Massimo Habib
TangoOlistico
Ai confini del contatto
Prefazione di Riccardo Zerbetto
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Titolo | TangoOlistico Sottotitolo | Ai confini del contatto Autore | Massimo Habib In copertina | TangoOlistico di Fabiola Coccato ISBN | 9788867518968 Prima edizione digitale 2012
Questo eBook non potrà formare oggetto di scambio, commercio, prestito e rivendita e non potrà essere in alcun modo diffuso senza il previo consenso scritto dell’autore. Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata costituisce violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla legge 633/1941
A te Ariel, amore mio, che mi colori la vita.
“La polarità rappresenta il filo di Arianna nel labirinto del mondo” Salomo Friedlaender
Indice
Prefazione
Introduzione
PERCHÉ IL TANGO
Le energie benefiche del Tango Argentino
Dalla Tangoterapia al TangoOlistico
LA BASE TEORICA
Introduzione
Salomo Friedlaender: La vita, il filosofo e il letterato
La teoria dell’indifferenza creativa.
LA DISCIPLINA
Definizione di TangoOlistico
La definizione delle parti
Un radicale lavoro sulle polarità dell’anima
La comunicazione emozionale: il contatto e lo svelamento relazionale
Eros come innesco vitale
La guida genitoriale
Il contagio fra le parti e il benessere riproducibile
Con chi sto ballando?
Verso il cambiamento attraverso l’integrazione
GLI ARGOMENTI DELL’ANIMA
Introduzione
Seduzione attiva e seduzione di presenza
Il linguaggio del corpo
Le direzioni dell’onda energetica musicale.
Fiducia e responsabilità
Leadershiptango
Le relazioni intime
Processi trasformativi
Il contagio emotivo.
Suggestioni formative.
STORIE DI TANGOOLISTICO
Atena
Serena
Chandra
Gloria
Luna
Franco
AMBITI E MODI DI APPLICAZIONE
A chi si rivolge
Presente e futuro
Conclusioni
Riferimenti
Bibliografia
Prefazione
di Riccardo Zerbetto
Già nella definizione del TangoOlistico l’Autore chiarisce come
Il TangoOlistico è un metodo di crescita personale che usa come base di ispirazione il Tango Argentino. Grazie alla precisione con cui sono stabiliti i ruoli, in questa danza, i partecipanti ai gruppi sperimentano le diverse parti di sé, in particolar modo la parte attiva, determinata, solare, maschile e quella ricettiva, lunare, sensibile, femminile. Il tango fa da cornice a tutto questo, con la musica, l’incontro della coppia, e il contatto sia all’interno della persona che fra le persone stesse. È possibile sperimentare il TangoOlistico sia in percorsi di gruppo che in coppia o in sessioni individuali.
In questa definizione si riassume tutto il tema della continuità con la tradizione del Tango Argentino, che notoriamente non contempla una inversione dei ruoli tra l’uomo e la donna nell’interazione danzante, come anche la sostanziale discontinuità con la stessa tradizione, dal momento che i ruoli, maschile e femminile, non coincidono con uno status immodificabile, ma con una funzione che alternativamente può e, auspicabilmente, deve, essere assunta alternativamente.
Si riflette, in tale scelta, l’eco di una trasformazione epocale nei ruoli sociali e all’interno della coppia. La tradizionale “rigidità del ruolo” si scompone nella duttilità della funzione nella quale lo stesso si identifica con il risultato di una inquietante ibridazione-confusione per il nostro (infantile?) bisogno di fissitàpermenenza dei punti di riferimento esterni alla declinazione dell’esser-ci ma in
vista di una apertura alla mobilità-elasticità-adattabilità-alternanza nel gioco delle funzioni che diano prospettive più dinamiche, evolutive e innovative alla ricerca sulla molteplicità del Sé e delle componenti essenziali di cui è composto.
Su tale discrimine, è lecito attenderci che il lavoro e lo scritto di Massimo Habib incontreranno i maggiori consensi o le maggiori opposizioni. Se l’intercambiabilità dei ruoli viene accettata sempre più spesso all’interno di aspetti importanti della vita, come l’allevamentoeducazione dei figli, lo svolgimento di funzioni pubbliche in ambito politico, economico ed anche militare, resistono strenuamente dei recinti “consacrati” alla difesa aprioristica e senza possibilità di interlocuzione dialettica, quasi si calpestasse un “temenos”, uno spazio sacrale che è consentito solo ed unicamente ad una delle due funzioni: guarda caso, anche in questo come nell’ambito dell’amministrazione delle “cose sacre” (leggi “sacer-dozio”) alla figura del maschio.
Bene, se non ci è dato ancora beneficiare di un pieno “sacerdozio femminile”, nelle diverse forme nelle quali può esprimersi, e che va ben oltre la tradizione dell’Occidente, ci sia dato almeno “giocare”, nel senso più autentico e serio (anzi … “spudogeilos” o seriellegro, come definivano i greci l’atteggiamento degli dei) con la sacralità della funzione che conduce come di quella che si lascia condurre.
Su questa tematica Massimo Habib ha scritto dei aggi ricchi di suggestione di valore polisemico nei quali si concentra un distillato di conoscenze non superficiali in ambito psicologico, filosofico e letterario.
Un uomo che voglia imparare a ballare tango ha un compito che tutti, uomini o donne, riteniamo arduo: essere convincente. In particolare l’uomo dovrà imparare a guidare la donna nello spazio della milonga, il locale dove si balla il tango. E non dovrà solo imparare a indicare i i alla donna ma dovrà esattamente condurla in modo continuativo. Immaginiamo una sorta di convincimento mentale e fisico, dove l’uomo trasforma le proprie idee (i i)
nei movimenti delle gambe della donna. Ogni volta che la donna non comprende il significato di questi pensieri si ferma oppure si muove sbagliando. Stiamo parlando della parte attiva del TangoOlistico. La nostra vita è, più o meno a metà, proprio così: ci tocca di prendere decisioni e di provare a trasformarle in fatti e dobbiamo convincere a volte gli altri e a volte noi stessi. E per convincere gli altri dobbiamo essere credibili, affidabili e, soprattutto, non basta la forza.
Così capisco subito come, in quella dizione di “olistico” si condensa un insieme di significati che vanno ben oltre – pur venendone inclusi – il solo insegnamento di una postura, di una tecnica di ballo: abbiamo qui a che fare con l’educazione ad un atteggiamento mentale che investe la complessità e l’interezza della “funzione maschile” che si arricchisce della valenza paterna o di altro tipo che al maschile si accumuna. Dando ancora la parola ad Habib:
Ecco che allora possiamo immaginare la parte attiva come una composizione di due sottoparti: una più dinamica, forte, determinata e una più dolce, premurosa, accuditiva.
E la coerente conclusione di Habib:
Ecco che un gesto appannaggio esclusivo dell’uomo nel tango argentino, appartiene a tutti noi, uomini o donne.
Così come è importante esplorare ed evocare il femminile nei maschi, la parte ricettiva, per ridare la parola ad Habib, si esprime nel ruolo della donna del tango.
C’è un equilibrio, una sapienza, un movimento puro, nella donna del tango.
Quasi fosse una marionetta viva e presente che diventa movimento senza provocarlo, come una risposta senza proposta, una luna illuminata e delicata che si muove consapevole e costante. (…) La donna segue in modo consapevole e in questa frase c’è già quasi tutto ciò che conta.
Anche in questa dimensione emergono diverse componenti che meritano di essere “lette” nella esplorazione dei movimenti e “rimandate” all’interessato come occasione preziosa di rispecchiamento e consapevolezza. Vengono quindi identificate due distinte sottoparti: la sottoparte di presenza, per la quale
La donna del tango non è niente se non ha forma, se non ha struttura. Così siamo noi nella vita. Ogni problema di autostima, per esempio, si manifesta con una presenza manchevole, come se rinunciassimo a farci vedere per quello che siamo, proprio perché quello che siamo rischia a volte di non piacerci”.(…) “Se esisto, se mi vedo, se mi accorgo di come sto, allora posso pormi serenamente in relazione con l’altro”
e la sottoparte sensibile:
“Per ballare bene, la donna deve potere dare voce a questa parte sensibile senza lasciarsi invadere completamente, deve potere filtrare l’energia maschile senza però ostacolarla e modificarla. È questa, in primo luogo, la sottoparte che ci dà la possibilità di godere, di sentire, di sentirci. Il problema di base, legato al sentire, per ognuno di noi, è che quando il nostro corpo, la nostra anima, apre la valvola del sentire, non sa cosa potrà trovarvi. Cosa si nasconde dentro lo scrigno del sentire? Dolore o piacere? È questo dilemma insito nel nostro organismo che, spesso, chiude la valvola lasciandoci freddi e distanti. Troppe sono le occasioni della nostra vita, soprattutto nella nostra infanzia, dove il
sentire è stato doloroso e non abbiamo potuto difenderci. Cosa accade quando, da adulti, ci viene offerta la possibilità di sentire? La reazione più automatica, di difesa, è l’attivazione. Fare qualcosa per evitare di sentire il contenuto dello scrigno.
Ecco, quindi, che un lavoro di Tango Olistico, che inizialmente veniva definito Tangoterapia, in effetti, nei confronti di un intervento “terapeutico” rappresenta qualcosa di meno (nel senso della stretta competenza tradizionale, dal momento che Massimo Habib è un Counselor Professionale) e di più, dal momento che affronta “territori dell’anima” che vanno ben al di là di strette categorie di carattere psicopatologico tradizionali.
Come dice un sottotitolo del primo capitolo, si tratta di un “Un radicale lavoro sulle polarità dell’anima”.
L’uomo del tango deve sapere, sempre, esattamente, cosa sta facendo. Ogni volta che perde questa coscienza, il tango fra lui e la sua dama perde qualcosa. La donna del tango deve mantenere per tutta la durata del ballo la disponibilità energetica ad essere guidata, o meglio, deve continuare per tutto il tango a “sentire”. Ogni interruzione di questa antenna ricettiva peggiora la qualità del tango. La parola centrale, dirimente, risolutiva è “chiarezza”. Ogni volta che so cosa mi sta accadendo con precisione, nel mio corpo, nel mio animo, questo ha un potere ansiolitico, discriminante, chiarificatore.
Questa apertura alla tematica così mirabilmente introdotta da Gustav Jung sul tema della integrazione in ciascun individuo tra “animus” e “anima”, rappresenta verisimilmente l’essenza più specifica del lavoro proposto da Habib.
Quanto più mi rendo consapevole delle mie parti, tanto più avrò il potere di disporre di me in quanto individuo intero. In particolare modo, tanto più mi
allontanerò da un punto centrale di indifferenza, sperimentando me stesso, tanto più avrò la possibilità di riportarmi in esso e vedere gli estremi come se mi trovassi al centro di un campo la cui ampiezza mi determina, mi dà identità e mi permette di muovermi.
Il tema dell’“indifferenza” evoca un apporto di singolare significato che questo testo esplorerà nella sezione dedicata a Salomo Friedlaender, il geniale filosofo che seppe riassumere nella sua originalissima concezione filosofica e di vita, a spunti tratti dalla tradizione dell’Occidente come dell’Oriente. Un Autore poco conosciuto per la mancanza di pubblicazioni e traduzioni dei suoi numerosi testi, ma che Fritz Salomone Perls, padre della Gestalt che rappresenta la cornice teorica nella quale Massimo Habib si è formato nel Counseling, riconosceva come nessun altro come maestro. Un contributo che Massimo ha approfondito facendone oggetto della sua laurea di fine corso e che manifesta l’acume di un ricercatore che sa esplorare territori poco battuti ma pieni di suggestioni innovative e gravide di potenzialità ancora da esplorare.
Certo, nella misura in cui ci discostiamo da una mera tecnica di movimento il discorso si fa tremendamente delicato e richiede, in chi si avventura a proporlo e a condurlo, una continua disciplina di approfondimento degli strumenti di lettura, di accompagnamento di processi e di attenzione alle inevitabili valenze di carattere transferale e controtransferale. Tematiche, queste, che sono state oggetto di insegnamenti mirati nel percorso formativo di Massimo Habib, ma che necessitano di un continuo lavoro di aggiornamento ed approfondimento, specie in considerazione del fatto che, come il testo ci dice, tale metodologia viene applicata anche a pazienti affetti da alcolismo, gioco d’azzardo ed altre patologie. Conforta leggere, nelle parole di Habib, una espressione di consapevolezza circa la responsabilità di questo approccio e l’umiltà di portarlo avanti senza trascurare un lavoro di continua supervisione e di confronto sulla teoria e sulle applicazioni cliniche.
Se la frequentazione dei miei seminari non si limita ad un incontro, come per esempio nel caso di incontri individuali settimanali, noto spesso come i
miglioramenti siano discontinui ma costanti e permettano ai clienti sempre nuove scoperte di sé in entrambe le parti. Ma non sono sempre rose e fiori. Permetterci di esplorare, per esempio, la nostra capacità di sentire presuppone il rischio di trovare, nella scatola che custodiamo, non solo piacere ma anche dolore. Spesso qui il processo di autoconoscenza si interrompe perché il cliente si impaurisce e si ferma, non più disposto a fare questo particolare stretching. Allo stesso modo, la guida può risultare frustrante perché avverto anche fisicamente i miei limiti nel prendermi cura di qualcuno, e nel portargli la mia energia. Lavorare sulle due parti e le relative sottoparti di questa disciplina presuppone la coscienza di intraprendere un viaggio nelle proprie emozioni.
Chiudo questa breve presentazione con la speranza di non aver ecceduto in ottimismo nei confronti di un Collega che ho avuto il piacere di vedere crescere e formarsi all’interno del percorso formativo che coordino. Allo stesso va anche il mio apprezzamento, oltre che per i contenuti, anche per lo stile nello scrivere: essenziale e pieno di suggestioni che mi rimanda alla Rubrica di poesia che Massimo ha seguito per anni nella Newsletter del nostro Istituto nella quale, non raramente, comparivano anche suoi pregevoli contributi personali.
Con Massimo ci siamo dati appuntamento per condurre un seminario sul “daimon”. Nel suo caso appare evidente un singolare esempio di come una voce interiore a seguire una strada totalmente innovativa ed inaspettata gli abbia consentito di are da un lavoro (molto poco amato) di impiegato amministrativo ad accompagnatore di processi di crescita attraverso l’arte più olistica che da sempre ha permesso agli esseri umani di andare oltre i gesti utilitaristici del quotidiano: la danza. Ed in più … la danza che per antonomasia esprime eros, intensità di presenza, contatto intimo e rigoroso rispetto dei “confini del sé” come solo il tango sa riassumere.
Dottor Riccardo Zerbetto Direttore Centro Studi Terapia della Gestalt (CSTG)
Introduzione
Il libro che state leggendo esiste perché in questi anni decine e decine di persone hanno partecipato ai miei seminari di gruppo e alle sessioni individuali. Ringrazio queste persone infinitamente per aver fatto germogliare e crescere in me le idee che costituiscono la disciplina del TangoOlistico, dalle prime sperimentazioni a oggi.
L’esperienza, le parole, i percorsi di crescita personale intrapresi dai miei clienti hanno cambiato molto del mio approccio. Ho approfondito le basi teoriche, ho arricchito gli esercizi proposti e, soprattutto, ho formato nuovi operatori che oggi propongono i frutti del mio lavoro in Italia e all’estero.
Scrivere, dare forma, dopo aver a lungo sperimentato è una grande soddisfazione.
Mentre scrivo resta forte nella mia memoria e nel mio corpo il ricordo frammentato, emozionante e preciso di mille abbracci ricevuti e dati in questi mesi, in questi anni.
Nella prima parte del libro spiegherò i collegamenti con la danza del Tango argentino.
Nella seconda esporrò le origini teoriche della disciplina, quali siano i contributi fondamentali del metodo e la sua originalità.
Nella terza illustrerò i meccanismi teorico-pratici fondamentali, ovverosia il cuore della disciplina.
Nella quarta esporrò i contenuti dei vari temi affrontati durante i seminari tematici. Questo mi darà modo di approfondire la spiegazione della tecnica e delle mille suggestioni che propongo ai partecipanti durante le esperienze.
Ci sarà anche spazio per i contributi dei miei allievi e dei miei clienti: le loro esperienze di loro percorsi di vita attivati anche grazie al TangoOlistico.
Nell’ultima parte mi concentrerò sulle varie modalità di attuazione e di sviluppo e delle molteplici prospettive future.
Buona lettura.
PERCHÉ IL TANGO
Le energie benefiche del Tango Argentino
Sul tango argentino è stato scritto di tutto: della sua storia, della sua bellezza e della sua ione. In questo volume mi limiterò ad analizzare ed enucleare ciò che dal tango ho preso per il mio lavoro, così lontano da una semplice e bella lezione di tango ma anche così vicino… Quando una coppia balla tango, al di là della tecnica, dell’appreso, c’è qualcosa che appare chiaro e, al contempo, di difficile definizione. Si tratta, lo so bene, di una dimensione di complementarietà e di chiarezza di energia, ma soprattutto, di chiarezza.
L’uomo guida e la donna segue, quale formula, questa, di totale semplicità e grandezza?
Nel benessere fisico, spirituale e psichico, ogni fenomeno presente in noi può essere ricondotto al concetto di chiarezza. Ogni qualvolta conosciamo (emotivamente, intimamente) un nostro disagio nel dettaglio, questo si modera, si stempera, a volte svanisce. Soprattutto, questo è evidente nei nostri problemi, in ciò che ci crea disagio. Ciò che davvero, sempre, ci fa stare male è la paura e questa è parente diretta della confusione e della indeterminatezza. È il non sapere che ci angustia, che ci fa sentire forte la distanza dall’oggi al domani e ci porta ad acuire quel senso di impotenza, mancanza di autostima, angoscia e malessere. Questo è vero in ogni caso della vita: problemi relazionali con genitori, figli, partner ecc. sono sempre dovuti alla nostra difficoltà a prendere decisioni, a prendere nuove strade o a decidere di restare in quelle ate.
Il tango argentino, con le sue regole limitate e pure precise è di per se un’ottima metafora di una situazione di benessere e di chiarezza. È per questo che è così facile vedere il malessere presente in una persona che inizia a ballare tango. Se
abbiamo un disagio legato alla mancanza di chiarezza, come sempre si verifica, questo appare chiaramente nella relazione di ballo, a volte con precisione di lettura incredibile. Così anche, quando ballo bene con un uomo o una donna, appare lampante il suo benessere, il suo equilibrio.
Perché, dunque, il tango?
Perché è uno straordinario contenitore energetico dove tutto ha il suo posto: la dimensione dell’abbraccio, il contatto alto al livello del petto e comunque mai casuale, il respiro che si contagia, i due ruoli che innescano processi di benessere o di malessere, la musica che viene interpretata e amplifica i processi in atto.
Vediamo quali sono le caratteristiche che distinguono in modo fondamentale questo ballo dagli altri. In primo luogo abbiamo i ruoli che, come vedremo, saranno la base per il funzionamento del TangoOlistico.
La storia è nota. Uomini immigrati da lontano che inventano i nel porto di Buenos Aires, scene finte o quasi di lotta fra maschi frammista a i di danza. Poi questi uomini, privi dei propri affetti femminili lasciati per necessità in lontani paesi europei quali l’Italia o la Spagna, incontrano le donne dei bordelli, fanno l’amore, parlano e… E qui incontriamo il primo nocciolo energetico per capire la dinamica del Tango Argentino e, quindi, del TangoOlistico: l’uomo propone alla prostituta alcuni movimenti che ha inventato.
Ma, prima, la abbraccia.
Dunque, la comprensione della direzione di guida è facile e immediata. L’uomo spiega la sua invenzione alla donna ma lo fa con un intenzione tutta affettiva,
legata a quel rapporto con la mamma, la sorella, la figlia, la moglie lasciate in Europa per necessità economiche.
Allora, sta nascendo un ballo dove l’affettività, prima dell’erotismo, crea il meccanismo centrale della danza e la guida dell’uomo e l’affettività sono legate indissolubilmente. La chiarezza con la quale l’uomo guida nel tango è una condizione necessaria per poter ballare. Così non è in tutti gli altri balli sociali, dove la responsabilità sulla conduzione è in vari modi condivisa e, spesso, come nei balli latinoamericani, l’uomo si limita a indicare il o con il corpo ma, energeticamente, la costruzione del o è condivisa nella coppia.
Nel tango, l’uomo dona la propria energia, la sua direzione, alla donna che, comprendendo il suo impulso, la sua forza, la trasforma in movimento, eleganza, gioco.
Il secondo elemento che distingue chiaramente questa danza da tutte le altre è l’abbraccio e la forma che assume durante il ballo. Chi abbraccia chi? Quando abbracciamo un amico, una fidanzata, una mamma è logico immaginare che l’abbraccio sia finalizzato ad una condivisione affettiva paritaria. E così, auspicabilmente, è. Poco importa se sei tu ad abbracciare lei oppure se è lei che ti vuole stringere, ciò che conta è tenersi stretti.
Nel tango, invece, l’uomo, sempre, propone l’abbraccio e la donna, se vuole, lo accetta. Questo processo è chiaro nella forma dell’abbraccio e nella posizione delle braccia. Soprattutto, l’uomo cinge il corpo della donna con il suo braccio destro mentre la donna appoggia (senza mai tirare a se) il braccio sinistro, a seconda delle altezze, fin su dietro al suo collo o sulla sua schiena. Anche nei balli standard quali il valzer o la mazurca lo schema è simile ma con una differenza, per noi, fondamentale. E arriviamo al terzo elemento che ci interessa enucleare: la postura.
Nel tango entrambi i partner assumono una identica postura. Uomo e donna sono, in primo luogo, rivolti uno verso l’altro con il baricentro spostato in avanti. Se i loro corpi potessero parlare (e sarà questa una suggestione centrale della nostra disciplina) direbbero semplicemente di sì.
È questo sì che crea il contatto a livello molto alto, dove batte il cuore. Questo particolare contatto nei balli standard non esiste ed è volutamente così. Quando nasce il valzer, infatti, nel diciottesimo secolo, i contatti relazionali sono pochi, selezionati, a volte improponibili nell’austera Vienna. Curiosamente, nei balli standard, si predilige un contatto basso, a livello del bacino, mentre è inimmaginabile che si possa insistere dove batte il cuore ovverosia dove si creano la relazione, l’affetto, l’amore.
Ancora oggi, quando ballo con una qualunque delle mie clienti, spesso lei mi confida il suo imbarazzo nell’offrirmi il suo seno, nel concedere questo contatto speciale, intimo, compromettente, molto più di un contatto a livello della vita, del bacino, perché in gioco c’è la confessione d’un sentimento, quello che sta provando in quel medesimo momento. Vedremo più avanti come questa confessione sia al centro di una tecnica speciale che utilizzo nei seminari avanzati e che prende il nome di racconto intimo.
Ho deciso di utilizzare il tango per costruire la mia disciplina perché in questi tre elementi cardine, i ruoli, l’abbraccio e la postura, ci sono gli ingredienti per dare una forma sostanziosa a una modalità introspettiva del nostro esistere relazionale, del nostro affermarci nell’ambiente, della nostra più pura confessione con l’altro e, in definitiva, con noi stessi. Ma di questo più avanti.
Eppure il tango può essere un perfetto alibi per non guardarsi dentro. La tecnica, pur necessaria per ballare, imprigiona e limita e, come il nostro carattere, ci illude di vivere un equilibrio che però spesso non ci soddisfa. In particolare, la tecnica, come una corazza, ci protegge. Così due ballerini possono vivere l’illusione del benessere per il solo fatto di aver imparato bene le regole e pure,
possono non accorgersi che non stanno ballando davvero.
Scrivo questo ora, anche se ritornerò sul tema più avanti, perché voglio dire che uno degli obiettivi del TangoOlistico è quello di vedere una persona che, grazie al suo ballare vero, vissuto, possa vedere i suoi meccanismi emozionali con una favolosa lente di ingrandimento e, grazie a questa, percorrere i dettagli del suo disagio partendo da ciò che il suo corpo dice, disciplinato dalle regole e dimensioni di questo ballo.
Prima di proseguire spiegando nel dettaglio i contenuti della disciplina del TangoOlistico è necessario spiegare al lettore cosa si intenda con il termine Tangoterapia e perché il mio metodo, oggi, non abbia adottato questo nome.
Dalla Tangoterapia al TangoOlistico
Chi mi segue nel mio percorso ben sa che per quattro anni, dal 2008 al 2011 ho chiamato il mio metodo Tangoterapia. Registrai subito il marchio, valido tuttora nel territorio nazionale, intuendo che questa parola potesse avere un futuro, così evocativa e suggestiva, al tempo stesso, di benessere. Subito però mi accorsi che altri operatori, nel mondo, iniziavano a proporre metodi con lo stesso nome. Cosa proponevano?
Troverete una dettagliata bibliografia in fondo al libro che documenta il lavoro di colleghi attivi in tutto il mondo. Qui vorrei limitarmi a trasmettervi un aspetto nucleare. Diversi operatori, più o meno contemporaneamente intorno al 2008, stavano notando che ballare il Tango Argentino faceva bene. Ben lo sanno i ballerini che frequentano le milonghe, i locali dove in tutto il mondo si balla tango. È una esperienza talmente bella che si attraversano periodi di vera e propria dipendenza. Uomini e donne stregati da un ballo unico, da una musica connotata e separata da ogni altro genere.
Proverò, con alcuni esempi frutto della mia esperienza come insegnante, a mostrare come il tango possa far stare bene. A volte, direi spesso, vedo uomini che con impegno imparano i i base, si sforzano, si applicano e infine tentano di guidare una donna in un primo tango: con risultati disastrosi. Perché? Eppure i i li avevano studiati e da soli venivano benone.
Quel che accade è che il contatto del tango cambia le carte in tavola. Spesso paure non accettate condizionano la capacità dell’uomo di convincere la donna a fare anche solo un o. Come si può fidare la donna di un uomo che improvvisamente manifesta paura e la trasmette attraverso un contatto così sensibile? Il nostro uomo, ormai preoccupatissimo, ha davanti una scelta da compiere, anche se questo avviene in modo non molto consapevole: continuare
così finendo per farsi rassicurare dalla donna (che in quel momento sogna un altro uomo) e violando così una regola base del tango, perché la donna finirà per guidarlo, oppure farsi coraggio e provare a cambiare qualcosa. Ma a volte non basta.
Vedremo più avanti come il nostro carattere, per manifestarsi, ha bisogno del contatto con l’altro e per questo aspetto il tango ci offre uno strumento eccezionale.
Poi abbiamo un altro “modello” di maschio molto diverso dal primo esposto. Ricordo una coppia venuta da me per migliorare la tecnica di ballo. Lui mi spiega subito che i problemi del loro ballo riguardano principalmente lei. Infatti, lui, sa ballare.
Prima di iniziare la lezione ci tiene ad elencarmi tutte le figure che ha recentemente imparato e me le mostra (da solo). Infine abbraccia (prende) con forza la sua donna e si lancia in un tango mozzafiato. Lei, invece di tenere gli occhi chiusi, come spesso fa la donna quando si gode un tango, ha lo sguardo un po’ fisso nel vuoto e un po’ alla ricerca di una occhiata di intesa con me. Spesso lei sbaglia i i. L’uomo si ferma, mi guarda e dice: “Vedi?”
Un uomo come questo è facile che smetta di ballare perché, in fondo, non funziona. Oppure, come il primo uomo ultra preoccupato, ha una occasione per “redimersi”: la milonga, il luogo sociale dove si balla. I nostri due personaggi vanno in milonga, e vedono decine di altri uomini ballare bene, in modo equilibrato, senza eccessi e, soprattutto, vedono che si divertono. Ciò che spesso accade è che, in modo naturale e con il tempo i due uomini aderiscono allo schema del tango, si accorgono che esiste un modo meno radicale e più funzionante di rapportarsi alla donna e, spesso, continuano a ballare.
Una volta è venuta da me una signora per prendere lezioni private. Non aveva mai ballato ma le avevano raccontato che nel tango la donna si abbandonava all’uomo: non vedeva l’ora. Appena l’ho abbracciata mi ha gettato le braccia al collo, si è appesa e quando la musica è finita mi ha guardato come a dire: “Allora? Continuiamo o no?”
Spesso queste donne hanno una debole struttura interna, conoscono poco il loro peso e sono fortemente plasmabili e influenzabili, ma soprattutto hanno problemi a differenziarsi dall’ambiente e dall’altro. Il primo problema che l’uomo riscontra con una donna così è che se lei pesa cinquanta chili, in realtà il peso che l’uomo sente è quasi il doppio! E ballare diventa un incubo…
Anche qui abbiamo un altro tipo di donna che si presenta altera, scostante, sicura di sé e mi scruta per capire se sono all’altezza dell’impresa: insegnarle qualcosa. Nell’abbraccio non la sento. E’ completamente chiusa in se stessa e il prezzo da pagare per la sua sicurezza è l’insensibilità della sua pelle, della sua superficie nei confronti del mondo. Ballare diventa, più che un incubo, una noia mortale.
Ma anche queste due donne come i due uomini vanno in milonga e lì scoprono che una possibilità c’è: l’equilibrio. Vedono la donna che balla bene, altera ma sensibile, rigida nel busto ma attenta a ogni minima sollecitazione dell’intenzione dell’uomo e, soprattutto, vedono che questa donna si diverte!
Tutto questo per dire che sono perfettamente d’accordo sul fatto che il tango faccia bene. L’ho sperimentato, lo sperimento sugli allievi. Perché dunque un ballerino di tango dovrebbe avvicinarsi ad una pratica che si definisce Tangoterapia quando già balla e ne trae un beneficio? E, ugualmente, perché una persona che non balla dovrebbe avvicinarvisi invece di andare in una scuola di danza e, semplicemente, imparare a ballare?
Questo è il motivo per cui risulta così difficile, per un tangoterapeuta, attrarre consensi nel campo dei ballerini di tango. In tutta onestà, sono perfettamente d’accordo con loro. Cerchiamo dunque di capire in cosa consista l’offerta di Tangoterapia.
In Argentina vi sono varie associazioni e vari operatori che, con nomi diversi (Psicotango, Tangoterapia) offrono una possibilità terapeutica ai propri clienti e pazienti. In particolare il dottor Federico Trossero autore del libro “Tangoterapia” sembra concentrarsi su pazienti con malattie psichiche quali psicosi o anche psico-fisiche quali Alzheimer e Parkinson.
In tal senso, i benefici del tango possono essere molteplici. Pensiamo all’equilibrio, all’importanza che riveste il seguire le regole tecniche, e ovviamente al contesto relazionale. Ancora, in Gran Bretagna il mio collega Martin Sotelano, fondatore dell’International Association of Tango Therapy Therapists (IATTT) di cui faccio parte, si è concentrato nella cura dei pazienti parkinsoniani con risultati eccellenti. E, ancora, in Italia è nata da poco la Psicotangoterapia.
Ho pensato a lungo se dare a questo mio volume un intento antologico con l’obiettivo di raccogliere ed esporre in dettaglio i contributi di chi utilizza il tango nella cura delle persone ma, alla fine, ho deciso che non è ancora tempo per questo. Stiamo parlando di teorie, metodi e pratiche, come la mia, molto giovani che subiranno cambiamenti e perfezionamenti, ne sono convinto, nei prossimi anni.
Ciò che accomuna le offerte sopra esposte è l’idea che il ballo del Tango Argentino, così come è strutturato, possa essere di beneficio a più persone. In particolare a persone affette da malattie psichiche e/o fisiche. Un po’ come l’ippoterapia viene applicata a più patologie con successo. Tuttavia, se una persona mediamente nevrotica come chi scrive e, probabilmente, come chi legge si avvicina al mondo dell’ippica, probabilmente prenderà lezioni per imparare a
cavalcare e non si avvicinerà all’ambiente dell’ippoterapia! Lo stesso, credo, può valere per il Tango Argentino. E dunque?
Ho deciso di cambiare nome al mio progetto perché sono convinto che la Tangoterapia possa essere un’interessante terapia per alcune patologie che io tratto solo in modo tangenziale e rispetto alle quali posso definirmi a tutti gli effetti tangoterapeuta.
Eppure il TangoOlistico è un’altra cosa.
Alla base di questa disciplina c’è la convinzione che ognuno di noi, uomo o donna, abbia in sé disponibili entrambe le energie visibili in una coppia di tangheri, ovverosia quella attiva dell’uomo e quella ricettiva della donna. Ho deciso di definire come “Olistico” il mio metodo per due motivi.
Questo termine deriva dalla parola greca Оλος che significa tutto.
In primo luogo, dunque, il TangoOlistico si chiama così perché considera il tango con tutte le sue modalità espressive ed energetiche, innanzitutto in riferimento ai ruoli nel ballo, ma anche alle sue innumerevoli musiche aprendosi anche a contaminazioni di altri generi musicali. In secondo luogo, il termine si rifà alla tradizione dell’Olismo, inteso come un approccio che considera la totalità della persona, integrata nel corpo e nella mente e immersa nell’ambiente circostante.
La gran parte dei miei clienti sono persone che presentano disagi relazionali, esistenziali, di autostima. Sono convinto che imparare a ballare il tango possa far loro bene, ma non è questo il motivo per cui frequentano i miei incontri
individuali o i miei seminari pubblici o per cui hanno deciso di imparare il mio metodo per diventare a loro volta operatori.
Proverò, nel resto di questo volume, a dare una spiegazione, in parte anche a me, del successo del mio metodo.
LA BASE TEORICA
Salomo Friedlaender
Introduzione
Ho pensato a lungo quali basi teoriche utilizzare e palesare prima di dare forma alla specifica disciplina del TangoOlistico.
Certamente, nel mio lavoro, ha molto peso il mondo della Terapia della Gestalt, una psicoterapia nata negli Stati Uniti negli anni ’50 e diffusasi in tutto il mondo in particolare dagli anni ’60. Colgo l’occasione per ringraziare grandemente Riccardo Zerbetto, Direttore del Centro Studi Terapia della Gestalt (CSTG), che ha avuto un ruolo fondamentale nella mia formazione. Nella bibliografia sono presenti alcuni riferimenti per chi volesse approfondire la conoscenza di questa particolare forma di relazione d’aiuto.
Eppure, ciò che contraddistingue, giustifica, e rende reale la disciplina del TangoOlistico è una teoria filosofica formulata da un pressoché sconosciuto filosofo tedesco vissuto nei primi anni del 1900: Salomo Friedlaender. Mi sono avvicinato a questa figura in seguito ai miei studi di Gestalt, essendo Friedlaender uno dei precursori teorici, e ne sono stato assolutamente conquistato.
Dopo essermi diplomato come Counselor presso il CSTG, ho approfondito lo studio di questo filosofo e, nel frattempo, ho dato forma alle prime sperimentazioni di Tangoterapia/TangoOlistico.
Vi invito, dunque, a leggere questo particolare capitolo, molto diverso dagli altri presenti in questo volume.
La scrittura di questo capitolo è resa possibile quasi esclusivamente da due lunghi articoli di Ludwig Frambach, un teologo tedesco vivente, pubblicati rispettivamente in lingua inglese all’interno del volume “Creative License: The Art of Gestalt Therapy” curato da Margherita Spagnuolo Lobb e in lingua spagnola all’interno del volume “Gestalt de vanguardia” di Claudio Naranjo e da una lunga intervista a Hartmut Geerken, principale conoscitore dell’opera e della vita di S. Friedlaender. I due articoli trattano il medesimo argomento, ovverosia la figura di Salomo Friedlaender ed il rapporto con la Terapia della Gestalt, ma differiscono per approfondimenti e dettagli. Le citazioni dirette di testi di Friedlaender che leggerete sono estratte da questi articoli e da me tradotte.
Salomo Friedlaender: La vita, il filosofo e il letterato
Salomo Friedlaender nasce il 4 maggio del 1871 a Gollantsch, distretto di Wongrowitz nella provincia di Posen. Suo padre è un medico ebreo e sua madre la figlia di un produttore di birra. Il piccolo Salomo è un bambino estremamente introverso. Ecco come parla di sé nella sua autobiografia: “La maggior parte delle persone sono estroverse, specialmente i bambini. Al contrario io ero profondamente immerso nella mia interiorità ed era per me difficile presentarmi all’esterno con un comportamento normale. Filosofeggiavo e fantasticavo continuamente senza che nulla apparisse all’esterno.”. (M 1965, 206.)
A scuola prende voti discreti ma si concentra solo su ciò che risveglia realmente il suo interesse. Salomo è un bambino gracile, soffre di asma e bronchite e il padre lo manda in un sanatorio a Genova.
Nel 1892 muore la madre. Il padre lo obbliga a studiare medicina e così diventa dentista, ma la sua ione per la filosofia è forte e nel 1896 inizia a studiarla a Berlino. Il padre lo disereda.
Dal 1890 si dedica principalmente allo studio di Schopenhauer: “L’opera di Schopenhauer mi mise in contatto per la prima volta con un genio filosofico e mi sentii disarmato e affascinato davanti a lui.” (M 1965, 218)
A venticinque anni è sì attratto dalla filosofia di Schopenhauer, ma il suo corpo la pensa diversamente:
“Mentre la mia mente la disprezzava, la mia carne amava la vita”. (M 1965,
220)
Insomma, vive una combinazione bizzarra di ascetismo e libertinaggio che lo conduce a una lotta interna verso una profonda crisi esistenziale. Il seguente o della sua autobiografia riveste, ai nostri fini, un’importanza fondamentale:
“Nel mio essere libertino c’era un’esigenza morale vicina al pessimismo e all’apionato linguaggio oscuro di Schopenhauer. Mi sentivo obbligato a prendere una decisione. Mi perdevo in profondi cavilli in relazione al mondo e alla vita. L’enigma era ogni volta maggiore. Esisterà un qualche senso primo e definitivo della esistenza? Schopenhauer lo trovò nella decisione della volontà di affermare o negare la vita. Ma questo rappresentava due estremi contrapposti nell’orientamento della volontà. Come risultato della tensione originata da questo antagonismo mi apparve chiara una formula la cui storia conoscevo appena come ugualmente non sapevo si trattasse di una formula antica. All’università mi imbattei nel concetto di polarità nella fisica, soprattutto la teoria del colore di Schopenhauer e la sua continuazione in Goethe. Percepii che quella formula conteneva misteriosamente il senso della vita. Avevo sperimentato la polarità corrispondente alla affermazione della vita in modo troppo drastico. Per trovare una soluzione dovevo sperimentare anche il polo opposto. Durante questo esperimento interiore, mosso da una arrembante intenzione ascetica, mi dimenticai di mangiare e di bere quasi del tutto e sperimentai estasi fantastiche. Questi momenti contenevano visioni di una vita polare all’interno della quale il mio Io oscillava e si bilanciava, sempre in modo lucido, fra tutti i poli vitali, fra il sì e il no della volontà. Formulai dunque una teoria che chiamai “Circa l’Indifferenza vitale universale…” (M 1965, 222/223.)
E’ il 1896 e Friedlaender ha posto le basi della sua visione filosofica più importante. Scrive una tesi su Schopenhauer e Kant ma anche Nietzsche lo affascina e la sua critica dell’ideale ascetico fa sì che lui diventi uno spirito scettico e libero.
Nel 1906 si trasferisce a Berlino ed inizia a frequentare l’ambiente Bohemien che ha come centro di incontro il “Cafè Grossenwahn” (Caffè della Megalomania).
E ’arrivato il momento di aggiungere al nome anagrafico del nostro filosofo tedesco un altro nome che lo connota diversamente: “Mynona”, ovverosia “anonym” scritto al contrario. E’ con questo nome che Friedlaender si fa conoscere a Berlino, di notte, nei Caffè. Mynona è considerato uno scrittore Dadaista (anche se si è sempre definito indipendente), anarchico, scrive commedie grottesche che piacciono. E’ l’ambiente di Martin Buber, Alfred Kubin e altri.
Viene considerato come il Re dei Conferenzieri Burloni, fonda una rivista satirica ma al contempo scrive i suoi primi libri “impegnati” fra cui una biografia di Nietzsche considerata da alcuni critici come il libro più profondo e personale su Nietzsche e finalmente nel 1918 pubblica “L’indifferenza creativa” rimasto in gestazione per quasi venti anni. Ma prima di addentrarci nella visione filosofica indugiamo ancora nella vita bohemien di Mynona. Di notte ne combina di tutti colori ma fa in modo di dormire sempre almeno otto ore (cosa che fa per lo più di giorno) e mantiene in modo disciplinato spazi fissi per scrivere le sue opere e per studiare.
Friedlaender/Mynona vive così non rinnegando mai le sue polarità così distinte ma muovendosi in modo tale da far sì che entrambe possano trovare luogo.
E’ un po’ come se il Dottor Jeckill e Mr. Hide fossero perfettamente consapevoli della propria reciproca esistenza e soprattutto di essere in fondo la stessa persona. Friedlaender/Mynona è entrambe le figure e fa emergere una parte o l’altra a seconda della situazione che si presenta. La sua disciplina nel rispettare gli spazi per studiare e scrivere è in questo senso emblematica. Le sue due parti si rispettano e si comprendono, collaborano e costruiscono una persona
completa: “Sono un filosofo serio e un umorista arrotolati insieme” (F 1982b, 35)
La teoria dell’indifferenza creativa.
Il presupposto fondamentale della teoria di Friedlaender, quella che iniziò ad elaborare nel 1896 a venticinque anni, può essere riassunto nella seguente citazione:
“ La caratteristica generale di ogni possibile fenomeno è il contrasto, la differenza che può arrivare fino agli estremi”. (F 1926, XV)
L’idea è che, perché un fenomeno sia apprezzabile, percepibile, deve essere visto in opposizione con un altro, differenziarsi, distinguersi. Questo contrasto, questa differenza costituisce, nel senso che va a produrre, le configurazioni del mondo.
Il principio fondamentale è quello della polarità, l’antagonismo primordiale. “Anche la relatività più complessa si può scomporre in parti complementari” (F 1926, 41).
Pensiamo a queste polarità: dentro e fuori, alto e basso, grande e piccolo, vicino e lontano, attrazione e repulsione, dare e ricevere… ecc. ecc.
Ancora,
“La polarità rappresenta il filo di Arianna nel labirinto del mondo” (F 1926, 333).
“I poli sono opposti omogenei, l’uno è il riflesso dell’altro” (F 1926, 20).
Questa intuizione assume un valore centrale nella sua teoria poiché configura un certo ordine nella sistematizzazione dell’Universo. Come a dire che ogni fenomeno percepibile presuppone l’esistenza di un suo contrario che trova spazio in una dimensione esattamente opposta.
Se pensiamo alla luce pensiamo a un grado di luminosità ovverosia una luce relativa, una luce che si configura come relativa rispetto a un grado di oscurità, di non-luce. Ma se questo è il modo in cui vediamo il mondo cosa possiamo dire riguardo al concetto unitario, vale a dire di identità, della luce? Dov’è il punto fermo che mi fa percepire l’essenza della luce se questa esiste comunque in relazione al suo opposto, ovverosia l’oscurità? E qui arriviamo al nocciolo della teoria, in quanto Friedlaender afferma che l’identità, l’unità di una differenziazione polare è il suo centro, il punto indifferente dove paradossalmente luce e oscurità non sussistono.
“In quanto alla polarizzazione, da tempi immemorabili si è prestata maggiore attenzione ai poli piuttosto che alla loro indifferenza. In questa si nasconde indubbiamente il vero mistero, la volontà creativa, ciò che polarizza, che oggettivamente non è nulla e senza la quale nulla esiste nel mondo.”. Prima di proseguire con il pensiero di Friedlaender cerchiamo di fare chiarezza su questa intuizione fondamentale.
Quando cerchiamo di capire il mondo, di dare un senso, cerchiamo di appigliarci a qualcosa che vediamo, percepiamo, e finiamo naturalmente per identificarci con un fenomeno, qualcosa che possiamo apprezzare, studiare. Il problema è che in questo modo radicalizziamo il nostro sentire e ci concentriamo su quello che vediamo. La nostra soggettività, il nostro pensare, si fa “prendere” dall’oggetto, da ciò che è già stato differenziato e si presenta come distinguibile da
qualcos’altro.
Il problema sta nel fatto che per essere realmente “soggettivi” ovvero soggetti che esistono di per sé dobbiamo trovare una formula che ci ponga “prima” della differenziazione del fenomeno stesso per poter solo dopo creare una polarizzazione. Il punto centrale, quello in cui la differenza ancora non esiste è il “reale” punto di vista interiore, quello da cui può scaturire un movimento, un pensiero, una decisione. Mi viene in mente la Genesi. Quando Dio crea, di fatto, differenzia, separa la luce dall’oscurità. Ma cosa c’era prima? Il Nulla… oppure Dio, se credete, e questo è il punto centrale.
Questo nulla che crea, innova in questo modo paradossale, è il fulcro della teoria dell’Indifferenza Creativa. Può essere considerata come una posizione di equilibrio, di “insistenza” invece che di “esistenza”. Leggiamo:
“Solo gli oggetti possiedono una “esistenza” ma il loro “nulla specifico” ha una “insistenza” che è fonte creatrice. […] Immaginiamo che se distruggessimo tutte le cose, distruggeremmo tutto. Ma ciò che distruggiamo è solo il fenomeno la cui essenza è ineffabilmente interna e supera tutte le differenze. Pensiamo ad opposti quali “qui l’essenza e lì il fenomeno, qui “dall’altro lato” e lì “da questo lato” ma l’opposizione avviene solo nel fenomeno, in “questo lato”. L’essenza, al contrario non è nessun “altro lato” bensì il centro, il punto di contatto creatore di ciò che è differente, dei fenomeni isolati. E’ come dire che non è nulla che si possa differenziare. Ogni altra idea sul concetto di nulla è sbagliata.”
Il pensiero di Friedlaender appare a volte troppo difficile o troppo facile. La sua semplificazione filosofica è tanto affascinante quanto ostica da comprendere. Cosa c’è “realmente” dall’altro lato? Friedlaender elabora una teoria dell’Io profondamente diversa da quella psicoanalitica.
Qui l’Io è la parte più profonda di noi stessi, la nostra anima, il nostro reale centro vitale. É il luogo interno dove possono avvenire le decisioni, è come se “dall’altra parte” ci fossimo noi, liberati da ogni realtà fenomenica esterna. Noi “davanti” ai poli, davanti a quella che comunemente chiamiamo realtà.
Ma cerchiamo di capire meglio come si configura questa unità, identità creatrice:
“Il cuore, ben integrato e liberato da tutte le differenze, è il cuore del mondo”
Il ragionamento di Friedlaender non fa una piega. Se il “cuore” o l’Io, o come lo vogliamo chiamare, è questa essenza pulita da ogni differenza, da ogni rappresentazione della realtà, allora la realtà e quindi il mondo intero sarà il prodotto stesso di questo cuore centrale che, dalla sua posizione indifferente, non perturbata, è in grado di discernere proprio perché crea.
Ma, conclusa questa fase definitoria, è necessario capire come si possa “vedere” o “sentire” questa nostra parte centrale e indifferente:
“Chi apre in se stesso l’animo della creatività, liberandosi di tutto ciò che è esterno, dei contrasti, incluso tutto ciò che è considerato umano, diventa il nulla universale nel suo principio creativo. Non ulteriormente diviso, ottiene il dono della creatività per esprimersi, condividere, senza dover inserire nella sua vita questo mondo diviso nella sua forma ed espressione, e senza dividersi e senza identificarsi in modo confuso” (F 1926, XXXI).
Il cercatore della libertà “…libera completamente il proprio cuore, lo annulla per reggere il mondo da questo nulla che prende il posto del cuore stesso” (ibid. 111/112).
Ancora, “Solo l’anima nuda è indifferente. Le differenze psicologiche rappresentano per l’anima umana ciò che rappresentano i vestiti per il corpo (ibid. 352).
Il filosofo tedesco è convinto che noi dobbiamo cercare e trovare questo Io interno, questo cuore, ma la strada è complicata dalla natura stessa di questo cuore poiché “ Il se stesso creatore manca di forma, non possiamo percepirlo con il nostro intelletto differenziato” (ibid. 458).
A questo punto potremmo pensare che l’obiettivo filosofico di Friedlaender sia una sorta di ascetismo orientale. Tale, infatti, è l’enfasi posta sulla natura di questo centro creatore che il resto (il mondo, il fenomeno) sembra perdere d’importanza ai fini della comprensione del mondo stesso. Invece Friedlaender ci stupisce applicando con arguzia la sua stessa teoria! “ Nel principio creatore non deve mancare né ciò che è identicamente interno, né la sua corrispondente manifestazione esterna” (F 1926,6). “L’Oriente insiste nella cultura dell’indifferenza e l’Occidente in quella della differenza; io voglio essere occidentale e orientale, Indo - americano. Respingo sia la cultura della mera indifferenza come quella della mera differenza; entrambe rappresentano apparenze ingannevoli” (F/K 1986, 57). E ancora:
“Non è sufficiente essere; è necessario anche (in modo polare) divenire” (F/K 1986, 18).
Il che significa che trovare il cuore non è l’obiettivo finale bensì uno strumento necessario. Il vero obiettivo ha comunque a che fare con la realtà e dunque con le polarità e con la differenziazione reale. Ma come muoversi in questo mondo polare? L’arte della vita, per Friedlaender, che nasce dal centro indifferenziato, consiste nel bilanciamento fra i poli opposti, in un movimento che tende all’equilibrio. E questo è un altro punto centrale della Teoria dell’Indifferenza
Creativa.
L’equilibrio, che non è un punto mediano ma un continuo adattamento del nostro divenire alla situazione attuale, diviene l’unica regola da seguire. La teoria del nulla universale “non proibisce nulla in concreto a parte la mancanza di equilibrio fra i poli ”.
Equilibrio significa “tenere conto” di entrambi i poli, non rinnegare quello che si presenta. Possiamo essere arrabbiati o inteneriti e radicalizzare il nostro essere in una di queste manifestazioni psicologiche. Oppure possiamo tentare di liberarci di questa identificazione con la manifestazione stessa e “rimanere identici grazie alla nostra elasticità”. In questo modo, partendo dalla nostra unità indifferente, decideremo di reagire con rabbia o con tenerezza a seconda di ciò che la situazione ci presenta.
Cosa c’entra il tango con tutto questo?
Possiamo immaginare i ruoli in questo ballo, così chiari e complementari, come le due ali della differenziazione di una manifestazione della realtà comportamentale. Da una parte vi è il ruolo maschile, attivo, determinato e dall’altra il ruolo femminile, ricettivo, presente ma non attivato. Al confine fra questi due ruoli si manifesta il contatto, l’integrazione, l’essenza di vita che può diventare metro e cura della nostra esistenza. Così come Friedlaender pone l’attenzione al cuore, all’io più interno che può produrre le manifestazioni di realtà, così il tango diventa metafora reificata della relazione con l’altro, sì, ma soprattutto con sé stessi. Vedremo, infatti, come il nocciolo di questa disciplina consista nel ballare in entrambi i ruoli e, dunque, di muoversi sull’intero diametro esperienziale.
La disciplina del TangoOlistico nasce da questa intuizione, dalla sovrapposizione
fra la teoria dell’indifferenza creativa di Friedlaender e i ruoli del tango argentino.
Per sapere come e quando manifestarci in queste polarità, dovremo conoscere queste polarità. Il ballo sarà il nostro strumento di conoscenza e il contatto fra i corpi (o se vogliamo il cuore di cui parla Friedlaender) sarà il punto zero, l’integrazione, l’innesco del processo vitale.
Il TangoOlistico si configura, dunque, come un’applicazione relazionale e di crescita della teoria dell’indifferenza creativa di Friedlaender. Vediamone una prima definizione.
LA DISCIPLINA
Definizione di TangoOlistico
Il TangoOlistico è un metodo di crescita personale che usa come base di ispirazione il Tango Argentino. Grazie alla precisione con cui sono stabiliti i ruoli, in questa danza, i partecipanti ai gruppi sperimentano le diverse parti di sé, in particolar modo la parte attiva, determinata, solare, maschile e quella ricettiva, lunare, sensibile, femminile. Il tango fa da cornice a tutto questo, con la musica, l’incontro della coppia, e il contatto sia all’interno della persona che fra le persone stesse. É possibile sperimentare il TangoOlistico sia in percorsi di gruppo che in coppia o in sessioni individuali.
La definizione delle parti
Il vero contenuto di carattere definitorio di questa disciplina è illustrato nei seguenti paragrafi. Per comprendere le dinamiche fondamentali del TangoOlistico è necessario comprendere a fondo il significato delle parti attiva e ricettiva e delle loro relative sottoparti (attiva-dinamica, attiva-accuditiva da una parte e ricettiva-di presenza, ricettiva-sensibile dall’altra). Sarà la comprensione di questi fenomeni a dare voce, con precisione e grado, alla declinazione del nostro manifestarci relazionale all’interno del TangoOlistico.
La parte attiva
Un uomo che voglia imparare a ballare tango ha un compito che tutti, uomini o donne, riteniamo arduo: essere convincente.
In particolare l’uomo dovrà imparare a guidare la donna nello spazio della milonga, il locale dove si balla il tango. E non dovrà solo imparare ad indicare i i alla donna ma dovrà esattamente condurla in modo continuativo. Immaginiamo una sorta di convincimento mentale e fisico dove l’uomo trasforma le proprie idee (i i) nei movimenti delle gambe della donna. Ogni volta che la donna non comprende il significato di questi pensieri, si ferma, oppure si muove sbagliando.
Stiamo parlando della parte attiva del TangoOlistico. La nostra vita è, più o meno a metà, proprio così: ci tocca di prendere decisioni e di provare a trasformarle in fatti e dobbiamo convincere a volte gli altri e a volte noi stessi. E per convincere gli altri dobbiamo essere credibili, affidabili e, soprattutto, non basta la forza. Ecco che allora possiamo immaginare la parte attiva come una
composizione di due sottoparti: una più dinamica, forte, determinata e una più dolce, premurosa, accuditiva.
La sottoparte dinamica
Camminiamo in avanti, incontro agli ostacoli. Ci fermiamo, riflettiamo, consideriamo soluzioni alternative, prendiamo alcune decisioni, e continuiamo il nostro cammino. Così fa l’uomo del tango, così facciamo noi tutti ogni volta che la situazione ce lo richiede, o meglio, sarebbe auspicabile che le cose andassero così.
Invece, spesso, gli ostacoli appaiono insormontabili, la paura della paura ci blocca e forse indietreggiamo, perdiamo forza, le idee restano ma non producono risultati.
Come un uomo alle prime armi quando cerca di imparare a ballare così noi rischiamo di volta in volta di rinunciare a un progetto, a un’ambizione, alla realizzazione di un desiderio. Ma, se l’uomo può decidere di non imparare a ballare, noi siamo costretti a provare a vivere, a ballare conducendo.
In questi anni ho ballato con tante donne e tanti uomini. Ognuno con la propria energia, con i propri disagi, con il proprio istinto vitale. E ognuno guida in modo diverso. Con quale impeto porterò a termine il mio compito? E quale è il mio reale interesse nel portarlo a compimento? È facile vedere nel ballo tutto questo. Ricordo donne condurre come amazzoni e le stesse donne restare senza forza alcuna davanti alla stessa persona. Cosa era cambiato? La motivazione, l’accensione vitale. Capita, durate i miei seminari pubblici ma anche durante gli incontri individuali, che le persone si accorgano, ballando e conducendo, come stiano cercando di perseguire obiettivi che non sentono propri ai quali potrebbero anche rinunciare. Parimenti, si osservano persone dotate di grandi
quantità di energia che guidano altre persone solo per il fatto che hanno chiarito in sé qualcosa di importante, che hanno scoperto cosa vogliono davvero. Spesso immaginiamo di essere in un solo modo, come unidimensionali. Pensiamo che davanti a una data situazione si possa reagire con una sola modalità: quella che conosciamo noi. Una disciplina come il TangoOlistico ci mostra diverse opportunità, differenti alternative.
A volte mi basta suggerire a una persona che ne sta guidando un’ altra di cercare di raggiungere un obiettivo concreto, una sedia, una porta. E il solo fatto che la persona abbia davanti a sé l’obiettivo, cambia completamente l’abilità nella guida. Troppo spesso la nostra energia è bloccata in una dimensione di compressione, in attesa che qualcosa si chiarisca davanti a noi, e se questo chiarimento non arriva, rischiamo di implodere, stancandoci moltissimo e restando fermi in una vibrazione infinita. Ricordo di essere stato guidato da una donna che mi teneva fortissimo ma non mi portava da nessuna parte. Sembrava molto intenta in quello che stava facendo. Ma cosa stava facendo? L’effetto era quello di far salire la mia ansia e la mia preoccupazione che, di rimbalzo, paralizzavano ancora di più il suo corpo.
Ma cosa stava facendo? Mi parlava di una nebbia che improvvisamente le velava gli occhi. Approfondendo i suoi temi scoprimmo che era bloccata in una scelta importante da fare ma si era talmente tanto sforzata di scegliere che alla fine era rimasta compressa e questo emergeva chiaramente nel ballo. Abbiamo utilizzato insieme quella forte energia corporea per comprendere quale fosse la direzione migliore per lei e, alla fine, guidava come una furia!
Altre volte mi è capitato di vedere negli occhi di uomini e donne una idea chiarissima ma, queste persone, non riuscivano a trasformarle in azione, in i. Si può sapere cosa si vuole ma non crederci, non credere di essere capaci, abili a vivere quell’esperienza.
La sottoparte dinamica, presente in tutti noi, può essere molto nascosta o,
all’opposto, molto manifesta. Un eccesso in un senso o nell’altro è spesso segno di una difficoltà, soprattutto quando la persona non è consapevole di quello che sta facendo. Vedremo più avanti come questa disciplina offra molteplici strumenti per svelare, potenziare o moderare questa energia di spinta, di forza.
La sottoparte accuditiva
Quando l’uomo del tango guida non dovrebbe mai dimenticarsi di quello che sta facendo: sta abbracciando una donna. Ahimè non è sempre così. Ma è evidente a chiunque che il gesto dell’abbraccio è evocativo di tutta una serie di atteggiamenti propri di ogni essere umano nella relazione con l’altro. Se l’uomo non dimostra di prendersi cura della sua dama, questa non lo seguirà e ogni tentativo di forzare, nel proposito di portare la donna nel ballo, sarà vano. Il gesto fondamentale è l’abbraccio con il braccio destro dell’uomo che cinge la parte alta del dorso della donna. È un gesto di attenzione, di contenimento, poco erotico e molto affettivo teso a rassicurare la dama che tutto va bene. Come nella sottoparte dinamica, questo gesto è continuativo, ma in questo caso anche fermo, presente. È un gesto denso di significati ancestrali e primitivi che trovano la migliore rappresentazione nel modo in cui la madre si prende cura della prole.
Ecco che un gesto appannaggio esclusivo dell’uomo nel tango argentino, appartiene a tutti noi, uomini o donne
Come vedremo più avanti, nella donna del tango manca questa dimensione di affettività attiva mentre, in lei, troveremo specifiche di sensibilità e presenza. Immagino il lettore o la lettrice che ora si chiederà quale strana disciplina sia questa che associa comportamenti femminili a ruoli maschili! Ma come spesso affermo durante i miei seminari, il TangoOlistico non si basa sulla differenza di genere sessuale ma sulla differenza di energia, di intenzione, di atteggiamento che sono propri di ogni essere umano a seconda della situazione in cui si trova. L’importante è che lo schema di riferimento sia funzionante e completo e comprenda la possibilità di esprimersi a chiunque al di là del suo sesso.
Mi sono trovato spesso davanti a situazioni bizzarre. Uomini che abbracciavano con una dolcezza inimmaginabile e donne che, invece di cingere l’altro, lo arpionavano con artigli dolorosi. Dipende da come stiamo, dalla nostra storia, dalla nostra sofferenza e dai nostri bisogni. Ognuno interpreta questo abbraccio attivo in modo diverso. Quale dunque l’importanza di questa sottoparte? Enuclearla in modo chiaro ci permetterà di scoprire qualcosa di nuovo di noi. Un abbraccio troppo stretto potrà essere indice, per esempio, di una richiesta di affetto invece che di una offerta, un abbraccio inconsistente, di una paura di fare del male all’altro e così via.
Il primo e a volte unico obiettivo che mi pongo con i miei clienti é quello di favorire in loro uno svelamento di verità. Quando ci accorgiamo, ci accorgiamo davvero di una nostra modalità, di come si declina, di come si manifesta, facciamo un grande o verso il benessere perché non mentiamo a noi stessi e tutto appare più chiaro anche in una situazione dolorosa. Quello che davvero ci fa soffrire é l’ambiguità, la nebbia, la perdita di coscienza di ciò che accade dentro di noi o nell’ambiente che ci circonda. Se scopro che il mio modo di abbracciare nel tango non mi soddisfa ma lo riconosco mio, questo porta inevitabilmente a un cambiamento di prospettiva soprattutto se questo accorgermi si accompagna a una voglia di vivere soluzioni alternative per vedere se queste meglio corrispondono ai miei desideri.
A volte basta un semplice esercizio, una suggestione, per portare un cliente a deviare il suo abbraccio dall’attitudine presente verso qualcosa che spesso non ha mai provato. Una volta una signora che abbracciava duramente e senza tenere conto dell’altro, si commosse moltissimo quando la invitai a tenere la sua mano destra leggermente sollevata dalla schiena della sua compagna di ballo, per tutta la durata del ballo. Si accorse, infatti, di quanto la sua compagna desiderasse sì il contatto della sua mano ma non nel modo che lei proponeva e del quale non era per niente consapevole. A volte i clienti mi chiedono quale sia il modo giusto di abbracciare! Rispondo spesso che il modo giusto è quello che loro stessi desidererebbero ricevere.
Spesso propongo, infatti, suggestioni di ballo in cui invito le persone a immaginare di ballare con sé stessi con l’idea di non prendersi cura dell’altro bensì, appunto, di sé stessi.
Ma di questo più avanti. Fatto sta che l’abbraccio adeguato in quel momento con quella persona, sviluppa nell’altro un senso di vita, di individuazione e di calma che ci porta direttamente al momento subito successivo alla nostra nascita, quando veniamo portati a contatto, per la prima volta, con la mamma che (auspicabilmente) ci abbraccia. Questi fenomeni lievemente regressivi sono molto comuni negli incontri che propongo. Ci si permette di tornare un po’ bambini fra le braccia della mamma che nella situazione di ballo può corrispondere anche, ma non solo, a ballare guidati da un uomo che a sua volta si sta scoprendo nella sua parte accuditiva!
Ma torniamo all’uomo del tango perché è arrivato il momento di provare a mettere insieme queste due sottoparti. Immaginiamo l’uomo come un guanto.
La donna viene protetta da questo guanto che avvolge con due direzioni energetiche. L’uomo, infatti, porta il corpo della donna a contatto con il suo petto e, contemporaneamente, la abbraccia sul dorso. Questa contemporaneità è l’essenza dell’equilibrio della parte attiva: porto, conduco, e proteggo nel contempo. Senza scegliere, senza dare precedenza a una delle due sottoparti, per far stare bene la donna e portarla nel gioco, nel godimento, nel divertimento. Arduo davvero il compito dell’uomo del tango nel cercare di compenetrare e manifestare queste due energie! Come arduo è il nostro compito nella vita quando vogliamo convincere noi stessi e gli altri della bontà di una nostra azione, della credibilità di un nostro progetto e non siamo mai credibili quando non proteggiamo le nostre idee.
La parte ricettiva
Sono sempre rimasto affascinato dal ruolo della donna del tango. C’è in lei un equilibrio, una sapienza, un movimento puro.
Quasi fosse una marionetta viva e presente che diventa movimento senza provocarlo, come una risposta senza proposta, una luna illuminata e delicata che si muove consapevole e costante.
Nella coppia di tango riluce, infatti, principalmente la donna con i suoi abiti, le sue scarpe colorate, e soprattutto il suo corpo. Non è forse più facile vedere i dettagli della Luna piuttosto che quelli del Sole? Vedremo come l’aspetto dei dettagli sia fondamentale nella lettura di questo ruolo nel TangoOlistico. La donna segue in modo consapevole e in questa frase c’è già quasi tutto ciò che conta.
Proviamo, come abbiamo fatto per la parte attiva, a suddividere questa parte in due distinte sottoparti.
La sottoparte di presenza.
La donna del tango non è niente se non ha forma, se non ha struttura. Così siamo noi nella vita. Ogni problema di autostima, per esempio, si manifesta con una presenza manchevole, come se rinunciassimo a farci vedere per quello che siamo, proprio perché quello che siamo rischia a volte di non piacerci. Una donna che balla bene manifesta nella sua postura, nel suo modo, una autostima alta, equilibrata, sostanziosa. Cosa accadrebbe invece se si accasciasse sull’uomo? Se rinunciasse a sé per tentare di soddisfare il desiderio di un uomo? Il primo effetto sarebbe, ed è, quello, di risultare pesante, di creare disagio e un inevitabile allontanamento. Quando ci lamentiamo, per esempio, assumiamo una
postura rivolta verso l’altro ma invadente che non rispetta i confini. La donna del tango sa bene che il ballo funziona se lei non rinuncia alla sua persona, alla coscienza di chi è e di cosa è disposta ad accettare. La sottoparte di presenza si manifesta in primo luogo con una postura definita, stabile, adeguata e soprattutto consapevole. Se nelle sottoparti attive avevamo visto forza e determinazione da una parte e accudimento dall’altra, in questa sottoparte evidenziamo soprattutto la coscienza di sé, la consapevolezza di avere un corpo e del suo funzionamento, dei suoi confini, e anche del suo apparire verso l’esterno senza però occuparci della sua attivazione bensì solo della sua esistenza.
Se esisto, se mi vedo, se mi accorgo di come sto, allora posso pormi serenamente in relazione con l’altro.
Ricordo una cliente che lamentava di non stare mai bene con i suoi partner ma non ne capiva il motivo. Durante un ballo con lei mi accorsi che, quando provavo a spingere con il mio braccio sinistro il suo destro, (una prova che faccio spesso) lei tendeva a cedere visibilmente e a cambiare il suo asse e il suo modo di seguirmi. Come conseguenza di questo meccanismo non riuscivo più a guidarla. Inoltre, il suo disappunto era evidente anche se non ne comprendeva il motivo. Mi disse che si sentiva incapace ed inadatta a ballare con me. Ma ciò che aveva innescato tutto questo era che lei mi aveva lasciato entrare nel suo spazio, attraverso il mio braccio sinistro, come un coltello con il burro. Non poteva stare bene con me (o con il suo uomo) se rinunciava in quel modo ai suoi spazi. Secondo questa disciplina, lei si dimostrava così molto carente nella espressione della sottoparte di presenza.
Al mio proporre un o lei non provava a seguirmi bensì cambiava la sua postura, invece di comunicare chi fosse mediante la sua postura!
Magia rivelatrice del tango. Stiamo vedendo cosa accade quando una persona non dice chi è perché rinuncia a dirlo in primo luogo a se stessa. Questa rinuncia viene pagata carissima con un problema relazionale, in questo caso con il
partner. Ricordo che rimase sorpresa quando le dissi di provare a dire ai suoi uomini chiaramente e a testa alta (in tutti i sensi) chi fosse, come si chiamasse, cosa volesse. Non lo aveva mai fatto. Così la donna del tango dice chiaramente all’uomo cosa vuole: ballare bene. “Fammi ballare bene”. E perché questo possa avvenire dice chi è con la sua postura, la sua tensione, e le sue scarpe colorate.
E quando il cliente è un uomo?
Ricordo un padre di famiglia che mi offriva un comportamento remissivo, parlava a voce molto bassa e faceva di tutto per apparire gentile ed accondiscendente. Ballò nella parte ricettiva così come mi immaginavo. Portò subito la testa ad appoggiarsi sulla mia spalla come chi si sdraia su di un letto dopo una grande fatica. Nella sua famiglia lui esisteva solo per gli altri. Si dava un gran da fare per tutti salvo poi lamentarsi con me di non riuscire più ad andare avanti così.
Per lui, già solo la consapevolezza di poter provare ad alzare la testa durante un ballo con me, gli permise di vedere la sua vita con un’altra prospettiva e di provare a manifestarsi con la sua struttura e la sua volontà La donna del tango non rinuncia mai a stare in piedi. Seguendo la strada proposta dall’uomo e ando sempre il peso da una gamba all’altra, si dimostra sì attenta alla guida dell’uomo ma, nel frattempo, continua a tenere il contatto con la terra parzializzando gran parte del suo peso verso terra e solo una piccola parte sull’uomo. Questa piccola parte trova come canale di comunicazione il contatto con il petto a livello del cuore e, dunque, la comunicazione con l’altro ma continuando a sentire il pavimento per stare in piedi e poter ballare, poter vivere.
Mi accorgo subito se sto ballando con una persona che porta un disagio di autostima da come questa porta il suo peso sulla terra, dal contatto dei suoi piedi sul pavimento.
Se non sono in grado di sentire il pavimento non sento me stesso e, come naturale conseguenza, non sento il mio compagno o la mia compagna rinunciando così ad una comunicazione relazionale.
La sottoparte sensibile
Come vedremo quando esporrò i contenuti del seminario sul linguaggio del corpo, vi sono due tipi di contatto fisico con l’altro: il contatto dato e quello ricevuto. Due energie complementari e profondamente diverse che, integrate, ci definiscono nel rapporto con gli altri esseri umani. Nel Tango Argentino la donna sperimenta primariamente il contatto ricevuto. L’uomo la cinge dietro la schiena e la contatta con tutto il busto e la tiene per mano con la sua mano sinistra. Una connessione densa di molteplici significati di trasmissione, una possibilità potente di invasione, di contagio, di dolore o di piacere. Con la coscienza corporea, spesso non consapevole a livello mentale, la donna modera questa parte di pura sensibilità con la sottoparte di presenza che la protegge dicendo il suo nome e la sua struttura. Per ballare bene, la donna deve potere dare voce a questa parte sensibile senza lasciarsi invadere completamente, deve potere filtrare l’energia maschile senza però ostacolarla e modificarla. È questa, in primo luogo, la sottoparte che ci dà la possibilità di godere, di sentire, di sentirci. Il problema di base, legato al sentire, per ognuno di noi, è che quando il nostro corpo, la nostra anima, apre la valvola del sentire, non sa cosa potrà trovarvi. Cosa si nasconde dentro lo scrigno del sentire? Dolore o piacere? È questo dilemma insito nel nostro organismo che, spesso, chiude la valvola lasciandoci freddi e distanti.
Troppe sono le occasioni della nostra vita, soprattutto nella nostra infanzia, dove il sentire è stato doloroso e non abbiamo potuto difenderci. Cosa accade quando, da adulti, ci viene offerta la possibilità di sentire? La reazione più automatica, di difesa, è l’attivazione. Fare qualcosa per evitare di sentire il contenuto dello scrigno. Quando insegno tango e ugualmente quando mi prendo cura dei miei clienti di TangoOlistico mi capita spesso di sentire i loro corpi che, istintivamente, fanno di tutto per non seguirmi nei i della danza. A volte si
tratta di un movimento consapevole dove la donna o l’uomo mi spiegano che non vogliono “lasciarsi andare”. A volte invece questi movimenti di attivazione del corpo della persona che segue nel tango, sono apparentemente inconsapevoli. Mi è capitato di guidare persone che avevano recentemente perso un familiare e vivevano quindi un lutto. Alla fine del ballo chiedevo loro come si fossero sentiti e la risposta era: “ non so, mi sembra bene”.
Ciò che avevo sentito io era una fortissima resistenza e una tendenza di pari portata a guidarmi. Il motivo di questo atteggiamento, di questa energia appare chiaro. Lasciarsi portare davvero avrebbe significato aprire un varco nel loro sentire dove c’era, inevitabilmente, dolore. Il loro organismo, così, manifestava una auto-protezione a quell’accesso. Quale potrebbe essere un beneficio del TangoOlistico in casi come questo? La coscienza di quello che il cliente sente. Il legare il nostro stato di salute dell’anima all’energia corrispondente per partire da lì, misurando il mio sentire per poi, con i miei tempi, cambiarlo dandogli in primo luogo voce.
E dare voce al dolore significa poterlo rendere esplicito e anche ridimensionarlo nella sua verità lasciando spazio ad un altro sentire. Spesso accade che dopo uno o più balli durante i quali un mio cliente sfoga il suo dolore, nei successivi accade qualcosa di nuovo e di inaspettato, come se l’operatore di TangoOlistico avesse una funzione di elicitazione del fenomeno doloroso, come se si desse al cliente la possibilità stessa di manifestarsi per ciò che è in quel momento (una persona che soffre) per poi restare accessibile anche ad emozioni “buone” e vivificanti.
Naturalmente il dolore non sparisce ma trasforma la propria energia poiché l’organismo desidera sempre stare meglio di come sta oggi. Il punto è trovare modi per permetterglielo. Essere guidati da una persona che sa cosa sta facendo (come la donna del tango col suo cavaliere) non è solo una esperienza rassicurante ma è soprattutto una apertura verso il nuovo, verso un differente stato. Quando mi capita di essere guidato bene da un mio cliente, uomo o donna che sia, mi capita spesso di provare una vertigine inebriante che mi lascia con un
sorriso di pienezza e di curiosità.
Le tanghere sanno bene che un ballo in milonga può essere una esperienza normale, abitudinaria, oppure qualcosa di straordinario, come di irripetibile. Cosa la rende tale? Durante un seminario o una seduta individuale io faccio tutto ciò che è in mio potere per rendere reale e in qualche modo ripetibile, quel tipo di esperienza.
Approfondiremo questo tema nel capitolo “ Eros come innesco vitale”. Vediamo ora come si possano sintetizzare queste due sottoparti.
Se la parte attiva risultava come una composizione integrata del fare e dell’accudire, nella parte ricettiva osserviamo un legame indissolubile fra il sentire e l’essere. Potremmo affermare che, nella parte ricettiva, scopriamo come stiamo (sottoparte sensibile) e chi siamo (sottoparte di presenza). Come abbiamo già accennato, la donna del tango ben sa, senza saperlo, come queste due sottoparti siano connesse e vivificate l’una dall’altra. Non sapremo mai chi siamo se non ci sentiamo e non potremo mai sentirci, se non in una dimensione di disagio confuso e annebbiato, se non siamo, se non stiamo davanti alla vita. Durante una esperienza di TangoOlistico il lavoro sulla parte ricettiva è il più delicato e, al contempo, il più pregno di messaggi rivelatori sul nostro stato di benessere o disagio.
Un radicale lavoro sulle polarità dell’anima
Mi trovo a Valdagno (VI) e sto conducendo un gruppo di pazienti alcolisti, all’interno di un progetto di riabilitazione. Propongo un primo esercizio di scambio di ruoli.
Nei pazienti è visibile, in gradi diversi, un certo cambiamento di espressione e di postura mentre cambiano il ruolo. Utilizzo il TangoOlistico con l’obiettivo di permettere loro di manifestare cambiamenti emotivi in maniera consapevole. Come spesso mi accade noto che i pazienti meno patologici, i quali non sommano altre patologie specifiche al problema della dipendenza dall’alcol, reagiscono meglio e riescono a manifestare in qualche modo le differenze fra i due ruoli.
Ad un certo momento noto che una coppia, composta da un ragazzo e da una signora, balla in una maniera particolarissima. Si tengono a circa un metro di distanza, hanno gli occhi aperti (o meglio, sbarrati) e, per quanto io mi sforzi di comprendere, non riesco ad attribuire ad uno o all’altra, il ruolo che stanno interpretando. Chi guida? Chi viene portato? Chiedo lumi al mio collega, un medico psicoterapeuta che dirige il gruppo continuativamente e conosce la storia di ogni paziente, e mi svela dolorose patologie e storie cliniche importanti di entrambi. Abusi, problemi psichiatrici pregressi ed attuali, utilizzo necessario di psicofarmaci.
In me, il dolore per la loro situazione si mischia alla coscienza che l’intuizione centrale relativa al meccanismo del TangoOlistico è corretta.
Più la persona è incosciente di sé, problematica, patologica, più si rende difficile,
a volte impossibile, interpretare (essere) una delle due parti del TangoOlistico. Perché accade questo? Ogni nostro disagio psichico, esistenziale, relativo al nostro animo, trae origine, forza ed energia dalla nostra confusione. Quando ci troviamo davanti ad una emergenza (andare al pronto soccorso o portarci un parente, avere pochissimo tempo per completare un lavoro ecc.) il nostro organismo quasi sempre sa esattamente cosa fare. Trova le energie che ci sono e le utilizza al meglio. Ovviamente, avere a che fare con una emergenza non è una bella cosa, non stiamo bene. Eppure siamo in grado di portare avanti le nostre energie con una certa coscienza di noi stessi.
Ogni volta che vedo un cliente nel mio studio cerco di aiutarlo, durante i primi incontri, a comprendere dove sia la sua confusione, nel disagio che mi porta. E c’è sempre una confusione, a volte palese, a volte nascosta. Siamo quasi sempre davanti ad un bivio: una separazione amorosa, una scelta lavorativa, una casa da cambiare.
A volte i bivi sono combinati fra di loro e, più sono combinati, più le nostre energie non sanno come muoversi. Nella gran parte dei casi creano in noi un blocco, una resistenza, una indisponibilità a fluire, a vivere. Più non troviamo soluzioni per noi, per il nostro disagio, e più questo circolo vizioso si complica, si somma, si allarga e la confusione aumenta fino a non trovare più il bandolo della matassa e a non sapere più esattamente perché stiamo male. La lucidità dolorosa che proviamo nell’affrontare una emergenza, in questo caso, è latitante.
Nel caso dei due pazienti alcolisti, questo problema era di notevole entità e il loro blocco energetico era intensissimo. L’uomo del tango deve sapere, sempre, esattamente, cosa sta facendo. Ogni volta che perde questa coscienza, il tango fra lui e la sua dama perde qualcosa. La donna del tango deve mantenere per tutto il ballo la disponibilità energetica ad essere guidata, o meglio, deve continuare per tutto il tango a “sentire”. Ogni interruzione di questa antenna ricettiva peggiora la qualità del tango.
La parola centrale, dirimente, risolutiva è “chiarezza”.
Ogni volta che so cosa mi sta accadendo con precisione, nel mio corpo, nel mio animo, questo ha un potere ansiolitico, discriminante, chiarificatore. Se non conosco i componenti della mia automobile, difficilmente potrò tentare di ripararla. Ma conoscere questi componenti mi porta automaticamente nell’energia corretta per provare a ripararla.
I due pazienti alcolisti non sapevano cosa stesse accadendo loro. Erano macchine spente ed incoscienti. In questo modo, l’esercizio dei ruoli del TangoOlistico mostrava il loro grado di incoscienza e confusione.
Il primo obiettivo di una qualunque esperienza di TangoOlistico (individuale, di coppia, in gruppo) consiste nel comprendere con la maggiore chiarezza possibile la differenza fra i due ruoli attivo e ricettivo. Prima cognitivamente e poi in modo esperienziale o, spesso, viceversa.
Ho avuto modo di vedere e ascoltare persone che mi dicevano di avere un’ingombrante parte attiva, potente e disturbante. Ho avuto modo di vedere le stesse persone incapaci di guidare intorno alla stanza una donna fragile e minuta.
Quanto poco conosciamo le nostre dinamiche? Il contenitore dei due ruoli è in grado di dire qualcosa al riguardo. In primo luogo produce una bella iniezione di umiltà nei nostri confronti. Accorgerci, in modo diretto e inequivocabile, che le cose non stanno esattamente come pensavamo, produce una maggiore connessione col nostro sentire profondo e questo ci aiuta a contattare la strada giusta per risolvere il nostro problema.
In secondo luogo ci permette di utilizzare uno strumento capace di misurare questa coscienza di noi. Quanto sono in grado e in che modo di aderire ad uno schema che mi viene proposto? Come mi sento e, soprattutto, come muta questo sentire nel tempo? Quanto potrò godere nell’essere condotto? Quanto potrò essere soddisfatto nel condurre? Ecc. ecc.
Mi piace immaginare il TangoOlistico come una spugnetta ben insaponata che è in grado di pulire un po’ e sempre più la lente che filtra la conoscenza della nostra anima. Più riuscirò a pulire questa lente e più potrò decidere dove andare, da chi andare, con chi stare, come godere della vita.
Ora, un aspetto fondamentale di questa disciplina risiede nel fatto che si può essere attivi o ricettivi in diversi gradi di quantità e qualità. Se l’obiettivo è la conoscenza di se stessi, allora più riusciremo a colorare, infiammare, manifestare queste parti e più potremo conoscerci, declinati in queste due energie. Ora dovrebbe apparire più chiaro il collegamento con le teorie del filosofo Friedlaender esposte nel capitolo sulla teoria della disciplina.
Quanto più mi rendo consapevole delle mie parti tanto più avrò il potere di disporre di me in quanto individuo intero. In particolar modo, tanto più mi allontanerò da un punto centrale di indifferenza, sperimentando me stesso, tanto più avrò la possibilità di riportarmi in esso e vedere gli estremi come se mi trovassi al centro di un campo la cui ampiezza mi determina, mi dà identità e mi permette di muovermi. Più il campo che vado a scoprire è grande e maggiore è la mia possibilità di manifestarmi.
Viviamo tutti condizioni di vita parziale. Siamo troppo attivi o troppo ricettivi. Difficile trovare un equilibrio se conosco solo una parte di me. Vedremo più avanti come queste due parti abbiano un misterioso modo per parlarsi con l’obiettivo di trovare una integrazione. Per adesso ci limitiamo a studiare la ampiezza del campo come premessa per una conoscenza del campo stesso. Mi piace definire il TangoOlistico come uno stretching psicofisico, organismico.
Quando pratichiamo una ginnastica abbiamo almeno due obiettivi: diventare più flessibili e diventare più performanti. I due obiettivi sono interconnessi così come nel TangoOlistico. Ma la flessibilità è di gran lunga più importante perché ci permette di scegliere a seconda della situazione nella quale siamo calati.
Pensiamo ad un rapporto di coppia. Nel dare e ricevere intrinseco di ogni relazione, i due aspetti dovrebbero avere sempre pari importanza ma… quando dare e quando ricevere? I miei clienti sperimentano entrambe le modalità. L’uomo del tango è impegnato nel dare, dare piacere, dare movimento, dare vita. La donna è impegnata nel sentirsi, nel godere, nel lasciare il corpo fluire. Ma in un rapporto di coppia entrambe le persone ricoprono i due ruoli. Quale è la tua modalità dominante in una relazione? Ognuno, ballando, avrà modo di osservarsi in una modalità più accesa, più manifesta, oppure, soprattutto all’inizio questa differenza non sarà così chiara.
A questo punto inizia lo stretching. Non mi accontenterò di guidare un po’ la mia dama. Cercherò di guidarla con tutti gli strumenti di cui posso disporre e, mentre la guido, mi prenderò cura di lei col mio abbraccio tenero e forte. E potrò fare questa operazione in mille modi. Alcuni già li conosco, altri li posso imparare attraverso varie suggestioni del TangoOlistico, con l’obiettivo di allargare la mia capacità esperienziale di esistere all’interno della relazione. E l’altra parte? In un ballo successivo potrò farmi guidare e sperimentare la mia modalità di abbandono, di ascolto, di percezione di me stesso. Non c’è limite alla possibilità di provare piacere. E, se c’è, è molto lontano da ciò che provo oggi.
Frequentemente, durante i seminari, trovo persone che si stupiscono di quanto siano riusciti a lasciarsi andare. Mi confidano, a volte, di non aver mai provato una sensazione simile. Accade spesso anche nel caso che il cliente sia un uomo, così restii, noi uomini, a permettere ad altri di penetrarci l’anima. E mi è capitato di vedere uomini trasfigurati dopo un ballo in ricezione, quasi increduli di questa possibilità. Se la frequentazione dei miei seminari non si limita ad una esperienza singola, come per esempio nel caso di incontri individuali settimanali, noto spesso come i miglioramenti siano discontinui ma costanti e permettano ai
clienti sempre nuove scoperte di sé in entrambe le parti.
Ma non sono sempre rose e fiori. Permetterci di esplorare, per esempio, la nostra capacità di sentire, presuppone il rischio di trovare, nel nostro scrigno interiore, non solo piacere ma anche dolore. Spesso qui il processo di autoconoscenza si interrompe perché il cliente si impaurisce e si ferma, non più disposto a fare stretching. Allo stesso modo, la guida può risultare frustrante perché la persona può avvertire anche fisicamente i propri limiti nel prendersi cura di qualcuno, e nel portare all’altro la propria energia. Lavorare sulle due parti e le relative sottoparti di questa disciplina presuppone la coscienza di intraprendere un viaggio nelle proprie emozioni.
La promessa intrinseca che esplicito sempre ai clienti è di proporre un viaggio il più possibilmente ordinato. Sapere, infatti, dove collocare una emozione, se farla riferire ad una parte attiva generica o alla sottoparte dinamica oppure ancora alla sottoparte ricettiva sensibile, ci permette di comprendere il meccanismo interiore che ci porta a quella emozione e, da questo sistema ordinato, il cliente si sente in qualche modo protetto e condotto.
Ma torniamo ancora al lavoro radicale polare. Una volta una cliente mi disse “Non avrei mai pensato di lasciarmi andare così!” Questa affermazione avvenne dopo un ballo tranquillo, piuttosto neutro, dove non avevo notato nessuna particolare reazione emotiva in lei e il suo corpo non aveva lanciato messaggi di abbandono. Comprendevo che in quella affermazione c’era un grande desiderio di lasciarsi andare ma questo non corrispondeva alla realtà percepita. D’altra parte questa affermazione (piuttosto comune) dice anche che, ad oggi, quello stato di abbandono quale che sia, è considerato come un limite attuale al di là del quale il cliente non sa cosa si possa provare e questo fa, inevitabilmente, paura.
Il TangoOlistico mi permette di lavorare con clienti di questo tipo accompagnandoli lentamente verso un sentire più profondo e, una volta raggiunto un livello più alto, mi permette di esplicitare al cliente il raffronto con
la situazione di partenza, aiutato dalla sua memoria corporea che registra ciò che avviene durante gli incontri. Si può osservare un meccanismo simile nel cliente che guida e sente di avere toccato un limite. Ricordo una ragazza felicissima di aver convinto un uomo a ballare con lei, portandolo lentamente in giro. Ma le sue potenzialità, come vedemmo poi, erano ben altre.
Spesso nella guida vediamo il grado di aggressività che riusciamo a manifestare nei confronti dell’ambiente. In questo caso lavoriamo sulla sottoparte dinamica. Questa parte aggressiva può essere accesa anche da semplici obiettivi spaziali inseriti nell’aula dei lavori, o con suggestioni legate alla vita reale del cliente. Ogni volta che non troviamo una reale motivazione per condurre, per portare qualcuno, la conduzione non avviene, oppure avviene in modo insignificante, privata della sua energia. Vedremo in modo più analitico nella parte del libro dedicata ai contenuti dei seminari e agli argomenti dell’anima, come questa aggressività possa trovare spazio attraverso esercizi e temi specifici.
Immaginiamo che le nostre due parti attiva e ricettiva siano due stanze in penombra. Il TangoOlistico ci offre l’opportunità di muoverci fra le sedie, gli armadi, i tavoli di queste due stanze, con una lanterna più o meno accesa a seconda del nostro stato emotivo, per fare luce sui nostri modi di vivere e manifestarci nel mondo e dentro di noi. A volte la lanterna si incendia e vediamo la stanza nella sua interezza, per esempio durante uno dei tipici abbandoni vigili e sensuali durante un ballo ricettivo. A volte la luce è fioca e dobbiamo concentrarci per comprendere e sentire ciò che sentiamo in quel momento. E la luce contrastata della lanterna fioca ci consente di definire meglio i dettagli, le ombre, le differenze che ci contraddistinguono.
Alcuni giorni fa ho rivisto quella coppia di pazienti alcolisti mentre ballavano insieme. Non posso sapere cosa vedano delle loro stanze, oggi, ma posso vedere gli occhi chiusi e sereni di lei (anche se solo per i cinque minuti di un tango) e il sorriso convinto di lui mentre la stringe un poco e guarda avanti conducendola.
La comunicazione emozionale: il contatto e lo svelamento relazionale
Cosa accade quando abbracciamo una persona? Come già accennato, normalmente, l’abbraccio è qualcosa di condiviso. Non vi è una persona che abbraccia un’altra, bensì due persone che condividono un gesto di affetto, magari con intensità diversa ma pur sempre agendo entrambi l’abbraccio. Nel tango accade qualcosa di profondamente diverso. È l’uomo che abbraccia la donna. Lei, accetta l’abbraccio ma non lo cerca, non risponde attivamente all’abbraccio. Il modo stesso del tango ce lo spiega. L’uomo cinge il dorso della donna con il suo braccio destro e le prende la mano con il sinistro. La donna accetta di venire abbracciata e condivide col suo braccio destro la presa della mano. In questo ballo, la donna non abbraccia l’uomo. Si fa solo abbracciare.
Come avrete già intuito, nel TangoOlistico, che è una disciplina che fa della chiarezza nei gesti e nelle energie una caratterista centrale, uomo e donna hanno la stessa possibilità di agire l’abbraccio quando si trovano nella parte attiva. Quando abbracciamo un amico, l’energia sprigionata da entrambi si confonde, si mischia, si cumula, perché durante un abbraccio non c’è nulla da comprendere, ma solo affetto da condividere. Durante un ballo di TangoOlistico, invece, noi siamo interessati principalmente a noi stessi, al nostro essere, sentire.
La pulizia delle energie sprigionate dalle due persone è, per questa ragione, centrale. Spesso, durante i seminari, spiego che nel TangoOlistico non ci si abbraccia mai, bensì si abbraccia un’altra persona!
Quando io abbraccio la mia dama porto la mia energia verso di lei. Lei, come complemento, la accetta, la fa entrare in sé. Questa prima spiegazione del processo è fondamentale per comprendere come la modalità di comunicazione corporea della disciplina possa produrre consapevolezza e benessere.
Cosa accade, dunque, quando la mia energia viene in parte portata nel corpo dell’altra persona mentre la guido? Succede che, in definitiva, il mio organismo spiega, declina, porta nell’organismo dell’altra persona una parte del mio essere, del mio manifestarmi, e questo processo è vissuto dall’altra persona come un filtro necessariamente attivo, dove questa energia trova varchi ma anche blocchi, resistenze, impegni. Più chiaramente le due parti si manifesteranno e più chiaramente queste informazioni emotive e corporee potranno trovare spazio fra i due corpi, partendo dal contatto che si crea. Ma la natura di questa comunicazione è estremamente complessa. Mentre il mio corpo nella parte attiva parla a quello che riceve, viene necessariamente influenzato dal corpo dell’altra persona. Per esempio, se ballo con una donna per la quale provo eccitazione, il contatto farà si che la mia energia cambi e così questo cambiamento arriverà in qualche modo dall’altra parte che, a sua volta, risponderà inviando altri segnali e così via.
Come risolvere questo rebus comunicazionale, e soprattutto come renderlo utile per il nostro scopo di benessere? In primo luogo dobbiamo comprendere un determinante effetto portato dall’evento del contatto.
Quando le due parti attiva e ricettiva si toccano, immediatamente diventano reali, ovverosia, il contatto stimola e amplifica l’auto-percezione delle due persone.
Più le parti sono complementari fra di loro, ovvero più le due persone stanno interpretando chiaramente le parti, e più chiaramente queste si manifesteranno. Si tratta di un circolo virtuoso che rende più o meno possibile tutto il meccanismo del TangoOlistico. Perché avviene questo?
Quando il bambino nasce è ancora pregno del contatto interno con la madre e, anche se non è più nella pancia, non è ancora collocato con un suo spazio, nel
mondo. Ma quando lo si appoggia al seno, allora sì, inizia il suo processo di individuazione nel mondo. Siamo animali sociali. Abbiamo necessariamente bisogno dell’altro per essere, per vederci, per riconoscerci. E’ tale il potere del contatto nel TangoOlistico che, a volte, basta che una delle due persone manifesti in modo chiarissimo la parte che interpreta, che l’altra parte non potrà fare altro che accendere di più la propria, amplificando così la complementarietà energetica.
Il contatto dunque accende le parti e questa accensione favorisce la conoscenza di noi stessi. In che modo? Il TangoOlistico è una disciplina in cui i fenomeni relazionali sono importantissimi. Eppure il cuore del lavoro che propongo non è relazionale bensì individuale. Il contatto con l’altro mi aiuta a conoscermi. E’ questo il primo obiettivo che mi pongo abbracciando l’altro. La possibilità che io mi conosca deriva essenzialmente dal fatto che il contatto è qualcosa di reale e imprescindibile.
Potremmo azzardare l’affermazione che il contatto non dice bugie perché risulta evidente che, durante il contatto, non riusciamo a mentire perché siamo impegnati nel contatto stesso.
La complessità comunicazionale fra i due organismi, dunque, avrà il suo motore nel misterioso fenomeno dei due corpi che si toccano. Studiare cosa avviene al confine del contatto significa studiare la qualità e il contenuto della comunicazione di cui sopra. Ma ciò che rende veramente complesso e, a volte, inestricabile questo modello di comunicazione consiste in ciò che noi vediamo nell’altra persona che stiamo per abbracciare. Dai tempi di Sigmund Freud e via via fino ad oggi, è divenuto sempre più chiaro come la nostra vita relazionale sia densa di meccanismi transferali e proiettivi.
Ci siamo innamorati di quella donna per le sue caratteristiche di donna (bellezza, pacatezza, intelligenza, ecc.) o perché in realtà riconosciamo in lei qualità di un amore irrisolto come per esempio quello verso nostra madre o verso un’altra
figura di riferimento? Non sopportiamo la vicinanza con un conoscente per via delle sue caratteristiche specifiche o perché qualcosa che vediamo in lui ci riporta a mondi lontani popolati da un padre malvagio che non ci ha amato?
Cerchiamo di semplificare per quanto possibile questo complesso meccanismo. Accade che, in seguito al nostro vissuto personale, non siamo sempre in grado di vedere chiaramente, realmente, le persone che ci circondano. I condizionamenti di una vita intera ci portano a proiettare sulle persone questi stessi vissuti e, spesso, non siamo in grado di distinguere chiaramente se stiamo insultando una persona o il fantasma di un genitore. Questo meccanismo proiettivo, così insito in noi, diventa fortissimo quando ci avviciniamo al nostro partner di ballo. Le suggestioni, come vedremo nel capitolo relativo alla guida genitoriale, sono molteplici. Ma cosa accade quando avviene il contatto? La mia esperienza come fondatore di questa disciplina mi consente di affermare che abbiamo una straordinaria possibilità, tramite il contatto, di svelare più chiaramente ciò che vogliamo, chi vogliamo avvicinare e con quale partner vogliamo vivere.
Infatti il contatto può avere un grande potere “anti-proiettivo” perché è denso di realtà.
Ma la guerra che si innesca fra fantasmi (chi io credo di vedere nell’altra persona) e essere umano (la realtà) è aspra. Dopo cinque anni di lavoro con centinaia di persone mi sento pronto a mettere alcuni punti fermi.
Il contatto disciplinato nel modo del TangoOlistico ha un potere dirimente nella percezione che abbiamo dell’altro. Questa percezione migliora con l’aumentare della qualità con cui manifestiamo la parte attiva o ricettiva. Aumentare la percezione che abbiamo dell’altro ci aiuta a migliorare la percezione di noi stessi.
Quest’ultimo punto dice molto del lavoro che propongo.
Mi piace stare ad osservare i miei allievi o i miei clienti dopo un ballo molto intenso. I loro volti, come trasfigurati, sembrano assenti, eppure sento che sono il segnale di una loro nuova introspezione, di nuove coscienze di sé. A volte si ringraziano fra di loro, inconsapevoli del come e del perché si sentano meglio ma grati che l’altro durante i balli abbia favorito, a volte in modo misterioso, la pulizia di quella lente di cui parlavo prima, che ci permette di vedere meglio le realtà, sia quella che ci circonda, sia quella, imprescindibile, che ci definisce nel mondo.
Eros come innesco vitale
Il bambino a molta parte del suo tempo a giocare. Lo fa di istinto. Ne ha bisogno e gli piace e mentre gioca non è interessato a null’altro. Vi sono dei mammiferi come i cani e i gatti che mantengono lungo tutto l’arco della vita questa magica propensione al gioco. Noi umani, invece, ne perdiamo la massima parte.
Il gioco non presuppone altro scopo che non sia il gioco stesso. E’ uno strumento che è anche fine nell’ottenimento di una soddisfazione e di un godimento del nostro organismo. Quando parlo di Eros, in questo libro, intendo la nostra capacità innata a provare piacere anche nel gioco e, dunque, non faccio riferimento unicamente all’aspetto sessuale.
Quando questa nostra attitudine viene svilita, appannata o addirittura cancellata dai fatti della nostra vita, la manifestazione di noi nel mondo subisce lo stesso sbiadimento. Come una televisione alla quale abbiano abbassato il contrasto e la luminosità. Mi capita di ballare con uomini o donne che, a un primo contatto, non mi trasmettono nulla. Provo sgomento, desiderio di allontanarmi, desiderio di occuparmi d’altro. Quando poi parlo con loro, spesso, questa mia sensazione mi viene raccontata come la sensazione che provano i loro partner o familiari.
La nostra predisposizione al piacere, al godimento e al gioco può davvero essere stata strappata via dalla nostra vita. Cosa possiamo fare per tentare di riappropriarcene?
In primo luogo dobbiamo comprendere se davvero desideriamo qualcosa di specifico e, per comprendere questo, dobbiamo avere fame di piacere.
Il primo motivo per cui siamo in qualche modo disposti a vivere anche senza gioco e godimento è che non sentiamo il desiderio che questo godimento arrivi. E’ un classico circolo vizioso. Durante le esperienze di TangoOlistico le occasioni per contattare questa fame sono molteplici, se le sappiamo cogliere.
Per coglierle, il presupposto fondamentale consiste nel cercare di entrare il più possibile nelle due parti.
Ciò che mi allontana dalla sensazione della fame è il problema di cosa fare subito dopo. Mi piace raccontare questa storiella.
Un uomo si avvicina a una pasticceria e vede esposta una bellissima fetta di torta al cioccolato. Entra per chiedere quanto costa e nota di avere i soldi per comprarla. Sta per prenderla quando il pasticcere lo avvisa che la fetta che vede è l’ultima.
A quel punto il nostro uomo rinuncia a comprare la fetta di torta. Perché? Perché se la torta è buona come sembra e poi non potrà più goderne, dovrà vivere tutta la vita con la fame di quel sapore senza poterla soddisfare. Questo meccanismo, se ci riflettiamo, è noto a tutti noi.
Spesso, per esempio quando finisce una bella storia d’amore, non siamo inclini a trovare subito un altro partner perché temiamo di non poter soddisfare la nostra fame ritenendo unica la “precedente fetta di torta”. Ma, a volte, questo meccanismo è più patologico e pervasivo. Quando soffriamo molto e ripetutamente durante l’arco della nostra vita, possiamo acuire questo meccanismo fino ad allontanarci automaticamente da ogni fonte di piacere, proprio per evitare di incappare in un masochistico inganno affettivo che ci
farebbe raffreddare e irrigidire ancora di più.
La questione è decisamente spinosa. Rinunciare a futuri piaceri per paura che siano ingannevoli e traditori oppure abbandonarci a ciò che arriva accettando il rischio? Nella mia disciplina offro ai clienti una sorta di banco di prova.
Provare piacere in un abbraccio di TangoOlistico è evento piuttosto frequente, il che, appunto, può costituire un problema per il cliente! Si potrà, infatti, ripetere questo evento al di fuori di quella specifica esperienza?
Ma la opportunità può essere preziosa. Se il cliente arriva ad accettare questo incontro intimo, in primo luogo con se stesso, di piacere e godimento, la fame cresce. Se la fame cresce il cliente inizia a cercare fonti di godimento, interazioni di piacere e, mano a mano che questo avviene, la sua luce, la sua manifestazione di sé si accresce innescando l’insperato meccanismo che sostiene la nostra felicità.
Assumersi la responsabilità del proprio piacere è una grande cosa. Ma è difficile. Le ombre e i fantasmi della nostra vita possono urlare forte e confonderci come Sirene agguerrite che ci portano indietro e ci dicono che no, è meglio sopravvivere e cercare di soffrire meno anziché cercare di godere di più.
Ci sono poi casi in parte differenti. Ricordo una donna che durante molti incontri mi confidava il desiderio di desiderare. Ballammo molto ma il suo sforzo (nella parte ricettiva) le impediva di provare piacere. Stiamo parlando adesso di un aspetto cruciale del TangoOlistico, ovverosia la confusione dei ruoli.
Se ballo nella parte ricettiva, devo permettermi di essere ricettivo. Ogni
tentativo di attivarmi mi porterà nell’altro ruolo pur continuando a ballare nella posizione ricettiva.
Nel caso di questa donna si verificava che il suo desiderio di godere era tale che impediva, desiderandolo, che accadesse. Ricordo che la situazione si sbloccò quando comprese che il suo movimento (non solo nel ballo ma anche nella vita quotidiana) le impediva di entrare in contatto col proprio piacere e, inevitabilmente, anche col proprio dolore. Ballammo cercando di muoverci molto poco e fermandoci spesso a sentire. Un giorno, piacere e dolore emersero insieme in un pianto misto e colorato così come emerge la vita se le lasciamo fare il suo corso. Dopo, si trattò di imparare a discriminare fra dolore e piacere, aiutati dal meccanismo delle parti e dal contenimento affettivo del ballo.
Mi sono spesso chiesto cosa permetta, in questa disciplina, che il processo verso il piacere possa avere luogo.
Credo che sia fondamentale questo aspetto: quale che sia l’esercizio che propongo, quale la suggestione, nella coppia è sempre presente un chiaro contenimento. Sia che stiamo provando dolore o piacere non siamo mai soli e questo ci permette di sostenere il dolore, di muoverci verso il piacere e di sostenere e attribuirci il piacere stesso.
In questo gioco serio (così mi piace chiamarlo) proviamo a misurare il nostro piacere e ad accrescerlo attraverso l’intensificazione della manifestazione delle parti. Nel TangoOlistico non parliamo quasi mai di generi sessuali bensì di energie attiva e ricettiva. Certamente è molto diverso un ballo fra due donne e fra due uomini rispetto ad un ballo fra generi differenti, sia per coloro che ballano che per coloro che guardano ballare. Ma è poi così vero?
Mi capita di condurre gruppi eterogenei o gruppi addirittura con sole donne e mi
accorgo che i meccanismi fondamentali della disciplina restano intatti, così come la loro efficacia. Ho visto uomini comprendere importanti parti di sé ballando con altri uomini, sempre però rispettando il gioco delle parti.
Sono profondamente convinto che la riuscita di questo innesco vitale sia strettamente connesso alla nostra disponibilità e accettazione dell’importanza che risiede nel meccanismo della penetrazione dell’altro e dell’essere penetrati.
Nel meccanismo attivo c’è la nostra coscienza di una aggressività buona, produttiva, performante, volitiva, vitale. Nel meccanismo ricettivo c’è la comprensione che è impossibile provare un piacere profondo (questo sì, indipendentemente dal genere sessuale) se non accettiamo che il piacere i attraverso la apertura di noi verso noi stessi e verso l’altro. E l’apertura presuppone che dell’energia vi possa are attraverso.
Nel Tango Argentino dovrebbe accadere questo e, per fortuna, a volte accade. Come spiegavo nel capitolo relativo al Tango, spesso la danza diventa un alibi per poter dire a se stesso e all’altro che si è in grado di sostenere una relazione erotica.
Nel TangoOlistico, soprattutto grazie ai puntuali cambi di ruolo, questo alibi viene irrimediabilmente smascherato.
Ricordo un maestro di tango che partecipò a un mio seminario. Spesso, i miei seminari sono frequentati da donne che non sanno davvero ballare e vengono per curiosità. Lui si offrì di condurre una di queste donne in un ballo, con risultati piuttosto disastrosi. Il maestro era molto infastidito dal proprio fallimento, attribuendo gran parte del disastro alla incapacità della ragazza. Subito dopo ballai io con lei con risultati molto migliori. Questo ultimo ballo rasserenò molto la ragazza che poté accorgersi come, in quel caso, il problema non fosse
costituito da lei, come il maestro le faceva credere, bensì dalla incapacità affettivo-erotica di quell’uomo.
Cosa avevo fatto io, di diverso? In primo luogo mi ero preso cura di lei utilizzando al meglio la mia sottoparte accuditiva. In secondo luogo, una volta compreso che era disposta ad affidarsi a me (grazie al mio accudimento) l’avevo portata con forza e decisione intorno per la sala. In terzo luogo avevo innescato il meccanismo del piacere senza il quale il ballo non avrebbe avuto colore, spessore. Noi esseri umani, adoriamo che qualcuno si prenda davvero cura di noi. Ma lasciamo che questo avvenga a patto di avere un qualche tipo di garanzia.
Nel TangoOlistico queste garanzie sono energetiche. Le energie sprigionate dalle persone nei due ruoli vanno direttamente a contattare il nostro nucleo sano, vivo, responsabile e vigile che ci dice se possiamo davvero fidarci dell’altro.
La guida genitoriale
Nel TangoOlistico quasi sempre l’innesco portatore di benessere scaturisce dalla parte attiva. Lo sanno bene i miei clienti quando sentono questo afflato vitale ballando nella parte ricettiva. Il meccanismo resta valido sia quando la parte attiva è interpretata da me come operatore, sia quando la stessa è impersonata da un cliente che balla con un altro. Ovviamente la mia guida è speciale, per l’esperienza e per il ruolo, ma ciò che conta primariamente è la direzione che prende l’energia, come nel tango: dall’uomo alla donna.
In questo capitolo ci soffermiamo sulla qualità di questa energia. Nella storia della psicologia si è molto scritto sul ruolo che ricoprono la madre e il padre nel condizionamento positivo o negativo del bambino. Ma è ormai assodata una certa suddivisione dei ruoli. Il padre è considerato il portatore del bambino nel mondo. In particolare, ben si addice al papà il ruolo di guida, di apritore di strade, di suggerimento al figlio dei percorsi da seguire. Al padre attribuiamo la competenza di stimolare nel bambino quella aggressività positiva verso gli obiettivi, il lavoro, l’ottenimento dei risultati.
La madre, invece, ricopre da subito il ruolo di accudimento, di rappresentatività di quella base affettiva sicura che permette al bambino di muoversi nel mondo che il padre gli fa scoprire. E, anche se spesso i ruoli si possono intercambiare, resta una funzione archetipica sociale piuttosto bene delineata.
Scopro ogni giorno, con mia grande gioia, che la parte attiva nel TangoOlistico, interpretata sia dall’uomo che dalla donna, integra alla perfezione questi due ruoli.
Da una parte, mentre guidiamo con decisione e forza, indichiamo la strada al nostro compagno di ballo. Cerchiamo di evitare gli ostacoli, gli facciamo scoprire sensazioni e luoghi nuovi, lo aiutiamo nel movimento, lo facciamo camminare, vivere.
Dall’altra, mentre facciamo tutto ciò, lo stringiamo amorevolmente col braccio destro, lo conteniamo, lo rassicuriamo in modo continuativo, senza buchi e ombre. Gli diamo sempre, come una medicina a lento rilascio, quella sensazione di base sicura fondamentale per contattare il senso di fiducia e di benessere.
Il TangoOlistico diventa così una occasione straordinaria per portare al cliente una riconfigurazione della affettività perduta o intaccata durante la vita. E questo avviene ballando, in modo ordinato e previsto, tenendo sotto controllo e modulando la parte paterna e quella materna. Entrambe emergenti nella parte attiva.
Non ebbi subito questa intuizione. Iniziai a rendermi conto dell’aspetto transferale paterno e materno durante incontri individuali dove era evidente come il cliente mi attribuisse di volta in volta il ruolo di padre e di madre. Investito di questi ruoli, sentivo che la mia modalità di guida cambiava e modulava da una guida più forte, seduttiva, tenace, a una più dolce, contentiva e lenta. Spesso durante i seminari propongo ai partecipanti balli in cui devono impersonare il padre o la madre del compagno di danza. I risultati non sono mai banali, scontati, ma soprattutto non lasciano mai indifferenti i compagni guidati, che contattano con forza i propri vissuti e hanno ripetute occasioni per attualizzare il loro sentimento affettivo per i genitori alla data odierna. Stiamo parlando, forse, dell’aspetto più complesso e difficile che un operatore in TangoOlistico deve assimilare e comprendere in primo luogo dentro di sé per poter realmente aiutare il cliente.
Quando guido un cliente so da subito che, sempre, mi attribuirà un ruolo paterno e materno. La prima fase di questo difficile approccio consisterà nel consentire al
cliente di mettere ordine nel suo sentire attraverso l’abbraccio con me, rendendo via via più esplicita quella attribuzione proiettiva su di me così marcatamente genitoriale. La seconda fase, dopo che il cliente si sarà misurato con questa griglia di lettura, consisterà nel tentare una pratica sostitutiva e rafforzativa dei due tipi di affetto che caratterizzano i genitori.
Una volta, una ragazza che non riusciva a concludere una relazione infelice mi confidò che ballare con me la faceva stare molto bene. Le chiesi se fosse in grado di spiegarmi in che modo sentiva la mia energia differente da quella del suo ragazzo. Da quel giorno iniziò un lavoro raffrontativo strettamente esperienziale che però era disturbato e inquinato dal fatto che lei, inevitabilmente, vedendo in me suo padre, mischiava la realtà (ciò che il suo corpo sentiva con me) con il ato, le sofferenze e i rimpianti. Il raffronto non era più col suo ragazzo ma con suo padre e la presa di coscienza che questo fosse il punto fondamentale della sua sofferenza odierna accelerò il lavoro. Finché un giorno mi disse che non aveva più bisogno del suo ragazzo e nemmeno di me. Cos’era accaduto? Lavori esperienziali come quelli da me proposti, soprattutto se disciplinati in schemi leggibili e contenitivi, favoriscono il dissolvimento dei fantasmi e amplificano il contatto con la realtà. Finalmente la ragazza aveva scoperto che lo stare col suo partner in una relazione insoddisfacente assomigliava a ballare con me nella misura in cui lei mi attribuiva anche caratteristiche di suo padre. Sciogliere questo miscuglio di riferimenti le permise di ballare veramente con me e di lasciare il suo ragazzo, alla ricerca di una relazione più soddisfacente.
A volte dico ai miei clienti: “ Starai davvero meglio quando ti accorgerai che ballando con me, stavi ballando con tuo padre, mentre adesso balli solamente con Massimo Habib”.
Così l’accudimento materno sostitutivo può favorire un recupero della vitalità proprio grazie alla combinazione modulata dei due ruoli. Una volta un ragazzo, dopo un ballo molto commovente con me, mi confidò che avevo rappresentato per lui la parte bella di suo padre e quella parte materna che già conosceva come
reale della madre. Da quel giorno vidi le parti di quel ragazzo muoversi in modo più discriminato, chiaro, mentre guidava con forza e accettava la guida altrui con gioia e abbandono. Ciò che era accaduto, e che spesso accade durante i miei lavori, era che il ragazzo aveva distinto le due energie (materna e paterna) e le aveva collocate nei luoghi giusti della sua anima. Aveva ridato un posto a questi due tipi diversi di affettività e, come conseguenza di questa riallocazione, si sentiva meglio mentre guidava e poteva ben distinguere quell’energia da quella prettamente materna che si godeva poi nell’essere guidato.
A volte il mio intervento di ballo non è necessario. Queste energie archetipiche sono presenti in tutti noi. Durante seminari intensi spesso resto impressionato dal modo in cui le coppie presenti si muovono verso una riorganizzazione delle loro energie.
Attraverso la chiarezza del meccanismo del dare e del ricevere, attraverso il contatto e le suggestioni parentali, avviene che i partecipanti ricalibrino verso una posizione di sanità le loro energie. Più i seminari sono evocativi in modo chiaro sull’origine delle emozioni provate e più i partecipanti comprendono il loro stato.
I partecipanti sanno bene, anche se non se ne accorgono subito, che nessuno all’interno dell’aula dei lavori vuole realmente nuocere all’altro. In primo luogo questo accade perché l’obiettivo di benessere viene necessariamente condiviso nel meccanismo dell’abbraccio. Questa coscienza di intenti diventa reale nel momento del ballo e alla fine del seminario lascia chiare tracce nelle persone. Attraverso l’alternanza dei ruoli si hanno continue occasioni, consapevoli o no, di diventare per alcune ore padri e madri buoni o comunque adeguati e di godersi, contemporaneamente, la sensazione reale di poter essere figli voluti, coccolati e condotti.
Il contagio fra le parti e il benessere riproducibile
E’ giunto il momento di esplicitare un meccanismo che è già parzialmente emerso nelle scorse pagine. Quando ballo con un cliente guidandolo dalla mia posizione attiva, stimolo l’emersione della sua parte ricettiva. La stessa cosa fa lui quando, venendo guidato, mi trasmette la sua energia ricettiva, portandomi ad impegnarmi ancora di più per guidarlo meglio.
Le due parti sono interconnesse e vivono l’una dell’altra.
Una prima spiegazione di questo fenomeno sta nel fatto che ognuno di noi comprende in sé proprio le due parti; una seconda spiegazione, invece, ci porta verso il concetto di integrazione che vedremo nel prossimo capitolo. Uno dei più classici esercizi che propongo ha a che fare con lo sviluppo della nostra capacità di guida. Si tratta di un esercizio dal quale possono trovare giovamento anche ballerini di Tango Argentino. Vedo ballare un uomo che guida la sua dama con scarsi risultati. Si lamenta di non riuscire a portarla dove vuole, di non sentirla, di non essere in grado di sviluppare i propri i di danza. Lo invito a ballare io, e provo a guidarlo. Lo guido forte, con grande determinazione, impedendogli di prendere l’iniziativa. Potrebbe sembrare un esercizio per la sua parte ricettiva ed, infatti, in parte lo è. Alla fine del ballo mi dice che si è lasciato andare, che gli sembra di avere contattato la sua parte ricettiva. Ma, a quel punto, gli propongo di guidare ancora una volta la sua compagna e… ecco la sorpresa: la guida meglio, con più volontà, maggiore chiarezza. Perché?
Grazie alla sua condizione ricettiva, il cliente si è accorto con chiarezza del mio modo di guidare. Qualcosa del mio modo gli è rimasto dentro ed è riemerso nella sua guida successiva. Paradossalmente, è stato proprio il suo modo ricettivo che ha permesso che potesse assorbire la mia parte attiva e vivificare la propria. Resto sempre molto affascinato da questo meccanismo.
Mi capita spesso, molto spesso, di avere a che fare con donne che lamentano una propria parte attiva ipertrofica che ben conoscono ma che non sopportano. Cercano invece la propria parte ricettiva, vorrebbero essere coccolate, aiutate, ascoltate, ma questo non accade. A volte, invece di guidarle per far loro sentire questa ambita parte, le invito a guidarmi. Ricordo una ragazza che mi confidò il suo imbarazzo all’idea di portarmi in giro. Era alta più o meno un metro e sessanta mentre io sono alto trenta centimetri più di lei. Sollecitata dalla musica giusta (un pezzo rock molto coinvolgente, piuttosto lontano da un classico tango) mi strapazzò in modo convincente. Mi buttò addosso e dentro tutta l’energia attiva che poté e alla fine mi apparve sfinita e soddisfatta. Ballai subito dopo con lei guidandola e si lasciò andare nel ballo come non mai.
Da una parte lo scarico dell’energia le aveva permesso, nel ballo seguente, di essere più ricettiva, in quanto più “vuota”, ma non dobbiamo sottovalutare ciò che aveva sentito in me. Io, infatti, mi ero lasciato andare il più possibile, stimolato dalla sua guida e lei se ne era accorta. Quale sia il confine fra l’emulazione e il contagio è, per me, un grande mistero. Ma fatto sta che la mia energia, in una parte o nell’altra, viene intesa, compresa, agita, rinominata, nel corpo del cliente, e questo processo avviene sempre. Ogni pratica terapeutica contiene in sé una dinamica di contagio positivo, una sorta di condizionamento energetico che può rappresentare parte della cura.
Ricordo una volta in cui un collega counselor al quale mi ero rivolto per un mio disagio, mi tenne la mano per un’ora intera senza fare null’altro. La ricordo come una delle sedute più terapeutiche della mia vita.
Immaginate qualcuno che vi trattiene tutto il corpo, mostrando di sapere cosa sta facendo, con misura, coscienza e continuità. Senza questo meccanismo di contagio il TangoOlistico non porterebbe, credo, alcun beneficio reale alla persona. Ma come si fa a contagiare solo in modo positivo? Come assicurarsi che si trasformi in nutrimento per l’altro?
Una volta, mentre tenevo una semplice lezione di tango individuale, la mia cliente smise di ballare e mi confidò che quel giorno era troppo tesa e non riusciva proprio a lasciarsi andare. Le proposi uno dei miei esercizi di TangoOlistico e lei accettò. Cambiai la musica e ballammo un pezzo molto intenso e lento scritto dal cantante Peter Gabriel. Per tutto il ballo mi accorsi della energia piena di angoscia che la ragazza emanava. Mi sentivo come paralizzato e impotente, ma reagii cercando di continuare il ballo in questo doloroso ascolto.
Un ballo non bastò. Andammo avanti a ballare per una ventina di minuti cambiando musiche e continuando a scambiarci energia. Da parte mia arrivava fermezza e respiro, dalla sua angoscia e rigidità. Alla fine si sentì meglio e mi ringraziò molto. Per fortuna, la mia energia (non senza prezzo per me) aveva vinto. Ero molto stanco ma felice.
In questo esempio abbiamo visto come l’energia che emana nel contatto del TangoOlistico possa essere anche dolorosa e ugualmente contagiosa e anche questo tipo di contagio avviene spesso durante i seminari di gruppo dove ognuno porta il proprio bagaglio emotivo e lo condivide con gli altri.
Quale dunque l’opportunità? Non portiamo dentro di noi solo dolore. Se opportunamente stimolati possiamo contattare nuclei sani che ambiscono alla felicità e la sanno ricercare. Durante una delle suggestioni più intense che propongo (il ballo della Vita), ogni partecipante è invitato a ballare con un altro immaginando che quest’altro rappresenti la propria vita. Nel ballo seguente si farà guidare dalla stessa persona immaginando sempre che il compagno rappresenti la propria vita. Si tratta di un esercizio denso di significati privati e intimi dove spesso il desiderio di essere felici trionfa e la nostra energia si manifesta con desiderio e luce. Il benessere, o il desiderio di benessere, che emana da un partecipante viene traslato sull’altro che, nel contempo, sta contattando a sua volta una energia similare. Il punto sta nel riuscire ad invertire il meccanismo del circolo vizioso energetico portandolo in una direzione opposta
e virtuosa.
Per fortuna, quasi sempre, basta che uno dei due ballerini contatti chiaramente l’energia positiva perché questa possa albergare in qualche modo nell’organismo dell’altro.
Un meccanismo già visto ma fondamentale è quello secondo il quale durante un seminario di gruppo non vi è nessuno che realmente voglia nuocere l’altro. Questa coscienza profonda porta a una moderazione dell’energia angosciosa e consente al gruppo di condividere e amplificare i nuclei energetici positivi che ano continuamente da uno all’altro. Desidero ora fare un o indietro, tornando per qualche riga al meccanismo di base del TangoOlistico.
Il meccanismo del contagio è reso possibile dalla comunicazione fra le parti e questa comunicazione è resa possibile dalla chiarezza con cui sono definite e si manifestano le parti stesse.
Anche due persone che si abbracciano senza alcun ruolo possono contagiarsi, ma questo avviene senza una direzione chiara e, dunque, risulta molto difficile leggerlo, interpretarlo e, soprattutto, riprodurlo.
Credo molto nel fenomeno del benessere riproducibile.
Se durante un seminario di crescita personale, quale che sia la disciplina, TangoOlistico compreso, mi accorgo di essere stato bene ma non comprendo il meccanismo sottostante, difficilmente sarò in grado di riprodurre questo benessere nella vita di tutti i giorni. Se invece lo schema che mi viene offerto, mi consente di comprendere come mi sono sentito meglio, ecco che nella mia
mente, e complessivamente, nel mio organismo, il beneficio del lavoro trova un luogo, memorizza un percorso e può dar adito a una prosecuzione o a una riproposizione del fenomeno benefico.
Ecco un semplice esempio di questo meccanismo. Una cliente mi confida di volere un uomo che finalmente si prenda cura di lei, cosa che, nella sua vita, non è mai avvenuto. Di solito, infatti, si verifica il meccanismo opposto, ovverosia lei incontra uomini che si appoggiano a lei e si mostrano molto richiedenti. Le chiedo di guidarmi in un tango e lei lo fa in modo mirabile senza sapere una sola nozione tecnica di Tango Argentino.
Io mi sento sicuro, portato con decisione, eppure non mi sento del tutto bene. Quando, alla fine del ballo, apro gli occhi mi rendo conto che la mia sensazione di leggero disagio è data dall’energia triste della cliente. Lei mi appare, infatti, con gli occhi tristi e lacrimosi, pur avendo fatto bene il suo dovere. La situazione appare chiara, ma come aiutarla a entrare in un circolo virtuoso? Le chiedo di raccontarmi qualcosa del suo ultimo uomo, caratteristiche, modalità. Emerge la figura di un uomo debole, rinunciatario e pigro.
Ora la invito io a ballare e provo a impersonare questo uomo mentre la guido. L’effetto è che lei ricontatta immediatamente quella sensazione di disagio dalla quale si vuole allontanare e cerca, invece, di guidarmi lei. Le cose, ovviamente, cambiano quando la invito nuovamente ricordandole che ballerà con me e solo con me. Cerco di essere me stesso e di fare quello che so: comunicare fiducia, sicurezza, stabilità. Alla fine, la mia cliente si arrende, anche se solo per cinque minuti, a una evidenza: il suo organismo è in grado di stare in quella condizione, quella energia che lei tanto vorrebbe nella vita reale. E questo punto, per me, è fondamentale.
Per perseguire i nostri obiettivi, abbiamo bisogno di creare un rapporto stabile di fiducia con noi stessi. E una fiducia che possiamo contattare in modo immediato è quella generata e contattata nel nostro corpo. L’aver sentito nel mio corpo che
qualcosa che desidero si può verificare davvero (e non perché qualcuno ha provato a convincermi) produce un meccanismo di fiducia in me che mi può portare a riprodurre, o a desiderare davvero che si riproduca, il meccanismo sano appena avvertito. Ovviamente, questo tentativo di riprodurre il benessere contattato, sarà ostacolato da quei meccanismi che hanno portato la cliente a rivolgersi a me. Eppure, lei avrà ora occasione di muoversi nel mondo con una carta in più, derivante dalla sua consapevolezza di poter ambire a quella condizione.
Ho rivisto la ragazza alcuni mesi dopo per un caffè. Aveva avuto una storia bellissima in cui aveva potuto lasciarsi andare davvero fra le braccia di un uomo provando sensazioni nuovissime per lei. Poi la storia era finita. Eppure non pareva più angosciata come alcuni mesi prima. “Ora so cosa voglio” mi disse “E nulla potrà impedirmi di cercarlo. Voglio godere e so come farlo. Prima o poi capiterà un’altra occasione!”
Con chi sto ballando?
Se io sto ballando interpretando la parte attiva e guido un’altra persona, che fine ha fatto, in quel momento, la mia parte ricettiva? Se abbiamo assunto per buona la teoria per la quale noi siamo in qualche modo declinabili nelle due parti, questo vorrà dire che la mia parte ricettiva è comunque presente in me anche se non (o meno) manifesta. Fino a qui il ragionamento fila. Quando, infatti, siamo tutti presi in una determinata azione, questo non significa certo che siamo privi di energia ricettiva. Ciò che avviene è che stiamo dando una specifica evidenza fenomenica ed energetica alla nostra parte attiva. A questo punto, però, interviene il meccanismo della proiezione.
Si dice che, quando noi proiettiamo qualcosa su un altro essere umano, significa che gli stiamo attribuendo qualcosa che in realtà riguarda in modo specifico noi. Faccio solo un esempio molto semplice. Se io sono molto stanco, è possibile che io dica alla persona con la quale mi sto relazionando che ad essere stanca è lei! In questo modo allontano da me la consapevolezza di un sentire col quale non voglio avere a che fare in quel momento, attribuendolo ad un’altra persona. Partiamo da qui per spiegare un fenomeno straordinario del TangoOlistico del quale dobbiamo costantemente tenere conto.
Ricordo una donna che appariva molto rigida. Lo sguardo era fisso mentre parlavamo e la sua postura era come bloccata su se stessa. Quando la invitai a ballare, guidandola, mi fermò dopo pochi minuti dicendomi: “ Come sei rigido! Non riesco a lasciarmi andare…”
Allora le proposi di cambiare ruolo e le chiesi di guidarmi. Lei accettò di buon grado e mi portò in giro per la stanza con un certo piglio e abilità. Alla fine le chiesi come le ero sembrato nel farmi guidare e si mostrò molto sorpresa nel notare che mi ero lasciato andare moltissimo!
“Che confusione!” Le dissi. Ed iniziammo a lavorare sul suo disagio che, come spesso avviene, riguardava ciò che gli altri pensavano di lei. In modo particolare lei era stanca di sentire da tutti la solita solfa: “Ma quanto sei rigida!”. Attraverso questa disciplina appare sempre evidente come noi proiettiamo sull’altro una parte di noi.
La mia cliente non era in grado, o non voleva, riconoscersi una cera rigidità, mentre le risultava facile attribuirla a me. Nello stesso modo non era in grado di riconoscersi la propria ricettività. Quando balliamo con l’altra persona, è importante imparare, di o in o, quanto stiamo attribuendo all’altro le nostre parti. Dopo alcuni incontri la mia cliente era in grado di discriminare un po’ meglio il modo in cui stava lavorando con le proprie parti. Soprattutto imparava a concentrarsi su di sé e non solamente su quello che sentiva di me. In questo modo, sentendosi, si accorgeva di più della propria rigidità e della propria ricettività, al di là di ciò che io le stavo trasmettendo.
Assumere come reale che, quando balliamo con l’altro, stiamo comunque proiettando sull’altro la parte che non stiamo agendo ci consente di discriminare maggiormente come sono composte le nostre parti.
Accorgersi della propria rigidità significa riconoscerla e dunque comprendere meglio quanto gli altri dicono di noi. La mia cliente imparava, mano a mano, a misurare la propria rigidità e, di conseguenza, imparava a discriminare ciò che gli altri dicevano di lei, riconoscendo le loro osservazioni come pertinenti oppure false. Siccome essere rigida era qualcosa che lei non desiderava per sé, il suo organismo iniziò a mutare, a pilotare meglio, con sapienza, le proprie energie. Quando essere attiva, responsabile, e forse un po’ rigida? Quando lasciarmi andare?
Vedere il proprio funzionamento le consentì di scegliere con maggiore coscienza
quale parte di sé manifestare, di volta in volta. Torneremo sul tema quando parleremo dei processi trasformativi del TangoOlistico.
Verso il cambiamento attraverso l’integrazione
Mi capita spesso, durante le serate trascorse nelle milonghe, ballando e guardando, di accorgermi di un fenomeno avvilente. Dov’è la magia del tango? Perché non vedo ione ed equilibrio nelle coppie? Visto attraverso la lente d’ingrandimento del TangoOlistico, questo fenomeno è facilmente spiegabile. Ciò che osservo è che raramente le parti sono davvero agite e pulite. E’ pieno di uomini che fingono una guida mentre le loro donne fingono di essere guidate. In realtà spesso i ruoli si invertono (dal punto di vista energetico), ma questo avviene in modo parziale e non consapevole. A volte, invece, è la tecnica che prende il sopravvento e tutto diviene meccanico. In quest’ultimo caso ciò che avviene è che ci sono solo parti attive in campo.
Nella tecnica fine a se stessa la parte ricettiva non può avere luogo.
Ma la magia del tango esiste. E’ nel ballo di un uomo e di una donna che per tre minuti sono un perfetto complemento energetico l’uno dell’altra. I loro due colori sono chiarissimi. Quello forte e penetrante dell’uomo e quello delicato e penetrato della donna. Ognuno interpreta il proprio ruolo con precisione (anche tecnica) ma soprattutto con consapevolezza.
Il risultato è visibile a tutti, anche a chi di tango non comprende nulla. Il risultato è la coppia. Mentre ballano la nostra attenzione si sposta da loro come persone al fenomeno della coppia. Appare un’entità definita. Un’entità che si muove con perfetta sinergia di intenti e di sentire. Come un essere nato nella milonga che si confronta con altri esseri a quattro gambe, che si fa largo, quasi potesse avere un nome dato dall’incastro perfetto dei due componenti.
Questa coppia, questa entità pregna di specifica e nuovissima identità, è l’obiettivo principe del TangoOlistico. Ma, nel TangoOlistico, questa coppia siamo Noi stessi, io e me stesso, tu e te stesso, divisi e integrati nelle due energie, attiva e ricettiva. Tanto più sono in grado di interpretarle entrambe, tanto più posso ballare la mia vita come fossi una fantastica coppia tanghera.
In questa disciplina dunque, essere integrati significa essere in grado di interpretare entrambi i ruoli in maniera sempre più precisa, intensa e definita.
Quanto più riusciremo a scoprirci in queste due dimensioni, tanto più potremo conoscerci nella nostra interezza.
Proprio come una coppia di ballerini che può apparire bellissima oppure opaca e triste, così noi possiamo apparire nei due modi. Eppure questo processo di integrazione è denso di insidie. Una fondamentale risiede nella nostra illusione di preferire una parte all’altra. Vogliamo essere più ricettivi perché oberati dalle responsabilità. Oppure siamo stufi di essere remissivi e vogliamo essere forti e decisi. In questo modo ci concentriamo solo su una delle due parti, come rinnegando l’altra, cercando di nasconderla, di schiacciarla verso il basso impedendole di parlarci. Allora, quando voglio essere più ricettivo, il mio senso di responsabilità, la mia parte attiva, vorrebbe comunque essere partecipe e, se non la ascolto, di fatto, mi impedisce di manifestare la agognata parte ricettiva. Se invece, nel secondo caso, sono stufo di essere remissivo, la mia remissività (che non vuole essere messa da parte) lotta efficacemente contro la possibile manifestazione di determinazione, vanificando ogni mio sforzo. Possiamo provare a vincere queste insidie accettando di dare pari spazio alle nostre parti. Non sarà mai possibile misurare con precisione un processo così dinamico e complesso. Ma possiamo lasciare le porte aperte alla possibilità che le due parti si manifestino appieno, ognuna con le loro specificità.
I miei allievi sono allenati a dare pari importanza alle due parti. Sanno che guidare non è “meglio” di essere guidati o viceversa. Perché ciò che è meglio è
ciò che si rivela più adatto alla situazione che si presenta davanti a noi. Il continuo scambio di ruoli, dopo averli ben compresi, porta piano piano ad una maggiore coscienza di noi stessi, indipendentemente dagli esercizi che propongo.
Integrazione è, dunque, equilibrio dinamico di parti. Conoscere i miei strumenti e renderli disponibili al momento opportuno. Il processo di integrazione non ha un obiettivo dimensionale certo e, a seconda del periodo della vita che stiamo attraversando, possiamo sentirci più o meno equilibrati e pronti ad affrontare gli eventi. Quel che conta è accorgerci del fondamentale collegamento che c’è fra integrazione e cambiamento.
Mi sorprendo ad osservare i miei clienti quando stanno per prendere una decisione importante: cambiare lavoro, lasciare un partner, parlare finalmente ad un genitore che sentivano ostile. Prendere una decisione in modo cosciente presuppone una buona conoscenza del nostro sentire (parte ricettiva) e della nostra attitudine ad agire (parte attiva). Apparirà a tutti chiaro come le due energie rivestano un pari ruolo. Se non mi sento, se non contatto il mio bisogno, non potrò agire verso il cambiamento. Se invece sono concentrato sul sentire il mio bisogno ma non so come manifestarlo al mondo con una azione, tutta questa concentrazione sarà vanificata.
Il cambiamento ha bisogno dell’integrazione così come l’integrazione ha bisogno della conoscenza delle due parti.
Ricordo un cliente che aveva lavorato molto sulla propria parte attiva. Ora si sentiva capace, determinato, produttivo. Ma il vero problema era che non sapeva dove andare, dove “esercitare” quella produttività. Durante un ballo in cui lo guidai, improvvisamente sciolse il mio abbraccio, sorrise e mi disse che in quel momento aveva sentito quale fosse la sua strada lavorativa e, visto che aveva scoperto gli strumenti della parte attiva, ora era in grado di muovere verso il cambiamento.
GLI ARGOMENTI DELL’ANIMA
Introduzione
Il TangoOlistico è contraddistinto da poche regole semplici ma anche rigide. In particolare relativamente al modo in cui manifestiamo le due parti. Chiederò sempre ad un uomo che viene guidato di tenere gli occhi chiusi, come chiederò sempre ad una donna che guida di non perdersi in un “sentire” fatto di occhi chiusi. Eppure queste poche regole lasciano un notevole spazio di “manovra” sia per gli operatori come me, sia per le modalità che può attuare il cliente stesso. In particolare, possiamo intendere questo schema di parti e sottoparti come un contenitore energetico sì, ma anche tematico proprio perché l’intento del TangoOlistico è quello di aiutarci, con questo ballo disciplinato, a comprendere meglio il modo in cui attuiamo le più svariate tematiche nella vita di tutti i giorni.
E’ possibile inserire in questo contenitore gli argomenti più differenti. Ogni anno elaboro nuovi seminari tematici e scelgo gli esercizi più adatti all’attuazione di ciascuno. I prossimi paragrafi non sono però da intendersi come i contenuti dei miei seminari tematici. I seminari, infatti, prevedono una serie di esercizi di gruppo e di condivisioni, oltre ai miei interventi teorici. In questo libro, invece, voglio dare spazio, oltre al ricordo di lavori specifici, proprio alla spiegazione di come il contenitore di cui prima sia in grado di “reggere” il peso dei fondamentali argomenti dell’anima che ci accompagnano, ogni giorno della nostra vita.
Ultima precisazione: come vedrete leggendo, vi è una sola condizione perché un tema possa essere affrontato dal TangoOlistico: che possa essere sempre declinato nelle due parti.
Seduzione attiva e seduzione di presenza
L’uomo del tango ha un compito arduo che potremmo suddividere in due fasi. La prima consiste nell’invitare la dama e convincerla a ballare. La seconda nel fare in modo che sia disposta, in futuro, a ballare ancora con lui! Tutti i tangheri conoscono la difficoltà, il disagio, le perplessità, il senso di frustrazione del rifiuto, che questo compito comprende.
La donna del tango ha anch’essa un compito che possiamo suddividere sempre in due fasi. Nel suo caso, la prima fase ha qualcosa a che fare con la luce e la seconda col tenere accesa questa luce. La donna che si accinge ad essere invitata deve essere dotata di illuminazione. Così come una casa meravigliosa senza luce appare tetra, così una donna che non si accende non può ambire ad essere desiderata per un ballo. La seconda fase presuppone l’abilità della donna nel mantenere accesa questa luce.
Ora, l’uomo e la donna esprimono nel tango due differenti tipi di seduzione. Analizziamo il primo. L’uomo deve attivarsi, deve convincere, deve fare qualcosa perché le donna accetti di ballare e, soprattutto, sia felice di continuare a ballare.
Nel linguaggio del TangoOlistico chiamiamo questo tipo di seduzione seduzione attiva. Immaginate di partecipare ad una cena organizzata da amici. Vedete anche molte persone che non conoscete. In quale modo vi manifesterete in relazione ai nuovi? Una prima possibilità potrebbe essere quella di mostrarvi molto attivi: stringete mani, sorridete, dite il vostro nome, proponete un tema brillante e cercate di essere coinvolgenti. L’uomo del tango fa un po’ di tutto questo. Deve far stare bene la dama e dunque le propone i nuovi e intriganti. La stringe a sé cercando di non farla annoiare e soprattutto, convincendola del proprio modo di ballare, la tiene con sé. Quanto siamo convincenti quando ce la mettiamo tutta
per esserlo? Ci sono tangheri che si danno un gran da fare ma sono confusi, pasticcioni, inconcludenti. Nel TangoOlistico diciamo che stanno manifestando una seduzione attiva che non funziona.
Così quella cena potrebbe corrispondere ad un momento di public speaking davanti ad una platea e il modo in cui parliamo agli astanti potrebbe non essere efficace. Una volta, durante un seminario, un uomo (che ballava tango) mi raccontò come lavorasse nel marketing e non riuscisse ad ottenere una promozione a causa, forse, di un suo scarso carisma. Gli chiesi di condurmi in un ballo e mi fu subito chiaro cosa accadeva. Non mi portava da nessuna parte. Si prodigava in mille sforzi per farmi fare i precisi, ma cambiava continuamente peso, si fermava, e, soprattutto, era del tutto manchevole di direzione. Alla fine del ballo gli dissi che non poteva convincere una platea se non aveva un obiettivo chiaro. Le persone avrebbero sentito la sua confusione e non glielo avrebbero perdonato. Poco importava il contenuto del suo discorso (ovvero i i del tango) ciò che contava era che non appariva chiaro il motivo per cui valesse la pena di ascoltare proprio lui! Come poteva se-durre (cioè portare a sé) me o la platea se non era convinto di ciò che faceva e del motivo per cui lo faceva? Gli proposi, come spesso faccio, di scegliere qualcuno all’interno della sala e di ballare di nuovo conducendomi ma andando dritto nella direzione di quella persona che aveva precedentemente scelto. Ma anche questa volta i risultati furono scarsi. Allora gli chiesi in base a cosa avesse scelto quella persona, che era seduta in mezzo agli altri, in cerchio. Lui mi rispose che l’aveva scelta a caso.
Ecco qual’era il suo problema! Non sceglieva. Dunque, qualunque sforzo fe nella guida, nella seduzione, nel tentativo di convincere, non funzionava.
Per essere convincenti bisogna essere convinti ma, soprattutto, avere una motivazione. Gli chiesi di scegliere davvero una delle persone sedute e, inoltre, di propormi lui una musica da ballare, in modo che avesse il più possibile sotto controllo la situazione. Il risultato fu molto migliore e da quel giorno comprese la natura del suo errore nel cercare di convincere le persone: Non aveva davvero
un buon motivo per farlo. Lo vidi tempo dopo e mi raccontò che aveva cambiato lavoro. Si occupava sempre di Marketing ma era (lui) molto più interessato al lavoro che si era scelto!
Naturalmente lo stesso meccanismo di seduzione attiva è presente nelle donne. Per esperienza, posso dire che è molto più facile trovare una donna in grado di condurre e sedurre, guidandomi, di quanto non sia per un uomo. Paradossi del TangoOlistico…
Ma torniamo alla cena. Il nostro modo di manifestarci davanti a tutti potrebbe essere molto diverso. Potremmo, per esempio, non fare nulla! Sarebbe, però, un non fare nulla teso a sedurre gli altri e, allora, non ci nasconderemmo nell’ombra, bensì sceglieremmo una postura ben precisa, magari guarderemmo in giro curiosi, e faremmo della nostra fermezza e della nostra presenza il vero motivo di attrazione, la vera luce. Stiamo, dunque, parlando della seduzione di presenza, che, come avrete intuito è, nel tango, appannaggio della donna. Guardate una coppia che balla. Chi vedete subito? Dove va il vostro sguardo? Per motivi diversi, che siate uomini o donne, guarderete la dama. Guarderete il suo corpo, le sue gambe, le scarpe, la sua posa. Se la coppia tanghera fosse una Ferrari, l’uomo ne sarebbe il motore, ma la donna sarebbe tutto il resto. La magnificenza che si muove nello spazio. I movimenti della donna del tango sono, per lo più, con importanti eccezioni quali gli adorni, provocati dall’uomo e dunque non volontari, ma l’obiettivo del tango sta proprio nel vedere e vivere quei movimenti, anche immersi nell’ambiente sociale della milonga.
Tutto questo è reso possibile dal fatto che la donna, mentre balla, pur non essendo propositiva o attiva, mette in atto un meccanismo che la rende esistente, manifesta, mirabile e dunque seduttiva. Non stupisca, dunque, l’attenzione che la donna pone nell’intento di essere invitata per un ballo. Si siederà al tavolino in un certo modo, non si nasconderà, e potrà essere attraente, attrattiva. Ricordo una cliente di un mio corso di tango che, nonostante ballasse già da alcuni mesi, si lamentava di non venir mai invitata in milonga. Una sera andai a ballare con lei. Insistette per sedersi in fondo alla sala, non si cambiò le scarpe e mi diede
l’impressione di contare tutte le listarelle di parquet della sala! Le feci fare qualche tango e la invitai a un mio seminario di TangoOlistico…
Cosa può non funzionare in questa modalità particolare che chiamiamo seduzione di presenza? La seduzione di presenza ha molto a che fare con il concetto di autostima. Se, per svariati motivi, non mi attribuisco un valore, questa mia manchevolezza nei miei confronti avrà un riflesso immediato nel modo in cui mi relaziono con l’ambiente. A volte mi basta un ballo per comprendere il tipo di autostima che connota un mio cliente. Ma cosa si può fare? Come sempre, nel TangoOlistico, il primo obiettivo è quello della consapevolezza. In che modo manifesto questa parte di me? Quali meccanismi mi portano ad apparire in un certo modo? La cliente di cui accennavo prima, durante il seminario di gruppo, si accorse che, quando veniva guidata da una donna e non da un uomo, riusciva a mantenere una postura più eretta e a farsi guidare di più. In primo luogo, dunque, comprese che il suo problema nel non essere invitata nel tango era legato al suo rapporto con gli uomini. Eppure, già solo questa coscienza così chiaramente validata dalla esperienza, la condusse (è proprio il caso di dirlo) a provare ad avere un atteggiamento diverso quando veniva invitata dagli uomini, accorgendosi così che poteva assumere la stessa buona postura anche con quest’ultimi e di conseguenza provare a presentarsi, anche prima del ballo, in una maniera più individuativa, permettendo alla sua luce di presenza di illuminarla un po’ di più.
Nel TangoOlistico cerchiamo, per quanto possibile, di invertire i circoli viziosi del nostro comportamento. A volte basta comprendere dove il processo inizia per intervenire. L’inversione del processo consente al nostro essere, attraverso la continuità dell’esperienza, di concatenare nuove esperienze efficaci e, per esempio, di aumentare la nostra autostima.
Durante le esperienze di TangoOlistico i miei clienti sperimentano questi due modi di sedurre e scoprono quale sia prevalente in loro, magari in quel periodo della loro vita, oppure da sempre. Cambiare il ruolo permette loro di confrontarsi di volta in volta con modi diversi di presentarsi agli altri. Scoprono che è
possibile potenziare queste due modalità e ciò che in realtà permette loro questo potenziamento è, come sempre in questa disciplina, il contatto con l’altro. L’obiettivo rappresenta sempre un grado di integrazione. Tutti possiamo manifestarci nei due modi seduttivi. Si tratta di scoprirli, renderli espliciti e poi sceglierli per l’occasione. Ci possono essere situazioni in cui la seduzione attiva è davvero necessaria per ottenere un risultato, l’innesco di una relazione, un obiettivo lavorativo, un chiarimento con un genitore o un figlio. E momenti in cui, se ne siamo consapevoli, basta esistere davanti all’altro, portando con noi quella lampadina, quel faro, che ci mostra agli altri senza vergogna.
Se immaginiamo una persona integrata, nel senso di questi due tipi di seduzione, immaginiamo una persona che è in luce, che regge lo sguardo degli altri, che sostiene la presenza illuminata degli altri. Ma questa stessa persona può convincere anche attivandosi, magari non in modo confuso e nevrotico, ma con movimenti precisi, direzioni desiderate e ponderate, così come l’uomo del tango esprime la propria volontà alla donna e la convince mano a mano, sicuro e stabile. Una coppia baciata dalla magia del tango non è forse un crogiuolo di seduzione straordinaria?
Il linguaggio del corpo
In tutti i percorsi di crescita personale, soprattutto nell’ambito della Psicologia Umanistica di cui il TangoOlistico fa parte, è previsto un aggio, uno studio relativo al misterioso linguaggio del corpo. Un linguaggio puro e criptato, così lontano dalla schematizzazione strutturata del linguaggio verbale.
Il tango offre grandi opportunità in questo senso. In particolare abbiamo la possibilità di lavorare alla comprensione di un linguaggio che viene declinato in due direzioni energetiche ben precise. Cosa prova un corpo che tocca un altro corpo? E cosa prova, cosa sente il corpo che viene toccato? Come possono questi corpi esprimere ciò che sta accadendo? Due corpi abbracciati che si contattano, come nel tango, nella parte alta del busto, sprigionano una serie infinita di messaggi. Grazie al meccanismo del TangoOlistico, osserviamo un certo ordine in questo dedalo comunicativo, nel senso che conosciamo in precedenza la direzione che i messaggi prendono: la parte attiva parla e la parte ricettiva ascolta e, inevitabilmente, risponde silenziosa. La mole comunicativa sprigionata nell’abbraccio è talmente imponente che risulta necessario moderarla, disciplinarla e un po’ semplificarla per iniziare a comprenderla.
Propongo spesso ai clienti, mentre ballano, di pensare a quali siano le parti del proprio corpo che sono a contatto con quelle dell’altro. Una indagine, questa, semplice ma fondamentale per iniziare a conoscere ciò che diciamo quando non parliamo ma entriamo in un contatto reale con l’altro.
Per esempio, un uomo cinge il dorso della donna con il proprio braccio destro, sente il seno della donna con il proprio petto, fa adagiare la mano del braccio destro della donna sulla propria mano sinistra e così via. La donna, d’altra parte, sente tutto questo e filtra mediante il suo corpo le informazioni che le arrivano dall’uomo. Come procedere in questa indagine?
Per quanto complesse possano essere le informazioni che escono da un corpo, possiamo ricondurre la qualità del messaggio al meccanismo duale piacere/dolore o agio/disagio. Ricordate il paragrafo sull’Eros? Colorare di significato il nostro sentire a contatto con un altro corpo non è cosa semplice. L’apparente oggettività della sensazione che proviamo a contatto con la pelle di un essere umano è resa complessa da ciò che rappresenta il nostro essere nei confronti degli altri. Questa rappresentazione è frutto della nostra storia, delle nostre sofferenze, del modo in cui il nostro corpo si è relazionato con il corpo degli altri dalla nascita in poi. In particolare il contatto con la madre (così spesso evocato durante le esperienze di TangoOlistico) può essere stato ambiguo, chiaro, gradito, impossibilitato, escluso. Per prima cosa, proveremo a inserire il nostro attuale sentire (per esempio io che abbraccio una dama) in una o nell’altra polarità: provo piacere? Provo disagio? Spesso la risposta sarà ambigua, ma allora proveremo a modulare il contatto, a verificare se ballando con altre persone cambia qualcosa. Molti miei clienti si sorprendono a scoprire che, ballando con molte persone, alla fine ciò che provano non dipende poi così tanto dalla persona con cui ballano.
In questa disciplina abbiamo l’occasione di imparare come siano poco importanti gli altri per modificare il nostro sentire e, paradossalmente, come siano fondamentali per rendere manifesto il nostro stesso sentire.
La persona che non vuole lavorare su di sé per scoprirsi, per migliorare, per ambire a un benessere maggiore, dirà sempre, con forza, all’inizio di un seminario: “dipende tutto dalla persona con cui ballo”.
Questo allontanamento da sé, questa attribuzione di responsabilità univoca, questo spostare la nostra identità sull’altro, ci impoverisce soprattutto nella possibilità di provare piacere. Il nostro piacere.
Nella parte attiva, dunque, propongo esercizi per misurare il nostro piacere, a seconda di ciò che faccio, della parte del corpo che contatto. Mi permetterò io, uomo, di godere del contatto del seno della mia dama? Oppure la porterò verso di me senza calore, per difendermi da un piacere che non mi posso, voglio, permettere? E io, donna, permetterò al mio cavaliere di possedere il mio corpo durante un ballo godendo dell’energia chiara e scintillante dalla quale mi faccio pervadere? Oppure mi costringerò ad una finzione cinematografica in cui sembra che il mio godimento sia massimo, mentre sono appena in grado di sentire la temperatura del corpo dell’uomo? E, soprattutto, perché produrre questa finzione?
Quando inseriamo il nostro corpo in un contenitore chiaro come quello del TangoOlistico, è davvero difficile dirci bugie. Certo, posso continuare a nascondere a me stesso ciò che il mio corpo prova ma, alla fine, dovrò cedere all’evidenza. Questa evidenza può però dire molte cose diverse. Posso accorgermi di provare un grande godimento (indipendentemente dalla parte, ma soprattutto in quella ricettiva) e sapere che non me lo posso permettere, frustrando così il meccanismo fino ad annullare il piacere. Posso accorgermi, invece, di non sentire proprio nulla e piangere questa condizione cercando di capire come abbia avuto origine. Ma posso anche verificare che sono vivo e che posso godere di ciò che la vita mi porta in quell’attimo!
Dopo aver evidenziato le parti a contatto e iniziato a dare un nome a ciò che proviamo, ci sentiremo probabilmente confusi, contattati in modo complesso, forse senza risposta. A questo punto dobbiamo ricordare uno dei meccanismi centrali del TangoOlistico: il lavoro polare radicale. Dovremo cercare un modo per potenziare, illuminare, evidenziare le nostre due parti, per poter vedere con più chiarezza il processo a cui stiamo assistendo.
Il nostro corpo ci sussurra la verità? Potrei non volerla sentire, oppure posso essere così addormentato che a mala pena mi accorgo di avere accanto un’altra persona.
Le grandi sofferenze della vita ci portano sempre una anestesia corporea di diverso grado, durata, localizzazione. Mediante il TangoOlistico possiamo provare a togliere un po’ di polvere, con cautela, per vedere se, oggi, possiamo permetterci quel godimento di cui ci siamo dovuti privare perché la vita ce l’ha negato in ato.
Lo strumento principe per dare evidenza al nostro sentire corporeo è quel meccanismo che ci consente di essere vivi: il respiro.
Immaginate una coppia che sta ballando. La parte alta dei loro busti probabilmente è a contatto. Se guardiamo sotto la pelle dei ballerini troviamo i polmoni e, infine, l’aria. Ora, guardate una coppia di tangheri impegnata ad imparare un o nuovo. Entrambi sono tesi con tutta l’attenzione rivolta al meccanismo del o da imparare. L’uomo abbraccia la donna soprattutto perché questo è strumentale alla realizzazione del o. Se chiedessimo a questa coppia se sta respirando, la coppia, prodigiosa e mutevole identità, confesserebbe di no! Apnea, una infinita apnea.
Ora, questa coppia impegnata nell’apprendimento può avere un buon motivo per non respirare. L’attenzione, infatti, non è rivolta alla relazione, ma, se vogliamo, a preparare gli strumenti per poter poi ballare. C’è qualcosa di sano, di sensato, in questa apnea. Ha una giustificazione legata all’evento attuale. Se il mio organismo è impegnato nell’apprendere un o, ha senso che la mia parte emotiva, relazionale, resti come attutita. L’apnea, con la sua dimensionalità fatta d’aria, mi permette di mantenere una certa distanza dall’altro, anche se è presente un contatto. Se entrambi i componenti della coppia mettono in atto questo meccanismo, la distanza aumenta ancora di più. Immaginate di ballare con due cuscinetti attaccati al petto, o con due palloncini pieni d’aria.
Questa situazione, frequente e sensata, purtroppo si verifica grandemente anche nel tango ballato.
E’ questo il modo in cui comando inconsapevolmente al mio corpo di non sentire. Il mio respiro si ferma, la mia vita si sospende, e il mio grado di godimento si annulla per lasciare spazio ad una grande rigidità.
Potete dunque immaginare quale sia l’indicazione che do quasi sempre ai miei clienti. Respirare. In realtà, il processo fondamentale per provare a sentire ciò che sta accadendo nel contatto è l’espirazione e non tanto l’inspirazione. Lasciare andare l’aria, sia per chi guida che per chi viene portato, consente alla radicalità delle parti di infiammarsi, di parlare, a volte di urlare. Difficile restare indifferenti a tutto questo.
A volte mi chiedo quanto davvero possa essere potente questo meccanismo sensoriale ed emotivo, e ne ho un po’ paura. Ma mi rassicura il contenitore nel quale lavoriamo, ovverosia la coscienza insita in ogni partecipante, che vi è sempre una forma di abbraccio alla quale si può accedere e dalla quale farsi proteggere. Consolazione straordinaria per un sentire troppo , per un godimento insperato o per un contatto con un ricordo lontano.
Alzando il volume di questo linguaggio è dunque possibile comprendere qualcosa del nostro modo di esprimerci e, soprattutto, di capire qualcosa di ciò che vogliamo provare. Se so interpretare un po’ cosa il mio corpo mi sta dicendo, posso fare almeno due cose fondamentali per il mio benessere: difendermi da un nemico che non vuole il mio bene, accorgendomi dei segnali che il mio corpo mi invia, oppure muovere verso il piacere che davvero desidero.
Le direzioni dell’onda energetica musicale.
Alcuni anni fa, durante un seminario pubblico, feci una cosa del tutto inaspettata a tutti, me compreso. Feci risuonare nella stanza una splendida canzone di Peter Gabriel, Father and son.
Da allora il TangoOlistico ha preso una strada senza ritorno. La musica del Tango Argentino è varia e meravigliosa. A seconda dei periodi storici che questo ballo ha attraversato, ascoltiamo pezzi struggenti cantati da Carlos Gardel, meravigliose e drammatiche musiche delle grandi orchestre degli anni ’40 e ‘50, sofisticate e coinvolgenti musiche di Astor Piazzolla, fino alle ritmiche sonorità del moderno tango elettronico. Mi era facile are da un periodo all’altro per assecondare, amplificare, sostenere gli eventi emotivi che si succedevano durante i lavori individuali e di gruppo.
Ma non avrei mai sospettato che la musica leggera di Peter Gabriel potesse essere tanto potente ed evocativa! Mantenendo la struttura del tango, i ruoli, la postura, i i e integrando musiche molto lontane dalla tradizione tanghera argentina, avevo ottenuto una pozione musicale, di danza e contatto di grande potere evocativo. Da allora la mia biblioteca musicale si è arricchita di pezzi della più svariata origine. o dalle ballate di Bruce Springsteen alla musica yiddish dell’est Europa, per poi visitare sonorità arabeggianti e tornare al tango più puro.
Ogni situazione relazionale presuppone un pezzo musicale adeguato, perfettamente applicabile. Trovarlo al momento giusto, farlo sentire, ballare, è una della più originali modalità attraverso cui si manifesta il TangoOlistico. Rimasi da subito molto colpito nell’osservare che i ballerini (anche i tangheri più intransigenti e conservatori) restavano affascinati da questo caleidoscopio musicale. Ma, in realtà, il meccanismo funzionava perché portava risultati.
Attraverso la modulazione musicale ponderata, voluta, scelta, gli eventi esperienziali del TangoOlistico aumentavano le loro chance di portare benessere ai partecipanti. Ciò che accadeva era che il pezzo musicale scelto allargava e colorava, se così si può dire, quella lente attraverso la quale è possibile vedere chi siamo e come stiamo.
La musica, nel TangoOlistico, rappresenta la motivazione profonda che ci muove nel mondo.
Se non sentiamo la musica, oppure questa musica non significa nulla per noi, semplicemente non balliamo, o non viviamo. Ma se la musica è quella giusta, per quella situazione, quel vissuto rievocato, allora le mie parti si accendono, vivono, si infuocano e, dunque, come abbiamo già visto, parlano di me. Oggi inizio ogni incontro individuale, seminario di gruppo o giornata del Corso di Formazione con una collezione di un migliaio di pezzi. Non scelgo quasi mai una musica a caso e chi balla con me lo sa bene. Ancora, questo vento portatore di vita che è la musica fluidifica le emozioni rapprese nella gran parte delle nostre anime. La musica consente, nel senso che facilita, elicita, la manifestazione di noi nei confronti dell’altro. In definitiva, la musica rappresenta il colore e il sapore del contenitore del TangoOlistico. Anche il potere contenitivo e protettivo di questa disciplina ne ha un vantaggio.
Ricordo un cliente che odiava la musica del tango. Gli altri partecipanti lo schernivano e isolavano. D’altra parte, quando lui cercava di guidare, ascoltando un tango, appariva svogliato e distante. Bene se ne accorgeva la sua dama che, lasciata a sé, prendeva in mano la guida del tango, vanificando ogni effetto del ballo. A parte il fatto che non gli pie la musica, l’effetto di questa sua incapacità di guida lo rese depresso e triste. Era un ragazzo intriso di lavori di crescita personale e aveva frequentato gruppi di meditazione, rebirthing ecc. ecc. Vedersi così sminuito nelle sue capacità di guida, lo portava a pensare di non essere in grado di prendere decisioni, essere determinato, sedurre una donna. Gli chiesi quale musica gli pie e mi disse: “Io adoro la musica di Fabrizio De
Andrè!”.
Nel pezzo che ballò dopo (Amico fragile di De Andrè) trasmise alla sua dama una energia intensa, drammatica, commovente, che la fece piangere e sfogare. Lui, da parte sua, la condusse con leggerezza e forza, con una direzione ben precisa e con amore. Cosa significa tutto questo? Cercare di produrre risultati senza motivazione è quasi sempre fallace.
A volte, nella vita, ci convinciamo che la strada presente è quella giusta, ma, in realtà, siamo stati convinti da qualcun altro, un dettame sociale, una parola detta con forza e ricatto da un genitore, da una considerazione benevola e stringente di un amante. Costringendoci a seguire questa strada che non ci appartiene, perdiamo ogni spirito vitale ed efficacia e viviamo come automi che non sanno di esserlo. Osservo con frequenza una sorta di risveglio energetico nei miei clienti.
Questo confronto stringente con noi stessi ci riporta a considerare con serietà la responsabilità che abbiamo verso noi stessi. La musica allora rappresenta il meccanismo di spinta primario verso l’ottenimento della felicità. Avere il “vento in poppa” ci fa ricordare della nostra capacità di muoverci, di spostarci da una situazione non gradita.
Ricordo una paziente parkinsoniana che adorava il tango ma non l’aveva mai ballato. Durante il primo ballo con me, pianse, e il suo corpo si fece un po’ plasmare dal mio ma senza perdere un certo grado di integrità. Nonostante gli oggettivi impedimenti fisici, accompagnò questa commozione a movimenti coordinati che non immaginava di poter produrre.
Ma la musica, nel TangoOlistico, riveste una grande importanza anche declinata nei due ruoli. Nel tango esistono due modi di ascoltare la musica: quello
dell’uomo e quello della donna. L’uomo ascolta la musica, la comprende e la trasmette al corpo della donna. Attraverso la tecnica che ha imparato nel tempo, porta la donna a muoversi in un certo modo nello spazio. L’interpretazione della musica da parte dell’uomo è così importante perché i tempi, gli spazi musicali, le larghe falde di questa straordinaria musica, consentono all’uomo svariate ragnatele di movimenti e pause.
L’interpretazione musicale rappresenta la concretizzazione del aggio energetico nel TangoOlistico.
La donna, nella gran parte del suo ballo, con l’eccezione degli adorni, non può interpretare la musica che sta ascoltando. Se non altro perché due interpretazioni non saranno mai coincidenti! E’ molto buffo, per esempio, osservare una coppia in cui l’uomo non ha orecchio musicale, mentre la donna è una musicista! L’effetto finale è grottesco, in quanto la donna si sforza di lasciare la guida all’uomo, senza riuscirci, e l’uomo si lamenta che la donna non è disposta a seguirlo! In quale modo, dunque, la donna ascolta la musica? Rispondere a questa domanda ci introduce in un mondo dal quale sono molto affascinato: quello della ricezione musicale. A ben vedere, la donna del tango non deve fare proprio nulla con la musica se non ascoltarla e goderla senza sforzo o intenzione.
Nello stesso modo noi tutti, uomini o donne, ci perdiamo in un notturno di Chopin, o ci facciamo trasportare da un’orchestra sinfonica che ci riempie il cuore. Nel TangoOlistico, dunque, possiamo avere a che fare con la musica in due modi: l’interpretazione musicale e la ricezione musicale.
Quando ballo e guido, io interpreto sempre la musica che ascolto, ma questo non basta. Quel che cerco sempre di fare è di trasmettere questa mia interpretazione alla parte ricettiva di chi sto guidando.
L’interpretazione musicale nel TangoOlistico è una straordinaria opportunità per tutti di verificare in che modo siamo in grado di spiegarci, di comunicare in modo profondo con chi si relaziona con noi. Ci sono persone che hanno una grande capacità di comprensione di un fenomeno che può essere intellettuale, emotivo, sociale o privato, ma questa capacità può non essere resa manifesta all’altro.
Ciò che può impedire questa trasmissione di un’elaborazione vissuta è, come al solito, il contatto relazionale. Possiamo avere un grande mondo interiore ma non essere disposti a condividerlo. Attraverso il meccanismo della motivazione musicale, la condivisione anche verbale delle nostre individualità e il continuo ballare, è possibile prima prendere coscienza delle nostre modalità e dopo provare ad aprirci ad un possibile cambiamento, con l’aiuto della risposta che il corpo del nostro compagno o compagna sicuramente ci darà.
In cosa consiste allora la ricezione musicale? Immaginate di trovarvi davanti ad un’onda e di consentire a questa onda non solo di oltrearvi ma, in parte, di traarvi, di penetrarvi. Per ricezione musicale intendo una modalità pienamente ricettiva e presente nella quale il mio organismo è più o meno disponibile a consentire a un’altra energia, in questo caso la diafana energia musicale, di entrare in me, di muoversi e, infine, di abbandonarmi lasciando però, inevitabilmente alcune tracce in me. Non mi dilungherò negli esercizi che propongo perché è molto difficile spiegare questi concetti se non accompagnati dall’esperienza. Ma il concetto della penetrazione musicale può essere intuito da tutti.
E’ straordinario osservare come chi è chiuso a una nuova relazione, chi manifesta rigidità di vario grado e tipo, anche sessuali, davanti anche solo all’immagine di questa onda reagirà con indifferenza. Oppure si sposterà velocemente verso la parte attiva, cercando di interpretare ciò che non riesce a godere.
Nell’ottica di una vita integrata, il tema delle modalità musicali ci consente di immaginare una persona che è in grado di spiegarsi adeguatamente, di spiegare il suo sentire all’altro e di manifestarsi con pienezza nella propria complessità (come l’uomo del tango accetta la sfida della spiegazione dei i e della musica alla donna); ma anche di lasciarsi invadere, quando questo è opportuno, dalla bellezza e dal piacere, consentendo di aprirsi completamente quando il suo essere si accorge che è il momento giusto.
Non è forse l’orgasmo, in una coppia, un perfetto esempio di integrazione fra manifestazione di sé e pieno abbandono?
Fiducia e responsabilità
Un giorno, durante un primo incontro, o meglio, all’inizio della seduta, una cliente mi disse “io mi fido di te!” Le dissi che non era il modo giusto per intraprendere il suo percorso di crescita personale e lei, legittimamente, non comprese e fu molto contrariata! La donna del tango ha in sé una predisposizione necessaria alla fiducia, ma questa non è mai aprioristica. Quando un uomo la invita, lei accetta di ballare, perché questa è la regola del gioco, ma sarà quando l’uomo la abbraccia e inizia a guidarla che si potrà instaurare o no un rapporto di fiducia. Nel TangoOlistico osserviamo come le persone si dispongono a questo rapporto quando stanno per ballare nel ruolo ricettivo. Ragionando sempre in modo polare, possiamo immaginare una disposizione di grande affidamento oppure di grande scetticismo.
La questione fondamentale però è che questa disposizione non avviene durante il ballo, come sarebbe auspicabile, bensì prima del ballo stesso. Poco importa quello che un cliente mi dirà prima del ballo, i suoi propositi, le sue volontà, la sua dichiarazione di intenti. Ciò che conta è il modo in cui il suo corpo si avvicina a me e tutto quello che porta con sé. In primo luogo la sua storia di fiducia nei confronti del mondo. Il rapporto con i genitori, l’evoluzione dei rapporti affettivi durante la vita, le perdite, le delusioni, gli innamoramenti. Tutto questo avviene prima, e quando finalmente avviene il contatto, ormai i giochi sono fatti. Al di là, infatti, del suo desiderio di affidarsi o di godere, il suo organismo ha già deciso come comportarsi prima di incontrare il mio corpo.
Mille sono i motivi che possono portare una persona a decidere di affidarsi preventivamente. Per esempio, il desiderio di essere voluto può essere così forte che ogni barriera di protezione viene annullata. Ricordo una donna che collassò su di me quasi addormentandosi, completamente priva di filtro. Una esasperazione di questa attitudine si può avere quando la persona, oltre a collassare verso la parte attiva, la tira anche a sé rischiando di far cadere il proprio partner. Vi riconoscete in una di queste manifestazioni? Questa sorta di
fiducia preventiva, che contraddistingue alcuni di noi, è in realtà, pericolosissima per il nostro equilibrio. Affidarci preventivamente a chicchessia ci apre al pericolo rischiando così di invalidare ogni nostro tentativo di avere un rapporto felice con l’altro. Una volta dissi ad una donna che mostrava questo comportamento, che non riuscivo a vederla. Non riuscivo a capire con chi stessi ballando perché il suo modo di comportarsi con me la annullava completamente.
Straordinario è l’esempio che ci dà la donna del tango. Un perfetto equilibrio fra disposizione all’abbandono e una postura stabile, strutturata, che grida il suo nome al mondo. Spesso propongo ai miei clienti di immaginare, quando ballano nel ruolo ricettivo, di dire a gran voce il proprio nome. Automaticamente, la loro postura cambia e, anche se non sanno ballare, si portano verso la postura corretta della donna.
Queste persone che si lasciano andare in modo così aprioristico spesso sono esseri molto sensibili che non controllano il loro sentire, come se ne fossero succubi. E’ facile, ascoltando la loro storia, osservare come la vita abbia offerto loro esempi in cui la fiducia è stata inizialmente ripagata ma poi qualcosa si è rotto perché si sono affidati troppo. E però loro non hanno cambiato atteggiamento.
Il TangoOlistico offre una straordinaria opportunità di misurazione del proprio grado di affidamento aprioristico per vedere con grande contrasto di colori in quali guai ci possiamo mettere senza, normalmente, rendercene conto.
Ma vi sono anche persone molto diverse da queste. La vita può essere stata così dura da formare una attitudine rocciosa e inviolabile di sfiducia profonda. Spesso ballo con persone che mi confidano il desiderio di affidarsi ma, quando ballano con me, il loro corpo dice esattamente il contrario: le spalle sono rigide e tese verso l’alto, nelle loro braccia c’è grande forza, il loro corpo tira indietro e accettano il contatto solo perché le porto a me, i loro occhi sono aperti, fermi, e guardano nel vuoto. Vi sono poi casi in cui queste due polarità di affidamento
coesistono, alternandosi in modo complesso e difficile da leggere. Il contenitore di questa disciplina offre l’opportunità, innanzitutto, di rendere manifesto all’altro il modo in cui ci poniamo, durante la vita quotidiana, nei confronti degli altri esseri umani. Questa nuova coscienza può, a volte, portare un cambiamento di rotta, una ricerca naturale e necessaria di un riequilibrio organistico; ma perché questo accada è importante svelare al cliente il meccanismo che potrebbe dare benessere.
Vorrei, infatti, spiegare il concetto di fiducia puntuale.
Un giorno, prima dell’inizio di una sessione serale di TangoOlistico, una ragazza che frequentava già le serate da alcune settimane mi prese in disparte e mi disse: “Volevo informarti che non mi fido più di te”. Fu un evento bizzarro per me perché mi sentii costretto a reagire in qualche modo. Ma quale? Raccontai, quella sera, che non era così importante, per me, che qualcuno riponesse una fiducia in me con la “F” maiuscola. Tutti commettiamo errori. Possiamo per questo dire che non siamo affidabili? Oppure esiste un modo diverso di analizzare la questione. La donna del tango, che finalmente si è avvicinata al suo cavaliere e si sta facendo abbracciare, spesso balla con un perfetto sconosciuto. Eppure in quel momento ha tutti gli strumenti e gli ingredienti per decidere se affidarsi a lui per quei tre minuti di danza: come lo abbraccia, il suo odore, la maestria con cui la guida, la tranquillità nel portarla, ecc, ecc.
Può essere che, dopo il ballo, possa ancora frequentare quell’uomo, oppure no, oppure semplicemente potrà accorgersi una settimana dopo che ha dei difetti o, ancora, durante un’altra serata, accorgersi di altri componenti che determinano il grado di fiducia da riporre in lui. Come l’uomo del tango, noi possiamo essere interamente affidabili in un arco delimitato di tempo, in una determinata situazione, a determinate condizioni.
Viziati da una vita in cui, sin dalla nascita, abbiamo ricercato l’amore assoluto, cerchiamo continuamente nell’altro un esempio di fiducia ideale,
imperturbabile, straordinaria, e, inevitabilmente, non lo troviamo. Il concetto di fiducia puntuale ci permette di tornare sulla Terra e di misurare ciò che realmente sta avvenendo fra noi e il nostro partner di ballo, o di vita.
Quella sera, feci con quella ragazza alcuni balli, e dopo ogni ballo (immersi di volta in volta in musiche e ritmi diversi) le chiedevo come si fosse sentita nei miei confronti. Si accorse che non era sempre uguale e che, forse, poteva fidarsi o no a seconda di ciò che avveniva realmente, in un preciso momento.
La “cura”, dunque, può consistere nell’accorgersi profondo di ciò che proviamo per l’altro mentre lo proviamo, e non prima che il contatto avvenga.
Un certo grado di pregiudizio è normale, auspicabile e umano, ma è importante che questo pregiudizio non offuschi la realtà e non ci porti a ballare solo con le nostre difficoltà e non con l’altra persona. Ancora, è ballando con più persone diverse che ci accorgiamo che conta molto di più la nostra attitudine nei confronti della fiducia piuttosto che le qualità dell’altro ballerino. Se, infatti, siamo persone sfiduciate e rigide, esprimeremo, in un primo momento, questa attitudine nei confronti di tutte le persone con cui balliamo. Le cose inizieranno a cambiare quando ci concentreremo nel ballo specifico e unico di quel momento, di quella musica. Tornando all’inizio di questo paragrafo, la ragazza che dichiarò la sua fiducia preventiva nei miei confronti, ballava con me tutt’altro che abbandonata, confutando così le sue prime auspicanti parole!
Mi piace dire che il TangoOlistico può rappresentare un bagno di realtà ordinata e consultabile, dove prendere contatto con noi stessi, quale che sia il punto di partenza, muovendo così, lentamente, verso attitudini più terrene, meno celestiali o ideali e, alla fine, maggiormente benefiche.
Ma avrete, forse, notato che non abbiamo detto nulla della parte attiva,
relativamente a questo tema! Possiamo forse violare questa legge di pari distanza e importanza che abbiamo chiarito da subito? Fortunatamente, è molto facile declinare questo tema anche nella parte attiva. Qual è il sentire, l’attitudine, l’emozione, della persona cui ci affidiamo nel ballo?
Tanto più mostreremo di affidarci e tanto più l’altro sentirà la nostra energia di fiducia. Come reagiremo, dunque, quando qualcuno si affiderà a noi? Ci sono persone che dimostrano quotidianamente una grande predisposizione al senso di responsabilità. Come per la fiducia, anche per la responsabilità possiamo immaginare la bontà di un approccio maggiormente puntuale e meno pervasivo. Ma quello che chiamiamo “senso di responsabilità” è già una idealizzazione, è già un cappello di pietra che ci portiamo addosso. Ben lo sa il ballerino di tango, che, a seconda di chi è, manifesterà in modo molto diverso il modo di condurre.
Ci sono uomini così impregnati di senso di responsabilità, che quando si trovano a condurre vengono colti da ansia da prestazione e appaiano inefficaci e inaffidabili! Eppure altri uomini, sempre sedicenti superresponsabili, possono essere molto performanti. Ma come sta la loro dama? Un eccesso di senso di responsabilità porterà inevitabilmente con sé una rigidità contagiosa.
Ricordo un amico che di mestiere faceva il commercialista, molto curioso di partecipare ad un mio seminario. L’ho sempre considerata una persona molto affidabile, precisa, concreta. Come avrebbe ballato guidando? Non fui più di tanto sorpreso a notare un eccesso di forza, una guida rigida, una mancanza di accudimento nei confronti della dama. Lei non fu per nulla contenta e lamentò la mancanza di tatto e di empatia. Essere costretti dalla vita a mostrarci responsabili in ogni occasione ci porta a una condizione di obbligatorietà della nostra manifestazione.
Abbiamo trascorso periodi bui in cui abbiamo dovuto necessariamente dare fondo a tutto il senso di responsabilità possibile. Se questi periodi si sono ripetuti o sono ancora presenti oggi (un parente malato, una situazione di crisi
economica ecc.) allora può accadere che non siamo più in grado di discriminare la gravosità, l’importanza, la qualità dell’evento relazionale nel quale possiamo esprimere la nostra responsabilità.
Ricordo una ragazza alta un metro e sessanta che si ritrovò a ballare con un uomo molto più alto e pesante di lei, e lei era nel ruolo attivo! Come potrete immaginare fu molto difficile per lei guidarlo e, per riuscire a condurlo, era costretta a portare indietro la schiena come a sopportare questa gravosa situazione. Alla fine del ballo mi disse di non essere più disposta a ballare con quell’uomo! Le proposi, dunque, di ballare con una ragazza più magra e più bassa di lei. Il risultato, come sospettavo, fu il medesimo. La sua postura non era cambiata granché. Perché? Perché, come per il ruolo ricettivo, quando ci avviciniamo con un pregiudizio di fiducia o sfiducia, così nel ruolo attivo ci portiamo il nostro fardello di responsabilità già prima di iniziare il ballo.
Così l’amico abituato a dove far fronte a difficoltà continue nella sua vita, si era avvicinato alla dama già spiegandole, con la propria predisposizione, che sarebbe stata dura, durissima!
Abituare uomini e donne a ballare fra di loro cercando di misurarsi con la reale responsabilità attuale è molto difficile.
Mi sorprendo sempre a notare in molte donne, mentre guidano con abilità, uno sguardo triste e stanco, come rassegnato. Immagino la loro vita, i doveri familiari, forse le mancate gioie relazionali, e pure la coscienza della necessità della presa in cura di un figlio o, addirittura, di un marito… Ma, parimenti, mi sorprendo e sorrido a vedere come il loro sguardo può cambiare quando accade qualcosa che le convince dell’attualità di quel ballo, del rapporto che si può instaurare in un dato momento, con una data musica e con quella specifica persona!
Questo innesco vitale è sempre rappresentato dall’attenzione al nostro sentire, a contatto con il corpo dell’altra persona. Possiamo sì, ne sono convinto e gli eventi mi confortano, scommettere in una maggiore disponibilità del nostro organismo a sentire ciò che avviene in quel momento, in quel rapporto che si viene a creare di secondo in secondo, con quella persona, cercando di tenere lontane le interferenze imperanti della nostra vita ata.
Non solo. In entrambi i ruoli, questa moderazione di realtà innesca il circolo virtuoso del piacere: sapere che sto guidando e mi sto prendendo una piccola, specifica responsabilità, mi consente di godermi il ballo, di sperimentare un successo e di caricarmi per prossimi impegni relazionali. Sapere che mi sto lasciando andare perché sento che in quel momento posso permettermelo, mi può condurre verso un godimento contestuale, pieno e (momentaneamente) incondizionato!
Vorrei concludere questa parte con una osservazione sull’integrazione di queste due parti. Riprendendo il tema della proiezione come meccanismo inevitabile presente nel TangoOlistico, possiamo osservare come, quando mi affido all’altro mi sto, nel frattempo, affidando a me stesso e, quando mi assumo la responsabilità di un altro, mi sto misurando con la responsabilità verso me stesso.
Non è forse la fiducia in sé assumendosi la responsabilità delle proprie attitudini, il tema dominante che può riassumere integrativamente le due polarità che abbiamo analizzato?
Leadershiptango
Ogni volta che organizzo il seminario Leadershiptango resto stupefatto da come questo ballo possa contribuire a comprendere, e a volte risolvere, un problema derivante da un disagio nell’ambito del lavoro. Come è possibile questo fenomeno?
Quale che sia la nostra posizione lavorativa, avremo sempre a che fare con qualcuno che ci guida (il capo, un consiglio di amministrazione, un collega carismatico, ecc. ecc), ma anche con qualcuno che noi guidiamo (uno o più dipendenti, un collega remissivo o semplicemente accondiscendente, un cliente ecc. ecc.). Lo schema del TangoOlistico bene si presta ad evidenziare questi ruoli. Propongo ai partecipanti di parlarmi della loro esperienza lavorativa, a volte scrivendo una breve nota.
Il aggio fondamentale del processo consiste nel provare a trasferire un racconto di un disagio lavorativo in un ballo di questa disciplina usando il meccanismo dei ruoli come contenitore discriminatore del disagio stesso.
Una volta, un cliente mi raccontò come il suo problema consistesse nel non riuscire a farsi rispettare dai propri dipendenti, che erano una ventina. Gli proposi di ballare, guidandola, con una persona a caso del gruppo immaginando che questa persona incarnasse tutti e venti i dipendenti. Come si può facilmente immaginare il ballo fu un disastro. Casualmente, il cliente aveva alcuni rudimenti di Tango Argentino ma non era in grado di muovere un o. Così, nell’ambito aziendale, sapeva di avere le competenze per svolgere le sue mansioni, ma non riusciva a farsi rispettare. L’ambito lavorativo ha vincoli importanti che siamo costretti a rispettare. Vi sono variabili di fondo che non possiamo eludere. Non possiamo certo pretendere che il capo sia un’altra persona o che un nostro dipendente diventi improvvisamente simpatico. Eppure,
vi è sempre un certo grado di manovra nel modo in cui ci relazioniamo con le persone. In particolare, per quanto concerne la nostra modalità, indipendentemente dal comportamento del collega.
Lavorai con quel cliente muovendomi nell’ambito dell’interpretazione musicale, nell’attenzione a cosa provava mentre ballava (e, dunque, mentre si relazionava con i dipendenti) e cercando di individuare scene singole in cui il problema si verificava. L’obiettivo, con lui, era quello di fargli sperimentare un ballo alla volta nel senso che il peso dei venti dipendenti era, per lui, infinito e, al solo pensiero, finiva per soccombere prima ancora di avere con uno di loro anche solo un contatto visivo. Provò sollievo dopo un lungo lavoro, in cui gli proposi di ballare con tutti i partecipanti del seminario, ad uno ad uno, cercando di sentire le differenze che c’erano fra di loro, riuscendo così a non sommare automaticamente la loro energia, ma considerandoli singoli esseri umani quali erano. Il suo “senso di responsabilità” aveva ingigantito la realtà. Bisognava, dunque, come abbiamo visto nel capitolo precedente, tornare sulla terra.
Sempre durante un seminario mi capitò una donna che non poteva sopportare le modalità dispotiche del capo. Di certo non era in mio potere rendere il capo meno dispotico! Eppure intuivo un meccanismo che ben conosco. Le chiesi di farsi guidare da un uomo e di non sceglierlo. Alla fine del ballo confessò di essersi sentita costretta, non accudita e di non essersi minimamente goduta il ballo. Non poteva essere un caso. Provammo con altri uomini ma il risultato fu simile.
Scoprii le mie carte chiedendole di farsi guidare sempre da un uomo, ma immaginando che lui fosse suo padre. Il risultato fu una amplificazione del meccanismo accaduto prima e anche del rapporto che c’era con il suo capo.
Come procedere? Bisognava trovare un modo per far diventare quell’uomo che aveva responsabilità di guida nei suoi confronti, in azienda, un uomo normale. Le proposi di ballare ancora ma, questa volta, guidando un uomo che potesse
incarnare il suo capo. L’inversione dei ruoli le permise di guardare più da vicino quell’uomo, di riconoscerne difetti e pregi, ma soprattutto di accorgersi del meccanismo fondamentale (l’influenza del padre).
Declinare il mondo del lavoro nel meccanismo del TangoOlistico consente altresì di lavorare su problemi molto concreti, legati alle energie primarie attiva e ricettiva. Propongo molti esercizi di attivazione per rinforzare il senso di Leadership e sottolineare l’importanza di selezionare obiettivi specifici. Grande importanza riveste la sottoparte di presenza del ruolo ricettivo.
La donna del tango, come un dipendente felice, accetta si di farsi guidare, ma non china mai la testa. Anzi, ribadisce, con la sua postura, la sua presenza, pur nella accettazione del contratto stipulato. Parimenti, l’uomo del tango, come un Capo performante, si prende cura della sua dama e la conduce con dolcezza, ma sa bene cosa fare e dove portarla. Quando non riesce in questo compito, la coppia (l’azienda) non funziona più.
Come dico spesso, il TangoOlistico è una disciplina imperniata sul piacere, fisico e psicologico. Come potete immaginare, non è facile trasformare un disagio lavorativo in una manifestazione di piacere. A volte, semplicemente, è impossibile. Ma la sensazione di godimento, o il filo energetico che ci porta verso di esso, resta un punto di riferimento necessario per misurare il nostro stato emotivo, anche nel complesso mondo lavorativo.
Le relazioni intime
Il concetto di relazione intima e la sua definizione è un mondo soggettivo che ognuno di noi può connotare a seconda della sua visione della vita.
A me piace dire che una relazione è intima quando è presente una qualsivoglia forma di amore.
Ogni anno organizzo un seminario residenziale in ambiente termale che prende proprio il nome di “TangoOlistico e Relazioni Intime” E’ l’occasione, per me e per i partecipanti, di focalizzare la nostra attenzione esperienziale a quel fenomeno ovvio e quotidiano che quasi diamo per scontato, cercando espedienti per giustificare una vita senza amore o, al contrario, finalizzando ogni nostra manifestazione alla conquista di quell’amore. Il tema della relazione viene dunque preso “di petto”, è proprio il caso di dirlo, attraverso esercizi e balli.
Come abbiamo visto nei capitoli precedenti, ognuno di noi porta con sé, nell’avvicinamento all’altro, un bagaglio di vissuti che ci ha condizionato, plasmato, offeso, illuso o soddisfatto. E’ forse, la relazione, l’incrocio di questi bagagli? Oppure possiamo ambire a formare, costituire, una entità più originale di queste sacche di vita vissuta?
Immaginiamo due insiemi che si intersecano. Io credo che la relazione intima possa essere visualizzata come quel sottoinsieme che si viene a creare. Da una parte, il sottoinsieme è esso stesso identificabile con le due persone ma, dall’altra, può essere considerato un prodotto in sé originale, una nuova trama accesa caratterizzata da un nuovo colore. Vediamo, in questo paragrafo, come il tango e i meccanismi del TangoOlistico possano aiutarci a dar vita a questa
nuova trama. Un momento fondamentale per poter analizzare e vivificare la relazione è, per me, la definizione e l’osservazione dei nostri confini. Ma, per poter osservare questi limiti che ci individuano, propongo spesso, paradossalmente, esercizi di natura diametralmente opposta.
Per definirmi ho bisogno di sentirmi, di assaporare la materia di cui sono costituito. E per assaporare questa materia può essere molto utile assaporare la materia delle altre persone.
Attraverso esercizi in cui invito i partecipanti a ballare senza scegliere, mi pongo come primo obiettivo l’innalzamento del nostro grado sensoriale.
Sentire di più, anche in modo indiscriminato, per poi avere una materia cui dare un nome.
Questa momentanea fuga dalle regole di questa disciplina mi consente così di dare una sveglia energetica e sensoriale alla persona che ambisce ad una buona relazione. Se vogliamo trarre profitto dal meccanismo del TangoOlistico, con l’obiettivo di comprendere qualcosa di più della relazione intima, dobbiamo portare tutta la nostra attenzione a quel luogo misterioso e cangiante che definisco il confine del contatto.
Il confine del contatto, che si verifica quando il nostro corpo contatta quello dell’altro, coincide, in questa disciplina, con la Relazione Intima stessa.
Studiare questo spazio mutevole che può vivere o morire in qualunque momento è, in parte, impossibile. Ma possiamo ottenere risultati importanti, se ne riconosciamo e ne rispettiamo l’esistenza. Il primo obiettivo che ci possiamo
porre, nell’ottica di vivificare, per poter poi osservare la trama della relazione, consiste nel manifestare una comunicazione chiara. Già sappiamo come l’uomo del tango debba necessariamente essere chiaro mentre guida la sua dama. Eppure questa chiarezza, se intesa come un assoluto, un obiettivo astratto da raggiungere, poco ci dirà sulla bontà di una relazione e correremo il rischio di desiderare un rapporto in cui vige una cristallina comunicazione che ci consenta felicità infinita. Per poter fare un buon lavoro, dobbiamo intraprendere una attività piuttosto complessa che l’uomo del tango conosce bene. Questa attività ha a che fare con il concetto di continuità.
Se in ogni relazione intima potessimo osservare un canale di comunicazione che, anche se lievemente, resta continuamente vivo e dinamico, probabilmente le relazioni sarebbero più vive, come irrorate di una benefica verità.
Ricordo un seminario durante il quale una ragazza, dopo un ballo intenso e struggente con un’ altra donna (ballando nella parte ricettiva), confessò si di essersi trovata bene, ma si accorse anche che le era mancato qualcosa che non riusciva a definire. Dopo alcuni esercizi e balli comprendemmo che, durante quel ballo, la ragazza si era sentita come lasciata e ripresa più volte. Questa sensazione di discontinuità l’aveva lasciata leggermente turbata pur avendo potuto godere dei momenti belli dei quali, sicuramente, si era accorta. Il caso però divenne più interessante ed intrigante quando ascoltammo la versione dell’altra ragazza (che nel ballo precedente aveva guidato). Lei, infatti, rimase molto stupita dal racconto della compagna. Le era sembrato di essere stata molto presente e non si era per niente accorta di quel piccolo grande sgomento che aveva provocato nella sua partner. Chiesi loro, dopo il chiarimento, di ballare negli stessi ruoli e il risultato fu, per entrambe, molto soddisfacente. La ragazza che guidava era stata più attenta al respiro dell’altra che a sua volta, sentendo questa attenzione, si era rilassata e aveva goduto molto di più di quei momenti che, nel primo ballo, erano stati più isolati.
Ogni relazione inizia ad incrinarsi mediante il verificarsi di piccoli, apparentemente innocui, malintesi. Questi, però, germogliano malintesi più
grandi che, ottusamente, noi continuiamo a tenere nascosti all’altro e in parte anche a noi stessi. Propongo spesso un esercizio particolare che si chiama giusta distanza.
Durante l’esercizio della giusta distanza le coppie sono invitate, pur nel rispetto del ruolo assegnato, a modificare leggermente la loro postura e il loro grado di contatto a seconda di ciò che sentono buono, in quel momento, per sé stessi. Alla fine del ballo invito le persone, come al solito, a scambiarsi i ruoli e rifare l’esercizio.
Questa ricerca consapevole del giusto contatto, che tiene primariamente conto del nostro desiderio ma non può esimersi dal considerare la reazione dell’altro, ci può dare segnali importanti nella direzione di una relazione auspicata. Proverò ora ad esporvi un concetto al quale tengo particolarmente, del quale spesso parlo durante i miei seminari, in particolare in quello sulle Relazioni Intime.
Il contatto è di per sé uno straordinario e di egoismo. Credo nel concetto dell’egoismo buono, una modalità di porsi davanti all’altro nel quale la nostra luce, le nostre volontà, non dovrebbero mai soccombere davanti a quelle dell’altro. Durante le esperienze di TangoOlistico chiedo ai miei clienti di chiarire a sé stessi i propri desideri, le proprie richieste di felicità. Nella parte attiva diremo chi siamo, facendo seguire a questa dichiarazione i movimenti determinati che abbiamo prima esplicitato a noi stessi. Chiederò a una parte attiva di tentare di portare la parte ricettiva dove desidera. E’ importante che, prima del contatto, questa intenzione sia chiara.
Chiederò alla parte ricettiva di sostenere la situazione in cui si viene a trovare, nell’essere condotto, ma ribadendo sempre la propria essenza, la propria energia. Sarà poi il contatto, lo straordinario strumento e, che potrà modulare queste volontà e sicurezze. Nella nostra vita relazionale quotidiana, ci muoviamo sempre fra due polarità distanti: quella in cui siamo intransigenti alle esigenze dell’altro e quella in cui cediamo il o alla volontà altrui, castrando le nostre
proposte e proposizioni. Se diamo adito alla teoria per la quale la relazione può essere considerata come una entità altra rispetto alle singolarità delle due persone, allora questa entità, per esistere, dovrà essere la quintessenza della dinamicità.
Ogni relazione bloccata ha vita breve. Se nell’atteggiamento di chi guida e di chi è guidato nulla cambia durante un ballo, abbiamo due possibilità: o la coppia vive uno straordinario equilibrio statico in cui ogni desiderio della parte attiva è soddisfatto e ogni caratteristica della parte ricettiva resta integra, oppure la relazione implode. Ma il primo caso è raro…
Per ovviare all’intorpidimento della relazione, dobbiamo inventare continuamente elementi di nutrimento. Ricordo una seduta di coppia durante la quale l’uomo, mentre guidava la sua dama, era distratto e assente. I suoi occhi erano sì aperti, ma guardavano nel vuoto senza meta o proposito alcuno. Osservando la sua postura e il suo modo di ballare, mi accorsi che a mala pena sfiorava il corpo della donna disinnescando così il processo nutritivo. La donna, da parte sua, accettava un abbraccio che sentiva privo di amore. Accettando quel tipo di contatto, così distratto e assente, avallava la mancanza di nutrimento dell’uomo, si inchinava a quella situazione non desiderata e, comportandosi in quel modo, non stimolava alcuna reazione nel partner che, così, continuava il suo ballo insignificante. Eppure, e questa è una nota fondamentale per comprendere la dinamica della relazione intima, questa coppia continuava a ballare.
Tale è il nostro bisogno di amore e di affetto e tale è il terrore di perdere anche le briciole che ci offrono, che facciamo di tutto per mantenere anche solo una luce fioca fra noi e il nostro partner.
Così è per il rapporto con un genitore o con un figlio.
Se immaginiamo, come prima, l’intersezione dei due insiemi, in questi casi lo spazio occupato dall’intersezione risulta minimo, quasi invisibile eppure presente. Siamo in grado di vivere infiniti gradi di equilibrio. Dal più triste e nocivo (pensiamo a una coppia in cui un uomo maltratta la sua donna e questa accetta lo status quo piuttosto di restare sola) al più straordinario e complementare in cui ognuno è in grado di manifestare le sue due parti producendo grande gioia ad entrambi. La realtà relazionale però è quasi sempre da qualche parte fra questi due estremi.
L’obiettivo di un lavoro sulla relazione intima consiste nel provare ad innalzare questo livello di equilibrio di benessere.
La coppia di cui accennavo prima ebbe qualche beneficio dalla esplicitazione, anche verbale, dei desideri di entrambi. Questo rendere noto all’altro, questo rivelarsi nei propri desideri, cambiò automaticamente il loro modo di ballare. Il risultato non fu un ballo armonioso e spettacolare ma, piuttosto, un complesso e litigioso tentativo di confrontarsi, partendo dalle reazioni sensoriali percepite dai loro due corpi. Dopo alcuni balli rocamboleschi si accorsero che non riuscivano a stare nelle parti assegnate. In particolare l’uomo prediligeva essere condotto, anche se interpretava la parte attiva mentre la donna, nonostante fosse nella posizione ricettiva, faceva di tutto per guidare! Accettare questa loro inversione di ruoli (rinunciando temporaneamente ai canonici ruoli di genere sessuale), permise loro di analizzare le motivazioni che li avevano portati a vivere in quel modo i ruoli stessi. Come sempre accade, il processo di crescita della coppia fu sapientemente condotto e gestito dal principe del TangoOlistico, ovverosia, il contatto! Continuo a scoprire con gioia durante i miei lavori che, se lasciamo parlare il confine del contatto, ovverosia se diamo la possibilità a quella intersezione che chiamiamo relazione di graduare i propri colori, allora possiamo sperare che si inneschi un processo in cui avvenga uno sblocco energetico importante. Questo sblocco, come un colpo di vento sulla fiammella dell’Amore, potrà fare morire la relazione (ahimè, accade) oppure vivificarla e farla rilucere davanti a tutti.
Processi trasformativi
Abbiamo già iniziato a vedere come la postura, il modo col quale l’uomo e la donna del tango si presentano, sia importante per comprendere lo stato di benessere della persona. Di quali strumenti disponiamo per poter provare a stimolare un cambiamento posturale e di presenza? Gli ingredienti di questa disciplina comprendono musica, esercizi, fondamenti di tango, contatto. Ma c’è un altro elemento, che fa parte della vita di tutti i giorni, che è sempre presente in ogni manifestazione di TangoOlistico. L’esempio. Ognuno di noi ha uno o più parametri di confronto. Quando ci confrontiamo con una persona di successo, che è riuscita a fare nella vita qualcosa che avremmo tanto voluto fare noi, si possono verificare due eventi emotivi. In un caso possiamo restare ammirati ed adoranti, vivere nella speranza che accada qualcosa che ci avvicini al nostro idolo, guardare dal basso questa ambita perfezione, continuando a vivere la nostra vita meschina. In un altro caso possiamo invidiare con una punta di odio quella persona, quel riferimento, fino anche a negare di volergli assomigliare. Possiamo, dunque, assistere ad un fenomeno paradossale: rinnegare questo altissimo riferimento perché non siamo in grado di ambire a quel grado di felicità. Allo stesso modo assisto spesso, durante i seminari ma anche durante gli incontri individuali, a scene in cui il cliente mi guarda con un misto di sospetto e ammirazione. In effetti io ballo molto bene e sono in grado di manifestare sia la parte attiva (quella dell’uomo) sia (nonostante le mie forme non proprio femminili) quella della donna del tango. Un giorno una cliente mi chiese come fi a muovermi così bene nei due ruoli. Le risposi, semplicemente, che avevo imparato a farlo.
Ma alla base dell’apprendimento c’è l’accettazione del meccanismo dell’esempio. Se accetto che l’altro sia in grado di manifestarsi meglio di me in un qualche campo del sapere e dell’essere, se vi è dunque una coscienza di inferiorità in quella specifica tematica, allora può iniziare un processo emulativo che mi può avvicinare a quella data manifestazione umana.
L’obiettivo, nella nostra disciplina, non è certo quello di un apprendimento tecnico e dunque l’ambito processo trasformativo è più complesso.
Si tratta di vedere se è possibile emulare una qualche forma di felicità.
Propongo ai miei clienti un esercizio bizzarro in cui chiedo di provare a ballare (come al solito in entrambe le parti) nel modo più diverso possibile dal proprio. Una sorta di stretching privo di scelta qualitativa in cui proviamo a manifestarci in una qualche forma a noi apparentemente aliena. Questo esercizio è propedeutico al lavoro principale durante il quale propongo di ballare cercando di imitare la persona che, a loro avviso, balla come loro vorrebbero ballare.
Questi esercizi emulativi giungono però dopo un lungo e attento lavoro che è la vera parte centrale del processo trasformativo, ovverosia l’osservazione a contatto delle modalità altrui.
Per osservazione a contatto intendo il ballo durante il quale mi concentro al massimo nell’intento di sentire in che modo la persona con la quale ballo si muove e si manifesta. Ovviamente, se sto ballando nella parte attiva, la mia attenzione sarà interamente riposta sulla parte ricettiva dell’altro e, cambiando ruolo, viceversa.
Eventi emotivi come l’invidia odiosa o il disprezzo dell’eccellenza altrui, perdono forza e svaniscono durante una attenta e stringente osservazione a contatto. Come sempre, il raffronto con la realtà ha il potere di sgonfiare i nostri atteggiamenti nevrotici e caratteriali. Se diamo una chance al potere in qualche modo oggettivo della realtà e, per dare questo potere, utilizziamo il contatto, ci ritroviamo costretti a misurarci con dei colori definiti che possiamo sentire e definire mediante la nostra pelle. Perché, dunque, collegare l’aspetto emulativo con il processo trasformativo personale?
Ogni trasformazione è tale se è presente, in una qualche forma, una disponibilità ad un allontanamento parziale dalla nostra condizione attuale. Questo allontanamento avviene automaticamente, a piccole dosi, ogni volta che balliamo con un’altra persona, sempre che vengano rispettate con precisione le parti assegnate.
A un primo sguardo, questa particolare forma di emulazione potrebbe sembrare una forzatura alienante, tesa a farci diventare qualcosa che non siamo. In realtà i misteriosi processi che intervengono fra un corpo e l’altro, mentre si balla, comprendono sempre, come abbiamo visto col fenomeno della proiezione, un certo grado di manifestazione di noi. Non cercheremmo mai di diventare simili a qualcuno col quale la nostra anima non ha nulla a che fare. Se siamo attratti da una persona, dal suo modo di manifestarsi, molto probabilmente, osserviamo qualche elemento che ci riguarda da vicino. Perché dunque non dargli voce? Osservo sempre, durante gli esercizi emulativi, una grande calma, frutto di grande attenzione da parte dei partecipanti.
A volte la nostra rigidità nella predisposizione al cambiamento è frutto anche di una mancata reale osservazione dei fenomeni umani che ci circondano. Spesso, infatti, chiamiamo osservazione ciò che è in realtà uno sterile giudizio. L’osservazione può essere neutra, potenzialmente oggettiva. Ogni volta che giudichiamo, infatti, il nostro corpo si irrigidisce e si ferma davanti al cambiamento.
Se facciamo davvero parlare i nostri corpi, se ci facciamo accendere dalla nostra energia e da quella dell’altro, tenendole distinte, se consentiamo all’energia erotica che si è sopita nella nostra anima di contattare quella dell’altro, allora la trasformazione del nostro essere verso una maggiore felicità è inevitabile. Solo noi possiamo impedire questo movimento trasformativo ovvio del nostro organismo. E, naturalmente, siamo bravissimi ad attuare tale impedimento.
Ricordo una mia allieva che, per molti mesi, è rimasta come indifferente alle sollecitazioni dei vari balli ed esercizi che le proponevo. In realtà qualcosa accadeva, ma sembrava avere vita breve. In sostanza, dopo ogni seduta, le pareva di aver sentito qualcosa di nuovo ed era portata a dare molta importanza a questo cambiamento. La settimana dopo, però, tutto questo movimento della seduta precedente si chetava. Inoltre, e inevitabilmente, mi confidava di provare una grande stanchezza.
E’ sempre presente in noi un combattimento fra la conservazione e lo sguardo oltre le colonne d’Ercole della nostra anima. Ed è molto facile che il mare nostrum l’abbia vinta.
Sono convinto, e le decine di giornate di formazione condotte mi sono d’aiuto in questa convinzione, che la soluzione a questo dilemma esistenziale, se restare o partire, se paralizzarmi nella mia stabilità o volgere lo sguardo verso modi e mondi ignoti, abbia molto a che fare con il fenomeno della sorpresa.
Quando interviene un colore nuovo nella nostra esperienza, e questo colore ci dà piacere, allora la nostra struttura, per quanto nevrotica, non riesce a restare indifferente.
A volte, nella vita, questo colore è rappresentato da un amore travolgente, da un incontro amicale arricchente, o da un mentore che ci accompagna alla vita. Nel TangoOlistico questo colore può materializzarsi in un ballo. Ogni ballo è diverso dagli altri. Ben lo sanno le coppie tanghere che frequentano le milonghe. Alcune volte non c’è nemmeno bisogno di cambiare partner per provare qualcosa di nuovo. Un ballo può diventare un punto di svolta nel mondo emotivo che ci accompagna da sempre. Provare un’emozione di intensità sconosciuta, oppure conosciuta moltissimo tempo prima, mette in moto un meccanismo che si autoalimenta e non ci dà tregua.
La mia allieva, appunto, dopo molti mesi di apparente fermezza e piccoli movimenti abortiti, si sbloccò dopo un ballo e, da quel giorno, dovette confrontarsi con la cruda realtà: aveva davvero voglia di stare bene! Il suo organismo pretendeva con forza di provare piacere, soddisfazione, completamento di sé, interezza. Il lettore potrebbe obiettare che questi desideri, queste pretese, sono ovvie. Ma il vero problema è che dovrebbero essere ovvie!
Solo quando il desiderio di benessere diventa cocente, il nostro organismo si porta davvero verso l’oggetto di quel desiderio.
Il contagio emotivo.
Abbiamo già visto come sia impossibile restare indifferenti all’abbraccio inteso nella forma del TangoOlistico. Ma cosa a, realmente, fra i due corpi in movimento?
Una delle maggiori difficoltà che gli allievi del percorso formativo in TangoOlistico incontrano è quella di trovare modalità per trasferire ai propri clienti energia di benessere. Potrebbe venire naturale pensare che, per rendere possibile questo aggio, sia necessario godere del benessere che vogliamo trasferire all’altro! Ma questo pensiero è vero solo in parte.
Mi capita spesso di sentire e assorbire il malessere dei miei clienti, ma il tipo di energia che mi contatta può essere molto diversa e produrre in me effetti diversi. Proverò a spiegare questo complesso meccanismo con alcuni esempi. Una donna mi confida di non sapere perché abbia deciso di partecipare al seminario di gruppo. La invito a ballare ma le chiedo di guidarmi. Mi arrivano segnali contraddittori. Da una parte avverto che vuole condurmi e che saprebbe farlo, dall’altra che, come aveva palesato prima, non sa bene che fare e per quale motivo. Questa energia contrastata mi giunge come un disagio che non ha nome.
Il disagio che non ha nome è sempre nocivo nell’equilibrio della persona che viene contattata, così come per chi lo sta provando. Il motivo della trasmissione del disagio sta proprio nel fatto che il disagio stesso arriva senza un nome, senza una comprensione emotiva.
Questo disagio mi pone in una condizione di dubbio, di perplessità e dunque, appunto, di disagio. Durante un incontro individuale una ragazza mi confida di
provare rabbia per il suo partner ma di non riuscire a manifestarla. Si sente compressa e frustrata e ogni volta che si incontrano e affrontano determinati argomenti, la situazione si ripresenta identica. Dopo alcuni incontri durante i quali la aiuto a dare una forma e un contenuto a questa rabbia, le propongo di guidarmi immaginando che io sia il suo partner e la invito a portare su di me, ballando, quella stessa rabbia.
L’energia che mi arriva non è certamente piacevole ma, alla fine del ballo, non sento alcun disagio. Cosa significa tutto questo?
Ciò che produce disagio è sempre il disagio che non ha nome, la confusione di una decisione da prendere, la mancanza di direzionalità delle nostre manifestazioni. Ogni qual volta invece la nostra energia, quale che sia la sua sostanza, si muove su binari chiari, allora l’effetto è benefico perché viene compreso e, in definitiva, assimilato.
Il risultato di questo complesso meccanismo è il seguente:
Quanto più sarò in grado di dire e, in definitiva, di trasmettere il mio stato emotivo alla persona con cui ballo, tanto più la persona contattata potrà godere della pulizia della mia emozione e, dunque, non averne alcun danno bensì una iniezione di verità, di onestà esistenziale che potrà, a sua volta, innescare un dialogo di chiarezza e di benessere.
In questo modo, i miei allievi devono imparare a dialogare chiaramente fra di loro, confessarsi senza pudore i loro più reconditi sentimenti d’amore e di odio e, per fare questo, devono prima chiarire in sé quali siano questi sentimenti.
Ma come chiedere ad un allievo o ad un partecipante di un gruppo di confessarsi con tale intimità? Da sempre, da quando ho iniziato a proporre la Tangoterapia prima e il TangoOlistico poi, non ho mai preteso che i partecipanti dicessero i loro disagi. Vi era, vi è, in me una profonda convinzione per la quale ogni persona è in grado di comprendere, per gradi, ciò che avviene internamente senza bisogno di esplicitarlo con le parole. Naturalmente tutti sono liberi di comunicare verbalmente i temi affrontati, ma non si tratta di un meccanismo necessario. Perché?
Perché il contatto che si viene a creare nel TangoOlistico, attraverso l’interpretazione corretta e polare delle due parti, è esso stesso in grado di veicolare e dare voce alle emozioni delle persone.
Per consentire, aiutare questo processo, invito spesso i clienti ad attuare un particolare esercizio che prende il nome di racconto intimo. Nonostante non sia obiettivo di questo libro, quello di spiegare i contenuti degli esercizi che via via propongo ai miei clienti, credo sia importante ed esemplificativo introdurre questo curioso esercizio che sta dando a me e agli altri tante soddisfazioni di benessere.
Nel racconto intimo le persone sono invitate, in maniera diversa a seconda delle parti agite, a raccontare al partner uno specifico tema, concordato con me, senza però dire nemmeno una parola. Come quando pensiamo intensamente e diamo voce internamente ad una emozione e siamo da soli in una camera buia, così attueremo lo stesso meccanismo ma a contatto con il partner.
E’ possibile, attraverso questo strano esercizio, confessare ogni emozione al proprio compagno con la promessa, questa sì esplicita, che nulla di ciò che sta pensando verrà poi verbalmente raccontato, né al partner né a me.
Questa promessa di sicurezza, di segretezza, agisce da potente contenitore nell’organismo di chi attua l’esercizio e consente un movimento più fluido e continuativo del dialogo fra le parti. Ho in mente alcune persone che avevano una grande difficoltà nell’esprimersi verbalmente, oppure parlavano di argomenti superficiali o, molto peggio, insistevano a giudicare il comportamento del compagno di ballo, disinteressandosi completamente al proprio funzionamento e alla presa di coscienza di sé stessi. Attraverso il meccanismo del racconto intimo ci è stato possibile far accadere qualcosa che avesse un preciso significato per il cliente e che potesse essere comunicato, trasmesso all’altro anche se non verbalmente.
Ciò che conta, nella trasmissione delle emozioni, non è tanto in quale modo questa avvenga, bensì che avvenga realmente!
In che modo viene sentito questo specifico racconto da parte di chi lo ascolta? Ovviamente il ricevente non potrà comprendere le parole pensate dal confidente, ma sapendo che è in atto un processo di comunicazione lo accoglierà per quello che è: una confessione di verità. Questo accogliere privo di giudizio ha in sé un senso di comprensione che va al di là del contenuto verbale del messaggio.
Ma nel TangoOlistico, ormai lo avete capito, entrambe le persone che ballano stanno facendo un lavoro specifico. Mentre la parte attiva si concentra sull’esercizio del racconto intimo, la parte ricettiva è anch’essa impegnata in un processo simile e il risultato è un potenziamento di questo meccanismo. Un potenziamento di chiarezza che illumina le anime dei ballerini, le vivifica e le rende funzionanti dando forma, così, a quella relazione da tutti noi auspicata e così difficile da attuare: la relazione con l’altro.
Suggestioni formative.
Raccolgo qui alcuni frammenti tratti dalle lezioni che ho tenuto nell’arco dell’ultimo Corso annuale di Formazione in TangoOlistico.
Pur essendo parole rivolte ai futuri operatori, credo che il contenuto di queste frasi possa contribuire a chiarire ulteriormente i concetti fondamentali della disciplina.
1.
La parte più sana, più pulita e creativa di ciascun individuo è proprio quella che risulta meno condizionata dalla polarità comportamentale.
2.
Il contatto rappresenta lo strumento che ha il potere di consentire il riconoscimento della polarità.
3.
Quanto maggiore è la capacità di accostarsi al ballo senza un atteggiamento, di qualsiasi natura esso sia, tanto maggiore sarà possibile vivere ciò che accade
sulla base di ciò che c’è, senza strutture o giudizio.
4.
E’ indubitabile che ci sia anche una necessaria parte di godimento interiore quando qualcuno dispone di noi fisicamente perché, in quel momento, ci può essere una sana deresponsabilizzazione seguita dalla coscienza che viviamo un frammento di vita in cui non proviamo alcuna preoccupazione.
5.
Nel rapporto con il piacere, il punto è lasciarsi aperta la possibilità che un evento piacevole si possa ripetere. E’ come dire che, se si può fare, può ripetersi; laddove il presupposto è avere provato qualcosa. Il punto è dire: 1) l’ho provato, 2) mi piace, 3) lo voglio ancora.
6.
Avevo una cliente che poco tempo fa mi ha chiamato chiedendomi “Cosa mi hai fatto?”
Lei aveva una storia di dipendenza da un uomo, cosa che accade abbastanza spesso ma è piuttosto difficile da estirpare, e sono stato molto cauto nel festeggiare laddove lei è arrivata da me dicendomi “Sono guarita”.
Al contempo, ho sollecitato la comprensione del meccanismo che ha posto in essere, perché maggiore è la comprensione di tale meccanismo, maggiore è la possibilità di replicare il comportamento nella vita poiché qualcosa di simile potrebbe sempre ricapitare. Il lavoro svolto è stato quello di cercare di comprendere che cosa la cliente pensasse di quello che avevamo fatto insieme e che aveva facilitato il processo di trasformazione. Guarda caso, tutto il processo aveva avuto a che fare con una sorta di esempio di affettività sana (interpretata da me), di cui non si parlava bensì lo si rendeva reale, manifesto, relazionabile.
La mia speranza è che sia entrato qualcosa dentro di lei che ha iniziato a funzionare da solo nel momento in cui si è allontanata dalla persona che non voleva più nella sua vita.
Il processo avvenuto non è stato produttivo solo in una dimensione cognitiva. In questi casi accade qualcosa a livello di tutto l’organismo che produce un germoglio pervasivo, come un tumore benefico. Questo è ciò che noi proviamo a fare accadere durante le sedute di TangoOlistico.
7.
Adesso vorrei farvi fare un esercizio contemplato nel manuale tecnico chiamato “la barchetta sul mare”.
L’esercizio funziona così: noi guidiamo, ma il lavoro consiste nel non influire nell’altra persona. Ossia si tratta dell’esercizio contrario di questa mattina. Riduco alla parte più essenziale lo stare con l’altra persona cercando di stare in un silenzio non solo di voce ma anche di contatto.
L’idea alla base di questo esercizio è che il mio braccio destro possa galleggiare sulla schiena della persona restando assolutamente in contatto ma, per quanto possibile, senza incidere. Chiaramente diventa un pochino più semplice quando ci muoviamo. La difficoltà è notevole perché possiamo scivolare facilmente in errore. Ossia il rischio di essere lì ma non essere lì per la persona. Siamo lì ma non ci siamo, ed il cliente se ne accorge immediatamente.
Quello che stiamo cercando è una sorta di confine nel contatto che discrimina tra un’invasione, anche benefica, e il non esserci. Questo è l’esercizio che da il nome a tutto il nostro progetto cioè “TangoOlistico ai confini del contatto”. Nel senso che la nostra capacità di “stare con” senza influire rappresenta un po’ il gioiellino della nostra capacità di essere in relazione.
8.
E’ importante cambiare musica utilizzando generi diversi, per arricchire la nostra modalità di intervento senza ricadere nell’impoverimento e con la ripetizione di schemi che ci appartengono. Per un cliente risulta essere molto importante uscire dagli schemi.
L’uscire volontariamente dal tempo musicale per poi riportare “tutto a posto” nell’ambito di uno spazio musicale, dà modo di dimostrare che c’è la “possibilità di”, serve ad aumentare il livello di fiducia perché dà la possibilità di sentire che ci si può perdere fiduciosi del fatto che l’ordine può essere ricreato.
9.
In generale, chi sente di avere un problema nella percezione corporea, (che di solito si può manifestare nelle due polarità di sentire troppo o troppo poco), cade spesso in una trappola di avere un ideale sul sentire ossia di avere delle fantasie su quale sia il livello giusto del sentire per stare bene.
Il consiglio per tutti coloro che portano il tema del sentire potrebbe sembrare banale e consiste nel “sentire quello che sentiamo”. Nessuno di noi vive in uno stato di anestesia totale ed anche quando si sente poco il rischio è quello di non dare valore a quel sentire. Quella sensazione è la risposta, perché nessuno al mondo ci chiede di sentire e quanto sentire.
Il paradosso sta nel fatto che, se si dà legittimità a quel sentire, seppur piccolo, si può innescare un processo di consapevolezza che potrebbe produrre un sentire maggiore. Il TangoOlistico ci dà una straordinaria possibilità di misurare questo sentire, di volta in volta, in modo continuativo.
10.
La presenza, innanzitutto, si identifica con la presenza fisica. Nel tango una donna che balla bene mostra un’integrità del fisico in cui c’è equilibrio e struttura. In particolare la possiamo rapportare alla nostra capacità di stare in piedi, di stare sul nostro asse.
Abbiamo sicuramente bisogno di un compagno per ballare ma, intanto, lo stare sul nostro asse dimostra all’uomo che ci siamo e che non siamo da lui dipendenti. Questo presupposto è fondamentale perché molto spesso l’immagine della donna del tango viene interpretata diversamente e la presenza viene intesa al contrario come ività. Se il tango fosse privo di questo elemento di stabilità dinamica, questo non sarebbe utile a nulla e al contrario l’assenza di questa sottoparte (standing) di presenza farebbe saltare tutto il sistema. E’
proprio la presenza di questa sottoparte ricettiva a rendere possibile il ricevere perché, in primo luogo, per poter ricevere io devo esserci. Il primo elemento dal quale è possibile verificare la presenza è il collegamento con il pavimento, per il tramite dell’alternanza dei pesi. L’alternanza dei pesi consente il movimento, diversamente diventerebbe impossibile muoversi.
11.
Partendo dal presupposto che sia necessario stare sulla terra è altrettanto necessario realizzare un collegamento verso l’alto attraverso un’estensione, con un’apertura. La presenza quindi è direttamente correlata con il manifestarsi, con l’essere aperta ma in modo stabile. Evidenza di quanto si sta dicendo può ritrovarsi nel fatto che il tango è un ballo sociale.
La presenza però non può essere dissociata dal sentire, infatti questa parte è ovviamente ed indissolubilmente legata alla sottoparte del sentire.
12.
La persona maggiormente equilibrata è quella che si accorge di potersi permettere di farsi muovere, nel TangoOlistico, restando presente. Ossia avere la consapevolezza che non è necessario andare in una dimensione di sogno, di delirio o dolore, per sostenere la propria vita, ma che è possibile permettersi di entrare in questo meccanismo vitale proprio perché c’è la propria struttura a contenerci, ovverosia posso godere di quello che ho e al contempo restare.
13.
Obiettivo di questa disciplina è dividere per vedere, non per dissociare bensì con lo scopo di integrare. Il tutto (la coppia interiore) diventa maggiore delle parti.
14.
Quando lavoriamo nella parte ricettiva, cosa possiamo usare da lente d’ingrandimento per vedere meglio in noi stessi? Possiamo alzare il volume attraverso lo strumento dell’abbandono.
Questo per noi è fondamentale; perché al cliente con cui balleremo accadranno tantissime cose o anche niente ma se noi, in primo luogo non sappiamo cosa si prova, non è possibile entrare in empatia con lui/lei.
Nel momento in cui una persona sta davvero bene con noi mentre la guidiamo, tecnica o non tecnica, accadrà che questo cliente “cederà” qualcosa e sarà quello il momento in cui, in relazione con noi, inizierà a succedere quello che gli serve per stare meglio.
Il tutto accadrà in modo graduale, ma a noi interessa mettere il focus sul processo. E quando inizierà ad accadere veramente qualcosa? L’inizio del processo si avrà quando si realizzerà una sorta di corrosione della difesa e l’altro inizierà ad abbandonarsi. Prima di questo momento si parla molto, si usa molto la testa, si sta nel linguaggio verbale, si capiscono molte cose la maggior parte delle quali servono a poco.
Finché però non si instaura questo abbandono non accadrà nulla, perché solo
all’aprirsi di questa forma di abbandono, si aprirà lo spazio affinché possano iniziare a funzionare i meccanismi di guarigione .
15.
All’interno di un seminario di TangoOlistico siamo tutti consci del fatto che nessuno vuole fare male a nessuno. Questo presupposto ci deve in qualche modo bastare, perché nei seminari pubblici di TangoOlistico si lavora con il fatto che la persona che balla con noi, o con un’altra persona, necessariamente proietterà nell’altro un’altra figura, che potrebbe essere ad esempio il padre, la madre, il fidanzato, e l’operatore sa che la capacità di aiuto sta nel creare un discrimine con quella che è la realtà. Perché la verità è appunto questa. Se una persona mi guida è lei che mi guida. Questo rappresenta un elemento fondamentale, perché se ho una parte cosciente che aiuta a comprendere chi è realmente la persona con cui ballo, c’è maggior possibilità di lasciarsi andare perché la persona reale con cui ballo non è lì per farmi del male.
E’ necessario trovare il modo per abituarsi all’idea che dobbiamo trovare delle formule di accettazione dell’altro così com’è perché, se la premessa nel ballo è che non ci lasciamo andare perché non ne abbiamo voglia o che abbiamo sentito qualcosa che ci rimanda a qualcun altro, allora non sarà possibile diventare operatori di TangoOlistico perché non siamo andati a vedere come stiamo nel ballo con quella persona, ma abbiamo, al contrario, tagliato i ponti. Di fatto smettiamo di ballare con quella persona.
16.
Dobbiamo solo accettare di lasciarci portare entro, ovviamente, i limiti della nostra coscienza. Nel senso che laddove ci sia qualcosa che non vogliamo o che non ci piace è necessario esprimerlo; ma questo non ha nulla a che fare con
l’accettare di essere portati.
17.
Di fatto, la contaminazione, il contagio che si crea tra le due parti rende quasi impossibile che si possa fare del male. Perché se percepisco che la partner si arrende alla mia guida difficilmente potrò porre in essere comportamenti che le facciano del male.
STORIE DI TANGOOLISTICO
Atena
Mi presento a Voi con il nome di Atena, la dea altrimenti conosciuta nel mondo romano come Minerva. Vi confesso che la scelta di questo nome non è dettata da motivi di riservatezza quanto piuttosto dalle caratteristiche di questa Dea che bene mi rappresentano. La Dea con la corazza, con l’elmo che comunque scopre il viso, con una lancia ed uno scudo in mano. La Dea della saggezza e dei mestieri. Sì, proprio lei, la dea che mi rappresenta al meglio. Io donna forte, energica, efficace, pronta per affrontare sempre le questioni che si propongono nel quotidiano, con una capacità di analisi e di ragionamento che mi rendono una buona alleata degli uomini e delle donne sia nel mondo del lavoro che nelle relazioni affettive ed amicali; perché in me s’incontra la roccia incrollabile. Una donna razionale poco dominata dalle animosità del quotidiano sempre capace di trovare le soluzioni che compongono tutto. La donna che quando è in una relazione con un uomo non dipende dall’altro, che non dà problemi, una donna che si muove a suo agio in società che risulta simpatica ed interessante perché in grado di affrontare e sostenere discorsi di ogni genere così come situazioni più disparate.
Alcuni di voi potrebbero pensare una gran rompiscatole, una donna perfettamente padrona di sé, altri potrebbero pensare una donna fortunata! Io mi sono considerata sempre una donna molto fortunata perché attorniata da affetti sinceri. Una donna che sa quello che vuole e sa come raggiungerlo, che ha raggiunto la sua affermazione e che non ha nulla da temere nella vita. E quindi perché una persona che all’apparenza possiede tutto, e non parlo di beni materiali, può alzarsi al mattino con la sensazione che manchi qualcosa? E soprattutto come questa sensazione mi ha avvicinata al TangoOlistico; scelta che solo in parte si può ricondurre alla razionalità? Vediamo se riesco a trasmettervi fino in fondo quello che è accaduto. Era un periodo in cui non stavano accadendo eventi clamorosi nella mia vita, tutto scorreva secondo una tranquillità che poteva sembrare all’apparenza pace interiore. Nonostante ciò mi accadeva sempre più di sovente di svegliarmi al mattino con la sensazione sempre più profonda di vivere da spettatrice della mia vita. E questa sensazione non mollava la presa. Oggi dico che il mio corpo e la mia anima erano coalizzate
nella loro nuova creazione. Sentivo questa vocina dentro di me che bussava ma non ero capace di dare un nome a quella sensazione. Ero consapevole del mondo che mi ero creata ed era tale la mia capacità di analisi e di osservazione, di quanto avevo intorno a me, da non riuscire a percepire che, di fatto, non ero nella mia vita; vivevo come se in qualche misura fossi spettatrice di me stessa. Un’osservatrice acuta, dotata di una grandissima capacità critica, con un buon senso dell’ironia, ma in tutto ciò mancava un pezzo; mi mancava il contatto. Il contatto con me stessa e quindi non ero in contatto nemmeno con la mia vita. Ecco l’ho detto! Mi mancava il contatto con quello che avevo dentro di me. Bel pasticcio! Ero perfettamente in grado di risolvere un intricato problema ma accipicchia non ero in grado di sentire quello che accadeva dentro di me. Il percorso per arrivare a questa consapevolezza è stato tutt’altro che immediato. Per lungo tempo ci ho un po’ bisticciato perché la vita del mondo reale andava comunque benissimo eppure quella vocina dentro non smetteva di cercare la mia attenzione.
Un giorno, su consiglio di un’amica feci una seduta di channelling. Ero un po’ scettica, vista la mia razionalità, ma la sensazione non ava e quindi valeva la pena provare. Uscii da quella seduta piuttosto sconvolta. Avevo avuto davanti a me una persona che aveva contattato un mio angelo guida e pur non avendo mai scambiato una parola in precedenza con me mi aveva lasciato un messaggio forte e chiaro. Avevo due possibilità davanti a me, negare quello che era accaduto quel giorno o dargli una possibilità. Quindi sovvertendo il mio modo di fare mi misi di buona lena a trascrissi il messaggio che avevo sentito con le mie orecchie e che avevo comunque registrato. Che ci crediate o no, in quel messaggio c’ero io e dopo aver sentito raccontare me stessa mi misi a piangere. Non so se era un peso che si sollevava dal mio cuore o la sensazione di una novità che stava finalmente per arrivare. Alla fine di tutto mi si diceva che la risposta per arrivare a me era mettere insieme il mio maschile, così forte, ed il mio femminile così sommerso da avere una voce così flebile che era difficile starla a sentire in tutta la sua pienezza. Nei giorni successivi nei momenti più inattesi, continuavano a tornarmi in mente quelle parole. Ma cosa potevo fare? Io avevo quella sensazione che continuava a farsi sentire; ma cosa potevo fare? La risposta arrivò una sera, quando navigando su internet alla ricerca di un corso sul movimento del corpo, che è sempre stato lo strumento che ho usato per liberarmi dal giogo della mente, saltò fuori il tango. Il tango, il ballo in cui, anche all’occhio più inesperto, il maschile ed il femminile vivono appieno. Ma questa
cosa non mi convinceva fino in fondo, non avevo ancora trovato la mia cosa perché l’incontro tra il mio maschile ed il mio femminile non era solo questione di ballo; avevo bisogno di qualcosa che andasse oltre. Cercai, cercai ancora, fino a quando non mi imbattei nel sito del TangoOlistico. Olistico? Questa parola catturò la mia attenzione. Cosa accadeva in questo posto in cui ciascuno di noi viene chiamato a sperimentare le sue due parti? Il maschile e il femminile, separare per tornare ad unire, per mettere in contatto e in relazione. Ecco cosa cercavo! Allora non lo sapevo ancora, ma oggi vi dico che da quel momento è nato un amore. Partecipai ad una serata di presentazione di un percorso serale, quasi in modo di sfida. Ero curiosa di entrare in questo mondo ed allo stesso tempo la mia mente mi richiamava all’attenzione. Oggi sorrido: il mio mondo razionale stava per subire uno scossone. In quel posto mi era stato detto di ballare senza avere la pretesa di muovere dei perfetti i di tango ma di tenere gli occhi ben aperti quando ero chiamata a guidare e di chiuderli nel momento in cui ero guidata lasciandomi portare. Tutto il mio mondo fatto di spiegazioni e ragionamenti iniziava a non trovare più corrispondenza nelle parole. Cosa stava accadendo? Il mio mondo fatto di razionalità e compostezza iniziò a lasciare spazio a qualcosa in cui iniziavo a sentire delle sensazioni. La potenza del contatto con l’altro, uomo o donna che fosse, non mi lasciava scampo. Il mio corpo iniziò a lanciare messaggi, dapprima confusi perché per me non era facile accettare che stando nel contatto iniziassi ad avere una percezione diversa di me. Non ero una persona che aveva problemi a stare in un abbraccio, ma quello che accadeva nel movimento del ballo, nel contenitore di un pezzo musicale, era una novità per me. La mia rigidità del corpo era il sintomo principale che qualcosa stava accadendo. Sperimentare il condurre e il lasciarsi condurre era qualcosa di più pervasivo del semplice contatto. La postura nel tango, che privilegia il cuore stava compiendo una piccola opera in cui il gioco della mia mente aveva sempre meno potere. Tante volte nella condivisione con i compagni di corso ho dato spiegazioni che potevano quasi apparire cattedratiche, sintomo che la mia mente cercava sempre il suo spazio, ma il mio corpo sempre più si rasserenava e mandava messaggi sempre più chiari e chiedeva di essere ascoltato. Più riuscivo a rendere chiaro e pulito il mio ruolo maschile di conduzione e più lasciavo alla mia parte femminile la possibilità di stare in un abbraccio senza dover fare necessariamente qualcosa, più sentivo dentro di me che le mie parti entravano finalmente in contatto. Non è stato sempre semplice a volte mi ritrovavo al termine di un ballo a non riuscire a dare un nome a quello che mi stava accadendo, ma era come se le cellule del mio corpo avessero aumentato la loro capacità di sentire conducendomi in un posto che stava dentro di me. Dentro? Questa parola che non apparteneva al mio vocabolario, perché tutta la mia vita
accadeva fuori di me, è entrata a far parte del mio mondo. Gli eventi continuano ad accadere fuori ma oggi li sento sempre più dentro di me. Non ho vissuto sempre sensazioni di piacere, perché a volte ho contattato anche la distanza da me, ma ormai ho accettato che questo accada e sempre più ho cercato di contattare queste distanze e di lasciarle vivere. Mi sono misurata con la mia capacità forte di guidare e di lasciarmi guidare e sentire in modo sempre più chiaro in che modo la mia omogeneità si trasformava in modulazione; è stato come scoprire sempre più la profondità del piacere di me stessa verso di me e verso gli altri nella relazione. E’ come se una voce nuova si fosse attivata. Ed ora il tornare indietro mi risulta difficile, mi sento di aver intrapreso un percorso che sta facendo rinascere una parte di quella Atena che per lunghissimo tempo si è protetta dalla vita nascondendosi dietro il suo scudo. Ora la mia parte attiva mi conduce nella vita, ne dà un senso ed una direzione ma la mia parte femminile mi regolano le valvole del cuore e mi danno quell’emozione del vivere più autentico dove non c’è il timore di farsi vedere per la parte più fragile e dove c’è la bellezza del lasciarsi condurre.
Serena
Ho letto il nome di Massimo Habib l’estate scorsa, nel libro “Psicotangoterapia” di Veronica Marsiglia e Edoardo Giusti, fondatore della scuola di Counseling che frequento. Da lì è nato il mio interesse per il tango e per la cura attraverso l’abbraccio.
Lui, Massimo, l’ho conosciuto durante una sua serata di presentazione e in quella occasione ho ballato insieme a lui il TangoOlistico. Durante quel ballo ho sperimentato la difficoltà e la paura nell’affidarmi danzando nell’abbraccio.
Stavo male. Consapevole di questo mio disagio, decido di iscrivermi alla formazione, anche se con qualche resistenza, sia perché ero già impegnata nella formazione di Counseling, sia perché il contatto mi spaventava un bel po’.
Il percorso insieme a lui e ai miei compagni di formazione è stato lento e progressivo. Entrando nello specifico dei miei due ruoli, avevo una parte attiva, desiderosa di fare, impacciata nei movimenti e nella postura e una parte ricettiva afflitta, umiliata, sopraffatta dalle emozioni.
Di tutta la formazione, l’esperienza più intensa e più trasformante per il mio essere è stata la partecipazione con l’incarico di tirocinante ad un progetto di cura condotto da Massimo, in collaborazione con uno psichiatra, presso il reparto di alcologia dell’ospedale di Valdagno (VI). Ballare il TangoOlistico con persone dipendenti da alcool, ha scatenato in me, che sono stata allevata da una nonna alcoolista, un duplice effetto.
Da una parte ho sentito l’antico contagio emotivo risuonare in ogni cellula del mio corpo, in forma amplificata e dall’altra è stata l’occasione per disidentificarmi dalla paura di diventare anch’io un’alcolista.
L’esperienza che ho vissuto durante l’infanzia rimane. Ed è vero anche che rivivere delle emozioni simili da adulta in qualità di tirocinante, mi ha permesso di prendere distanza da queste e allo stesso tempo di integrarle come parti del mio vissuto ed accettarle un po’ di più. E lì in quella accettazione, lentamente sta nascendo la consapevolezza del fino a dove posso permettermi di arrivare, ovvero del mio limite, che fino a quel giorno probabilmente non conoscevo.
Oggi, dopo otto mesi di formazione, quello che sento è che la mia parte ricettiva è più fiduciosa quando viene condotta nella danza e può perfino provare piacere, anche se con qualche timore qua e là e la parte attiva è maggiormente responsabile nella conduzione, più coraggiosa e orgogliosa della postura acquisita nel tempo.
L’abbraccio ha curato, dunque. Provo gratitudine.
Chandra
Erano tanti anni ormai che ballavo Tango Argentino e, come in ogni relazione, dopo un primo periodo di ione a volte avo lunghi periodi di noia. La solita musica, la scarsa creatività nella danza, i soliti discorsi e la fastidiosa ostentata gentilezza di certi tangheri:
“Tu da quanto balli?
Sei carina ti muovi bene.
Non anticiparmi nei i.
Tranquilla che poi o a riprenderti!
Scusa, come hai detto che ti chiami?”
E quel brivido lungo la schiena, quella piccola emozione pura che ogni tanto incrociavo nell’abbraccio di uno sconosciuto, stava soffocando nella tecnica e nella routine di incontri prevedibili, con uomini prevedibili, donne che sotto il trucco riflettevano la mia insoddisfazione e in luoghi troppo prevedibilmente familiari.
Eppure per riuscire a mantenere quella magia avevo provato ad alternare il nostalgico tango a serate dove la gioiosa Salsa Cubana mi faceva sorridere il cuore. Quando la testa però toccava il cuscino, pensavo “Nel danzare tango c’è qualcosa di diverso”. Il mio desiderio di scoprirne l’alchimia mi portò ad imparare a danzare nella parte dell’uomo ovvero nella guida, così da possedere questo tango, gestire il progetto, la musica e il corpo dell’altra persona. Provavo i i con qualche amica e poi andavo spudoratamente ad invitare le “mie colleghe”, donne insoddisfatte sedute agli angoli della milonga, alle quali strappavo una danza fatta un po’ d’imbarazzo e un po’ di frustrazione accettando, se qualche volta arrivava, un sorriso per sé stesse e per quell’imbranato uomomancato che le portava urtando le altre “vere” coppie etero.
Sentivo però che non era la strada che portava al cuore del tango e al perché io, come tante e tanti bipedi stressati dalla quotidiana lotta con il capoufficio e le faccende domestiche, anelavano a trovare nella notte l’abbraccio danzante di uno sconosciuto, per poi magari rimanere delusi tre minuti dopo quando il misterioso non soddisfaceva le aspettative e si trasformava in un uomo o una donna di carne e ossa, fragilità, insicurezza, tracotanza o impertinenza.
Così pensai che il focus doveva essere “l’io” e non “l’altro” e fu così che nella mia ricerca incontrai il TangoOlistico.
Fin dal primo seminario capii che ero fuori dagli schemi del “tangotecnica” e del giudizio su tutto e tutti, che il terreno di gioco era finalmente qualcosa di più intimo, personale e paradossalmente pericoloso. Il mio corpo si rifiutò, dopo due ore ero sdraiata con lo stomaco chiuso su un lettino e dopo tre ore mi ritrovai già a casa senza essere arrivata alla fine dello stage.
Mi dissi: “O mi racconto che questa esperienza non fa per me o magari scopro che c’è qualcosa di nutriente non per la mia mente, ma per il mio sentire, il mio corpo e il senso di me”.
Cosi mi gettai a capofitto nel TangoOlistico, ignorando i giudizi della mente e lasciandomi spesso sconvolgere il corpo in quel laboratorio alchemico condiviso con altri ricercatori. Sentivo che l’abbraccio e la danza a due recuperavano il senso di quella purezza, verità e vertigine di cui sentivo solo l’eco in milonga. Tutto prendeva un’altra forma: quella della consapevolezza, della difficoltà del lasciarmi andare completamente fino ad onorare il mio femminile. Prima per me stessa, invece che per soddisfare le aspettative del tanghero di turno, oppure la mia proiezione nel ruolo di brava tanghera. Così dal laboratorio alchemico del TangoOlistico ho estratto colori nuovi da portare nella mia giungla quotidiana e, con pennellate creative, rendere la mia vita più consapevole e intensa .
La mia storia d’amore per il TangoOlistico è iniziata così, ando dalla testa al cuore, dal giudizio sull’altro al conoscere me stessa in un gruppo di persone speciali che hanno avuto voglia di fare cerchio e sostenersi danzando le proprie luci ed ombre.
Gloria
Tango, terapia, contatto, limiti, curiosità e perché no paura sono le parole chiave che mi vengono subito alla mente quando mi si chiede di parlare della mia esperienza con il TangoOlistico.
Il tango è una delle mie ioni, forse la più presente, la più forte, la ione che ha la priorità sulle altre. Intendo il tango come ballo, ma anche la musica del tango, la storia del tango, le origini del tango, la cultura argentina a cui necessariamente si pensa parlando di tango, per arrivare ovviamente alle milonghe in cui c’è la rappresentazione di tutto ciò.
Per me il tango è una fantasia che il TangoOlistico ha reso possibile.
Terapia è la mia professione, amata e complicata professione (sono, infatti, psicoterapeuta). Poter portare all’interno del mio mondo lavorativo la mia ione mi ha sempre stuzzicato, e quando, nella primavera del 2010, mi hanno proposto di partecipare ad un seminario di tangoterapia (allora si chiamava così) non mi sono fatta scappare l’occasione. Proprio in quella occasione, al mio primo seminario, ho realizzato quanto il contatto, o meglio un certo tipo di contatto fosse fondamentale affinché succedesse qualcosa, intendo qualcosa a livello emotivo. Infatti, quello che mi ha spinto ad approfondire l’esperienza fino a scegliere di frequentare il master è stata la sensazione che ho provato in quel primo seminario e che si ripresenta ogni volta che faccio esperienza di TangoOlistico.
Il contatto a livello del petto (come nel tango), il sentire e donare il respiro dell’altro e all’altro, il lasciarsi condurre con fiducia e presenza, il condurre
trasmettendo chiarezza e presenza; tutto ciò fa succedere qualcosa, sempre diverso eppure simile alle volte precedenti. Per me questo tipo di contatto è stato molto “terapeutico” nel senso che mi ha fatto iniziare un percorso di nuova conoscenza personale, mi ha fatto venire la curiosità di continuare.
Curiosità è un’altra mia parola chiave, la curiosità di capire quanto avrei potuto conoscere di me, del mio modo di relazionarmi con gli altri attraverso la mia fisicità, per me argomento spinoso. Ecco perché, tra le parole salienti, ho messo anche limiti e paura.
La paura è dettata dal superamento del limite: cosa mi potrà succedere dopo? Per esempio, se mi lascio andare e mi affido lasciando che le mie emozioni mi guidino cosa mi potrà succedere? Se perdo il controllo chi veglierà su di me? Forse l’ho un po’ romanzata ma in fondo è ciò che pensavo e sentivo.
La curiosità unita alla professionalità e competenza di Massimo mi hanno aiutata a superare il mio limite, ho sentito che l’unica cosa che mi poteva succedere era provare delle belle emozioni che hanno aumentato la conoscenza di me. Questo ha avuto a cascata degli effetti positivi sul mio modo di entrare in relazione con gli altri e con me stessa, sul mio modo di ballare e sulla mia professione.
Ecco perché ho deciso di iscrivermi al master nell’anno 2010-2011.
E’ stato un anno intenso e formativo su più livelli: ho dovuto e voluto mettere in discussione cose che consideravo assodate, conosciute, scontate. Con stupore e curiosità ho iniziato un percorso che nel mio caso ha aperto dei canali comunicativi che avevo scelto in modo più o meno consapevole di chiudere, mi sentivo sicura e protetta così.
La chiave di volta per me è stata sentire, sperimentare delle emozioni e delle sensazioni che con la mia cortina difensiva mi impedivo di provare. Ho capito che mi difendevo ma al contempo lasciavo fuori anche le emozioni positive, piacevoli e la cosa ovviamente non mi è piaciuta.
Mi sono impegnata ad abbassare la mia cortina al bisogno e ho superato la mia paura del contatto o meglio la paura delle conseguenze del contatto. Quando la cosa ha cominciato a funzionare non ho più dovuto fare troppa attenzione ad abbassare e alzare le difese, ora mi sento libera di provare e sperimentare il lasciarsi guidare aprendo i canali sensoriali, affidandomi con l’unica e potente difesa della mia presenza, ricettiva dal punto di vista sensoriale e presente a me stessa; dall’altra parte, sento di poter condurre in modo convincente e allo stesso tempo accuditivo, riesco a sentire l’altro senza la cortina difensiva.
Non credo che il mio percorso sia finito anzi, ogni incontro di TangoOlistico mi dice qualcosa di me, magari di conosciuto, ma succede non di rado che mi dia delle sfumature nuove. D’altronde, le storie che le persone mi raccontano ballando, le emozioni che sento ballando hanno sempre delle sfumature diverse le une dalle altre. C’è sempre una emozione particolare nell’attesa di ballare con una persona per la prima volta, scambio di emozioni che poi continua nei balli e negli abbracci successivi.
Essere riuscita a tradurre il mio lavoro attraverso il TangoOlistico è una delle cose per cui sicuramente sono valsi gli sforzi, le messe in discussione, le lacrime, i sorrisi e la gioia che tutt’oggi ci sono e posso rivedere non solo in me ma anche nelle persone che con me sperimentano il TangoOlistico.
Anche per questo… grazie Massimo.
Luna
Partecipo al seminario introduttivo di TangoOlistico non solo spinta dal mio amore per tutte le forme di lavoro su di sé che prevedano l’utilizzo di musica e danza, ma anche e soprattutto incuriosita da questo “maschile e femminile” di cui parla il volantino che pubblicizza il corso, da questo scoprire in sé due parti, una attiva e l’altra iva, diverse eppure compresenti.
Perché?
Perché da sempre, dacché ho memoria di me, mi pongo nel mondo come una persona dolce, in ascolto degli altri, che “trasmette calma” (quante volte me lo sono sentita ripetere …). Tutte qualità che mi appartengono, certamente. Sono molto ricettiva, propensa più all’accogliere che al proporre, molto “mamma” mi verrebbe da dire. Acqua … o forse aria …
Eppure da sempre, dacché ho memoria di me, sento qualcosa che chiama a gran voce, a tratti, dal profondo delle viscere, e chiede di trovare una via per esprimersi. E’ una spinta verso l’esterno, verso l’azione, la costruzione, la realizzazione. E’ una richiesta di concretezza, di definizione, di determinazione. Di volontà e creatività. E’ fuoco.
Due parti di me che coesistono. Ma mentre quella ricettiva non sembra trovare difficoltà, quella attiva è un po’ sofferente, non si prende tutto lo spazio che vorrebbe …
Per questo penso che un lavoro centrato su questo tema possa essermi d’aiuto e
decido di iscrivermi al seminario.
Le mie aspettative non vengono deluse.
Il fatto che i ruoli nel tango siano così definiti mi permette di osservare i due aspetti, il femminile-ricettivo ed il maschile-attivo, come attraverso una lente d’ingrandimento.
Innanzitutto scopro con sorpresa che la mia parte ricettiva non è poi così equilibrata come credevo. Sorrido quando il conduttore ci spiega che nel tango ci sono due modelli “nevrotici” di donna: quella che vorrebbe guidare lei, e quindi fare la parte dell’uomo, e quella che al contrario si lascia andare talmente all’uomo da diventare completamente iva, fino ad annullarsi. Sorrido … E poi mentre ballo mi rendo conto di essere così! Totalmente appoggiata, abbandonata a colui che mi guida, priva di un centro mio proprio, priva d’identità!
Mi vedo.
Vedo che sto danzando così come sono nella vita, a volte, spesso.
Come il mio “dare” agli altri sia un annullarmi per loro …
E poi scopro che la mia parte attiva c’è, eccome, e mi piace e mi fa stare bene. Ma non riesco a sostenerne l’energia. Mentre danzo nel ruolo dell’uomo a tratti “mi perdo”, divento insicura, vorrei fare chissà cosa, dimostrare chissà che …
ma ho paura. Paura di non essere in grado, di fallire … di non essere adeguata a ciò che l’altro, che mi si affida, vorrebbe da me.
Mi vedo.
Vedo la mia difficoltà, che è la stessa che mi impedisce di realizzare nella vita tutto ciò che vorrei.
Diventare consapevoli è il primo o, necessario, verso il cambiamento.
A fine seminario capisco che non si tratta di dover scegliere l’una o l’altra parte, l’attiva o la iva, ma di trovare un equilibrio tra le due energie, di sentire quando le situazioni richiedano l’una oppure l’altra, in modo da rispondere efficacemente. In modo da stare bene.
Franco
Sono un medico psicoterapeuta che lavora in un servizio pubblico per le dipendenze patologiche da circa trent’anni; attualmente da quattro anni lavoro soprattutto con pazienti alcolisti sia a livello ambulatoriale che all’interno di un programma riabilitativo diurno.
Il programma terapeutico riabilitativo diurno, denominato progetto Icaro, accoglie pazienti alcolisti recidivanti, problematici, spesso con doppia diagnosi e talvolta con polidipendenza. All’interno di questo programma io conduco un’attività di riabilitazione emotiva attraverso un modello di terapia di mia invenzione che utilizza il Tango Argentino come base di attivazione…
Dopo circa sei mesi di lavoro e di incoraggianti risultati, desideroso di confrontarmi su questa modalità terapeutica, ho cercato in internet se c’era qualcosa di simile ed ho trovato quella che allora era la Tangoterapia di Massimo Habib (ora TangoOlistico). Dopo averlo contattato telefonicamente, subito siamo stati d’accordo che per capirci meglio sarebbe stata opportuna un’esperienza comune: così organizzai un seminario base di TangoOlistico con i nostri operatori all’interno del servizio di lavoro: il risultato mise in luce delle forti diversità nelle due metodologie, ma fu molto intrigante. In particolare una mia collaboratrice arte-terapeuta fu così colpita che concordammo di riproporre l’esperienza all’esterno organizzando una serie di seminari tematici.
All’interno di questi seminari sperimentavo in prima persona il lavoro del TangoOlistico. Dopo il seminario base sui ruoli, ho frequentato quello sulla fiducia, poi quello sulla seduzione, poi sulla musicalità, poi sul linguaggio del corpo, sui processi trasformativi, poi i tre giorni residenziali sulle relazioni intime, più avanti quello sulla leadership e infine quello sul contagio emotivo.
Tutto questo lavoro mi ha permesso di arricchire il mio repertorio di espressione emotiva, la mia capacità di incontro e di empatia con l’altra persona, di conoscere meglio alcune parti di me e di migliorarle, di accettare maggiormente le parti degli altri, anche di quelli che non mi piacevano tanto. Inoltre ho incontrato persone che mi hanno aiutato, attraverso la loro disponibilità ed il loro coinvolgimento, a capire l’animo umano, ad apprezzarlo anche all’interno delle sue difficoltà. Sento che tutto questo percorso mi ha migliorato prima come persona, poi come psicoterapeuta ed infine come … tanguero.
Ringrazio Massimo Habib per quello che mi ha dato attraverso la sua capacità di entrare in una relazione intima e coinvolgente senza essere intrusivo, con delicatezza e rispetto, soprattutto con profonda empatia e amore per il prossimo, così importanti nelle relazioni di aiuto: un aiuto che penso di aver ricevuto anche nel superare il dolore per la morte di mio padre: per tutto, grazie Massimo.
Con stima e amicizia,
Dr Gianfranco Trettenero, medico psicoterapeuta Responsabile del Servizio di Alcologia ULSS5 Regione Veneto.
AMBITI E MODI DI APPLICAZIONE
A chi si rivolge
Il TangoOlistico è una disciplina praticabile da chiunque voglia intraprendere un percorso di crescita personale.
Spesso gli allievi del Corso di Formazione ma anche i clienti stessi, mi propongono e suggeriscono di implementare ambiti patologici specifici.
L’unica vera controindicazione che mi sento di sottolineare riguarda i pazienti affetti da una qualche forma di dissociazione della personalità, come ad esempio le psicosi o forme gravi di nevrosi.
Questa disciplina infatti è basata, come abbiamo visto, su una volontaria e cosciente polarizzazione delle nostre manifestazioni. Chiedere a un paziente psicotico di interpretare la parte attiva e la parte ricettiva può essere controproducente poiché questo lavoro consiste in una forma particolare di dissociazione volontaria.
Se un cliente nevrotico viene invitato a dividersi in due, la propria sanità, integrità di base, gli consentirà di muoversi, pur con le rigidità di ciascuno, alla scoperta delle proprie possibilità. Un paziente affetto da dissociazione di personalità, invece, non avrà modo di apprezzare questa distinzione, rischiando al contrario di approfondire il meccanismo della sua malattia.
Mi è stato più volte proposto anche di lavorare con clienti adolescenti.
Non ritengo che questa disciplina sia applicabile a gruppi di adolescenti per un motivo strettamente legato alla crescita della sessualità e alla coscienza del proprio rapporto con l’attivazione erotica.
Nel TangoOlistico l’aspetto erotico è centrale e in ogni ballo l’eccitazione erotica è presente, modulata, utilizzata per il raggiungimento del benessere. La fase adolescenziale presuppone un momento evolutivo denso di confusione e di conflitti interni che, pur se del tutto naturali, potrebbero accentuarsi tramite un lavoro così erotizzante quale quello che proponiamo.
Vediamo ora un elenco non esaustivo, bensì integrabile, di motivazioni che spingono una persona ad avvicinarsi a questa disciplina.
Il disagio relazionale
E’ di gran lunga il primo motivo che spinge una persona a contattare me o uno degli altri operatori presenti in Italia.
Abbiamo già visto come la pulizia del lavoro sulle parti, combinata al potere del contatto, sia in grado di aiutare il cliente ad accorgersi dei processi in atto nella sua anima.
Ogni disagio relazionale si accompagna ad una confusione di questi due ruoli e necessita dunque di una specifica dose di chiarezza e consapevolezza per dissolversi. In una seconda fase il nostro meccanismo potrà consentire, lavorando sulle forme e radici del desiderio, di aiutare la persona a rivolgersi, dirigersi verso i suoi obiettivi relazionali.
L’elaborazione del lutto
Quando viene a mancare una persona importante, un genitore, un figlio, è normale attraversare un periodo più o meno lungo di anestesia e di freddezza. Se questa difesa che ci accomuna tutti è un processo del tutto naturale, un problema può sorgere se il periodo si allunga più del dovuto e non riusciamo più a “tornare alla vita”.
Un lavoro di Counseling o di Psicoterapia potrà, dunque, accompagnarsi a un graduale risveglio dei sensi e delle volontà, facendosi aiutare dal contenimento affettivo tipico del TangoOlistico ma anche della necessaria attivazione vitale insita in ogni nostra parte attiva.
Autostima
La sottoparte ricettiva di presenza può rappresentare uno straordinario test per apprezzare il grado di autostima di ciascuno.
Lavorando su entrambe le parti, come sempre, è possibile enucleare le motivazioni che possono essere alla base di una autostima carente. Scoprire come meglio manifestare le nostre due energie primarie ci potrà consentire di innalzare il livello del nostro amore per noi stessi.
Scelte da compiere
Davanti ad un bivio possiamo restare bloccati e privi di energia.
Ogni esercizio di TangoOlistico è denso di dinamiche energetiche che si manifestano attraverso le esperienze di ballo ma è anche pregno di spiegazioni e interventi cognitivi. E’ possibile osservare, in molti casi, come i clienti si accorgano davvero di quale sia la scelta giusta per loro (un cambiamento lavorativo, un nuovo partner, ecc.) lavorando sulle due parti e, in particolare, su quella attiva dinamica.
Problemi legati alla sfera sessuale
Sempre ragionando in maniera polare, un problema sessuale si può manifestare come una forma di anestesia o, al contrario, come una forma di ipereccitazione.
In entrambi i casi, il contatto praticato in questa disciplina agisce da automatico e e regolatore della eccitazione sessuale.
L’anestesia, che spesso si manifesta in modo generalizzato come un disinteresse organismico per gli altri esseri umani, può trovare nell’abbraccio disciplinato le motivazioni sensoriali che possono portare ad un risveglio dei sensi ma, soprattutto, a una canalizzazione di questi verso l’oggetto del godimento. Questa nuova canalizzazione è importante soprattutto per chi, invece, sente di non avere controllo sulla propria eccitabilità. Dare forma, direzione e motivazione al desiderio sessuale può, aiutandoci ad ottenere l’oggetto specifico del desiderio, disciplinare la nostra eccitazione.
Il TangoOlistico è stato, finora, applicato anche a gruppi di pazienti affetti da dipendenze (Alcool e gioco d’azzardo) con risultati interessanti.
In particolare, i pazienti sembrano beneficiare di una maggiore coscienza e manifestazione nell’espressione delle loro emozioni spesso annebbiata dai meccanismi della loro patologia (alessitimia.)
Nel corso del 2012 il TangoOlistico verrà applicato anche a pazienti Parkinsoniani e verrà allargata la sperimentazione negli ambiti delle dipendenze.
Incontri individuali
Gli incontri individuali di TangoOlistico assomigliano un po’ a una seduta di psicoterapia o di counseling e un po’ a una lezione di Tango Argentino.
Ma, in realtà, ciò che più contraddistingue questa particolare forma di relazione d’aiuto è una grande intimità che si sviluppa velocemente fra il cliente e l’operatore.
Si alternano momenti di comprensione cognitiva dei propri meccanismi interiori a momenti di coscienza corporea ed emotiva durante i balli. Spesso gli spunti del percorso arrivano proprio dal ballo e dalla scelta dell’operatore di far ballare il cliente in un ruolo oppure nell’altro.
Le musiche, le più varie, accompagneranno entrambi attraverso i meandri della sensorialità e del suo significato.
A volte i clienti ci contattano per curiosità e prenotano uno o due incontri. Altre volte scelgono di fare un vero e proprio percorso, una volta a settimana per un’ora, che può durare anche alcuni mesi.
Spesso i clienti mi confidano di venire a trovarmi perché quell’ora rappresenta il momento in cui possono davvero occuparsi di sé stessi, curati dall’abbraccio e dalla comprensione.
Incontri di coppia
Una coppia che decide di intraprendere un percorso di TangoOlistico compie una scelta coraggiosa.
I meccanismi che abbiamo visto in questo libro, le possibilità di svelamento, la chiarezza di lettura, danno ai clienti una evidenza del problema relazionale, a volte, drammatica e palese.
All’interno della coppia, scoprire il meccanismo malato, quello che inficia la felicità relazionale, può portare ad una soluzione che, ovviamente, può anche essere quella di lasciarsi.
Eppure lo svelamento profondo e compreso da entrambi di quell’insieme di comportamenti e credenze che ha portato sofferenza, può davvero, automaticamente, instillare un cambiamento di prospettiva, un riallineamento dei cuori e delle intenzioni.
Molto spesso osservo, nelle coppie, una inversione dei ruoli canonici maschile/femminile. Altre volte, invece, questi ruoli sono fin troppo granitici e consolidati.
Grande emozione è vedere una coppia che piange nell’abbraccio di una comprensione profonda, che si cura attraverso il contagio della chiarezza e della verità. La confessione del proprio disagio, elemento così spesso mancante nella relazione di coppia, provoca reazioni condivise ed innesca una catena di voglie antiche e disconosciute da entrambi, anche sessuali, che possono portare nuova energia e movimento di benessere.
Seminari di gruppo
Si tratta della principale modalità, la prima, in cui si manifesta questa disciplina.
A volte proponiamo un seminario singolo, il cosiddetto Base. Altre volte da questo si prosegue per fare un vero e proprio percorso con cadenza all’incirca mensile, affrontando i vari argomenti dell’anima.
I partecipanti (da otto a venti persone) si iscrivono spesso senza sapere esattamente a cosa vanno incontro!
Mi sono reso conto, negli anni, che difficilmente il TangoOlistico genera indifferenza. Molti se ne innamorano e cercano poi di frequentare più seminari possibili in giro per l’Italia, pochi se ne allontanano velocemente e silenziosamente dopo avere, chissà, visto o provato qualcosa di pericoloso e,
sicuramente, inconsueto.
Quel che è certo è che, rispetto agli incontri individuali, si crea e si modifica una grande energia corale e individuale, e una amplifica l’altra. Il confronto, ma soprattutto l’Eco dell’emozione del compagno di corso, dilatano quella lente bisognosa di pulizia di cui parlavamo nelle scorse pagine.
In più, il lavoro a contatto prolungato, riproposto, cambiato, ma sempre disciplinato dall’alternarsi delle parti, crea una empatia alla quale è quasi impossibile sfuggire.
Due persone che, a prima vista, potrebbero pensare di trovarsi antipatiche o, semplicemente, ritenere di preferire di tenere una certa distanza o, addirittura, cercare di evitarsi, scoprono quasi sempre, durante specifici esercizi di respiro a contatto, come gran parte delle loro credenze non avevano nulla a che fare con la persona a loro accanto. Scoprono invece di provare un affetto quasi inconfessabile per quel corpo, quell’anima che hanno accudito o dalla quale sono stati accuditi anche solo per cinque minuti. Quell’affetto è in parte un meccanismo intrapsichico che riguarda il legittimo, impetuoso e vivificante amore per sé, in parte il commovente, stringente e raro amore per il prossimo che ci connota come animali sociali, noi esseri umani, illusi di poter vivere in solitudine.
Ecco, in questo momento, mi piace definire il seminario di gruppo come un’occasione, aperta a tutti, per accorgerci di quanto sia importante e possibile provare un’emozione pulita e definita per un’altra o per altre persone, scoprendo così, come una delicata rivelazione, come quell’emozione pulita si rivolga anche verso noi stessi, continuando a lavarci dalle ragnatele del tempo avverso e dai tanti dolori incompresi e rappresi.
L’azienda
Fra gli ambiti di applicazione del TangoOlistico non possiamo non citare quello aziendale.
Trascorriamo gran parte della nostra vita a contatto con i colleghi di lavoro instaurando rapporti che, per motivi oggettivi (logistici, organizzativi) o soggettivi (relazioni, dipendenze affettive, antipatie e simpatie) sono facilmente osservabili attraverso la lente di questa disciplina.
Come una lezione di tango spiegata e compresa, gli incontri aziendali si presentano come un’occasione per guardare negli occhi la reale gerarchia che si viene a creare all’interno di un ambiente sociale organizzato qual è l’azienda. Questa reale gerarchia (penso a un capo che in realtà si fa guidare dal suo assistente in un meccanismo funzionante) permette, comprendendone le cause, di riconfigurare i rapporti e, a volte, le mansioni dei dipendenti, dei team. Oppure, più semplicemente, attraverso una tanto profonda quanto ludica comprensione dei ruoli, di vivere l’ambiente lavorativo con più serenità.
Durante il 2013 verrà presentato ufficialmente il nuovo progetto Leadershiptango® per aziende con tutti gli ambiti di applicazione e le modalità di iscrizione e partecipazione.
Presente e futuro
Molte cose sono cambiante dal 2008, quando ho proposto i primi seminari di gruppo.
Oggi, io e i nuovi operatori che hanno concluso il percorso formativo conduciamo o abbiamo condotto gruppi esperienziali a Milano, Padova, Udine, Piacenza, Verona, Vicenza, Belluno, Genova, Trieste, Firenze, e, ogni mese, nascono nuove proposte territoriali.
In queste città proponiamo seminari isolati o veri e propri percorsi cadenzati tramite i vari temi dei quali abbiamo parlato nel libro.
E’ possibile, inoltre, frequentare gli incontri individuali nelle stesse città. Una formula molto accattivante e performante è quella degli incontri settimanali serali che danno modo di creare una continuità esperienziale che appare più diradata negli incontri di gruppo mensili.
Tutte queste possibilità sono rivolte a partecipanti che provengono dagli ambienti più disparati.
Ci capita di lavorare con semplici curiosi, tangheri inesperti, maestri di tango, psicologi, psichiatri o comunque operatori nell’ambito della relazione d’aiuto.
Parallelamente, portiamo avanti progetti quale quello rivolto a pazienti alcolisti
nell’ambito ospedaliero della ULSS 5 di Vicenza. Per questo progetto colgo l’occasione di ringraziare grandemente il Dottor Gianfranco Trettenero che, oltre ad appoggiarmi nell’intero progetto del TangoOlistico, propone una forma di Tangoterapia basata sull’ascolto e sull’attivazione emotiva derivante dalla particolare musica di tango.
Il futuro prossimo vede me, i miei assistenti e i nuovi operatori impegnati nel diffondere la disciplina a livello nazionale (ma anche internazionale, come ad esempio Grecia e Svizzera).
Tuttavia la diffusione del TangoOlistico prevede anche la creazione di nuovi ambiti applicativi, dal trattamento delle dipendenze al lavoro palliativo in patologie quali il Parkinson che altri operatori di Tangoterapia hanno già iniziato a proporre. Nella bibliografia troverete riferimenti puntuali alle varie forme di Tangoterapia presenti in Italia.
Colgo l’occasione per ringraziare il già citato Martin Sotelano, fondatore della International Association of Tangotherapy Therapists (IATTT), col quale e mediante il quale continua il progetto di diffondere le varie forme di Tangoterapia nel mondo. Nel libro, edito in lingua inglese, Tangotherapy Research and Practice, scritto da Martin, sono altresì presenti scritti miei e di altri colleghi a livello internazionale.
Come avrete notato, continuo a muovermi, a livello definitorio, tentando di distinguere fra un ambito generale di Tangoterapia che pure professo, ed uno più specifico di TangoOlistico, scegliendo di volta in volta il nome giusto per l’ambito giusto. Come già visto nel capitolo iniziale, mi definisco tangoterapeuta quando propongo il Tango Argentino, quale meraviglioso ballo, come forma di aiuto nella relazione e nel benessere individuale. Specifico invece il ruolo di operatore in TangoOlistico quando introduco e metto in pratica gli elementi fondanti della disciplina quali il lavoro radicale sulle parti e gli esercizi connessi.
Il progetto formativo, inoltre, è più vivo che mai.
A fine 2012 partirà il terzo Corso di Formazione in TangoOlistico con l’obiettivo di creare altri nuovi operatori che lavoreranno in ambito nazionale ed internazionale. La sede del Corso è Milano e il percorso formativo ha una durata di circa un anno con incontri durante i weekend, a cadenza mensile.
Ogni anno introduco nel Corso nuovi spunti e insegnamenti. Per esempio, oltre ai fondamenti di TangoOlistico e alle lezioni di tango, sono presenti lezioni di Focusing, disciplina americana basata sull’ascolto e comprensione delle sensazioni corporee, ed esperienze di Meditazione di vario genere e provenienza, nonché giornate di Art-Counseling finalizzate, per esempio, ad una maggiore consapevolezza della auto-percezione corporea attraverso il movimento e il disegno.
Ho scelto di inserire il Focusing e l’Art-Counseling per la grande importanza data nel TangoOlistico all’attenzione all’ascolto dei messaggi che provengono dal nostro corpo, e la Meditazione per le grandi analogie, presenti nel meccanismo meditativo, con la parte ricettiva della nostra disciplina declinata in entrambi le sottoparti di presenza e di sensibilità.
Per questi interventi ringrazio con gioia le colleghe Giuseppina Carrera (Focusing e Meditazione), e Laura Carazzai (Art-Counseling).
Il Percorso formativo è composto da due moduli, il primo dei quali è aperto anche a chi non abbia come obiettivo la professione, bensì voglia approfittare di un periodo abbastanza lungo (alcuni mesi) di sistematico, ludico e approfondito lavoro su di sé.
Conclusioni
Provo a mettermi nei panni del lettore, fin qui giunto, e mi chiedo in quale grado sia riuscito io a trasmettere e lui a ricevere i contenuti di questa disciplina.
Colto da improvviso timore di aver fallito nell’impresa, ci riprovo in extremis.
Io, lo scrittore, rappresento la parte attiva del TangoOlistico.
Mi sono impegnato a collegare le parole così come l’uomo del tango collega i propri i e poi ho cercato di dar forma scritta, ballata, ai miei pensieri, in modo tale che qualcuno potesse leggerli, riceverli.
Il lettore, invece, si limita a girare le pagine e leggere godendo e assorbendo qua e là ciò che trova coerente con il proprio sentire. In questo modo, il lettore potrebbe rappresentare la parte ricettiva del TangoOlistico.
Così la donna del tango si annoia o si accende a seconda dell’uomo che la guida e conserva, nel suo corpo, traccia di quella magica comunicazione.
Lascio a voi il gioco di provare a declinare la metafora libro/TangoOlistico anche nelle sottoparti dei ruoli!
Il TangoOlistico è una disciplina che ha come obiettivo l’integrazione di queste due parti, quella di chi scrive e quella di chi legge, per vivificare il più possibile il benessere della vita del praticante, oppure, se volete, del libro che, per esistere, ha bisogno sia di essere scritto con l’intento di essere letto e sia di essere letto con l’obiettivo di essere compreso. Così come noi scriviamo noi stessi e, contemporaneamente, leggiamo ciò che abbiamo scritto, vivendo così il più fluidamente possibile.
Ma, quale che sia la metafora usata per spiegare il meccanismo di questa piccola magia, vi invito a provarlo di persona, con gli occhi aperti o chiusi e, ovviamente, al confine del contatto.
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Riferimenti
Per tutte le informazioni sulla disciplina del TangoOlistico:
www.tangoolistico.com - www.tangoterapia.it
Contatti
mail:
[email protected]
mobile: per informazioni. 3384777871
I siti della International Association of Tangotherapy Therapists (IATTT)
www.tangotherapy.co.uk - www.tangoterapia.org