e serrò le mascelle. — Alec, no, non lo sono. — Una volta o l’altra dovrai pur farlo. — Dovrò? — Non puoi pensare di riuscire a lasciarti andare davvero senza aprirti con me completamente. Se continuerai a mantenere nascosta una parte di te, questa continuerà a venire a galla. — È così necessario? Lasciarsi andare completamente? — Credi che non lo sia? Non è forse il motivo per cui siamo qui? — Ho iniziato con l’intenzione di fare ricerche per il mio libro, ma ora non so più quello che stiamo facendo. Alec rimase in silenzio per qualche istante. — Nemmeno io. In un certo senso, la fece stare meglio sentire che anche lui ammetteva la propria insicurezza. Non era la sola. Lo faceva apparire più umano ai suoi occhi. E forse faceva sentire lei meno imperfetta, meno debole.
Rilassò le spalle e il viso. Inspirò a fondo il profumo della sua pelle. — Okay — disse lentamente, come se non fosse ancora del tutto sicura. — Okay... che cosa? — Te lo dirò. — Ti ascolto. — Mia madre soffre della sindrome bipolare — disse tutto d’un fiato, prima di avere ripensamenti. — Questo ha reso... molto difficile la mia infanzia. Quasi impossibile, in realtà. Sono sicura che sia questo il motivo per cui mio padre se n’è andato, anche se il fatto che abbia abbandonato due bambini piccoli... be’, questa è un’altra storia, suppongo. Alec le prese le mani. — Raccontami com’è andata. Dylan fece un respiro profondo, poi un altro. Non parlava mai della sua famiglia con altri, a eccezione di Mischa, e anche con lei non era facile. Ma ora voleva confidarsi con Alec. — Vivevamo a Portland. Là non avevamo parenti, quindi fui costretta a diventare adulta ben presto. Abbiamo traslocato spesso, perché Darcy dimenticava di pagare l’affitto e le bollette. A dieci anni, avevo già imparato tutto. Compilavo gli assegni e firmavo con il suo nome. Quando c’era denaro sul conto, ovviamente, cosa che non si verificava sempre. — Chiamavi tua madre Darcy? — Per noi non è mai stata davvero una madre. Non abbiamo mai pensato di chiamarla “mamma”. — Tuo fratello era più giovane di te? — Sì, di tre anni. Mi sono presa io cura di lui, o almeno ci ho provato. — Una responsabilità molto onerosa per una bambina. — Sì, ma del resto... quella era la mia vita. — Dov’è ora tua madre? — Alla fine, mia zia Deirdre l’ha presa con sé. Ha portato Darcy a casa sua ad Ashland, nell’Oregon, poco dopo che io sono partita per il college. Be’, poche settimane dopo la morte di Quinn. — Dylan s’interruppe e provò la familiare sensazione di ricevere un calcio nello stomaco. — Darcy era distrutta dopo quella tragedia, e anch’io. Ma non volevo abbandonare la scuola e tornare a casa. Non avevo motivo per farlo. E poi, francamente, a quel punto toccava a Deirdre. Fece una pausa, prima di riprendere. — Non ero particolarmente legata a Deirdre. Da tanti anni sapeva che c’era qualcosa che non andava in mia madre, ma non ha mai voluto fare niente in proposito, fino a quando non ha avuto altra scelta. Io dovevo andarmene da lì, tornare a scuola. Non sono andata al college fino a quando avevo quasi vent’anni. Sono rimasta a casa per aiutare mia madre, per prendermi cura di mio fratello. Ma evidentemente, non ho fatto un buon lavoro.
— Sono sicuro che sei stata in gamba, invece. E comunque sei rimasta lì, e questo conta qualcosa. — Forse. Sono rimasta fino a quando... fino a quando non me ne sono andata. E a quel punto Quinn è morto. — Perché pensi che sia stata colpa tua? Dylan sentì un nodo allo stomaco. Si era posta quella domanda milioni di volte e non era mai giunta a una risposta ragionevole. Il ricordo del corpo martoriato e sanguinante di Quinn, il suo volto pallido e immobile, oscuravano qualsiasi altra cosa. Il fatto che fosse morto era sempre il suo primo e più insistente pensiero. — Non lo so, ma è come se non riuscissi mai a liberarmi di quest’idea. — Dylan, è impossibile che sia colpa tua. Da quel poco che mi hai detto, è chiaro che si è trattato di un incidente. È un pensiero illogico. — La logica spesso esula da questo tipo di situazioni, non è così? — Sì, suppongo di sì. Rimasero per qualche istante entrambi in silenzio, pensierosi. Forse Alec rifletteva su ciò che lei aveva detto. Dylan non desiderava davvero sapere che cosa ne pensasse. Non voleva che provasse pietà per lei. — C’è dell’altro? — le chiese Alec. Dylan annuì. — Sì, molto altro. Una persona bipolare soffre di... crisi, accessi di rabbia. A volte lei se ne andava e noi restavamo soli per giorni interi. È riuscita a non essere ospedalizzata fino a quando io me ne sono andata e lei è stata affidata a Deirdre. Io non lo avrei mai fatto... metterla in ospedale, mia zia invece sì, più volte. Probabilmente, se lo avessi fatto, noi saremmo stati dati in affidamento, io e Quinn. E forse separati. Non avrei mai potuto farlo. Lui aveva solo me. E io... avevo solo lui. L’antico dolore le straziava lo stomaco, ma si era ormai abituata a mandarlo giù. — Non avevate parenti? — Mia nonna Delilah, ma a quel tempo viveva in West Virginia. Mio nonno era malato di Parkinson e lei aveva già il suo gran daffare. Nel mio ricordo, è stato sempre malato. Dopo la sua morte, la nonna si è trasferita ad Ashland per stare vicina a mia madre e aiutare Deirdre. Ma a quel punto era ormai troppo tardi per Quinn e me. Adoro mia nonna. Quando eravamo piccoli, io e Quinn avano l’estate con lei, ma dopo un po’ Darcy diventava troppo ansiosa senza di noi, e quando tornavamo a casa era ridotta a uno straccio. Così abbiamo smesso di andarci. Ancora adesso non so se mia nonna avesse idea di quanto mia madre stesse male. Almeno fino a quando non è arrivata nell’Oregon. Io non gliel’ho mai detto e sono sicura che anche Quinn gliel’abbia taciuto. Era il nostro segreto, il nostro modo di proteggerla. — Era vostra madre, avrebbe dovuto essere lei a proteggere voi, è così che funziona.
— Per la maggior parte delle persone, forse. Ma lei non ne era capace. — Lo so. È davvero terribile. — Sì, lo è stato. Dylan si sentì meglio di quanto avesse immaginato nel sentirgli dire quelle parole. Nel sentirsi compresa. Gli strinse la mano, non sapeva in quale altro modo esprimere la strana gratitudine che provava. — Quindi, hai dovuto sempre occuparti tu di tutto — disse lui. — Sì. — Ed eri sola. Perché aveva improvvisamente voglia di piangere? Ricacciò indietro le lacrime che le riempivano gli occhi. — Accidenti! — disse a mezza voce. — Ehi, va tutto bene. — Davvero? Lui la strinse a sé e Dylan dovette impedirsi di ritrarsi. La vicinanza di Alec le era di conforto. Lui le era di conforto. Ma non voleva lasciarsi andare. Per troppo tempo aveva fatto conto solo su se stessa. Se si abituava a lui, che cosa avrebbe fatto quando lui se ne fosse andato, come sarebbe inevitabilmente accaduto? — Per il momento non devi dirmi altro, Dylan. Ho la sensazione che sia stato già molto per te. — Sì, lo è stato e... — E? — No, niente... mi aspettavo altre domande. Riguardo alla malattia di mia madre, com’è stato vivere con una... pazza. Quello che succedeva in casa. I particolari riguardanti la morte di mio fratello. — Non devi dirmelo ora. O forse nemmeno in futuro. Ma avrei una domanda. Lei sospirò. — Quale? — Tutte le donne della tua famiglia hanno il nome che inizia per D? Dylan rise e parte della tensione abbandonò il suo corpo. Com’era possibile che Alec riuscisse a scatenare tante emozioni in lei e allo stesso tempo a farla sentire tanto rilassata? — Sì, mi rendo conto che per gli altri possa risultare una cosa strana. Sembra sia stata la
mia trisnonna a dare inizio a questa tradizione. È una cosa ridicola. — Io la trovo molto carina. Dylan inclinò la testa e lo guardò. — Sei un uomo molto strano, Alec Walker. — Non è la prima volta che me lo sento dire. E non sarà l’ultima. Ma non m’importa. In fondo al cuore sono un ribelle, lo sai. I suoi occhi azzurri brillarono dietro alle palpebre socchiuse e lei trattenne il respiro. Era così bello! — L’ho capito sin dal primo momento in cui ti ho visto — gli disse. — Anch’io l’ho capito appena ti ho vista. Non sei una donna come le altre. — Oh, grazie. — Questo mi piace molto. Apprezzo la tua creatività... e la tua aria di mistero. — Non è mia intenzione essere misteriosa, sono solo... riservata. — Anch’io. Ci sono cose che le persone come noi amano tenere per sé. — Non mi piace parlare dei miei problemi. Non voglio che gli altri provino pena per me. — Perché questo ti rende vulnerabile. — Sì. Stare qui seduta a dirti queste cose mi fa sentire più vulnerabile di quanto io mi senta quando mi leghi o mi sculacci... più vulnerabile che in qualsiasi altra situazione. — Questa è una cosa positiva. Voglio che ti apri con me. Più lo farai e meglio sarà. — Perché questo è il compito di un buon dominatore? — Sì. Forse. — Alec s’interruppe e si ò una mano tra i capelli. — O forse non è l’unica ragione. — Questo ti fa sentire vulnerabile, Alec? — gli chiese lei in tono pacato. — Dirmi questo? Lui annuì, portandosi le loro mani intrecciate al petto. — Sì, non mi piace pensarla in questi termini, ma è così. — Non sono sicuramente un’esperta, ma ho letto che questa dovrebbe essere un’esperienza di crescita reciproca. Il gioco di ruolo, intendo. Si tratta di uno scambio di potere, non di una cosa a senso unico. Non è così? — Sì, certo. — Quindi, forse è questo ciò che hai appreso da me. Perché non vedo in quale altro modo potrebbe essere un’esperienza reciproca, se anche tu non impari qualcosa. Dev’essere
qualcosa che va oltre il fatto di detenere il controllo, di esercitare il potere. Dovrebbe funzionare in entrambi i sensi, no? Anche la sottomessa ha una parte di potere in questa situazione. E non mi riferisco solo alla possibilità di interrompere il gioco usando la safe word. Mi ero informata sull’argomento, ma non avevo capito esattamente come funzionassero le cose fino a questo momento. Alec rimase in silenzio per qualche istante, poi rispose: — Posso dirti che non mi piace ammettere di essere in qualche modo vulnerabile. Ma hai ragione. Su tutto. Forse è questo ciò che mi trattiene. Come dominatore e nella mia vita in generale. Non mi va di analizzare troppo profondamente i motivi. Mi fa sentire a disagio. — Non fa parte del BDSM sfidare i propri limiti? Uscire dalla zona di sicurezza? — Oh, in questo momento sono molto al di fuori della mia zona di sicurezza. — Anch’io. — Eppure, sei qui con me, mi stai parlando di cose che non avresti mai voluto dirmi. Dylan annuì. — Sì, e non capisco nemmeno bene perché. Forse il BDSM mi ha aiutato... ad aprirmi. — Sicuramente. — Ma la stessa cosa non funziona per te. Lui sorrise, solo un cinico sollevarsi di un angolo della bocca. — Sono famoso per il mio assoluto controllo. — Anch’io, Alec. Lui la fissò. Dylan non riusciva a capire che cosa gli stesse ando per la testa. I suoi occhi erano cupi, pensierosi. C’era qualcosa di pericoloso in lui, come se ci fosse della rabbia che sobbolliva appena sotto la superficie. Forse era solo disagio al pensiero di doversi lasciar andare. — Formiamo una strana coppia — disse Alec in tono gentile — ma ben assortita. Entrambi abbiamo qualcosa che ci trattiene dal renderci conto del nostro reale potenziale. — A sentire te sembrerebbe... — Ti sembrano solo chiacchiere inconcludenti? — No, sembrerebbe tutto così semplice. — Forse lo è. Forse è tutto molto più semplice di quello che pensiamo. — Sono abituata alle cose complicate. Non sono capace di renderle semplici. — Forse lo impareremo insieme. Improvvisamente, Dylan desiderò stare con lui, imparare e crescere insieme. Non sapeva nemmeno che cosa significasse esattamente. E, in ogni caso, preferiva non ammetterlo.
“Ti stai innamorando di lui.” “No.” Ma era la verità. Si stava innamorando perdutamente, e quando alla fine avrebbe toccato il fondo, sarebbe stato un disastro. “Non farlo.” Ma stava succedendo, che lei lo volesse oppure no, non poteva impedirlo. Non poteva fare altro che andare avanti, ovunque tutto questo l’avrebbe condotta. Alec sedeva alla grande scrivania di quercia del suo studio e guardava fisso fuori dalla finestra, oltre lo schermo del computer. Avrebbe dovuto cercare in internet gli hotel dove soggiornare durante il suo imminente viaggio in moto con Dante lungo Baja Peninsula. Ne avevano parlato per mesi e ora era giunto il momento di fare progetti concreti. Era riuscito a ritagliarsi del tempo tra una scadenza e l’altra, e Dante aveva già comunicato che si sarebbe assentato dall’ufficio. Alec aveva atteso con ansia quel momento: qualche settimana in giro con la sua moto. Quella sensazione di libertà totale. Avrebbero fatto immersioni, parasailing, e si sarebbero rilassati sulla spiaggia. Perché adesso non ne era entusiasta? Fuori, il cielo era del solito grigio tipico di Seattle. I deboli raggi di sole filtravano attraverso le nuvole, colorandole di bianco e d’argento. Alec amava il cielo di Seattle, la sua tristezza. Ma quel giorno lo metteva di cattivo umore. No, non era il cielo. Era Dylan. Non era più riuscito a pensare con lucidità da quando l’aveva lasciata martedì mattina. Era in quello stato da quattro giorni. Aveva troppi pensieri in testa. E la luna storta. Eccetto quando le telefonava la sera. Tutte le sere. Parlavano per ore. Non aveva mai parlato tanto al telefono in tutta la sua vita. Ma per il momento non osava rivederla, era ancora troppo provato dopo la notte che avevano trascorso insieme. Forse quella sera sarebbe dovuto andare al club. Lì avrebbe trovato Dante e altre persone che conosceva. La verità era che non voleva andarci senza Dylan, che non sopportava l’idea di praticare il BDSM con un’altra donna. “Dylan...” “Non stare a pensarci tanto, fallo e basta.” Si ò le dita nel pizzetto, sfregandosi il mento. Poi prese il telefono e compose il numero, tamburellando con una penna sul ripiano della scrivania nell’attesa. — Pronto? — Dylan, stasera ti porto al Regno del Piacere. Non dire di no.
— Alec... io... d’accordo. Lui si alzò in piedi e iniziò a eggiare avanti e indietro sull’antico tappeto persiano che copriva il pavimento di legno scuro. Era ruvido sotto i piedi nudi. — Bene. o a prenderti alle nove. — Sarò pronta. — Indossa qualcosa che si può togliere facilmente. Il suo sesso s’indurì a quel pensiero: la pelle chiara di Dylan che veniva scoperta a poco a poco mentre lui le abbassava lentamente l’abito sulle spalle delicate. I suoi capelli ricci ovunque: fuoco e seta tra le sue mani... — Nient’altro, Alec? — Che cosa? — Vuoi che faccia altro? Ah, gli piaceva da morire quando la sua voce si addolciva in quel modo, quando lei iniziava a entrare nella parte della sottomessa. E ancor di più apprezzava il fatto che questo avvenisse appena lui le dava semplici istruzioni su come vestirsi. — No, basta così. — S’interruppe, e il suo sguardo vagò ancora una volta verso l’orizzonte nebbioso. “Ricomponiti.” — Dylan? — Sì? — Muoio dalla voglia di vederti. Un breve silenzio dall’altra parte della linea. Poi Alec poté quasi sentire il sorriso nella sua voce, il desiderio nelle sue parole ansimanti. — Anch’io. Alec riagganciò, si sedette e si rimise a fissare il monitor. Non aveva mai detto nulla di simile a una donna. Sicuramente poteva essere considerata una stranezza del suo carattere, ne era quasi certo, ma perché proprio ora stava deviando dal suo comportamento abituale? Con Dylan era tutto diverso. Non era mai riuscito a parlare con una donna nel modo in cui parlava con lei. L’ultima volta che aveva visto Dante aveva tentato di spiegarglielo, ma non aveva confessato tutto quello che avrebbe dovuto. Non lo aveva nemmeno ammesso a se stesso. La cosa più rilevante era che non sopportasse di stare lontano da Dylan. Pazzesco! Tra la cerchia delle sue conoscenze, lui era sicuramente il più indipendente, quasi un eremita a volte,
soprattutto se stava scrivendo un libro. Se non fosse stato per l’attrattiva rappresentata dal Regno del Piacere e per il suo amore per i viaggi, probabilmente si sarebbe rinchiuso in casa e non avrebbe fatto altro che scrivere. Avrebbe trascorso la sua vita da solo, come aveva fatto suo padre. Suo padre era stato felice così. Forse. Ultimamente aveva iniziato a chiederselo. Ma ora voleva solo rintanarsi con Dylan e non lasciarla andare mai più. Aveva senso che dicesse a se stesso di essere in grado di gestire la situazione? Forse la vacanza a Baja Peninsula gli sarebbe stata utile. Gli avrebbe permesso di prendere le distanze da Dylan e da tutta quella situazione. Sarebbe riuscito a pensare a qualcos’altro oltre che al profumo della sua pelle, alla morbidezza dei suoi capelli, al suo sguardo quando si sottometteva a lui, al suo corpo minuto sotto di sé, mentre il suo cazzo scivolava in lei... Era di nuovo duro. O meglio, ancora. Non lo sapeva più nemmeno lui. Da quando si erano visti l’ultima volta, aveva avuto quattro o cinque erezioni al giorno, come un adolescente in piena tempesta ormonale. E lo stesso da quando si erano conosciuti. Dylan era irresistibile. I seni perfetti, con i capezzoli che si scurivano quando s’indurivano tra le sue dita... E, Cristo, quando scivolava dentro di lei, era sempre calda e bagnata. Seta bollente, stretta e scivolosa. Il suo cazzo fremeva. Alec abbassò la mano e la premette contro la parte anteriore dei jeans. Non servì a nulla. Nulla sarebbe riuscito a placare il suo desiderio fino a quando non l’avrebbe rivista. Fino a quando non l’avrebbe avuta davanti a sé, nuda e legata. Fino a quando non fosse stato di nuovo dentro di lei. Merda! Scostò la sedia dalla scrivania, si abbassò la cerniera dei jeans e liberò il suo sesso, facendo scorrere la mano lungo l’asta rigida. Pensò a Dylan. Alle sue lunghe gambe snelle, al ventre piatto, alla sua pelle vellutata. Alla sua fica quasi completamente rasata, un fiore che si apriva per lui. Poteva vederne le labbra rosa, gonfie di desiderio, lucenti per l’eccitazione. Con un sospiro, iniziò ad accarezzarsi. Il suo cazzo pulsava, duro come il marmo. Sfiorò il glande con la punta delle dita, immaginando che fossero le labbra di Dylan, la sua voluttuosa bocca rossa che lo circondava e inghiottiva. Inarcò il bacino e prese a masturbarsi con forza. Continuò a pensare a lei, a quanto le piaceva che lui le strizzasse i capezzoli. Aveva sempre orgasmi violenti quando lui la pizzicava e la sculacciava. Le piaceva molto. E piaceva molto anche a lui. Continuò a far scorrere la mano su e giù. “Dylan...”
I suoi grandi occhi grigi, la piccola bocca calda. La sua fica, che si contraeva intorno al suo cazzo durante l’orgasmo. Presto sarebbe venuto. “Dylan!” Lo fece sui jeans, ma non gli importava. Ansimava, il suo sesso era ancora scosso da piccole ondate di piacere. Se chiudeva gli occhi poteva vederla. Bellissima... In quel momento riusciva a pensare solo a lei. Più tardi avrebbe riflettuto su a ciò che tutto questo poteva significare. Sentendo il suono di quel maledetto camlo, sarebbe sicuramente trasalita. Era tutto il giorno che lo aspettava. La tensione e il desiderio erano cresciuti a dismisura, e ora lei era arrivata al limite. Dylan fece un sorso di Perrier. Avrebbe potuto bere un bicchiere di vino per calmare i nervi, ma Alec aveva insistito affinché nessuno dei due fosse alterato prima di una sessione di BDSM. E quella sera sarebbe stata una cosa seria, ne era certa. Altrimenti non l’avrebbe portata al Regno del Piacere. Anche lei desiderava andare al club, ritrovarsi in quell’ambiente trasgressivo insieme a lui. Stare con lui. Probabilmente per la decima volta negli ultimi venti minuti, si avvicinò al lungo specchio accanto alla porta d’entrata. I suoi occhi erano enormi, sottolineati dall’eyeliner nero, le pupille grandi e scure. Le labbra erano piene, come se aspettassero di essere baciate, coperte da un velo di lucidalabbra rosso. I capelli mogano le ricadevano in morbidi riccioli sulle spalle, lasciate scoperte dall’abito nero senza spalline che era corsa a comprare quel pomeriggio, dopo la telefonata di Alec. Le calzava come un guanto, un semplice tubino di seta che le arrivava a mezza coscia. Più corto di qualsiasi cosa avrebbe potuto indossare se non si fosse recata al club. Indietreggiò di un o per guardare le scarpe nere col tacco alto, il cinturino alla caviglia che enfatizzava le sue lunghe gambe. Si sentiva bene. Sapeva di essere attraente. Ma dentro era un groviglio di nervi. Il perizoma di seta nera era già fradicio al solo pensiero della serata che l’attendeva. “Alec...” Dylan si sorprendeva ancora per le proprie reazioni al dolore e al modo in cui questo si traduceva in un intenso piacere mai provato prima. Non era mai riuscita ad ammettere a se stessa di aver avuto per anni fugaci fantasie di quel genere. Fantasie che aveva represso perché troppo abituata a essere forte, a condurre il gioco e a mantenere il controllo. Forse Alec aveva ragione, ed era esattamente quello il motivo per cui lei
sentiva il bisogno di abbandonarsi una volta tanto. Quella sera si sarebbe lasciata andare. Lo aveva già fatto. E poteva farlo fino a quando avesse continuato a dirsi che si trattava solo di sesso. Una pura reazione dei sensi, niente di più profondo. Gli anni ati con sua madre, completamente priva di qualsiasi controllo, dovevano averla in qualche modo influenzata... Dylan era piuttosto abile nel negare la realtà, per essere una donna razionale. Sempre che lo fosse davvero. Forse, per tutti gli anni in cui aveva pensato di essere una persona logica e ragionevole, non aveva fatto altro che nascondersi dal suo ato, fingendo di possedere una forza che in realtà non aveva. Un pensiero spaventoso. Alec stava facendo venire a galla parecchi pensieri che le facevano paura. La spingeva a porsi domande su tutto ciò che era sicura di sapere su se stessa. Il che la riportava dritta alla negazione. Sospirò. I suoi pensieri si stavano avvitando in una spirale frastornante. Doveva calmarsi e godersi semplicemente la serata. Sentì il suono del citofono. Dylan fece un respiro profondo e posò il bicchiere sulla mensola accanto allo specchio, prima di rispondere. — Alec? — Sì, sono io. — Vuoi salire, oppure scendo? — Scendi. — Arrivo subito. Dylan indossò il trench di pelle, assicurandosi di avere in tasca il portafoglio e le chiavi, poi chiuse la porta e salì in ascensore. Alec la aspettava davanti alla porta d’entrata. — Ciao. — Sei... bellissima, Dylan. — Grazie. Era davvero arrossita? Alec si chinò su di lei per darle un lieve bacio sulle labbra e Dylan si sentì sciogliere. Alec si staccò da lei, i suoi occhi azzurri la scrutarono per qualche istante, poi l’attirò a sé e la baciò con ione. La sua lingua sapeva di menta e le dava sensazioni... inebrianti. Le cedettero le gambe, ma lui la tenne stretta tra le braccia. Attraverso il pesante cappotto, Dylan poteva sentire il suo forte corpo muscoloso. Sospirò nella sua bocca. Lui si staccò. — Cristo, Dylan! — La lasciò andare e si ò una mano sul pizzetto. —
Scusa se non sono salito, ma ho pensato che se l’avessi fatto non avremmo più lasciato il tuo appartamento. Le stava sorridendo, con quel suo irresistibile sorrisetto malizioso, ma Dylan aveva capito che parlava seriamente. Le piaceva il fatto di riuscire a turbarlo in quel modo. Il fatto che il desiderio di Alec fosse dirompente quanto il suo. Aveva sempre avuto la sensazione di poter mettere un uomo in ginocchio, in senso figurato, ovviamente. Ma con Alec, quella sensazione era ancora più intensa. Tutto con lui era più intenso. — Andiamo, prima che ti violenti qui, sulla porta di casa. Le sorrideva ironicamente, ma Dylan riconobbe il luccichio del desiderio nei suoi occhi e sulle sue labbra. Non era tanto male l’idea di essere violentata lì sulla porta. Annuì, sorridendo tra sé. Alec le prese la mano e la guidò verso il suo grosso SUV nero. L’auto lo rispecchiava perfettamente: grande e potente. Le aprì la portiera e la fece salire, prima di prendere posto al volante. Il SUV si mise in moto con un ruggito sordo, e partirono. — Come ti senti all’idea di andare al Regno del Piacere? — Eccitata. Un po’ nervosa. Come se dovessi esibirmi. Ho la sensazione che questa sera non mi nasconderai ancora in un angolo buio. Non mi dispiace l’idea di farmi vedere da altre persone. Un pensiero eccitante, che però mi mette addosso un po’ di paura, anche se non so esattamente che cosa hai in mente. Alec si voltò verso di lei e le sorrise. — E tu non hai intenzione di dirmelo. — Naturalmente no. Lei sorrise e scosse la testa. — Immagino che faccia parte delle regole del BDSM. — Sì, assolutamente. E l’incertezza fa parte del tuo ruolo. Devi semplicemente fidarti di me. — Mi fido. — Bene. Molto bene. Perché questa sera esplorerò qualcosa di diverso con te. Penso che tu sia pronta. — Oh! Alec la guardò per un attimo, poi tornò a fissare la strada. A quelle parole le si era attorcigliato lo stomaco, per la paura ma anche per quella deliziosa anticipazione. Arrivarono in breve tempo al club. Alec parcheggiò il SUV e scese ad aprirle la portiera. La sua mano sul braccio era rassicurante, eppure il cuore di Dylan accelerò i battiti.
Oltrearono l’alta porta rossa ed entrarono. Alec l’aiutò a togliersi il cappotto e la condusse nella sala principale. Dylan sbatté le palpebre in attesa che i suoi occhi si abituassero alle luci basse e colorate. Quella sera il club era più affollato rispetto alla volta precedente. Sembrava che ci fosse gente ovunque, vestita di pelle nera o nuda. O forse quella sera lei era semplicemente più attenta a ogni cosa. Ipersensibile a tutto. La musica rimbombava ritmicamente nel suo stomaco, una melodia sognante e ipnotica, con bassi potenti. Accanto a lei Alec sembrava enorme, incombente, come le era apparso la prima volta che lo aveva visto al Museo di Arte Asiatica. Sembrava fosse ato un secolo. Invece era successo solo due settimane prima. Com’era possibile? Alec la strinse a sé mentre attraversavano la sala. Dylan non riusciva quasi ad assimilare tutto ciò che la circondava. Corpi nudi, semivestiti, incatenati alle croci, legati con corde, riversi in grembo a dominatori e dominatrici sui divani di pelle rossa, inginocchiati sul pavimento. C’erano corsetti, collari e manette. Corde, imbracature e lunghe catene lucenti. E tutto ciò la attirava ed eccitava. Il desiderio le scorreva bollente nelle vene. Voleva essere una di loro, voleva essere legata, torturata, titillata. Voleva essere ammirata. La sua mente si andava svuotando. E quando Alec si fermò davanti a un’enorme croce di Sant’Andrea, il suo cuore mancò qualche battito. Sarebbe successo davvero.
12 Alec si chinò su di lei e le sussurrò all’orecchio: — Ora ti spoglierò e ti incatenerò a questa croce. Amo le catene. Per me sono meglio delle corde. Più forti. Credo che piaceranno anche a te. Nel tuo caso, più le cose sono estreme, e meglio è. Ti aiuterà ad arrivare alla parte più essenziale, più primitiva di te stessa. A lasciarti andare. Dylan riusciva a malapena a parlare. Il cuore le batteva all’impazzata, il suo sesso si contraeva per l’eccitazione. — Sì, Alec... Lui le sfilò il vestito e il perizoma di seta nera, lasciandole solo le scarpe con il tacco. I capezzoli le si indurirono immediatamente. Dylan era profondamente consapevole di essere nuda con tutta quella gente intorno. Era incredibilmente eccitante. Non aveva importanza che la guardassero o meno. A eccezione di Alec, naturalmente. E provò uno strano senso d’orgoglio nel riuscire a farlo davanti a tutte quelle persone: nell’essere nuda e sottomessa. Ma tutti quei pensieri erano in un angolo remoto della sua mente. L’altra parte di lei era concentrata solo su quel momento.
Alec le baciò le spalle, voltandola verso la croce. Dylan tremava da capo a piedi, percorsa in tutto il corpo da brividi di desiderio. — Lascia che sia io a pensare a tutto, Dylan. Ecco, solleva le braccia. Sì, così. Prima che lei si rendesse conto di quello che stava per succedere, Alec le aveva allacciato una spessa polsiera di cuoio a un braccio. Posandole una mano sulla schiena, la spinse più vicino alla croce, fino a quando i suoi seni sfiorarono il legno liscio. Allora le prese l’altra mano e le legò anche quella. Dylan diede un lieve strattone per sentire quanto fosse trattenuta dalla catena che univa le due polsiere, ando attraverso un occhiello affisso alla croce. Era costretta a tenere le braccia larghe. Si sentiva vulnerabile e, al tempo stesso, perfettamente al sicuro con Alec. E bella. — Ti lascerò queste meravigliose scarpe — le disse lui, chinandosi ad accarezzarle la gamba e poi più giù, fino al cinturino che le cingeva la caviglia. — Gambe stupende... Le diede un piccolo bacio nell’incavo del ginocchio e la sensazione arrivò dritta al suo sesso. Dylan gemette. Poi Alec si rialzò. Il suo corpo imponente le premeva sulla schiena, la sua erezione una pesante asta di carne contro le natiche. — Ora aprirò la mia borsa dei giochi. Sono qui dietro di te, non voglio che tu ti muova. Resta ferma, respira come ti ho insegnato. Hai capito, Dylan? — Sì, ho capito. Alec si staccò da lei e Dylan iniziò a fare come lui le aveva detto. Inspirava attraverso il naso, tratteneva il fiato nei polmoni per qualche istante e poi espirava dalla bocca, cercando di rilassarsi. Una parte di lei era ancora nervosa, aveva paura di ciò che non conosceva. L’altra invece era focalizzata su quello che avveniva nel suo corpo: i capezzoli che s’indurivano, il sesso umido, la tensione muscolare mentre attendeva che il gioco iniziasse. Alec era di nuovo dietro di lei e le cingeva la vita. Le sue mani erano grandi e calde sulla pelle. “Toccami...” Ma non osava dirlo ad alta voce. Ora aveva abbastanza esperienza da sapere che sarebbe stato lui a condurre il gioco. E che lei avrebbe obbedito. Alec iniziò ad accarezzarla; le sue dita sulla pelle, lievi come piume, le davano i brividi. Le accarezzò la schiena, i fianchi, le natiche, le gambe e, dopo averle scostato i capelli di lato, anche la nuca. Il desiderio sbocciava sul suo corpo nei punti in cui lui la toccava. — Ah, ti piace, Dylan... lo sento. Lo sento nel tuo respiro. Stai entrando nella parte? Rispondimi. — Sì... sì.
— Eccellente. Brava bambina. L’ormai familiare ondata di piacere provocata dalla sua approvazione. Le piaceva che lui le dicesse “brava bambina”. — Sei pronta? — Sì, sono pronta. — Ricordi la safe word? — “Giallo” per rallentare, “rosso” per fermarti. — Molto bene. Allora adesso... Alec fece un o indietro e lei sentì subito qualcosa sfiorarle la pelle. Le frange di pelle scamosciata di un flogger, probabilmente. Dylan le sentiva scivolare delicatamente sulla schiena. Si lasciò cullare da quel lento ritmo, mentre lui disegnava una X sulla sua schiena, riscaldandola. Non avvertiva dolore, solo un piacere che si faceva sempre più intenso. Si sintonizzò sulla musica, di cui Alec cadenzava il tempo. La melodia divenne parte del loro gioco, il suo ritmo dava il tempo ai colpi di frusta. Dylan si stava rilassando, il sangue fluiva rapidamente nelle braccia, nelle gambe, nel suo ventre. I seni e il sesso fremevano di desiderio, ma non in preda alla frenesia. Non ancora. Dylan lanciò un gridolino quando il flogger si abbatté più forte sulla sua schiena. Ma prima che potesse registrare la sensazione, riprese il ritmo lento. E lei si lasciò cullare di nuovo. Aveva l’impressione che il tempo si fosse dilatato, mentre lei si sentiva fluttuare, come sospesa in un luogo nebbioso, da sogno. Rimase lì a lungo, in attesa, lasciandosi trasportare alla deriva. Un’altra frustata la colse di sorpresa, ma la svegliò solo un po’ da quel torpore. Anche quando lui iniziò a colpirla sempre più forte e lei sentì la pelle bruciare, la sua mente continuava a restare sospesa in quel luogo incantato e il suo corpo convertiva il dolore in immediato piacere. Il dolore era piacere: desiderio, bisogno intenso e incontenibile. Alec si fermò e fece scorrere la mano sulla sua pelle dolorante. — Mi piace vedere la tua pelle che si arrossa. Meravigliosa. Ci sei, Dylan? — Mmm... — Dylan — ripeté lui in tono più severo. — Rispondimi. Ci sei? — Sì, Alec, sono qui. Dylan non sentì più il calore del suo corpo e un attimo dopo lui era davanti a lei e le sollevava il mento per guardarla negli occhi.
— Voglio vedere i tuoi occhi — le disse. — Oh sì, ci sei quasi. Bene. È esattamente quello che voglio. Ma una parte di te deve restare presente, concentrata su quello che ti succede. Hai capito? — Sì... io non so... — D’accordo, ci penserò io, ti controllerò. Ma tu devi rispondermi quando ti parlo, Dylan. — Sì, ti risponderò. Alec sorrise. Aveva un bel sorriso: denti bianchi, labbra invitanti e quel pizzetto demoniaco. Dylan sentì un gran calore quando lui si chinò a baciarla. La sua bocca era esigente e lei socchiuse le labbra. Quando infilò una mano tra le sue gambe, sfiorandole il sesso bagnato, Dylan gemette e inarcò la schiena. — Ah, non ancora — la frenò lui con aria maliziosa, pizzicandole il clitoride. — Oh! — Dopo ti lascerò venire, piccola. Ma non adesso. La baciò di nuovo, frettolosamente questa volta, e tornò a posizionarsi dietro di lei. Riprese a frustarla, ma questa volta in modo diverso. Il dolore era più acuto e lei capì, anche se in modo confuso, che Alec stava usando uno strumento diverso, che si abbatté ripetutamente sulla sua schiena fino a quando lei iniziò a sentire il proprio respiro ansimante. Il bruciore cresceva e il suo sesso si gonfiava voglioso. Alec si fermò, cingendole la vita e attirandola a sé. La sua bocca le sfiorò l’orecchio; Dylan sentì il calore del suo respiro. — Sei così bella, Dylan. Ti voglio. E ti prenderò. Ma più tardi. Ora voglio che tu venga davanti a tutte queste persone, davanti a tutti questi edonisti che capiscono ciò che stiamo facendo. Solo in quel momento Dylan si accorse delle persone intorno a loro. Non aveva una reale importanza che prestassero loro attenzione. Le bastava sapere che erano lì. Era eccitante. Il suo sesso ebbe uno spasmo. Alec le infilò una mano tra le gambe, scivolando nei suoi umori, tra le sue labbra. — Ah... Alec... — Ti piace, piccola? Vorresti venire? — Sì... sì, ti prego... Alec premette il palmo della mano contro il clitoride inturgidito, mentre le sue dita scivolavano per qualche centimetro dentro di lei. Dio, stava per venire! Troppo presto, troppo in fretta. Alec iniziò a muovere le dita avanti e indietro. Il suo respiro era caldo tra i capelli di Dylan, il suo corpo era forte, il suo cazzo
duro le premeva contro il fianco. Ed era bollente, pur attraverso i jeans. Dylan gemeva forte, non poteva farne a meno. Alec affondò le dita, muovendo il palmo della mano contro il clitoride. Con l’altra mano le pinzò un capezzolo. Una strizzata decisa che la fece precipitare nell’abisso. Un piacere cupo e turbinoso, urlante e bollente, le scorreva nelle vene come lava. Ustionandola. Marchiandola. Dylan urlava, travolta da un orgasmo potente, e il suo corpo tremava, scosso dagli spasmi. Una perdita totale di controllo, ma le braccia di Alec la tenevano al sicuro. Si sentiva al sicuro. Per la prima volta nella sua vita. Dylan tremava da capo a piedi; Alec poteva sentire la sua pelle rabbrividire sotto le mani. Il suo respiro era lievemente ansimante. Odorava di cuoio, di sesso e di femmina. Era completamente abbandonata, trattenuta solo dalle catene e dalle sue braccia. Alec adorava vederla così: traboccante di endorfine. Sfinita. Completamente sua. Ne aveva avuto abbastanza. Doveva tirarla giù. — Ti lascerò andare solo il tempo necessario per slegarti — le sussurrò. Alec le slacciò prima una polsiera e poi l’altra, e lei gli scivolò tra le braccia. Alec la sollevò, la portò verso il divanetto ai bordi della zona riservata ai giochi erotici, l’avvolse in una coperta, si sedette e se la mise in grembo. Poi prese la bottiglia d’acqua che aveva lasciato lì poco prima e gliela avvicinò alle labbra. — Bevi, Dylan. Lei obbedì socchiudendo la bocca, mentre lui le teneva la bottiglia. Quando ebbe terminato, Alec posò di nuovo la bottiglia sul pavimento. Gli occhi di Dylan erano annebbiati, ridotti a due fessure lucenti. Il viso era arrossato. Alec controllò le sue mani per assicurarsi che non fossero intorpidite. — Ci sei, Dylan? — Sì — rispose lei un po’ sorpresa, come chiedendosi se non fosse in grado di vederla o di rendersi conto che era lì, in braccio a lui. Lui rise sommessamente. — Oh, eri talmente persa! Ma mi piace vederti così. Adesso sei pronta per essere scopata, piccola mia? Perché io non posso più aspettare. Sono così duro... — Sì, ti prego... Dylan era ancora sospesa in quella dimensione magica, ma Alec poteva sentire il desiderio irradiarsi dal suo corpo in ondate di puro calore. Lava. E quando infilò la mano sotto la morbida coperta, la trovò bagnata fradicia. Ancora. Di nuovo.
— Oh, Alec, ti prego... adesso... Lui si alzò in piedi, sollevandola tra le braccia e si diresse verso una delle alcove nascoste da una tenda che si aprivano sulla parete esterna del club. Lì la depose sul tavolo imbottito, aprì la coperta e rimase semplicemente ad ammirare la meraviglia del suo corpo nudo. Eccitato. Arrossato. Abusato. Ma non a sufficienza. Non ancora. Alec si tolse gli stivali, poi i jeans, si sfilò la maglietta dalla testa e sfoderò il suo cazzo duro e pulsante. Salì sul tavolo, inginocchiandosi tra le sue gambe aperte. Il sesso di Dylan era roseo e lucente. Si chinò su di lei per sentirne il sapore. Era dolce e salato al tempo stesso; il sapore del suo orgasmo pungente sulla punta della lingua. Alec la leccò, facendo scorrere la lingua per tutta la lunghezza della fessura e scivolando poi tra le labbra turgide, dentro di lei. — Oh... Dio, Alec... — Il cazzo gli pulsava fino a fargli male. Eppure non riusciva a resistere alla tentazione di continuare a eccitarsi, a eccitarla. Affondò la lingua e lei gemette, ansimando. E quando usò le dita per schiudere le labbra del suo sesso, accarezzandole, lei iniziò a dimenarsi e a inarcare il bacino, sollevandosi dal tavolo. Alec si staccò da lei. Doveva vedere il suo viso, la luminosità della sua pelle, le sue belle labbra rosse, dischiuse, che lasciavano intravedere la punta della lingua rosata. Così eccitante per ragioni che Alec non riusciva nemmeno a spiegarsi. Il suo cazzo ebbe uno spasmo e il preservativo si tese sulla potente erezione. Non poteva più aspettare. Alec la osservò, mentre infilava due dita dentro di lei. Dylan sbatté le lunghe ciglia, la cui ombra le ricadde sul viso. — Alec... devo... venire di nuovo. — Sì, ma questa volta ti farà venire il mio cazzo. Verrai mentre sono dentro di te. — Sì, fai presto. Certo che si sarebbe sbrigato. Non poteva attendere un minuto di più. Ancora inginocchiato tra le sue gambe, tenendole aperte le labbra, Alec la penetrò con un’unica, spinta decisa. — Oh! — Lei spalancò gli occhi, che gli trafissero il cuore come due cristalli. Il piacere era intenso, straziante. Gli tremavano le ginocchia. Con un respiro profondo, Alec le cinse la vita sottile e l’attirò a sé. Dylan sollevò il bacino fino a premere il pube contro il suo. Alec poteva vedere il suo clitoride gonfio, e vederlo gli ricordò il suo gusto sulla lingua. Un’altra ondata di piacere al solo pensiero del suo sapore, nel vedere il suo corpo inarcarsi per il piacere, tendersi tra le sue mani. I suoi capelli erano lingue di fuoco sparse ovunque.
I capezzoli erano scuri, duri e gonfi come il clitoride. Voluttuosi. Alec si chinò, prese un capezzolo tra le labbra e la sentì muoversi sotto di lui. Iniziò a succhiare e ad affondare in lei, penetrandola sempre più a fondo per poi uscire con lentezza esasperante, un centimetro alla volta. Il sesso di Dylan era un guanto scivoloso e umido intorno a lui. Alec si concentrò per scoparla con lunghi e lenti colpi, cercando al tempo stesso di non venire troppo presto come un ragazzino. Si sentiva un adolescente sopraffatto dal piacere. Perso nel piacere. Nel corpo di Dylan. Lei era assolutamente perfetta. Si sentiva sovrastato dalla sua bellezza, dalla sua disponibilità, dalla fiducia che riponeva in lui. Ancora di più perché sapeva quanto fosse difficile per lei. Dylan teneva gli occhi fissi nei suoi, due cristalli grigi che rilucevano alla luce soffusa. In quel momento loro erano una cosa sola. Alec non si era mai sentito tanto vicino a una donna. Mentre il piacere cresceva sempre più, attraversando come una saetta le sue vene, qualcosa prese vita dentro di lui. Affondò le mani tra i suoi capelli, restando imprigionato tra i riccioli selvaggi. Dylan gli circondò i fianchi con le gambe, stringendo forte per attirarlo a sé. Alec percepì il loro tremore, il suo sesso che si contraeva. — Alec! Dylan arrivò all’orgasmo scossa dagli spasmi, aggrappandosi alle sue spalle e conficcandogli le unghie nella carne. Il piacere che gli scorreva nelle vene confluì verso il basso ventre e lungo il suo cazzo. Alec esplose in un orgasmo violento e accecante. Il suo corpo continuò a tremare per quello che gli parve un’eternità. E quando tutto fu finito, la tenne stretta tra le braccia, posando il viso contro il suo collo. Dylan era aggrappata a lui, le braccia sottili intorno alla sua nuca, i seni premuti contro il suo torace. Il suo profumo era ovunque, ad Alec sembrava di sentirlo anche nei suoi pensieri. Quella strana cosa che aveva preso vita dentro di lui non se n’era andata. Anzi, era cresciuta, si era ampliata. “Fermala. Va tutto bene.” Ma il cuore gli batteva forsennatamente e in modo ingiustificabile nonostante l’apionato amplesso. C’era qualcosa di diverso. Di caldo. Un dolce languore. Alec non sapeva che cosa diavolo fosse. Non era certo che gli pie. Eppure... era felice. — Alec... — Tutto bene, Dylan? — Sì. Sì.
— Che cos’è, allora? — Io... non lo so. “Nemmeno io.” Ma non lo disse ad alta voce. Non poteva ammettere che ci fosse qualcosa di strano. Non ad altri, almeno. Faticava ad ammetterlo anche a se stesso. Ma tra loro stava succedendo qualcosa. Alec non sapeva che cosa significasse. Il batticuore, la sensazione che qualcosa gli stesse esplodendo dentro, come se volesse... che cosa? Non lo sapeva. Proprio non lo sapeva. Si limitò a stringerla più forte, inalando il suo odore, quell’intenso profumo di vaniglia mescolato al sale sulla sua pelle. Dylan si strinse a lui, con il viso sempre premuto contro il suo torace. Il suo respiro era caldo e affrettato. Alec attese di calmarsi, che entrambi si placassero, che il suo battito rallentasse, e anche quello di Dylan, che poteva sentire con le labbra posate sul suo collo. Ma gli sembrava di non riuscirci. La tempesta dentro di lui proseguiva. Anche il cuore di Dylan non accennava a rallentare, e poco dopo sentì le sue lacrime sulla pelle. — Dylan, che c’è? Vuoi dirmelo? Era sinceramente preoccupato. Non la semplice preoccupazione di un dominatore. Sentì la propria voce come se provenisse da un’altra persona. Non riusciva a riconoscerla. Aveva un tono così... intimo. — Non è nulla — disse lei in un sussurro. — Eppure c’è qualcosa. Hai un attacco di panico? — No, non è panico. — E allora cos’è? Doveva saperlo. E non solo per il ruolo che rivestiva o perché si sentiva responsabile. — Alec... è solo che sto provando un’emozione troppo forte, a cui non sono abituata. — Nemmeno io — mormorò lui. — Cosa? — Niente, niente. Vuoi che faccia qualcosa? — Solo... quello che stai facendo, che mi tieni stretta, oppure, che mi lasci andare e mi mandi subito a casa. — Sai che questo non accadrà, Dylan.
— Sì. Alec la tenne stretta, quasi stritolandola nel suo abbraccio. Ma era ciò di cui lei sembrava avere bisogno. Ciò di cui lui aveva bisogno, accidenti! — Alec? — Cosa? — Sono contenta che non mi mandi via. Gli si mozzò il respiro, come se gli avessero rifilato un calcio nello stomaco. Anche lui era contento, ma non poteva dirlo. Non era mai rimasto senza parole in vita sua. Fino a quel momento. Fino a quando aveva incontrato Dylan. “Respira lentamente.” Inspirò a fondo ed espirò. Lo fece una seconda volta. E poi, mentre le lacrime di Dylan si asciugavano, riuscì di nuovo a respirare normalmente, senza più avvertire quello strano dolore allo stomaco, al petto. Dylan si era rilassata un po’. Alec le prese le braccia e si divincolò dalla sua stretta. — Alec? — Non preoccuparti, ti porto a casa con me, subito. Lei annuì. Alec l’aiutò ad alzarsi, si vestì, e insieme tornarono nel salone. Lì l’aiutò a ricomporsi. Era come vestire una bambola. Dylan non parlava ed era completamente abbandonata e impotente. Alec avrebbe voluto prenderla di nuovo tra le braccia. “Portala a casa, a letto. Stenditi al suo fianco.” In qualche modo raccolse i suoi attrezzi, insieme uscirono e salirono sull’auto, dove lui accese il riscaldamento al massimo e azionò lo scaldasedili. Dylan era silenziosa, illanguidita. Alec mise un CD di musica classica, Chopin, tenendo il volume basso. A quell’ora della notte non ci volle molto dal centro per raggiungere il sobborgo di Beacon Hill. Alec fermò la macchina davanti a casa e l’aiutò a scendere. Lei era ancora debole, silenziosa, l’espressione smarrita. Anche lui si sentiva un po’ spaesato. Entrarono e lui la guidò su per le scale fino alla sua camera, dove la spogliò e la mise a letto. Dylan ora appariva fragile, con il viso pallido contro le lenzuola bianche e i cuscini di piuma. — Alec, ho freddo.
— Arrivo. Lui si spogliò e scivolò, nudo, nel letto accanto a lei. Dylan si rannicchiò contro di lui come non aveva mai fatto prima. Come una bambina che ricercava il calore del suo corpo. Quello di Dylan era caldo e morbido, e Alec pensò che fosse la cosa migliore che avesse mai provato. Meglio dei viaggi in moto. Meglio del BDSM. Del sesso. Si stava eccitando di nuovo, ma non era l’eccitazione violenta, la voglia incontenibile che provava di solito con Dylan. Era semplicemente l’inevitabile reazione al suo corpo, alla sua presenza. Era così piacevole tenerla tra le braccia, nel suo letto. Alec non voleva pensarci, perché sapeva che le spiegazioni a questo non gli sarebbero piaciute. Ma quello che stava vivendo con lei gli piaceva troppo. Troppo. Non voleva contrastarlo, non quella sera. Quella sera Dylan era lì insieme a lui. E questo era abbastanza. Più che abbastanza. Era esattamente ciò che lui desiderava.
13 Dylan aprì gli occhi. La luce del sole filtrava attraverso le stecche delle persiane, e i suoi raggi catturavano granelli di polvere. Guardò l’orologio e rimase sorpresa nel constatare che fosse quasi mezzogiorno. Alec era ancora addormentato al suo fianco, disteso sullo stomaco, la schiena muscolosa scoperta fino alla vita, dov’era arrotolato il lenzuolo. La semplice vista della sua pelle liscia le fece venir voglia di toccarlo accendendo il suo corpo di desiderio. Ma aveva bisogno di tempo per rimettere in ordine i pensieri, che quella mattina erano piuttosto confusi. Strano che usasse anche lui lenzuola bianche. Molti uomini che conosceva preferivano i colori scuri. Ma Alec non era un uomo comune sotto tanti punti di vista. Probabilmente amava la purezza della biancheria candida, proprio come lei. Avevano più cose in comune di quanto lei avesse immaginato quando lo aveva conosciuto. Per qualche ragione, al di là del fatto di essere entrambi scrittori, inizialmente non si era aspettata altre somiglianze. E ora non riusciva a spiegarsi il perché. Erano entrambi sessualmente disinibiti, con una mentalità aperta. Sembravano d’accordo su molti argomenti. Erano sintonizzati sullo stesso canale. O forse stava semplicemente cadendo di nuovo nel romanticismo. Sicuramente, però, era successo qualcosa tra loro la notte prima. Qualcosa di intenso. Anche Alec lo aveva sentito. Non ricordava con precisione i fatti, ma rammentava con estrema chiarezza il suo sguardo. Unione. Sorpresa. Lei aveva provato lo stesso. E lo provava ancora adesso. La nebbia in cui si era sentita
avvolta la notte prima non si era dissipata del tutto. Aveva paura. Avrebbe voluto fuggire di nuovo. “Calmati... devi cercare di analizzare le cose in modo razionale.” Ma non si sentiva affatto razionale in quel momento. Aveva voglia di piangere e fu stupita da quell’improvviso bisogno, così insolito per lei. Non era una piagnucolona. Non era una sentimentale. Ma come aveva detto a Mischa, l’esperienza con Alec la stava aprendo. O forse era tutta opera di Alec. “Alec...” Si voltò a guardarlo. Aveva il viso sepolto in uno dei grandi cuscini di piume, ma poteva intravedere la barba che gli era spuntata sulle guance. I capelli arruffati, i riccioli neri quasi blu nei punti in cui erano sfiorati dalla luce. Sembrava così sereno. Non lo aveva mai visto così. Eppure, anche in quel momento irradiava potere, forse semplicemente grazie alla sua stazza imponente. Le piaceva molto che lui la sovrastasse, che la fe sentire piccola e femminile. Fragile, come se lui avesse potuto spezzarla se solo lo avesse voluto. Dio, stava davvero pensando queste cose? Tutto ciò stava realmente succedendo alla donna indipendente che si era sempre vantata di essere per tutta la sua vita adulta? O meglio, da quando aveva dieci anni e sua madre si era persa, lasciandola a occuparsi della loro piccola famiglia. Aveva sempre avuto il controllo su ogni cosa, era stata lei a mandare avanti tutto quanto. La sua vita era così. Lei era così. E ora quell’uomo le faceva mettere in discussione tutto. Trattenne il singhiozzo che le salì alla gola. Si morse le labbra e lo ricacciò indietro. “Calmati, va tutto bene.” Chiuse le dita sulla coperta rosso cupo e si costrinse a respirare lentamente. Ecco, così andava meglio. Si stava comportando in modo irragionevole. Tutto ciò era dovuto solo all’intensità della notte trascorsa insieme a lui. Si conoscevano solo da due settimane. Che cosa sapeva esattamente di Alec? Osservando la sua camera da letto, capiva che era una persona ordinata. Che amava i mobili di legno massiccio, antichi. Che in fondo era un uomo semplice, nonostante i gusti sessuali sofisticati e il fatto che avesse girato il mondo. Dai libri allineati sulla mensola sopra al comodino si poteva intuire che gli pie leggere i classici, i romanzi di fantascienza e i thriller, come quelli che scriveva lui stesso. Dylan già sapeva che gli piaceva viaggiare, ma ne ebbe la conferma vedendo la pila di riviste di viaggi: “Travel + Leisure” e “Condé Nast Traveler”. Sull’alto cassettone di legno massello, c’erano delle fotografie incorniciate di Alec con altri uomini in cima a una montagna. Di Alec e gli stessi uomini con la muta da sub in una barca ai tropici, il mare di un turchese brillante. Alec e un amico sulle loro moto grosse e lucide, che sorridevano all’obiettivo lungo un tornante di montagna. Interessante il fatto che non ci fossero foto di famiglia, ma forse quelle le teneva al
piano di sotto. Alec non le aveva più parlato della sua famiglia, dopo quell’unica conversazione che avevano avuto sull’argomento. Sembrava che la sola persona a cui era stato legato fosse suo padre. Ma Dylan lo capiva, del resto anche lei era legata solo a sua nonna. Non era possibile scegliere i propri genitori o parenti, e far parte della stessa famiglia non significava automaticamente essere uniti, questo lei lo sapeva fin troppo bene. Lei non aveva avuto scelta. Né riguardo a sua madre, né al fatto di prendersi cura di suo fratello, o almeno di tentare di farlo. E aveva fallito. Orribilmente. Quinn era morto. Per questo meritava di restare sola. Scosse la testa. Si stava facendo travolgere dal ato. Pensava davvero di meritare la solitudine? Semplicemente preferiva così... oppure no? Almeno si era distratta quel tanto che le era bastato per calmarsi un po’. Lui si mosse, sospirò nel sonno, e Dylan si concentrò di nuovo su di lui. Aveva una muscolatura massiccia, un corpo imponente, come quello di un giocatore di football professionista. Si era voltato su un fianco e ora poteva osservare il suo viso. Il pizzetto nero lo faceva apparire un po’ demoniaco anche nel sonno, ma aveva le labbra morbide e socchiuse, come quando facevano sesso. Si sentì percorrere da brividi di piacere. Rammentava molto bene la sensazione del suo sesso che si spingeva dentro di lei, i suoi occhi che s’illuminavano di una luce animalesca mentre le si metteva sopra. Dio, era pazza di lui! Del suo corpo, di quello che le faceva. E forse anche d’altro. “No!” Era solo sesso, rammentò a se stessa per la milionesima volta. Sesso molto soddisfacente, ma nient’altro. Le era già capitato in ato, sapeva quali effetti potesse avere una forte intesa sessuale su una persona. “Tutte cazzate.” Dylan sospirò. Si ò una mano tra i capelli e le sue dita rimasero imprigionate nei lunghi riccioli. Forse se ne sarebbe dovuta andare, prima di avere altri ridicoli pensieri. Del tipo che avrebbero potuto continuare a frequentarsi anche dopo che lei avesse raccolto informazioni per il suo libro. Aveva già imparato molto. Se doveva essere del tutto sincera con se stessa, continuava a vederlo e a sottomettersi a lui semplicemente perché le piaceva. “Accidenti!” Scostò le coperte e mise i piedi giù dal letto.
— Ah, no! — disse Alec con la voce arrochita dal sonno. — Alec... — Dove credi di andare? Lui le cinse la vita e l’attirò a sé fino a quando i loro corpi nudi furono a contatto, pelle contro pelle. Dylan poteva sentire il calore del suo corpo contro la schiena e le natiche. Della sua pelle setosa. — Alec, devo alzarmi. Devo andare... per favore... — Non lo farai di nuovo. Dylan, dovrai abituarti all’idea, andrai quando io ti darò il permesso di farlo. — Cristo, Alec! Quante volte ti devo ricordare che io non sono una delle tue schiave? — Non sto dicendo che tu lo sia, ma potresti essere ancora un po’ confusa e non te ne andrai fino a quando io non avrò deciso che ti sei ripresa. — Posso assicurarti che sto benissimo. Non sono nemmeno venuta in auto. Chiamerò un taxi, così non correrò il rischio di guidare. Voglio andarmene. — No. Adesso era davvero arrabbiata. — Non fare questi giochini di potere con me, Alec. — Credi che si tratti di questo? Di un gioco di potere? — Mi stai trattenendo con la forza. — La notte scorsa ti andava bene. — Gli occhi di Alec lampeggiavano. Era in collera. — La notte scorsa era la notte scorsa. Lui la lasciò andare all’improvviso e Dylan sarebbe sicuramente caduta se non fosse stata sul letto. — Bene — disse Alec a denti stretti. — Io non costringo nessuno. — Non intendevo dire questo. Alec si mise a sedere. Dylan sentì il suo peso spostarsi sul letto, ma non riusciva a guardarlo. Temeva che se l’avesse fatto, lui avrebbe avuto la meglio. — Dylan, che cosa diavolo stiamo facendo qui, eh? Continui a opporti. — Non ti ho mai promesso che ci sarei riuscita, che sarei riuscita a sottomettermi davvero. — Eppure lo fai, ogni volta. Dylan rimase in silenzio. Alec aveva colto nel segno.
— E — proseguì lui — ti fai prendere dal panico solo il giorno dopo, quando ci ripensi. Smettila di pensare così tanto, Dylan. — Non posso. — Si voltò verso di lui con gli occhi che fiammeggiavano di rabbia. — È questo il problema, non riesco a fare a meno di pensare. Io funziono così, è questo il mio modo di vivere la vita. — Forse è arrivato il momento di imparare un modo nuovo. — Non credo. Alec si sporse verso di lei; la sua corporatura massiccia lo rendeva vagamente minaccioso. — A quanto pare non ti ha portato molto lontano. Hai un lavoro e sei riuscita a prenderti cura della tua famiglia, ma che cosa è rimasto per te, Dylan? — Parli proprio tu! Come se avessi legami personali più stretti dei miei. — Per me è diverso. — Mi vuoi prendere in giro? È questo ciò che dici a te stesso? È una scusa poco convincente, Alec. Almeno io sono sincera con me stessa. Ho una vita vuota perché l’ho scelta. Perché non sono disposta ad affrontare le ripercussioni emotive di una relazione. È questo che vuoi sentirmi dire? Okay, l’ho detto. Ma tu non sei diverso da me. Sono tutte cazzate. Sei tu che stai cercando di trattenermi qui e, forse sarà anche presuntuoso da parte mia, ma io non credo che tu lo faccia solo perché ti senti responsabile. Alec la fissò. La scrutò come se volesse leggerle nell’anima. I suoi occhi penetranti erano di un azzurro brillante. E mentre lei lo guardava, la rabbia iniziò a scemare, il viso e le spalle di Alec si rilassarono. — Hai ragione — disse lui infine. Dylan era pronta a continuare la discussione, ma le parole di Alec frenarono la sua combattività. — Come? — Ho detto che hai ragione. Ti voglio qui semplicemente perché... ti voglio qui. — Accidenti, Alec! Non voleva sentire quelle cose. E al tempo stesso era tutto ciò che desiderava sentirsi dire. Le girava la testa. — Vieni qui. — Lui le prese la mano e lei tentò di ritrarla. — Alec, devo riflettere... — Ti ho detto di non pensare. Cristo, Dylan, smettila di opporre resistenza e vieni qui. So che vuoi farlo, quindi non tentare di convincermi che non sia così. Non usare il mio codice
morale contro di me, Dylan. — Alec... Lui l’attirò a sé fino a quando i seni di Dylan furono premuti contro il suo torace e d’un tratto lei si ritrovò tra le sue braccia. Alec era già eccitato quando si chinò a baciarla. Baci decisi ed esigenti. Aveva di nuovo assunto il controllo su di lei. Dylan avrebbe voluto opporsi. Lottare. Ma il sapore di Alec era irrinunciabile. E il suo profumo. Era tutto perfetto. Lui continuò a baciarla fino a quando il desiderio iniziò a scorrerle nelle vene e il suo sesso fu bollente e voglioso. Quando la fece voltare, mettendosela sopra a cavalcioni, lei non protestò, non poteva farlo. Il suo corpo era illanguidito da un desiderio a cui non riusciva a sottrarsi. Era assolutamente impotente di fronte a lui. Alec staccò le labbra dalle sue e con una mano rovistò sul comodino per prendere un preservativo. Lacerò la bustina con i denti e lei lo aiutò a srotolarlo sulla sua erezione. Poi riprese a baciarla, baci apionati e febbrili, come se avesse voluto divorarla. La sollevò un po’ e, inarcando il bacino, la penetrò. Lei gemette nella sua bocca. Lo stesso fece lui. Alec iniziò a muoversi su e giù, mentre il piacere percorreva il corpo di Dylan come una scarica elettrica dritta ai seni e al sesso. Alec infilò una mano tra i loro corpi e appena iniziò a titillarle il clitoride, lei venne quasi istantaneamente. Il suo orgasmo fu esplosivo, rapido e intenso. Dylan si staccò da lui e gettò la testa all’indietro, ripetendo il suo nome come una cantilena. — Alec... Alec... Alec... Lui continuava a muoversi, il suo cazzo affondava in lei, ancora e ancora, bollente, duro e pulsante. — Dylan... — ansimò. Lei aprì gli occhi e lo guardò. — Sì, voglio che mi guardi. Sei così bella, piccola mia... bambina mia... I loro corpi erano lucidi di sudore, ma a lei non importava. Si aggrappò alle sue ampie spalle, mentre il piacere ricominciava a crescere. Raggiungendo un’intensità insopportabile. — Dylan... piccola... vengo... Ancora qualche spinta decisa e l’orgasmo lo scosse da capo a piedi. Il fatto di sentirlo venire la eccitò ancora di più e un altro orgasmo iniziò a crescere dentro di lei in lunghe e lente ondate.
— Ah... Dio... Alec! Lui le morse e leccò il collo, mentre lei veniva... e veniva... Poi l’attirò a sé e la tenne così stretta da impedirle quasi di respirare, mentre entrambi restavano immobili. — Cristo, Dylan! — Sì. Rimasero immobili a lungo, o almeno questa fu l’impressione di Dylan. Per lei era come se il tempo si fosse fermato. Era consapevole solo del corpo di Alec premuto contro il suo, del contatto con la sua pelle, del suo profumo. — Dylan... — aveva ancora il viso contro il suo collo e la voce risuonò attutita. Il suo respiro era caldo. — Mmm? — Non pensare. — Non sto pensando. Non ancora. Alec sollevò il viso, ma non abbastanza perché lei potesse vederlo. — Che cosa succederà quando ricomincerai a pensare? — Non... non lo so. — Allora, non farlo. — Ci proverò — disse lei, con la volontà di tentare davvero, ma non del tutto sicura di esserne capace. — Dico sul serio — ribadì Alec. — Non pensiamo a niente. Lasciamo andare le cose come vanno. Stiamo insieme senza tentare di analizzare. — Che cosa significa tutto questo, Alec? — Non lo so. Deve significare per forza qualcosa? — Forse no. — Hai ricominciato a pensare, Dylan. — Sì. — Non farlo, d’accordo? Non farlo. Vediamo che succede. Lei rise sommessamente. — Non siamo proprio il tipo di persone capaci di lasciar andare le cose come vanno. — Cosa intendi dire? Io sono assolutamente rilassato.
Dylan sorrise contro la sua spalla. — Sì, è esattamente l’aggettivo che ei per descriverti. Sentì la sua risatina che gli fece vibrare il torace e che allentò l’intensità del momento, rendendolo più leggero e spensierato. Forse Alec aveva ragione. Forse per il momento avrebbero potuto lasciarsi andare, qualsiasi cosa stesse succedendo tra loro. Forse non era necessario sviscerare ed esaminare ogni cosa e tentare di definire il loro rapporto. Lei non aveva mai vissuto in quel modo. E nemmeno lui. In un certo senso, sarebbe stato più facile, sapendo che sarebbe stata un sfida per entrambi. Che non era sola. Alec si staccò da lei quel tanto che gli bastava per poterla guardare. Allungò una mano e le scostò i capelli dal viso. Dylan si sentì sciogliere di nuovo, ma non cercò di opporsi. — Allora, siamo d’accordo? — le chiese, assolutamente serio. — Sì, siamo d’accordo. — Bene, perché io ho voglia di scoparti di nuovo... e sarebbe impossibile se tu ti alzassi e te ne andassi. — Sei insaziabile. — Sì, con te lo sono. Il sesso di Alec si stava già indurendo di nuovo dentro di lei, iniziava a pulsare. E Dylan era pronta ad accoglierlo. Il suo corpo lo era. Per quel che riguardava la sua mente e il suo cuore, la storia era diversa. Una storia di cui lei non conosceva il finale. Se solo avesse potuto crearlo lei stessa! Sceglierlo come faceva per i suoi romanzi. Ma non sapeva nemmeno quando far finire quella storia. Non era nemmeno certa di volere che finisse. Sì, doveva proprio smettere di pensare a tutto, altrimenti sarebbe impazzita. Anche se era sicura di aver già perso la testa nel momento in cui aveva conosciuto Alec. Ora doveva solo stare attenta a non perdere anche il cuore. Dylan si richiuse alle spalle la porta del suo appartamento con un calcio, lasciò cadere la borsa a terra e prese appena in tempo il telefono portatile che stava suonando. — Pronto? — Ehi! È tutto il weekend che ti chiamo! — Il weekend non è ancora finito, Mischa. — Sono le nove di domenica sera. — Il tono di Mischa era stizzito.
— E allora? — chiese Dylan sfilandosi il cappotto e appendendolo nell’armadio laccato, presso la porta d’entrata. — Be’... non sono abituata a essere trascurata da te. — Ero con Alec. — Lo immaginavo. Dylan si piegò in avanti e si tolse le scarpe col tacco alto, restando a piedi nudi. Il pavimento di legno era liscio e freddo. Accese il riscaldamento, poi andò in cucina e si versò un bicchiere di Cabernet. Si sentiva bene. Rilassata. Completamente appagata. Quasi completamente appagata. Sembrava che non ne avesse mai abbastanza di lui. “Alec...” — Dylan? — Che cosa? Scusa, Mischa. — Ti ho chiesto com’è andato il weekend. Santo cielo, sei proprio innamorata cotta di questo tizio! — Io... non so se lo sono. — Ma le cose stanno andando bene? Sei meno confusa rispetto all’ultima volta che ci siamo sentite? — Le cose stanno andando bene perché ho deciso di cambiare atteggiamento. — Dylan sorrise e sorseggiò il vino, appoggiandosi al mobile della cucina. — Vale a dire? — Sì, ho accettato di smettere di pensare, di smettere di analizzare tutto quello che faccio e penso, o che ho pensato, su me stessa, le relazioni con gli uomini, il sesso... — Stai scherzando! — Proprio per niente. — Dylan sollevò il bicchiere in segno di brindisi e fece un altro sorso. — Sono ufficialmente stanca di lottare contro me stessa, Mischa, non ha senso. — Avrei potuto dirtelo anch’io — la canzonò l’altra. — E perché non l’hai fatto? — Dylan ò in soggiorno, posò il bicchiere sul tavolino e si sistemò sul divano, piegando le gambe nude sotto di sé e coprendole con una morbida coperta. — Mi sto rendendo conto di quanto... sia stato dannoso per me — aggiunse — non far avvicinare nessuno trovando difetti in tutti. Perché se scavi a fondo, di imperfezioni ne hanno tutti... e io le vado a cercare. Seziono gli uomini alla ricerca delle loro mancanze. — Dylan, non essere così severa con te stessa.
— Sono severa con me stessa quanto lo sono con gli altri. — È vero. — Be’, voglio smetterla. E Alec mi sta aiutando. — Che cosa sta succedendo davvero, Dylan? — le chiese Mischa in tono comprensivo. — Mi sto finalmente aprendo. L’esperienza con Alec lo sta permettendo. E non mi piace tutto quello che vedo, ma mi sto rendendo conto che... sono umana. — Io ti voglio bene così come sei, lo sai. Ti ho sempre voluto bene. — Lo so. Finalmente l’ho capito. Suonò il citofono e Dylan si alzò per andare a rispondere. — Aspetta un attimo, Mischa. Chi è? — Dylan... — La voce di Alec era profonda e arrochita dal desiderio. — Alec, mi hai accompagnato a casa dieci minuti fa. — Lo so. Ho cambiato idea, non sono ancora pronto a lasciarti andare. — Oh... — Fammi salire. — Sì... Sali. ò qualche minuto prima che lei si rendesse conto di avere ancora il telefono in mano. — Mischa? Scusami, ma Alec... è arrivato. — Ho sentito, nessun problema. Chiamami presto. — Lo farò. Mentre interrompeva la comunicazione, udì lo stridio metallico dell’ascensore, e un attimo dopo Alec bussava alla sua porta. Dylan aprì. Sentì il profumo della sua giacca di pelle nera e del suo corpo prima di notare qualsiasi altra cosa. Poi alzò gli occhi e vide il suo sorriso malizioso. Dylan lo ricambiò. Non poté farne a meno. Era così bello, così sensuale con quella giacca, il pizzetto e quello sguardo... come se volesse divorarla. Dylan avvampò e si sentì mancare, mentre lui entrava e la prendeva tra le braccia. Alec si chinò a baciarla, la sua bocca era dolce e famelica al tempo stesso. Esigente. Continuò a baciarla fino a quando lei iniziò a tremare. Era bollente, vogliosa... e bagnata fradicia. Alec si staccò da lei, si tolse la giacca e la lasciò cadere a terra.
— Ho bisogno di te, Dylan. Non sono nemmeno arrivato a casa. Ho dovuto fare inversione e tornare indietro. Lei annuì, il desiderio le chiudeva la gola. — Devo averti. Subito. In questo stesso istante. — Sì... Alec la voltò, la spinse contro la porta e lei vi appoggiò le mani, il viso a soli pochi centimetri dalla superficie liscia e lucida. Poi le abbassò la cerniera del vestito, lo stesso che aveva indossato per incontrarlo al Regno del Piacere venerdì sera, e glielo sfilò. Sotto era nuda. — Ah, proprio come piace a me, piccola mia. — Fece scorrere le mani sulla schiena facendole venire la pelle d’oca, poi più giù, sui fianchi e le natiche. — Allarga le gambe per me, Dylan. Voglio scoparti qui. Lei si sentì trasportare in quella dimensione magica e sospesa mentre lo assecondava e si offriva a lui. Allargò le gambe, lo sentì slacciarsi i bottoni dei jeans, la bustina del preservativo che veniva strappata. Alec le ò un braccio intorno alla vita e con l’altra mano le scostò i capelli di lato. Le baciò delicatamente la nuca, facendola fremere di desiderio. ione pura. Un bisogno quasi incontenibile. Dylan sentì il suo cazzo tra le gambe e, piegandosi in avanti, le divaricò per farlo scivolare dentro di sé. — Oh, mi piace... mi piace. Era bagnata, stretta. Alec iniziò a muoversi, spinte energiche e profonde, così violente e rapide da impedirle quasi di respirare. Dylan aveva i palmi appoggiati contro la porta. Vi appoggiò anche il viso, premendolo contro la dura superficie di legno. Alec continuò a pompare, scatenando in lei un piacere profondo. Le baciò la nuca, la morse, scese verso le spalle. A quel punto rallentò, si fermò, i loro respiri ansimanti. Dylan era consapevole solo del corpo imponente di Alec dietro di lei, delle sue labbra sulla spalla, del suo grosso cazzo che la riempiva. Il piacere era un respiro trattenuto, sospeso, carico di anticipazione. Poi la mano di Alec si abbatté con forza sulla sua natica, facendola impennare verso la porta, accrescendo la sua eccitazione. — Sì, Alec... La sculacciò di nuovo, il rumore della sua mano echeggiava d’intenso piacere. E poi ricominciò a scoparla e a sculacciarla al tempo stesso. Le sensazioni scorrevano come acqua dentro di lei, andandosi a depositare nel suo ventre, nel suo sesso, nei suoi seni dolenti. Il piacere si diffondeva, annebbiandole la mente. E quando venne, la vista le si offuscò, i rumori si persero in lontananza. Tutto il suo essere era solo piacere puro che si avvolgeva in spirali sempre più alte. E lei vi annegava dentro.
Alec si fermò. Dylan ansimava. E anche lui. — Alec... — Piccola... non voglio che finisca così presto. Dammi solo un minuto... aspetta. Scivolò fuori di lei, stringendola a sé. Dylan sentì il tessuto ruvido dei suoi jeans contro le gambe, la cerniera che le graffiava la pelle. E poi la morbidezza del maglione che indossava. Una sensazione molto piacevole sulla pelle nuda. E le mani di Alec che le accarezzavano lo stomaco, le titillavano i capezzoli, scivolavano tra le sue gambe e dentro di lei. — Sei così bagnata... pronta. — Sì. — Anche se ti ho scopata così brutalmente... — Sì? — Vuoi venire ancora, piccola? — Le infilò le dita dentro. — Sì! — Bene. Anch’io lo voglio. Vieni. Dylan aveva ormai imparato a non fare domande. Ed era meraviglioso non dover pensare. Lo seguì, mentre lui la guidava verso il bagno. Rimase in attesa in silenzio mentre lui si spogliava, si sfilava il preservativo, e faceva scorrere l’acqua prima di entrare nella doccia piastrellata di bianco insieme a lei. L’acqua ricadeva su di loro come una fitta pioggia tiepida lenendo il bruciore delle natiche. Alec la prese tra le braccia e lei non oppose resistenza, abbandonandosi a lui. Era ancora eccitata. E anche Alec, lo capiva dal suo cazzo, duro e pronto che premeva contro il suo ventre. Ma era piacevole starsene lì insieme, pelle contro pelle, con l’acqua calda che cadeva su di loro, sollevando nuvole di vapore. L’alta finestra ad arco che si apriva su una delle pareti della doccia faceva filtrare le luci provenienti dalla strada: l’alone ambrato dei lampioni e i neon rosa e azzurri delle insegne dei negozi gettavano ombre colorate sul soffitto e sulle pareti. Le luci, l’acqua calda, il corpo rassicurante di Alec, la facevano sentire in un bozzolo sicuro, come se il resto del mondo non esistesse più. Come se in quel momento ci fossero soltanto loro due. Alec la tenne stretta a lungo, poi iniziò ad accarezzarla. Lunghe, delicate carezze sulla schiena, i fianchi, le natiche. Poi iniziò a sculacciarla dolcemente. I colpi erano più efficaci sulla pelle bagnata e il dolore arrivò immediatamente. Ma il corpo di Dylan convertì subito il dolore in piacere.
Era così bello per Alec sentire i capezzoli inturgiditi premuti contro il suo torace, il suo sesso annidato tra le gambe, che diventava sempre più duro a ogni secondo. Alec lo fece scivolare tra le labbra del suo sesso, affondandolo nei suoi umori, senza però penetrarla. — Oh... Dio, Alec... ti prego... — Sì, hai bisogno di venire di nuovo, vero piccola? Vieni qui, allora... siediti qui. Alec la fece abbassare sul sedile piastrellato lungo la parete della doccia. — Apriti per me. Sì, così, bene... sei bellissima. Dylan divaricò le gambe e lo osservò mentre staccava il telefono della doccia dalla parete e lo puntava verso la sua vagina aperta. — Oh! La tenne per qualche istante puntata contro il clitoride, poi si spostò verso il basso e risalì lentamente, più volte. Ben presto Dylan iniziò ad ansimare e ad avere di nuovo voglia di lui. — Ti piace, piccola? — Sì. — Ma vorresti qualcosa di più, vero? Lei non rispose, non ne era in grado. Quando Alec s’inginocchiò tra le sue gambe, trattenne il respiro. E quando lui si piegò in avanti e la sfiorò con la lingua, emise un lungo gemito. Il piacere cresceva dentro di lei in ondate di calore e di desiderio. Alec la stava leccando, la sua lingua percorreva su e giù la fessura, insinuandosi poi all’interno. Le puntò il getto dell’acqua sul clitoride. — Alec... Oh, Dio... è troppo! Era ciò di cui aveva bisogno, presto sarebbe venuta di nuovo. Sarebbe stata travolta dal piacere. Per lui. Insieme a lui. — Alec! Quando smise di tremare, Alec si staccò da lei e la baciò. Nonostante l’acqua scorresse su di loro, Dylan riuscì a percepire il sapore del proprio sesso sulle labbra di Alec. L’aveva fatta venire. Aveva fatto di lei quello che voleva. E questo le piaceva. Il suo cazzo duro era ancora premuto contro di lei. Dylan lo prese in mano, lo sentì fremere, sentì quanto era teso. Lo voleva. Voleva Alec. Voleva dargli piacere.
— Alec... posso... Cadde in ginocchio e lui glielo permise, alzandosi in piedi al tempo stesso. Dylan si aggrappò alle sue gambe, con il cazzo di Alec dritto di fronte a sé. Splendido. Si avvicinò e fece scorrere la lingua sulla punta, sorridendo quando lo sentì gemere. — Cristo, così mi ucciderai, Dylan. Lei leccò di nuovo, premendo con la punta della lingua sul piccolo buchino, sentendo già il sapore del liquido seminale. Non poteva più aspettare. Lo prese in bocca tutto in una volta, fino a quando si sentì soffocare e le salirono le lacrime agli occhi. Ma voleva farlo, ne sentiva il bisogno. Lo fece scivolare fuori, tenendo in bocca solo la punta e con la lingua iniziò a girarci intorno più e più volte. Alec tremava e inarcava la schiena. Quando sollevò gli occhi verso di lui, Dylan vide che aveva gettato la testa all’indietro e che aveva puntato le mani lateralmente contro le pareti della doccia. Il suo volto era stravolto dall’estasi. Virile. Sensuale. Bellissimo. Lo inghiottì di nuovo, concentrandosi per rilassare la gola e permettere al suo cazzo di scivolare più a fondo possibile. Alec iniziò a pompare dentro la sua bocca. Dylan si aggrappò alle sue gambe, affondandovi le unghie e facendolo gemere. — Cristo, Dylan... Dylan! Il suo cazzo iniziò a pulsare rapidamente e la bocca di Dylan fu inondata di liquido caldo. Alec continuava a spingere, ma i suoi movimenti andavano rallentando. Infine, le scostò i capelli bagnati dal viso e l’aiutò ad alzarsi. Lei piegò il capo sotto il getto della doccia, lasciando che l’acqua lavasse via il suo seme. — Dylan... è stato incredibile. Tu sei incredibile. Immerse le mani tra i suoi capelli, afferrando le ciocche bagnate. Dylan si appoggiò a lui, posando il capo sul suo torace e restando in ascolto dei battiti lenti e regolari del suo cuore. Alec si chinò a baciarle il viso; piccoli, teneri baci sulle guance, il mento, la fronte, le palpebre. Baci che le fecero venire i brividi, non di desiderio, ma di qualcosa di più. Cos’era? “Non pensare. Smetti di pensare. Concentrati sulle sensazioni.” Ma lei lo sapeva. Sentiva i brividi dentro, il battito accelerato. Non riguardava il sesso, sebbene fosse stato incredibile, proprio come aveva detto Alec. Significava qualcosa di più, qualcosa di più profondo. Qualcosa a cui lei aveva promesso di non pensare. Rimase abbracciata a lui, aggrappata alle sue ampie spalle. Era così solido. Doveva focalizzarsi su quello, sul senso di sicurezza che provava tra le sue braccia. Ma tutto questo sembrava farla tornare sempre allo stesso punto: stava accadendo qualcos’altro, oltre al sesso e al
fatto che lei finalmente era riuscita ad aprirsi. Non sapeva per quanto tempo ancora sarebbe riuscita a fingere di non essere innamorata di Alec. Innamorata persa. Strizzò gli occhi e si morse le labbra contro un’ondata di vertigini. Non si era mai sentita così smarrita in tutta la sua vita, nemmeno quando Alec l’aveva legata ed era stata fisicamente impotente. Quello era nulla in confronto alla sensazione attuale. Stava precipitando, nonostante tutti gli sforzi per evitarlo, e non c’era nulla che lei potesse fare per impedirlo. Quando avrebbe toccato il fondo, sarebbero stati grossi guai.
14 Era riuscita a non pensare per tre settimane. Dopo quella sera sotto la doccia, aveva fatto un nuovo patto con se stessa: dal momento che non poteva opporsi in alcun modo a quello che sentiva, lo avrebbe semplicemente accettato. Non era necessario che qualcosa cambiasse. I sentimenti erano semplicemente lì. Poteva scegliere che cosa farne, oppure no. C’erano state altre sere sotto la doccia. E giorni. Era diventato uno dei loro posti preferiti per fare sesso. Dylan amava il rumore di quelle sculacciate sulla pelle bagnata che echeggiava tra le pareti piastrellate della doccia. Alec era ormai di casa da lei, lasciava lì lo spazzolino da denti e una camicia di ricambio. Non che questo significasse qualcosa. Era semplicemente comodo. La casa di Dylan era molto più vicina al Regno del Piacere della sua; era proprio in fondo alla strada. E il suo computer portatile in un angolo del soggiorno era solo un’altra comodità, nulla di più. In qualsiasi caso, le piaceva quando scrivevano insieme al pomeriggio, Alec seduto al tavolo di vetro del soggiorno e lei alla scrivania, nella zona studio, a solo pochi metri da lui. Era intimo e rassicurante. E se uno dei due aveva bisogno di chiarire un punto della trama, l’altro era subito disponibile. Questo spesso li portava a fare di nuovo sesso. Ma dal momento che lei era una scrittrice di romanzi erotici, i loro attimi di ione erano per lei fonte d’ispirazione. Il suo libro stava iniziando a prendere forma, la trama e le dinamiche dei personaggi si andavano definendo grazie in buona parte ad Alec. Era sempre un buon segno quando il lavoro procedeva bene. Mischa aveva chiamato di nuovo per avere notizie. Con lei Dylan aveva omesso parecchie cose. Non sapeva perché. Forse voleva semplicemente tenere solo per loro quello che stava succedendo. Una questione di privacy. O forse temeva che parlarne lo avrebbe reso troppo reale, impedendole di negare che cosa poteva significare per loro. Per lei. Si sentiva meglio se quei pensieri restavano ai confini della sua coscienza. Era uno strano modo di sottrarsi al problema, ma rendeva la situazione accettabile. Le permetteva di mantenere la distanza necessaria a garantire l’equilibrio. O il controllo. Lei non aveva lasciato nulla da lui, nonostante ci asse del tempo. Era uno dei rari giorni in cui era a casa sola, seduta al tavolo a sorseggiare una tazza di tè verde al gelsomino accompagnato da fette di pane tostato e imburrato.
Guardava fuori dalla finestra, come faceva spesso. Il sole stava cercando di aprirsi un varco nella nebbia mattutina di Seattle, il suo chiarore dorato gettava sprazzi di luce sul lucido pavimento di legno. Quell’immagine le rammentò un’altra mattina, in cui era a letto insieme ad Alec. Mentre lui dormiva, i raggi di sole si erano posati sui suoi avambracci, tingendo i morbidi peli d’oro e ambra. Dylan gli aveva sfiorato il braccio con la punta delle dita. E lui si era svegliato, sorridendole, con gli occhi di quell’azzurro incredibile che sembravano guardare dritto dentro di lei. Alec l’aveva salutata con un bacio al crepuscolo, circa un’ora prima, per andare a fare un giro con il suo amico Dante da qualche parte. Poi, quella sera, avrebbero cenato tutt’e tre insieme. Dylan raccolse la tazza di tè tra le mani e sorseggiò la bevanda bollente. Non riusciva a capire come sentirsi all’idea di conoscere i suoi amici. Avrebbe dovuto essere una cosa naturale, pensò; una cosa naturale per una relazione normale, ma la loro non lo era. O forse sì? Significava che Alec desiderava un rapporto più serio? Alec era contrario alle relazioni stabili quanto lei. Era questo a farla sentire al sicuro, nonostante si sentisse legata a lui. Col are del tempo erano sempre più uniti. Si confidavano anche i segreti più oscuri. Sicuramente ogni loro fantasia sessuale. Qualche volta Alec l’aveva sculacciata con indosso la sua giacca di pelle nera dopo che lei gli aveva confidato quanto la eccitasse il profumo del cuoio e quanto lo considerasse trasgressivo. Nulla di ciò che gli confessava riguardo alle proprie fantasie erotiche pareva scandalizzarlo. Era molto liberatorio. Dylan non aveva mai conosciuto un uomo come lui. Era intelligente e aveva una mentalità aperta. Sia per quanto riguardava il sesso che qualsiasi altra cosa. Dylan adorava il fatto che riuscissero a parlare di arte e letteratura, cosa di cui aveva sempre sentito la mancanza con gli uomini che aveva frequentato. Sospettava che Alec fosse più colto di lei, ma questa era una buona cosa. Accresceva il rispetto nei suoi confronti. E il rispetto era essenziale per lei, anche quando si trattava di una frequentazione o di un’avventura occasionale. Inoltre, Alec era gentile. Ovunque andassero, alla gente piaceva immediatamente. Era stata solo la sua testardaggine, ora se ne rendeva conto, a renderla tanto combattiva nei suoi confronti quando si erano conosciuti. Alec ammaliava tutti: le cameriere dei ristoranti, le commesse delle librerie. Il suo fascino non era una semplice facciata, come succedeva spesso con molti altri uomini. Solo in quel momento si rese conto di non aver mai più pensato, né mai più guardato altri uomini da quando aveva conosciuto Alec, cinque settimane prima. Era come se lo conoscesse da anni. Da sempre. “Per sempre... con lui...” Il suo cuore accelerò i battiti e lei sorrise. Poi l’assalì il panico e fu come se avesse improvvisamente ricevuto un pugno nello stomaco. Che cosa stava pensando?
Non ci sarebbe stato un “sempre”. Né con Alec né con qualsiasi altro uomo. No, non per lei. Squillò il cellulare e Dylan lo prese dal tavolo per vedere di chi si trattava. Alec. “Respira...” Il panico si acquietò e il suo battito tornò regolare semplicemente nel leggere il suo nome sul display. — Ciao. — Ciao, Dylan. La sua voce la fece sorridere, il suo timbro morbido, profondo e rassicurante. Il panico continuò a recedere. — Alec, avete già finito il vostro giro? — Non lo abbiamo ancora fatto. Dante ha avuto un’emergenza in ufficio e così ho un po’ di tempo libero. Sono qui sotto. — Cosa? — Non mi fai salire? Lei rise. — Pensi che potrei mai impedirtelo? — Brava bambina. Dylan rabbrividì mentre premeva il pulsante del citofono. Sapendo che lui stava per salire, il suo cuore accelerò i battiti e il suo sesso s’inumidì. Aprì la porta e attese. L’ascensore si fermò, le porte si spalancarono ed ecco Alec. Aveva un’aria molto trasgressiva, da vero bad boy con i jeans, la maglietta nera e il giubbotto di pelle gettato su una spalla. Le sorrise. — Non sei vestita — constatò con apprezzamento. — Non me ne hai lasciato il tempo. Te ne sei andato solo un’ora fa. Lui lasciò cadere il giubbotto a terra e si richiuse la porta alle spalle. — Mi piace tenerti sulla corda. E non solo... mi piace averti sotto di me, e metterti in ginocchio. Con pochi i fu da lei, facendola indietreggiare verso il soggiorno. Un attimo dopo, le mani di Alec erano su di lei, le slacciavano la vestaglia facendola scivolare a terra, le strizzavano i capezzoli, facendoli indurire, mentre il piacere si diffondeva nel suo corpo. Poi si chinò a baciarla, le sue labbra brutali ed esigenti, la sua lingua dolce e calda. Sapeva di menta. Sapeva di Alec.
Dylan gemette, mentre lui la spingeva all’indietro, in soggiorno, poi la sollevava da terra e la metteva a sedere sul grande tavolo dal ripiano in vetro. Era freddo a contatto con il suo fondoschiena e la parte posteriore delle cosce. Alec si staccò da lei. — Sono molto sexy, ma per il momento ne faremo a meno. Le sfilò gli slip, una gamba per volta, fermandosi a baciarle le cosce e le ginocchia, facendola rabbrividire. Poi infilò direttamente le dita nell’umida fessura. — Oddio, Alec... dammi almeno il tempo di pensare! — Non c’è niente da pensare. Mmm... sei splendida, piccola. Alec tenne gli occhi fissi nei suoi, mentre si portava le dita bagnate alle labbra e le leccava. Dylan rabbrividì, percorsa da un fremito di desiderio. — Alec... — Che cosa vuoi, piccola mia? — Lo sai quello che voglio. — Dimmelo. — Voglio la tua bocca su di me. Sorridendo, lui la spinse giù sul tavolo. Il vetro freddo contro la schiena contrastava con il calore del suo sesso. Il corpo di Dylan si stava facendo sempre più bollente. Alec le divaricò le gambe con le mani, si chinò su di lei e la assaporò, facendola trasalire. — Oh, sì... Lui iniziò a darsi da fare con la bocca, la lingua e le dita. Leccò il clitoride inturgidito, lo succhiò sempre più forte. Con le dita massaggiò le labbra del suo sesso e poi le infilò, piegandole per raggiungere il punto G. — Dio... Alec... sto per venire! Lui continuò. Il piacere s’impossessò del corpo di Dylan, le pareti del suo sesso iniziarono a contrarsi. I capelli setosi di Alec che le sfioravano l’interno delle cosce rendevano il tutto ancora più piacevole ed eccitante. Lui continuò a succhiare con forza, e affondò le dita. Lampi di luce le esplosero davanti agli occhi chiusi. Dylan s’inarcò, sollevandosi dal tavolo, mentre il piacere l’attraversava a ondate. Stava riprendendo fiato, il sesso ancora scosso dagli spasmi, quando lui si slacciò i pantaloni, prese un preservativo dalla tasca e lo srotolò sul pene in erezione. Dylan gli circondò la vita con le gambe e lui le sollevò le braccia sopra la testa, imprigionandole i polsi nella sua grande mano prima di penetrarla, ma non completamente, puntando solo il glande gonfio di desiderio all’imboccatura del suo sesso. Meraviglioso. Un’erotica tortura.
— Sei così bagnata, piccola. Così bagnata per me. Devo scoparti. Devo... assolutamente... scoparti, piccola. Diede una spinta, il suo cazzo scivolò dentro all’improvviso e lei lanciò un urlo. Da quel momento fu pura furia animale, i loro corpi uniti nell’urgenza del desiderio, mentre lui iniziava a pompare. E fu come se Dylan continuasse a venire, mentre il suo sesso si stringeva intorno al cazzo duro che si muoveva dentro di lei. Alec accelerò il ritmo, spingendo più a fondo. Il suo bacino le sbatteva contro, la superficie dura del tavolo le faceva male contro la spina dorsale, ma non le importava. Le piaceva tutto, i polsi che lui tratteneva, la sensazione di essere posseduta completamente. — Vieni, Alec... ti prego... — Sto venendo... piccola... E venne, con il volto stravolto dall’estasi, affondando in lei scosso dagli spasmi. Gemendo, continuò a spingere. — Dylan... — Le crollò addosso con il respiro affannato. — È stato meraviglioso. — Mmm... Alec le baciò il lobo dell’orecchio, mordicchiandolo. — Arriverò in ritardo per il mio giro in moto. — Sì. Che cosa dirai a Dante? — Niente. Capirà. Dylan sorrise. Era troppo felice per preoccuparsene. Alec si sollevò, aiutandola a rimettersi in piedi. Indietreggiò di un o, tenendole la mano. — Mi piace quando hai questa espressione. — Le mise una mano tra le gambe e infilò due dita nell’umido calore del suo sesso. Dylan si appoggiò a lui, mentre una scossa di piacere attraversava il suo corpo. — Gesù, Alec, non uscirai mai di qui se non ti fermi. — Non tentarmi, donna. Non voglio far aspettare troppo Dante, altrimenti ti metterei sulle mie ginocchia e sculaccerei il tuo stupendo culetto fino a quando non assume quella tonalità di rosso che a me piace tanto. Mi sta quasi diventando duro di nuovo al solo pensiero. Dylan rabbrividì, immaginando ciò che lui aveva descritto. — Sei sicuro che non abbiamo tempo? Alec rise. — Avremo tutto il tempo dopo cena questa sera. Dobbiamo solo aspettare... troppo. — Sì, decisamente troppo.
— Vieni con me. — Cosa? — Vieni a fare un giro in moto con me, con noi. Dante non avrà nulla in contrario. — Alec, io non salirò mai sulla tua moto. Avvertiva una pressione al petto al solo pensiero. — Non andremo lontano. — Non è questo il punto. — Pensavo che ti fidassi di me. — Mi fido, e sono pronta a fare quasi tutto. Qualsiasi cosa a letto e al club. Mi sottometterò a te in ogni modo, ma non salirò sulla tua moto. Né con te, né con altri... nulla di personale. — Ho solo pensato che sarebbe stato bello se fossi venuta con noi. È un modo per conoscere un altro aspetto della mia vita. Era offeso? Lei non l’avrebbe mai fatto comunque. — Mi dispiace, non posso. Alec alzò le spalle, ma lei non riuscì a capire se fosse amareggiato. — Okay. — Le accarezzò i capelli, scostandoglieli dal viso. — Va tutto bene, Dylan. — Okay. Si chinò, la baciò sulla bocca sfiorandole il viso con la mano, e lei si rilassò a quel contatto. — Devo andare. Ci vediamo stasera alle otto al Wild Ginger? — Sì, certo. Le sorrise. — Non era un ordine, Dylan. Lei arrossì al pensiero che Dante potesse udire una simile conversazione tra loro, poi si rese conto che doveva essere abituato a cose di quel genere, dal momento che anche lui era un dominatore. — D’accordo. Arriverò comunque alle otto. — Bene. — Alec sollevò la cerniera dei jeans e solo allora Dylan si rese conto che non si era nemmeno spogliato, che le era saltato addosso in preda a un puro istinto animale. Lei era ancora nuda. Il desiderio la percorse da capo a piedi. — Mi dispiace, devo scappare — le disse Alec, prendendole la mano e sfiorandole le nocche con le labbra. — Non preoccuparti.
— Buona giornata. Ci vediamo questa sera, piccola. Un piccolo brivido nell’udire quel vezzeggiativo. “Smettila di essere così infantile!” — Sarò pronta. Lui le cinse la vita, attirandola di nuovo a sé e mormorandole all’orecchio: — Tu sei sempre pronta. Ti ho mai detto quanto mi piace? Dylan era di nuovo bagnata, si sentiva languida e arrendevole. — Sarà meglio che tu vada, altrimenti non ti permetterò più di uscire da qui. — Che tono autoritario! — Alec rise. — Ho il migliore dei maestri. Vai adesso. Buon giro. Ci vediamo questa sera. Dylan stava ancora sorridendo mentre chiudeva la porta alle spalle di Alec, raccoglieva la vestaglia e se la gettava sulle spalle. Gesù, si stava comportando proprio come una femmina. Dovette rammentare a se stessa che questo non la rendeva debole. Del resto, lei era una femmina. Alec era semplicemente il primo uomo che era riuscito a farla sentire davvero donna. Forse perché era stato il primo a infrangere la corazza che lei aveva sempre pensato di dover mostrare al mondo. Non l’aveva infranta del tutto, ma sicuramente aveva aperto una breccia e vi aveva guardato attraverso. E non se n’era andato. Era rimasto insieme a lei. Dylan non voleva soffermarsi troppo a pensare che cosa questo potesse significare. Meglio accantonare l’argomento e crogiolarsi in quella faccenda del sentirsi finalmente donna. Un’altra cosa su cui preferiva non riflettere era la loro conversazione riguardo alla moto. Dylan non aveva capito come si fosse sentito Alec di fronte al suo ostinato rifiuto di salire in sella insieme a lui, ma per lei era davvero assolutamente impensabile. La spaventava anche solo immaginare Alec fiondarsi sull’autostrada a cavallo di quella cosa. “Lascia stare, pensa alla cena di questa sera, a quando lo rivedrai.” Andò in bagno a farsi la doccia e a vestirsi. Si guardò allo specchio; aveva gli occhi luminosi, le pupille dilatate, il viso lievemente arrossato e la labbra gonfie, come se fossero state morse. Sorrise alla sua immagine riflessa. Andava tutto bene. Ad Alec non sarebbe successo nulla. Doveva riuscire a controllare le proprie paure. Se le era portate dietro per troppo tempo. In quel momento, l’unica cosa di cui doveva preoccuparsi era il vestito che avrebbe indossato quella sera. Forse era molto più femmina di quanto pensasse di essere. La giornata trascorse velocemente, scrisse una dozzina di pagine e ne corresse anche di più. Nonostante fosse stata impegnata, Alec era stato nei suoi pensieri per tutto il tempo. Non riusciva a smettere di pensare a lui.
In piedi davanti al lungo specchio dell’anta dell’armadio, con indosso slip e reggiseno neri con ricami di pizzo bordeaux, si chiese quale abito avrebbe indossato. Mancava poco meno di un’ora all’appuntamento con Alec e Dante, doveva sbrigarsi. Perché le era così difficile decidere? Il morbido abito fasciante color porpora o il golfino di cachemire grigio con la gonna nera? Le donavano entrambi, entrambi facevano risaltare la sua figura. Si drappeggiò l’abito addosso. La scollatura era profonda, la parte inferiore scendeva a trapezio. Lo appese all’anta dell’armadio e prese la gonna. Erano entrambi sexy ed eleganti. Cercava sempre gli abiti più sexy per lui. Era comprensibile, dal momento che andavano a letto insieme, ma fino ad allora non ci aveva pensato più di tanto. Rimise a posto la gonna. Forse avrebbe indossato l’abito color porpora... le piaceva che s’intrecciasse sui seni, formando quella profonda scollatura a V. Le piaceva sentire il tessuto morbido scivolare sulla sua pelle, il modo in cui quello le sfiorava le gambe. Da settimane era ormai diventata ipersensibile a tutto, sempre all’erta, pronta a cogliere qualsiasi sfumatura. Sensazioni, sapori, profumi, suoni, tutto le arrivava amplificato, come se Alec avesse svegliato tutti i suoi sensi. “Alec...” S’infilò il vestito e lo allacciò stretto in vita. Non mise le calze, sebbene fuori fe freddo, e scelse un paio di stivali scamosciati neri, con il tacco alto, che le arrivavano al ginocchio. Aggiunse un semplice girocollo d’argento e un paio di sottili orecchini a cerchio. Guardò compiaciuta la propria immagine allo specchio, sapeva che Alec sarebbe stato felice della sua scelta. A quel pensiero avvertì una vampata di calore. Sorrise quando suonò il cellulare e lesse il suo nome sul display. — Alec... — Dylan, sono Dante, sto usando il telefono di Alec. — Oh, Dante, ciao. — Senti, non voglio preoccuparti. Ti chiamo solo per avvertirti che faremo un po’ tardi per la cena. Dylan avvertì un brivido lungo la schiena. — Preoccuparmi per cosa? — Alec ha avuto un incidente... niente di grave, sta bene... — Un incidente? — Sta bene, davvero, te lo assicuro. — Dov’è? — Siamo al Virginia Mason Hospital, al pronto soccorso.
— Oh, mio Dio! Arrivo subito. — Non è necessario, davvero. — Sto arrivando. Dylan interruppe la comunicazione con il cuore che le batteva all’impazzata per la preoccupazione. La paura. Afferrò il cappotto e la borsa e si chiuse la porta alle spalle. L’ascensore impiegò un’eternità ad arrivare, ma infine lei salì sull’auto e attraversò di corsa la città. Quelle maledette moto! Perché gli uomini ne erano ossessionati? Gesù, se fosse successo qualcosa ad Alec non glielo avrebbe mai perdonato. Arrivò in fretta all’ospedale, posteggiò e scese dall’auto. Si diresse di corsa verso il pronto soccorso ed entrò. Quell’odore! Lo odiava... l’odore di disinfettante, di alcol e di paura. Odiava il ticchettio dei propri tacchi sul pavimento di linoleum chiaro. La freddezza asettica delle stampe floreali alle pareti, che non riuscivano a rendere l’ambiente accogliente. Tutto ciò le ricordava quando aveva perso Quinn. Non riusciva a sopportarlo. Ma Alec era lì da qualche parte. Inghiottì la nausea e si avvicinò al bancone. L’infermiera alzò gli occhi. — Sto cercando... un amico. — Nome? — chiese la donna. — Alec Walker. — Dylan! Si voltò e vide Alec con un uomo alto e slanciato che doveva essere Dante uscire da una porta dal doppio battente. Alec aveva un braccio al collo. Il panico la investì come una doccia gelata. — Alec! — Dylan, non saresti dovuta venire fin qui! — Stai scherzando? Dante mi ha telefonato dicendomi che eri ferito. — Sto bene. Mi sono solo fatto male alla spalla, ma Dante ha insistito perché mi fi controllare. — Non stai bene. Sei caduto in moto? È così? — Non è niente. Ho affrontato una curva a velocità troppo elevata e c’erano delle foglie bagnate sulla strada. Sarei dovuto essere più prudente. Dylan avrebbe voluto dirgli che non avrebbe nemmeno dovuto salirci sulla moto, ma non voleva metterlo in imbarazzo di fronte al suo amico. Sapeva di esagerare, ma non poteva farci nulla. Riusciva a pensare solo al volto immobile di Quinn.
A Quinn morto. Le si chiuse la gola e sentì il pizzicore delle lacrime agli occhi. “Smettila. Calmati.” Alec le si avvicinò e racchiuse la mano di Dylan nella sua. Era calda, rassicurante. Se solo avessero potuto andarsene da lì, allontanarsi da quell’odore! — Ti assicuro che sto bene, Dylan. Un po’ dolorante, ma niente di rotto. — Okay, okay. — Lei fece un respiro profondo, poi un altro, cercando di non darlo a vedere. — Mi dispiace di averti allarmata — disse Dante. I suoi occhi erano di un bel castano dorato, la sua espressione dolce. — Mi ha detto Alec di chiamarti. — No, io... grazie, so che l’hai fatto solo per gentilezza, ma ero... preoccupata. — Non c’è nulla di cui preoccuparsi — insistette Alec. — Mi sono fatto sicuramente più male in cucina e molto di più sul campo di basket. — Sei troppo grosso per giocare con una palla — lo canzonò Dante. — Ti ricordo che a football ti ho stracciato — ridacchiò Alec. — Solo perché sei un gigante — replicò Dante. Dylan ascoltò il loro scambio di battute, mentre ancora cercava di calmare i battiti del suo cuore. — Possiamo... andarcene da qui? — Sì, certo, stavamo uscendo quando sei arrivata. Stavamo andando a casa di Dante per cambiarci. — Alec la guardava, i suoi occhi azzurri puntati su di lei. — Stai bene? Non stai per svenire, vero? — Che cosa? Certo che sto bene, è che non mi piacciono molto gli ospedali. Alec le posò una mano sulla schiena e iniziò ad accarezzarla con movimenti circolari. Quel gesto le fece venir voglia di piangere di nuovo. Non lo capiva. — Andiamocene allora. — Non puoi guidare la moto in queste condizioni. — Prima di venire qui siamo andati a casa mia e abbiamo sostituito le moto con la mia auto — intervenne Dante. — Ci vediamo al ristorante tra mezz’ora — le disse Alec. — Tu vai pure avanti e prendi qualcosa da bere. Lei annuì. Sì, aveva proprio bisogno di bere qualcosa. — D’accordo. Alec l’attirò a sé e le sfiorò i capelli con un bacio. Dylan aveva ancora voglia di
piangere, ma il nodo di paura che le si era formato in gola si stava sciogliendo a poco a poco. Si diressero tutti insieme verso il parcheggio e Alec le diede un altro bacio sui capelli prima di farla salire sull’auto. Dylan inserì un CD, e la musica classica e la guida la tranquillizzarono, aiutandola a calmare i nervi. Poco dopo parcheggiò davanti al Wild Ginger. Era lo stesso ristorante in cui avevano cenato quando erano usciti insieme per la prima volta. Era questo ciò che stavano facendo? Uscivano insieme? Be’, sì, si frequentavano. Si frequentavano e basta. Era solo sesso tra loro due. Dylan fece un respiro profondo. E ora Alec voleva che lei conoscesse il suo miglior amico. Questo significava qualcosa oppure stava costruendo castelli in aria? La sera prima aveva chiesto ad Alec che tipo fosse Dante, e lui le aveva risposto che era intelligente e divertente, una bella persona. Che le sarebbe piaciuto, così come lei sarebbe piaciuta a lui. E quando gli aveva chiesto come mai ne era tanto sicuro, lui le aveva risposto: — A quale uomo non piaceresti? Dylan provò un nodo allo stomaco. “A quale uomo?” “Forse ad Alec?” “Non essere stupida, non è quello che vuoi.” Che cosa voleva? Non lo sapeva più con certezza. Sospirando, scese dall’auto ed entrò nel ristorante, dirigendosi verso il bar. Ordinò un vodka tonic. Quella sera aveva bisogno della sferzata della vodka per cercare di non perdersi nei suoi pensieri mentre attendeva l’arrivo dei due uomini. Si trovava lì da non più di venti minuti quando loro entrarono. Erano entrambi vestiti di scuro; Alec muscoloso e imponente, Dante alto e con i capelli corti che sparavano verso l’alto. Mentre si avvicinavano, Dylan si accorse che lui era quasi bello quanto Alec, con quel sorriso smagliante e le fossette sulle guance. Alec si chinò su di lei e la baciò. — Ehi, avevo dimenticato di dirti quanto sei bella — le sussurrò tra i capelli. — Mi dispiace che abbiamo iniziato così male — si rammaricò Dante, prendendole la mano. — Di solito sono un po’ più diplomatico. — Le sorrise e Dylan non poté fare a meno di subire almeno in parte il suo fascino. — Sto bene, davvero. — Il nostro tavolo dovrebbe essere quasi pronto. Prendi un altro drink?
— Ma come sei galante... — lo canzonò Alec. — Come sempre. — Ricordati che lei è mia. — Oh, non credere che non me ne sia reso conto. “Sua?” Dylan guardò Alec, ma lui stava sorridendo a Dante, apparentemente inconsapevole di ciò che aveva appena detto. Che cosa intendeva dire? Oppure era solo un modo di dire, una battuta tra amici, priva di significato? — Sì, berrei volentieri ancora qualcosa, ti ringrazio — rispose lei. — Un bicchiere di vino? — le propose Alec. — Un altro vodka tonic, grazie. Alec inarcò le sopracciglia, ma ordinò una vodka per lei e una anche per sé. Sapeva che di solito non beveva superalcolici. Che pensasse pure che era nervosa all’idea di conoscere Dante. Alec si sedette sullo sgabello accanto a lei, posandole una mano sulla schiena. Dylan adorava sentire il calore della sua mano, ma quella sera era particolarmente nervosa. Faceva una fatica terribile a cercare d’ignorare la fasciatura al suo braccio sinistro e il modo in cui lui se l’era procurata. L’impulso di pensare era quasi incontenibile. — E così — esordì Dante dopo essersi seduto al suo fianco dall’altra parte — tu scrivi romanzi erotici. — Sì. — E vi siete conosciuti perché dovevi fare ricerche sulle nostre... pratiche estreme. — Sì, esatto. — Il barman servì le ordinazioni e lei fece un lungo sorso, nonostante il bruciore in gola. La presenza di Alec e la vodka stavano facendo il loro effetto, e lei si stava rilassando. — Immagino che la maggior parte delle persone che praticano il BDSM lo considerino uno stile di vita. Dante scrollò le spalle. — Io no. Non descrive la mia vita, ma solo la mia attività sessuale... e sensuale. E lo pratico il più spesso possibile. Le sorrise. Era davvero affascinante. Accogliente. Le piaceva, come Alec aveva previsto. — Alec mi ha detto che sei un avvocato. — Un avvocato divorzista. Lavoro per un importante studio da qualche anno, ma ho appena saputo di aver ottenuto un posto in uno studio più piccolo qui in città, un posto che rincorrevo da mesi, e quindi ne sono molto felice.
— Congratulazioni! — Grazie. — Un avvocato divorzista... dev’essere un lavoro impegnativo. — Lo è, a me piacciono le cose impegnative. Le sorrise di nuovo, con un luccichio negli occhi color castano dorato. — Ti piacciono questi piccoli sottintesi? — gli chiese Alec. C’era una traccia di gelosia nella sua voce, oppure stava solo prendendo in giro il suo amico? — Mi piacciono tante cose, Alec, ma tu questo lo sai già. Oh, sembra che il nostro tavolo sia pronto. Andiamo? Dante offrì il braccio a Dylan e lei pensò che sarebbe stato scortese rifiutare. Notando l’occhiata di Alec, abbozzò un sorriso. Avevano riservato loro un tavolo protetto da un separé: Dante si sedette da una parte, e lei e Alec dall’altra. Dylan studiò il menù pur sapendo che Alec avrebbe ordinato al suo posto. Una piccola parte di lei avrebbe voluto protestare, ma ormai ci aveva rinunciato da settimane. Invece, si appoggiò allo schienale e ripose il menù sul tavolo. Dante spostò lo sguardo da lei ad Alec. Non disse nulla, ma Dylan capì che stava cercando di valutare la situazione. Essendo un dominatore, era abituato quanto Alec a osservare le donne. Per loro era una cosa quasi automatica. A lei non dava fastidio, benché una parte della sua mente fosse ancora convinta che avrebbe dovuto ribellarsi. Arrivò il cameriere e i due uomini fecero le ordinazioni. Alec ordinò anche per lei, come previsto. La cosa le procurò un brivido di piacere, detestava ammetterlo persino a se stessa. Eppure, era così. — Raccontatemi come vi siete conosciuti — disse Dylan, spostando lo sguardo da Alec a Dante. Non poteva fare a meno di notare quanto entrambi fossero attraenti. Entrambi riscuotevano immediatamente l’attenzione delle donne ovunque andassero, soprattutto se erano insieme. — Ci siamo conosciuti al Regno del Piacere. Quand’è stato? Tre anni fa? — chiese Dante ad Alec. — Sì, circa tre anni fa. — Abbiamo capito subito di avere molto in comune — disse Dante — al di là di quello che succede al club. A entrambi piace viaggiare, anche se Alec ha visitato molti più posti di me. Tra l’università e l’inizio della mia carriera, non ho avuto molto tempo libero. Ma è stata la ione per la velocità a unirci più di qualsiasi altra cosa. Anche se il suo gusto in fatto di moto è atroce! — Le Ducati sono classiche, la perfezione in fatto di meccanica.
— E io continuo a ripeterti che nulla può reggere il paragone con una BMW — ribadì Dante. — Sono le migliori moto da turismo del mondo. Nulla può battere la tecnologia tedesca. — Sembra che abbiate già affrontato questa discussione — osservò Dylan, fingendo che il solo sentir menzionare le moto non le chiudesse lo stomaco per la paura. Alec rise. — Forse un paio di volte. Si voltò verso di lei e le sorrise, stringendole la mano. Nonostante le emozioni conflittuali che provava in quel momento, fu percorsa da un piccolo brivido. Le succedeva tutte le volte che lui la toccava. E benché Dante fosse molto attraente, intelligente e affascinante quanto Alec le aveva detto, non aveva il minimo effetto su di lei. Nemmeno una scintilla. Ormai era come se lei vedesse gli altri uomini da distante, confrontandoli sempre con Alec. E nel confronto, invariabilmente arrivavano secondi. Aveva sempre apprezzato un bell’uomo, quando ne incontrava uno. Perché all’improvviso aveva occhi per uno soltanto? Si voltò di nuovo verso Alec e lui ricambiò il suo sguardo. I suoi brillanti occhi azzurri che la fissavano e le scavavano dentro le facevano sempre venire il batticuore. “Oh, sei proprio nei guai!” Arrivò la cena: zuppa di miso, fettuccine Singapore e sushi. E per tutto il tempo Dylan si sforzò d’ignorare i pensieri che le ronzavano in testa a diecimila miglia all’ora. Perché era più consapevole che mai dell’effetto che Alec aveva su di lei? Forse perché la sua reazione a lui era in netto contrasto con la sua mancanza di reazione all’affascinante Dante? O forse il suo corpo era ancora fremente dopo aver fatto sesso quella mattina sul tavolo del soggiorno. O forse si trattava dell’attrazione mescolata alla preoccupazione per l’incidente. Ma ciò che la mandava in tilt, se permetteva a se stessa di indugiare su quel pensiero, era il fatto che lei adesso aveva occhi solo ed esclusivamente per Alec. La libido non l’aveva mai portata a guardare un solo uomo. Non l’aveva mai fatto per nessuna ragione. Ma la verità era che ora non desiderava nessun altro, voleva solo lui. Voleva essere sua. “Dio...” Posò le bacchette. Aveva la sensazione di aver ingurgitato piombo. Avevano ordinato del sakè freddo per accompagnare la cena. Dylan sollevò la tazza e bevve. In realtà avrebbe avuto bisogno di un’altra vodka. O forse avrebbe fatto meglio a non bere alcol. Le annebbiava i sensi. Aveva già ato troppo tempo in quella condizione, senza pensare. E il risultato era che ora aveva paura. Aveva lasciato che accadessero troppe cose, che la situazione si protraesse troppo a lungo. Si voltò a guardare Alec che parlava con il suo amico, gesticolando animatamente mentre discutevano di qualcosa che riguardava il basket. Lui s’interruppe e la guardò, con il suo bel sorriso sincero e disarmante, che esprimeva... che cosa? Orgoglio? Dylan si sentiva tremare dentro. Era troppo scossa. Doveva calmarsi.
— Volete scusarmi un attimo? — Certo. — Alec si alzò, posandole una mano in vita. Dylan si diresse a o rapido verso la toilette. L’inserviente all’entrata la salutò con un cenno del capo, sorridendo. Dylan entrò subito nella toilette, chiudendo la porta. Con mani tremanti si scostò i capelli dal viso, poi, con le gambe che le cedevano posò i palmi aperti contro la porta come per sostenersi. Doveva calmarsi. Poteva anche non significare nulla. E invece sì. Era troppo tardi, maledettamente troppo tardi. Come aveva potuto permettere che accadesse? Prese il cellulare dalla borsa e compose il numero di Mischa. — Ciao, sono Mischa, lasciatemi un messaggio e vi richiamerò al più presto. Se volete fissare un appuntamento per un tatuaggio, per favore telefonate al mio negozio, Le Tredici Rose. Grazie. — Mischa, sono io, Dylan, ho assolutamente bisogno di parlarti. Sto impazzendo. Cristo, ti sto chiamando dalla toilette di un ristorante! Me ne sto qui come una pazza a torcermi le mani. O almeno era quello che stavo facendo prima di telefonarti. Il fatto è che, Mischa, io mi sono innamorata di Alec. Mi... mi sto innamorando di lui. Oh, Dio! L’ho proprio detto? Non posso credere di averlo detto. Né posso credere che mi stia succedendo davvero. Che stia succedendo proprio a me! Non posso innamorarmi di lui. Non so come fare. Ho bisogno del tuo aiuto. Devo calmarmi, devo... Click. — Il vostro messaggio è stato completato. Per cancellarlo e registrarne uno nuovo, premere uno. — Accidenti! Interruppe la comunicazione senza sapere se il messaggio sarebbe stato inoltrato. Perché aveva blaterato per tutto quel tempo? Doveva ricomporsi, tornare là fuori e fingere che non fosse cambiato nulla. Ma era cambiato tutto nel breve momento in cui aveva realizzato la verità. Era innamorata di Alec Walker. La spaventava anche solo dirselo. Era un pensiero opprimente. Intollerabile. Ma era la verità. Strinse con forza il cellulare fino a che le nocche divennero bianche.
Al diavolo il suo cuore traditore! Era innamorata di lui. E ormai non c’era nulla che potesse fare per porvi rimedio.
15 Dylan si era fermata qualche minuto a respirare profondamente, poi si era ata il rossetto sulle labbra e si era lavata le mani, lasciando scorrere l’acqua fredda sui polsi. Quando uscì dalla toilette aveva ancora il viso arrossato, ma non voleva far attendere troppo i due uomini. Non voleva che le fero domande. Per fortuna, quando tornò al tavolo, li trovò impegnati in un’animata conversazione. Alec si alzò per farla are, senza quasi guardarla, anche se, dopo che si furono seduti, le ò un braccio intorno alle spalle. Poi si piegò in avanti, rivolgendosi a Dante. — Ho trovato dei bei posti dove poter alloggiare. Ce n’è uno incredibile di cui mi ha parlato un amico, proprio sulla spiaggia. Solo ciuffi d’erba sulla sabbia, un luogo primitivo, ma immagino che non ti dispiaccia. — Naturalmente no. Mi conosci, potrei dormire anche su un letto di chiodi se vi fossi costretto. — Sembra che il cibo sia eccezionale, ed è una delle spiagge migliori. Scendendo, ho pensato che potremmo fermarci a San Francisco il primo giorno, e poi forse a Santa Barbara. — Andrete a San Francisco? — chiese Dylan, rigirando il cibo con le bacchette e sforzandosi di comportarsi in modo normale. Cercando disperatamente di fermare il flusso dei pensieri. Di non saltare addosso ad Alec, rinunciando a qualsiasi resistenza, sciogliendosi tra le sue braccia. — No, tra qualche settimana andremo a Baja. A San Francisco faremo solo una sosta di una notte. — Baja? Messico? — Sì — rispose Dante — un viaggio in moto. Lo stiamo programmando da secoli. Finalmente sono riuscito a prendermi una vacanza dal lavoro, a liberarmi dei miei impegni in tribunale. Tu ci sei mai stata? — Io... No. — Avvertì una morsa allo stomaco, sempre più forte. Alec. In moto. Che scorrazzava per mezzo Paese. O almeno, fino in Messico. Per quanti giorni sarebbe rimasto in sella? Quante possibilità aveva di cadere di nuovo? Stava sfidando il destino. Per questa volta l’aveva scampata, ma alla prossima... Immagini di Quinn. Del suo corpo martoriato. Il suo fratellino. Era stata lei ad andare in ospedale. Sua madre non ce l’avrebbe fatta. Aveva dovuto identificare il cadavere. Il suo bel corpo per cui non si poteva fare più nulla. Non sarebbe mai riuscita a togliersi quell’immagine dalla mente... dal cuore.
Non lo avrebbe sopportato una seconda volta. Come poteva? Non adesso. Non ora che sapeva di amarlo. Era troppo maledettamente pericoloso. Avrebbe potuto perderlo. “Te ne andresti comunque. Non resteresti con lui, non ora che sai che lo ami. Perché tu non puoi amare nessuno.” Si portò una mano alla testa che sembrava sul punto di scoppiare. — Dylan? — C’era preoccupazione nella voce di Alec. Lei non riusciva nemmeno a guardarlo. — Stai bene? Non ti piace il cibo? — No, no, sto bene. — Non mi pare. Sembra che tu abbia visto un fantasma. “È proprio così.” Dylan allontanò la sua mano quando lui tentò di farle bere dell’acqua. — Ti porto a casa? Dante, ci sentiamo la prossima settimana per definire i dettagli. — Okay. Dylan, mi dispiace che tu non ti senta bene. È stato un piacere conoscerti. Sono sicuro che ci rivedremo. — Sì, mi dispiace... Scosse la testa. Non sapeva cosa dire. Seguì Alec in silenzio mentre lui la guidava attraverso il ristorante, ritirava il suo cappotto e glielo metteva sulle spalle. Non disse una parola nemmeno quando attraversarono la strada e lui l’aiutò a salire in macchina. Lui era galante come sempre, preoccupato, premuroso, e questo faceva sanguinare ancora di più il suo cuore. Iniziò a piovere quando uscirono dal parcheggio. La pioggia batteva dolcemente sul parabrezza. — Sei sicura di star bene? — le chiese Alec. Lei annuì. — Sì, sì, certo. Non riusciva a guardarlo. Ogni volta che lo faceva le era impossibile contenere l’emozione. Non osava quasi respirare per paura di sentire il suo odore. Ma doveva farlo, naturalmente. L’auto era inondata da quel profumo di bosco e di oceano. Pulito e virile... il sapore di Alec. “Oddio...” Non voleva perdere il controllo fino a quando non fosse stata a casa da sola. Non voleva che accadesse in sua presenza. Perché, se così fosse stato, avrebbe dovuto spiegargli il motivo. “Impossibile!”
Si morse le labbra, serrò le mani a pugno fino a che le unghie le penetrarono nei palmi, e il dolore le servì da distrazione. Teneva lo sguardo fisso davanti a sé, lasciando che le si annebbiasse la vista, fino a quando la pioggia e le luci della strada si confo insieme in un acquerello indistinto. Alec tentò di prenderle la mano, ma lei lo evitò fingendo di cercare un fazzoletto nella borsa, e si schiarì la voce. Con sua grande sorpresa, Alec non volle parlare, né le pose altre domande. Infine, si fermò vicino a casa sua e posteggiò. Dylan fece per aprire la portiera, ma lui le afferrò il braccio. — Okay, Dylan, adesso mi dirai che cosa sta succedendo. — Il suo tono era deciso e non ammetteva rifiuti. Evidentemente aveva capito che c’era qualcosa che non andava, che lei non si fosse sentita davvero male. — Alec... — No, Dylan, dimmelo. — Non posso. — Puoi almeno guardarmi? Lei scosse la testa, continuando a fissare davanti a sé. — No. — Si tratta di un’altra scena simile a quando ti rifiutavi di parlarmi di tua madre? — Non ci sarà nessuna scena. E, per favore, in questo momento lascia stare mia madre. Non è corretto. — Perché no? Non posso saperlo, se non me lo dici, Dylan. Che cosa diavolo è successo? Ho detto qualcosa che ti ha offeso? O lo ha fatto Dante? Lei rise, una breve risata abbaiante. — No, non mi avete offeso, Alec. Ora posso andare? — No, a meno che io non salga insieme a te. E ho la sensazione che non me lo permetterai. — Infatti — replicò lei in tono pacato. — Dovrò chiederti di prendere un taxi per tornare a casa. Posso riavere le mie chiavi? — Fanculo, Dylan. — Alec gliele restituì e lei rabbrividì sentendo il calore della sua mano. Rimase in silenzio per qualche istante. Dylan poteva sentire il suo respiro nonostante la pioggia che batteva sul tetto dell’auto. Avrebbe voluto scendere, scappare via, ma non aveva la forza di muoversi. “Forse perché sai che questa è l’ultima volta che lo vedrai.” All’improvviso le sfuggì un singhiozzo che non ebbe il tempo di trattenere.
— Gesù, Dylan! Alec la cinse con il braccio sano, ma lei lo respinse, allontanandolo con tutte le sue forze. — Smettila, Alec, smettila! Non hai più un ruolo da sostenere, questo non è un gioco BDSM. Tu non sei un dominatore adesso. — Che cosa? Non ci stavo nemmeno pensando. Qui si tratta di noi. Dylan lo guardò, vide la sua espressione sconvolta e la collera che iniziava a montare. — No, Alec, non esiste un noi. Devo andare. Per favore, lasciami andare. — Non vuoi dirmi perché? — Perché? Perché tu non sei tipo da avere una relazione, Alec. E nemmeno io. Il che ha reso tutto impossibile, sin dall’inizio. Ma ora... è più impossibile che mai. Io non posso. Le lacrime le rigavano il viso. Dylan non si prese nemmeno la briga di asciugarle. Era troppo tardi. Troppo tardi per qualsiasi cosa. — Dylan, si tratta di questo? Della nostra relazione? Dobbiamo parlarne. — Sono stanca di parlare — disse lei a bassa voce, con la gola stretta, strozzandosi. Gli occhi di Alec fiammeggiavano. Era sbalordito. Aveva l’aria di sentirsi come si sentiva lei. Era una sofferenza vederlo in quello stato. Dylan si voltò, aprì la portiera e posò i piedi sull’asfalto bagnato. Scese dall’auto e, per quanto glielo permettessero i tacchi, si diresse verso casa a i rapidi. In pochi secondi la pioggia le inzuppò i capelli, gocciolando lungo il bavero del cappotto. Alec non la seguì. Se lo avesse fatto, Dylan avrebbe sentito aprire la portiera dell’auto e i suoi i sul marciapiede. Con la sua falcata l’avrebbe raggiunta subito. “Maledizione, seguimi!” “No, non farlo...” Erano ati tre o quattro giorni. Dylan aveva perso il conto. Per la maggior parte del tempo aveva dormito, alzandosi solo per bere una tazza di tè e mangiare una fetta di pane tostato, poi di nuovo a letto, rannicchiata sotto le lenzuola e i pesanti piumini. Qualsiasi cosa fe, non riusciva a scaldarsi. Non aveva letto, non aveva guardato la televisione, non aveva parlato con nessuno al telefono. E men che meno aveva lavorato: non aveva scritto una sola parola. Non tollerava l’idea di pensare, ma nemmeno quella di non pensare; parlare con qualcuno di quanto era avvenuto, fosse anche Mischa, era fuori discussione... non sarebbe mai riuscita a dirlo ad alta voce. Si alzò a sedere sul letto, stringendosi nel piumino bianco, con i cuscini impilati tutt’intorno come un fortino. Sul comodino c’era una tazza di tè e un pacchetto di fazzoletti. Una
piccola pila di salviette appallottolate era sparsa sul pavimento come fiocchi di neve. Aveva aperto le tende la prima sera e non le aveva più richiuse. Osservava il cielo are dal buio pesto della notte alla nebbia iridescente del mattino, al grigio pallido del mezzogiorno. Ma restava sempre di varie tonalità di grigio, proprio come lei si sentiva dentro. Grigia e parzialmente offuscata, quando non dormiva o singhiozzava come una bambina. I momenti peggiori erano quelli in cui i singhiozzi esplodevano all’improvviso, dilaniandola, incendiandole la gola, fino a quando lei si rannicchiava su se stessa, come per evitare di disintegrarsi fisicamente. Non restava molto in quello stato, se ne vergognava troppo. Era disgustata dalla propria debolezza. Era troppo... banale. Troppo prosaica. Troppo orribile. Ma continuava a succedere, ancora e ancora, come se non fosse mai abbastanza. Sembrava che non riuscisse a liberarsi del dolore. Pensava a lui costantemente. Alle sue mani forti, al suo bel volto virile. Alle sue spalle incredibilmente ampie. Al contrasto tra la sua forza e la dolcezza che dimostrava verso di lei. Alla sua risata, sempre tinta di malizia. Al suo profumo. Era sicura di sentirlo ancora per tutto l’appartamento. Sulla sua pelle. Come qualcosa che fosse penetrato così profondamente nel suo letto, nelle pareti, nel suo corpo, da non andarsene mai più. Forse ci credeva davvero. Forse stava davvero impazzendo. Quasi sperava che fosse così. In quel caso forse non si sarebbe sentita lacerare dal dolore quando era sveglia, con il petto oppresso da un peso gelido che sembrava non dissolversi mai. Nel sonno le cose non andavano molto meglio. Lo sognava tutte le notti. Sogni erotici con Alec che la toccava, la baciava, la sculacciava. Sogni orribili in cui litigavano, in cui lui le urlava che era una stupida e che l’avrebbe lasciata. Oppure, il più orribile di tutti, il sogno in cui una persona senza volto andava a dirle che Alec era morto, e lei vedeva il suo corpo pallido e immobile, come aveva visto quello di suo fratello. Non sapeva che cosa fosse peggio: se svegliarsi desiderandolo o piangere perché se n’era andato. In qualsiasi caso, si sentiva completamente alla deriva. Persa. Abbandonata, sebbene fosse stata lei ad andarsene. Prima o poi sarebbe successo. Alec l’avrebbe lasciata. E lei non l’avrebbe sopportato. Molto meglio farla finita subito. Soffrire e chiudere ora, perché se fosse rimasta con lui più a lungo, lo avrebbe amato sempre di più e la sofferenza sarebbe stata maggiore. Aveva afferrato il telefono decine di volte per chiamarlo e poi lo aveva rimesso giù. Cosa c’era da dire? Nessuno dei due era diverso per il semplice fatto che lei lo amasse. No, non era vero. Lei era diversa. Era distrutta. Senza controllo. Disperata. Paralizzata come non era più stata dopo aver perso Quinn. E anche allora aveva continuato ad agire solo il minimo indispensabile, perché aveva dovuto farlo, per il bene di sua madre. Qualcuno doveva pur prendere in mano la situazione. Ma non questa volta. Stavolta doveva pensare solo a se stessa.
Non si era mai sentita così sola in tutta la sua vita. Alec non le aveva telefonato. Non che lei avrebbe risposto, ma lui comunque non aveva cercato di parlarle, di farla tornare sui suoi i, di vederla. Cosa che rafforzava la sua convinzione di aver preso la decisione giusta, di aver fatto ciò che era necessario. Questo però non la faceva sentire meglio. Nulla ci sarebbe riuscito. Prese la tazza e fece un sorso di tè, ma era diventato freddo. Ripose la tazza. Si sentiva troppo debole per alzarsi e prepararne dell’altro. Avevano bevuto il tè insieme la prima volta che si erano visti, nel caffè del Museo di Arte Asiatica. Era sorprendente quanto Alec avesse rivelato di se stesso nel corso di quel primo incontro. Quanto fosse sembrato a suo agio. Lo era sempre, sia che affrontassero questioni razionali o fisiche. L’unica cosa di cui si rifiutava di discutere con lei erano le emozioni. Non che lei fosse da meno. Le emozioni erano qualcosa che di solito evitava come la peste. Un difetto del suo carattere, indubbiamente. Ma che l’aveva sempre fatta sentire al sicuro. Fino a quel momento. Gli occhi le si riempirono di nuovo di lacrime. Tirò su col naso, asciugandosi il viso con un fazzoletto pulito. Aveva gli occhi arrossati. Era stata un’idiota a permettere che questo accadesse. Si appoggiò ai cuscini, lasciò che il suo corpo affondasse nel materasso, rammentando quanto fossero soffici e bianchi i cuscini di Alec, come si era sentita protetta e al sicuro a casa sua. Insieme a lui. Le lacrime sgorgarono, bagnandole le guance e lei le lasciò fluire, mentre osservava il cielo pomeridiano rabbuiarsi e la pioggia che iniziava a cadere. Osservava le gocce fermarsi sulla finestra e poi scivolare sul vetro in lunghi rivoli. Lasciò che i suoi singhiozzi si fondessero con quel ticchettio ritmico e incessante, in una specie di lamento. Poi la pioggia si trasformò in un vero e proprio acquazzone e lei iniziò a piangere più forte, con singhiozzi profondi che le scuotevano il corpo. Era disperata. Impotente. Svuotata. In quel momento pensò che non si sarebbe mai più ripresa. Che non sarebbe mai stata meglio. Si sentiva sopraffatta dal dolore che aveva cercato di evitare per tutta la vita. E che ora lei aveva causato a se stessa. Alec eggiava su e giù per il suo studio, impaziente e furioso come un animale in gabbia. Il computer era , il cursore attendeva lampeggiando con insistenza sul documento aperto. Ma lui non riusciva a sedersi e a scrivere. Non aveva più scritto una parola da quando, domenica sera, Dylan se n’era andata, lasciandolo lì seduto nella sua auto. Ora era giovedì, ma lui non aveva mai più lavorato, nonostante le pressanti scadenze. Era andato a fare lunghi giri in bicicletta, si era ammazzato di fatica in palestra, era
andato a Granite Mountain e aveva fatto un’escursione di otto miglia su per impervi sentieri, ma ancora non riusciva a concentrarsi. L’indomani si sarebbe recato a Camp Muir, sul monte Rainer, dove era possibile fare una gita molto impegnativa di nove miglia o più. Probabilmente lo avrebbe lasciato stremato, esausto. Forse era ciò di cui aveva bisogno... Ma ciò di cui aveva davvero bisogno era Dylan. “Maledizione!” Si sedette alla scrivania, fissò lo schermo, poi aprì la posta e cercò l’indirizzo di Dylan. Iniziò a scrivere. Ma che cosa poteva dirle? Che sentiva la sua mancanza? Sì, la sentiva. Era come avere una ferita sul petto che non si rimarginava, che non smetteva di fargli male. Dirle che voleva vederla? Inutile. Su quel punto Dylan era stata molto chiara. E lui non voleva forzarla. Se lei non voleva vederlo, lui non l’avrebbe obbligata. “Vigliacco!” Sospirò, andosi una mano sul pizzetto. Era un fottuto vigliacco. Tutte quelle parole sulla volontà di non forzarla erano cazzate, solo cazzate. Un pretesto per non rischiare di perdere la testa. Ma anche quella era una cazzata. Aveva già perso la testa, da un bel pezzo. Amava quella donna. — Ah, Cristo! Si alzò in piedi e ricominciò a eggiare avanti e indietro. Lo aveva davvero appena ammesso a se stesso? Che importanza poteva avere che non lo avesse mai detto a nessuno? Ma lui avrebbe voluto dirlo a qualcuno. Avrebbe voluto dirlo a lei. Se solo non avesse già rovinato tutto con quel suo atteggiamento da non-sono-il-tipo-da-relazioneseria. Alec aveva sempre pensato di essere sincero con le donne con cui usciva. Gli piaceva mettere subito le cose in chiaro. Ma si trattava semplicemente di autodifesa, di un modo per mantenere le distanze da tutti. E ora che aveva finalmente conosciuto una persona a cui avrebbe voluto avvicinarsi... Come poteva Dylan fidarsi dei sentimenti che nutriva per lei dopo quello che lui le aveva detto? Lui stesso si fidava a malapena dei propri sentimenti, e questo lo feriva come un coltello piantato nel petto. L’amava. “Dylan...” Ripensò al suo viso, ai suoi zigomi alti e pronunciati, alle sue labbra voluttuose, ai suoi grandi occhi grigi, chiari come il quarzo puro. Ai suoi capelli, che la incorniciavano come lingue di fuoco, selvaggi e profumati. Avrebbe voluto sentirne il sapore, sfiorare con la lingua quei boccoli setosi. Ripensò al suo corpo agile e flessuoso.
Dylan rispondeva come se per lei sottomettersi fosse del tutto naturale. Ma in profondità covava il fuoco, si nascondeva un’intelligenza vivace, una donna forte e caparbia, capace di sfidarlo come non aveva mai fatto nessuno. Alec non avrebbe voluto provare di nuovo quelle sensazioni con un’altra donna. Solo con lei. “Dylan...” Avrebbe voluto salire sulla moto e partire a tutta velocità per sfuggire alla verità. Si sentiva confuso. Ma fuori pioveva troppo forte. E anche una corsa in moto, per quanto lunga, non avrebbe risolto i suoi problemi. Amava Dylan. Il suo cuore batteva all’impazzata. Per amore. In preda a una strana, incalzante paura. D’un tratto si rese conto di aver avuto paura e di essere sempre fuggito, per tutta la vita. Si rese conto che per amare avrebbe dovuto modificare le sue concezioni sull’amore, le idee che aveva appreso da suo padre, che aveva sempre mitizzato. Forse troppo, pensò in quel momento. Doveva tirar giù suo padre dal piedistallo su cui lo aveva messo da quando era bambino. Un piedistallo che si era alzato sempre più in seguito alla sua morte, fino a diventare un monumento. Dopo che i suoi genitori avevano divorziato, suo padre aveva vissuto solo per il resto dei suoi giorni. Concentrato sul lavoro a tal punto da escludere dalla sua vita chiunque, tranne Alec. E ora lui capiva che, probabilmente, era stato proprio quel suo comportamento la causa della rottura del matrimonio. Era stato un buon padre. Era stato lui a trasferirgli l’amore per i viaggi. Lo aveva portato a visitare i siti archeologici in Messico e a studiare i vulcani alle Hawaii. Ma al di fuori di Alec, suo padre non aveva mai amato nessun altro. Aveva amato solo la pura scienza. Spesso gli aveva detto di aver bisogno solo di suo figlio e dei suoi studi, che nient’altro aveva importanza per lui. Alec aveva impiegato trentasei anni per capire che in questo c’era qualcosa di sbagliato. Il fatto che suo padre avesse vissuto senza amore non significava che questo fosse giusto o auspicabile. Alec dovette ammettere, per la prima volta, che forse suo padre, per quanto fosse una persona brillante, non sapeva tutto. Quel pensiero fu come un pugno nello stomaco. Un colpo doloroso. Ma era la verità. Finalmente. Suo padre non aveva capito che anche l’amore era importante. E Alec, nonostante la sua ricerca spirituale, si era interrogato solo sulla casualità dell’universo, come lui gli aveva insegnato. I suoi viaggi, le sue ricerche in Nepal, in Thailandia e in tutta Europa, alla fine non gli avevano insegnato nulla. Non gli avevano insegnato ciò che era davvero importante. Era stato presuntuoso nel pensare di aver fatto esperienze sorprendenti e formative nei suoi viaggi in Tibet, in India, in Israele, e in tutti i luoghi spirituali del mondo. Aveva cercato di ottenere il massimo da quelle esperienze accampandosi sull’Himalaya, o nuotando insieme agli squali oltre la barriera corallina, affrontando la morte animato da una specie d’urgenza come per dimostrare che la casualità dell’universo non avrebbe preso anche lui, come aveva fatto con suo padre. Ma non era mai arrivato
alla vera radice della consapevolezza di sé. Ora si rendeva conto, con improvvisa e dolorosa chiarezza, che la vera radice era l’amore. Lui amava Dylan Ivory. Doveva dirglielo. La testa gli girava ancora per l’euforia e la sorpresa quando prese le chiavi dell’auto e corse fuori sotto la pioggia. Dylan sentì suonare il cellulare. Lo guardò e lo vide illuminarsi. Con il cuore in gola voleva che fosse lui. Ma sul display comparve il nome di Mischa. Tutt’a un tratto non riuscì a ricordare perché non l’avesse chiamata e capì di dover assolutamente parlare con la sua migliore amica. Ne aveva bisogno. Rispose alla chiamata, premendo il tasto con il pollice. — Mischa, grazie a Dio sei tu! Non mi ero resa conto di aver bisogno di... di aver bisogno di te fino a ora. L’altra sera ti ho lasciato quel ridicolo messaggio... — Messaggio? Io non ho ricevuto nessun messaggio, Dylan. È da giorni che non ho tue notizie. Stai bene? Cos’è successo? Sembri a pezzi. Dylan inghiottì un singhiozzo. — Sono a pezzi. — Raccontami cosa è successo. — L’ho lasciato. Non che ci fosse niente di stabile tra noi. Non ne abbiamo mai parlato. Non abbiamo mai definito il nostro rapporto, ma... l’altra sera sono scesa dall’auto e... me ne sono andata. — Non vedi più Alec? È questo che stai dicendo? Un acuto dolore nell’udire il suo nome. — Sì. Non ci vediamo più, non ci vedremo mai più. La sua amica fece una pausa. — Sei sicura, tesoro? Perché a me non sembri per niente convinta. — Sono sicura. È la cosa migliore... — Le lacrime le scorrevano lungo il viso, singhiozzava così forte da non riuscire quasi a parlare. — Lo è. — Mi dispiace, Dylan. Lei si soffiò il naso e si asciugò gli occhi, ma le lacrime continuavano a scorrere. — Mi dispiace, sono distrutta. Non riesco a credere di essere qui a piangere come una bambina. — È normale dopo una rottura. Non voglio dire che prima non fossi normale... — Oh, non lo ero, lo so. Ma ora è tutto così diverso per me. Non mi riconosco. — Forse sei cambiata, e questa non è una cosa negativa. È positivo provare delle
emozioni, tesoro. Non puoi tenere tutto chiuso a chiave dentro di te per tutta la vita. — Fino a questo momento aveva funzionato. Mischa fece una breve pausa, poi le chiese: — Davvero? Ne sei sicura? Dylan tirò su con il naso. — Forse. Non lo so. Forse no, dal momento che fino a quando ho conosciuto te, un paio di anni fa, non avevo mai avuto dei veri amici. Nemmeno da bambina. Ero troppo impegnata a prendermi cura di mia madre e di mio fratello. E troppo imbarazzata da Darcy, dalla mia situazione. Poi ho conosciuto te e... com’è triste che io abbia dovuto aspettare tanto per avere un’amica! E tuttora ho solo te. Fino a questo momento non è mai stato un problema. Non ho mai pensato di aver bisogno... di qualcuno. — Hai anche altri amici scrittori. Alla stessa conferenza in cui hai conosciuto me, hai incontrato anche C.J. e Jade. — Con loro non ho confidenza. — Credo che a loro piacerebbe approfondire la vostra amicizia, se tu glielo permettessi. Lo so per certo. Come hai detto tu, ora ci sono delle persone nella tua vita, le cose sono cambiate. Il fatto che tu lo desideri è la dimostrazione del cambiamento, della crescita. Non indugiare nel ato. Concentrati su quello che sta succedendo adesso. Sulla persona che sei diventata. — Io non so più chi sono. Non sono mai stata così debole... — Perché pensi di essere debole? — Perché... perché mi sono innamorata di lui. Le lacrime si trasformarono in acuti singhiozzi e le ci volle qualche minuto per riuscire a calmarsi. — Dylan, non so come tu sia riuscita ad arrivare tanto lontano nella tua carriera di scrittrice, scrivendo di relazioni d’amore e di sesso e continuando a credere che amare qualcuno sia un segno di debolezza — le disse Mischa con dolcezza. — È ciò che facciamo tutti, fa parte della condizione umana. L’amore non è qualcosa che si può controllare. Dovresti saperlo ormai. — Lo so, per questo è così terribile per me. — Benvenuta tra gli esseri umani, tesoro — disse Mischa, ma non c’era sarcasmo nella sua voce, solo preoccupazione. — Gesù, sono così patetica! — No, sei solo innamorata. Dylan scosse la testa. Era completamente diverso sentirlo dire da qualcun altro. Sembrava più vero. — Sono anche... paralizzata dalla paura. Mischa, Alec ha avuto un incidente in moto. Niente di grave, ma è finito al pronto soccorso e questo mi ha sconvolto. Mi ha proprio mandato in tilt. La sera stessa mi ha detto che andrà a fare un lungo viaggio in moto fino a Baja... Io non ce la
faccio. Non posso vivere nella paura. — Oddio, tesoro, mi dispiace! Dev’essere stato terribile per te! — Più che terribile. Mischa, che cosa devo fare? — Sei sicura che la situazione sia irrisolvibile? — Sì, lo sono. Se avesse voluto, mi avrebbe cercata, ma non l’ha fatto. Non mi aspettavo che lo fe. — A volte gli uomini sono molto testardi. Sai, quella faccenda dell’orgoglio maschile... — Ma... se anche lui provasse gli stessi sentimenti... non metterebbe mai l’orgoglio da parte e... Cristo, è tutto così assurdo! Sono una stupida; lo amo e me ne sono andata. Senza nemmeno offrirgli una possibilità, perché ho troppa paura. — La paura può essere molto potente. Non puoi permetterle di controllarti, Dylan. Lei annuì, tirando su con il naso. — Ha governato tutta la mia vita. Il mio bisogno di controllo deriva dalla paura. Se non controllo ogni cosa, chi lo farà al mio posto? — Forse dovresti offrire ad Alec la possibilità di farlo. E proprio a causa dell’orgoglio maschile che ho menzionato prima, forse dovrai essere tu a fare il primo o e a dirgli quello che provi. Se lo ami davvero, vale la pena di rischiare, no? Dylan impiegò qualche minuto ad assimilare ciò che Mischa aveva detto, ma percepì la verità in fondo alle sue parole. — Hai ragione, sono stata così testarda nel restare aggrappata a questi vecchi preconcetti solo perché mi sono familiari, non volendo accettare che la mia vita è cambiata. Che io sono cambiata, grazie ad Alec. — Si ò una mano tra i capelli e le dita le si imprigionarono nei riccioli arruffati. — Devo parlargli. Devo correre il rischio che lui mi rifiuti, che se ne vada. Potrebbe farlo davvero, soprattutto dopo il modo in cui l’ho piantato in asso l’altra sera. Ma devo farlo. Sempre meglio che restarmene seduta qui a piangermi addosso. Negli ultimi giorni ho pianto tanto da bastarmi per il resto della mia vita. È arrivato finalmente il momento di impedire alla paura di controllarmi. — Bene, Dylan, puoi farcela. E io sarò qui, qualsiasi cosa accada. Se vuoi che salga sull’aereo e venga da te, lo farò. Sia per festeggiare che per aiutarti a dimenticare. Ci sarò in ogni caso, se tu me lo permetterai. — Grazie, Mischa. Sei molto saggia. — Forse no. Ma sono una scrittrice di romanzi d’amore. Dovrei saperne sull’argomento, e anche tu. È arrivato il momento per te di fare esperienza diretta. Te lo meriti. — Adesso mi rimetto in sesto e vado da lui. Ora so cosa fare. — Bene, poi telefonami per farmi sapere com’è andata. Ah, Dylan... vedrai che ti sentirai meglio in qualsiasi caso.
— Forse. Onestamente, non mi pare possibile stare meglio senza Alec, ma devo provarci, vedere che cosa succede. Grazie, Mischa. Dopo aver salutato l’amica, Dylan saltò giù dal divano, andò in bagno e aprì il rubinetto della doccia. Entrò e uscì il più rapidamente possibile. Mentre si asciugava con uno dei suoi soffici asciugamani bianchi, si guardò allo specchio. Era pallida, aveva gli occhi arrossati dal pianto e cerchiati da profonde ombre scure. Aveva un aspetto orribile. Ma non c’era tempo per rimediare. Temeva che se avesse aspettato, anche solo il tempo necessario per truccarsi, poi le sarebbe mancato il coraggio. Se Alec la voleva, avrebbe dovuto accettarla così com’era. Aveva ancora delle resistenze, ma ormai si era convinta a non opporsi all’inevitabile. Doveva smettere di fuggire. E questo la faceva sentire bene, più forte di quanto non si sentisse da molto tempo, forse da sempre. Lasciò asciugare i capelli all’aria e andò in camera a mettersi un paio di jeans, gli stivali e un morbido maglione di cachemire nero, gettandosi anche una sciarpa intorno al collo per proteggersi dal freddo e dall’umidità. Prese il cappotto di lana, il portafoglio e le chiavi. Aveva il batticuore per la paura, temendo quello che sarebbe potuto accadere. Doveva assolutamente dire ad Alec che lo amava. Forse l’amava anche lui, oppure no, ma non c’era assolutamente nulla che lei potesse fare al riguardo. Doveva dirglielo comunque. Salì in ascensore e la discesa le parve durare un’eternità, con gli ingranaggi che cigolavano e lo stridio del metallo contro il metallo. Riusciva già a sentire l’odore dei marciapiedi bagnati e quello polveroso di cemento e legno vecchio che proveniva dall’edificio stesso. L’odore degli anni trascorsi, della storia. Ne aveva lasciati are troppi senza riuscire ad apprezzare ciò che faceva. Aveva attraversato la vita, ignorando la storia, le persone, la vita stessa. Ma non sarebbe più accaduto. La sua vita iniziava quel giorno. Nel bene o nel male. L’ascensore arrivò a. pianterreno e lei attese con il cuore in gola che le porte si aprissero. Quando infine lo fecero, si diresse verso la porta che dava sulla strada, la spalancò e uscì. Pronta ad affrontare ciò che la vita aveva in serbo per lei. Non sarebbe più fuggita. No, l’avrebbe affrontata a viso aperto.
16 Quando arrivò a casa di Alec diluviava così forte che Dylan riusciva a malapena a vedere. Aveva lasciato l’ombrello nel suo loft, ma non le importava. Era esattamente dove voleva essere. Prese il casco da moto che si era fermata ad acquistare lungo la strada, se lo mise
sottobraccio e, a testa bassa, corse sul marciapiede... andando a urtare contro qualcosa. Barcollò e quasi cadde. Una mano le afferrò il braccio, una stretta forte e sicura, e la voce di Alec. — Dylan, stai bene? Che cosa ci fai qui? — Alec! Stavo venendo da te. Tu cosa fai ci qui fuori? — Stavo venendo da te. Devo dirti una cosa importante. Anche sotto la pioggia scrosciante, lei poté vedere i suoi occhi seri e brillanti, le sopracciglia corrugate. Anche lui era senza ombrello, i capelli gocciolavano e il viso era rigato di pioggia. Dylan rabbrividì, in parte per la sua presenza, per la sua mano sulla spalla, in parte perché non sapeva cosa voleva dirle, se una cosa bella o brutta. — Anch’io devo dirti una cosa. — Lasciami parlare. Le strinse con urgenza il braccio. Lei trattenne il respiro, il suo corpo si contrasse, in attesa che lui parlasse, di qualsiasi cosa potesse trattarsi. — Dylan... — Alec la scosse lievemente e lei lo guardò negli occhi, mentre il suo cuore aveva un sussulto. — Cristo, non guardarmi così! Come se fossi sul punto di scoppiare a piangere. Cazzo! Mi dispiace. Lei scosse la testa in silenzio. Che cosa poteva dire? Avrebbe ricominciato a piangere, accidenti! — Dylan... Il cielo sopra di loro esplose in un tuono assordante. Dylan ebbe la sensazione che fosse esploso dentro di lei. Iniziò a tremare. — Alec, ti prego, di’ quello che devi. — Chiuse gli occhi, serrandoli con forza. — Dylan... mi sono innamorato di te. — Cosa? Lei aprì gli occhi. Non era sicura di aver sentito bene, con il rumore della pioggia e delle ruote delle auto che affondavano nelle pozzanghere. — Ti amo. — La scosse di nuovo. — Per favore, di’ qualcosa. — Anch’io ti amo, Alec. — Davvero? — Sono venuta a dirtelo. — Le lacrime stavano per spuntare, il suo cuore si apriva, riempiendosi di calore e di sollievo. Ma non era ancora del tutto certa di aver sentito bene. — Sei sicuro?
— Certo. Non faccio mai nulla se non lo sono. Alec l’attirò a sé, stringendola così forte da mozzarle il respiro. Dylan tentava di assimilare ciò che lui le aveva detto. Lo aveva detto davvero! L’amava! Dylan premette il viso contro il suo giubbotto di pelle, inalando il profumo del cuoio insieme a quello della pioggia. Era bagnata fradicia, ma non le importava. — Dylan, che cosa diavolo è questo? — Alec le prese di mano il casco. — Volevo chiederti di portarmi a fare un giro. — Che cosa? Gesù, questa me la devi spiegare. Ma allontaniamoci da questa pioggia. Alec le cinse la vita e la guidò verso casa, sotto il portico. Dylan lo seguì inebetita, con il cuore che le batteva all’impazzata. Lui mise il casco sul tavolino di ferro battuto e le posò le mani sulle spalle, guardandola fisso negli occhi. — Okay, spiegami un po’... avevi detto che non saresti mai salita sulla mia moto. — Alec, la moto mi terrorizza e dopo che hai avuto quell’incidente, quando ho saputo che avevi intenzione di andare a Baja con Dante... non ce l’ho fatta. Non potevo sopportare di amarti e rischiare di perderti nello stesso modo in cui ho perso mio fratello. Ecco perché sono fuggita. Per un motivo o per l’altro, da quando ti ho conosciuto, ho sempre avuto paura. Ma ti amo, e sono stata costretta a riconoscere che voglio stare con te, anche se ho paura che tu possa morire in un incidente stradale e che io... non riesca più ad amare nessun altro. Ero spaventata a morte e cercavo di non darlo a vedere. Ora devo soltanto superare la paura e stare insieme a te. — Almeno tu ci hai provato. Io non posso dire lo stesso. — Che cosa intendi dire? — Ho ato tutta la vita a scappare, convincendomi che la mia non fosse una fuga, ma una ricerca interiore. Quando ti ho conosciuto, ho scoperto quello che stavo cercando davvero. All’inizio non l’ho capito, perché per tanti anni mi sono convinto che non avrei potuto legarmi a nessuno. Perché se c’è una cosa che non possiamo controllare è il caso. L’amore è casuale. E io ho ato la mia vita a lottare contro questa legge universale. Ho ato la vita cercando di essere mio padre. Pensavo che fosse un modello da seguire. Invece era un misantropo. Probabilmente era molto solo, per sua scelta. Ma io posso fare scelte diverse. Ho dovuto innamorarmi di te per capirlo. Ero così testardo da restare aggrappato a quell’idea anche quando ho iniziato a sospettare che fosse sbagliata. — Io sono stata altrettanto testarda — disse Dylan, ricacciando indietro le lacrime. — Mi vantavo di essere indipendente, coraggiosa, in grado di affrontare qualsiasi cosa. L’unica che non riuscivo a concepire era di amare qualcuno. Sono fuggita da te perché avevo paura di perderti. — Io non andrò da nessuna parte. — E invece sì, andrai a Baja con Dante. E poi andrai da qualche altra parte. Farai i tuoi viaggi folli e avventurosi e solo Dio sa cos’altro. E io potrei perderti, potrei perderti in modo tragico
e orribile. Le ultime parole uscirono con un singhiozzo. Alec l’abbracciò, baciandole i capelli bagnati. — Non mi perderai, no. Ho fatto tutte quelle follie e sono ancora qui, no? — Fino a questo momento. Alec la tenne stretta e per qualche istante rimasero in silenzio. — Alec, una parte di me desidera disperatamente che tu mi dica che la smetterai, che ti sbarazzerai della moto e che non farai più quei viaggi — disse infine Dylan. — Ma so che non sarebbe giusto. — Non posso promettertelo. Ti amo, ma non posso farlo. Sarebbe una bugia. Diventerei irrequieto, nutrirei del risentimento. Una delle cose che mi piacciono di te è la tua indipendenza. So che se io andassi da qualche parte senza di te, tu non resteresti a casa sola a deprimerti, come farebbero altre donne. Tu non sei indifesa senza un uomo. — No, ma avrei paura. — Posso comprendere perché. Piccola mia, non vorrei mai che tu fossi costretta a subire quel genere di perdita, ma devo essere sincero con te. — Le baciò di nuovo i capelli. — Allora, che cosa possiamo fare senza che nessuno dei due rinunci a se stesso? — Alec, in questo caso sono io che devo adattarmi. Non puoi pagare tu per il fatto che ho perso mio fratello. Io ho già pagato per troppo tempo, non voglio riversare le mie paure su di te. Ecco perché ho comprato il casco. — Non devi dimostrarmi nulla. Dylan scosse la testa. — Devo farlo. Per me stessa, forse, oltre che per te. — Non per me, Dylan. Io ti amo così come sei. — Alec le prese la mano e se la portò alle labbra. — Ma voglio che tu ti chieda se vuoi davvero stare con me. — Si scostò da lei per guardarla negli occhi. — Dimmi, Dylan. Dimmi la verità. Non voglio che tu viva nella paura. — Nemmeno io lo voglio, ma tu sei l’uomo che amo. Amo il tuo coraggio. — Tirò su con il naso e lui le asciugò le lacrime dal viso. — Fa parte di te. Se voglio amarti, devo accettare tutto. Anch’io ti amo così come sei. — Gli occhi le si riempirono di nuovo di lacrime. Dylan se le asciugò con un gesto spazientito della mano. — Ah, Alec... — Sì? — le chiese lui. — Perché non mi hai ancora baciato? Lui le sorrise, poi la prese tra le braccia e la baciò sulle labbra. Fu un bacio ionale, intenso, carico di emozione. Le sue braccia non le erano mai parse così forti, il suo corpo così solido. La sua dolce lingua scivolò tra le labbra di Dylan socchiudendole. Come faceva sempre. E come sempre, lei si sentì sciogliere di desiderio. Con
l’amore che le sbocciava nel petto. Ed era meraviglioso. — Ti amo, Dylan — mormorò Alec contro le sue labbra. — Ti amo, ma per un po’ temo che avrò ancora paura. Mi ci vorrà del tempo per abituarmi all’amore e per convincermi che niente e nessuno ti porterà via da me... forse non ci riuscirò mai del tutto. Non lo so, ma voglio provarci. Ti amo troppo per non fare almeno un tentativo. — Brava bambina. A quelle parole, un brivido di desiderio le percorse la spina dorsale. — Alec... Lui le scostò i capelli dal viso. Dylan lo guardò e vide che le ombre scure erano sparite dai suoi occhi azzurri. — Sssh... basta parlare. D’ora in poi staremo insieme e avremo tempo per sistemare tutto. Adesso ti porterò di sopra e ti dimostrerò quanto ti amo. Dylan annuì. Alec le cinse la vita e la fece entrare in casa. Continuò a baciarla lungo le scale; i suoi baci si fecero più apionati fino a quando si fermarono e lui la sollevò tra le braccia, portandola in camera da letto. Quando aprì la porta con un calcio, Dylan già ansimava, tormentata dal desiderio. Alec la posò a terra e, senza staccarsi, si sfilarono i cappotti, lasciandoli cadere sul pavimento. Poi si tolsero il maglione, gli stivali, i jeans, fino a quando rimasero nudi ai piedi del letto. Alec non smise mai di baciarla. Poi iniziò ad accarezzarla, a sfiorarla con la punta delle dita, come piccoli baci che arrivavano ovunque e riscaldavano il suo corpo infreddolito. Alec era deciso e delicato al tempo stesso, e così erano la sua bocca, le sue mani e il suo respiro ansimante. A Dylan sembrava che qualcosa fosse cambiato. Era più tenero, più bramoso. Perché? Non aveva senso. Ma del resto, l’amore non seguiva una logica. Alec scivolò lentamente in ginocchio davanti a lei, sfiorandole il collo e lo stomaco, scendendo poi verso il basso. Il suo alito era bollente tra le gambe di Dylan. Con le mani le accarezzava la schiena, le natiche, la curva dei fianchi. Lei tremava da capo a piedi, il desiderio le cresceva dentro in calde ondate. Poi lui si chinò, baciandola delicatamente sul pube, e con un sospiro Dylan immerse le mani tra i suoi capelli bagnati. — Ah, Alec... Lui la baciò di nuovo, solo una leggera pressione delle labbra e lei era già bagnata, pulsante, e si contorceva per il desiderio. Con i pollici Alec dischiuse le labbra del suo sesso e fece scorrere la lingua sulla punta
del clitoride. — Oh... Lo fece di nuovo, mentre il piacere si diffondeva dentro di lei, nel suo sesso, nei suoi seni, fra le gambe. Poi iniziò a fare sul serio, leccandola con la lingua calda e umida. A quel punto, Dylan perse il controllo ed esplose in un orgasmo, mentre il suo corpo era scosso da spasmi di puro piacere. Lanciò un grido, le gambe iniziarono a tremare, ma lui la sostenne con le sue forti mani e non si fermò fino a quando lei esalò l’ultimo tremante sospiro. Poi la sollevò da terra e la mise sul letto. Per qualche istante rimase lì in piedi, accontentandosi di guardarla. Ciò che Dylan lesse nei suoi occhi le tolse il respiro: desiderio, ammirazione, e amore sconfinato. Allungò una mano verso di lui e Alec la raggiunse, mettendosi sopra di lei. Nonostante la mole imponente, era delicato. Tenero. Non la stava dominando in quel momento, eppure ogni carezza, ogni sussurro, ogni sensazione, era intrisa di sensualità, l’esperienza più erotica che Dylan avesse mai fatto. Fece scorrere le mani sulla sua schiena, ammirando le sue forti spalle e i muscoli tesi, duri come l’acciaio che si tendevano sotto la pelle liscia. Quando insinuò una mano tra i loro corpi per chiudere le dita intorno alla sua erezione, Alec trattenne il respiro per un attimo e poi emise un sospiro, pronunciando il suo nome. — Ah... Dylan... voglio essere dentro di te. — Sì. Alec prese un preservativo dal cassetto del comodino e lo infilò senza perder tempo. — Alec, sbrigati, ti voglio... voglio... — Piccola... Le accarezzò il viso e il collo, scendendo lentamente fino a chiudere la mano a coppa intorno al suo seno. Il piacere percorse il corpo di Dylan in lunghi, languidi brividi, i capezzoli le s’indurirono, il suo sesso si contrasse, inturgidendosi di nuovo. Mentre lo guardava, Alec la penetrò. Un lungo, lento colpo di reni, affondando in lei. I suoi occhi fiammeggiavano, di quell’azzurro brillante, mentre la guardava, scrutandola dentro come nessun altro aveva mai fatto. Dylan capì che vedeva tutto di lei. E, ciò nonostante, l’amava. Ancora non riusciva a capacitarsene. Ma Alec era lì insieme a lei, come non era mai stato in precedenza. Forse perché lei, finalmente, glielo permetteva. Forse perché si erano confessati il reciproco amore, e sebbene fosse sempre stata una ragazza molto pratica, persino lei ora riusciva a credere a quella magia.
Alec spinse più a fondo, facendola gemere, e lei si aggrappò alle sue forti spalle. — Alec, baciami. Lui le sorrise, quel suo sorriso irresistibile, e si abbassò. Dylan sollevò il viso, impossessandosi della sua bocca. Le loro lingue si fo dolcemente. Una ione cocente avvolgeva i loro corpi che si muovevano ritmicamente. Alec l’abbracciò, tenendola stretta. Lei immerse le mani tra i suoi capelli ancora umidi di pioggia e respirò il suo profumo, un profumo di pioggia e di terra, che era solo suo, inconfondibile. “Alec...” Era suo. — Piccola — bisbigliò lui con voce roca — ti amo. — Ti amo, Alec... tanto. Un’altra spinta e il piacere raggiunse ogni singola cellula del suo corpo. — Dimmelo, Dylan, dimmi che sei mia. — Sì, sono tua. Lo era davvero. Si appartenevano. E lei avrebbe affrontato qualsiasi cosa, le proprie paure e quelle di Alec, pur di non perderlo. Alec le aveva insegnato a essere coraggiosa, a esserlo davvero, non a ostentare semplicemente una facciata e a fuggire nella direzione opposta. L’amore glielo aveva insegnato. Una lezione appresa tardi, ma ormai non aveva più importanza. Alec si strinse a lei e il suo corpo si tese. Dylan gli prese il viso tra le mani e lo osservò mentre veniva, mentre i suoi lineamenti si dissolvevano nell’estasi. Anche lei fremeva di piacere e, quando raggiunse l’orgasmo, Alec stava ancora tremando, stringendola. Rimasero così a lungo, respirando all’unisono, i loro corpi allacciati, pelle contro pelle. Cuore contro cuore. E per la prima volta Dylan capì che era quella la cosa importante, ciò che mancava nella sua vita. Entrambi avevano vissuto sulla linea di confine, anche se in modi diversi. Entrambi avevano continuato a fuggire. Ma in qualche modo si erano trovati, pieni di paure e di rabbia. E malgrado questo avevano conosciuto l’amore. — Dylan... — La voce di Alec era ancora alterata dalla ione. — Che c’è? — Non posso sopportare l’idea che tu abbia paura, piccola. Come posso aiutarti? Come posso alleviare i tuoi timori? Lei si sentì sciogliere di fronte alla sua preoccupazione. Nessuno si era mai preoccupato per lei.
— Devo trovare il modo e ci riuscirò. Tu... amami, Alec. Il tuo amore mi darà la forza, mi renderà coraggiosa come ho finto di essere per tutti questi anni. — Sei più coraggiosa di quel che pensi, Dylan. Sei bella e coraggiosa... una donna splendida. Com’era possibile che quell’uomo pensasse cose simili di lei? Erano forse reali? Quel pensiero la colpì all’improvviso. Per la prima volta capì che c’era del vero, in ciò che lui aveva detto. E ci credette — Ho imparato molto da te, Alec. Lui le accarezzò i capelli e poi il viso. — Anche tu mi hai insegnato molto. Forse è questo il motivo per cui ora siamo qui, insieme. — Mischa una volta mi ha detto qualcosa del genere, mentre le parlavo di te, ma allora non ci ho creduto. — E ora? — Ora ci credo perché ti amo. Ma forse ci credo ancora di più perché tu ami me. Alec la baciò, con labbra morbide. Quando lei si scostò per guardarlo, vide nei suoi occhi tutto ciò che lui provava. Era incredibile. Bello. Vero. L’amore era la chiave. L’amore le avrebbe dato la forza che lei aveva sempre temuto di non possedere. Non doveva più avere paura. L’amore l’avrebbe fatta sentire al sicuro come qualsiasi altra persona in questo mondo. Alec l’avrebbe protetta. Dylan emise un sospiro profondo, il sospiro che aveva trattenuto per tutta la vita. Ora era al sicuro. Era amata. Finalmente.