Luigi Cerciello
Ho bisogno di te
Youcanprint Self-Publishing
Titolo | Ho bisogno di te
Autore | Luigi Cerciello
Immagine di copertina a cura dell’autore
ISBN | 9788891177124
© Tutti i diritti riservati all’Autore
Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta senza il
preventivo assenso dell’Autore.
Youcanprint Self-Publishing
Via Roma, 73 - 73039 Tricase (LE) - Italy
www.youcanprint.it
[email protected]
Facebook: facebook.com/youcanprint.it
Twitter: twitter.com/youcanprintit
Questo romanzo è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono il prodotto dell’immaginazione dell’autore e sono usati in modo fittizio, e qualsiasi riferimento a persone, esistenti o esistite, fatti o luoghi è puramente casuale.
Ringraziamenti
Questo libro non avrebbe visto la luce senza l’aiuto di due persone. Devo ringraziare soprattutto Maria Angela, la ragazza che ha scelto di sopportarmi, e non so come, ma riesce ad amarmi, e vi assicuro che non è di certo facile amare un disastro come me. Inoltre, un grazie immenso va anche a Gianluca, il mio migliore amico. Grazie perché mi ha sempre ato e mi ha dato sempre un giudizio sincero su ogni pagina che ho buttato giù. Voi due avete avuto un ruolo fondamentale nella nascita di questo mio piccolo romanzo, sperando che sia il primo di una lunga serie. Grazie.
1 – VERDE SMERALDO
Ero sveglio da molto tempo, ma non ne volevo proprio sapere di lasciare il letto. Mi godevo l’ultimo giorno di ozio assoluto.
L’indomani sarebbero ricominciati i corsi all’università, non avrei potuto svegliarmi più tardi delle sei e mezzo, e considerati i miei problemi col “prendere sonno” sarebbe stata dura. Alle otto s'iniziava con la lezione di latino e avrei dovuto cercare anche di anticiparmi per trovare un posto libero ed evitare di seguire la lezione in piedi oppure seduto sul pavimento dell’aula. Purtroppo la situazione non era delle migliori, qui funzionava male anche l’università e tutto ciò ricadeva sugli studenti. Stavo per iniziare il secondo anno da studente universitario. Il primo anno non era andato un granchè, appena due esami superati sui sei totali, però considerando l’anno difficilissimo che avevo dovuto affrontare, pieno di tormenti di ogni genere, non era andata poi così male.
In un certo senso mi faceva quasi tristezza pensare che quello sarebbe stato il mio ultimo giorno di totale nulla facenza, poi tra corsi da seguire, libroni da studiare, palestra e allenamenti con i miei bambini della scuola calcio, non avrei avuto nemmeno il tempo di concedermi una salutare partita a FIFA alla Playstation. Forse era meglio così.
Mi alzai dal letto e andai in bagno per una doccia rivitalizzante. Accesi il cellulare, erano le dodici e trentasette. Mi arrivarono diversi messaggi su whatsapp.
Ero ancora troppo intontito per rispondere, quindi rimandai tutte le conversazioni al post doccia.
Feci tutto con calma e poi mi misi comodo sul divano aspettando mia madre e le mie due sorelle per pranzare. Mamma era andata a prenderle all’uscita di scuola. Anna, la più grande delle due, aveva sedici anni e frequentava il terzo anno di liceo scientifico, mentre Natalia, era l’ultima arrivata in famiglia, aveva 5 anni e mezzo e aveva da poco iniziato la prima elementare.
Verso l’una e mezza erano a casa.
<< Ciao Naty, com’è andata oggi a scuola? >> Le chiesi.
<< Benissimo. Oggi la maestra mi ha messo tre cuoricini. >>
<< Tre cuoricini? Certo che sei bravissima. >>
Nella classe di Natalia, poiché erano tutti bambini alle prese con i loro primi giorni del loro primo anno scolastico, le maestre usavano correggere gli esercizi assegnati mettendo dei cuoricini al posto dei voti, che variavano da uno a tre.
<< Oggi devo fare tre paginette, mi aiuti? >>.
<< Ma certo che ti aiuto, ora però andiamo prima a mangiare.>>
Mi strinse in un abbraccio.
Dopo aver pranzato, come promesso, aiutai Natalia con i suoi compiti e poi mi recai al centro sportivo per tenere l’allenamento con i miei baby allievi della scuola calcio.
Ho sempre amato il calcio, e quando mi è stato proposto di allenare quei bambini, non ci ho pensato su nemmeno mezza volta e ho accettato. Il mio gruppo era formato prevalentemente da bambini dai cinque ai sette anni, fatta eccezione per qualcuno un po’ più piccolo. Erano tutti piccolissimi, ma si comportavano come veri e propri adulti, e in ogni allenamento ci mettevano un impegno unico, e questo non faceva altro che riempirmi il cuore di gioia.
Durante gli allenamenti mi sentivo davvero bene, era uno di quei rari momenti in cui riuscivo a staccare la spina dai miei ossessivi pensieri.
Era mercoledì, di sera c’era la Champions League. Scegliere la partita da vedere fu facile, PSG – Barcellona. Mi chiusi in camera e mi misi comodo sul letto.
Il match fu spettacolare e il PSG vinse a sorpresa per tre a due.
Meno di otto ore e mi sarei dovuto svegliare. Non avevo per niente sonno. Spensi il televisore e mi rimisi a letto, sperando di addormentarmi nel più breve tempo possibile, senza i soliti “aiuti supplementari”.
Ogni volta che cercavo di convincermi che stavo meglio, dopo un po’ perdevo le mie fragili convinzioni. Stavo male e provavo solo a capacitarmi che non era per niente così.
Il mio stare male, non era un male fisico, era un dolore che proveniva da dentro. Non riuscivo a capire quale strano meccanismo era scattato nella mia testa da “quel giorno”, ma sapevo soltanto che da allora non ero più lo stesso, non ero più quel ragazzo spensierato e solare di una volta.
Tutta questa mia situazione psichica mi spingeva verso una sorta di apatia. Avevo la innata e orrenda capacità di sentirmi solo anche in mezzo a cento persone. Per non parlare dell’ansia e degli attacchi di panico, per fortuna molto meno frequenti. In seguito all’ultima volta, dopo essere finito al pronto soccorso, il medico ritenne opportuno prescrivermi un ansiolitico, il filexat.
Usavo il filexat di nascosto. I miei genitori erano contrari a questi tipi di farmaci, però il filexat mi aiutava a stare meglio e non volevo di certo privarmene.
All’inizio assumevo otto gocce di filexat al giorno, poi col tempo le otto gocce non mi facevano più alcun effetto, il mio corpo si era abituato, e di conseguenza arrivai ad assumerne anche più di venti per volta.
La parte peggiore della giornata era proprio quando mi mettevo a letto, era una tortura. E proprio in questi momenti il filexat mi aiutava e mi rilassava. Presi venti gocce e dopo pochi minuti crollai.
Odiavo la sveglia, soprattutto alle sei e mezzo del mattino. Mi svegliai tutto intontito, il filexat mi offuscava i pensieri. Feci una doccia rapida e andai in stazione senza nemmeno fare colazione.
Dopo pochi minuti, stranamente in orario, arrivò il treno che portava a Napoli.
La mezz’ora trascorsa nel treno, fu come spesso era accaduto nel semestre precedente, molto stressante. All’andata non riuscivo mai a trovare un posto libero, dove sedermi, e mai una volta che non ci fosse puzza di sudore già dalle sette del mattino.
Scesi all’ultima fermata, Portanolana. All’uscita della stazione c’erano dei pullman che facevano fermate poco distanti dalla facoltà che frequentavo, però preferii percorrere il tratto stazione – università a piedi. Sempre meglio una bella eggiata che un pullman affollato.
Arrivai con un po’ di anticipo in facoltà, che poi chiamarla facoltà era sbagliato, si doveva dire dipartimento, non che fe molta differenza.
L’ambiente universitario non mi piaceva per niente. Non mi piacevano le persone del mio dipartimento, soprattutto i ragazzi, erano tutti troppo altezzosi e montati, o troppo fessacchiotti per i miei gusti.
Il professore di latino arrivò perfettamente in orario.
<< Salve a tutti e buon anno accademico. Io sono il professor Amedeo Leone, vostro insegnante di letteratura latina. >>
Dopo dieci secondi di presentazione era già immerso nella sua noiosissima spiegazione. Non ho mai amato il latino, fin dalla prima volta che mi fu
accennato in scuola media.
Le due ore di lezione si trasformarono in un’eternità.
Alle dieci venne il turno di letteratura italiana. Furono due ore di lezione molto più interessanti di quelle precedenti, e poi il primo giorno del semestre terminò con due ore di storia moderna.
Al ritorno, giacché la stazione di Portanolana è l’inizio della corsa della circumvesuviana, arrivando in anticipo trovai un posto dove sedermi.
Pochi minuti prima che il treno partisse, nel vagone dove mi trovavo, entrò una ragazza molto carina. Aveva i capelli castani, lunghi fino a metà schiena, due occhi di colore verde smeraldo e un portamento fantastico.
Si avvicinò.
<< Ciao, è libero questo posto? >> Indicò il seggiolino alla mia destra.
<< Sì, è libero. >>
<< Quindi posso sedermi o disturbo? >>
<< Certo che puoi sederti. >> Risposi cercando di dare un tono quanto più gentile alla mia voce.
<< Comunque io mi chiamo Jasmine. >> Mi disse dandomi la mano per presentarsi.
<< Molto piacere, Luigi. >> Fu la mia risposta. Generalmente non mi capitava di trovarmi in difficoltà di fronte a una ragazza, ma la bellezza di Jasmine e i suoi modi così gentili, mi mettevano in grande imbarazzo.
<< Si direbbe che sei un tipo di poche parole. >> Disse sorridendomi.
<< N-no, è che mi hai colto alla sprovvista e non … >> le parole quasi non mi uscivano dalla bocca.
<< E non? >> Chiese.
<< Niente, lascia stare. >>
<< Va bene. >>
<
> Le domandai.
<< Diciassette. E tu? >>
<< Io ne ho ventuno. >>
Fissavo il display del cellulare. Ero imbarazzato come non mai e la cosa m’infastidiva. Si era dimostrata molto socievole, ed io stavo facendo la figura dell’apatico – depresso – asociale. Dovevo chiederle qualcosa, qualsiasi cosa.
<< Prendi questo treno ogni giorno? >> Fu la domanda meno banale che la mia mente riuscì a elaborare.
<< No. Questa mattina non avevo voglia di andare a scuola, anche perché ieri non ho avuto modo di studiare, e ho preferito venire a Napoli per fare un po' di shopping.>> Mi mostrò due buste ai suoi piedi.
<< Nessuna delle mie amiche ha voluto farmi compagnia e quindi ci sono venuta da sola. >>
<< Ah capisco. >> Continuavo a essere a corto di parole.
<< Tu invece che ci fai qui? >> Aveva un sorriso fantastico e trasmetteva positività allo stato puro.
<< Io studio lettere moderne alla Federico II, e purtroppo, sono costretto a prendere questo treno tre volte alla settimana per venire a Napoli a seguire i
corsi. >>
Col tempo iniziai a sciogliermi e a dire qualche parolina in più. La conversazione proseguì per tutto il tragitto, fin quando non arrivammo alla mia fermata.
<< Comunque è stato bello conoscerti. >> Le dissi.
<< Grazie della compagnia. >> Rispose.
Il treno si fermò e scesi.
Stavo per scendere le scale della stazione quando sentii la sua voce. Mi voltai ed era affacciata al finestrino.
<< LUIGI VOLEVO CHIEDERTI … >> E poi non riuscii a udire più nulla. Il treno si stava allontanando e il fracasso delle rotaie copriva la sua esile voce.
Jasmine mi aveva fatto un’ottima impressione. Mi sentivo stupido nel pensarla così assiduamente, l’avevo vista appena per mezz’ora.
Mi sentivo stupido anche per non averle chiesto dove abitava, per non averle chiesto il cognome, in modo tale da poterla aggiungere tra gli amici di facebook e quindi poterla risentire. Avrei potuto chiederle anche il numero di cellulare, ma niente, non lo feci.
Insomma, mi sentivo stupido per una marea di motivi.
M’infastidiva sempre di più il fatto che Jasmine balenasse in continuazione tra i miei pensieri, e ciò, per una persona fredda e razionale come me, era una cosa molto insolita.
Il venerdì avevo di nuovo i corsi, stessi orari del giorno precedente. Il tragitto nel treno fu come sempre stressante e irritante, e la lezione di latino fu ancora più noiosa.
Quando salii in treno per ritornare a casa, speravo di incontrarla di nuovo, ma sapevo che sarebbe stato impossibile, era salita su quel treno per caso, non usava viaggiarci quasi ogni giorno, come accadeva a me.
Il sabato sera mi fece accantonare la “vicenda Jasmine”.
Uscii da casa verso le ventuno. Andai a prendere Riccardo, il mio migliore amico da anni, e come ogni sabato sera andammo al solito bar, il Just.
<< Riccà cosa prendi da bere? >>
<< No, stasera offro io. >> Si affrettò a dire.
<< Paghi il secondo giro, il primo tocca a me. >> Replicai. Si convinse.
<< Allora, che prendi? >> Gli chiesi.
<< Una birra. >>
<< Ah Riccà, vedi che lì c’è l’ultimo tavolino a disposizione>> gli dissi indicando un tavolino libero all’esterno del bar. << Intanto che prendo da bere inizia a sederti, altrimenti ci toccherà stare in piedi. >>
Uscii dal Just con due birre e un pacco di crostini.
<< Ah Luigi, ho dimenticato di dirti una cosa. >> Mi disse mentre mi sedevo di fronte a lui.
<< Che mi devi dire? >>
<< Ehm … avevo dimenticato di dirti che questa sera … ho un appuntamento con una ragazza … >>
<< Riccà e quindi? >>
<< Viene con un’amica e dovresti tenerle compagnia. >> Non era la prima volta
che m’informava di qualcosa del genere all’ultimo minuto.
<< Ma almeno è carina? >> Gli chiesi.
<< Sì, è una gran bella ragazza e direi anche abbastanza troia, si concede molto facilmente, o almeno così dicono.>>
Nell’attesa buttammo giù un bel po’ di alcolici tra birre e drink. Non ero più lucido, ma nemmeno ubriaco. Una dolce via di mezzo.
Al Just arrivarono altri nostri amici, e tra una chiacchierata e l’altra si fecero le ventitré.
<< Eccole, sono loro! >> Esclamò, indicandomi due ragazze che si avvicinavano. Erano vestite in modo molto sexy. Una di loro indossava un vestitino bordeaux, mentre l’altra aveva una gonna nera con una camicetta rossa. Con quelli che dovevano essere dieci centimetri di tacco, raggiungevano esattamente il mio modesto metro e settantacinque.
<< Piacere, io sono Luana. >> Fu la ragazza che aveva l’appuntamento con Riccardo a presentarsi per prima.
<< Piacere mio, Luigi. >>
<< Io invece sono Carmen. >> Questa volta fu la ragazza con il vestitino
bordeaux a presentarsi. Era molto provocante. Aveva capelli biondi, occhi neri come la notte e un seno molto abbondante, che teneva in bella mostra.
Tornammo a sederci al nostro tavolino, in loro compagnia, e tra un drink e l’altro, persi il senso della conversazione. Una cosa però era certa, Carmen era tanto bella quanto banale.
Poi Riccardo e Luana si alzarono.
<< Noi andiamo a fare un giro. >> Disse Riccardo
<< Carmen ti dispiace tenere compagnia a Luigi? >> Le chiese Luana, con la sua voce da oca.
<< No, anzi, mi fa molto piacere. >> Fu la risposta dell’amica.
Rimasi ancora un po’ a parlare con Carmen, ma più ava il tempo e più mi annoiavo.
<< Ti va se andiamo a fare un giro anche noi? >> Le domandai.
<< Si certo, andiamo. >> Sembrava che non aspettasse altro.
Salimmo nella mia auto, una panda grigia penultimo modello, parcheggiata a pochi metri dal Just.
Saliti in auto, iniziò a farmi una serie di stupidi e ridicoli complimenti e capii immediatamente le sue intenzioni. Ci recammo in un luogo buio e isolato e iniziai a baciarla. Era ciò che voleva.
Iniziò a toccarmi ed ebbi la conferma che non era per niente una “brava ragazza”.
Facemmo sesso, proprio come animali, senza sentimento, tanto per provare piacere fisico.
<< Torniamo al Just? >> Le chiesi dopo esserci ricomposti.
<< Sì, è meglio che andiamo, fra un po’ devo ritornare a casa. >>
Tornati al Just, Riccardo e Luana, erano già lì.
<< Carmen - Carmen è tardi, dobbiamo tornare subito a casa. >> Si affrettò a dirle Luana con una nota di panico nella voce.
Prima di andarsene, Carmen mi lasciò di sua spontanea volontà il numero di cellulare, invitandomi a farmi risentire al più presto. Non ne avevo la minima intenzione. Poi le due ragazze se ne andarono nella stessa direzione dalla quale
erano arrivate.
Riccardo ed io restammo ancora un po’ al Just.
<< Sono quasi le due e mi sta iniziando a venire sonno. Torniamo a casa? >> Chiesi.
<< Sì, anche a me sta venendo sonno. >> Rispose Riccardo.
Riccardo si sforzava di sembrare sobrio quando non lo era per niente.
In auto i discorsi si concentrarono (per quanto possibile), sul tempo trascorso con Luana e Carmen. Riccardo si divertiva cercando di raccontare anche i minimi particolari della sua serata di “sesso sfrenato”.
Arrivammo sotto casa sua.
<< Guida piano. >> Mi raccomandò scendendo dall’auto.
<< Tranquillo, guido meglio da sbronzo che da sobrio. >> Guidai più lentamente del solito.
Mi sentivo terribilmente in colpa. Mi ero comportato come un animale e non era
da me. Nei miei ventuno anni non mi era mai capitato di fare sesso. Avevo sempre e solo fatto l’amore, e per giunta con un’unica ragazza. Tornato a casa, andai di corsa in camera mia. Dormivano già tutti.
Avevo sonno. Mi sdraiai sul letto senza nemmeno spogliarmi per indossare il pigiama. Non avevo bisogno del filexat, l’alcol mi faceva quasi lo stesso effetto, mi rilassava. Dopo quelli che dovevano essere stati pochi secondi, caddi in un sonno profondo.
Quella notte sognai. Fu un sogno strano, sfocato e senza un filo logico.
Le uniche due cose che riuscii a distinguere furono un treno e due occhi verdi che mi fissavano dal finestrino.
2 – LA IONE PER I VIDEO
Il mattino seguente mi svegliai con un gran mal di testa e una sete da fare invidia a un dromedario dopo aver attraversato il deserto. Avevo impresso nella mente ciò che avevo sognato poco prima, e quegli occhi verdi stavano diventando una vera e propria ossessione.
Scesi in tavernetta per fare colazione e poi assunsi un antidolorifico per calmare i martelli pneumatici che pulsavano nella mia testa da quando mi ero svegliato. Subito dopo tornai nella mia camera. Feci l’accesso su facebook e diedi uno sguardo all’home page. Trovai un post che catturò immediatamente la mia attenzione.
“ Orrore a Napoli, violenza su un ragazzino perché obeso. Operato per sette ore: gli hanno asportato il colon”.
Cliccai sul post e aprii l’articolo per leggerlo interamente.
“ L’aggressione in un’officina a Casoria, in provincia di Napoli. Fermato un ventiquattrenne per tentato omicidio.
Indagati altri due giovani. La mamma della vittima:
<< Tutti vigliacchi, gli hanno rovinato la vita e ora dicono che era solo uno scherzo. >>
Il generale per l’infanzia: ma che bullismo, è pura violenza.
Antonio è stato seviziato da un branco di tre ventiquattrenni perché è grasso.
<< Ora ti gonfiamo come una palla >> avrebbe detto l’aggressore prima di usare una pistola ad aria compressa e infilarla nel corpo del ragazzino, fino a frantumargli l’intestino. Ad Antonio hanno soffiato nell’intestino con un compressore fino quasi ad ucciderlo“.
Rimasi sconvolto alla lettura dell’articolo. Mi chiedevo come fosse possibile tanta crudeltà mista a stupidità.
Da qualche mese avevo creato una pagina facebook, nella quale postavo dei miei video, dove commentavo con una visione molto personale, tutto ciò che catturava la mia attenzione. In breve tempo raggiunsi anche un buon numero di seguaci, che apprezzavano molto le mie idee.
Decisi quindi di fare un nuovo video per commentare ciò che era accaduto ad Antonio.
Tirai fuori la videocamera dal cassetto e iniziai a registrare.
<< Ciao ragazzi. Ho appena letto un articolo giornalistico e sono rimasto sconvolto. Ieri pomeriggio, un ragazzino di soli quattordici anni ha subito una violenza inaudita da un branco di tre bestie, perché sono bestie e non ragazzi, di
ventiquattro anni.
<< Questo ragazzino ora sta lottando tra la vita e la morte per colpa di quei tre deficienti.
<< In poche parole, l’hanno prima offeso per il suo essere “grasso” e poi gli hanno inserito la pistola di un compressore nel retto, distruggendogli l’intestino con il getto d’aria. E’ un qualcosa da psicopatici. Com’è possibile che un ragazzino debba rischiare di morire a causa di tre bestie? E’ vergognoso. A ventiquattro anni si dovrebbe avere un minimo di cervello e di buon senso.
<< In tre che si accaniscono su quello che è poco più di un bambino.
<< La cosa che sconvolge ancora di più è che per loro, tutto ciò fosse semplicemente uno scherzo, e i genitori dei carnefici hanno anche il coraggio e la faccia tosta di difendere i loro figli.
<< E’ una di quelle rare volte in cui davvero non ho parole. E’ difficile trovare le parole adatte per commentare un atto del genere.
<< Hanno rovinato la vita di un ragazzino e della sua famiglia.
<< Che colpa aveva Antonio? Che cosa ha fatto per meritarsi tutto questo? Da quando essere grassi, è una “colpa”?
<< Io mi auguro che la giustizia faccia il suo dovere, almeno per una volta, e spero soprattutto che Antonio ce la faccia e torni ad avere una vita normale come tutti gli altri ragazzini della sua età.
<< Forza Antonio. Non mollare. >>
Montai il video e poi lo caricai sulla mia pagina. Dopo poche ore avevo già raggiunto le tremila condivisioni. Mi faceva davvero molto piacere vedere che così tante persone si rivedevano nel mio modo di pensare.
Gironzolai per la mia pagina. Scorsi il mio primo video, risaliva a sei mesi prima. Registrai quel video perché ero stufo delle persone che divorate dall’invidia, non facevano altro che giudicare male gli altri ragazzi, e ciò sul web è sempre accaduto con grande frequenza.
Mi venne voglia di riguardare quel video. Cliccai su “play”.
<< Purtroppo l’Italia è un paese molto invidioso, popolato da persone invidiose, ed è anche per questo che stiamo andando a rotoli. Ognuno pensa agli altri in modo negativo, pensa ad odiare gli altri, pensa a screditare gli altri, pensa a gettare merda sugli altri, pensa a guardare in modo negativo il successo degli altri, senza pensare al proprio successo.
<< L’invidioso diventa triste quando vede che gli altri sono felici, e non solo se ne rattrista, ma desidera anche il male degli altri.
<< Io credo che l’invidia sia un sentimento dannoso e doloroso.
<< L’invidia porta con sé tanti altri sentimenti negativi, come il rancore e l’odio.
<< Quindi ragazzi, se nella vita volete avere successo, e con successo intendo realizzare i vostri sogni, dovete iniziare a badare più a voi stessi, e dovete smetterla di guardare il successo degli altri con invidia.
<< E con questo vi saluto. Ciao. >>
Mi faceva sempre un certo effetto rivedere quel video.
La domenica pomeriggio trascorse nella monotonia più assoluta. Alternavo in continuazione divano-poltona-tv, divano-poltrona-tv e ancora divano-poltrona-tv.
Di sera andai di nuovo al Just con Riccardo, e riuscii ad annoiarmi anche lì.
A differenza della sera precedente bevemmo molto meno, appena una birra ciascuno.
Tornato a casa, mangiai un panino in fretta e furia, e poi, come sempre, andai in camera mia. Persi un po’ di tempo tra facebook e whatsapp e poi decisi che era ora di provare a dormire.
Fu una delle notti più brutte della mia vita.
Aprii il secondo cassetto della scrivania e presi il filexat. La boccetta era vuota. L’avevo finito e non me ne ero accorto. Avere il filexat sempre a disposizione mi dava sicurezza. Da quando avevo iniziato a farne uso, non mi era mai capitato di rimanere senza, e già l’idea di non averlo fu un vero dramma.
Andai nel panico. Iniziai a tremare come una foglia. Mi sdraiai sul tappeto della mia camera, accessi la televisione e provai a calmarmi. Dopo quella che doveva essere stata circa mezz’ora, entrai in uno stato di dormiveglia, dal quale mi destai di soprassalto, col cuore che batteva all’impazzata. Ero nel bel mezzo di una crisi di panico. Iniziarono ad affiorare i fantasmi della mia mente. Vedevo una strada piena di negozi, gente che scappava in ogni direzione, e lei, che giaceva a terra in una pozza di sangue. Rivivevo la stessa scena ogni volta che avevo un attacco di panico. Era una sensazione bruttissima.
Ormai vivevo nel vortice formato da ansia e depressione da due anni.
Prima conducevo una vita normale come ogni ragazzo della mia età, poi un giorno, all’improvviso, tutto è cambiato. Tutte le paure e le angosce del mondo mi sono precipitate addosso.
La mia mente mi spaventava e mi condizionava ad avere una vita limitata. Mi sentivo impotente, non avevo la forza di reagire.
arono diverse ore, fin quando dalla finestra iniziò a filtrare qualche raggio di sole. Fu in quel momento che incominciai a tranquillizzarmi. Mi sdraiai sul letto e mi addormentai.
<< Luigi, svegliati >> era la voce di mia madre. << E’ tardi, devi andare a seguire i corsi. >>
<< Cosa? >> Chiesi mezzo addormentato.
<< Sono le sette meno venti. Fra venti minuti hai il treno.>>
<< No mamma, oggi è sciopero. >> Mentii.
<< Sicuro? >>
<< Si mamma, sicuro. Ora lasciami dormire. >>
Chiuse la porta e mi riaddormentai.
Gli altri giorni trascorsero nella solita routine. Studiavo, andavo agli allenamenti e trascorrevo qualche ora in palestra.
Comprai di nuovo il filexat, e il pensiero di riaverlo mi rendeva molto più tranquillo.
Poi di giovedì mattina quella dannata sveglia suonò di nuovo alle sei e mezzo.
Era una giornata piovosa, ma nonostante la pioggia, la temperatura era molto gradevole già dalle prime ore del mattino. La pioggia però mi metteva da sempre molta tristezza. Il mio umore variava in base alla situazione meteorologica. Ho sempre amato il caldo, il sole, l’estate e il mare.
Quel giorno il professore di latino non venne a lezione, e approfittai delle due ore libere per studiare storia medievale, che era uno dei quattro esami del primo anno, da recuperare.
Davanti a me, c’era un gruppetto di fastidiosi maniaci dello studio. Riuscirono a parlare per due ore intere di regole grammaticali latine.
Dopo le lezioni di letteratura italiana e storia moderna, che come sempre furono molto interessanti, mi recai in stazione.
Il treno sarebbe partito dal binario quattro. Era ancora semivuoto e quindi occupai posto. Col are dei minuti il treno iniziò ad affollarsi.
Pochi secondi prima della partenza entrò Jasmine. Non mi sarei mai aspettato di vederla ancora. Ero incredulo.
Si guardò intorno, quasi stesse cercando qualcosa, e poi i nostri sguardi s’incrociarono.
<< Ciao Luigi. >> Mi disse avvicinandosi.
<< Ciao Jasmine. Cosa ci fai qui? >>
<< Il giovedì a scuola è sempre una tortura, e quindi come giovedì scorso, ne ho approfittato per fare un po’ di shopping.>> E come fece esattamente una settimana prima, mi mostrò le buste che contenevano i suoi acquisti.
<< Che ci fai ancora in piedi? Siediti qui, vicino a me. >> Le dissi.
Si sedette sul seggiolino alla mia sinistra e sistemò le buste con gli acquisti ai suoi piedi.
Questa volta, quella timida e impacciata sembrava essere lei. Era molto meno loquace rispetto a sette giorni prima.
<< Ah Jasmine, cosa volevi quando io scesi dal treno e mi chiamasti, affacciandoti dal finestrino? Il rumore delle rotaie non mi fece sentire nulla. >>
<< Io … io volevo solo dirti che speravo di incontrarti ancora. >> Arrossì e abbassò lo sguardo.
<< In questi giorni ti ho pensata molto spesso >> le dissi guardandola negli occhi. << E speravo davvero di incontrarti di nuovo. >>
Arrossì ancora una volta.
<< Davvero? >> Mi domandò con un tono di stupore nella voce.
<< Sì. Davvero. >>
La mezz’ora trascorsa nel treno volò via, proprio come la prima volta che la incontrai. Poco prima di scendere, le chiesi il numero di cellulare.
<< Puoi lasciarmi il tuo numero? Così almeno potrò risentirti senza sperare di incontrarti in un treno. >>
Senza pensarci un attimo, iniziò a dettarmi il suo numero.
Il treno si fermò. Dovevo scendere.
<< Allora ci sentiamo a breve ok? >>
<< Quando vuoi. >> Rispose.
<< Ciao Jasmine. >> Le diedi un bacio sulla guancia, e per la terza volta in poco
più di mezz’ora, arrossì.
Tornato a casa, mi precipitai al computer. Il mio ultimo video aveva raggiunto quindicimila condivisioni, e per me erano tantissime.
Come sempre, diedi uno sguardo alla home page di facebook. Sempre più frequentemente trovavo dei video, nei quali in una parte del loro titolo c’era la frase “differenze tra nord e sud”, ad esempio:
“ Estrazione del lotto al Nord e al Sud. ”
“ Primo giorno di scuola al Nord e al Sud. ”
In questi video “simpatici”, dei ragazzi, si divertivano a rappresentare quelle che secondo loro erano le differenze di comportamento tra le donne del Nord e quelle del Sud. Il problema è che la donna del Sud, di solito, era rappresentata come una sorta di cavernicola, con urla e comportamenti poco raffinati.
Vedere ciò m’infastidiva, e non poco. Decisi di fare un nuovo video. Il secondo in due giorni.
Come sempre posi per bene la videocamera, e iniziai a registrare.
<< Ciao a tutti ragà. Come prima cosa, volevo ringraziarvi per il o che mi state dando, e per le oltre quindicimila condivisioni del video di ieri. Vedere voi
che vi rispecchiate nei miei pensieri e nelle mie riflessioni è una gioia immensa, e ve ne sono grato.
<< Ho deciso di fare un nuovo video, a distanza di un solo giorno dall’ultimo, perché sempre più spesso, sto vedendo dei video poco carini intitolati “differenze tra Nord e Sud”. In questi video la donna del Sud, e soprattutto quella napoletana, è fatta apparire come una cavernicola - primitiva, priva di eleganza e dal livello di educazione molto basso. La cosa peggiore è che queste rappresentazioni, spesso, sono fatte da ragazzi che proprio come me sono napoletani. Che senso ha tirarci merda addosso da soli?
<< Io … io, non lo so. Sono del Sud, ma non ho assolutamente nulla contro il Nord, anzi, amo città come Venezia, Verona, Padova, e tante altre. Secondo me è sbagliatissimo fare questa distinzione tra Nord e Sud. Noi siamo un’unica nazione, un unico popolo, e dobbiamo aiutarci tutti insieme.
<< Detto ciò, voglio elencare alcune cose che rendono il Sud almeno alla pari del Nord. E lo faccio non per dettare una distinzione, sarei contraddittorio, ma solo per ricordare a qualcuno dove viviamo e cosa siamo.
<< Ragà, abbiamo il golfo di Napoli che è un qualcosa di fantastico, e nemmeno i migliori pittori del mondo sarebbero riusciti a realizzare un qualcosa all’altezza. Abbiamo Ischia, Capri e la sua Grotta Azzurra, la Costiera amalfitana, Sorrento. Abbiamo il Salento che è una terra fantastica. Abbiamo chilometri e chilometri di spiagge e paesini come Acciaroli e Santa Maria di Leuca che sono veri e proprio paradisi. Abbiamo il sole nove mesi su dodici. Abbiamo il dialetto napoletano che è tra i più belli e famosi al mondo, e chiamarlo dialetto risulta riduttivo, è una lingua, una cultura. Siamo la patria della musica, con artisti del calibro di Peppino Di Capri, Caruso, Renato Carosone, e attori come Eduardo De Filippo, Sophia Loren, Totò, Massimo Troisi.
<< Forse abbiamo anche tanti problemi, è vero. La criminalità e quant’altro, però questi sono problemi che affliggono non solo Napoli, ma anche tante altre città, sia del Nord sia del Sud.
Purtroppo in Italia, i Media stanno prendendo la cattiva abitudine di parlare di Napoli solo quando accadono cose negative.
<< Siamo un grande popolo, non dimenticatelo mai.
<< Vi saluto. Al prossimo video. >>
3 – LABBRA CHE SI INCROCIANO
Era molto piacevole parlare con Jasmine. Le nostre conversazioni su whatsapp duravano ore intere. Avevo intenzione di chiederle di uscire, ma era ancora troppo presto, e non volevo che mi percepisse come uno dei soliti ragazzi che ci prova con chiunque.
In una settimana avevo scoperto tante cose di lei. Sembrava che la conoscessi da mesi. Tra le tante cose, mi confidò che il nostro secondo incontro, avvenuto ancora nel treno, non era stato casuale. Salì su quel treno perché sapeva che mi avrebbe incontrato lì. La notizia mi rese felice.
Ormai, ogni mattina, appena avviavo il cellulare, il primo messaggio che ricevevo era il suo “buongiorno”, con tanto di cuoricino rosso annesso.
Parlammo anche delle nostre vecchie storie d’amore. Non le dichiarai tutta la verità, mi faceva troppo male ricordare e rielaborare quel pensiero. Mi limitai a raccontarle tutte le mie storielle superficiali e da poco conto. Lei, invece, mi confidò che era uscita con qualche ragazzo, ma non si era mai innamorata di nessuno, perché dopo un po’ li trovava tutti uguali e banali.
arono otto giorni e arrivò il sabato. Avevo voglia di vederla e non volevo più aspettare.
<< Che ne dici se questa sera ci vediamo? >> Le chiesi.
<< Mi farebbe molto piacere, ma come ci organizziamo?>>
<< Lasciami il tuo indirizzo, per le ventuno fatti trovare pronta, che al resto ci penso io. >>
Accettò il mio invito.
Ci misi un po’ a trovare casa sua, ma alla fine ci riuscii. Mi stava aspettando fuori a un cancello grigio, di quella che probabilmente doveva essere la sua casa. Una villetta dall’aspetto molto accogliente, con un giardino curato e in ordine, e una piscina circondata da ombrelloni e sdraio. Jasmine era ancora più bella del solito. Indossava un vestitino nero, molto corto, e scoperto lungo la schiena. Era sexy, ma allo stesso tempo molto composta. I capelli coprivano la parte scoperta di schiena. Quel castano scuro dei suoi capelli, al buio era quasi in perfetta tonalità con il nero del suo vestitino.
Salì in auto.
<< Bella casa, complimenti. >>
<< Ah, quindi ti sei concentrato nell’osservare la mia casa, anziché me. >>
La fissai. Di nuovo quegli occhi. Anche con pochissima luce erano di una bellezza sconvolgente.
<< Quasi dimenticavo … sei bellissima. >>
Questa volta, a differenza del nostro incontro precedente, avvenuto nel treno, Jasmine non arrossì. Avevamo parlato così tanto tramite whatsapp, che sembrava ci conoscessimo da una vita. La timidezza iniziale era svanita.
<< Ti dona questa camicia blu notte. Niente male. >> Mi fece l’occhiolino.
<< Grazie mille. >>
<< Dove andiamo? >> Mi chiese.
<< Ti va di andare al cinema? >>
<< Se entro l’una mi riporti a casa, per me va benissimo.>>
<< Puoi stare tranquilla, un minuto prima dell’una sarai a casa.>>
Impiegammo una ventina di minuti per arrivare al cinema. Parlammo senza sosta per tutto il tragitto. C’era molta sintonia tra di noi.
<< Vediamo quel film? >> Indicò una locandina con l’immagine di due innamorati che si baciavano.
<< No dai i film d’amore no. Guardiamo quello. >> Suggerii, indicando la locandina di un film horror.
<< Ma io ho paura di quei film. >> Disse.
<< Quando avrai paura, chiudi gli occhi e abbracciami. >> Si convinse. Il film era intitolato “L’evocazione”.
Non era l’unica ad avere paura. I film horror mi hanno sempre fatto trascorrere notti intere a controllare che non ci fosse nessuno nell’armadio pronto a uccidermi.
La sala era semivuota e quando il film entrò nel vivo, fu poco confortevole non avere tante persone intorno. Ormai si susseguivano con rapidità scene di esorcismi e uccisioni.
All’improvviso Jasmine mi abbracciò molto forte. Appoggiò la testa sul mio petto. Le diedi un bacio sulla guancia. Mi guardò e mi sorrise.
<< Ho paura. >> Sussurrò.
<< E’ quasi finito. >>
Le scene diventavano sempre più terrificanti. Mi stringeva sempre più forte.
Le diedi un bacio, ma questa volta non sulla guancia. Baciai le sue labbra.
Mi guardò stupita.
<< Scusami, non so cosa mi è preso, non dovevo. >> Provai a giustificarmi.
<< Perché l’hai fatto? >> Mi chiese.
<< Perché mi piaci, come non mi piaceva una ragazza da molto tempo. >>
<< Se tornassi indietro di trenta secondi, lo rifaresti ancora? >>
Non risposi. Presi con delicatezza il suo viso tra le mani e la baciai. Questa volta partecipò al bacio.
<< Volevi che ti baciassi? >> Le domandai.
<< Non lo so, ma l’hai fatto ed è stata una sensazione piacevole.>>
Appoggiò di nuovo la testa sul mio petto e guardammo gli ultimi minuti del film.
Finito il film, uscimmo dalla sala. Era la mezza.
<< Fra mezz’ora devo essere a casa. >>
<< Andiamo. Ti accompagno. >>
In auto fu l’esatto contrario di poche ore prima. Silenzio assoluto. Di tanto in tanto, Jasmine cercava di proporre qualche argomento, ma le mie risposte erano fredde e taglienti.
<< Che hai? >> Mi chiese d’un tratto.
<< Nulla di preoccupante, mi fa solo male la testa. >> Risposi mentendo.
Arrivammo a casa sua.
<< Appena torni a casa inviami un messaggio. >> Mi raccomandò.
<< Okkey. >>
Mi diede un bacio sulla guancia e scese dall’auto.
Tornato a casa, non avevo per niente sonno. Tirai fuori la boccetta di filexat, buttai giù venti gocce e aspettai che fero effetto.
Inviai un messaggio a Jasmine dicendole che ero a casa, e le diedi la buonanotte. Spensi il cellulare senza aspettare nemmeno che mi rispondesse. I soliti dieci – quindici minuti, e poi mi addormentai.
Mi svegliai quasi all’orario di pranzo. Di pomeriggio ci sarebbero state le partite di serie A. Andai al centro scommesse per giocare una bolletta, e lì incontrai Riccardo.
<< Riccà! >> Esclamai, dandogli una pacca sulla spalla.
<< Sempre qui dentro sei, oh. >> Disse con tono ironico.
<< Cambia quel risultato, oggi sono sicuro che il Milan non vincerà. >> Gli dissi, mettendo il dito sull’esito che aveva segnato per Milan – Parma.
<< Non dire sciocchezze, il Parma non ha speranze a Milano. >>
<< Oggi vedrai … >>
Segnai i miei pronostici e andai alla cassa a giocare la bolletta. Poi tornai vicino a Riccardo.
<< Riccà, vogliamo andare a mangiare al ristorante? >>
<< Mamma ha già cucinato. >> Rispose.
<< Anche mia mamma ha già cucinato, però non mi va di trascorrere la solita domenica da coma. >>
<< Hai ragione. Dammi il cellulare che chiamo a casa, io ho finito i soldi sulla scheda. >>
Gli diedi il cellulare. Avvisò sua madre che non sarebbe tornato a casa per pranzo, e poi andammo in auto.
<< Dove vuoi andare? >> Mi chiese.
<< Mi hanno consigliato un ristorante poco lontano da casa mia. Dicono si mangi bene. >>
Quel giorno mangiammo e soprattutto bevemmo tanto. Avevamo appena finito la quarta bottiglia di vino rosso.
Ero sbronzo, e in quelle condizioni riuscii ad aprirmi, e a raccontargli quanto era accaduto la sera precedente con Jasmine.
<< Per quale motivo dopo la buonanotte, non hai più fatto accessi su whatsapp? >> Era una di quelle domande cui non sapevo dare una risposta.
<< Non lo so, ieri sera sono stato bene con lei, ma non so cosa mi prende. >>
Stava cercando di capirci qualcosa, ma era sbronzo almeno quanto me, e quindi faticava e non poco per concentrarsi.
<< Quindi ... quali sono le tue intenzioni? >> Un’altra domanda cui non sapevo cosa rispondere.
<< Quelle di prendere un’altra bottiglia di vino, e poi di andare a casa a dormire. >> Risposi.
La quinta bottiglia di vino mi rese completamente ubriaco. Pagammo il conto e andammo via.
<< L-luigi … mi gira la testa e … e … in queste condiozzzzioni non posso presentarmi a casa. >>
<< Non sto molto meglio di te. >>
<< Andiaaaaaamo al parco, forse è meglio. >> Propose.
Arrivammo al parco. Era una giornata soleggiata, e nonostante ci trovassimo agli ultimi giorni di ottobre, la temperatura era ancora molto gradevole. Tante persone erano sdraiate sul prato, e noi facemmo lo stesso.
Dopo un istante, Riccardo si era già appisolato. Chiusi gli occhi. Il vino mi aveva completamente rilassato. In quel momento non ricordavo nemmeno più cosa fosse l’ansia. Dopo pochi minuti dormivo beato sul prato.
<< Svegliati, è quasi buio. >>
Mi svegliai e Riccardo mi fissò.
<< Ancora ubriaco? >> Mi chiese.
<< Abbastanza. >>
Accompagnai Riccardo, e poi ritornai a casa.
Riempii la vasca da bagno con acqua tiepida. Il bagno mi restituì un minimo di lucidità.
Era ormai sera e non avevo voglia di uscire. Il resto della mia famiglia non era a casa, quindi, scesi in tavernetta e mi sdraiai sul divano. Accesi la TV. C’era il derby della capitale, Lazio – Roma.
I miei genitori tornarono quando mancavano pochi minuti alla fine della partita. Il risultato era ancora fermo sullo zero a zero.
<< Non sei uscito? >> Mi chiese papà.
<< Non mi andava, e poi volevo vedere il derby. >>
La partita terminò zero a zero.
<< Vado in camera a dormire. >> Dissi ai miei genitori che erano seduti a tavola, e mangiavano la pizza.
<< Buonanotte. >> Risposero in coro.
4 – HALLOWEEN
Negli ultimi giorni avevo ricevuto diversi messaggi da parte di Jasmine, e non avevo risposto a nessuno di essi.
Il mio atteggiamento era insensato. Non capivo perché mi stavo comportando in quel modo. La sera in cui eravamo andati al cinema, ero stato molto bene con lei, e in quel bacio avevo davvero provato una forte emozione. Non era stato un bacio come tanti altri. Però qualcosa mi frenava. Il giovedì seguente, al ritorno dall’università, Jasmine si presentò nel treno.
<< Era l’unico luogo in cui ero sicura di poterti trovare. >> Mi disse.
<< Perché sei qui e non a scuola? >>
<< Poichè non rispondi ai miei messaggi, questo era l’unico modo a mia disposizione per poterti parlare. >>
<< Ho sbagliato, ne sono consapevole. Ti chiedo scusa. >> Ero in difficoltà.
<< Non sono qui per ricevere delle scuse. >>
<< E allora cosa vuoi? >> Le domandai.
<< Voglio capire il perché di questo tuo comportamento.>>
<< Jasmine, lascia perdere, non puoi capire. >>
<< Come non posso capire, non sono mica stupida? >>
<< LASCIAMI IN PACE. >> Le urlai.
Mi guardò con stupore. Non mi era mai capitato di alzare la voce con lei, fino allora ero stato sempre dolce e gentile.
<< Io non lascio perdere un bel niente. Non puoi entrare nella vita di una persona, come un uragano, e poi uscirne così all’improvviso. Non hai dato importanza nemmeno a quel bacio? >> Singhiozzava.
<< Non devo spiegazioni a nessuno >>, il mio tono di voce era glaciale. << Te lo ripeto ancora, lasciami in pace. >> Non proferì più una parola. Una lacrima le scivolò lungo il viso. Si voltò, e poco prima che il treno partisse entrò nel vagone successivo, scomparendo dalla mia vista.
Rimasi seduto dov’ero, anche se il cuore mi diceva di rincorrerla. Estrassi il lettore MP3 dalla tasca destra dei jeans, infilai le cuffie nelle orecchie, e i miei pensieri si mescolarono alla musica.
Mi ero comportato uno schifo, e Jasmine non lo meritava per niente.
Quella stessa notte sognai. Nel sogno c’era una ragazza, ma non era Jasmine.
Ci tenevamo per mano lungo una stradina molto affollata e ricca di negozi. D’un tratto persi il contatto con la sua mano. Le persone per strada iniziarono a scappare in ogni direzione. Impaurito, la cercai con lo sguardo ovunque, fin quando notai un corpo riverso a terra. Mi avvicinai. Era lei. Il suo corpo giaceva inerme in una pozzanghera di sangue.
Mi destai dal sonno e balzai a sedere sul letto. Dopo pochi istanti ricadetti nel sonno e dormii profondamente. Mi svegliai alle undici del mattino, esausto e depresso.
Era Halloween, e già dalla sera precedente avevo deciso di saltare i corsi.
Feci colazione e subito dopo telefonai Riccardo.
<< Pronto? >>
<< Riccà, sono Luigi. >>
<< Oh Luì, dimmi. >>
<< Hai programmi per questa sera? >>
<< Per ora no. Tu hai già qualche idea? >>
<< Che ne dici se facciamo tappa al Just e poi andiamo in una discoteca a caso? >>
<< Hai intenzione di sballarti, eh? >> Chiese ridendo.
<< Esattamente. >>
<< Ottimo. Conta pure su di me. >>
<< Allora a stasera. Ciao Riccà. >>
<< A stasera. >> Riattaccò.
Trascorsi il resto della giornata oziando, con il pensiero che di tanto in tanto andava su Jasmine. Mi mancava.
Si fece buio e iniziai a prepararmi.
La notte di Halloween mi trasmetteva una sorta di gioia, mista a leggerezza d’animo, non so per quale motivo, forse era solo una sensazione, ma il fatto di potersi nascondere dietro a una maschera, e di poter fare tutto ciò che mi ava per la testa, era sicuramente molto liberatorio.
Andai a prendere Riccardo, e poi ci recammo al Just. Bevemmo parecchio, e quando iniziai a perdere lucidità andammo in discoteca.
In quel locale vidi scene che mi sconvolsero. Non sono mai stato un tipo da locali, la confusione e la musica forte mi rendevano facilmente irritabile, però dato che era la notte di Halloween, volevo trascorrere una serata leggermente diversa dal solito.
Ci sedemmo su un divanetto di pelle, azzurro. Più osservavo ciò che accadeva in pista da ballo e più provavo un senso di forte schifo.
La mia attenzione cadde su una ragazzina che all’apparenza poteva avere massimo quindici anni, forse era ancora più piccola. In poco più di dieci minuti aveva baciato tre ragazzi diversi, e permetteva a tutti di farsi palpeggiare.
<< Luì, andiamo in pista anche noi, guarda quante maiale.>>
<< Pensi sempre alla stessa cosa. >> Dissi mentre mi alzavo.
Iniziammo a “ballare” anche noi.
Il tempo di girarmi e Riccardo si stava già baciando con una ragazza tutta svestita. Rimasi solo e quindi incominciai a “darmi da fare” anch’io.
Adocchiai una ragazza molto carina e mi avvicinai.
Stava ballando con delle amiche, la afferrai per mano e la strinsi a me. Mi sorrise. Era un sorriso ebete, aveva bevuto sicuramente troppo.
Senza nemmeno presentarmi provai a baciarla. Lei non si ritrasse, e ci baciammo con molto trasporto. Più la baciavo e più mi eccitavo. Strinsi la sua mano e la guidai fuori dal locale. Andammo in auto.
I baci diventarono sempre più eccitanti. Mi baciò sul collo e in quel momento persi il controllo. Provai a toccare le sue parti intime, ma mi bloccò, dicendomi che aveva le mestruazioni.
A quel punto fu lei che iniziò a toccare me. Mi praticò sesso orale, e poi dopo essersi ricomposta, scese dall’auto e rientrò nel locale.
Provai lo stesso senso di colpa della sera in cui feci sesso con Carmen. Non era da me comportarmi in quel modo, ma era già la seconda volta che accadeva.
Mandai un sms a Riccardo avvisandolo che mi trovavo in auto. Dopo circa un’ora uscì dal locale e mi raggiunse.
Mi raccontò delle sue conquiste senza curarsi del perché mi trovavo già in auto da un’ora abbondante. Lo accompagnai e mentre ritornavo a casa, il mio cellulare squillò, cosa insolita alle quattro e mezzo del mattino. Era Jasmine. In altre circostanze non avrei risposto, ma una chiamata a quell’ora m’insospettì.
<< Jasmine? >>
<< Luigi … >> Piangeva. << Per favore aiutami. >>
<< Che cosa succede? Perché stai piangendo? >>
<< Ho bevuto tanto, un tizio … e ora … Luigi. >>
<< Jasmine, calmati e dimmi dove ti trovi. >>
<< Credo di essere … >>
<< Jasmine, Jasmine. >>
La telefonata terminò lì. Provai a chiamarla, ma il suo cellulare era irraggiungibile, con molta probabilità si era scaricata la batteria.
Temevo che le fosse accaduto qualcosa di brutto, ma non sapevo cosa fare, mi
sentivo completamente impotente. Iniziai a provare un forte senso di colpa, quello stesso senso di colpa che ormai mi divorava da quasi due anni, e il pensiero ritornò proprio a quella sera.
Una rapina. Partì un colpo da una pistola e la colpì. Non aveva colpe, era la persona più buona del mondo. Si trovò semplicemente nel posto sbagliato, al momento sbagliato.
L’amavo più della mia stessa vita. Da allora il senso di colpa mi logorava sempre di più, giorno dopo giorno. Quella sera avrei dovuto essere con lei, come spesso accadeva, ma alcuni miei amici organizzarono una partita di calcetto e m’invitarono a giocare. Se non ci fossi andato, Marta ed io ci saremmo visti, e Marta non si sarebbe trovata lì, dinanzi un marciapiede, con una pallottola che le aveva attraversato il cranio.
C’eravamo conosciuti quando eravamo molto piccoli. Con lei avevo vissuto tre anni fantastici, forse i più belli della mia ancor breve vita.
Ebbi molta paura. Temevo che fosse capitato qualcosa di terrificante anche a Jasmine.
Speravo che la notte di Halloween potesse darmi un briciolo di spensieratezza, e invece no, servì solo a peggiorare la situazione.
Poi il mio cellulare squillò ancora.
<< Luigi? >> Era la voce di Jasmine, ma quello non era il suo numero.
<< Jasmine, sei tu? >>
<< Sì. Avevo dimenticato di avere con me il cellulare di una mia amica. >>
<< Non m’interessano i dettagli. Dimmi subito dove ti trovi. >>
<< Ero alla discoteca Vertigo, poi un tizio mi ha portato in una stradina buia, poco lontano da lì. >>
<< Riesci a ritornare fuori al locale? >> Le chiesi.
<< Sì, ma ho paura di incontrarlo ancora. >>
<< Resta dove sei, vengo a prenderti. >>
<< Ho paura. >> La sua voce era rotta dal pianto.
<< Arrivo. >>
Mi diressi in fretta e furia al Vertigo, e per poco non finii spiaccicato contro un guard rail. Per strada c’erano pochissime auto, quindi impiegai molto meno tempo di quanto pensassi.
Fuori al Vertigo era in corso una vera e propria rissa, ma poco m’importava.
Poco distante dal locale intravidi una coppietta che s’incamminava in una stradina buia, ed ebbi la certezza che Jasmine si trovasse proprio lì.
Ai lati di quella strada c’erano tante auto parcheggiate, con i vetri ricoperti da stracci o fogli di giornale. Dopo un po’, l’asfalto lasciò spazio alla terra battuta. Proseguivo lungo quella strada, il buio aumentava e la vegetazione stava incominciando a infittirsi. Anche la stradina in terra battuta stava scomparendo, lasciando spazio a un terreno molto più soffice. Mi fermai perché con l’auto era diventato impossibile proseguire. Proprio in quel momento vidi Jasmine, seduta ai piedi di un albero. Appena notò la mia auto balzò in piedi e corse verso di me. Aveva la gonna macchiata di erba e terra. Aprì lo sportello dell’auto e si sedette al lato eggero.
<< Che diamine hai combinato? >> Le chiesi in tono severo.
<< Scusami, non dovevo disturbarti a quest’ora. >>
<< Non ti devi scusare. >>
Scoppiò in lacrime e si gettò sul mio petto, abbracciandomi molto forte.
Sentivo la camicia bagnarsi delle sue lacrime e provai un forte senso di tenerezza.
<< Jasmine, ora calmati, e dimmi cosa è successo. >>
Mi liberò dall’abbraccio e si asciugò il viso. Il trucco le si era completamente sciolto, ma era incantevole anche in quelle condizioni.
<< Ho conosciuto un tizio in discoteca, mi ha offerto da bere. >>
<< Poi? >> Le domandai con impazienza.
<< Poi voleva che bevessi ancora, ma sapevo di aver raggiunto il mio limite massimo e mi sono data una regolata. Ha provato a baciarmi, ma l’ho respinto. >>
<< Continua. >> Ero visibilmente arrabbiato. Non ce l’avevo con lei, ma con quel tizio, e se l’avessi avuto davanti agli occhi, gli avrei inferto le peggiori torture possibili.
<< Ero stanca, volevo tornare a casa e lui si è offerto di accompagnarmi. Ingenuamente ho accettato il suo aggio, e mi ha portata qui. Ha provato nuovamente a baciarmi, ma l’ho respinto ancora. Poi ha provato a toccarmi ed io ho urlato, avevo paura di essere violentata. A quel punto mi ha ordinato di scendere dall’auto, minacciandomi di morte se solo mi avesse rivista all’interno
del locale. >>
Mi fissò per interminabili secondi, per poi scoppiare di nuovo in un pianto senza sosta.
<< Ti devo delle scuse >>, le sussurrai. << Sono sparito senza un motivo. Perdonami. >>
<< Avrai avuto le tue buone ragioni. >>
<< Niente affatto. Io sono un vigliacco. L’unica cosa che so fare, è scappare dalla felicità. >>
Stavo smaltendo la sbornia. Iniziavo a essere molto più razionale.
Restammo in auto per poco più di mezz’ora, sempre in quel tenero abbraccio.
<< E’ quasi l’alba, ti accompagno a casa. >> Le dissi.
<< Voglio prima ritornare al Vertigo, Katia dovrebbe essere ancora lì, e ora che è tornata la ragione anche a me, non sono più così sicura di lasciarla sola. >>
<< Katia sarebbe la tua amica? >>
<< Sì. Ho anche il suo cellulare. Se i suoi la chiamano e lei non risponde potrebbero preoccuparsi. >>
Andammo fuori al Vertigo, e Katia si trovava proprio all’uscita.
<< Falla venire qua, accompagno anche lei. >>
Jasmine scese dall’auto e tornò con Katia. Quella ragazza era completamente ubriaca. Non riusciva a reggersi nemmeno in piedi. Aiutai Jasmine ad adagiare Katia sui sedili posteriori dell’auto.
<< Accompagnaci entrambe a casa mia, non può tornare dai suoi in quelle condizioni, poi una volta tornate a casa chiamerò sua madre, e le dirò che Katia sta dormendo.
>> << Tu sei sicura di esserti ripresa del tutto? >> Chiesi a Jasmine.
<< Sì. Sono abbastanza lucida da poter badare a Katia. >>
Arrivati a casa di Jasmine, Katia scese dall’auto barcollando e borbottando frasi senza senso. Jasmine adagiò l’amica su una sdraio, abbastanza distante dalla piscina per evitare che ci finisse dentro, poi tornò da me.
Mi abbracciò ancora una volta.
<< Grazie di tutto. >> Mi sussurrò all’orecchio.
<< Non ringraziarmi. Ho molte cose da rimproverarti. >>
<< Accetterò i rimproveri. >>
Le diedi un bacio sulla guancia e tornai in auto.
Il buio aveva lasciato spazio ai primi timidi raggi di sole.
Mi ero tranquillizzato. Sapere che Jasmine era al sicuro aveva in parte affievolito il mio senso di colpa.
Stavo iniziando a provare qualcosa d’importante nei riguardi di Jasmine, e ciò mi spaventava. Volevo approfondire la conoscenza con lei, ma allo stesso tempo avevo paura. Negli ultimi due anni ero scappato dai miei sentimenti, mi ero costretto a non legarmi affettivamente a nessun’altra ragazza. Temevo di soffrire ancora, e poi nessuna sarebbe stata in grado di prendere il posto di Marta.
Era proprio quello il mio più grande limite. Cercavo Marta in ogni ragazza con la quale uscivo, e ciò era un male. Dovevo voltare pagina, dovevo tornare a essere felice, e per farlo dovevo distaccarmi dal mio ato. Marta non avrebbe voluto vedermi così triste e depresso. Lei mi amava a tal punto da desiderare la
mia felicità, anche con un’altra ragazza al mio fianco.
Forse il destino mi aveva dato un’altra possibilità, e non potevo sprecarla.
5 - ATTIMI DI SERENITÀ
Nei giorni successivi ripresero le conversazioni senza limiti con Jasmine, su whatsapp. Mi spiegò nei minimi particolari tutto ciò che era accaduto la notte di Halloween, e mi arrabbiai parecchio perché aveva accettato il aggio di uno sconosciuto. Evitai di raccontarle quello che era avvenuto tra me e quella ragazza di cui non conoscevo nemmeno il nome. Tra me e Jasmine non c’era una relazione, però non volevo ferirla.
Il sabato successivo le chiesi di nuovo di uscire, avevo una voglia matta di vederla. La temperatura si era abbassata di parecchio a causa di una perturbazione proveniente dall’Artico, e nonostante le piogge fossero cessate, ridando spazio al sole, il freddo era comunque pungente. Quelle giornate calde di pochi giorni prima erano solo un lontano ricordo, l’inverno era alle porte.
Decidemmo di vederci dalla mattina, in modo tale da poter trascorrere molto più tempo insieme. Jasmine alle undici uscì da scuola. Tornò a casa, e appena si fu preparata mi chiamò per avvisarmi. ai a prenderla e andammo a Mergellina.
eggiando sul lungomare, rimasi estasiato dalla bellezza di quella parte di Napoli, e mi venne in mente una descrizione di Mergellina, fatta da un anonimo su un blog.
“ Napoli può essere giudicata sporca, maleodorante, inospitale, caotica, pericolosa, trasandata, fuorilegge e senza regole, ma solo per il suo lungomare vale la pena soffrire e sopportare. Alla vista di questo paesaggio ti commuovi sempre, riesci a percepire lo spirito di questo numeroso popolo, e ti tornano in mente le tantissime melodie napoletane.
Non può esserci fregatura, furto, disonestà e maltrattamento che possa ingrigire l’incanto di questo golfo, unico e dai mille colori.
Si può solo piangere, godere dello spettacolo e dimenticare tutto il resto.
Napoli ti ripaga sempre. ”
In queste poche righe c’era davvero l’essenza del lungomare di Napoli e del suo golfo.
Dopo aver camminato per un po’, ci fermammo a un bar per bere qualcosa, e poi ci sedemmo sugli scogli a osservare il mare.
Entrai in un mondo tutto mio, in cui esistevamo soltanto io, Jasmine e il mare. Era una sensazione fantastica. Ci abbracciamo. Quell’abbraccio sprigionava amore, un amore puro, e non era la prima volta che ciò accadeva con Jasmine.
Avevo deciso di non “scappare” più, anzi, in un certo senso mi ero costretto a non “scappare” più. Ci conoscevamo da pochissimo tempo, ma ero convinto che stare a contatto con Jasmine poteva farmi solo bene. Valeva la pena rischiare.
Rimanemmo lì, in silenzio per moltissimo tempo. Sembravamo un unico corpo.
La guardai e lei fece lo stesso. Amavo quegli occhi ogni giorno di più. Poi le nostre labbra s’incontrarono di nuovo dopo la serata trascorsa al cinema. Furono baci di una dolcezza innaturale.
<< Promettimi che non andrai più via. >> Mi disse.
<< Non sono bravo a mantenere le promesse, ma posso provarci. >>
<< Prometti almeno che ci proverai con tutto te stesso. >>
<< Te lo prometto. >>
I suoi occhi diventarono lucidi, sembrava stesse sul punto di piangere dalla felicità, e poi mi baciò ancora.
Stava iniziando a calare la sera. Il golfo diventò una scia infinita di luci, che pian piano risalivano fino alle pendici del Vesuvio.
Estrassi il mio fedelissimo lettore MP3 dalla tasca dei jeans.
<< C’è una canzone che voglio dedicarti. >>
<< Dedicarmi una canzone … quale? >>
<< Resta in silenzio e ascolta. >>
Misi una cuffia nel mio orecchio destro e l’altra nel suo orecchio sinistro.
“ Tu si ‘na cosa grande pe’ me
‘na cosa ca me fa nnammurà
‘na cosa ca si tu guard’ ‘a me
je me ne moro accussi’
guardanno a te
vurria’ sape’ ‘na cosa da te
pecche quanno i’ te guardo accussi’ “
A quel punto della canzone ci fu un nuovo, lunghissimo bacio, accompagnato da quella vera e propria poesia di Modugno, in quel caso interpretata da Gigi Finizio.
In quel bacio c’era più trasporto che in tutti quelli precedenti. Inspiegabilmente le mie mani cominciarono a pulsare, e sentii il battito del mio cuore sperduto in ogni millimetro del corpo. Mi sentivo girare la testa, non capivo più nulla.
Ci distaccammo leggermente e accarezzai le sue labbra con delicatezza. La canzone intanto era arrivata all’ultima nota.
<< Ho bisogno di te. >> Le sussurrai.
<< Sono qui, amore. >>
I giorni trascorrevano e iniziammo a vederci con molta regolarità. Jasmine stava diventando una dipendenza.
Non avevo più avuto attacchi di panico e provai a scalare anche le dosi di filexat. Prima di dormire prendevo “solo” quindici gocce. Mi bastavano.
Di tanto in tanto tiravo fuori la foto di Marta dal mio portafoglio e rimanevo a fissarla per minuti interi. Ero sicuro che fosse felice nel vedermi finalmente reagire, ovunque lei si trovasse.
A Jasmine non avevo mai parlato di Marta, non mi sentivo pronto per affrontare quell’argomento.
Anche Novembre stava per volgere al termine, e il freddo diventava sempre più intenso.
Seguire i corsi con quel gelo e con quelle giornate piovose era sempre più una tortura. Alle sette del mattino, più che in stazione sembrava di trovarsi in Siberia.
Con umore decisamente migliore affrontavo gli allenamenti con la mia baby squadra di calcio. Nemmeno il freddo e la pioggia riuscivano a fermare quei bambini.
Iniziò anche un piccolo torneo con altre scuole calcio e vincemmo le prime tre partite, tutte con molti gol di scarto.
Una domenica pomeriggio, dopo la quarta vittoria consecutiva, tornai a casa e telefonai Jasmine.
<< Vuoi venire a casa mia questa sera? >>
<< Ma ho vergogna … ci sono i tuoi genitori. >>
<< Questa sera ho casa libera, i miei genitori e le mie sorelle sono fuori e torneranno martedì. >>
<< Se mi assicuri che non ci sarà nessuno, verrò. >>
<< Stai tranquilla. >>
Cercai di creare un ambiente molto accogliente. Scesi giù in tavernetta e accesi il camino, poi prenotai due pizze e ai in videoteca a noleggiare un film dal titolo “Amore e altri rimedi”.
Dicendo di dover andare con alcune amiche a un pub, Jasmine si fece accompagnare da suo padre in un luogo poco distante da casa mia. Alle venti in punto era da me. Dopo aver mangiato la pizza, ci sdraiammo sul divano e avviai il film. Il camino aveva reso l’ambiente molto gradevole.
Jasmine lesse il titolo del film e disse: << Dal titolo sembra un film molto interessante. >>
La guardai sorridendo. << Lo è. >>
Guardammo il film in assoluto silenzio, e poi nel momento della scena finale, un’ondata di ione ci travolse.
Ci baciammo. Quei baci oltre ad essere ricchi di amore erano anche pieni di ione. Iniziai a toccarla e lei fece lo stesso. Pian piano ci spogliammo. Eravamo sul punto di fare l’amore.
Jasmine all’improvviso si ritrasse. << Basta. Fermiamoci.>> Rimasi stupito. << Ho sbagliato qualcosa? >>
<< No … il punto è che … sarebbe la mia prima volta, e per quanto tu possa piacermi … devo prima essere sicura che tu sarai l’unico ragazzo con cui lo farò. >>
<< Ah … scusami … non volevo … >> Ero imbarazzato.
Mi baciò sulle labbra. << Non è colpa tua, tranquillo. >>
Ci rivestimmo e trascorremmo il resto della serata ignorando quanto era accaduto poco prima.
Mancava poco a mezzanotte.
<< Domani dovrò andare a scuola, chiamo papà e mi faccio venire a prendere. >>
<< No, ti accompagno io. >>
In auto era molto loquace come sempre, e sembrava davvero che non avesse preso a malo modo la situazione precedente.
Prima di scendere dall’auto mi diede un bacio sulle labbra, augurandomi una dolce notte.
<< Ti voglio bene. >> Le dissi.
<< Anch’io te ne voglio. >>
Come ogni volta che ero solo in auto, iniziai a pensare troppo. Mi aveva fatto certamente piacere sapere che Jasmine fosse ancora vergine, sono sempre stato un po’ all’antica.
Poi scoccò la mezzanotte. Cercavo di scacciare quel pensiero da giorni, ma in quel momento fu impossibile. Era il primo di dicembre. Erano trascorsi due anni, due lunghissimi e terribili anni, dalla morte di Marta.
6 – UNO DICEMBRE
Il ricordo di quella tragica sera mi annebbiò la mente.
L’anno precedente, proprio il primo di dicembre, la mia depressione arrivò all’apice. Tentai di suicidarmi schiantandomi volutamente contro un muro. Ne uscii miracolato da quell’incidente, con due punti di sutura al sopracciglio sinistro e contusioni in varie parti del corpo. Il ricordo di quell’atto così folle mi fece rabbrividire.
Fortunatamente non ero più nelle stesse condizioni mentali dell’anno precedente, stavo “meglio” e quindi scacciai immediatamente l’idea di ripetere quanto avevo fatto un anno prima. Bastarono pochi minuti per cancellare i progressi che avevo ottenuto nell’ultimo mese. Iniziai a pensare più velocemente del solito, e quando ciò accadeva, non era mai un bene. Poi il mio cellulare squillò, era mio padre.
<< Papà? >>
<< Ho appena chiamato a casa, perché non hai risposto?>>
<< Non sono a casa, sto tornando proprio ora. >>
<< Stai guidando? >> Chiese allarmato.
<< Sì, perché? >>
<< Non correre, e appena torni a casa chiamami. >>
<< Va bene, a dopo. >> Riattaccai.
Papà era notevolmente preoccupato. Sapeva benissimo cosa significasse per me il primo di dicembre, e sapeva anche che l’anno precedente in quel muro non ci ero finito per sbaglio, ma volutamente. Temeva che potessi ripetere una simile sciocchezza.
Guidai il più lentamente possibile, proprio per evitare che idee stupide e bizzarre mi portassero a schiantarmi all’improvviso contro qualcosa.
Arrivato a casa, mi sedetti ai piedi del camino. Fissavo il fuoco che lentamente bruciava gli ultimi resti di legna. Il fuoco che ardeva mi faceva pensare, e quel pensiero si chiamava "Marta".
Dopo pochi minuti dal mio rientro a casa, il telefono squillò.
<< Pronto? >>
<< Ti avevo detto di chiamare non appena fossi ritornato a casa.>> Era la voce di mio padre che mi ammoniva.
<< Sto vedendo un film e me ne sono dimenticato. >> Mentii. In realtà non avevo voglia di parlare con nessuno. << Sei solo? >>
<< Sì. >>
<< Non potevi chiedere a Riccardo di venire a farti compagnia?>>
<< Papà smettila. Stai tranquillo, non ho intenzioni di fare cazzate, se è questo che ti preoccupa. >>
<< No … ma … non è per quello … è che … >>.
<< Non sono stupido. Ora però torno a vedere il film. Ciao.>>
<< Buonanotte. >>
<< Anche a te. >> Riattaccai.
Salii in camera mia e presi un album di fotografie. Lì, c’erano tutte le foto che avevo con Marta. Iniziai a sfogliare l’album. A ogni ricordo il dolore m’invadeva. Gli occhi si riempirono di lacrime.
Mi stavo agitando e l’aria iniziava a mancarmi. Buttai giù oltre venti gocce di filexat nel tentativo di tranquillizzarmi, ma non ebbero alcun effetto.
Chiusi l’album e lo riposi nel cassetto dal quale lo avevo preso.
Tornai giù in tavernetta portando con me la boccetta di filexat.
Mi sedetti di nuovo ai piedi del camino. Anche le ultime fiamme, lentamente, si stavano spegnendo.
La mia mente era un insieme di pensieri che vorticavano sempre più velocemente. Avevo paura che potesse capitare qualcosa di brutto da un momento all’altro. Sentivo rumori ovunque, e nella mia mente rimbombavano echi di grida e disperazione.
Mi sdraiai sul divano gettandomi una coperta addosso. Chiusi gli occhi. In quel momento mi si parò dinanzi l’immagine di tanto sangue. Aprii gli occhi immediatamente. Tremavo, ma non sentivo freddo, ero nel panico più assoluto.
Presi ancora altre quaranta gocce di filexat, non ne avevo mai prese così tante. Dopo un po’ i sensi iniziarono ad abbandonarmi, non mi sentivo nemmeno più le braccia. Caddi in un sonno molto profondo.
Mi svegliai alle tre del pomeriggio. Avevo dormito per quattordici ore consecutive.
Ero triste, depresso e malinconico.
Come sempre, Jasmine mi aveva augurato il buongiorno con un messaggio su whatsapp. Risposi al suo messaggio e poi andai a svolgere l’allenamento.
Nemmeno il contatto con il pallone e con i bambini servì a risollevare il mio umore.
Quella, fu la prima volta che terminai l’allenamento in anticipo. La mia testa era tutta da un’altra parte, e anche un bambino notò che c’era qualcosa che non andava.
Alexander si avvicinò e mi chiese: << Mister perché sei triste? >>
Un bambino di soli cinque anni si era preoccupato per me. << Alex, non sono triste, sono solo un po’ stanco. >>
<< Mister, mercoledì voglio che sei felice come le altre volte. >>
<< Sì piccolo, sarò felice come tutte le altre volte. >> Gli diedi un bacino sulla fronte.
A fine allenamento andai nello spogliatoio e feci una doccia calda. L’acqua che mi scorreva in faccia e poi lungo tutto il corpo fu una sensazione molto rilassante.
Quel giorno dovevo ancora fare una cosa molto importante, e mi restava poco tempo. Dovevo andare al cimitero. Dovevo andare da Marta. Alle diciannove c’era l’orario di chiusura, quindi mi restavano meno di due ore. Feci tutto molto in fretta e poi andai via.
Arrivato all’ingresso del cimitero, il mio livello d’ansia salì vertiginosamente.
Percorsi rapidamente le piccole vie del cimitero, fermandomi per una preghiera sulla tomba di mio nonno materno, che tra l’altro non avevo mai conosciuto, dato che era andato via alcuni giorni prima che io nascessi.
Poi arrivai dove si trovava la tomba di Marta.
Ai piedi della tomba c’erano tanti fiori freschi, segno che molti familiari e amici erano stati lì poco prima.
Avevo portato con me una rosa rossa, non un fiore adatto alla circostanza, ma lei amava le rose.
Rimasi lì per molto tempo, nonostante il freddo e qualche timida gocciolina di pioggia.
Pregai tanto, e oltre a pregare le raccontai tutto quello che mi era capitato nell’ultimo periodo. Ero sicuro che in un modo o nell’altro mi stesse ascoltando.
Il tempo ò così velocemente da non accorgermi che le diciannove erano ormai ate.
Arrivò il custode del cimitero. << Ragazzo >> aspettò che mi girassi verso di lui. << Dobbiamo chiudere. Se non ti dispiace, dovresti uscire. >>
<< Sì, certo. Mi scusi. >>
Diedi un bacio alla tomba di Marta e poi uscii dal cimitero. Rimasi qualche minuto lì fuori, con lo sguardo perso nel vuoto e la mente incapace di formulare alcun tipo di pensiero. Poi tornai in auto e mi diressi a casa.
La mia famiglia doveva restare ancora un giorno fuori, e quindi mi ritrovai solo a casa. La solitudine, soprattutto in quel giorno così particolare, non mi faceva per niente bene.
Trovai due chiamate perse da parte di Riccardo e lo richiamai.
<< Riccà, mi hai chiamato? >>
<< Sì. Perché non hai risposto? >>
<< Ero all’allenamento. Che volevi? >>
<< Oggi finalmente ho preso la patente. Fra un po’ o a prenderti, e non voglio obiezioni. >>
<< D’accordo. Ti aspetto. >>
Riccardo venne a prendermi con la sua Giulietta rossa, nuova di zecca.
<< Niente male. >> Dissi salendo in auto.
<< Ho un fratello d’oro. >>
<< In effetti … gran bel regalo. >>
<< Andiamo al Just? >> Chiese
<< Patente … auto nuova … sì. Mi sa che devi offrire da bere. >>
Al Just non c’era nessuno. In settimana era quasi sempre così, soprattutto durante l’inverno.
Bevemmo qualche birra.
Più tempo ava e più mi accorgevo che Riccardo era molto diverso rispetto al solito.
<< Che hai? >>
<< Dovrei chiederlo io a te. >> Rispose.
<< In che senso? >>
Poi iniziò a parlare senza più fermarsi. << Ci conosciamo da anni, e soprattutto negli ultimi tempi non siamo capaci di affrontare un discorso serio. Facciamo e diciamo solo cazzate. E smettila di sembrare sempre sereno e spensierato. Smettila di nascondermi che da quando Marta non c’è più, stai male. Lo so cosa significa questa data per te. Perché fai finta di niente? Perché ti comporti come se fosse un giorno qualsiasi? Sono il tuo migliore amico e non dovresti far finta di niente con me. >>
Rimasi ad ascoltarlo in silenzio. Non mi sarei mai aspettato un discorso del genere da lui. Aveva ragione. Non facevamo altro che cazzate, e non affrontavamo un discorso serio da tantissimo tempo.
<< So benissimo che conosci cosa vuol dire questa data per me, ma non mi va di parlarne. Beviamoci su. >> Cercai di non dar peso alle sue parole, e provai a cambiare subito argomento.
Mi guardò infuriato. << Non puoi scambiare emozioni con una birra. >>
<< Riccà smettila. >>
<< No che non la smetto. >>
Scattai in piedi. << BASTA. >> Gli urlai in faccia.
<< No. Devi avere le palle di affrontare i tuoi problemi. Io sono qui per aiutarti. >>
<< Non mi serve il tuo aiuto. Sto bene. >>
<< Non mentire. Tu non stai per niente bene. A differenza delle tue parole, i tuoi occhi non mentono. >>
Ora non era più infuriato. Aveva un’espressione di commiserazione.
<< Riccà, per favore, smettila. >>
<< Luì, parla con me e dimmi cosa c’è che non va. Io voglio solo aiutarti. >>
Gli occhi mi si riempirono di lacrime.
<< Tu non puoi aiutarmi. Non puoi capire cosa si prova a convivere con un senso di colpa che ti logora e ti rende meno umano giorno dopo giorno. Tu non sai cosa significa avere gli incubi tutte le notti. Tu non sai quanto sia brutto dipendere da un ansiolitico. Tu, tutto ciò, non potrai mai comprenderlo. >>
Mi fissò per interminabili secondi e poi mi chiese con calma glaciale: << Perché non mi hai mai raccontato tutte queste cose? >>
<< Perché me ne vergogno. >>
<< Ti vergogni di cosa? >>
<< Mi vergogno di me, di cosa sono diventato. >>
Dopo quelle parole, Riccardo, mi venne incontro e mi abbracciò. << Tu non hai nulla di che vergognarti. >>
Il viso mi si rigò di lacrime.
<< E’ colpa mia se Marta non c’è più. >> Sussurrai singhiozzando.
<< Non è colpa tua. >>
<< Sì che lo è. >>
<< No, non lo è. >>
<< Sì che lo è. >>
<< No. Non è colpa tua. Non è colpa tua. Non è colpa tua.>>
<< Smettila Riccà. Smettila. >>
Mi fissò dritto negli occhi dicendomi ancora una volta: << Non è colpa tua. >>
Mi abbracciò molto forte, e proprio in quel momento caddi in un pianto liberatorio.
Per fortuna all’esterno del Just non c’era nessuno, quindi non ci furono persone che udirono la nostra conversazione.
<< Riccà andiamo via da qua fuori! Non voglio che mi vedano piangere. >>
<< Andiamo in auto. >>
Smisi di piangere. In auto confidai a Riccardo tutti i miei problemi e tutto ciò che mi turbava. Parlare di ciò mi fece bene. Mi sentivo più libero.
<< Credo di averti detto tutto. >>
<< Promettimi che non prenderai più quella merda per dormire.>>
<< Non posso smettere di farne uso all’improvviso, starei troppo male. Le dosi vanno scalate un po’ alla volta. >>
<< Allora promettimi che inizierai con lo scalare le dosi. >>
<< Te lo prometto. >> Dopo quella fatta a Jasmine, mi ero vincolato ad una nuova promessa.
Evitai di prendere le tantissime gocce di filexat della notte precedente, e ritornai alle quindici gocce di pochi giorni prima. Dopo una giornata del genere, con soli quindici gocce non fu facile riuscire a dormire, ma dopo un po’ ci riuscii.
Mi svegliai alle cinque del mattino. Non riuscivo più a stare calmo nel letto. Avevo voglia di buttare giù altre gocce di filexat, ma dovevo rispettare la promessa fatta a Riccardo, e scacciai subito quel pensiero.
Dovevo distrarmi e pensare ad altro, e l’unica cosa che mi venne in mente, fu quella di registrare un video, da caricare poi sulla mia pagina facebook.
Non avevo un’idea precisa su che argomento trattare, quindi sarebbe stato un video diverso dal solito.
Come tutte le altre volte, presi la videocamera, la posizionai per bene, e iniziai a registrare.
<< Ciao a tutti ragazzi. Scusate le mie condizioni, ma sono le cinque del mattino ed essere presentabili a quest’ora è molto dura. Vi ringrazio ancora una volta per il o che mi date. Siete davvero la mia seconda famiglia.
<< Sinceramente non so perché sto registrando questo video, ma non avendo per niente sonno, ho tirato fuori la videocamera e ho iniziato a registrare.
<< Forse è giunto il momento che vi parli un po’ di me.
<< Ho aperto questa pagina in un momento molto difficile della mia vita, e il vostro o e la vostra ammirazione mi hanno dato una spinta per andare avanti. Non vi conosco singolarmente, però davvero vi abbraccerei uno ad uno … >>.
La registrazione proseguì. Fu un video molto più lungo del solito. Mi ero messo in gioco anche sul web. Avevo raccontato al mondo intero chi era Luigi come
persona. Finalmente stavo uscendo dal mio involucro. Avevo trovato il coraggio di parlare di me, senza vergognarmene.
7 – PICCOLI CAMPIONI
Per tutta la settimana assunsi solo quindici gocce di filexat al giorno, sempre prima di mettermi a letto. Di pomeriggio, in un modo o nell’altro, trovavo la maniera per tenere a bada l’ansia.
La conoscenza con Jasmine proseguiva bene. Si dimostrava sempre più dolce e amorevole. Poi, come ogni sabato sera uscimmo insieme.
<< Mi sei mancato tanto in questi giorni. >>
<< Tu mi manchi dal momento stesso in cui ti saluto per andare via. >>
Le accarezzai con delicatezza il viso con l’indice, e poi le diedi un bacio.
<< Ti amo, Luigi. >> Era la prima volta che mi dichiarava amore così esplicitamente.
<< Anch’io ti amo >>, risposi sottovoce, quasi titubante, sperando in cuor mio che le sue parole fossero vere. Eravamo seduti su una panchina, al centro di una villetta. Faceva freddo, però in quel momento fui invaso da una vampata di calore. Jasmine mi accendeva il cuore.
Ci legammo in un abbraccio che gridava amore. Incrociai la mia mano destra
con la sua mano sinistra e con il pollice le accarezzavo il dorso della mano.
Avvicinò le labbra al mio orecchio. << Resterai per sempre con me? >>
<< Cosa? >> Feci finta di non aver capito.
<< Voglio che resti per sempre con me. >>
<< Ne sei proprio sicura? >>
<< Sì. >>
<< Tempo fa mi dicesti che dopo un po’ ti sei stancata di tutti i ragazzi con cui sei uscita. >>
<< Questa volta è diverso. >>
Mi allontanai leggermente, per poterla guardare negli occhi. <
>
<< Non te lo so spiegare. Me lo sento e basta. >>
<< Mi hai detto una cosa molto importante, ne sei consapevole?>>
<< Sì, e lo direi altre cento volte. >>
<< Chi ti dice che domani ti sveglierai e non t’importerà più nulla di me? >>
<< Mi dai così poca fiducia? >> Era preoccupata. Probabilmente si aspettava una reazione diversa.
Le accarezzai le labbra con l’indice. << Non è mancanza di fiducia. >>
<< E allora cos’è? >>
<< E’ paura di star male. >>
<< Io non voglio che tu stia male. Non so come hai fatto, ma in breve tempo mi sei entrato nel profondo, come nessun altro prima d’ora, ed è stata la prima volta che ho detto “ti amo”. >>
<< Dimmelo ancora. >>
Mi guardò e mi persi nei suoi occhi. Mi baciò sulle labbra, poi sulla guancia, lasciando una scia di baci fino ad arrivare al mio orecchio. A quel punto mi
sussurrò con dolcezza: << Ti amo. >>
Nonostante fosse quasi inverno, sopra di noi il cielo brillava ed era gremito di stelle. C’era solo la traccia di qualche nuvola che s’intravedeva all’orizzonte.
La strinsi forte a me e le dissi con molta più convinzione di poco prima: << Ti amo. >>
<< Sul serio? >> Bisbigliò lentamente.
<< Sì. Ti amo davvero. >>
Restammo tutta la serata seduti su quella panchina. Poi, come ogni sabato sera, all’una la riaccompagnai a casa.
<< Buona fortuna per la finale di domani. >>
<< Sono sicuro che quei bambini domani mi daranno una bella soddisfazione. >>
Avevo partecipato con la scuola calcio a un piccolo torneo formato da otto squadre. C’erano due gironi da quattro squadre. Dato che avevamo vinto tutte e tre le partite del girone, eravamo arrivati primi, e così in semifinale avevamo sfidato la seconda dell’altro girone, vincendo per sei a quattro. L’indomani ci sarebbe stata la finale. Saremmo dovuti andare a giocare a Ischia.
Dopo che Jasmine fu scesa dall’auto, fui tentato di fermarmi al Just, ma alle dieci del mattino seguente partiva il traghetto per Ischia, e non potevo di certo far tardi.
Il mare era calmo. Il breve tragitto che da Napoli ci portò a Ischia fu molto tranquillo. Alle tredici iniziava la partita.
Arrivammo al campo prima dei nostri baby avversari. Dopo qualche minuto arrivarono anche loro. Poi i piccoli entrarono negli spogliatoi con i loro genitori, che li aiutarono a indossare il completino da calcio.
Li aspettai nel campetto di calcio a cinque, in erbetta sintetica, nel quale avremmo dovuto giocare. I bambini di quell’età giocavano sei contro sei in un campo da calcetto. Un campo del genere era già abbastanza grande per loro.
Entrarono tutti insieme.
<< Venite tutti qui e formate un cerchio intorno a me. >> Senza farselo ripetere due volte formarono un cerchio proprio come avevo chiesto.
Era un torneo riservato ai bambini al di sotto dei sei anni. Nel gruppo di oltre venti bambini che allenavo, ce n'erano otto che avevano meno di sei anni, e tutti e otto erano presenti quel giorno.
<< Dobbiamo fare tre tempi da quindici minuti, quindi giocheremo tutti, e non
voglio che chi inizi in panchina si metta a piangere. >>
<< Va bene mister. >> Risposero in coro.
<< Allora >>, guardai tutti per capire in che modo metterli in campo. << Iniziamo con Vincenzo in porta, Giovanni e Carlo in difesa, Salvatore a centrocampo, mentre Ciro e Alexander giocheranno in attacco. Domenico e Luca aspetteranno un po’ in panchina con me. >>
Nessuno di loro protestò. Si stavano comportando con una maturità enorme per essere dei bambini così piccoli.
<< Un’ultima cosa. Non importa se vinceremo o no. Siamo qui per divertirci e se dovessimo perdere, non voglio lacrime, intesi?>> Aspettai la loro risposta e poi proseguii.
<< E ora mettetevi per bene in campo, ognuno nella sua posizione. >>
I bambini si disposero nei propri ruoli, e quando anche i piccoli dell’altra squadra si misero in campo, la partita cominciò.
Subimmo due gol in pochi minuti e quasi tutti si scoraggiarono.
Mi faceva tristezza vederli così abbattuti e provai a incitarli. <
>
Poco prima che il primo dei tre tempi finisse, Ciro realizzò il gol del due a uno e venne ad abbracciarmi. Fu una sensazione bellissima.
Nel secondo tempo iniziai ad alternare i cambi, facendo uscire a turno un po’ tutti, tranne Alex e Ciro che erano i due bambini un po’ più svegli.
Il secondo tempo terminò tre a tre.
Alexander si avvicinò e disse: << Mister, il loro portiere è fortissimo. >>
<< Tu sei più forte di lui e dopo gli farai gol. >>
<< Non ci riesco. >>
<< Provaci sempre e ci riuscirai. >> Gli scompigliai i capelli con la mano e lui sorrise.
Mancavano pochi secondi alla fine della partita, quando l’arbitro (che tra l’altro era uno degli allenatori della scuola calcio contro la quale stavamo giocando), fischiò un rigore a nostro favore per un fallo commesso ai danni di Ciro.
<< ALEX BATTILO TU. >> Urlai dalla panchina.
Mi guardò impaurito. Dopo qualche istante realizzò quanto gli avevo detto, prese il pallone e lo mise sul dischetto.
L’arbitro fischiò. Alexander calciò e fece gol. Esultarono tutti come se avessero vinto la coppa del mondo con un gol all’ultimo minuto. Fu stupendo vedere tutti e otto che si abbracciavano e gioivano insieme. Il mio ruolo principale non era quello di insegnare calcio, ma di educarli nel miglior modo possibile e di renderli uniti. Quella scena mi fece capire che avevo raggiunto il mio scopo.
Pochi secondi dopo, la partita finì e vincemmo quattro a tre.
A fine partita mi complimentai con il mister della squadra avversaria che aveva arbitrato la partita.
<< Complimenti per la sportività. In pochi avrebbero fischiato un rigore contro la propria squadra all’ultimo minuto, nonostante sia soltanto una partita tra bambini.>>
<< Mister, siamo degli educatori e dobbiamo dare il buon esempio >>, mi diede una pacca sulla spalla.
<< Complimenti a te per aver reso così uniti questi bambini. >>
Tutti furono premiati con una piccola coppa e una medaglia, che mostravamo fieri e sorridenti.
Da Ischia ritornammo a Napoli, e prima di lasciarli ricordai a tutti che l’indomani ci sarebbe stato come ogni lunedì l’allenamento.
Di sera mi sentivo troppo stanco per uscire, quindi avvisai Jasmine che sarei rimasto a casa. Le raccontai della partita e di come si erano comportati i miei bambini, e condivise con me quei momenti di gioia.
Telefonai anche Riccardo e gli dissi che non sarei ato al Just.
<< Nemmeno io ho voglia di uscire. Prepara la Playstation, vengo a insegnarti un po’ come si gioca. >>
Riccardo ed io cenammo insieme ai miei genitori. Dopo cena andammo in camera mia.
Giocammo a FIFA per oltre due ore. Sembravamo dei bambini, con esultanze e sfottò a ogni gol. Alla fine Riccardo vinse quattro partite, mentre io soltanto due, e così fui costretto a sopportare le sue prese in giro per tutto il tempo.
Appena Riccardo andò via presi quindici gocce di filexat, ed ero così stanco che dopo pochi minuti dormivo già profondamente.
Quella notte sognai. Fu un sogno diverso dal solito.
Camminavo mano nella mano con Jasmine. eggiavamo sulla battigia di una spiaggia. La sabbia era molto chiara, il mare cristallino. Eravamo felici. D’un tratto vidi una ragazza seduta su uno dei lettini di una spiaggia privata. Continuai a camminare e quando fui abbastanza vicino a quella ragazza, la guardai con attenzione. Era Marta. Mi guardava compiaciuta e il suo viso era illuminato da un sorriso che irradiava gioia.
Il mattino seguente mi svegliai insolitamente di buon umore. La bella giornata trascorsa a Ischia e il sogno di quella notte, avevano fatto si che mi svegliassi pieno di vitalità.
Per mia fortuna i corsi all’università non erano obbligatori, perché anche quella mattina mi svegliai tardi e non andai a seguire le lezioni.
Studiai per qualche ora. Dopo pranzo mi dedicai per un po’ alla mia pagina facebook.
Alle quindici e trenta preparai il borsone e andai all’allenamento.
Mancavano venti minuti all’inizio dell’allenamento ma, quel giorno c’erano già tutte le auto dei genitori dei miei baby calciatori. Diedi uno sguardo al campo, ma non era ancora entrato nessuno. Non vedevo né i bambini, né i loro genitori. La cosa era molto strana.
M’incamminai verso gli spogliatoi, e proprio lì fuori trovai uno striscione con la scritta:
“ Sei il mister migliore del mondo. Ti vogliamo bene. “
Rimasi incredulo per qualche istante, e poi sbucarono fuori tutti i bambini e con loro, i genitori. Quei piccoli marmocchi mi corsero in contro e mi abbracciarono.
Ero visibilmente emozionato e trattenni quelle lacrime di gioia con molta fatica.
Baciai sulla guancia tutti, uno per uno. Quei piccoli diavoletti erano la mia forza e ogni giorno mi davano un motivo per andare avanti e non smettere mai di lottare. Ringraziai tutti i genitori per la piacevolissima sorpresa, e poi guidai i bambini nel campo.
Li invitai a formare un cerchio intorno a me. << Poiché ieri i più piccoli hanno vinto la finale, e voi tutti siete stati dolcissimi, oggi l’allenamento sarà più divertente. Faremo un bel triangolare. >>
Si alzarono urla di gioia.
L’allenamento fu molto piacevole, sia per me sia per loro.
8 – UN CIELO DAI MILLE COLORI
Il Natale si avvicinava e le strade iniziarono a riempirsi di luci colorate. Ho sempre amato il clima natalizio, l’unica parte dell’inverno da me gradita.
In televisione venivano trasmessi in continuazione film sul Natale, non ne perdevo nemmeno uno. Li guardavo con gli occhi di un bambino.
Avevo anche iniziato a fare i primi regali di Natale.
A Riccardo avevo preso un gioco per la Playstation. Nonostante i suoi vent’anni era più bambinone di me, e di sicuro sarebbe stato felicissimo nel vedere quel gioco.
A mia sorella Anna avevo regalato un romanzo d’amore, amava quel genere di libri, mentre per Natalia avevo preso due Barbie.
Diverso invece era il regalo che avevo scelto per Jasmine. Amava Tiziano Ferro fin da quand’era una bambina, non faceva altro che parlarmi di lui e delle sue canzoni. Uno dei suoi sogni era di andare a un suo concerto e così comprai due biglietti, uno per me e l’altro ovviamente per lei.
Negli ultimi tempi Jasmine era diventata sempre più importante, fondamentale, indispensabile, era quanto di meglio mi potesse capitare. Ogni volta che avevamo la possibilità di vederci, trascorrevamo tutto il tempo a perderci in baci e carezze. Non ero mai stanco di lei.
Una sera uscii con Riccardo. Jasmine venne al Just con Katia. Quei due ci misero davvero poco a prendere confidenza. Si piacquero da subito e impiegarono pochi minuti a baciarsi.
Da allora, non di rado, uscimmo tutti e quattro insieme.
La vigilia di Natale soffiava un freddo vento dicembrino e la pioggia cadeva a fiotti. Ero sveglio da poco e avevo messo la testa fuori dalla finestra soltanto per dare uno sguardo al tempo. Alla vista di quel temporale mi rituffai subito a letto, sotto le coperte.
Presi il cellulare e telefonai Riccardo.
<< Riccà, allora ci vediamo dopo la mezzanotte? >>
<< Sì. Perché non chiedi di venire anche a Jasmine? … Io provo con Katia. >>
<< Credi che Katia verrà? >>
<< Penso proprio di sì. Almeno tutti e quattro insieme ci divertiremo di più. >>
<< Va bene. Adesso chiamo Jasmine e poi ti aggiorno. >>
Telefonai Jasmine e mi disse che aveva già convinto Katia. Sarebbero arrivate poco dopo la mezzanotte.
Mi alzai a malincuore dal letto. Dopo essermi vestito, andai al supermercato per comprare qualche alcolico. Feci una piccola scorta di birre, vodka e sambuca.
Verso le diciotto, come avveniva ogni anno alla vigilia di Natale, andai a cenare insieme alla mia famiglia, da mia nonna materna.
La casa era strapiena di gente. C’erano molti dei miei zii e dei miei cugini.
Era fantastico trascorrere quei giorni festivi con loro, trasmettevano serenità e allegria.
Ci volle un bel po’ per fare gli auguri di Natale a tutti.
<< Quanto sei diventato bello. >> I soliti complimenti di mia zia.
<< Ma che bello … ormai sto iniziando a invecchiare. >>
<< Invecchiare? … Ah se ce li avessi io ventuno anni … >>
<< Eh eh … tu sei giovane dentro. >>
Dopo aver fatto gli auguri a tutti, mi misi seduto ai piedi del camino, proprio come facevo sempre anche a casa.
Quando tutti furono arrivati, iniziammo a cenare. C’erano oltre tre tavole apparecchiate con quasi trenta sedie intorno ad esse. Dalla cucina proveniva un odore di frittura di pesce molto intenso.
Dopo l’antipasto ero già gonfio come una palla. Avevo già bevuto i primi tre bicchieri di vino e un minimo di lucidità mi aveva abbandonato.
Mangiai a fatica il primo, e fu una vera e propria impresa far entrare nel mio stomaco anche la frittura di pesce. Ero sul punto di scoppiare. Ogni volta che protestavo per aver mangiato troppo, nonna mi redarguiva. Per lei non mangiavo mai abbastanza.
Zio Antonio non faceva altro che riempirmi il bicchiere di vino rosso. Quella sera alzarono un po’ tutti il gomito, compreso papà che non beveva mai molto.
Poi, mio cugino Gennaro, il più piccolo di tutta la famiglia, si alzò in piedi sulla sedia per recitare la filastrocca sul Natale, che aveva imparato all’asilo.
Natale
Ho sognato Gesù bambino
che veniva vicino al mio lettino
sussurrando dolcemente
per Natale mi chiedi niente?
Io pensai per prima cosa
a te mamma così amorosa
a te babbo buono tanto
e gli dissi Gesù Santo,
papà e mamma benedici,
fa che siano sempre felici.
Vidi allora il suo bel viso
che faceva un bel sorriso
e lo vidi sparger fiori
sul camino dei genitori.
Quando Gennaro ebbe finito di recitare la filastrocca, tutti insieme lo applaudimmo. Poi ogni zio gli diede cinque euro. Nonna fece lo stesso. Venne anche da me, e come tutti, gli diedi cinque euro in cambio di un bacino.
Mostrava i suoi soldi, pieno di orgoglio, dicendo: << Domani mi compro tanti giocattoli. >>
Quando il cenone terminò, ero così pieno che a stento riuscivo a respirare. Lo stomaco premeva contro i bottoni della camicia, e se avessi ingurgitato soltanto un’altra briciola sarebbero saltati tutti.
A mezzanotte, i miei genitori, in compagnia di alcuni dei miei zii, andarono in chiesa per assistere alla messa di Natale, mentre io tornai a casa, dato che da lì a pochi minuti sarebbero arrivati Riccardo, Katia e Jasmine.
A casa si gelava. Accesi il climatizzatore per riscaldare velocemente la tavernetta, poi presi della legna dalla cantina e accesi il camino. In meno di dieci minuti il freddo aveva lasciato spazio a un tiepido calore.
Disposi divano e poltrona in modo tale da formare un arco intorno al camino. Misi al centro un tavolino, sopra il quale appoggiai gli alcolici che avevo comprato nel pomeriggio.
Arrivò Riccardo, e dopo pochi minuti vennero anche Katia e Jasmine.
<< Finalmente siete arrivate. >>
<< Colpa di Katia che ha tardato come sempre. >> Disse Jasmine con ironia.
Nella mano destra di Jasmine c’era una busta, dentro la quale s’intravedeva un pacco regalo. Si avvicinò, mi baciò sulle labbra e mi disse: << Questo è per te. Buon Natale.>>
<< Grazie. Vieni qua, ho qualcosa anch’io per te. >>
Da sotto l’albero di Natale, presi il piccolo pacchetto dentro il quale avevo incartato con cura i biglietti per il concerto e glielo porsi. << Aprilo. >>
Scartocciò in fretta la carta da regalo e rimase per interminabili minuti a fissare il contenuto. Dopo un po' si riprese e mi si avvinghiò al collo. << Grazie … è un sogno … non ci credo. >>
<< E’ il minimo che potessi fare per te. >>
<< Per me vale tanto … troppo. >>
<< Dai … smettila. >>
<< Va bene, la smetto. >>
Indicò il pacco che mi aveva portato. << Ora tocca a te scartare il regalo. >>
Scartai con calma il pacco che conteneva il regalo. Conosceva la mia grande ione per il calcio inglese, e quindi aveva scelto di regalarmi il completino del Chelsea.
<< Non dovevi … grazie … >> La baciai sulle labbra.
<< Hai detto a me di smetterla, quindi ora smettila anche tu. >>
<< Hey voi due … esistiamo anche noi! >> Era Riccardo con la sua solita ironia.
<< Oh … scusa Riccà. >>
<< Sei perdonato per questa volta. >>
<< Ah … gentilissimo. >>
<< Tieni. Questo è per te. >> Riccardo mi porse il regalo che aveva comprato per me.
Scartai il pacco. Conteneva una webcam da dodici megapixel.
<< Questa è per i tuoi live online. >> Aggiunse.
<< Sei un amicone. >>
Poi fu il suo turno di scartare il pacco regalo. Alla vista di quel gioco per la sua console, fece salti di gioia.
Quando lo scambio di regali fu terminato, ci sedemmo intorno al camino. Il divano era abbastanza spazioso per tutti e quattro, però io mi sedetti sulla poltrona, e Jasmine si mise comoda sulle mie gambe.
Facemmo un gioco a quiz, e ogni volta che qualcuno sbagliava nel dare la risposta, doveva bere un bicchiere di birra, oppure un cicchetto di vodka o sambuca.
Toccava a me. Dovevo fare una domanda a tutti e tre. Iniziai da Riccardo.
<< Qual è la capitale della Svizzera? >>
<< VIENNA. >> Gridò Riccardo.
<< Riccà … quella è la capitale dell’Austria. >> Guardai tutti gli alcolici che avevo appoggiato sul tavolino. << Opto per un bel cicchetto di sambuca. >>
Bevve il cicchetto in un sorso, poi ai a Katia. Gli feci una domanda sempre di geografia.
<< Qual è il monte più alto dell’Africa? >>
<< Questa è facile … il Kilimangiaro. >>
<< Esatto. Ora iamo a Jasmine. >> Mi sorrise. << Una capitale anche a te … >>
<< No... dai … le capitali no. >>
<< Ormai ho già deciso. La capitale dell’Uruguay? >>
<< Ma no … non vale … questa è troppo difficile. >>
<< Prova lo stesso. >>
<< Non ne ho la più pallida idea. >>
<< Tempo scaduto … Montevideo. >> Guardai di nuovo gli alcolici sul tavolino. << Mmh … devi bere un bel cicchetto di vodka. >>
Jasmine riempì il bicchierino di vodka e bevve a piccoli sorsi.
Verso le due tornarono i miei genitori. Scesero in tavernetta e mi affrettai a nascondere le bottiglie di alcolici ai piedi del divano. Speravo che non si avvicinassero. Natalia dormiva tra le braccia di papà, mentre Anna era a casa di un’amica. Appena salirono in camera da letto per dormire, rimisi tutto sul tavolino.
Mi ci vollero appena quattro cicchetti per perdere quel poco di sobrietà che avevo riacquisito dopo il cenone da nonna.
Riccardo fu quello che sbagliò più risposte, quindi bevve davvero parecchio.
Diversamente andò per Jasmine e Katia. Sbagliarono pochissime volte, ma quel
poco di alcol che furono costrette a bere, le lasciò davvero poco lucide.
Verso le tre finimmo quel gioco. Riposizionai il divano di fronte al televisore e inserii nel lettore DVD il film horror che avevo noleggiato il giorno prima in videoteca.
Riuscii a capire ben poco di quel film. Ero impegnato in baci apionati con Jasmine.
Alle prime luci dell’alba mangiammo un cornetto al primo bar che trovammo aperto, poi Riccardo riaccompagnò le due ragazze a casa, e per ultimo me.
Avevo trascorso una notte stupenda.
Arrivato a casa, indossai il pigiama e filai in camera mia. L’alcol era ancora in circolo e alleviò qualsiasi tipo di ansia. Pochi secondi e sprofondai nel sonno.
Tutti quei giorni di abbuffate in famiglia mi giovarono. Mi faceva bene stare a stretto contatto con altre persone, mi aiutava a combattere la mia depressione.
Ovviamente gran parte del merito andava anche a Jasmine. Con lei era tutto più bello. La mia vita, che prima era in bianco e nero, grazie a lei, aveva ripreso tonalità di mille colori. Nonostante questo netto miglioramento, avevo ancora tanta paura. Temevo che fosse soltanto un’effimera illusione, e che da un momento all’altro potessi sprofondare nuovamente nel baratro più tetro.
Il pomeriggio del trentuno dicembre mi vidi con tutti i miei vecchi compagni di classe. C’eravamo dati appuntamento al Just. ammo tutto il tempo a ricordare quello che facevamo a scuola, in particolare le gite scolastiche, le interrogazioni e l’esame di maturità. Alla fine Daniele ci fece crepare dalle risate con le sue imitazioni dei professori.
Verso le diciannove mi recai a casa di zio Mario. Per tradizione alla vigilia di Capodanno si cenava da lui. Come ogni anno eravamo in tantissimi a cenare lì quella sera.
Due ore prima della mezzanotte salutai tutti e poi ai a prendere Riccardo, Katia e Jasmine.
Decidemmo di andare a Mergellina. Amavo troppo quel posto, e l’idea di vedere i fuochi d’artificio da lì era molto affascinante.
Quasi tutti erano ancora a tavola ad abbuffarsi, quindi non beccammo molto traffico.
Faceva davvero freddo e avevo portato con me una piccola coperta, oltre a una bottiglia di spumante per festeggiare il nuovo anno.
Poco prima della mezzanotte, il cielo iniziò ad accendersi di infiniti colori. Ammirare quei fuochi d’artificio seduti sugli scogli, era meraviglioso.
Poi partì il nostro conto alla rovescia. << Dieci … nove … otto … sette … sei …
>> ero emozionato come se stessi aspettando chissà cosa. << Cinque … quattro … tre … due … uno … >> Proprio in quel momento feci volar via il tappo di sughero dalla bottiglia di spumante.
<< AUGURIII. >> Urlammo tutti e quattro in coro.
Intanto la festa dei fuochi d’artificio era nel bel mezzo del suo svolgimento.
Dopo aver bevuto un bicchiere di spumante, tornai a sedermi su uno degli scogli.
<< Siediti vicino a me. >> Dissi a Jasmine.
Si sedette alla mia sinistra. Presi la coperta da un piccolo sacco che avevo portato con me, e la avvolsi intorno a noi. Restammo in silenzio a osservare quello spettacolo nel cielo. Di tanto in tanto ci perdevamo in uno dei nostri baci. Era impossibile starle accanto senza baciarla per più di qualche minuto.
Mi fissò in modo strano, sembrava si stesse concentrando sulla mia cicatrice al sopracciglio sinistro. << Come te la sei fatta quella? >>
Non mi sarei mai aspettato quella domanda. Non sapevo cosa rispondere. << Ah … q-questa … una testata giocando a calcio.>> Mentii.
<< Quanti punti di sutura ti hanno messo? >>
<< Solo due. >>
<< E’ stato doloroso? >>
<< Un ago che t’infilza la carne deve essere per forza di cose doloroso. >> All’improvviso ero diventato di una freddezza glaciale.
La domanda sulla cicatrice aveva riportato troppi fantasmi alla mente. Non volevo farle notare il mio improvviso sbalzo d’umore, quindi cercai di cambiare in fretta argomento.
<< Fra sei mesi saremo allo stadio Olimpico di Roma per il concerto del ’ tuo ‘ Tiziano Ferro. >>
<< Già … non vedo l’ora. >> Il suo viso s’illuminò in un sorriso mozzafiato.
Ci baciammo ancora. Erano baci che toglievano il respiro e davano i brividi.
Quel contatto con le sue labbra servì a rimettere il mio umore in sesto.
Nonostante la piccola parentesi sulla mia cicatrice, fu una notte bellissima.
All’alba riaccompagnai tutti e poi tornai a casa. Solo tredici gocce di filexat, e se pur con molta fatica, riuscii ad addormentarmi.
9 – UN LEGAME INDISSOLUBILE
Mi svegliai nel cuore della notte. Era più di un mese che non accadeva.
Di nuovo quel risveglio all’improvviso con il cuore che batteva all’impazzata. Probabilmente era il nervosismo pre – esame. Poche ore e avrei dovuto sostenere l’esame di letteratura latina.
Sapevo benissimo di non essere una cima in quella materia, ma dovevo assolutamente essere promosso, per non arretrarmi altri esami.
Provai a riaddormentarmi ma non ci riuscii. Ogni volta che chiudevo gli occhi, era una tortura, proprio come nel corso dei due anni precedenti. Avrei voluto tanto prendere altre gocce di filexat per tranquillizzarmi un po’, ma non dovevo cedere. Mi alzai dal letto e cercai di distrarmi in qualche modo.
Presi il quaderno con gli appunti di letteratura latina e provai a ripetere qualcosa, ma non riuscivo a concentrarmi, e quindi dopo pochi minuti richiusi il libro. Stavo attraversando un periodo particolarmente sereno, però quella notte ero davvero agitato. L’esame di latino sicuramente contribuiva a rendermi nervoso, ma non poteva essere l’unico motivo. C’era qualcosa che mi turbava più nel profondo, e forse sapevo cosa.
Tornai a letto ma non riuscii a trovare pace, e così scesi in tavernetta. Giocai a FIFA. Nemmeno giocare alla Playstation riuscì a distrarmi.
A ogni minuto che ava, ero sempre più sicuro di sapere cosa fosse a turbarmi. Stavo nascondendo alcune cose a Jasmine e lei aveva il diritto di sapere, lei doveva sapere di Marta e dei miei problemi di depressione, non potevo fingere per sempre.
Le prime luci fioche del mattino iniziarono a illuminare timidamente la stanza. Smisi di giocare a FIFA e feci una doccia caldissima.
Alle nove c’era l’appello d’esame. Dovevo prendere il treno delle sette e trenta per essere lì in orario.
Dopo un po’ iniziarono a svegliarsi tutti. Poco prima delle sette si svegliò papà, seguito dopo pochi minuti da mamma.
<< Vuoi che ti riscaldi il latte? >> Mi chiese mia madre.
<< No, grazie. Ho lo stomaco chiuso e non riuscirei a mangiare nulla. >>
Appena papà fu pronto per andare a lavoro, salii in auto con lui, e mi accompagnò in stazione. La mia auto di mattina serviva a mamma per accompagnare Anna e Natalia a scuola, quindi quel treno rimaneva sempre l’unica soluzione per arrivare a Napoli.
Quella mattina trovai miracolosamente parecchi seggiolini liberi. Il treno era stranamente meno affollato del solito. Arrivato a Napoli, percorsi come sempre il tratto stazione – università a piedi. Camminando per quelle strade ripetevo in
mente alcune nozioni di latino. Arrivai in sede, proprio dove seguivo i corsi. L’esame si sarebbe tenuto nell’aula di lezione.
<< Cerciello Luigi. >>
Ero stato chiamato … toccava a me. Non mi sentivo pronto, e probabilmente non lo sarei stato mai per quell’esame.
Fino allora, avevo aspettato fuori dall’aula perché stare seduto ad assistere l’esame degli altri mi rendeva sempre più nervoso, e soprattutto più dubbioso della mia preparazione.
In aula c’erano ancora altri dieci ragazzi in attesa di sostenere il loro esame. Il professor Amedeo Leone era seduto alla cattedra, mentre il suo assistente era seduto poco distante e stava già riempiendo di domande una ragazza che aveva l’aria, di essere più agitata di me.
<< Si accomodi. >> Disse il professore quando mi fui avvicinato alla cattedra.
<< Buongiorno professore. >>
<< Lei è Cerciello Luigi, giusto? >>
<< Sì, sono io. >>
<< Prima di iniziare devo farle alcune domande. >> Mi fissava con un ghigno malefico. Sembrava si stesse divertendo nel mettermi in difficoltà. << Ha studiato latino alle scuole superiori? >>
<< No. Ho frequentato un istituto tecnico per geometri e lì il latino non viene studiato. >> Mi fissò come se avessi appena detto qualcosa di grave. Rimasi in silenzio per qualche secondo, poi proseguii. << Ho ricevuto qualche nozione di latino alle scuole medie, e in questi mesi ho tentato di fare il massimo per apprendere il più possibile.>>
Iniziò a giocherellare con i suoi pollici. << Ritiene che la sua conoscenza del latino sia comparabile a uno studente che ha frequentato il liceo classico, o quello scientifico?>>
<< Suppongo di no. >>
<< Quindi la sottoporrò a un esame alla sua altezza. Spero per lei che sia abbastanza fortunato da superarlo, e in tal caso, non si aspetti un voto eccellente. >>
Ancora dovevamo iniziare e già mi aveva gettato nello sconforto più assoluto.
Mi chiese ben poco sulla letteratura latina. Le sue domande erano indirizzate principalmente sulla grammatica. Cercava in tutti i modi di mettermi in difficoltà, facendomi tradurre versioni sempre più complicate.
Finalmente si ritenne soddisfatto della miriade di domande alle quali mi aveva sottoposto.
<< Davvero niente male per uno studente che arriva da un istituto tecnico. >>
Il mio volto, che fino allora era stato sempre molto teso, si rilassò. Accennai un piccolo sorriso.
<< Posso arrivare a metterle un ventisette, e si ritenga fortunato perché oggi sono particolarmente di buon umore. >> Mi fissò di nuovo con quel suo sorrisetto malvagio. << Accetta il voto o vuole riprovare il prossimo semestre? >>
<< Accetto, accetto. >> Sarebbe stata una follia rifiutare quel voto, e poi era andata molto meglio di quanto sperassi.
Quando ebbe registrato il voto dell’esame, fui libero di andare.
Ero entusiasta di com’era andata. Il nervosismo della notte appena trascorsa era andato via, ma c’era ancora qualcosa che non andava.
Scesi alla solita fermata poco prima delle quattordici. Avevo voglia di camminare, e quindi non chiamai mia madre per farmi venire a prendere in stazione.
Percorsi quei due chilometri che portavano a casa con un bel sorriso stampato in faccia.
<< Perché non mi hai chiamato? Fa freddo per strada, venivo a prenderti io. >>
<< Mamma, avevo voglia di camminare, e un po’ d’aria fredda fa bene al cervello. >>
Aspettava che le dicessi l’esito dell’esame, ma non dissi nulla. Poi fu lei a chiedere: << Allora? L’esame com’è andato? >>
<< Promosso. Mi ha messo ventisette. >>
In un attimo la sua espressione cambiò. Era più felice di quanto lo fossi stato io alla fine dell’esame.
Pranzai e poi preparai il borsone da calcio per andare all’allenamento.
Alla fine dell’allenamento andai a casa di Riccardo. Era da poco tornato da lavoro.
<< Stasera andiamo a festeggiare il mio ventisette. >>
<< Ormai ho un amico dottore. >>
<< Magari … mancano ancora altri sedici esami … >>.
<< Che saranno mai sedici esami per uno come te? >>
<< Sono tanti … sono tanti. >>
Restai mezz’ora con lui e parlammo tutto il tempo. Mi aggiornò sulla sua situazione con Katia e mi chiese se stessi ancora facendo uso di filexat. Gli raccontai la verità e fu molto felice di sapere che se pur con difficoltà, stavo iniziando a fare un uso sempre minore di quell’ansiolitico. Prima che andassi via, mi disse che sarebbe ato a prendermi poco prima delle ventuno.
Trascorremmo una piacevolissima serata. Andammo a mangiare in un pub che aveva aperto da poco. Mangiammo l’impossibile, e quando fummo sazi, tornammo a casa.
Ero così stanco per le poche ore di sonno della notte precedente che per la prima volta, dopo tanto tempo, mi addormentai senza usare il filexat, ed ero sobrio.
Il mattino seguente mi svegliai di buon umore. A casa mia c’era un gran caos. I miei genitori si stavano preparando per andare al matrimonio di un cugino di papà.
Io e mia sorella Anna avevamo deciso di non andare. Lei si era organizzata per andare a casa di un’amica, e quindi, come spesso accadeva, avevo casa tutta per me.
Risposi al consueto messaggio del buongiorno di Jasmine e poi le chiesi se dopo scuola sarebbe voluta venire a studiare da me. Dopo un po’ mi rispose che sarebbe venuta subito dopo pranzo.
A casa mia sembrava davvero di essere a un manicomio. Papà era simile a un ragazzino che doveva andare al suo primo appuntamento, e non faceva altro che chiedermi: << Come sto così? >>
Finalmente verso le undici rimasi solo a casa.
Scesi in tavernetta e mi misi comodo sul divano. Su un canale sportivo stavano trasmettendo un documentario sugli anni d’oro del Napoli, e ovviamente l’artefice principale di tutto quel successo era stato Maradona. Era sempre stupendo ammirare le sue prodezze. Sarebbe stato un onore nascere in tempo per poterlo ammirare dal vivo e non solo tramite dei filmati.
Iniziai ad avere fame, e non essendo capace di cucinare, mi preparai un panino col salame. Dopo averlo mangiato, mi tuffai di nuovo sul divano. Poi il camlo suonò. Era Jasmine.
<< Vieni, sono giù. >> Dissi dalle scale, dopo che fu entrata.
Scese le scale e mi salutò con un bacio sulle labbra.
<< I tuoi genitori non ci sono? >>
<< No. Sono andati al matrimonio di un cugino di papà. >> << Sei fortunato ad avere casa così spesso tutta per te. >>
<< Eh … in effetti … >>
Andammo in camera mia, al piano di sopra.
Si sedette alla mia scrivania. << Devo imparare venti pagine di storia per domani … e non ne ho proprio voglia.>>
<< Dai … ti aiuto io. Che cosa state studiando? >>
<< La Rivoluzione se. >>
<< Ottimo. Sono molto ferrato su quest’argomento. >> Prese il libro di storia dalla borsa e iniziò a leggere. A ogni punto che non l’era chiaro, lo leggevo per lei e glielo spiegavo a parole semplici. Jasmine aveva ottimi voti a scuola, ma la sua repulsione verso la storia era evidente. << Le principali conseguenze della Rivoluzione se furono l’abolizione della monarchia assoluta, la proclamazione della repubblica e l’emanazione della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, che tra l’altro è la base delle costituzioni moderne …
Ti è chiaro adesso? >>
<< Sì. Sei molto più chiaro del libro. >>
<< Eh beh … sono pur sempre un futuro professore. >>
<< Un professore che ogni studentessa vorrebbe. >> Aggiunse con un pizzico di malizia.
ammo due ore intere su quel libro. Quelle venti pagine sembravano infinite, e verso la fine anch’io iniziai a scarseggiare di concentrazione. Poi finalmente arrivammo all’ultimo paragrafo.
<< … E così il 9 novembre 1799 il colpo di stato detto “ del 18 Brumaio “ rovesciò il Direttorio e instaurò un triumvirato, retto dai consoli Bonaparte, Sieyès e Ducos…>>.
<< Che cos’è un triumvirato? >> Le chiesi, simulando un'interrogazione.
<< Il triumvirato è il collegio di tre persone, titolari di funzioni pubblicamente rilevanti. >>
<< Bravissima … continua. >>
<< … Poi nel 1804 Napoleone ruppe gli indugi facendosi nominare imperatore dei si … e quindi, la Rivoluzione se, di fatto, già terminata nel 1799, poté definirsi definitivamente conclusa, lasciando spazio all’epoca napoleonica. >>
<< Ottimo. Domani un bel nove nessuno te lo toglierà. >>
<< Si, come no … se andrà bene, arriverò a un sei striminzito. >>
<< Come sei pessimista … >>
Quando finimmo, chiuse il libro e lo rimise in borsa. Mi misi seduto sul letto, e lei si sedette proprio di fronte a me.
<< Ora che hai finito di studiare posso parlarti … >> La mia voce assunse all’improvviso un tono serio.
<< Cosa … mi … devi … dire? >> Parlava molto lentamente. Sembrava intimorita dalla mia frase.
<< Stai tranquilla, non è nulla di grave, però credo sia tuo diritto che tu sappia alcune cose su di me. >>
<< Del tipo? >>
<< Apri il secondo cassetto della mia scrivania. C’è un piccolo scatolo bianco che contiene una boccetta. Portalo qui. >>
Si alzò dal letto e fece proprio come le avevo detto. Dopo aver preso il filexat, si sedette di nuovo nella stessa posizione di prima.
<< E questo cos’è? >>
<< E’ un ansiolitico. >>
<< E cosa ci fa un ansiolitico nel tuo cassetto? >>
<< Ne faccio uso da diverso tempo. >>
<< … Perché? >>
<< Aspetta. >> Le diedi il mio portafoglio. << Aprilo … e se qualcosa cattura la tua attenzione … mostramela. >>
<< Sei strano. >> Era turbata.
<< Lo so. >>
Cercò con attenzione in ogni tasca del portafoglio, poi come immaginavo, la sua attenzione cadde sulla foto di Marta. La estrasse dal taschino e la guardò attentamente.
<< E’ bellissima … chi è? >>
<< Si chiamava Marta. >> Risposi con dolcezza.
<< Chiamava? >>
<< Sì, esattamente … chiamava. Ora non c’è più. >> Gli occhi stavano iniziando a diventarmi lucidi. Li sentivo umidi e pieni di lacrime.
<< Chi era? >>
<< Era la ragazza che amavo. >>
Rimase impietrita dopo questa mia affermazione. Poi continuò con le sue domande. << Com’è morta? >>
<< L’hanno uccisa durante una rapina. Si è trovata nel posto sbagliato, al
momento sbagliato. >>
<< Perché non me ne hai mai parlato? >>
<< Ho aspettato il momento giusto. >>
<< Che cosa intendi dire? >>
<< Ora ti spiego alcune cose … non interrompermi. >> Le dissi.
<< Va bene. >> Era curiosa e spaventata al tempo stesso. Voleva sapere.
<< Poco più di due anni fa, Marta è andata via … io la amavo più della mia stessa vita, e quel tragico evento mi ha cambiato per sempre. Caddi in una forte depressione, che poco più di un anno fa, mi portò a tentare il suicidio. La vedi questa? >> Le chiesi indicando la cicatrice al sopracciglio sinistro.
<< Si … te la sei fatta giocando a calcio … >>
<< E invece no. Me la sono fatta quella sera in cui ho tentato di uccidermi. Stavo guidando e mi schiantai volutamente contro un muro … ne sono uscito miracolato da quell’incidente, e questa cicatrice è l’unico ricordo che ho di quella sera. >>
<< Ecco perché quando ti chiesi della cicatrice, cambiasti improvvisamente umore. >>
<< Sì … nei due mesi successivi all’incidente, sono stato imbottito di antidepressivi. Prima degli antidepressivi facevo già uso di ansiolitici e tuttora ne faccio uso … però … grazie a te, sento che sto “guarendo”. >>
<< Grazie a me? >>
<< Sì, proprio grazie a te. Ti ho conosciuta nel periodo più buio della mia vita. Da allora le cose sono iniziate a migliorare. Tu mi hai sempre dato tanto, senza chiedere nulla in cambio. Tu mi hai dato un motivo per andare avanti. Tu mi hai fatto credere in qualcosa. Hai portato di nuovo la luce nella mia vita … >> Non riuscii a proseguire. Le lacrime iniziarono a solcarmi il viso. Anche Jasmine piangeva.
Si calmò e mi sussurrò: << Basta star male … ci sono io con te. >>
<< Non lasciarmi mai. Ho bisogno di te. >>
<< Anch’io ho bisogno di te. >>
Ci baciammo. Fu un bacio dal gusto salato, a causa delle lacrime che scorrevano lungo il viso, arrivando fino alle labbra. C’era più amore in quel bacio che in tutte le poesie del mondo.
Fui pervaso da una ione improvvisa.
Ci toccammo e poi iniziammo a spogliarci. Toccavo il suo seno scoperto e lei fece scivolare una mano dentro i miei jeans. Pochi minuti dopo, eravamo nudi a fare l’amore. Quella fu la sua prima volta.
<< Questo mi legherà per sempre a te. >> Mi sussurrò all’orecchio.
<< Tu sarai per sempre mia. >>
<< Non desidero altro. >>
Quella sera mi sentivo diverso dalle altre volte. Mi ero tolto un peso, avevo finalmente raccontato tutta la verità a Jasmine, e lei non l’aveva presa male, anzi, voleva solo aiutarmi a superare tutte le mie difficoltà. E poi avevamo fatto l’amore. In un certo senso c’era qualcosa che ci avrebbe legati a vita. Una parte di me sarebbe stata per sempre sua, e una parte di lei sarebbe stata per sempre mia.
Ero sicuro che non avrei avuto bisogno del filexat per dormire, però non dovevo troncare l’assunzione di gocce all’improvviso. Presi soltanto dieci gocce e dopo un po’ caddi in un dolce sonno.
10 – UN ELOGIO A UN GRANDE UOMO
I giorni avano molto in fretta e il freddo dell’inverno non ne voleva proprio sapere di andare via. Mancava ancora molto all’arrivo della primavera. Eravamo appena al diciannove febbraio. Era l’anniversario della nascita di uno dei più grandi attori che Napoli e il mondo intero avesse mai avuto. Era l’anniversario della nascita di Massimo Troisi.
Mi sentii in dovere di registrare un video nel quale rendevo il mio omaggio a quel grande uomo andato via troppo in fretta.
Presi come ogni volta la videocamera, la sistemai con cura e iniziai a registrare.
<< Ciao ragazzi. Sono due settimane che non pubblico video, e vi chiedo scusa. Sono stato molto impegnato con alcuni esami all’università. In questi giorni cercherò di rimediare pubblicando qualche video in più.
<< Sto registrando questo video perché oggi è l’anniversario della nascita di un grande attore, comico, cabarettista. E’ uno di quelli che ha contribuito a rendere celebre Napoli nel mondo. Il 19 febbraio del 1953, a San Giorgio a Cremano nasceva Massimo Troisi. Probabilmente molti di voi non hanno mai visto un suo film, né tanto meno nessuno dei suoi sketch da cabaret. Vi consiglio di guardarli, ve ne innamorerete. Ora voglio leggervi la poesia che un grande come Roberto Benigni scrisse proprio in occasione della sua morte. La poesia è intitolata “A Massimo Troisi”. >>
<< Non so che teneva dint’a capa,
intelligente, generoso, scaltro,
per lui non vale il detto che è del Papa,
morto un Troisi non se ne fa un altro.
Morto Troisi muore la segreta
arte di quella dolce tarantella,
ciò che Moravia diceva del Poeta
io lo ridico per un Pulcinella.
La gioia di bagnarsi in quel diluvio
di jamm, o’ saccio, ‘naggia, oilloc, azz!
Era come parlare col Vesuvio, era come ascoltare del buon
Jazz.
“Non si capisce”, urlavano sicuri,
“questo Troisi se ne resti al Sud!”
Adesso lo capiscono i canguri,
gli Indiani e i miliardari di Hollywood!
Con lui ho capito tutta la bellezza
di Napoli, la gente, il suo destino,
e non m’ha mai parlato della pizza,
e non m’ha mai suonato il mandolino.
Oh Massimino io ti tengo in serbo
fra ciò che il mondo dona di più caro,
ha fatto più miracoli il tuo verbo
di quello dell’amato San Gennaro. >>
E su quest’ultimo verso terminai la registrazione. Dopo un’ora il video era già sulla mia pagina. Non immaginavo ricevesse così tanti click e condivisioni. Tutta l’attenzione verso quel video mi fece capire che fortunatamente erano in molti ad amare quell’uomo che tanto adoravo da sempre.
Dopo cena, inserii nel lettore DVD “Non ci resta che piangere”, un film di Massimo Troisi, con Roberto Benigni. Lo guardai con mio padre. Anche lui, come me, amava quel film a tal punto da non stancarsi mai di vederlo.
Quando il film terminò, salii in camera mia. Avevo finito il filexat, e pur sapendo dal giorno precedente che non avevo altre gocce, decisi di non ricomprarlo. Era arrivato il momento di provare a vivere senza quelle gocce che mi avevano reso schiavo per tanto tempo. Era arrivato il momento di vivere senza l’aiuto di un farmaco.
Non avevo molto sonno e quindi non fu facile addormentarmi. Nella mia mente ripercorrevo pensieri felici e ciò mi aiutò a rimanere calmo e rilassato. Poi il sonno giunse da se. Dormii fino al mattino, senza svegliarmi nemmeno una volta di soprassalto durante la notte. Forse ce l’avevo fatta. Forse l’incubo era finito.
11 – EPILOGO
Eravamo seduti ancora una volta su quegli scogli che tanto ci avevano uniti. Osservavamo il mare che scompariva fino a diventare un’unica cosa con il cielo. Quel paesaggio era incantevole anche in pieno inverno.
Fissai per interminabili secondi i suoi occhi che tanto mi avevano fatto innamorare. Quel verde intenso e forte da lasciarmi sempre senza parole.
<< Non pensavo si potesse amare una seconda volta. >>
<< Io spero di non sperimentarla una seconda volta, mi basta questa, mi basti tu. >>
<< Non ci sarà una seconda volta per te. Dovrai sopportarmi per tutta la vita. >>
<< Sei tu che dovrai sopportare me. >>
<< Vuol dire che ci sopporteremo a vicenda. >> Le diedi un bacio sulle labbra.
Tornato a casa, andai in camera mia e mi sdraiai sul letto. Ero felice, sereno. Mi sentivo vivo. Sprizzavo di nuovo gioia da tutti i pori.
Erano quindici giorni che non assumevo più filexat. Di notte dormivo tranquillo e non mi era più capitato di avere incubi, né mi ero svegliato più di soprassalto col cuore che batteva all’impazzata. Certo, non era ancora finita del tutto, di tanto in tanto dovevo gestire qualche lieve eccesso d’ansia, ma ormai, avevo imparato a gestire questa situazione e ci riuscivo senza molte difficoltà. Ero fuori dal tunnel.
Riuscivo a immaginare di nuovo un futuro. Finalmente avevo di nuovo dei sogni, proprio come ogni ragazzo della mia età. E poi c’era Jasmine. Lei mi faceva sentire importante come nessun altro. Lei era stata la mia cura. Lei aveva risvegliato i miei sentimenti, che erano rimasti assopiti per troppo tempo.
Ripercorsi nella mia mente tutti i bei momenti trascorsi con lei, dal nostro primo incontro nel treno alla nostra prima volta, dal nostro primo bacio al cinema fino alla notte di Capodanno. Erano pensieri di una leggerezza e di una piacevolezza unica. Mi facevano sorridere, e soprattutto facevano sorridere la mia anima.
Io avevo vinto, ma lì fuori c’erano ancora tanti altri ragazzi, uomini, donne, anziani, che vivevano ogni giorno nella stessa situazione nella quale avevo vissuto io per due anni. Ora che ne ero fuori, conoscevo la strada giusta da percorrere, e volevo aiutare tutti, perché era, è, e sarà per sempre ingiusto che le persone siano distrutte dalla depressione.
La mia pagina aveva raggiunto centomila seguaci. Era un numero abbastanza grande e il mio messaggio sarebbe così arrivato a moltissime persone, che avrebbero potuto trovare conforto nelle mie parole.
Presi la videocamera e iniziai a registrare.
<< Ciao a tutti ragazzi. Questo è un video diverso da tutti gli altri. Voglio raccontarvi una storia, la mia storia.
<< Poco più di due anni fa ho perso una persona molto importante, da allora sono caduto nel vortice della depressione, ho tentato anche il suicidio e sono stato imbottito di antidepressivi per due mesi. Le persone credevano fossi diventato pazzo. Non trovavo la forza di reagire, non riuscivo a venirne fuori. Ho iniziato ad avere attacchi da panico, avevo incubi tutte le notti e trovavo pace solo in un ansiolitico o nell’alcol. Non c’è niente di più sbagliato. Un ansiolitico non aiuta, l’alcol non aiuta, la droga non aiuta. Ci aiuta a stare meglio per qualche ora, e poi? E poi ti rende schiavo, e quando l’effetto è terminato, stai molto peggio di prima.
<< Io ho trovato la salvezza in un amico fantastico e in una ragazza che mi ha ridato la voglia di vivere. Lei mi ha amato incondizionatamente fin dal primo momento. Mi ha perdonato qualsiasi cosa e c’è sempre stata.
<< Se ora riesco ad immaginare di nuovo un futuro è grazie a lei.
<< Ciò che voglio dirvi è di non arrendervi mai. Non dovete smettere mai di lottare. Non dovete rassegnarvi allo stare male. No. Dovete trovare qualcosa che riesca a distrarvi. Uscite, cantante, ballate, sognate, siate folli, saltate, fate sesso, fate l’amore, urlate, sfogatevi, tirate pugni contro una porta, fate di tutto, ma non arrendetevi mai. Non strisciate mai. E soprattutto, non smettete mai di sognare, perché quando una persona smette di sognare inizia un po’ a morire. Quest’ultima frase non è mia, l’ho letta qualche volta non so dove, ma è una di quelle frasi alle quali ho dato sempre un grande valore.
<< E poi ci sono io. Per qualsiasi problema potete contattarmi in chat. Amo ascoltare le persone e ancora meglio se posso rendermi utile e aiutarle. So cosa si
prova in certi casi, so cosa vuol dire toccare il fondo. Sono uno che ha toccato il fondo e poi un o alla volta si è arrampicato fino ad arrivare di nuovo in cima. Vi assicuro che da qua su il panorama è ancora più bello di prima, e da qua su io non cadrò mai più. >>
INDICE
Ringraziamenti
1 – Verde smeraldo
2 – La ione per i video
3 – Labbra che si incrociano
4 – Halloween
5 - Attimi di serenità
6 – Uno Dicembre
7 – Piccoli campioni
8 – Un cielo dai mille colori
9 – Un legame indissolubile
10 – Un elogio a un grande uomo
11 – Epilogo