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BACK IN BLACK (Amare vite ciniche)

Un romanzo di

JACOPO VERONESI

Youcanprint Self - Publishing

Titolo | Back in black (Amare vite ciniche) Autore | Jacopo Veronesi Foto di copertina realizzata da Simone Dellera. ISBN | 9788891141569

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Riferimenti a persone o fatti realmente accaduti sono da considerarsi puramente casuali e non voluti. Idee e concetti espressi nel presente volume costituiscono opinione personale dell’autore e non sono necessariamente quelli degli operatori che vi collaborano.

... a Gianluigi, eco silente di amore e forza.

PROLOGO

«Non mi rompete i coglioni, altrimenti vi tiro fuori un processo che neanche ve lo immaginate, capito?!» Qualche secondo di pausa e poi continuò: «Stronzo!» La cosa si faceva personale, ma l'operatore telefonico si limitò a dirgli con estrema calma: «Attenzione alle parole, comunque ci scusi per il disturbo, buona serata.» Poi gli chiuse il telefono in faccia. La persona contattata, evidentemente era piena di rabbia, l'aver oltraggiato la sua stupida vita con una telefonata inaspettata lo aveva reso inutilmente furioso e tutto ciò, Jack l'aveva intuito subito. Oramai era da un po’ di tempo che faceva quel lavoro al call center e aveva imparato a essere professionale e distaccato, di sicuro se fossero stati faccia a faccia le cose sarebbero andate in maniera diversa. Gli avrebbe fatto rimangiare tutto, a suon di testate. Jack lasciò sbollire la rabbia poi si alzò in piedi. Si guardò attorno, e vedendo da che fauna era popolato quel benedetto posto, capì chiaramente che era relegato in una specie di purgatorio. C'era di tutto, varie specie di catorci umani, dallo sfigato sociale al fallito, senza contare poi il grande numero di frustrati cronici. Comunque vi era anche una minoranza di persone in gamba quanto lui, che per qualche strana vicissitudine della vita si ritrovava in quel posto a lavorare per sopravvivere. Per Jack ancora per poco tempo, perché le cose sarebbero presto cambiate.

Visto il suo carattere estremista, e poiché oramai non aveva più nulla da perdere, decise che sarebbe stato molto meglio are direttamente dal purgatorio all’inferno. Per il suo modo di pensare sarebbe stata la scelta più giusta, dopo tutto la situazione poteva solo migliorare! D’altronde, visto le azioni da lui compiute negli ultimi tempi, si riteneva in pratica dannato! Insomma decise che avrebbe vissuto e goduto ogni attimo della propria vita al massimo, assaporandone, a suo modo, ogni prezioso secondo. Dopo aver ribadito a se stesso questa drastica decisione, ritornò al suo lavoro. D’istinto, però, gli nacque l'esigenza di ritrovare una maggiore carica emotiva e la colse osservando i suoi compagni di dannazione. Jack guardò alla sua destra, due postazioni dopo la sua c'era quella di Big. Quel colosso alto quasi due metri, stava chiacchierando allegramente con un giovane collega, mentre sgranocchiava in modo vorace patatine fritte. Agli occhi di Jack non fu un bello spettacolo notare come Big infilasse, nel sacchetto che le conteneva, le sue grosse mani tatuate e unte, per poi con le stesse, annodarsi malamente i suoi lunghi dreadlocks. Scuotendo il capo in modo sarcastico, Jack sorrise incredulo per quella scena inattesa e piuttosto disgustosa. In seguito si girò a sinistra, alla ricerca di Vanora. La trovò intenta a parlare in modo ruffiano con un supervisore del call center. Jack, osservandola, tra sé e sé pensò: «Chissà che illusioni si starà facendo quel poveraccio! Certo lo capisco, perché non è facile non farsele trovandosi davanti ad una ragazza simile. Poi così sorridente, ammiccante e simpatica!» Era anche per queste sue prerogative che Jack aveva perso la testa per lei. Di certo non era Miss Universo, ma a lui piaceva così.

Vanora, nonostante avesse già ventisei anni, esteticamente sembrava ancora una ragazzina, soprattutto per via del suo fisico minuto e sensuale da teenager. A Jack sembrava una specie di meravigliosa e inebriante bambolina, ma soprattutto gli piacevano i suoi particolari occhioni blu. Erano profondissimi e ulteriormente evidenziati dall'armonia, dalla bellezza e dalla dolcezza dei lineamenti del suo viso. Per finire, ma non di minore importanza, aveva anche un lato B da urlo! Agli occhi di tutti i suoi colleghi, era la ragazza più bella e ovviamente la più ambita. Insomma per lui fu subito un colpo di fulmine, un amore a prima vista. Non ebbe dubbi. Appena la vide, immediatamente pensò: «Io questa ragazza, prima o poi me la sposo». Prima di conoscerla, Jack aveva ato due anni e mezzo a lavorare sempre nella medesima società d’indagini di mercato, però in un'altra sede. Questa si trovava in una zona centrale di Milano, poi l'improvviso e inaspettato trasferimento. Vanora fu la prima persona che conobbe quando iniziò a lavorare in questo nuovo distaccamento. La ragazza era stata assunta qualche anno prima. Fu proprio lei che vedendolo spaesato, all’inizio gli fece da guida. Si presentò col suo vero nome, dimostrando subito tutta la sua simpatia. Esordì dicendo: «Piacere io sono Valeria Neri, ma tutti mi chiamano Vanora. Non chiedermi da dove deriva questo nome, perché non siamo ancora abbastanza in confidenza da potertelo dire!» Jack, stando al gioco replicò.

«Piacere mio! Io sono Jacopo Draghi, ma da sempre mi faccio chiamare Jack. Non ho origini straniere, eppure è dai tempi delle elementari che chi mi vuole bene mi chiama così. Anzi, adesso che mi ci fai pensare, ricordo che fu proprio la mia insegnante d’inglese ad appiopparmi questo nomignolo. Questa versione british mi è subito piaciuta, quindi si è mantenuta inalterata negli anni.» Già da questo primo approccio, i due si trovarono subito in perfetta sintonia. Poi, Vanora continuò a portare avanti il suo ruolo di guida. Gli fece da Cicerone mostrandogli la nuova struttura; dalla sala fumatori, alla zona delle macchinette erogatrici di bibite e snack, fino alla collocazione dei bagni. Jack era talmente inebetito e rapito dalla sua bellezza che non ascoltò le sue parole, limitandosi solo a mangiarsela con gli occhi. Finché stizzita, Vanora, notando il suo sguardo perso e la sua poca attenzione lo riportò alla realtà: «Ma mi ascolti?!»Lui rispose: «Certo, certo! Scusa, posso farti una confidenza? Però tu non pensare male. Lo so che non ci conosciamo ancora bene, ma te lo devo proprio dire, perché sono fatto così… Insomma, lo sai che hai proprio un bel sorriso!»Lei incredula e spiazzata da quell’ardita confidenza arrossì come una bambina in imbarazzo. Poi visibilmente lusingata, facendo finta di niente, sussurrò solo un timido: «Grazie!» Fu così che si conobbero. Col tempo iniziarono a frequentarsi in modo sempre più assiduo, arrivando a conoscersi e a capirsi in modo profondo. L'unicità del loro rapporto era pari soltanto alla peculiarità del percorso che avrebbe intrapreso il loro destino. Un fato particolare e sempre più condiviso!

PRIMO CAPITOLO Il reclutamento

Andiamo con ordine, dal principio della storia. Insomma, quei due assieme funzionavano davvero, tranne che lei, all’inizio, non cedeva alle sue palesi avances. Continuava a prendere tempo nonostante, in cuor suo, fosse convinta che quel ragazzo le pie molto. Jack, inizialmente non riusciva a capirne il motivo. Lo intuì in seguito, quando lei gli fece una proposta tanto inattesa quanto incredibile. Gli fissò un appuntamento in un pub situato sul Naviglio di via Lodovico il Moro a Milano, chiamato CAMARILLO BRILLO. Gli disse di trovarsi lì alle ventidue e trenta e che assieme a loro sarebbe venuto anche un loro collega, che tutti soprannominavano Big. Jack lo aveva già notato sul posto di lavoro. Un tipo così, di sicuro non ava inosservato, però non aveva mai avuto il coraggio di approfondirne la conoscenza. Nonostante fosse comunque un tipo simpatico e socievole, gli incuteva un certo timore. Forse era per via della sua imponenza fisica, e per gli innumerevoli tatuaggi che ricoprivano quasi totalmente il suo possente corpo. Mai e poi mai si sarebbe immaginato di andarci a bere una birra. Jack, ingelosito, subito si domandò: «Ma che cazzo c’entra questo qua, con la

mia Vanora?!» La situazione lo incuriosiva, ma allo stesso tempo non riusciva a capire in modo razionale il vero motivo di quello strano incontro. Arrivò in ritardo a causa di quella stramaledetta nebbia meneghina. In inverno è un classico e lo sanno tutti che all'improvviso può formarsi, provocando rallentamenti ovunque. Lui doveva immaginarselo, visto che a Milano c’era pure nato! Finalmente, dopo andature lentissime e code chilometriche in circonvallazione, riuscì a raggiungere il locale. Vide subito l'enorme sagoma di Big che celava quella più piccola di Vanora posta dietro di lui. Subito l'energumeno gli andò incontro, e sorridente lo abbracciò. Poi lo alzò di peso. «Ciao bello, che piacere conoscerti!» «Il piacere è tutto mio, io sono Jack» replicò intimidito il ragazzo, ancora staccato dal suolo e stretto in quella morsa. Una volta rimesso a terra, si voltò verso Vanora che ironicamente gli disse: «Alla fine sei arrivato, pensavamo che ti avessero rapito gli alieni.» Lui subito si scusò dando la colpa alle condizioni metereologiche, quindi entrarono nel locale. Era semivuoto. D’altronde era un freddo lunedì sera di pieno inverno. Di solito la gente normale se ne rimaneva a casa, poiché il giorno seguente si sarebbe alzata presto per andare al lavoro. Loro tre, invece avendo il turno pomeridiano, potevano godersi pienamente la

loro serata. Partì il primo giro di pinte e i discorsi rimasero vaghi e banali. Jack pensò: «Tutto qui? Siamo qui a bere allegramente? Ma, che strano?!» Vanora iniziò a notare in lui una certa inquietudine ed essendo molto diretta nei modi, arrivò presto al punto: «Ok. Ora basta con le cazzate! Parliamo di cose serie». Big si azzittì e lei continuò: «Senti, ti andrebbe di arrotondare lo stipendio?» Jack sbalordito rispose: «Dipende cosa mi proponi, di certo non mi va di spaccarmi il culo, soprattutto al mattino». Lei sorridente gli rispose: «No! Tranquillo si tratta di un lavoro serale, molto veloce ma soprattutto molto ben pagato! Ora non dire nulla, ma ascoltami con attenzione. Questo genere di opportunità sono come dei treni, che però ano una sola volta nella vita…Mi spiego?!» Jack era frastornato e rimase in attesa di conoscere i dettagli di quella particolare proposta. In modo altrettanto schietto ne fu informato. La cosa che lo rese incredulo, non era tanto cosa dovesse fare, ma l'aver subito capito che per quella ragazza avrebbe fatto qualunque cosa; anche imparare ad uccidere a sangue freddo. Vanora gli spiegò quanto fosse stato facile per lei e per Big,aggiunse che oramai lavoravano su commissione da alcuni anni e le si illuminò lo sguardo nel raccontare quanti soldi avessero fatto in così poco tempo. Oramai avevano bisogno di gente nuova che li aiutasse,d’altronde il lavoro non mancava, anzi aumentava vertiginosamente. In quella circostanza, la persona più reclutabile era proprio lui. Stava finendo il secondo giro di birre, e c'era tensione nell'aria.

Jack doveva prendere una decisione definitiva, il suo cuore pulsava all’impazzata come al termine di una lunga corsa. Prima guardò Big, che gli fece un occhiolino complice. Dopo si voltò verso Vanora che gli fece un sorrisino verginale, ma al tempo stesso ammaliante quanto un patto col diavolo. Lui sapeva che se avesse detto sì, stavolta sarebbe veramente finito all'inferno, però in questo caso ci sarebbe andato con Vanora. In lui divenne sempre più chiara e certa l’idea che, assieme a lei sarebbe perfino ato in mezzo alle gambe del diavolo. Lei lo guardò dritto negli occhi sorridendogli in modo languido. Poi fissandolo in modo intenso e sensuale si avvicinò al suo viso,sussurrandogli dolcemente: «Quindi Jack, ucciderai per me?» Jack rimase in silenzio per alcuni istanti con lo sguardo abbassato, quando lo rialzò, rivide quello di Vanora che lo attendeva. Si perse nell’intenso blu dei suoi occhi e stregato dalla sua bellezza, in lui crollò ogni titubanza e sempre più convinto della sua rapida scelta, rispose un irresponsabile: «Accetto!» Raggiante di felicità lei gli saltò al collo e iniziò a riempirlo di baci,uno dei quali arrivò in modo voluto vicino alla sua bocca. Tutti e tre erano felici, ottenebrati da quella birra particolarmente alcolica e dalla loro più che assoluta incoscienza. A quel punto Big propose il terzo giro di pinte. Prima che l'alcol intorpidisse definitivamente le loro menti, Vanora spiegò a Jack alcuni aspetti fondamentali, necessari per quello che, da lì a poco, avrebbero fatto. Gli illustrò prima di tutto il segnale d’inizio missione, in altre parole un sms con la scritta BACK IN BLACK e le relative conseguenze.

Una volta ricevuto via cellulare questo messaggio, tutti e tre avrebbero dovuto trovarsi sotto casa sua entro quarantacinque minuti, vestiti di nero e perfettamente armati. Gli comunicò anche l'intenzione di provarlo, in un breve periodo formativo, nel quale Jack avrebbe imparato a usare una pistola con silenziatore e l'uso di altre armi necessarie nelle loro future missioni. Il tutto sarebbe avvenuto in un tempo massimo di una settimana.Ora però, era solo il momento di festeggiare. Lei lo rassicurò ancora, spiegandogli che tutto sarebbe andato per il meglio, e che dopotutto era soltanto un gioco da ragazzi! I tre fecero molto tardi quella sera. Ognuno di loro rimuginò solamente un cinico: «Chi se ne frega!» Dopotutto loro, il mattino seguente, avrebbero potuto dormire quanto volevano, a differenza di quella triste massa di persone comuni, oppresse dalle loro altrettanto squallide vite!

SECONDO CAPITOLO La formazione

L'appuntamento era per le quindici, dovevano trovarsi in via Bisceglie, sopra la stazione della metropolitana. Decisero quel posto perché, dietro al carcere minorile Beccaria, c'erano dei campi di mais e la zona, rimanendo isolata, diveniva ideale per fare azioni poco legali. Si trattava in pratica di allenarsi all'uso della pistola con silenziatore, utilizzando le pannocchie stesse come bersagli. Jack quel posto lo conosceva molto bene, per due motivi.Il primo era che da bambino ci andava a giocare in bicicletta con i suoi amici, il secondo era che, in prima persona aveva vissuto la detenzione minorile per una lite avuta con un bullo del suo quartiere. A quei tempi aveva sedici anni e stava tornando a casa da scuola, quando quello sbruffone, volutamente, gli tagliò la strada col motorino rischiando di investirlo. Jack gli imprecò contro. Trovata la provocazione che cercava, il bullo tornò indietro, bramando nuovamente di investirlo. Non riuscendoci, scese dal mezzo, lo raggiunse e iniziò a picchiarlo. Jack cercò di difendersi, ma il suo avversario aveva una stazza quasi doppia rispetto alla sua, così riuscì solo prendersi un sacco di botte. Tornò a casa piangendo dalla rabbia, si diede una lavata al viso e cercò di non pensarci più, ma non ce la fece. Arrivò sera e cercò di dormire, senza riuscirci. Doveva assolutamente vendicarsi. E così fu!

Jack il giorno successivo si presentò a scuola con un coltello avvolto in fogli di giornale, andò a cercarlo e quando lo vide, lo affrontò. A quel punto il teppista sentendosi sfidato disse: «Che c'è?! Non ne hai prese abbastanza?!» e gli si scagliò contro. La coltellata fu fulminea, il colpo arrivò dritto alla gamba destra. Jack non era stupido, sapeva perfettamente che se l'avesse ucciso sarebbe stato compromesso il suo futuro. Si sarebbe rovinato la vita con le sue stesse mani, allora decise soltanto di ferirlo. Il sangue subito uscì copioso, mentre lo sbruffone impallidì fino a svenire. Jack rimase impietrito, aveva il cuore in gola e non riuscì più a muovere un solo muscolo. Fu bloccato dai bidelli e da alcuni professori, poi arrivò la polizia.Vi fu un vortice velocissimo di eventi, di fatto e in breve tempo, si ritrovò condannato a tre mesi per tentato omicidio e rinchiuso proprio nel carcere minorile Beccaria di Milano. Il bullo se la cavò, il colpo non aveva reciso arterie o vasi sanguigni importanti, sta di fatto che dopo quest’avvenimento, a Jack, più nessun gradasso diede fastidio. Ora era di nuovo lì, molti anni dopo a guardare quel carcere, però questa volta dall'esterno. Poi ragionando sugli ultimi avvenimenti si chiese: «Ma in che diavolo di situazione mi sto immischiando?» In lui scaturirono improvvisamente una serie di dubbi, rimorsi, paure, e preoccupazioni che gli riempirono il cervello di ansie. Ma quando vide arrivare Vanora, ancora una volta ogni turbamento cessò. Lei gli diede un forte abbraccio, lui la strinse ancor più apionatamente, come se in quel gesto volesse comunicarle tutto il suo amore ancora celato.

La ragazza imbarazzata subito lo intuì, ma fece finta di niente. Rimasero a guardarsi per qualche secondo senza proferir parola. Jack, si trovò di nuovo perso nella profondità celeste dei suoi occhi, mentre lei mal celava un imbarazzato rossore del viso. «Allora piccioncini, mica siamo venuti qua per divertirci, o mi sbaglio?!» Tuonò Big comparendo all'improvviso dalla scala mobile che portava all'uscita della metropolitana. Oramai non mancava più nessuno, i tre chiacchierando si diressero verso i campi isolati dietro al riformatorio. Durante il tragitto Jack spiegò quella sua esperienza carceraria giovanile e le cause che ne intercorsero. Big incredulo lo elogiò, Vanora stupita lo guardò in modo nuovo, dopotutto aveva bisogno di una persona coraggiosa o semplicemente incosciente per ciò che avrebbe dovuto fare. Rimase molto affascinata da Jack, ma non lo fece trapelare, dopotutto lei era il capo e ognuno avrebbe dovuto rispettare il proprio ruolo. Il pomeriggio ò velocemente, Jack prese confidenza con le armi che gli furono, per merito consegnate. L'allenamento era semplice, improvvisarono una sorta di tiro a segno: i bersagli da colpire, erano delle pannocchie in precedenza raccolte dai campi circostanti. Furono affiancate l'una all'altra e incastrate ad altezza d’uomo, su un lato di una collinetta di terra alta circa due metri. Questa si era formata grazie ad alcuni scavi edili abbandonati, ma era perfetta per assorbire i colpi d’arma da fuoco. I silenziatori che utilizzarono, attutirono il rumore degli spari,nonostante la zona scelta fosse ben distante rispetto a quella abitata. Insomma potevano allenarsi con tutta tranquillità.

Vanora non era certamente una sprovveduta, se aveva scelto quell’area, aveva i suoi buoni motivi. Lei era dotata di una mira incredibile, Big invece era abilissimo anche nell'uso del coltello. Jack imparò tutti i trucchi del mestiere in poco tempo. Scoprì che dopotutto non era poi così difficile sparare e poté vantarsi anche di avere una buona mira. Il pomeriggio ò rapidamente e giunse il momento di andarsene. Quando fece buio, ricalò la nebbia. Stare nei campi aperti in quelle condizioni, divenne piuttosto inquietante. C'era un'atmosfera irreale. Di fatto non si vedeva più nulla, tanto che seguire il sentiero per arrivare alla strada trafficata, divenne un'impresa alquanto ardua. Finalmente videro stagliarsi davanti a loro l'imponente carcere con le sue luci sinistre. Nella mente di Jack ripresero ad affiorare lontani ricordi della sua detenzione, ata proprio in quella vecchia struttura. Notò le finestre illuminate dalle lampade al neon delle camerate e le ombre dei ragazzi muoversi dietro le sbarre, fino a sparire dalla sua visuale. I muri di cinta erano sovrastati da filo spinato oramai arrugginito, che contornava tutto il perimetro dello stabile. Un intenso brivido gli percorse la schiena, non era causato solo dal freddo pungente, ma soprattutto da un rivissuto senso di costrizione imposta. I tre, silenziosamente superarono il riformatorio lasciando seloalle spalle, in pochi minuti, Jack si sentì più sereno. Tutti tirarono un sospiro di sollievo, la città era vicina e la nebbia pian piano si

stava diradando, perdendosi nelle, sempre meno, fioche luci notturne in lontananza.

TERZO CAPITOLO Jack: prima missione

La sera successiva, dopo la formazione al Beccaria, i tre decisero di festeggiare ritornando al CAMARILLO BRILLO, e bevendo birra, fecero l'alba. Ci furono almeno quattro giri di pinte, che accompagnarono una serie di discorsi goliardici su ciò che stavano per fare, fino a divenire solo biascicanti e ciniche visioni della vita. Jack li assecondava senza troppo trasporto perché il suo vero interesse era ben altro. Rimaneva completamente rapito e sempre più ossessionato da Vanora, maturando la consapevolezza che avrebbe fatto di tutto per averla. Era un’esigenza sempre più necessaria e granitica, nessun rimpianto l’avrebbe mai scalfitta. Intanto, ancora una volta, Vanora era riuscita ad ottenere ciò che voleva. Il giorno seguente, Jack si svegliò a fatica intorno a mezzogiorno, aveva un gran mal di testa e andare al lavoro, sembrava impresa impossibile. Si fece forza; le abitudini sociali dovevano rimanere tali. Prese un antidolorifico e lentamente il malessere sparì, si vestì e andò al call center. Nonostante le chiamate arrivassero a ritmi frenetici, le ore non avano mai. Per ammazzare il tempo, Jack si distraeva osservando Vanora seduta qualche postazione più in là dalla sua. Fissandola notava tutto di lei, era evidente che la ragazza avesse un buon gusto nel vestire.

Le piaceva portare lunghe collane, sia preziose, che di semplici perline variopinte, ma sempre molto eleganti. Le teneva sopra i maglioni e quando era seduta, queste le s’infilavano in mezzo alle gambe. Quella che indossava quel giorno le contornava delicatamente il seno sinistro andandosi ad appoggiare sulla zona pubica; non solo, quando lei ruotava il capo, questa si muoveva su e giù accarezzandola dolcemente. Lui con gli occhi seguiva la collana, come se questa volesse indirizzare il suo sguardo proprio verso le parti intime di Vanora. Poi si perse nell'osservare i suoi seni; erano piccoli ma perfetti; adatti a entrare in una coppa di campagne. Lei amava indossare pantaloni a vita bassa che, qualvolta si alzava, inevitabilmente tendevano a scendere, mostrando malcelate porzioni del suo meraviglioso e sodo sedere. Allora, come se niente fosse, li rialzava fingendo un falso imbarazzo, quando in realtà era ben conscia della propria bellezza, con cui giocava in modo sottile e femminile. Jack per are il tempo, amava perdersi in queste giocose fantasie pseudo erotiche. Dopodiché i suoi pensieri si fecero più romantici; iniziò a osservare il viso e i suoi dolci lineamenti, notando alcune sue espressioni quasi infantili. Poi osservò le sue piccole mani che potevano con la stessa facilità, digitare i tasti del PC, come premere un grilletto. Vanora aveva una bellezza e una sensualità adolescenziale,dirompente e inebriante e lui non riusciva a smettere di guardarla. Oramai era diventata la sua dolce ossessione. Jack si chiese com’era possibile che una ragazza così bella e delicata fosse diventata un killer così spietato.

Finalmente le ore di lavoro terminarono. Jack, dopo aver salutato i colleghi, ritornò a casa. La sua intenzione era di rilassarsi davanti a un film, facendo una pausa rigenerante da tutto l’alcol bevuto le sere precedenti. La sua idea iniziale però cambiò bruscamente, quando arrivò un sms al cellulare con la scritta: BACK IN BLACK. Uscì da casa vestito di nero, con le armi pronte all'uso e in una quarantina di minuti arrivò sotto casa di Vanora. Lei scese, lo raggiunse e gli disse: «Ok, stammi a sentire;stasera siamo io e te, Big non è in servizio. Dobbiamo andare in un posto, ti spiegherò strada facendo. Prendo la mia macchina!». Ci fu un attimo di silenzio poi Jack disse: "Che devo fare?" Lei rispose: «Tranquillo, stasera dobbiamo solo gambizzare un tizio» e sogghignando continuò: «Dai, dopotutto per te non è una novità, è farina del tuo sacco!». «Vero!» disse lui, e continuò: «Ma chi è la vittima?» Lei rispose freddamente: «Lascia stare, meno domande fai e meglio è per te. Ok?!» Jack capendo la situazione si limitò a dirle: «Ok Vanora!» Così raggiunsero Via Dezza, una zona di Milano molto vicino al carcere di San Vittore. Vanora gli spiegò il piano: «Allora, tra poco arriverà una Porsche, appena si fermerà io scenderò e andrò dal conducente, gli chiederò dove posso prendere l'autobus per via Lorenteggio. Quando abbasserà il finestrino per rispondermi, con una scusa lo inviterò scendere dalla macchina per farmi indicare meglio la strada. Lo ringrazierò e tranquillamente mi dirigerò verso la fermata, a questo punto tocca a te: quando mi sarò allontanata da lui una decina di metri, sparagli tre colpi alle gambe. Ok? Tranquillo ho pensato a ogni evenienza, vedrai che non ci saranno problemi. Quando tutto sarà finito, ci ritroveremo alla mia macchina». Jack annuì.

Così parcheggiarono, attesero l'arrivo dell'auto di lusso e iniziò l’effettiva missione. Lei fece a perfezione la sua parte, la vittima elegantemente vestita, scese dall'auto e in modo solerte, spiegò la strada a Vanora, addirittura offrendosi di accompagnarla a destinazione, tanto che a fatica lei riuscì a convincerlo che non era il caso. Per dissuaderlo usò la scusa del ragazzo geloso che l'aspettava sotto casa. Tutto ciò tornò utile al loro piano poiché l'uomo si allontanò molto dalla propria automobile, Vanora altrettanto dal luogo dell'agguato, giungendo con tutta calma alla sua vettura. Jack ebbe quindi tutto il tempo per posizionarsi e trovare una zona buia per colpire indisturbato, tutelato dall'oscurità. Tre colpi partirono in sequenza e giunsero perfettamente a bersaglio, usando un'arma col silenziatore, il vicinato non si accorse di nulla. L'uomo cadde a terra urlando, e contorcendosi cercò disperatamente di fermare l'emorragia usando la sua cravatta firmata. Distante una decina di metri, Jack con tutta calma si tolse il amontagna nero e uscì dalla zona buia che l'aveva reso invisibile e camminando tranquillamente giunse alla macchina di Vanora, che col motore lo attendeva. Per non dare nell'occhio partirono con calma. Intanto, in lontananza, iniziarono a sentire il rumore crescente della sirena di un’autoambulanza. Lui stranamente era calmo ma in un certo senso anche euforico, tanto che con ironia ruppe il silenzio: «Missione compiuta, capo!»Lei sorridendo rispose: «Bravo novellino! Questo lavoro ce l’hai nel sangue!» Jack sbuffando si rivolse a lei dicendo: «Quel poveretto doveva essere un vero bastardo, per meritarsi questo trattamento!» Lei non rispose. Lui capendo la situazione finì il discorso: «E' vero. Scusa. Niente domande, è giusto così! Non voglio sapere altro!»

In meno di mezz’ora i due raggiunsero la casa di Vanora, lei lo invitò a salire per rilassarsi e farsi un bicchierino. All’inizio si accomodarono sul divano, poi, mentre Jack era in bagno a darsi una rinfrescata, lei andò in cucina a prendere due birre dal frigorifero. Intanto lui davanti allo specchio si asciugò il viso, tirò indietro i capelli con un po’ d'acqua e si guardò riflesso. Era come se non si vedesse, la sua mente era assolutamente svuotata da pensieri o rimorsi, si rese conto solo di una cosa: oramai c'era dentro fino al collo! «Allora, ci sei? Guarda che me la bevo io la tua birra!» la voce di Vanora lo riportò alla realtà. Jack ritornò sul divano, lei lo raggiunse e si sedette accanto. Gli diede una bottiglia di Tennent's super e in modo ammaliante disse: «Hai lavorato bene, e questo io l'apprezzo molto; vedrai ci faremo un mucchio di soldi. Eccoti la tua parte, tremila euro.» Lui incredulo accennò un ringraziamento. Vanora indietreggiò dal suo viso e aggiunse: «Parlami di te.»Per un narcisista del suo calibro fu un invito a nozze. Iniziò a narrare la sua vita, lei ne fu compiaciuta, nonostante rimanesse ermetica sulla propria, però sorridendo, continuava a sapere meglio chi fosse e a divertirsi molto. Anche perché Jack era un tipo davvero simpatico e sapeva parlare di se in modo divertente e ironico. La ragazza voleva conoscerlo meglio, era attirata da quel bel ragazzo che come lei aveva scelto questo tipo di vita dannata e senza futuro. Erano incoscienti e felici, e per assurdo tutto funzionava alla perfezione. Il feeling tra loro era lampante, per entrambi fu una serata davvero significativa.

Le cose in futuro però sarebbero diventate sempre più rischiose sotto ogni aspetto, ma a loro non importava. L'inferno li avrebbe attesi pazientemente, era solo una questione di tempo.

QUARTO CAPITOLO Missione collettiva: Trenno

- Il piano-

Rispetto a quella precedente, la seconda missione fu molto più complicata; l'obiettivo era l'uccisione di tre spacciatori scomodi. Innanzitutto richiedeva alcuni appostamenti serali per capire e studiare i movimenti dei condannati. Per farlo dovettero recarsi sulla piazza di spaccio del parco Trenno a Milano per diversi giorni consecutivi; dalle ore ventitré fino alle due di notte. Dopodiché dovettero trovare anche un espediente credibile per riuscire a spostare dalla zona calda, i pusher; questo era necessario per evitare il rischio di essere ripresi da eventuali telecamere di sicurezza montate dal comune. Una volta tolti dalla visibilità e raggiunta la zona prescelta, questi avrebbero trovato ad accoglierli Big e Jack, con un furgone rubato. Eliminate le vittime, i loro corpi dovevano sparire nel modo più sicuro possibile. Fu allora che Vanora, pensò di ricontattare una sua vecchia conoscenza. Un guardiano notturno di un altoforno; un uomo schifoso, corrotto e avido di denaro che già in ato l'aveva aiutata a fare sparire altri scomodi resti, dietro lauta ricompensa. Così fece, lo chiamò e si mise d’accordo. Questa volta però, le cose sarebbero andate in modo diverso.

Ore24.00 - Eliminarli-

BACK IN BLACK; l’SMS arrivò a segnalare che era il momento di agire. I tre giunsero sul posto; Big e Jack, come in ogni missione erano vestiti di nero e armati. Questa volta Vanora, per la parte che doveva interpretare, scelse invece un look diverso e mozzafiato. Indossò un giubbottino slacciato davanti, al cui interno era nascosta una pistola di piccole dimensioni. Sotto di esso, una maglietta molto corta che faceva vedere il suo ombelico. Per l’occasione scelse una minigonna a vita bassa che morbidamente si adagiava ai suoi fianchi sostenuta dal suo bellissimo e sodo sedere, calzettoni fino al ginocchio su pelle nuda e comode scarpette modello ballerina. Curò anche l'acconciatura sfoggiando un paio di codini ai lati della testa che le conferivano quell'aria maliziosa e un po’ porca da Lolita. Lei sapeva molto bene come valorizzarsi e quali modelli erotici piacevano agli uomini. Jack, ovviamente, non riusciva a staccargli gli occhi di dosso. Era il suo sogno erotico fatto realtà; se di norma si perdeva nell'osservarla con seri abiti adatti a un call center, ora era del tutto perso nei vortici delle sue pulsioni e nelle più recondite fantasie sessuali. Decise di reprimerle e di darsi un contegno, voleva dimostrare ancora una volta tutta la sua professionalità. Vanora iniziò a dirigere il gioco. Ai due, illustrò solo a grandi linee la prima parte del piano, poiché di questa fase voleva occuparsi esclusivamente lei. Loro dovevano soltanto bloccarli, legarli, imbavagliarli e caricarli a forza sul furgone.

Vanora impartì gli ordini: «Allora io mi fingerò una drogata, talmente disperata che gli proporrò di pagarli in natura, così ve li porto in zona come stabilito. Voi posizionatevi dove sapete, a quelli ci penso io! Vedrete!» E ironicamente aggiunse: «Dopotutto come possono rifiutare un tale bocconcino. Non trovate?!» Si girò verso i colleghi facendogli l'occhiolino, poi diede loro le spalle e con fare malizioso, con la mano destra, alzò la minigonna mostrando, in tutto il suo splendore, il tonico sedere. Big si fece una sonora risata, Jack rimase senza parole. La situazione lo infastidì molto, poiché trovò il piano pericoloso e allo stesso tempo provò una gelosia crescente. Però che poteva fare? Lei era il capo, quindi, rimuginando, stette ai suoi ordini. Pensò tra se e se: «Certo che non resisteranno a una tale offerta, se la fe a me! Ma guarda te ‘ste donne! Sanno usare proprio bene le loro armi!» Lei s’incamminò e in pochi minuti, raggiunse la piazza. Andò dal primo spacciatore, gli si avvicinò e iniziò a contrattare lo scambio di favori. Lei faceva la parte della smorfiosa, Jack la osservava a distanza mentre dentro di se ribolliva dalla rabbia, rimuginando: «Dai portameli qua questi tre porci, che li sistemo io!» Lei iniziò e camminare verso i sicari abbracciata alla prima vittima, che eccitata dalla situazione, cominciava già a mettergli le mani ovunque. I due si appartarono al di fuori della visibilità, lui incominciò ad alzarle la maglietta e a toccarle il seno, poi la strinse a se con vigore, iniziando a slacciarsi i pantaloni. Jack era incredulo e furioso, rivolgendosi a Big disse: «Ma che cazzo fa, si vuole

scopare ‘sto bastardo proprio sotto ai nostri occhi!». L’ira crescente gli fece annebbiare la razionalità, al punto che in quel momento, li avrebbe uccisi entrambi. Big per riportarlo alla calma, lo strattonò. Jack d’istinto alzò il pugno come per colpirlo in faccia. Big lo ricondusse a un atteggiamento più idoneo alla situazione. «Che cazzo fai?! Guarda che non sei in strada a litigare con la tua ragazza, ora sei un professionista! Lei è il capo e fa ciò che ritiene più utile alla missione e soprattutto sa cosa fare! Non mandare tutto a puttane e stai calmo!» Jack abbassò il pugno e il suo sguardo. Represse la rabbia e tornò al suo posto, scusandosi col collega. «Hai ragione Big, mi spiace, però l'avrai capito anche tu, no? Lo sai che mi sono innamorato di lei e che per Vanora farei di tutto. Puoi capirmi?» Big rispose comprensivo: «Ma certo, bello! Però devi calmarti ed essere più professionale possibile; certo questo sentimento non ci voleva e potrebbe crearci dei grossi casini. Fai in modo che non succeda. Ok?! Riprendi la tua posizione». Intanto Vanora e la sua preda continuavano a pomiciare in modo sempre più ardito. Lui era semi nudo e seduto sull'erba, lei aveva la maglietta alzata e lo dominava standogli sopra, mentre lui le baciava apionatamente il seno. Con quest’atto sessuale, Vanora voleva dimostrare a Jack la sua libertà. Lei era padrona di gestirsi ogni sua eventuale pulsione, di fatto voleva allontanarlo poiché stare assieme a lei, alla fine, voleva dire solo soffrire. Voleva spaventarlo, nella speranza di fargli cambiare idea e di conseguenza anche i sentimenti che aveva nei suoi confronti. Tra l'altro anche lei iniziava a provarli, ma per ora non aveva il coraggio di assecondarli.

Tutto ciò la spaventava troppo; ormai non era più abituata ad amare qualcun altro che non fosse lei. Voleva che nessuno dei due soffrisse. In cuor suo, però, sapeva che avrebbe voluto amare liberamente e senza limiti, quel bel ragazzo. Apprezzava davvero che per lei, Jack avrebbe fatto di tutto, ora lo stava mettendo in pratica fino in fondo. Intanto lui, osservandoli a distanza, era sempre più sbalordito, non poteva credere ai propri occhi; provava invidia verso quell'individuo, e nel frattempo era furente ma impossibilitato all’azione. Tra se e se sperava, con tutto il cuore, che Vanora la finisse con queste inutili effusioni e che finalmente lo conducesse da loro. Infatti, poco dopo, lei estrasse la sua pistola e puntandogliela in faccia disse allo spacciatore: «Toglimi le mani dal culo, abbassami la maglietta e rivestiti!» Lui impallidendo, stette ai suoi ordini supplicandola di rimanere calma. Mentre lo teneva sotto tiro, con l'altra mano si rimise a posto il reggiseno e le mutandine, lui intanto si era già rivestito. Lo fece girare e gli ordinò: «Forza stallone, da quella parte!»Sentendola, Jack tirò un sospiro di sollievo, perché capì che alla fine glielo stava consegnando. Big e Jack, incappucciati, lo accolsero a modo loro: Jack uscì dall'oscurità e gli tirò un pugno in pieno volto. Per lui, fu un vero sfogo liberatorio! L’uomo cadde come un sacco di patate, Vanora a quel punto gli diede un potente calcio nelle palle. Big si gustò la scena ridacchiando. A quel punto, lo spacciatore tremante li pregò di non ucciderlo e inginocchiandosi al loro cospetto, chiese cosa potesse fare per avere salva la vita.

Vanora gli ordinò: «Portami qui i tuoi colleghi, chiamali col cellulare e digli che c'è una disperata che per una dose se li scopa tutti e due, anche contemporaneamente. Sappi che sei sotto tiro, quindi non fare cazzate, se tieni alla tua vita! Ora andiamo al margine della zona d'ombra, ci faremo intravedere.Ora abbracciami!» Così si avviarono, lui obbedì, lei gli puntò la pistola alla schiena,mentre a brevissima distanza dietro di loro, Jack e Big lo tenevano sotto tiro. La coppia giunse ai margini della piazza e nella penombra, lui fece la telefonata. Poi si fece vedere con Vanora solo per pochi secondi, anche per mostrare l'appetibilità della merce e rassicurare gli altri due spacciatori. L’area era sicura perché gli alberi li avrebbero comunque coperti dalla visibilità di eventuali telecamere. Fatto il suo dovere, una grossa mano tatuata lo riportò con violenza nell'ombra; era Big. A suon di pugni e calci, fu velocemente condotto vicino al furgone e obbligato a sedersi sul prato. Jack intanto continuava a tenerlo sotto tiro. Una volta a terra, Big, lo immobilizzò; con del nastro adesivo gli tappò la bocca, quindi sotto la minaccia delle armi lo costrinse a salire sul camioncino. Intanto Vanora, nella semi oscurità accolse gli altri due; maliziosamente li invitò a recarsi in un’area appartata, dove nessuno li avrebbe visti. Mentre questi iniziarono a palpeggiarla, lei si divincolò e scherzosamente li obbligò a seguirla.Vanora con questo espediente riuscì a farli cadere in trappola, di fatto furono consegnati ai suoi complici. Ad attenderli c'erano Big e Jack che nel frattempo avevano già estratto i loro manganelli telescopici. I due sicari non fecero altro che replicare il trattamento, quindi a suon di manganellate e botte li fecero salire sul mezzo. Ora il carico era completo; i tre immobilizzati, imbavagliati e sanguinanti

mugugnavano pianti soffocati nella disperata ricerca di impietosire i loro carnefici. Come unica risposta ricevettero solo altre botte. Big si mise alla guida e con calma partì. Intanto nel retro del mezzo, Jack e Vanora si occuparono di tenerli calmi. Per azzittirli definitivamente gli puntarono in faccia le loro pistole.Il viaggio durò circa mezz'ora e terminò secondo i piani, nelle campagne isolate di Settimo Milanese. Qui si fermarono; Big scese dal mezzo, aprì le porte posteriori del furgone e fece scendere tutti. All'improvviso andò da Vanora e le disse: «Sai cosa stavo pensando, facciamoli fuori nel furgone, così ci evitiamo la faticata di rimetterceli dentro!». Lei Rispose: «Bell'idea Big! Non ci avevo pensato!» e ordinò:«Allora Signori, rimettete le vostre chiappe sul mezzo, forza!» Iniziarono a comprendere che per loro non c'era più niente da fare; pallidi e piangenti tentarono nuovamente di impietosire i tre sicari. Le loro voci erano soffocate dal nastro adesivo, ma tutto era inutile, poiché la condanna era oramai decisa e il verdetto inappellabile. Per Jack fu una scena straziante, provando per loro una grande pena; dopotutto lui non aveva ancora ucciso nessuno e non possedeva ancora quell’assoluta freddezza dei colleghi, così necessaria in quelle occasioni. Non vedeva l'ora che tutto finisse. I tre, tremanti, risalirono sul mezzo ma Vanora li fermò: «Dove cazzo andate! Chi vi ha detto di accomodarvi sui sedili?! Mettetevi seduti sul bordo, ecco esattamente li! Bravi, dove si chiude la porta! Altrimenti come facciamo a prendere la mira! Abbiamo bisogno di spazio!» Obbedirono; la scena era agghiacciante e surreale, un vero e proprio plotone

d'esecuzione davanti alle proprie vittime, che impaurite, attendevano la morte. Intorno solo il buio e gli imperturbabili rumori della campagna. Frinii di cicale a spezzare il silenzio di questi dialoghi assurdi, e in lontananza alcuni chiarori nati dalle scie delle auto in transito sulla strada provinciale ormai lontana. Big spense le luci del furgone, così le tenebre fecero la loro parte. Poi accese delle torce elettriche e ne diede una a ognuno dei colleghi. Questi le puntarono in faccia alla rispettiva vittima designata. Uno dietro l'altro, in sequenza, iniziarono gli spari. Anche Jack fece il suo compito, tutti uccisero la loro preda. I silenziatori coprirono il rumore dei colpi, anche quelli di grazia. Ora il silenzio iniziò a urlare dentro la testa di Jack, che in quel momento era come paralizzato. La sua mente rimase svuotata; nessun pensiero, solo un senso di onnipotenza crescente e malata, ma dopotutto piacevole e adrenalinico. «Visto! Non era poi così difficile!» la voce di Big lo riportò alla realtà; l'energumeno gli ò a fianco colpendolo scherzosamente a una spalla, mentre correva ad accendere le luci del mezzo. Tornato un po’ di chiarore, lo spettacolo si rivelò stomachevole, soprattutto per Jack che per ora non riusciva neanche a guardarsi intorno, ma dovette farsi forza. Era un pegno da pagare se voleva abituarsi a quel genere di vita.Vanora disse: «Big, ci pensi tu?» Lui rispose: «Ok Vanora! Jack guarda e impara!» Così estrasse dalla tasca una pinza e iniziò a infilarla nella bocca di uno dei cadaveri; con calma e in modo accurato iniziò a staccargli i denti uno a uno. Era un vecchio trucco per rendere maggiormente difficoltoso l'eventuale riconoscimento dei resti.

Jack iniziò a provare un senso di nausea, il suo sguardo non riuscì più a reggere la scena. Vanora lo notò e con ironia lo istigò all’azione: «Vuoi dare una mano anche tu? Guarda che mica devi essere un dentista!» Lei sapeva che, in questo caso, togliere i denti non era necessario perché i corpi sarebbero stati ridotti in cenere, però voleva che Jack vedesse e capisse fino in fondo a quali azioni spietate ed efferate, sarebbe andato incontro stando con loro. Lui rispose: «Va bene tutto, ma questo è troppo!» Lei replicò sarcastica: «Va beh! Sarà per un'altra volta! Poverino,il pivello ha ancora lo stomaco delicato.» Big sogghignando continuò il suo compito e fischiettando come niente fosse, cadavere dopo cadavere, lo portò a termine. Raccolse i denti dei tre, li mise in un sacchettino di plastica e lo consegnò a Jack dicendogli: «Dai bello, tienilo tu, ma appena cambiamo zona, questi devono sparire. Uno a uno, li butterai in un tombino, ok?!» Lui annuì attendendo il momento giusto per fare la sua parte, si mise il sacchetto in tasca e si voltò verso Vanora che ordinò:«Forza signori, mettiamo i corpi nei sacchi neri, così ce ne andiamo!» «Però, prima diamogli una ripulita», replicò Big, iniziando a ispezionare le tasche dei cadaveri cercando denaro e quant'altro di prezioso possedevano. Recuperò circa tremila euro in banconote e qualche panetta di hashish: «Queste me le prendo io! I soldi…?» Vanora lo interruppe: «Quelli li usiamo per pagare il custode, così abbiamo risparmiato ulteriormente sul budget iniziale». Dopo che ognuno fece la propria parte, il camioncino partì. Jack si sedette nel retro, era spossato dalla fatica e si sentiva la schiena a pezzi. Dopotutto non aveva mica la stazza del suo collega Big, che intanto si era già rollato una canna; con calma se la accese e tornò alla guida.

Vanora seduta affianco si fece un paio di tiri, poi sospirando commentò: «Bene, ci voleva, è l'ideale per rilassarsi. Su, Jack! Fatti due boccate». Lui obbedì e cercò di perdersi nel vortice dello sballo, infatti, il suo cuore si calmò, il suo sguardo perse lucidità e per un attimo iniziò ad appisolarsi. Sobbalzando per la strada sterrata, il furgone si diresse verso quella principale che li avrebbe portati verso la meta successiva. Era come uscire dalle tenebre per arrivare alla luce, ma nel loro caso la visibilità era utile solamente per fare altre azioni aberranti. La notte era ancora lunga, e altro sangue doveva ancora scorrere.

Ore 02.00 - L'altoforno-

«Ecco, fermati qua!», disse Vanora a Big, poi si rivolse a Jack e gli ordinò: «Vedi quel tombino? Ecco! Buttali li!» Lui scese dal mezzo e andò nel punto indicato, mise la mano in tasca ed estrasse il sacchetto dei denti; vide che conteneva anche del sangue, si accorse di averlo sigillato bene poiché le sue mani rimasero pulite. Si piegò sopra il tombino e lentamente con estrema attenzione li fece cadere dentro tutti, stando attento a non sporcarsi. Ora il suo compito era terminato. La voce di Vanora lo richiamò: «Il sacchetto portalo sul furgone, tanto bruceremo tutto. Ora sali!» Lei aveva pensato anche a questo; da vera professionista aveva un'abilità incredibile nel gestire e realizzare perfettamente ogni o del suo diabolico piano. I tre ripartirono subito dirigendosi verso l'altoforno.

Durante il tragitto Vanora chiamò il custode notturno, per mettersi d’accordo per l'appuntamento. Gli ordinò di staccare la corrente simulandone un calo momentaneo. Sapeva, che per questioni di privacy, le telecamere interne non esistevano, quindi una volta entrati, erano assolutamente tranquilli. Come da prassi, in questi casi, la vigilanza chiamò telefonicamente il custode per aver aggiornamenti sul blackout, gli chiese la parola d'ordine e lui rispose a dovere, quindi aggiunse una frase di circostanza: «Spero che non si protragga per tutta la notte questa mancanza di energia elettrica». Intanto i tre sicari lasciarono la strada principale per infilarsi in una sterrata, il buio li avvolse di nuovo. Non essendoci lampioni a illuminare adeguatamente la zona, solo i fari del furgone davano una porzione di visibilità, obbligando il mezzo a procedere piuttosto adagio. All'improvviso, dall’oscurità iniziò a intravedersi un’imponente sagoma; si trattava di una grossa ditta con al centro, svettante, una grande ciminiera, da cui usciva lentamente e silenziosamente del fumo biancastro. Era una zona industriale isolata e poco illuminata, insomma il posto ideale per ciò che si apprestavano a fare. Dopo mezz’ora di viaggio, Big annunciò: «Ecco siamo arrivati.»Vanora replicò: «Ok, ora scendo e parlo con questo stronzo, voi aspettatemi sul furgone!» La ditta all’interno era al buio; il custode sorridente li attendeva al cancello d'entrata che aveva aperto a mano. Lei verificò che avesse eseguito i suoi ordini; effettivamente, visto il procurato blackout, le telecamere esterne erano staccate. Il custode la rassicurò confermandole di avere eseguito alla perfezione ogni sua richiesta. La ragazza ritornò dai colleghi e disse loro di scaricare i corpi.

I due obbedirono e iniziarono con il primo, che aveva una buona stazza. I due entrarono nel furgone, lo sollevarono e dopo averlo fatto ondeggiare per un paio di volte, lo gettarono fuori. Fecero allo stesso modo con gli altri due, ora si trattava di portarli tutti dentro. Per farlo utilizzarono un muletto, dopo averli tutti messi su di un bancale di legno. Poiché l’ambiente era quasi totalmente buio; Vanora e il custode li anticipavano con grosse torce, indicando loro la strada che li avrebbe portati all'altoforno. Intanto, la luce rossastra rotante del muletto usato per trasportare i corpi, gettava lampi di color amaranto sulle pareti interne del locale come a richiamare alla mente tutto il sangue versato. Ora, però, era il momento di ripristinare la corrente elettrica, così il guardiano rimise mano al pannello di controllo del generatore centrale. Come da prassi, la vigilanza chiamò ancora il custode per aver aggiornamenti sulla situazione, gli richiese la parola d'ordine e lui rispose a dovere. Rassicurò le guardie dicendo che oramai era tutto a posto; era probabile che si fosse trattato di un calo di tensione, dopotutto era una ditta piuttosto vecchia. Jack rimase colpito nel vedere quell’enorme fornace che a norma serviva solo per bruciare scarti industriali a più di mille gradi. Intanto il caldo era opprimente, il sudore iniziò a colare copioso; dopo tanta fatica era giunto il momento di eliminare le prove compromettenti, quindi uno dopo l'altro i tre corpi furono gettati dentro l'altoforno. «Cazzo qui non si respira!», disse affannato Big. «Lo so! Non me lo ricordare, sono distrutto!», replicò Jack sedendosi ansimante, cercando di riprendersi dalla fatica. Intanto, Vanora contrattò il pagamento e come pattuito consegnò al corrotto la cifra di tremila Euro.

Il custode dopo averli intascati, ironicamente disse: «Se non ci fossi io a coprirvi il culo!» Quell'arrogante frase le fece tornare alla mente cosa avrebbe dovuto fare. Vanora non poteva permettersi il lusso di non essere del tutto sicura: «Metti caso che quel venduto andava a spifferare tutto alle persone sbagliate?! » Troppo rischioso. Andava eliminato. Vanora all'istante estrasse la sua pistola e gliela puntò dritta in faccia e gli ordinò: «Ridammi i soldi, forza!» Il custode impallidì e glieli rese, sperando nella sua clemenza,poi tentò una tremolante replica: «Calma ragazzina, non fare cazzate, ok? Che cosa vorresti fare? Tu hai bisogno di uno come me, io ti servo! Dove lo trovi uno come me!» Lei replicò glaciale: «Ne trovo mille!» Quindi, minacciandolo con la sua arma, lo obbligò a indietreggiare fino al bordo della fornace. Sotto di lui mille gradi lo attendevano. Bastò una spinta per fagli perdere l'equilibrio e farlo cascare dentro; un urlo raggelante riempì il locale. I tre guardavano la scena dall'alto mentre la torcia umana gridava maledizioni nei loro confronti, fino a quando iniziò a ingoiare fuoco liquido. Ora un rumore di respiro strozzato, poi il silenzio. Il corpo stava bruciando sia esternamente sia internamente. Big sputò addosso ai resti oramai disciolti. Vanora li salutò con un sarcastico: «Bye, bye!» Jack era seduto in disparte, disgustato si voltò per evitare questa visione straziante.

In quel momento voleva soltanto andarsene da lì e tornare a perdersi nell’oblio dello sballo. Si mise a riflettere: «Forse è questo l'inferno che mi aspetterà dopo la morte?! Ma prima di bruciare in eterno, ho un unico desiderio; amare Vanora. Tesoro, lo sai che ti ho dato tutto, anche il mio destino. Fai di me ciò che vuoi! Io per te farò qualunque cosa! Ma amiamoci, cazzo! Finché possiamo farlo e abbiamo vita. Il tempo a in fretta, godiamoci ogni attimo, tanto la dannazione sarà il nostro domani!» Vanora invece pensava alla situazione presente. Aveva concepito che dovesse sembrare un suicidio, quindi in questo caso particolare era del tutto inutile sparare alla vittima, tantomeno staccargli i denti. Sicuramente, il giorno dopo qualcuno l'avrebbe cercato, ma avrebbero creduto che fosse stato un atto disperato di un povero guardiano sottopagato, che prima di ammazzarsi aveva simulato un blackout, forse per non impressionare chi di dovere. Interessava poco a Vanora il parere altrui, l'importante era che loro tre non apparissero nelle registrazioni esterne. Ora dovevano uscire dall'altoforno, tutto era stato fatto alla perfezione. Prima di partire, staccò di nuovo la luce dal pannello generale. Dal gabbiotto del custode, recuperò la chiave manuale per riaprire il cancello elettrico che si era in seguito chiuso al riavvio precedente della corrente, quando bruciarono i cadaveri. Salì sul furgone, dove già l'aspettavano i suoi compagni, e senza fretta uscirono indisturbati. Intanto in sottofondo, sempre più flebile, si udiva il suono assillante della chiamata telefonica della vigilanza. Finché allontanandosi, sparì anche quello.

Ore 04.00 - Bruciare il furgone -

Un'ultima cosa era da fare; tornare a Milano, prendere la macchina di Vanora e

bruciare il furgone rubato. Quando arrivarono sotto casa sua, il cielo era ancora buio e questo agevolò molto l'ultima parte del piano. Dovevano muoversi in fretta, avevano circa un'ora prima dell'alba. L'oscurità doveva tutelarli, era per loro un’alleata preziosa; come sempre aveva fatto, anche stavolta li avrebbe aiutati rendendoli poco visibili a eventuali occhi indiscreti. Era il momento di agire; Big accostò il furgone, Vanora scese dal mezzo rapidamente ordinando: «Ok, sarò velocissima, salgo in casa, e recupero le chiavi della macchina. Poi scendo nel box, la prendo e vi raggiungo affiancandomi al furgone. Aspettatemi col motore , dobbiamo fare solo un ultimo sforzo. Ho una sorpresa per voi! Vi spiego tutto appena torniamo qui da me. Forza! Abbiamo poco tempo prima dell'alba! Big appena arrivo seguimi. Ok?!» Lui serio annuì. In meno di dieci minuti erano già in viaggio, si fermarono al primo distributore di benzina sicuro, di fatto, senza telecamere. Ce ne era uno nei pressi di Cesano Boscone. Una volta giunti alla pompa di benzina, Vanora disse: «Jack dammi una mano!» Lui scese dal mezzo e andò da lei. La ragazza stava accingendosi ad aprire il baule della sua auto; dopo estrasse due grosse taniche vuote e le consegnò al suo complice. Ordinò: «Una la riempio io, all'altra pensaci tu. Tieni, cinquanta euro dovrebbero bastare per fare il pieno!» I due caricarono sul furgone le taniche colme di benzina ben sigillate e velocemente ripartirono. Vanora faceva strada, Big le stava dietro attento a non perderla di vista; il gruppo si diresse verso una zona isolata di Baggio.

Questa era caratterizzata da una distesa di campi incolti e qualche cantiere edile. Era perfetta per far sparire il mezzo con tutte le sue pericolose prove. Lasciarono la strada principale per una sterrata, i mezzi si ritrovarono avvolti dall'oscurità, solo il bagliore dei fari dava una visione parziale della via da seguire. Dietro di loro, in lontananza, s’intravedeva la città ancora addormentata; distanti sagome di palazzi non ancora illuminati, lampioni accesi oramai lontani che sembravano piccoli fiammiferi che semi consumati, stavano lentamente spegnendosi. Intorno a loro le gru dei cantieri sembravano scheletriche braccia di mostri meccanici dormienti. Solo le luci rossastre che le sovrastavano le rendevano vagamente vive. Jack si perse nell’osservare come queste luci si confondessero con i bagliori bianchi delle stelle; era come se alcune di loro fossero incendiate a differenza di altre. Una frenata improvvisa lo ridestò, erano giunti alla meta. Vanora parcheggiò la sua macchina a una distanza di sicurezza puntando i fari verso il furgone, poi raggiunse i suoi compagni e gli ordinò di scendere dal camioncino. Mentre lei faceva luce con i fari dell’auto, il mezzo fu aperto e abbondantemente inzuppato di benzina. Big incendiò un foglio di giornale arrotolato e imbevuto di liquido infiammabile e lo lanciò al suo interno. Una luce accecante illuminò di colpo l'oscurità, i tre coprendosi gli occhi indietreggiarono verso la macchina che li avrebbe riportati a casa. Poco dopo, Jack notò all'interno del furgone, il sacchettino che aveva contenuto i denti delle vittime e si sentì rassicurato quando lo vide bruciare con esso.

Dopo un paio di minuti, il fuoco raggiunse anche il serbatoio e inevitabilmente arrivò lo scoppio. Così sparirono tutte le prove compromettenti e tutto quel sangue che le aveva in precedenza macchiate. Non sparirono però le conseguenze delle loro azioni, la loro coscienza era oramai irrimediabilmente sporca, nessun fuoco poteva purificarla. Forse solo quello eterno dell'inferno?!

Ore 05.00 - A casa di Vanora -

Durante il tragitto di ritorno Vanora era raggiante, dopotutto il suo piano era riuscito, andando tutto alla perfezione. Finalmente era giunto il momento di divertirsi. Giunti al suo stabile, parcheggiarono l'auto nel box e tutti e tre salirono al suo appartamento. Si trattava di un loft ben arredato e di buone dimensioni,ovviamente non aveva pareti interne ma solo dei piloni di sostegno che separavano i vari locali. Appena richiusa la porta, Big si buttò sul divano, schioccò le dita e con ironia ordinò: «Birra per tutti, grazie! Ho la gola secca! Voi no?» Vanora rispose: «Aspetta un momento, senti qua! Questo brano ti ricorda qualcosa?» si diresse verso il suo stereo e lo accese. Un suono di chitarre elettriche annunciò l'inizio della canzone; era BACK IN BLACK degli AC/DC. Big scattò in piedi, s’infilò le mani fra i suoi dreadlocks e a voce alta disse: «Grande! Non ci posso credere! Ma sei mitica,cazzo!» Corse da Vanora e la prese in braccio stringendola a sé, la fece roteare per un

paio di volte poi la rimise a terra. Lei per qualche istante barcollò, poi si accorse che i suoi codini si erano sciolti e istintivamente se li risistemò. Scosse la testa e rivolgendosi divertita a Big, gli disse sorridendo: «Tu sei matto! Vuoi uccidermi, per poco non mi stritolavi, peserai il doppio di me!» Lui rispose ridendo: «Forse anche il triplo!» e lei: «Scemo!» Jack intanto si gustava la scena. Era felice, anzi, tutti lo erano! Andò al frigorifero, estrasse tre birre, le aprì e le appoggiò sul tavolo assieme ad altrettanti bicchieri. Ne riempì uno fino a colmarlo e bevve gustandosi l'ebrezza data dall'alcol che pian piano iniziò a scorrergli nelle vene. Poi si accese una sigaretta e si sedette su una sedia posta in cucina. Finalmente la gioia era protagonista; tutta quella violenza era come dimenticata, sparita! Ora erano solo tre ragazzi che volevano godersi la mattinata,come tanti altri ragazzi normali; ma loro erano diversi e Jack se ne rese conto quando Vanora tornando da lui estrasse la sua pistola e l'appoggiò sul tavolo vicino alle birre. «Per ora questa non serve più.» Disse sorridendo. Poi lo guardò con malizia, prese una birra e bevendo dalla bottiglia aggiunse: «Io non uso il bicchiere, io uso direttamente la bocca. Amo gustare le cose dalla mia bocca, sai ho una sorta di fissazione orale…» Dopo aver bevuto, con la lingua si leccò lentamente le labbra con un movimento circolare. Jack allora si alzò, posò il bicchiere e si diresse verso di lei. Con le mani, la prese per i fianchi e la avvicinò a se; ora le loro bocche erano a pochi centimetri l'una dall'altra.

Per l’intensa emozione, il suo cuore sembrava esplodere, ma all’improvviso sentì qualcosa di freddo e duro sotto il suo mento. Vanora gli stava puntava la sua pistola che di nascosto aveva recuperato, Jack mollò la presa e con movimenti lenti si allontanò. Lei sorrise e fissandolo negli occhi, dolcemente gli disse: «Ora è tempo di dividerci il malloppo. Dopo ci divertiremo.» Lui capì e complice stette agli ordini del suo capo. Continuando a fissarlo, lei indietreggiò, posò l'arma sul tavolo si girò andando verso l'armadio. Tirò fuori un borsone scuro, lo appoggiò sul divano-letto, si sedette e lo aprì. Big e Jack, incuriositi, si avvicinarono per verificarne il contenuto;era proprio quello che desideravano. Soldi! Tanti soldi, un mucchio di soldi! Jack non ne aveva mai visti tanti in vita sua, incredulo si voltò verso Vanora e le chiese: «Ma quanti cazzo sono?!» Lei rispose: «Tanti Jack, Tanti! Esattamente centocinquantamila Euro. Cinquantamila a testa, capisci?! Come ti dicevo questo lavoro paga! E paga molto bene, ci faremo un mucchio di soldi. Vedrai! Jack, ragiona, quanti anni di call center ci dovremmo fare per guadagnarceli?» Big ridacchiando aggiunse: «Manco in cinquant'anni di lavoro, bello mio!» Jack rimase senza parole, si limitò a sorridere e con pazienza rimase ad aspettare la suddivisione del malloppo, finché gli fu consegnata la sua parte. Poiché era sabato, avevano la possibilità di dormire fino a tardi,quindi decisero che sarebbero rimasti da lei a festeggiare per tutto il giorno successivo. Vanora, dopo i pagamenti si alzò dal divano-letto e andò verso il lettore DVD.

Tra i tanti film posseduti, ne scelse uno della sua numerosa collezione. Accese la TV, lo infilò nel lettore e lo fece partire; questa era tutta un’altra musica! Sicuramente diversa dal pezzo che avevano ascoltato prima, si trattava di un DVD molto più ipnotico e suggestivo: Live at Pompeii dei Pink Floyd. Dal televisore maxi schermo collocato di fronte al grosso divano-letto, iniziarono a susseguirsi immagini e musica; lei abbassò le luci creando un'atmosfera pseudo hyppie. Vanora aprì il divano-letto facendolo diventare un vero e proprio letto matrimoniale, e ci si accomodò sopra. Con un gesto veloce delle gambe fece volare via le scarpe. Poi rivolgendosi a Big, che era seduto su di una sedia poco distante, disse: «Allora! Che aspetti, non vedi il video? Qui ci vuole assolutamente qualche canna!» «Guarda mi hai letto nel pensiero! Tranquilla abbiamo ancora qualche panetta!» Dopo questa risposta, Big iniziò a rollare alcuni spinelli; in questo compito era molto abile, veloce e preciso. Intanto Jack lo osservava a distanza, oramai la sua birra era finita, quindi se ne aprì un'altra e se la versò nel bicchiere. Questa, però, gli provocò un improvviso stimolo alla vescica,quindi si alzò e si diresse verso il bagno. Vanora lo vide e seguendolo con lo sguardo gli chiese: «Ehi, non vieni qua a gustarti il film con noi?» e per invogliarlo a raggiungerla, allargò le braccia come invito a un abbraccio. Lui rispose: «Arrivo subito, ho solo bisogno di darmi una rinfrescata, voi continuate senza di me. Ci metto due minuti!» Entrò in bagno, chiuse la porta, pisciò fragorosamente, si lavò le mani, si tolse il

maglione nero e rimase a torso nudo a guardare la sua immagine riflessa nello specchio. Le sue mani erano appoggiate al lavandino sottostante, ne alzò una e la mise sotto l'acqua corrente fredda, se la ò tra i capelli inumidendoli abbondantemente e se li pettinò all'indietro;erano abbastanza lunghi quindi a fatica rimasero nella posizione voluta, tornando a lambire i lati del suo viso. In quel momento gli tornò alla mente la chiacchierata a casa di Vanora, successiva alla sua prima missione in via Dezza. Era la prima volta che andava da lei, quindi c'era molto più imbarazzo rispetto a ora, dopotutto la loro conoscenza era solo all'inizio. Apprezzò l’intesa reciproca scaturita in quell’occasione,durante le loro reciproche confidenze. Ora invece cosa lo aspettava? Jack guardandosi negli occhi, si domandò: «Riuscirò veramente,un giorno a stare con lei ? Oppure sto solo perdendo tempo?!» Si chiese se stesse buttando via la sua vita, rovinandola irrimediabilmente?! Comunque sia, oramai era troppo tardi, non poteva più tornare indietro! Faceva caldo in quel bagno, quindi prese il maglione e senza indossarlo decise di raggiungere gli altri. Vanora vedendolo a torso nudo disse: «Wow! Va chi si rivede, e che fisico niente male! Vieni qua, abbracciami. Ho voglia di coccole.» Lui ironizzando sull’effettivo imbarazzo provato, rispose: «Ma piantala di sfottermi. E' che fa un gran caldo! Non trovate? Comunque corro subito da te! Ai suoi ordini capo!» Big aggiunse: «Fa caldissimo, hai ragione bello mio!» Non vedeva l’ora di mostrare i suoi innumerevoli tatuaggi, quindi colse al volo l'invito; prima si tolse il maglione nero, poi non contento si tolse pure i calzoni scuri, restando semi nudo in mutande. Jack raggiunse Vanora sul letto, si tolse gli anfibi neri e subito l'abbracciò.

Lei sorrise compiaciuta stingendolo a se. Intanto Big si accese una canna, e iniziò a scimmiottare una pseudo sfilata nell'intento di continuare a mostrare con orgoglio tutti i suoi tatuaggi. Di fatto, goffamente, si mise a gironzolare intorno a loro raccontandone la storia di ognuno. Vanora e Jack, divertiti, lo assecondarono seguendo con lo sguardo ogni sua mossa. Improvvisamente Vanora si divincolò da Jack e si mise in ginocchio sul letto e disse in modo giocoso, ma allo stesso tempo malizioso: «Ed io nulla? Anch’io sento caldo, non avrò tatuaggi da mostrare, ma sarò libera di togliermi qualcosa come voi, o no?!» Quindi, rimanendo in ginocchio, iniziò a infilarsi le mani sotto la sua corta maglietta, con una certa fatica riuscì a sganciarsi il reggiseno e a sfilarselo. Iniziò a farlo roteare alzando il braccio destro. Jack era sdraiato sul letto, e grazie al suo punto di osservazione, riusciva tranquillamente a guardarle il seno nudo che appariva da sotto la magliettina. Lei se ne accorse ma fece finta di niente, il reggiseno continuò a girare fino a quando decise di lanciarlo in un angolo della stanza. Fingendo un'inesistente pudica timidezza, con le mani si coprì il petto e si sdraiò, nell'intento di tornare ad abbracciare Jack. Lui allargò le braccia e la accolse, lei si abbandonò tra di esse, lui le richiuse intorno alle sue spalle per trasmetterle un forte senso di protezione. Sentì i suoi sodi seni appoggiarsi al suo nudo petto; più la stringeva maggiormente notava che questi si plasmavano adattandosi al suo torace, riuscendo perfino a percepirne i capezzoli induriti. Jack era in estasi, un'eccitazione crescente lo pervase e ne conseguì una lenta ma costante erezione. Per fortuna, a differenza di Big, lui indossava ancora i suoi calzoni neri che

essendo abbastanza larghi, riuscirono a mascherarla. Lei comunque aveva già notato l’effetto raggiunto. Facendo finta di niente ma in modo provocatorio, iniziò ad accarezzare le gambe di Jack con una delle sue. Questa, lentamente partendo dal basso, e iniziando dal ginocchio di Jack, percorse la sua coscia fermandosi proprio sul suo membro eccitato, ci si appoggiò sopra e con piccoli movimenti lenti e costanti ne aumentò ancora la tonicità. Jack iniziò a sudare, per un momento si chiese se lei stesse facendo apposta oppure no, ma in fin dei conti, la cosa non gli importava più di tanto. Trattenne un sospiro di piacere mordendosi un labbro, poi socchiuse la bocca e chiuse gli occhi. Che sensazione di piacere avvolgente; sentiva il sangue ribollire e confluire tutto al basso ventre fino a pulsare sotto la gamba di Vanora che, in nodo innocente, fingeva solo di essere rapita dalle immagini del DVD trasmesse sul televisore. All’improvviso come ridestata, ritrasse velocemente la sua gamba e arrossendo gli disse: «Scusa! Non ho fatto apposta.Non me ne ero accorta, ero presa dal film…» Vanora non finì la frase fingendo un falso imbarazzo. Amava provocarlo con la sua aria maliziosa e ingenua da Lolita, poiché in cuor suo, Jack, le piaceva molto. Era proprio un bel ragazzo e tra l'altro era conscia che fosse profondamente innamorato di lei. Era nelle sue mani. Quindi che male c'era a stuzzicarlo un po’?! Jack d’istinto si ritrasse, la guardò con aria sospettosa e scosse la testa come a dirle che non era mica scemo! Con una mano cercò di nascondere la sua evidente eccitazione sistemandosi

malamente i pantaloni. Lei sorrise maliziosa facendo finta di non notarlo e stiracchiandosi si sedette sul letto. Si guardò attorno alla ricerca di Big, che scorse sul balcone. Era appoggiato alla ringhiera, in mutande, con una bottiglia di whisky in mano e in bocca una canna semi consumata. «Anch’io voglio fumare! amela!» disse Vanora alzandosi dal letto dirigendosi al balcone. Big non l'aveva sentita, allora appena giunta a destinazione, aprì l'anta e ripeté di nuovo la sua richiesta. Intanto Jack la osservava barcollare, notò che una parte della minigonna era rimasta alzata facendo intravedere il suo sodo culetto; si sarebbe aspettato un intimo aggressivo, invece si accorse che Vanora indossava un paio di mutande modello culottes di colore rosa, con stampati degli orsacchiotti bianchi sorridenti che stingevano tra le zampette dei cuoricini rossi. Lui trattenne a stento una sonora risata, lei se ne accorse e si girò verso di lui, abbassò lo sguardo e ne realizzò le cause. Tardivamente, con la mano si abbassò la gonna, ma non riuscì a mascherare il suo imbarazzo. Questa volta però era reale, poiché la situazione le era involontariamente sfuggita di mano! Vanora, sorridendo, puntò il dito indice verso Jack, poi lo appoggiò verticalmente sulle proprie labbra come a dirgli di non proferir parola con nessuno. Lui alzò le braccia come a rassicurarla, ma non riuscì a trattenere lo scoppio di una fragorosa risata, e tenendosi la pancia con entrambe le mani si accasciò sul letto. Big incuriosito, si voltò all'improvviso facendo roteare i suoi dreadlocks, vide Vanora sul ciglio della portafinestra e le chiese cosa fosse successo, lei minimizzò incolpando Jack di aver bevuto troppo.

La ragazza prese dalla mano di Big lo spinello e fece un paio di profonde tirate, quindi si voltò verso Jack per offrirglielo, ma lui lo rifiutò. Rincuorati, se lo finirono loro due con molta calma, mentre chiacchieravano andoselo a vicenda. Il fatto che lei indossasse quelle mutandine infantili, quasi tenere, provocò in Jack un maggiore senso di eccitazione; forse rispecchiavano un lato di Vanora ancora puro e sensibile e tutto ciò la rendeva ancor più intrigante. Se avesse indossato un tanga, lui lo avrebbe trovato fuori luogo,eccessivo, quasi volgare. Vanora era tutt'altro, e la scelta riguardante l’intimo, lo dimostrava chiaramente. Jack li osservava dal letto e a causa dell'ebrezza alcolica, per un attimo gli sembrarono due figure surreali; una specie di gigante istoriato di colori, e una bellissima ma diabolica diavolessa tentatrice. E lui invece…? Chi diavolo era lui…? Non riuscendo a trovare una risposta ai suoi annebbiati e futili turbamenti, decise di alzarsi e di dirigersi al frigorifero alla ricerca dell'ennesima birra. La stanchezza iniziava a farsi sentire in modo pesante, ma a lui non importava, stappò la bottiglia di Tennent’s e versò il contenuto nel suo bicchiere. Per un attimo quel liquido gli rinfrescò la gola e le idee. Capì che oramai non gliene fregava più di niente, avrebbe vissuto giorno per giorno nella maniera più intensa possibile, punto e basta! Si accese una sigaretta e notò che il DVD era terminato perché andava in loop, rimanendo sul menù iniziale in attesa di un input, ovviamente anche la musica di sottofondo continuava a ripetersi e tutto ciò iniziava a infastidirlo. Jack si alzò, andò al balcone col bicchiere in mano, aprì la portafinestra e disse ai due indicando lo schermo: «Ehi, adesso lo spengo! Mi tira scemo!» Big e Vanora si voltarono verso di lui annuendo, richiuse la portafinestra e andò a estrarlo, quindi smorzò anche il televisore. Si sdraiò ancora sul letto; finalmente c'era quasi silenzio, il sole stava nascendo e con esso iniziarono a

sentirsi i primi rumori della città che si stava risvegliando, si udivano dalla finestra aperta del bagno, ma non lo infastidivano, anzi gli fecero compagnia. Era un sottofondo piacevole per rilassarsi. Le sue palpebre iniziarono a cedere all'esigenza di una lunga dormita, ma lui decise di resistere continuando a bere e a fumare. Dal letto si rimise a osservare i suoi compagni mentre scherzavano al di fuori della stanza. Notò che tra Big e Vanora c'era un grande feeling, era un fatto innegabile. Era chiaro che avevano alle spalle un mucchio di esperienze condivise, e questo traspariva dai loro atteggiamenti. Come al solito Jack focalizzò la sua attenzione su Vanora; era evidente che si fidava di quell'energumeno, a tal punto da stuzzicarlo quasi sessualmente. Questo si evidenziò quando lei, in maniera maliziosa, prese la grossa mano di Big e se la portò al seno, pregandolo insistentemente di qualcosa. Jack sdraiato sul letto non capiva la situazione; tra l'alto la portafinestra era chiusa quindi non riusciva a sentire i loro dialoghi. Allora si chiese: «Ma che cazzo fa adesso ‘sta pazza?! Notò che Big faceva cenno di “no” con la testa, lei allora iniziò a strusciarsi in modo sensuale sul suo poderoso e tatuato corpo, per poi riformulare la medesima richiesta. Big ridacchiando e indietreggiando, ripeté col medesimo movimento il suo “no”, allora lei si abbassò all'altezza delle sue mutande e le afferrò con l'intento di calarle, come se fosse in procinto di fargli un servizietto orale. Jack non credeva ai suoi occhi! Per vedere meglio la scena, lentamente si tirò su fino a sedersi sul letto e tra se e se disse: «Questa è fuori di testa, ma che cazzo vuole fare! Già al parco mi ha fatto uno scherzetto del genere! Adesso basta! Mo’ sta esagerando, cazzo con Big proprio no! Se fa una cazzata del genere, giuro che le sparo!»

Si voltò guardandosi in giro alla ricerca della sua pistola, mentre la rabbia iniziava a crescere in lui. Per fortuna tutto si risolse in maniera goliardica; Big sollevò di peso Vanora afferrandola per le mani, fino ad alzarla sopra la sua testa, lei impaurita si avvinghiò a lui che divertito la prese in braccio, prima simulò il gesto di buttarla di sotto, poi iniziò a girare su se stesso nell'intento di provocarle un’ulteriore capogiro. Lei ridendo e impaurita, lo supplicò di smetterla; lui decise di assecondarla, quindi la mise a terra spingendola verso il vetro della portafinestra, lei si voltò verso Big sferrandogli un inutile e giocoso pugno sulla spalla come per punirlo. Aprirono la porta a vetri e ridacchiando rientrarono in casa. «Ma questa è fuori! Per una canna sta pazza farebbe di tutto!» Annunciò Big entrando nell'appartamento e rivolgendosi al suo collega. Lei replicò: «Ma dai, scherzavo lo sai benissimo! Poi lo so che sei felicemente fidanzato! Volevo solo giocare un po’ con te! Piuttosto me lo vuoi dire o no, dove cazzo hai messo il fumo?! Insomma che cacchio devo fare per avere questa informazione?!» Era chiaro che i due stavano divertendosi, provocandosi a vicenda. Jack accennò un mezzo sorriso, si rese conto che si era preoccupato inutilmente e di conseguenza si sentì un emerito pirla. Certo Vanora aveva ‘sto viziaccio di usare il sesso come arma per ottenere ciò che voleva dagli uomini e questo lo infastidiva molto, dopo tutto se ne era innamorato e lei pur sapendolo, non se ne curava affatto. Big le rispose: «Ok! Te lo dico, sennò mi stupri! Mentre voi facevate i piccioncini sul letto, il sottoscritto si è preoccupato di nascondere il panetto in un luogo sicuro e a prepararvi qualche canna della buona notte. Quindi mi aspetto almeno un grazie! Guarda Vanora, lo vedi il tavolo? Molto bene. Lo vedi il mio pacchetto di Camel? Aprilo e…sorpresa! Cosa ci sarà al suo interno?!» Lei, barcollante corse verso la scrivania e si precipitò sul pacchetto di sigarette,

lo aprì e dentro vi trovò tre spinelli perfettamente rollati, e il pezzo di hashish rimanente. «Sei mitico Big! Ti adoro! Grazie! Vedi Jack, guarda e impara, bisogna sempre pensare a far star bene i propri colleghi!» La frase di Vanora suonò stonata a Jack che pensò: «Proprio lei dice queste cose, ma con che coraggio?!» Lei che se ne fregava dei suoi sentimenti o che li assecondava solo in parte e in maniera ambigua. Lui però fece finta di niente, sorrise e lasciò correre. Dopo tutto era l'alba, ed erano tutti stanchi e affaticati, le loro menti oramai erano solo offuscate dall’ abuso di alcolici e droga.Forse era proprio per questo che lei aveva detto questa stupida frase? Se ne convinse e non replicò. Cambiò discorso: «Che ore sono Big? Lo sai che non porto mai l'orologio.» Big gli rispose: «Le sette meno dieci. Cazzo! Però è tardi! Allora belli, ci facciamo ‘sto ultimo giro di canne e poi tutti a nanna!» La risposta fu un’unanime: «Si!». Vanora stancamente replicò: «Ok, tutti sul mio letto per la buona notte.» Intendeva invitarli alla fumata collettiva finale di quell’interminabile giornata; tutti si misero dove indicato,accesero il loro reciproco spinello e, gustandosene ogni tiro, si abbioccarono in modo definitivo. Durante i discorsi più o meno sensati che uscirono dalle loro bocche, ci fu una proposta interessante di Vanora; cioè l'idea di una vacanza in montagna. Dei dettagli però, ne avrebbero parlato in seguito. L'indomani sarebbero continuati i festeggiamenti e con calma avrebbero pianificato tutto. Dal silenzioso oblio della droga, una voce improvvisa li fece sobbalzare.

«Vi lascio il letto, io vado in quello dell'armadio.» Big annunciò così la sua decisione e alzandosi barcollante da quello di Vanora, si diresse a quello estraibile. Giunto alla meta, tirò con forza un'apposita leva verso di se, ne uscì un letto precedentemente preparato che accompagnò fino a terra. Prima di sdraiarsi, andò nella zona cucina a recuperare una bottiglia di whisky mezza piena, si fermò e farfugliò frasi sconnesse: «Questa è per la notte. Metti che mi vien sete! La notte è lunga. Mi farà compagnia nel viaggio con Morfeo.» Ritornò al suo letto, bevendone un abbondante sorso e con essa finalmente si adagiò, nel giro di pochi minuti iniziò a russare. Era strafatto. Jack osservò la scena inebetito, poi si voltò a sinistra, e guardò Vanora che nel frattempo si era addormentata avvinghiata al suo braccio. Lui avrebbe voluto parlarle, coccolarla, fare qualsiasi cosa; ma lei aveva scelto di addormentarsi così, attaccata a lui come se fosse il suo orsacchiotto, da stringere fortemente a se come garanzia di una notte serena. Lui era comunque felice, tutti i suoi dubbi, tutte le sue paure si dissolsero quando si soffermò a osservarla mentre dormiva. Sembrava una bambina bisognosa solo di amore, quel viso dolce lo stregava e più la osservava più aveva le idee chiare; avrebbe vigilato su di lei tutta la notte, anzi tutte le notti future, tutte le notti che la vita gli avrebbe regalato, tutte le notti che la vita gli avrebbe fatto are al suo fianco. Lei dormiva tranquilla, lui invece era ancora sveglio. Nonostante avesse un grande bisogno di dormire, decise di volersi gustare lo spettacolo di Milano alle prime ore del giorno. Decise di alzarsi e andare alla porta finestra per godersi la vista del sole nascente, e con esso osservare la città che si stava ridestando. Con estrema attenzione e dolcezza, si sciolse dall’abbraccio che lo univa alla sua amata, assicurandosi di non svegliarla. Mentre si dirigeva al balcone, udì i rumori dei tram che iniziavano il loro giro; il

loro turno lavorativo era cominciato, lui invece poteva riposarsi quanto voleva. Uscì sul terrazzo e si gustò il panorama; il cielo era sereno, solo qualche nuvola solitaria raccoglieva il rossore circostante dell'alba. L'aria era fresca, nonostante fosse a torso nudo, non aveva particolarmente freddo, certo alcuni brividi di adattamento termico lo scossero appena uscito, però si abituò subito alla diversa temperatura. Fece due profonde inspirazioni col naso e rimase frastornato nel notare che l'aria era pulita, profumava vagamente di campi concimati e la cosa lo stranì. Era come se le montagne che si vedevano in lontananza emanassero i loro profumi con una potenza tale da raggiungere perfino Milano, e forse era proprio così. Sotto di lui la città era semi deserta, solo pochi rumori isolati e ben distinti, di sicuro regnava un'atmosfera diversa dall'ora di punta in cui tutto si amalgama in un ronzio costante e confuso. Tutto sembrava rallentato, quasi irreale, differente dalla normale frenesia quotidiana. Aveva fatto bene a uscire sul balcone, di certo lo spettacolo meritava, per lui era quasi una novità poiché era abituato a svegliarsi in genere dopo le undici del mattino. Si appoggiò alla ringhiera e guardò le persone normali intente ad affrettarsi per raggiungere i loro miseri posti di lavoro. Osservandoli pensò: «Se va tutto bene, in poco tempo riuscirò a farmi un bel gruzzoletto. Manderò al diavolo quel merdoso lavoro al call center e me ne andrò via. Ovviamente con Vanora al mio fianco! Assieme ci rifaremo una nuova vita, magari in un'altra città! Non è che non mi piaccia Milano, anzi tutt'altro! E' che sicuramente dovremo cambiare aria per un po’, lasciare che si calmino le acque e al momento giusto potremmo anche decidere di ritornarci. Probabilmente staremmo via per qualche anno, però non sarà un problema, anzi il ritorno sarà ancora più bello!» Come gesto di libertà verso i vincoli della vita, scelse di assecondare la sua

voglia di bere ancora. Ci voleva un bel brindisi! Rientrò quindi in casa e chiuse dietro di se la porta a vetri, il silenzio della stanza era disturbato solo dal rumoroso russare imperturbabile di Big. Jack si diresse nella zona cucina facendo attenzione a non disturbare il sonno dei suoi colleghi e una volta giunto, si sedette davanti al tavolo situato vicino al frigorifero. Lo aprì e ne estrasse l'ennesima birra, la versò nel solito bicchiere e la sorseggiò gustandosela con tutta calma. Un brivido gli attraversò la schiena e pensò: «Ci voleva proprio!Brindo alla libertà! Che si fottano gli schiavi del lavoro, io presto sarò libero!» Si accese una sigaretta e si mise a scrutare Vanora che era addormentata sul letto, come al solito si perse nell'osservarla. Notò che la luce del mattino la infastidiva, ma prima di abbassare le tapparelle, decise che voleva guardarla ancora per un po’. Era troppo bella! Pensò: «Ma guarda te ‘sta ragazzina che cazzo mi ha fatto! Mannaggia a lei! Mi ha stregato; non so come, ma ci è riuscita in pieno! Ed io ci sono cascato come un fesso. Ormai è troppo tardi, lei è diventata la mia droga ed io non ho la benché minima intenzione di disintossicarmi!» Fece ancora un paio di boccate finendo la sigaretta e la spense nel portacenere, si alzò e si diresse da lei, si sedette affianco e le accarezzò dolcemente la testa. Le sciolse i codini, facendo attenzione a non causarle dolore;fortunatamente i capelli erano fermati solo da dei morbidi laccetti in spugna quindi l'azione fu del tutto indolore. Da alcune sue espressioni involontarie, aveva capito che le creavano un certo fastidio durante il sonno, infatti, appena slegati, lei gli sussurrò un dolce ringraziamento.

Jack continuò ad accarezzarla, Vanora come risposta iniziale gli abbracciò una gamba, poi lo invitò a sdraiarsi al suo fianco. Ovviamente lui assecondò la sua richiesta, dopotutto non aspettava altro; gli infilò un braccio sotto la testa e la strinse a se, lei si fece prendere senza opporre alcuna resistenza e si avvinghiò nuovamente a lui. Ora i loro visi erano vicinissimi; Jack iniziò a baciarle teneramente la fronte, di risposta lei gli baciò con dolcezza la base del collo fino a scendere sul suo petto. Una serie di brividi di piacere lo pervase, sentiva le sue calde labbra baciargli e mordicchiargli il torace fino a provocargli una nuova vigorosa erezione. Vanora accorgendosene si fermò, ma lui la prese di forza e la riportò a se. Le loro bocche ora si sfioravano e rimasero immobili per alcuni istanti, intanto lei si era messa sopra di lui e poteva dominarlo e dirigere il gioco a suo piacimento. Jack, dolcemente iniziò a leccare le sue calde e umide labbra, con l'intento di arrivare alla sua lingua. Nonostante indossasse i calzoni, Jack riusciva comunque a sentire il calore della sua vagina appoggiata al suo membro eretto; ogni suo piccolo movimento riusciva a provocare in lui delle ondate di piacere intenso e crescente. Per aumentarle, Jack afferrò il sedere di Vanora con le mani riuscendo così ad amplificare e dirigere in prima persona ancor meglio la stimolazione. Lei all’inizio si fece prendere dal piacere, assecondandolo nei movimenti. L'eccitazione reciproca aumentava, fino a provocare in lei crescenti gemiti di piacere, ma di nuovo decise si fermarsi. Si allontanò solo dalla sua bocca, rimanendo comunque cavalcioni sopra di lui. Jack però non capiva la situazione, e la guardò con aria interrogativa. Lei accennò con dei lievi movimenti della testa un “no”, mentre una lacrima solitaria iniziò a percorrergli un lato del viso.

«Ehi?! Che succede?» chiese Jack stupito dalla sua commozione, ma lei non rispose, limitandosi a spostarsi da sopra di lui. «No, perché te ne vai?!» insistette nuovamente, lui voleva solo capire o avere qualche spiegazione, ma lei non gliene diede alcuna. Jack la seguì con lo sguardo mentre lei silenziosa scendeva dal letto per recarsi al tavolo con sopra la birra avanzata; una volta giunta alla sedia adiacente, vi si accomodò. Bevve alcune sorsate direttamente dalla bottiglia, con una mano scostò i capelli che le coprivano il viso e si accese una sigaretta. Niente da fare, lei non parlava. Jack, vista la difficile situazione che si era creata, giocò d'anticipo minimizzando l'imbarazzo che si era generato, quindi sorridendo, le disse: «Scusa, non volevo forzare le cose, siamo tutti troppo ubriachi». Lei ricambiando il sorriso rispose annuendo, poi con un gesto della mano lo invitò a raggiungerla. Lui obbedì. Una volta arrivato di fronte a lei, Vanora lo abbracciò con forza e poiché era seduta, e trovandosi all'altezza del suo petto nudo, ne approfittò per dargli tre baci sulla pancia. Poi si alzò, gli prese la mano e gli disse: «Dai, è tardi, sono strafatta e ho una gran voglia di dormire. Ok? Dai vieni con me a fare un po’ di nanna. Abbassa le tapparelle e raggiungimi a letto, ti aspetto!» Jack capì che era meglio lasciar correre, era fuori luogo pretendere altre spiegazioni, quindi scelse di assecondarla. Tra se e se ipotizzò che la causa di tutta questa cautela, potesse essere la loro scelta di vita, con tutte le implicazioni derivanti. La loro realtà, di sicuro era molto particolare, di certo fuori dagli schemi rispetto alle persone comuni. Intuiva che certi coinvolgimenti erano piuttosto pericolosi, quindi si rese conto che l'attuale situazione non richiedeva troppi, inutili chiarimenti.

Lei si sdraiò a letto attendendolo, lui creò il semi buio e le si mise accanto. Erano nella semi oscurità, uno affianco all'altra, nuovamente si abbracciarono, questa volta si scambiarono solo delle tenere coccole e innocenti effusioni, fino ad addormentarsi nel giro di pochi minuti. Tutti si risvegliarono a fatica, verso le quattro di pomeriggio della domenica. Un intenso odore di spinello fece da sveglia a Jack, l'aroma riempiva ormai tutto il loft. Si stropicciò gli occhi e si guardò attorno; alla sua sinistra notò che Vanora non c'era e istintivamente iniziò a cercarla con lo sguardo, non trovandola si voltò a destra verso la zona cucina, dove la vide seduta accanto a Big. I due erano intenti a arsi una canna; le profonde boccate producevano un intenso fumo grigiastro che si propagava ovunque. Notarono che il loro collega si era svegliato e con ironia lo stuzzicarono proponendogli di unirsi a loro, ma lui, con un gesto eloquente della mano, fece loro capire che non gli andava affatto. Big allora insistette: «Dai bello, fatti un tiro! Facci compagnia! Guarda che non c'è niente di meglio di una canna per iniziare la giornata con un sorriso. Ascolta uno che di ’ste cose se ne intende. Ormai sono ANNI!», Vanora dopo questa battuta scoppiò a ridere e replico: «Che cosa sono?! ANNI!» Quella battuta gli fece ritornare alla mente un vecchio film di Salvatores. Agli occhi di Jack sembrò ovvio che i due erano già strafatti. Lui invece aveva un leggero malessere, quindi lo fece presente. Lei sfottendolo amichevolmente disse: «Niente da fare, il ragazzo non ha il fisico.» Poi lo chiamò a se. Jack li raggiunse; salutò Big con una stretta di mano e una pacca sulla spalla, invece Vanora con un bacio sulla fronte. Si diresse al frigorifero, lo aprì alla ricerca di qualcosa da mangiare, vide dei salumi sfusi e con sarcasmo disse: «Vanora posso? Non è che per caso hai del

pane?», lei gli prese la mano e gli indicò un armadietto sopra il lavello d'alluminio. Dentro vi trovò del pane per toast, lo prese annunciando: «I tramezzini sono la mia specialità!». Big lo interruppe: «Bella idea! Preparane un paio anche per noi». Jack in dialetto milanese replicò: «Ghè pensi mi!» e si mise all'opera; in circa dieci minuti ne preparò in abbondanza, appena terminato il suo compito tutti si avventarono su di essi mangiandoseli voracemente. Notando che erano piaciuti, Jack aggiunse: «Visto! Che vi avevo detto?! Buoni vero? Cazzo, ogni tanto bisogna anche mangiare!» I due lodarono la sua bravura e gli arono una birra fresca. All'istante Vanora prese la parola e annunciò: «Un brindisi a noi! Volevo ringraziarvi per la professionalità che avete dimostrato nella missione, quindi vi annuncio ufficialmente che ho una sorpresa per voi! Ho organizzato una breve vacanza in montagna, ho già prenotato tutto io, dovete solo venire con me e raggiungere la nostra destinazione! Ovviamente essendo un regalo, offro io!» Ne conseguì un'esplosione di felicità collettiva, Big la prese in braccio facendola volteggiare come un fuscello al vento, mentre lei divertita lo colpiva sul petto cercando di divincolarsi dalla presa, finché ottenne di essere rimessa a terra. Jack rimase dapprima attonito, poi si lasciò prendere dall'entusiasmo e iniziò a gridare la sua gioia e ad abbracciare i suoi compagni. La domenica proseguì serenamente; ordinarono delle pizze e alcune birre, e decisero di finire la giornata con una maratona di film che trattavano storie di malavita. Ne scelsero tre, i più significativi tra quelli più moderni: Stato di grazia di Phil Joanou, C'era una volta in America di Sergio Leone e Domino di Tony Scott. Quest'ultimo per Vanora era un film fondamentale, poiché raccontava la storia vera di una bella ragazza, un’ex modella, che decise di abbandonare le erelle per diventare una cacciatrice di taglie unendosi a un gruppo di professionisti in questo settore.

Per Vanora questo film era un cult, una sorta di fonte d’ispirazione perché comunicava che ogni donna, anche la più bella, ha la possibilità di vivere la propria vita in maniera diversa, svincolandosi da ogni sorta di limite e preconcetto. Lei si apionò nello spiegare ai suoi colleghi come questa pellicola le avesse fornito coraggio e una nuova visione della realtà. Mentre lo illustrava, i suoi profondi occhioni blu si illuminarono ulteriormente di una carica vitale e di un entusiasmo profondo. Era come se fosse rinvigorita da una strana e misteriosa forza, che le donava nuova luce ed energia. Jack vedendola così, capì che quando una cosa apiona davvero, questo entusiasmo diventa palese agli occhi di chi osserva. I tre si misero sul letto davanti al maxi schermo e se li guardarono tutti. Durante la visione, Jack non perdeva occasione per abbracciarla o prenderle la mano. Vanora lo assecondava, mantenendo però un certo distacco. Lui se ne accorgeva, ma stranamente quando si ritraeva, lei lo richiamava a se. Questo strano tira e molla tra i due, per Jack rimaneva un atteggiamento poco chiaro, e per ora doveva rimanere tale. Soprassedendo, invece si chiese come Big potesse non accusare alcun malessere giacché aveva bevuto e fumato il doppio di lui. Forse la sua stazza lo tutelava di più e questo dato di fatto gli bastò come possibile spiegazione. E Vanora? Lei come faceva a reggere tutto questo continuo abuso di alcol e droghe? Di certo neanche lei aveva la sua corporatura, eppure sembrava che non patisse alcuna conseguenza. «Semplice. Sarà abituata, tutto qui. Ci si abitua a tutto nella vita, tra l'altro anch’io ho retto piuttosto bene!» Rimuginò tra se e se. Intanto Big, come suo

solito, si occupava di rollare canne in continuazione mentre la birra scorreva a fiumi. Tutti e tre erano contenti, dopotutto superati tre giorni di lavoro, iniziavano le vacanze di Pasqua, e con esse sarebbe cominciata la loro breve vacanza in Val Seriana. La maratona cinematografica terminò, erano circa le due di notte, i tre completamente distrutti decisero di tornare alle loro reciproche abitazioni. I mezzi pubblici oramai non avano più quindi dovettero tornare a casa in taxi, ne chiamarono solo uno, che in meno di un quarto d'ora giunse da loro. Con tutti i soldi che avevano, se ne avrebbero potuto permettere uno a testa, ma perché dare inutilmente nell'occhio! Jack nel frattempo raccolse tutte le sue cose tra cui; armi, amontagna nero e soldi, mettendo tutto nel suo zaino scuro. Big fece altrettanto. Ora era il momento dei saluti, poco dopo i tre udirono squillare il citofono che annunciava l'arrivo del taxi. Veloci ringraziamenti reciproci, chio quell'interminabile fine settimana, poi Big abbracciò Vanora che malamente si reggeva in piedi. Jack capì che era distrutta, anche lui l’abbracciò sincerandosi che stesse bene, lei sorridendo e con poche frasi lo rincuorò. Big chiamò l'ascensore, Jack guardò Vanora che in modo lento e incerto, accostava la porta di casa sparendo dietro ad essa. Prima di chiuderla completamente, per alcuni istanti rimasero a fissarsi; lei gli sorrideva osteggiando un'appannata malizia, lui trattenne la smania di saltarle addosso! Non era una pulsione sessuale, magari l'avrebbe solo accompagnata a letto, oppure l'avrebbe aiutata a sistemare la casa. Qualunque cosa sarebbe andata bene a Jack, l'importante era stare ancora con lei.

La porta di Vanora si chiuse, mentre si aprì quella dell'ascensore. I due scesero in strada e salirono sul taxi, decisero che la prima tappa sarebbe stata la casa di Jack perché più comoda rispetto al loro tragitto. Una volta arrivati alla prima meta, Jack pagò la sua parte e i due si salutarono calorosamente. Il taxi ripartì, Jack arrivò al suo appartamento che si trovava al piano terra, e una volta entrato crollò sul letto. L'orologio appoggiato alla mensola indicava le tre meno venti, si ricordò che l'indomani pomeriggio alle quattordici doveva essere al lavoro. Si sarebbe quindi alzato intorno alle dodici, avrebbe mangiato qualcosa e con calma sarebbe uscito da casa intorno alle tredici, per non arrivare in ritardo. Il tempo per riprendersi per fortuna non mancava e questo lo rincuorò, dopotutto avrebbe dovuto affrontare quasi otto ore di noioso lavoro. Il solo pensiero lo stomacava, ma per ora era meglio non pensarci. Andò in bagno a rinfrescarsi e a lavarsi i denti, mise il suo zaino ancora chiuso in un armadio e si tolse i vestiti neri buttandoli malamente su una sedia. In pochi minuti era sotto le coperte, nonostante avesse abbassato le tapparelle, la flebile luce esterna, riusciva a filtrare da alcuni piccoli spazi provocati dall'usura. Era troppo stanco per provare alcun fastidio, ma appena chiudeva gli occhi, un senso di vertigine lo cullava. Sembrava che la stanza girasse intorno a lui, quando si soffermava a osservare la sua sveglia luminosa, questa pareva che si muovesse a piccoli scatti veloci per poi tornare al punto di partenza, con l’effetto di un breve ma continuo movimento. Lui sapeva che l'alcol faceva questi strani scherzi, ormai ne era abituato. Provò a riflettere sulla serata ata e sull'approccio erotico con Vanora, ma la sua mente era troppo offuscata. Gli rimasero in mente soltanto le pulsioni sessuali provate per lei, e di conseguenza, gli nacque l'esigenza di dar loro uno sfogo.

Si tolse i boxer e si procurò alcuni fazzoletti di carta, quindi ispirato ed eccitato da quei ricordi carnali ed ossessivi, senza indugio si masturbò. Vanora, intanto, provò a risistemare casa, ma era troppo stanca e sballata, quindi lasciò stare; decise che se ne sarebbe occupata l'indomani, con calma. Andò solo a prepararsi un bagno caldo, si spogliò e s’infilò nella vasca. Cullata dal calore dell'acqua e dall'ebrezza della droga, iniziò a lavarsi il corpo con una spugna; al momento il silenzio la circondava, l'unico lieve rumore che percepiva era quello della schiuma che gli scoppiettava attorno. Anche Vanora si mise a pensare agli approcci sessuali che aveva vissuto con Jack, e lentamente un senso di eccitazione crescente iniziò a pervaderla. Quasi senza volerlo la sua mano, iniziò ad accarezzare i capezzoli induriti del suo seno, poi non riuscendo più a trattenere la voglia, la fece scivolare tra le sue gambe. Ora, il bisogno di un orgasmo era assoluto. Dolcemente, con calma, se lo procurò.

QUINTO CAPITOLO La meritata vacanza

- L'attesa-

Nel tardo mattino del giorno seguente, Jack si svegliò e decise di mettere un po’ d'ordine in casa sua. Aveva un paio d'ore a disposizione prima di uscire per andare al lavoro, e volle sfruttarle anticipando il pranzo. Prima di tutto doveva mangiare qualcosa; decise che una bistecca alla piastra, un'insalata, un budino e un frutto potevano bastare. Dopo cena si prese un anti acido per tamponare gli effetti dagli eccessi alcolici e dell’hashish della sera prima. Un po’ di musica ci voleva, preferì qualcosa di rilassante e scelse Unplugged in New York dei Nirvana; il CD incominciò e fece da sottofondo alle sue faccende domestiche. Il suo appartamento era un semplice monolocale soppalcato di una quarantina di metri quadri, quindi non ci volle molto tempo per risistemarlo. Una volta rifatto il letto, sparecchiato il tavolo dell'angolo cucina e messi i vestiti nel guardaroba, era ata appena una trentina di minuti. «Cazzo i soldi! Mi stavo dimenticando! Li ho lasciati nello zaino nell'armadio assieme alle armi!» Pensò Jack una volta terminato il tutto. Allora decise di custodirli, come al solito, dopo le missioni, in una cassaforte nascosta dietro ad una cassapanca di legno che serviva a contenere le federe e le lenzuola pulite.

Una volta messo al sicuro il malloppo, lo ricoprì con esse. Dopotutto non era il caso di metterli in banca, erano soldi sporchi, li avrebbe tenuti lì accumulandoli senza fretta, spendendoli pian piano senza dare nell'occhio, mantenendo il suo solito tenore di vita. Dallo zaino tolse momentaneamente le armi per ripulirle, notando che il manganello telescopico era sporco di sangue rappreso, decise di smacchiarlo. Spruzzò dell'alcol etilico su pezzi di carta igienica e iniziò a disinfettarlo in ogni sua parte. Tanto che c'era, una volta asciutto, ne lubrificò le porzioni costituenti. Ora era di nuovo perfetto e pronto all'uso. Poi toccò alla pistola e all’annesso silenziatore, la scompose, la ripulì con molta attenzione, riempì il caricatore di proiettili e alla fine rimontò il revolver. Rimise le armi nello zaino che poi ripose nell'armadio. Si sdraiò sul letto, oramai la musica era terminata, si diede una stiracchiata e sbuffando maledisse quel posto al call center! Prima della vacanza mancavano ancora tre giorni di lavoro, e ora doveva proprio andarci. Vi giunse. La noia in quell’ambiente era assoluta; i minuti sembravano ore, intervistati maleducati che al telefono sfogavano le loro repressioni nate da vite squallide e infelici, prendendosela vigliaccamente con dei poveri operatori che per pochi euro dovevano e potevano solo subire impotenti le loro prepotenze. «Rabbia repressa da un’imposta professionalità…» pensò Jack;solo questo dovevano e potevano fare gli operatori telefonici come lui. «Che schifo!» Fu il commento conclusivo del suo ragionamento. Doveva distrarsi un po’, quindi si prese una pausa. Com’era suo solito, incominciò a osservare Vanora; stavolta la guardava mentre

mangiava un panino. La collega se lo stava proprio gustando e quando lo finì, si accorse che delle briciole erano cadute sul suo décolleté. Con la mano destra, iniziò a toglierle con decisi movimenti, e di conseguenza il suo sodo seno, sollecitato dai colpetti, iniziò a sobbalzare leggermente. D’istinto Vanora si guardò attorno con un'aria quasi imbarazzata e notò che Jack, poco distante, la stava osservando. La ragazza gli sorrise. A Jack fece tenerezza e la ricambiò allo stesso modo. Il fascino della giovane traspariva da molteplici espressioni del suo viso, perfino da quelle scaturite dalla noia provata sul lavoro, sfociando in un broncio simile a quello di una ragazzina imbrigliata in una situazione spiacevole. Agli occhi di Jack, lei era così: il giusto equilibrio tra innocenza verginale e sensualità dirompente. Molto lentamente la prima delle tre giornate di lavoro, antecedente la loro partenza, finì. Prima di mezzanotte giunse alla sua abitazione, durante il tragitto di ritorno trovò un giornale abbandonato su di un sedile della metropolitana. Si ripromise che, una volta arrivato a casa, l'avrebbe letto, infatti, dopo una veloce cena, si stappò una birra e iniziò a sfogliarlo. Andò subito a verificare ciò che maggiormente gli interessava, in altre parole la pagina della cronaca nera locale. Sobbalzò dalla sedia quando vide un articolo che trattava proprio delle indagini partite dai loro omicidi. Titolava: Tre spacciatori scomparsi nel nulla. Jack, incuriosito, iniziò a leggerlo con molta attenzione per cercare di comprendere meglio la situazione e possibilmente trovare un conforto ai suoi timori di eventuali indizi a loro carico.

Terminato l’articolo, si sentì sollevato. Jack era euforico e ragionò: «Non hanno in mano nulla! La madama brancola nel buio! Vanora sei un genio, cazzo! Tutto perfetto, secondo i tuoi piani; questi non sanno più che cacchio fare!» Effettivamente l'articolo spiegava che era giunta alla Polizia una richiesta d’indagine voluta dalle mogli e dai parenti di alcuni spacciatori della zona, che ne denunciavano l'improvvisa e inspiegabile scomparsa. Per ora le Forze dell'Ordine erano in seria difficoltà in quanto, di fatto, non avevano trovato alcun indizio. Neanche le telecamere fisse del parco Trenno avevano rilevato alcuna situazione anomala; avevano registrato i movimenti degli scomparsi, ma non avevano svelato alcuna traccia utile alla soluzione del caso. Jack rifletté anche sulla giusta scelta di Vanora, il momentaneo stop alla loro attività, utile per calmare le acque. Il giorno dopo, sul lavoro, i tre parlarono proprio di quell'articolo durante una pausa; Big era entusiasta e con molta fatica trattenne la propria euforia. Vanora cercava di frenare la sua foga, ma trasparivano la sua gioia e il compiacimento della propria abilità nel pianificare le missioni, Jack era soltanto felice di aver dato ai suoi colleghi una buona notizia. Finalmente anche questa giornata lavorativa terminò, i tre si salutarono e ognuno si diresse alla propria abitazione, oramai mancavano solo ventiquattro ore alla partenza e bisognava prepararsi. Giunto a casa, Jack ripensò a un particolare dialogo avuto con un suo collega durante il turno serale. Questo strano personaggio, parlava e si atteggiava da vero esperto di armi di ogni tipo; automatiche e semi automatiche, utilizzando anche nomi specifici di alcune di loro tipo: M16, M60 e molti altri. In effetti, era molto informato, ma traspariva in modo lampante che la sua conoscenza era frutto solo di letture di libri o semplici manuali di settore.

Jack si rese conto che alcuni dei nomi delle armi che aveva udito, non li aveva mai sentiti prima d'oggi, ma a differenza dell' esperto collega, lui ammazzava davvero. Si mise anche a riflettere sulla stranezza della vita, comparando le due reciproche situazioni affettive. Da un lato la sua; ovvero quella di un uomo che per amore di una donna era disposto a compiere ogni sorta di crimine arrivando perfino a uccidere. Dal lato opposto, questo povero sfigato che faceva il brillante atteggiandosi ad apionato d'armi, ma che in realtà non ne aveva mai usata una, se non al servizio militare sparando solo a sagome di cartone. Tra l'altro, agli occhi dei colleghi, continuava a vantarsi della decisione drastica presa nei confronti della sua ex fidanzata, che aveva ultimamente lasciato perché, a suo dire, troppo assillante per i suoi gusti. Jack quella ragazza l'aveva già notata al call center. Era molto carina, però aveva un carattere piuttosto fragile, era sempre in cerca di conferme, risultando agli occhi dei colleghi piuttosto ossessiva. Lui si chiese: «Magari Vanora mi assillasse così! Sarei l'uomo più felice al mondo! Ma come cazzo ragiona sto rincoglionito?! E' proprio vero il proverbio che dice: chi ha i denti non ha il pane e chi ha il pane non ha i denti!» In seguito si mise a ragionare anche sul rapporto che aveva con Vanora; si rese conto che anche lui aveva bisogno di certezze, ma a oggi, purtroppo, ne aveva ben poche. Oltre ai cospicui guadagni derivati dalle loro efferate uccisioni, a lui interessava soprattutto coronare il suo sogno d'amore. Sempre più si rese conto che lei invece era troppo razionale, a differenza di lui che tendeva all'idealizzazione. Dopo tutto era sempre stato un sognatore e nonostante fe azioni reali, tutte queste erano finalizzate ad un suo personale progetto di coppia. Ma, quando si sarebbe realizzato concretamente?!

Si addormentò con questo dilemma. Era circa l’una di notte. L'indomani, durante il loro turno lavorativo, i tre si misero d’accordo sull'orario della partenza, che concordarono per le dieci del mattino successivo. La loro meta non era poi così lontana e in circa un’ora e mezza, l'avrebbero raggiunta comodamente.

- L'inizio del viaggio-

Big era in ritardo, ormai erano le dieci e quaranta, il giorno prima, però gli aveva assicurato che sarebbe ato a prenderlo alle dieci e un quarto. Jack si chiese cosa potesse essere successo, di solito era sempre stato puntuale, non ebbe modo di finire il ragionamento che improvvisamente il suono di un clacson fece terminare l'attesa. Andò alla finestra, spostò la tenda e vide Big appoggiato al suo grosso SUV, che con un cenno della mano lo invitava a raggiungerlo. Da dietro il vetro, alzando contemporaneamente l'indice e il medio della sua mano destra, Jack gli fece capire che in due minuti sarebbe uscito da casa. Raccolse il suo zaino, s’infilò le scarpe da trekking e dopo aver chiuso la porta dell’abitazione, subito raggiunse i suoi compagni. Big lo accolse con un abbraccio e un grande sorriso, poi aprendo la portiera anteriore a lato del guidatore, disse: «Ti presento Erika, la mia ragazza». Lei uscì dall'auto e diede la mano a Jack e sorridendo, gli disse: «Molto piacere! Finalmente ti conosco. Big mi ha parlato tanto di te. Ma guarda che bel ragazzo! Ora capisco perché non me l'avevi ancora presentato!» Big spingendola in malo modo in macchina, ironicamente replicò: «Non farci caso amico, la ragazza ama scherzare, ma io so come tenerla a bada! Dai sali anche tu, che c'è una persona che ti aspetta in auto!»

Jack si voltò e scorse Vanora che da dietro il finestrino posteriore del SUV, con la mano destra lo salutava, il suo sorriso era radioso. Lui aprì la portiera, lei indietreggiò sul fondo dei sedili creando spazio per farlo accomodare affianco, poi allargò le braccia in un gesto eloquente. Subito Jack entrò nell'auto e si affrettò ad abbracciarla, la strinse a se per una decina di secondi cullandola con dolcezza. Sentiva in modo chiaro il calore del suo corpo, ancora una volta captava i suoi seni che morbidamente si adattavano a quella situazione, poi ritornò alla realtà. Con calma si distanziò da lei ed emozionato disse: «Ciao bella, come stai?» Lei sorrise e picchiettando sul sedile con la mano sinistra rispose: «Bene Jack. Siediti vicino a me che ora partiamo. » Big si mise alla guida del suo potente SUV e sgommando partì, Erika rilevò il suo pensiero: «Sei proprio un tamarro di periferia!»Lui per azzittirla, giocosamente la prese per i capelli e la spostò affinché la sua testa finisse fra le sue possenti gambe. «Ti metto io, un tappo a quella boccaccia! Piuttosto renditi utile e rolla qualche canna per la compagnia. » Ordinò Big, mentre la riportava alla sua posizione iniziale. Era il loro modo di scherzare, sicuramente eccessivo, grezzo e un po’ volgare. Ma sia Jack che Vanora, si divertivano molto a osservarli nelle loro giocose provocazioni. Come sottofondo musicale scelsero l'album Horrary for boobies dei Bloodhound Gang, perché si adattava perfettamente al clima goliardico del momento. Intanto un forte odore di spinelli accesi e una nube grigiastra saturarono l'abitacolo; l'aria si fece irrespirabile, finché decisero che era necessario abbassare i finestrini per rendere più salubre l'ambiente interno. Delle eccessive risate accompagnarono l'uscita di una grossa nuvola di fumo dall'auto.

All’inizio l'euforia era al massimo, ma scemò assecondata dal calo dell'effetto della droga. Infine un po’ di calma; Jack d’istinto girò lentamente la testa verso destra e vide Vanora. La sua dolce ossessione era bellissima come sempre. La osservava scherzare con i suoi compagni; di sicuro era una ragazza estroversa, molto simpatica, che sapeva come stare in compagnia e farsi volere bene. Notò che i suoi capelli erano raccolti in una coda e alcuni ciuffi, volutamente sciolti, rimanevano a lato del suo bel viso. Vanora indossava una magliettina di cotone piuttosto corta e aderente, che svelava le sue belle forme. Non indossava il reggiseno. Come tenera e ulteriore provocazione, il suo ombelico era reso ben visibile. Aveva scelto di indossare dei calzoni larghi, felpati a vita bassa e scarponcini da Trekking. Dopo circa quaranta minuti di viaggio iniziarono a vedersi le prime montagne, poco dopo un intenso odore di letame saturò l'aria entrando dai finestrini abbassati, segnalando loro la vicinanza di campi coltivati e pascoli di bovini. Rispetto a quello urbano, il paesaggio cambiò radicalmente: distese di prati, alberi in fiore, qualche vecchia cascina diroccata adibita a deposito per la legna, attentamente accatastata all’interno, il tutto circondato da imponenti montagne e ripide valli. Poiché era primavera, i colori della natura erano ancor più accentuati, ugualmente gli odori. L'aria era fresca e pura, molto diversa da quella di Milano, e per tutto il gruppo, questa differenza fu subito lampante.

Forse, questo viaggio era una sorta di depurazione, una fuga dalla cinicità della metropoli e dalle azioni aberranti compiute da tutti loro negli ultimi tempi. Erano ati un'ora e un quarto dalla partenza, e dopo una serie di tornanti, arrivarono alla prima tappa della giornata; ora si trovavano a mille e cinquecento metri di altezza. Parcheggiarono il SUV, scaricarono gli zaini e iniziarono a camminare seguendo un percorso che li avrebbe portati, in circa mezz'ora di tempo, ancora più ad alta quota, dove era ubicata la baita in cui avrebbero ato la notte. Il tragitto, in alcuni tratti era sterrato e ripido, tutt'altro che una piacevole eggiata. L'affanno si fece crescente e le pause per riprendere fiato sempre più necessarie. Sotto di loro, in lontananza, riuscirono ancora a scorgere il parcheggio e a malapena la sagoma della loro auto. Quella sosta durò pochi minuti e una volta che ripresero fiato, continuarono lentamente la risalita.

-L'arrivo in baita-

Erano giunti a uno spiazzo, davanti a loro, a una cinquantina di metri di distanza scorsero la loro baita. Dopo mezz'ora di dura marcia, decisero di fermarsi e stremati, si sdraiarono sull'erba. Oramai erano in pratica arrivati; Big era affannato, Vanora soffriva di mal di piedi quindi decise di togliersi le scarpe rimanendo scalza sull'erba fresca. Jack stava bene e non aveva particolari problemi, si rese conto che nonostante fe una vita poco sana, era ancora piuttosto in forma.

Da sdraiato guardò il cielo, un immenso e sterminato azzurro lo sovrastava, solo pochissime velature di nuvole bianchissime si muovevano a rilento. Per un attimo questa sensazione gli tolse il fiato. Poi si sedette e vide tutt'intorno a se un alternarsi di vallate e di montagne. Dietro quelle più lontane, notò nascere nubi molto più grigie e minacciose, ma non vi dette importanza. Un panorama simile non lo vedeva da anni, era stupendo. Il crescente rumore di un gregge di pecore in avvicinamento interruppe il silenzio, e in pochi minuti ne furono circondati. Nel frattempo un cucciolo di cane pastore, in modo goffo correva giocoso per la valle, imitando il lavoro dei suoi simili adulti intenti a tenerle a bada. Vanora vedendo questa tenera scena, ancora scalza, lo raggiunse; lo prese in braccio e iniziò a coccolarlo, allora il proprietario del bestiame andò da lei. Con un forte accento bergamasco iniziò a parlarle. Chiese da dove venisse, e ottenuta la risposta, iniziò a confrontarsi con la ragazza, analizzando le varie differenze di abitudini rispetto a Milano: la frenesia da un lato, la calma, i ritmi naturali dall'altro, due stili di vita diametralmente opposti e radicalmente differenti. Jack s’intromise nel discorso e rimase stupito dalla simpatia e dalla curiosità di quell’arguto personaggio che avrà avuto approssimativamente la sua stessa età. Chi l'avrebbe mai detto, che quel montanaro rosaceo in volto e dalla cadenza sgraziata, fosse proprio così. Se lo sarebbe immaginato rozzo, ignorante ma soprattutto solitario e mentalmente limitato. Si dovette ricredere. Big e la sua donna intanto, non curanti del gregge si rollavano l'ennesimo

spinello, e ridacchiando si escludevano dal gruppo. Il pastore osservandoli si trovò in imbarazzo, ascoltando le loro fragorose risate si sentì preso in giro, quindi incupito, salutò Jack e Vanora e con calma se ne andò, continuando a far pascolare il suo bestiame. Il cucciolo di cane, riprese a correre felice per i prati, Vanora, intenerita lo seguì con lo sguardo mentre si allontanava impacciato. «Mamma mia che meraviglia! Ne voglio uno così pure io!». Commentò la scena guardando Jack, poi si diresse da Big e una volta raggiunto, irritata, gli disse: «Perché lo sfottevi?! Guarda che era una persona in gamba!» Lui ridendo rispose: «Addirittura! Che sarà mai, Vanora?! In gamba un povero montanaro?!» Erika gli diede ragione. Improvvisamente Big e la sua ragazza si alzarono, presero i loro reciproci zaini e comunicarono ai due che avrebbero fatto una eggiata senza di loro. Big, facendo l'occhiolino disse: «Ci vediamo in baita tra un'oretta. Ok?! Ciao belli!» I due, barcollanti si allontanarono abbracciati, Vanora si risedette sull'erba con Jack, scosse il capo e si accese una sigaretta. «Quando fa così, mi fa incazzare! Big non è stupido ma a volte è proprio un insensibile stronzo!» Commentò Vanora. Jack tollerante replicò: «Dai non te la prendere, dopo tutto, a loro modo sono una bella coppia!». Lei sorrise dicendo: «Ma si! Che si fottano!» «Sai che cosa penso Vanora, mi sa che è proprio quello che si apprestano a fare!» «Voi dire che…No?! Jack pensi veramente che quei due sarebbero capaci di…» Jack la interruppe annuendo: «Mia cara, per me assolutamente si!»

I due si azzittirono e rimasero a fissarsi per alcuni istanti, poi simultaneamente si alzarono e di comune e tacito accordo decisero di seguirli. Vanora spense la sigaretta, si rimise le scarpe, prese il suo zaino e indicò a Jack di fare altrettanto. Con cautela s’incamminarono verso il bosco, stando attenti a mantenere una distanza di sicurezza rispetto ai due piccioncini in calore. I loro colleghi si erano già appartati nei pressi di un lago semi prosciugato, intorno al quale si trovava una fitta distesa di pini. Jack e Vanora, intanto li osservavano ben nascosti dalla vegetazione. Stando attenti a non far rumore si accucciarono per rendersi meno visibili e si gustarono una scena inaspettata. Erika era semi svestita ed impegnata a fare un servizietto orale a Big, che nel frattempo era intento, comunque, a spogliarsi. Una volta che entrambi furono nudi, si ribaltò la situazione. Ora era lui che la stimolava oralmente, mentre si contorceva dal piacere Erika lo prese per i dreadloks e gli alzò la testa nell'intento di baciarlo sulla bocca. In seguito, scaturì una penetrazione vaginale, e da questa una serie di posizioni sempre più ardite. Gemiti crescenti interruppero il silenzio della zona. Quando la penetrazione divenne anale, Jack iniziò a eccitarsi particolarmente. Si voltò verso Vanora, che con gli occhi spalancati dall'incredulità della scena li stava fissando, mordicchiandosi imbarazzata le unghie della mano destra. Si era messa in ginocchio, piegata in avanti sui suoi gomiti, la schiena si era arcuata e la sua testa era rialzata, per spuntare appena dal grosso tronco abbattuto che le dava copertura. Quella posizione metteva in risalto il suo meraviglioso lato B, i suoi calzoni si

erano leggermente abbassati mostrando un intimo rosa pallido, sovrastato da un delicato e sottile elastico bianco, al centro del quale vi era un piccolo fiocchetto di seta dello stesso colore. Come suo solito aveva scelto un modello tutt'altro che volgare, anzi piuttosto infantile, provocando in Jack pulsioni sessuali incredibili. Oramai la sua erezione era evidente, i suoi occhi erano fissi su Vanora che invece sembrava non rendersi conto della posizione erotica in cui si era messa. Jack ispirato dalla situazione surreale, iniziò a viaggiare con la fantasia immaginandola in ogni sorta di atto sessuale. Vanora si voltò verso di lui, notò che la stava fissando e si accorse della sua evidente eccitazione, quindi gli disse: «A cosa stai pensando, porco?!» «Beh! Vista la situazione, secondo te?!» Rispose con ironia Jack. «Parla piano, se no ci sentono! Dai lasciamoli soli, oramai possiamo andare, abbiamo la conferma della nostra intuizione iniziale. Ma guarda te questi due!» Terminata la frase, Vanora prese la mano di Jack e, raccolti i loro zaini, furtivamente si allontanarono nella boscaglia facendo attenzione a non farsi scoprire. Ritornarono allo spiazzo nelle vicinanze della baita, ridacchiando si sdraiarono al sole ancora increduli della situazione vissuta poco prima. Si fumarono assieme uno spinello. Era metà pomeriggio e il sole era ancora caldo, quindi decisero di appisolarsi per un po’ prima di andare a posare i loro bagagli nel rifugio. L'aria fresca e pura leniva il bruciore del sole rendendolo sopportabile, un senso di pace e di silenzio riempiva le loro orecchie e le loro menti assopite. Jack sdraiato affianco a Vanora, le prese la mano, lei guardandolo sorridente chiuse gli occhi facendogli capire che apprezzava il suo gesto. I due si assopirono, erano come sospesi in eden irreali con sensazioni vertiginose

in sottofondo, ma loro erano saldamente uniti da quel contatto e della forza derivante da esso. Jack non credeva in nulla, però se avesse dovuto immaginare come poteva essere un “qualsiasi paradiso”, questa sensazione l'avrebbe descritto in maniera perfetta. Rimasero in questo stato per circa un'ora, poi all'improvviso alcune gocce di pioggia li ridestarono. Riaprirono gli occhi; il cielo che fino a poco fa era limpido e sereno, ora si presentava alla loro vista grigio e minaccioso ed il caldo tepore che li cullava, si trasformò man mano in una sensazione di freddo crescente. Un temporale primaverile stava per scatenarsi, lampi improvvisi frastagliarono e illuminarono le nubi scurissime e le gocce divennero sempre più grosse e fitte. I due, velocemente raccolsero i loro zaini e iniziarono a correre verso la baita che era situata poco distante, nonostante la rapidità della loro corsa, s’inzupparono del tutto i vestiti. Fradici entrarono nel rifugio e affannati si diressero alla piccola zona adibita a reception, Vanora andò subito a saldare il conto. Si fece dare la chiave della loro stanza, in quel momento una voce richiamò la loro attenzione facendoli voltare verso la zona ristorante. «Alla faccia della primavera. » Disse con sarcasmo Big mentre si sorseggiava una birra assieme ad Erika, seduto a un tavolo. Intanto dalle finestre si vedevano i bagliori dei lampi che spezzavano il grigiore delle nuvole, le quali imperterrite e rapide si muovevano verso la boscaglia in lontananza. Come sottofondo si udiva il picchiettare di una fitta grandinata che bersagliava la struttura di legno della baita. «Ci cambiamo e vi raggiungiamo, anzi no facciamo così; visto che sono quasi le cinque, io mi riposo un paio d'ore e poi ci vediamo giù alle otto per la cena. Ok?! Jack tu che fai, vieni su con me o ti fermi con loro?» chiese Vanora.

Ovviamente Jack la seguì, con un'espressione eloquente fece capire a Big che era una proposta alla quale non poteva rinunciare e dopo un cenno di saluto, salirono nella loro stanza situata al terzo e ultimo piano. Questa si presentava ai loro occhi, quasi totalmente fatta di legno: scure travi ne delimitavano i lati, il pavimento e il soffitto erano del medesimo materiale. Solo i muri erano fatti di cemento, in alcune parti erano decorati con grezzi pezzi di granito, un'ampia finestra mostrava la spettacolare visuale di tutta la vallata sottostante, un armadio, due letti separati e in fondo ad essa una porta che chiudeva un ampio bagno. La stanza a Jack sembrò bellissima. Si tolsero le scarpe, posarono gli zaini ai piedi dei reciproci letti e li svuotarono, mettendo i pochi indumenti nell'armadio che avevano in comune. Ora era il momento di togliersi i vestiti fradici, un senso d’imbarazzo riempì la stanza; Jack, per celarlo, diede le spalle a Vanora. Si levò la maglietta, successivamente i calzoni e le calze rimanendo in mutande, si accorse che anche queste erano bagnate quindi, senza pensarci più di tanto, tolse anche quelle. Nudo si diresse all'armadio, ne prese un paio asciutto e se le mise, dopo indossò un paio di calze, dei calzoni di una tuta da ginnastica e a torso nudo si sedette sul suo letto. Ora i suoi occhi erano fissi su Vanora che, ancora fradicia, di fronte a lui aveva assistito alla scena. Era il suo turno, abbassò lo sguardo e tolse la magliettina, poi incrociando le braccia si coprì i seni e rimase ferma; come poteva continuare a spogliarsi senza mostrare palesemente il suo corpo? Jack intuendo l'imbarazzo si alzò, andò all'armadio e ne prese un’altra asciutta e si diresse a consegnargliela. Ora, i due erano uno di fronte all'altra, si fissarono a lungo senza parlare, Jack nella mano destra teneva l'indumento.

Lentamente la spostò dietro alla propria schiena sopra il suo sedere, nell'intento di obbligare Vanora a scoprirsi e a un contatto con il suo corpo. Lei non aveva scelta, tolse le mani dai seni e si avvicinò a lui nell'intento di raggiungere la sua mano per recuperarla. Così i due corpi si toccarono, il contatto della loro pelle nuda fu inebriante per entrambi. Le braccia di Vanora cinsero il busto di Jack raggiungendo la magliettina. Allo stesso tempo, lui con il suo braccio sinistro abbracciò le spalle di Vanora stringendola a sé. Lei appoggiò il capo sul petto di Jack all'altezza del cuore; Il suo orecchio lo sentì palpitare e questo le diede conforto, un senso di protezione pervase la sua anima. Lui la strinse ancora più forte, poi con dolcezza la lasciò libera aprendo le braccia, ma lei non si staccò da lui, rimanendone comunque fortemente avvinghiata. Con le mani ormai libere le prese la testa e la alzò in modo da riuscire a guardarla direttamente negli occhi, ora si fissavano di nuovo. Jack inclinò la sua testa verso destra avvicinandosi verso la bocca di Vanora, poi aprì leggermente le sue labbra dopo averle inumidite con la lingua. Le loro bocche ora si sfioravano, erano appena appoggiate l'una all'altra, Jack ne percepiva il calore e la morbidezza. Vanora con dei movimenti lenti e piccoli della testa accarezzava con le sue labbra, quelle di Jack. I respiri si fecero ansimanti, lui si mordicchiò le labbra per trattenere la voglia sempre più crescente di baciarla, lei intuendo la sua intenzione abbassò la testa e si sedette lentamente sul letto. Durante la discesa, la sua lingua percorse il corpo di Jack partendo dalla sua bocca, arrivando poi al mento, successivamente scendendo fino al collo, per

arrivare infine all’ombelico. La traccia di saliva lasciata da Vanora, che disegnava il profilo del suo corpo, provocava in Jack freschi brividi di piacere. La lingua di Vanora era infilata nel suo ombelico e con lenti movimenti rotatori lo stimolava, dopo iniziò a baciargli e leccargli la pancia. In quel momento, Jack avrebbe sacrificato la vita per appagare e sfogare la sua erezione. Ora, però, poteva soltanto limitarsi a guardarla dall'alto, sperando che lei lo soddisfe. E così fu. All’improvviso, gli abbassò i calzoni della tuta e le mutande, e iniziò a succhiargli il turgido membro; dapprima in modo lento, poi ingoiandolo sempre più profondamente, aumentando in modo costante il ritmo dell'atto sessuale. Jack all’inizioera incredulo, poi si fece prendere dall'estasi; calde ondate di piacere pervasero tutto il suo corpo, socchiuse gli occhi, la sua bocca si aprì leggermente, e un gemito di piacere ne seguì. Abbassò di nuovo la testa, i suoi capelli ancora umidi scesero perpendicolarmente al pavimento e circoscrissero la sua visuale, con una mano li spostò indietro per vedere meglio la scena sottostante, ma questi ritornarono alla precedente posizione. Vanora era abilissima in ogni cosa che faceva, ma in quest'atto era superlativa. In pochi minuti, Jack era ad un o dall'orgasmo, quindi si ritrasse, con le mani prese la testa di Vanora e la spostò indietro, interrompendo quindi ciò che stava facendo. Avrebbe voluto che la situazione si svilupe in un atto sessuale completo, ma lei con un cenno di negazione del capo, gli fece capire che per ora non avrebbe ottenuto altro. Poi riprese in bocca il suo pene eretto e continuò quello che era stato interrotto fino a fargli raggiungere l'agognato orgasmo finale.

In quel momento Jack provò un piacere assoluto, reclinò indietro la testa e dalla sua bocca semi aperta uscirono solo gemiti a rilevarlo, mentre piacevoli scariche e fremiti del suo corpo accompagnavano la sua eiaculazione. Caldo sperma riempì la bocca di Vanora, poi un impulso di nausea la fece sussultare. Si alzò in piedi e prese la sua magliettina, scostando Jack da sé, si alzò velocemente e tenendosi la bocca chiusa con la mano destra, corse in bagno. Una volta raggiunto il lavandino aprì il rubinetto e, facendo scorrere l'acqua, ci sputò dentro ciò che aveva in bocca, poi se la sciacquò abbondantemente per togliersi il sapore che la infastidiva. Rumori di sputi e di colpi di tosse, risuonarono in lontananza, Jack li udì mentre era intento a rivestirsi e ad asciugarsi il sudore del suo corpo con un fazzoletto di carta. Da un lato era felice e soddisfatto per ciò che era successo, da un altro punto di vista, però, in lui, nacque un vago senso di colpa, che progressivamente gli pervase la mente. Si diresse verso il bagno per verificare se lei stesse bene e la chiamò, ma come risposta ottenne soltanto la chiusura della porta di quel vano. «Stai bene?! Vanora tutto ok?!» Nessuna risposta. Jack intuì che era meglio non insistere e si allontanò, si sdraiò sul suo letto e ragionò sull'accaduto; capì che lui non aveva forzato nulla, le cose erano andate così, senza obblighi o coercizioni di alcun tipo. Intanto la pioggia si era calmata, il cielo era ancora grigio ma aveva smesso di grandinare. Una volta rivestito, Jack si accese una sigaretta e andò alla finestra, la socchiuse per far uscire il fumo e si gustò il panorama. Un'atmosfera particolare copriva tutta la zona, i colori erano virati e incupiti dal grigiore del cielo, ma rimanevano comunque vivi e intensissimi.

Il prato sottostante sembrava dipinto, come del resto tutta la vallata. Le montagne che vide in lontananza, invece, erano diverse dal resto della zona: erano particolarmente brillanti, i colori erano accesi da alcuni raggi di sole che facevano breccia dalle nubi circostanti, illuminandone e arrossendone le spigolose e frastagliate forme. L'aria era fresca e pura, profumata di pioggia e di erba bagnata. Tutto ciò fece scaturire in lui una serie di ricordi d'infanzia, di sensazioni ate e annesse immagini sbiadite, come dei ritagli di vita vissuta che ritornavano alla sua mente, illuminati da repentini flash di frammenti di memoria. Un rumore di i in avvicinamento lo riportò alla realtà. Vanora era dietro di lui, nel frattempo aveva indossato la magliettina contesa e si era tolta i vestiti bagnati, per indossarne altri asciutti e puliti. Intanto, Jack senza voltarsi la vide con la coda dell'occhio, e non sapendo cosa fare rimase fisso a guardare fuori dalla finestra. «Fammi fare un tiro, dai vieni qua. » Disse Vanora richiamando la sua attenzione, lui si voltò e vide il suo dolce viso e andò da lei. Subito la abbracciò. Lei lo assecondò ricambiando l'affettuoso gesto, poi gli prese la mano e lo portò sul suo letto. I due erano seduti a gambe incrociate, l'uno di fronte all'altra, Vanora aveva la testa bassa e guardava la propria mano che stringeva quella di Jack. Lui non sapeva che fare, cercava il suo sguardo senza mai trovarlo, ma appena accennò una frase, fu subito interrotto. «Lo sai perfettamente, che quello che è successo è stato uno sbaglio. Per favore non dire nulla e ascoltami. Vorrei ricordarti che tipo di lavoro facciamo, ovviamente non parlo di quello al call center, ci siamo intesi?! Siamo dei Killer, e da questo genere di vita non si torna indietro, io non voglio e non posso permettermi il lusso di innamorarmi di te». Vanora parlava con voce calma e decisa, però traspariva chiaramente agli occhi di Jack che ciò che diceva, in realtà era una sorta di operazione di autoconvincimento.

Lui se ne accorse perché in alcuni momenti, quando comunicava i sentimenti che provava per lui, non riusciva più a guardarlo dritto negli occhi. Non la interruppe per tutta la durata del discorso anche se a fatica. Vanora continuò: «Quindi è meglio dimenticare tutto questo, e continuare a fare la nostra attività liberamente, senza implicazioni sentimentali, nel nostro campo creano solo problemi ed io lo so, ormai sono anni che faccio questo genere di vita. Sì, è così! Fidati di me. E’ la cosa migliore per entrambi». Era chiaro che la ragazza aveva scollegato momentaneamente il cervello dal cuore e nonostante fe di tutto per sembrare convincente, traspariva agli occhi di Jack l'esatto opposto di ciò che pronunciava. Non riusciva più a mollargli la mano che continuava fortemente a stringere a sé, Jack la guardava sorridente cercando il suo sguardo che sfuggiva a lui perché non sincero. Il discorso terminò. Vanora alzò la testa e appena incrociò gli occhi verdi di Jack, fece un'espressione talmente bella e significativa che lui non la dimenticò mai più, per tutto il resto della vita. Lei lo guardò, e l'espressione del suo viso si fece improvvisamente dolce, lo sguardo divenne tenero e sincero, sembrava quasi quello di una madre che guarda con amore il proprio figlio. Poi una lacrima, lenta le rigò il volto e un dolcissimo sorriso nacque a contrastarla. Era chiaro che si era innamorata profondamente di lui, e che tutto ciò che diceva non aveva alcun senso reale. Questo, Jack lo aveva capito, entrambi sapevano chiaramente di amarsi davvero. Come per un tacito e solidissimo patto, però continuarono a recitare questa assurda e stupida farsa, continuando a fare la parte dei freddi e insensibili professionisti del crimine. Jack le asciugò il volto con il pollice della mano destra, poi la strinse ancora a se, lei sospirando si fece accogliere tra le sue braccia.

Rimasero così per alcuni secondi, poi in modo simultaneo, lentamente si sdraiarono sul letto; ora erano uno di fronte all'altra appoggiati sul fianco. Si guardarono fissi negli occhi senza aprire bocca, nulla vi era da dire, il silenzio parlava per loro. Si persero nei loro sguardi, sarebbero potuti rimanere così per ore, forse per giorni, Jack sicuramente per tutto il resto della vita. In quel momento, la grandezza del loro amore li isolava dal mondo esterno, mossi solo dalla più primitiva ragione di ogni nostro atto. Vivere l’amore vero. Si addormentarono così, teneramente abbracciati, cullati dal loro solido sentimento. Dopo circa due ore Jack si svegliò; nel dormiveglia aveva tenuto d'occhio il are del tempo grazie all'orologio a muro appeso alla parete della loro stanza. Erano, oramai le diciannove e trenta e Vanora era ancora addormentata. «E' ora di alzarsi!», disse lui scuotendola. «Ancora un paio di minuti, » le rispose stringendosi al suo corpo. «Dobbiamo prepararci, sono le sette e trenta, Big ed Erika ci aspettano per la cena!», replico Jack. «Cosa…?! Cazzo è tardi, devo prepararmi!» Vanora si alzò dal letto e velocemente corse verso l'armadio, nell'intento di vestirsi nel modo più consono alla serata che li attendeva. Jack divertito, la osservava dal letto mentre la vedeva impegnata nei preparativi, la guardava rovistare in modo frettoloso nei cassetti alla disperata ricerca di un look adatto a quella cena. Dopo una dura selezione scelse di indossare dei jeans attillati a vita bassa, sopra di loro una maglietta di cotone colore giallo, su cui indossò un maglioncino verde a collo alto, e a corredo mise una lunga collana di perle bianche.

Calzò degli stivali di pelle che contenevano i jeans fin sotto il ginocchio, un accenno di trucco sugli occhi, un velo di lucidalabbra a completare il tutto. Infine decise di raccogliere i propri capelli in due trecce che le contornarono il viso. «Allora che ne pensi?!» chiese infine a Jack, voltandosi verso di lui. Il ragazzo rimasto senza parole e spiazzato come sempre dalla sua bellezza, emozionato rispose solamente: «Che ti posso dire, sei semplicemente stupenda!» Lusingata dal complimento, si diresse da lui scuotendo la testa, una volta arrivata faccia a faccia replicò: «Mannaggia, e adesso come faccio senza di te! Ci mancavi solo tu in questa mia vita dannata. Ma che mi hai fatto?! Sei proprio un tesoro, » poi guardandolo con un'aria seria, ma tenera allo stesso tempo, gli accarezzò dolcemente il capo e gli baciò la fronte. Prese la sua testa, la girò di lato e la adagiò sul suo seno, ora era Jack che ascoltava il battito del suo cuore. Udì che tendeva a rallentare man mano che questo contatto persisteva; era musica per le sue orecchie. Gli nacque un istintivo abbraccio, i due rimasero così a cullarsi dolcemente per alcuni secondi. Di certo questo sentimento era la cosa più bella e preziosa che fosse capitata nella vita di entrambi, loro lo sapevano benissimo; qualcosa di significativo e unico era successo in quel pomeriggio in alta quota. Qualcosa di raro al mondo, e loro ne erano ben consci visto che erano abituati solo alla violenza cinica ed a procurare tutte quelle uccisioni. «Forza tocca a te, devi prepararti. » Vanora interruppe quel contatto, Jack annuì e si alzò dal letto e andò verso l'armadio. Scelse di indossare un maglione grigio scuro, dei calzoni color panna e comode scarpe da tennis bianche. Erano pronti, aprirono la porta della loro stanza e scesero per le scale fino a

giungere alla zona ristorante, ad attenderli c'erano già Big ed Erika che avevano ordinato un aperitivo. Una volta salutati, si accomodarono al tavolo. Assieme si gustarono i cocktails che erano già stati preparati prima del loro arrivo. Big aveva un look certamente particolare: indossava una camicia color verde limone con sopra disegnati enormi fiori colorati, tenuta semi aperta in modo tale da mostrare i suoi numerosi tatuaggi che arrivavano ad istoriargli completamente il collo e le braccia, fino alle mani. Preferì dei pantaloni rosa fucsia e scarpe da ginnastica gialle, con stampate ai lati dei teschi in fiamme. I suoi dredlocks li raccolse in un ampio cappello in grezza lana di un color viola . Erika aveva scelto invece un look da dark lady tendente al punk, giacché non disdegnò di acconciare i propri capelli in un’alta cresta. Ovviamente il resto dei commensali nei tavoli attorno, per la maggior parte semplici montanari, erano sconcertati dalla visione di quella strana ed eccentrica coppia, però non osarono fare alcun commento, vista l'imponente stazza fisica di Big. La serata proseguì serenamente, gustarono le specialità della casa e tra libagioni e innumerevoli caraffe di vino, arrivò presto mezzanotte. Decisero di are la fine della serata assieme e scelsero di uscire dalla baita. Il cielo si era rasserenato, un'immensa stellata li sovrastava, la luna piena illuminava la vallata circostante donando una nuova e spettacolare visione della zona. Uno spettacolo indescrivibile, i boschi circostanti sembravano impenetrabili e spettrali, l'aria fredda trasportava i rumori cupi e improvvisi degli animali notturni che, udendoli, fecero più volte sobbalzare i quattro nottambuli infreddoliti.

Sotto di loro, in lontananza, la vallata a perdita d'occhio; qua e là solo le piccole luci delle abitazioni private, degli edifici e delle strade illuminate dai lampioni, ogni tanto alcune lente scie luminose create dai fari di alcune macchine solitarie, davano l'idea che c'era ancora un po’ di vita in tutta quella staticità della scena. Per un attimo si sentirono dei giganti, poiché avevano la città ai loro piedi, o più semplicemente si fecero condizionare dalla posizione dominante del loro punto di osservazione e dall'ebrezza derivata dal buon vino. Big estrasse dal suo pacchetto di sigarette quattro spinelli perfettamente rollati; i tre se li accesero e se li gustarono con calma, tranne Jack che preferì mantenere solo il torpore alcolico. Risate e discorsi poco sensati accompagnarono la fine della loro serata, i quattro oramai stanchi scelsero di andare a dormire, e una volta rientrati, dopo un saluto caloroso si diressero nelle loro rispettive stanze. Era mezzanotte ata, l'indomani li aspettava il viaggio di ritorno per Milano, ma vollero dormire fino a tardi e di comune accordo, appesero all'esterno delle loro porte il cartellino “non disturbare”. Jack e Vanora, una volta entrati nella camera unirono subito i rispettivi letti. Indossarono le loro comode tute e andarono subito a letto. Senza parlare si ritrovarono nuovamente abbracciati. Non ci fu nulla da dire, ancora una volta il loro amore parlava per loro, unendo i loro pensieri e le loro anime. L'indomani si alzarono intorno alle undici e trenta, sfortunatamente dovevano liberare la stanza entro mezzogiorno. Visto l'orario, la colazione oramai non poterono più consumarla, quindi la sostituirono con un piatto di polenta e carne di cinghiale, il tutto accompagnato con dell'ottimo vino rosso. Dopo quest'abbuffata, i quattro si fecero una pennichella sull'erba, sdraiati al sole fuori dal rifugio. Circa un'ora e mezza dopo, vi rientrarono, recuperarono i rispettivi zaini lasciati prima nella hall. Una volta che furono tutti pronti, iniziò la lenta discesa verso il SUV di Big, che li avrebbe riportati inevitabilmente alla solita vita, fatta di lavoro, stress,

preoccupazioni e bollette da pagare. Nel loro caso si aggiungeva l'incognita di quando sarebbe incominciata una nuova missione e che livello di pericolosità avrebbe avuto. Senza contare tutte le inevitabili conseguenze che avrebbero portato a ognuno dei tre sicari. La lenta discesa verso l'inferno era cominciata e proseguiva inesorabile.

SESTO CAPITOLO Missione collettiva: Latin Kings

Dopo il fine settimana di Pasqua in Val Seriana, il ritorno alla solita vita fu pesantissimo per tutti e tre, ma soprattutto per Jack e Vanora che avevano appena instaurato questo bellissimo e importante rapporto di coppia. Si trovarono entrambi spiazzati da questa novità, ma allo stesso tempo fiduciosi nel loro amore, Vanora aveva abbandonato la strada della razionalità che le indicava di non stare con Jack, per seguire quella del cuore che gli imponeva l'esatto contrario. Lei era sicura dei sentimenti provati nei suoi confronti, e giorno dopo giorno era sempre più convinta di coltivare questo prezioso dono inatteso. Ovviamente Jack era entusiasta di tutto questo e non perdeva tempo per starle vicino, senza però mai invadere troppo la sua vita. Dopo tutto, lei era ancora il suo capo e lui da novellino doveva mantenere un certo distacco, soprattutto quando si trattava di organizzare o semplicemente commettere omicidi. Una sera Vanora volle fargli una sorpresa. Decise di andare a trovarlo a casa sua per parlargli, appunto, di una di queste missioni che a giorni si sarebbe realizzata. Il rumore del citofono lo fece sobbalzare, erano le ventidue e trenta e Jack aveva appena finito di riordinare e ripulire il suo monolocale. Chiedendosi chi fosse a quell'ora della sera, affannato corse a rispondere. «Sono io!» rispose Vanora. «Vanora?! Ok, ti apro», rispose Jack trattenendo a stento l'entusiasmo per quella lieta e inaspettata visita.

Abitando al pian terreno, il tragitto per raggiungerlo era molto breve, ma visto il suo spiccato narcisismo decise comunque di darsi una veloce controllata allo specchio prima di accoglierla in casa. Era emozionato come un ragazzino, il suo cuore pulsava freneticamente mentre si sistemava i capelli, guardando la sua immagine riflessa. Andò ad aprire la porta ma Vanora non c'era. Allora uscì nell'androne domandandosi dove fosse, non ebbe nemmeno il tempo di terminare il pensiero, che sentì qualcosa di freddo e metallico appoggiato alla sua testa. «Fai ciò che ti dico o sei morto, non ti voltare ed entra in casa.»Una voce femminile con un tono calmo ma deciso, lo accompagnò fin dentro il suo appartamento. Una volta entrati, sentì il rumore della serratura chiudersi. Ovviamente, Jack aveva capito che era proprio Vanora a tenerlo sotto tiro, ma stette ugualmente al gioco incuriosito da come si sarebbe evoluta quella strana situazione. «Ora spogliati!» gli ordinò improvvisamente la ragazza. Jack scoppiò a ridere in modo rumoroso. Si accasciò su di una sedia della cucina, poi si voltò e vide Vanora con in mano le chiavi della sua macchina puntate contro di lui. «Agli ordini, ma non mi faccia del male! Non opporrò alcuna resistenza!» replicò ironicamente Jack. Senza fretta iniziò a togliersi la camicia rimanendo, quindi a torso nudo. Vanora, lentamente si avvicinò a lui e si sedette cavalcioni sulle sue gambe, ora i due erano faccia a faccia a fissarsi. Lei posò le chiavi sul tavolo, e si avvicinò al suo viso.

Con la lingua, in modo lento e sensuale iniziò a leccare le labbra di Jack fino a provocarne l'apertura. Le due bocche si unirono in un profondo, lungo, apionato bacio; le loro lingue si rincorsero alla ricerca dell'apice dell'eccitazione che automaticamente scaturì di conseguenza. Di colpo però, Vanora si alzò da sopra di lui e sorridendo maliziosamente disse: «Allora! Ti è piaciuto il mio casto saluto?!»«Secondo te…?!» rispose Jack, indicando con la mano destra l'erezione provocata, poi scuotendo la testa concluse: «Tu sei pazza!» «Hai voluto stare con un killer, ora è troppo tardi per tirarti indietro, te lo avevo già detto tempo fa. Non credere che con me ti annoierai, con me si vive una vita al massimo!» L'ironia di Vanora sottintendeva delle verità assolute; loro avrebbero potuto vivere solo alla giornata, progettare un matrimonio, avere dei figli, erano mete troppo rischiose per le loro possibilità, non certo per difficoltà economiche, anzi da questo punto di vista non avevano sicuramente alcun problema. Piuttosto l’incognita era un’altra: quanto tempo avrebbero ancora vissuto, quanti giorni ancora avrebbero ato assieme visto la pericolosità del loro mestiere? Ne erano ben consci entrambi, ma sdrammatizzare questo reale enigma era l'unico modo per conviverci al meglio. «Non mi offri da bere?» chiese sorridente Vanora. Ancora frastornato, Jack si alzò dalla sedia e raggiunse il frigorifero, ne estrasse due Tennent's super e prese un unico bicchiere, ovviamente solo per se. Sapeva che lei non l'avrebbe usato, poi entrambi si sedettero vicini e iniziarono a gustarsi le birre. Lei gli spiegò il motivo di quella visita, quindi iniziò a illustrargli il piano che aveva ideato per questa nuova missione che sarebbe iniziata nel giro di quarantotto ore. Jack si sentì lusingato da questa condivisione d’idee, poiché prima di allora non c’era mai stata.

Alla fine della spiegazione, però rimase perplesso. Era convinto che fosse troppo pericoloso per l'incolumità di Vanora, malgrado si limitasse solo a farglielo capire senza pretendere alcun cambiamento. La ragazza sdrammatizzò le preoccupazioni di Jack trovandole fuori luogo ed eccessive e, imperterrita, mantenne inalterato il piano originale. Andò nei dettagli. Le vittime designate erano cinque persone di nazionalità latina americana facente parte dei Latin Kings; una nuova gang che agiva indisturbata nella zona di piazzale Corvetto a Milano. Qui spadroneggiava in vari ambiti: dallo spaccio di droga, al racket della prostituzione e nel taglieggiare i commercianti del rione nella continua richiesta del pizzo. Tutto ciò dava molto fastidio a qualcuno molto più in alto di loro nella scala gerarchica della malavita italiana, quindi era necessario riportare un po’ di ordine, eliminando i capi di questa nuova formazione criminale, ristabilendo quindi il vecchio titolare di tutte queste attività illecite. La Mala locale, inizialmente decise di lasciar loro spazio di azione per meglio capire come si sarebbero comportati nei loro confronti. I novellini, invece se ne fregarono totalmente delle concessioni e soprattutto del rispetto verso la vecchia guardia, quindi andavano puniti con la morte. Questo era il compito dei tre sicari: eliminare i nuovi e inesperti delinquenti stranieri. Il problema però era come riuscirci nel modo più sicuro possibile. Assodato che le vittime designate non uscivano quasi mai dalle loro case, se non per le loro attività illecite, la tecnica usata in precedenza al parco Trenno non poteva essere, in questo specifico caso, applicabile. Rapida e inattesa arrivò la svolta. I mandanti degli omicidi, grazie ad un informatore ben pagato, ebbero una

soffiata. Due giorni dopo, intorno alle ventitré e trenta, ci sarebbe stata una riunione dei Latin King nell'abitazione di uno di loro, nella quale tutti e cinque i condannati si sarebbero incontrati. Vanora ne fu avvisata, e saputo l'indirizzo del luogo del meeting, decise che quello era il momento più adatto per agire. Lei, Jack e Big sarebbero entrati in quella casa, e una volta all'interno, li avrebbero eliminati tutti. La prima cosa da fare, però, era un sopralluogo della zona. I tre scoprirono che non si trattava di un appartamento, bensì di una villetta isolata nei pressi di piazzale Corvetto a Milano. Era quindi necessario accertarsi se fosse dotata o meno di telecamere di sicurezza. Per togliersi questo dubbio, il giorno precedente la missione, i tre sicari si recarono sul posto e verificarono l'assenza di alcun apparecchio atto alla ripresa video. Loro non si stupirono più di tanto di quest’assenza, dopo tutto si trattava solo di un gruppo di balordi alle prime armi, mai e poi mai avrebbero acquistato ed usato dei costosi impianti di sicurezza. La stessa sera, foto alla mano, Jack, Vanora e Big studiarono la fisionomia delle loro vittime pedinandole nelle loro attività illecite, e una volta che i tre ebbero ben chiaro i loro volti, furono perfettamente pronti per l'azione del giorno successivo. Secondo il piano di Vanora, Erika li avrebbe accompagnati alla loro meta, e sarebbe poi ata a riprenderli una volta conclusa la loro missione. Per l'occasione Vanora creò un piano semplice ma molto efficace: in pratica, avrebbero lasciato arrivare alla villa dell'incontro i primi quattro dei cinque delinquenti. L'ultimo, invece, sarebbe stato momentaneamente rapito e con la forza obbligato a presentarsi all'appuntamento con un regalo inaspettato, in altre parole una bella

ragazza che avrebbe allietato la serata ai focosi sud americani. Ovviamente questa parte l'avrebbe interpretata Vanora. Ecco la chiave di volta per dare il via alla mattanza. Dopo tutto, dalle esperienze della propria vita, Vanora aveva capito una cosa fondamentale: la bellezza femminile apre sempre tutte le porte.

-L'effettiva missione-

Alle ventidue e trenta della sera concordata, un sms con la scritta: BACK IN BLACK diede il segnale d'inizio alla missione. Jack e Big in circa quaranta minuti giunsero sotto casa di Vanora vestiti di nero e armati a dovere. Parcheggiarono le loro automobili nelle vicinanze e citofonarono alla socia, che in pochi minuti li raggiunse in strada. Dovendo interpretare la parte di una provocante prostituta, scelse un look a dir poco eccentrico: indossò una parrucca bionda platino, caratterizzata da un taglio di capelli lisci, lunghi fino alle spalle. Questi erano pettinati con una riga in mezzo che ne divideva equamente la bionda chioma. Scelse di indossare una canottiera gialla, aderente e molto corta che scopriva abbondantemente la sua pancia nuda, al di sopra mise una giacchetta di pelle nera aperta sul davanti per meglio mostrare la mercanzia. Si mise una minigonna ridottissima a vita bassa di colore rosso fuoco, calata sui fianchi e che a fatica copriva il suo favoloso sedere. L'intimo scelto, visto la circostanza, doveva essere al di fuori delle sue normali abitudini, scadendo quindi nel volgare.

Un perizoma di pizzo nero che cingeva i suoi morbidi fianchi, fu reso ben visibile sopra la minigonna, sotto di cui indossò delle calze a rete autoreggenti nere. Ai piedi calzò un paio di scarpe con tacco alto, di un colore rosso. Jack appena la vide vestita così, rimase incredulo e senza parole. La sua Vanora così elegante e curata nel vestire, ora era irriconoscibile; sembrava una sorta di clone, ma opposto a com’era lei nella realtà di tutti i giorni. A stento quasi la riconobbe, quel look così volgare gli provocò un forte senso di fastidio, essendo lontanissimo dai suoi canoni di sensualità e bellezza. Si tenne tutto dentro mantenendo un professionale distacco; tra l'altro erano in procinto di iniziare una missione omicida e lei era, come sempre, il loro capo indiscusso e inappellabile. Vanora lo guardò in modo freddo. Poi si limitò a ricapitolare loro il piano, ora quegli occhi così profondi ed espressivi che Jack ben conosceva e amava, erano diventati glaciali e imperturbabili. Da questo, lui capì che oramai era entrata completamente nella parte: ora era solo una glaciale killer, spietata e in procinto di uccidere. All'ora concordata, puntuale giunse anche Erika. I quattro partirono diretti alla villa, giungendovi alle ore ventitré, fecero un giro attorno ad essa alla ricerca di un posto adatto per attendere le loro vittime. Appena lo trovarono, parcheggiarono e spensero il motore dell'autovettura; i quattro erano nella semi oscurità, grazie ad un bosco piuttosto buio che li circondava tutelandoli da sguardi indiscreti. Rimasero fermi in quella zona oscura e sterrata per un po’ di tempo, la loro posizione era sicura e permetteva di controllare la strada principale situata poco distante, perpendicolarmente a loro.

Big chiese se fosse possibile fumare una sigaretta. Vanora acconsentì alla richiesta accendendosene una pure lei, dopotutto erano lontani dalle finestre della villa, quindi potevano permetterselo grazie anche alla copertura della vegetazione circostante. C’era una tensione crescente, anche se nessuno dei sicari la palesava. Il silenzio che riempiva l'abitacolo della loro macchina era fastidioso quanto il fumo che lo saturava. Il tutto cessò soltanto quando Vanora abbassò il finestrino alla sua destra facendo entrare, oltre che a una folata di aria fresca, anche il rumore continuo e incessante delle cicale nascoste nei meandri dei campi limitrofi. Per fortuna tutta la zona circostante era isolata e buia, e questo come sempre, agevolò la missione. All'improvviso, alla loro destra, videro la luce diffusa dei fari di un'autovettura in avvicinamento, che illuminarono momentaneamente la strada davanti al muso della loro macchina. Una volta che ne furono superati, la videro raggiungere l'entrata della villetta. Una delle tre persone occupanti l’autoveicolo appena giunto, scese dal mezzo e si recò al citofono ubicato sulla ringhiera esterna che ne circondava l'ampio giardino. Il cancello elettrico si aprì e una volta che l'auto entrò all'interno del complesso, si richiuse. Le prime tre vittime, comprensive della quarta, che altro non era che il proprietario della casa, erano a destinazione. Parcheggiarono l'autovettura ed entrarono all'interno della villa,inconsapevoli che questo fosse l'ultimo viaggio che avrebbero fatto nella loro vita terrena. Tutto andava secondo il piano di Vanora, ora mancava soltanto l'ultimo dei cinque condannati.

Grazie alle notizie raccolte e agli appostamenti fatti nelle sere precedenti, aveva previsto che nell'arco di dieci minuti sarebbe giunto anche lui. Infatti, dopo pochi minuti, il rombo del motore di una motocicletta scendo e prendo posizione,di grossa cilindrata ne annunciò l'imminente arrivo. Vanora vedendolo ancora lontano, ordinò ai suoi compagni: «Eccolo è lui! Tenetevi pronti. Io scendo e prendo posizione, voi fate ciò che abbiamo concordato!» Con calma, lei ebbe il tempo di mettersi sul ciglio della strada a una distanza di sicurezza dalla visibilità della villa. Il biker la raggiunse, e appena la notò fermò la sua moto dando inizio a un approccio alquanto volgare. Di risposta ottenne soltanto una pistola puntata ai suoi genitali che lo obbligava a seguirla in una zona isolata e oscura attigua alla strada principale. Contemporaneamente Jack e Big, una volta indossati i amontagna neri, scesero dalla macchina di Erika con alcune taniche colme di benzina e con le armi già munite di silenziatori. Raggiunsero Vanora che li attendeva poco distante, mentre teneva ancora sotto tiro la propria vittima. Erika accese il motore della sua macchina e si allontanò dalla zona a fari spenti per evitare di rendersi visibile a occhi indiscreti. Una volta raggiunta una distanza di sicurezza lì riaccese. Nel frattempo i tre killer circondarono l'uomo che avevano rapito,e nella semi oscurità iniziarono a intimorirlo. Una serie di sonori schiaffoni fece subito capire chi fosse a dirigere il gioco, e tre pistole puntate alla nuca lo rilevarono ulteriormente. Questo impallidì ammutolito dalla paura, capendo che ormai non aveva più scelta: doveva e poteva soltanto obbedire ai suoi carnefici. Vanora gli spiegò cosa avrebbe dovuto dire una volta giunti al citofono esterno dell'abitazione, tremante lui annuì obbedendo prontamente agli ordini impartiti.

Quindi i due, abbracciati giunsero al cancello della villa seguiti a debita distanza da Jack e Big, armi in pugno. I due sicari misero le taniche colme di benzina vicino all'entrata, poi ritornarono alla loro posizione di copertura. Intanto Vanora volle assicurarsi che il Latin King fe correttamente la propria parte, e ne ebbe garanzia grazie alla sua pistola che venne di nascosto puntata alla schiena dell'uomo. Infatti, dopo aver pigiato il tasto del citofono, lui recitò la sua battuta in modo perfetto: «Sono io, Alexander! Scusate il ritardo, ma per farmi perdonare vi ho portato un regalo!» Il cancello si aprì. Con calma, i quattro arrivarono alla porta d'entrata della casa e una volta che questa fu completamente spalancata, urla di gioia ruppero il silenzio. Nel frattempo, Big e Jack si erano già messi ai suoi lati, e armi in pugno rimasero nascosti in attesa di fare la loro parte. Vanora, ammiccante entrò nella stanza abbracciata alla sua esca lasciando volutamente aperta la porta, dietro di sé. La ragazza fu quindi avvicinata dai sud americani, le loro sudice mani iniziarono a toccarla mentre frasi sconce fecero da sottofondo alla scena. Era il momento di agire. Vanora sparò il primo colpo di pistola silenziata al fianco del rapito, che si accasciò ai suoi piedi. Poi si buttò a terra dando così spazio ai colleghi sicari di fare fuoco sui quattro obbiettivi. I due killer, con pochi e precisi colpi freddarono subito due delle loro vittime designate. Una terza rimase ferita e agonizzante sul tappeto della stanza, mentre il suo sangue zampillava a intervalli regolari dalla profonda ferita che aveva sul collo.

Jack gli diede il colpo di grazia a distanza ravvicinata. Big, invece corse dietro al quarto, che ferito alle gambe e zoppicante tentava in ogni modo di scappare, cercando disperatamente di uscire dalla casa usufruendo della porta d'entrata secondaria della cucina, che si trovava alla sinistra della stanza del massacro. Una volta raggiunto lo afferrò per il collo e lo strinse a se fissandolo negli occhi, poi con una freddezza assoluta, tenendogli la bocca serrata con la mano sinistra, con la destra prese il suo coltello e gli tagliò la gola da orecchio a orecchio. Schizzi di sangue iniziarono a colorare di rosso il candido bianco delle pareti interne, così fu anche per i quadri appesi a esse, che furono arricchiti dalla stessa tintura, che donò loro nuove e più intense tonalità vermiglie. I pavimenti di marmo chiaro, iniziarono a macchiarsi anch'essi dello stesso colore, il sangue oramai era quasi ovunque: se non seccava sul pavimento raggrumandosi col are del tempo, colava lentamente dai muri circostanti disegnando sinistre diramazioni, oppure gocciolava in verticale dai mobili, creando piccole pozze ben circoscritte. Dopo gli inutili colpi di grazia inferti ai tre cadaveri, comparvero anche rosacei pezzi di cervello che andarono a mischiarsi e a frastagliare il sangue dei martoriati corpi. Ai tre sicari sembrò che la missione fosse compiuta. Vanora si guardò attorno, pistola alla mano, poi ordinò ai colleghi di andare a recuperare le taniche di benzina lasciate all'esterno. I due obbedirono e uscirono dalla villa. Vanora si accertò che quattro delle cinque persone che andavano eliminate erano davvero morte, ma il rapito cui aveva sparato all’inizio, non la convinceva. Stranamente, le sembrava che fosse addormentato poiché aveva un colorito ancora vivido e soprattutto presentava ancora alcuni movimenti toracici sospetti. Le sembrava proprio che respirasse. Doveva togliersi definitivamente questo dubbio.

Vanora, con estrema cautela si avvicinò al corpo e si chinò per verificarne l'effettivo decesso. Con la mano sinistra gli tastò la vena giugulare del collo, tenendolo sotto tiro con la pistola che impugnava con la mano destra. Pulsava! Improvvisamente, l'uomo scattò fulmineo contro di lei serrandogli la gola con entrambe le mani, i due caddero avvinghiati l'uno all'altra. Dal colpo ricevuto le scarpe, la parrucca e la pistola di Vanora volarono per la stanza. Ora lui era sdraiato sopra di lei, tra le sue gambe, come se fosse in procinto di un rapporto sessuale, le sue mani continuarono a strozzare la ragazza che iniziò a farsi paonazza in volto e a perdere progressivamente i sensi. L'uomo aveva finto di essere morto aspettando il momento giusto per vendicarsi, il proiettile l'aveva colpito in modo non grave, era entrato e uscito dal suo fianco senza però lederne alcun organo vitale. Vanora sentiva che la sua vita la stava lentamente abbandonando, la sua vista si fece sempre più appannata e buia, mentre un senso di vertigine crescente la avvolgeva. Jack accorgendosi di quella scena agghiacciante, fece cadere a terra le taniche di benzina e corse all'interno della villa raggiungendo il salone, appena fu a tiro sparò alla testa dell'uomo che all’istante mollò la presa accasciandosi definitivamente, privo di vita, su Vanora. Lei era inerte, il suo viso era quasi tutto sporcato del sangue e dai pezzi di cervello del suo assalitore. Jack spostò il cadavere e strinse a se Vanora che respirava a fatica. Il collo della ragazza era livido, reso quasi violaceo dalle impronte delle mani che lo cingevano poco prima. La sua respirazione era molto rumorosa e strozzata, la bocca era spalancata alla disperata ricerca di quel poco ossigeno che riusciva a inspirare.

Momentaneamente la sua trachea era rimasta schiacciata dalla morsa dell’assalitore, e stentava a espandersi in modo adeguato. I suoi occhi erano spalancati, i capillari erano esplosi dalla pressione subita, facendo arrossare del tutto la zona bianca attorno all’iride. Jack non sapeva che fare, si tolse il amontagna nero e iniziò a massaggiarle il collo, ma vide che questo non giovava molto alla sua amata, quindi decise di iniziare una respirazione bocca a bocca che lentamente rese più fluido e libero il respiro della ragazza. «Respira, cazzo! Forza Vanora respira! Brava così! Brava piccola fa dei respiri profondi!», disse Jack a Vanora mentre l'adagiava sul freddo pavimento. Anche Big lo raggiunse e ammutolito e incredulo rimase a guardare la scena straziante. Jack era scioccato, i suoi battiti cardiaci erano accelerati, si sentiva svenire e in preda a forti capogiri. Si fece forza. Vedendola riprendersi decise di sedersi affianco, poi incrociò le gambe e appoggiò Vanora su di esse di fronte a se, ora i due erano abbracciati. Jack sentiva il corpo della ragazza freddo e tremante, quindi la strinse cercando di scaldarla e calmarla. Quel contatto giovò a entrambi. Lui per un attimo si chiese cosa avrebbe fatto se lei fosse morta, arrivò a una conclusione drastica: l'avrebbe accompagnata anche in quell'ultimo e definitivo viaggio. Invece, pian piano, la ragazza si riprese, i suoi respiri si fecero sempre meno rumorosi e strozzati divenendo progressivamente più silenziosi e regolari. Riprese colorito e forze, rimanendo per alcuni minuti abbracciata al suo uomo, mentre una lacrima lentamente rigò il suo viso sporcato da tutto quel sangue.

Vanora, non riuscì più a reprimere il pianto che, liberatorio le sgorgò dal profondo dell'anima. Dopo essersi sfogata, rimanendo abbracciata a Jack, gli sussurrò all'orecchio: «Grazie, tesoro.» Poi ancora tremante e a fatica, si avvicinò al suo viso e in modo tenero lo baciò sulla bocca. Nonostante fosse un bacio innocente, lui ne rimase folgorato, tanto che dalla gioia il suo cuore subito si colmò di fiducia. Poi Vanora si voltò anche verso Big e commossa disse: «Voi siete la cosa più bella che mi sia mai capitata, voi siete la mia famiglia, io non ho altro.» Probabilmente il fatto di aver visto la morte in faccia, aveva fatto emergere in lei un lato del suo carattere sopito e più umano. Lei scelse di esternarlo con semplici parole di sincera gratitudine a chi aveva di più caro, e che ancora l’accompagnava in quest’assurdo stile di vita che aveva scelto anni fa. Big e Jack, increduli per quell’inattesa dichiarazione, rimasero senza parole e si limitarono a sorriderle compiaciuti. La ragazza, barcollante si alzò in piedi e iniziò a vagare nel salone alla ricerca delle sue scarpe e della sua pistola, scavalcò alcuni corpi straziati e raccolse ciò che stava cercando. Poi si diresse in bagno, si voltò di nuovo verso di loro e disse: «Mi dò una ripulita, voi recuperate le taniche di benzina e leviamoci da questo inferno.» I due assecondarono la richiesta e le posero all'interno della stanza in attesa di nuovi ordini. Lei uscì dal bagno dopo circa dieci minuti, si era pulita malamente la faccia e i capelli, che semi umidi le lambivano i lati del viso. Il suo sguardo però rimaneva vacuo, a stento mascherava il trauma subito, nonostante paventasse un'appannata sicurezza.

Jack capendo la situazione cercò di confortarla con la sua presenza, lasciandole però tutto lo spazio necessario per continuare a dirigere la situazione, senza mai invadere il suo ruolo. Vanora ordinò: «Ok ora è il momento di dare una bella annaffiata! Ci pensate voi?» I due obbedirono. La ragazza iniziò a incamminarsi verso l'uscita, lentamente incrociò i suoi colleghi fermi al centro della stanza e proseguì il suo tragitto dirigendosi alla porta d'entrata, fino a uscire dalla sala del massacro. Poi malferma si sedette all'esterno della casa sotto all'ampio patio. Jack con un cenno eloquente della testa, fece capire a Big che l'avrebbe raggiunta. L'energumeno lo assecondò, prese le taniche e in modo meticoloso e abbondante, inzuppò di benzina ogni stanza e soprattutto ogni cadavere straziato. Nel frattempo Jack raggiunse Vanora all'aria aperta, le si sedette accanto, sopra di loro un'immensa stellata li sovrastava, solo qualche nuvola celava lo spicchio di luna che s’intravedeva in lontananza, tra la rada boscaglia circostante. Vanora appena lo vide accomodarsi affianco, gli prese il braccio destro e se lo mise intorno alla vita. Lui la strinse a sé, lei appoggiò la testa sulla sua spalla destra e stette in silenzio, mentre il suo sguardo si perse nell'osservare le costellazioni lontane e fisse. Rimasero così per alcuni minuti, stretti e uniti dal loro amore finché giunse Big a ridestarli: «Forza belli, dobbiamo andare! Guardate è arrivata Erika.» In effetti, notarono la sua macchina, che ferma e a fari spenti era parcheggiata appena fuori dal cancello esterno della villa. Era in attesa già da alcuni minuti, con il motore , pronta a riportarli a casa. Raccolsero le loro armi e tutto ciò che era stato utilizzato per quella missione.

Vanora e Jack si diressero da Erika e salirono sulla sua automobile, nel frattempo Big creò una scia di benzina che dall'interno della casa, arrivò fino al cancello esterno della villetta. Prima di salire anche lui in macchina gli diede fuoco. I quattro seguirono con lo sguardo la lingua di fiamma che in poco tempo giunse fino all'interno dell'abitazione dando il via a un immenso incendio. Una luce abbagliante illuminò la zona, il fragoroso rumore di vetri esplosi per l’intensissimo calore ruppe il silenzio notturno, la villa fu rapidamente avvolta dal fuoco che cancellò ogni eventuale traccia. La missione era compiuta! La macchina con calma partì lasciandosi alle spalle tutta quella violenza e tutto quel sangue versato, il quale sarebbe diventato soltanto un lontano e scomodo ricordo. Tutto quanto, sarebbe stato rimosso ancor meglio, dall’ingente valore in denaro che sarebbe stato equamente diviso a casa di Vanora, da lì a poco.

- L'introspezione di Vanora -

L'autovettura di Erika sfrecciava sempre più rapidamente man mano che si allontanava dalla villa del massacro. La ragazza non sapendo cosa fosse successo, ma intuendo che qualcosa di grave fosse capitato, cercò spiegazioni dal suo compagno, ma Big non le diede neanche il tempo di parlare. Appoggiò subito il suo dito indice sulle labbra intimandogli il silenzio, mentre un cenno negativo della testa lo rilevò, poi roteando l’indice della mano, le fece intendere che le avrebbe spiegato tutto, ma non in quel preciso momento. Lei capì la gravità della situazione. Intanto, diversamente dal solito, all'interno della macchina un silenzio

inquietante regnava incontrastato. Tutti e tre i killer erano taciturni. Per ora nessuno riusciva a sdrammatizzare la situazione, tutti avevano capito che questa volta, Vanora aveva davvero rischiato di morire e che ne era rimasta profondamente scioccata e traumatizzata. Infatti, per tutta la durata del viaggio di ritorno, rimase in un assoluto silenzio e con lo sguardo perso nel vuoto, fisso oltre il finestrino socchiuso alla sua destra. Un atteggiamento simile non era da lei, intanto Jack seduto alla sua sinistra le teneva la mano e sentendola freddissima e tremante cercò di scaldargliela massaggiandola con vigore. Lui aveva capito la situazione critica che Vanora stava vivendo, quindi cercò in ogni modo di farle sentire la sua vicinanza, dimostrandola con i fatti. Non ottenne alcun risultato, lei al momento era totalmente ermetica e catatonica. L’improvviso rumore di una sirena in avvicinamento ruppe bruscamente il silenzio di quell'imbarazzante situazione. Big mal trattenne una bestemmia, poi d’istinto si nascose il volto con la mano destra per il timore che fosse una pattuglia della Polizia. Erika lo rincuorò, facendogli notare che si trattava solo di un automezzo dei pompieri. Questo venne loro incontro, nella carreggiata opposta, sulla sinistra e rapido gli ò accanto fino a sparire in pochi secondi, alle loro spalle. I tre lo guardarono scomparire in lontananza seguendone il percorso dallo specchietto retrovisore posto davanti ai loro occhi, tranne Vanora che rimase costantemente assente e imperturbabile. Quando giunsero in prossimità della sua abitazione, la ragazza si ridestò all’improvviso palesando una ritrovata sicurezza. Ordinò: «Ok, missione compiuta… Però per i pagamenti ci vediamo da me domani, se volete andare a

festeggiare fatelo pure, io stasera non ne ho voglia. Mi va solo di farmi un bagno caldo e di dormire.» Jack d’istinto le rispose: «Se vuoi…» Lei lo interruppe subito: «Stasera voglio stare da sola.» Poi si avvicinò alla sua bocca, lo baciò e gli sussurrò all'orecchio:«Tranquillo, tesoro. Lo so che ci sei e che vorresti starmi vicino,lo sai che lo apprezzo. Ma non stasera. Ok?» Lui ammutolì, e capendo la situazione, non insistette oltre. La ragazza scese dal mezzo, e incerta nel camminare per via dei tacchi alti, barcollante aprì il cancello esterno della casa sparendo lentamente dalla sua vista. Lui la seguì con lo sguardo, preoccupato si accese con nervosismo una sigaretta, poi si voltò verso i suoi colleghi e fece cenno che potevano tutti andarsene. Nessuno aveva voglia di festeggiare, quindi dopo un rapido saluto, tutti e tre raggiunsero le loro autovetture e si diressero alle reciproche abitazioni. Nel frattempo Vanora, era entrata nel suo appartamento,richiuse la porta blindata dietro di se e poi si sdraiò sul letto. Rimase immobile per qualche minuto a fissare il soffitto cercando di rilassarsi ma non ci riuscì, si sentiva ancora agitata e scossa. Quindi si alzò, ma a fatica, in quanto aveva dolori ovunque. Girandosi vide la sua figura riflessa nello specchio appeso alla parete. Non si riconobbe, si chiese chi fosse quella donna, e pur sapendolo, volle comunque cancellarne l’immagine dalla sua mente. Doveva dimenticare quella serata ad ogni costo, doveva rimuovere tutta quella paura provata e quel senso d’impotenza e di fragilità accumulata, per ritrovare la vera Vanora di sempre, forte e sicura di sé.

Decise allora di spogliarsi rimanendo in perizoma, ma neanche quello gli apparteneva, quindi decise di toglierselo, rimanendo totalmente nuda. Doveva darsi una ripulita al corpo e all'anima per ritrovare davvero se stessa, quindi si recò subito in bagno. Mentre camminava, sentì un crescente e forte dolore che dalla regione lombare s’irradiava fino alla sua nuca culminando in un grosso bernoccolo. Subito le ritornò alla mente la causa di tutto ciò, ossia la violenta caduta provocata dal suo assalitore. Giunta in bagno raggiunse il lavandino, appoggiò le mani su di esso e si guardò di nuovo allo specchio. La prima cosa scioccante che notò era il collo, era totalmente livido e dolorante al punto da non poterlo neanche toccare con delicatezza, i suoi occhi erano rossissimi e gonfi. Un forte torcicollo limitava i movimenti della sua testa, i capelli erano impastati e induriti dal sangue rappreso. La sua pelle, in alcuni punti, era ancora sporcata da radi schizzi di sangue della sua vittima, come le pieghe delle sue mani ancora lordate di plasma raggrumato. Subito aprì il rubinetto facendo sgorgare abbondante acqua tiepida, in modo nervoso e compulsivo iniziò a lavarsi ovunque usando una saponetta, che in pochi minuti si tinse di sfumature rossastre. Dall'eccessiva foga, questa le sfuggì di mano cadendo sul pavimento fino a sparire dalla sua visuale. La ritrovò infilata tra il WC e il bidè situati dietro di lei. Per via dei dolori provati nel piegarsi a raccoglierla, con molta fatica la raggiunse e infine la buttò in malo modo nel lavandino. «Cazzo! Stasera mi va tutto storto! Cazzo! Cazzo!» Vanora iniziò a imprecare a voce alta, ma quasi subito la rabbia iniziale mutò in

un pianto profondo. Singhiozzante, si asciugò le lacrime, poi le parti del corpo oramai ripulite. Si sedette sul bordo della vasca. Sentì subito, sotto il suo sedere nudo e dolente, il fastidio provocato dalla fredda ceramica di cui era costituita la vasca stessa. Pensò: «Che stupida che sono, ma che faccio senza mutande! Ma che diavolo mi sta succedendo?!» Si sentiva impacciata, spaesata e soprattutto fragile!Questo stato d'animo per lei era inconcepibile, ma non riusciva a mutarlo e ciò le creava altra ansia.Doveva calmarsi! Vanora diede fondo a tutta la sua razionalità. Prima di tutto doveva ripulirsi del tutto. Iniziò a lavarsi i capelli; se li bagnò abbondantemente, ma erano talmente sporchi di sangue che subito ne scaturì un'acqua insudiciata di rosso e di grumi materici, che in poco tempo iniziarono a tingere l'interno della vasca. Un improvviso conato la fece sobbalzare, Vanora resistette all'impulso di vomitare, riuscendo a fatica a portare a termine ciò che si era prefissata di fare. Infatti, nonostante il disgusto, riuscì a lavarseli utilizzando abbondante shampoo profumato, che però gli fece ritornare il malessere precedente. Poi non ce la fece più, la nausea era ormai ingestibile, non aveva più altra scelta, ne diede sfogo! Fece appena in tempo a raggiungere il WC, vi infilò dentro la testa e iniziò a rimettere. Tremante si rialzò, ora un gusto schifoso le riempiva la bocca, quindi tornò al rubinetto del lavandino a sciacquarsela con dell’acqua fresca. Alzò gli occhi ritornando a specchiarsi, ma era come se non si vedesse. Si sentiva totalmente svuotata.

La nausea dopo una decina di minuti scomparve. Rimase comunque una forte sensazione di freddo in tutto il corpo, e un senso di debolezza latente. Decise di coprirsi, uscì dal bagno e si recò al suo armadio; si mise un paio di mutande pulite e una canottiera di cotone, calzò un paio di calde ciabatte e indossò un morbido pigiama. Per circa cinque minuti rimase sdraiata immobile sul letto, poi s’infilò sotto le coperte nell'intento di scaldarsi. Appena si sentì un po’ meglio, decise di ritornare in bagno per continuare a ripulirsi. Doveva farsi un rilassante e purificante bagno, però prima doveva disinfettare la vasca. Così fece; ora era possibile riempirla d'acqua calda. Ci versò una dose abbondante di bagnoschiuma che creò una soffice e profumata spuma biancastra. Si rispogliò e ci s’immerse, lasciando emergere solo la testa. Con una morbida spugna iniziò a lavarsi con cautela, poiché ovunque ava, le procurava dolore. Riprese a piangere, in modo sempre più convulso, Vanora non riusciva a trovare un conforto, si pentì amaramente di non aver fatto salire Jack in casa sua. Lui, con il suo amore, l'avrebbe di sicuro aiutata, di questo ne era certa. Ora si sentiva sola, ed essendo orfana come il suo amico d’infanzia Big, conosceva a fondo la mancanza di un affetto sincero. Si appisolò nella speranza di dimenticare tutta quella tristezza provata che le straziava l'anima. In quella vasca, man mano, si sentì come cullata e avvolta da una specie di liquido amniotico che le donava una nuova vita,quella che non aveva mai avuto prima.

Tutto quel pianto le ricordò l'esperienza di una rinascita. Finalmente capì l'importanza di Jack che rimaneva l'unica persona ad amarla incondizionatamente e che le sarebbe stato accanto comunque e sempre, fino alla fine dei suoi giorni. Comprese appieno la preziosità e la bellezza di questo sentimento. Un dono d’inestimabile valore che l’era capitato all'improvviso,facendo breccia in quella sua assurda e dannata vita. Non avendo alcuna fede non seppe che Dio ringraziare, ma capì che oramai qualcosa di buono le era finalmente capitato! Decise che avrebbe condiviso con lui ogni momento. L'aver provato in prima persona la paura di morire la destabilizzò molto, però le provocò anche una nuova visione della vita. Per la prima volta, ne intuì il valore, e l'importanza di poter aggiungere significato a ogni giorno ato su questa terra. Ma come avrebbe fatto, in pratica? Che cosa avrebbe potuto fare? Tutto ciò le era troppo complicato e sconosciuto. Soprattutto per una ragazza come lei, che nella vita aveva soltanto imparato a coltivare l'egoismo più assoluto. Lei sapeva essere solamente: calcolatrice, fredda, spietata e soprattutto cinica. Oppure no? Stava cambiando qualcosa di fondamentale dentro di lei?!Lentamente uscì dalla vasca. Si asciugò, si rimise il pigiama e tornò a letto. Nel buio della stanza, la sua mente continuò a ragionare fino ad arrivare a capire

un'altra cosa molto importante. In questo caso, l'intuizione fu subito chiara e alla sua portata. Comprese che quella maschera da dura che aveva sempre indossato, iniziava ad andarle piuttosto stretta, diventando altrettanto ingombrante. Si chiese perché mai non poteva assecondare la sua esigenza di conforto, perché non poteva esprimere liberamente la sua fragilità come qualsiasi altra donna normale. La sua mente era piuttosto destabilizzata. Lentamente un nuovo senso della vita iniziò a fare breccia dentro di lei. Vanora decise di ascoltare le intuizioni provate con molta attenzione, nell'intento di assecondarle almeno in parte. Solo nella pratica quotidiana, giorno dopo giorno si sarebbero rivelate degne di essere seguite oppure no. Anche in questo caso la strada le avrebbe dato la risposta definitiva. Come al solito, dopo tutto! Prima di andare a dormire però provò a truccarsi; con sollievo scoprì che sarebbe bastato un po’ di fondotinta e pochi altri prodotti di bellezza, per mascherare i segni di quella scomoda serata. L’indomani sarebbe stata a suo agio con tutti. La Vanora di sempre…

- A casa di Jack

Jack stava ando una pessima nottata, ogni suo pensiero era diretto verso le

condizioni psicofisiche di Vanora, oramai erano circa le tre di notte e lui era ancora sveglio. Cercava inutilmente conforto nell'alcol. Dopo l'ennesima birra, la sua attenzione fu bruscamente distratta da alcuni strani versi che udì provenire dall'esterno della casa. Per capirne la causa, andò alla finestra e si soffermò a osservare due gatti che stavano litigando nel cortile sottostante. I loro musi erano a pochi centimetri l'uno dall'altro, le loro orecchie erano abbassate, mentre una grossa cresta di pelo rigonfiava l'apice del loro dorso sfociando in un'imponente e ingrossata coda. Ogni loro muscolo era teso, pronto a scattare fulmineo e nonostante la tensione crescente, per ora tutto era bloccato come in una sorta di fermo immagine. Nel frattempo, i due animali continuavano a emettere strani e vigorosi miagolii. Questi, una volta raggiunte delle frequenze molto acute, sembrarono ricordargli delle cupe grida strozzate. Jack udendo quegli strani suoni gutturali rimase frastornato, inaspettatamente gli fecero quasi paura. Infatti, durante il culmine di uno di questi, piuttosto acuto e intenso, un forte brivido improvviso lo scosse; facendolo d’istinto indietreggiare dalla finestra. Con cautela ritornò a osservare la scena, arrivando a formulare un semplice ragionamento. A differenza di loro tre che uccidevano nell'ombra, e con l'ausilio di armi sofisticate, questi felini si affrontavano in modo palese e diretto. Capì che questo modo di combattere dimostrava vero coraggio,ma volle minimizzare l’intuizione tornando a godersi l’ebrezza generata dall’ennesima bevuta. «Che vinca il migliore di voi, e poi… Fottetevi bestiacce!» concluse intontito

Jack. Non aveva voglia di dar spazio ad altri sensi di colpa, tantomeno di approfondire scomodi raffronti; dopo tutto, quella sera, era troppo preoccupato e ubriaco. Decise allora di allontanarsi dalla finestra, dirigendosi verso la sua birra appoggiata sul tavolo poco distante. Si riempì il bicchiere e fece un lungo sorso che subito gli rinfrescò la gola, malauguratamente non ottenne il medesimo risultato per i suoi turbamenti che rimasero tali. La sua mente continuava imperterrita a ripensare alla sua Vanora. Si sedette di nuovo sulla sedia e si accese un'altra sigaretta, con la mano sinistra prese il suo cellulare che prima aveva appoggiato sul tavolo, spinto dalla necessità di chiamarla. Col pollice selezionò l'opzione RUBRICA e scelse di entrarvi, fece scorrere rapidamente i nomi fino ad arrivare a quello della sua amata. Subito, però le tornò alla mente ciò che lei gli aveva detto poco prima, quindi si bloccò. Lei voleva solamente essere lasciata in pace! Quella sera voleva starsene da sola! Lui doveva assecondarla. Dalle storie d'amore precedenti, Jack aveva imparato una sola regola, che a suo modo rimaneva quella fondamentale: «Quando la situazione amorosa funziona bene, piuttosto che fare un'azione sbagliata, è sempre meglio non fare nulla che possa rovinare quell'equilibrio raggiunto, anche se precario». Si sentì impotente come un animale in gabbia! Con rabbia spense la sigaretta, poi si spostò sul divano cercando di ritrovare la lucidità necessaria per fare la cosa più giusta in quella delicata situazione. Lui avrebbe sacrificato la vita per starle ancora accanto, ma comprese che questa volta non poteva fare proprio nulla.

Per superare il trauma vissuto, Vanora aveva davvero bisogno di starsene da sola. «Sarà giusto starsene in disparte?!» Se lo chiese per un’ultima volta, ma lasciò sfumare anche questo dubbio. Dopo tutto, il giorno seguente, l'avrebbe comunque rivista. Controvoglia s’impose di andarsene a dormire. Vagando per la stanza, si rese conto che era esausto a causa delle conseguenze di quell'intensa, violenta, scioccante e assurda serata. Per fortuna si sentì abbastanza sbronzo e riuscì a scacciare i fantasmi generati dai ricordi delle uccisioni di quella notte, e a rimuovere dalla sua mente le immagini dei loro cadaveri orribilmente straziati. Barcollante si tolse i vestiti. Rimase in mutande e maglietta, salì sul soppalco di legno raggiungendo a fatica il suo letto, come sempre tutta la birra ingerita poco prima, agevolò molto il suo sonno! Jack nel giro di pochi minuti si addormentò profondamente.

SETTIMO CAPITOLO La rissa

L'indomani, dopo l'abbondante pagamento a casa di Vanora, per i tre giunse finalmente il momento di festeggiare l'ennesimo successo. In fin dei conti l'ultima missione si era conclusa in maniera quasi perfetta. Decisero che una bevuta al CAMARILLO BRILLO era l'ideale per coronare l'ennesima, meritata vittoria. I tre erano entusiasti e decisero di incontrarsi al locale per le ore ventitré, prima però Big e Jack andarono alle rispettive abitazioni a mettere al sicuro il loro cospicuo malloppo. Milano, quella sera era in balia di un improvviso e potente temporale primaverile, forti lampi e alterni scrosci di pioggia creavano un'atmosfera alquanto suggestiva. Il clima era mitigato da temperature piacevoli che raggiungevano i diciotto gradi, il Naviglio si era comunque saturato d'acqua che scorrendo rapida e costante, riempiva i suoi argini. I tre giunsero al locale all'unisono. Sulla porta si salutarono calorosamente e vista la pioggia incalzante, decisero di entrarvi in fretta. Il pub era semivuoto e dopo aver scambiato quattro chiacchiere con i gestori Pietro e Antonio, che conoscevano ormai da un bel po’ di tempo, si sedettero a un tavolo di legno. Ordinarono tre birre medie e iniziarono a sorseggiarsele gustandone l'effetto inebriante. Jack e Vanora si lasciarono andare in tenere effusioni amorose, in attesa

dell'arrivo di Erika che per motivi di lavoro li avrebbe raggiunti senza fretta. Infatti, nell'arco di quindici minuti giunse alla birreria e si unì al gruppo. La serata procedeva in modo piacevole, Jack rimase felicemente colpito dalla serenità ritrovata di Vanora, che si dimostrava particolarmente affettuosa nei suoi confronti. Dentro di sé percepiva con chiarezza la forza del loro amore che sembrava ancor più rinvigorito. Forse qualcosa d’importante era successo dentro di lei, questo traspariva dalla profondità del suo sguardo e dai suoi gesti che erano palesemente più teneri e femminili. Jack era felice! Di sicuro anche lei, che con libertà esprimeva tutto il suo amore come non aveva mai fatto prima. Anche Big e la sua ragazza avevano compreso la situazione, e scelsero di festeggiare questa novità a modo loro. Decisero di uscire dal locale per fumarsi una canna rollata in precedenza. Jack li seguì per l'impellenza di gustarsi una sigaretta, resa ancora più appetibile dal gusto lasciato in bocca dalla prima birra. «Vanora, io ho voglia di fumare, tu che fai esci con noi?!» disse Jack alzandosi dalla sedia e dirigendosi verso la porta del locale.«No io vi aspetto qui, andate pure. Vado un attimo in bagno, ordino il secondo giro di birre e attendo il vostro ritorno,» rispose la giovane sorridendo. Jack ritornò momentaneamente da lei per assecondare la reciproca voglia di un ennesimo, tenero bacio. Da esso, nacque un nuovo e intenso abbraccio che si sciolse dopo alcuni istanti. Le loro mani si separarono lentamente, mentre i loro sguardi esprimevano tutto l'amore provato.

Jack sorridendo uscì dal locale. Nel frattempo tre uomini di circa trent'anni, dall'aria poco raccomandabile entrarono nel pub. Jack li notò, mentre si dirigevano con modi alquanto strafottenti dai gestori del locale. Giunti al bancone, i tre ordinarono in modo arrogate le loro reciproche consumazioni. Jack ebbe una sorta di presentimento negativo, ma non volle assecondarlo più di tanto. Non curante si gustò la sua sigaretta, scherzando amabilmente con i due suoi amici all'esterno del locale. Al rientro, però una scena inaspettata gli raggelò il sangue. I tre provocatori si erano seduti al loro tavolo, e senza ritegno importunavano Vanora che imbarazzata e infastidita li respingeva a fatica. Jack raggiunse rapidamente la sua ragazza, seguito a breve distanza da Big ed Erika. Sentì il sangue iniziare a pulsare con forza nelle sue tempie, mentre l'adrenalina iniziò a velocizzare i suoi battiti cardiaci. Jack serrando i pugni, freddamente chiese: «Vanora c'è, qualche problema?!» Lei rispose: «Tranquillo me ne occupo io, i signori se ne stavano andando! Giusto?!» Uno dei tre si alzò di scatto, iniziando a minacciare direttamente Jack. Si avvicinò fino a mettersi a pochi millimetri dal suo naso e gli gridò: «E tu chi cazzo sei?! Cerchi rogne?!» Jack con lentezza si girò verso destra, e scorse lo sguardo furioso ma trattenuto di Big, poi riportò la sua visuale alla posizione iniziale.

Rimase in silenzio, mentre imibile fissava negli occhi il suo avversario. Fece un o indietro, poi fulmineo gli tirò una potente testata sul setto nasale, spezzandoglielo di netto. Il sangue iniziò a defluire copioso dalle narici dell'uomo stordito, che lentamente si accasciò sul tavolo sottostante. Increduli, gli altri due provocatori, si voltarono di scatto verso Jack gridandogli: «Ok bello, ora sono cazzi tuoi!» Big s’intromise subito, con una spallata spostò Jack verso sinistra, poi iniziò a sferrare pugni potenti e veloci che nel giro di pochi minuti stesero i due contendenti rimasti. Anche se la rissa era terminata in poco tempo, la situazione era ormai irrimediabilmente sfuggita al loro controllo. Vista la loro doppia vita, dovevano andarsene prima possibile per evitare che potesse giungere la Polizia. Pagarono generosamente i gestori del pub, Pietro e Antonio con cento Euro, e corsero alle rispettive automobili. Uscendo dal locale, Vanora ordinò ai suoi compagni di trovarsi a casa sua prima possibile! La fitta pioggia che li accolse in strada, non rinfrescò gli animi agitati. In pochi minuti tutti e quattro raggiunsero le loro rispettive autovetture. Trafelato, Jack entrò nella sua macchina e accese il motore. Per la foga attivò il tergicristallo anteriore alla massima velocità,gli sembrò che rispecchiasse la sua alterata frequenza cardiaca. Lo regolò subito. Esausto si appoggiò al volante, mentre tentava di riprendere fiato. Dall'affanno provocato per la veloce corsa, i suoi polmoni sembravano duolergli.

Sentiva ogni inalazione bruciargli dentro e nonostante cercasse di calmarsi, quel dolore stentava a lenirsi. Solo dopo un paio di minuti cessò. I suoi respiri ritornarono a essere regolari e calmi e le pulsazioni cardiache rallentarono di conseguenza. Ora Jack era più tranquillo. Si accese una sigaretta e per far uscire il fumo, abbassò completamente il finestrino alla sua sinistra. Subito alcuni schizzi di pioggia entrarono in diagonale nell'abitacolo bagnandogli il viso ancora accaldato, inclinò la testa verso l'esterno per meglio agevolare questa piacevole sensazione. Ora il suo viso era bagnato e fresco. Sentendosi rinfrancato, rialzò il finestrino quasi del tutto. Poi si rese conto che aggrottando le sopracciglia provava un forte dolore, che nasceva e s’irradiava da una zona livida situata poco sopra di esse. Volle approfondirne la causa. Jack si guardò nello specchietto retrovisore alla sua destra,quando si avvicinò ulteriormente, notò al centro della sua fronte una tumefazione. Capì che era provocata dalla testata che aveva inferto al suo avversario, e in particolare dalla durezza del setto nasale che gli aveva spezzato poco prima. «Figlio di puttana, pensavi di farmi paura. Invece, eccoti sistemato per bene!» Pensò orgoglioso Jack, ancora galvanizzato dall'aver dimostrato al suo avversario il suo valore. Per un attimo gli tornarono alla mente i due gatti che aveva osservato litigare la sera precedente sotto casa sua. Insomma si sentì all'altezza del loro coraggio, sia perché aveva dimostrato tutto

il suo coraggio, sia perché l'aveva fatto senza l'ausilio di alcuna arma. Ora però doveva andare prima possibile dalla sua donna. Nel frattempo la sua sigaretta era terminata, la gettò fuori dall'abitacolo e partì verso casa di Vanora guidando con estrema calma, facendo attenzione a non dare nell'occhio. Ci arrivò in circa mezz’ora. Appena vi giunse, parcheggiò la macchina e spense il motore, quindi scese dall'auto e s’incamminò diretto al citofono esterno della casa. Prima di pigiare il relativo pulsante alzò la testa per alcuni secondi, rimanendo a osservare la finestra dell'appartamento di Vanora. Scorse sagome scure di ombre agitate muoversi da dietro le tende. Sentì dentro di sé che qualcosa di grave era successo, quella maledetta serata non sarebbe dovuta andare, ma soprattutto, finire così! Premette il pulsante, poi teso e inquieto si presentò: «Sono Jack…» Vanora rispose freddamente: «Sali!» Un vortice di dubbi e preoccupazioni lo scosse entrando in ascensore, mentre una rabbia impotente e trattenuta, cresceva man mano che si avvicinava alla sua meta.

- Da Vanora

L'ascensore giunse al terzo piano, appena un sobbalzo di assestamento e dopo un paio di secondi le porte si aprirono. Jack fece tre i e ne uscì, con calma si diresse verso destra. Preoccupato, iniziò a percorrere il breve corridoio che portava all’unica porta blindata presente infondo all’androne, su di essa si stagliava una targhetta dorata con incisa la scritta NERI.

Mentre si avvicinava, sentì un crescente rumore di voci che si accavallavano a vicenda, culminando in alcuni casi, in toni alquanto accesi. Arrivò alla porta, si accorse che era socchiusa. Jack lentamente la aprì, richiamando l'attenzione dei presenti e provocando uno stacco improvviso a quella vivace discussione. «Ehi! Si può sapere cosa succede?» chiese Jack avvicinandosi a Vanora nell'intento di un contatto affettuoso. Vanora gli rispose adirata, scansando le sue mani e allontanandosi da lui nervosamente. «Che succede?! Succede che siete due stupidi! Ecco cosa succede! E non provare a chiedermi il perché! Cazzo, ma lo volete capire che siamo dei professionisti o no! Riuscite a farvi entrare in testa questo concetto: P -R -O -F E -S -S -I -O -N - I - S -T – I! Cazzo! Invece voi che cazzo fate?! Vi azzuffate come degli stupidi cowboy in una rissa da saloon! Cazzo non ci posso credere!» Big tentando di sdrammatizzare l'incresciosa situazione le rispose: «Ma dai Vanora! Non esagerare, di cosa ti preoccupi?! Per tre poveri stronzi che si sono presi la loro giusta dose di mazzate? Ma per favore!» Vanora lo interruppe bruscamente: «Vedi Big che non capisci! Non è questo il punto, tantomeno se fosse più o meno giusto che quelli si meritassero una lezione! Il fatto un altro! Noi siamo dei killer! Lo capisci che noi non esistiamo! Invece quando siamo in un pub, siamo tre persone normali che si devono comportare in maniera normale! Ci sei?! Mi spiego meglio: noi non possiamo permetterci di dare nell'occhio! Noi non possiamo permetterci di avere problemi con la Polizia! Non possiamo permetterci di rischiare una denuncia per rissa! E lo sai perché?! Se non lo sai, te lo dico io Big: perché noi siamo dei SICARI con alle spalle una quantità tale di morti ammazzati, che io oramai ne ho perso il conto! Non possiamo rischiare che s’indaghi su di noi. E' chiaro ora il concetto?!» Big rimase ammutolito per alcuni istanti, poi guardò Jack ed Erika che erano in piedi in silenzio alla sua sinistra, cercò un loro sostegno, ma non lo trovò. Allora si rivolse di nuovo a Vanora che nel frattempo si era spostata nella zona cucina del suo loft.

Si era allontanata dal gruppo accendendosi nervosamente una sigaretta. Le chiese imbarazzato: «Secondo te allora cosa avremmo dovuto fare? Scappare con la coda tra le gambe come dei vigliacchi!» «Certo Big! Sarebbe stato sicuramente molto meglio! Lo capisci che ora, forse ci staranno cercando! Questa è la prima cosa da sperare che non accada! La seconda è che Pietro e Antonio non abbiano chiamato la Polizia!» Vanora scocciata voltò loro le spalle, rimanendo girata verso l'ampia finestra situata di fronte a lei. Rimase in silenzio per alcuni istanti, poi aggiunse lapidaria. «Comunque basta, ora sono stufa. Andatevene via tutti, devo solo trovare il modo migliore per risolvere questa maledetta situazione». Dopo pochi secondi di silenzio finì il concetto: «Dai ci penso io, sistemo tutto io. Big ti chiamerò domani. Jack tu aspetta un attimo.» Big ed Erika in silenzio uscirono dall'appartamento richiudendo la porta dietro di loro. Jack raggiunse Vanora che continuava a dargli le spalle, iniziò a parlarle nella speranza di recuperare almeno in parte quello splendido rapporto che fino a poche ore fa sembrava sempre più consolidato. «Vanora, io non ho parole. Non so cosa dirti, mi dispiace veramente per ciò che ho fatto. Hai ragione tu, sono stato uno stupido! Un fottuto stupido! Non ho dimostrato di essere un professionista. Mi sono fatto prendere dall'impeto e non ho usato il cervello, io ho guardato soltanto Big e lui…» Vanora seccamente lo interruppe. «Io cosa ti avevo detto?» «Che te ne saresti occupata tu.» «Perché non mi hai ascoltato, pensavi che non fossi capace di gestire la situazione?»

«Certo che no Vanora! Solo che mi sono fatto pren…» «Prendere dall'impeto. Questo me lo hai già detto Jack! Cos'è,per caso volevi difendere la tua dama come un cavaliere medioevale dall'armatura scintillante!» Appena provò ad aprir bocca, Vanora lo interruppe ancora,quindi si voltò verso di lui e lo guardò dritto negli occhi.Appena scorse il suo sguardo preoccupato, però tutto l'astio iniziale provato nei suoi confronti, cominciò ad affievolirsi. Jack sconsolato le sussurrò: «Cosa devo fare?! Dimmelo tu!»Preso dalla disperazione, velocemente impugnò la sua pistola puntandosela sotto il mento, mentre una lacrima mal celata gli rigò il viso. Poi con fare deciso aggiunse: «Se lo desideri, io lo faccio.Dimmelo! Lo faccio io, oppure vuoi farlo tu?!» Vanora spiazzata da quel gesto disperato e inatteso, con un movimento rapido e perentorio della mano gli spostò l'arma e lo strinse a sé. Quell'abbraccio inaspettato ma fortemente sperato, provocò in Jack un crollo psicologico, sconsolato lasciò cadere il suo revolver. Si lasciò prendere da un pianto disperato, mentre a rilento s’inginocchiava. I due si sedettero sul freddo marmo rosaceo, avvinghiati l'uno all'altra. Stretta al suo uomo, Vanora tornò in sintonia col valore del loro amore. Mentre lo sentiva singhiozzare, gli baciò teneramente la fronte nell'intento di calmarlo mentre lei stessa stentava a celare la sua trattenuta commozione. Sapeva che doveva essere forte, oramai aveva compreso con chiarezza che aveva la vita di Jack nelle sue mani, e questo dono era un bene troppo prezioso.

OTTAVO CAPITOLO La vecchia Mala

-La sentenza -

Sfortunatamente Big e Jack avevano pestato i piedi alle persone sbagliate, ovvero i figli dei capi storici della vecchia criminalità locale. Dopo la rissa al CAMARILLO BRILLO, la Mala aveva esigenza di vendicare il torto subito e quest’offesa doveva assolutamente essere lavata col sangue. Non ci volle molto tempo per arrivare all'identificazione dei due condannati. Infatti, circa una settimana dopo, a Vanora giunse il profilo caratteristico e anagrafico delle persone che, per questa volta, solo lei doveva uccidere. Dopo averlo letto la ragazza, rimase incredula e sconvolta per l'inappellabile commissione:

Ecco le informazioni inerenti alle due eliminazioni.

BIAGIO LEONI, detto: BIG

Profilo anagrafico. Residente in via Bisceglie 71, 20147 Milano. Numero tel. 02415*****

Num. Cell. 333 64***** Orfano.

Profilo caratteristico. Esteticamente è grosso, imponente, corpulento e muscoloso, tatuato ovunque, ha lunghi dredlocks generalmente portati sciolti, oppure raccolti in un cappello di lana grezza. Nota. Dal 1995 a oggi sicario assoldato da Valeria Neri. Numero di omicidi compiuti a oggi: più di dieci.

JACOPO DRAGHI, detto: JACK

Profilo anagrafico. Residente in via Forze Armate 3, 20147 Milano. Numero tel. 0242***** Num. Cell. 333 75*****

Profilo caratteristico. Esteticamente è un bel ragazzo, moro, occhi verdi,capelli mediamente lunghi e generalmente raccolti con del gel o legati in una coda. Non è particolarmente avido di denaro, uccide mosso da interessi a noi sconosciuti.

Nota. Da tre mesi nuovo sicario assoldato da Valeria Neri. Numero di omicidi compiuti a oggi: meno di dieci

Alleghiamo foto di entrambi.

L’eliminazione dei due deve essere portata a termine entro il tempo massimo di un mese da oggi, ed eseguita personalmente da Valeria Neri.

Vanora era allibita. Totalmente incredula, fece cadere dalle mani la missiva appena ricevuta, mentre un improvviso capogiro le fece quasi mancare le forze per alcuni secondi. Si voltò verso destra alla ricerca di una sedia su cui accomodarsi per riprendersi dallo shock. La trovò e si sedette, cercò di calmarsi facendo lenti e profondi respiri, che pian piano riuscirono a rilassarla. Ora si sentiva un po’ meglio. Si ò le mani fra i capelli, poi ancora sbalordita alzò lo sguardo verso l'alto, come se fosse alla ricerca di un'ispirazione o di una spiegazione per quella sorte avversa. Non trovandola, si sforzò di tornare a essere razionale, come sempre. Subito comprese la gravità della situazione. Le era capitata proprio l'unica cosa che non sarebbe mai dovuta succedere; uccidere i suoi amici, ma soprattutto la persona che amava. Si alzò in piedi.

Scuotendo il capo con lenti e ripetuti cenni di negazione, iniziò a camminare nervosamente per il suo appartamento, nell'intento di dare sfogo alla rabbia repressa e a quella tensione che la attanagliava. Per ora non riusciva a trovare una soluzione a questo enorme problema, si sentiva come rinchiusa in un intricato labirinto, senza alcuna via d'uscita. Tutto ciò che aveva fatto, di colpo si erano ritorto contro. Era come se il destino, improvvisamente le portasse il conto nell'intento di punirla senza alcuna pietà, facendole pagare fino in fondo e senza sconti, le conseguenze delle sue aberranti azioni compiute in tutti quegli anni ati a commettere efferati omicidi. Le sembrava di vivere in un terribile incubo. Magari lo fosse stato! Vanora avrebbe dato qualunque cosa per trovarsi per davvero in un brutto sogno, almeno una volta risvegliata, tutto si sarebbe risolto da se. Ma non lo era! Purtroppo questa era pura realtà! Ossia, una sentenza inappellabile che lei doveva per forza portate a compimento, da lì a poco.

- Vicolo cieco -

Era quasi il tramonto e Vanora volle distrarsi da quell'orribile situazione senza via di uscita in cui si trovava adesso. Scelse di andare sul balcone per meglio gustarsi quel meraviglioso spettacolo della natura che le si presentava davanti a suoi occhi, e che forse non avrebbe più avuto possibilità di vedere. Appena aprì la porta-finestra della sala, una fresca brezza le fece accapponare la pelle, mentre un brivido di assestamento termico scosse di colpo il suo corpo. Davanti ai suoi occhi profondi e tristi, ora si presentava un panorama mozzafiato.

Sopra a una città ancora in fermento, si rincorrevano enormi nembi grigiastri. Si stagliavano nettamente dal vivido rossore del sole calante appena visibile in lontananza, che a stento sfumava il colore del cielo che faceva loro da sfondo. Le imponenti nuvole si muovevano lentamente stratificandosi tra loro, poi nel loro scontrarsi generavano improvvisi lampi di luce che aggiungevano nuove e repentine tonalità luminose a quel cupo scenario. Gli uccelli volavano rapidi e nervosi, raggiungendo altezze tali da renderli appena visibili, mentre le prime gocce che toccavano terra provocavano quell'inconfondibile odore ferroso che annuncia l'arrivo di un potente temporale estivo. Vanora incrociò le braccia nell'intento di scaldarsi il corpo infreddolito, mentre le grosse gocce che le picchiettavano addosso iniziarono a diventare fastidiose. I leggeri vestiti indossati, iniziarono a bagnarsi. Era il momento di rientrare in casa. Prima però, ancora un profondo respiro, per gustare ancora e rimarcare quella caratteristica e conosciuta fragranza che riempiva l'aria pulita di quella strana sera. Ritornò dentro casa e provò altro. Sensazioni di vita vissuta e di morte imminente impregnavano l'atmosfera di quell’angosciante, lugubre atmosfera. Vanora accertava dentro di sé tutto questo, come in un continuo alternarsi d'immagini all'infinito. Stufa di subirle, come suo solito, s’impose un'assoluta razionalità. Si accese una sigaretta, riempì un ampio calice di buon vino rosso e appoggiò la bottiglia sul pavimento. Spense totalmente le luci del suo loft, e accese alcune candele aromatizzate davanti allo specchio che in lontananza la rifletteva,quindi si sedette sul divano-

letto posto proprio di fronte ad esso.Osservandosi con attenzione si chiese: «Eppure un modo per uscirne ci deve essere! Non può finire così, ci deve essere una soluzione! Forza Vanora ragiona, puoi farcela anche stavolta!» I suoi pensieri, erano però interrotti bruscamente dai lampi che illuminavano all’improvviso l'ampia stanza, seguiti da roboanti boati causati da tuoni esterni alla casa. La loro forza era tale, che sembravano addirittura capaci di far vibrare le pareti e alcune suppellettili appoggiate sui mobili circostanti. Vanora era quasi impaurita, come una bambina spaventata sobbalzava al loro bagliore, e si tappava le orecchie appena i fragori davano libero sfogo a tutta la loro forza. La ragazza si sentiva sola e in balia degli eventi. Un altro bicchiere di vino era necessario per rinfrancarsi, un ampio sorso le donò l'ebrezza necessaria per ritrovare la calma perduta. Appoggiò il bicchiere per terra di fianco alla bottiglia, si alzò in piedi e un lieve senso di vertigine la percorse. Barcollante si avvicinò allo specchio di fronte a sé, intanto ombre allungate e traballanti si producevano sui muri, erano generate dal suo corpo in movimento illuminato dalla luce instabile delle candele. Si appoggiò sul tavolo sottostante all'ampia specchiera e si fissò a lungo. Riprese a pensare a come risolvere il problema. Non si rese conto di quanto tempo ò in quella posizione. Un altro lampo, un altro boato interruppe quell'opprimente silenzio, cadenzato in sottofondo soltanto dal rumore incessante delle gocce di pioggia che picchiettavano all'esterno dell’edificio. Vanora finalmente arrivò a una soluzione plausibile. Capì che era possibile risolvere il problema, anche se ci sarebbero state delle

conseguenze radicali e devastanti per tutti e quattro. Anche stavolta ce l'aveva fatta! Si versò un altro bicchiere di vino per meglio festeggiare il trionfo, poi instabile si diresse ancora alla porta-finestra. Lentamente s’incamminò verso la meta prefissata, ma il semi buio della stanza non l'agevolò. Tutt'altro! Tantomeno l'effetto dell'alcol, che provocava in lei un'instabilità sempre maggiore. Il suo cuore iniziò ad aumentare le pulsazioni, mentre una sensazione di panico la accompagnava senza pietà durante il difficoltoso tragitto che stava compiendo. Arrivò alla meta con il cuore in gola, dietro di lei le gocce rossastre del vino caduto sul pavimento di marmo chiaro,tracciavano un percorso tutt'altro che lineare. Con la mano destra aprì la porta-finestra, mentre con la sinistra ancora impugnava il calice di vino oramai mezzo vuoto. Uscì sul terrazzo; subito un forte scroscio di fitta pioggia la fece indietreggiare, mentre l'ennesimo lampo illuminava quell'assurda scena. Vanora resistette, caparbiamente uscì sul balcone fino a raggiungerne il centro, quindi alzò il calice al cielo e brindò alla sua drastica scelta. Oramai aveva deciso e non poteva più tornare indietro. Bevve il vino rimasto, oramai annacquato dalla pioggia incessante, poi fradicia si sedette sotto l'acqua cercando di riprendersi dall'ubriachezza che la intontiva. Sentiva freddo, ma ora stava meglio. Per un attimo si domandò cosa stesse facendo lì fuori, realizzò l'attuale e assurda situazione, quindi scosse la testa e sogghignando, con fatica, si rimise in piedi. Appoggiò il bicchiere sul parapetto bagnato, quindi si affacciò guardando di

sotto. Voleva tornare alla realtà, semplicemente osservando la gente che ava sul marciapiede sottostante. Scorse una coppia di ragazzi che, mano nella mano, correva cercando riparo dall'incessante pioggia. Si misero sotto la tettoia di un negozio oramai chiuso. I due si scrollarono di dosso l'eccesso di acqua che bagnava i loro vestiti, poi sorridenti iniziarono a parlare, infine si abbracciarono. Ne seguì un inteso e lungo bacio. I capelli fradici di Vanora limitavano buona parte della sua visuale, lei li spostò indietro per meglio osservare quella tenera scena, mentre un senso di profonda invidia le strinse il cuore. Si confrontò con quelle due vite libere e normali; s'immedesimò,immaginandosele più serene della sua, anche se più ordinarie e banali. Ma erano vite libere! Un senso di sconfitta la pervase, mentre malinconicamente rientrava in casa. Accese la luce e richiuse dietro di se la porta-finestra. Dapprima un semplice singhiozzo strozzato in gola, poi la necessità di piangere crebbe e s’impose con forza. Vanora non ne diede sfogo mentre si dirigeva in bagno,trattenendo le lacrime a stento. Una volta giunta, si tolse i vestiti che oramai erano completamente fradici. Rimase nuda. Si sedette sul WC e cominciò a piangere, anche perché si rese conto delle terribili azioni, che da lì a poco, avrebbe dovuto compiere. Si sentiva prigioniera della violenza, e oramai condannata a subirne le inevitabili e devastanti conseguenze.

Si asciugò le lacrime, si alzò, andò al lavandino davanti a lei e si guardò allo specchio. Gli occhi gonfi, lo sguardo triste e vacuo rispecchiava in modo perfetto le condizioni emotive della sua anima dannata. Oramai però tutto era chiaro in lei.

- Uscita di sicurezza –

Vanora aveva capito come uscirne, dentro di sé ogni cosa aveva trovato la giusta collocazione. Bisognava soltanto agire! Ma non ora. Si fece forza e s’impose di andare a dormire, indossò degli abiti asciutti. Capì che doveva riprendersi al meglio per essere forte abbastanza da attuare il suo piano, che nel giro di pochi giorni le avrebbe cambiato radicalmente la vita. Prima cosa da fare era procurarsi dei falsi documenti per il suo amato Jack, necessari per agevolarne l'esilio forzato dopo aver inscenato la sua morte. Li fece preparare da un falsario di fiducia, abilissimo in questo campo e che conosceva da circa un anno. Come la maggior parte degli uomini che frequentava, anch'egli stravedeva per lei. Vanora si mise in contatto via mail da un’internet point, e concordato il giorno e l'orario dell’appuntamento, volle recarsi da lui di persona. Professionale come sempre, la ragazza giunse puntuale al luogo d'incontro prefissato; il suo laboratorio clandestino. Pigiò il tasto del citofono, e una volta aperto il pesante portone di ferro, scese nello scantinato sotterraneo.

L'uomo aprì la porta e la accolse sorridente, la fece accomodare su una sedia accanto al suo tavolo da lavoro, poi sfiorandole il viso con una mano, le disse: «Allora bellissima come stai? E' da mesi che non vedo il tuo bel viso. Cos'è tutta questa fretta?» Vanora replicò ironicamente: «Lo sai che nel nostro campo meno domande si fanno, più si vive a lungo.» «Hai ragione tesoro, era solo per chiacchierare un po’. Dopo tutto in questa topaia è piuttosto raro che ci entri una bella ragazza!» «Gaetano, sei sempre il solito marpione! Dai mettiti all'opera, forza che ho poco tempo!» «Mi hai portato la fototessera?!» «Certo, eccola. Se sarai veloce, quanto spero, oltre alla cifra concordata, avrai anche un regalino in più!» quindi con malizia,Vanora, gli sfiorò la cintola dei pantaloni. L'uomo galvanizzato dall'inaspettato gesto, si avvicinò alla ragazza nell'intento di un approccio carnale. «Prima il dovere e poi il piacere!» disse lei allontanandolo da sé in modo scherzoso. «Bambina, non provocarmi! Guarda qua, me l'hai già fatto diventare duro come un macigno!» «Lo sai che sono una ragazza di parola, quindi lavora. Lavora bene e in fretta. Io so essere molto generosa con chi mi soddisfa.» «Piccola sarò veloce più di un lampo! Aspettami su quel divano,massimo dieci minuti e i tuoi nuovi documenti saranno pronti!» «Ok stallone, ti aspetto lì. Nel frattempo darò una riata a quelle riviste porno che ho notato sul quel tavolino. Sai, magari imparo qualcosa di nuovo, anche se in questo campo mi ritengo molto preparata! Te ne accorgerai!» La ragazza prima di allontanarsi dall'uomo, gli palpò il pene indurito che si

palesava sotto i pantaloni sudici e maleodoranti. «Brava. Piccola hai sentito che bel pezzo di carne! E' tutto tuo! Guarda quelle riviste che poi mettiamo tutto in pratica!» L'uomo la seguì con lo sguardo mentre la giovane si allontanava da lui, fino ad accomodarsi in modo sensuale sul divano poco distante. Vanora prese in mano le piccanti riviste e iniziò a sfogliarle con attenzione, mentre in modo ammiccante riprese a spronare il falsario a fare in modo rapido il lavoro commissionato. «Dai, fai in fretta! Qui da sola mi annoio. Guarda un po’ questa foto, non credevo che una donna riuscisse a fare anche questo?! Gaetano, questa posizione la dobbiamo assolutamente provare. Ma solo se mi farai un lavoro perfetto, a regola d'arte!» «Cazzo, quanto mi attizzi, piccola mia! Ok, dammi solo tre minuti,e ho finito. Ma guarda un po’ che bel ragazzo che c'è sulla fototessera. Chi cazzo è questo? Va beh, non sono fatti miei. Niente domande! Altrimenti la mia bella Vanora s'incazza.» In pochi minuti, l'uomo terminò il suo compito e con orgoglio annunciò: «Bambina birichina, ecco fatto! A regola d'arte, come piace a te. Ora sono tutto tuo. Qual’ era la posizione che mi dicevi?» Vanora lo osservò mentre si avvicinava, nella mano destra stringeva con forza i nuovi documenti appena realizzati. Li appoggiò sopra alle riviste pornografiche. «Eccoti ciò che volevi! Ora bella mia, mantieni la tua parola e dammi ciò che mi devi!» Vanora sorridente lo fece avvicinare, poi una volta che il falsario si accomodò sul divano, affianco a lei, si alzò in piedi sfuggendo giocosamente ai suoi approcci erotici.

«Stallone, calma! Prima non vuoi essere pagato per il tuo duro lavoro?! Aspettami qui, vado a prendere i soldi dal mio portafoglio. Intanto spogliati!» «Come vuoi tu piccola, ma non fare la furbetta con me, perché rischi una sculacciata!» Vanora dandogli le spalle, si chinò a raccogliere la sua borsetta che era appoggiata sul pavimento, mettendo in luce il suo meraviglioso e sodo sedere. «Quello te lo sfondo, piccola mia! Ma non ti farò male, non ti preoccupare!» L'uomo, oramai era praticamente nudo, con la mano destra aveva iniziato a masturbarsi, mentre con ampi gesti della mano sinistra, invitava la ragazza a raggiungerlo. «Vieni bambina, vieni da papà che ti dà la caramellina che ti piace tanto!» Vanora era in piedi, ancora di spalle all'uomo. La sua mano destra era infilata nella borsetta. «Ma non mi farai del male, vero…?» Dopo questa frase, la ragazza si prese il tempo di un ultimo pensiero: «Bambina mia, piccola, vieni da papà..?! Che pedofilo schifoso! Ora ti aggiusto io!» si voltò verso la sua vittima, estrasse la sua pistola dotata di silenziatore e fece fuoco. Un solo colpo, preciso al centro della fronte; non era neanche necessario quello di grazia! L'uomo rimase freddato sul divano, le gambe aperte, la mano destra ancora appoggiata al suo pene, la testa reclinata all'indietro, la bocca spalancata e lo sguardo fisso verso il soffitto. «Eccoti sistemato, porco schifoso!» Nessun altro pensiero volle sprecare Vanora per quell'insulso pezzo di carne puzzolente.

Per la prima volta nella sua vita, provò vero piacere nell'uccidere qualcuno; questa volta c'era un alterato senso di giustizia che la motivava, diversamente dagli altri omicidi compiuti in ato. Questo atroce gesto, le sembrò quasi necessario, dovuto. Raccolse i documenti falsi, li infilò nella sua borsetta assieme all'arma e con calma si diresse verso l'uscita, aprì il pesante cancello di ferro stando attenta a non dare nell'occhio. La strada era deserta, s’infilò gli occhiali da sole dirigendosi alla sua macchina. Per ora tutto bene! La prima parte del suo piano era andata perfettamente. Adesso doveva solo proseguire allo stesso modo, Vanora in cuor suo, sapeva di potercela fare!

NONO CAPITOLO La separazione: il viaggio

Jack camminava nel suo appartamento, e in modo rilassato, fischiettando allegramente, era intento a preparare la sua valigia. Quella sera aveva il morale alle stelle! L'indomani, con la sua amata, sarebbero finalmente partiti per una lunga vacanza in Sardegna. Dal loro ultimo incontro erano ati soltanto tre giorni, ma questo distacco imposto, sembrò a Jack un periodo infinito. Lei gli aveva spiegato che era necessario are un periodo senza vedersi, per riuscire a sistemare al meglio tutti i problemi ancora irrisolti con la Mala. Jack comprendendo la particolare gravità della situazione, si sforzò di avere pazienza e confidando in Vanora, rimase in attesa dell'evoluzione degli eventi. La lieta notizia arrivò in modo inaspettato poche ore prima, e gli fu comunicata da Vanora stessa. La ragazza si affrettò a contattarlo telefonicamente per rassicurarlo, comunicandogli che oramai la situazione era sotto controllo. Affermò che era riuscita a sistemare tutto. Scendendo nei particolari, aggiunse che aveva già incontrato i loro capi, e aveva concordato la soluzione migliore per il loro problema. Ovviamente la trattativa era stata tutt'altro che semplice, ma alla fine aveva dato risultati soddisfacenti per entrambe le fazioni. Gli spiegò quindi come avrebbero agito.

Era fondamentale che il loro gruppo si dividesse per un lungo periodo, circa un mese, giusto il tempo necessario per fare in modo che le acque si calmassero. Poi la ragazza finì velocemente il discorso, dicendo che il resto glielo avrebbe comunicato al momento giusto, senza fretta e durante la loro vacanza. Oramai quella scomoda situazione era stata risolta, quindi potevano permettersi di parlarne con calma anche in spiaggia, magari sotto l'ombrellone, gustandosi un coloratissimo e rinfrescante cocktail. A Jack non interessava affatto conoscere e approfondire i particolari delle mediazioni intercorse con i loro boss, lui si fidava ciecamente di lei e non voleva sapere altro. Desiderava solo andarsene e godersi quella tanto agognata vacanza. Ora, però, doveva finire di preparare il suo bagaglio, ancora poche ore e poi sarebbe arrivato il momento della partenza. Un po’ di musica di sottofondo era necessaria per porre l’accento su tutta la gioia provata. Andò a selezionare un album tra i molteplici della sua vasta collezione, arrivando quindi alla scelta finale. Si chiese: «Bob Marley o i Madness?» optò per un vecchio album dei Madness. Il loro ritmo ska così leggero e cadenzato era perfetto in quella serena e insolita situazione. La musica iniziò, ma non prima di essersi rollato e uno spinello di maria, accompagnato da una birra fresca. Dopo alcuni tiri di canna, Jack facendosi trasportare dall'euforia, iniziò a ballare da solo per la stanza, mentre proseguiva soddisfatto la preparazione del suo bagaglio. Poi alzò il volume dello stereo e si lasciò andare a movimenti dinoccolati e meccanici, tipici del modo di ballare questo sound.

Agevolato dall'effetto inebriante della droga, si fece trasportare dal ritmo fino a perdersi fra le note, finché un affanno crescente gli fece rallentare i movimenti. Alla fine un forte giramento di testa gli impose una pausa. Ridacchiando tra sé e sé, barcollante si appoggiò a una sedia a lui poco distante, suo malgrado si accorgesse di essere rimasto senza fiato. Aveva ballato troppo. Spossato, abbassò al minimo il volume e si sdraiò sul divano; ora doveva riprendersi per riordinare al meglio le idee e terminare i suoi preparativi. Rimase immobile per alcuni minuti per meglio agevolare il suo rilassamento, una volta che lo ottenne, senza fretta si mise seduto. Riprese tra le dita la canna lasciata appoggiata nel portacenere sul tavolo adiacente e se la portò alla bocca, fece ancora due boccate dallo spinello semi consumato per terminarlo. Un'ultima scura nube di fumo denso uscì dalla sua bocca, poi con un lungo e rinfrescante sorso, terminò anche la birra che poco prima aveva versato nel bicchiere. S’impose un maggiore autocontrollo e cercò di terminare la preparazione dei suoi bagagli, nonostante si sentisse ancora troppo sballato. Jack frastornato si chiese: «Ma dove cazzo l'avrò messo il mio mitico costume da bagno nero?! No…! Non può mancare proprio in questa speciale occasione!» Il ragazzo era ancora confuso dall'effetto della droga, ma con ostinazione cercò quell’ultimo e fondamentale indumento che l'aveva sempre accompagnato nei suoi molteplici viaggi, una sorta di porta fortuna. Doveva assolutamente trovarlo, quindi si diresse all'armadio a muro in fondo alla stanza e iniziò a ispezionarne i cassetti. All’improvviso il trillo inatteso del telefono lo fece sobbalzare. Abbassò al minimo il sottofondo musicale e si precipitò a rispondere, ma un

lembo di un tappeto mal messo lo fece inciampare. Rimase in piedi a fatica e dopo una bestemmia mal trattenuta, riprese a correre riuscendo finalmente a raggiungere l'apparecchio. «Pronto?» «Ciao tesoro! Sono Vanora, allora come vanno i preparativi?!» «Ciao amore! Ma guarda, che ti devo dire… Non so, mi sembra sempre di dimenticare qualcosa.» Una fragorosa risata della ragazza interruppe quel dialogo formale, poi con ironia aggiunse: «Ma guarda che mica andiamo in Cambogia nella giungla incontaminata! La Sardegna ha ogni tipo di negozio!» La conversazione telefonica proseguì allegramente per alcuni minuti, terminando da lì a poco, con Ia comunicazione dell'orario d'incontro del giorno successivo. I due ragazzi ora erano felici. Per provocazione si schernivano a vicenda, parlavano e si atteggiavano come una qualsiasi coppia normale in procinto di una lunga vacanza, forse era l'espressione inconscia di una speranza condivisa. Avrebbero voluto cambiare vita, ma per gente come loro ottenere tutto ciò non era per niente facile, e lo sapevano bene entrambi. Sarebbe stato gratificante riuscirci anche solo per un mese, una preziosa conquista utile a fomentare la loro speranza nel futuro. Nella loro assurda condizione, essere semplicemente normali diveniva l'impresa più impervia, una meta quasi irraggiungibile, la cosa più difficile da ottenere. Inoltre, la loro non era soltanto una semplice vacanza di piacere, di questo Jack ancora non ne era ancora informato. Lui ancora non conosceva l'altra faccia della medaglia, che inevitabilmente, in modo spietato e radicale gli avrebbe cambiato il destino.

- Big ed Erika -

Il volo era cominciato, lo stacco da terra aveva procurato a entrambi una sensazione di schiacciamento su se stessi, e una repentina vertigine. Appena placata, le loro mani allentarono la presa che le univa saldamente. Ora non era più necessario lenire la tensione del decollo, il clima era più sereno e i discorsi potevano accompagnare tranquillamente quel breve volo, che li allontanava dalla loro dannata quotidianità. Jack interruppe il silenzio: «Non mi hai ancora raccontato di Big ed Erika?!» Vanora, si trovò spiazzata da quell'inaspettata domanda, ma sapeva che prima o poi sarebbe arrivato il momento di chiarire ogni cosa. Sul momento gli diede la versione ufficiosa dei fatti, quella reale gli sarebbe stata comunicata alla fine della loro vacanza. Spiegò che i loro compagni erano partiti per la Giamaica, rimanendo vaga sui dettagli inerenti alla durata della loro permanenza. Jack spalancò gli occhi, poi dopo aver dato un rapido colpo di pugno al palmo della sua mano sinistra disse: «Cazzo! Lo sapevo! Lo sapevo che quel bestione drogato se ne scappava proprio lì! Dove altro si poteva rintanare, se non nel regno della Marijuana?! Guarda, ti giuro ero indeciso tra Amsterdam e Giamaica!» Vanora non replicò, si limitò ad assecondarlo con sorrisi appena accennati, poi la conversazione scemò poiché la ragazza iniziò ad assopirsi. Jack vedendola assonnata si limitò a qualche coccola. Vanora sentiva il calore della mano di Jack che le accarezzava dolcemente il capo, quel senso di protezione le dava conforto. Dopo tutto, la sera prima aveva dormito pochissimo, per colpa della reale evoluzione dei fatti. Ovvero l'effettiva eliminazione di Big ed Erika.

Mentre si addormentava, ripercorse con la mente com’erano andate le cose la notte precedente, partendo dalla telefonata iniziale fatta a Big. «Ciao Big, sono Vanora. Senti, guarda che vi ho già preso i biglietti per Kingston.» «Grandissima! Grazie della bella notizia! Allora che faccio vengo da te a prenderli?!» «Bravo! Anzi tanto che ci sei, fai venire anche Erika che ho bisogno di spiegarvi alcune cose.» «Guarda che è già qui da me. In mezz'ora al massimo siamo da te. Ok?!» «No Big. Facciamo le cose per bene! Venite da me tra un paio d'ore. Ho ancora alcune cose da sistemare.» «Ok bella! No problem! Così ne approfittiamo per sarcela ancora un po’! Vero Erika?! Dai, te la o un attimo così ti saluta!» «Il solito scemo! Ma guarda te che ragazzaccio mi sono scelta!Ciao Vanora! Allora tutto bene?!» «Ciao Erika, tutto a posto! Dicevo a quel bestione del tuo ragazzo che ci vediamo da me tra un paio d'ore. Ok?» «Ok bella. Allora saremo da te per l'una.» «Perfetto, fate i bravi e siate puntuali! Ora siete liberi di continuare ad accoppiarvi selvaggiamente!» Big sentendo quell'ironica frase, strappò la cornetta del telefono dalle mani di Erika e aggiunse sogghignando: «Mi conosci proprio bene tu! Lo sai che sono un toro da monta!» «Si Big lo so. Come dici continuamente tu: sempre sballato, ma col cazzo sveglio e pronto all'azione!» «Giusto bella! A dopo.»

La conversazione terminò, il piano di Vanora stava andando alla perfezione. Ora lei aveva il tempo utile per recarsi da loro, attenderli sotto casa e al momento giusto ucciderli. Calcolò scrupolosamente il tempo necessario per raggiungere l'appartamento di Big e riuscire a disporsi al meglio per colpire indisturbata. Di fatto, Vanora già a mezzanotte arrivò a destinazione. Come sempre in queste particolari occasioni, indossò un vestito completamente nero e un amontagna del medesimo colore che le celava il viso, tutelandone l'identità. La sua pistola dotata di silenziatore aveva già il colpo in canna.La sua mente era lucida e determinata, nessuna esitazione,nessun rimpianto la turbava minimamente, il suo sguardo era glaciale, come sempre quando diventava un sicario professionista. Ora tutti i suoi affetti erano annullati. Oramai era solo questione di tempo, da lì a poco tutto sarebbe finito. La notte era piuttosto cupa; le poche stelle appena visibili, erano celate da spesse velature di nubi imponenti, come la luna che era appena visibile da dietro di esse. Tutto ciò agevolò molto Vanora, che nel frattempo si era già messa in un angolo oscuro di una strada senza uscita, situata perpendicolarmente al cancello esterno della casa di Big. Scelse quella posizione proprio perché vicino a lei, era parcheggiata la macchina della sua vittima. Con questo stratagemma, Big ed Erika le sarebbero andati incontro senza problemi, inconsapevoli dell'atroce destino che li stava attendendo. Infatti, nel giro di dieci minuti si aprì il cancello esterno della casa, Big uscì per primo e subito dopo giunse Erika che lo richiuse con cautela dietro di se.

I due iniziarono a incamminarsi verso la loro auto, dietro alla quale, nell'oscurità li attendeva Vanora. Durante quel breve tragitto, li udì scherzare amabilmente. I due parlavano in modo allegro, cercando di immaginare un periodo felice per entrambi in quella lontana isola, dopo tutto il loro arrivo a Kingston era prossimo. Purtroppo per loro, era solo quello che credevano! Osservandoli e ascoltando i loro dialoghi, Vanora provò un'improvvisa esitazione che stranamente la pervase. Per un attimo abbassò l'arma, il suo sguardo si fece cupo e incerto. Per un attimo si chiese se tutto ciò fosse giusto, ma in pochi secondi ritrovò la freddezza necessaria per assecondare la sua decisione originale. Oramai non poteva più tirarsi indietro, le due vittime avevano raggiunto il SUV, ed erano alla sua portata. «Big, Erika!» Un'improvvisa voce falsata femminile li fece voltare, azzittendoli all’istante e attirandone l'attenzione. Non vedendo nulla per via della poca illuminazione, con una certa esitazione, i due si accostarono alla zona buia da cui avevano udito pronunciare i loro nomi. Vanora li vide avvicinarsi circospetti, poi Big ruppe il silenzio:«Chi cazzo sei?! Fatti vedere!» Erika strattonandolo con vigore, lo pregò: «Big, ho paura andiamocene!» Queste furono le ultime due frasi che pronunciarono. Due colpi in rapida successione li fecero accasciare a terra. Vanora, come atto di clemenza, volle terminare rapidamente la loro agonia.

Nella semi oscurità, mentre erano ancora rantolanti, li raggiunse per il colpo di grazia.

- Jack -

Mentre proseguiva il volo, Jack notò che Vanora si agitava sempre più durante il sonno, poi ancora semi addormentata,iniziò ad accennare bisbigliate frasi senza senso. Dopo l'ennesimo contorcimento, all’improvviso la ragazza si svegliò di soprassalto. Di scatto appoggiò la testa allo schienale del suo sedile e poi si portò le mani tra i capelli. Sussurrò: «Oddio! Che ho fatto!» Jack non udì chiaramente quella frase ma preoccupato le disse: «Vanora che c'è?! Stai bene?» «Jack abbracciami forte! Ti prego stammi vicino!» «Sono qui amore mio! Sono qui, calmati! Era solo un incubo, ora è ato.» Lei invece sapeva che non era stato un brutto sogno, ma solo il ricordo onirico della realtà, irrimediabilmente segnata da una sua azione atroce e spietata. La ragazza ancora tremante slacciò la cintura di sicurezza, si alzò e si sedette sulle gambe di Jack e iniziò a piangere. Tale era la disperazione provata, che a stento riuscì a fermarsi. Lui tentò di tranquillizzarla stringendola a se, facendole sentire tutto il suo amore, ma ci vollero alcuni minuti affinché Vanora si riprendesse dallo sconforto. Finalmente, gli sembrò più calma. Ora era lui a sentirsi frastornato e confuso, poiché non riusciva a comprendere

l'effettiva causa di quella improvvisa e strana situazione. Vanora vedendolo turbato cercò di distrarlo, ancora singhiozzante, gli disse: «Tu starai sempre con me, vero Jack?» «Ma certo, che domande mi fai?!» «Nonostante tutto il male che ho fatto, tu starai sempre con me, vero?» «Amore mio, io ti amo! Io starò sempre con te. Sempre, ok!» «Me lo giuri, Jack! Me lo giuri?! Io devo saperlo!» «Certo tesoro. Te lo giuro! Ok? Ora rilassati, vieni qua e fatti abbracciare, piccola.» Jack amorevolmente la strinse di nuovo a sé, ora Vanora le sembrava soltanto una bambina impaurita e fragile, una dolce creatura bisognosa solo di amore e di certezze. Sicurezze che lui voleva assecondare e trasmettere con forza. Allora le prese il viso fra le mani, volle guardarla direttamente negli occhi per meglio rilevare i suoi intenti. S’intenerì molto osservando lo sguardo triste di Vanora; quei profondissimi e bellissimi occhioni blu, ora erano annacquati e arrossati da tutto quel pianto. Jack represse la commozione profonda che gli scuoteva l'anima,e si chiese come avrebbe potuto esprimerle tutto l'amore provato. Si sentì impacciato, ma comprese che solo con la concretezza,giorno dopo giorno, le avrebbe dimostrato la solidità del suo sentimento. «Io starò sempre con te! Sempre! Se tu lo vorrai io lo farò. Ok Vanora? Tu lo vuoi?!» «Certo Jack. Certo che lo voglio e non t’immagini quanto!» La ragazza in quel preciso momento capì che la drastica decisione presa pochi giorni prima, era quella giusta e che ne sarebbe valsa la pena.

Un lungo bacio apionato nacque spontaneo come a porre l’accento sul loro solido sentimento. Intanto, oltre i finestrini dell'aereo, uno sterminato cielo limpido con poche nubi appena accennate, faceva da palcoscenico. Sotto di loro, un mare cristallino li attendeva, spiagge bianchissime e immerse nella natura li avrebbero accolti da lì a poco. La voce del pilota interruppe il loro abbraccio, l'annuncio dell'imminente arrivo a destinazione li fece ritornare alla realtà. L’hostess di turno andole affianco, invitò Vanora ad accomodarsi al suo posto e a riallacciarsi la cintura di sicurezza.

- Vacanza! -

Un atterraggio morbido sancì l'inizio di una nuova e diversa quotidianità. Poco importava che iniziasse con una fase piuttosto noiosa, caratterizzata da bagagli da recuperare, spostamenti in taxi e quant'altro, poiché tutto era necessario per raggiungere il loro comodo e lussuoso appartamento in riva al mare. Nonostante fosse ricavato da una vecchia abitazione di pescatori, era stato ristrutturato al meglio e con ogni tipo di confort tra cui: aria condizionata, vasca idromassaggio, impianto televisivo di ultima generazione, collegamento per la TV satellitare e connessione a Internet. Vanora l'aveva prenotato alcune settimane prima, quando ancora si trovava a Milano e l'aveva affittato per un mese esatto, spendendo una cifra considerevole. L'aveva scelto per vari motivi, ma soprattutto per la particolare bellezza strutturale, data dalla sontuosità degli interni, per la sua vicinanza al mare e ai paesi limitrofi che rimanevano ben collegati. Vi giunsero in meno di un'ora di viaggio dal vicino aeroporto. Appena scesero dal taxi, un intenso profumo di mirto selvatico proveniente dalla vegetazione

circostante li pervase, inebriandoli all'istante. Era trasportato da un vigoroso e fresco vento che mitigava le temperature della zona, in quel periodo piuttosto elevate. Man mano che i due si avvicinarono al mare, che imponente e cristallino si stagliava davanti ai loro occhi, quella fragranza mutò progressivamente divenendo sempre più leggera e salina. Erano le prime ore del pomeriggio, i due non vollero rinunciare a godersi quella splendida giornata, quindi si affrettarono a sistemare malamente i loro bagagli, collocandoli appena all'interno della loro casa. Giusto il tempo di indossare i loro costumi da bagno preferiti, ovviamente Jack scelse quello nero, storico compagno di ogni suo viaggio, e si precipitarono subito in spiaggia. Finalmente erano soli e lontani da tutta quella cieca e cinica violenza, nel loro imminente futuro, soltanto numerosi e spensierati giorni di vacanza. Per Jack si stava rendendo concreto il sogno di una vita. Finalmente era in Sardegna su una splendida spiaggia, davanti ad un mare trasparente, ma la cosa più importane era essere lì con lei: Vanora, il suo grande, unico, vero amore! Lei era così bella, soprattutto con addosso quel bikini rosa pallido, che valorizzava ancor più le sue sensuali e giovanili forme. Jack, seduto sulla sabbia calda, si divertiva a osservarla mentre si muoveva sorridente e libera in riva al mare. La guardava correre sul bagnasciuga, gli sembrò di osservare un'innocente ed entusiasta ragazzina appena adolescente, che per la prima volta nella vita era in vacanza da sola, senza la scocciatura dell'opprimente presenza dei propri genitori. Ma la cosa più importante, era vederla serena e felice. Per un attimo si dimenticò del lato spietato che la caratterizzava quando

diventava una fredda killer, capace di uccidere a sangue freddo con la stessa facilità con cui avrebbe compiuto qualsiasi gesto quotidiano. Non la riconobbe più in quelle vesti, volle rimuovere quell'immagine oramai lontana e negativa che l'aveva ammaliato pochi mesi prima, condannandolo alla dannazione eterna. Tutto ciò, come poteva essere vero?! Forse era solo un lontano incubo? Come poteva appartenere a una ragazza così carina, sensuale e radiosa, tanto da sembrare una fragile e meravigliosa bambolina di porcellana? Improvvisamente però, Jack ritornò alla realtà quando la vide inciampare e cadere sul bagnasciuga. Col cuore in gola si precipitò da lei, che in quel momento sembrava non essere in grado di rialzarsi. Una volta raggiunta, si chinò subito sul suo corpo inerte, per meglio capire cosa le fosse capitato. Preoccupato, subito le chiese: «Vanora come stai?» Lei gli rispose piuttosto imbarazzata, mentre goffamente si sedeva sulla sabbia umida: «Mi sa che ‘sta volta mi sono presa una storta alla caviglia. Sono proprio un disastro!» Allora Jack, con cautela la sollevò e prendendola imbraccio disse: «Se non ci fossi io a prendermi cura di te!» Lei in modo provocatorio rispose: «Ci sarebbe un altro!» Stizzito Jack, la ributtò a terra, ma lei si rialzò, e subito gli cinse il collo con un abbraccio. Il suo intento era di ritornare ancora alla posizione di prima, e una volta che Jack la assecondò, Vanora si avvicinò al suo orecchio e gli sussurrò: «Ehi, ma lo sai che non potrei vivere senza di te…!» Era giunto il momento per un apionato e lungo bacio, ma lui volle

spiazzarla; la alzò ulteriormente da terra e le mordicchiò la morbida pancia e disse: «Ti mangerei!» Lei sgattaiolò via zoppicando, e allontanandosi poco a poco da lui divertita rispose: «Ah, si?! Provaci!» Lui sorridendo si limitò a guardarla mentre, divertita, correva via, poi assaporò il gusto della pelle accaldata che gli era rimasto sulle labbra e in bocca: sapeva di sole. Quel particolare gusto non lo dimenticò più! Rimase indelebile nei suoi ricordi per tutta la durata della sua vita. Riprese a osservarla, si sedette di nuovo sulla sabbia e i suoi pensieri divennero sempre più leggeri, fino a rasentare il limite dell'assurdo. Li fece viaggiare liberamente dentro la sua testa, si rese conto che in quel momento aveva solo bisogno di frivolezze e volle perdersi in esse. Diede spazio a un suo stupido e atavico quesito: «Perché mai alcune donne si ostinano ad indossare sempre il reggiseno, quando non hanno la reale necessità di reggere alcunché? Come tra l’altro fa anche Vanora. Lei potrebbe farne a meno, avendo un seno talmente tonico e sodo. Capisco che in spiaggia sia necessario, ma la sera o durante il lavoro potrebbe tranquillamente evitare di metterselo. Non le darà inutilmente fastidio? Boh! ‘ste donne mi ricordano tanto delle bambine che giocano a fare le adulte, e per riuscirci devono per forza indossare questo scomodo indumento. Ma…?! Valle a capire…!» A lui era sempre piaciuto il seno di Vanora, perché nonostante fosse piuttosto piccolo, era comunque perfetto per i suoi canoni di bellezza. Quello che però di più lo faceva impazzire di lei, era il suo sedere. Da sempre, innumerevoli fantasie erotiche gli nascevano ogni qual volta si soffermava a osservarne la sua perfezione e tonicità, con la differenza che questa volta c'erano tutti i presupposti per realizzarle davvero. Intanto, la ragazza si era già buttata in acqua, e con grandi gesti richiamò l'attenzione di Jack, dando così inizio a un breve ma piccante dialogo.

«Vieni da me. L'acqua è caldissima! Dai non farti pregare!» «Guarda che se vengo lì, ti mangio! Ti avevo già avvisato prima,quindi non ti conviene provocarmi!» «Lo sai che sono una ragazza coraggiosa, so calcolare i rischi!Poi non sai cosa ti perdi. Dai vieni da me, ho una cosa da darti.» «Non me lo faccio dire due volte, anzi adesso che mi ci fai pensare, ho anch’io una cosa da darti!» «Porco! Non intendevo quello!» «No?! Che cosa intendevi, allora?» «Se vieni qua, te lo dico e te lo dimostro.» I due erano a una decina di metri di distanza, separati soltanto da un mare basso e limpido. Jack scattò in piedi, iniziò a correre verso di lei, che con malizia lo attendeva a braccia aperte, il suo sguardo era fisso e seducente. Schizzi d'acqua si propagarono in ogni direzione causati dalla dirompenza di quello scatto, poi si placarono appena lui la raggiunse. Ora i due corpi si toccavano, quello di Vanora era bagnato e fresco, quello di Jack era ancora accaldato dal sole, che li sovrastava oramai in fase calante. Quel contatto gli provocò un brivido improvviso che subito lo pervase vigorosamente, mentre un'eccitazione progressiva ne conseguì. Le bocche si unirono, le lingue si rincorsero, le braccia si strinsero e i corpi iniziarono a saldarsi tra di loro, alla ricerca di assecondare e saziare quell'impellente voglia di fare l'amore che ne accumunava gli intenti. Jack, invece, scelse di ricambiare quell'atto sessuale che Vanora gli aveva donato pochi mesi prima in Val Seriana. Si mise quindi in ginocchio e iniziò a baciare e a mordicchiare la pancia della sua amata, che all’inizio, come spiazzata, rimase impietrita.

Pin piano, però, si lasciò trasportare da quella piacevole eccitazione crescente e inattesa. Iniziò ad ansimare in modo sempre meno trattenuto, finché con le mani strinse a sé la testa di Jack che insisteva in quell'atto erotico, avvicinandosi sempre più alla sua calda vagina. La ragazza sentì il piacevole calore della sua bocca in prossimità del suo sesso eccitato, quindi d’istinto divaricò leggermente le gambe per assecondarne il contatto. Ora, Jack aveva davanti a sé la possibilità di realizzare ciò che voleva fare da tanto tempo. Con la mano destra, con delicatezza spostò il costume di Vanora, facendone uscire le sue grandi labbra, che si erano già umidificate dall'eccitazione provocata da quella particolare situazione. La sua lingua iniziò a separarle, raggiungendo pian piano il clitoride, il suo sesso era oramai divenuto completamente umido, caldo e morbido. Vanora era del tutto estasiata, socchiuse gli occhi mentre i gemiti di piacere proseguirono uscendo in tonalità crescenti dalla sua bocca semi aperta. Erano provocati da ondate di sensazioni lascive, che intense le avvolgevano via via tutto il corpo, finché la voglia di essere penetrata divenne una necessità assoluta. Per fortuna la spiaggia davanti a lei era deserta, quindi si fece prendere completamente da quell'eccitante ed intrigante situazione. Sentiva il calore della lingua di Jack che con abilità sapeva come sodisfarla, provocandole un piacere assoluto, mentre una sensazione di orgasmo latente iniziò a imporsi sempre più. «Jack, fermati ti prego. Sto già venendo.» «Vieni piccola, dai! Ho voglia di soddisfarti!» «Ascolta, andiamo in casa ho voglia di sentirti dentro di me!»

«Hai ragione, meglio fermarsi qui. Prima che ci arrestino per atti osceni in luogo pubblico!» La loro risata li riportò alla realtà dei fatti, sicuramente non potevano permettersi di rovinarsi la vacanza per un’improvvisa pulsione sessuale mal gestita. Abbracciati e sorridenti raggiunsero la loro lussuosa abitazione, entrambi smaniavano di provocarsi piacere reciproco, e a stento riuscirono a trattenere quest'imperativo impulso. Jack faticò molto ad aprire la porta d'entrata, poiché Vanora continuava a baciarlo ovunque, rendendo volutamente ogni suo gesto più complicato del dovuto. Poi una volta entrati, la richio e in poco tempo raggiunsero la camera da letto. Vanora si spogliò e quando fu nuda, si sedette sul fresco e lindo lenzuolo che copriva il loro ampio letto matrimoniale, poi con malizia si rivolse a Jack: «Dove eravamo rimasti?» Il ragazzo la raggiunse e con forza le impose di sdraiarsi, quindi riprese a fare quella stimolazione orale che aveva iniziato poco prima, ma con la differenza che adesso erano veramente liberi e tranquilli. Vanora ricominciò a provare quell'intenso piacere che la trasportava in un vortice di godimento assoluto, finche non riuscendo più a gestirlo, lo lasciò evolvere in un potente e lungo orgasmo. Nel suo apice, Jack la sentì fremere, ma non si fermò. Continuò a prolungare il più possibile quell'atto d'amore, finché non fu proprio lei a volerlo terminare, essendo oramai diventata, troppo sensibile. Era il momento di ricambiare il piacere, quindi i ruoli automaticamente s’invertirono, Jack si sdraiò sul letto e appoggiò la sua schiena sudata al fresco lenzuolo. Ora Vanora lo sovrastava, e iniziò a baciarlo sulle labbra che avevano ancora il sapore del suo sesso umido, poi iniziò a scendere a poco a poco lungo il collo.

Lo leccò e lo baciò con voracità, rapita dalla ione generata dall'eccitazione che le frastornava i pensieri. Lo ascoltava ansimare, si sentiva potente avendolo in suo possesso; era lei ora a dirigere il gioco, ma soprattutto era lei a gestire il suo piacere. Gli prese in bocca il pene eccitato, all’inizio sentì il gusto salino del mare pizzicargli le tonsille, ma non ne fu per niente infastidita. Poi la stimolazione divenne sempre più lenta e profonda. Jack, completamente nudo e a gambe divaricate, la osservava come stregato. Le mani della ragazza stimolavano i suoi testicoli, la sua bocca accoglieva caldamente, ingoiandolo fino in fondo, il suo membro eretto. In pochi minuti era ad un o dall'orgasmo, ma a differenza delle donne che possono averne di multipli, lui dovette controllarsi per gestire al meglio un lungo rapporto sessuale. Le alzò la testa interrompendo la stimolazione orale, quindi la abbracciò. Si fece rapire solo dal calore inebriante del corpo della ragazza, ma quello che di più lo colpì fu la tenera sensazione derivata dal semplice contatto con la sua pancia; era così morbida e calda. Non riuscì più trattenersi. Dolcemente, penetrò la vagina di Vanora. Poi il ritmo dell'atto sessuale crebbe, divenne sempre più potente e vigoroso poiché doveva saziare e are la comune necessità di appagamento reciproco. La naturale lubrificazione della ragazza era intensa, agevolata da una serie di varie e differenti posizioni, via via sempre più ardite e selvagge. Orgasmi multipli e distanziati, erano sottolineati dal suo ansimare, mentre un senso di profonda invidia per questa meravigliosa caratteristica femminile, crebbe in Jack. Anche per lui però giunse il momento di dare libero sfogo alle sue voglie,

un'occhiata d'intesa con Vanora le fece capire ciò che desiderava fare da sempre. «Ok, però fai piano per favore.» «Non preoccuparti tesoro, sarò delicato.» Jack utilizzò un po’ di saliva per meglio lubrificarle l’ano, poi la lenta e costante penetrazione. Il dolore iniziale provato dalla ragazza via via sparì, dando spazio a un piacere sempre più intenso, accentuato anche da una sua auto stimolazione del clitoride. La brama della violazione più discussa e profondamente erotica che aveva sempre sognato, ora si realizzava. Jack era incredulo e felice, ogni suo più recondito e peccaminoso desiderio sessuale poteva finalmente compiersi. Ora era lui a sentirsi davvero appagato, però il bisogno di sfogare appieno il suo orgasmo latente, ormai, era diventato un bisogno assoluto. Vanora era sdraiata supina sul letto, lui posto di fronte a lei, la sodomizzava, mentre la ragazza continuava la sua auto stimolazione manuale. I loro occhi con complicità si fissarono, mentre giochi di sguardi sempre più arditi, accompagnarono i reciproci gemiti di piacere, oramai cadenzati dalla penetrazione divenuta sempre più frequente nel ritmo. Tutto ciò si placò soltanto quando Jack diede pieno sfogo alla sua potente eiaculazione finale. Vanora sentì i fremiti del corpo del ragazzo, causati dalle scosse del forte orgasmo da lui provato, finché il calore del suo sperma la scaldò dall'interno. Ora i due erano esausti, uno sull'altra, i loro corpi erano uniti saldamente da un forte abbraccio, le loro bocche ansimanti si sfioravano ancora, mentre erano intente a riprendere fiato. Ora un senso di rilassamento li accomunava, il silenzio era turbato soltanto dal rumore del mare che entrava dalla finestra aperta alla loro sinistra.

Dopo alcuni minuti di riposo, Jack si sedette sul letto, il vento fresco che gli accarezzò la pelle sudata, gli provocò un forte sospiro. Vanora, in silenzio lo abbracciò da dietro le spalle, appoggiando i suoi seni alla sua schiena nuda, poi gli chiese: «Che c'è tesoro?» «Niente Vanora, niente.» «Come niente, cos'è che ti turba?» «Non so, è tutto talmente bello, che non mi sembra vero.» «Amore mio, mi senti? Senti il mio corpo, giusto? Guarda che io ci sono! Esisto davvero. Ok?!» «Vanora, io lo so che ci sei. Lo so perfettamente. Sono così felice che non riesco neanche a spiegarti quello che sento.» «Dimmelo! Ti prego, dimmi ciò che senti, voglio sapere tutto di te.» «Vanora, non so cosa ci capiterà nel futuro e che fine faremo. Ma di una sola cosa non ho dubbi. Io ti amo!» Appena finita la frase, la ragazza si alzò, si mise davanti a lui e si sedette sulle sue gambe, mentre con le sue gli cinse la vita. Ora erano faccia a faccia. Risentì il confortevole calore del suo corpo e del suo sesso, lo strinse a se con forza, mentre una lacrima mal trattenuta, sgorgò spontanea dal profondo della sua anima. In quel preciso momento ebbe la riprova che quella sua drastica scelta era quella giusta, l'altissimo prezzo che lei avrebbe pagato sarebbe stato del tutto motivato! Capì anche che l'avrebbe sempre amato e protetto, ad ogni costo. Gli sussurrò all'orecchio: «Anch’io ti amo Jack, non t’immagini quanto.» Il ragazzo si commosse quando la sentì trattenere le lacrime, che a fatica stentava a celare. Cercò di trasmetterle tutto il suo amore stringendola a sé e baciandola con

tenerezza, ma comprese che solo le sue parole, le più sincere avrebbero ripetuto ancora una volta il suo granitico sentimento. «Io starò sempre con te, perché io non ho altro interesse che la tua felicità. Non so il perché, e francamente non riesco neanche a spiegarmelo, ma ho questa grazia dalla vita; averti conosciuto. Se credessi in Dio, lo ringrazierei. Ma poiché ho avuto una vita tutt'altro che cristiana, non credo che sia il caso di scomodarlo proprio adesso. A essere sincero non credo per niente di meritarmi tutto questo, ma qualcuno o qualcosa ci ha unito, ed io ti giuro che nulla e nessuno, ormai, ci potrà separare.» Vanora ascoltò con attenzione quelle meravigliose frasi che condivideva completamente. Anche questa volta Jack gli leggeva nell'anima, esprimendo e appagando ogni suo più recondito sentimento. Suo malgrado, la ragazza era cosciente del fatto che nel giro di poche settimane tutto quanto sarebbe cambiato in modo drastico, ma per ora le interessava soltanto godersi questa vacanza e tutto l'amore del suo amato Jack. Intanto i giorni avano veloci, dopotutto erano talmente sereni e divertenti per i due, che in pratica volavano via. Una sera, dopo l’ennesimo brindisi di pregiato champagne d’oltralpe, i due si trovarono abbracciati sul divano, che per l’occasione avevano spostato sul patio esterno della loro villa. Jack prese coraggio e chiese a Vanora l'origine di quel suo strano nomignolo: «Un giorno mi dicesti che mi avresti spiegato da dove deriva “Vanora”. E’ chiaro che non è soltanto la somma di alcune lettere del tuo nome e cognome originale. Oppure mi sbaglio?» «Infatti. Allora Jack, devi capire una cosa. Non sei stato l’unico ragazzo della mia vita. Non che ne abbia avuti molti, però prima di te, ho avuto una storia piuttosto importante.» «Mi pare giusto!» «Lasciami spiegare Jack. Ho avuto un fidanzato storico, e sappi che fu proprio il

primo. L’avevo conosciuto in orfanotrofio. Poi lo rividi ai tempi del liceo e iniziammo a frequentarci sempre più assiduamente. Sai le prime canne, le prime sbronze, i primi rapporti sessuali…» «Ok, salterei questa parte! Andiamo al sodo!» «Dai gelosone fammi finire. Dove ero rimasta? Ah si! Le prime esperienze sessuali, e non interrompermi… Furono con lui. Una sera comprammo un film porno e lo guardammo assieme. Sai come si chiamava la protagonista?» «Vanora!» «Esatto, proprio Vanora! Ecco lo sapevo che saresti scoppiato a ridere!» I due continuarono a prendersi in giro amabilmente per il resto della serata. Non c’era gelosia, tra loro c’era un’intesa particolare e piuttosto rara. Quell’invidiabile feeling li rendeva speciali. Insomma, come si dice in certi casi; quei due funzionavano a meraviglia! Nel frattempo, ogni giorno scoprivano la bellezza e l’importanza del loro sentimento, appagando la loro sete di viverlo fino in fondo. Oltre al sesso, che certamente era il protagonista delle loro ore più liete, la coppia non perdeva occasione per conoscersi meglio, sotto ogni punto di vista. Oramai le loro menti si erano compenetrate, le loro anime si erano fuse in un’unione talmente unica da sorprenderli, mentre la potenza della loro reciproca comprensione li appagava e li emozionava dal profondo.

- Vanora -

Col are delle settimane, però, Vanora divenne sempre più cupa e triste. Il loro mese di vacanza stava terminando, la ragazza capì che era giunto il momento di farsi forza e affrontare le pesanti difficoltà che l’imminente futuro

prospettava loro. Erano circa le ore venti del ventitré agosto. Dopo aver cenato all’aperto sotto il fresco patio di legno della loro lussuosissima villa, la ragazza attese nervosamente il ritorno di Jack che si era assentato per alcuni minuti. Appena la raggiunse, in modo riflessivo gli disse: «Jack ti devo parlare di una cosa molto importante. Ecco, siediti comodo e beviti una birra, te l’ho messa lì sul tavolo, di fianco alle sigarette.» Jack spiazzato dalla durezza dello sguardo corrucciato della sua amata, sbiancò in volto e lentamente si sedette sul comodo divano situato in veranda, poi angosciato le chiese: «Che c’è Vanora? Devo preoccuparmi?!» La ragazza non rispose, rimanendo imperturbabile e con lo sguardo fisso sul pavimento di legno. Jack insistette riformulando la stessa domanda, ma non ottenne alcuna risposta, soltanto al terzo tentativo fu finalmente interrotto da Vanora. «Jack ti ho sentito, non sono sorda! La cosa è seria e devo spiegartela al meglio, quindi dammi il tempo per pensare. Ok, mettiti comodo e ascoltami con molta attenzione.» La ragazza aveva un’aria talmente tesa e preoccupata che Jack intuì subito che la faccenda era tutt’altro che leggera. Si versò un po’ di birra nel bicchiere e si accese una sigaretta, fece un lungo sorso nella speranza di alleviare almeno in parte quell’ansia che cresceva in lui, ma non ottenne il risultato desiderato. Il suo cuore iniziò a palpitare sempre più, accompagnando il discorso della sua amata, che nel frattempo aveva trovato il coraggio per incominciare a parlare del loro imminente futuro. Iniziò a spiegargli l’effettiva situazione che da lì a poco avrebbero dovuto vivere. «Vedi Jack è giusto che io ti dica come sono andate davvero le cose, perché le

conseguenze che ne deriveranno, toccheranno anche te». Vanora iniziò a spiegargli che dopo la rissa al CAMARILLO BRILLO la situazione non si era affatto risolta. Viceversa a quanto sperava, si era complica irrimediabilmente. Il problema reale, era che avevano picchiato le persone sbagliate, facendo scaturire sia la condanna a morte di Jack che quella di Big. Per ritorsione, i mandanti della loro sentenza, avevano commissionato questi delitti proprio a lei. Singhiozzando per il dispiacere, gli spiegò anche come aveva ucciso il loro compagno Big, ed anche la povera Erika che per sua sfortuna andava eliminata soltanto perché divenuta una scomoda testimone. Preso dall’impulsività e dal nervosismo, Jack la interruppe bruscamente: «Allora che aspetti a spararmi?!» «Ma cosa stai dicendo? Jack non potrei mai!» «Come non potresti farlo! L’hai fatto con loro?! Ora tocca a me, no? Allora dai uccidimi! Basta che lo fai nel modo più veloce possibile.» «Non hai capito! Jack! Aspetta fammi almeno finire! Cristo! Non hai capito un cazzo!» A quel punto Vanora ebbe un crollo nervoso, le gambe le cedettero e si trovò inginocchiata sul pavimento con le mani tra i capelli. Iniziò a piangere, i potenti singhiozzi che la scuotevano dal profondo, le spezzavano il respiro oramai irregolare e convulso. Jack vedendola in quello stato, si calmò poiché capì che era giunto il momento di mostrarle tutto il suo equilibrio mentale e la sua comprensione. La situazione si faceva pesante e complessa, allora si sedette sul pavimento di legno e la abbracciò nell’intento di consolarla. Appena i due corpi si unirono, la ragazza iniziò a tranquillizzarsi, mentre Jack

era avvolto e commosso dalla tenerezza e dall’amore provato per lei. Ora tutto il resto non contava più! Non riusciva a staccarsi dalla sua amata, i due corpi sembravano legati l’uno all’altra da un bisogno reciproco e quasi fisiologico. Ora nessuna parola era necessaria, il loro amore li elevava sopra di tutto, perfino dalle peggiori azioni compiute e da questa realtà. Jack iniziò a cedere, i suoi buoni propositi di sostegno e forza, cominciarono a vacillare scossi dalla momentanea fragilità della ragazza. Non riuscì a trattenere un commosso sospiro e mestamente si ò le mani fra i capelli. Dopo pochi istanti Vanora, sentendo che Jack stava facendosi prendere dallo sconforto, si fece forza e capì che era lei, ora, a doverlo sostenere con tutta se stessa. Dopotutto la vita di chi amava era nelle sue mani, quindi era decisa a portare avanti quella definitiva e drastica decisione presa; ossia proteggerlo fino in fondo e ad ogni costo! La ragazza volle proseguire il discorso per spiegargli l’intero piano: «Jack non preoccuparti! Ho pensato a tutto io. Vedrai, sarà dura, ma ce la faremo. Bisogna solo fare le cose per bene e riusciremo a scamparla anche stavolta. Certo non sarà una eggiata di piacere, però se seguiremo la mia strategia, alla fine ce la potremmo fare!» Allargando le braccia, il ragazzo le rispose frastornato: «Vanora io sono nelle tue mani, quindi dimmi cosa pensavi di fare ed io lo farò, l’importante è che alla fine sia utile a entrambi per uscirne al meglio!» Poi il ragazzo rimase in silenzio ad ascoltarla, si versò la birra rimanente nel bicchiere e si accese un’altra sigaretta. Nonostante le rassicurazioni, dentro di sé si sentiva del tutto svuotato, come un burattino di pezza in balia del volere altrui. Al momento, solo un turbinio di paure e speranze accompagnava il discorso di Vanora che nel frattempo illustrava tutta la difficoltà dell’imminente futuro che

da lì a pochi giorni, avrebbero inappellabilmente affrontato. Jack rimase talmente sbalordito, che al termine della spiegazione divenne quasi catatonico. Si alzò di scatto e si voltò verso la riva, dando le spalle alla sua compagna. Rimase impietrito a fissare il mare che gli si stagliava davanti poco distante. Per la sua vastità gli sembrò infinito. Ancora una volta, si rinnovò quella possente sensazione di assoluta impotenza, ancor più rilevata dalla visione di quell’immensa distesa di acqua che lo faceva sentire piccolo e fragile. Le onde intanto s’infrangevano imperterrite e con fragore sugli scogli che cingevano la spiaggia. Oltre a quest’unico rumore di sottofondo, tutto intorno solo silenzio. Un panorama quasi spettrale, solo una pallida luna illuminava a stento la zona, oramai velata sempre più da nubi crescenti e stratificate. Jack spezzò il lungo silenzio, rimanendo ancora di spalle alla sua donna: «Quindi io devo sparire dalla circolazione per cinque anni, e dove me ne vado?!» «Amore mio, lo so che è dura. Ma come ti dicevo prima, dobbiamo fare le cose nel modo giusto per uscirne al meglio…» Il ragazzo non le fece terminare la frase, e quasi inebetito riformulò la medesima domanda: «Quindi io devo sparire dalla circolazione per cinque anni, e dove me ne vado?!» «Jack ho già sentito la domanda! Non sono scema! Cazzo, sto per impazzire, è meglio che vada a letto. Senti ne riparleremo domani. Fidati di me, andrà tutto bene. Ok?! Buona notte amore.» Vanora si alzò con calma, si mise di fronte al suo amato e gli cinse la vita. Poi un lungo abbraccio come saluto quindi si diresse all’interno della villa. Giunta sul vano della porta, si voltò e disse: «Ti aspetto a letto. Dai, vieni da me prima possibile. Ho bisogno di te.»

Dopo questa frase Jack si ridestò, e con un cenno di assenso della testa le diede una risposta affermativa. Vanora, allora aggiunse: «Jack. Lo sai che ti amo?» «Certo che lo so Vanora e lo apprezzo tantissimo! Anche io ti amo!» «Ok allora quando ti va, raggiungimi. Ok?» «Va bene tesoro, dammi solo qualche minuto e vengo da te.» Vanora aveva previsto che ci sarebbe stato shock iniziale per Jack, quindi scelse non assillarlo troppo. Dapprima volle sdrammatizzare la situazione lasciando andare le cose con estrema calma. A tempo debito gli avrebbe spiegato il resto, e assieme avrebbero portato avanti il suo piano, ma non era questo il momento. Tra l’altro avevano ancora sette giorni di vacanza da godersi, e una volta terminati, tutto sarebbe diventato radicalmente diverso.

- Introspezioni finali -

Intanto Jack rimase immobile a guardare il mare davanti a lui, poi scese i tre scalini di legno del patio. Si tolse le costose scarpe in cuoio, rimanendo a piedi nudi sulla sabbia, la cui temperatura oramai era mitigata dall’aria salmastra e fresca di quella particolare serata. Aveva bisogno di ritornare alla realtà, nonostante si presentasse per lui ancora piuttosto angosciante e ignota. Iniziò a camminare con calma sulla spiaggia davanti alla villa, fino a raggiungere la riva del mare.

Il contatto con l’acqua fredda lo scosse intensamente, ottenne l’effetto desiderato, ora la sua mente era più lucida. Si sedette sulla sabbia, maledisse un Dio a lui ignoto, prese a pugni la rena circostante e bestemmiò ancora più fragorosamente finché lo sfogo liberato, diede una momentanea tregua a tutta quell’ira repressa. Si sdraiò, mentre un rumoroso sospiro seguito da un forte sbuffo sgorgarono uno dopo l’altro dalla sua bocca, chiudendo quella breve ma intensa parentesi rabbiosa. Sconsolato pensò: «Perché a me?! Perché! Perché! Tutto stava andando in modo perfetto. Lo sapevo, era troppo bello per essere vero! Non c’è altra spiegazione: sono irrimediabilmente dannato!» Non si stupì più di tanto della conclusione cui era arrivato, dopo tutto, visto gli omicidi che aveva accumulato e le azioni deplorevoli compiute, un finale di questo genere se lo sarebbe dovuto aspettare, prima o poi. Alzò gli occhi verso la luna. Un senso di smarrimento iniziò a pervaderlo, rimarcato dall’imponenza assoluta della visione che lo sovrastava. Si sforzò di fissare il cielo stellato. Purtroppo però, com’era già capitato in ato, anche questa volta quell’immensità che lo dominava gli tolse il fiato, provocandogli un forte senso di angoscia. Doveva tornare seduto. In pochi secondi ritrovò la calma, ma con essa, per la prima volta da quando aveva conosciuto Vanora, gli nacque un senso di autocritica. Da quella breve introspezione, intuì la gravità e l’incoscienza di tutte quelle spietate e ciniche uccisioni compiute, attuate semplicemente per amore e soldi facili. Per la prima volta ebbe paura delle inevitabili conseguenze con cui, avrebbe

dovuto fare i conti. «Jack!» Di colpo, la voce di Vanora lo fece ridestare. Subito si voltò verso la loro villa, situata poco distante, proprio alle sue spalle. La ragazza lo stava chiamando dall’ampia finestra spalancata del primo piano, la vivida illuminazione della stanza la faceva emergere dalla semi oscurità della facciata della casa, sottolineando l’inaspettata sensualità della scena. Vanora gli sorrideva con malizia, mentre con un movimento accennato della mano destra lo invitava a raggiungerlo nella loro confortevole stanza. Jack non poté fare a meno di notare che indossava un leggerissimo vestitino babydoll di colore rosa tenue, di un tessuto semitrasparente, sotto al quale era completamente nuda. I suoi seni erano sodi, i capezzoli inturgiditi dall’aria fresca della sera frenavano a fatica lo svolazzare di quella sensuale mise, che senza impedimenti si faceva gonfiare e manipolare da un salino ed energico venticello estivo. Iniziò a correre nonostante la fatica provocata dalla cedevolezza della sabbia che lo circondava, mentre il suo sguardo rapito, rimaneva fisso su di lei. Aveva un assoluto bisogno di rivedere l’intensità e la profondità del blu dei suoi occhi, doveva saziare la fame di un contatto fisico e carnale che era sempre più impellente dento di lui. In pochi secondi raggiunse il patio, ora i suoi piedi erano sostenuti dalla solidità del legno sottostante, ancora pochi i e avvertì la freschezza del marmo del pavimento, che subito gli provocò un brivido che s’irradiò per tutto il corpo. Fece le scale ansimando, finalmente la raggiunse. Dalla bocca semi aperta dall’affanno uscì una sola e semplice frase: «Vanora, ti amo.» «Lo so Jack! Anch’io ti amo.»

Dopo questa risposta, Vanora gli andò incontro, pudicamente si sfilò il vaporoso vestito, adagiandolo piano sul pavimento sottostante, rimanendo totalmente nuda. Jack con vigore la strinse a sé, la ragazza con altrettanta foga lo baciò, mentre le sue mani iniziarono a spogliarlo in fretta. Ora, entrambi erano nudi, subito i loro corpi si abbandonarono sul fresco lenzuolo di seta nera del loro ampio letto matrimoniale. Una ione crescente iniziò a rapirli, trascinandoli in un gorgo di pulsioni carnali espresse in posizioni sessuali sempre più audaci, le bocche unite dall’ardore, si separavano soltanto per dare sfogo a potenti gemiti di piacere. Non era soltanto peccaminoso sesso orale, lussuriosa sodomia e quant’altro d’immorale per i benpensanti. Non era solo sesso selvaggio e a tratti contro natura. Non era semplice sesso spinto. Per loro era l’espressione concreta di un amore vero, che univa due anime oramai perse. Per loro era fare l’amore! Per loro era la coronazione di un sogno, accompagnato da una ricerca disperata di reciproco conforto, in attesa di un destino infame e spietato che li avrebbe aspettati al varco. Quell’unione fantastica e pura li estraniava dalla paura di un domani incerto e da uno spietato castigo. Ora erano in sintonia con l’assoluto, con l’unico sentimento che da senso e significato a ogni vita. Anche la loro.

DECIMO CAPITOLO Fuori -L’ultima alba -

Erano le prime ore del mattino, dalla finestra semi aperta dell’ampia camera, entrò nuovamente una brezza fresca e profumata da note aromatiche e dolciastre di mirto selvatico. Col are dei minuti, però, quel piacevole venticello, divenne piuttosto fastidioso per la bassa temperatura delle prime ore del giorno. Infreddolito, Jack si svegliò, disturbato anche dal vivido chiarore della stanza oramai irradiata dal rossore dell’alba. Appena aprì gli occhi, vide a pochi centimetri dalla sua bocca il viso di Vanora. Come sempre rimase rapito dalla sua dolcezza e da quella bellezza talmente unica e tenera, che così mal si coniugava con la spietatezza della sua professione di donna sicario. D’istinto la strinse a sé per scaldarla. Lei rasserenata dalla sua premura, teneramente gli baciò le labbra appena socchiuse. Vanora stiracchiò le braccia ancora indolenzite dal torpore, poi rimase in silenzio a osservarlo per alcuni secondi. Assonnata notò il suo sguardo amorevole, confortata dalle sue attenzioni, gli fece un dolce sorriso, nonostante i suoi occhi,ancora intorpiditi, stentavano ad aprirsi. Il ragazzo ricambiò il gesto, poi la lasciò crogiolare nel dormiveglia che la cullava.

La debolezza del risveglio la rendeva apparentemente ancora più indifesa. Sembrava fragile come una ragazzina, ma come sempre, aveva un ardore erotico talmente conturbante, da renderla irresistibile.Si rese conto che ormai l’aveva stregato, rovinandogli il futuro,ma nonostante ne fosse consapevole, si ritenne l’uomo più fortunato al mondo. Avrebbe dato la vita per poter fermare il tempo, potendo così bloccare per sempre quel momento, e fare in modo che l’intensità di quell’attimo durasse in eterno, al di là della durezza della situazione imminente. Purtroppo, nei prossimi cinque anni, la realtà sarebbe stata molto diversa e crudele. Un lungo esilio forzato l’avrebbe allontanato dalla sua donna, oramai solo poche ore li univano, prima della sua partenza forzata per la Corsica. Aveva scelto quell’isola perché gli sembrava il nascondiglio più vicino alla sua amata Milano, soltanto una cinquantina di minuti di volo lo separava dall’Italia e dalla sua adorata compagna di sventura. Con convinzione s’impose l’ottica che quel tanto agognato incontro, sarebbe avvenuto solamente quando fosse arrivato il momento giusto. Ripensò alla sera precedente quando avevano riato il loro piano, e avevano preparato i rispettivi bagagli. Secondo accordi, lui le aveva consegnato i suoi veri documenti.Vanora gli aveva consegnato quelli falsi, che l’avrebbero tutelato nel periodo della sua lunga latitanza. Nel doppiofondo della valigia, il ragazzo aveva messo solo poche cose; qualche decina di migliaia di euro per i primi tempi, assieme ad alcuni vestiti poco costosi. Questa volta non avrebbe potuto ostentare alcuna ricchezza,cercando di rimanere nell’anonimato più assoluto, facendo una vita più riservata e schiva possibile. Purtroppo non c’era altra scelta. Per ora era giusto continuare così!

Il problema però era un altro; cosa avrebbe fatto senza di lei?Come avrebbe potuto resistere tutto quel tempo senza la possibilità di vederla, parlarle, telefonarle o scriverle? Doveva sparire dalla circolazione, per fare in modo che Vanora completasse fino in fondo il suo piano, divenuto oramai necessario per sistemare nel migliore dei modi ogni cosa. La ragazza intanto si era svegliata. Anche lei voleva godersi fino in fondo ogni istante rimasto, condividendolo con il suo Jack. Per ora fingeva di dormire e nonostante avesse gli occhi ancora socchiusi dal torpore mattutino, non riusciva comunque a smettere di guardare il suo uomo. Senza saperlo i loro pensieri viaggiavano all’unisono; anche il suo cuore era a pezzi e già gli mancava tutto di lui. Come avrebbero fatto a colmare l’insormontabile vuoto di quell’assenza? All’insaputa l’uno dell’altra, assieme, si ponevano le stesse angosciose domande, che non trovavano risposte se non in quell’ideazione fredda e a lungo termine, incapace di saziare le loro necessità primarie di condivisioni quotidiane. Comunque sia, dovevano pazientare e proseguire per quell’impervia strada; entrambi confidavano in quel piano, perché nonostante le molteplici difficoltà, era l’unica possibilità che avevano e soprattutto, perché era finalizzato a riunirli prima possibile. Inoltre, quale migliore motivazione poteva sorreggere i loro intenti, se non la forza del loro indistruttibile sentimento? Per ora rimaneva soltanto un’unica e spietata certezza! Quella serena quotidianità che li aveva accompagnati in quel felice mese di vacanza, sarebbe radicalmente sparita. Inoltre per Vanora, sarebbe ritornato indispensabile l’uso della violenza, un mezzo del tutto necessario per il suo cinico progetto.

Nei giorni a seguire ancora sofferenza! Tanto dolore! Da infliggere e da subire, nella speranza di riuscire nei suoi intenti. Doveva essere forte come non mai. Anche in questo caso, ogni singola mossa era stata preventivamente decisa, anche questa volta non doveva e non poteva fallire. Sarebbe stata l’ultima azione violenta che avrebbe mai compiuto nella sua vita.

Inizio del piano Ore 12.00 - La nave -

Entrambi avevano ato una mattinata surreale. Un’incessante alternarsi di momenti di ostentata e falsa solidità emotiva, arricchita da uno sfrontato ottimismo, si scontrava con fasi di più cupo smarrimento e più onesto sconforto. A mezzogiorno, secondo i piani, giunsero al porto di Olbia, nel punto d’imbarco per la Corsica. A lato della scaletta metallica che faceva da tramite con l’entrata secondaria della nave, i due erano saldamente uniti da un ermetico abbraccio, insensibile all’intenso calore del sole che, sopra di loro, arroventava tutta la zona portuale circostante. Tutti i buoni propositi di forza che si erano prefissati, si erano disciolti come neve al sole, lasciando posto a un più genuino avvilimento. I loro cuori erano distrutti dall’imminente distacco, le loro menti erano svuotate dalla tristezza provata, le loro anime erano agitate da pessimistiche apprensioni riguardanti l’ignoto destino che avrebbero affrontato, e che per ora, li separava implacabilmente.

Ancora un ultimo bacio, ancora un ultimo sguardo annacquato da malcelate lacrime, e infine, un profondo sospiro per alleviare il dolore opprimente dell’ultimo saluto. «Io tornerò da te, fra cinque anni esatti e ti riabbraccerò ancora!» «Lo so Jack. Io ti aspetterò! Vedrai sistemerò tutto. Ci penso io a risolvere questo maledetto problema!» «Ok, Vanora. Cazzo! Il tempo a velocemente, tra cinque minuti la nave salperà ed io volevo dirti un sacco di cose. Cazzo! Non riesco neanche a esprimere tutto l’amore che provo per te, è tutta notte che ci penso e ora non trovo neanche le parole adatte…» La ragazza lo azzittì con un gesto improvviso della mano, che dolcemente si posò sulle sue labbra, ancora tremanti dall’imbarazzo provato. Vanora gli fece un’ultima domanda: «Jack, tu mi amerai sempre e COMUNQUE, vero?» «Certo piccola! Che domande mi fai?! Certo io ti amerò sempre! Anzi sai cosa ti dico, appena tornerò da te, ti sposerò! Cazzo,cadesse il mondo, io ti sposerò! A costo di are in mezzo alle gambe del diavolo, io…» Lo interruppe ancora: «Ti amo Jack!» Dopo quest’ultima frase, la giovane donna sorrise compiaciuta. Era tutto ciò che voleva sapere. Ora era tranquilla e del tutto motivata. Pochi secondi di silenzio, poi il suo sguardo divenne serio. Con la voce strozzata dall’emozione, volle aggiungere un’ultima e semplice frase: «Torna da me!» Poi dalla borsetta estrasse un pacchetto incartato con cura, e in fretta glielo consegnò. «Questo aprilo dopo.» L’ultimo dolcissimo bacio al suo amato, poi si voltò e s’incamminò lungo la banchina.

Jack la guardò allontanarsi, si commosse profondamente nel vederla scossa da potenti singhiozzi che accompagnavano la sua lenta andatura. Avrebbe voluto correre da lei e stringerla a sé, ancora una volta. Un’improvvisa voce richiamò la sua attenzione. «Signore! Si sbrighi, stiamo salpando, per favore venga a bordo, aspettiamo solo lei!» Jack si girò a sinistra e scorse un giovane marinaio che dalla cima della scala di imbarco, lo invitava a raggiungerlo. Era il momento di andare, iniziò a salire sulla scalinata e una volta arrivato alla sommità, corse al ponte scoperto della nave nella speranza di rivederla ancora. Una volta giunto, buttò a terra la sua valigia e si affacciò sul porto sottostante, si appoggiò a una balaustra di legno consunto e biancastro, resa appiccicosa dall’aria salmastra del mare. Scorse Vanora in lontananza; era ancora di spalle e continuava la sua lenta camminata. Le sembrò così piccola e indifesa mentre si allontanava noncurante delle grezze e volgari attenzioni nei suoi confronti, da parte dei lavoratori portuali. Sparì dalla sua vista. Dallo sconforto sentì le gambe cedergli, con una mano si sorresse alla balaustra per evitare di cadere, mentre l’altra la portò sugli occhi e pianse. Si rese conto della durezza dell’attuale situazione, si sentì impotente e solo, oramai sopraffatto dal vuoto assoluto che devastava la sua anima. Cercando di frenare l’angoscia provocata da quell’assenza, si dovette sedere su una panca di plastica dura, posta alla sua destra. Si accese una sigaretta. Poi si asciugò gli occhi, scostò i lunghi capelli dal viso e reclinò la testa

all’indietro, appoggiandola al bordo retrostante il sedile. Guardò il cielo terso che lo sovrastava, cercando inutilmente uno sconosciuto divino conforto, o più semplicemente la forza di resistere senza di lei, ma non ci riuscì. Si fece trasportare dalla tristezza. Improvvisamente gli tornò alla mente quel misterioso dono da scartare. Lo trovò stropicciato in una tasca, con cautela lo aprì. Era il porta sigarette in pelle nera della sua amata Vanora, su di un lato vi era attaccato un piccolo peluche di colore rosa chiaro,ma stranamente non aveva più gli occhi. Si rammaricò di averlo rovinato, invano ne cercò i pezzi mancanti ma non li trovò, lasciò stare e si chiuse di nuovo nel suo dolore.

Ore 22.00 - La caccia -

Nel frattempo Vanora era ritornata alla loro beneamata villa sul mare. Dopo una frugale cena, iniziò a prepararsi per la seconda parte del suo ultimo piano. Andò in bagno a truccarsi, poi indossò un vestito molto attillato,scollato sul davanti e sul retro, di seta color rosa chiaro, che faceva risaltare la sua bellezza e la sua irresistibile carica erotica. Adesso era pronta. Era giunto il momento di agire, doveva andare a trovare la vittima designata. Con un taxi si recò in una cittadina limitrofa alla loro zona di villeggiatura. Una volta raggiunta, si fece lasciare nella piazza centrale che,visto l’orario e il

periodo turistico, pullulava di gente. Iniziò a camminare verso un quartiere alquanto rinomato e lussuoso, che nel corso degli anni era diventato parecchio famoso per via dei suoi locali molto dispendioso e alla moda. Lei lo conosceva piuttosto bene, tra l’altro ci era stata anche con Jack più volte durante la loro vacanza, ma ci volle tornare perché proprio in quel posto e in quell’occasione sapeva che avrebbe trovato la sua preda. Vanora, dopo aver camminato per una cinquantina di metri, arrivò alla sua meta. Istintivamente alzò la testa verso l’insegna luminosa e scintillante del locale; indicava la scritta: DIAMOND. Capì che era giunta nel posto giusto. Subito indossò degli eleganti guanti di seta grigia per tutelarsi da eventuali tracce compromettenti poi senza indugi, ci entrò. Con calma si diresse al bancone del disco pub, e sedette su di un alto e comodo sgabello di acciaio lucido. Sopra di lei un enorme lampadario di cristallo la sovrastava,tutt’intorno, giochi di specchi a mosaico e comodi divani in pregiata pelle chiara. Stette in attesa per alcuni secondi prima di ordinare il suo drink preferito, poiché a pochi metri da lei, notò chi stava cercando. Un bel ragazzo moro che aveva la stessa corporatura del suo amato Jack. Lo fissò negli occhi e sorrise con malizia, simulando volutamente una timidezza irreale. Lui rispose al sorriso, quindi si avvicinò ostentando un approccio alquanto deciso. Tutto stava andando come previsto. «Buona sera. Posso darle del tu? Sbaglio o ci siamo già visti da qualche parte?!

Certe bellezze non si scordano facilmente!» «Piacere, Valeria. Vedo che come il solito non perdi tempo!» «Cazzo, non ci posso credere! Valeria sei proprio tu! Allora, alla fine sei venuta a trovarmi!» «Certo! Che cosa credevi? Lo sai che sono di parola! Poi, come si dice: Il primo amore non si scorda mai! Giusto?!» «Giustissimo! Posso offrirti qualcosa?» «Grazie, io prendo una coppa di champagne.» «Perfetto! Barista, portami un Magnum!» «Vedo che non badi a spese. Mi piacciono gli uomini decisi e che sanno spendere bene i loro soldi.» «Bravissima! Ci hai preso! Guarda questo locale è tutto mio! Sai bene che io sono un tipo solitario e che non mi fido di nessuno.Lo sai perfettamente anche tu, che noi orfani siamo fatto così!» L’uomo con orgoglio le spiegò le varie vicissitudini che l’avevano portato al suo attuale successo finanziario. Si vantò della sua particolare bravura nel settore imprenditoriale,rilevando il fatto di esserci riuscito facendo tutto da solo, senza l’aiuto di nessuno. Finì il discorso evidenziando che oramai era uscito dal giro della Mala per dedicarsi a una vita più morigerata. Poi, notando che la giovane cominciava ad annoiarsi, cambiò repentinamente argomento. «Invece tu cosa mi racconti? Mi fa piacere rivederti. Cazzo, ma quanti anni saranno ati, cinque?» «Sette!» «Esatto, sette! Comunque, se ricordo bene, oramai è già da un paio d’anni che

abbiamo ripreso a sentirci telefonicamente.» «Sì, giusto per farci gli auguri di compleanno e per le feste comandate!» «Dai Vanora, non fare così! Che ti posso dire, tu mi avevi lasciato. Cazzo, te ne eri andata via senza dirmi niente! Io non ti ho più cercato perché, sai, nel nostro vecchio campo la discrezione era fondamentale» «Lo so perfettamente! Ehi, Guarda che non sono mica venuta qua per litigare! Tutt’altro, per riappacificarci.» «Cazzo, ed io che per anni ho pensato che mi odiassi perché ti avevo trascinato in quella dannata professione!» «Odiarti! Vuoi scherzare! Ma lo sai quanti soldi mi sono fatta grazie a te?!» I due continuarono a parlarsi con complicità, Vanora sapeva molto bene come gestire la situazione, facendo sentire importante la sua ultima vittima. Oramai lo aveva ammaliato, attirandolo sempre più nella sua spietata trappola, riuscendoci senza alcun problema. Dopo una decina di minuti e qualche bicchiere di troppo, la preda era oramai catturata, in pratica ai suoi comandi. «Dai! Ora andiamo a ballare! Ti va?» «Ma certo bella! Guarda conosco pure il DJ, l’ho scelto personalmente!» I due, mano nella mano, raggiunsero il centro della pista, facendosi strada tra la gente che l’affollava. La musica tecno era assordante e le luci stroboscopiche che accompagnavano i brani, agevolavano l’ebrezza dell’alcol che avevano ingerito poco prima. Lentamente, i due corpi accaldati, iniziarono ad avvicinarsi l’uno all’altra. Vanora con ardore iniziò a strusciarsi su quello del suo ex fidanzato. Continuò nel suo intento, in modo sempre più sensuale e provocatorio, fino a provocargli una evidente eccitazione.

Piuttosto imbarazzato, l’uomo all’inizio si allontanò da lei. «Piccola, però se fai così, non rispondo più delle mie azioni!» «Dai, allora è il momento giusto per farci un giro. Non ti pare?» L’uomo si riavvicinò alla ragazza stringendola a sé con forza, poi iniziò a baciarla sul collo. Vanora lo fermò maliziosamente dicendogli: «Dai, ora usciamo, che ne dici? Conosco un posticino appartato.» Ancora abbracciati i due lasciarono il locale, giungendo alla macchina del malcapitato. L’uomo accese il motore, e si fece guidare dalla ragazza. Dopo una trentina di minuti di viaggio, Vanora gli fece raggiungere una spiaggetta isolata, situata a pochi chilometri di distanza dal centro abitato. Giunta alla sua meta gli fece spegnere il motore. La giovane interruppe il silenzio che da un paio di minuti saturava l’interno dell’abitacolo. «Mamma mia che stellata! Guarda che meraviglia! Quella non è forse la costellazione dell’Orsa Maggiore? No, forse è quella dell’Orsa Minore?! Guarda te che incanto!» Vanora si voltò verso destra per meglio osservare la scena che la sovrastava, dando volutamente le spalle al suo accompagnatore. Ora, la pelle nuda della sua schiena che fino a poco prima era poco visibile, si mostrava con chiarezza, grazie all’ampia scollatura presente anche sul retro del suo elegante e provocante vestito. Appena di sotto a essa, l’aderenza dell’abito che le fasciava il corpo, evidenziava le morbide e sinuose forme del suo sedere. A questo punto, l’uomo perse il controllo facendosi trasportare solamente dall’ardore crescente dell’eccitazione

provata e dall’ebrezza alcolica che gli disinibiva i pensieri. Con un deciso movimento si slacciò i pantaloni, si alzò dal sedile sottostante per farli scivolare verso le ginocchia, quando il suo membro eretto fu del tutto scoperto, con la mano destra lo afferrò e iniziò a masturbarsi senza ritegno. Con la voce spezzata dalla foga di quell’atto sempre più cadenzato, sbavando, iniziò a richiamare l’attenzione della giovane. «TU sei una vera meraviglia! Tu…Piccola mia! Piuttosto, girati un po’ e guarda qua! Ho qualcosa per te! Se ricordo bene, non ti piaceva perdere tempo. Vero?! Dai, piccola, come i vecchi tempi! L’hai detto tu che il primo amore non si scorda mai! No?!» La ragazza lentamente si voltò verso sinistra e quando vide quella reazione inattesa, sobbalzò. Ora le cose stavano prendendo una brutta piega, sfuggendo al suo controllo. Il suo cuore iniziò a palpitare con forza, mentre la gola iniziò a seccarsi. A fatica ingoiò un po’ di saliva, nell’intento di schiarirsi la voce,però non riuscì a emettere alcun suono e titubante assecondò la sua vittima. L’uomo smise di masturbarsi, poi con un gesto repentino della mano sudaticcia, senza indugi le cinse il capo avvicinandolo al suo pene eretto. Vanora se lo trovò a pochi centimetri dalla bocca. La situazione era ormai fuori controllo, era in balia di quel bruto schifoso. Cercò di liberarsi, ma per ora, era impossibile sfuggire da quella morsa! Desistette, poiché era troppo forte per lei! Non aveva altra scelta. Iniziò un brutale rapporto orale. La situazione si era ribaltata, Vanora era totalmente sopraffatta dalla foga di quell’uomo.

Un forte senso di nausea iniziò a stordirla. Sentiva la gola soffocata dalle notevoli dimensioni di quel pene,che con violenza le toglievano il fiato, e che le facevano mancare le forze. Per fortuna, appena l’uomo iniziò a percepire l’inizio dell’orgasmo, allentò la presa e la ragazza riuscì a divincolarsi. «Perché cazzo ti fermi!» Lei si allontanò dal suo ex, aprì lo sportello della macchina e barcollante uscì dall’autovettura. Riprese fiato, di nascosto si asciugò l’unica lacrima che le inumidiva il viso e palesò una falsa sicurezza. «Dai stallone andiamo in spiaggia, non vedi che stellata» «In spiaggia?! Ma sei fuori di testa?! Vieni qua e continua quello che stavi facendo!» «Eh no, bello mio, se mi vuoi devi prendermi!» Mentre si distanziava ancora da lui, sputò a terra più volte per togliersi dalla bocca il sapore odioso del pene del suo assalitore,che le procurava nausea e le contorceva lo stomaco. Dopo aver percorso alcuni metri, si girò in modo da non dargli le spalle. Dalla borsetta che teneva con entrambe le mani dietro la schiena, estrasse la pistola e la nascose infilandola nel vestito, dove l’aderenza dell’abito scolpiva il suo lato B. Nel frattempo, la sua vittima era scesa dalla macchina, e urlandole contro, iniziò a maledirla mentre le si avvicinava. «Dove cazzo credi di andare! Vieni qua e fatti scopare come si deve! Cerca di non farmi incazzare! Ok?!» L’uomo si fermò di colpo quando si trovò puntata in faccia la calibro trentotto

della sua vecchia fiamma. «Ehi, piccola stai calma! Ok?! Non fare così! Stavo scherzando!Calmati, non è il caso di…» Tre colpi a bruciapelo sparati a breve distanza gli fecero esplodere parte della faccia, altri deturparono ciò che rimaneva di quel volto oramai irriconoscibile. Vanora gli sputò addosso, mentre con rabbia, dentro di sé,rimuginava a denti stretti. «Brutto figlio di puttana, schifoso e maledetto, pensavi di fregarmi. Invece ecco fatto! Ti ho sistemato finalmente!» Ora aveva ripreso il controllo della situazione e poteva portare a compimento il suo piano. Dalla borsetta estrasse una boccetta che conteneva del liquido infiammabile preparato in precedenza, quindi ne cosparse alcune specifiche parti del cadavere. Le mani furono le prime, nessuna impronta di riconoscimento doveva rimanere, poi ne cosparse il corpo dalla vita in su. Vanora con una pinza si accertò di estrarre i resti dei denti rimasti in quella bocca ormai deturpata, e una volta finita quella stomachevole operazione, appiccò il fuoco al cadavere. Lo lasciò bruciare pochi minuti, poi con la sabbia circostante spense le ormai flebili fiamme. Non poteva permettersi di dare nell’occhio, dopo tutto aveva poco tempo a disposizione. Dal portafoglio della vittima estrasse i documenti d’identità, e li sostituì con quelli del suo amato Jack. Poi, con la macchina del malcapitato raggiunse la sua villa perrecuperare i propri bagagli e una tanica di benzina riempita in precedenza.

Raggiunse l’aeroporto di Olbia e nelle sue vicinanze, in una zona limitrofa molto isolata, vi bruciò l’auto. Prese il volo per Milano che partiva alle tre di notte. Tutto procedeva perfettamente, gli orari previsti furono rispettati. Mentre era in volo, cercò di rilassarsi, appena ci riuscì ripensò al suo piano. Escludendo la violenza subita, alla fine dei conti,quasi tutto era andato per il verso giusto. Cercò di rimuovere dalla sua mente la parte più dolorosa che aveva patito, dopotutto si sentiva forte abbastanza da dimenticarla e guardare oltre. Neanche il suo grande amore avrebbe dovuto sapere ciò che aveva davvero subito per ottenere il risultato finale. Ormai Vanora ce l’aveva fatta! Aveva salvato Jack! La vittima designata non aveva una famiglia che ne avrebbe reclamato il corpo, e soprattutto assomiglia moltissimo al suo uomo. Oramai solo un piccolo rimorso le turbava il sonno. All’insaputa di Jack aveva mantenuto i contatti col suo ex, inoltre aveva scelto proprio la Sardegna per rivedere e uccidere il suo primo amore, ma d’altronde era assolutamente necessario per sistemare le cose. Insomma, alla fine era riuscita a togliere Jack dal giro malavitoso e a metterlo in salvo. Le palpebre iniziarono a farsi pesanti, reclinò il capo sulla spalla.Sotto di sé, dal finestrino alla sua sinistra intravide le fioche luci dalla Corsica. Lui era lì sotto, a poche centinaia di metri. Si assopì e si commosse pensando al suo grande amore.

- La seconda isola -

Nel frattempo Jack vagava senza meta nella periferia urbana della Corsica meridionale. Non si rendeva più conto di dove fosse e cosa stesse facendo. Per cercare di ritornare alla realtà, guardò il suo orologio e comprese che da alcuni minuti erano ate le tre di notte. Nonostante si trovasse su un’isola stupenda, sovrastato da una stellata meravigliosa, schiarita da una luna quasi piena che ne risaltava la bellezza e la silenziosità della zona, la sua mente rimaneva come svuotata. Era alla ricerca di una serenità oramai lontana, ma per ora, dentro di sé, provava soltanto un senso di vuoto. Vuoto totale! Tra l’altro era completamente fiacco e frastornato, poiché non aveva ancora mangiato nulla dalle prime ore del mattino, e aveva vagato per tutto il giorno senza mai fermarsi. Infatti, un improvviso senso di debolezza gli appesantì le gambe, obbligandolo a sedersi sul selciato per cercare di riprendere le forze. Dopo alcuni minuti si assopì, finché un rumore sordo e improvviso, lo fece trasalire. Stordito, alzò gli occhi al cielo e vide le luci intermittenti di un aereo di linea che volava a bassa quota. Lo maledisse semplicemente perché aveva turbato i suoi amari pensieri, mai e poi mai avrebbe immaginato che stesse trasportando proprio la sua adorata Vanora verso la loro amatissima Milano. Invece la dura realtà di Jack era ben più complicata. Lei oramai non c’era più, non ci sarebbe stata per tantissimo tempo e quest’assenza lo svuotava senza pietà. Si rese conto che Vanora gli era entrata in ogni molecola dell’anima e che quella privazione lo devastava dal profondo. Comprese appieno che quella vacanza appena ata con lei era stata il periodo più bello della sua maledetta vita.

Si ridestò a malapena quando, per un attimo, pensò che fra cinque anni l’avrebbe riabbracciata, poi sogghignando tra sé e sé capì di essere, in fin dei conti, il figlio di puttana più fortunato sulla faccia della terra.

- Dentro -

La ragazza abbassò il finestrino del taxi, che cauto accostò davanti al cancello della sua abitazione. L’aria di Milano era sicuramente diversa da quella ben più salubre della Sardegna. Lo smog aveva un aroma meno piacevole, ma la città alle prime luci dell’alba aveva un fascino unico e carico di ricordi. Il tassista ringraziò Vanora della generosa mancia e si allontanò senza alcuna fretta. Lei era stanca, affamata e priva di forze, però aveva voglia di godersi appieno ogni singolo particolare di quella bellissima alba meneghina. Rimase per una ventina di minuti seduta sul suo trolley a guardare lo spettacolo del sole nascente, posto dietro gli edifici anneriti dal tempo e dallo smog. Un’alba stupenda; il rossore del cielo spaccava il grigiore delle nuvole sfilacciate dal vento settembrino, che le sfaldava dolcemente. Si portò le mani agli occhi per arrestare una lieve commozione che la incupiva sempre più, poi si alzò e si diresse all’entrata del suo edificio. Nel giro di pochi minuti si trovò nella propria camera, sdraiata sul letto. Nonostante il sonno che la intontiva, si fece forza, si alzò e si diresse verso la cassettiera situata di fronte a lei. Doveva ad ogni costo rivedere quel volto, il viso dell’uomo che amava.

Si rammaricò di non aver fatto delle fotografie in quella vacanza, almeno avrebbe immortalato quei momenti di pura felicità. Dopotutto, che senso avrebbero avuto, visto l’evoluzione delle cose che le sarebbero successe da lì a poco. Di Jack trovò soltanto una fototessera che lo ritraeva in un’espressione piuttosto stupida e annoiata. Sorrise osservandolo in quello stato, ma le bastò a rifrescare i suoi ricordi e a trovare un po’ di conforto. Come un’adolescente alle prime esperienze amorose, se la portò al petto all’altezza del cuore come a simulare un abbraccio simbolico, poi la baciò e la ripose nel cassetto. Si chiese cosa lui ora stesse facendo da solo in Corsica, se stava bene e se la pensava col medesimo ardore. Per un attimo si sentì come una fragile ragazzina innamorata. Ma non lo era. Tutt’altro! Lei era ben consapevole di cosa fosse, e cosa avrebbe fatto per salvare entrambi. In quel momento avrebbe dato la vita per poterci are la notte assieme, per rivederlo subito, per condividerci anche solo mezz’ora di tempo. Si buttò sul letto, abbracciò il cuscino, lo strinse a sé più forte che poteva. Lentamente si addormentò.

- Fuori -

Jack, invece, la notte precedente la ò insonne e all’aperto,ma per i giorni seguenti decise di ritornare nella civiltà.

Purtroppo questa scelta non lo agevolò più di tanto, poiché il suo umore comunque non mutava. Nonostante fosse di nuovo circondato da una moltitudine di persone, continuava a sentirsi completamente solo. Soltanto l’abuso di alcol leniva a malapena il dolore provato,quindi ne eccedeva quotidianamente. Quando l’ubriachezza gli annebbiava i pensieri, si ritrovava a vagare senza meta a ogni ora del giorno e della notte, maledicendo e spiando le coppie normali e le loro semplici vite.Una sera, però le cose andarono in modo diverso. Come ormai era sua abitudine, si ritrovò da solo seduto in un pub davanti all’ennesima pinta di birra, in cerca di un vano conforto. All’improvviso la sua attenzione fu turbata da alcune fragorose risate che ne interruppero di colpo le cupe riflessioni. Incuriosito Jack, si girò verso destra e si mise a osservare una scena inattesa. Vide una coppia di giovani innamorati, che poco distanti da lui, in un tavolo vicino, amoreggiavano e chiacchieravano liberamente. Nonostante avesse gli occhi appesantiti dall’ubriachezza, non riuscì a resistere alla voglia di osservarli. Notò subito lo sguardo della giovane donna e l’espressione del suo viso. Era come se in lei tutto fosse addolcito dall’amore provato; questo sentimento speciale aveva il dono di plasmare e abbellire ogni sua azione, dalla tonalità della voce, all’espressione languida dei suoi occhi. Ogni suo gesto era carico di una naturale sensualità. Rapito da questa scena imprevista, Jack sospirò a fondo. Dopo pochi secondi, fece un lungo sorso dal boccale di birra ormai mezzo vuoto,

poi con calma lo riposò sul tavolo di legno. Ovviamente gli tornò subito in mente la sua adorata Vanora, che aveva il medesimo dolcissimo sguardo. Capì che quell’assenza non voluta poneva l’accento in modo netto all’importanza e al valore del loro amore. Si sentì ancora una volta impotente e perduto. Digrignò i denti per meglio reprimere un’impellente bestemmia ma imperterrita, la rabbia iniziò a montare dentro di lui offuscandogli ancor più i pensieri. «Cazzo mi sembra di impazzire! Maledizione! Maledetti tutti! Maledetto il mondo!» Nervosamente riportò il bicchiere alla bocca, fece un ultimo sorso terminando così la sua birra. Per ora, quella fresca sensazione riuscì a placargli l’ira accumulata, agevolando un’amara introspezione. Comprese il motivo reale di tutta quella frustrazione. Non poteva esprimere alla donna amata ciò che provava, si rammaricò ulteriormente perché, fino a quel momento, non l’aveva ancora fatto usando le parole migliori e le azioni più adatte. Tantomeno adesso! Per cinque lunghissimi anni non avrebbe potuto farlo! Questa condanna lo annullava troppo, mentre l’effetto aggressivo derivante dall’ebrezza alcolica accumulata divenne sempre più ingestibile. Stizzito, diede un potente e rumoroso pugno sul tavolo per scaricare tutta la rabbia repressa, creando così attorno a sé un improvviso silenzio. Tutti i clienti del locale si voltarono verso di lui. Jack si guardò attorno con aria di sfida, e urlò ad alta voce provocazioni alla rinfusa, ma vedendo che nessuno si faceva avanti, riabbassò lo sguardo verso il

suo bicchiere. Si massaggiò la mano dolente, poi si voltò a destra fino a incrociare di nuovo gli sguardi di quella coppia d’innamorati. I due lo stavano osservando attoniti e intimoriti, mentre le loro mani si stringevano in cerca di un reciproco sostegno. Lui li fissò per alcuni secondi, finché fu sopraffatto dalla disperazione, abbassò la testa e si rimise a fissare il suo bicchiere svuotato. Ancora una volta, quella maledetta sensazione d’impotenza e di espiazione lo pervadeva. Non riuscì più a guardarli negli occhi; da quel momento in poi provò nei loro riguardi soltanto una totale, profonda e assoluta invidia. Si ridestò dal torpore solo quando si sentì toccare a una spalla, vacillando si girò su se stesso. Per via della forte sbornia, notò a malapena che dietro di lui c’era già il proprietario del locale, che parlando in se, spalleggiato da alcuni camerieri, lo invitava in modo risoluto a uscire dal suo pub. Jack si mise in piedi, alzò le mani in segno di resa e si voltò verso l’ingresso. Inizialmente pensò che fosse meglio stare calmo, per non complicare la situazione. Quando fu accompagnato al di fuori della birreria, i camerieri vi rientrarono, il titolare invece ne rimase all’esterno, fermo davanti alla porta d’entrata per assicurarsi che avesse lasciato definitivamente il suo locale. Non soddisfatto, nell’intento di allontanarlo, diede un vigoroso spintone all’ospite molesto che barcollò in modo appariscente. Jack appena ritrovò l’equilibrio, con furia si avvicinò a pochi centimetri dalla faccia del gestore, iniziando a inveirgli contro. «Ehi! Che cazzo spingi! Che cazzo vuoi! Vuoi litigare con me?! Allora dai, fatti sotto!» Jack alzò il pugno destro come per colpirlo, ma il contendente spaventato dalla

violenta e inaspettata reazione, sbiancò in volto e iniziò ad arretrare verso la porta d’entrata del pub. Jack tronfio del risultato ottenuto, abbassò il pugno e con la stessa mano si spostò i capelli che gli erano appena finiti davanti agli occhi. Ormai aveva fatto vedere chi era il più forte, ma ben sapeva che non poteva andare oltre, per non incorrere in un’eventuale denuncia e inutili problemi con la giustizia. Avrebbe voluto dare pieno sfogo a tutta la violenza accumulata che gli offuscava la mente, ma nella sua attuale situazione di latitante, questo era un lusso che non poteva in ogni caso permettersi. Ritrovò la calma, si avvicinò al gestore e si scusò per l’accaduto e come indennizzo estrasse dal portafoglio una generosissima mancia, quindi gliela consegnò e se ne andò via. Il responsabile del locale rimase in silenzio; era troppo frastornato e impaurito per reagire in alcun modo, si appoggiò soltanto al muro retrostante. Sentiva che le sue gambe erano ancora tremanti, quasi cedevoli. Riprese fiato cercando di ragionare con calma sull’accaduto. Aprì la mano destra e vide la quantità di soldi contenuta, a quel punto trovò le risposte che stava cercando. Comprese che avrebbe tenuto la bocca ben chiusa, e che avrebbe dimenticato l’accaduto. Ad alta voce si prodigò a ringraziare quello strano ma prezioso cliente, rincuorandolo sul fatto che non ci sarebbero stati problemi. Jack aveva già capito, non si voltò neanche e lo salutò a malapena con un cenno della mano, proseguendo imperterrito nel suo cammino. Decise che in quel posto non ci sarebbe più tornato. Mentre si allontanava dal Pub, ritrovò un po’ di lucidità. Ora doveva riuscire a trovare un lussuoso albergo per arci la notte. Intanto, in sottofondo, allontanandosi dal locale, udiva ancora la fastidiosa voce di quell’oste che, diveniva sempre più labile. «Merci! Merci! Pas problem, monsieur!»

Appena terminò la frase, il titolare del pub, sorridente iniziò a contare i soldi fino a realizzare l’effettiva copiosità della cifra ricevuta. Incredulo rialzò lo sguardo alla ricerca di quel generoso cliente,lo vide allontanarsi verso il centro della città, finché scomparve definitivamente dalla sua vista. Con le idee ben chiare e le tasche piene, riprese con maggiore gioia il suo lavoro.

- Ardore -

Vanora era di una bellezza inquietante, ogni suo gesto, anche quello più ingenuo e banale, era perfetto e sexy. Jack era incredulo nel verificare in ogni occasione come lei rispecchiasse in modo lampante i sui canoni di bellezza. Proprio come adesso che l’aveva davanti, e che sorridente lo invitava a raggiungerla. Subito, il ragazzo iniziò a correre verso di lei, ma stranamente la distanza che li separava, sembrava aumentare invece che diminuire. L’impresa si fece sempre più ardua, la fatica iniziò a togliergli il fiato, mentre sentiva il battito del suo cuore pulsare in modo sempre più veloce. Alla fine, sfinito, la raggiunse, ma appena allungò la mano per toccarla, inizio a provare un’intensa sensazione di calore,sempre più forte. Sconcertato, guardò verso il basso. Vide che il proprio corpo iniziava a incendiarsi lentamente; dalla punta dei piedi fino a propagarsi man mano all’apice della sua testa. Sbigottito, rialzò gli occhi e intravide davanti a sé Vanora: anche lei era ormai avvolta dalle fiamme.

D’istinto tentò di aiutarla, ma i loro corpi ardevano senza tregua,oramai era troppo tardi per entrambi. I due si abbracciarono impotenti, oramai sopraffatti dalla loro definitiva, implacabile e immutabile condanna, finché il fuoco che li avvolgeva si spense da solo. Nonostante tutto, però, la cosa più incredibile era che entrambi non provassero alcun dolore. Forse la potenza di quel contatto amoroso lo leniva? Era più forte di qualsiasi male? Intanto i due corpi ancora uniti, erano come imbrigliati in un spazio-tempo irreale, in balìa degli eventi avversi. All’improvviso la situazione iniziò a mutare. Jack iniziò a sentire il suo corpo divenire sempre più rigido, fino a quando ogni minimo tentativo di movimento divenne impossibile.Nel frattempo, il corpo inerte di Vanora, fu rapito da una potentissima forza misteriosa che iniziò a separarlo e ad allontanato da quello del suo amato. Lui tentò in ogni modo di riprenderle la mano per riportarla a se,ma in vano. Oramai non riusciva più a muovere alcun muscolo del proprio corpo. Disperato, provò a chiamarla con tutte le forze che gli erano rimaste, ma non riuscì a emettere alcuna parola. Un senso d’impotenza assoluta lo pervase, mentre la sagoma della sua amata diveniva sempre più lontana e irraggiungibile.Un urlo disperato gli tolse il fiato. Si svegliò di soprassalto. Stava sognando. Il battito cardiaco era talmente accelerato che Jack stentava a respirare, il panico crescente sembrava impossibile da placare.Provò ad alzarsi per cercare di ritrovare la calma, ma invano. La stanza era tutta buia, non aveva alcun punto di riferimento che lo aiutasse a indicargli una qualsiasi via d’uscita.

Il cuore sembrava esplodergli nel petto! Tastando il muro, lentamente iniziò a orientarsi, i suoi occhi cominciarono ad abituarsi alla poca luce che filtrava dalla porta che dava sul corridoio esterno della sua suite. Finalmente riuscì a raggiungere il bagno e ad accenderne la luce. Aveva il cuore in gola. Si mise di fronte allo specchio che sovrastava il lavandino di pregiato marmo nero. Tremante fece scorrere l’acqua fredda per alcuni secondi, si bagnò le mani e si sciacquò la faccia. Pian piano ritrovò la calma, si asciugò il viso e riprese fiato. Alzò la testa e si guardò riflesso nell’ampio specchio di fronte a sé. Fissò la sua immagine per alcuni minuti, poi iniziò a piangere senza trovare alcun conforto. Capì che stava toccando il fondo, l’abuso di alcol lo stava distruggendo, sia nel corpo sia nell’anima. Doveva cambiare vita! Assolutamente!

- Verso nord -

Dopo quella serata movimentata, decise di cambiare zona. Scelse di trasferirsi nel nord della Corsica; qui cambiò del tutto anche il suo stile di vita. Nonostante avesse ancora un bel gruzzoletto di soldi da parte, per il primo anno dal trasferimento, fece una vita solitaria al limite dell’indigenza.

Si fece crescere ancor più barba e capelli, per rendersi irriconoscibile a chiunque, così da evitare anche eventuali ritorsioni causate dalle sue azioni ate. Probabilmente stava diventando troppo paranoico. Di certo l’abuso di alcol non aveva agevolato l’effettiva visione del suo attuale stato. Dopo una lunga e faticosa depurazione da quella dannosa dipendenza, riprese comunque a bere alcolici. A differenza di prima però, stavolta lo fece in modo più ponderato e attento. Di fatto, in quel momento particolare della sua vita, rimaneva ancora il suo unico conforto. Dopo alcuni mesi, iniziò a frequentare alcuni pescatori locali e col tempo riuscì anche a lavorare sui loro battelli. Finalmente aveva trovato nuovi stimoli. Ora riusciva a riempire abbastanza bene le giornate, che fino a poco tempo prima, rimanevano troppo lunghe e noiose. Avendo ritrovato orari ben precisi, riacquisì anche una certa disciplina, che gli giovò molto sia al corpo, che alla mente. La sua condizione di esiliato però lo limitava ancora, mitigando il libero sfogo della sua innata indole rabbiosa. Se ne accorgeva soprattutto alla fine della giornata, quando si ritrovava da solo davanti al solito boccale di birra appena bevuto. Una sera, sogghignando a denti stretti, riuscì quasi a farsene una ragione. Pensò alla cosa più giusta da fare in quella situazione atipica. S’impose una regola ferrea. «Per ora la voglia di prendere a pugni il prossimo, rimarrà soltanto un lontano ricordo!»

L’ebbrezza alcolica ricominciava a dargli alla testa, facendogli riaffiorare la parte più negativa e violenta della sua personalità. In quel momento percepiva tutto il fastidio di quel limite imposto. Ancora quel maledetto senso d’impotenza che lo opprimeva oramai da troppo tempo, accompagnandolo in ogni fase della sua vita! Nei numerosi momenti di solitudine e sconforto che caratterizzarono quei lunghissimi cinque anni di allontanamento dall’Italia, arrivò a sentirsi un uomo invisibile. Ormai lui non esisteva più. Anche la falsa identità che lo tutelava,non lo smentiva. Di chi era quel nome scritto sul documento? Di era quella data di nascita? L’isolamento lo stava logorando nel corpo e nella mente, mentre i giorni avano lenti e vuoti. Oltre ai marinai con cui collaborava, oramai non parlava più con nessuno. Non aveva collegamenti col modo esterno, nessun cellulare personale o una sim card, ma soltanto una lista di numeri scritti a mano su una logora rubrica cartacea. Questi erano gli unici contatti che lo univano a quell’agognatissima realtà futura. Ma per ora, lui non esisteva più. A sua insaputa era soltanto uno scomodo e deturpato cadavere da classificare e dimenticare. Col are del tempo, però, riuscì ad alleviare i suoi turbamenti,riprendendo coscienza del perché fosse lì. Nonostante la durezza della situazione, col are dei giorni,via via ogni cosa tornava ad avere un senso. Tutto doveva proseguire in quella direzione, perché questo era stato deciso a priori.

Ripensò al piano di Vanora e agli effetti risolutivi di cui avrebbero goduto entrambi. «Pazienza Jack! Ci vuole solo pazienza! Pensa soltanto al momento in cui finalmente la riabbraccerai! Fatti forza!» Intanto i mesi avano lenti e simili gli uni agli altri. Il tempo può essere un cattivo alleato, ma non quando, nello scorrere, ti riavvicina sempre più a quell’attimo tanto voluto. Gli anni trascorsero imibili alle piccole vicissitudini umane,ma poco importava a Jack e Vanora perché la loro meta ormai si faceva sempre più vicina.

UNDICESIMO CAPITOLO Home sweet home

«Non ci posso credere! Ce l’ho fatta, cazzo! Sono ati esattamente cinque anni, cinque fottutissimi e lunghi anni». Jack era incredulo e nervoso mentre attendeva che Vanora schiudesse la porta, dopo tutto il tempo trascorso lontano da lei: «Ma perché non viene? Quanto cazzo ci mette ad aprirmi?!» Effettivamente erano già ati alcuni minuti, e la tensione era divenuta piuttosto fastidiosa. Si ò la mano sul viso per asciugarsi il sudore, la sua pelle era rimasta piuttosto sensibile dopo essersi rasato la lunga barba lasciata crescere incolta per così tanti anni. Si era preparato da alcuni giorni per questo momento, era andato dal coiffeur e aveva girato le vie della moda più lussuose di Milano per trovare l’abito più elegante che c’era sul mercato. Ora era perfetto. Vestito, pettinato, profumato a dovere. Tutto per lei, il suo vero e unico amore. Quanta tensione però provava, ora che era ad un o dalla sua donna…! Si guardò attorno, osservò proprio quel corridoio, quelle scale e quella porta. Per quanto tempo li aveva sognati, quanto aveva desiderato rivederli; ora era veramente lì! L’odore di quei vani gli riportò alla mente ricordi e immagini ate. Frammenti di vita vissuta riaffiorarono in lui senza limiti, mentre l’ansia di quel

fatidico incontro aumentava senza sosta. All’improvviso la porta lentamente si schiuse, Jack scattò impettito, ingoiando a fatica la poca saliva rimasta in bocca. Guardò dritto davanti a sé, poi una vocina flebile gli fece abbassare lo sguardo. «Tu devi essere il mio papà…» Rimase senza parole, confuso si ò la mano fra i capelli mentre cercò di trovare le frasi giuste per dare una risposta a quell’inaspettata domanda. Intanto la bambina lo osservava sorridente, poi notando che non otteneva alcuna reazione si avvicinò e gli prese la mano sinistra.Jack s’inginocchiò e senza proferire parola la abbracciò piuttosto frastornato. «Sì. Sono io, Jack il tuo papà…» «Ciao! Io sono Vittoria!» Ora aveva capito tutto. Era l’inaspettato frutto del loro meraviglioso amore. «Dove è la mamma tesoro?» «Mamma! C’è papà!» La bimba aveva gli stessi occhioni di Vanora, di un blu profondissimo, si staccò da lui, si girò di spalle e corse verso l’interno dell’appartamento, poi si fermò all’improvviso, quindi si voltò di nuovo verso suo padre. «Aspetta qua, la mamma sta finendo di vestirsi, sai io le ho dato una mano perché non…», stranamente non finì la frase e scappò via. Jack si rimise in piedi, ancora confuso aggrottò le sopracciglia e tirò un profondo respiro, presagendo qualcosa di molto negativo.Iniziò quindi a camminare con calma in direzione della piccina,dopo alcuni i giunse nella camera da letto di Vanora. Appena la vide di spalle, il suo cuore sembrò esplodergli nel petto. Indossava un vestito semplice, ma molto elegante di seta grigio chiaro che

faceva risaltare la bellezza delle sue sensuali forme. Non riuscì a non notare che il suo fondo schiena era sodo come sempre, valorizzato anche dai tacchi alti delle scarpe scure che calzava con una grazia unica. I capelli finemente acconciati, erano raccolti in una mezza coda morbida. Lentamente la ragazza si voltò verso di lui rimanendo però a testa bassa. «Hai visto che bella è la mia mamma!» La figlia le prese la mano e la accompagnò verso di lui. I due corpi si unirono in un lungo abbraccio, mentre la piccola si strinse a loro. Dopo alcuni minuti, quella bambina meravigliosa,silenziosamente si staccò dai genitori e se ne andò in un’altra stanza a giocare. Jack, intanto non capiva perché la sua amata continuasse a fissare il pavimento. «Guardami in faccia Vanora… Ti ho detto di guardarmi!» Lei dopo alcuni tentennamenti obbedì; a Jack raggelò subito il sangue! Sbalordito riuscì solo a sussurrarle poche parole: «Che diavolo ti hanno fatto?» «Era l’unico modo per uscirne. Non c’era altro modo Jack!» Che cosa era successo in sua assenza, quelli non erano i suoi meravigliosi occhioni blu. «Sono protesi, l’avrai capito?» «Amore mio…» «Lasciami spiegare Jack, però prima ti prego dimmi la verità. Ti piaccio ancora?» «Amore mio! Ma che domande mi fai?! Sei stupenda come sempre!»

I due si sedettero sul letto mano nella mano, quindi lei iniziò a raccontagli tutta la verità. Gli spiegò che ebbe alcuni incontri con i mandanti dei loro omicidi. Nei primi, tentò in tutti i modi di cercare un accordo in denaro per uscire dal giro, ma come aveva già previsto, ebbe presto la conferma che la cosa era del tutto impossibile. Da certi ambienti non se ne esce facilmente e soprattutto illesi!Non ebbe scelta, optò per la soluzione più drastica e dolorosa;all’ultimo meeting non poté più andarci di persona. Si rivolse a un suo conoscente, un veterinario corrotto che in più occasioni aveva già ricucito dei colleghi, dopo alcuni scontri a fuoco. Una volta che le rimosse i bulbi oculari, come da accordi presi, li mise in una busta di plastica a chiusura ermetica e li fece pervenire tramite posta raccomandata ai loro capi. Dopo tutto un killer senza occhi era inutilizzabile, tantomeno sarebbe servito per altre missioni o eliminato come scomodo testimone oculare…! Piano perfetto, aveva trovato il giusto lasciaare per uscirne! Il falso Jack trovato morto, bruciato e sfigurato in Corsica, non aveva destato alcun sospetto e con Vanora in quello stato, tutto ciò voleva dire soltanto, essere liberi entrambi. Vittoria! Ma a che prezzo? «Un veterinario?! Vanora ti sei affidata a un veterinario?!» «Amore mio, non fare il bambino! Secondo te dove trovavo un chirurgo onesto disposto a un intervento simile?» «Hai ragione sono uno stupido! E chissà quanto avrai sofferto amore mio… Cazzo sono così frastornato che non trovo le parole! Però una cosa la so con assoluta certezza. Che ti amo, e…» La commozione provata, gli spezzò il fiato finché il silenzio fu interrotto da una

semplice risposta. «Anch’io ti amo. Jack ascoltami…» La ragazza non riuscì a proseguire la frase, all'improvviso si sentì mancare le forze. Jack subito la sostenne, poi ne accompagnò la caduta facendola lentamente sdraiare sul letto, quindi vi poggiò sopra anche le gambe. «Vanora che ti succede?! Cazzo, rispondimi…! Vanora!» La giovane giaceva inerte, sembrava svenuta e Jack non sapeva più che cosa fare. Si alzò, fece due i indietro per allontanarsi da lei, sconvolto si ò le mani fra i capelli che nel frattempo gli erano scivolati sugli occhi, cercando di ritrovare la calma necessaria per ragionare sul da farsi. «E adesso che diavolo faccio per…» Non ebbe neppure il tempo di terminare il pensiero, che la sua attenzione fu attirata da un flebile rumore di i che provenivano dalla stanza adiacente. Si voltò e vide sua figlia con un bicchiere semi colmo di un liquido biancastro. «Vittoria, la mamma sta male! Dove è il telefono? Devo chiamare un dottore!» «No, papà bevendo questo, starà meglio. Ogni tanto le capita, ma poi le a.» Intanto Vanora iniziò a bisbigliare alcune frasi. «Vieni qua amore. Vieni dalla mamma. Brava bambina mia. Vedi Jack com’è in gamba la nostra piccola. Sa già prendersi cura della sua mamma! Vero Vittoria?!» Vanora, a fatica si mise seduta sul letto. «Dove sei tesoro, vieni dalla tua mamma che ha bisogno della medicina.» La bimba ò di fianco a Jack ancora immobile a osservare la scena, e una volta che raggiunse la madre, le mise in mano il bicchiere.

Vanora fece due sorsi, e lo riconsegnò semi vuoto. Vittoria lo posò sul comodino adiacente al letto. «Su Jack, torna qui da me. Non devi impressionarti. Questo è il prezzo della libertà!» Lui obbedì e si sedette accanto. Era completamente frastornato!«Vittoria fai la brava, riporta il bicchiere in cucina e torna a giocare nella tua stanza che mamma e papà ora devono parlare da soli.» «Ok mamma! Ciao papà a dopo!» «Ciao piccola! A dopo tesoro.» «Hai visto come è obbediente? E’ davvero un angelo. Jack non trovi anche tu che sia meravigliosa? Io non posso vederla ma…toccandola so perfettamente com’è fatta. E’ bellissima!» «E’ stupenda, poi così in gamba! Alla sua età poi, ma com’è possibile?» «E’ la nostra piccola, Jack. E’ tutta nostra capisci? Mia e tua. Ed è libera! E’ la cosa più bella che abbiamo fatto. Non trovi amore?» «Vanora è il regalo più bello che potessi farmi!» «No Jack, è il regalo più bello che potessi farmi tu!» I due innamorati si abbracciarono ancora, poi si parlarono per lungo tempo. Il loro discorso veniva ogni tanto interrotto da teneri baci che diventavano sempre più lunghi e apionati, mentre a loro insaputa erano spiati da Vittoria, che di nascosto li osservava sorridente da dietro la porta socchiusa.

- Una nuova vita -

Jack uscì dalla gioielleria fischiettando. Con quest’ultima commissione aveva fatto tutto, oltre ad aver prenotato il ristorante e ritirato i biglietti dell’aereo che

avrebbero preso il giorno dopo. Completati gli incarichi, aveva ancora un’ora libera per rilassarsi prima di are a prendere Vanora. Decise di fermarsi in un bar per bere una birra e comprare le sigarette. «Una Tennent’s super e un pacchetto di Camel blu. Grazie.» Si sedette a un tavolino esterno al locale, così avrebbe potuto fumare liberamente. Versò la birra nel bicchiere, ne bevve un sorso e si accese una sigaretta. Quando arrivò a fumarsene circa la metà, gli squillò il cellulare. «Ciao papà sono Vittoria come stai?» «Bene tesoro. Che succede tutto ok?» «Si papà. C’è la mamma che ti deve parlare, aspetta che te la o.» «Ok piccola, amela.» «Ciao Jack. Che fai?» «Niente di che, una birra…» «Bravo! Alla faccia mia, che invece sto impazzando nel cercare il vestito adatto per stasera. Meno male che Vittoria mi sta dando una mano. Poi mi dovrai spiegare che cavolo hai in mente?» «Sorpresa amore mio. Sorpresa!» «Senti Jack, allora la babysitter arriva per le diciannove e trenta e tu?» «Anche io! Tu fatti trovare pronta per quell’ora.» La conversazione telefonica terminò, Jack si versò la birra rimanente nel bicchiere e si fermò a riflettere. In quel momento realizzò di essere felice, semplicemente felice.Per la prima volta nella sua vita si sentì appagato e sereno, davanti a sé, ora lo attendeva un

futuro diverso. Una svolta ancor più positiva sarebbe iniziata proprio tra poco meno di un’ora. Forse anche per Jack e Vanora, era giunto il momento di godersi un periodo di pace. Diversamente dal ato, ora cercavano soltanto una vita serena, come quella di tutte le coppie normali che anche in questo momento, Jack vedeva eggiare poco distante, mentre finiva il suo drink. Per la prima volta iniziava ad avere fiducia nel futuro, nonostante tutto il dolore patito da lui e dalla sua compagna, e il peso di quello procurato dalle loro efferate azioni. Jack però non era un uomo che amava fare autocritica, le sue scelte erano quasi sempre dettate dall’istinto. Era una persona egoista e piuttosto cinica, caratteristiche fondamentali per il suo vecchio lavoro di sicario a pagamento. Ora però, le cose erano cambiate; entrambi ostentavano e desideravano una vita ordinaria, soprattutto adesso che avevano anche una figlia da far crescere nel migliore dei modi. «Desidera altro signore?» La voce del giovane cameriere lo fece ritornare agli imminenti impegni. Era giunto il momento di andare. «No grazie sono a posto. Tenga il resto.» Jack pagò il conto, salì in macchina e si diresse verso casa di Vanora. Vi giunse in perfetto orario, il Rolex indicava le diciannove e ventinove, tutto stava andando secondo il suo programma. Doveva essere una serata speciale e perfetta! Dopotutto era deciso a mantenere una vecchia promessa.

- La promessa -

Jack prese le chiavi di casa, e aprì la porta annunciando la sua presenza. «Amore ci sei?» «La signora Valeria è nella sua camera con Vittoria, sta finendo di prepararsi. Piacere io sono Chiara, la babysitter.» La ragazza gli tese la mano sorridendo, avrà avuto diciotto anni o forse anche meno. Aveva un’aria impacciata ma allo stesso tempo piuttosto maliziosa. «Piacere, chiamami Jack. Quindi ti occuperai tu di Vittoria, senti come sei rimasta d’accordo con la mia compagna?» «La signora mi ha chiesto di tenere vostra figlia fino all’una circa.» «Allora facciamo così, tieni questi soldi. Potresti fermarti fino a domattina, diciamo fino alle dodici?» La ragazza rimase sconcertata vedendo la consistente somma di denaro che aveva tra le mani. «Signore, non so cosa dire. Sono un mucchio di soldi. Non so se posso accettarli…» Jack non le fece finire la frase aggiungendo: «Dimmi solo sì! Sai,per noi è una serata speciale. Molto speciale!» «Mamma mia. Lei è molto generoso nei miei confronti. Sono imbarazzata, comunque va bene. Lo farò!» «Brava ragazza, allora d’accordo. Però ti chiedo solo una cosa,non dire nulla a Valeria!» «Ok signore, per lei questo e altro.»

«Ti ho detto di chiamarmi Jack!» La ragazza sorrise maliziosamente, era chiaro che quell’uomo così generoso e piacente aveva fatto colpo su di lei. «Ok… Jack.» «Brava, ora va da Vittoria e ate una buona serata!» La giovane si allontanò sorridente e raggiunse la camera di Vanora, poco dopo ne uscì con Vittoria in braccio. La bimba salutò il papà con un cenno della mano. Jack ricambiò il saluto della figlia, dicendole di fare la brava,quindi raggiunse Vanora che lo attendeva nella sua stanza. Era bellissima! Per lui era bellissima sempre, anche in questo momento che era semplicemente assorta nei suoi pensieri. Sarebbe rimasto a guardarla per ore. Come sempre Jack si perdeva nell’osservarla, mentre la sua mente assecondava le riflessioni del suo cuore innamorato. «Quanto devi aver sofferto, amore mio. Ti meriti tutta la gioia del mondo, ed io farò di tutto per renderti felice! Mi hai salvato la vita, pagando il prezzo più alto che potevi. Per questo io ti farò il regalo più grande che posso.» «Jack sei tu? Sento il tuo profumo.» «Eccomi amore! Dai, sei pronta che dobbiamo andare?! Siamo in perfetto orario!» «Non so che ti frulla nella testa! Ma a questo punto non mi resta che fidarmi. Come mi trovi, tesoro?» «Sei splendida, come sempre…»

«Amore…!» I due si baciarono, poi Jack la prese sottobraccio. S’incamminarono verso la porta dell’appartamento e dopo avere salutato Chiara e Vittoria, uscirono da casa. Salirono in macchina e dopo circa un’ora di viaggio, raggiunsero un ristorante tipico nei pressi del lago di Como. Ci erano già stati agli albori del loro rapporto, quindi per lui era il luogo perfetto per dichiararle tutto il suo amore, e per chiederle di sposarlo. Mangiarono un’ottima cena a base di pesce e una volta terminata, Jack saldò il conto. Usciti dal locale, i due innamorati fecero una eggiata al chiaro di luna sul lungolago e raggiunto il belvedere, si fermarono. Jack prese la mano sinistra di Vanora. «Amore ho una cosa da darti e una da chiederti» «Jack, ma cosa hai in mente stasera?» «Tieni! E’ per te.» La ragazza ammutolì, scartò il pacchetto e aprì la confezione rifinita in velluto che ne era contenuta. Con il tatto riuscì capire che per le mani aveva un costoso anello,con incastonato un pregiato diamante. «Jack non dovevi…» «Aspetta, lasciami dire per favore. Sono giorni che sto cercando le parole più adatte per chiedertelo. Insomma, mi ero preparato un bel discorso ma mannaggia a me, l’ho già dimenticato…! Ecco... Allora lo sai che ti amo, quindi… Cazzo…!» «Jack! Sei davvero un disastro nelle dichiarazioni d’amore!»

«Dai non ridere! Lasciami parlare.» «Hai ragione, scusami.» «Noto che almeno tu ti stai divertendo! Allora dove ero rimasto? Ah già! Insomma Vanora ti ricordi cosa ti dissi quando ci lasciammo al porto di Olbia prima del mio esilio?» «Certo che me lo ricordo tesoro. Mi dicesti che al tuo ritorno mi avresti sposato.» «Esatto! Quindi, come sai, mantengo sempre le mie promesse.Allora, la domanda cruciale è… Vuoi sposarmi?» «Amore…Sono senza parole, non mi aspettavo che l’avresti fatto davvero, anche se ci speravo… Non so che dire…» «Dimmi solo di sì!» La ragazza stette in silenzio per alcuni secondi, poi abbracciò il suo uomo e lo baciò apionatamente. «Vanora era un sì?» «Certo Jack! Era un sì!» Ancora un altro bacio, poi un altro lunghissimo abbraccio, finché la ragazza interruppe le effusioni amorose e incuriosita chiese. «E dove ci sposiamo…?» «Tranquilla ho organizzato tutto io. Ti dico solo il nome della nostra prossima meta. Las Vegas! Ho già in tasca i biglietti dell’aereo di domani sera. » «Oddio amore! Non ci posso credere! Ma quanto amo quest’uomo?!» La coppia era raggiante di felicità. Jack riprese sottobraccio Vanora e le spiegò il resto del programma di quella serata speciale.

Terminata la eggiata, raggiunsero la macchina che li avrebbe portati all’albergo prenotato in precedenza. Tranquillizzata Vanora riguardo all’accordo preso con la babysitter per accudire Vittoria sino all’indomani, i due arono una meravigliosa nottata a festeggiare nella loro suite, e a fare l’amore fino all’alba del giorno successivo.

-L’indomani -

La notte era stata piuttosto movimentata, tra fiumi di Champagne e sesso sfrenato i due innamorati avevano fatto l’alba, finché crollarono stremati. Jack aprì gli occhi a fatica, era appesantito da un fastidioso mal di testa che lo intontiva del tutto. Guardò il suo Rolex appoggiato sul comodino adiacente all’ampio letto matrimoniale, e vide l’orario: erano le dodici e quindici. Scattò seduto sul letto mentre capì che avrebbe dovuto risolvere urgentemente un problema. «Cazzo! Vittoria! Avevo detto alla babysitter che saremmo tornati per mezzogiorno. Devo avvisarla del ritardo! Ma dove diavolo ho messo il suo numero!» Il trillo inaspettato del cellulare di Vanora lo fece trasalire; sul display lesse il nome del mittente: Chiara. Sospirò e rispose alla chiamata. «Chiara sono Jack. Tutto bene?» «Si, io e Vittoria abbiamo ato una notte serena. Immagino anche voi?» «Beh, si. Più o meno! Senti, scusami per il ritardo ma abbiamo fatto le ore piccole e non ci siamo resi conto dell’orario. Comunque saremo a casa tra circa

un’ora, forse qualche minuto in più…» «Jack, per me non ci sono problemi sono a sua completa disposizione. Con tutti i soldi che mi hai dato, potrei non lavorare per tutto il mese. Piuttosto è Vittoria che vuole i suoi genitori.» «Poverina! Lo so, ha ragione. Senti, facciamo il possibile per raggiungervi al più presto! Ok? Ora ti saluto. Tranquillizza la bimba.» «Va bene capo. Ai suoi ordini.» La ragazza chiuse la conversazione con la solita ironica malizia.Jack aveva capito la sua evidente disponibilità, e non se ne stupì più di tanto. La sua vita particolare gli aveva insegnato che, come anche in questo caso, con i soldi si poteva ottenere praticamente tutto. Non che la ragazzina non gli pie, tutt’altro, però l’amore per Vanora era talmente unico e appagante, che lui non sarebbe mai stato con nessun’altra donna. Intanto i minuti avano e doveva darsi subito da fare. Posò il cellulare, si girò su se stesso e picchiettò sulla spalla nuda della sua amata, nell’intento di svegliarla. «Vanora! …Vanora! Dai dormigliona, dobbiamo andare! Si è fatto tardi. Vittoria ci aspetta!» Stranamente, però la ragazza non rispondeva agli stimoli.Insistette più volte, ma non ottenne nulla. Jack dopo alcuni minuti ati senza una sua reazione iniziò a preoccuparsi sul serio. Vanora sembrava svenuta, aveva la cute fredda e umida, le mani erano gelate e il viso smunto. Jack appena ebbe realizzato la gravità della situazione, capì che doveva fare subito qualcosa.

Affannato, chiamò la reception dell’albergo, che nell’arco di una decina di minuti fece arrivare un’ambulanza. Il medico del 118 appena vide la criticità della situazione visitò a lungo Vanora, mentre Jack, fumando una sigaretta dietro l’altra all’esterno della loro camera, rimase nervosamente in attesa di un responso. Alla fine la porta si aprì e il dottore lo fece entrare per illustrargli la diagnosi. «Senta, si sieda qui e cerchi di rilassarsi. La sua compagna si è ripresa da alcuni minuti, ho finito adesso di parlarle.» «Allora sta meglio, posso vederla!» «Stia calmo e mi ascolti. Che cosa avete entrambi? Anche la signora smaniava di vederla. Ma è possibile che nessuno dei due voglia ascoltarmi!» «Ha ragione dottore. Mi dica esattamente come sta.» Il medico gli spiegò che Vanora aveva avuto un leggero collasso cardio circolatorio, il suo fisico aveva ceduto perché era alquanto debilitato. Le aveva visitato anche le orbite oculari ed aveva notato delle lesioni alquanto mal curate e una grave infezione cronica che le procuravano frequenti febbri e forti dolori alla testa. Ne consigliava un urgente ricovero per altri approfondimenti. Il problema, però, era che la ragazza si rifiutava ad ogni costo di assecondarne i consigli. «Ok dottore ci parlerò io, a me darà ascolto. Grazie. Prenda questi soldi e non ne parli con nessuno, mi raccomando!» «Lei è molto generoso, ma non posso accettarli. Prenderò solo la mia parcella e nient’altro. Stia tranquillo, la mia etica professionale m’impone il silenzio.» «Dottore insisto...» «Ho detto no. Grazie! Piuttosto usi i soldi per comprare le medicine che la

signora dovrà assumere per alcuni giorni. Le ho già consegnato la ricetta. La convinca a ricoverarsi, mi dia ascolto! Un’ultima cosa; non esagerate col bere, soprattutto lo faccia per la sua compagna.» «Non si preoccupi! Grazie!» L’anziano medico fece un cenno di saluto con la mano, quindi si allontanò assieme ai volontari dell’ambulanza. Appena lo vide sparire dalla sua visuale, Jack si precipitò all’interno della suite, e trafelato raggiunse Vanora. «Amore mio. Come stai? Mi hai fatto preoccupare!» «Jack, amore, portami a casa che dobbiamo partire ed io devo ancora prepararmi. Abbiamo poco tempo; l’aereo decolla alle venti, giusto?» «Giusto! Ascoltami amore. Il dottore ha detto...» «Jack! Sto bene, ok! Lo so cosa ha detto il dottore, le stesse cose che ha detto a te, in precedenza le aveva dette a me!» «Vanora, devi ricoverarti! Senti adesso chiamo l’agenzia di viaggio e rimando…» La ragazza lo interruppe bruscamente: «No! Tu non chiami nessuno! Io adesso mi alzo e me ne vado. Senti amore, solo una cosa voglio fare; prendere quel benedetto aereo e sposarti!» Poi aggiunse, sussurrando: «Prima che sia troppo tar…» Vanora non terminò la frase ma Jack, comunque ne comprese l’amaro significato, ma scelse di non replicare, facendo finta di niente. La loro intesa andava oltre le parole, la assecondò. Entrambi già avevano intuito che il tempo rimasto era prezioso. «Dai amore dammi una mano a vestirmi.» «Ok Vanora, ho capito il messaggio. Su andiamo, ti aiuto io. Però al ritorno ti ricoveri, promesso?!»

«D’accordo! Dai vieni qua e dammi un bel bacio, maritino mio!» Jack rimuoveva questo timore insistendo caparbiamente nei suoi progetti a lungo termine, invece Vanora sentiva dentro di sé la gravità della sua condizione fisica, ma per amore del suo uomo la minimizzava con ironia.

- Per il mondo -

Vittoria aveva insistito molto nel volersi sedere vicino al finestrino dell’aereo, voleva a tutti i costi godersi appieno la visuale di questa sua nuova esperienza; era il suo primo volo. Avevano voluto portarla in viaggio, perché la permanenza al di fuori dall’Italia sarebbe durata più tempo possibile, almeno tre mesi. Avrebbero fatto il giro del mondo tutti assieme e si sarebbero goduti questa meravigliosa e lunga vacanza. Loro sicuramente avevano una maggiore liquidità rispetto alla gente comune; i soldi, per i due, non erano certo un problema, però l’idea iniziale era quella di are un semplice periodo di ferie in famiglia. Giunsero a Las Vegas dopo un lungo e noioso volo, raggiunto il loro lussuoso hotel, vi pernottarono solo pochi giorni, giusto il tempo necessario per la cerimonia nuziale. Vollero fare le cose in fretta, il matrimonio fu celebrato nel minor tempo possibile, di fatto, nell’arco di un pomeriggio erano già stati dichiarati marito e moglie. Dopotutto era ciò che desideravano, e da quelle parti questa celerità era la norma. Vittoria fece da damigella d’onore indossando un bellissimo abitino color bianco panna e una coroncina di fiori.

Vanora invece indossò un vestito color perla, con un bustino aderente, senza strascico né velo. Jack un semplice ma elegante smoking grigio chiaro. Dopo il fatidico sì, tutti e tre partirono per il loro tour americano organizzato, che durò circa una ventina di giorni. Dall’America, poi andarono in Oceania per un paio di settimane, poi visitarono il continente asiatico, terminando il loro lungo viaggio in quello africano. Qui iniziarono a ricomparire e ad aggravarsi i problemi di salute di Vanora. I suoi svenimenti divennero sempre più frequenti, i dolori alla testa sempre più lancinanti, al punto che anche la normale deambulazione divenne in breve tempo un serio problema. Oramai non avevano più scelta, dovevano tornare prima possibile in Italia per accertamenti, e in caso di evenienza, per ricoverarla. Sfortunatamente la situazione degenerò in poco tempo. Giunsero a Milano che Vanora era già incosciente, ad accoglierli solo un’ambulanza preallertata dal personale di bordo dell’aereo.Fu subito intubata e ricoverata nel reparto rianimazione dell’ospedale Niguarda, dove vi rimase per circa una decina di giorni. Nel frattempo Jack si occupò di convalidare il loro matrimonio anche in Italia. Per fortuna Vanora iniziò a riprendersi, ma la diagnosi fu nefasta. L’infezione alle orbite oculari era degenerata in necrosi e si stava espandendo implacabilmente al cervello. I dottori non le diedero più di sei mesi di vita, le rimanevano solo delle cure palliative per mitigare il dolore. Non essendoci oramai più nulla da fare, le permisero di tornarsene a casa sua. A Jack crollò il mondo addosso. Con la donna amata in quelle condizioni pietose e una figlia da crescere da solo,

si sentì del tutto perso e disperato. Vanora comunque si rivelò piuttosto forte e reattiva, ando da fasi d’incoscienza totale a periodi di lucidità estrema. Fu proprio in uno di questi momenti che decise di chiamare a se Jack, per comunicargli alcune cose molto urgenti e importanti che doveva sapere. «Amore mio, dove sei? Vieni qua bello, devo parlarti.» «Dimmi amore mio. Sono qui, senti che ti sto tenendo la mano? Mamma mia quanto sei bella! Lo sai che ti amo!» «Si lo so che mi ami, e sai bene quanto io ti amo! Però adesso ascoltami bene. Allora, sfortunatamente non sono più forte come una volta e so benissimo che ho le ore contate…» «Che diavolo stai dicendo Vanora, ce la faremo anche stavolta…!» «No amore mio, questa volta non ce la farò, lo so. Ormai sento le forze abbandonarmi lentamente. Ma prima di lasciarvi voglio chiederti due favori. Il primo è di non farmi diventare un vegetale, nessun accanimento terapeutico, mi raccomando. Oramai anche queste droghe legalizzate che mi danno, iniziano a non funzionare più come all’inizio e il dolore ricomincia a farsi insopportabile. Seconda cosa che ti chiedo, è quella di guardare nella cassaforte dietro al quadro in sala, al suo interno sotto un doppiofondo ci sono alcune cose per voi. Appena puoi, dacci un’occhiata, mi raccomando amore mio! Ora sono stanca, tesoro mio… Vieni qua e dammi un bacione dei tuoi!» Jack, lacrime agli occhi, si avvicinò e la baciò a lungo stringendola a sé. «No amore, che fai? Non devi piangere… Io sono felice perché ti ho amato. Guarda che conto su di te, Vittoria deve crescere bene e tu sei un ottimo padre. So perfettamente che avrai tutta la forza necessaria per sostenerla fino in fondo. Lo farai per me, amore? Me lo prometti Jack?» «Certo Vanora! Certo… Se è quello che vuoi, io lo farò. Per te farò tutto; questo e altro…»

«Bravo amore mio, sei un tesoro. Visto che alla fine ne è valsa la pena e che tutto questo dolore ha generato qualcosa di positivo? Mamma mia, sto diventando insopportabilmente saggia e pallosa… Basta… E’ meglio che torno a dormire, sono troppo stanca. Vieni amore mio, abbracciami forte, finché non mi addormenterò.» Jack si sdraiò accanto e assecondò volentieri la sua richiesta. La guardò assopirsi gradualmente, le accarezzò il viso e le bende che le coprivano gli occhi. Anche in queste condizioni disperate, per lui, era bellissima e l’amore provato per lei era assoluto.

- This is the end -

I giorni avano a rilento, le fasi di lucidità di Vanora si fecero sempre più rare e brevi, finché finì in coma irreversibile. Da quel momento, Jack e Vittoria la videro spegnersi giorno dopo giorno, poi fu anche necessario chiamare un’infermiera per accudirla, rimanendo così relegati nel ruolo definitivo e straziante di spettatori impotenti e disperati. Jack non dormiva più, ava le notti seduto affianco al letto di Vanora a parlarle nel vano tentativo di darle forza, anche se ormai tutto era inutile. Lei col are dei giorni diveniva sempre più magra, mentre la sua bellezza, assieme alla sua vita, sfioriva implacabilmente. Preso dalla disperazione, dopo una lunga e amara riflessione, Jack capì cosa era giusto fare. Fece addormentare Vittoria, le rimboccò le coperte dopo averle dato da abbracciare il suo peluche preferito, e assicuratosi che il suo sonno fosse profondo, uscì dalla sua camera chiudendo accuratamente la porta dietro di sé. A questo punto raggiunse Vanora, che inerme nella stanza attigua, era illuminata dalla fredda luce al neon sovrastante i macchinari che la tenevano penosamente

in vita. Non era più lei, quel viso non era più il suo. Quel volto radioso e solare di un tempo era divenuto scarno e pallido, i capelli erano malamente tirati indietro ed appiccicati tra loro, le braccia oramai scheletriche erano straziate da numerosi tubicini che le iniettavano inutili nutrimenti chimici. Non poteva più vederla in quello stato! Si avvicinò e le tolse il respiratore automatico. Quasi subito la respirazione della ragazza, divenne rantolante, mentre numerose convulsioni involontarie iniziarono a scuoterne il corpo oramai scheletrico. Jack la fissava. Dalle orbite svuotate, gli parve di notare che uscissero alcune lacrime, che pian piano ne umidirono l’asciutta pelle del viso. Non resse più allo strazio, prese un cuscino e lo appoggiò su quel volto devastato dalla sofferenza, e iniziò a spingere con tutte le sue forze. In meno di un minuto spirò. Una volta che fu certo del suo decesso, Jack la strinse a sé, la abbracciò con forza supplicandone il perdono, poi con cura la ripose sul letto. Pianse a lungo tenendole la mano gelida. Le si avvicinò ancora e la baciò sulla bocca semi aperta, quindi si allontanò da lei. Sconsolato si mise le mani fra i capelli, tentando di reprimere tutta la disperazione provata. Tutto era vano, era solo devastato dalla disperazione. Non resse più a quella scena, decise che doveva uscire da casa. Prima però doveva sistemare le cose al meglio. Le rimise il respiratore automatico, chiamò il medico curante che ne seguiva il decorso. Arrivò in meno di un’ora.

Una volta giunto, ne costatò il decesso. Comprese che la morte non era sopraggiunta per cause naturali e chiese spiegazioni in merito, ma ogni suo quesito fu zittito da una consistente somma di denaro che Jack gli consegnò per assicurarsi anche il suo appoggio in questa incresciosa situazione. All’alba, il corpo di Vanora fu trasferito all’obitorio dell’ospedale Niguarda, in attesa della cremazione che sarebbe avvenuta nell’arco di alcuni giorni. Fatto il funerale e tumulata l’urna cineraria, per Jack ormai non rimaneva più alcuna motivazione e stimolo alla vita. Solo la promessa fatta a Vanora di prendersi cura della loro amata figlia, gli faceva rimandare il desiderio di raggiungerla e di accompagnarla anche in quest’ultimo e definitivo viaggio. Faticosamente lo rimandò, Vittoria aveva bisogno del suo sostegno e di tutto il suo amore, non doveva crescere orfana e allo sbaraglio com’era capitato alla sua mamma. Aveva bisogno di una guida che indirizzasse i suoi talenti e le sue aspirazioni future. Di tutto questo, come promesso, se ne occupò personalmente.

- Vhs -

Jack dopo aver aperto la cassaforte situata dietro al quadro al centro della sala, vi trovò dentro il testamento che Vanora aveva redatto prima alla sua prematura dipartita, e una videocassetta in formato VHS. Accese la televisione e il lettore cui era collegata e v’inserì il nastro. Schiacciò play. Qualche secondo d’interferenze, poi dal nero totale apparve un’immagine sempre più chiara. Il volto in primo piano si fece subito riconoscibile e nitido, era quello di Vanora. Jack rimase paralizzato dall’inaspettata visione. Anche l’audio iniziò.

«Ciao amore mio! Ahimè, se starai vedendo questo nastro, vorrà dire che le cose saranno andate piuttosto male e che io non ci sarò più. Volevo comunque rassicurarti sul fatto che io ho pensato al vostro futuro, al tuo e a quello della nostra amatissima Vittoria. Tra i documenti che troverai in allegato, oltre al mio testamento, noterai gli estremi di un conto in Svizzera intestato a voi due. Con quei soldi potrete vivere agiatamente per il resto della vostra vita. E’ il mio regalo per voi, avrei voluto accompagnarvi giorno dopo giorno, ma evidentemente, a questo punto, non potrò più farlo. Jack confido in te! Ti prego non farti prendere dallo sconforto e cresci bene il frutto del nostro amore. Falla studiare perché è una bimba sveglia e piena di talento. Sappi che ti ho amato davvero, ho amato ogni singolo momento che abbiamo condiviso. Sappi che ti amo e che ti amerò sempre e che sarò qui ad aspettarti… Scusa la mia commozione. Ho perso il filo del discorso… Insomma, ho detto tutto ciò che dovevo. Ciao amore mio, promettimi che avrai una vita lunga e felice e perdonami se ti ho fatto compiere azioni orribili. Perdonami se puoi.» Il nastro s’interruppe, l’immagine di colpo svanì e ricominciarono le interferenze iniziali. Jack nel rivedere la sua amata Vanora provò una commozione straziante e totale. Iniziò a piangere a lungo, la sua mente svuotata dalla disperazione stentava a trovare stimoli vitali che lo fero desistere dal togliersi la vita seduta stante. Voleva raggiungerla, ora! In quel preciso momento voleva solo una cosa: morire! Si alzò in piedi, riavvolse il nastro e spense la Tv. Singhiozzante, iniziò a girare per casa in cerca di qualcosa, un conforto che neanche lui sapeva dove trovare. Finché, dopo alcuni minuti, realizzò cosa voleva. Un’arma. Sapeva che nel doppiofondo dell’armadio che condivideva con Vanora, c’era una calibro 38, con annesso caricatore a dodici colpi e un silenziatore.

Impugnò la pistola, vi montò il silenziatore, lo armò e se la puntò alla tempia. Indugiò alcuni secondi, poi la abbassò e si recò nella stanza della figlia. Entrambi avrebbero raggiunto Vanora. La trovò nel letto teneramente abbracciata al suo orsacchiotto, si sedette accanto e la osservò dormire. Le puntò addosso l’arma,ma non riuscì a portare a termine il suo atroce proposito. Piangendo temporeggiò ancora, finché la bimba, disturbata dai suoi movimenti, si svegliò. Ancora assonnata si avvicinò al papà, e vedendolo disperato, lo abbracciò a lungo. Jack, intenerito dall’inaspettato gesto d’amore della bimba, fece subito cadere la pistola sul pavimento e la strinse a se cercando di trasmetterle tutto il suo amore. Capì che non avrebbe mai potuto ucciderla e che per lui non era ancora giunto il momento di raggiungere la sua amata moglie. Aveva una figlia da crescere e una promessa da mantenere. Quantomeno ci avrebbe provato con tutte le sue forze.

EPILOGO

Jack mantenne parzialmente la sua promessa; negli ultimi venticinque anni della sua vita, si occupò della sua adorata figlia Vittoria. La fece studiare nelle migliori scuole, ne nutrì i talenti, la accudì con tutto l’amore possibile. Lei non lo deluse. Si laureò con i massimi dei voti in lettere moderne, divenne giornalista e scrittrice di successo. Il suo primo romanzo, Amare vite ciniche, ebbe un successo formidabile e vendette moltissime copie in Italia e all’estero. Narrava la particolare vita dei suoi genitori, ne romanzava le vicissitudini ponendo l’accento soprattutto all’unicità e la potenza del loro profondo amore, esaltandone quindi il valore. Vittoria si sposò per amore con un collega giornalista ed ebbe tre figli. Jack quando capì che oramai il suo compito era stato compiuto, provò a vivere in isolamento in una baita situata nell’alta valle Seriana. In meno di un mese, però, comprese che la vita agreste non gli si addiceva affatto. Lui era sempre stato un uomo di azione e ne sentiva la mancanza; decise quindi di ritornare alla sua beneamata Milano. Andò ad abitare nell’appartamento che aveva condiviso con la sua amatissima moglie, anche se rivedere quelle mura e venire a viverci da solo, era tutt’altro che piacevole. Troppi ricordi dolorosi scaturivano da quelle stanze, mentre quelli belli erano ancora assopiti dall’amarezza di quel lutto non ancora metabolizzato. Tutto ciò divenne ben presto inaccettabile! Tornò il momento di agire!

- Ore 13.00 –

Come spesso capitava di domenica, Vittoria invitò a pranzo suo padre, che si presentò puntuale come sempre. Jack, per quella particolare occasione scelse di indossare un vestito molto raffinato, i suoi capelli, seppur oramai diradati dal are del tempo, erano ben pettinati e la barba appena tagliata dal suo barbiere di fiducia. Aveva curato ogni particolare, come se dovesse fare bella figura in vista di un incontro molto importante. Ed era proprio così. Giunse sotto casa di sua figlia alle ore tredici. Vittoria si affrettò a rispondere al citofono, attese pochi minuti e dopo aver sentito bussare, corse ad aprire la porta. «Papà, come sei elegante! E che buon profumo! Guarda che non era il caso.» «Dimmi la verità Vittoria, sono o non sono un bell’uomo di mezza età?» «Papà lo sai che stravedo per te e che sei stupendo come sempre. Poi quelle rughette ti fanno ancora più sexy!» «Trovi anche tu?» «Se ti potesse vedere la mamma…» La ragazza troncò la frase,imbarazzata abbassò lo sguardo e abbracciò il suo unico genitore. Jack celò faticosamente una commozione crescente con un sorriso tirato e un rumoroso sospiro. «Dai papà, entra che è quasi pronto.» «Ok tesoro, grazie. Ecco queste bottiglie sono per te.» «Accidenti, non me ne intendo di vino ma queste devono valere una fortuna!»

Vittoria chiuse la porta e si diressero verso la sala da pranzo, ad attenderli c’era già suo marito e i suoi figli. Tutti assieme arono un piacevole pomeriggio, Jack era piuttosto euforico e alquanto propenso al bere, ma appena sua figlia lo notò, cercò subito di darsi un contegno.

- Ore 17.10 -

Dopo il caffè e una sigaretta fumata sul balcone, rientrò nell’appartamento, salutò i presenti e si fece accompagnare alla porta da Vittoria. «Che cosa hai in mente papà?» «Niente tesoro. Perché mi fai questa domanda?» «Non so, hai un’aria strana. Sei troppo su di giri, poi perché ti sei vestito così elegante?!» «Dai, su tesoro… Avrò solo bevuto un bicchiere di troppo! Poi che intendi dire, io sono sempre elegante!» «Lo so ma non così. Insomma ho paura! Che ti frulla nel cervello?» «Niente di particolare, stai serena e fatti abbracciare.» I due si strinsero a lungo trattenendo la medesima commozione,poi Jack baciò la figlia sulla fronte e sorridendo la salutò. Scese di corsa le scale, raggiunse la sua macchina e una volta che vi fu entrato, richiuse la portiera. Dal vano porta oggetti tirò fuori la sua pistola calibro 38, la armò e se la mise nella tasca esterna della giacca. Accese il motore e si diresse al cimitero maggiore di Milano,dove si trovavano le ceneri della sua adorata Vanora. Tutto stava andando secondo i suoi piani, infatti, vi giunse proprio cinque minuti dopo la chiusura dei cancelli. Scese dall’auto e richiamò l’attenzione dell’inserviente che aveva appena chiuso quello che dava sull’uscita laterale.

«Scusi! Senta, dico a lei, può avvicinarsi un attimo! Grazie.» «Signore siamo chiusi, deve riare in settimana. Lì troverà scritti gli orari completi!» «Vorrei solo un’informazione. Venga qua, devo chiederle una cosa.» Il giovane si avvicinò a Jack con aria scocciata. «Signore forse non mi sono spiegato, le ho già detto che siamo chiusi già da quasi dieci minuti! Chiaro?!» Appena fu a portata di mano, Jack lo prese per il bavero, poi estrasse la pistola e gliela puntò in faccia. «Senti giovanotto, la vedi questa! Ora tu farai il bravo e aprirai questo cazzo di cancello. Ok?!» «Va bene… Ma ora si calmi!» «Ecco bravo. Perfetto, ora richiudi il cancello dietro di me.» Jack prese sotto braccio il custode che in preda al panico a malapena si reggeva in piedi. «Non mi faccia del male, la prego…» «Non ti faccio nulla, anzi fammi un favore, chiama la Madama!» «Come la Madama…?» «Chiama la Polizia!» «Ok! Tutto quello che vuole, ma non mi faccia del male, la prego…» Jack infastidito dal suo piagnucolare lo riprese per il colletto della camicia e gli diede una potente testata in pieno volto. L’usciere cadde a terra col setto nasale sanguinante, Jack lo fece alzare e si assicurò che fosse ancora in grado di fare ciò che doveva. Lo istruì e se ne andò.

Jack si risistemò la giacca, quindi si diresse al monumento funerario di Vanora. Una volta raggiunto ne aprì la porta in vetro trasparente e lentamente vi entrò. Si sedette sul pavimento proprio di fronte alla lapide che riportava la foto della sua amata, sotto la quale vi erano incise in oro, le date di nascita e morte. Iniziò a fissarla a lungo, dalle tasche della giacca estrasse la pistola, una borraccia in argento contenente del Bourbon e il suo telefono cellulare. Iniziò a bere il liquore gustandone ogni sorso e attese l’evoluzione degli eventi. Dopo avere fumato l’ennesima sigaretta e aver bevuto del tutto il superalcolico, fu disturbato dal suono improvviso e fastidioso di una sirena. Ridacchiando tra sé e sé pensò: «Finalmente siete arrivati, vi stavo per chiamare io…!» Il monumento funebre fu rapidamente circondato da tre volanti della polizia, dalle quali, celermente uscirono numerosi agenti con le armi spianate. Quello che sembrava essere il capopattuglia, da dietro un megafono iniziò a enunciare la solita frase di rito. «Vieni fuori con le mani in alto e bene in vista! Sappiamo che sei armato! Getta la pistola e arrenditi subito, senza opporre resistenza e nessuno si farà male!» Nel frattempo Jack si era lentamente alzato in piedi; con una mano stringeva la sua arma carica, con l’altra, altrettanto abbassata, accarezzava la foto sulla lapide della sua adorata moglie. Non curante delle ripetute richieste della pula, rimase a lungo a fissare quell’immagine, poi le sussurrò soltanto tre parole: «Arrivo amore mio.» Si voltò di scatto. Puntò la pistola verso i poliziotti e sparò; volutamente non colpì nessuno. Questi risposero al fuoco e non mancarono il bersaglio.

Jack crollò a terra. Con le ultime forze rimaste riuscì soltanto ad alzare lo sguardo e a rivedere la foto raffigurante il viso della sua Vanora, quindi con la mano insanguinata cercò di raggiungerla, ma non ci riuscì. Desistette e in pochi secondi spirò. Gli agenti, circospetti, si avvicinarono al suo corpo ancora caldo, allontanarono la sua arma e ne costatarono il decesso. A terra giaceva un uomo oramai inerte, però il suo viso era rimasto sorridente. Nella tasca dei suoi pantaloni fu ritrovato un biglietto scritto a mano in stampatello, recanti alcune semplici frasi. FINALMENTE RAGGIUNGERO’ IL MIO VERO ED UNICO AMORE. NON POTEVO PIU’ REGGERE ALLA SUA ASSENZA. SONO ENTUSIASTA E NON VEDO L’ORA DI RIUNIRMI A LEI… LA MIA DOLCE OSSESSIONE. PERDONAMI MIA AMATISSIMA VITTORIA, MA LA TUA MAMMA MI MANCAVA TROPPO. JACK Il messaggio fu fatto pervenire alla giovane figlia. Vittoria lo perdonò seduta stante, oltremodo si stupì che quell’atto così disperato non fosse giunto molti anni prima. Lei ne era preparata da sempre. Fin da bambina era pronta a questa infausta evenienza. Dopotutto aveva capito che non era possibile scindere per troppo tempo un’unica anima. Come ultimo atto d’amore per i propri genitori, le ceneri di Jack furono unite a quella di Vanora e tumulate assieme.

In questo modo furono simbolicamente riuniti. Così riposarono per sempre. Chissà se trovarono pace?

NOTA DELL’AUTORE

Chissà se Jack e Vanora hanno compreso appieno la rara fortuna di poter vivere un amore vero. Credo di sì. Un fatto rimane certo, il loro sentimento è stato autentico, genuino e radicale e questo è l’unico merito che può rimanere da esempio per tutti. Certo non lenisce le loro colpe, noi lettori potremmo condannare le loro deplorevoli azioni, invocandone una pena esemplare, però non possiamo che invidiare la forza dell’amore che ha unito in maniera così indissolubile queste due anime perse. In questo romanzo volevo solo raccontare una speranza, che l’amore vero non abbia barriere e che possa nascere ovunque, donando a tutti quella felicità massima cui ogni essere umano può desiderare di provare, almeno una volta nella vita. Nonostante le azioni compiute? Perché no. Dopo tutto questa è un’opera di fantasia, perché porsi dei limiti.

RINGRAZIAMENTI

A mio padre, che nonostante la sua presenza non più terrena, sento accanto forte e protettivo, ma dolorosamente intangibile. A mia madre, amorevole, comprensiva e premurosa che con la sua sana dolcezza, da sempre sa leggermi dentro come nessun altro. A tutte le persone che hanno creduto in me e sostenuto il mio progetto. Ringrazio anche Stefania e l’autore Carlo Albé, per tutti i loro consigli. Da ultimo, ma non per importanza, un ringraziamento davvero speciale al mio carissimo amico e scrittore Simone Dellera, per la sua supervisione critica e artistica.