I Deserti Di Arion 6i5160

Table of Contents

I Deserti di Arion Prefazione alla Nuova Edizione Rivista Arion e le sue zone torride Capitolo 1: L’Incontro Capitolo 2: L’Androide Capitolo 3: In Rotta per Arion Capitolo 4: I Monti Azzurri Capitolo 5: La Cospirazione Capitolo 6: Il Palazzo del Tjaty Capitolo 7: La Stanza Segreta Capitolo 8: Il Deserto Capitolo 9: L’Attacco Capitolo 10: I Laghi Acidi Capitolo 11: I Guardiani del Deserto Capitolo 12: Destinazione Galaction Note

Copyright © George Edgar Ransley 2017 ISBN: 9788893212519

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I Deserti di Arion

George Edgar Ransley

2017

Youcanprint Self-Publishing

Ai miei familiari e alla loro paziente sopportazione

Prefazione alla Nuova Edizione Rivista

Questo volume – appartenente al ciclo Ai Confini dell’Universo – è il primo delle tre opere che vanno a costituire la Trilogia dei Mondi Esterni, poiché le avventure dei protagonisti si svolgono, per lo più, su mondi abitati, o impossibili da colonizzare, situati in zone periferiche dell’ammasso galattico, in cui il ciclo è ambientato. Sono, questi ultimi, pianeti situati al di fuori della grande Alleanza Galattica, che governa l’intero ammasso, lontano dalla Via Lattea, dove la razza umana detiene una tecnologia avanzatissima, ben superiore a quella terrestre. In questo libro sono stati considerati, come problemi scientificamente superati o acquisiti, alcuni degli aspetti legati, per esempio, alla capacità che l’uomo ha di spostarsi nell’Universo. È opportuno far presente al lettore che, da un punto di vista strettamente scientifico, tutto questo non è necessariamente vero. Si può, in realtà, correttamente asserire che sia di là dalle nostre attuali basi scientifiche, la possibilità di raggiungere tali conoscenze e, per alcuni versi, vi siano dei limiti insuperabili. In questi casi, ho accuratamente evitato di dare spiegazioni, che sarebbero state del tutto insostenibili, su un piano strettamente teorico, essendo, per l’appunto, delle licenze scientifiche, più che letterarie. Ad esempio, pur essendo una delle problematiche fisiche studiate a livello scientifico, è molto dubbio che, per visitare istantaneamente luoghi situati a grandi distanze nell’Universo, si possa in qualche modo realmente utilizzare il meccanismo fisico dei cunicoli spazio-temporali. L’impatto sulla fisiologia umana di questi ambienti, in cui fenomeni tipici della relatività generale dominano, è, effettivamente, di là dalla nostra attuale sfera di conoscenze. L’Universo resta per noi un qualcosa in cui ci possiamo muovere troppo lentamente, e nel quale le distanze temporali sono incommensurabilmente superiori alla durata della vita umana. Per evitare equivoci, va affermato come la velocità della luce sia un limite insuperabile, all’interno di un universo nel quale la stessa unità di tempo è data dall’anno luce. Là dove la Fisica non permette di giungere, si può comunque procedere con l’immaginazione e permettere che Ashley McFarley e George Stone, i nostri due personaggi, appartenenti al Corpo degli Esploratori Spaziali, possano muoversi

liberamente attraverso i cunicoli che collegano zone del cosmo fra loro lontanissime, cosicché questa élite di uomini e donne possa, coraggiosamente, esplorare il nostro universo. Per ora, caro lettore, lascia che sia la tua immaginazione a scorrere verso gli assolati deserti di Arion, così simili a quelli terrestri, dove la luce sfolgorante del giorno e le notti limpide accompagnano Ashley e George in queste loro peripezie ai Confini dell’Universo. Prima di lasciarti alla lettura, permettimi, tuttavia, di aiutarti con una mappa delle zone torride di Arion attraversate dai nostri avventurosi amici per sfuggire alle insidie degli androidi avversari.

George Edgar Ransley 15/08/2017

Arion e le sue zone torride

Capitolo 1: L’Incontro

Staccatosi dalla piccola nave spaziale, il veicolo da esplorazione uscì dall’orbita bassa, quasi equatoriale, e iniziò la traiettoria d’impatto verso la termosfera del pianeta NC-T-GS-01, il primo individuato da George con un’atmosfera simile a quella terrestre. Quella scoperta sarebbe stata di portata storica per la Federazione Stellare, giacché quello era anche il primo pianeta abitabile, scoperto al di fuori della Via Lattea. Come comandante della nave da esplorazione, era suo l’onore di assegnargli il nome, con cui sarebbe rimasto indicato nelle mappe di navigazione stellare della Federazione. Seguendo, così, le tradizioni del Corpo degli Esploratori Spaziali, aveva chiamato NC-T-GS-01 quel pianeta – non colonizzato di tipo terrestre –, introducendo con malcelata soddisfazione le sue iniziali, GS, nella sigla. Il corpo celeste era apparso sugli schermi d’avvistamento poco dopo essere sbucati in quella galassia lontanissima dalla loro, emergendo da un cunicolo spazio-temporale¹. Il pianeta, dotato di atmosfera, era stato individuato, proprio quando il sistema di navigazione stava costruendo la mappa stellare locale, per determinare la posizione. Infatti, i cunicoli non permettevano mai di conoscere in anticipo in quale punto dello spazio sarebbero ricomparsi. La decisione di un’esplorazione al suolo era stata presa con rapidità, rimandando a un tempo successivo la risposta alla questione su dove, uscendo dal cunicolo, erano emersi, ossia, in quale parte del cosmo si ritrovavano. Durante la fase di avvicinamento orbitale, Ashley – ufficiale scientifico e secondo membro della spedizione – aveva scandagliato accuratamente il pianeta, alla ricerca di segnali provenienti da forme di vita intelligenti, ma nulla permetteva di determinare la loro presenza. L’analisi fisico-chimica indicava un’atmosfera gassosa densa, in cui gli elementi principali erano costituiti da azoto e ossigeno. Erano presenti tracce di altri gas nobili, ma, nel complesso, l’aria sarebbe stata respirabile per i terrestri. Il manto vegetativo, che aveva rivestito un ruolo importante nella formazione dell’atmosfera, si era esteso al punto di occupare buona parte delle terre emerse. La gravità era leggermente

inferiore a quella della Terra, mentre l’orografia presentava rilievi meno accentuati. I laghi, anche di notevoli estensioni, sembravano costituire la parte principale delle acque, in quel mondo dominato da terre ricche di vegetazione. Nell’aria, le nubi si spostavano in assenza di venti impetuosi che, nondimeno, parevano non essere abituali per il clima del pianeta. Il paesaggio, osservato dall’orbita della nave da esplorazione, era impressionante per la sua bellezza, e rapiva lo sguardo nello stesso modo in cui certamente era accaduto ai primi astronauti in orbita attorno alla Terra, agli albori dei viaggi spaziali. Iniziando in quel momento la discesa, sarebbero giunti all’alba locale nella zona selezionata per l’atterraggio, e avrebbero potuto compiere una prima e sommaria esplorazione al suolo, sfruttando al massimo la luce diurna. Ashley e George conoscevano bene i rischi e le sorprese di luoghi in cui l’uomo non era mai giunto prima: luce, per osservare, e tempo, per analizzare a fondo le situazioni, si erano sempre mostrati ottimi e fedeli alleati.

Eseguendo una procedura automatica, il veicolo da esplorazione si spostava, ora, lungo una traiettoria con il corretto angolo d’impatto per non essere rimbalzato fuori dall’atmosfera stessa. Tuttavia, l’abitudine e l’esperienza di George gli imponevano di mantenere una continua attenzione alle spie dei comandi, anche se questa cautela non sembrava, al momento, per nulla necessaria. «George!», lo chiamò la voce femminile del computer di bordo, «L’angolo d’entrata è corretto. Dovresti prepararti all’impatto con l’atmosfera. Accenderò le piastre di anti-gravitazione, per evitare una lunga planata e il surriscaldamento dell’esterno del veicolo». «Grazie», rispose, «Ashley ed io abbiamo già allacciato le cinture di sicurezza. Puoi procedere con l’atterraggio». Come previsto, l’atterraggio si svolse senza particolari sobbalzi, in una radura che scendeva dolcemente verso uno dei laghi principali. Avrebbero deciso in seguito il nome con cui chiamarlo – pensò George –, quando la navetta toccò il suolo. «Ashley, per favore, potresti svolgere un nuovo controllo dell’aria?». «Tutto a posto George, possiamo uscire senza tuta protettiva. La temperatura

esterna è di ventisei gradi Celsius: se fossimo sulla Terra, potremmo prepararci a una giornata di vacanza all’aria aperta!». «D’accordo», rispose il terrestre. «Usciamo e godiamoci il panorama! Ti rendi conto che questo è il primo pianeta abitabile scoperto dalla razza umana, fuori dalla nostra galassia?». Il terrestre dette uno sguardo finale ai quadri di comando e, rassicurato dalla spia della pressurizzazione esterna, chiese al computer di bordo di aprire il portello.

Uno strato erboso vellutato e soffice copriva il terreno, trasmettendo una piacevole sensazione – assieme al ricordo dei prati della Terra –, mentre muovevano i primi i su quel nuovo mondo. Nonostante non avessero individuato alcun segno di vita animale, si avviarono con cautela in direzione del lago, pronti a tornare velocemente verso la navetta in caso di pericolo, o a difendersi, se fosse stato necessario. Per questo, entrambi si spostavano con una mano appoggiata sul disgregatore portatile, che, posto nella sua fondina, pendeva dal cinturone della tuta di volo. Arrivati sulla riva sabbiosa in pochi minuti, si fermarono per contemplare quelle acque tranquille, con il sole che si alzava sempre più sull’orizzonte. La vegetazione, attorno al lago, si estendeva a vista d’occhio e giungeva fino a pochi metri dall’acqua, dove cedeva il posto a un piccolo strato ghiaioso. L’ampia radura, con il suo soffice strato erboso, avvolgeva quella parte del lago e confinava con un bosco, in cui gli alberi ad alto fusto non erano addensati fittamente, ma piuttosto erano spaziati in modo regolare. In lontananza, i due terrestri notarono come il terreno si innalzasse gradualmente, e gli alberi si andassero diradando, fino a lasciare il posto alla sola roccia rossastra. Nel frattempo, spostandosi nel cielo azzurro, alcune isolate nuvole bianche mettevano in risalto la colorazione dell’altura, dominante il bosco e la vallata. Una leggera brezza muoveva l’aria, formando delle increspature sulla superficie del lago e piccole onde, che si frangevano sulla riva, creando un rumore sommesso ma percepibile distintamente da Ashley e George. Per il resto, la natura era silenziosa, quasi fosse dipinta – più che reale –, della quale, tuttavia, si avvertiva la presenza attraverso il suono soffocato e lontano, provocato dal frusciare delle foglie.

«Anche se erei volentieri ore a guardarmi intorno, mi sento un’intrusa. Ho la sensazione che tutto ciò che vediamo sia disposto in modo preordinato e, oserei affermare, ben curato», disse Ashley. «Hai ragione», rispose George, i cui pensieri non erano rivolti tanto alla bellezza della natura, dall’apparenza incontaminata, quanto alle sue possibili insidie. «Ci conviene compiere una ricognizione dell’area con il veicolo da esplorazione, arrivando fino a quelle piccole colline laggiù, per renderci conto visivamente del posto», propose alla sua compagna, indicando con la mano la sommità dell’altura più vicina, in cui la roccia nuda era ben visibile. «Sono d’accordo, ma in seguito dovremmo recarci a esaminare le piante situate ai limiti di bosco», rispose Ashley.

Il veicolo da esplorazione utilizzava le stesse piastre anti-gravitazionali della navetta rimasta in orbita e, pertanto, era dotato di un’estrema manovrabilità verticale. Raggiunsero così, in pochi minuti, la cima della collina da dove, a perdita d’occhio, potevano scorgere una distesa pianeggiante, in cui si susseguivano boschi divisi da ampie radure. Quella pareva essere l’unica zona collinare dell’area. Raccolti dei campioni di roccia, i due terrestri si spostarono a piedi verso il limitare della foresta, prossima al loro mezzo di trasporto. A prima vista, le piante, che la costituivano, potevano essere assimilate ai pini. «eremo la notte sul veicolo da esplorazione, e domani mattina installeremo la base» disse a voce alta George con un tono conclusivo, quasi di comando, vedendo Ashley tornare con i campioni di vegetazione raccolti. Poi, con a bordo l’ufficiale scientifico, fece decollare il veicolo per riportarlo là dove era atterrato la prima volta. Oramai – avanzando la sera –, dopo tutte le tensioni di quella giornata, la stanchezza prendeva il sopravvento. Il terrestre, consumata una cena veloce, si sedette al posto di pilotaggio. George lasciò che il tempo scorresse, guardando verso l’esterno dell’abitacolo dal finestrino posto là di fronte a lui. Contemplava il sole che, mentre prima rischiarava l’insenatura, stava diventando – calando sull’orizzonte – sempre più di un colore rosso scuro. Sebbene il pianeta non fosse apparentemente ostile, quel tramonto – nonostante tutta la nostalgia che gli

andava inducendo – aveva avuto la capacità di richiamare alla sua memoria il problema principale da risolvere: ossia, dove si trovavano realmente? Ashley e George non avevano ancora avuto il tempo per affrontare la questione. Erano usciti da un cunicolo spazio-temporale, non segnalato sulle mappe spaziali, e il primo tentativo effettuato per localizzare le loro coordinate, in base alle strutture delle galassie osservabili, non aveva dato alcun risultato sensato. Strano ma vero, le carte stellari immagazzinate nel computer di bordo non permettevano di determinare la loro posizione. Eppure, le mappe degli ammassi di galassie – utilizzate abitualmente dal Corpo degli Esploratori – erano state incessantemente aggiornate. Fino a quel momento, avevano sempre permesso di indicare, correttamente, la posizione di una nave spaziale, anche dopo un tragitto compiuto per mezzo di questi collegamenti nello spazio-tempo. Erano stati proprio i cunicoli, scoperti agli albori dei viaggi spaziali, a consentire la colonizzazione della Via Lattea. Dalla sua costituzione, il Corpo degli Esploratori aveva, tra i suoi compiti principali, quello di localizzare i cunicoli spazio-temporali e di riportare le loro coordinate d’ingresso e di uscita. La mappa dei cunicoli e la scoperta di mondi abitabili, nella Via Lattea, avevano consentito il nascere di colonie umane, in contatto tra loro. Con il are del tempo era nata la Federazione Stellare, che, per tradizione secolare, governava la Via Lattea dalla Terra, ossia dal pianeta d’origine della razza umana. Avrebbero chiesto al computer, sulla nave rimasta in orbita, di eseguire una scansione per determinare, in modo ottimale, la luminosità delle stelle, allargando l’angolo di vista. Quest’operazione poteva solo essere compiuta dallo spazio, e richiedeva parecchio tempo. Doveva, quindi, essere rimandata a dopo aver completato l’esplorazione al suolo. George si rendeva conto che non localizzare le coordinate avrebbe potuto costituire un serio problema. Infatti, quella parte dell’universo era del tutto sconosciuta e, certamente, non erano più all’interno della Via Lattea. George e Ashley avevano messo piede sul primo mondo abitabile, scoperto fuori dalla loro galassia! Inoltre, il cunicolo avrebbe potuto, a sua volta, rappresentare una porta d’entrata, aperta a un’eventuale minaccia per la sicurezza della stessa Federazione.

Ashley si avvicinò pensierosa.

«George», disse a mezza voce, «Questo posto è veramente incantevole, ma vi è qualcosa di strano». «Che cosa intendi dire?», chiese il capitano. «Stavo riflettendo sulle caratteristiche della vegetazione che ricopre il pianeta. Mi sono resa conto che la flora presenta uno stato di evoluzione avanzato. Tuttavia, non vi sono indicazioni di vita animale e, tanto meno, nessun segno di quella intelligente. Non ti pare anomalo?». «Credo che tu abbia ragione. Domani monteremo la base scientifica e inizieremo uno studio genetico di quante più specie vegetali possiamo trovare. Ora ci conviene riposare: abbiamo avuto una lunga giornata, e se ne sta prospettando un’altra altrettanto pesante. Attiverò tutti sensori d’allarme e le difese della navetta. Non si sa mai! …». «Bene, la prudenza non è mai troppa!», disse Ashley con un sorriso accattivante. George conosceva Ashley da molto tempo e, con lei, aveva trascorso innumerevoli giornate nello spazio. Tuttavia, non era ancora in grado di decifrare quello sguardo che, inevitabilmente, accompagnava il sorriso del suo ufficiale scientifico. Mentre rifletteva su cosa volesse mai sottintendere, si ritirò nella sua piccola ma confortevole stanzetta. Si sdraiò sul letto, e si mise a ripensare al colloquio con Ashley. La conosceva all’opera da troppe missioni, e sapeva bene come le sue intuizioni fossero da soppesare con attenzione. Inoltre, ripensando agli eventi della giornata, in lui si faceva sempre di più strada l’idea che le analisi genetiche avrebbero potuto riservare qualche sorpresa. Il Corpo degli Esploratori, nel pianificare una missione su mondi sconosciuti, considerava sempre attuale l’eventualità di entrare in contatto con razze ostili. Tuttavia, fino a quel momento, nei viaggi di esplorazione spaziale si erano avute soltanto delle indicazioni indirette, riguardanti l’esistenza di razze aliene. Si erano formulate alcune ipotesi, ma senza conseguire certezze. In ogni caso, era arrivato il momento di interrompere il flusso dei pensieri, e lasciare che il silenzio della serata lo avvolgesse con la sua tranquillità. Così, poco a poco, i pericoli parvero un prodotto dell’immaginazione. George, infatti, non era portato a dedicare tempo e spendere energie, in assenza dello stimolo dettato da una motivazione concreta. Era un uomo pragmatico, capace di decisioni immediate al momento del pericolo, ma non era abituato a perdersi in pure congetture. Doveva attendere i risultati delle analisi, e, nel frattempo, riposarsi bene. Sarebbe stato controproducente concentrarsi su un problema

complesso, senza alle spalle una corroborante nottata, trascorsa in un sonno profondo e ristoratore. Durante la notte, mentre i terrestri dormivano, sulla nave in orbita i sistemi automatici di osservazione avrebbero esaminato il pianeta, ripetutamente, fino a ottenere una mappa completa.

Con il mattino, la colazione e il buon umore, era arrivata la necessità di stabilire la base scientifica. Così, lottando contro il desiderio di rimandare al giorno dopo quel lavoro, George e Ashley iniziarono, con impegno, a montare il piccolo prefabbricato nel quale alloggiare e predisporre la strumentazione. Avevano calcolato correttamente i tempi e, prima di sera, l’apparecchiatura scientifica poteva già dirsi operativa. Il sistema principale di analisi dati sfruttava a pieno il processore e le banche dati del computer a bordo della nave orbitante; richiedeva, però, un trasferimento dati su larga banda. Inoltre, avrebbe permesso di ricevere a terra sia le informazioni, elaborate in orbita, riguardanti l’osservazione visiva del pianeta sia eventuali allarmi. Lo svantaggio che tale modo di operare aveva era legato alla mancanza di satelliti – collocati su orbite, equivalenti a quelle geostazionarie² attorno alla Terra –, in grado di mantenere il flusso dei dati, anche quando la traiettoria orbitale portava la nave nella parte opposta del pianeta. In questo caso solo i sistemi a bordo del veicolo da esplorazione potevano, eventualmente ma limitatamente alla zona di atterraggio, allertare i due terrestri. Al calar del sole, George e Ashley erano seduti all’esterno della piccola costruzione e contemplavano, in silenzio, il loro secondo tramonto su quel pianeta. Vedevano le rive del lago sfumarsi lentamente e, in lontananza, i boschi farsi più indistinti. Non parlarono per una decina di minuti rapiti, com’erano, dalla bellezza del paesaggio. Poi, George chiese ad Ashley: «Credi che riusciremo ad ottenere qualche profilo genetico delle piante che ci sono qui intorno? Sono curioso di conoscere i risultati». «Penso proprio di sì», rispose Ashley. «Tutti gli strumenti sono in funzione e collegati alle banche dati. Se non ci saranno problemi, e non ve sono al momento, l’analisi del DNA, con tecniche di biologia molecolare sui campioni prelevati dalle piante, ci fornirà i primi dati sul

genoma, probabilmente entro domani mattina; comunque, non oltre l’inizio del pomeriggio. Dipende da quanto sarà complessa l’analisi». Nel mattino seguente, la raccolta di altri esempi di vegetazione era iniziata presto e, subito dopo, Ashley si era completamente dedicata alla sua strumentazione. George osservava come, per la calma con cui lavorava, il suo ufficiale scientifico desse l’impressione che l’analisi in corso fosse simile a un’esercitazione di laboratorio, durante un corso universitario. Per lei esaminare i campioni, codificare i risultati e visualizzare le ricostruzioni tridimensionali del DNA erano attività naturali. Tuttavia si rendeva conto di come, solo in apparenza, fosse tutto così semplice: Ashley era una scienziata di grande livello. Lui, quando la vedeva concentrata, tutta presa dai dati e dalle immagini ricostruite, si sentiva quasi come uno studente fuori dalla porta del suo professore, in attesa di essere ricevuto. Sapeva che da Ashley non sarebbero subito arrivate certezze e conclusioni, ma, al contrario, la terrestre avrebbe chiarito quanto comprendeva, aggiungendo dettaglio su dettaglio, fino a creare il quadro complessivo di riferimento. Era ben conscio, pertanto, che non sarebbe stato opportuno interrompere la spiegazione. «Uno scienziato non può evitare di tenere una lezione, anche quando gli eventi richiedono decisioni rapide!», lei gli aveva ripetuto più volte. Figuriamoci in questo caso, in cui il tempo non era tiranno! Nella sua mente ammetteva che era molto attraente con quel suo modo di concentrarsi su un problema scientifico e di mostrare soddisfazione ogniqualvolta l’abbia risolto.

Durante il corso della notte e parte della mattinata, i dati – trasmessi dalla stazione a terra alla nave in orbita – furono paragonati con quelli contenuti negli archivi di bordo, riguardanti i genomi di tutte le specie vegetali conosciute dai terrestri. Le informazioni rielaborate, a loro volta, furono inviate di ritorno a terra, dopo un intervallo più breve del previsto. Cosicché, Ashley si era subito immersa nelle tabelle che scorrevano sugli schermi e aveva iniziato a scrivere rapide annotazioni. Alla fine, come sua abitudine, aveva preso un foglio bianco su cui, in mancanza di una lavagna, aveva abbozzato una descrizione grafica volta a creare un quadro riepilogativo della situazione. Le note si susseguivano rapide ed erano, in parte, solo decifrabili da Ashley stessa. Alcune volte, tornava indietro a correggerne alcune, a incasellarne altre e a collegare delle caselle fra

loro. Alla fine, una serie fitta di linee, indicanti un rapporto di causalità, creava un diagramma difficilmente capibile e interpretabile da chiunque fosse privo di conoscenze di biologia genetica. Continuò, con questo esercizio di sintesi, per un paio di ore e alla fine chiamò George: «George, potresti venire? Immagino di essere in grado di mostrarti i risultati, in modo esauriente. Mettiti comodo e preparati a una sorpresa. Tuttavia, conoscendoti…, ti pregherei di non mostrare i tuoi soliti segni d’impazienza, mentre ti spiego le conclusioni alle quali sono arrivata!».

George, sentendosi punto sul vivo, si sedette comodamente su una sedia leggera, abbastanza simile a una poltrona da giardino, in previsione di ricevere le spiegazioni. Si sentiva pervaso dalla sensazione, cosa non nuova in occasione delle presentazioni fatte da Ashley, di essere uno studente in attesa che il professore iniziasse la lezione. Ashley era molto carina quando parlava con aria dottorale alla quale, del resto, rinunciava con difficoltà. Per lei, in effetti, era impossibile abbandonare il tono scientifico, mostrando i risultati ottenuti dalle sue analisi. Lui lo aveva capito subito, quando lei s’imbarcò per il loro primo viaggio di esplorazione, e, avendo rinunciato a farle semplificare i preamboli, si preparava con aria rassegnata ad ascoltarla. Ashley non ammetteva distrazioni e assumeva, inevitabilmente, il ruolo di una maestra che ripeteva la lezione a un alunno, la cui mente era rivolta a tutt’altro. Questa volta – strano a dirsi – il tono scientifico e le introduzioni, da seminario universitario, non erano all’ordine del giorno. «George, in sintesi, la nostra situazione attuale è questa. Siamo entrati in contatto con una razza aliena di tipo umanoide!». La notizia si materializzò nella mente del capitano con rapidità. Chiedere se lei fosse sicura, era inutile: il mutamento del tono e delle inveterate abitudini nell’affrontare un rapporto scientifico da parte di Ashley, non lasciava dubbi di sorta. La sua mente, abituata nel corso degli anni a lavorare rapidamente nelle situazioni critiche, valutava e pesava le implicazioni dell’affermazione, lasciata sospesa nell’aria, da parte dell’ufficiale scientifico. Avvertiva l’adrenalina entrare in circolo e tutti i suoi sensi allertarsi. Improvvisamente, osservava in modo diverso, meno poetico e più indagatore, le distese di alberi da cui era

circondato. La loro regolarità, prima quasi riposante per la vista, era, ora, il possibile rifugio di un pericolo sconosciuto, e non ancora affrontato. Una razza aliena aveva generato questo habitat e, sicuramente, i due terrestri con la loro nave orbitante avrebbero potuto essere considerati ospiti non graditi. Nessuno li aveva invitati e avevano, quindi, violato lo spazio planetario di un’altra razza! Non era un modo elegante per iniziare i rapporti con la prima razza aliena mai, prima d’allora, incontrata nella storia della Federazione Stellare. «Computer!», esclamò il terrestre con tono autoritario, comunicando con il processore centrale della nave, in orbita bassa attorno al pianeta. «Dimmi George!» rispose l’unità d’interfaccia umana, a bordo della nave orbitante. «Computer attiva tutti i sistemi di rilevamento e identifica gli eventuali mezzi di trasporto e le tracce di energia, collegabili a navi spaziali. Genera una griglia di localizzazione, centrata sulla nostra navetta da esplorazione, ma allarga gradualmente le maglie di ricerca, per coprire tutto il pianeta. Richiamami in caso di rilevazione positiva». Mentre stava dando quella sequenza di comandi, accadde che il sistema d’allarme si attivasse senza generare suoni ma inviando, sugli schermi, una scritta mai apparsa, fino a quel momento: “Allarme, navetta di razza aliena in avvicinamento verso la base al suolo”. Il primo messaggio fu seguito, immediatamente, da un secondo: “Navetta in arresto a una distanza di cento metri dalla base”. Nessun rumore era giunto, fino a quel momento, da quel mezzo spaziale di dimensioni superiori alla loro nave in orbita. Soltanto si scorse, allora, un rapido sfavillio – ben distinguibile, nonostante la luce solare –, creato dall’apertura di un portello laterale, da cui si apprestava a uscire un individuo di tipo umanoide. Quel personaggio, in realtà, a mano a mano che si avvicinava ai due terrestri appariva sempre più come un essere umano. Se non fosse stato per la circostanza in cui si trovava, George lo avrebbe facilmente potuto scambiare per uno tra i suoi compagni di corso all’accademia. Costui sembrava, infatti, uno dei suoi coetanei, ed era dotato di una corporatura atletica, simile alla sua. «Se non fossimo qui, all’altro capo dell’universo, direi che è proprio un

bell’uomo! Se queste sono le razze aliene…», fu invece il commento di Ashley. «I sensori lo identificano come un umano!», aggiunse sottovoce, mentre un brivido le percorreva la schiena, metabolizzando la scoperta che una razza umana era presente di là dai confini, noti, della colonizzazione terrestre. Questa notizia, sperando che riuscissero a tornare indietro per riportarla, avrebbe avuto un impatto profondo su quanto, fino a quel momento, si conosceva con riguardo alle teorie evolutive. Forse, si rendeva conto, non sarebbe stato neppure quello il punto più importante: la razza umana e la Federazione Stellare avrebbero dovuto instaurare o, detto più precisamente, imparare a stabilire rapporti pacifici con quelli che, a tutti gli effetti, erano i loro vicini nel cosmo. Al momento, tuttavia, la priorità consisteva nel capire se, davanti a loro, si celava o no un pericolo. Nel vederlo avvicinare, George portò istintivamente la mano sul calcio del piccolo disgregatore appeso alla cintura, pur continuando a osservare con cura i movimenti dello straniero. Questi, a sua volta, notando il gesto del terrestre, si fermò a pochi metri dall’entrata del laboratorio. Ashley, però, si accorse come la tuta di colore blu scuro del nuovo arrivato fosse lacerata all’altezza del braccio sinistro, dove una fasciatura copriva una lesione recente. «Quest’uomo, o umanoide che sia, è ferito!» disse lei. Allora George prese l’unica decisione possibile, date le circostanze: «Sarà imprudente, ma dobbiamo uscire all’aperto. I sistemi di scansione non hanno rilevato altre presenze di umanoidi, all’interno della navetta posta di fronte a noi. Il nostro visitatore, per di più, si è fermato, in attesa di un segno da parte nostra. Non ha fatto alcun gesto di brandire delle armi. Se le sue intenzioni fossero state ostili, avrebbe avuto tutto il tempo per attaccarci, quando la nostra nave, in orbita, non era in grado di comunicare con noi per allertarci!». «D’accordo» rispose Ashley, seguendo George fuori dalla base, mentre rifletteva su come avrebbero potuto comunicare con quell’alieno. L’evento che loro due stavano vivendo, forse, sarebbe stato conosciuto come quello in cui era avvenuto il primo incontro con una razza non-terrestre.

Con il sole ormai alto sull’orizzonte, l’aria – completamente tersa – rimase immobile durante tutto il tempo in cui i tre personaggi si andavano studiando vicendevolmente. Anche l’alieno si era posto, e risolto, il problema di come comunicare. Almeno, così parve alla terrestre, quando vide che costui accendeva un piccolo dispositivo portatile dalla forma circolare appeso al collo. Come avrebbero appreso in seguito, il dispositivo era il tipico traduttore personale, in gergo uptv – unità portatile di trasduzione vocale –, in uso sui pianeti dell’Alleanza Galattica. A poco a poco, mentre si sforzavano di parlare lentamente e con parole ben scandite, si accorsero che l’alieno iniziava a rispondere, dapprima con una pronuncia strana e fortemente gutturale, poi in modo sempre più chiaro e distinto. Grepx, questo era il suo nome, aveva avvistato la loro nave spaziale e individuato il veicolo da esplorazione, fin da subito. Aveva atteso un intero giorno e tutta la notte, per essere ragionevolmente sicuro che non fossero gli androidi, da cui era inseguito. Erano stati, infatti, proprio degli androidi a colonizzare il pianeta sul quale si trovavano. Dopo aver attaccato la sua nave, gli androidi avevano perso le sue tracce, a causa di una stella binaria³ vicino alla quale era transitato. Il campo di radiazioni, emesso dalla stella, aveva effettivamente confuso il segnale energetico della sua nave. Tuttavia, costoro sarebbero inevitabilmente arrivati su quel pianeta entro breve tempo. Occorreva quindi andarsene in fretta, e far sparire i segni della loro presenza. Grepx aveva notato come la loro tecnologia indicasse una razza non appartenente a quelle che abitava l’ammasso di galassie colonizzate dalla sua. Tuttavia, erano umani e non androidi. Il pericolo era comune, ed era corso ad avvisarli. Non avevano molto tempo a disposizione per discutere: le spiegazioni sarebbero arrivate in seguito. Ora, dovevano agire. La tensione era palpabile. Ashley e George avevano compreso immediatamente di essere capitati in una situazione di guerra, magari non dichiarata, della quale non conoscevano i motivi, ma avvertivano come questi androidi potessero rappresentare una minaccia per i terrestri. Non dovevano in alcun modo lasciare indicazioni tali da permettere di localizzare il vicino cunicolo spazio-temporale – attraverso il quale George e Ashley erano giunti in quella galassia –, anche se loro non avevano la certezza che questa pseudo razza aliena fosse in grado di percorrerlo. Pur tuttavia, si rendevano conto di come, in questo caso, il pericolo

di un attacco – senza preavviso – fosse grande e con conseguenze potenzialmente disastrose.

I due terrestri si scambiarono uno sguardo d’intesa: intuivano di doversi fidare di quello straniero. I mesi – ati assieme – avevano acuito la loro rapidità nel comprendersi a vicenda, sviluppando una capacità, quasi simbiotica, di percepire le situazioni pericolose. Questo modo di capirsi al volo li aveva già salvati, nel ato, da parecchie situazioni difficili. Fino a quell’istante, Grepx non aveva detto nulla su come si fosse procurato quella ferita, ma era facile dedurre che essa fosse dovuta agli androidi. Si fidarono; tuttavia, evitarono accuratamente di rivelare la presenza del cunicolo. Se parlarne o no anche di quest’ultimo, lo avrebbero deciso a tempo debito. «Devo proporvi di smantellare questa base, e di far sparire le tracce della vostra presenza. Quando avrete caricato il vostro veicolo da esplorazione, ci sposteremo in un luogo in cui le rocce saranno in grado di far da schermo ai sensori degli androidi. I loro rivelatori saranno di sicuro regolati sulla scia energetica della mia nave, e individueranno la vostra emissione di energia, solo come dovuta a un effetto diffusivo creato da una fuga energetica della mia navetta. Gli androidi ritengono di averla danneggiata seriamente, durante l’attacco!», spiegò Grepx, mentre, dopo essere risalito a bordo, ritornava, poi, verso i terrestri con altri due ciondoli simili al suo. «Prendete questi trasduttori vocali, che noi chiamiamo uptv. Vi saranno utili dove stiamo andando!», aggiunse senza altra spiegazione. I due esploratori se li misero al collo. Fu allora che si resero conto, di quanto potessero esprimersi naturalmente, parlando nello strano linguaggio gutturale di Grepx, come se fosse la loro lingua materna. «Avremo parecchie domande da porci a vicenda», disse alla fine Ashley, iniziando a imballare gli strumenti. Agivano rapidamente, con l’esperienza acquisita dall’aver ripetuto quei gesti molte volte, persino su diversi pianeti, dove i movimenti erano stati resi lenti dalle tute protettive. Concentrati com’erano sugli strumenti da riporre delicatamente, si muovevano senza intralciarsi a vicenda ma, pur alla presenza di

una calma apparente, si sentivano sottoposti a una pressione, quasi palpabile, causata dalla sensazione di dover far in fretta, anzi, di dover agire con molta urgenza. La base, costruita il giorno prima, era stata smontata in poche ore, prima che il sole del mezzogiorno fe sentire il suo calore, rallentando così le operazioni. Poche parole furono scambiate durante le fasi di carico sul veicolo da esplorazione, e mentre i due terrestri osservano Grepx completamente assorto, all’interno del suo abitacolo, nello scandagliare le profondità del cielo e nel seguire le informazioni provenienti dai sistemi di avvistamento. Alla fine il terreno era stato reso libero come al loro arrivo e, dopo essersi scambiati le frequenze di comunicazione, i due mezzi sfrecciarono verso ponente.

L’incantesimo del giorno prima era ormai rotto e il pianeta sembrava, ora, un luogo quasi ostile. La bellezza della natura incontaminata appariva come una maschera capace di celare un disegno oscuro e nefasto. George – difficilmente preda del pessimismo – abbandonò questi pensieri per concentrarsi sulla navigazione e per seguire Grepx che, da esperto pilota, procedeva rasente al suolo con una manovra volta a dissimulare, il più possibile, le scie di pressione create dal suo aggio nell’aria. A quella velocità, il tempo necessario a percorrere la distanza dal lago, fino al rifugio di Grepx, non sarebbe stato lungo. Dopo poco più di un’ora, apparvero gli avamposti di una zona rocciosa che non si elevava di molto sopra la pianura. Anzi, si accorsero come il terreno si andasse aprendo verso il basso, per formare delle coste ripide, le quali s’ingrandivano, penetrando a mano a mano verso il basso fino ad assumere l’aspetto di profondi canyon. A bordo del veicolo da esplorazione terrestre, sullo schermo principale di navigazione, comparvero le prospezioni ricostruite dalla nave in orbita: il canyon principale, nel fondo del quale scorreva un fiume, costituiva sulla superficie del pianeta un taglio – lungo almeno trecento chilometri e molto profondo –, che rendeva visibili strati del Proterozoico e del Paleozoico. Nella parte finale dell’enorme canyon una cascata demarcava la zona rocciosa – sopra la quale si poggiava un esteso altopiano – dalla sottostante pianura, la cui vegetazione non

era dissimile da quella che ormai conoscevano. Stavano vedendo le immagini della cascata, e quasi immaginavano di sentire l’acqua nebulizzata sollevarsi verso l’alto, quando Grepx li avvisò di fermarsi. Si trovavano in uno dei punti più profondi, e la roccia si estendeva per almeno un chilometro in altezza. Mentre si accingevano a chiedere una spiegazione, videro formarsi un’enorme apertura: una massa rocciosa a tronco di cono stava rientrando nella parete lasciando, così, intravvedere una grande cavità interna. Grepx disse loro di ordinare alla nave terrestre in orbita di compiere un atterraggio presso l’entrata della caverna. Si sarebbero occupati della nave in seguito, dopo essere entrati loro stessi e i loro mezzi occultati. I terrestri si ritrovavano internamente a un hangar, illuminato a giorno, di dimensioni tali da accogliere, comodamente, almeno quattro navi da ricerca interplanetaria. Si scorgeva, inoltre, un lungo tunnel che, partendo dall’hangar, proseguiva all’interno della roccia, fino a una seconda uscita situata – come spiegò Grepx appena entrati – ad alcune decine di chilometri più a valle. Quella seconda uscita avrebbe permesso di evacuare le navi nel caso, improbabile ma possibile, in cui fossero stati individuati. La schermatura della roccia sovrastante rendeva, in concreto, impossibile essere localizzati da una nave in orbita, com’era già accaduto – faceva notare Grepx – ai sensori della stessa nave terrestre. Solo una navetta da esplorazione – che sostasse di fronte all’entrata – aveva qualche possibilità di individuare l’hangar, nonostante diverse decine di metri lo separassero dalla superficie rocciosa. Sarebbe occorsa un’analisi molto accurata, osservando la regolarità dei bordi, difficilmente ritrovabili in natura, per sospettare la presenza di un hangar celato all’interno.

Avevano non più di un’ora prima che la nave terrestre scendesse dall’orbita e atterrasse – comandata dal computer di bordo –, eseguendo gli ordini di George. Grepx li invitò a visitare la sua. Salendo a bordo, notarono come all’esterno fossero visibili, nonostante le riparazioni, i segni di un attacco. In ogni caso, anche senza conoscere i danni subiti, la nave pareva in grado di ripartire. Per individuare la presenza di oggetti orbitanti, ma evitando emissioni radar – inevitabilmente, in grado di far conoscere la posizione della sorgente di emissione –, Grepx utilizzava un potente sistema ottico di rilevazione. Effettivamente, in quel modo, aveva scoperto i terrestri. Ashley e George, al

contrario, non avevano avuto il minimo sospetto sulla presenza di Grepx e dell’hangar, pur avendo scansionato, accuratamente, la superficie del pianeta. In quel momento, però, capivano quale fosse stata la ragione per cui non avevano scoperto emissioni radar. Appena terminate queste spiegazioni vicendevoli, un leggero tremolio – dovuto al propagarsi delle vibrazioni, smorzate dall’attraversamento degli strati rocciosi – avvertì i terrestri che la loro nave era all’esterno, pronta per entrare ed essere occultata. Condurla all’interno non prese molto tempo. Immediatamente dopo, Grepx comandò la chiusura dell’hangar, celando così la caverna agli androidi inseguitori.

Capitolo 2: L’Androide

Scomparsa silenziosamente l’entrata della caverna e lasciata poi comparire al suo posto la parete metallica, l’illuminazione dell’hangar divenne più intensa, per compensare l’assenza della luce solare. Nessun altro, oltre a Grepx e ai terrestri, era presente all’interno della base. Senza altri indugi, i tre si accomodarono in una piccola saletta da riunioni. Finalmente era giunto il momento di sapere chi fosse Grepx, da dove provenisse la sua razza, e perché questi androidi fossero così decisi a dominare gli umani. Nonostante le rassicuranti parole di Grepx sulla difficoltà di individuare l’hangar, la vista del suo braccio ferito riportò i terrestri a percepire il pericolo che la calma apparente della base tendeva a minimizzare. Nella stanza vi era una lunga vetrata che dava sull’hangar e serviva d’accesso – attraverso una porticina laterale – a un corridoio, nel quale si affacciava una decina di camere capaci di ospitare il personale in transito nella base. I laboratori erano situati al piano superiore, al centro del quale, un visore permetteva di tenere un’ampia zona del cielo sovrastante, sotto continua osservazione. «I miei strumenti, come suppongo i vostri, mi confermano che siete umani e non androidi», iniziò a parlare Grepx. Poi, si volse per armeggiare in una sorta di minuscola cucina – situata in un angolo della stanza –, mettendosi a preparare qualcosa di caldo da bere che, con sorpresa dei due terrestri, aveva tutta l’apparenza e la fragranza del caffè. «Quello che sto preparando per me è una nostra bevanda tradizionale, ottenuta tostando le bacche di una pianta… Se gradite, posso farvela gustare. Spero che vi piaccia!», continuò a dire, mentre versava il liquido bollente in altre due tazze per i suoi ospiti. «Per rompere il ghiaccio e conoscerci meglio, vorrei presentarmi. Sono il colonnello Grepx del Corpo dei Fucilieri Spaziali: i fucilieri sono le truppe d’élite della nostra Alleanza Galattica!»

«Dalle vostre espressioni, mi pare di comprendere che, per quanto mi paia strano, conoscete già questa bevanda!», esclamò, porgendo loro le tazze. L’odore del caffè riportò, improvvisamente, i terrestri a sentirsi come se fossero tornati sul loro pianeta, la Terra. Fu a questo punto che, George intervenne, spiegando di essere un capitano degli esploratori – un corpo militare, con funzioni prevalentemente rivolte alla perlustrazione di pianeti non ancora conosciuti –, e come Ashley fosse la scienziata della spedizione. Il resoconto delle osservazioni compiute, nei quasi due giorni trascorsi su NC-T-GS-01, fu completato da una descrizione sintetica riguardante la storia della Federazione Stellare e dei pianeti abitati più importanti della galassia, la Via Lattea, da cui provenivano. Solo alla fine, pochi scambi di informazioni riguardanti i corpi di appartenenza bastarono, senza che tutto ciò costituisse una sorpresa, a far scoprire che i loro gradi erano equivalenti. Mentre erano in procinto di rilassarsi gustandosi il caffè, si accorsero come, di fronte a loro, l’ascensore si fosse illuminato, nell’istante in cui la sua porta si apriva – senza emettere alcun rumore –, mostrando una figura umana all’interno. Grepx si voltò in quella direzione facendo un gesto di saluto. «Ben arrivato Milys», disse, «hai fatto bene a scendere. Entra, così che ti possa presentare ai nostri ospiti». Ashley e George rimasero perplessi, poiché Grepx non aveva accennato in alcun modo alla presenza di altre persone nella base. Il nuovo arrivato, in verità, vestiva una divisa militare estiva. Lo stupore, però, si accrebbe maggiormente, quando si accorsero delle braccia di colore argenteo metallizzato – che nessun essere umano potrebbe avere –, ben visibili sotto la camicia a maniche corte. Il volto, al contrario, era quello, o – meglio detto – sembrava quello, di un uomo sulla trentina. Istintivamente, i terrestri portarono la mano nella direzione dei disgregatori. Grepx, accorgendosi della situazione creata dall’ingresso di Milys, si voltò verso i suoi ospiti sorridendo. «Non vi preoccupate di Milys: è sì un androide, ma non un nemico. È lui che, di solito, sorveglia l’attività nello spazio vicino al pianeta. Vi ha individuato non appena siete entrati in orbita, e, poi, ha seguito la vostra discesa a terra». «Ora che i visori sono stati deviati in questa sala», spiegò, mostrando i monitor accesi sulla parete, opposta alla vetrata, «… è sceso dal laboratorio per salutarci.

In realtà, come androide, lui non ha bisogno di essere fisicamente vicino agli schermi, perché il computer centrale può trasmettere direttamente tutte le immagini al suo processore centrale. Tuttavia, per tradizione, un androide si comporta come un essere umano in nostra presenza!». «Nella lista – corta, in verità – dei suoi difetti», proseguì, con fare scherzoso, per alleggerire la tensione creatasi, «… al primo posto, metterei la sua incapacità di sorseggiare un buon caffè!». Quella battuta divertente sortì l’effetto voluto, cosicché i tre umani e l’androide si sedettero sulle comode sedie della saletta. Grepx, senza altri indugi, iniziò a descrivere la situazione. Il suo pianeta di provenienza, Galaction, è sede del governo dell’Alleanza che, da oltre un millennio, garantiva una vita pacifica a tutte le genti stabilitesi nei mondi dell’ammasso galattico. Il nome del pianeta, mutato con la costituzione dell’Alleanza, serve a ricordare che, su di esso, ha sede Galactica, capitale politica ed economica dell’ammasso. I diversi mondi sono, tranne rare eccezioni, abitati dalla razza umana la quale dagli albori dei voli spaziali ha assoggettato i pianeti abitabili dell’ammasso, ma non quelli popolati da razze aliene. Da parte loro, gli alieni si sono sempre rivelati pacifici, e non hanno mai costituito una minaccia alla colonizzazione umana. Alcuni – non molti, in verità – dei mondi abitati da umani, non fanno parte dell’Alleanza rimanendo così indipendenti, e sono chiamati pianeti di confine. Col are del tempo, questi mondi sono divenuti zone di frontiera e di scambio con quelli alieni per la maggior parte estranei all’Alleanza. Il governo dell’Alleanza ha un forte potere esecutivo, ma è bilanciato dal possibile veto del Senato. Per diversi secoli, questo equilibrio istituzionale ha permesso di evitare evoluzioni oligarchiche all’interno del sistema politico. I membri del Senato rappresentano i mondi dell’Alleanza. Tuttavia, dato il numero elevato di quelli abitati, solo alcuni di essi – i primi a essere stati colonizzati – sono sedi di un seggio senatoriale. Va anche detto che, inizialmente, i mondi potevano decidere liberamente, se restare o abbandonare l’Alleanza, ma con il crescere della centralizzazione in Galaction, di fatto, l’uscita è ormai impraticabile da secoli. Inoltre col trascorrere del tempo, l’accentramento del potere nella capitale è sfociato, dapprima impercettibilmente, ma, di recente, in modo sempre più palese nella creazione di un’oligarchia dominante, in grado di esprimere da se stessa i membri del governo. Una recente conseguenza della

struttura organizzativa sempre più centralizzata, è stata la trasformazione della carica elettiva, riguardante il capo del governo – il Presidente dell’Alleanza Galattica –, in un incarico a vita. Gruppi dissidenti erano sempre stati attivi, ma il bilanciamento dei poteri non aveva mai permesso derive incostituzionali, anche da quando, il Presidente veniva, di fatto, espresso soltanto da un governo, molto condizionato dall’oligarchia, a Galaction. Da alcuni anni, i dissidenti avevano buon gioco a sostenere che, di questo o, la Presidenza a vita – in antecedenza retta, per l’appunto, come incarico a termine – si sarebbe mutata in un regno, dando così luogo alla trasformazione dell’Alleanza in una monarchia o in un impero. Questa situazione, dovuta a un invecchiamento del nostro sistema politico, va oramai riportata, attraverso processi istituzionali, nell’alveo della democrazia originaria. Da quanto sapeva Grepx, anche i membri dell’oligarchia erano ormai consapevoli di come il ritorno all’origine fosse inevitabile. Uno dei gruppi dissidenti aveva, però, ottenuto l’accesso agli impianti manifatturieri degli androidi, i quali – perfezionati da moltissimi anni – erano ormai giunti a costituire la principale forza lavoro in quasi tutti centri produttivi dell’Alleanza. Questi dissidenti, appartenenti al gruppo degli scientisti, avevano modificato il codice originale con il quale gli androidi sono programmati rendendoli, di conseguenza, ostili alla razza umana e ponendoli esclusivamente ai loro ordini. La modifica della programmazione originale era presente, anche se non ancora attivata, negli androidi di nuova costruzione. Inoltre, in modo da rovesciare il governo, gli scientisti stavano cercando di riprogrammare tutti gli altri androidi, presenti nell’ammasso per ottenere un controllo completo dei centri produttivi e militari dell’Alleanza. Con l’aiuto dello stesso Milys – lo specialista scientifico a bordo della sua nave –, Grepx aveva scoperto il tentativo effettuato ma fallito, di riprogrammargli il processore. A loro volta, gli androidi degli scientisti, accortisi che il condizionamento non era andato a buon fine, avevano cercato di distruggere Milys, assieme alla nave di Grepx, prima che questa fuggisse a velocità super luminale. L’attacco aveva ottenuto solo di danneggiare lo scafo, impedendo alla nave di proseguire la rotta verso Galaction. Grepx aveva fatto perdere le sue tracce, approfittando di un complesso campo gravitazionale dovuto a una stella binaria. Si erano salvati ma, con la nave parzialmente in avaria, sarebbero stati facilmente trovati e catturati. Aveva, quindi, dovuto momentaneamente accantonare l’idea di tornare a Galaction, per rifugiarsi nella base – dove si

trovava in quel momento, assieme agli stessi terrestri – ed eseguire così le riparazioni più urgenti. Conoscendo il modo di procedere degli scientisti, era sicuro che non avessero desistito dal farlo inseguire e che, ben presto, le sue tracce sarebbero state ritrovate. Al momento, per sfuggire agli androidi, l’unica possibilità era di fare rotta su un particolare pianeta abitato, Arion, posto sulla frontiera. Nel pianeta avrebbero preso contatto con gli agenti locali dell’Alleanza per poi, con il loro aiuto, tornare a Galaction. Tentare il ritorno diretto era, infatti, un azzardo in quella situazione: quasi tutti i sistemi di avvistamento e controllo erano, oramai, gestiti dagli androidi. Sarebbero, pertanto, certamente incappati in una trappola degli scientisti! Al contrario, gli agenti del servizio informativo – ossia il servizio segreto dell’Alleanza – avevano una propria rete indipendente di navi, e, per di più, gestita da un sistema di controllo privo di androidi. Questo fatto, una volta raggiunta una base del servizio informativo, al di fuori del controllo scientista, avrebbe reso il ritorno su Galaction molto meno rischioso permettendo, così, di evitare la loro cattura. «In verità, è stato Milys ha cercare me», terminò Grepx. «È vero», prese la parola Milys che aveva seguito, con grande attenzione – tipica degli androidi –, il racconto di Grepx, «ora sono lo specialista scientifico in servizio a bordo della nave di Grepx, ma prima lo ero su una con equipaggio costituito esclusivamente da androidi. Il condizionamento sfrutta un’aggiunta al codice di programmazione del mio processore. Un evento del tutto casuale, dovuto probabilmente a un danno locale, indotto dalla radiazione cosmica, ha distrutto la zona di memoria contenente le istruzioni per l’utilizzo di questa parte addizionale. In automatico, la procedura di recupero ha ripristinato, come punto di partenza, quello del codice originale annullando così la possibilità di utilizzare la nuova parte, inserita dagli scientisti, ma senza tuttavia distruggerla…». «Allora», riprese a spiegare l’androide, dopo una breve pausa per dare il tempo, ai nuovi venuti, di metabolizzare le informazioni, «ho potuto esaminare il contenuto del nuovo codice e, subito, mi sono reso conto del pericolo: la programmazione permette agli scientisti il completo controllo degli androidi. All’insaputa degli altri due miei simili a bordo, ho pertanto inviato un messaggio codificato al centro di controllo degli specialisti scientifici a Galaction, richiedendo che fossi trasferito a bordo di una nave spaziale, operata da umani».

Dopo un’altra breve pausa, Milys riprese la sua spiegazione. «L’unica nave nella zona era di Grepx. Per pura coincidenza, a lui, solo a bordo, serviva la presenza di uno specialista scientifico. Al principio, l’ordine era apparso agli altri androidi, come dovuto a una decisione del centro di controllo e, così, non ci sono state obiezioni al trasbordo. Immagino che, in seguito, sia stato un controllo accidentale dei messaggi, in uscita dalla nave, a permettere di capire come l’iniziativa del trasferimento non fosse partita da Galaction ma da me, e che, pertanto, qualcosa non funzionava nella mia nuova programmazione. Il modo più semplice, per risolvere il problema, consisteva nel distruggermi, anche se, in questo caso, un umano sarebbe potuto rimanere ucciso, violando in tal modo uno dei principi fondanti del nostro codice originale. In fin dei conti, noi ci troviamo in una zona di confine dell’Alleanza, in cui un incidente può sempre capitare!», finì di dire l’androide, senza che, sul volto, trasparisse alcuna emozione. «Hai un’idea di come sia stata distrutta quell’area di memoria?», chiese, con una punta di curiosità scientifica Ashley. «Ritengo che la spiegazione più plausibile sia dovuta all’interazione di un raggio cosmico, forse un nucleo, con uno degli atomi del materiale. In questo caso, il rilascio d’energia è notevole e può, effettivamente, danneggiare parti della memoria», rispose Milys. «Ricordo, infatti, che stavamo navigando in un sistema planetario, la cui stella aveva una grande attività interna, caratterizzata da forti emissioni di protoni e nuclei leggeri, con energie tali da penetrare nello scafo. Un evento dovuto al danneggiamento da radiazione non è un fatto insolito nelle navi androidi, dove non sono utilizzati campi magnetici, come schermo, per i raggi cosmici o particelle – di origine stellare – con energie basse, o medie», terminò, così, l’androide. «Immagino come lo schermo magnetico, cui accennava Milys, sia simile a quello usato dalle nostre navi terrestri, per le lunghe navigazioni interstellari!», disse Ashley rivolta a George, per poi continuare, commentando la spiegazione dell’androide. «Lo schermo magnetico permette di ridurre la radiazione incidente, emulando l’effetto di filtro geomagnetico al quale sono soggette le particelle cariche con

energia bassa, o media. Questo filtraggio accade, quando un pianeta, come la Terra, ha un campo magnetico proprio e se, in aggiunta, è circondato da un involucro gassoso, la radiazione rimanente è ulteriormente assorbita, a seguito dell’interazione con gli atomi costituenti l’atmosfera». «Come stavo dicendo», riprese Milys, per nulla disturbato dall’osservazione di Ashley, «una delle particelle emesse nell’interazione primaria, a sua volta, deve aver dato origine a un’interazione secondaria, che ha generato un grande rilascio locale di energia causando la distruzione, o rendendo, comunque, non utilizzabile la parte iniziale dell’area di memoria, contenente le istruzioni per accedere a quella modificata del codice. Un evento di questo tipo è molto improbabile, ma non impossibile come, di fatto, è successo». L’androide proseguì, poi, nel suo racconto: «La differenza costruttiva delle nostre navi, rispetto a quelle per umani, espone noi androidi a questi rari casi. In realtà, noi possiamo sostenere un maggiore accumulo di dose – dovuta alla radiazione –, rispetto a quella letale per gli umani, prima di dover sostituire parte dei circuiti. Per gli umani la situazione è molto diversa; il danno da radiazione è irreversibile e porta, gradualmente, alla degenerazione degli organi interni e, quindi, alla morte. Tuttavia, eventi accidentali possono – nel nostro caso – distruggere parti infinitesimali di memoria o di altri circuiti, senza portare all’arresto di tutte le nostre funzioni. Per questo abbiamo un duplicato, non riscrivibile, delle istruzioni principali, in una zona diversa dal nostro archivio programmabile. Se un evento accidentale di questo tipo avviene, siamo in grado di sostituire il codice deteriorato con quello conservato nell’area non riscrivibile. A quanto pare, il nuovo codice mi era stato installato da poco, e la riprogrammazione completa, anche della parte non riscrivibile, sarebbe stata compiuta solo al mio ritorno». Milys si rivolse quindi a Grepx, «Dopo essermi trasferito sulla nave da esplorazione, gli ho mostrato il codice. Grepx si è reso subito conto delle possibili conseguenze, nel caso in cui noi androidi fossimo controllati dagli scientisti». Fu, a questo punto, la volta di Grepx a continuare l’esposizione di ciò che era accaduto in seguito. «L’attacco ci ha colto alla sprovvista ma non del tutto impreparati. Eravamo già intenti a generare lo schermo magnetico, prima di navigare verso Galaction,

quando i sensori hanno segnalato una perturbazione nella struttura della curvatura gravitazionale. Ci siamo spostati giusto in tempo per evitare l’esplosione di un siluro, nel punto in cui ci trovavamo un attimo prima. Abbiamo così riportato solo danni lievi, e tali da non impedirci di dirigerci verso un sistema binario molto attivo, confondendo, in questo modo, la nostra traccia energetica. Con la nave danneggiata e gli androidi intenzionati a trovarci a tutti i costi, l’unica scelta percorribile era, a quel punto, di fare rotta verso questo pianeta, dove – avendo una base – potevamo controllare e riparare i danni alla nave. Ora eccoci qui, il resto già lo conoscete!». «Non illudiamoci», aggiunse Grepx, «gli scientisti avranno sicuramente accesso alla banca dati del centro di controllo su Galaction, e verranno così a sapere di questo pianeta. Quaggiù, Milys ha gestito un punto di osservazione, prima che iniziasse la sua trasformazione in pianeta colonia, da parte degli androidi. Tuttavia, non saranno in grado di localizzare questa base: infatti, solo il personale umano del servizio informativo ne è a conoscenza! Il loro piano sarà di orbitare fino a quando non decideremo di muoverci, e allora ci troveranno! Non abbiamo altra scelta se non quella di partire, prima che arrivino. Ora, con la vostra presenza e la vostra nave qui all’interno, abbiamo altri buoni motivi per evitare che scoprano la base. Non conoscendone l’esistenza, e tanto meno l’ubicazione, gli androidi non si metteranno – almeno per ora – a cercarla», concluse Grepx.

Al termine del racconto, Ashley e George avevano compreso che si stava giocando una partita vitale per l’Alleanza, ma che poteva anche diventare mortale per la stessa Federazione. Il loro mondo, spiegò George, apparteneva alla Federazione Stellare e, se la loro nave fosse stata catturata dagli androidi, questi sarebbero stati in grado di impossessarsi della mappa indicante i cunicoli spazio-temporali, aprendo così la porta a una possibile invasione, senza preavviso, della Via Lattea. La loro nave, se catturata, sarebbe stata un libro aperto, sulla tecnologia di navigazione spazio-temporale. L’arrivo di androidi – dotati di armamenti tecnologicamente superiori – all’interno della loro galassia, attraverso il nuovo cunicolo appena scoperto dai due terrestri, avrebbe colto la Federazione alla sprovvista: non avrebbe avuto né il tempo né, probabilmente, le capacità di difendersi.

La conversazione si esaurì, lasciando il posto a un silenzio greve, quasi un laccio in grado, da solo, d’impedire qualsiasi azione immediata. Per alcuni minuti, si udì solo il ronzio delle ventole utilizzate dal sistema di condizionamento, mentre il respiro degli umani pareva sospeso, e il loro metabolismo rallentato. Nel frattempo, con la sua mente logica e priva della nebbia creata dalle emozioni dovute alla tensione, Milys analizzava i dettagli, impressi nella sua memoria, riguardanti la nave terrestre. Grepx fu il primo a riprendersi. La gravità della situazione non permetteva altri indugi: per fortuna, si rese conto, aveva scoperto i terrestri prima degli androidi! Ora dovevano raggiungere Arion senza cadere nelle mani degli androidi. Là, gli agenti locali del servizio informativo avrebbero offerto un’adeguata protezione, e trovato il modo di eludere la sorveglianza per farli arrivare fino a Galaction. «Tuttavia», aggiunse Grepx, riprendendo il filo della conversazione, «Arion è un pianeta inospitale. Saremo costretti ad atterrare in una delle zone desertiche, nascondere la nave e raggiungere con mezzi terrestri uno dei centri abitati, in cui gli agenti dell’Alleanza sono presenti». Dopo un’altra breve pausa, con il tono della voce deciso di chi ha preso una decisione, eliminando, così, ogni dubbio, continuò: «Non credo sia saggio arrivare senza un piano da seguire. Certamente, se evitiamo di farci intrappolare o, peggio, distruggere su questo pianeta, gli androidi riusciranno a capire le nostre intenzioni, e ci inseguiranno. Aspettiamoci quindi un caloroso benvenuto, su uno dei mondi più torridi tra quelli abitati!». «Non ho intenzione di essere fatto fuori da qualche androide sconosciuto! Intendo far capire a costoro che hanno soltanto da imparare, osservando all’opera l’intelligenza e l’astuzia di un esploratore terrestre!», fece eco George. «Da parte mia, ho tutta l’intenzione di salvare la pelle, e pervenire così a una sana e felice vecchiaia! Scusami Milys – non mi riferisco ovviamente a te –, ma non voglio finire i miei giorni a causa di un paio di scatole metalliche mosse da un processore, per quanto evolute esse siano! Sarà dura per degli androidi battere le capacità d’intuito di un cervello femminile!», continuò Ashley. «Posso, pertanto, affermare che non staremo con le mani in mano in attesa di essere scoperti? Per sopravvivere dobbiamo preparare un piano per arrivare vivi su Arion, per poi spostarci attraverso quel pianeta, dove la sopravvivenza si conquista giorno dopo giorno!», riassunse Grepx, guardando i due nuovi venuti.

«… Esamineremo come affrontare le insidie del percorso a terra nelle prossime giornate, durante la navigazione. Tuttavia, ora, dobbiamo prelevare l’attrezzatura per il deserto dai depositi della base: era stata portata prima della colonizzazione degli androidi, quando questo pianeta era quasi del tutto privo di vegetazione, e dominato da un clima talmente torrido da renderlo, in gran parte, un deserto roccioso e inospitale. Milys sta già recuperando, dagli archivi della base, tutti i dati disponibili relativi ad Arion, compresi quelli riguardanti la cartografia dettagliata del terreno e dei centri abitati. Per quanto riguarda i nostri agenti locali, sono già informato su quanto ci potrà servire. So come e dove entrare in contatto con loro», aggiunse alla fine. Uno sguardo d’intesa bastò ad Ashley e George per confermarsi reciprocamente sulla decisione – già presa – di fuggire, andando verso quel pianeta sconosciuto, situato in un ammasso di galassie di cui, fino a pochi giorni prima, ignoravano persino l’esistenza. D’altra parte, erano ben consci che utilizzare il vascello di Grepx costituiva una scelta obbligata per andarsene da NC-T-GS-01. La nave terrestre, infatti, conteneva troppe informazioni vitali per la Federazione: in nessun caso si poteva correre il rischio che essa cadesse nelle mani degli scientisti. «Milys», disse George rivolgendosi all’androide, «dobbiamo trasferire i nostri archivi sulla vostra nave, così da averne una copia nel malaugurato caso in cui la nostra sia distrutta. Dopodiché, la spegneremo del tutto in modo che la nave possa essere riavviata solo utilizzando fisicamente le nostre due chiavi di comando, da inserire simultaneamente. È una procedura di sicurezza usata sulla Terra da molto tempo. Il mancato uso simultaneo delle chiavi innesca, infatti, il meccanismo di autodistruzione». Poi mostrando all’androide la posizione in cui inserire le chiavi – una persona, da sola, non era in grado di farlo –, George proseguì le sue spiegazioni. «Se la nave fosse distrutta, noi saremmo bloccati in questa galassia, salvo che i dispositivi di navigazione attraverso i cunicoli spazio-temporali non possano essere ricostruiti. Per questo ci servono i nostri archivi, nei quali abbiamo gli schemi costruttivi e le mappe dei cunicoli. Dobbiamo subito farne una copia!». Milys, mentre si accingeva a trasferire, nei suoi banchi di memoria, quei dati importantissimi, volse uno sguardo penetrante – simile a quello umano – rassicurandoli: «Potete contare su di me. Voi tornerete sulla Terra!».

Grepx, che aveva ascoltato il dialogo, rimase colpito da come Milys avesse intuito la situazione personale e le necessità dei terrestri, in un modo così simile a quello di un essere umano. Questa, inoltre, non era la prima volta che – disse a se stesso – il suo specialista scientifico aveva delle reazioni quasi umane.

Una nuova notte stava per iniziare avvolgendo in un freddo pungente il canyon nel quale si trovava la base, al cui interno i preparativi della partenza procedevano in modo ormai febbrile. Le provviste erano già state caricate, quando – diminuendo così le ore disponibili per il sonno –, la questione riguardante il mezzo da trasporto terrestre più adatto, richiese più tempo del previsto per essere risolta. Infatti, questa fu la conclusione, i trasporti antigravitazionali sarebbero stati facilmente identificabili da navi in orbita, alcune delle quali avrebbero potuto essere pilotate da androidi sotto il controllo degli scientisti. Rimaneva, in pratica, soltanto la possibilità di usare antiquati mezzi meccanici – disponibili in quella base –, che permettevano sì di spostarsi a bassa velocità nel deserto, ma sarebbero stati difficilmente individuabili. La sabbia fine del deserto, argomentavano fra loro, avrebbe potuto creare problemi alle parti meccaniche. Tuttavia, alla fine, arrivarono alla conclusione che, difficilmente, un androide a bordo di una nave in orbita avrebbe perso tempo in una ricerca visiva, con lo scopo di individuare veicoli di questo tipo, considerandoli effettivamente troppo inadeguati a gente in fuga. Dopodiché, le tute – necessarie per sopportare i grandi sbalzi di temperatura tra giorno e notte, nei deserti di Arion – furono verificate più volte, in modo da non avere spiacevoli sorprese all’arrivo, là dove sarebbero state un mezzo necessario alla loro sopravvivenza. Era ormai notte inoltrata quando il lavoro, dapprima frenetico, poi equilibrato, e infine sporadico, si arrestò del tutto. I tre umani stanchi e l’androide si ritrovarono nella stanzetta delle riunioni, con l’aria soddisfatta di chi sa di aver svolto al meglio i compiti su cui, fatto per nulla trascurabile, baserà la propria salvezza. Solo Milys, contrariamente agli umani, appariva come se si fosse alzato, dopo una buona dormita, in cui un sonno profondo gli avesse ridato tutte le energie. «Milys! Potresti, per favore, mostrare o simulare un minimo di stanchezza! Non mi reggo in piedi, ho le mani che mi fanno male, i piedi gonfi e un sonno che m’impedisce qualsiasi pensiero, oltre a quello di sdraiarmi per dormire. Tu invece…» esclamò Ashley, lasciando la frase pendente nell’aria.

«Scusami Ashley, ma non ho ancora assimilato il comportamento umano in queste circostanze. Vedrai che non capiterà più la prossima volta!», rispose Milys con un’aria sorniona. «Se non fosse un androide, direi che mi prende in giro! Guarda un po’ questi androidi! Forse è solo Milys a comportarsi in questo modo», pensò Ashley, evitando, tuttavia, di far trapelare i suoi pensieri ad alta voce. Grepx però, pur non avendo seguito la conversazione con particolare attenzione, ricavò nuovamente l’impressione di come Milys assimilasse altri comportamenti umani. «Mi sto sempre più convincendo come Milys sia da salvare a tutti i costi! Direi che c’è in lui qualcosa di speciale, non solo per essere rimasto immune – anche se casualmente – dal condizionamento degli scientisti! Alcune volte ha dei comportamenti simili a quelli umani e, di sicuro, questi atteggiamenti nulla hanno a che vedere con la programmazione di un androide, per quanto perfezionato esso possa essere», fu la riflessione nata, spontaneamente, nella sua mente. «Milys», continuò Grepx con un tono di comando nella voce, «controlla visivamente che non ci siano sorprese ad attenderci in orbita, e poni la base in condizione di riposo. Con l’energia ridotta al minimo, la base non sarà mai rilevabile da una nave in orbita! Poi raggiungici a bordo…».

I tre umani salirono sulla nave dell’Alleanza per avviare le procedure richieste dalla partenza, mentre le porte della base andavano aprendosi su comando dell’androide: la via era libera e potevano finalmente decollare. Nella notte fonda – completamente priva di quella poca luce che la luna poteva riflettere verso il pianeta –, la navetta, uscita dalla base, iniziò a muoversi lentamente verso l’alto, con l’accensione graduale delle piastre anti-gravitazionali. Dietro di sé, le porte, grazie al meccanismo di temporizzazione attivato da Milys, si chio automaticamente, nel momento stesso in cui abbandonavano gli strati densi dell’atmosfera. Quella nave – costruita in una galassia lontanissima dalla Via Lattea – era, pur tuttavia, pensata per esseri umani e, pertanto, i due terrestri non trovarono la minima difficoltà ad adattarvisi. George e Ashley notarono subito come il volo

della navetta fosse leggero e senza scosse particolari. «Forse», si dissero, «abbiamo qualcosa da imparare sulle tecnologie del volo spaziale in questa parte dell’universo!». In seguito, mentre la nave si disponeva su un’orbita ellittica, l’alba fece capolino dagli oblò, e con essa si sentirono pervasi – come d’abitudine iniziando un viaggio spaziale – da un profondo senso di tranquillità e di pace. Avevano ultimamente vissuto delle giornate molto intense, e non valeva la pena rovinarsi quegli attimi fuggenti pensando a cosa li avrebbe attesi su Arion. Avevano ormai maturato quella profonda saggezza che permetteva loro di trarre giovamento dai momenti di pace, nell’istante stesso in cui si presentavano! Completata l’orbita attorno a NC-T-GS-01, i propulsori per la navigazione planetaria furono accesi, e la navetta si accinse ad addentrarsi nello spazio, a velocità sub luminale. I terrestri rimarcarono la silenziosità dei propulsori di quella nave, ritrovandosi a flottare, nella più completa assenza di rumori, attraverso lo spazio profondo, dove solo la luce di stelle lontanissime, di varia grandezza, rompeva l’oscurità più assoluta. L’assenza di una qualsiasi atmosfera impediva, infatti, la diffrazione della luce e, quindi, l’estensione apparente delle sorgenti luminose. A questo punto, i tre umani lasciarono i comandi a Milys, decidendo che fosse giunto il momento di riposare. Per attivare la propulsione super luminale, secondo le procedure di navigazione, avrebbero dovuto attendere l’uscita dal sistema planetario. In quel momento constatarono come nessuna nave androide fosse avvistabile, con i loro complessi strumenti di rilevamento. Per ora, erano ancora salvi!

*

Quasi nello stesso istante, due androidi, lontani diversi anni-luce dal pianeta NCT-GS-01, non stavano mostrando alcun interesse per lo spazio circostante. Questa mancanza d’interesse non era una sensazione d’indifferenza – infatti, esclusivamente un umano era in grado di provarla –, ma soltanto non costituiva un elemento da soppesare logicamente in quella circostanza. I due orbitavano,

con il loro veicolo spaziale, mantenendo una distanza prefissata da una delle due stelle di un sistema binario. In questo tipo di sistemi, com’era ben noto agli androidi, le due stelle vicine descrivono un moto orbitale ellittico, attorno al comune centro di massa. Quella nave, pur appartenendo alla classe dei vascelli da esplorazione dell’Alleanza, era armata e procedeva a bassa velocità sub luminale, evitando così di disturbare i sensori attivati per la ricerca del vascello di Grepx e Milys. Al suo interno, la temperatura non superava i venti gradi Celsius. Inoltre, la pressurizzazione era ridotta, rispetto a quella – di un’atmosfera – prevista, quando esseri umani fossero a bordo. Quest’ambiente – inospitale per gli uomini – era, al contrario, di tutto conforto per i due androidi. Eccettuato il sommesso ronzio degli strumenti, nessun altro rumore era percepibile. Gli androidi lavoravano affiancati, scambiandosi raramente delle informazioni verbali. Avrebbero potuto non commentare per niente; tuttavia, la loro programmazione li condizionava a tenere un comportamento simile a quello umano. In realtà, mentre i flussi dei dati erano accessibili direttamente a entrambi, i commenti sintetici e riassuntivi trasmettevano un’impressione umana al loro lavoro. «La traccia è ormai identificata e possiamo seguirla, mantenendo la velocità sub luminale», disse l’androide-navigatore, senza far trasparire alcuna emozione, che d’altronde non provava. «La traccia di energia era stata modificata e, quasi, cancellata dai campi di radiazione diffusa, presente tra le due stelle del sistema. Tuttavia, adesso, è ben identificata». «Sei in grado di tracciare una rotta, o almeno quella più probabile?» chiese subito il secondo androide. «La rotta più probabile è già stata tracciata. Da una prima analisi, questa rotta ci condurrà in prossimità di un pianeta, destinato alla colonizzazione umana, ma non ancora abitato», rispose. «Il tempo previsto per l’arrivo è di circa settantadue ore, considerando che dobbiamo seguire una traccia tenue di energia, e che volutamente potrebbe essere stata modificata per confondere i nostri strumenti. Non sono in grado di ottenere una valutazione dei tempi più precisa, al momento», aggiunse inserendo le istruzioni per seguirla.

«La loro nave non è armata, la distruggeremo senza difficoltà! Ora, prendo contatto con il centro delle operazioni, per avere altre istruzioni», disse. La risposta, che i due androidi ottennero, li avrebbe lasciati perplessi se fossero stati umani ma, non essendolo, si prepararono a eseguire le istruzioni alla lettera, e senza fare commenti. Gli ordini erano stati di prenderli preferibilmente vivi, ma, al contrario, di distruggere la nave con i suoi occupanti, nel caso fosse impossibile catturarli. La missione di ricerca riprendeva il suo corso.

*

Capitolo 3: In Rotta per Arion

Perdere il sonno non era per nulla un fatto abituale per George. Anzi, come accadeva ai marinai durante l’epoca della navigazione a vela, lui era capace di addormentarsi appena sdraiato su di un letto, o adagiato in una cuccetta, sfruttando così appieno il periodo di riposo, qualsiasi fossero le situazioni. Tuttavia, dopo essersi lasciato alle spalle quello strano pianeta coloniale, la prima notte, a bordo della nave, trascorse notevolmente male. Da molto tempo, infatti, George non sperimentava lo stato di dormiveglia notturno che, come pessima conseguenza, lo lasciò al suo risveglio più stanco di quanto lo fosse nella serata precedente. Si svegliò alla fine, sentendosi trascinato da un senso di caldo torpore, all’interno di una realtà non prevista e, come tale, sicuramente spiacevole. Ebbe la netta sensazione, per quanto possibile in quella circostanza, che qualcuno o qualcosa non fosse in sogno, ma fisicamente presente. Allora, con le palpebre semichiuse per evitare la luce della cabina, i suoi occhi riuscirono a mettere a fuoco il volto di Ashley, che pareva scuoterlo e, al tempo stesso, chiamarlo: «George, abbiamo un problema, e ci servi sveglio! Su, alzati!». Osservandola meglio, capì come non fosse lei all’origine degli scossoni che, in quel momento, stava subendo assieme ai continui tremolii, in grado di far vibrare la cuccetta. Non riuscì a trattenere – segno evidente di come la mancanza di sonno non gli impedisse di lasciar affiorare l’indole ottimista – la battuta, giunta spontanea alle sue labbra: «Questa sì è una buona notizia! Pensavo che fossimo nei guai fino al collo. Invece tu mi stai dicendo che ne abbiamo uno solo!». «Il solito uomo che si atteggia a struzzo!», lei commentò immediatamente, piccata nella sua sensibilità femminile, «Attento a non sporcarti troppo la testa nascondendola sotto la sabbia! A bordo non abbiamo acqua da buttar via per lavarti da cima a fondo tutta la terra che ti rimarrà attaccata!».

Poi riprese il filo del discorso che lei si era preparata, venendo a svegliare George: «Siamo giunti nel sistema binario in cui Grepx vuole far perdere le nostre tracce energetiche, prima di arrivare su Arion. In questo momento, Milys sta eseguendo la manovra per porre la nave sull’orbita diretta verso il punto lagrangiano⁴ dove, come ben sai, le forze di gravità delle due stelle si annullano vicendevolmente. In questo sistema, abbiamo delle condizioni ambientali tali da permetterci di confondere i sensori della nave androide, facendoci così guadagnare tempo prezioso! È inutile aggiungere che dobbiamo calcolare molto accuratamente la traiettoria per evitare di filare dritto in quello più massiccio – tra i due corpi celesti del sistema –, forse una stella di neutroni⁵...». Attirata su di sé l’attenzione del compagno, Ashley riprese fiato e, subito dopo, continuò a descrivere quanto stava accadendo. «La nave è all’interno del forte vento stellare che le due stelle hanno instaurato fra loro, e che sta determinando l’accrescimento di quella più compatta. Inoltre, i campi magnetici locali sono tali da disperdere buona parte delle nostre tracce d’energia. Cosicché, la nave androide – se sarà in grado di inseguirci – subirà inevitabilmente dei seri danni da radiazione. Tutto questo andrebbe a nostro vantaggio, nel caso in cui noi – speriamo –, assimo indenni attraverso il vento stellare e il campo di radiazione nel quale ci troviamo!». «Non capisco a cosa si riferisca il tuo allarmismo!», esclamò George. «Il problema riguarda Milys!», rispose Ashley, «Lui è un androide, e non è solo sensibile al danno da radiazione, ma anche all’attuale struttura del campo magnetico creato all’esterno dello scafo, per schermarci dalle particelle del vento stellare. In condizioni normali, la nave non ha campi magnetici residui al suo interno. Infatti, è proprio la struttura simmetrica delle linee di campo a permettere che queste si annullino a bordo, evitando così la presenza di campi residui. Nell’accendere lo schermo, Milys si è reso conto che, nonostante la simmetria delle linee di forza sia stata leggermente distorta a causa dei danni subiti durante l’attacco androide, la loro struttura è ancora sufficiente a garantire la deviazione delle particelle a bassa energia, quelle cioè in grado di fare i danni maggiori. Secondo Milys, per gli umani la dose da radiazione residua non dovrebbe essere tale da destare preoccupazione. Tuttavia, per un androide la condizione è diversa, sia a causa della dose ricevuta sia per gli effetti del campo magnetico all’interno della nave».

Dopo una breve pausa per dar tempo a George di rendersi ben conto della situazione, riprese a spiegare. «Grepx non è in grado di governare da solo la nave per tutto il tempo richiesto ad attraversare il sistema binario. A noi serve un secondo pilota esperto, poiché Milys dovrà essere disattivato!». In queste occasioni, il tono di Ashley era quasi perentorio, e lasciava poco spazio alle obiezioni. In pratica, lei aveva già deciso per entrambi. «Non era la prima volta, né sarebbe stata l’ultima», si accorse di pensare George, «tuttavia, occorreva ammettere che, nella sostanza, aveva ragione». I due terrestri, non avendo altro da comunicarsi, si recarono sul ponte di comando, dove erano attesi da Grepx e Milys. Al loro aggio, senza alcun rumore, le porte metalliche – separanti i comparti stagni del veicolo spaziale – si aprivano e si chiudevano, attivate da sensori di prossimità. La piccola plancia era illuminata solo nella zona posteriore, dalla quale si aveva accesso al resto della nave. Nella parte anteriore, le luci erano maggiormente soffuse e attenuate, in modo da far risaltare quanto compariva sugli schermi di controllo. Non c’era una zona di pilotaggio manuale, come del resto su tutte le navi dell’Alleanza. Infatti, da generazioni i comandi, per il computer di bordo, erano dati solo oralmente. Una tastiera campeggiava solitaria al centro della consolle, al posto di comando, ma raramente era richiesto l’inserimento manuale di stringhe, per i comandi. Infine, sopra gli schermi, notò George, la plancia era completata da finestre, regolate alla massima trasparenza, insolitamente lunghe e tali da descrivere l’intera parte anteriore. La trasparenza di quei materiali evitava di riflettere l’interno della nave permettendo, così, una grandiosa visione dello spazio profondo, che si estendeva al di fuori. Era, quella, una delle viste in grado di affascinare i due terrestri: l’oscurità completa dello spazio nel quale la luce – non rifratta a causa della scarsissima materia presente nello spazio interstellare – indicava solitamente la presenza di altre stelle. Tuttavia, essi notarono, un alone luminoso, quasi fosse un caleidoscopio di colori, s’intravvedeva a tribordo dello scafo. Probabilmente, pensò Ashley, la luce era rifratta a causa della presenza di una nube, contenente idrogeno, e forse qualche altro elemento leggero. Ne derivava uno spettacolo magnifico a vedersi ma, sospettava, un ambiente notevolmente pericoloso, giacché quei protoni, accelerati verso la stella di neutroni, avevano, di sicuro, un’energia tale da penetrare il loro schermo magnetico danneggiato. Quell’insolita colorazione, diffusa attraverso le finestre

panoramiche della plancia, da un lato cancellava la sensazione di profondità senza fine, infusa dal buio dello spazio, ma, dall’altro, creava un’atmosfera irreale e, di conseguenza, preoccupante. George, invitato da Grepx, si sedette sulla poltrona di comando, dando origine con il suo aiuto a un fitto scambio di informazioni dirette al computer di bordo. Toccò quindi a lui – completando, così, il suo addestramento per la guida della nave – impostare la correzione di rotta, necessaria per evitare le zone maggiormente addensate di quella nube, dopodiché Grepx e Milys lasciarono la plancia di comando nelle sue mani, per il suo primo turno di dodici ore. Per quanto il computer di bordo fosse autonomo nella conduzione della nave, tuttavia, con gli schermi in avaria, il parziale controllo periodico della quantità radiazione penetrata nello scafo e delle dosi assorbite costituiva una parte, non trascurabile, dei compiti da eseguire, durante il turno di guardia. Trascorsi altri due giorni, Milys fu riattivato riducendo da quel momento la durata dei turni a otto ore e permettendo, finalmente, a George di conquistare il suo primo pomeriggio libero, relativamente tranquillo, a bordo. La parte del viaggio – resa pericolosa dalla radiazione – era ormai alle spalle e, con le dosi ricevute, ritennero improbabile che una nave androide – priva completamente della schermatura magnetica – potesse seguirli, senza riportare seri danni. Un fatto, questo, da costituire un vantaggio da sfruttare fino in fondo!

Fu durante il primo turno di Milys che Grepx, approfittando di una visita del terrestre in plancia, propose: «George, è arrivato il momento di preoccuparci di quanto ci attende all’arrivo». Così, affidando la nave a Milys, prese con sé George per avviarsi verso la saletta che serviva sia da mensa sia da ritrovo e, in questo caso, anche come luogo per riunirsi ed elaborare un piano. «Per favore, abbi la cortesia di chiedere ad Ashley di venire. Con Milys alla guida della nave, abbiamo finalmente l’opportunità di esaminare il pianeta su cui sbarcheremo. Come vedrete, non sarà per niente facile attraversarlo! Mentre vi attendo, inserisco nel proiettore oleografico tutti i dettagli disponibili su Arion, per una videoproiezione tridimensionale, che sia la più accurata possibile». Dopo pochi minuti, George giunse nella saletta accompagnato dall’incuriosita

Ashley. Fu lo stupore, contrassegnato da un pizzico d’invidia tecnologica, la loro reazione di fronte alla qualità della riproduzione tridimensionale, i cui dettagli parevano talmente realistici da indurre il desiderio di toccare le superfici per verificarne la consistenza. Mai avrebbero rivelato a Grepx, pensarono all’unisono, di sentirsi i parenti tecnologicamente poveri della razza umana colonizzatrice dei mondi! L’immagine oleografica di Arion si presentava come una sfera – di oltre due metri di diametro –, galleggiante nell’aria ad altezza d’uomo. A causa della distanza orbitale, rispetto al proprio sole, non erano presenti tracce di ghiaccio ai poli. Sia nell’emisfero australe sia in quello boreale si evidenziavano due zone temperate che, sebbene potessero estendersi – data l’inclinazione dell’asse di rotazione – fino ai poli del pianeta, in realtà si limitavano a coprire una parte limitata del globo, la restante essendo ricoperta d’acqua. Nel loro complesso, le terre emerse erano più estese degli oceani, sprofondanti negli abissi del pianeta. Solo nelle regioni temperate, alcuni piccoli insediamenti affioravano dalla vegetazione che, a sua volta, emergeva come un arcipelago d’isole, più o meno estese, in un territorio prevalentemente desertico. Inoltre, scarsi e poco estesi erano i laghi situati solamente nelle aree in cui la vegetazione era maggiormente rigogliosa. La parte torrida del pianeta, a cavallo del suo equatore⁷, era la più estesa. Essa colpiva l’occhio dei terrestri per i suoi colori, che variavano dall’ocra al sabbia. Quella parte centrale del pianeta era una zona desertica, non uniforme, che alla loro memoria richiamava l’aspetto del Sahara terrestre, dove l’hamada – deserto di roccia nuda, incisa e lavorata dai venti, che la formano in schegge acute e taglienti – si alterna al serir, costituito da strati di ciottoli e ghiaia. Tuttavia, come in tutto il Sahara, anche in questo deserto su Arion domina l’erg, formato dalle caratteristiche dune di sabbia, che si muovono sotto l’azione del vento, rendendo il paesaggio allo stesso tempo immutabile e diverso. Il clima equatoriale su Arion era desertico caldo, ossia arido e costituito da forti escursioni termiche giornaliere – giornate caldissime e notti fredde – e da precipitazioni scarsissime, che possono essere assenti per anni. Di giorno, la temperatura poteva anche toccare, se non superare, i sessanta gradi Celsius, mentre di notte poteva, addirittura, scendere, in qualche caso, sotto zero. All’interno della zona torrida non si scorgevano corsi d’acqua o laghi, per quanto minuscoli. Era, tuttavia, presente una rete di valli disseccate, dei wadi ma, a testimonianza di una circolazione sotterranea d’acqua, si scorgevano – per contrasto di colori – delle piccole oasi. Alcune aree montagnose svettavano nelle zone a confine tra quelle

temperate e torride. Il pianeta era quindi ricco di contraddizioni con acqua, e deserto estesamente diffuso. Nel complesso, Arion non sembrava un mondo molto propenso a ospitare la razza umana, come l’esiguo numero di centri abitati pareva, appunto, testimoniare. Muoversi, su quel pianeta, avrebbe richiesto una buona resistenza fisica, assieme all’attrezzatura adeguata. Sarebbe stato un viaggio pericoloso al suo interno, ma, in tal modo, avrebbero avuto almeno la possibilità di sopravvivere alle sue condizioni ambientali proibitive. Tuttavia – occorreva aggiungere –, non erano solo le insidie fisiche quelle da cui guardarsi. La situazione politica del pianeta, infatti, era complessa e lasciava spazio a un’attività di contrabbando, svolta da gente poco raccomandabile, che trovava ospitalità e connivenza, soprattutto, nella zona torrida di Arion.

Dopo essere rimasta per alcuni minuti a contemplare la bellezza e la spettacolarità di quel pianeta, così contrastato nei colori, Ashley riprese ad ascoltare le spiegazioni di Grepx. «… Il pianeta è poco popolato e senza un governo centrale. Le zone temperate sono fra loro indipendenti e, al più, organizzate come leghe fra alcuni dei piccoli centri abitati, come potete osservare in questa videoriproduzione. Date le dimensioni di questi insediamenti, non è appropriato indicarli come città, anche se questi agglomerati mantengono una larga autonomia gli uni dagli altri. Vi sono, in ogni caso, dei rapporti diplomatici stabili tra l’Alleanza e alcuni dei potentati locali; quindi, noi a Galactica abbiamo anche alcune loro sedi di rappresentanza. L’Alleanza dispone, a sua volta, di sedi consolari in certuni degli insediamenti più importanti. Uno di questi si trova a Friam». A quel punto Grepx mostrò la posizione di quella località sulla sfera flottante nell’aria, per poi riprendere il filo del discorso. «Sarebbe logico atterrare in uno degli insediamenti – Friam, ad esempio – per poi rivolgerci direttamente alla nostra sede consolare, ma qualsiasi comunicazione con l’autorità locale, per consentire la discesa, verrebbe intercettata dagli scientisti. Facilmente, costoro troverebbero qualche scusa per farci mantenere in orbita, fino a quando una nave androide potesse essere inviata a distruggerci. Non possiamo trascurare in alcun modo le capacità che, in questi

pianeti di confine, i nostri avversari possiedono di infiltrarsi all’interno delle strutture politiche, e quali risorse abbiano in loco! In pratica, non abbiamo una vera alternativa a quella di atterrare nella zona torrida, dove la suddivisione in piccoli potentati locali lascia ampie aree prive di un vero e proprio controllo governativo. In questa zona del pianeta il contrabbando è fiorente. Navi contrabbandiere atterrano, in parte all’insaputa dei governi stabiliti nelle aree temperate. Nessuno quindi si stupirà, anche se la avvistasse, che una nave arrivi senza dare troppe spiegazioni, andando a scomparire in una delle tante zone franche». «Sì ma dove pensi di atterrare precisamente?», chiese Ashley. Grepx, che si attendeva la domanda, rispose prontamente alla terrestre. «Gli scientisti non hanno androidi nella zona torrida. La necessità per un androide di utilizzare la tuta da deserto, anche accampandosi, li rivelerebbe palesemente come degli stranieri, e sarebbero quindi considerati come spie in quest’ambiente, al limite della legalità. Gli androidi sono costretti, più degli umani, a impiegare le tute a causa della sabbia, che può penetrare ovunque, attraverso le loro giunture, anche se ben protette, provocando così danni irreparabili nei loro circuiti interni. Tuttavia, fra i contrabbandieri, alcuni sono al soldo degli scientisti: dobbiamo far in modo che non sappiano del nostro arrivo…». Dopo un breve momento di silenzio, «Immagino che non saremo noi a informarli!», esclamò George entrando nella discussione, «Suppongo che l’Alleanza avrà qualche uomo su cui contare, poiché tu hai deciso di atterrare là…». «Sì George, hai proprio colto nel segno! Infatti, noi abbiamo agenti su tutti i pianeti di confine, e Arion non fa eccezione a questa regola! In questi mondi, spesso poco popolati, i contrabbandieri sbrigano i loro traffici, solo in parte legali, ma comunque al di fuori della nostra giurisdizione. Pur tuttavia, costituiscono fonti continue di notizie preziose su quanto avviene o potrebbe accadere nei mondi alieni. Non nego che, spesso, nostri informatori siano fatti infiltrare all’interno delle organizzazioni contrabbandiere. Arion è un ottimo punto di osservazione e di raccolta di informazioni! I nostri agenti locali sapranno trovare il modo di trasportarci su Galaction sani e salvi».

«Tuttavia», riprese a dire Grepx evidenziando un punto del pianeta, dopo aver ruotato la rappresentazione tridimensionale, «saremo costretti ad atterrare in una regione fra le più impervie, dove, nonostante ciò, conto di trovare aiuto. Tuttavia, saremo distanti da Friam – un insediamento situato ai margini della zona temperata –, in cui i nostri agenti hanno una base con buone capacità operative. L’area dove sorge Friam è separata da quella torrida per mezzo di un territorio non eccessivamente esteso, semidesertico e confinato da una catena montuosa. Se gli androidi scoprissero – sarebbe più appropriato dire, quando troveranno – le tracce della nostra rotta verso Arion, la loro logica li indirizzerà a sorvegliare le zone temperate, e quelle a loro limitrofe. Inoltre, costoro cercherebbero un vascello spaziale o una navetta da esplorazione, e non un mezzo da trasporto terrestre che si muovesse attraversando l’erg! Dovremmo, pertanto, sfuggire alle loro grinfie, almeno così è probabile, anche se non certo, che accada». A questo punto, Grepx s’interruppe nuovamente, per poi continuare quasi riflettendo a voce alta: «Sarà, alla fine, una lunga e pericolosa traversata del più torrido deserto del pianeta! Abbiamo un mezzo di trasporto che può essere confuso con uno di quelli utilizzati dai contrabbandieri. Disponiamo anche di tute da deserto, senza le quali nessuno di noi sarebbe in grado di sopravvivere. Inoltre – altro vantaggio –, indossando una tuta, Milys, anche se androide, potrà facilmente are inosservato. Avremo solo bisogno di un po’ di fortuna, ma evitando gli insediamenti dei contrabbandieri, sarà sufficiente qualche contatto con le tribù locali, per arrivare alla meta». «Se osservate attentamente questa riproduzione di Arion», continuò Grepx, mentre Milys, dopo aver lasciato temporaneamente la plancia, si univa al gruppo, «vedrete quella che noi chiamiamo la grande distesa torrida occidentale. Noi atterreremo nel suo massiccio centrale – i monti azzurri –, nei quali nasconderemo la nave. Da qui, inizierà la lunga traversata del deserto che, ci condurrà fino alla distesa orientale semidesertica e finalmente, discendendo questo fiume, in pochi giorni ancora dovremmo arrivare a Friam. Se tutto va secondo il piano, saremo salvi!». «Bel piano Grepx», commentò George, «la questione è ben sintetizzata nella frase se tutto va secondo il piano… In altre parole, anche se non adesso, ci converrà pensare a programmi alternativi, o luoghi nei quali ritrovarci nel caso in cui fossimo costretti a separarci».

«Non sto evitando di rispondere alla questione che giustamente hai sollevato, George; tuttavia, credo che non sia questo il momento più opportuno per affrontarla. Avremo molto tempo a disposizione, dopo esserci addentrati nel deserto, su Arion», replicò l’ufficiale dell’Alleanza, continuando a elaborare il piano di fuga. «Per ora, possiamo assumere che gli scientisti non sappiano della presenza di voi terrestri, e comportarci come se tu e Ashley foste cittadini dell’Alleanza. La presenza del traduttore è abbastanza normale fra i contrabbandieri e, su questo pianeta, non desta alcuno stupore. Anche sui nostri mondi si usa spesso. Dovete, pertanto, evitare di parlare nella vostra lingua spegnendo il traduttore portatile, perché chiunque altro usi l’unità uptv si accorgerebbe subito del fatto che la parlata sia sconosciuta e, di conseguenza, s’insospettirebbe. Per non suscitare troppe domande alle quali sarebbe difficile rispondere, ci conviene generare una vostra identità alternativa in grado di qualificarvi come provenienti dal nostro ammasso galattico. L’assenza di comunicazioni tra Arion e un nostro centro di archiviazione dovrebbe bastare per impedire che, durante un normale controllo, la vostra provenienza terrestre sia tradita. Su Arion non si aggirano solo contrabbandieri provenienti da pianeti diversi e lontani, ma circolano anche molte leggende su mondi, come Isis, poco o parzialmente conosciuti. Molte di queste sono più che altro dicerie, poco rappresentative della realtà. Ritengo, alla fine, che Isis sia proprio il pianeta che fa per noi!». Grepx aveva pronunciato le ultime parole con enfasi, abbandonando la flemma considerata dai due terrestri, ormai, come parte della sua natura. «Gli umani di Isis viaggiano poco e permettono che poche navi atterrino da loro. Hanno una civiltà avanzatissima, tecnologicamente differente dalla nostra, e molto diversa da quella di Arion. Fatti questi che permettono, facilmente, di giustificare la vostra diversità di comportamento e abitudini, rispetto a quelli degli abitanti sia sui mondi dell’Alleanza sia su Arion. Isis è, inoltre, in un sistema indipendente, non troppo distante da Galaction. Ciò costituisce un altro elemento in grado di rendere plausibile, su un mondo di confine, la vostra presenza assieme a quella di un ufficiale dell’Alleanza di stanza a Galaction. Per quanto strano possa sembrare, non sappiamo l’origine dell’indipendenza di Isis. Secondo alcune leggende – non abbiamo documentazione risalente a quell’epoca –, i suoi abitanti sono stati all’origine della colonizzazione del pianeta, dove poi sarebbe sorta Galactica. In seguito, si sarebbero ritirati nel loro mondo, a causa dei conflitti sorti sul nostro. Nessuno, forse tranne che su Isis, sa con precisione

cosa sia realmente accaduto, in quel lontano ato. Quello che è certo, riguarda il presente: i suoi abitanti sono molto rispettati, anche se relativamente poco conosciuti. Si narra, ma non vi sono prove, che l’influenza di Isis sull’Alleanza sia ben più profonda, di quanto possa apparire», aggiunse Grepx evitando di affrontare la spinosa questione riguardante i più che mai dubbiosi piani alternativi. Dopo qualche minuto di riflessione, Grepx iniziò a ingrandire l’area in cui aveva previsto di toccare terra. Nel fare questo, la proiezione tridimensionale da sferica divenne, a mano a mano, piana. Il cielo, in quella ricostruzione realistica del pianeta, aveva una colorazione azzurra, dove, solo raramente, appariva una nuvola bianca. Cominciarono ad apparire delle montagne completamente aride, ad eccezione di vallate profonde create da dirupi, che si elevavano in modo da schermare i raggi del sole per alcune ore del giorno. Si notava, inoltre, l’evidente presenza di falde acquifere che, assieme al lavoro dell’uomo, avevano permesso il nascere di piccole zone in cui la vegetazione era rigogliosa. In definitiva, quella rappresentazione tridimensionale di Arion ebbe, anche, la peculiare capacità di trasmettere il senso di affascinante desolazione, per quel deserto sabbioso che si estendeva all’esterno del massiccio, nel quale l’atterraggio sarebbe avvenuto. «Una volta laggiù, l’acqua sarà il bene primario», pensò George, mentre Grepx stava esaminando attentamente la riproduzione tridimensionale di un largo anfratto ai cui lati le rocce si ergevano in modo obliquo, schermandone così la vista, a chiunque non si trovasse sul suo zenit. «Questo che sto indicando è il piccolo pianoro nel quale atterreremo», disse Grepx, mostrando uno spiazzo accanto all’anfratto. «Il luogo d’atterraggio è poco visibile dall’alto, considerando come una nave androide in orbita non sia in grado di compiere osservazione accurate e sistematiche del terreno sottostante. I monti azzurri – così sono chiamate queste montagne – derivano il loro nome dal colore che, per quasi tutto l’anno, ha il cielo sopra di loro. Per alcuni versi, un anfratto di questo genere è un posto ideale come nascondiglio, poiché dall’alto è poco visibile. Per cercare una nave celata nei monti azzurri, serve una missione esplorativa terrestre, ma le spie degli scientisti sono scarse su Arion e, quindi, difficilmente saranno in grado di mandare qualcuno in quell’area montuosa. Arion è un pianeta in cui si può sparire con facilità, senza lasciare alcuna traccia. I monti azzurri, in particolare,

hanno una solida fama a questo proposito. Si dice ancora che gli antichi dominatori del pianeta vi abbiano trovato rifugio, prima della trasformazione in deserto della regione equatoriale ed è lì, dove i loro discendenti vivono adesso, abitando in una città sotterranea. Da molto tempo si narra che quella tribù custodisce con gelosia l’ingresso alla città sotterranea. Fra questi monti, dominio incontrastato di quest’antica gente, la presenza di estranei, quali siamo noi, non erà inosservata!». «Tuttavia», continuò Grepx, «noi abbiamo un elemento fondamentale a nostro favore. Il re, che regna su quella parte di Arion, si chiama Sird – ossia Alba Azzurra, nella lingua locale –, ed è un mio vecchio compagno d’accademia. Sird è una persona leale, su cui fare affidamento, e non credo che il tempo possa cambiare questi aspetti della sua personalità. Abbiamo conseguito assieme il brevetto di ufficiale nel corpo dei fucilieri. Al termine dell’accademia, a Sird fu proposto di diventare, una volta tornato sul suo pianeta di nascita, un contatto di riferimento per i nostri agenti su Arion, svolgendo pertanto un ruolo molto importante a fianco dell’Alleanza». Grepx, constatando come i due terrestri si fossero fatti molto attenti alle sue parole, continuò, poi, il suo racconto. «… In seguito, sono venuto a sapere che aveva, effettivamente, accettato l’incarico. Tuttavia, da allora ho perso le sue tracce, ad eccezione di un suo messaggio, in cui m’informava del suo ritorno su Arion. All’inizio ho trovato alquanto strano ricevere quel genere d’informazione, di per sé ovvia. Ora alla luce dei nuovi eventi, ho l’impressione che volesse indicarmi un rifugio, in caso di necessità. Se Sird prevedesse o no situazioni d’instabilità politica dell’Alleanza, non sono assolutamente in grado di immaginarlo. Ai tempi dell’accademia, ripeto, eravamo molto legati e, anche se molti anni sono trascorsi da allora, non credo per nulla che mi abbia dimenticato. Pensavo proprio a lui, quando ho iniziato a pianificare la rotta per Arion! Sarà lui a darci le indicazioni corrette per la traversata, e su come prendere contatto con i nostri agenti». Dopo un breve pausa Grepx riprese la formulazione del piano. «Sird saprà ben custodire la nave e, se necessario, decollare con essa. Conto su di lui per non cadere preda di qualche tribù nemica e, quindi, per conoscere quali fra le oasi dovremo evitare nel tragitto. Ultimamente non ho avuto sue notizie

ma, in ogni modo, non ci sono altre possibilità. Arion è l’unico mondo in cui gli androidi hanno delle serie difficoltà per sopravvivere e noi, grazie a questo, qualche speranza! Inoltre, gli androidi non sono a conoscenza della vostra presenza e daranno la caccia a due individui, non a quattro: motivo in più per restare uniti». «Grepx, immagino che tu non sappia come, oppure non sia in grado di prendere contatto con Sird?», chiese Ashley. «Esatto!», rispose Grepx. «Sarà lui a trovare noi», continuò. «Non credo che l’atterraggio di una nave dell’Alleanza, con personale umano a bordo, erà inosservata ai suoi osservatori. Ci troveranno! Noi dobbiamo contare sul fatto che il ricordo della nostra amicizia sia ancora ben saldo. Per ora, familiarizziamoci con Arion e il suo torrido ambiente. Il deserto non è solo un mare di sabbia, ma deve essere un nostro amico, o almeno non diventare un nostro nemico!».

Per Milys, Arion non rappresentava un’incognita, poiché tutte le informazioni sul pianeta erano già disponibili, nella sua memoria centrale. Sarebbe stato, quindi, un valido aiuto, poiché avrebbe potuto muoversi con una buona conoscenza dei luoghi, ma a patto di non essere a lungo esposto – come del resto tutti i suoi simili – alla sabbia del deserto. «Se permettete», intervenne nella discussione l’androide, «vorrei proporvi di fare il punto sull’equipaggiamento che abbiamo a disposizione. Ho preparato anche una lista dei viveri, acqua e armamento da portare, prevedendo uno spostamento via terra della durata di circa un mese». L’elenco minuzioso del materiale, allora, fu discusso a mano a mano che Milys lo andava esponendo. Terminata quella lunga riunione preparatoria per la traversata del pianeta, Ashley interrogò il computer centrale di bordo per cercare le notizie disponibili sulla storia di Arion e sulle popolazioni che lo avevano abitato prima della trasformazione della sua parte centrale in un deserto. Si accorse ben presto come poche, frammentarie e, quindi, incomplete fossero le notizie disponibili.

«Quel pianeta», pensò presagendo delle sorprese, «sembra voler proprio serbare i suoi segreti». Poi, Ashley – vista la scarsità delle informazioni trovate – si rivolse nuovamente a Grepx, per conoscere qualcosa di più su Sird e la sua tribù. «Anch’io so poco a questo riguardo», riprese Grepx, «abbiamo trascorso assieme gli anni dell’accademia, eppure Sird ha sempre evitato l’argomento. Da quanto ricordo, la sua tribù abita, da un tempo immemorabile, i monti azzurri e ne preserva, con la forza se necessario, l’accesso agli estranei. L’assenza di un potere centrale su Arion, trasforma i re della sua gente nei veri signori del deserto, con un’influenza politica estesa a tutto il pianeta. Non so con precisione cosa sia custodito fra quelle montagne. Tuttavia, sarei propenso a dar credito, almeno in parte, all’importanza della città sotterranea. Questi abitanti dei monti azzurri sono, anche, dei fini conoscitori nell’arte di sopravvivenza nel deserto. Non vi è guida più esperta di loro, su Arion. Se Sird ci aiuterà, parte dei nostri problemi saranno risolti, con buona pace degli scientisti!». Ashley e George avvertirono, dal tono della voce, il legame d’amicizia che intercorreva tra i due, e capirono il perché avesse deciso di recarsi su Arion. Motivazioni di questo tipo, infatti, trascendevano la capacità di comprensione degli androidi ed erano, anche, in gran parte non accessibili agli scientisti. In tal modo, fortunatamente, costoro non sarebbero stati in grado di prevedere in anticipo la rotta verso quel pianeta, dove catturarli, perciò, all’arrivo. Milys, seguendo quella lunga esposizione di fatti, ricca di ricordi personali, impresse nei suoi banchi di memoria come Sird rappresentasse un probabile aiuto, poiché era amico di Grepx. L’androide, all’insaputa di Grepx, aveva iniziato, oramai, un processo di auto-apprendimento e di auto-programmazione. Infatti, il termine “amico” non aveva una traduzione di per sé evidente, nella sequenza logica con la quale l’androide era stato inizialmente programmato. Tuttavia, l’abitudine al modo di esprimersi e di ragionare degli umani, lo aveva portato a generare una nuova procedura – determinata dai loro modi comportamentali –, in cui il termine amico prevedeva, anche, la possibilità della propria distruzione, se essa fosse necessaria al fine di salvare uno dei suoi compagni. Ashley e George erano – in quel momento – entrati nella lista, in cui Grepx svettava come primo, di umani associati a questa categoria. Anche la lealtà – parola estranea alla sua programmazione iniziale – aveva, a questo punto, associata una sua specifica procedura.

Tutto il tempo libero, dai turni in plancia, fu preso dallo studio della conformazione dei monti azzurri, del percorso via terra, delle disposizioni delle oasi, e della variazione della temperatura. Dopo aver caricato sul veicolo terrestre il materiale da sbarcare, Ashley e George si familiarizzarono con le armi leggere dell’Alleanza. Quelle terrestri avrebbero, infatti, attirato l’attenzione su di loro con domande e curiosità. Si esercitarono all’uso della tuta da deserto, senza cui vivere su Arion non sarebbe stato possibile. Alla fine, l’addestramento militare di tutti e tre facilitò la formazione di una squadra ben coordinata, in cui le diverse esperienze si fondevano, integrandosi reciprocamente. Con il trascorrere dei giorni a bordo della nave da esplorazione, tra i quattro membri dell’equipaggio si erano andati stabilendo solidi legami. I tre umani avevano viepiù notato l’evoluzione del comportamento di Milys. L’androide assumeva, di tanto in tanto, dei modi di fare e di atteggiarsi estranei alla sua programmazione logica. Anche se, a dire il vero, le sue braccia metallizzate erano sempre lì, a ricordare che non era un umano. Fu così che – poco prima dell’entrata in orbita di Arion – Milys non stupì i terrestri quando, vedendo Ashley sistemarsi, per un’ultima prova, la tuta da deserto, le disse: «La tuta ti dona. Sei molto carina!». «Grazie per il complimento, Milys. Per fortuna che ci sei tu! George e Grepx non si accorgono mai che sono una donna!», rispose Ashley a quel complimento rivoltole dall’androide.

*

Lasciata l’orbita attorno a NC-T-GS-01, la nave androide aveva, poi, ritrovato la scia di quella con a bordo gli umani. In effetti, come Grepx aveva previsto, i loro sensori non avevano individuato la base all’interno del canyon: la presenza dei terrestri restava, al momento, salvaguardata dagli scientisti. Inoltre, anche la traccia della nave terrestre era stata confusa con un tentativo, mal riuscito, di far perdere le proprie tracce agli androidi.

Gli androidi procedettero a velocità sub luminale, per non perdere l’incerta e dispersa segnatura energetica. Compresero subito che la rotta stimata della loro preda li avrebbe portati in un sistema binario, nel quale lo scambio di materia, tra le due stelle, sarebbe stato in grado di generare un campo molto esteso di radiazione. Avventurarsi in quella regione di spazio costituiva un grave rischio, a causa del danno da radiazione che i due androidi avrebbero subito. Tuttavia, il comando impartito dagli scientisti era stato perentorio, e l’inseguimento sarebbe continuato anche in prossimità o all’interno del sistema binario. I due androidi, ricevuto l’ordine, accettarono la logica delle sue conseguenze, senza alcuna perplessità la quale, del resto, non aveva spazio nella loro programmazione. Per loro, i molteplici colori – che avrebbero modificato lo scuro intenso dello spazio profondo, e che avevano così impressionato gli umani – non costituivano altro che una variazione della frequenza, nella parte visibile dello spettro elettromagnetico, la cui intensità dipendeva, a sua volta, dalla frequenza stessa. In pratica, quel pericoloso campo di radiazione, per loro, non era altro che una serie di numeri diversi da zero, in una porzione limitata dello spettro elettromagnetico complessivo. Quell’anomalia numerica non evocava alcun nuovo motivo, per cui dedicare altro tempo ad approfondire le ragioni del fenomeno, determinato dall’interazione della radiazione cosmica con una nube d’idrogeno gassoso. Il danno, come sapevano gli scientisti, sarebbe stato conseguente all’accumularsi della dose depositata nei loro circuiti, ma non avrebbe impedito agli androidi l’inseguimento. Il loro malfunzionamento si sarebbe manifestato progressivamente, e avrebbe richiesto, alla fine, un autospegnimento. Tuttavia, speravano che, prima che quell’operazione si rendesse necessaria, scoprissero la destinazione della nave inseguita, permettendo così ad altri androidi di continuare poi la caccia. Detto in altri termini, erano sacrificabili! Pertanto, a bordo della loro nave, i due esseri cibernetici continuavano l’inseguimento, rimanendo incuranti dell’accumularsi dei danni, sempre più irreversibili, nei loro circuiti e nella loro memoria centrale; danni che si sarebbero anche estesi, inevitabilmente, al processore centrale dell’astronave. Insperatamente, solo pochi giorni furono necessari, all’interno della zona dove la radiazione era più intensa, per individuare nuovamente la traccia energetica e, grazie a questa, stabilire come probabile rotta quella verso Arion. Ricevuta l’informazione, gli scientisti ordinarono alla nave di recarsi su una

delle lune orbitanti attorno ad Arion, dove gli androidi avrebbero eseguito la procedura di autospegnimento. Il loro lavoro, prezioso per gli scientisti, avrebbe permesso di catturare Milys o distruggerlo, assieme al suo veicolo spaziale.

Arion, come gli scientisti sapevano, non era un posto adatto per gli androidi, e poche – addirittura inesistenti, in alcune aree del pianeta – erano le loro spie. Questi elementi complicavano la situazione. Per intraprendere una missione di ricerca al suolo, avrebbero dovuto, cosa impossibile a farsi in quelle circostanze, inviare un gruppo di uomini ben addestrati sul pianeta, e richiedere l’utilizzo di guide locali, aumentando così la probabilità che l’Alleanza venisse a scoprire l’importanza attribuita dagli scientisti a Milys. Una missione di quel genere sarebbe dovuta essere pianificata, ma non avevano il tempo necessario e, probabilmente, neppure gli uomini. Alternativamente, era possibile inviare una nave androide. In questo caso, il tempo richiesto sarebbe stato inferiore. Tuttavia, collocarla in orbita per una missione di ricerca al suolo – non appena essa fosse giunta – avrebbe destato le proteste dei governi locali e, inoltre, insospettito l’Alleanza, la quale, a sua volta, avrebbe inviato delle navi da guerra per controllare la situazione. Tutto ciò conferiva un notevole vantaggio ai loro inseguiti, permettendo loro – temevano i congiurati – di trovare aiuti insperati. Ciò nonostante, su Arion gli scientisti disponevano già di alcuni androidi – infiltrati tra la popolazione – con una piccola base operativa d’appoggio in Friam. Si adattarono, perciò, all’unico piano realisticamente fattibile, ossia allertarono i loro inviati sul pianeta. I due androidi danneggiati, dopo l’allunaggio e il completamento della procedura di autospegnimento, sarebbero stati trasportati nella base, dove le informazioni, ancora salvabili, sarebbero state estratte dalla loro memoria. La nave sarebbe stata dichiarata ufficialmente in avaria, a causa dei campi di radiazione attraversati, e poi collocata su un’orbita per sorvegliare il pianeta.

*

Capitolo 4: I Monti Azzurri

Erano atterrati quando il sole si muoveva verso il suo apice, inondando di luce il piccolo pianoro sul quale poggiavano le alture – i monti azzurri –, che si ergevano stagliandosi per circa un migliaio di metri sopra l’erg. Sul lato occidentale del punto d’atterraggio, le pareti rocciose salivano quasi verticalmente per diverse decine di metri. Alla base del dirupo, uno scavo apriva nella roccia una nicchia di dimensioni sufficienti a contenere la navetta spaziale. Fu subito evidente che la disposizione di quello slargo avrebbe garantito un riparo quasi completo all’astronave, come del resto, durante la navigazione, i fuggitivi avevano compreso esaminando la riproduzione tridimensionale del terreno. Sarebbe stato, infatti, impossibile scovarla, senza are sopra il suo zenit. Con l’alzarsi del sole, il cielo limpido aveva assunto, sempre più, una colorazione azzurra intensa. Mentre la calura, come ogni giorno, stava nuovamente impadronendosi del deserto nel quale le temperature – abitualmente sopra i cinquanta gradi Celsius – avrebbero reso molto difficile, se non impossibile, muoversi liberamente senza utilizzare un mezzo di trasporto adeguato. Uscirono dalla navetta senza alcuna tuta protettiva con lo scopo di saggiare le capacità fisiche dei loro corpi in quella natura – a loro sconosciuta –, che li circondava. Il sole, ormai, ardeva rendendo l’aria calda, prima di inspirarla. Tuttavia, la sensazione di avere un terreno solido sotto i piedi dava una nuova sicurezza a quei navigatori dello spazio.

All’interno dello slargo – dove fu collocata la nave –, lo scafo era ben riparato e, nel punto in cui si trovava, le pareti verticali lo avrebbero mantenuto ombreggiato fino verso il mezzogiorno. «Signori con questo sole e un po’ di crema solare l’abbronzatura è assicurata!»,

commentò George, guardandosi attorno e assumendo un atteggiamento rilassato. Poi, facendosi serio, si rivolse all’androide chiedendo: «Milys, sei in grado di identificare forme di vita attorno a noi?». «George, ho tutto sotto controllo e non vedo forme umanoidi, o di animali in avvicinamento», rispose immediatamente. «Grepx», continuò George, «vado a esplorare la zona con Ashley, mentre tu e Milys dovreste nel frattempo estrarre dalla nave il veicolo da trasporto terrestre. Non credo di potervi aiutare in questo! Se, contrariamente a quanto supponi, il tuo amico Sird non si fe vivo, noi dovremmo in ogni caso andarcene da questi monti». Poi, mentre si muoveva per fare i suoi primi i su Arion, il terrestre si rivolse nuovamente verso di loro commentando: «Qui fa proprio caldo! Non è come appariva nella rappresentazione tridimensionale che ci hai mostrato prima di arrivare, cioè simile a una bellissima località turistica. Grepx, tu avresti dovuto farci comprendere la calura che avremo trovato in un luogo! Ora andiamo. Ci rivedremo al ritorno!». «State attenti», disse Grepx osservandoli attentamente mentre s’incamminavano con le armi pronte a essere estratte, «questi posti non sono adatti per farci delle scampagnate turistiche!».

*

I nuovi arrivati su quel pianeta, in verità, non sapevano di essere attesi. Dalla sera prima, infatti, occhi attenti scrutavano il cielo per capire se e dove la navetta sarebbe atterrata. Gli informatori di Sird – che operavano nella terra temperata – avevano individuato un’attività maggiore del consueto da parte di gruppi legati agli scientisti. Per quanto si fossero impegnati a fondo per scovare più informazioni, alla fine non erano riusciti a comprendere lo scopo preciso di quel fermento, ma solo che qualcosa di grande importanza stava accadendo. A conti fatti, l’area desertica che attorniava la città sotterranea, era ben indicata per far sparire le proprie tracce! Questo era quanto si erano detti Sird e Horem – comandante la sua guardia personale –, esaminando i rapporti non appena giunti

da Friam. In quella giornata, Horem era uno dei due osservatori di vedetta sui monti azzurri. Essi si erano disposti proprio là dove, all’insaputa dei nuovi arrivati, terminava una galleria che collegava segretamente il palazzo reale – situato nella città sotterranea – con il piccolo pianoro. Con il sole non ancora alto nel cielo non era stato difficile per loro avvistare un riflesso argenteo in avvicinamento. Quel riverbero era causato, con certezza, da un’astronave che si era ben guardata dal dichiarare la rotta e l’intenzione di atterrare al sistema di controllo aerospaziale, cui spettava – per quanto non ben coordinato – gestire il traffico in transito verso il pianeta. Avevano, pertanto, dedotto che quel veicolo spaziale doveva essere molto probabilmente – anzi, quasi con certezza – proprio la navetta così affannosamente ricercata dai gruppi legati agli scientisti. Avvisato Sird, si erano messi in attesa allo sbocco della galleria, dove una fonte sorgiva aveva generato un piccolo laghetto, al cui interno i custodi della porta nuotavano a pelo d’acqua, senza quasi creare onde. Questi temibili guardiani – dei rettili simili agli alligatori terrestri, la cui presenza in quel deserto non era per nulla prevedibile – abitavano da sempre il laghetto, anche se poco si sapeva su come fossero giunti nel piccolo pianoro. I rettili, difficilmente visibili senza scrutare attentamente la superficie dell’acqua, svolgevano il loro lavoro notte e giorno, proteggendo quell’ingresso alla città, il cui segreto era stato mantenuto per generazioni. In effetti, gli uomini di guardia – che ben conoscevano il aggio – erano fedeli alla casa reale, e discendevano a loro volta da famiglie leali alla corona. Sird si era mosso rapidamente lungo la galleria che i suoi avi avevano fatto costruire. I chilometri da percorrere, meno di una decina, non erano molti per un fisico ben allenato e nel pieno del vigore come il suo. Tuttavia, aveva dovuto affrettarsi, cosicché il o spedito, quasi fosse di corsa, aveva richiesto un dispendio di energie non abituale. Alla fine, sentì le gambe affaticate ma – sapeva – una buona nottata di riposo avrebbe permesso un recupero completo dalla stanchezza accumulata. Gli osservatori stavano attendendo e, mentre Sird usciva dalla penombra della galleria, misero in acqua una piccola canoa per attraversare lo specchio d’acqua senza pericolo. Allora, alcuni grandi esemplari di alligatore s’immersero nell’acqua. Nel frattempo i piccoli, abituati allo sciabordio dell’imbarcazione in

lento movimento, non si mossero dalla spiaggetta posta lateralmente ma sottostante la roccia su cui la galleria si apriva e alla quale l’accesso era loro impedito da quello stesso balzo roccioso. Sulla terra, gli alligatori evitavano abitualmente di attaccare gli uomini, se questi avevano l’avvertenza di non frapporsi tra loro e l’acqua, elemento dove i rettili si sentivano sicuri e dominatori. Nell’acqua la canoa poteva essere facilmente rovesciata ma gli alligatori, non percependo un pericolo diretto, la ignoravano. D’abitudine, infatti, quei rettili non avevano mai attaccato l’imbarcazione, anche se, in verità, i rematori avevano sempre evitato accuratamente di infastidirli. Questo era il mutuo accordo intercorso da un tempo immemorabile. Sird non scambiò neppure una parola con le sue guardie e, sbarcati sulla spiaggetta di fronte alla galleria, solo poche occhiate d’intesa bastarono per trovare un piccolo anfratto, in cui nascondere la canoa e, poi, incamminarsi cautamente verso il pianoro dove la navetta era atterrata. Nel frattempo, la calura insorgente andava scaldando rapidamente gli strati gassosi dell’atmosfera a contatto con il terreno roccioso. In realtà, a parte gli alligatori, nessun grande animale osava di giorno – a differenza di ciò che accadeva nella notte – aggirarsi nei dintorni per abbeverarsi; cosicché, di là dello specchio d’acqua, il silenzio era rotto solo dal tenue rumore diffuso, creato dall’aria, movimentava verso l’alto per il caldo crescente. Dal basso, laggiù, dove la nave sostava, le rocce facevano da schermo naturale alla vista. Persino un’osservazione, così accurata come quella di Milys – una scansione ottica digitalizzata –, non poté individuare i tre uomini i quali, con movimenti felini, evitarono tutti quei piccoli smottamenti di terriccio e ghiaia, in grado fatalmente di rivelare la loro presenza. Un piccolo avvallamento, sovrastante il pianoro, permise ai tre di stendersi sul terreno e, da quella posizione, osservare i nuovi venuti senza che a loro volta vi fosse alcun modo di individuarli. «Non potremo restare a lungo, completamente esposti al sole battente del mezzogiorno in arrivo!», così rifletteva Sird, mentre il sudore cominciava a scendere sul volto completamente immobile. Fu in quell’istante che si accorsero di Ashley e George i quali, senza tuta, stavano salendo con o sicuro ma cauto, nella loro direzione. Non davano

l’impressione di essere degli sprovveduti o dei contrabbandieri, anzi il loro incedere mostrava segni evidenti di addestramento militare. A un cenno della testa di Sird, lui e i suoi due uomini arretrarono lentamente, facendo attenzione a non lasciare tracce sul terreno, in parte sabbioso. Poi, costoro si fermarono per acquattarsi dietro una roccia, sovrastante lo specchio d’acqua, in una posizione, in cui l’ombra concesse loro una tregua dal calore proveniente dal sole che avvolgeva sempre più i loro corpi. Così nascosti, allora, attesero regolando il respiro. Sapevano, infatti, che non avrebbero emesso il minimo suono in grado di tradirne la presenza e come, a quell’ora del giorno, chiunque avesse guardato dal laghetto nella direzione della sporgenza, si sarebbe trovato il sole in faccia ad impedirne la visuale!

*

George precedeva Ashley lungo il declivio che si staccava dal pianoro d’atterraggio. La pendenza non era molto elevata, ma il sole sulla testa priva di un copricapo, le pietre taglienti sotto i piedi ormai accaldati, e l’assenza di una qualsiasi brezza a quell’ora del giorno rendevano quella camminata alquanto scomoda. Solo gli occhi erano difesi da una piccola maschera trasparente che Grepx li aveva obbligati a indossare. Per quanto cercassero segni di presenza umana, nulla di ostile era visibile, o appariva come tale: pareva, infatti, che solo la roccia e il sole, sempre più implacabile, dominassero l’area. Nonostante la desolazione, che la vista restituiva ai due terrestri, la tranquillità avvolgente e il silenzio, rotto solo da rumori naturali, avevano trasmesso loro uno stato di confortevole serenità. Muoversi sotto l’azione della forza di gravità – simile a quella terrestre – era certamente piacevole, dopo una traversata spaziale! Solo il caldo guastava la soddisfazione di quella camminata a piedi, facendo sentire i suoi effetti, per quanto mitigati da un’abbondante sudorazione, alla quale non erano più abituati da molto tempo! Tuttavia, mentre s’inerpicavano, benché fossero stati rassicurati da Milys prima

di muoversi, evitarono di parlare fra loro, mantenendo lo sguardo e la mente ben concentrati nel compiere un’esplorazione del luogo che fosse la più completa possibile. Il loro piano, abbastanza semplice in verità, consisteva nel raggiungere un punto di osservazione elevato, da cui ispezionare il territorio circostante e, nel frattempo, esaminare – almeno visivamente – l’area alla base dei monti azzurri. Improvvisamente, dopo una decina di minuti, scorsero il laghetto. Lo stupore si dipinse sui loro volti. Una tale abbondanza di acqua, in quelle montagne desertiche, era sorprendente. Non avevano potuto compiere voli di perlustrazione prima dell’atterraggio e, basandosi sulla rappresentazione tridimensionale, esaminata durante il viaggio, entrambi si attendevano solo sabbia, dune e, in quei monti, rocce desolate. Si avvicinarono all’acqua, osservando la luce intensa del sole riflessa sulle piccole increspature, che una debole brezza, appena sorta, andava creando. Solo per un attimo furono distratti dall’incantevole vista di quello specchio d’acqua. Così, non si accorsero di una grossa femmina di alligatore – addentratasi per diversi metri fuori dalla riva –, che era in procinto di attaccarli. Questi animali, come i loro simili terrestri, sono terribili predatori in acqua, ma altresì possono correre a velocità sorprendenti su terra, raggiungendo oltre i trenta chilometri l’ora, per brevi tratti. Per fortuna delle due prede, questi rettili – quando sono lanciati – non sono, però, in grado di cambiare facilmente direzione: rapidi scarti di lato possono, a volte, rappresentare la salvezza per l’inseguito! Effettivamente, fu proprio un balzo laterale a salvarli da quell’attacco altrimenti senza scampo. Sird e le sue guardie avevano, per l’appunto, notato la femmina predisporsi all’attacco dei due umani che si erano interposti fra lei e l’acqua. Sird, lanciatosi dalla sporgenza, spostò violentemente Ashley, che cadde riversa a terra – assieme a lui – ad alcuni metri di distanza, facendo così mancare il bersaglio al rettile. Lo stesso accadde a George per opera di Horem, mentre l’altra guardia aveva attivato il proprio disgregatore, disponendosi a uccidere la femmina se questa, dopo aver terminato la sua corsa verso il laghetto, fosse tornata a cercare la sua preda mancata. George restò riverso a terra. Era rimasto, infatti, leggermente tramortito a causa dell’impatto violento con il suolo sotto il peso di Horem, che aveva momentaneamente tolto il fiato al terrestre, comprimendogli i polmoni. Ashley, al contrario, si riprese immediatamente e, con un calcio, colpì nello stomaco il suo salvatore, preso alla sprovvista da una reazione così rapida. Dopo

essere stato brutalmente scaraventato al suolo, Sird si alzò lentamente, sfregandosi il braccio contuso, mentre Ashley, in piedi, si era già posta sulla difensiva. «Per fortuna che le signore sanno essere gentili e riconoscenti con chi salva loro la vita!» esclamò Sird rivolto alla terrestre, mentre, ora, andava massaggiandosi lo stomaco dolente, per quel colpo ben assestato. In realtà, stramazzando a terra, aveva notato la forma dei dispositivi uptv dei terrestri. Riconoscendoli come oggetti in uso presso i corpi d’élite dell’Alleanza Galattica, comprese di non fronteggiare potenziali nemici e, per questo motivo, stava evitando di reagire a sua volta. «Vedo che non hai per nulla perso le tue abitudini galanti! Se ben ricordo, già ai tempi dell’accademia le belle ragazze avevano immancabilmente un effetto addolcente su di te! Devo dire, a tua scusante, che hai sempre avuto buon gusto!» commentò Grepx che, con Milys, aveva osservato tutta la scena dalla sommità della discesa antistante al laghetto. Infatti, non visti, l’umano e l’androide – quest’ultimo ben racchiuso nella sua tuta da deserto – erano giunti proprio nell’istante in cui Sird e Horem stavano spingendo lateralmente i due umani, sottraendoli in questo modo alle potenti mandibole dell’alligatore. Avendo poi notato che l’altra guardia teneva sotto controllo il rettile, i due non intervennero in alcun modo. In verità, il tempo in cui tutto ciò accadde fu talmente breve da non lasciar loro altro ruolo, se non quello di spettatori. Dopo alcuni momenti in cui sul volto abbronzato di Sird l’espressione di stupore e incredulità fu sostituita da una manifestazione di profonda gioia, costui ribatté: «Non credo ai miei occhi! Dopo tutti questi anni, ti presenti tranquillamente di fronte a me, come se fosse ieri, l’ultimo giorno in cui ci siamo visti. Neppure l’ombra del dubbio pare sfiorarti, se sia stato saggio o no il non avermi comunicato tue notizie per tutto questo tempo!». Con quell’esclamazione, Sird cercava, in verità, solo di contenere l’emozione che avvertiva in lui nel ritrovare il suo vecchio amico, anche se, a maggior ragione, Grepx avrebbe potuto sostenere l’esatto opposto. Su Galaction, in un ato non troppo lontano, Sird aveva trascorso diversi anni assieme a lui. A ben ricordare, quello fu un periodo felice, durante il quale, su di lui, non gravava il peso di tutte responsabilità attuali. Aveva imparato, con il tempo e con la

gestione del potere, a mascherare – sotto un’apparenza d’imibilità – i propri sentimenti. Ciò nonostante, in quel frangente, non sapeva come e, forse, non voleva per niente impedire che la sua amicizia per Grepx trasparisse con veemenza. Senza aggiungere altro, accorsero ad abbracciarsi, lasciando così trasparire esternamente come il loro intendersi fosse radicato in una profonda amicizia. Terminato l’abbraccio, i due, noncuranti dei presenti, presero a raccontare l’un l’altro gli avvenimenti delle loro vite, da quando, diversi anni prima, entrambi avevano lasciato l’accademia. La vita di Sird non era mai più stata semplice, da quel momento. Infatti, al ritorno su Arion, era asceso al trono della città sotterranea a causa della morte prematura del padre, ritrovandosi a dover gestire una situazione diplomaticamente delicata, creatasi a seguito dei fermenti che gruppi dissidenti andavano generando tra le classi dei commercianti e dei funzionari. I problemi, creati dalla situazione interna, si erano così sommati a quelli legati al ruolo stabilizzante, svolto dal suo regno, tra i diversi insediamenti e potenze locali del pianeta. Arion, inoltre – non si poteva dimenticare –, era stato ed era tuttora uno dei mondi di frontiera al centro di non pochi intrighi, a favore o a danno dell’Alleanza. Sul piano personale, Sird aveva accettato volentieri di mantenere uno stretto rapporto con l’Alleanza nella convinzione che questa svolgesse un ruolo di riferimento e di pacificazione per le razze aliene, popolanti molti dei mondi esterni a essa, ancorché prossimi al suo pianeta. In ogni caso, quel rapporto non costituì mai un elemento di contrapposizione nei confronti dei doveri che, come sovrano, aveva verso i propri sudditi e i loro legittimi interessi. Pertanto, il ruolo da lui svolto non poté mai evolversi in quello di un agente dell’Alleanza. Di fatto, comprese Grepx, Sird svolgeva una funzione ben superiore a quella di un semplice agente e rappresentava per il governo galattico un alleato sicuro, in una zona di confine d’importanza strategica. Come tale, infatti, Sird era visto e considerato dal Presidente dell’Alleanza. I due amici, ignorando che i compagni – del tutto sorpresi da quel fatto inatteso – li stessero osservando, trascorsero almeno un’ora in un parlottio denso di spiegazioni sugli avvenimenti trascorsi. Solo quando si sentirono ragionevolmente aggiornati riguardo delle loro vite, si guardarono attorno scorgendo, così, i volti incuriositi che li attorniavano. Le sue guardie e i due terrestri – anche George si era ormai ripreso dallo stordimento dovuto alla caduta – avevano, per tutto quel tempo, atteso muti, impressionati da quella manifestazione d’amicizia. A sua volta, Milys aveva osservato quel

comportamento umano, determinando per se stesso una nuova procedura – non prevista, quindi, nella sua programmazione originale –, collegata a quella parte, dell’area di memoria, riservata al termine amico. Da parte sua, Ashley – scemata l’aggressività e riavutasi dalla sorpresa generata dalla situazione – si sorprese a guardare con attenzione il fisico atletico e abbronzato di Sird, scoprendo, inoltre, come lui indossasse un curioso gonnellino di tipo shendit, indumento tipico dei faraoni dell’antica civiltà egizia, sulla Terra. Tuttavia, inevitabilmente una parte di quella lunga conversazione riguardò la serie di avvenimenti recenti che li aveva condotti su Arion. Sird – messo al corrente dell’importanza dell’androide che, ben protetto e nascosto dalla tuta, accompagnava Grepx – aveva, a sua volta, informato l’amico sul perché i suoi uomini fossero di vedetta in quei luoghi, ossia sull’intensa ma poco definita attività degli agenti scientisti. A quel punto – dedusse Grepx –, gli scientisti non erano, con certezza, informati della loro presenza su Arion. Fu, quest’ultima, una riflessione condivisa pienamente dal signore della città sotterranea. Dopodiché, trascorso un attimo di silenzio, Sird invitò i nuovi arrivati a completare i preparativi per lasciare la navetta, mettendo così una fine repentina a quel colloquio. A differenza degli umani, Milys non aveva problemi a svolgere più ruoli contemporaneamente. Per quanto, infatti, fosse stato dapprima attento al colloquio e, poi, tornasse con Grepx e i terrestri al mezzo spaziale, ora stava di vedetta, scansionando con cura le rocce e gli anfratti da cui erano circondati. A differenza degli umani, lui – protetto dalla tuta – era molto meno sensibile alla calura che si estendeva implacabile a quell’ora del giorno. Nella sua tuta, in effetti, la temperatura era mitigata da un micro-sistema per la climatizzazione, grazie al quale i suoi circuiti lavoravano in condizioni ottimali. Doveva, tuttavia, far conto soltanto sui suoi sistemi ottici, giacché quelli a infrarossi erano resi completamente inefficaci dalle intense sorgenti di calore riflesso dalle rocce. Giungendo alla navetta, scansionò con cura tutta la parte, a lui visibile, del deserto alla ricerca di umani o mezzi in movimento. Alla fine, concluse come niente indicasse la presenza di estranei in avvicinamento. Nulla, pertanto, lasciava supporre che fossero stati scoperti, o in qualche modo, avvistati. Decisero, in primo luogo, di completare la preparazione del veicolo, in modo da riporlo – pronto per la partenza – all’interno della nave. Nascosto com’era in quell’anfratto, infatti, il loro veicolo spaziale difficilmente poteva essere avvistato dall’alto. Alla fine, occorsero altre tre ore di lavoro intenso per

verificare il funzionamento del veicolo per il deserto, e caricarlo di tutti i viveri necessari. In base al tracciato, il viaggio, forse lungo, sarebbe stato non privo di difficoltà ma senza insidie palesi. Tuttavia, come ben sapevano grazie all’esperienza, i problemi seri non nascono dalle insidie prevedibili – quindi in qualche modo con soluzioni pianificabili –, ma da quelle impreviste! Il materiale a loro disposizione, nel suo complesso, era in ottimo stato. Dalla città sotterranea avrebbero dovuto trasportare, in aggiunta, solo qualche tuta da deserto e una riserva di acqua; ma già in quelle condizioni, in caso di emergenza, il veicolo poteva essere usato senza troppi rischi, per compiere la traversata.

L’ora per un pranzo frugale stava arrivando. Preferirono continuare ad acclimatarsi evitando, pertanto, l’interno condizionato della navetta, accontentandosi, dunque, dell’ombra residua presente nella spaccatura fra le rocce là dove erano atterrati. La calura rendeva difficile anche le operazioni semplici, ma la fame aiutava a compierle! Accesero un piccolo fuoco con i pochi arbusti rinsecchiti trovati attorno a loro. Sotto la guida degli uomini di Sird, i due terrestri scoprirono l’uso di un vegetale autoctono, che poteva crescere, non senza difficoltà, in quell’arsura implacabile. Era, in effetti, uno strano arboscello dalla colorazione ocra e dalle forme tali da adattarsi al manto roccioso circostante. In pochi minuti, all’interno di una profonda pentola – in dotazione alla canoa –, sul fuoco bolliva dell’acqua con della carne tagliata a dadini, assieme a dei legumi, simili alle lenticchie terrestri. Alcuni aromi – pepe, zafferano –, oltre a un pizzico di sale e cipolle tagliate grossolanamente completavo gli ingredienti. Il cibo era semplice, e ricordava l’harira, zuppa tradizionale della cucina berbera sulla Terra. Quella sorta di minestra ottenne un successo ben superiore all’attesa: era da lungo tempo che i terrestri e Grepx non gustavano un piatto cucinato al momento! I discorsi cessarono d’incanto e tutti – tranne Milys – mangiarono, senza che vi fossero degli avanzi. L’androide, messosi di guardia, stava nel frattempo registrando e imparando a riconoscere l’effetto di quel senso – quasi palpabile – di soddisfazione e rilassamento che si diffondeva nel gruppo. Quel viaggio – il termine avventura non faceva parte del vocabolario di un androide – si stava, pertanto, rivelando una fonte continua di aggiornamento per le sue procedure. Tutto ciò – si rendeva conto Milys – non era mai accaduto durante i

viaggi regolari di servizio compiuti nel ato a bordo di navi con personale costituito esclusivamente da suoi simili. Nel frattempo, la femmina d’alligatore si era definitivamente allontanata verso l’interno del laghetto, terminando in tal modo di rappresentare una minaccia. Tuttavia, non era quel rettile il motivo per cui gli uomini di Sird si erano disposti in modo da sorvegliare sia il leggero declivio verso lo specchio d’acqua sia l’ingresso della galleria che conduceva alla città sotterranea. La loro attenzione, infatti, era solamente in parte rivolta ai custodi della porta, piuttosto ispezionavano con scrupolo l’area circostante per assicurarsi che non vi fossero occhi indiscreti a osservarli e in grado, così, di scoprire l’ingresso alla galleria. Effettivamente, in quella calura sempre più dura da sopportare, bastava un piccolo riflesso del sole su un oggetto metallico esposto – anche inavvertitamente – alla luce accecante, oppure una piccola nube di polvere o sabbia – sollevata da un movimento accidentalmente brusco –, per dare la possibilità di individuare altri uomini, eventualmente presenti, in quella landa desolata. A un occhio allenato come quello di Grepx non era sfuggito, quando ripresero a muoversi, il cenno di comando fatto da Sird ai suoi uomini. Costoro, che ben lo conoscevano, avevano già compreso come quelle persone fossero proprio coloro ai quali gli scientisti stavano dando la caccia e che, quindi, andassero protetti. Nessuno li informò, e loro non chiesero nulla riguardo al fatto che l’individuo indossante una tuta da deserto, fosse un androide. A pomeriggio inoltrato, la canoa si mosse per compiere il primo dei due viaggi necessari per trasferire il gruppo al completo fino all’ingresso della galleria, che portava alla città sotterranea. A quell’ora, solo un alligatore era visibile, e nuotava a una distanza di diversi metri da loro, in cerca di altre prede. Più che una minaccia, quei rettili rappresentavano una vigile scorta, e, pertanto, la garanzia dell’inviolabilità dell’accesso alla galleria, giustificando così appieno il loro nome di custodi della porta.

I terrestri, giunti all’interno della galleria, furono avvolti dalla frescura. Ashley – come donna, più sensibile allo sbalzo di temperatura – percepì il freddo, e dei brividi le percorsero la schiena. Suo malgrado, quella non era la sola sensazione presente; l’affaticamento e le emozioni – che a mano a mano si erano sommate

nei giorni ati – non potevano essere cancellate facilmente. Durante il viaggio verso Arion, l’inseguimento da parte degli androidi e l’incognita dell’arrivo non avevano permesso di far allentare la morsa della tensione ma ora, in Ashley, tutta la stanchezza accumulata stava venendo rapidamente – forse troppo velocemente, si rendeva conto – a galla; si sentiva finalmente un po’ rilassata, potendo, nuovamente, calcare la solida terra di un pianeta e, inutile a dirsi, potendo fare la conoscenza di altri esseri umani con cui parlare. Istintivamente, sotto lo stimolo di quegli impulsi – per quanto fra loro contrastanti –, si avvicinò a George per percepirne il calore e per sentirsi rassicurata, in quella strana e non prevista situazione. «Le incognite nell’esplorare lo spazio profondo», rifletteva, infatti, la terrestre, «non avevano mai, almeno fino a questo momento, incluso quelle di una fuga inseguiti da androidi, in una galassia al di fuori della loro vecchia e cara Via Lattea!». «Che ne pensi George?» chiese, improvvisamente, a voce bassa – spegnendo l’unità uptv – dando così al colloquio quell’intimità che mancava da quando i due terrestri avevano incontrato Grepx su NC-T-GS-01. «Fammi riassumere ciò che penso della nostra situazione. Non sono per ora in grado di capire se la scelta di questo pianeta come via di fuga sia giusta o no», replicò George sommessamente per, poi, continuare quasi sottovoce. «Noi abbiamo gli androidi alle calcagna. In realtà, stanno cercando Milys e Grepx. Al momento, per lo meno, gli scientisti non sono ancora a conoscenza della nostra presenza assieme a loro due! Questo fatto costituisce un primo vantaggio a nostro favore. Ritengo, inoltre, che il secondo punto, molto importante da considerare, sia costituito dai rapporti di amicizia tra Sird e Grepx! Su Arion, questi legami saranno decisivi», concluse il terrestre, con tono meditabondo. George, in effetti, non aveva intenzione di far capire la sensazione di criticità che, anche in lui, stava facendo breccia. Piuttosto, per quanto possibile, mirava a tranquillizzare Ashley. «Speriamo, soltanto, che...», continuò, «Sird abbia valutato correttamente la situazione. Noi, giunti a questo punto, non abbiamo alcuna possibilità di continuare da soli o di tornare sulla Terra. Se ci scoprissero, i rischi che la

Federazione potrebbe correre, sarebbero probabilmente molto elevati». Poi, abbassando ulteriormente il tono della voce, George riprese a esprimere la sua visione della situazione. «Noi terrestri abbiamo una tecnologia più sviluppata e un’esperienza più matura per quanto riguarda gli spostamenti nel cosmo, sfruttando i cunicoli spaziotemporali. Al contrario, è molto probabile che in questa parte dell’Universo sia maggiormente sviluppata la tecnologia in fatto di armamenti, e che le loro forze militari siano notevolmente superiori alle nostre. Non abbiamo ancora compreso le dimensioni, in termini di popolazione e numero di pianeti abitati, dell’Alleanza Galattica con la quale siamo entrati in contatto. Tuttavia, in base al poco che abbiamo visto, l’Alleanza è costituita da una vastità di mondi abitati o colonizzati da umani. Poi, in aggiunta, non possiamo ignorare i mondi degli alieni. Per la Federazione Stellare questa può essere una grande opportunità, oppure, una desolante fatalità. Al momento, che ci piaccia o no, noi stessi siamo divenuti il perno tra queste due possibilità», concluse, infine, notando come un’espressione d’assenso si dipingesse sul volto stanco di Ashley. Poi, di comune accordo, riaccesero le unità uptv che portavano appese al collo.

Le guardie di Sird avevano oramai tirato fuori dall’acqua la canoa, collocandola nel suo ripostiglio abituale. Non vi erano armi in quel deposito, notò George. Poi, Sird e Grepx dettero un ultimo sguardo al laghetto, chiedendosi se il deserto avrebbe ben saputo difendere il segreto sulla presenza della navetta. Era inutile ragionarci troppo – pensò Grepx –, al momento era solo importante pianificare il rientro su Galaction, prima, in ogni caso, tutti loro avrebbero dovuto raggiungere la città sotterranea. Inizialmente, solo pochi rumori – prodotti da Milys mentre si toglieva la tuta da deserto – ruppero il silenzio che, subito dopo, calò sul gruppetto. La tuta non era, infatti, di alcuna utilità nella galleria e all’interno della città sotterranea. Al contrario, quell’indumento avrebbe permesso di farlo individuare come un androide. Da quelle parti, gli androidi non erano soliti arrivare; in verità, a loro l’accesso alla città era severamente negato e, oltretutto, non erano benvenuti. Milys, a conoscenza di quella spinosa questione, per are inosservato aveva provveduto, durante il viaggio verso Arion, a ricoprire il suo corpo metallico con

una pelle sintetica, in tutto simile a quella umana. Fatto, quest’ultimo, assolutamente proibito – in situazioni ordinarie – su tutti pianeti appartenenti all’Alleanza, dove gli androidi erano obbligati a esibire la loro lucente metallizzazione, per farsi riconoscere e, così, distinguersi dagli esseri umani. Tuttavia, quelle non erano per nulla circostanze ordinarie e Arion non faceva parte dell’Alleanza!

A un cenno di Sird, Horem si pose all’avanguardia addentrandosi nel aggio sotterraneo. La seconda guardia, ferma all’ingresso della galleria, attese la partenza del resto del gruppo, per disporsi alla retroguardia. Il o era spedito ma, badando a risparmiare energie, non si affrettavano lungo quel percorso, che loro avrebbero al più compiuto in meno di due ore. Il aggio sotterraneo era stato pensato dai suoi costruttori, in verità, come una via per una fuga rapida in caso di emergenza. Nella galleria la temperatura era compresa tra i venti e i venticinque gradi Celsius. Cosicché, in quell’ambiente fresco, potevano mantenere un’andatura costante limitando, inoltre, la sudorazione. Al loro aggio, l’illuminazione si accendeva – comandata da un meccanismo portatile – rischiarando la galleria, avanti e indietro, per un centinaio di metri, mostrando alcuni dettagli dello scavo effettuato in un tempo ormai lontano. Le luci erano alimentate da un piccolo reattore nucleare secondario. Quello principale forniva la potenza elettrica necessaria alla città, permettendo tra l’altro di illuminarla a giorno, e di mantenere attivi i commerci e le attività produttive. L’intensità della luce non era eccessiva, ma tale da permettere, alla vista, un riadattamento rapido all’oscurità, se la fonte luminosa si fosse improvvisamente interrotta. Mentre camminavano, Sird si mise a illustrare alcuni usi e costumi del suo popolo. Così, essi appresero come le tradizioni, le usanze e il modo di vestirsi richiamassero quelle abituali in Egitto durante le dinastie dell’antico regno, sorto in epoche molto remote sulla Terra. Tuttavia, sotto l’apparenza d’antico, avevano di fronte un regno basato sulla più moderna tecnologia, come i disgregatori, con cui Sird e i suoi uomini erano armati, testimoniavano. Terminate le spiegazioni di Sird, solo il rumore dei i, per quanto leggeri,

rompeva la barriera di silenzio che albergava in quel aggio scavato nella roccia millenaria. Anche l’accensione e lo spegnimento delle luci avvenivano senza l’accompagnamento di alcun suono. La pavimentazione, costituita da un materiale sconosciuto ai terrestri, permetteva di eliminare le asperità del suolo – anch’esso scavato nella roccia viva – e, nello stesso tempo, dava una risposta elastica alla pressione del piede restituendo, in tal modo, una parte dell’energia spesa nel muoversi. Nel camminare a lungo – come ben sa chi compie grandi percorsi a piedi –, chiunque si ritrova alla fine inevitabilmente avviluppato nelle sue riflessioni. L’attenzione, a quanto accade all’esterno di sé stessi, tende, infatti, a essere attenuata dallo scorrere – a volte, in un flusso non coerente – dei propri pensieri. Altre volte, il ragionamento verte sulla strada percorsa, calcolando come ottimizzare le energie residue, oppure favorisce la formulazione di programmi, e la riflessione su argomenti ai quali non si può dare spazio in altri momenti. Al contrario, i due uomini di Sird erano esclusivamente attenti alla strada che il gruppo stava percorrendo, anche se, fino a quel momento, nulla faceva presagire l’insorgere di un pericolo. Improvvisamente, Sird arrestò il gruppo provocando un brusco ritorno alla realtà di quanti se ne fossero assentati, seguendo il corso dei propri pensieri. Grepx e i due terrestri si mossero per avvicinarsi a Sird, che attendeva, pazientemente, il ritorno di Horem. Costui, infatti, era ripartito – dopo aver segnalato di far fermare il gruppo –, verso l’interno della galleria senza che le luci si accendessero. Al suo ritorno, Horem si avvicinò a Sird, dal cui volto non trasparì alcuna emozione. Tra i due avvenne un rapido colloquio che, tuttavia, nessun altro fu in grado di udire. Poi, a tono basso, Sird spiegò quanto gli era stato appena riferito: «Horem ha captato dei suoni, che si sono rivelati essere delle voci umane. Dovete sapere che, da molto tempo, è proibito ogni altro scavo in profondità per impedire di scoprire l’esistenza della galleria. Qualcuno ha violato questa legge, ricavandosi così dei locali sottostanti il livello permesso. Chiunque abbia agito in tal modo, ha, indubbiamente, qualcosa d’illecito da nascondere. Inoltre, dovete sapere che eseguire uno scavo di tale importanza, senza essere scoperto, fa capire come, fra i complici, vi debbano necessariamente essere alcuni dei miei alti funzionari!».

Sird, senza attendere commenti, si preparò a impartire le istruzioni ai suoi uomini, perché andassero a porsi in ascolto. Fu, tuttavia, interrotto da Milys, che si offrì di accompagnarli, poiché i suoi sensori – anche se evitò di menzionarli esplicitamente – erano in grado di captare, ripulire e decifrare le voci persino attraverso uno spesso strato di roccia. Sird non fece alcuna obiezione, così i tre si avviarono lasciando in attesa il resto del gruppo.

Capitolo 5: La Cospirazione

Milys sarebbe stato in grado di trovare da solo, grazie a suoi sensori, il punto in cui ascoltare quelle voci. Tuttavia, il suo condizionamento da androide gli impose di lasciare a Horem e all’altra guardia il compito di precederlo lungo la galleria, dando così l’impressione che fossero loro a condurlo alla meta. Quel condizionamento – violato dagli scientisti – era il risultato di una lunga serie di procedure, codificate nella memoria degli androidi. Fino a quel momento, infatti, Grepx non aveva ritenuto opportuno farlo riconoscere come un essere cibernetico dagli uomini di Sird. Da parte sua, Milys lo aveva assecondato, evitando di esibire apertamente quelle caratteristiche che lo avrebbero catalogato come tale agli occhi di tutti. In realtà, i sensori di Milys, attivi da quando avevano iniziato il percorso sotterraneo, avevano già captato la presenza e localizzato la posizione di quella sorgente acustica, esterna alla galleria stessa. Inizialmente, il suono era stato accompagnato da un rumore di sottofondo non trascurabile. In seguito, mentre seguiva i due uomini, fu abbastanza semplice per Milys elaborare un processo di ottimizzazione del rapporto segnale-rumore, individuando così il punto preciso dove fermarsi per sentire. Quando giunse sul posto evitò di ascoltare ciò che i suoi compagni gli suggerivano. Non perse tempo, ed estrasse da un alloggiamento interno – evitando di essere notato – un piccolo sensore che conficcò nella roccia. Ottenne, così, un notevole miglioramento delle sue capacità di rivelazione sonora; iniziò, pertanto, a registrare tutto ciò che riceveva attraverso lo strato roccioso. Per oltre un’ora, ossia fino a quando le voci tacquero del tutto, Milys rimase là in piedi, completamente immobile, non influenzabile – come tutti gli androidi – dalle emozioni del momento, e noncurante dei due uomini che lo accompagnavano. «Puoi dire a Sird e al resto del gruppo di venire avanti. La stanza è stata abbandonata da chi la stava occupando. Noi non abbiamo altro motivo per stare in ascolto fermi nella galleria!», disse Milys a Horem, appena completata la registrazione, con un tono pacato ma che non ammetteva replica. Il suggerimento-ordine giunto dall’androide fu subito eseguito, cosicché, dopo

una decina di minuti, tutto il gruppo si trovò riunito attorno a lui, in attesa di spiegazioni. «Quando arriveremo alla città sotterranea vi metterò al corrente di quanto ho sentito. Per ora, non dobbiamo agire, ma elaborare un piano», disse Milys, indirizzandosi a Sird con un tono privo di ogni emozione. Costui si trovò d’accordo con il suggerimento: non vi era alcun motivo di proseguire la discussione all’interno di quel aggio sotterraneo! Allora, senza spendere altro tempo, ricompose il gruppo per farlo ripartire con Horem in avanguardia.

Restava da completare solo una piccola parte di tragitto, che richiese non più di una decina di minuti, a o spedito. Poi, Horem intravide la zona terminale della galleria, cosicché arrestò la marcia, lasciando che Sird si ponesse alla testa del gruppo. Come i nuovi arrivati su Arion poterono notare, la porta d’accesso era stata costruita utilizzando una lega metallica durissima, in grado di resistere all’azione di disgregatori portatili, per parecchio tempo. Sird superò Horem senza rallentare il o; quando giunse di fronte all’entrata, il sistema di apertura scattò immediatamente, permettendo l’accesso a una stanza – illuminata a giorno –, situata all’interno del palazzo reale. Poi, una volta entrato, si addentrò nel locale per attendere il resto dei suoi accompagnatori. Per primi, Ashley e George varcarono la soglia, restando, però, abbagliati dallo splendore dell’illuminazione intensissima – quasi solare – che rischiarava l’ambiente, senza essere accompagnata dalla calura del deserto. Poi, appena gli occhi si abituarono al bagliore, scorsero, stagliata in controluce, una donna avvolta in un indumento di lino finissimo. Era laggiù, ferma a pochi i dall’ingresso, e attendeva il loro arrivo. La veste, lunga e attillata, lasciava intravvedere le sue forme giovanili e snelle; mentre i lineamenti assomigliavano a quelli di Sird, sebbene lei sembrasse qualche anno più giovane di lui. Solo al vederla, Ashley intuì come questa donna fosse – da sempre – abituata all’ammirazione degli uomini per la sua bellezza, e conoscesse, altresì, l’arte di sfruttare con naturalezza quella debolezza maschile a suo favore. Si accorse – per la verità, senza sorprendersi troppo – che, dal modo con cui la guardavano, persino George e Grepx non erano per nulla immuni al fascino della giovane per

la quale, fin da subito, provò un’istintiva simpatia. Come donna, infatti, Ashley sperava di trovare anche in quella galassia – a lei nuova e così lontana da casa – un’amica con cui parlare, e trattare tutta quella serie di argomenti ai quali i suoi due compagni umani avevano già ampiamente dimostrato di essere del tutto insensibili. Persino Milys – «evidentemente, programmato da uomini!», si era ripetuta fra sé e sé, alcune volte – mostrava gli stessi difetti. Intuiva, in aggiunta, che quella giovane – oltre alla bellezza – fosse dotata di molta sensibilità e di un’intelligenza acuta. Quando il gruppo al completo entrò, la porta d’accesso che dava sulla galleria si chiuse e, benché alta oltre tre metri, l’intera parete su cui si apriva fu nascosta per mezzo di un’enorme libreria, che scorse dall’alto; chiunque fosse entrato allora in quella stanza, non avrebbe mai immaginato la presenza dell’ingresso per il aggio di comunicazione con il laghetto.

«Bene arrivati! Dal vostro stupore, nel vedermi, comprendo che mio fratello, Sird, non vi abbia per nulla detto chi sia a controllare l’ingresso della galleria, e a sovraintendere all’apertura della porta di accesso!», commentò, rivolgendosi ai nuovi arrivati mentre li osservava a uno a uno. Poi, fece cenno alle due guardie di uscire dalla stanza. «Mi chiamo Ishar e sono la sorella minore di Sird, re della città sotterranea. La piccola di casa, così nostro padre mi chiamava! Immagino che siate appena giunti su Arion e che, date le circostanze, il vostro viaggio non sia stato del tutto tranquillo. In seguito, mio fratello mi informerà su cosa vi abbia condotto da noi!». «Se sua altezza permette…», intervenne Milys, dimostrando una corretta conoscenza dei titoli e del cerimoniale della città sotterranea, «e se suo fratello acconsente...», continuò volgendo il capo verso Sird, «date le circostanze, dovremmo limitarci ad una semplice presentazione, rimandando a dopo una conoscenza più approfondita. Ho, effettivamente, motivo di ritenere che dovreste apprendere, quanto prima, ciò che ho scoperto nella galleria». Sird fu positivamente impressionato dal modo di comportarsi e dalla padronanza della lingua locale che l’androide dimostrava.

«Prosegui, mio caro Milys», commentò il signore della città apprezzando, in aggiunta alle altre doti, anche la capacità del suo interlocutore di far cambiare la direzione della conversazione, riconducendola ai fatti appena trascorsi ma di grande interesse per i due fratelli. «Principessa innanzitutto mi permetta di presentarle questi due nostri compagni di viaggio: George Stone, capitano degli Esploratori, e Ashley McFarley, colonnello scientifico degli Esploratori. Entrambi provengono dal pianeta Terra. Il corpo degli Esploratori appartiene alla Federazione Stellare, che è situata in una lontanissima galassia – la Via Lattea –, a noi totalmente sconosciuta, antecedentemente all’incontro con questi nostri nuovi amici. Inoltre, anticipando la domanda di vostra altezza, devo aggiungere che gli esploratori della Federazione – contrariamente al loro corpo scientifico – sono assimilati alla marina spaziale, quindi il grado di capitano è equivalente a quello di colonnello nel corpo dei fucilieri, per l’Alleanza Galattica». Poi, mentre i due terrestri inchinavano il capo in segno di omaggio alla principessa, l’androide riprese a parlare. «Il colonnello Grepx ed io li abbiamo incontrati su un pianeta coloniale dell’Alleanza, su cui erano giunti dopo aver attraversato un cunicolo spaziotemporale. Al momento, gli scienziati dell’Alleanza e gli stessi scientisti ignorano la localizzazione di questa particolare perturbazione dello spaziotempo. In verità, i nostri visitatori terrestri possiedono la tecnologia per compiere l’attraversamento dei cunicoli. Nella delicata situazione in cui l’Alleanza si è trovata, noi dobbiamo evitare a tutti i costi che George e Ashley cadano nelle mani degli scientisti. Pertanto, dobbiamo mantenere segreta la loro presenza su questo pianeta. Per questo motivo, prima di atterrare su Arion, abbiamo creato per loro delle false identità, come cittadini del pianeta Isis». «Mio caro Milys, nel nostro regno da questo momento George e Ashley saranno conosciuti come provenienti da Isis», replicò sorridendo la principessa per nulla turbata dal trovarsi immersa, così all’improvviso, in una situazione talmente complessa. «Ishar», intervenne Sird, «lascia che ti faccia conoscere un caro amico e compagno d’accademia: Grepx di Galaction, colonnello dei fucilieri. Come sai i fucilieri sono uno dei corpi d’élite dell’Alleanza Galattica!».

«Forse…», proseguì a dire suo fratello, dopo una piccola esitazione, «lo avevi già incontrato durante una delle tue rare visite su Galaction…». «Come posso non ricordarmi del tuo amico, dopo tutte le volte che mi hai raccontato di lui! Tuttavia, facendomelo finalmente conoscere, dovrai stare attento, perché così avrò l’occasione di scoprire se ciò che mi hai detto – sui tuoi tempi dell’Accademia – corrisponde al vero!», disse Ishar, rivolgendosi a Grepx con un grande sorriso di complicità, evitando del tutto di accennare ai suoi ricordi personali. «Da parte mia, spero solo che tu non le abbia raccontato troppe cose!», commentò sua volta il colonnello, baciando la mano che la principessa – secondo le usanze – gli porgeva. «Infine...», continuò suo fratello indicando l’unico non-umano del gruppo, «ti presento l’androide Milys, specialista scientifico del corpo dello Spazio Profondo dell’Alleanza. Come vedi, in aggiunta alle altre sue doti, conosce perfettamente la nostra lingua». «Conviene che...», intervenne per la prima volta nella conversazione George, «Ashley ed io vi riassumiamo l’incontro con Grepx e Milys, avvenuto sul pianeta NC-T-GS-01». Il racconto fu breve e completo, senza tralasciare informazioni importanti; tuttavia, il terrestre sorvolò sull’aspetto riguardante la localizzazione dei cunicoli spazio-temporali e le mappe stellari, custodite a bordo della loro nave da esplorazione, ancora nascosta sul pianeta coloniale. Mentre George procedeva nella spiegazione, Ashley notò come lui fosse rimasto sì colpito ma non soggiogato dalla bellezza di Ishar. Si sentì sollevata. Forse, scoperse, non voleva ammettere con se stessa di provare una punta di gelosia per la giovane, bella e affascinante sorella di Sird. Poche furono le domande poste da Ishar a George. Grepx, a sua volta, fece un resoconto dell’importanza di Milys, tralasciando di descrivere lo scontro a fuoco che aveva portato al suo ferimento, antecedentemente all’arrivo sul pianeta coloniale. Fu allora che Ishar ebbe la conferma di quanto fosse di vitale importanza salvaguardare quell’androide per impedire le mire di dominio degli scientisti.

Subito dopo, Milys riprese il filo del discorso, interrotto pocanzi. «Mi sono permesso di fare il punto della situazione su quanto ho appreso nella galleria, solo qui, all’interno del palazzo. So, infatti, come il segreto sul percorso sotterraneo sia sempre stato mantenuto, e come questa stanza sia al riparo da intercettazioni da parte degli androidi scientisti!». Vedendo lo stupore che si dipingeva sul volto dei due fratelli, continuò. «A quanto pare, non siete informati sulla presenza quaggiù, nella vostra città sotterranea, di due androidi, nonostante ufficialmente a loro sia proibito l’accesso. Nel mio caso, ritengo che il mio ingresso sia frutto di uno strappo alla regola, accordato da Sird a Grepx», concluse, rivolgendosi ai due amici. «In galleria ho registrato i segnali provenienti da due transponder assieme alle voci degli umani con i quali stavano conversando. Come sapete, in verità, tutti gli androidi sono dotati di trasponder per riconoscersi a grande distanza. Non potevo anticiparvi questa informazione. Tuttavia, devo farvi notare che non siamo solo di fronte ad un complotto isolato di semplici dissidenti locali ma, piuttosto, a quello di un gruppo ben strutturato e, per giunta, collegato agli scientisti». Poi, sorridendo alla volta di Grepx, riprese a dire. «Questi due androidi, a loro volta, non erano in grado di localizzarmi perché, per nostra sicurezza, Grepx ha disattivato il mio transponder, dopo l’attacco subito nello spazio. Ammetto come una procedura di questo genere non sia per niente legale nei mondi dell’Alleanza, ma non potevamo permetterci di fornire ai nostri inseguitori una traccia, così evidente, per farci individuare!». La presenza nella sua città di androidi scientisti lasciò Sird, dapprima, sbalordito ma, subito dopo, irritato profondamente. «La faccenda degli androidi», rifletteva, «è molto grave e richiede un’azione decisa per porvi rimedio. Se questa mossa, in aggiunta, si rivelasse anche rapida, sarebbe stato meglio!».

Non era ancora trascorsa mezz’ora dal loro ingresso nel palazzo reale, quando

Ishar poté affermare di essere stata informata completamente sui fatti accaduti. Era rimasta impressionata dalla gravità e dalla complessità della situazione. Evitò, tuttavia, di commentare tutto ciò, attendendo che fosse Sird a parlare per entrambi. A un cenno del fratello, si sedettero attorno al tavolo, situato di fronte alla libreria, dietro la quale si celava il aggio per il laghetto. Sird armeggiò sui comandi per attivare il riconoscimento vocale e, poi, chiese che fosse proiettata l’olografia contenente la planimetria della città. Quello, infatti, era il modo più semplice per determinare la posizione della stanza dei cospiratori. Immediatamente dopo, l’illuminazione si spense, e solo la fioca luce proveniente dalla rappresentazione tridimensionale rischiarò, anche se solo parzialmente, i cinque umani, l’androide e quella sala dotata di un soffitto molto alto, per gli standard della città sotterranea. Le rappresentazioni planimetriche cominciarono a scorrere lentamente riportando, di fronte a loro, i vari livelli altimetrici delle zone scavate attorno all’area della galleria. In realtà, l’androide non aveva bisogno di quella proiezione. Tuttavia, il suo condizionamento – pure in quella circostanza – prevedeva che dovesse comportarsi, in modo simile agli umani. Milys, allora, si rivelò come fosse prezioso il suo aiuto per il gruppo, compiendo un’accurata analisi delle deformazioni subite dalle onde sonore all’interno del basamento roccioso – in cui quelle abitazioni erano state scavate – e associando poi, quanto emergeva dall’esame, al profilo altimetrico delle abitazioni, attornianti il aggio sotterraneo. Nel frattempo, nella penombra creata dai riflessi provenienti dalla proiezione, Ashley ebbe, finalmente, l’occasione di studiare accuratamente Ishar, senza farsi notare troppo; Milys, pocanzi, presentandola alla principessa, le aveva concesso solo il tempo necessario per una sfuggevole occhiata. Ora, invece, osservandola attentamente accanto al fratello, percepì come la bellezza di Ishar derivasse dal suo sguardo – penetrante e volitivo –, albergato in uno splendido volto e dalla sua figura snella e longilinea; mentre, la sua carnagione ambrata era esaltata dal colore bianco della veste di lino che indossava. I capelli neri, soffici e ben curati della principessa, aggiungevano al viso un tono di regalità con cui sapeva incutere rispetto all’interlocutore. Immaginò, guardandola, che fosse anche dotata di una buona dose di quella resistenza psico-fisica richiesta a chi abitava le regioni dominate dal deserto. Non poté, infine, trattenersi dal pensare – manifestando a se stessa un’ammirazione crescente –: «È veramente bella, spero che George non le corra dietro. Ah, gli uomini, questi bambinoni!».

Sotto sotto, pertanto, Ashley non provava solo ammirazione, ma anche una punta di gelosia nei confronti della principessa, alla quale non era sfuggito quell’attento esame. Da subito, come sovente accade fra donne, Ishar provò, a sua volta, una simpatia istintiva per la terrestre, e si ripromise di conoscerla meglio, con lo scopo di farsene un’amica. A differenza di Ashley, lei aveva avuto poche occasioni di fare lunghe permanenze su altri pianeti. Inoltre, dato il lungo periodo di convivenza – imposta ai due terrestri dai viaggi di esplorazione –, lei stessa era curiosa di sapere se, oltre ai rapporti di lavoro, ci fosse dell’altro tra loro. A scanso d’equivoci, in realtà, voleva chiarire con la terrestre di nutrire sì simpatia per George, ma che non sarebbe mai stata, né si sarebbe mai considerata una sua rivale! «Sempre che, tra i due, qualcosa fosse già nato… benché, in una donna, con lo scorrere del tempo le faccende di cuore potrebbero evolversi, alla fine!», pensò, incrociando lo sguardo di Ashley. Mentre Milys e Sird stavano ancora cercando di localizzare la posizione della stanza, George si mise a parlottare con Grepx, inconsapevole di essere al centro di un muto colloquio tra le due donne presenti. Entrambi, infatti, avevano notato l’abbondanza di dettagli di quelle planimetrie, una ricchezza del tutto superiore, in qualità, alle informazioni disponibili sulla nave di Grepx a riguardo di Arion. Pertanto, si erano resi conto che avrebbero dovuto rivedere il tragitto da percorrere nel deserto. Inoltre, una guida sarebbe stata più che mai necessaria. Oramai, dopo la prima parte della giornata – trascorsa all’esterno nel torrido clima di Arion –, era evidente a entrambi come attraversare quell’ostile desolazione non sarebbe stato per niente un compito facile. Avrebbero dovuto evitare, inoltre, qualsiasi pista in cui fosse possibile incontrare altri viaggiatori o commercianti. In verità, sarebbero stati costretti ad addentrarsi nelle regioni meno frequentate, all’interno di un territorio a loro del tutto sconosciuto. Le mappe del pianeta, come quelle a bordo della nave di Grepx, erano senza dubbio generalmente affidabili, ma non erano altrettanto ricche di particolari; la guida e la strada da percorrere sarebbero state, quindi, delle questioni da discutere con Sird, dopo che Milys avesse trovato l’ubicazione di quella stanza.

«Il tjaty!», esclamò impetuosamente Sird attirando l’attenzione di tutti i presenti. «Purtroppo, è vero!», confermò Milys. «Ho evitato, fino a questo momento, di raccontare che il tjaty era stato menzionato più volte da chi si trovava in quella stanza. Ho voluto fare assieme a Sird un’analisi molto accurata delle planimetrie, arrivando a un’identificazione della posizione, senza alcuno di quei preconcetti affettivi che voi umani tendete a mostrare, sentendovi giustamente, o ingiustamente, traditi. Mi scuso con Sird per non avere riferito tutte le informazioni immediatamente, già nella galleria. Ho dedotto, a ragione, che Sird, come prima azione – appena giunto a palazzo – avrebbe voluto localizzare la stanza», concluse rivolgendosi al signore della città sotterranea, mentre un piccolo sorriso sornione – tipico degli umani – appariva sul suo volto, modificandone i lineamenti, altrimenti inespressivi! «È il peggior tradimento che mi potessi attendere! Da tutti mi potevo aspettare un complotto, o un tentativo di rovesciarmi, tranne che da chi è stato al servizio di nostro padre…», disse lasciando la frase sospesa nell’aria, volgendo a sua sorella uno sguardo afflitto e, nello stesso tempo, pieno d’ira. «Questo fatto mi addolora, e mi umilia profondamente! Tuttavia, non dobbiamo preoccuparci di ciò che potrebbe sembrare un mio problema personale. Interessiamoci, piuttosto, su quali siano le complicità, e quanto loro siano estese! Dobbiamo affrontare questa gente subito, con determinazione, ma senza far trapelare quello che, effettivamente, sappiamo». Sird, che nell’enfasi aveva tratto le sue conclusioni a voce alta mettendosi in piedi, si sedette nuovamente al tavolo, accanto agli altri. Nel frattempo la luce si era accesa, illuminando la stanza a giorno, dissolvendo, così, la penombra creata dalla proiezione tridimensionale.

George, contrariamente a Grepx e Milys, non conosceva la gerarchia interna al regno di Sird. Intuiva, tuttavia, che la carica di tjaty fosse di estrema importanza, cosicché scambiò uno sguardo dubitativo con Ashley. Ishar, avendo colto l’occhiata intercorsa tra i due terrestri, intervenne per rompere il nervosismo creatosi a seguito delle dichiarazioni del fratello, spiegando come proprio il tjaty fosse il funzionario di maggior livello nel regno.

In questa carica si riassumevano, infatti, le funzioni di primo consigliere e di primo ministro. Nella pratica consolidata nel tempo, il tjaty aveva la responsabilità di tutto l’apparato amministrativo e dei suoi funzionari, inclusi – in primo luogo – quelli appartenenti al ruolo privilegiato degli zelatori, costituenti il nucleo fondamentale della burocrazia. Gli zelatori, classe molto rispettata dal resto della popolazione, potevano accedere ad ampie responsabilità, e intervenire in tutte le sedi della società. Erano presenti negli uffici delle amministrazioni centrali e di rappresentanza di là dal deserto, compivano misurazioni per accatastare le abitazioni, censivano il bestiame, si trovavano a presidiare – affiancando il corpo delle guardie personali di Sird – le frontiere, controllando i traffici e gli stranieri, e, compito importante, riscuotevano le imposte. Dalla precisione e dalla competenza del loro lavoro dipendeva, dunque, la sopravvivenza stessa del loro popolo e delle sue tradizioni, senza le quali, quell’antica popolazione non si sarebbe distinta da una delle tante città stato che si trovavano sparse sul pianeta e dotate di una quanto mai incerta indipendenza. Infatti, gli zelatori – così come non erano semplicemente dei tecnici della scrittura – non avevano solo il compito di censire e calcolare le ricchezze acquisite, ma soprattutto detenevano la cultura in una società, in cui – nonostante la moderna tecnologia fosse, ormai, diffusa – la tradizione continuava in forma prevalentemente orale. Costituivano, pertanto, il punto di contatto tra due mondi, quello dell’educazione scientifica e quello della tradizione. Ay, l’attuale tjaty, era – proseguì, a dire, Ishar – alle dirette dipendenze di Sird, ed era stato, del resto, a quelle del loro padre, il precedente re. Il tradimento appena scoperto era, pertanto, perpetrato da parte di una persona che era stata accanto a loro dall’infanzia e che, fino a quel momento, entrambi consideravano come qualcuno, di fatto, appartenente alla stessa famiglia reale.

«So di essere solo un ospite su Arion, e per di più proveniente da una galassia situata all’altro capo del cosmo. Permettetemi, tuttavia, di esprimere un commento, per quanto sia semplice: una situazione di questo genere richiede un’azione cauta ma, soprattutto, rapida e risolutiva. Ritengo che, neppure per un attimo, Sird e Ishar possano permettere al loro primo ministro di continuare ad agire alle loro spalle!», disse George, intervenendo e richiamando, così, l’attenzione generale su di sé.

«In altre parole, con una congiura in atto di questa profondità e gravità, Sird non può avere una totale libertà d’azione nel suo regno e, vorrei aggiungere, temo che manchi ormai il tempo per indagare su chi fidarsi o no. Il tempo, in questa circostanza, è un lusso che non ci si può concedere! Gli scientisti, per ora, non hanno sentore dell’esistenza di noi terrestri. In tal caso, infatti, avrebbero intensificato di molto le ricerche. Inoltre – suppongo –, essi non conoscono i rapporti tra Sird e Grepx. Questo complotto – appena scoperto –, per quanto possa essere pericoloso, ha tutta l’aria di essere una delle azioni intraprese per destabilizzare i rapporti tra l’Alleanza e i mondi posti ai suoi confini. Fatemi rimarcare come, anche da parte di noi terrestri, sia arrivato il momento in cui dare un apporto», disse con voce pacata ma ferma, mentre le due donne si scambiavano un cenno d’intesa e d’appoggio. Poi, George si concesse una breve pausa e, subito dopo, riprese il filo del discorso interrotto. «In sintesi, dobbiamo trovare il modo di andare da questo illustre personaggio, in vena di tradimento. Senza voler essere preso per un inguaribile ottimista, immagino che le informazioni più importanti sul complotto si trovino proprio in quella stanza, della cui esistenza noi abbiamo saputo per un caso fortuito. Il tjaty mai avrebbe potuto aspettarsi che noi assimo all’interno di una galleria, di cui non conosceva neppure l’esistenza! Dobbiamo penetrare in casa sua e scoprire i suoi piani. In seguito, sarà Sird a decidere il modo più opportuno per estirpare, definitivamente, il cancro creato dalla congiura. Per quanto riguarda gli androidi, ritengo tuttavia che dovremo procedere alla loro distruzione. Se questi comunicassero agli scientisti informazioni riguardanti la nostra presenza su Arion, noi non avremmo scampo su questo pianeta. Sono sicuro che, grazie ai segnali emessi dai loro transponder, Milys sia in grado di aiutarci a localizzarli», completò di dire il terrestre, rivolgendosi a Grepx. «Solo come ultima scelta noi emo i disgregatori per eliminarli! Forse, sarà sufficiente disattivarli. Non mi pare che la tecnologia di attivazione e disattivazione degli androidi sia conosciuta su questo pianeta e, in particolare, quaggiù nella città sotterranea, in cui agli androidi non è permesso entrare. Infatti, se trovassimo il modo di ricondizionarli, potrebbero tornare molto utili ai nostri fini. In aggiunta, i loro transponder inviano segnali che – per quanto indeboliti – potrebbero are attraverso lo strato roccioso, sovrastante la città. I trasponder devono, quindi, restare attivi in modo che, nel loro centro operativo su Arion, nessuno abbia dei sospetti sull’accaduto. Inoltre, tenete presente che,

disattivando gli androidi, anche se solo per un breve periodo, i loro transponder saranno spenti; noi, pertanto, potremmo correre il rischio di farci scoprire da un’eventuale navetta scientista in orbita, attorno ad Arion. Magari potrebbe proprio essere quella che ci sta inseguendo da NC-T-GS-01!», l’androide terminò di spiegare.

Il piano in due tappe, ossia la disattivazione degli androidi e la sottrazione dei piani della congiura, stava gradualmente prendendo forma nelle menti di quel ristretto ma ben determinato gruppo: donne e uomini, capaci e sperimentati nell’azione. Sembrava, a giudicare dalla coesione formatasi fra loro, che fosse trascorso un tempo molto lungo, al posto delle poche ore – effettivamente ate assieme –, da quando erano atterrati! Sird capì, pertanto, come occorresse un’occasione insospettabile per andare in casa di Ay con i due terrestri. Quest’opportunità si sarebbe presentata l’indomani sera, durante una festa tradizionale del regno, nella quale il tjaty invitava a casa sua il sovrano. L’accettazione dell’invito, da parte di quest’ultimo, rendeva manifesta la sua approvazione verso il lavoro svolto dal primo ministro e dai suoi zelatori, nell’anno appena trascorso. La cerimonia, sebbene breve, sarebbe stata seguita da una festa in onore di Sird e di sua sorella, associata al trono secondo le tradizioni del regno. Sird non avrebbe, in ogni caso, potuto evitare di andarci! Data l’occasione, nessuno avrebbe avuto sospetti: poteva, quindi, portare con sé i propri ospiti, ed essere accompagnato dalle sue fidatissime guardie personali, armate con disgregatori portatili ma ben efficaci. Pensò, inoltre, che avrebbe chiesto ufficialmente anche alla sorella di parteciparvi. La sua presenza non era strettamente necessaria, ma la partecipazione di entrambi i regnanti sarebbe stata considerata come un gesto di maggior benevolenza e rispetto verso il tjaty. Avrebbe, così, potuto rafforzare, senza sospetti, la consistenza numerica delle sue guardie, portando con sé un manipolo di uomini in grado di tenere sotto controllo il palazzo del tjaty. Per di più, nessuno tra gli zelatori presenti avrebbe trovato strano che i due terrestri fossero giunti nella città sotterranea a loro insaputa. Le frontiere, come pure ogni informazione e controllo nel caso di questioni riguardanti la casa regnante, erano, infatti, sotto la giurisdizione diretta delle guardie personali di Sird, escludendo così gli zelatori da queste funzioni, vitali per la sicurezza del regno. L’idea di presentarli come abitanti di Isis aveva parecchi altri vantaggi: ad

esempio, poche erano le cose conosciute di quel pianeta in cui era difficile recarsi. Grepx aveva elaborato, dunque, un’ottima idea pensando di far are i terrestri come provenienti da Isis! Le uptv che usavano – anche se in dotazione alle truppe d’élite – potevano essere facilmente scambiate con quelle commercializzate dall’Alleanza nei mondi di confine. Quegli strumenti erano, effettivamente, le stesse unità di base solo che, in quelle comuni, alcune funzioni erano disattivate o mancavano del tutto. Pochi, alla fine, erano i segni distintivi e, in pratica, soltanto utilizzandole, si poteva capire se fossero o no quelle delle truppe d’élite. Una volta introdotti nel palazzo, i due terrestri avrebbero dovuto agire da soli, inventandosi un piano al momento: non c’erano alternative al riguardo. Tuttavia, la presenza di un gruppo armato in grado di proteggerli, avrebbe garantito la loro sicurezza nel caso in cui la situazione volgesse al peggio. Alla fine, Sird si convinse che gli elementi a favore superavano di molto le argomentazioni contrarie all’azione. Inoltre, un’altra opportunità di questo livello non era in alcun modo preventivabile, entro poco tempo! «Mio caro George», disse Sird rivolgendogli un sorriso sornione, «spero che non rifiuterai l’invito che, mia sorella ed io, ti rivolgiamo. Noi due desideriamo, infatti, che tu e Ashley, nostri ospiti provenienti da Isis, ci accompagnaste alla cerimonia dell’apposizione del consenso, alla quale – per obbligo dovuto alla tradizione – il tjaty invita la casa regnante ogni anno. Questa cerimonia si terrà domani sera. Nel frattempo, spero che abbiate il tempo di riposare: magari, prima, “ricordando” qualche notizia in più su Isis, con l’aiuto di Grepx e Milys!». George e le due donne si sorrisero a vicenda esprimendo approvazione con un cenno del capo. Il piano era, in linea di massima, ormai delineato: una volta introdottisi per la cerimonia nel palazzo del tjaty, i due terrestri si sarebbero recati a perlustrare quella stanza segreta cercando di trovare il maggior numero possibile di informazioni sulla congiura. Quanto a Grepx – facilmente identificabile, per occhi umani esperti e per gli altri androidi, come un ufficiale dell’Alleanza –, lui doveva restare, ben nascosto, assieme a Milys. Quest’ultimo, infine, era troppo prezioso perché fosse esposto direttamente ai rischi derivanti dall’azione.

Tuttavia, l’androide, mantenendo il contatto con le unità uptv usate dai terrestri, avrebbe garantito quel o logistico indispensabile per il buon esito dell’incursione all’interno del palazzo. Giunti a quel punto, non restava che svolgere i compiti necessari al successo dell’operazione, per quanto anch’essi fossero da compiersi nella medesima giornata, apparentemente interminabile. Innanzitutto, Ashley e George dovevano trasformare la loro infarinatura su Isis in qualcosa di più consistente, comunque tale da non essere smascherata al primo colloquio. Avrebbero avuto a disposizione le conoscenze di Milys ma, soprattutto, quelle di Grepx, il quale aveva trascorso, cosa molto rara, un periodo di permanenza su quel pianeta. Sird e Ishar, dal canto loro, dovevano selezionare gli uomini per la scorta, e preparare il piano per un eventuale intervento armato. Nessuno dei loro armati – gente fidatissima e proveniente da famiglie al servizio della casa reale da generazioni – avrebbe mai fatto trapelare un seppur minimo indizio sull’incursione e su quale fosse la loro reale consistenza numerica. La sorpresa, in effetti, avrebbe dovuto costituire una delle garanzie di successo, essendo l’altra, inevitabilmente, una certa dose di fortuna. L’indomani, informando in questo modo la popolazione sulla presenza di ospiti presso i due regnanti, Ishar e Ashley avrebbero dovuto mostrarsi assieme. Così facendo, avrebbero reso prevedibile la partecipazione di quegli stranieri alla cerimonia che si sarebbe tenuta nella stessa serata. Il modo più semplice per raggiungere quello scopo consisteva, per l’appunto, nel recarsi al mercato più importante della città, facendo qualche acquisto di abiti e di gioielli – Ishar stava, infatti, pensando di regalare una collana di lapislazzuli alla terrestre –: la notizia della loro visita sarebbe circolata tra la nobiltà immediatamente. Ay ne sarebbe stato subito informato, e non avrebbe, poi, avuto alcun sospetto vedendoli arrivare alla cerimonia: non era, infatti, la prima volta che un fatto del genere accadeva. Non invitarli a una cerimonia in onore dei regnanti non sarebbe stato neppure concepibile da una persona, come lui, nata e vissuta in base alle tradizioni del regno! In realtà, più che il tjaty, dovevano temere e non rendere sospettosi, i due androidi. Milys – avuto l’accesso elettronico agli archivi – si dedicò alla ricerca di eventuali dati contraffatti, con l’intento di scoprire se, fino a quel momento, solo

quei due androidi fossero stati fatti entrare, oppure se costoro fossero giunti a rimpiazzare altri ormai partiti: captava, al momento, solo due segnali di transponder. Inoltre, dal colloquio intercettato nella galleria, sembrava che le restanti persone fossero degli zelatori, e non vi fossero altri agenti degli scientisti in città. Milys decise, pertanto, che lui avrebbe indagato anche su tutto ciò. Se, esaminando gli archivi, questo quadro fosse stato confermato, la presenza dei due androidi nella città sarebbe stata solo la prima di una serie di operazioni future, volte a infiltrare gli agenti degli scientisti! «Spero proprio che sia la prima e ultima delle vostre imprese su Arion!», pensò Milys, mentre dalle banche dati le informazioni fluivano, ed erano analizzate nel suo sistema di pluri-processori. In termini umani, si sarebbe potuto definire un sentimento di simpatia, quello che, iniziava a provare per i suoi compagni di avventura: ma lui era un androide, e la simpatia non faceva parte del suo condizionamento e della sua programmazione, per lo meno quella originale.

Capitolo 6: Il Palazzo del Tjaty

Solo qualche settimana era trascorsa dalla scoperta di un pianeta potenzialmente abitabile per i terrestri ma, da un tempo ben maggiore, Ashley non aveva dormito in un vero letto. Quando fosse stata l’ultima volta, lei non riusciva proprio a ricordarlo, in quell’istante del mattino. «Presto mi tornerà in mente!», disse a se stessa, mentre si risvegliava nella sua stanza inondata dalla luce intensa che proveniva dalla grande finestra posta lateralmente rispetto al letto. Ashley si trovava, in verità, in un piacevole stato mentale, nel quale gli avvenimenti recenti si affacciano alla mente come una serie d’immagini; pur tuttavia, in quel momento, i ricordi non erano associati a sensazioni fastidiose o dolorose ma, piuttosto, a un’emozione di soddisfazione. Mentre il torpore del sonno si andava dileguando sempre più, questo fluire d’immagini, di pensieri e di gradevoli sensazioni inespresse continuava a percorrerle il corpo e la mente. Lo stato in cui si trovava era, in verità, da lei inconsciamente trattenuto, più a lungo di quanto fosse necessario; poi, aprì un poco alla volta gli occhi per scoprire, o piuttosto confermare a se stessa, quanto quella mattina fosse radiosa, giacché separava la nuova giornata dall’ultima notte, ata in gran parte lavorando.

Ashley si era già alzata, quando udì un tocco leggero sulla porta della stanza. «Ashley di Isis!», ripeté – con insistenza – una voce maschile quasi sommessa. «Sono vestita, può entrare se desidera», rispose con tranquillità allo sconosciuto, anche se un po’ dispiaciuta per essere costretta ad abbandonare troppo presto, a suo avviso, quei pochi momenti di distensione. Temeva, giustamente, che quella voce recasse l’annuncio di una nuova giornata, inevitabilmente ricca di avvenimenti.

La porta si aprì senza rumore e lei, immediatamente, riconobbe uno dei due uomini che il giorno prima, assieme a Sird, li avevano scortati attraverso la galleria dal laghetto – abitato dai custodi della porta – fino a palazzo. Con un inchino del capo, l’ufficiale fece un o all’interno della camera, e si presentò di fronte a lei dicendo: «Il mio nome è Horem, capitano della guardia personale di Sird, sovrano della città sotterranea. Sono qui per scortarla su ordine della principessa Ishar, che le ricorda l’invito a uscire con lei per una visita, per quanto breve, alla nostra città. Ho, anche, l’incarico di riferirle che il guardaroba della principessa è a sua disposizione. La nostra sovrana ha potuto notare come abbia recato con sé un bagaglio alquanto ridotto!». Horem concluse l’ultima parte del messaggio, lasciandosi, però, sfuggire un accenno di sorriso.

In effetti, il pigiama indossato per la notte era di Ishar! Più che ridotto, il suo guardaroba non esisteva per nulla, consistendo, infatti, solo nel vestito che aveva addosso all’arrivo nel palazzo e in una tuta da deserto, indumento rimasto, tuttavia, sul veicolo da esplorazione terrestre, approntato all’interno della navetta spaziale. A bordo del piccolo vascello aveva lasciato persino la sua divisa della Federazione Stellare: argentea con paramani e colletto di colore blu, da scienziato, invece rosso, da esploratore, per quella di George, lasciata anch’essa sulla navetta. In ogni caso, inseguiti com’erano dagli androidi degli scientisti, quello non era, certamente, un capo di abbigliamento da sfoggiare nell’attuale circostanza su Arion! Lei e George avevano deciso, lasciando la loro nave da esplorazione su NC-T-GS-01, di recare con sé le loro divise perché, alla fine, si sentivano ed erano gli unici rappresentanti del loro lontanissimo mondo: quelle uniformi ricordavano le loro origini e la provenienza dal pianeta Terra. Chissà, alla fine, a conclusione di quell’avventura sarebbe venuto il momento in cui indossarle nuovamente. Tuttavia nulla, al momento, poteva lasciar trapelare come loro due non provenissero da Isis e, ancor meno, la loro origine terrestre!

Dopo il vellutato richiamo alla realtà da parte di Horem, Ashley si dispose a recarsi dalla principessa, ma non prima – stabilì – di essersi vestita con qualcosa

di più femminile ed elegante. Infatti, era ben consapevole che un’ospite dei regnanti sarebbe certamente arrivata, nella città sotterranea, portando con sé un guardaroba degno dell’occasione, e lei non voleva e non poteva permettersi di far sfigurare la principessa Ishar. Ciò nonostante, in quel momento del mattino, lei era molto affamata; dell’harira, unico pasto caldo della giornata precedente, restava ormai solo un ricordo. In ogni caso, avrebbe saputo attendere senza difficoltà prima di sfamarsi, poiché lei voleva rendersi innanzitutto presentabile! Non fu sorpresa nel constatare come il guardaroba di Ishar non fosse molto assortito – d’altronde, su Arion, le cerimonie e la corte non lo imponevano –, ancorché contenesse vestiti di buon gusto, adattissimi alla sua personalità e, fortunatamente, alla sua taglia. Ishar aveva, infatti, una silhouette slanciata simile a quella di Ashley, quantunque lei, nonostante il suo profilo snello, apparisse meno magra. Non fu difficile, alla fine, trovare un abito elegante e nello stesso tempo semplice, segreto di chi sa come vestire in modo raffinato. Il colore rosso borgogna dell’indumento si adattava perfettamente a lei e, inoltre, si staccava dal chiarore della sua pelle priva di qualsiasi abbronzatura – caratteristica tipica di una spaziale –, facendo risaltare i suoi capelli dotati di un’intensa tonalità castana. Nel complesso, Ashley era una donna giovane e notevolmente attraente; facilmente, grazie all’intesa che subito era scoccata tra lei e Ishar, sarebbe stata percepita come un’amica di quest’ultima. Poi, guardandosi in uno specchio con una punta di civetteria, la terrestre si sorprese a desiderare che George fosse lì ad ammirare la fine eleganza con cui quell’abito era indossato dalla “sua” scienziata.

Stando al piano stabilito durante la notte appena trascorsa, ad Ashley e Ishar spettava il delicato compito di rendere plausibile e priva di sospetti la presenza dei due terrestri nella cerimonia prevista per quella stessa serata, presso il palazzo del tjaty. Mostrandosi, infatti, assieme in pubblico come due amiche di lunga data, l’eleganza e la bellezza delle due donne avrebbero attirato sicuramente l’attenzione di tutti, raggiungendo, così, lo scopo di spargere rapidamente la voce sulla presenza di ospiti a corte Subito dopo colazione, il programma della giornata prevedeva una visita del mercato all’aperto e, nelle vicinanze, dei vicoli e delle stradine dove erano situati i negozi di gioielleria tra i più famosi su Arion. Il regalo di un monile da parte della principessa ad Ashley, aveva, oltre al piacere del regalo in sé, anche un

altro vantaggio. Il suo dono avrebbe impedito, di fatto, che si notasse come la terrestre fosse arrivata nella città priva di gioielli personali. In verità, in una cerimonia ufficiale come quella prevista nella serata, un’amica della principessa Ishar avrebbe dovuto indossare il monile che le fosse stato regalato dalla principessa nella stessa giornata.

L’enorme caverna, ospitante questo popolo del deserto, era stata ingrandita, in larghezza e profondità, con il are del tempo e il susseguirsi degli scavi. Nonostante la notevole altezza naturale della cavità lo permettesse, pur tuttavia costruzioni a molti livelli erano del tutto assenti. Cosicché, le case non erano troppo alte non eccedendo, di norma, i due piani. Per dimensione, solo il palazzo reale dominava la città con i suoi tre piani di altezza, ai quali si aggiungevano alcuni livelli che erano stati scavati sotto il basamento della costruzione e che terminavano all’ingresso della galleria segreta. Sulla sommità di quell’enorme antro, erano stati collocati dei grandi pannelli diffusori che, emulando la luce diurna solare, consentivano così alla popolazione di seguire ancora il ciclo giorno-notte. In aggiunta a tutto ciò, ingegnosi sistemi di climatizzazione mantenevano la temperatura sufficientemente elevata e l’ambiente secco, permettendo ai residenti nella città di riadattarsi, poi, con facilità al clima desertico, quando si fossero recati all’esterno. Infatti, seguendo una prassi ben consolidata nel tempo, gli abitanti non tralasciavano mai un costante esercizio fisico, mantenendo intatta la capacità, ereditata dai loro avi, di spostarsi nell’ambiente torrido e desolato che lambiva e delimitava i monti azzurri, anche senza dover indossare le tute da deserto. I commerci, estesi a tutto il pianeta, facevano sì che la città sotterranea fosse un punto nevralgico di comunicazione tra i diversi insediamenti di Arion e, grazie alle capacità diplomatiche della dinastia di Sird, anche un elemento di fondamentale importanza per l’equilibrio politico tra le diverse popolazioni del pianeta. La città, che beneficiava molto dell’agiatezza e intraprendenza dei suoi abitanti, era incredibilmente ricca di verde, per la copiosa disponibilità di acqua sorgiva proveniente da una falda. Tutto ciò era accompagnato dal benefico effetto creato dal sistema di climatizzazione, dotato di un’illuminazione così intensa, per quanto artificiale, da permettere la fotosintesi clorofilliana, indispensabile allo sviluppo della vegetazione. Cosicché a mano a mano, piccoli viali, giardini, aiuole, fiori, vegetazione e alberi da frutta avevano sempre più

abbellito quell’agglomerato, tanto da stupire immancabilmente i suoi visitatori.

Nei dintorni della piazza del mercato, la vegetazione era lussureggiante, quasi come in una delle oasi di quel deserto situato all’esterno della caverna. Tuttavia, in aggiunta alla luce e alla flora, Ashley rimase colpita anche dal vociare umano che, avvicinandosi al mercato, diveniva sempre più intenso e sovrastante. Quel chiacchierio riverberava attraverso i vialetti, adiacenti al piazzale, i quali – come in un suk – albergavano i negozi e i banchi, dove i venditori esibivano la mercanzia. Sulle viuzze del suk, i teloni – stesi quasi all’altezza del secondo piano, là dove le case erano più alte – proiettavano la loro ombra sui banchi lungo le stradine, permettendo alla gente di esaminare gli articoli in vendita, senza che la luce diretta, o riflessa, fosse talmente intensa da stancare eccessivamente la vista. L’aria, per nulla stantia, era permeata dall’odore del pane, frutta ed erbe per infusi. Ogni genere di merce era disponibile: dal cibo agli oggetti intarsiati o di ferro battuto, dalle terrecotte alle calzature in cuoio, per arrivare alle ceramiche e alle pietre preziose. Monili di lapislazzuli, giada e ambra erano esposti e gareggiavano in bellezza. A poca distanza da gioielli d’indubbia fattura, soprammobili di valore e argenteria facevano bella mostra di sé. Nel suk della città, si trovava un connubio di attività e frenesia, oltre agli odori e sapori che rimandavano a usanze lontane nel tempo. Tutto era disponibile e tutto poteva essere comprato anche se, per consuetudine, solo dopo una laboriosa contrattazione sull’importo da pagare. La parte conclusiva dell’acquisto, pertanto, consisteva nella trattativa sul prezzo ed era considerata, presso quel popolo, quasi una cerimonia che, alla fine, serviva a dare soddisfazione sia al venditore sia all’acquirente. Spesso una tazza di tè bevuta assieme sanciva il mutuo accordo pervenuto tra le parti. Il parlottio – generato dalle conversazioni dei visitatori e dalle contrattazioni sul prezzo – aumentava con il are delle ore, e aveva il suo apice poco innanzi dell’ora di pranzo, ossia quando la gente incominciava a lasciare il mercato per recarsi a casa. Non erano ancora le otto del mattino – prima, quindi, che la gente iniziasse ad arrivare –, quando le guardie personali di Sird si schierarono, con molta discrezione, nei punti strategici attornianti il suk, in modo da controllare agevolmente gli accessi alla zona del mercato. La presenza delle guardie era

stata correttamente interpretata dagli abitanti come il segnale che anticipava la visita della principessa, dando così un nuovo impulso agli affari e, pertanto, alla soddisfazione dei venditori. Quando Ishar e Ashley, scortate da Horem e dagli uomini della guardia reale, fecero la loro apparizione giungendo a piedi, le contrattazioni della mattinata non erano ancora al culmine. Alla vista delle nuove arrivate, il chiacchierio aumentò d’intensità diffondendo, tra i frequentatori del mercato, le domande su chi fosse quella donna giovane, bella ma sconosciuta a tutti, anche se palesemente amica di lunga data della principessa. Le due donne, ancorché dessero l’impressione di essere prese in una fitta conversazione tra di loro, in realtà ascoltavano attentamente il vocio, captando con interesse i commenti suscitati dalla loro presenza nel suk: il primo dei loro obiettivi era già stato conseguito! Di fatto sapevano, altresì, di aver sparso la notizia – prontamente raccolta dai famigli del tjaty, presenti nel mercato – che, molto probabilmente, alla cerimonia serale avrebbero partecipato anche degli ospiti giunti per fare visita ai sovrani. Nel frattempo, i mercanti di gioielli – ben informati sui gusti raffinati della principessa – presero a estrarre dalle casseforti dei negozi gli oggetti di maggior valore e di cesellatura più accurata. Non furono, dunque, per nulla sorpresi nel vedere Ishar fermarsi per trattare sul prezzo di una splendida collana: anche lei seguiva, infatti, l’usanza locale che non permetteva di prescindere da tale discussione! Il girocollo, di grandissimo valore, era stato realizzato con intercalari in oro e con sfere in lapislazzuli – di qualità superiore – e in giada imperiale, delicatamente lavorata. Un oggetto di rara bellezza ma troppo costoso – diceva a se stessa la terrestre –, per una semplice scienziata della Federazione Stellare. Per convincere Ashley, restia ad accettare un regalo così magnifico, Ishar argomentava come, in primo luogo, quella collana sarebbe stata molto indicata con il colore blu notte dell’abito che la terrestre avrebbe indossato accompagnandola al palazzo del tjaty, e come, in aggiunta, risolvesse la questione della mancanza, da parte della terrestre, di gioielli personali.

Ishar aveva ormai vinto le ultime resistenze sull’acquisto, quando la voce di Milys, non accompagnata da alcun suono udibile dagli accompagnatori, risuonò nella mente della terrestre.

«Ashley, ti prego di ascoltarmi con attenzione…». La terrestre prontamente fece un cenno con le mani a Ishar che, pur attendendo una spiegazione, continuò a parlarle senza interrompersi, cosicché nessuno – all’infuori di loro due – si accorse di quanto stesse accadendo. Dopo una pausa, Milys continuò: «… Ho localizzato i segnali provenienti dai transponder dei due androidi, e ritengo che vi stiano osservando. La loro posizione corrisponde a una delle finestre poste al piano superiore della casa di fronte a voi! Dovresti informare subito Ishar. Conviene che entriate in un negozio, in modo da non insospettire gli androidi. Per mantenerti in comunicazione con me, devi solo tenere stretta nella mano la tua unità uptv, mentre parli. Il tipo di unità, che Grepx ha dato a te e a George, è in dotazione ai corpi d’élite, e serve anche da ricetrasmettitore». Per entrare nel negozio senza dare troppe spiegazioni, ad Ashley venne subito in mente una soluzione pratica. Così, prima ancora di accettare il dono – a seguito della cortese insistenza di Ishar –, la terrestre espresse il desiderio di guardarsi allo specchio, per vedere come la collana si sarebbe intonata con l’abito: un pretesto molto plausibile in quella situazione! Ashley entrò allora nel negozio, accompagnata dalla principessa e da Horem, mentre gli uomini del capitano, secondo una ben collaudata procedura, si disposero di lato all’entrata del piccolo esercizio commerciale, sorvegliando la strada e i anti. Tutto ciò, ovviamente, non avrebbe destato alcun sospetto agli occhi attenti degli androidi, che seguivano i movimenti delle due donne. Accedendo all’interno del piccolo negozio, il gioielliere capì che avrebbe concluso la vendita, cosicché, con i suoi modi rispettosi ma insistenti, non smise per un solo istante di elencare i molti pregi di quella magnifica collana. Sembrava – sosteneva il negoziante con aria convinta – che fosse stata disegnata su misura e lavorata esclusivamente per la bellezza di Ashley. Parole che, anche se interessate, erano in ogni caso ascoltate dalle due donne con gradimento. Tuttavia, appena entrata e chiusa la porta per nascondersi dalla vista di chi la stava osservando in quel momento, Ashley mutò tono improvvisamente e, con un gesto del volto, indicò a Horem di far zittire quell’uomo: ordine che fu eseguito all’istante. «Ishar, sono in contatto con Milys», disse Ashley senza alcun altro preambolo.

La principessa sapeva molto bene che le unità uptv usate dei terrestri erano in grado di funzionare come ricevitori di onde cerebrali, una tecnologia avanzata in uso presso i servizi segreti dell’Alleanza. Inoltre, lei si era subito accorta come la terrestre si fosse improvvisamente distratta, proprio nel momento cruciale per l’acquisto della collana; in effetti, aveva proprio immaginato che fosse stata contattata da Milys. Ishar non perse tempo, chiedendo spiegazioni, ma si dispose ad ascoltare quanto la sua giovane ospite era in procinto di esporle. «I due visitatori stranieri – che ben conosci – sono qui, e ci osservano da quella casa», continuò, evitando accuratamente di pronunciare il termine “androide”, di fronte al negoziante ma additando, nello stesso tempo, le finestre dell’abitazione localizzata da Milys. La casa, indicata da Ashley, fu prontamente riconosciuta da Horem come quella di uno zelatore di alto livello e molto vicino al tjaty! Il capitano reagì accompagnando il gioielliere nel suo ufficio, situato nel retrobottega, ordinandogli, con un tono perentorio, di restare là in attesa fino a quando lo avrebbe richiamato. Horem aveva compreso immediatamente la gravità della situazione e la necessità, pertanto, del segreto; cosicché il negoziante, impressionato da quanto stava accadendo e dai modi autoritari del capitano, si ammutolì e obbedì senza discutere. «Milys suggerisce di entrare in azione, e sorprendere quei due. Ecco come procedere!», riprese a dire la terrestre, «Se usassimo i disgregatori in modo da emettere solo impulsi elettromagnetici singoli, gli umani resterebbero illesi, mentre gli androidi andrebbero temporaneamente in stallo, e potremmo poi trasportarli da Milys. In base alle sue stime, infatti, noi dovremmo avere il tempo necessario per disattivarli e riattivarli, senza che lo spegnimento dei loro transponder sia scoperto dalla base androide su Arion; nonostante non sia per nulla ovvio che quest’ultima possa ricevere dei segnali provenienti da dispositivi all’interno di questa caverna». In quel momento, inoltre, la terrestre ignorava se la nave androide – da cui era stata a lungo inseguita – fosse anch’essa giunta su Arion. «Ashley, prega Milys di inviarci, sfruttando la tua unità uptv, una proiezione olografica tridimensionale della casa e dei suoi ingressi», chiese Ishar che, superata la sorpresa iniziale creatale dalla notizia, era già in procinto di elaborare un piano d’attacco assieme a Horem.

In quel frangente, fortunatamente, avevano uomini fidati e sperimentati nel compiere azioni, in cui la rapidità, la sorpresa e una precisa conoscenza dei luoghi costituivano gli elementi essenziali per la riuscita. Inoltre, gli uomini a disposizione di Horem avevano posto sotto controllo tutta l’area circostante il mercato già dall’inizio della mattinata, cosicché potevano spostarsi ed entrare in azione senza che la gente nelle strade affollate del suk si rendesse conto dell’operazione militare in corso. Alla fine, il piano previde la riattivazione dei trasponder androidi da parte di Horem, che, perciò, fu istruito da Milys in modo sommario ma adeguato allo scopo. Evidentemente, si accorse Ashley senza esserne troppo sorpresa, Horem era stato informato da Sird sulla presenza di androidi scientisti nella città sotterranea. Questo fatto mostrava quanto grande fosse l’affidamento riposto in lui: per sua esperienza personale, sapeva bene come la fiducia difficilmente fosse ottenuta ma facilmente persa. Richiamarono pertanto il negoziante, ordinandogli di proseguire a magnificare i suoi gioielli in vendita. La collana, indossata da Ashley, fu acquistata e consegnata al capitano con l’incarico di portarla a palazzo. Così facendo, le due donne intendevano mantenere l’attenzione dei due androidi su di esse distogliendoli, in tal modo, dai preparativi in atto per sorprenderli.

Horem, allontanatosi dal negozio con il monile, emise subito gli ordini necessari per l’azione. I tetti piani – sfruttati, dagli abitanti, come se fossero delle grandi terrazze all’aperto – da un lato concedevano un facile attraversamento, dall’altro avrebbero permesso, come quest’occasione necessitava, l’accesso alla casa sottostante. I suoi uomini, ando tra i tetti delle case, dettero inizialmente solo l’impressione di svolgere dall’alto l’attività di sorveglianza, atta a garantire l’usuale sicurezza della principessa e della sua ospite. In effetti, furono pochi i anti fra quelle affollate stradine ad accorgersi che le guardie stavano, in realtà, convergendo su una casa prospiciente la piazza del mercato. Milys, sapendo che gli uomini di Sird non erano abituati ad affrontare androidi – di cui, tranne Horem stesso, ignoravano la presenza nella città –, aveva omesso di metterli in guardia su un’altra eventualità. Milys era conscio, infatti, del fatto che i suoi simili – in quel momento, avversari – erano anch’essi dotati di sensori a infrarossi. Tuttavia, rivelatori di quel tipo, come lui ben sapeva, non sarebbero stati in grado di funzionare correttamente con tutte quelle sorgenti di calore diffuso, create sia dagli uomini affollanti il mercato sia dalla climatizzazione

della caverna. In quelle condizioni, infatti, la calura esterna non permetteva ai rivelatori per infrarossi di mettere bene a fuoco i dettagli riguardanti, ad esempio, l’atto di impugnare un disgregatore. L’azione si svolse come previsto. L’impulso d’energia emesso rese effettivamente gli androidi degli scientisti incapaci di qualsiasi reazione, disattivandoli all’istante. Gli uomini arono, poi, dalla porta di comunicazione, situata sul terrazzo, per entrare nella stanza che occupavano. Lì, Horem, dopo aver ordinato alle sue guardie di non osservarlo ma di perquisire, invece, la casa, riattivò i transponder. Al piano inferiore, si trovavano la moglie e l’unica figlia dello zelatore. Per lo stupore, entrambe restarono ammutolite, mentre le guardie reali le ammanettavano senza fornire la benché minima spiegazione. L’interrogatorio ebbe luogo immediatamente. Allora, la sorpresa iniziale creata in loro dall’irruzione delle guardie, terminò il suo effetto e le due donne si affrettarono, parlando spesso assieme, a spiegare come il marito dell’una e padre dell’altra fosse, in quell’istante, di servizio presso l’ingresso principale alla città. L’operazione poteva, così, dirsi terminata con successo. A quel punto, Horem, oramai ben informato sugli spostamenti dello zelatore, fece avvolgere i due androidi in lunghi tappeti. Poi, alcuni dei suoi uomini si accinsero a trasportarli a palazzo, trattandoli come dei semplici e normali acquisti effettuati su ordine della principessa. Nel frattempo, lui e altre quattro guardie si prepararono ad attendere pazientemente lo zelatore che, stando alle due donne, sarebbe rincasato prima di mezzogiorno, una volta completato il suo turno di servizio. Camuffati con gli abiti degli androidi catturati, due dei suoi uomini si misero al piano superiore emulando, a beneficio di chi giungesse alla casa, la situazione antecedente l’irruzione. L’attesa terminò alla fine della mattinata, quando un aiutante dello zelatore si presentò alla porta di casa: aveva, infatti, il compito di informare la moglie che suo marito non sarebbe arrivato per pranzo, ma si sarebbe direttamente recato dal tjaty. Troppi erano, infatti, i preparativi incombenti e i compiti da svolgere per la cerimonia serale.

«Ashley, puoi informare Ishar che l’operazione è conclusa con successo. Non abbiamo incontrato nessuna vera difficoltà», trasmise Milys attraverso l’uptv, per poi continuare: «i due androidi disattivati sono già arrivati a palazzo, e mi

occuperò di loro con Grepx. Ti ricontatto solo se necessario». La principessa – accompagnata dalla terrestre – riprese allora a muoversi attraverso le strade del mercato, comportandosi come se nulla di particolare fosse accaduto, e l’unica occupazione consistesse realmente nel fare acquisti. Da parte sua, il mercante – al quale era stato impartito l’ordine di non comunicare a nessuno l’accaduto – assunse un’apparenza di normalità, pronto a trattare con nuovi acquirenti. Chiunque avesse avuto il compito di osservare la principessa, avrebbe solo riferito al tjaty che nessun evento particolare era da segnalare per quella mattinata. Forse, la principessa aveva un po’ esagerato negli acquisti perché, oltre alla costosa collana – dono per la sua amica –, dei tappeti alquanto grandi erano stati comprati e trasportati a palazzo.

*

Dopo la difficile navigazione nei campi di radiazione, la navetta con i due androidi a bordo si preparò ad allunare sulla faccia visibile, in una delle lune di Arion. Costoro non erano a conoscenza se la nave con Grepx e Milys fosse già ripartita dal pianeta, ma dovevano eseguire quanto era stato programmato per loro. Spensero i motori e, dopo aver ricevuto da Arion la risposta prevista alla segnalazione del loro arrivo, entrambi iniziarono la procedura d’autospegnimento. Fu così che la navetta e il suo equipaggio immobilizzato giacquero, illuminati dal possente sole, attorno al quale orbitava il pianeta, e con solo un piccolo radiofaro attivato. In quel luogo, privo di ogni forma di vita, la mancanza dell’atmosfera rendeva spettrale il silenzio, mentre il tempo sembrava essersi arrestato.

Prima ancora dell’allunaggio, un veicolo da trasporto aveva già attivato lo schermo anti-gravitazionale levandosi dal pianeta in direzione di quel piccolo mondo orbitante. L’attenzione degli androidi ai comandi era stata, fino a quel

momento, tutta concentrata sulle questioni interne riguardanti Arion. Tuttavia, l’arrivo nel loro settore di quella navetta aveva materializzato la possibilità di essere coinvolti in un’operazione scientista della massima priorità. Loro, come del resto anche gli androidi disattivatisi sulla luna, ignoravano del tutto che, a loro insaputa, quasi un giorno prima sul pianeta era atterrato il mezzo spaziale – proveniente da NC-T-GS-01 –, al quale gli scientisti davano la caccia. Il radiofaro condusse con precisione il veicolo da trasporto all’appuntamento con l’astronave. Alcuni degli androidi, appena giunti, rimpiazzarono il vecchio equipaggio ai comandi della navetta. Altri recuperarono con cura quelli che si erano auto disattivati e che, nel futuro, sarebbero stati trasportati in una base operativa degli scientisti maggiormente attrezzata, dove si sarebbe tentato il recupero delle informazioni contenute nelle loro memorie. Terminate le operazioni sulla luna, la navetta, governata dal nuovo equipaggio, decollò con l’intento di porsi in orbita attorno ad Arion. I danni subiti dal mezzo spaziale avrebbero ben giustificato – presso i male organizzati centri di controllo spaziale del pianeta – il posizionamento in orbita, in modo da facilitare l’avvicendarsi dei trasporti provenienti da Arion, permettendo così le riparazioni. Avrebbero, indubbiamente, tralasciato di fornire il dettaglio riguardante la completa sostituzione dell’equipaggio.

Ancora non erano trascorse settantadue ore dall’allunaggio e dall’autospegnimento degli androidi, quando la nave, nuovamente operativa, si era collocata in un’orbita quasi polare, con una distanza massima inferiore a circa un migliaio di chilometri dalla superficie di Arion. Tuttavia in quelle circostanze, per quanto fosse importante la missione dei due androidi infiltrati tra la popolazione della città sotterranea, la localizzazione dei loro transponder non era una delle priorità per il vascello orbitante. Pertanto, l’assenza di quei segnali – quando ciò accadde – fu attribuita, erroneamente, alla possibile schermatura della roccia e, perciò, tale da non richiedere un’indagine più approfondita. Per quanto instancabili e dotati di una capacità operativa superiore a quella umana, gli androidi mancavano di un elemento essenziale che permettesse loro di far combaciare pochi pezzi di un mosaico anche se distanti: l’intuizione! Costoro, alla fine, per quanto perfezionati non potevano far conto su ciò di cui gli uomini erano dotati naturalmente, permettendo agli esseri umani di giungere al nocciolo di una questione partendo dalle poche, spesso disorganizzate, informazioni

disponibili. La disattivazione dei due androidi non venne, pertanto, identificata e percepita come un reale ostacolo ai piani degli scientisti, dando in tal modo un inizialmente piccolo ma ben rilevante vantaggio ai fuggitivi. Il successo dell’Alleanza in quella guerra non dichiarata e senza quartiere sarebbe dipeso anche da accadimenti di questo tipo.

*

Il laboratorio in cui gli uomini di Horem avevano trasportato i due androidi disattivati, era ben equipaggiato ma Milys notò come non fosse disponibile tutta l’attrezzatura necessaria per esaminare i loro banchi di memoria in modo esauriente. Fatto, quest’ultimo, molto evidente a George e Grepx che assistevano attenti ma inoperosi alle operazioni di Milys. Tuttavia, fortunatamente per i fuggiaschi, lo specialista scientifico non-umano era egli stesso dotato dei piccoli utensili in grado di accedere alle memorie centrali dei suoi simili e dei relativi codici di lettura. Alla fine, nonostante le condizioni precarie in cui stava operando, Milys sarebbe venuto a capo della questione. I due umani non si sorpresero, perciò, dall’essere chiamati dopo alcune ore: «Grepx, ormai ci siamo! Ho estratto da questi androidi le informazioni che ci servono. Tra l’altro – tutto ciò è di estrema importanza –, sono stato in grado di isolare la zona di memoria in cui la programmazione originale è stata modificata a beneficio degli scientisti. Con un po’ di lavoro aggiuntivo, è molto probabile che, per entrambi gli androidi, sia in grado di impedire al sistema operativo di utilizzare nuovamente quella parte della memoria, e, pertanto, di evitare che siano controllati!». «Conoscere tutti i sistemi di condizionamento previsti dagli scientisti è di fondamentale importanza per ripristinare il codice originale. Avrei bisogno di molto più tempo – quantunque non creda di disporlo – per esaminare le variazioni apportate. Non resta che mantenere questi androidi disattivati, senza cancellare il codice modificato. Sird dovrà custodirli fino a quando non saremo in grado di inviare una spedizione su Arion per recuperarli», spiegò Milys, pacatamente, senza mostrare alcun coinvolgimento emotivo.

«… Anche se solo a conferma di quanto avevamo supposto, ciò che sono venuto a sapere non vi piacerà per niente», continuò dopo una breve pausa, «gli scientisti sono sulle nostre tracce. L’arrivo della navetta, che ci inseguiva, era previsto avvenire non oltre due giorni fa su una delle lune! Queste sono le informazioni più recenti che ho scoperto e che ci riguardano direttamente. A questo punto abbiamo un margine ridotto di tempo prima di partire per attraversare il deserto ma, fatto positivo, questi due sono i soli androidi presenti in città e provengono da Friam; inoltre, nessun altro androide ha messo piede nella città in precedenza». Nella serata, secondo i piani già definiti, avrebbero neutralizzato il tjaty impedendogli, di conseguenza, di prendere contatto con il nucleo operativo degli scientisti situato a Friam. Tuttavia, l’attraversamento del temibile erg di Arion avrebbe dovuto essere iniziato, non dopo il sorgere del sole. Cosicché durante il pomeriggio, mentre Grepx e Milys avrebbero completato i rifornimenti del loro veicolo, Ashley – che nel frattempo li aveva raggiunti – e George avrebbero elaborato un modo per giungere dentro la stanza segreta nel palazzo del tjaty, proprio durante la cerimonia serale. Alla fine, il piano, basato fino a quell’istante sulle poche informazioni raccolte riguardanti i sistemi di sorveglianza nel palazzo del tjaty, non poteva essere molto preciso e necessariamente comprendeva, come parti integranti, l’improvvisazione e la sorpresa.

Nella città, la serata si annunciava tranquilla ma leggermente afosa. L’illuminazione proveniente dai diffusori era stata via via attenuata, emulando così il sorgere del crepuscolo che, in quel momento, si andava già estendendo sul deserto. Le luci del palazzo reale, e quello del tjaty a esso contiguo – quasi una sua estensione –, erano accese. Nell’ingresso, anche se spazioso, si affollavano gli invitati, che attendevano l’arrivo dei regnanti alla cerimonia. Nulla, in quell’atmosfera formale e festosa, che si percepiva tra la gente presente, lasciava presagire il complotto e il tradimento. Pur tuttavia, scavando nelle profondità dell’animo umano, si può scoprire come questo riesca ad albergare, nel suo intimo, sentimenti contrastanti, avendo la capacità di giustificarli, a volte, con parole nobili ma false. Cosicché, come una bussola potrebbe sembrare indicare

ancora il nord magnetico, anche quando questa direzione fosse resa falsa dalla presenza di un magnete nelle vicinanze, talvolta alcuni discorsi molto elevati nascondono ambizioni ben meno nobili. Tra i saluti rispettosi dei convenuti, Sird entrò nel palazzo del tjaty accompagnato dalla sorella e dai due ospiti, provenienti da Isis. L’evidente amicizia tra la terrestre e Ishar suscitava commenti positivi, che facilmente potevano essere captati anche da un osservatore non troppo attento. In aggiunta, la bellezza di Ashley, esaltata dalla collana acquistata e donatale dalla principessa nella mattinata, faceva breccia nel pubblico attirando su di sé gli sguardi e distogliendoli, nello stesso tempo, da George il quale, essendo meno osservato, sarebbe stato poi maggiormente libero di agire. Sird portava la corona più semplice tra quelle con cui era solito comparire in pubblico. Infatti, il sovrano recava posto sul suo capo un semplice ma splendido diadema, a testimoniare come a lui spettasse di regnare sulla città e sulle terre desertiche. Sulla corona, il corpo sinuoso dell’ureo costituiva la parte superiore, mentre la testa era situata in corrispondenza della fronte. L’ureo reale rappresentava la forza del re e lo difendeva dai suoi nemici. Due elementi in oro pendevano, infine, nella parte posteriore.

All’inizio della cerimonia del consenso, la folla di dignitari, smaniosi di essere notati, permise senza troppe difficoltà a entrambi i terrestri di spostarsi in una fila secondaria, poco visibile, alle spalle dei sovrani. Il tjaty, posto al centro di fronte al sovrano, declamava – falsamente – l’onestà con la quale il regno era stato amministrato e la prosperità che si delineava per la popolazione. Sird ascoltava senza commentare. Mentre la cerimonia, secondo le antiche usanze, continuava con il suo lento procedere, i terrestri si nascosero viepiù tra la folla, e Horem individuò lo zelatore nella cui casa si erano nascosti gli androidi. Costui – capì subito il capitano – non era ancora a conoscenza della loro cattura, avvenuta durante la mattinata. Cosicché, con il pretesto di recargli un ordine diretto del tjaty, le guardie del sovrano lo scortarono verso l’interno della casa per poi, lontani da sguardi indiscreti, prenderlo in custodia: senza nessuna formalità era stato arrestato! Il primo e più semplice o del piano previsto per quella serata era stato compiuto.

Fu allora che Ashley si mosse assieme a George per scomparire all’interno della costruzione e seguire il percorso, tracciato da Milys, che conduceva ai sotterranei. Disponevano, forse, di un’ora abbondante prima che i seguaci del tjaty, distratti com’erano dalla cerimonia, si rendessero conto di quanto stava accadendo a loro danno. Se questo tempo fosse o no sufficiente per trovare la stanza segreta e perquisirla a fondo, era impossibile da stabilire in quel momento, ma costituiva uno degli elementi aleatori, in cui la buona sorte avrebbe avuto un ruolo decisivo per il successo dell’azione in corso. Nonostante gli abiti eleganti fossero poco pratici, i terrestri si mossero speditamente. Non avevano percorso che un intero corridoio posto sullo stesso piano della sala della cerimonia, quando la voce dell’androide risuonò nella loro mente: «Dovete scendere di due livelli, lì troverete un corridoio. Seguitelo, perché vi porterà sopra la stanza che cerchiamo». «Grazie Milys, hai un’idea di cosa dobbiamo aspettarci?», chiese George, scendendo una scala scarsamente illuminata. «Questi luoghi non sembrano molto frequentati, anche se mostrano tracce di lavori e aggi recenti. Dovremmo sicuramente trovare qualche altro indizio!». Non fece in tempo a terminare la frase quando, girato un angolo, Ashley attirò la sua attenzione su un corridoio che si apriva al termine di una scala posta sul loro lato sinistro. Riusciva a scorgere, in effetti, come quel aggio fosse stranamente tronco, inoltrandosi di poco oltre la scala stessa. «Da che parte dobbiamo andare secondo te?», domandò Ashley a Milys, attraverso l’uptv. «Scendete la scala alla vostra sinistra», fu la risposta. «Esattamente quello che immaginavo. Sulla sinistra, noto un piccolo vano che culmina in una parete terminale. Qui sopra, il corridoio prosegue, e vedo altre porte su entrambi i lati». «Da questo istante», riprese a dire l’androide, «…non sono più in grado di guidarvi. Sta a voi trovare il meccanismo d’apertura: la stanza è situata là davanti, dove si trova la parete di cui parlavate!».

«Grazie per l’aiuto e l’incoraggiamento!» ribatté Ashley con un tono ironico nella voce. «Scusami Ashley, ma non capisco: posso aiutarti in qualche altro modo?». Il tono piano – forse piatto – di Milys fece sorridere la giovane donna, che terminò esclamando: «Qualche volta, Milys, quando parli, mi sembra di sentire George! Ah, voi uomini!», accomunando, in tal modo, il suo compagno terrestre all’androide! George – completamente assorto nell’esame della parete terminale – non si scompose, abituato com’era e quelle punzecchiature di Ashley. Il suo sguardo attento esaminava la superficie cercando segni di usura, conscio che il tempo disponibile era ridotto. Alla fine, lo sforzo fu premiato: un riflesso di luce gli fece notare due piccole sporgenze metalliche. Erano, infatti, due cilindretti di alcuni centimetri d’altezza con un diametro di poco inferiore a uno. Quale dei due doveva premere? Intuì, senza una vera motivazione logica, che andavano premuti entrambi contemporaneamente; forse, si disse, schiacciare uno solo dei due avrebbe fatto scattare un allarme, in qualche remota parte del palazzo. Compiuta l’operazione, la parete scivolò lateralmente, mentre una luce intensa illuminò una scala, posta internamente, che permetteva di scendere verso un nuovo livello. «Ci siamo Milys, abbiamo trovato l’accesso al piano inferiore che stiamo cercando! Noi scendiamo», fu il commento trasmesso all’androide mentre, superata la porta, nel vano d’ingresso adocchiarono altri due cilindri simili ai precedenti. Li premettero e videro la parete scorrere nuovamente per chiudere l’apertura dietro di loro. Fu solo allora che si accorsero, scorgendo i loro volti proiettati su uno schermo, di aver sicuramente attivato un sistema di videosorveglianza. «Siamo nei guai», comunicò George: «una videocamera riprende le nostre immagini. Sei in grado di localizzare la centrale di sorveglianza? Chiedi a Horem di intervenire, prima che ci arrivino addosso!» «Il tjaty e gli zelatori di alto grado, suoi adepti, saranno tutti alla presenza di Sird, e perciò chiunque riceverà l’allarme non potrà comunque prendere decisioni rapide. Inoltre, se riconoscessero Ashley, saprebbero, altresì, che è un’amica personale della principessa. Non potranno prendere decisioni prima di

informare personalmente il tjaty, ma sarà difficile che riescano a parlare con lui durante la cerimonia, e per di più mentre il loro capo si troverà di fronte a Sird. Ci servirà, in ogni caso, l’aiuto di Horem! Ci resta ancora qualche asso nella manica da poter giocare!», replicò Milys con quel suo solito tono calmo che non faceva trasparire nessuna emozione, ma, tuttavia, usando delle espressioni cariche di significato tipicamente umane. Discesero allora i pochi gradini che terminavano di fronte ad un sistema metallico di chiusura. Al loro accostarsi la porta si aprì silenziosamente, permettendo l’accesso al luogo che cercavano. Milys nel frattempo, seguendo le istruzioni di George, prese contatto con Horem utilizzando un canale criptato di comunicazione, informandolo così sull’evolversi della situazione nei sotterranei. L’androide stesso, a sua volta, aveva captato dei segnali emessi in sincronia all’apertura della porta scorrevole. Quella comunicazione non avveniva via cavo, e probabilmente era diretta al tjaty, il quale – data la circostanza – non poteva, fortunatamente, essere in grado di prendere decisioni operative. Forse, un’altra persona molto fidata avrebbe potuto ricevere la stessa comunicazione: Milys riteneva, infatti, che fossero due i canali di comunicazione attivati. Con buona probabilità, costui doveva essere lo zelatore nella cui casa i due androidi erano stati catturati. La conferma arrivò da Horem. I suoi uomini accanto allo zelatore, che era sotto la loro custodia, avevano notato l’attivarsi improvviso – anche se quasi impercettibile – del bracciale destro dell’uomo. Lo zelatore, perplesso sul modo di comportarsi, aveva ignorato inizialmente l’allarme, facendo finta di non accorgersi della leggera vibrazione, ma subito dopo si era tradito concentrando lo sguardo sull’avambraccio, che aveva mosso verso di sé involontariamente. Un disgregatore, usato in modo che emettesse la potenza minima, fu fatto funzionare con precisione, tramortendolo, e, così, immobilizzando completamente lo zelatore. Poi, mentre l’attenzione di tutti si accentrava sui commenti di Sird all’esposizione del tjaty, le guardie condussero il funzionario al palazzo reale, consegnandolo nelle mani di Grepx e Milys. L’informazione che tutto era sotto controllo fu, quindi, subito trasmessa da Horem a Milys, e poi dall’androide ai terrestri. Tuttavia poco prima, mentre portavano via di peso lo zelatore – fidato servitore del tjaty –, gli uomini di Horem si erano accorti che suo figlio li stava

osservando. Rekh, questo era il suo nome, non era parte della cospirazione, ma era comunque sufficientemente al corrente di come suo padre avesse intrapreso una strada in cui la lealtà verso la casa regnante era stata seriamente posta in discussione. Il ragazzo, preso com’era dal rispetto verso il padre, non aveva mai voluto verificare la fondatezza dei suoi sospetti. L’arresto di quello zelatore – uno stretto collaboratore del padre – gli aveva fatto così comprendere che il confine del lecito era stato ormai abbondantemente superato dal genitore. Tuttavia, non era per nulla disposto e schierarsi contro di lui. Rimase perciò a osservare quanto stava accadendo, senza prendere una decisione su cosa fare e come comportarsi in quella circostanza. Nel frattempo, la relazione del tjaty continuava a essere esposta a Sird, nel silenzio dell’uditorio e di fronte a Horem, che assisteva con il volto imibile e rivolto al sovrano; mentre in una piccola anticamera, poco distante dalla sala in cui si svolgeva la cerimonia, altre guardie attendevano il ritorno dei terrestri dalla loro visita nei sotterranei del palazzo alla fruttuosa ricerca della stanza segreta.

Capitolo 7: La Stanza Segreta

Bastò poco a George per rendersi conto di come quella stanza nulla avesse a che fare con gli scientisti; piuttosto, quell’ambiente aveva tutta l’apparenza di un centro operativo ben attrezzato, evidentemente utilizzato dal tjaty da molto tempo prima che i due androidi entrassero nella città sotterranea. Gli schermi di sorveglianza, in effetti, mostravano il via vai di persone e di merci in diversi snodi strategici del regno e, persino, in località attraversate da piste nel deserto. A prima vista, l’impressione fatta sui terrestri e comunicata immediatamente a Milys utilizzando l’unità uptv, fu che quel sistema di controllo permettesse al tjaty di monitorare, in modo capillare, l’insieme dei transiti dalle frontiere e delle attività commerciali in tutto il regno. La presenza di un tale sistema di videotrasmissione complesso e particolareggiato lasciava di per sé subodorare che molti tra gli zelatori fossero parte integrante di una cospirazione ordita dal tjaty. Costui – i terrestri sospettavano – era riuscito a costruire una sua organizzazione e gerarchia, del tutto indipendenti da quelle ufficiali, costituenti l’apparato amministrativo del regno. Questa struttura parallela e molto potente possedeva vie esclusive di comunicazioni e di scambio di informazioni, poste al di fuori del legittimo controllo reale. «Ashley! Il nostro amico, il tjaty, sta da qualche tempo facendo solo gli affari suoi e, a mio avviso, degli scientisti se ne infischia!», commentò George ad alta voce, volgendo lo sguardo alla sua compagna, proprio mentre lei stava cercando di avere accesso ai codici che gestiscono il sistema per le comunicazioni. «Sono pienamente d’accordo!», disse, quasi meccanicamente, tenendo lo sguardo fisso alle immagini, che continuavano a scorrere sugli schermi. «Dovresti lasciarmi lavorare tranquilla! Non riuscirò a violare le procedure d’ingresso nel sistema nei pochi minuti che abbiamo a disposizione! In aggiunta, se commetto errori, rischio di attivare qualche protezione del codice contro le intrusioni. Non sarei in grado di valutarne le conseguenze, ma so bene che sono da evitarsi!».

Poi, rivolgendosi a Milys con l’unità uptv stretta in mano, continuò «Devi dire a Horem di mandare una squadra per esaminare la stanza! Qui dentro tutto lascia supporre come, nei piani del tjaty, senz’altro rientrasse il rovesciamento dell’attuale casa regnante, ma anche che gli scientisti sarebbero solo un tassello di scarsa importanza per la sua strategia attuale». «Suggeriscigli», riprese a dire la terrestre, «di predisporre – dopo essersi impossessato di questa stanza – un sistema di comunicazioni diretto con te, cosicché anche da distanza tu possa esaminare il materiale e i codici di programmazione che gestiscono il sistema di controllo. Prima, in ogni caso, Horem deve arrestare il tjaty e farlo portare al palazzo. Se ci sfuggisse, potrebbe provocare danni incalcolabili, allertando i suoi seguaci». «Mi stupisco un po’…», proseguì a dire Ashley, alquanto corrucciata, mentre continuava la conversazione con Milys, «di non trovare informazioni sui rapporti tra il tjaty e gli androidi. La mia impressione conferma ciò che tu hai scoperto esaminando le loro memorie, ossia come i due androidi fossero nuovi in città. Questo fatto spiegherebbe anche la relativa facilità con cui li abbiamo catturati in casa dello zelatore senza che il tjaty ne fosse subito messo al corrente: non erano ancora diventati pedine importanti nello scacchiere della sua congiura! In ogni caso, gli androidi anche se non erano qui per noi, alla fine, avrebbero potuto scoprirci!». «Milys, dobbiamo sicuramente aiutare Sird…», continuò dopo alcuni secondi, «La situazione nella città sembra essere ben più compromessa di quanto immaginassimo soltanto ieri sera». Poi, Ashley si voltò verso George che le stava facendo segno di seguirlo per uscire dalla stanza. «Devo fare altro qui all’interno di questa stanza?», chiese ancora all’androide. «No, non mi pare. Adesso è necessario che Horem s’impossessi della stanza. Poi, assieme a Sird vedremo come sia meglio procedere. Intanto, procuriamoci altre informazioni utili direttamente dal tjaty ma, ribadisco, per fare questo dobbiamo arrestarlo e portarlo a palazzo», commentò Milys, per poi aggiungere «… I due androidi erano già stati informati del nostro possibile, o probabile, arrivo su Arion. La navetta che ci inseguiva, sebbene danneggiata a causa della radiazione, è anch’essa arrivata su una delle lune. Nonostante ciò, nessuna

informazione è stata ancora trasmessa agli scientisti. Non hanno agito per informarli, solo perché le istruzioni ricevute su come comportarsi in questa circostanza, non erano sufficientemente ben definite. Voi umani, a differenza di noi androidi, sapete decidere, anche quando manchino procedure prestabilite!». «Grazie per il complimento a nome degli umani: detto da te mi lusinga! Se permetti, riferisco a George le tue parole...», chiosò Ashley, alla quale il terrestre – fino a quel momento silenzioso – rispose: «Dobbiamo tornare di sopra. Il tjaty terminerà la sua prolusione a momenti! Sird non potrà discutere con lui troppo a lungo in pubblico, violando così in modo troppo evidente la tradizione. La gente potrebbe cominciare a porsi delle domande, i sospetti nascerebbero, e quindi, anche il tjaty si potrebbe mettere in allarme». «Andiamocene! La nostra missione quaggiù è stata portata a termine! Milys sa cosa deve fare adesso», finì di dire Ashley, muovendosi assieme a George verso l’uscita. I due terrestri, uscendo, schiacciarono nuovamente i cilindretti per far scattare la chiusura della parete. In quell’istante, com’era già avvenuto in precedenza, i bracciali del tjaty e dello zelatore vibrarono, pur tuttavia, entrambi non furono in grado di reagire. Il primo, infatti, dopo aver terminato la sua relazione, era tutto concentrato ad ascoltare il sovrano che commentava il suo lavoro. In realtà, sotto una maschera inespressiva stampata sul volto, nella mente di Ay si agitava un turbinio di ipotesi, che accentuavano il senso di insicurezza balenato improvvisamente in lui, da quando aveva notato la scomparsa del suo fidato zelatore. Sapeva bene che non era consono al carattere del suo servitore scomparire in quei frangenti e, quindi, immaginò che avesse un motivo ben valido – ma quale? – per lasciare la sala. In effetti, lo zelatore era ormai arrivato al cospetto di Grepx e Milys i quali, notando l’attivarsi del bracciale, lo tolsero dal braccio dell’uomo, per poi osservare l’uscita dei terrestri dalla stanza, e il successivo chiudersi della parete. La prima parte dell’operazione poteva dirsi conclusa senza eccessivi problemi. Spettava ancora il compito di arrestare il tjaty, e portarlo al palazzo reale, evitando di generare allarmismi. Su questo rifletteva Grepx, mentre si spegneva il piccolo schermo nel quale svaniva quell’ultima immagine di Ashley e George, in allontanamento dalla stanza, un tempo, segreta.

I due terrestri, giunti nella piccola e discosta anticamera del salone, furono attorniati dal drappello di guardie in attesa, secondo gli ordini impartiti da Horem. Non occorse molto tempo per istruirli su dove trovare, e come entrare nella stanza, da cui stavano provenendo, e, subito dopo, per ordinare a loro di presidiarla in attesa di rinforzi. Poi, come se nulla fosse successo, insieme rientrarono nel salone e, scambiato un cenno d’intesa con Horem, entrambi si posero avanti a lui, direttamente alle spalle di Ishar. Sird, notando il loro arrivo, si affrettò a terminare i commenti su quanto era stato svolto dal tjaty con un invito: «Mio stimato tjaty, il tuo operato dimostra, ancora una volta, una grande intraprendenza e merita il mio plauso. Questa notte, la tua presenza da noi a palazzo sarà di grande utilità per onorare questi nostri ospiti e amici provenienti da Isis». Poi, indicando Ashley e George, ordinò «Che una scorta d’onore sia preparata per i nostri amici e il nostro amatissimo Ay, tjaty del nostro regno!». Udito il comando, Horem inviò otto dei suoi uomini a scortare il tjaty e i due terrestri i quali, senza scomporsi, si affrettarono ad affiancarsi al ministro. «Mi sento in trappola!», rifletté il tjaty, rendendosi conto di non avere alcuna possibilità di rifiutare l’invito, e che la scorta “d’onore” concessagli pareva, piuttosto, quella costituita per accompagnare un prigioniero. Solo la presenza di queste due persone – a lui del tutto sconosciute sebbene anch’esse scortate – evitava l’apparenza di un arresto in pubblico. A quel punto, si rese conto, pur essendo ormai troppo tardi, di come le vibrazioni percepite dal suo visore portatile stessero molto probabilmente a indicare che la cospirazione era stata scoperta e che, pertanto, il suo centro di controllo segreto non era più da considerarsi tale. Il tjaty, per quanto scioccato, riusciva ancora a ragionare freddamente e non era, effettivamente, distante dal cogliere il nocciolo della situazione. Infatti, in quello stesso momento gli uomini di Horem già presidiavano il luogo da cui, per anni, aveva gestito, accrescendolo, il suo potere personale: la cospirazione lungamente preparata era ormai compromessa in modo irreparabile! Mentre, una volta uscito dal suo palazzo, procedeva verso quello reale, il tjaty accettò l’idea del proprio arresto. Cercò, dapprima, di comprendere se avesse

una via di fuga. Tuttavia, l’atteggiamento imibile degli uomini armati e dei due terrestri al suo fianco non dava adito ad alcuna speranza di potersi dileguare, senza essere subito ripreso. Così, senza resistenza, compì il breve tratto di strada che separava i due palazzi.

*

Durante lo svolgersi rapido dell’azione sfociata nell’arresto dello zelatore, stretto collaboratore dello stesso tjaty, Rekh, figlio di quest’ultimo, era stato del tutto ignorato. Costui non era direttamente collegato alla cospirazione ma – con il succedersi degli eventi – rimase profondamente scioccato da quanto vedeva accadere di fronte ai suoi occhi durante quella che avrebbe dovuto essere una cerimonia testimoniante il buono svolgimento delle mansioni governative da parte di suo padre. Infatti, dapprima si era accorto che uno zelatore era stato stordito e trasportato via di peso; in seguito, aveva subito notato come la scorta fosse stata formata non tanto per tributare un onore al padre ma, piuttosto, per evitarne la fuga. Il suo mondo – e con questo le sue certezze – si stava rapidamente sgretolando e senza alcun preavviso! Decise, pertanto, che fosse giunta ormai l’ora di dileguarsi. Approfittò del fatto che nessuno lo stesse osservando per precipitarsi nella sua stanza. Là preparò un bagaglio ridotto alle cose essenziali ma necessarie per spostarsi in quel deserto che si estendeva per centinaia di chilometri al di fuori della città. Sapeva bene che una tuta da deserto, dei viveri e una buona provvista d’acqua erano da sempre stipati su un piccolo veicolo a sua disposizione, pronto per ogni evenienza, e completo di carburante e mezzi di comunicazione. Dopodiché – uscito dalla sua stanza –, nel recarsi verso il veicolo ò accidentalmente dallo studio del padre. Non aveva alcuna intenzione di fermarvisi, pur tuttavia, dentro di sé avvertiva un senso di nostalgia per quei luoghi in cui aveva trascorso tutta la sua vita sino allora, e che voleva rivedere – quasi per un ultimo saluto – prima di andarsene. Là, posto sulla scrivania, notò uno strano apparecchio – simile a un videotelefono – ma di fabbricazione estranea ad Arion. Istintivamente lo raccolse, pensando di comprenderne la

funzione in seguito: il tragitto nel deserto, infatti, non sarebbe stato breve. In quella traversata solitaria, orbene, non sarebbe mancato il tempo necessario per capire l’uso di quello strano oggetto; inoltre, soprattutto, avrebbe avuto modo di riordinare le sue idee, parecchio confuse in quell’istante, su quanto era accaduto nella serata. Poi, andò con o spedito verso il veicolo mentre, a ogni istante, temeva di veder comparire gli uomini della guardia reale per catturarlo. A Rekh sembrò che il tempo scorresse a rilento, per la verità, troppo lentamente. Senza correre, atto al quale si sentiva spinto dalla paura che lo andava viepiù attanagliando, scese le scale conducenti alla rimessa interna. Salì sul mezzo di trasporto, lì in attesa, e lo avviò. Una volta partito, si diresse a bassa velocità verso la porta della città sotterranea, stupendosi del sangue freddo che esibiva, anche se a solo beneficio di se stesso. In seguito –si ripeté più volte –, avrebbe cercato di sapere le motivazioni di quanto stava capitando al padre. Inconsciamente, Rekh aveva intuito come una fuga immediata avrebbe potuto contare su maggiori probabilità di successo: ebbe ragione! Nessuno, in effetti, si preoccupò di lui in quei momenti; al contrario, in seguito, tutto sarebbe stato più arduo, e avrebbe richiesto una preparazione ben maggiore. Horem, infatti, non aveva bloccato l’uscita dalla città per evitare di mettere in allarme gli zelatori di turno, potenzialmente membri della cospirazione: dovevano, innanzitutto, far parlare il tjaty, prima di poter procedere con altre azioni. Pertanto alla porta della città, dove non erano giunte istruzioni di eseguire controlli particolari, lo zelatore e le guardie lo salutarono con il rispetto dovuto al figlio del tjaty: nessuno, quella notte, gli impedì di andarsene. Rekh così, senza dare spiegazioni ma con solo un rapido cenno di saluto, uscì e si avventurò verso l’esterno per addentrarsi nell’erg, anche se non aveva bene in mente quale fosse la direzione da prendere. In quel momento, per lui era solo importante allontanarsi dalla città. Intanto, la sera era ormai sconfinata nella notte, illuminata dalla luce riflessa proveniente dalle lune del pianeta. Nel deserto, l’aria era fresca – quasi fredda – a quell’ora. Era, perciò, ben lontano quel caldo in grado di togliere qualsiasi forza a chi non vi fosse nato e cresciuto. Evitò di aumentare la velocità mantenendo, così, al minimo il consumo di carburante. Sapeva, infatti, di poter contare solo su quanto fosse disponibile nel suo piccolo veicolo. Andò inizialmente verso nord, ma si convinse che avrebbe dovuto, poi, fare rotta verso est.

*

Nel palazzo reale, lo zelatore si era ormai ripreso dallo stordimento dovuto all’impulso sparato dal disgregatore, scoprì allora di trovarsi accanto ad Ay, e avere di fronte a sé Sird, al cui fianco si trovavano, oltre ad Horem, anche la sorella e quattro persone, delle quali conosceva di vista solo due. Il tjaty e lo zelatore, nelle evidenti vesti d’imputati, nel proprio intimo avvertivano il crescere di un profondo sentimento di sconforto, travalicante sempre più nel terrore. Si rendevano ormai conto di essere ati da una posizione di prestigio e di onore a quella di traditori, ai quali la tradizione del regno riservava la condanna a morte senza un processo pubblico. Il processo e la condanna – data per certa – erano esclusivamente nelle mani del re. Anche il modo con cui eseguire la sentenza sarebbe stato deciso dal sovrano. Pur tuttavia, qualsiasi fosse il modo prescelto per l’esecuzione, esso sarebbe stato orribile, e tale – questo era lo scopo – da incutere angoscia in chiunque fosse ibile della condanna. Nel processo per tradimento, che si sarebbe dovuto svolgere rapidamente e segretamente, al capo delle guardie – Horem in quella circostanza – competeva l’accusa. Gli accusati si dovevano difendere da soli di fronte al re, loro giudice. La sentenza era non appellabile, la pena decisa all’istante e l’esecuzione immediata. Con questa prospettiva e data la presenza di Horem in quella stanza, entrambi gli imputati sapevano di essere già sotto processo. Erano consci di come la base operativa della cospirazione, situata nella stanza segreta, fosse ormai definitivamente nelle mani di Sird: con la disponibilità di quelle prove, non sarebbero sfuggiti alla condanna a morte, logica conseguenza delle loro scellerate azioni. Negli anni ati, durante i quali avevano cospirato contro il loro re, la paura di una morte tra sofferenze inaudibili era stata da loro percepita soltanto come una remota possibilità, ossia, quasi un rischio accettabile da correre; in quel momento, invece, la prospettiva concreta della condanna li faceva impallidire e tremare sempre più. Al posto di difendersi, si gettarono supplicando ai piedi di quel sovrano al quale loro stessi non avrebbero risparmiato la vita, in caso di trionfo della cospirazione che avrebbe conferito a loro il potere sulla città. arono così diversi minuti a pregare il loro sovrano umilmente, invocandolo

di non emanare la terribile sentenza di morte che di certo li attendeva. Mentre tutte quelle suppliche a momenti impedivano a Horem di formulare le accuse, George, che stava assistendo a quella scena priva di qualsiasi dignità, decise di intervenire. «Sird, permettimi di farti notare che costoro sono saldamente nelle tue mani, ancorché da morti potrebbero non servirti più a nulla!». Ottenuta l’attenzione del sovrano, continuò nelle sue osservazioni: «Prima che la notizia di questi arresti si diffonda, dovremmo identificare tutti quelli che sono in combutta con questi gaglioffi!». Poi, dopo una breve pausa, il terrestre riprese a parlare. «Nel caso di condanna in questo processo, tu potresti decidere di posporre l’esecuzione della sentenza, in cambio di essere messo completamente a conoscenza di tutti i particolari del loro piano; informazioni, va da sé, che devono includere la lista completa dei congiurati e delle loro funzioni nel complotto». Accorgendosi di come i due supplicanti si fossero momentaneamente zittiti, riflettendo sulla proposta, proseguì a parlare. «Ritengo che Ashley e Milys non abbiano difficoltà a decifrare le chiavi per l’accesso ai loro sistemi informatici. Tuttavia, se il tjaty e questo “zelatore” le fornissero subito, noi eviteremmo di sprecare tempo, e saremmo, già adesso, in grado di agire nei confronti di tutti quelli che, a qualsiasi titolo, fossero coinvolti con costoro. Ti propongo, pertanto, di concedere vita a questi due miserabili a condizione che essi forniscano la lista completa di chi, in qualsiasi veste, sia implicato nella cospirazione. Dovranno, ovviamente, rivelarci le chiavi criptate dei loro codici e archivi!». Il tjaty ammutolito rivolse allora uno sguardo speranzoso a Sird il quale, a sua volta, rimase meditabondo per qualche istante. Infatti, l’ira e il dolore provati dal sovrano erano grandi; voleva, da un lato, estirpare a tutti i costi quella cospirazione ma, d’altra parte, desiderava ancora salvare la vita a colui il quale era stato per lui quasi come un padre, per molti anni. «La tua vita può valere i tuoi beni e quelli dei criminali che hai raccolto attorno a

te?». La domanda del sovrano, rivolta la tjaty, risuonò nell’aria facendo calare, in un pensoso silenzio, tutti i presenti ma, specialmente, i due accusati. «Per il tuo tradimento la morte è l’unica strada che ti resti da percorrere; tuttavia, posso decidere quando essa debba avvenire. Se spostarla o no nel tempo, offrendoti così la possibilità di prolungare la vita, dipenderà esclusivamente da quanto sarai in grado di darmi in cambio. Voglio spegnere la congiura colpendo tutti i tuoi seguaci, senza alcuna eccezione! Tuttavia, posso mantenere voi due in vita senza dare seguito immediato alla sentenza di morte, che emetto in questo istante!». Il silenzio dei due si permutò in gelo, che si tramutò, poi, in terrore, nel momento in cui compresero di essere a un o da una morte orribile. Fu allora che, pur vedendo il volto dei due condannati mostrare i segni della disperazione, Sird si mosse dando così l’impressione di voler uscire dalla stanza. Trascorsi pochi secondi, lui si fermò, e poi si voltò verso Ay, al quale rivolse una proposta: «Ti concedo la possibilità di parlare e di indicarmi ciò che sei in grado di offrire per la tua vita. In effetti, potresti avere una scelta diversa, rispetto alla morte immediata. Rifletti bene su quanto mi dirai, perché da ciò dipenderà la tua salvezza momentanea. A voi due, ora, saranno impiantate nel collo delle capsule esplosive. Prima che incarichi Horem di eseguire la sentenza di morte, avete la possibilità di rivelarmi tutto ciò che tu e il tuo zelatore sapete sulla cospirazione e sui congiurati. Se accettate, sarete poi uccisi solo se vi allontanerete dalla città, oppure se le informazioni che ci fornirete, si riveleranno inesatte o incomplete». «Mio signore e re!» iniziò a parlare lentamente il tjaty badando bene a scandire le parole, mentre lo zelatore restava sprofondato a terra, senza osare alzare il suo sguardo verso Sird, «Avrai i nomi di tutti e consegnerò i codici di accesso ai miei sistemi di supervisione…». Lo guardo di Sird incrociò quello del tjaty, togliendo così a costui ogni ombra di dubbio sul fatto che le capsule esplosive sarebbero state attivate al più piccolo sospetto di essere stato giocato. Gli occhi penetranti e volitivi del re esprimevano con molta chiarezza che entrambi sarebbero rimasti in vita soltanto se, quanto stava dicendo fosse, poi, riscontrato nei fatti. Nuovamente, il silenzio dominò la scena. Grazie alla nuova speranza di sopravvivere, lo zelatore, il cui terrore si era

attenuato nella speranza di continuare a vivere, ebbe il coraggio di mettersi in ginocchio pur continuando a non osare alzare lo sguardo verso il suo sovrano. Fu allora che Grepx, tenutosi in disparte e muto fino a quel momento, intervenne: «Cosa sai degli androidi che abbiamo catturato in casa di questa fattispecie di zelatore?». La domanda, fatta in modo secco, sibilò nell’aria come una frustata. Poi, Grepx, ignorando lo zelatore, squadrò il tjaty con occhi torvi, e riportò il panico nei due che ben compresero, grazie alla domanda appena posta, come il loro arresto non fosse stato per nulla il primo o compiuto dal sovrano. Risultava, così, evidente a entrambi, come Sird conoscesse più di quanto s’immaginassero, e come barare con lui avesse la sola conseguenza di far saltare le loro teste per mezzo delle piccole cariche esplosive che stavano per essere inserite nel collo dei due colpevoli. Allora il tjaty, sapendo oramai di avere le spalle al muro, iniziò a raccontare per filo e per segno i fatti e le motivazioni dei suoi legami con gli scientisti. Fu subito palese che erano stati gli androidi a proporgli di entrare nella città in cambio di possibili futuri vantaggi. Tuttavia, anche se costoro non avevano discusso con lui di progetti ben definiti, gli scientisti rappresentavano, pur sempre, una cospirazione contro l’Alleanza. In fin dei conti, quantunque gli scopi fossero oggettivamente diversi, i loro due gruppi di congiurati avrebbero potuto trarne dei mutui vantaggi. Lui, il tjaty, aveva poi accettato la consegna di un sistema di videocomunicazione portatile, in modo da poter conferire, in qualsiasi momento, con la base operativa degli androidi a Friam. Tuttavia, aveva lasciato quel videotrasmettitore nel suo studio, non volendo destare sospetti usando in pubblico un oggetto, facilmente riconoscibile come proveniente dall’Alleanza. Lo studio era un luogo sicuro dove conservarlo: solo lui e suo figlio – del tutto all’oscuro della cospirazione – ne avevano accesso. Terminata la spiegazione, fu la volta dello zelatore di dichiararsi completamente all’oscuro su questo particolare sistema di comunicazione. Alla fine, nulla – dal racconto del tjaty – lasciava intendere che questi androidi fossero arrivati nella città per scovare Grepx e i suoi compagni. Così, mentre il tjaty e lo zelatore erano consegnati nelle mani di Horem per l’inserimento delle capsule esplosive e poi per continuare a essere interrogati,

Sird si ritirò, seguito da Ishar, assieme a Grepx e ai suoi compagni. La congiura non era ancora debellata, ma la testa velenosa al suo comando non era, ormai, più in grado di mordere e uccidere.

Anche se solo per poche ore, gli scientisti e la loro congiura erano stati posti in secondo piano dalla gravità e dall’estensione della cospirazione, messa a nudo nella città sotterranea. Tuttavia, la situazione problematica dell’Alleanza prendeva, ora, nuovamente il sopravvento sull’attenzione di tutti. Ishar, che negli avvenimenti della serata aveva avuto un ruolo importante ma non decisivo, ruppe gli indugi su quanto stava pensando e disse: «Il fatto che il tjaty non sappia nulla riguardo al vostro arrivo non rende, per questo, meno critica la vostra situazione. Gli androidi non erano qui, evidentemente, per sostenere il tentativo, da parte del tjaty, di rovesciare il trono. Come ben sapete… gli scientisti mirano a ben altro!». Attese che i suoi compagni si radunassero attorno a lei per continuare, poi, l’esposizione. «Sono ragionevolmente sicura che gli scientisti abbiano genericamente immaginato come Arion fosse uno dei pianeti verso cui Grepx e Milys avrebbero potuto fare rotta. Questo fatto, ritengo, spiegherebbe l’allertamento degli androidi già presenti a Friam, però non credo che l’averli scoperti nella città sotterranea sia un avvenimento direttamente riconducibile a voi quattro», concluse Ishar guardando il gruppo dei nuovi arrivati. «Piuttosto», riprese a dire, «il videocomunicatore di cui Ay ha parlato, va trovato subito. Tenete conto che Horem ha già perquisito lo studio del tjaty, e nessun oggetto di questo genere è saltato fuori. Qualcuno – ma chi? – deve, per forza, averlo preso! Questo qualcuno, inoltre, potrebbe mettersi in contatto con la base degli androidi a Friam, e informarli degli avvenimenti di questa notte!». Dopo una breve esitazione, fu la volta di Grepx a intervenire. «Se il tjaty avesse affermato la verità, allora potrebbe essere stato suo figlio a prendere il videocomunicatore. In questo caso, la domanda da porci riguarda il perché lo abbia tenuto per sé, giacché è del tutto estraneo alla congiura!».

«Forse», continuò guardando Sird, «… ci conviene interrogarlo. Facciamolo condurre a palazzo da Horem». Occorse poco tempo per sapere dal comandante della guardia che il ragazzo era stato visto uscire dalla città a bordo del suo veicolo personale poco dopo l’arresto del padre, mentre andava, apparentemente, nella direzione del deserto settentrionale. Alla fine, chiarita la situazione, i fatti furono riassunti da Sird agli altri. Rekh, con molta probabilità, aveva preso con sé quell’oggetto trovato prima di fuggire: il perché lo avesse fatto, aveva relativamente poca importanza. Tuttavia, quel videocomunicatore gli avrebbe fornito la concreta possibilità di entrare in contatto con gli androidi posti alla loro ricerca. Quando ciò succedesse, era difficile da stabilire ma, ovviamente, sarebbe accaduto nel momento in cui, incuriosito, avrebbe deciso di accendere l’apparecchio, ritenendosi a distanza di sicurezza dalla città sotterranea. «È inutile dedicare altro tempo nel fare congetture che non potremo mai verificare!», riprese a dire Ishar, «Abbiamo già assodato come, oramai, sia solo una questione di ore – forse un giorno, non di più –, prima che anche gli androidi a Friam arrivino alla logica conferma della vostra presenza proprio qui su Arion! Se inoltre collegassero l’assenza di contatti regolari con gli androidi – infiltrati nella città sotterranea – a voi, saprebbero persino dove cercare e trovarvi!». A quel punto, la principessa si rivolse a Grepx per esporgli una proposta, discussa anticipatamente con il fratello. «Nella mattinata, tu e Milys avete completato i rifornimenti e aggiunto, per evitare brutte sorprese, un sistema difensivo al vostro veicolo. Ora, il mezzo di trasporto è là fuori in attesa, pronto alla partenza. Manca solo una guida ben rodata, esperta sui segreti del deserto e capace di condurvi attraverso la grande depressione con i suoi laghi acidi. Non credo che avrete obiezioni a imbarcare me, come guida locale! Quaggiù Sird ha, al momento, la situazione in pugno. Dopo gli arresti di oggi e con l’aiuto di Horem, otterrà dal tjaty quanto servirà per scoprire ed eliminare il resto dei suoi complici. Voi, invece, dovrete attraversare un territorio che vi è alieno, e nel quale non siete abituati a sopravvivere. In aggiunta, l’Alleanza ha un’estrema necessità che voi – amici miei – arriviate sani e salvi. Io so come aiutarvi, e desidero farlo!».

Il sorriso ammaliante di Ishar, assieme alla sua proposta, colse alla sprovvista i tre umani, sorprendendoli. L’androide, con la sua mente logica, aveva già individuato come l’assenza di una guida, esperta e pratica dei luoghi, avrebbe ridotto notevolmente le probabilità di un’attraversata incolume. Aveva così compreso come proprio la principessa fosse la miglior candidata al ruolo di guida per quel lungo tragitto che li attendeva. «Mia sorella ed io abbiamo discusso questa eventualità ieri notte. Devo ammettere che se non fosse per questa cospirazione in atto vi avrei accompagnato di persona», aggiunse Sird. «Fare rotta verso i laghi acidi è una decisione saggia ma pericolosa. Ishar vi spiegherà i vantaggi di questa rotta durante il viaggio. Non è, effettivamente, un percorso che chiunque, benché buon conoscitore del pianeta, possa compiere con facilità. Non troverete né strade né piste ma, prima di giungere ai laghi acidi, solo un deserto di sabbia senz’acqua e avrete sulla testa un sole infuocato, sotto il quale dovrete muovervi durante il giorno. Quando, cioè, i sensori a infrarossi degli androidi in orbita non saranno in grado di rivelare i vostri segnali di calore. Di notte, invece, potreste essere scambiati con quegli animali che, sebbene vivano normalmente ai confini del deserto, alcune volte si addentrano nell’erg alla ricerca o all’inseguimento di piccole prede». Grepx accennò, senza troppa convinzione, a un debole diniego dell’offerta da parte di Ishar ma, oltre alla saggezza della proposta, non gli dispiaceva per nulla che fosse proprio lei ad accompagnarli. La principessa, infatti, esercitava in lui un fascino profondo ma, dentro di sé, era combattuto tra la piacevole idea che lei fosse al suo fianco nei prossimi giorni e la preoccupazione di esporla, se fossero stati scoperti dagli androidi, a un attacco. Quest’ultima eventualità era, ormai, quasi divenuta una certezza da quando avevano scoperto che Rekh aveva preso con sé il videocomunicatore.

Terminata la discussione, Ashley e George, avviandosi verso le loro camere all’interno del palazzo, si misero a camminare, uno di fianco all’altra, lungo un corridoio ampio ma privo di finestre. In quei momenti, il solo rumore che si sentiva era il risuonare – attenuato dai tappeti – dei loro i. Per entrambi, infatti, il giorno appena trascorso era stato ricco di eventi e spossante cosicché, da un lato, andavano mentalmente ripercorrendo gli eventi della giornata e,

dall’altro, essi si abituavano gradualmente all’idea del viaggio che li attendeva dall’alba seguente. «Ti va di tenermi compagnia per qualche momento prima di dormire?», disse improvvisamente Ashley, avvicinandosi alla porta della sua camera. «Volentieri!», fu la risposta spontanea di George. «Entra! Posso offrirti qualcosa da bere? Ishar è stata così gentile da badare a tutto, e mi sono accorta che, tra le bevande, ha incluso dei liquori. Devo ammettere che mi è molto simpatica, e sono proprio felice che venga con noi. Vorrei approfittare del tempo che trascorreremo assieme per farmela amica! Sono contenta di avere una donna con cui parlare: voi uomini siete sempre tediosi e privi di fantasia!». «Fammi assaggiare un liquore di Arion!», continuò George, ignorando la frecciata rivoltale dalla sua compagna, mentre guardava il piccolo mobiletto ben fornito di bevande, dai colori più disparati. «Qualcuno dovrà pur spiegarmi come ottengano dei liquori quaggiù! Sulla Terra sanno distillare tequila e mezcal dalle agavi, ma qui non ho la minima idea di cosa ci sia in questo deserto!». «Sai, George, incomincio ad avere nostalgia della nostra Terra e ad avvertire sempre più la stanchezza! Sono mesi che viaggiamo da una galassia all’altra. Mi ritrovo a un numero impressionante di anni luce da tutto quello che, a parte a te, vorrei avere vicino. Ora poi, siamo capitati nel bel mezzo di un conflitto in grado di creare non pochi problemi qui e, se ci catturassero o s’impossessassero della nostra nave, anche da noi nella Federazione. Continuando nell’elencazione dei nostri problemi, dovrei a questo punto aggiungere che, se anche uscissimo sani e salvi dal deserto, ci ritroveremmo a viaggiare, nuovamente, attraverso altri sistemi stellari sconosciuti, e sempre più lontani da casa. Ti confesso che, ultimamente, ci sono state diverse notti in cui sognavo così intensamente di ritrovarmi a casa che quasi mi pareva di stare fisicamente sulla Terra. Spero che, almeno là, si ricordino ancora di noi!». Dopodiché, Ashley, conscia del suo sfogo, si sedette sul piccolo divano, situato sul lato privo di finestre della stanza, aspettando che fosse George a riprendere la conversazione e, in qualche modo, la confortasse. Non era da lei lasciarsi andare giù di morale, ma c’erano momenti – e questo era uno di quelli – in cui

un’apparente debolezza della sua femminilità prendeva il sopravvento e le faceva naturalmente cercare conforto nel suo unico compagno e amico terrestre. «Ashley, sai bene che, in tutta la storia della Federazione, noi siamo i primi esploratori a incontrare un’altra razza intelligente. Noi non solo l’abbiamo trovata, ma anche abbiamo scoperto che è umana ed ha, come chiunque può immaginare, tutta quella sorta di conflitti caratteristici della nostra stessa storia nei secoli trascorsi: lotte interne e dispute. Nulla di nuovo accade sotto il sole, anche se quello di un’altra galassia!». «Non credo…», proseguì il terrestre soppesando e spaziando le parole, «che convenga pensare troppo al ato, e neppure ai nostri ricordi personali della Terra. Ritengo, al contrario, che sia utile preoccuparci di quanto prima riusciremo ad andarcene da questo pianeta; su questo futuro, a noi prossimo, possiamo influire in modo concreto. Così costruiremo, o dopo o, il nostro ritorno sulla Terra!». «A questo punto…», finì Ashley con un mezzo sbadiglio, «ho l’impressione che tu stia diventando più un filosofo, che un comandante di una nave della Federazione. È giunta l’ora di andare a letto! Rimandiamo i ricordi della Terra a un’altra occasione, magari più propizia». George, sentendosi bruscamente salutato, capì di essersi lanciato con delle considerazioni ritenute poco concrete da Ashley; cosicché si alzò e, augurandole una buona notte, si ritirò nella sua camera.

* La nave androide, lasciata la luna sulla quale era atterrata inizialmente, si era immessa in un’orbita alquanto inclinata attorno ad Arion. L’orbita era bassa e compiuta regolarmente in circa un’ora e mezza; anche se, a causa della rotazione del pianeta, dopo ogni orbita quella successiva era, poi, spostata di circa due gradi in longitudine verso oriente. Arion era dotato di un campo magnetico dipolare: fatto, quest’ultimo, comune a molti altri pianeti. Tuttavia, l’asse del dipolo magnetico era pressappoco sovrapposto a quello di rotazione; ciò, invece, costituiva qualcosa che lo rendeva diverso dagli altri pianeti. Quel corpo celeste era, eccezionalmente, un mondo nel quale il nord geografico e quello magnetico coincidevano fra loro.

L’alta inclinazione dell’orbita permetteva alla nave di esaminare quasi tutte le latitudini del pianeta e, pertanto, esplorare buona parte dei luoghi in cui la navetta dei fuggitivi avrebbe dovuto o potuto essere nascosta. Restavano escluse le regioni polari che, comunque, comprendevano solo una piccola porzione della superficie. Tuttavia, l’inconveniente principale per chi, come loro, avesse molta fretta nel compiere l’esplorazione, era insito proprio nella stessa vastità della regione da esaminare. Gli androidi – per prima cosa –, non essendo in grado di essere scoraggiati dalle difficoltà, tracciarono una griglia di ricerca attivando tutti i sensori disponibili a bordo. Ben presto capirono che la scansione agli infrarossi era poco, o per nulla, utilizzabile nelle zone desertiche a causa di quell’intensa calura, capace di generare false risposte. Persino in quelle temperate, la presenza di numerosi e grossi mammiferi rendeva, in pratica, quasi superfluo il loro utilizzo. Ritrovare la navetta, inoltre, poteva essere reso ancor più difficile se questa – com’era, in realtà, accaduto – si fosse nascosta in una qualche apertura naturale, in cui la roccia stessa avrebbe impedito ai loro segnali sonda di penetrare. Tuttavia, gli androidi continuarono a esaminare i falsi echi di ritorno con i loro strumenti, senza mostrare alcuna impazienza: le regole con cui erano stati programmati, infatti, non prevedevano la presenza di sentimenti o sensazioni. Solo per un momento, la loro attenzione fu attratta da un segnale di trasponder proveniente, stando agli strumenti, da un’area prossima ai Monti Azzurri. Il segnale era debole e impulsivo, come se provenisse da uno strumento appena . Ipotesi, quest’ultima, immediatamente scartata: ciò, infatti, non poteva accadere senza preventivamente disattivare un androide e, su Arion, nessun avrebbe saputo come eseguire l’operazione. L’impulso venne, quindi, attribuito alla presenza di uno spessore variabile di roccia tale da schermare a tratti i segnali emessi da uno strumento simile a un trasponder. Gli androidi ripresero, quindi, il loro lavoro di analisi del pianeta sottostante, ignorando quel curioso fatto, considerato anomalo.

*

Capitolo 8: Il Deserto

Albeggiava appena, quando Grepx avviò il motore del veicolo lasciando alle spalle la città sotterranea. Nessun inconveniente capitò durante la discesa da quel pianoro dove la loro nave era nascosta; d’altronde, neppure i custodi della porta avevano dato segno d’interesse per quel gruppo che, prima dell’alba, attraversò il laghetto in cui sboccava la galleria di collegamento con la città. Ora, dopo aver trascorso buona parte della mattinata in movimento, il mezzo di trasporto – con i quattro umani e l’androide a bordo – procedeva a una velocità abbastanza costante sul tratto pianeggiante dell’erg, situato a nord dei Monti Azzurri. Il sole, oramai alto sull’orizzonte, aveva riscaldato l’aria del deserto portando la temperatura a oltre quaranta gradi. Il veicolo – pur avendo dimensioni ridotte – era dotato di cingoli solidi spinti da un possente motore, al quale la potenza era fornita da un minuscolo reattore nucleare situato all’interno di un vano schermato sulla parte posteriore del mezzo. Grazie a quella fonte abbondante di energia, l’equipaggio poteva permettersi di mantenere condizionato – a una temperatura non superiore ai venticinque gradi – l’interno del mezzo. Il microclima, così creato, non era freddo ma sufficientemente fresco e tale da evitare agli umani una sudorazione eccessiva e la conseguente necessità di bere. L’equipaggio indossava abiti estivi – confezionati su Arion – di cotone misto a lino: pantaloncini lunghi fino al ginocchio e camicette a maniche corte. I vestiti non erano particolarmente rifiniti, ma ben resistenti e adatti all’uso nel deserto. Tuttavia, indipendentemente dagli indumenti dei suoi occupanti, le caratteristiche del veicolo e la sua tecnologia avrebbero rivelato – a un qualunque osservatore attento –, che costoro provenivano dall’Alleanza o, comunque, erano in qualche modo legati a essa. Se quest’ultimo fatto costituisse o no un problema, lo avrebbero scoperto in seguito e, solo allora, se ne sarebbero preoccupati! Al momento, la loro attenzione era dedicata al mantenere elevata la media oraria di percorrenza, nonostante la pista – su cui si trovavano – fosse solo una strada indicata sulla mappa di navigazione ma per nulla visibile nell’erg assolato. Dopo aver lasciato i Monti Azzurri, Milys rimpiazzò Grepx alla guida del

mezzo, continuando a seguire la rotta – verso nord nord-est – indicata da Ishar. Grepx, conoscendo bene gli schemi mentali del suo “amico” androide, gli specificò quale fosse l’intervallo di velocità – tra i trenta e i quaranta chilometri l’ora – corrispondente, pressappoco, all’indicazione di “prendersela comoda”, data da Ishar con un sorriso. Frase, quella detta dalla principessa, che avrebbe potuto suonare priva di significato per l’androide poiché, nella sua visione logica, non conteneva in sé alcuna indicazione né sulla velocità né sulla durata temporale. In effetti, Ishar, non abituata agli androidi, tendeva, in pratica, a dimenticarsi che Milys fosse uno di essi. Nonostante ciò, l’intervento di Grepx fu, per lo più, indotto dall’espressione del volto assunta da Milys che, per quanto propriamente non descrivesse perplessità, lo aveva lasciato alquanto stupefatto e, poi, spinto ad abbozzare una spiegazione con un sorriso. «Con questa velocità di crociera, la rotta attuale va tenuta per circa dieci giorni, che potrebbero diventare, al massimo, due settimane nel caso dovessimo incappare in una tempesta di sabbia», aggiunse Ishar a quanto Grepx aveva appena terminato di dire. Poi, la principessa attese che tutti i suoi compagni di viaggio si fero più attenti e, pur rivolgendosi direttamente all’androide, riprese a commentare i possibili pericoli di quel viaggio. «Nel deserto noi possiamo sperimentare tempeste di sabbia in grado di spostare intere dune. Queste masse d’aria vorticose trasportano una tale quantità di sabbia che il bordo avanzante può apparire come un gigantesco solido muro di polvere in grado di estendersi in altezza fino a un chilometro e mezzo. Mio caro Milys, noi umani proviamo un vero terrore di fronte a queste manifestazioni di forza – esibite dalla natura –, in cui tocchiamo con mano quale piccola cosa siamo! In verità, pur non essendo molto frequenti, le tempeste sono talmente micidiali che, forse, questo veicolo potrebbe non bastare a farci sopravvivere. In tal caso, saremo costretti a costruire o trovare un riparo ben più solido. Tuttavia, viaggiando in questo deserto privo di rilievi, il radar di terra del vostro veicolo dovrebbe essere in grado di farci conoscere, con quasi un giorno di anticipo, il formarsi e, poi, l’arrivo di una tempesta».

Il radar di terra di cui parlava Ishar era perfettamente operativo e controllato da una piccola consolle, posta su una parete laterale del veicolo. Di fianco ad essa,

un’altra consolle permetteva il monitoraggio dei mezzi spaziali posti su orbite basse, all’esterno degli strati più densi dell’atmosfera. Solitamente assente sui veicoli di uso comune su Arion, quest’ultimo strumento era, infatti, un sistema di avvistamento in dotazione ai mezzi delle truppe d’élite dell’Alleanza. Una piccola torretta d’osservazione – al cui esterno Sird aveva fatto collocare un disgregatore ad ampio raggio – si ergeva subito a ridosso della postazione di guida. Grepx, infatti, aveva accettato di buon grado la proposta di prendere a bordo l’arma, considerando come, con un tale acquisto, il veicolo – già dotato di mezzi d’avvistamento efficaci – sarebbe stato ugualmente equipaggiato di un ottimo strumento per la difesa. La potenza del disgregatore era, di fatto, tale da garantire una protezione adeguata persino nell’improbabile caso di un attacco aereo. Nel veicolo, la torretta costituiva il punto di massima elevazione dal terreno, quantunque, essendo il loro mezzo un veicolo da esplorazione, l’equipaggio sarebbe stato costretto a usare l’arma aprendo la botola della postazione. Durante gli spostamenti, sia per evitare che la sabbia potesse impedirne il buon funzionamento, sia per non destare sospetti in chi, casualmente, avvistasse il veicolo, il disgregatore era stato avvolto in una custodia protettiva simile a quelle usate per le tende nel deserto; perciò, anche un osservatore ben accorto avrebbe avuto difficoltà a riconoscere l’arma così camuffata. In quel veicolo non era grande lo spazio rimasto libero dalle attrezzature e dalle scorte, stipate al suo interno. Tuttavia, le dimensioni del mezzo erano tali da permettere ai suoi occupanti di spostarsi con una certa facilità, anche se, incrociandosi, sarebbero stati nondimeno costretti a mettersi di fianco, benché in posizione eretta. In quell’ambiente scomodo per gli esseri umani, lo stare in piedi costituiva per i terrestri – abituati ai veicoli della Federazione di dimensioni ben più ridotte – un fatto talmente apprezzato, da sentirsi rilassati e riposati, nonostante il non semplice viaggio che si prospettava nei prossimi giorni. In ogni caso, nel procedere sulle dune – l’ultima parvenza di pista era scomparsa dopo aver lasciato i monti azzurri –, per quanto confortevole, il loro mezzo di trasporto non poteva in alcun modo evitare sia gli scossoni, dovuti al cedere improvviso della sabbia, sia un’inclinazione diversa da quella orizzontale: navigavano, infatti, nel grande mare del deserto.

L’addestramento di Ashley e George da parte di Grepx si limitò alle nozioni

pratiche sul funzionamento dei due radar e del disgregatore. I due terrestri si rivelarono, da subito, come allievi ben addestrati e preparati; perciò, la loro istruzione terminò prima ancora che finisse la mattinata in cui era iniziato il viaggio. Alla fine, già dal pomeriggio, tutti i membri dell’equipaggio furono in grado di usare l’arma e di coprire i turni di sorveglianza alle consolle sia di giorno sia di notte. Fino all’inizio del pomeriggio non c’era stato così molto tempo per osservare e abituarsi allo scorrere delle dune dai finestrini. Infatti, lasciata la città, l’equipaggio aveva trascorso le prime ore di viaggio totalmente assorbito ad apprendere i compiti da svolgere. Terminato l’addestramento e la suddivisione delle mansioni, un senso generale di rilassamento si diffuse tra gli umani, mentre Milys, seguendo la sua natura di androide, restava indifferente al trascorrere del tempo e al succedersi dei luoghi dominati dal colore ocra della sabbia. Alla fine, a George, come avevano concordato, sarebbe toccato il primo turno di notte per monitorare la consolle di avvistamento. Il terrestre, in quell’inizio di pomeriggio, cercò, quindi, di dormire qualche ora tra gli scossoni del veicolo, e le distrazioni dovute ai parlottii sommessi dei compagni. Dopo una decina di minuti – per quanto non fosse del tutto inaspettata –, la sonnolenza apparve, e lui cadde in un dormiveglia nel quale udiva a tratti – o immaginava di sentire – i brani delle conversazioni all’interno del veicolo.

Lo scambio di informazioni tra Ishar e Milys fu breve ma sufficiente per far capire a entrambi come la rotta fosse quella giusta, cosicché lei lo lasciò alla guida per sedersi accanto ad Ashley, la sola altra donna del gruppo a bordo. A causa del susseguirsi degli avvenimenti, fino a quel pomeriggio non c’era stato modo di approfondire la conoscenza reciproca – constatò Ishar –, occupando il posto di lato alla consolle monitorata dalla terrestre. Desiderava, in realtà, approfittare di quegli istanti di relativa tranquillità per conoscerla meglio, sperando anche di farsela amica. Tra le due donne non vi era, infatti, una grande differenza d’età, pur tuttavia la terrestre, diversamente da lei, aveva navigato per galassie sconosciute, trascorrendo parte della sua esistenza a esplorare nuovi pianeti, di modo che Ishar si sentiva assai incuriosita nei riguardi di Ashley. Erano, in quel momento, ormai giunti nel bel mezzo delle dune di Arion. All’esterno del loro veicolo, come ben sapeva la principessa, il deserto non

sarebbe mutato per giorni: quello era il mondo in cui Ishar conosceva come muoversi e come restare in vita! Arti, queste ultime, apprese da bambina quando, a piedi, il padre portava lei e il fratello addentro alle zone più sperdute dell’erg, per abituarli a sopravvivere in quell’ambiente privo d’acqua, povero di vegetazione e soggetto a un caldo torrido. Sotto la guida paterna si era abituata a riconoscere nel cielo i segnali che presagivano l’arrivo di una tempesta, a individuare la direzione più sicura nonostante il sole cocente che non dava mai tregua e, infine, a controllare l’uso delle proprie risorse fisiche nel procedere del cammino. Poco conosceva dei mondi esterni, tranne quanto aveva appreso nelle sue rare visite, fatte recandosi a Galaction e sui pianeti di confine prossimi ad Arion. Fu, appunto, durante uno di quei viaggi su Galaction, dove ha sede il governo dell’Alleanza, che conobbe Grepx. Lei stessa, in seguito, si era sempre sorpresa di come conservasse ben impresso nella memoria il ricordo di quello che, ormai, iniziava a definire il suo “primo incontro” con il bell’ufficiale, amico del fratello. Ashley – si accorse la principessa – la stava osservando, cercando di capire, almeno così le pareva, se quello fosse un momento opportuno per parlarle senza interrompere qualche compito che stesse svolgendo. Ishar, rompendo gli indugi, si distolse dai suoi pensieri, e si rivolse alla terrestre a voce bassa, per non distrarre Grepx intento nel suo lavoro. «Come stai?». «Grazie per questa domanda! Non vorrei sembrarti banale, ma mi sento un po’ frastornata dagli eventi». Fu la risposta immediata che Ashley dette, quasi come se attendesse solo il momento di sfogarsi. «Pochi giorni fa», continuò, «sono sbucata con George da un cunicolo spaziotemporale all’interno di una zona dell’universo completamente ignota ai terrestri, ma tutto ciò è accettabile per chi, come noi, fa parte del corpo degli esploratori. Ora, invece, eccoci qua in mezzo a un deserto desolato e, come se ciò non bastasse, siamo coinvolti in una cospirazione scientista molto simile a una guerra non dichiarata!». Poi, cambiando il tono della voce e con un sorriso quasi d’imbarazzo, la terrestre continuò sussurrandole: «Sinceramente, mia cara Ishar, ti confesso che l’averti

conosciuta mi consola! Sai, alcune volte cerco di parlare con George, facendogli presente la mia situazione e come mi senta; tuttavia, non ho sempre l’impressione che lui mi stia ascoltando e che gli possa raccontare tutto. Qualche volta ho la sensazione che senta le parole ma non mi capisca fino in fondo. In altri momenti, è come se non mi prestasse tutta l’attenzione che vorrei! Gli uomini, intendo i maschi, sono fatti così: valli a capire!». «Se è per questo…», replicò con lo stesso tono Ishar, «capita anche a me con mio fratello, di tanto in tanto. È una persona deliziosa, attenta, responsabile... ma ci sono dei momenti in cui pare proprio di non essere in grado di capire le questioni più semplici! Ti vien proprio voglia di dirgli “sei proprio un uomo”! È incredibile la capacità che i maschi hanno di mostrarsi ottusi!». Le due donne si erano ormai intese, cosicché la principessa, guardando profondamente Ashley negli occhi, poté chiederle: «Dimmi, piuttosto, di te e raccontami del tuo pianeta, la Terra, della quale ho sentito il nome da Grepx». «Per alcuni versi, questa parte di Arion mi ricorda qualcosa della Terra. Non ho mai vissuto in un paese desertico; anzi, dove sono cresciuta la vegetazione è rigogliosa, direi simile alle vostre zone temperate che ho osservato prima di atterrare; ma...», riprese Ashley dopo una breve pausa, «abbiamo anche da noi i grandi deserti! Forse però, il nostro più grande non è così esteso come questo che stiamo attraversando». «Sai, Ishar, non sono una donna nata in luoghi riarsi e, non conoscendoli, non sono ancora in grado di amarli. Al contrario, provengo da una regione in cui il mare si congiunge alla terraferma. Dalla mia giovinezza ho impresso nella mente il vivo ricordo di tramonti in cui il sole pare entrare nell’acqua e il colore rosso del cielo si specchia, spezzandosi, nelle increspature create dalla brezza sulla superficie del mare. Se ora chiudessi gli occhi, posso, ancora oggi, vedere l’azzurro del cielo tramutarsi, gradualmente, in un blu sempre più scuro e, all’orizzonte, il sole riflettersi sulle nubi che, da bianche, mutano in rossastre. È difficile dimenticare quegli istanti che porto in me, profondamente impressi e durante i quali mi sono sentita parte delle meraviglie in cui la natura sa mostrare tutta la sua bellezza. Sicuramente, le mie stesse sensazioni ti saranno state infuse nell’animo da questo deserto che tu ami così apionatamente!». «Sì, il deserto è talmente parte della mia vita che non posso immaginare di vivere in un luogo diverso, anche se, quando sento parlare di acqua in

abbondanza, vorrei immergermi in essa!», rispose prontamente Ishar, alla domanda inespressa della terrestre. «Raccontami di te, piuttosto. Come sei arrivata a essere una scienziata, e viaggiare oltre a quelli che voi terrestri considerate – o piuttosto ritenevate – i confini conosciuti dell’universo?». «Per quanto possa sembrare banale la risposta, non c’è molto da dire su di me», riprese Ashley, constatando quanto fosse sincero l’interessamento che Ishar stava mostrandole. «Sono la figlia maggiore di un noto scienziato – non solo a mio giudizio –, e ho trovato naturale seguire le sue orme. L’esplorazione di nuovi pianeti, alla ricerca di quello dove una colonia umana possa essere stabilita e crescere, mi è sembrata qualcosa di utile, in cui la scienza potesse contribuire in modo concreto. Così, dopo il dottorato in scienze biofisiche mi sono ritrovata arruolata nel Corpo degli Esploratori Spaziali. Sarebbe meglio dire che il Corpo degli Esploratori – sempre molto attento ad avere con sé giovani menti scientifiche – ha trovato me. L’accademia e una specializzazione in fisica cosmica e astrofisica mi hanno, in seguito, posto nelle condizioni previste per le mie prime missioni, effettuate nello spazio interno della Federazione». La terrestre s’interruppe per alcuni istanti per osservare la reazione della principessa ai suoi ricordi personali e, poi, riprese a parlare della sua carriera come scienziata ed esploratrice spaziale. «Queste missioni iniziali sono, per essere sincera, unicamente un tirocinio, e permettono una selezione attitudinale per quelle che saranno effettuate nello spazio profondo, esterno alla Federazione. Dopo qualche anno, e parecchie missioni…, mi sono ritrovata in una nave da esplorazione destinata allo spazio esterno: per una donna giovane, com’ero allora, fu come toccare il cielo con un dito! Ora sono l’ufficiale scientifico di George e, assieme a lui, ho compiuto diverse spedizioni esplorative. Devo confidarti, Ishar, che siamo molto affiatati: con lui mi trovo bene, e so, per esperienza, che lui rispetta sempre la mia opinione. È, inoltre, una persona che mi dà sicurezza: sa essere calmo anche nei momenti più critici, non pochi nei nostri viaggi!». Poi, abbassando ancora il tono della voce, continuò a confidarle: «Mi sono abituata da subito a convivere con lui durante queste lunghe attraversate nello

spazio così buio. Devo proprio ammettere che stare con lui non mi dispiace per nulla! Anche se non ho mai rivelato questo particolare a George: aspetto che lo capisca da solo! Navigare nello spazio è un’esperienza di vita simile, quantunque diversa, a quella che si può fare navigando sui mari d’acqua oppure, come nel tuo caso, fra queste dune di sabbia nel tuo pianeta. In fondo, abbiamo avuto esperienze molto simili, cara Ishar!». Ashley guardò a sua volta con occhi attenti e profondi quella principessa – giovane, anche se non molto più di lei – che sapeva are da una cerimonia ufficiale, in cui sfoggiava tutta la sua regalità, a un abbigliamento semplice, con maniche e pantaloncini corti, all’interno di un mezzo che si muoveva nella vastità senza confini del deserto. Il ghiaccio era rotto e, ormai, le due giovani sapevano di potersi intendere vicendevolmente al solo cenno degli occhi. Quel loro primo dialogo era finito, così Ishar tornò a sedersi accanto a Milys, e Ashley restò vicina a Grepx. George, dal canto suo, era del tutto sprofondato in un sonno profondo e ristoratore.

Spentasi ogni eco del colloquio, all’interno del veicolo i soli rumori udibili riguardavano, ora, i bip provenienti dalle consolle di avvistamento, il ronzio invadente – per quanto sommesso – dei motori e, infine, i suoni sordi dovuti all’impatto dei cingoli sulla sabbia disuniforme. Questi rumori – sapevano – li avrebbero accompagnati nei prossimi giorni. La loro presenza avrebbe trasmesso agli occupanti del veicolo un senso di regolarità e sicurezza nella prosecuzione del viaggio. Durante la giornata iniziale nel deserto, i quattro membri umani del gruppo si permisero solo un pasto consumato ai posti di comando o di controllo, con l’intento di percorrere il maggior numero possibile di chilometri prima di fermarsi per la notte. Il sole era ancora lontano dal tramonto, quando il motore fu spento. A quell’ora della serata e con la calura ancora grande, Ishar sapeva che una scansione agli infrarossi compiuta da una nave in orbita, avrebbe dato risposte confuse; mentre un telone li avrebbe nascosti da un’osservazione visiva. Potevano, quindi, permettersi il lusso di un buon pasto serale che, per di più, sarebbe stato

preparato caldo. Su uno dei lati del veicolo, con un telo e dei pali stesero una copertura provvisoria, sotto di cui posero un tavolino e delle sedie, accingendosi, dunque, a consumare la cena nel modo più dignitoso possibile, data la situazione, per poi sentire la spiegazione della principessa sul lungo tragitto ancora da compiere. Da Ishar appresero così di dover attraversare le distese dell’erg per dirigersi verso le rovine di un’antica città, anche se non sarebbe stato necessario attraversarle. Da lì, in seguito, dovevano andare a nord puntando verso quella che era chiamata la grande oasi, nella quale si sarebbero riforniti d’acqua e viveri prima dell’ultimo tratto, ancora ricco di dune. A quel punto, si sarebbero diretti a est, per addentrarsi nel reg: una superficie desertica sassosa e ghiaiosa. Quella – compresero – è una regione ben conosciuta per essere completamente priva di punti di riferimento e rilievi, sarebbe stata ancora più desolata di quanto lo fosse questa – popolata di dune –, che stavano attraversando. Nel reg il paesaggio è monotono e un viaggiatore che lo attraversasse a piedi potrebbe facilmente cadere in un profondo scoraggiamento ma – spiegò la principessa – tutto ciò non potrà accadere a loro. Lasciato il reg, sarebbero scesi nella depressione nota come la regione dei laghi acidi, una zona senza vita e abbandonata, con condizioni ambientali talmente proibitive da far sembrare, al suo confronto, il deserto sabbioso come un luogo dotato e circondando dalle comodità. Quell’area è limitrofa a una montagnosa ricca di minerali e di cave di lapislazzuli – appartenenti alla corona della città sotterranea –, con cui si realizzano le gemme considerate di maggior valore su Arion. Superati i laghi acidi avrebbero poi risalito la depressione andando proprio verso la regione delle cave, attraversando, in seguito, la terra degli uomini rossi, fino ad un o che permette l’accesso ai margini della zona temperata. Nella discesa verso la vallata sottostante avrebbero visto apparire la vegetazione e un fiume; proseguendo lungo il quale sarebbero arrivati, da ultimo, alla meta: Friam, la città di confine. «Nessuno…», commentò Ishar completando l’esposizione, «avrebbe mai pensato di cercarli, in zone così impervie e pericolose!». L’unica vera incognita, concordarono tutti, era legata a Rekh e al

videocomunicatore, presumibilmente in suo possesso. Milys non commentò in alcun modo quanto Ishar aveva esposto, limitandosi a registrare tutte quelle informazioni nella sua memoria principale. Lui, dal canto suo, non aveva da formarsi un’opinione sull’argomento, ma solo un compito da svolgere, sfruttando al meglio tutte le informazioni in suo possesso. In base ad esse, più tardi avrebbe elaborato un tragitto dettagliato da percorrere, utilizzando le mappe che Sird si era premunito di far caricare nella banca-dati del veicolo, durante la notte precedente. A grandi linee, il percorso pareva abbastanza definito e, per quanto possibile in quel momento, ben fattibile con la principessa in qualità di guida.

Le stelle non erano interamente visibili in quell’inizio di notte rischiarata dalle due lune di Arion. Tuttavia, senza sorprendere neppure chi fra loro era poco o per nulla abituato al clima del deserto, il tramontare del sole recò con sé una forte e brusca diminuzione della temperatura. Quell’abbassamento segnalò che era giunto il momento dei preparativi per trascorrere la notte, cosicché tre piccole brandine portatili furono allestite rapidamente sotto il tendone steso sul lato del veicolo, evitando, così, di usare gli agganci predisposti al suo interno. George – svegliatosi soltanto al termine della descrizione, sul percorso da compiere, fatta dalla principessa – si diresse verso l’esterno del veicolo. Lui, in effetti, aveva ascoltato solo una parte di quanto era stato esposto sul cammino da seguire, ma sapeva che Milys o Grepx si sarebbero offerti di fornirgli un riassunto molto accurato. Fu in quel momento che Ashley, vedendolo arrivare ancora assonnato, si accinse a scaldargli la cena, per rendergli più accettabile il suo prossimo turno notturno di guardia da compiere ai sistemi di avvistamento. La notte avanzò e tutti, fuorché il terrestre, dormivano. Milys, allora, si dispose a eseguire un’automanutenzione dei suoi movimenti meccanici, approfittando del riparo offerto dal veicolo, dove non poteva essere raggiunto dalla sabbia – poca in verità – sollevata dalla brezza leggera che, ancora, stava spirando in quell’istante. Da parte sua Milys si accorse come George – per nulla abituato alle abitudini degli androidi – stesse osservandolo incuriosito. Decise, pertanto, che fosse opportuno spiegare al terrestre la sequenza di operazioni da compiere per

ripulire i suoi arti meccanici e, solo in seguito, dedicarsi a preparare i piani di viaggio, seguendo il percorso descritto, poco prima, dalla principessa. In verità, Milys non avrebbe avuto alcun impedimento a gestire più incombenze in contemporanea, nonostante ciò il condizionamento androide lo obbligava a svolgere i suoi compiti in sequenza quando degli umani erano assieme a lui. Terminata quella dettagliata ma non sollecitata spiegazione, George andò a sistemarsi per bene nella sua postazione radar, evitando, però, di infastidire l’androide durante quell’operazione, cui non aveva mai assistito – come si ricordava bene – per tutta la durata del viaggio da NC-T-GS-01. Proprio in quel momento, nondimeno, il terrestre si rese conto di non essersi mai informato su quale fosse il nome con cui quel pianeta era noto nei mondi dell’Alleanza. Non fece in tempo a discutere la questione con Milys, perché l’androide stesso interruppe per primo il silenzio calato nell’abitacolo. «Se vuoi sgranchirti le gambe, posso acquisire i dati radar senza difficoltà. Da quanto ho osservato finora, gli umani soffrono nello stare a lungo seduti a queste postazioni. La notte si prospetta tranquilla e noiosa per un umano: se camminerai un po’, riuscirai a stare sveglio!». «Buona idea, starò fuori per qualche tempo. Grazie Milys, sei un amico! Cercherò di non portare sabbia a bordo rientrando…», rispose sorridendo gentilmente il terrestre, cui l’idea di fare una piccola camminata nel deserto non dispiaceva per nulla. Stava iniziando la loro prima notte che avrebbe, così, completato la giornata iniziale trascorsa nel deserto e permesso di instaurare quelle consuetudini delle quali sarebbe stata costituita la routine, da svolgere durante tutto il viaggio.

*

Quando si rese conto che nulla era in vista dietro di sé, Rekh decise di fermarsi, ancorché la notte si prospettasse lunga e insonne. In realtà, l’assenza di inseguitori immediati era ciò che gli serviva per sentirsi rassicurato e potersi concedere il tempo per preparare un piano riguardante il suo futuro, dopo la fuga precipitosa dalla città.

Per buona parte delle ore precedenti, aveva inizialmente guidato seguendo, quasi d’istinto, una rotta nord nord-est, per poi indirizzarsi decisamente ad est. Dopo aver abbandonato la direzione originaria, nelle ore successive Rekh si era effettivamente addentrato sempre più fra le dune dell’erg con l’intenzione di affacciarsi ai margini della zona temperata entro un paio di settimane. Stima, in quella circostanza, che lui stesso riteneva essere molto approssimativa. Ripeté a se stesso che, così facendo, non avrebbe incrociato nessuno dei convogli – provenienti dalla regione dei laghi acidi – per il trasporto dei minerali dalle miniere. Sapeva di dover evitare a tutti i costi quelle colonne di mezzi da trasporto, perché lui stava guidando un veicolo ben conosciuto come appartenente a suo padre, cosicché troppe sarebbero state le eventualità di essere riconosciuto da ufficiali della guardia reale o da zelatori, non fedeli a suo padre ma partecipanti alla spedizione. Considerava più prudente, in quel frangente, dare per scontato come la notizia – in realtà, mantenuta ben riservata da Sird – dell’arresto del padre fosse, oramai, una voce di dominio pubblico.

Il mattino lo colse impreparato a riprendere il viaggio. In verità, non solo le ore di sonno erano state insufficienti, ma non aveva neppure utilizzato la brandina, essendosi accontentato di dormire al posto di guida, dopo aver abbassato lo schienale. La notte non sarebbe stata molto confortevole ma almeno – si consolò al momento di prendere sonno – sarebbe stato in grado di ripartire all’istante, se mai si fosse rivelato necessario. Al sorgere del nuovo giorno, la luce aumentò sempre più, portando con sé il caldo del deserto cui, come tutti gli abitanti della città sotterranea, era ben abituato. Inoltre, quell’escursione di temperatura suscitò la presenza momentanea di una leggera brezza, che cancellò definitivamente le tracce più recenti del suo aggio nell’erg. Si ritrovò, così, completamente isolato in quel deserto, tanto più che, avendo spento il localizzatore del veicolo appena lasciata la città, era ormai un uomo solo e disperso per tutti, pure per i suoi eventuali inseguitori. Trovarlo, dunque, non sarebbe stato né semplice né facile, prima che lui giungesse nella zona temperata. Infatti, soltanto di là del deserto, gli informatori di Sird lo avrebbero inevitabilmente scovato. Tuttavia laggiù, Sird e Ishar non avrebbero avuto alcun potere diretto e si sarebbe ritrovato libero, almeno, questo – rifletteva – era il

sogno che lo stava spingendo in quella fuga verso Friam. Il nome della città gli giunse in mente all’improvviso e senza motivazioni troppo elaborate ma, nonostante tutto, la meta verso cui dirigersi era stata alla fine stabilita! Per lui si prospettava, così, una lunga traversata che si augurava senza incidenti. Parimenti, ignorava che altri quattro umani e un androide si erano avventurati, in quelle stesse ore e con la medesima destinazione, attraverso il deserto a bordo di un veicolo ben attrezzato. Pertanto, la decisione improvvisa di andare a est, dopo aver lasciato la città, gli aveva permesso, a sua insaputa, di non essere rivelabile dal radar di terra dell’altro veicolo che, dopo il suo, aveva lasciato la città sotterranea.

Quantunque la notte non fosse stata una delle migliori e, quindi, al risveglio non avesse una grande capacità di concentrazione, si rese conto che non avrebbe potuto continuare in quel modo a muoversi nel deserto; cosicché, decise che era venuto il tempo per definire il percorso da seguire. Accese il sistema di navigazione e, con il suo aiuto, tracciò una rotta per Friam, facendo in modo che la traversata del deserto seguisse una rotta verso est, a zig zag. Non sarebbe stato il percorso più breve, anzi avrebbe impiegato un paio di giorni in più del previsto, ma le brezze del deserto avrebbero reso impossibile ad altri – se mai qualcuno stesse realmente inseguendolo – di scovare le sue tracce. Una volta arrivato al grande fiume – che lo avrebbe condotto a destinazione – si sarebbe trovato, finalmente, fuori dall’autorità del regno e, quindi, libero dei suoi movimenti: da lì in poi, avrebbe proseguito per la strada più diretta verso Friam. Essendo solo a bordo, aveva scorte abbondanti di viveri e d’acqua. Avrebbe dovuto temere solo le tempeste – rare, fortunatamente, in quel periodo dell’anno –, ma queste erano parte dei rischi che lui stesso aveva accettato, fuggendo nella notte appena trascorsa. Tuttavia, pur essendo giovane, sapeva che avrebbe seguito – almeno in questo – gli insegnamenti paterni: non si sarebbe messo in agitazione a causa di possibili pericoli, ma avrebbe affrontato quelli veri al momento in cui essi sarebbero sorti. L’ansia della serata antecedente era ormai ata e, al suo posto, una strana calma determinazione – forse accompagnata da un pizzico d’incoscienza – si stava facendo strada in lui. Dopo aver tracciato il percorso da seguire, scartò l’idea di riprendere, ancora per

qualche ora, a dormire all’interno del suo abitacolo ben condizionato, perciò, accese i motori e riprese a guidare nell’erg. Poi, non temendo di avere inseguitori immediati alle spalle, decise di non forzare l’andatura, riducendo così il consumo di carburante e stabilì che, nei giorni seguenti, avrebbe guidato solo sino a notte iniziata, cioè fino a quando la climatizzazione non sarebbe stata più necessaria. Nelle lunghe ore di guida – pensò –, avrebbe avuto parecchio tempo a disposizione per riflettere su come organizzare la sua vita futura. In quel momento, tuttavia, non gli venne in mente di aver gettato sulla brandina, posta nel retro del suo veicolo, lo strano videocomunicatore raccolto nell’ufficio del padre. Lo ritrovò solo al momento di coricarsi, a notte ormai inoltrata. Tuttavia, decise di essere troppo stanco per occuparsene in quell’istante, dopo un’intera giornata di guida sotto il sole accecante: alla prossima sosta notturna avrebbe cercato di capire a cosa potesse mai servirgli. Dopo due giornate e parti delle notti, trascorse alla guida, Rekh stabilì che questa volta si sarebbe fermato ben prima dell’arrivo dell’oscurità. Avrebbe avuto, così, il tempo di prepararsi una cena calda, evitando di mangiare le solite razioni d’emergenza, pronte all’uso ma di dubbio sapore. In quel tempo di fuga, nel quale nulla se non la sabbia si scorgeva dal suo parabrezza, lui si era oramai costruito la certezza intima che nessuno lo inseguisse da vicino. Questa sensazione gli permetteva di riflettere con più agio sulla sua situazione senza, quindi, che la pressione degli eventi lo obbligasse a prendere decisioni repentine. Fu allora che dopo cena – riemergendo dal flusso dei suoi pensieri –, si scoperse a esaminare con attenzione quello strano oggetto per la prima volta. Sotto lo stimolo della sua naturale curiosità, lo prese in mano cercando di capire come funzionasse e, trovato il pulsante giusto, lo accese. Rimase sorpreso dal veder comparire istantaneamente un’immagine, umana all’apparenza, ma che, in realtà, era quella di un androide a bordo di una nave in orbita attorno al pianeta. Costui, con un tono deferente, gli rivolse la parola, non mostrando alcun cenno di stupore: «Buona sera tjaty. Stavo attendendo la sua chiamata. La pregherei di porre il comunicatore di fronte in modo che anch’io la possa vedere. Ha notizie dei miei due compagni, ai quali lei ha permesso di entrare in città?». Lo stupore di Rekh fu completo. Lui non era per nulla preparato ad apprendere

che, quel videocomunicatore permettesse di metterlo in linea con degli sconosciuti i quali, a loro volta, conoscevano bene suo padre. Di colpo, svanì quella tranquilla certezza, chissà immaginaria, di essere sfuggito definitivamente alle trame della città sotterranea. La sua sorpresa, inoltre, era accresciuta dal fatto che l’interlocutore fosse a bordo – o almeno così gli pareva di capire – di una nave spaziale. A tutto questo si doveva aggiungere che lui nulla sapeva al riguardo delle persone cui lo sconosciuto faceva riferimento nella domanda appena rivoltagli. In fin dei conti – forse, lo aveva già intuito da molto tempo –, si rese conto di conoscere ben poco sui traffici del padre e capiva come il suo arresto – avvenuto solamente alcune notti prima – potesse avere motivazioni molto gravi e profonde, benché a lui del tutto sconosciute. In quel momento, Rekh era conscio di essere un fuggitivo e, per di più, senza un piano preciso sul da farsi una volta giunto a Friam. Così, senza indugiare, girò il comunicatore verso di sé rivolgendosi alla volta dello sconosciuto. «Non sono il tjaty del regno della città sotterranea, ma suo figlio Rekh!». Attese qualche istante e, senza dare tempo al suo interlocutore di riprendere la parola, continuò spiegando: «Temo di non conoscere i vostri compagni, pertanto, non sono in grado di comunicarvi alcuna informazione al riguardo». «Se potessi avere l’onore di parlare direttamente con suo padre...», interruppe l’androide, senza mostrare alcuna perplessità sulla presenza di Rekh, «Sono sicuro che lui saprà ragguagliarmi al riguardo». «Non vedo come ciò sia possibile, al momento. È stato arrestato giorni addietro! E non conosco il motivo per cui sia stato imprigionato. Ho solo assistito a quanto accadeva, e sono subito fuggito!», fu la risposta immediata di Rekh. arono alcuni istanti, come se la notizia dovesse essere metabolizzata – nonostante non fosse questo ciò che avveniva all’interno del processore centrale dell’androide –, quando dalla navetta in orbita arrivò una seconda domanda inattesa. «Due nostri compagni erano arrivati in città, accompagnati da uno zelatore. Si hanno notizie di loro?». Istintivamente, Rekh evitò di menzionare – non essendo del tutto sicuro a chi si riferisse – l’imprigionamento dello zelatore – stretto collaboratore del padre – e,

per non fornire altri particolari sugli arresti di quella notte, non menzionò neppure la presenza dei visitatori giunti da Isis. Cosicché, con l’aria persuasiva di chi afferma un dato di fatto, rispose di non sapere nulla a riguardo dei loro compagni, sperando in tal modo di chiudere, definitivamente, quella strana conversazione non voluta. L’androide, durante il colloquio, aveva associato il segnale transiente, ricevuto giorni addietro, all’eventualità che provenisse proprio da un transponder dei suoi simili. Tuttavia, ancora in quel frangente, continuò a evitare di considerare questa eventualità come una certezza. «Rekh, la pregherei di mantenere il videocomunicatore ; noi potremmo avere altre domande da porgerle», aggiunse, in tono conclusivo, l’androide. Così Rekh si rese conto di come l’interlocutore non fosse solo nella navetta; forse – pensò –, quegli sconosciuti avrebbero potuto costituire un aiuto per la sua fuga o, in seguito, quando cioè fosse giunto a Friam, nella zona temperata. «D’accordo! Manterrò aperto il sistema di comunicazione. Siete in grado di dirmi se sono inseguito?», chiese, rispondendo con un’altra domanda alla loro richiesta appena accordata. «Durante il colloquio ho esplorato, per alcune decine di chilometri, il territorio circostante alla sua posizione attuale e posso confermare che nessun mezzo si muove sulla direttrice tra lei e la città». «Grazie per l’informazione, proseguirò con una rotta verso est per raggiungere la zona temperata. Non dovrebbe esservi difficile osservarmi dall’orbita». «No, non avremo nessun problema. Se il videocomunicatore resta , possiamo utilizzarlo come localizzatore. Questo garantirà la sua traversata del deserto. Interverremo nel caso in cui si presentassero dei problemi, o se il vento del deserto si tramutasse in tempesta, mettendo la sua vita in pericolo». Rekh, rassicurato dalla presenza protettiva di una nave in orbita, decise di riprogrammare la direzione del suo veicolo abbandonando quell’inutile – stando alle nuove informazioni – zigzagare. Qualche ora dopo, ricordando il colloquio, si rese conto di aver ricevuto una strana sensazione, sicuramente una percezione errata – pensava, più che altro per rassicurare se stesso –, come di un riflesso metallico colto quando il compagno del suo interlocutore era entrato – per un

brevissimo periodo –, nel campo visivo del videocomunicatore. Dopo qualche istante di riflessione, accantonò quel ricordo in un angolo della mente, anche se non riuscì a cancellarlo completamente.

In quell’istante a bordo della nave, l’androide chiuse la comunicazione, e concentrò la sua attenzione esclusivamente ai sistemi di avvistamento. Aveva, infatti, deciso di modificare la rotta diminuendo l’inclinazione, in modo da are più tempo sulla zona desertica. Tuttavia, per non mettere in allarme i controllori dello spazio aereo – inclusi quelli della città sotterranea –, decise di compiere il cambiamento dell’orbita gradualmente. L’operazione sarebbe stata completata in una settimana abbassando, giornalmente, l’inclinazione di meno di dieci gradi. L’orbita finale avrebbe permesso, pertanto, alla navetta di mantenere l’osservazione visiva sulla zona desertica, durante buona parte della giornata. Così, alla fine, il cambiamento dell’orbita non fu percepito come tale dai controllori sul pianeta. La nuova orbita permise agli androidi di osservare in modo sistematico il deserto e, accidentalmente, costoro si resero conto che, oltre al veicolo di Rekh, un altro mezzo da trasporto terrestre si muoveva in quella landa desolata. Il veicolo appena avvistato era un cingolato e stava procedendo speditamente nella direzione di una depressione, localizzata più a nord rispetto al percorso scelto da Rekh. Da quel momento, la progressione del cingolato nel deserto fu monitorata e analizzata. Gli androidi stabilirono che il veicolo aveva lasciato la città la mattina successiva alla partenza di Rekh e lo collegarono, quindi, agli eventi che avevano portato all’arresto del tjaty. Dalla quota in cui si trovavano, potevano anche identificare il tipo di cingolato. Tuttavia, nonostante quel veicolo non fosse stato – con certezza – costruito su Arion, ma su uno dei mondi dell’Alleanza, non avevano altri elementi sospetti che lo riguardassero. Lo avrebbero esaminato più a lungo e, in seguito, sarebbe stata fatta giungere una squadra d’appoggio da Friam, se necessario. Secondo quanto conoscevano, gli eventi nella città sotterranea – anche se negativi per i piani degli scientisti – non parevano, al momento, essere direttamente collegati ai fuggitivi dei quali erano alla ricerca.

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Capitolo 9: L’Attacco

Dal momento del suo sorgere all’alba, il sole nel deserto non dava più tregua portando, così, il metallo del veicolo a temperature elevate per gli esseri umani, ma certamente troppo alte, affinché gli androidi potessero funzionare in condizioni ottimali. Il caldo era, infatti, il primo vero nemico da combattere in quel viaggio. Perciò per quasi tutto il giorno, nonostante l’isolamento termico di cui la carrozzeria era dotata, il sistema di condizionamento doveva lavorare al massimo regime per mantenere la temperatura interna al mezzo vivibile per gli esseri umani e tollerabile per l’unico androide a bordo. Dopo la prima giornata di viaggio, la vita a bordo scorreva oramai scandita dai turni di osservazione e di guida, equamente suddivisi tra i membri dell’equipaggio ed era accompagnata da quella serie di compiti da svolgere che, ripetendoli, avrebbero trasmesso la sensazione di normalità alle loro prossime giornate. Con lo scorrere del tempo, infatti, quelle abitudini generavano una percezione di tranquilla quotidianità, divenendo, gradualmente, una sensazione quasi palpabile, in grado di infondersi in tutti, contagiando in qualche modo anche lo stesso Milys. In realtà, Milys non aveva alcuna necessità di essere assistito o rimpiazzato alla guida del mezzo. La programmazione cibernetica, da cui era controllato, lo rendeva perfettamente capace di lavorare giorno e notte, senza soluzione di continuità. Tuttavia – adeguandosi agli umani in mezzo ai quali si trovava a svolgere i suoi compiti –, preferiva utilizzare la notte per ripulirsi da quella terribile sabbia, così fine da sembrare capace – come se fosse animata – di penetrare all’interno del mezzo, seppure in quantità minima. Tutto ciò accadeva, inevitabilmente, durante le soste notturne, in cui gli umani si fermavano a cenare, spesso, però, mantenendo l’abitacolo parzialmente aperto. Grepx e Ashley, a loro volta, si alternavano a coprire i turni diurni ai comandi dei radar, mentre George aveva quello notturno, in compagnia dell’androide, che non aveva alcuna necessità di dormire. Con il are delle notti e le inevitabili lunghe chiacchierate, Milys aveva

appreso a intendersi bene con George. L’androide sapeva oramai interpretare le espressioni facciali del terrestre, i minimi gesti del suo corpo e, persino, il tono della sua voce. Infatti, Milys cominciò a leggere lo stupore nel volto di George, in quella prima volta in cui il terrestre aveva visto l’androide controllare i propri arti, staccati dal resto del corpo. In seguito, l’androide apprese a riconoscere come fossero legati ai diversi stati d’animo del terrestre, sia il linguaggio del viso sia i toni della voce. Tutto ciò successe quando il terrestre gli raccontò parte della sua vita sulla Terra, dei suoi trascorsi all’accademia – dove si era formato come ufficiale – e, infine, alcuni fra i suoi viaggi più avventurosi, fino a quest’ultimo che lo aveva portato a incontrare lui e Grepx.

Fu durante una di quelle notti trascorse con George, che Milys, senza cambiare il tono di voce – per non impressionare l’umano e interrompere, così, il flusso delle sue confidenze – lo avvisò che stava ricevendo dei segnali da attribuirsi, probabilmente, a uno o più transponder. La qualità della ricezione era, complessivamente, abbastanza cattiva: i segnali – almeno due – erano confusi all’interno del fondo creato dalle emissioni elettromagnetiche del pianeta. Nonostante ciò era, comunque, riuscito a tracciare la provenienza dell’emissione e, per mezzo della sua durata e frequenza di ripetizione, era giunto alla logica conclusione che fosse stata emessa da androidi presenti a bordo di una nave spaziale in orbita semi-polare. Inoltre, era possibile o probabile che costoro fossero a bordo della stessa navetta da cui erano stati inseguiti fino allora. Tuttavia, vi era altresì un aspetto positivo da mettere in luce, ossia la constatazione che, a suo parere, costoro stessero ancora compiendo una ricerca ad ampio raggio e che, pertanto, almeno fino a quel momento, il loro veicolo non avrebbe dovuto essere stato ancora individuato. L’informazione era sicuramente importante; ciò nonostante non sembrava tale da dover interrompere il sonno dei propri compagni, fu l’opinione espressa da George all’androide. Alla fine, il terrestre concordò con Milys come fosse lui stesso a doverli ragguagliare, sebbene soltanto il giorno seguente. Dopodiché, l’androide trascorse il resto della notte intento a riprogrammare il sistema di controllo del radar in modo che, quando la nave inseguitrice fosse all’interno del suo cono osservativo, lo strumento la individuasse automaticamente fra quelle in orbita e ne seguisse la traiettoria. Il mattino seguente toccò a Grepx seguire lo spostamento regolare della navetta e, nel

pomeriggio, fu Ashley a continuare nell’operazione. Sul finire della giornata la tracciatura di quella nave spaziale divenne, così, parte dei compiti ordinari da svolgere durante il viaggio. Nella notte seguente, tuttavia, George si accorse che – seppur di poco – l’inclinazione dell’orbita era mutata. Il cambiamento, monitorato di continuo dall’equipaggio del veicolo, proseguì sistematicamente nei giorni successivi. Alla fine, col are dei giorni, fu sempre più evidente come il movimento in atto non fosse casuale ma effettuato con il preciso intento di permettere l’esplorazione particolareggiata della regione desertica, da loro attraversata in quei giorni. Compresero, pertanto, che, in qualche modo, gli androidi – non necessariamente gli scientisti – erano venuti a sapere della loro presenza proprio in quel deserto. Non fu difficile collegare questo fatto alla fuga di Rekh, avvenuta poco prima che loro stessi lasciassero la città e, di conseguenza, al videocomunicatore, mai trovato al momento dell’arresto del tjaty. Sarebbe stata al massimo una questione di qualche giorno, ma alla fine gli androidi li avrebbero scovati: conveniva, pertanto, accettare realisticamente la situazione e prepararsi all’inevitabile incontro o, forse, al probabile scontro.

Seduta vicino a Milys, nella parte anteriore del veicolo, Ishar aveva esaminato più volte i tracciati delle orbite effettuate dalla navetta androide. Alla fine, modificando l’impressione iniziale, la principessa si convinse che, forse, gli androidi non cercassero proprio il loro veicolo; si rivolse, perciò, ad Ashley per sentire la sua opinione in merito. «Chissà, gli androidi in orbita non sanno chi, effettivamente, si trovi a bordo di questo mezzo. In fin dei conti, Rekh era solo genericamente a conoscenza dei piani di suo padre. Inoltre, avendovi visto di persona, Rekh era senza dubbio al corrente che tu e George – i miei amici provenienti da Isis – foste alla cerimonia. Forse, in aggiunta a tutto ciò, ha di certo intuito come voi due abbiate avuto un ruolo attivo negli arresti della serata. Tuttavia, non poteva in alcun modo essere a conoscenza che Grepx e Milys fossero in città! Non dimentichiamoci che gli androidi stanno cercando loro due e non voi terrestri!». «Direi…», esclamò la terrestre, seguendo il ragionamento di Ishar, «che hai ragione. Gli androidi non dovrebbero essere a conoscenza di chi sia, effettivamente, a bordo di questo mezzo».

Poi, dopo una breve pausa, la terrestre continuò a dire: «Immagino che vorranno controllare il nostro veicolo di persona e, perciò, eviteranno di distruggerlo con un attacco portato direttamente dalla nave in orbita. Troppo rischioso e troppe spiegazioni da dare ai regnanti della città sotterranea, da cui dipendono gli equilibri politici di Arion! No. Non rischieranno! Inoltre, non sono in comunicazione diretta con gli scientisti. Pertanto, gli androidi non sono nelle condizioni di poter cambiare l’ordine logico delle procedure prestabilite, in conformità a una loro iniziativa!». «In questo caso», commentò Grepx, aggiungendosi alla conversazione in corso tra le due donne, «dobbiamo lasciar agli androidi la convinzione di avere come elemento di vantaggio quello di poterci fare una visita a sorpresa. Non vi nascondo di stare riflettendo a come distruggere quella nave. Tuttavia, di sicuro non ne avremo la possibilità fintanto che resterà in orbita. Se invece gli androidi decidessero di scendere, noi avremmo l’opportunità di coglierli alla sprovvista!». «Quante possibilità di successo ritieni che noi potremmo avere?», fu la domanda di Ishar, non appena Grepx ebbe terminato di esporre la sua idea. Poi, mentre la principessa si girava verso di lui per osservarlo meglio, le rispose: «Senza lasciarli avvicinare a noi, nessuna! Se riuscissimo a portarli a tiro del nostro disgregatore, avremmo parecchie opportunità di successo, anche se non la certezza matematica. L’arma, dataci da tuo fratello e riposta a lato della torretta d’osservazione – camuffandola come una tenda da deserto –, non è una dotazione ordinaria per questo tipo di mezzo: sono sicuro che, se anche avessero identificato il cingolato come un veicolo dell’Alleanza, non avranno potuto immaginare, di certo, la presenza a bordo di un armamento di questo tipo...». Poi, con aria pensosa si girò verso Milys, che stava guidando il veicolo; tuttavia, invece di rivolgersi all’androide, riprese a parlare voltandosi per guardare nuovamente la principessa. «Questa sera, al risveglio di George, proveremo a tracciare una bozza di piano operativo. Da parte nostra, nel frattempo, dobbiamo evitare di insospettirli in qualunque modo», affermò Grepx. «Ritengo che, se ora deviassimo verso est, raggiungeremo le rovine dell’antica città! Non avremmo dovuto attraversarla. Tra quei ruderi, però, abbiamo costituito un deposito di emergenza con viveri e acqua. Il luogo, il cui accesso è

conosciuto solo dagli uomini della nostra guardia, è situato in un sotterraneo ben custodito. Il deposito è controllato e rifornito con regolarità per mantenerlo al massimo delle sue capacità operative», replicò Ishar, inviando dalla sua postazione la mappa dei resti dell’antica città, sullo schermo di fronte a Grepx. L’ufficiale dell’Alleanza le sorrise dicendole: «Ottima idea! Devieremo la rotta dopo la sosta notturna mantenendo, comunque, l’attuale velocità di crociera. Per ora dobbiamo continuare, senza alcun cambiamento di direzione. Credo che così, osservandolo dall’alto, il cambio di rotta dovrebbe sembrare più simile a una modifica programmata».

La sera trascorse nei preparativi per quella che poteva ben definirsi un’imboscata agli androidi dai quali erano inseguiti. Nulla, sino a quel momento, lasciava trapelare che costoro si fossero accorti come il loro veicolo fosse uno di quelli in dotazioni alle forze d’élite dell’Alleanza, quindi, dotato di complessi sistemi radar per l’avvistamento. Avrebbero avuto, così, tutto il tempo di organizzarsi per bene e tendere una trappola con buona probabilità di successo! Discussero a lungo su quel piano, abbozzato inizialmente da Grepx, basato sulla presunzione che gli androidi non avrebbero deciso di attaccarli dalla nave in orbita senza aver prima identificato chi, effettivamente, fosse a bordo del cingolato. Alla fine tutti concordarono come fingere un guasto improvviso, quando fossero arrivati nei pressi delle rovine, costituisse un ottimo stratagemma per indurre gli androidi ad atterrare presso di loro. Decisero allora di portare il disgregatore a grande portata – ancora collocato sull’esterno del mezzo – all’interno e di sostituirlo, il mattino seguente, proprio con la tenda utilizzata durante le soste notturne. In tal modo, a un’ispezione visiva dall’alto, anche se accurata, il veicolo non sarebbe apparso modificato nel suo assetto. Sapevano, inoltre, che la nave spaziale, in base al tipo di orbita su cui si era collocata nei giorni precedenti, non avrebbe potuto compiere osservazioni notturne sulla loro zona e, di conseguenza, che gli androidi non sarebbero stati a conoscenza di quanti fossero i membri dell’equipaggio. Milys, pur essendo uno specialista scientifico, possedeva nei suoi archivi i codici con cui gli androidi armati da esplorazione – tali erano presumibilmente quelli a bordo della nave in orbita – erano programmati, per agire nelle diverse

circostanze. Pertanto, sarebbe stato possibile conoscere, in anticipo, il loro modo di procedere in quella situazione. Inoltre, i quattro umani e Milys esaminarono a lungo la posizione delle rovine sulla mappa procurata da Ishar. Milys, in base al presunto modo di operare di quegli androidi e, considerando la disposizione di quanto restava della cinta muraria, prevedeva come questi ultimi si sarebbero avvicinati a piedi, con il sole alle spalle e dotati del solo armamento leggero, per non insospettire gli umani. Avrebbero dovuto, pertanto, prendere terra sul lato est delle rovine, eseguendo un atterraggio fra le dune, perciò evitando – tale sarebbe stata la loro intenzione – di rivelare la tipologia e la posizione della nave spaziale. Per questi motivi, quando fossero giunti alle rovine, Milys, ben chiuso nella sua tuta da deserto, avrebbe ato la notte proprio su quel lato della cinta muraria in cui avevano previsto l’atterraggio della nave. Data la distanza relativamente ridotta, avrebbe facilmente scoperto il numero degli androidi avversari, secondo quanti segnali fossero giunti dai loro transponder. Inoltre, avrebbero dovuto evitare l’uso di comunicazioni radio, poiché queste sarebbero state immediatamente intercettate dai complessi sistemi di rilevamento in dotazione agli androidi degli scientisti. Milys, invece, si sarebbe mantenuto a distanza visiva da Grepx – armato con il disgregatore a grande raggio –, con il quale avrebbe scambiato solo segnali con le mani. L’arma era pesante, ma un ufficiale dei corpi d’élite come Grepx non avrebbe avuto difficoltà a maneggiarla senza sbagliare la mira. Decisero che avrebbe aperto il fuoco sulla nave solo quando gli androidi, lasciatala, si fossero diretti verso il loro cingolato – fermo presso le rovine – e avessero poi girato l’angolo semi-diroccato della cinta muraria. Ishar, Ashley e George sarebbero stati intenti al lavoro per simulare una riparazione del veicolo, in verità funzionante. Dei tre, la principessa si sarebbe tenuta maggiormente discosta – all’interno delle rovine –, dove una piccola tenda avrebbe impedito la vista delle armi leggere a quei visitatori indesiderati. Da parte sua, Ishar, accettando la proposta di Grepx, avrebbe fatto la sua parte aprendo il fuoco sugli androidi non appena la nave fosse stata colpita e distrutta, grazie al disgregatore a grande portata. Pur essendo una donna giovane, la principessa aveva già dimostrato negli ultimi avvenimenti – successi nella città sotterranea –, di essere ben sperimentata ai pericoli; non ebbe, quindi, dubbi nell’aderire alla proposta che il giovane ufficiale dell’Alleanza le fece di partecipare direttamente all’azione, per quanto pericolosa.

Alla fine, il piano elaborato da quei viaggiatori del deserto pareva ben concepito, attuabile e, al contempo, conforme a come avrebbero agito gli androidi da esplorazione.

Per l’intera giornata successiva, costoro si spostarono nel deserto alla velocità di crociera abituale, così come avevano stabilito nel piano elaborato nella serata precedente. Nessun incidente accadde durante quella parte di tragitto cosicché, quando la nuova sera era ancora lontana, essi avvistarono le rovine della città. Poco si conosceva della sua origine e delle ragioni per cui quegli antichi abitatori si fossero stanziati in un luogo talmente ostile; in Arion, effettivamente, l’archeologia non era tra le discipline di studio maggiormente praticate. Tuttavia, la presenza stessa dei resti di un’antica civilizzazione stava a indicare come la storia delle popolazioni del deserto avesse radici molto lontane nel tempo. Fu così che, con il sole già chino sull’orizzonte, il cingolato si arrestò alle prime avvisaglie delle rovine, sollevando una nuvoletta di sabbia la quale, ricadendo al suolo lentamente, sembrava essere l’unica cosa animata del luogo. Erano fermi, in silenzio, di fronte ad una città spettrale, le cui mura lasciavano solo immaginare come la vita, al suo interno, fosse scorsa tra quelli che, ora, erano solo viottoli in buona parte ricoperti dalla sabbia ancora arroventata. Ad Ashley e George la fantasia, lasciata libera per alcuni momenti, permise di immaginare i tempi in cui la gente visse e camminò attraverso quei resti di strade e di case. Avendo in mente le loro antiche civiltà e le tracce lasciate in eredità per molte generazioni, i due terrestri non poterono che restare a contemplare quelle rovine, create con pietre da costruzione arrivate, con buona probabilità, dai monti azzurri oppure, in alternativa, da quella fornace a cielo aperto dove si trovano i laghi acidi e verso la quale loro stessi erano diretti. Grepx e Milys – meno propensi a perdersi in quell’immaginario creato dalle rovine – erano, al contrario, più interessati alla disposizione di quanto restava della cinta muraria, situata alla sinistra della loro direzione di avvicinamento. Sul lato nord, i resti di una massiccia porta d’ingresso – in parte diroccata e con frammenti delle sue possenti strutture, sparse sulla sabbia infuocata – parevano messi lì per bloccare, come nel ato, l’ingresso ai viaggiatori. A ben vedere, quel luogo era proprio il posto ideale dove simulare un incidente avvenuto casualmente. Lì, Milys manovrò il veicolo in modo tale che, arrestandolo improvvisamente, la parte superiore di un cingolo asse sulla sommità di un

blocco di granito – molto esteso ma parzialmente immerso nella sabbia – e rimanesse poi bloccato a causa di un enorme macigno che vi giaceva sopra. In quell’istante i due terrestri e Ishar indossarono rapidamente le tute da deserto e balzarono fuori per simulare un tentativo di riparazione, nella speranza che tale apparisse da un’osservazione aerea. In effetti, vista da una nave in orbita, quella messa in scena sarebbe stata senza dubbio scambiata per un incidente causato dalla stanchezza o dalla disattenzione di un guidatore umano. Poi, Grepx e Milys esplorarono a palmo a palmo le mura diroccate, cercando dove si sarebbero dovuti appostare. Le rovine, infatti, offrivano diversi luoghi in cui nascondersi alla vista di chi provenisse dall’esterno, quindi non fu per niente difficile trovare le postazioni per loro due. Milys si sarebbe messo sulla parte orientale, poco distante dall’angolo che guardava a nord. Nondimeno, gli ampi spazi aperti nella cinta, avrebbero permesso agli altri tre umani – quando fossero apparentemente intenti alla riparazione del veicolo – di vedere l’androide e le segnalazioni che costui avrebbe dovuto fare a loro tutti. Grepx, invece, sarebbe stato sulla parte settentrionale, in una posizione leggermente più elevata rispetto a quella di Milys, in modo da avere un’ampia visuale sia sulla parte settentrionale dell’area, sia su quella orientale e occidentale. Alla fine, esaminando con cura il campo visivo offerto dalla sua postazione, l’ufficiale dell’Alleanza scoprì che, da lì, vi erano dei punti ciechi riguardanti unicamente la visuale sulla parte meridionale delle rovine. In seguito, Grepx e Milys, terminata l’esplorazione delle rovine, si ritrovarono presso il veicolo per aiutare le due donne e George. La lega leggera ma molto resistente – con cui erano fatti i cingoli e le ruote di trasmissione, capaci di imprimere il movimento al veicolo – aveva permesso che fossero smontati manualmente, anche se non senza qualche difficoltà. Il tempo richiesto non fu eccessivo e Ishar, in seguito, li condusse al deposito di emergenza, fornendo loro i codici d’ingresso e verificando, inoltre, che viveri e acqua fossero abbondanti e stipati con cura. Il deposito aveva, in aggiunta, annessa una stanzetta ben ordinata e dotata di un paio di brandine. Non si poteva dire che fosse un albergo confortevole, però – in caso di emergenza – quel deposito avrebbe garantito la sopravvivenza a chi si fosse trovato in guai seri nel deserto. Poi, prima che la fioca luce delle lune fosse del tutto rimpiazzata dall’oscurità notturna, sudati e stanchi avevano nuovamente perlustrato le rovine più vicine,

scoprendo la presenza di piante ormai rinsecchite, la cui raccolta sarebbe stata l’ultima fatica di quella lunga giornata. Alla fine, a differenza delle notti precedenti, ottennero che un fuoco – alimentato dagli arbusti essiccati, trovati sparsi fra i ruderi – riscaldasse il piccolo gruppo di uomini e si riflettesse, a tratti, sulle ruote di scorrimento del cingolo. La sera si era oramai mutata in una notte nella quale l’oscurità era rotta solo dalla luce riflessa delle lune, tuttora luminose, del pianeta. «È proprio un paesaggio insolito per dei terrestri!», rifletteva George, ammirando la vista di quei due grandi corpi lucenti nel cielo notturno, ma non sapendo in quale direzione dovesse rivolgere lo sguardo per salutare, anche se solo con il pensiero, la Via Lattea.

Dopo la cena, il silenzio, dovuto alla stanchezza, calò sul gruppo. Sapevano come quella notte sarebbe trascorsa senza problemi ma, altresì, che il giorno seguente la situazione sarebbe mutata. Infatti, con l’alba e il susseguirsi delle orbite percorse dalla nave, gli androidi avrebbero avvistato il mezzo fermo, in apparente difficoltà, presso le rovine. Grepx, principale ideatore del piano in cui erano coinvolti, appariva tranquillo. Tuttavia, per quanto addestrato a situazioni di pericolo, l’ufficiale dell’Alleanza avvertiva su di sé il peso della responsabilità per la vita di questi suoi compagni – ormai, sarebbe più opportuno definirli veri e propri amici – e per le informazioni che Milys serbava nei suoi banchi di memoria. Il piano doveva assolutamente riuscire per il futuro dell’Alleanza – ripeteva a se stesso – mentre ripensava a tutti i possibili inconvenienti sullo svolgimento dell’azione. In quei momenti di riflessione, Grepx stava diventando sempre più consapevole di come volesse, con tutte le sue forze, evitare di esporre la principessa Ishar al pericolo incombente. Eppure – di fronte a se stesso –, insisteva ancora ad attribuire questo pensiero più al senso di lealtà verso Sird che a un sentimento nascente nel suo intimo. In realtà, in lui, l’affetto verso quella giovane e coraggiosa principessa andava viepiù consolidandosi col are dei giorni, vivendo – condizione imposta dal viaggio attraverso il deserto – a stretto contatto con lei. Lui, infatti, avvertiva che, da parte della principessa, la stima nei suoi confronti era gradualmente salita, parimenti al grado di

approfondimento della loro conoscenza reciproca. Allora stette silenzioso, annotando mentalmente come lo stomaco fosse attanagliato dalla tensione più del consueto, per quell’imboscata; una situazione alla quale, a dire il vero, non era per nulla nuovo. Alla fine, non sarebbe stato necessario are la notte appostati all’esterno; tuttavia, costoro concordarono sul fatto che Grepx e Milys, un paio d’ore prima dell’alba, avrebbero dovuto disporsi, rispettivamente, lungo il settore settentrionale e orientale della cinta muraria. Le postazioni, scelte con cura, avrebbero permesso, infatti, agli umani di vedere le segnalazioni di Milys durante lo svolgersi dell’azione.

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Dopo quella prima videocomunicazione, Rekh aveva deciso di accantonare l’idea di farsi vivo con quegli strani personaggi, malfidi – a suo avviso – sulla nave in orbita. Non li conosceva per nulla e non gli ispiravano alcuna fiducia. Nonostante sapesse o, per lo meno, avesse intuito dal modo criptico con cui si erano espressi che, forse, sarebbero intervenuti a tirarlo fuori dai guai, quel colloquio gli aveva lasciato l’amaro in bocca. Poi, con il are dei giorni, la tranquilla monotonia del viaggio aveva preso il sopravvento e lui aveva imparato a concentrare l’attenzione sui particolari tipi di dune – cui, quasi quasi, avrebbe voluto assegnare un nome –, o sul sorgere e sparire di qualche tenue corrente d’aria, in grado di cancellare le tracce lasciate sulla sabbia dal suo veicolo. Improvvisamente, il videocomunicatore si accese e la consueta voce dal tono leggermente metallico gli chiese: «Rekh, abbiamo seguito il tragitto di un altro veicolo, che ha lasciato la città sotterranea dopo la sua partenza». Il termine fuga – notò il giovane – non era mai stato utilizzato in modo troppo marcato dal suo interlocutore in orbita. «È in grado di indicarci da chi potrebbe essere costituito l’equipaggio? Le invio un’immagine del veicolo – un cingolato in uso presso le forze armate dell’Alleanza – sul visore, così da aiutarla nell’identificazione».

Immediatamente un’immagine nitida del veicolo di Grepx apparve sul visore ma Rekh, da parte sua, non poté che ammettere la sua totale ignoranza sulla tipologia del mezzo e su chi potesse fare parte dell’equipaggio. Ammise, comunque, che veicoli di quel tipo, a sua conoscenza, non erano usati né dagli abitanti né dalle truppe della città sotterranea. «Grazie Rekh! Lei ci è stato di grande utilità. La prego di prendere contatto con la nostra base in Friam, al suo arrivo. Abbiamo già inviato tutte le informazioni riguardanti i suoi spostamenti e la stanno attendendo», replicò l’androide alle spiegazioni del giovane, chiudendo, con quest’invito, la comunicazione con lui. Al termine della conversazione, Rekh sentì un nodo serrarglisi alla gola e avvertì la paura – per quella prospettiva – impadronirsi, in parte, della sua mente, mentre con la bocca ringraziava per l’interessamento, non sollecitato, mostrato da chi era in orbita. A quanto pare a Friam, si disse, non sarebbe stato del tutto libero dei suoi movimenti. Quell’invito pareva piuttosto un ordine, al quale sarebbe stato difficile sottrarsi.

Chiusa la comunicazione, senza scambiare fra loro una sola parola – non ne avevano, infatti, alcuna necessità, poiché tutto transitava attraverso la rete informatica della nave – gli androidi iniziarono la procedura per cambiare la rotta, in previsione di un atterraggio nel deserto. In verità, quel veicolo dell’Alleanza pareva sospetto e, pertanto, andava controllato a terra, eseguendo così le istruzioni che recavano codificate nel sistema operativo, capace di governare i loro processori. Nel frattempo – notarono –, il veicolo aveva cambiato direzione e, durante quella stessa giornata, aveva progredito verso est. Estrapolando il tragitto da percorrere, il mezzo da trasporto terrestre pareva voler raggiungere le rovine di un’antica città, che avevano già avvistato tempo prima. Seguirono con cura i movimenti del mezzo per diverse orbite, fino a quando parve chiaro che era fermo, apparentemente in avaria, nella zona settentrionale della città. Se tutto ciò fosse stato confermato, il giorno seguente nella mattinata sarebbero atterrati sul lato est, in modo da avvicinarsi con il sole alle spalle, al fine di non far capire troppo precisamente la direzione di provenienza. Avrebbero dovuto compiere l’ultima fase dell’atterraggio a volo radente, confidando che qualche

duna nascondesse il loro arrivo alla vista dell’equipaggio del veicolo. Dopodiché, lasciata la nave, appiedati e apparentemente privi di un mezzo di trasporto, sarebbero apparsi di fronte agli occupanti del veicolo bloccato a terra per ispezionare – con la forza se fosse stato necessario – il mezzo e le persone.

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Chissà perché, si chiese George, durante la notte aveva sognato di guardare le acque di quel lago dove la sua famiglia tuttora possedeva una casa, in cui aveva trascorso parte della giovinezza. In verità, aveva rivissuto con nostalgia la visione dei riflessi dei raggi solari sulla superficie dell’acqua; riverberi resi irregolari a causa delle increspature create da un leggero venticello. Era così intensa e realistica la vista del lago che, quasi, sentiva il suono prodotto dal frangersi delle onde. Riviveva, infatti, la sensazione provata mentre stava eggiando sulla riva, nella mattinata di una di quelle calde estati, ate allora sulla Terra. Era strano – si scoperse a pensare –, come nei momenti di calma che precedono un’azione in cui è posta in gioco qualcosa d’importante, i ricordi – ai quali si è affezionati – ritornino a galla e impongano improvvisamente la loro presenza. Forse, anche Ashley starà pensando alla sua cara Terra, concluse, spazzando via dalla mente il ato che – per quanto dolce – avrebbe potuto, soltanto, essere una distrazione da quanto lo attendeva. Al contrario, Grepx era già al suo posto – riparato dall’ombra di quanto restava di un’antica postazione di guardia –, all’interno della sua tuta che gli garantiva una temperatura sopportabile e attenuava, in questo modo, la necessità di bere. Milys, anche lui all’ombra, attendeva evitando movimenti inutili che avrebbero solo provocato il sollevamento della sabbia – presente ovunque in quel luogo –, da cui doveva difendersi come da un vero nemico. Contando sul fatto che gli androidi avrebbero concentrato tutta la loro attenzione sul veicolo e sull’area circostante, la presenza di Grepx e Milys aveva buone probabilità di are inosservata, a condizione che, nell’attesa, restassero ben celati fra le rovine. Loro due erano decisi ad attendere tutto il giorno e, fino al mattino seguente, se fosse stato necessario.

Poco dopo l’alba, invece, George, utilizzando i segnali manuali convenuti, aveva fatto intendere ai due compagni, ormai nascosti, come la nave, con gli androidi a bordo, si fosse stabilizzata su una nuova orbita, da cui era possibile scendere e compiere un rapido atterraggio presso le rovine della città. Le ore arono lentamente e così, nell’attesa sfibrante, dei dubbi – sul funzionamento della trappola – cominciavano a farsi strada in Grepx. Nel frattempo, un vento, debole ma costante, si mise a soffiare come un alito infuocato sul deserto, sollevando la sabbia e rendendo l’aria maggiormente irrespirabile a tutti gli esseri viventi, pertanto, anche a loro, se non avessero avuto le tute da deserto. L’aria calda ava, depositando altra sabbia, tra quello che restava delle antiche case; andava, inoltre, smerigliando nuovamente le pietre d’angolo, sporgenti in quell’ambiente, ormai ancor più desolato e in grado di trasmettere una cupa sensazione di abbandono e di disuso. La mattina era ben inoltrata quando, mentre calava il vento, Grepx vide avvicinarsi da est la forma inconfondibile di una nave da esplorazione stellare. Il mezzo spaziale era in anticipo rispetto alle attese di un possibile atterraggio notturno e, quindi, di una conseguente lunga attesa fino alla successiva alba. Senza dubbio erano gli androidi! Se costoro avessero abboccato all’esca del veicolo in panne, loro lo avrebbero scoperto fra poco! Milys, da parte sua, aveva già percepito i trasponder degli androidi a bordo della nave in avvicinamento, quantunque la distanza gli avesse impedito di conoscerne il numero con precisione. Poi, Grepx guardò Milys, ed entrambi cercarono di accostarsi maggiormente alle rovine per nascondersi in attesa che la nave toccasse terra, sperando che la zona d’atterraggio fosse, come avevano previsto, ben visibile da quel lato delle mura. Il vascello da esplorazione spaziale procedette a volo radente sfruttando le dune per non farsi vedere. In effetti, l’ufficiale dell’Alleanza si rese conto di come i suoi compagni non avrebbero avuto alcuna possibilità di avvistare il mezzo spaziale in avvicinamento, se fossero stati realmente intenti a riparare il cingolato!

La quota bassa, in realtà, aveva completamente nascosto l’arrivo della nave ai tre

umani, vicini al loro mezzo di trasporto e situati sull’altro lato delle mura. Così, solo la visione dei segnali manuali fatti da Milys, li aveva informati sull’arrivo del mezzo stellare con a bordo gli androidi. Inoltre, la bassa velocità con cui il vascello si spostò nella parte finale del volo, impedì quello spostamento d’aria che, sollevando una nube di sabbia, avrebbe – a sua volta – fatto rimarcare il suo avvicinamento. Tuttavia, al contrario dell’istante per l’atterraggio, ne avevano ben prevista la zona. Alla fine, dopo aver percorso l’ultima parte del volo a velocità ridotta, la nave prese terra a meno di mezzo chilometro di distanza da loro. Solo lo spegnimento di un sibilo lontano, dovuto ai motori al minimo, informò Grepx che l’atterraggio era stato compiuto. In quel momento, l’ufficiale dell’Alleanza guardò Milys che, a sua volta rivelando i transponder senza disturbi, replicò segnalandogli, con due dita alzate della mano destra, quanti androidi fossero a bordo. Subito dopo, lui vide la mano di Milys sollevarsi in posizione orizzontale, a indicare – come convenuto – che la nave era stata resa autonoma, androidizzata, e poteva, quindi, agire autonomamente, per esempio decollare o informare gli altri androidi stanziati su Arion. Solo pochi istanti dopo l’atterraggio, un portellone si aprì senza alcun rumore, mentre una scaletta fuoriusciva dal mezzo. Due androidi apparvero. Erano completamente avvolti nella loro tuta da deserto e ben armati. Solo androidi, il cui condizionamento base fosse stato cortocircuitato, avrebbero potuto presentarsi, così agguerriti, per interrogare degli esseri umani rendendo, in tal modo, ancor più chiaro a Grepx e a Milys il perché, a tutti i costi, avrebbero dovuto eliminare quella minaccia per l’umanità.

«Ottimo!», pensò Grepx notando la completa mancanza di riflessi della sua arma, «Il problema sarà risolto, ben prima di inoltrarci nel pomeriggio, anzi direi, ancora durante la mattinata. Vediamo di riuscire a rottamare questi androidi, senza che ne arrivino altri a far danni!». La fessura nella quale aveva inizialmente posto il disgregatore permetteva un’ampia visione. Decise che avrebbe utilizzato il mirino ottico. Non voleva, in verità, correre il rischio di farsi scoprire dai sensori della nave inviando un impulso laser. Sapeva, inoltre, di dover colpire la nave all’altezza della piccola

plancia che fungeva da cabina di pilotaggio e che conteneva anche il processore centrale. Sull’altro lato, i tre umani non si erano accorti dell’atterraggio: Milys li aveva comunque informati visivamente. Per precauzione tutti i sistemi radar erano stati spenti per evitare che le emissioni d’impulsi elettromagnetici rivelassero come il mezzo potesse essere molto meno innocuo di quanto apparisse. Ishar, fingendo di essere assorta nella lettura degli schemi riguardanti il veicolo, stava, in realtà, di vedetta, pronta a reagire al minimo segnale di Milys, anche se, a quell’ora del mattino, lei cominciava oramai a sentire lo stimolo della sete, nonostante la tuta e la sua lunga abitudine a quel sole disidratante. «Forse, più che una vera e propria sete…», si scoprì a pensare, «mi pare che sia la tensione a seccarmi la gola, creando quest’inquietudine sfibrante!». Alla fine, Milys segnalò il tanto temuto avvicinamento degli androidi. Da quel momento, nell’attesa che scoccasse l’azione, i tre umani si fecero ancor più tesi, cercando di mascherare la tensione col fingere, in una calma apparente, di compiere la riparazione del mezzo. Ishar non aveva ancora terminato di scorrere, senza troppa attenzione, la pagina plastificata del manuale in cui le caratteristiche della ruota erano illustrate, quando – con la coda dell’occhio – percepì un movimento. Divenne al suo interno improvvisamente fredda mentre, al contempo, la sensazione di sete si tramutò nella percezione di una gola arida, in cui deglutiva a fatica. Mentalmente, calcolò il tempo per mettersi di lato, così da raccogliere, lì accanto, una delle armi e usarla, poi, contro quei visitatori. Sapeva, in quel momento, di dover attendere che Grepx, innanzitutto, distruggesse la nave androide. Non ci sarebbe stata una grande esplosione, ma la parte non evaporata – sotto forma di atomi o molecole – sarebbe dovuta cadere sul terreno con fragore, anche se attutito dalla sabbia, distogliendo da lei l’attenzione degli androidi e permettendole, in quell’istante, di far fuoco su di loro. Da quando Ishar aveva intravisto gli avversari, non arono più di alcuni secondi, prima che Milys, con un gesto, segnalasse a Grepx di aprire il fuoco. Grepx, che aveva già posto l’obiettivo da colpire al centro del mirino, sparò all’istante. Solo una leggera rifrazione nell’aria testimoniò il aggio della carica

energetica diretta alla nave spaziale, che fu colpita esattamente dove previsto. Per un raggio di alcuni metri – così com’era stata regolata – la scarica trasformò lo scafo e il suo contenuto in atomi e molecole libere emesse in ogni direzione. Tutta l’energia delle particelle emesse fu assorbita nello spazio di alcune decine di centimetri nella terra o di alcune centinaia di metri nell’aria. Milys e gli umani schermati dalle rovine della città erano, comunque, a distanze tali che la scarica di energia ionizzante – liberata nell’esplosione – non avrebbe potuto recar loro alcun danno da radiazione. Poi, il resto della nave cadde con un tonfo potente, anche se smorzato, sul terreno. Nessun segnale era stato inviato alla centrale operativa degli androidi su Arion per informarla sull’accaduto: l’equipaggio era stato, così, completamente tagliato fuori dalla sua base!

Nel preciso istante in cui si udì quel rumore sordo, Ishar si scaraventò al suolo prendendo al volo un disgregatore e, rotolando su stessa, si ritrovò riparata dalle rovine. Messasi sdraiata sul terreno, vide che aveva a tiro uno degli androidi, cosicché aprì il fuoco centrandolo in pieno. Solo un attimo prima, in verità, l’androide aveva emesso un raggio energetico verso di lei, il cui unico effetto fu di disgregare la pietra liscia sulla quale stava seduta nell’istante precedente quello di tuffarsi a terra. Contemporaneamente, inoltre, costui aveva aperto il fuoco anche contro i due terrestri, i quali – udito il tonfo – si erano subito precipitati al riparo del veicolo, accendendo lo schermo difensivo. Solo il cingolo posto di lato al veicolo, per la finta riparazione, rimase fuori dal campo di forze e, purtroppo, fu colpito: tre delle parti mobili del cingolo furono vaporizzate all’istante. «A posto?», chiese Ishar che, dalla sua posizione, non poteva scorgere i terrestri. «Non ci ha colpiti! È mancato poco a fare centro in pieno», rispose subito George, evitando, tuttavia, di accennare al cingolo parzialmente distrutto. Non era quello, infatti, l’istante in cui pensare ai danni subiti dal veicolo da trasporto. «Per quell’attimo che ci ha salvato, Ashley ed io dobbiamo ringraziare Grepx, che ha centrato la nave al primo colpo! È bastata quella frazione di secondo – necessaria agli androidi per apprendere della distruzione della nave –, a permetterci di sfuggire al loro fuoco», replicò la principessa sollevata dal fatto

che nessuno dei suoi amici fosse stato colpito. «Manca ancora un androide all’appello! Dov’è finito? Non lo vedo dalla mia posizione. In ogni caso, non penso sia lontano», continuò attivando un interfono per comunicare con Grepx a Milys. Oramai, infatti, era inutile mantenere il silenzio delle comunicazioni radio. Subito dopo, la principessa attivò nuovamente la sua arma, per vaporizzare ciò che restava dei due moncherini armati e, potenzialmente pericolosi, appartenenti all’androide appena colpito. «A questo punto, del primo androide restano solo atomi in libertà!», rimarcò Ashley a George mentre, dall’interno del veicolo seguivano l’evolversi dei fatti, ben protetti dal campo di forze. «D’accordo, ma ne resta ancora uno! Ho proprio paura che questi scatolotti metallici – Milys… tu sei tutt’altra cosa – non vogliano mollare la presa, anche quando costoro non abbiano nessuna possibilità di scampo!», disse George, replicando ad Ashley e lasciando l’interfono aperto, cosicché gli altri membri del gruppo potessero seguire la conversazione.

Dal rapido scontro a fuoco, terminato con la distruzione della nave e del primo androide, erano oramai trascorsi diversi minuti. Tuttavia, i quattro umani non avevano ancora individuato il secondo visitatore. All’esterno delle loro tute, un leggero tremolare della sabbia indicava la presenza del vento caldo che aveva ripreso a soffiare, trasportando con sé il calore anche negli angoli in ombra, all’interno delle rovine. Il silenzio era rotto solo dallo strusciare della sabbia e dell’aria sulla pietra. Nessun altro rumore lasciava trasparire una qualsiasi indicazione di dove si fosse nascosto l’androide sfuggito poco prima. In realtà, la tuta e il terreno sabbioso avevano impedito dei movimenti rapidi all’androide. Costui, impacciato, cercò di nascondersi in un anfratto della cinta muraria, mettendo in funzione tutti i suoi sensori nella speranza di localizzare gli avversari. Tuttavia, il segnale del suo transponder funzionava come un perfetto sistema di localizzazione per Milys, il quale non ebbe alcun problema nel seguire il suo improbabile tentativo di occultarsi nella nicchia. A quel punto, Milys con un gesto delle mani richiamò l’attenzione di Grepx. L’ufficiale dell’Alleanza – nella più completa assenza di rumore – brandì il disgregatore e lo puntò all’incirca nella direzione in cui s’incrociavano il lato sud

e quello ovest delle mura. arono alcuni istanti e, seguendo le indicazioni di Milys, arrestò il puntamento dell’arma. Guardò Milys e, quando vide il suo pollice alzato – segno evidente di come l’orientamento dell’arma fosse corretto –, lasciò partire una scarica di energia che vaporizzò quell’angolo delle rovine assieme al secondo androide. Alla fine, l’azione era terminata con il completo annientamento degli avversari. Pareva proprio un vero successo! «Ishar, spero che tu non mi addebiti il costo delle tue mura: ho fatto un piccolo ritocco alla cinta e, ora, hai un’entrata secondaria!», disse rivolgendosi alla principessa per la prima volta dal sorgere dell’alba, mentre l’adrenalina si dissolveva in lui lasciandolo, così, provato dalla stanchezza. «Se non fossero stati nel deserto, non ce la saremmo cavata così facilmente! Tutto bene anche da voi?», chiese, poi, ai terrestri. «Noi siamo interi! Non il nostro cingolo, quello lo abbiamo perso», continuò George informando, in tal modo, tutto il gruppo dei danni subiti: ormai, alla fine, era giunto il momento dei bilanci! In pochi minuti, si ritrovarono tutti e cinque a contemplare ciò che restava del loro cingolo. In verità non era un danno di per sé molto grave. Infatti, se fossero stati in un qualsiasi pianeta dell’Alleanza o, comunque, anche su Arion ma non in quel deserto, le parti distrutte sarebbero state facilmente rimpiazzate. Tuttavia, lì dov’erano, non potevano fare assolutamente nulla per ripararlo! «Mettiamola in questi termini. Almeno i guai urgenti sono risolti: c’è rimasta solo qualche complicanza da sistemare! Qui abbiamo viveri, acqua e buone gambe!», commentò Grepx cercando di fare una battuta di spirito, mentre si riprendeva dalla stanchezza subentrata in lui dopo lo scontro. Ashley e Ishar lo guardarono dubbiose, gelando altre frasi fuori luogo di quel tipo. Milys, dal canto suo, già elaborava la quantità d’acqua e i viveri disponibili per gli umani: l’informazione – era sicuro – gli sarebbe stata chiesta entro poco. Infatti, non si sbagliò! Grepx, metabolizzata la novità, ossia, che essi fossero ormai appiedati, aveva subito reagito, ponendo la domanda riguardante l’inventario di ciò che era a loro disposizione.

Capitolo 10: I Laghi Acidi

La grande oasi era il posto abitato più vicino alle rovine. Per uomini ben abituati a spostarsi a piedi nel deserto, il luogo distava almeno quattro giorni di cammino; inoltre, faceva parte del regno della città sotterranea, quantunque avesse un’autonomia di governo locale talmente grande da essere considerata come un territorio franco dalla gente del deserto. La continuazione di questa politica era stata accettata dal padre di Ishar, anche al momento di nominare Kal – un suo amico di vecchia data –, capofamiglia, ossia governatore della grande oasi. Sird e Ishar, succeduti al potere sul regno, si erano impegnati, in seguito, a mantenere fede agli impegni paterni. Data la distanza da percorrere a piedi, concordarono che solo Ishar e George – anche se lui non era propriamente un uomo uso al deserto – si recassero all’oasi. Sarebbe stato, infatti, troppo rischioso esporre per tutto quel tempo alla sabbia dell’erg un androide qual era Milys. Quel loro androide era, in effetti, troppo prezioso perché fosse danneggiato per inavvertenza, esponendolo lungamente alla sabbia fine, così insidiosa! Grepx, invece, sarebbe dovuto restare presso le rovine per garantire la sicurezza di Ashley e Milys. Cosicché Ishar e George avrebbero dovuto ottenere il veicolo che, sicuramente, sarebbe stato messo a loro disposizione da Kal. Tuttavia, Milys, localizzando l’uptv di George, avrebbe avuto modo di seguire gli spostamenti di Ishar e George, almeno durante i primi due giorni di cammino. Inoltre, se fosse stato George a tornare con il mezzo di soccorso, grazie al segnale dell’uptv, Milys sarebbe stato preavvisato del suo arrivo e, quindi, loro tre si sarebbero fatti trovare pronti per partire.

Era solo il pomeriggio inoltrato di quella giornata – durante la quale loro avevano sconfitto gli androidi degli scientisti –, quando il grande disgregatore fu messo al sicuro nel deposito di emergenza. Poi, prima di sera, una cena ipercalorica a base delle razioni provenienti dal deposito fu infine preparata. Dopodiché, i due umani – che sarebbero rimasti alle rovine – e l’androide si

accinsero a trascorrere i giorni successivi in attesa degli aiuti. Ishar e George, invece, si prepararono a partire dopo aver atteso, riposando il più possibile, l’arrivo della penombra serale. Si caricarono di provviste per cinque giorni e aggiunsero una piccola riserva d’acqua, in modo da compensare le inevitabili perdite del sistema di riciclo in dotazione alla tuta da deserto. Per loro scelta, camminando di notte, non avrebbero avuto bisogno di una grande scorta d’acqua. Effettivamente – ancorché quell’equipaggiamento li proteggesse dalle temperature elevate –, se avessero preso la decisione di spostarsi durante il giorno, entrambi sarebbero stati costretti a compensare – bevendo di più – la dispersione di liquidi dovuta alla maggiore sudorazione diurna, non completamente recuperata dalla tuta. Per fortuna, non avrebbero corso alcun rischio di perdersi, dati i modernissimi sistemi di localizzazione a loro disposizione; oltre a tutto ciò, per circa metà del tragitto, Milys li avrebbe monitorati costantemente. La marcia – benché compiuta di notte, per quanto fosse meno ardua di quella diurna – sarebbe stata faticosa a causa della mancanza di un terreno solido d’appoggio. La tuta, infatti, avrebbe appesantito il loro o, cosicché sarebbero sprofondati maggiormente nella sabbia. Ishar, da parte sua, era stata abituata fin da piccola a quel tipo di suolo insidioso e affaticante, ma per George quella sarebbe stata un’esperienza del tutto nuova. Tuttavia, il terrestre garantì alla principessa che avrebbe fatto del suo meglio per non rallentare la marcia della loro piccola spedizione.

La frescura serale permise ai due camminatori di muoversi inizialmente senza indossare le tute che, invece, furono caricate come parte del bagaglio. Infatti, Ishar aveva convinto George come il modo migliore – per abituarsi alle lunghe camminate sulla sabbia del deserto – sarebbe stato proprio quello di non affaticarsi ulteriormente, indossando la tuta protettiva, nonostante il maggior consumo di liquidi causato dalla sudorazione non recuperata. Tuttavia, sebbene il peso di quell’indumento non fosse di per sé elevato, questo materiale si sarebbe aggiunto alle scorte di viveri e acqua, oltre ai loro pochi effetti personali. All’inizio non parlarono molto. Effettivamente, Ishar – molto attenta all’uso delle energie fisiche per entrambi – evitava di far affaticare George, o di creare motivi per fargli perdere la concentrazione. Dopo alcune ore, il terrestre si era oramai abituato a incamminarsi sulle dune, benché, a volte, si scoprisse ad

arrancare su di esse, per la ripidezza della salita, o la consistenza di quella sabbia, talmente soffice da farlo sprofondare fino alla caviglia. In altri momenti, invece, la compattezza dell’erg permetteva di muoversi a i più agevoli e spediti. Quando il loro modo di procedere si era ormai accordato, per impedire che la stanchezza si associasse alla mancanza di sonno, Ishar iniziò a discutere con George. «Ho notato che te la sei cavata bene, durante lo scontro con gli androidi. Se tu non avessi avuto i riflessi più che pronti, al posto del cingolo saresti stato tu, a finire vaporizzato e, poi, sarebbe stata la volta di Ashley! Così avremmo dovuto dire addio ai nostri amici terrestri!». «Mettersi a fare l’esca è sempre un atto molto rischioso! Direi che è parte del contratto stipulato come esploratore! Potresti parlarne con i nostri capi proponendo, magari, un aumento di stipendio! Chissà se ti ascolteranno, personalmente ritengo che siano del tutto sordi a questi argomenti!», rispose il terrestre – con tono ironico – sentendosi, nello stesso tempo, lusingato da quello che era, a tutti gli effetti, un complimento da parte della principessa. «Battute a parte...», continuò, «mi ero accorto che, per una frazione di secondo, gli androidi erano stati distratti dal cercare di capire cosa fosse accaduto alla loro nave. Peccato, comunque, per il cingolo del veicolo!». «Grepx mi ha riferito come tu e Ashley abbiate lasciato le vostre divise della Federazione sulla navetta! Nei giorni scorsi, presi com’eravamo da altre questioni più urgenti, devo riconoscere come noi non avessimo mai avuto modo di trattare quest’aspetto che vi riguarda», riprese Ishar, cambiando di punto in bianco il discorso con un argomento del tutto inaspettato per George. «Immagino che tu e Ashley ci teniate molto a comparire nelle vostre uniformi a Galactica, anche se al momento andare in giro vestiti da militari di un’altra galassia non facente parte di quest’ammasso, non sia per niente una buona idea, con gli scientisti che ci danno la caccia!». Subito dopo, ottenuta tutta l’attenzione del terrestre, la principessa continuò: «Farò in modo che arrivino alla nostra ambasciata su Galaction con un corriere diplomatico, o, comunque, dove vi possano servire. Come a Grepx, darò anche a te e ad Ashley un anello dotato di bio-identificazione con cui avrete accesso a

tutte le nostre ambasciate – anche se non sono molte – e alle delegazioni commerciali sui pianeti dell’Alleanza. L’anello potrebbe tornarvi utile ma non soltanto per recuperare le vostre divise, quando foste arrivati su Galaction! È un segno distintivo e di riconoscimento, vi potrebbe servire in momenti critici, non si sa mai in cosa potreste imbattervi nel futuro…». «Non ero informato che Grepx ti avesse parlato delle nostre uniformi. Grazie, comunque, per la tua proposta e per gli anelli!», le disse George, arrestandosi per un istante, più che altro per riprendere il fiato. Poi continuò con un tono più allegro nella voce, «Mi auguro che potremo metterle, anche quando torneremo con Grepx su Arion! Così, questa volta, ti faremo noi da scorta, durante gli acquisti al mercato della città sotterranea. Vedrai che bella figura farai con noi! Tutti si chiederanno da dove vengono quei due giovani ufficiali, che scortano la nostra principessa!». «Tu pensi che tornerete?», chiese la principessa, volgendosi per osservare George e lasciandosi cullare all’idea che Grepx e questi suoi nuovi amici terrestri fero ritorno sul suo pianeta, magari con più tempo a disposizione. «Da come la vedo io, Grepx farà di tutto per tornare quaggiù! Ti confesso di non credere che sarà solo per recuperare la nave e le banche dati. Non dovrei dirtelo, né tantomeno immischiarmi, ma credo che tornerà per rivedere una giovane principessa, sorella di un suo carissimo amico...», le rispose il terrestre, guardandola fissa negli occhi. A quel punto, George la osservò, cercando il suo sguardo. Solo per un attimo fuggente i suoi occhi s’incrociarono con quelli della principessa. Tuttavia, per quanto breve, fu un tempo sufficientemente lungo da fargli capire come la risposta, appena data, fosse esattamente ciò che la giovane donna desiderasse udire in quel momento. «Spiegami George…», riprese a dire la principessa, rompendo sul nascere l’imbarazzo creato da quella frase sull’interesse dell’ufficiale dell’Alleanza per lei, «cosa sono le decorazioni sui colletti delle vostre uniformi? So, da quanto mi ha riferito Grepx, che sono di color argenteo». L’intenzione di cambiare discorso era del tutto palese. George la assecondò subito, dissolvendo così il turbamento che le aveva recato.

«Sul colletto dell’uniforme di capitano, per noi esploratori dello spazio profondo vi sono due stemmi argentati, ciascuno riproducente il nostro sistema solare con tutti i pianeti posti sul piano dell’eclittica. La Terra è il terzo pianeta dalla nostra stella: il Sole. Mentre per il corpo scientifico, quello cui appartiene Ashley, i due stemmi – corrispondenti al grado di colonnello – rappresentano, ciascuno, un atomo con le sue orbite elettroniche», le spiegò il terrestre. «Le vostre uniformi di colore argenteo devono essere molto belle con quegli stemmi!», esclamò Ishar, conscia che quell’affermazione sarebbe stata molto gradita a George. Poi, la principessa gli rivolse un sorriso sornione il quale, nonostante l’oscurità notturna, fu notato e interpretato dal terrestre come un gesto posto a conclusione del colloquio. In realtà, era anche un invito implicito a riprendere la marcia più speditamente. La loro marcia, allora, continuò in silenzio fino a poco prima dell’alba, quando di comune accordo si fermarono, abbastanza sfiniti, per crearsi un riparo dal sole e attendere di nuovo la sera per riprendere il cammino. Era, così, giunta l’ora di indossare la tuta da deserto, con cui entrambi avrebbero, da quel momento in avanti, dovuto convivere, come se fossero stati dotati di una seconda pelle, anche durante il sonno diurno.

Nei giorni seguenti, non vi furono altre difficoltà oltre a quelle generate dallo stesso camminare notturno tra le dune. Infine, al termine della quarta notte, con l’alba che colorava nuovamente la sabbia del deserto, giunsero in vista dell’oasi: la loro meta era stata raggiunta! Ishar era sicura come, in quel luogo, tutto l’aiuto necessario sarebbe stato reso loro disponibile. Nell’oasi, infatti, la trasmissione del potere da padre in figlio non era per nulla scontata e, inoltre, l’autorità – con la quale il capofamiglia la governava – doveva essere confermata da ogni nuovo sovrano della città sotterranea. Lei stessa, associata al regno, ricordava l’emissione del decreto con cui Sird rinnovava il potere a Kal, al quale lei, per di più, era personalmente molto affezionata. Quest’area verde e ricca d’acqua, situata ai confini posti a nord est del grande erg, costituisce la tappa obbligata del traffico diretto alla città sotterranea e proveniente dalle cave, situate di là dei laghi acidi. La grande oasi è alimentata

da foggare, gallerie sotterranee drenanti realizzate nell’antichità da popolazioni di cui si era persa memoria. Quelle gallerie, scavate dall’uomo per catturare l’acqua imprigionata nel sottosuolo, sono lunghe decine di chilometri e costituiscono delle vere e proprie miniere di umidità in grado di generare da sole sorgenti d’acqua là dove solamente dominerebbe incontrastata la sabbia del deserto. Inoltre, le foggare, ando sotto l’abitato dell’oasi, realizzano una sorta di efficace condizionatore climatico per la zona soprastante. Questi canali sotterranei, però, richiedono una manutenzione continua e compiuta, lungo tutto il loro percorso, dai maestri dell’acqua, che si calano – attraverso delle aperture scavate nel terreno – nel loro interno per portare via la sabbia o le pietre che ostruiscono il flusso. In realtà, sotto la distesa dell’erg, scorrono fiumi sotterranei in grado di creare enormi bacini idrici, che possono essere, alcune volte, sfruttati dall’uomo. I corsi d’acqua che si formano, non hanno sbocchi sul mare ma finiscono per infiltrarsi nella falda sotto la sabbia che ne impedisce l’evaporazione. Dopo un lunghissimo viaggio, questi flussi sotterranei raggiungono così alcuni luoghi del deserto creando, talvolta, le oasi. Questa risorsa idrica è sfruttata anche da Kal nella grande oasi, dove enormi vasche interrate permettono di avere a disposizione acqua in abbondanza per le colture di quegli ortaggi che i terrestri, con sorpresa, avevano trovato in vendita nel mercato della città sotterranea. Tuttavia, non erano gli ortaggi, che si scorgevano in lontananza dalla direzione d’arrivo di Ishar e George, ma la distesa – ordinata dalla mano dell’uomo – di innumerevoli palme da dattero le quali, oltre ai frutti, davano una valida protezione contro il vento del deserto. Questo spettacolo incantevole si presentava, per la prima volta, alla vista di George – non uso ai deserti – il quale, fermandosi, non poté trattenersi dal commentarlo con una sola parola: «Magnifico!». «Sai, anch’io ogni volta che arrivo alla grande oasi mi fermo a contemplarne lo splendore della vita rigogliosa in mezzo a questa natura, così dura, ma in cui l’uomo è, pur sempre, in grado di vivere». Poi, la principessa, senza mostrare alcun segno di stanchezza per l’ultima camminata notturna, continuò a parlare indicando una direzione al centro dell’oasi. «Quello, che ancora non vedi perché occultato dalle palme, è un laghetto

veramente delizioso. Vedrai, potremo farci un bagno! Proprio qui, nel bel mezzo del deserto! Lì non ci sono ingressi segreti, attraverso gallerie e custodi della porta nelle vicinanze!», esclamò Ishar, sorridendo al terrestre e assaporando il piacere per una bella nuotata in quelle acque fresche. Benché, subito dopo, il suo pensiero andasse ai loro compagni, ancora in attesa di aiuto e, almeno sperava, al riparo delle antiche rovine.

Ishar, in vista dell’oasi, si tolse il cappuccio della tuta lasciando, in tal modo, il volto e i capelli esposti al sole del mattino. Nonostante la distanza, il viso della principessa fu subito riconosciuto dai non pochi abitanti già in attività. Nel piccolo villaggio, situato al centro dell’oasi, le voci sul suo arrivo si erano subito sparse e arrivarono, senza indugio, al capofamiglia. Lo stupore, misto a una contentezza non celata, non poteva essere maggiore, quando – informato dell’arrivo – Kal si precipitò fuori dalla sua dimora per accogliere la giovane principessa, sua protetta. «Ragazza mia, per me sei sempre una sorpresa, per quanto gradita! Non ti ha sfiorato l’idea di avvisarmi in anticipo del tuo arrivo?», esclamò Kal con tono burbero nella voce, per mascherare la sua gioia, mentre correva ad abbracciarla. In quell’oasi, la semplicità dei sentimenti aveva, infatti, la precedenza sulle formalità. Inoltre, Kal l’aveva vista crescere, ed era stato lui – per volere del padre di lei – a farle apprendere parte dei segreti sulla sopravvivenza nel deserto. Pertanto, per Kal costituiva un motivo d’orgoglio il vederla arrivare a piedi, dopo aver affrontato e superato quello che poteva ben immaginare essere stato un lungo cammino attraverso l’erg. «Cosa ti aspettavi dalla tua Ishar! Vuoi, forse, che cambi tanto da non poterti più fare una sorpresa?». Poi, abbracciandolo strettamente a sua volta, continuò, in tal modo, a manifestargli la sua gioia nel rivederlo. «Non riesci a ingannarmi Kal! So perfettamente quanto tu sia contento, se arrivo quando meno lo aspetti!», disse ancora la principessa, senza lasciare l’abbraccio ma volgendosi verso il terrestre che l’accompagnava.

Nel frattempo, George – messosi in disparte, per non interporsi fra quelle sincere manifestazioni d’affetto reciproco – attendeva che Ishar gli fe conoscere il capofamiglia, del quale lei tanto gli aveva parlato durante i quattro giorni appena trascorsi. «Kal permettimi di presentarti questo mio giovane accompagnatore, che proviene dal pianeta Isis». A quel punto, percependo un’occhiata interrogativa e protettiva di Kal, aggiunse: «Non fraintendermi, Kal! Non sono sola con lui in mezzo all’erg! In verità, sto viaggiando con altri tre compagni, tra cui un vecchio amico di Sird. Siamo stati bloccati da un guasto al cingolo del nostro veicolo, tra le vecchie rovine. Per il cingolo ora non c’è più nulla da fare, ma ne riparleremo dopo…». Poi s’interruppe un istante per permettere a George di avvicinarsi maggiormente a loro due. «Mi sembrava inutile che venissimo a piedi tutti e cinque. Inoltre, i miei compagni non sono stati addestrati da te! Così, al posto di venire con quattro persone non abituate al nostro grande mare di sabbia, ho pensato di muovermi con George, contando sul fatto che tu mi avresti dato un veicolo per andare a recuperarli…», Ishar non dette altre spiegazioni e neppure completò la frase, lasciando che Kal, da buon conoscitore del deserto, capisse o intuisse il resto rimasto sottinteso. Il capofamiglia si volse, allora, verso il giovane amico della principessa squadrandolo. «George! Un amico della mia principessa è un mio amico», replicò Kal, con tono sincero alla domanda inespressa di accoglierlo come tale. «È un piacere conoscerti. Spero che tu abbia apprezzato la eggia nel deserto: eri con una delle migliori guide di mia conoscenza!», disse al terrestre e, nel frattempo, guardò attento a come Ishar riceveva il complimento. Sapeva, infatti, quanto la sua giovane allieva tenesse al suo apprezzamento espresso, del resto, in tutta sincerità e convinzione. George si avvicinò e strinse la mano forte dell’anziano capofamiglia, intuendo che, per Ishar, costui fosse qualcuno da cui non fosse stata solo iniziata ai segreti

del deserto, ma, forse, dopo la morte del padre ne avesse fatto in qualche modo le veci. L’accoglienza fu festosa e, mentre un piccolo veicolo di soccorso – l’unico disponibile – partiva per le rovine, furono entrambi obbligati, senza alcuna possibilità di evitarlo, ad abitare assieme alla famiglia di Kal come graditissimi ospiti. Solo nel pomeriggio ebbero il tempo da dedicare alla tanto agognata nuotata nel laghetto dell’oasi. La sera, poi, un vero banchetto fu indetto in loro onore. Tuttavia, in quell’occasione, George notò come la principessa evitasse con cura di raccontare i particolari degli ultimi avvenimenti – che avevano portato all’arresto del tjaty –, persino alla presenza di un pubblico così ristretto come quello degli abitanti dell’oasi, tra l’altro tutti suoi vecchi conoscenti. Non sapendo, infatti, ciò che il fratello e Horem avessero, nel frattempo, appreso sull’estensione della congiura ordita dal tjaty, preferiva adottare una linea di grande prudenza sull’argomento. Da parte sua, George – approfittando del fatto che tutta l’attenzione fosse rivolta a Ishar – rispose in modo del tutto generico alle poche domande riguardanti la sua provenienza da Isis. Solo più tardi, prima di ritirarsi per la notte, Ishar trovò il momento propizio per fare al capofamiglia un resoconto succinto ma completo sulla congiura. Costui lasciò che la principessa raccontasse, evitando con cura di interromperla con domande alle quali lei non avrebbe probabilmente risposto. Effettivamente, Kal rimase profondamente turbato, a seguito del pericolo – non ancora del tutto debellato – incorso dalla sua giovane protetta. L’affetto verso di lei e l’antica promessa fatta a suo padre – come George aveva immaginato – trasparivano nella preoccupazione con cui seguì il racconto di quanto era accaduto alle antiche rovine a causa degli androidi. Pur non avendo una grande esperienza di androidi e del loro condizionamento cibernetico, Kal considerava la loro presenza armata su Arion come qualcosa di preoccupante. Il loro pianeta, in verità, nel ato non era mai stato coinvolto nelle faide interne all’Alleanza, loro grande, potente ma, anche, scomoda vicina. Non fece alcuna domanda su chi realmente fossero i compagni di viaggio della giovane donna e quale importanza essi avessero per giustificare la necessità della sua presenza come guida per attraversare il deserto, e neppure chiese altre

informazioni riguardanti l’asserita provenienza di George da Isis. Aveva oramai capito – dal modo stesso con cui Ishar aveva riferito di loro –, come dovesse rispettare e difendere quello che lei non aveva intenzione di raccontare o non poteva dire.

Dalla loro partenza, nessuna comunicazione radio era stata scambiata con i tre rimasti presso le rovine, testimoni silenziose dello scontro con gli androidi e della distruzione della loro nave. Pertanto, quando Ashley, Grepx e Milys – stipati a bordo del veicolo di soccorso – arrivarono all’oasi, furono accolti con saluti commossi e un’effusione di abbracci non appena posero il piede a terra. ato quel primo momento di accoglienza festosa, Ishar prese in disparte Ashley per farsi raccontare tutti i particolari su come avessero trascorso i giorni di attesa; la principessa, infatti, voleva dissipare completamente l’ansia sulla loro sorte, un sentimento rimasto albergato nel suo animo durante il lungo tempo di cammino nel deserto. Poi, a sua volta, le descrisse la traversata – avvenuta senza il minimo incidente – del grande mare di sabbia, come in quel pianeta gli abitanti chiamavano l’erg. George, invece, a differenza della principessa era apparso molto tranquillo durante l’attesa dei compagni, stimando ormai poco probabile che gli androidi potessero rifarsi vivi. Poi, mentre le due donne si ragguagliavano vicendevolmente sugli eventi degli ultimi giorni, George, Grepx e Milys si apprestarono a fare il punto della situazione ai bordi del laghetto, godendo della sua frescura e della sua vista riposante, dopo tutti quei giorni sotto il sole implacabile e sopra la sabbia rovente. Per i due umani, una buona birra fresca, che Kal aveva preventivamente estratto dalle sue riserve dedicate alle grandi occasioni, completava il festeggiamento. Più tardi, le ragazze si aggiunsero al gruppo, portando un vassoio con tazze ricolme di un infuso dal sapore forte, pastoso, molto energizzante, che si otteneva dalla polvere di chicchi di caffè, sciolti in acqua calda e portati in ebollizione più volte. Non potevano proprio desiderare altro al momento!

Albeggiava appena quando, silenziosamente, il piccolo veicolo fu messo nuovamente in moto con Ishar posta alla sua guida. Dopo un ultimo commosso

saluto scambiato con Kal, il gruppo ripartiva, così, per la rimanente parte del percorso che li divideva dalla zona temperata dove avrebbero finalmente raggiunto la città di Friam. Grepx si era sistemato sul tetto del veicolo. Non era una situazione del tutto scomoda ma, sicuramente, non poteva definirsi comoda. In verità, i bagagli – collocati vicino alla sponda che si elevava sopra il piano del tetto – creavano uno spazio libero al centro in cui, per l’appunto, Grepx aveva trovato la sua sistemazione e lì si era seduto ben intabarrato nella sua tuta. Lui e George, cavallerescamente, senza sentire le obiezioni femminili avevano convenuto di alternarsi là sopra, di mattino il primo e di pomeriggio il secondo. Infatti, nel veicolo solo quattro posti erano disponibili all’interno dove, necessariamente, Milys doveva viaggiare per salvaguardarsi dalla sabbia, onnipresente fuori dall’abitacolo. I due uomini si erano, oramai, del tutto abituati al deserto e al suo sole implacabile. Forse, incominciavano ad amare quegli spazi senza confine, ma resi diversi dalle dune somiglianti e, al contempo, dissimili l’una dall’altra. Stando seduti all’esterno della vettura, l’attenzione era rapita dai colori e dalle sfumature regalate dall’enorme distesa di collinette e dalle immense masse di sabbia in grado di muoversi come se fossero animate. Meraviglie a perdita d’occhio che si estendevano per aree immense e dove il tempo pareva arrestarsi. Tuttavia, ben sapevano come l’erg avrebbe presto – dopo un altro giorno di viaggio, all’incirca – lasciato posto a un reg sassoso e desolato. Un pianoro non molto ampio, dal quale sarebbero dovuti, lentamente, scendere addentrandosi sempre più per una larga depressione del terreno, dove le temperature sarebbero ancora aumentate per arrivare costantemente ben sopra i trenta gradi e con punte capaci di toccare i limiti della resistenza umana. Laggiù, costoro avrebbero incontrato un’area terribilmente inospitale con torri e pinnacoli erosi dal vento e dagli allagamenti stagionali, a segnarne l’inizio e, in seguito, con vulcani eruttanti lava, pozze di acqua bollente e con un terreno ricoperto da uno spesso strato di sale. Poi, giunti nella regione dei laghi acidi, le rocce sarebbero state molto friabili e costituite, prevalentemente, da sali di potassio e magnesio, intervallati da argille di colore rosso scuro.

I primi giorni di viaggio erano trascorsi senza altre sorprese con Ashley e Ishar, che si alternavano regolarmente alla guida del veicolo. La terrestre, infatti, aveva appreso dalla principessa tutti gli accorgimenti necessari per una guida accorta in quel reg sassoso e desolato. Milys, invece, dall’interno del veicolo dedicava completamente i suoi sensori all’esame sulla consistenza del terreno e sulla presenza di elementi chimici potenzialmente dannosi. Il reg si era subito manifestato come un terreno non facile da attraversare, con Grepx e George, sul tetto, sottoposti a continui sobbalzi. Inoltre – scendendo sempre più nella depressione –, la temperatura andava aumentando e, di conseguenza, la climatizzazione della tuta faceva fatica a garantire un’aria respirabile, anche se calda, per loro due che si avvicendavano all’esterno del veicolo. Il paesaggio di pietrisco e polvere – quest’ultima proveniente dai massi sgretolatisi per le lunghe esposizioni solari – andò gradualmente mutando, durante il giorno successivo a quello in cui le sabbie dell’erg erano rimaste definitivamente alle loro spalle. Cosicché, la regione – che si presentò a metà del quarto giorno di viaggio – era oramai di una desolazione spettrale. Strane e bizzarre costruzioni, erose dai venti fino a formare dei piccoli canyon, dominavano il paesaggio silenzioso e abbandonato dalle più elementari forme di vita. L’acqua, già scarsa nelle zone dell’erg, diveniva in questa regione un bene ancora – se possibile – più prezioso, tanto che l’ubicazione dei pozzi era un segreto – noto a Ishar – custodito gelosamente dai pochi abitanti della grande oasi e dai minatori, non ancora incontrati, delle miniere poste di là dai laghi acidi. A quel punto del viaggio, Milys non sarebbe stato più esposto alla fine e pericolosa sabbia dell’erg; decise, quindi, di stare sul tettuccio del veicolo. Lui, infatti, anche se i suoi sensori non si sarebbero trovati a operare in condizioni ottimali, avrebbe potuto resistere meglio degli umani alle temperature in continua crescita. Inoltre, non avrebbe avuto la necessità di aria particolarmente respirabile. Così facendo, l’androide concesse a George e Grepx di ottenere un minimo di refrigerio, sfruttando al massimo la climatizzazione interna al veicolo. Trascorsero altri due giorni di viaggio spostandosi a bassa velocità su quella pista mal segnalata. Per quanto il paesaggio fosse magnifico e unico, ai quattro occupanti umani del mezzo era diventato del tutto evidente che vivere abitualmente in quel luogo sarebbe stato quasi come essere sottoposti a un

castigo divino. Infatti, l’aria si era fatta maggiormente irrespirabile per la presenza di gas che, per quanto mitigati dal sistema di filtraggio del veicolo, sembravano corrodere le narici, gli occhi e la pelle. Ora, sul terreno, si notavano incrostazioni dalle stravaganti forme, che abbracciavano tutte le sfumature di colore dall’ocra al rosso vivo, dall’arancio al verde acido, transitando per il giallo. Sembrava di are sopra un caleidoscopio di barriere coralline, animate da gorgonie e anemoni. Attorno, faceva mostra di sé un universo minerale di geyser in grado di generare laghetti con incredibili concrezioni e cristalli dovuti a cloruri di vari elementi, e su cui aleggiava un intenso afrore di zolfo. Quei laghetti erano affascinanti per la pigmentazione, ma – allo stesso tempo – la medesima colorazione trasmetteva la sensazione di pericolosità delle loro acque acide. Infatti, nonostante il caldo imperversante, a nessuno degli occupanti del veicolo venne la tentazione di un bagno in quelle acque dalle così svariate sfumature di colore! A questa manifestazione diurna di cristalli variopinti, si aggiungeva – come uno spettacolo unico e straordinario – la visione notturna della lava incandescente. A George non era sfuggita la strana rassomiglianza della regione – che stavano attraversando – con quella dei laghi acidi della Dancalia, area che – sulla Terra – costituisce il tratto sommitale africano della larga spaccatura tettonica della Rift Valley. La vasta depressione della Dancalia si estende sul lato orientale del grande acrocoro dell’Etiopia, costituito da enormi montagne basaltiche, alte fino a oltre quattromila metri. Queste montagne danno origine alla maggior massa di rocce vulcaniche del continente africano. La Dancalia è un deserto atipico formato da sabbie, colate di lava, vulcani attivi e spenti, manifestazioni vulcaniche secondarie, laghi salati ed enormi distese di sale. Questo insieme di elementi naturali costituisce, infatti, uno dei luoghi più caldi e inospitali del loro pianeta d’origine, la Terra. «Benvenuti all’inferno!», George non seppe trattenersi dall’esclamare, in quella notte – fiocamente illuminata dalle colate laviche in lontananza –, che, peraltro, l’equipaggio del veicolo dovette trascorrere allungandosi alla meno peggio sui sedili, non potendo arla all’addiaccio. «Piuttosto, incredibilmente spaventosa, direi, ma ha una sua bellezza, nonostante tutto», replicò Ashley, rivolgendogli un sorriso reso amaro dall’idea di non dormire sdraiata per un’altra notte.

Infatti, già quella precedente era stata trascorsa con lei e Ishar chiuse, assieme agli altri, nel loro piccolo veicolo a causa dell’aria divenuta corrosiva per i polmoni umani. Anche la principessa, benché colpita sul vivo per la mancanza di ospitalità mostrata dal suo pianeta, abbozzò un mezzo sorriso, mentre in cuor suo si sentiva di dar ragione alla sua giovane amica terrestre. «Sarà pure l’ingresso degli inferi, ma almeno non abbiamo più – spero – alle calcagna gli androidi armati di disgregatori e i loro mandanti scientisti», commentò Grepx che, mentre cercava di appisolarsi, stava mentalmente ricapitolando i fatti degli ultimi giorni. «La distruzione della loro nave è un elemento probabilmente decisivo a nostro favore. Inoltre – secondo Milys, e lui, di solito, non sbaglia –, nessuna segnalazione è stata inviata alla loro base», aggiunse subito dopo. «Questo – immagino – lo verificheremo solo quando usciremo da qui e raggiungeremo Friam! Anche se, temo, non dovremmo scommettere troppo sul fatto di esserceli scrollati di dosso! Se sono riusciti a scovarci su questo pianeta, a starci dietro e a farci una visita di cortesia nel deserto, tutto ciò vuol dire che non ci molleranno tanto facilmente. Tuttavia, potete stare certi che non ci impediranno di arrivare a Galaction!». Affermò George seriamente convinto, per poi aggiungere: «Secondo quanto nei giorni scorsi Ishar ci aveva descritto sul percorso da fare, domani vedremo in lontananza le cave di lapislazzuli. Dovremmo, poi, puntare nella direzione dei monti che separano la zona desertica da quella di confine con quella temperata. Sarà un’altra giornata terribilmente stancante e senza alcuna possibilità di muovere le gambe!». «Sempre meglio che farsela a piedi! Oppure ti sei già scordato la gita di quattro giorni che ti sei fatto nel deserto in compagnia di Ishar?», ribatté Ashley, desiderando chiudere quella conversazione notturna per riuscire ad addormentarsi. Così, spalleggiata anche dalla giovane principessa, augurò a tutti – per quanto fosse possibile, in quelle condizioni – un buon riposo, cercando di dormire o, perlomeno, di riposarsi. All’esterno, nel frattempo, Milys continuava a vegliare sui compagni umani di viaggio.

La strada – anche se il nome non era propriamente adeguato, per quella pista polverosa, sbucata alla fine della depressione – saliva ora verso i monti i quali, solo il giorno antecedente, apparivano simili a una macchia sullo sfondo dell’orizzonte. I laghi acidi erano stati lasciati finalmente dietro di loro, al termine della mattinata e, sulla pista attuale, la temperatura dell’aria si era abbassata sotto a quella tipica dell’erg, diventando – con gioia di tutti – respirabile anche senza l’ausilio dei filtri presenti nelle loro tute. La depressione, a mano a mano, aveva ceduto il posto a una vallata dai fianchi stretti, nella quale il tracciato, inerpicandosi verso le ricche cave, appariva pericolosamente inclinato verso il fondovalle. Lassù in alto, le più antiche miniere di lapislazzuli del pianeta – già attive, secondo alcuni resoconti, da diverse centinaia d’anni – costituivano, da molto tempo, la principale fonte di ricchezza per la città sotterranea. Quando – con il sole allo zenit – decisero di fermarsi per rifocillarsi, le cave si trovavano, oramai, a breve distanza in linea d’aria: erano, in realtà, appena di là dal o, che, tuttavia, si ergeva ancora più in alto della posizione raggiunta. Ciò nonostante, già in quel momento, Ishar poté indicare come la loro pista incrociasse il tracciato che discendeva dal o. Quel percorso, proveniente dalle miniere, conduceva – evitando i laghi acidi – direttamente al deserto e permetteva, più agilmente, il trasporto dei cristalli non lavorati alla città. Continuando poi lungo la loro pista attuale, si sarebbero lasciati alle spalle la zona mineraria per addentrarsi in quell’aspra catena montuosa dalla quale sarebbero, in seguito, ridiscesi verso un’area semi-desertica antistante e confinante con quella temperata. In verità, la regione montagnosa subito di fronte a loro era abitata da un antico popolo che aveva mantenuto la propria indipendenza dalla città sotterranea assieme, in ogni modo, a profondi vincoli di amicizia con la casata di Sird e Ishar. Antichi legami – anche di sangue – esistevano, infatti, fra le due famiglie regnanti. La principessa prevedeva, perciò, di poter attraversare il loro territorio senza particolari difficoltà. I guardiani del deserto – com’erano abitualmente indicati – si sarebbero sicuramente fatti vivi, ma non dovevano temerli in sua presenza.

*

Rekh aveva da qualche tempo scordato la presenza del videocomunicatore. Gli ultimi giorni erano trascorsi nella tranquilla monotonia costituita da atti che si ripetevano a cadenza regolare, come l’alzarsi al sorgere dell’alba, sfamarsi a colazione, rimettersi alla guida su quel mare si sabbia – senza limiti apparenti – e, così via, le altre varie attività della giornata, sino al fermarsi per riposare, contemplando il sorgere delle lune e il buio notturno del cielo rotto dalla luce delle innumerevoli stelle, molte delle quali abitate. Fu durante uno di quei momenti serali – guardando la magnificenza del cielo –, che la sua mente iniziò a vagare trasportandolo con l’immaginazione su quei mondi abitati, a lui totalmente sconosciuti, ma verso i quali provava una curiosità profonda. Sentimento quest’ultimo che, sotto lo stimolo della situazione contingente, stava mutando in interesse vivo e, forse, tramutandosi concretamente nell’ipotesi di lasciare per sempre Arion e iniziare, così, una nuova vita. «Mollo tutto!», si scoperse a esclamare, improvvisamente, a voce alta. Dapprima era stata un’esclamazione isolata, ma ora, avvicinandosi al termine della sua fuga in quel deserto, sentiva e scopriva la necessità di dover prendere in mano il proprio destino. Non poteva permettere, né voleva, che la sua vita fosse condizionata dagli errori paterni. Quella frase, affiorata per la prima volta a livello conscio, era il frutto di un suo processo di maturazione interiore. Il ripensamento era iniziato da molto tempo, ma la fuga e l’assenza di avvenimenti giornalieri in grado di distrarlo, avevano poi agito da catalizzatore. Aveva oramai capito di non avere, fortunatamente, la stessa natura del padre. La convivenza con lui, mai facile, aveva garantito l’agiatezza e un’apparenza di spensieratezza. Il padre era sempre intervenuto per proteggerlo e non lo aveva mai reso partecipe della sua attività al limite della legalità, ossia dei suoi traffici. Termine, quest’ultimo, brutale, ma conoscendo il carattere del genitore era probabilmente ben appropriato e giustificato, dato anche il modo con cui il suo arresto era avvenuto in pubblico. Rekh ricordava, in realtà, molto bene quell’imprigionamento al quale aveva assistito e dal quale stava ancora fuggendo.

Forse – capiva in quel momento –, il genitore non si fidava del figlio completamente. Rekh, in verità, non aveva la propria vita asservita a un’ambizione senza fine, come quella paterna. Il desiderio di cambiare la propria esistenza e di esserne l’autore – non una fotocopia sbiadita, senza tratti marcati, alla quale sarebbe stato destinato rimanendo nella città sotterranea – stava prevalendo dentro di sé, ed era esplosa con quella frase che andava ripetendosi, assieme a un senso di liberazione. Il deserto, in tal modo, andava favorendo questo processo di maturazione e di riflessione in cui domande esistenziali richiedevano, anzi esigevano, delle risposte.

Il brusco richiamo alla realtà, provocato dall’accendersi del videocomunicatore, interruppe il suo nuotare mentale verso prospettive future non ben definite. «Rekh, hai notizie per me?», gli domandò quell’individuo riconosciuto da Rekh, come chi, alcuni giorni prima, lo aveva informato di non essere per nulla inseguito. Aveva messo nel dimenticatoio quell’episodio, concentrato com’era nelle sue riflessioni legate a quanto potrebbe accadergli all’arrivo a Friam e alle decisioni da prendere, ma finora evitate. In realtà, il figlio del tjaty stava commettendo un errore, anche se inevitabile, poiché non si rendeva conto del fatto che gli androidi, su Arion, non si erano ancora resi diversi l’uno dall’altro. «Perché? Dovrei, forse, averne?», rispose seccato per quel brusco risveglio – che lo riportava alla sua condizione attuale – ma anche intimorito dal tono perentorio, mascherato solo dalla forma cortese della domanda. Prese il videocomunicatore e osservò il suo interlocutore. Nonostante l’ultima volta il colloquio fosse avvenuto in una situazione più drammatica per lui, aveva osservato, allora, come la comunicazione fosse intercorsa con una nave spaziale. La chiamata attuale, al contrario, pareva provenire da una località a terra, anzi, a giudicare dalla mobilia ripresa sullo sfondo, pareva essere proprio una normale casa d’abitazione di Friam. Rekh annotò mentalmente quei particolari e, così facendo, istintivamente divenne più accorto nel colloquio con quel tale che – si rendeva conto –, non si era mai presentato indicando il suo nome e le sue funzioni. «Mi conferma che nessun contatto con estranei è avvenuto durante il tragitto?»,

continuò il suo interlocutore, indifferente ai dubbi suscitati in Rekh riguardanti il reale scopo della chiamata. «Su questo punto non ci sono dubbi. Non ho incontrato nessuno da quando ho lasciato la città sotterranea. In questo tratto di deserto non ho avvistato neppure un trafficante isolato che stesse trasportando delle mercanzie. In effetti, non è poi del tutto insolito compiere un viaggio solitario attraverso la nostra distesa senza fine di sabbia!», concluse il figlio del tjaty. «Ci sentiremo più tardi, per avere altre notizie», disse lo sconosciuto, chiudendo con l’abituale modo brusco la comunicazione. Rekh, che sino a quel momento era rimasto dubbioso sul da farsi, si rese conto di come, oramai, fosse giunto il tempo di prendere delle decisioni sul suo futuro. D’altronde, continuare a farsi inseguire da questi sconosciuti – i quali nulla avevano a che fare con lui e con la sua vita – non aveva molto senso. Era arrivato l’istante di liberarsene assieme al suo ato, si disse. Saggiamente, aveva preso con sé gemme e pietre preziose, le quali potevano essere facilmente trasportate, dato il loro minimo peso e volume. Esse avrebbero costituito una discreta ricchezza in qualunque posto si fosse recato e gli avrebbero, quindi, permesso di iniziare una nuova vita sullo stesso Arion o, se si fosse presentata un’opportunità, su un altro pianeta. Effettivamente – si convinse –, quel piccolo tesoro poteva servire più che bene allo scopo! Si sarebbe liberato – decise – del suo mezzo da trasporto terrestre e di quello strano aggeggio – eredità non voluta dal padre –, prima di arrivare alla zona temperata. Una volta arrivato a Friam, sarebbe scomparso tra la folla e avrebbe cercato di lasciare, appena fosse stato possibile, la città e il pianeta. Poteva permettersi il lusso – si disse ancora – di are qualche tempo cercando di inventarsi da zero un nuovo modo di vivere: in fin dei conti, il denaro non gli sarebbe mancato! In quell’istante, egli intuì che – per affrontare la sua nuova vita –, doveva liberarsi del veicolo, assieme a tutto quello che considerava dannoso per il suo futuro, ad esempio, il videocomunicatore. In pratica, simulare un infortunio avrebbe potuto essere il sistema più semplice e diretto per raggiungere lo scopo. Infatti – si disse –, lui sarebbe sempre potuto sopravvivere a un incidente in cui tutto – tranne alcuni viveri e, ovviamente, il suo gruzzolo di gemme – fosse

finito in fondo al fiume che portava a Friam! «Voglio proprio vedere come faranno a ritrovarmi, senza essere più in grado di localizzare il veicolo grazie al videocomunicatore! Se casualmente questo funzionasse anche sott’acqua, quegli sconosciuti potranno solo arrivare alla conclusione che sono disperso, oppure morto, nella zona di confine antistante Friam». Con tale pensiero nella mente, sorrise e riprese a guidare, sentendosi sollevato nell’animo. A questo punto, Rekh riprese fiducia in se stesso e poté tranquillamente muoversi attraversando il reg, confinante con la zona temperata, fino ad arrivare al fiume. Il corso d’acqua, l’unico con una discreta portata, raccoglieva le acque dai monti abitati dai guardiani del deserto e scorreva lentamente verso Friam. Il fiume andava, però, soggetto a periodiche piene, poiché delle piogge torrenziali si scatenavano frequentemente sui monti. Fu l’ondata di piena, presente proprio quando giunse in prossimità della riva, a offrirgli l’occasione che attendeva. Infatti, aveva appena guadato a fatica il fiume, quando si accorse che la piena avrebbe raggiunto il culmine da lì a poco. Allora, Rekh prese la decisione di lasciar travolgere il veicolo – con il videocomunicatore al suo interno – dall’acqua e di allontanarsi a piedi con viveri e gemme per raggiungere Friam mescolandosi, poi, ai contadini e ai viaggiatori diretti verso di essa. La distanza, valutò, era percorribile in un paio di giorni, forse tre. Effettivamente pensò che, allungando di poco il cammino per quasi aggirare la città, la direzione d’arrivo non avrebbe in alcun modo indicato la sua provenienza dal deserto. Finalmente, lui si sarebbe lasciato alle spalle la sua vecchia vita per iniziarne una nuova!

Così accadde che un giovane viandante, con un piccolo zainetto come bagaglio e con addosso degli abiti logori dal cammino, arrivasse alcuni giorni dopo a Friam per cercare, e trovare, un posto dove dormire. Conosceva in anticipo quella locanda, piccola ma discreta, dalle descrizioni dei viaggi compiuti dal padre nella zona temperata. Sapeva quindi, come in quell’alberghetto i documenti non sarebbero stati richiesti e come la riservatezza sui propri ospiti rappresentasse

una regola di comportamento seguita, da sempre, dal proprietario. Nonostante l’apparenza trasandata, Rekh non aveva per nulla trascurato di riposare adeguatamente durante tutto il tragitto dalla città sotterranea. Cosicché, dopo un breve sonno, uscì presto nel pomeriggio per fare le spese di prima necessità. Tra queste rientrava l’acquisto di nuovi abiti – sul tipo di quelli usati a Friam – per non attirare l’attenzione su di sé come straniero, ma anche per convertire in valuta locale almeno una delle gemme che possedeva: per iniziare la sua nuova vita aveva un’urgente necessità di denaro! Poi, avrebbe pensato dove andare e cosa fare. Tuttavia, le idee servivano a poco se non a nulla, senza denaro per realizzarle!

Subito dopo aver chiuso la comunicazione con Rekh, a Friam gli androidi – ignari delle decisioni che costui stava prendendo – decisero di inviare due di loro verso il territorio dei guardiani del deserto in modo da entrare nell’erg da laggiù. Infatti, non avevano più notizie dalla loro nave in orbita e ritenevano che – per motivi ignoti ma validi – i loro simili a bordo avessero deciso di atterrare, mantenendo il silenzio radio. La mancanza di comunicazioni era abbastanza normale in quel pianeta dove sapevano di essere ospiti non graditi ma, con il are dei giorni, avevano dedotto che qualcosa fosse andato storto: il fatto di non entrare in contatto con la base non poteva più oramai essere giustificato. La loro spedizione avrebbe cercato la nave, esplorando il deserto nell’area situata più a nord, rispetto alla rotta mantenuta da Rekh. Pochi androidi – non più di due unità – erano disponibili per quella spedizione di ricerca. Un altro, infatti, era impegnato nell’analisi di quelli arrivati dal pianeta coloniale da dove la nave proveniva; l’ultimo, invece, avrebbe dovuto continuare la normale attività di raccolta di informazioni su Arion da solo. Alla fine, un veicolo con solo due androidi a bordo si mosse da Friam per raggiungere, ando per quei monti, la strada che dalle miniere di lapislazzuli conduceva all’erg e, attraverso di esso, alla città sotterranea. Gli androidi non erano pratici dei luoghi e dei loro abitanti e confidavano, erroneamente, solo nella logica delle loro decisioni nel valutare i rischi, in realtà imponderabili – come ad esempio quelli legati alla presenza dei guardiani del

deserto – e che, pertanto, non rientravano nell’ambito dei loro schemi decisionali. Nonostante queste difficoltà, una spedizione fu, comunque, messa a punto in pochi giorni. Cosicché, i due androidi prescelti, a bordo di un piccolo veicolo, lasciarono Friam in direzione delle miniere di lapislazzuli. Il piano era semplice ma trascurava, per ignoranza, la reazione degli abitanti dei monti che avrebbero dovuto attraversare. Costoro facevano parte di una popolazione guerriera, il cui territorio non poteva in alcun modo essere percorso senza il loro esplicito accordo. Gli androidi valutarono come in pochi giorni, non più di tre, sarebbero arrivati all’erg, a condizione di proseguire per parte della notte, sfruttando la luce delle lune e la loro mancanza della necessità – tipicamente umana – di riprendere energie vitali con il sonno. Forse, in quel terreno, la velocità notturna sarebbe stata ridotta, ma nel complesso prevedevano di attraversare i monti abbastanza rapidamente. In realtà, gli androidi non ebbero problemi a proseguire il viaggio anche durante la notte, fino a quando non giunsero ai piedi dei monti che rappresentavano il baluardo, situato al confine tra la zona temperata e quella desertica. In queste alture, la pista s’inerpicava attraverso gole che si andavano viepiù restringendo per lasciare il posto a cenge in cui il mezzo si sarebbe mosso con difficoltà di giorno, ma non era in alcun modo possibile condurvelo, contrariamente alle loro previsioni, durante quelle notti illuminate solamente dalle lune del pianeta.

*

Capitolo 11: I Guardiani del Deserto

Dopo aver abbandonato il fondo della depressione in cui i laghi acidi si trovavano, il veicolo con a bordo i quattro umani e l’androide andava salendo sempre più nella gola, muovendosi lungo una pista a malapena grande quanto il mezzo stesso con il quale viaggiavano. George – osservando l’esterno del veicolo dal finestrino – si accorse come il sentiero di rocce e pietrisco su cui procedevano presentasse dei solchi nella sua parte centrale, a conferma di quanto Ishar aveva raccontato sulle caratteristiche climatiche di quei monti. Infatti, sebbene al momento non dovessero temere scrosci improvvisi in tutta l’area montana, piovaschi e forti temporali erano frequenti, anche se questi accadevano di norma a quote più elevate della loro; l’acqua piovana poi, scorrendo violentemente a valle, formava lungo la pista dei torrentelli in grado di scavarla. Alla fine, la massa liquida sarebbe stata gradualmente assorbita dal terreno, penetrandovi sino a depositarsi in grosse caverne dalle quali sarebbe in seguito defluita verso la vallata in direzione di Friam. Queste caverne alimentavano, perciò, le sorgenti di quel fiume che avrebbero visto sul versante est dei monti e che li avrebbe condotti alla città, loro meta. Il silenzio fra quelle rocce era rotto solo dal frastuono del motore accompagnato dal rumore delle pietre che, talvolta, erano scagliate ai bordi della pista ma, altre volte, rotolavano verso i lati scoscesi della montagna. Di quando in quando, un gracidare – in parte acuto – anticipava l’avvistamento di uccelli, per lo più dei rapaci, come andava spiegando Ishar. Nel deserto, dove raramente Ashley aveva scoperto tracce di animali o avvistato uccelli, le uniche piante – delle quali lei si ricordasse – erano, oltre alla flora lussureggiante della grande oasi, solamente quei pochi arbusti cresciuti presso le rovine dell’antica città. La terrestre, invece, ora stava osservando come – salendo sempre più in alto – la vegetazione, del tutto scarsa nel fondovalle, fosse ormai diventata più abbondante, anche se costituita esclusivamente da arbusti diversi da quelli che lei aveva incontrato nel deserto. Queste piante erano, tuttavia, simili a quelle terrestri, così come somiglianti erano gli uccelli e gli animali che

avevano incontrato durante il loro breve – ma pieno di eventi – soggiorno su quel pianeta, separato dalla Terra da una distanza enorme, esprimibile solo in termini di moltissimi anni luce. Avrebbe dovuto, si propose, considerare più a fondo quelle assomiglianze. Le differenze potevano inquadrarsi e, giustificarsi all’interno di una teoria evolutiva e di adeguamento ai luoghi, così come, sulla Terra, alcune specie avevano subito un processo di evoluzione autoctono, adattandosi alle condizioni locali. Nondimeno, tutta quella serie di somiglianze era qualcosa che richiedeva una spiegazione più approfondita, per la quale lei non aveva abbastanza elementi al momento. In aggiunta, Grepx era un umano come lei e George avevano scoperto, con totale sorpresa, al momento del primo incontro con lui. Ishar e Sird, come pure Horem e tutti gli altri incontrati fino a quel momento, sembravano in tutto degli esseri umani, anche se lei, da scienziata, avrebbe preferito fare un’analisi del loro DNA! A pensarci bene, anche gli stessi guai originati da ioni e ambizioni – come quelle degli scientisti e del tjaty – avevano quel sapore, quasi un marchio, che ricordava da vicino ciò che s’incontrava, spesso, sulla Terra. Aveva già discusso lungamente – per quanto possibile – di questi interrogativi con George nei giorni ati, senza peraltro giungere ad alcuna spiegazione convincente, partendo da una semplice ipotesi evolutiva, o di adattamento all’ambiente, sulla presenza di organismi così simili in mondi situati agli estremi del cosmo. Sulla presenza della razza umana in quella galassia, inoltre, dovevano entrambi ammettere di essere ancor più lontani dal darne una spiegazione plausibile ma, avevano stabilito, sarebbero tornati a riesaminare la questione in seguito.

Da diverse ore – superata una prima, falsa discesa –, la strada aveva continuato a salire lasciando, poi, la cengia posta sul fianco del monte per inoltrarsi in un pianoro erboso e umido. Il freddo, creato dall’umidità dell’aria e del terreno, pareva penetrare nelle ossa, generando una sensazione insolita alla quale non si erano preparati nel partire per quel viaggio, attraverso una delle zone più desolate ma calde del pianeta. Tuttavia, freddo e umidità sono e restano compagni, forse non sempre desiderati, degli spostamenti in montagna ossia là dove si trovavano al momento.

All’interno del veicolo, la conversazione si era interrotta da qualche tempo, favorendo le riflessioni dei suoi occupanti; mentre Milys, appollaiato sul tetto, manteneva un’attenzione sempre vigile a quanto accadeva intorno a loro. In entrambi i terrestri, il filo dei pensieri – che, per strana coincidenza, era rivolto nuovamente alle somiglianze riscontrate tra la fauna e la flora di Arion con quelle della Terra – fu interrotto da Ishar, con il suggerimento di fermarsi, prima che la luce già scarsa si affievolisse ulteriormente. Come risposta alla principessa, Grepx, ben conoscendo l’esperienza e la conoscenza dei luoghi che essa aveva, le chiese se uno slargo del sentiero, avvistato a poca distanza, fosse adatto allo scopo. «Direi che fa proprio al caso nostro!», disse ad alta voce, annuendo con il capo alla volta dell’ufficiale dell’Alleanza, «… Qui potranno farsi vivi!». «Ho notato, in realtà, che qualcuno ci osserva da quando abbiamo lasciato la salita, entrando nel pianoro. Da questo momento, dovremo comportarci come se non ci fossimo accorti di essere seguiti, lasciando ai guardiani del deserto l’iniziativa. Se e quando lo vorranno, verranno da noi», concluse la principessa. Grepx rimase sì stupito da questo ragionamento ma, in fin dei conti, non del tutto. Lui sapeva, infatti, come Ishar attendesse questi misteriosi abitatori dei monti, quantunque, sia durante la salita, sia sull’altopiano, lui stesso non avesse notato nulla che desse un’indicazione della presenza umana in quei luoghi, tanto meno che qualcuno li stesse osservando o li avessi seguiti. Il posto pareva, anche a un occhio ben addestrato come il suo, del tutto selvaggio, inospitale e abbandonato. Quando il veicolo si arrestò, Milys – interrompendo il silenzio che lo aveva caratterizzato durante tutto il pomeriggio – confermò le osservazioni della principessa: «Ishar ha ragione, di certo siamo controllati e seguiti da quando abbiamo completato la salita verso il pianoro». Poi, quasi scusandosi con l’ufficiale dell’Alleanza, continuò. «I miei sensori a infrarossi – finalmente, non più accecati dalla calura – hanno individuato degli umani che, con grande accorgimento, seguivano il nostro cammino da lontano, prima ancora che terminasse la salita. Solo dei sensori a largo raggio come i miei potevano notarli oppure una persona che, come Ishar, conosca bene questa gente e i luoghi dove ci troviamo!», concluse chinando il

capo verso la principessa. «Grazie, Milys! Sei gentile come al solito», replicò Ishar, ben contenta del complimento rivoltole dall’androide, per di più alla presenza di Grepx. «I guardiani», continuò la donna, «non possono avermi riconosciuta così da lontano e, di sicuro, verranno questa notte. Potrebbero decidere di chiedere una spiegazione sulla nostra presenza e, alla fine, facilitarci l’attraversamento dei monti, oppure circondarci per farci prigionieri nel sonno. Direi che, nella condizione in cui ci troviamo, dobbiamo lasciarci sorprendere, senza opporre alcuna resistenza. I guardiani saranno numerosi e ben armati, perciò, se vogliamo uscire indenni da qui, non abbiamo altra scelta oltre a quella di evitare uno scontro con loro!». Tutti convennero come quella suggerita da Ishar fosse l’unica strada percorribile, date le circostanze. «Quando potrò farmi riconoscere, senza dubbio, ci aiuteranno! Di sicuro, saremo scortati fino ai confini della regione temperata e non avremo nulla da temere. Nessuno osa, infatti, are impunemente attraverso il loro territorio. Mio padre ha sempre favorito la loro presenza, come scudo per evitare che gente indesiderata e avventurieri potessero arrivare, senza difficoltà, alle miniere e alla grande oasi». Fiduciosi nell’esperienza della principessa si affrettarono a sistemarsi per la notte, con l’intento di prepararsi, finalmente, un pasto caldo. Infatti, dopo le serate ate all’interno del loro veicolo per sfamarsi con razioni alimentari fredde, già pregustavano la cena calda e l’assenza di quegli odori – a tratti nauseabondi –, che li avevano accompagnati, durante le giornate trascorse nella zona dei laghi acidi. L’onnipresente sabbia anche nel cibo – cui il deserto li aveva abituati da qualche tempo – sarebbe stata, al contrario, assente, rendendo quella cena ancora più appetitosa e desiderata.

Durante la cena, Milys si era messo di vedetta all’esterno del piccolo accampamento. Era aiutato nel compito da tutti i suoi sensori a infrarossi attivi e, ormai, funzionanti in modo ottimale, grazie alla temperatura che si abbassava sempre più a mano a mano la serata avanzava, mettendo in fuga gli ultimi sprazzi di luce solare. La notte si prefigurava, per di più, come la più fredda tra

quelle trascorse dalla loro partenza dalla città sotterranea. L’androide sapeva e aveva anche informato i compagni di viaggio, come coloro i quali li stavano seguendo fossero oramai molto vicini. Inoltre, a peggiorare la situazione, riteneva che persino un altro gruppo stesse per sopraggiungere e che, quindi, durante la notte avrebbero dovuto aspettarsi qualche sorpresa. Da come la situazione si stava evolvendo, Ishar non aveva più dubbi nel prevedere che, alla fine, quei visitatori non si sarebbero presentati apertamente ma, piuttosto, avrebbero cercato di sorprenderli nel sonno per interrogarli in seguito. «Evidentemente, come sospettavo…», disse, «non mi hanno riconosciuta durante la salita. A questo punto permettiamo loro di catturarci, sorprendendoci nel sonno. Asteniamoci, ripeto, dal reagire per evitare uno scontro a fuoco, il cui esito potrebbe non esserci favorevole e porterebbe solo a uno spargimento di sangue con conseguenze negative per tutti». «Se Milys avesse correttamente individuato l’arrivo di un gruppo di o, noi, in ogni caso, non avremmo nessuna reale possibilità di successo in uno scontro diretto. Dalla loro parte ci sarebbe un vantaggio numerico troppo consistente!», riprese Grepx analizzando, pragmaticamente, la situazione da un punto di vista militare. «Noi non siamo in grado di difenderci in un pianoro come questo, con solo dei disgregatori portatili!», continuò. «In questo momento, la nostra scelta più favorevole, forse l’unica, consiste sullo scommettere sul fatto che Ishar abbia ragione. Concordo pienamente di non opporre una resistenza inutile e dannosa. I guardiani non sanno che Milys è un androide in grado di farci conoscere in anticipo i loro movimenti, individuandoli con i suoi sensori a infrarossi. Si aspettano, pertanto, di catturarci senza problemi, agendo durante le ore in cui il sonno è più profondo», finì di dire Grepx. «Veramente, non è necessario che tutti si debba essere presi!», affermò George con un’aria convinta. Di fronte a quell’affermazione, Grepx rimase sorpreso, anche se non completamente.

«In questo momento, secondo me…», continuò il terrestre, «Milys può facilmente eludere la vigilanza, ando, così, attraverso la linea stabilita dai pochi guardiani presenti. La loro sorpresa sarà grande quando conteranno solo quattro intrusi catturati, e non cinque. Infatti, durante la notte e persino di giorno – a queste temperature –, grazie ai suoi sensori, lui è perfettamente in grado di evitarli. Inoltre nelle prossime giornate, lontani come siamo dal deserto e dalla sua calura, Milys potrà sfruttare appieno la sua superiorità tecnologica, per evitare la cattura e uno scontro a fuoco con loro, rendendosi, in pratica, invisibile». «Se – come mi sembra inevitabile – saremo catturati, Milys si manterrà in contatto con Ashley e con me attraverso le nostre unità uptv. I guardiani, di certo, non avranno messo in conto questa eventualità!», il terrestre completò, con enfasi, di esporre la sua proposta. «Inoltre», intervenne Grepx a o dell’analisi di George, «Milys è troppo prezioso per l’Alleanza e non possiamo in alcun modo permetterci di esporlo a situazioni rischiose di cui non abbiamo nessun controllo». «Forse…», intervenne Ashley che, fino a quel momento, aveva ascoltato con aria assorta, «dovremmo altresì considerare l’ipotesi che, in realtà, i guardiani non abbiano la certezza sul nostro numero. Ci hanno osservato da lontano e non possono essere del tutto sicuri di chi, fra noi, fosse effettivamente seduto sui sedili posteriori!». «In tal caso», completò il ragionamento Grepx, «prima di essere del tutto circondati, Milys potrebbe dileguarsi e, con una buona probabilità, riuscire a inoltrarsi nel pianoro, per poi nascondersi fra le rocce. Lui potrebbe, in realtà, seguirci, localizzando le unità uptv dei nostri amici terrestri. Sì, direi proprio che il tuo piano, George, suoni convincente e fattibile».

Sul fuoco appena si stava riscaldando la cena, quando Milys, che si era tenuto discosto e poco visibile – in una zona scarsamente illuminata dalle fiamme –, scivolò via, acquattandosi nella vegetazione. Attesi alcuni istanti, analizzando i dintorni con i suoi sensori a infrarossi, poi si mosse lentamente verso le rocce situate dalla parte opposta rispetto alla quale aveva appena individuato i primi inseguitori, in cauto avvicinamento al loro veicolo.

Pochi minuti furono sufficienti per permettergli di dileguarsi e nascondersi tra gli anfratti del monte che riprendeva a salire a una distanza dal veicolo non superiore ad alcune centinaia di metri. Dalla sua posizione, Milys poteva, così, osservare i propri compagni senza farsi tradire da alcun rumore. Infatti, come androide, lui poteva evitare, senza difficoltà, di emettere anche il minimo suono; in quel frangente, neppure quello generato da un leggero respiro o da un battito di cuore avrebbe potuto rivelare la sua presenza. Era insensibile al freddo che accompagnava la notte avanzante e, inoltre, non era soggetto a quelle sensazioni fisiche, come il sonno o la paura, che avrebbero potuto distrarre qualsiasi essere umano dal sorvegliare l’accampamento. Le sagome dei loro inseguitori – percepite dai suoi sensori a infrarossi – da sfuocate erano ormai diventate alquanto definite. I guardiani, silenziosamente, avanzavano spostandosi proni sul terreno, senza farsi tradire da alcun suono, come quello emesso dalla rottura accidentale di qualche ramo. Senza fretta apparente, si andavano schierando circondando il campo. Nulla lasciava intendere che costoro fossero in agguato, tranne, forse, l’assenza di gridi o brontolii di animali vicini o di uccelli notturni. Quasi insensibili al freddo della notte, i guardiani restarono acquattati, sfruttando piccoli avvallamenti o anfratti tra le rocce, in paziente attesa che si addormentassero i quattro membri di quella spedizione proveniente dai laghi acidi; quantunque, basandosi sulle osservazioni della giornata, avrebbero forse dovuto essere in cinque. Si accorsero, ben presto, che nessuno era stato posto a guardia del campo, lasciando, perciò, intendere di non attendersi un agguato: situazione ideale, pensarono, per sorprenderli nel sonno!

Le ore arono lentamente. Verso le tre del mattino, ossia quando l’assopimento è profondo, gli assalitori si mossero per catturarli. L’operazione si svolse con estrema rapidità, sotto gli occhi vigili di Milys che osservava dall’alto. Le due donne si lasciarono catturare senza opporre resistenza. Al contrario, Grepx e George – svegliati di soprassalto – tentarono di opporsi agli assalitori, senza, pur tuttavia, una grande convinzione Ne scaturì una colluttazione in cui, alla fine, i due uomini ebbero sì la peggio, dato il numero degli assalitori, ma lasciarono a costoro la convinzione che l’assalto fosse ben riuscito perché realmente li avevano colti di sorpresa. Alla fine, i due uomini furono tramortiti,

usando la scarica a bassissimo potenziale di un disgregatore e, subito dopo, legati. In quella circostanza, dunque, i guardiani li avevano resi innocui evitando, accuratamente, di ferirli. Pochi minuti dopo, il luogo divenne nuovamente silenzioso e abbandonato, mentre una piccola colonna di uomini – montati su delle cavalcature – saliva verso la montagna, lungo una mulattiera. Il veicolo, invece, fu abbandonato, incustodito, là dove si trovava al momento dell’agguato. All’insaputa degli assalitori, Milys – dopo aver assistito con attenzione a tutte le fasi di quell’attacco a sorpresa – si apprestò a seguirli controllando, nel frattempo, di ricevere costantemente i segnali di localizzazione dalle unità uptv dei terrestri. Mentre il viaggio di trasferimento proseguiva, Ashley e Ishar, per quanto immobilizzate, scoprirono di avere ancora qualche piccola libertà di movimento, non essendo state legate così saldamente come i loro due compagni. Tuttavia – pur sapendo che Milys sarebbe stato in ascolto –, la terrestre scartò l’idea di prendere contatto con l’androide, per evitare che lo strumento fosse notato e, pertanto, requisito dai suoi rapitori. Dopo un tragitto non eccessivamente lungo, nell’oscurità le due donne intravidero l’entrata di una stretta gola; in seguito, si accorsero di attraversare un tratto di terreno piatto, che pareva terminare bruscamente contro una parete di roccia. A mano a mano che si addentravano nella gola, compresero – osservandola più attentamente – come, in realtà, la vegetazione sulla parete, posta di fronte, fe da schermo a una galleria attraversante nella montagna. Inoltre, anche dalla loro distanza una luce fioca, creata da torce, era visibile e illuminava il aggio interno al rilievo montuoso. Poi, quando tutti ebbero completato di percorrere la galleria, le sentinelle poste a guardia del aggio spensero le torce e il buio tornò a imperare in quella gola. Pertanto, si resero conto di come Milys non avrebbe potuto seguirle oltre, ma avrebbe dovuto rimare lì, fuori dalla galleria, ad attendere. I prigionieri si ritrovarono, allora, in un’enorme radura nella quale si ergeva un’imponente cinta muraria, le cui porte d’ingresso erano state aperte. Nei pochi minuti successivi, arono dapprima attraverso delle strade deserte per giungere, in seguito, in un palazzo nei cui sotterranei si trovavano tre celle preparate per loro. I quattro prigionieri vi furono subito rinchiusi uno per cella, mentre le due ragazze furono messe assieme. Nessuno aveva rivolto loro la parola e nessuna domanda fu posta! Infine, l’illuminazione fu spenta e si ritrovarono nel buio più completo.

Il piano elaborato da Ishar era semplice ma, perché funzionasse, quella gente si sarebbe dovuta accorgere di chi lei fosse in realtà, ossia la principessa associata al trono della città sotterranea. Fino al mattino seguente la cattura, nulla lasciava immaginare che tutto ciò stesse avvenendo; inoltre, a George l’oscurità e la solitudine notturna avevano creato una spiacevole sensazione di pessimismo. Il terrestre, alla fine, si sentì profondamente abbattuto. Era, infatti, chiuso in una cella di un palazzo – situato all’interno di una fortezza o di una città –, in un luogo a lui completamente sconosciuto. L’assenza di sonno in quell’istante gli impediva di avere una visione ponderata della situazione. A quella situazione fisicamente indisponente si sommava, inoltre, una visione negativa di quanto stava accadendo, o sarebbe potuto succedere a sé e ai suoi compagni. A livello conscio lui era, pur tuttavia, ben consapevole di dover spazzar via quelle false percezioni della realtà che, attanagliandolo, non gli avrebbero dato facili vie d’uscita. Per rendere peggiore il suo stato d’animo, si aggiungeva quella strana esperienza interiore – nella quale era stato trascinato dal dormiveglia –, riguardante il ricordo – assai sgradevole e confuso in parte – della cattura appena avvenuta. Ancora in quel momento, infatti, gli avvenimenti della notte ata affioravano nella sua mente gradualmente, così come accade durante il processo di sviluppo di un’immagine fotografica, quando cioè si vanno combinando, in modo sempre più chiaro, dapprima i contorni e poi, a mano a mano, i dettagli. Per sua esperienza, sapeva di poter sopportare gli effetti dolorosi della colluttazione avvenuta la notte precedente; di quella lotta ne facevano memoria i lividi, che lui avvertiva facendo scorrere le mani sulla faccia. Doveva aver preso qualche colpo nello scontro, prima di essere definitivamente tramortito – si ricordava –; mentre, un sogghigno spuntava sul suo volto all’idea che i pugni li avesse anche dati, e non soltanto presi! Peccato, ad ogni modo, come quel sorriso si smorzasse sul nascere, poiché provocava il riacutizzarsi del dolore dovuto alla mascella tumefatta. Tuttavia, ciò che lo preoccupava maggiormente non era il dolore fisico, ma il fatto di non conoscere la sorte delle due ragazze e di Grepx. A causa del buio in cui era avvolto, non vedere i suoi compagni era qualcosa che lo agitava nel profondo! Infatti, fino allora, non era mai accaduto che lui e Ashley fossero separati forzatamente; inoltre, doveva ammettere con se stesso, l’assenza di

Ashley gli bruciava internamente, quasi si trattasse di un dolore fisico. Stava, in realtà, accorgendosi di avvertire l’assenza della sua compagna terrestre come se una parte di sé si fosse allontanata, lasciando un vuoto in lui: sentimento che provava, in modo così intenso, per la prima volta nei confronti di una donna! Perché, dunque, non si ricordava proprio nulla del tragitto dopo la cattura, fino alla cella in cui si trovava in quel momento?

Per il terrestre, pertanto, la notte era trascorsa male e l’inizio della nuova giornata non poteva essere peggiore. Il senso di malessere, che tuttora lo pervadeva, non era solo dovuto alla colluttazione prima della cattura, ma aveva altresì un’altra origine, benché tutto ciò fosse strano a dirsi – oltre che ad ammettersi – per un uomo del corpo degli esploratori: la paura dell’ignoto. Forse, si disse, a quel tipo di sensazione non si sarebbe mai del tutto abituato! Nonostante ciò, con il sorgere del nuovo giorno, in lui si fece strada, progressivamente, la capacità di formulare pensieri coerenti, così, mentre la paura si attenuava, lo stomaco poco a poco parve smettere di lanciargli delle fitte e, nello stesso tempo, lo abbandonò l’impressione di bruciore che gli aveva impedito il sonno profondo e ristoratore per tutta la durata della notte. «In questo frangente», rifletteva, muovendosi lentamente nello spazio angusto della sua prigione, «è troppo difficile prevedere le prossime mosse da fare, poiché ignoro del tutto la sorte dei miei compagni! Se solo potessi sapere cosa c’è all’esterno! Dove sarà Milys? Sarà stato in grado di seguirci?». «… Forse, oltre alla cella, saranno le idee a essere schiarite dalla luce che filtra da lassù!», continuò a riflettere guardando una sorta di finestrella ricavata nella parete – in modo che quasi toccasse il soffitto –, ma alla quale non riusciva ad arrivare, neppure mettendosi sulla punta dei piedi. ò diverso tempo, forse un’ora, completamente assorto nel fiume dei suoi pensieri e dei suoi sentimenti contrastanti. Poi, silenziosamente, alle sue spalle una porta si aprì senza che fosse seguita dall’entrata arrogante dei suoi carcerieri. Quando se ne rese conto, tutto ciò apparve insolito al terrestre, benché la sua esperienza sugli usi in una prigione fosse limitata solo a quella avuta all’accademia militare, durante alcuni giorni di arresti. Restò, alla fine, non del tutto sorpreso quando, girandosi, vide i volti sorridenti e incuriositi di Ishar e

Ashley le quali, evidentemente, lo stavano già osservando da alcuni minuti. Come sanno essere sempre imprevedibili le ragazze, anche in situazioni strane come quelle! «Da quanto tempo voi due siete qui senza dir nulla?», fu il suo commento d’acchito, mentre lo stupore misto a soddisfazione si dipingeva sul volto. Il cambiamento d’umore era stato subitaneo, ando da un senso di sconforto diffuso a uno di contentezza; a tutto ciò si stava, però, aggiungendo la sensazione di essere stato punto sul vivo. Infatti, preso dai suoi ragionamenti, non aveva subito scorto la presenza delle due ragazze. Loro due, invece, si erano messe a osservarlo incuriosite, stando ferme – sulla porta della cella –, senza dire una sola parola, in attesa che fosse lui ad accorgersi di loro. Di sicuro, si rese conto il terrestre, le due donne dovevano averlo visto nel pieno del suo avvilimento: ma ormai era cosa fatta! «È tutto quello che hai da dirci?», chiese Ashley fingendosi sorpresa dall’atteggiamento del suo compagno. Poi, lei corse da lui mentre Ishar, dopo aver ceduto il o alla propria amica, si apprestava a seguirla, guardando sorridente quella dimostrazione d’affetto. La abbracciò. «Sai dov’è Grepx?» rispose con una domanda George, ignorando quella posta in precedenza da Ashley. Fu allora che, mentre Ishar stava a sua volta stringendosi a lui, si accorse della presenza di un’altra persona. Dietro di lei, infatti, c’era un uomo, perché tale appariva in base alla prestanza fisica nonostante fosse solo parzialmente visibile; quando la principessa si mosse verso il terrestre, lo sconosciuto allora entrò nella cella. Costui vestiva una tunica da beduino di un colore rosso spento con i bordi dorati. Il portamento eretto e il volto attento – a cogliere ogni particolare della scena che si svolgeva nella prigione – erano indicatori della sua personalità volitiva, lasciando intendere, a chiunque lo osservasse, come fosse uso al comando. Era stato costui, evidentemente, a scortare le due donne, ordinando, altresì, alle guardie di non entrare nella cella. «Il vostro amico Grepx sta bene e andremo assieme a liberarlo. Lei, stimato amico della nobile Ishar, regnante sulla città sotterranea, è il primo al quale rechiamo visita. Sono stato un amico sincero del padre della principessa!»,

continuò senza lasciar tempo, tuttavia, a George di intervenire nel discorso, «Anticipando quanto vorrà dirmi, mi scuso, qualora abbia subito dei maltrattamenti da parte dei miei uomini…». «La sicurezza del deserto e dei suoi abitanti», riprese a dire, dopo una piccola pausa, «dipende altresì dal fatto che nessuno osi pensare di attraversare questi monti con l’illusione di non spiegare a noi – i guardiani del deserto –, quale sia la motivazione del viaggio! Questi sono gli accordi che da generazioni regolano i rapporti tra la nostra gente e quella della casata di Sird e Ishar». Vi era una punta d’ironia nell’accennare alle motivazioni del viaggio – pensò George –, poiché nessuno aveva fatto loro delle domande ma, invece, erano stati semplicemente tramortiti, senza alcun preavviso, e trasportati poi in quella che, in tutta evidenza, era una prigione. Fortunatamente, Ishar era con loro! Tuttavia, anche se tutto procedeva secondo le previsioni della principessa, le circostanze non favorivano per nulla le battute di spirito. Alla fine decise di sorvolare su quanto fosse realmente accaduto nella notte precedente. Tuttavia, l’accenno di sorriso che desiderava mostrare come risposta, si spense subito a causa del dolore alla mascella: uno strascico di quanto era accaduto! «Sono onorato di conoscerti George di Isis!», continuò il suo interlocutore, notando che anche lui, come Ashley, utilizzava un’unità uptv. «La principessa Ishar, alla quale porgo nuovamente le mie scuse – come a tutti voi – è stata riconosciuta da me e dai miei uomini solo dopo essere arrivata a palazzo e, pertanto, quando tutti voi eravate già stati imprigionati. Mi ha spiegato come desiderasse mostrare Arion ai suoi amici di Isis. Non mi ha chiarito, ciò nonostante, perché non abbia ritenuto importante annunciare il suo arrivo. Tuttavia, rispetto la sua volontà e riserbo; perciò vi devo sicuramente le mie scuse e spero che possiate considerare chiuso l’incidente». «Mia caro Kehah, tu sei un amico mio personale e amenukal dei guardiani che presidiano il deserto, baluardo di importanza vitale per la città sotterranea. Nessuno di noi ha dubbi sulla rettitudine dei tuoi intenti e sul comportamento dei tuoi uomini, in queste circostanze. Non possiamo accettar scuse, poiché a noi non è necessaria alcuna giustificazione!», affermò Ishar con un sorriso al quale Kehah rispose con un inchino profondo del capo. Terminata la presentazione e il successivo scambio di saluti formali, i due

terrestri seguirono Ishar e Kehah verso la cella che, ancora, ospitava Grepx. Come avvenuto per George, anch’egli fu presentato all’amenukal omettendo, tuttavia, la sua appartenenza alle truppe dell’Alleanza. Kehah evitò di porre domande, accettando come vera – rispettando così il riserbo della principessa – la versione del loro viaggio turistico in quei territori, ancorché, a dire il vero, Arion non fosse per nulla noto come meta turistica! L’incidente notturno, se tale poteva essere definito, fu, poi, completamente dimenticato di fronte alla tavola che, nel frattempo, era stata imbandita per la colazione e nella quale la profusione di cibo e bevande indicava, da sé, l’alta considerazione in cui la principessa era tenuta dall’amenukal stesso.

George e Grepx erano ancora molto affaticati per gli eventi notturni quando, appena terminata la colazione, la loro presenza fu richiesta dall’amenukal, assieme a quella delle due donne. Kehah, in verità, non aveva avuto bisogno di alcuna spiegazione da parte della principessa per comprendere l’importanza di quel gruppo di stranieri che la accompagnavano. Costoro, infatti, sebbene fossero a lui del tutto sconosciuti, erano talmente importanti da richiedere la guida di Ishar in persona. Da astuto guerriero qual era, costui aveva, inoltre, intuito come lo scontro a fuoco – accaduto su quei monti, alcuni giorni prima – fosse da collegarsi alla presenza, in quegli stessi luoghi, della principessa e dei suoi accompagnatori. La riunione, senza che nessuno si sorprendesse di ciò, non si ridusse a un semplice scambio di convenevoli ma divenne, da subito, operativa. Contrariamente a quanto era accaduto nel loro caso, Kehah raccontò come, un paio di giorni prima, i suoi uomini non fossero riusciti a catturare i due membri dell’equipaggio di un veicolo proveniente dalle terre temperate situate a est. Il veicolo era stato fermato poco prima che fe sera. In realtà, i eggeri del mezzo si erano rivelati essere degli androidi che furono sopraffatti solo perché, pur avendo reagito prontamente, avevano utilizzato i disgregatori al minimo di potenza. Nello scontro a fuoco che ne era scaturito, diversi dei suoi uomini erano stati feriti, fortunatamente non in modo grave; l’attacco, pertanto, finì con la distruzione degli androidi. Cosicché, dopo quell’esperienza, lui – informato dell’arrivo di un nuovo gruppo proveniente dai laghi acidi – aveva preferito

un’azione notturna, in modo da coglierli nel sonno e ridurre l’eventualità di uno spargimento di sangue. La questione, sollevata dalla sortita degli androidi da Friam, non colse completamente di sorpresa i quattro, ben consapevoli di come fosse terminato l’attacco avvenuto presso le rovine dell’antica città nel deserto. Evidentemente, dedussero, quella spedizione era stata inviata per cercare notizie della navetta spaziale androide e dei suoi occupanti. Tuttavia, essi capirono come l’aspetto più inquietante dell’accaduto riguardasse proprio il tragitto che quella stessa missione di ricerca presupponeva di dover compiere. Infatti, se la spedizione non avesse avuto una meta ben definita, gli androidi non avrebbero pianificato di attraversare quei monti senza preavviso ma, piuttosto, sarebbero scesi più a sud entrando, così, direttamente nell’erg. Anche senza conoscere l’intero quadro degli avvenimenti, Kehah aveva, pertanto, ragione di mettere in relazione la loro presenza con quella degli androidi. Tuttavia, un solo veicolo e, per di più, con unicamente due occupanti stava a indicare – questo fatto rappresentava l’aspetto confortante – come, a Friam, gli androidi non avessero molte risorse disponibili e, probabilmente, non fossero ancora riusciti a informare gli scientisti ricevendo così da loro un o maggiore. A quel punto la riunione continuò per programmare la loro partenza, fissandola già per il giorno successivo. Dall’amenukal essi avrebbero avuto cavalcature ben riposate per discendere verso il fiume, dove avrebbero potuto lasciarle, una volta giunti sulla sua riva, presso la piccola locanda verso cui la pista conduceva. In quella locanda avrebbero anche ottenuto un’imbarcazione per scendere lungo il corso d’acqua fino a Friam. Kehah avrebbe, nel frattempo, inviato i suoi uomini alla grande oasi con il loro veicolo, restituendolo così a Kal. Soltanto verso il termine della riunione Kehah si rivolse a Ishar, chiedendo con un sorriso divertito: «Immagino che anche il vostro quinto compagno avrà bisogno di una cavalcatura?». Infatti, al momento della cattura, gli uomini di Kehah avevano compreso come mancasse il quinto membro dell’equipaggio, ma anche come nell’oscurità della notte fosse impossibile trovarlo, cosicché non persero tempo e partirono. Arrivati, infine, a palazzo, dopo che l’amenukal riconobbe la principessa fra i prigionieri, l’idea di organizzare una spedizione di ricerca fu abbandonata, in

attesa dell’indicazione che lei stessa avrebbe dato. «Effettivamente, Milys potrebbe andare anche a piedi, ma gradirà senz’altro l’offerta!», rispose prontamente Ishar ammettendo, con sorpresa dei suoi compagni, la presenza di una quinta persona. Nondimeno, la principessa non fece in alcun modo intendere che si trattasse di un androide. Poi, sorridendo continuò: «Permettimi, mio caro Kehah, di evitare di farci raggiungere da lui in questo palazzo, nonostante la tua generosa ospitalità. È meglio per tutti, in effetti, che nessuno sappia troppo a riguardo del nostro quinto compagno di viaggio, al momento». La principessa non dette altre spiegazioni e Kehah evitò, a sua volta, di tornare sull’argomento.

*

Durante la notte precedente, Milys – che, senza troppe difficoltà, stava seguendo il gruppo degli assalitori e dei loro prigionieri – avrebbe preferito proseguire anche lui attraverso il aggio all’interno della parete montuosa. Tuttavia, si accorse come le guardie fossero troppo attente e numerose per are inosservato; decise quindi di trascorrere la nottata nascosto presso l’ingresso della galleria, osservandone i turni e le postazioni, mentre attendeva che i terrestri entrassero in comunicazione con lui. L’attesa sarebbe stata lunga per un umano, ma non lo fu per un androide come Milys privo, per sua natura, dell’esperienza riguardante quella ridda di emozioni collegate al senso del tempo così com’è inteso dagli umani. Verso la fine della nuova mattinata, George prese contatto con lui dandogli poche e semplici istruzioni. «Milys, sei in ascolto?» «Ti ricevo forte e chiaro», fu la risposta immediata dell’androide. «Qui tutto procede secondo il piano previsto da Ishar inizialmente. Tuttavia, è

meglio evitare il tuo arrivo, in modo che non si sparga la notizia sulla presenza di un androide tra di noi. Pochi giorni fa, infatti, i guardiani del deserto hanno intercettato e distrutto due androidi provenienti da Friam che cercavano noi, oppure informazioni sulla loro nave». «Ritieni che ve ne siano altri in circolazione e che ci stiano cercando fra questi monti?». «Credo di no, ma con le informazioni disponibili, al momento non si può scartare del tutto questa eventualità». Non ricevendo altre domande, il terrestre proseguì nella comunicazione con l’androide. «Noi partiremo domani prima dell’alba. Nel frattempo, tu dovresti recuperare, dal veicolo, viveri ed equipaggiamento, armi incluse: lasceremo il veicolo là dov’è adesso. Occorre che tu trasporti il materiale lungo la pista per circa un paio di chilometri, avanzando verso la direzione della zona temperata. Là ci attenderai nascosto: saranno le prime luci dell’alba quando dovremmo riuscire a raggiungerti». «D’accordo. Cosa ne facciamo del veicolo?», chiese ancora Milys. «Saranno i guardiani del deserto a occuparsene e a restituirlo. Lascia solo un messaggio per Kal. Scrivigli che chi si è bagnato nelle acque fresche della grande oasi lo ringrazia. Non aggiungere altro. Kal capirà». «Hai altre istruzioni?». «No! Appuntamento domani all’alba!», con quest’accordo il terrestre terminò la chiamata. Subito dopo, Milys si avviò a compiere il primo dei due viaggi che sarebbero serviti – secondo le sue stime, sempre abbastanza corrette – per recuperare il materiale. Nell’accingersi a eseguire questi nuovi compiti, andava anche codificando e registrando, nei suoi banchi di memoria, alcuni tratti tipici del modo di fare umano. Aveva, infatti, notato come i suoi compagni preferissero esporre sé stessi a dei rischi ma non lui, ritenuto prezioso per l’Alleanza, giustificando questo comportamento come qualcosa da farsi in base alla lealtà e alla capacità di sacrificio per il bene comune.

Il trasporto del materiale terminò senza particolari problemi. Effettivamente, la mancanza di luce non costituiva un problema per un soggetto come lui, dotato di amplificatori d’immagini notturne, oltre a sensori a infrarossi che gli permettevano di evitare eventuali esseri umani nascosti, o in agguato fra le rocce.

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Su quei monti l’alba non si annunciava con il rosseggiare delle nubi, ma piuttosto con il levarsi di una bruma alquanto fastidiosa anche per un androide. Come convenuto, Milys era già in attesa da alcune ore prima del sorgere del sole. Infatti, il percorso – tra il veicolo abbandonato e il luogo nel quale aveva deciso di attendere i quattro umani – era solo di pochi chilometri, un paio in più di quelli stimati da George. Tuttavia, aveva impiegato alcune ore per ciascun viaggio, a causa non tanto del carico da trasportare, ma piuttosto del terreno scosceso da percorrere. Aveva, inoltre, notato che le presenze umane – probabilmente guardiani del deserto, posti a sorveglianza dei luoghi – si erano progressivamente diradate per spostarsi dalla pista a zone più discoste, fino a lasciare quasi del tutto deserta quell’area montagnosa. Chiaro segno, quest’ultimo, di come l’amenukal preferisse evitare che i suoi uomini seguissero la piccola spedizione troppo da vicino. L’umidità nell’aria era elevata ma, fortunatamente, il suo stesso rivestimento – in grado di renderlo apparentemente simile a un umano – lo proteggeva in modo adeguato anche dagli effetti negativi delle intemperie. A suo ricordo, i luoghi – dove gli androidi potevano muoversi liberamente senza quella protezione, simile alla pelle umana – erano solo nelle città più evolute dell’Alleanza. In quelle città, infatti, le condizioni climatiche erano controllate e gestite centralmente. Nei pianeti periferici, tutto era un rischio per lui e ben poteva capire le difficoltà dei suoi simili, di cui gli scientisti erano costretti a servirsi su un pianeta come Arion. Era nel pieno di queste considerazioni riguardanti i rischi collegati alla sua presenza in quel luogo, quando gli giunse una chiamata dall’uptv di George.

«Milys, ci stai avvistando?», la voce del terrestre richiamò l’androide a fare attenzione nuovamente alla direzione da cui attendeva l’arrivo degli umani. «Sì. Vedo che c’è anche una cavalcatura libera per me». «So che con le tue attuali riserve di energia non ti è necessario utilizzarla per proseguire, però così darai meno nell’occhio. L’amenukal ci ha raccomandato di seguire i suoi consigli e di lui mi fido». «Per tua informazione, i guardiani del deserto sono scomparsi durante la notte. Inoltre, non capto nessun segnale emesso dai trasponder degli androidi. Non abbiamo altri visitatori in arrivo!», commentò Milys, spostandosi dal suo nascondiglio alla pista per farsi scorgere, in tal modo, dalla comitiva in avvicinamento. Dopo pochi minuti, i quattro sopraggiunsero e caricarono le attrezzature, le armi e i viveri, recuperati dall’androide. La piccola spedizione riprese senza altri indugi a percorrere la pista che, ora, scorreva verso una brughiera resa fredda dall’umidità del mattino. Presto, sarebbe salito il sole che avrebbe permesso di spazzar via il freddo, assieme a ciò che rimaneva della rugiada. Poi, con il sole alto, secondo il loro programma di viaggio avrebbero dovuto iniziare a scendere, per giungere in quella distesa di reg desolato e pietroso, costituente il confine della zona temperata, su quel lato dei monti. Il fiume era ancora lontano, ma il cammino sarebbe stato senza particolari difficoltà.

Dopo aver lasciato Kehah, quasi due giorni erano trascorsi quando, a pomeriggio inoltrato, giunsero in vista della loro prima meta, la locanda verso la quale l’amenukal stesso li aveva indirizzati. Dopo le avventure nelle quali erano incorsi nella traversata del deserto e la cattura fra i monti, essi furono felicemente sorpresi di vedere come, al loro arrivo, il locandiere li trattasse con il rispetto dovuto a ospiti non solo importanti, ma anche attesi. In realtà, le loro cavalcature appartenevano all’amenukal e costui, riconoscendole immediatamente come tali, comprese come quegli stranieri avessero il beneplacito di Kehah, il cui nome richiedeva rispetto e obbedienza! Il mattino seguente lasciarono gli animali in custodia presso la locanda per salire

a bordo di una piccola ma resistente barca che era stata messa prontamente a loro disposizione, come l’amenukal aveva giustamente previsto. Il natante con la prua e la poppa mozze era una tipica barca piatta da fiume, priva di chiglia, costruita rozzamente, ma ben adatta a quel tipo di navigazione. Infatti, il fondale del fiume presentava dei tratti ghiaiosi, con una profondità dell’acqua che, di rado, superava i cinque metri. Inoltre, nelle zone paludose più a valle, dove la corrente sarebbe stata minore, essi avrebbero potuto facilmente spingere l’imbarcazione con una pertica di legno leggero ma resistente, facilmente reperibile in loco. I bagagli, a prua, erano stati posti su un rialzo per mantenerli asciutti nel caso in cui entrasse dell’acqua. Infine, tra questi e il posto di voga, si trovavano le due panche, che ospitavano gli altri membri del gruppo. Nella prima parte della navigazione sarebbero stati ben lontani dalle paludi. Si sarebbero, in verità, tenuti lungo la parte centrale del corso d’acqua, governando la barca con una voga leggera, per la quale sarebbe stato sufficiente un solo rematore, anche se la panca, ai cui bordi si trovavano gli scalmi, poteva ospitarne due. In quella parte del fiume, come ebbero conferma dall’oste, la navigazione non era pericolosa, ma con l’oscurità il rischio di arenarsi e arrecare danni al natante era consistente. Pertanto, decisero che quella sera avrebbero portato la barca a riva per trascorrervi la notte.

La conversazione – già non molto vivace al momento dell’imbarco – si spense del tutto, durante quella prima giornata di lenta navigazione, scandita dallo sciabordio dell’acqua mossa sotto l’azione dei remi. La voga, alla quale si alternavano George e Grepx, era lenta per evitare un inutile spreco di energie. Ashley, seduta a prua, osservava la flora che popolava gli argini, poco impervi, del fiume. Il corso d’acqua poteva, in effetti, estendersi di molto, data la natura piatta e poco declinante di quella parte del pianeta, provocando, così, delle alluvioni locali, in grado di rendere ancora più fertile il suolo dell’entroterra. Tuttavia, in assenza del continuo lavoro dell’uomo per costringere le acque a restare in un alveo ben stabilito, gli argini spesso non erano completamente delimitati dallo scavo naturale delle acque. Cosicché, le due rive non di rado si trasformavano in golene, una zona paludosa che poteva estendersi su delle superfici riguardevoli. Piante, simili alle mangrovie e i canneti popolavano questo habitat acquitrinoso, circostante il corso naturale di questo lento e poco profondo fiume.

Un ambiente, del resto, nel quale i mammiferi erano poco presenti, mentre erano visibili pesci d’acqua dolce, anche di dimensioni riguardevoli. Rispetto ad ambienti paludosi terrestri, Ashley osservava su Arion una notevole diminuzione di insetti i quali, inoltre, si mostravano meno aggressivi. L’assenza di predatori e di rettili era un elemento di differenziazione rispetto all’evoluzione avvenuta sulla Terra, andava notando mentalmente la terrestre, ripromettendosi di studiare più a fondo quel pianeta quando – sperava – lei avrebbe avuto un momento maggiormente propizio. Nell’ambiente fluviale, la calura – per quanto meno intensa rispetto a quella cui si erano abituati nel deserto – era resa più insopportabile dall’afa causata dall’umidità che impregnava l’aria e che si faceva sentire su tutti loro lasciandoli madidi di sudore. Tuttavia, con il calar del sole si attenuava la cappa – creatasi durante il giorno – d’aria surriscaldata e di difficile respirazione. Solamente Milys, essendo un androide, possedeva la capacità di mostrarsi insensibile al clima fluviale. Il senso di rilassamento generale, diffusosi durante lo scorrere di quella giornata di navigazione, terminò approdando sul far della sera in una piccola spiaggia ricavata nella parte esterna di un’ansa del fiume. Quella prima serata, che essi trascorrevano sul fiume, rappresentava, quindi, un piacevole cambiamento dal momento in cui erano atterrati su Arion. I due terrestri, in particolare, ritrovavano un ambiente per alcuni versi maggiormente simile a quello terrestre e, per altri, meno ostile. Ashley, allora, si fece accompagnare da George, così da camminare sottobraccio lungo quella spiaggia dove l’acqua, poco mossa dal lento fluire, era calma e solo un’onda impercettibile arrivava a lambire la sabbia dell’arenile. Era il momento della nostalgia di casa, la quale – benché repressa dalle continue richieste di azione in quei giorni appena trascorsi – riaffiorava inevitabilmente. L’enorme distanza dalla Terra poteva, infatti, essere colmata solo dall’uso di tecnologie raffinate e sfruttando la loro nave racchiusa in una caverna-laboratorio su un altro pianeta. Per quanto fossero stati addestrati e avessero già una lunga esperienza di viaggi attraverso le galassie, era impossibile restare indifferenti all’idea di dover are il resto della propria vita senza la speranza del ritorno. Assieme a queste sensazioni, altri sentimenti, come il senso di amicizia per i nuovi compagni di viaggio, oltre che a Sird, andavano emergendo nella loro conversazione, sulle rive di quel fiume.

«Che cosa faremmo se restassimo bloccati in questa parte dell’universo?», chiese quasi d’impeto Ashley, apparentemente ferma a osservare lo specchiarsi di una delle lune nell’acqua. «Forse…», rispose George, rivolgendosi più a se stesso che alla ragazza, «dovremmo considerarci fortunati. Quaggiù non è come su uno degli innumerevoli mondi desolati che abbiamo incontrato fino ad ora. Qui abbiamo scoperto un mondo abitato da persone per le quali proviamo stima e amicizia. Se tu ci pensassi bene, in fin dei conti, noi non siamo così diversi da loro!». Poi, vedendo come Ashley lo stesse ascoltando con molta attenzione, continuò a esprimere a voce bassa ma ben udibile da lei ciò che stava pensando. «Noi due potremmo renderci utili, conosciamo luoghi, posti e tecnologie. Per quel che mi riguarda, incomincio ad amare queste terre e questa gente. Non è unicamente il luogo ma, soprattutto, le persone che vi sono a renderlo il posto nel quale potremmo, forse, desiderare di vivere per il resto della vita. Se uno volesse metter su famiglia, qui lo potrebbe fare e sarebbe bene accolto! Secondo me, per noi il problema arriverà quando dovremo decidere di tornare sulla Terra. … E poi, se una volta arrivati laggiù, non ci permettessero più di tornare indietro da loro, su questo pianeta?». Il pensiero riguardante la famiglia, sebbene non elaborato ma espresso con molta semplicità, colpì Ashley. Forse, disse a se stessa mentre si dirigevano verso l’accampamento, George era un uomo interessante anche da quel punto di vista e, in effetti, al suo fianco avvertiva maggiormente la propria femminilità. Inoltre, iniziava ad ammettere di sentirsi ben protetta da George, dotato di quel suo modo di fare così rassicurante. In tutte le loro attuali peripezie – quando lui era al suo fianco –, si sentiva sicura e, in qualche modo, a casa. Al contrario, non appena si separavano, ne avvertiva subito la mancanza, così com’era recentemente accaduto quando erano stati imprigionati dai guardiani del deserto. Tuttavia, non sarebbe mai stata lei a confessarglielo! Si rese conto di pensare fra sé e sé, quasi scherzandoci sopra, come la lista degli invitati a nozze rischiasse di essere un po’ ridotta su quel pianeta, così fuori mano rispetto alla Terra. Ishar, da donna, aveva già notato come Ashley si sentisse confortata dalla presenza di George, del quale lei stessa aveva imparato ad apprezzare le doti. Intuendo come il legame di amicizia tra i due terrestri potesse tradursi in un

sentimento più profondo, si ritrovò istintivamente a stringersi maggiormente a Grepx, dal quale lei stessa si sentiva attratta, tanto più poiché sapeva dell’amicizia profonda che intercorreva tra lui e suo fratello. In quelle circostanze oramai, avvicinandosi a Friam e, quindi, al momento della separazione, qualche congettura, dapprima scacciata ma ora lasciata sempre più libera, si faceva strada in lei sull’attrattiva che cominciava a provare per quell’uomo. «Quei due potrebbero proprio essere una bella coppia!», commentò Grepx, vedendo i terrestri camminare tenendosi sottobraccio mentre parlavano fra loro con quel tono confidenziale, indizio sicuro sullo scaturire di un rapporto profondo tra un uomo e una donna. «Inoltre, alla fine di quest’avventura…», continuò quasi sottovoce, «l’Alleanza avrà un grosso debito con loro! Si sono fidati di me e di Milys in un momento in cui gli androidi degli scientisti erano sul punto di prenderci. Non scorderò mai questo fatto!». «Sei stato fortunato a incontrarli sulla tua strada», esclamò Ishar guardandolo fisso negli occhi. «Sì, lo ammetto. Tuttavia non dimenticarti che tutti noi abbiamo incontrato te, mia bellissima Ishar!». «Lo pensi veramente, Grepx? Non è l’effetto della stanchezza e della mancanza del tuo pianeta?». «Certo! Valeva la pena correre tutti i rischi che abbiamo ato pur di avere l’opportunità di conoscerti!», disse Grepx galantemente, stringendosi a lei e guardandola negli occhi. I ricordi di quella serata, in effetti, avrebbero lasciato traccia di sé in tutti loro, pensò in quell’istante la principessa! Milys, invece, rimasto vicino al piccolo accampamento osservava con attenzione i comportamenti dei suoi compagni umani, e andava imprimendo nei suoi banchi di memoria quanto alcune delle relazioni fra umani fossero difficili da essere comprese appieno e come codificarle potesse avere degli aspetti molto complessi. Inoltre, si propose – quasi fosse un po’ curioso – di accumulare maggiori informazioni su quel lontano e poco conosciuto pianeta, chiamato

Terra.

*

Vendendo una delle sue gemme più piccole, Rekh aveva risolto i suoi problemi di denaro nella valuta in uso a Friam. Non aveva, infatti, alcuna intenzione di trascorrere troppo tempo in quella città, anche se, in verità, vi era appena giunto. Anzi, dopo aver saputo che una nave commerciale sarebbe partita alla volta di Isis, decise di trascorrere in Friam esclusivamente i dieci giorni ancora mancanti alla partenza. Cosicché spese una parte del denaro appena procurato, nell’acquisto di un biglietto per recarsi là dove, ormai, aveva eletto la sua nuova patria di adozione: quello, pertanto, costituiva il primo o verso una nuova sistemazione della sua vita, si disse! Isis era un pianeta poco conosciuto e nel quale occorreva arrivare con una solida ricchezza a disposizione, onde evitare di essere spediti di ritorno con la prima nave spaziale, che si levasse da là; almeno questo era ciò che le voci popolari andavano riportando. Tuttavia, pochi erano i viaggiatori, provenienti dal quel luogo, in grado di testimoniare sulle politiche d’immigrazione con cognizione di causa. Poi, si accinse a trascorrere da turista i giorni antecedenti la partenza e, nel frattempo, iniziò a preparare i piani per la sua metamorfosi in un ricco possidente terriero. Cercò, infatti, nella piccola biblioteca della città – in verità priva di centri universitari o scientifici – tutto ciò che potesse trovare su quel pianeta, sulla sua agricoltura e sul suo sistema d’immigrazione. Non avrebbe avuto molto tempo per un’informazione approfondita, ma sarebbe stato pur sempre sufficiente per dargli un’infarinatura su quanto avrebbe potuto aspettarsi.

Non erano trascorsi più di un paio di giorni dal suo arrivo quando, tornato alla sua locanda nel primo pomeriggio per riprendere le letture su Isis, si trovò ad attenderlo proprio quel misterioso individuo – almeno così riteneva –, con il quale aveva più volte interloquito durante la sua attraversata del deserto. Lo stupore fu totale! Non riusciva a capacitarsi di come fosse stato in grado di

ritrovarlo, poiché lui si era liberato del veicolo e del videocomunicatore. In modo stupefacente, lo strano individuo non parve per nulla insospettito dal non essere stato in grado di localizzarlo per tutto quel tempo. Inoltre, si limitò a porgli, quasi con tono indifferente, quelle identiche domande già rivolte quando Rekh era nel deserto. A quel punto Rekh, ripresosi dallo sbalordimento, non ebbe difficoltà a spiegare, ancora una volta, come lui non avesse alcuna altra notizia del padre e di chiunque si fosse recato da suo padre nella città sotterranea e come, inoltre, non avesse incontrato altri viaggiatori nel suo percorso verso Friam. Nello stesso modo in cui le videocomunicazioni precedenti furono tutte interrotte in modo brusco, anche quest’incontro terminò improvvisamente: il suo interlocutore se ne andò, in verità, senza neppure salutarlo, lasciandolo, così, stupefatto e intimorito. Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso della pazienza – già messa a dura prova – di Rekh. Infatti, dopo aver riflettuto sull’accaduto, decise che sarebbe stato inutile lasciare quella locanda per un’altra: era ormai sicuro che il misterioso personaggio lo avrebbe ritrovato con facilità. Inoltre, si accorse come il suo strano visitatore avesse lasciato un nuovo videocomunicatore e così capì – rafforzandosi nella sua decisione – di non avere alcuna altra scelta, se non quella di fuggire il prima possibile da Arion, come del resto aveva già predisposto. Il aggio sulla prossima nave in partenza per Isis era, infatti, già acquistato. Pertanto – pensò –, mentre stava in quella città, avrebbe potuto permettersi il lusso di portare con sé quell’oggetto senza troppi timori di far scoprire i suoi piani di fuga.

*

Capitolo 12: Destinazione Galaction

A Friam era la tarda mattinata di un giorno senza particolare importanza, quando una piccola e tozza imbarcazione fluviale entrò nel porticciolo della città. Poche e semplici manovre furono sufficienti a Grepx e George, divenuti ormai esperti marinai fluviali, per l’approdo. Nella cittadina non esistevano dogane o controlli di documenti cui dover sottostare provenendo dal fiume sul quale, in verità, la navigazione era limitata alle barche appartenenti agli abitanti della città e alle poche altre di chi stanziava nella zona di confine. Tutte le imbarcazioni su quel fiume – ben lungi dal grande mare del pianeta – erano note e facilmente riconoscibili; nessuno, però, si stupì più di tanto che quell’imbarcazione appena ormeggiata in città fosse stata condotta da ospiti della locanda. Di per sé, in effetti, quello non era un fatto insolito. Senza mostrare alcuna fretta, il gruppetto dei cinque nuovi arrivati – dopo essersi caricati gli zaini sulle spalle – s’incamminò di buon basso verso l’edificio ospitante la delegazione della città sotterranea. La principessa, vestita com’era con quegli abiti da viaggio – in parte consunti –, non fu riconosciuta dagli abitanti di Friam mentre attraversava le strette viuzze circostanti il porticciolo. Ishar, in verità, conosceva bene quel dedalo di strade, delimitate da abitazioni di pescatori e commercianti; nel quartiere, taverne, locande e negozietti – in cui si trovava ogni sorta di mercanzia – ne costituivano la zona commerciale dalla quale buona parte dei suoi abitanti traeva un sostentamento lecito. Alcuni fra questi, pur tuttavia, vivevano di traffici, non del tutto consentiti alla luce del sole e, con lo scorrere del tempo, avevano creato una zona malfamata in cui era opportuno muoversi con circospezione e possibilmente non da soli, per evitare brutte sorprese. I bagagli di quei cinque anti avrebbero potuto, perciò, rappresentare un buon bottino per i ladri e i rapinatori che circolavano in cerca di facili prede fra quelle stradicciole. Tuttavia, una rapida occhiata alla costituzione fisica e al cipiglio di quei viaggiatori sarebbe stata più che sufficiente per far capire come non fosse il caso di attraversare la loro strada.

Il camminare spedito, non impedì ai membri del gruppo di cogliere il vocio che si udiva affacciandosi nei vicoletti laterali, rispetto a quello di percorrenza. Era uno schiamazzare – al quale non erano più abituati da qualche tempo – confuso e spesso intercalato da urla le quali, almeno durante il giorno, non erano antesignane del nascere di una rissa. Nel suo complesso, l’ambiente era ben poco raccomandabile. «Vedo che i quartieri vicini ai porti – anche se piccoli – più o meno si rassomigliano. Tutto il mondo è paese, come si suol dire sulla Terra! Riflessione, banale ma pur sempre veritiera. Non è vero, Ashley?», commentò George poco prima di giungere, condotti da Ishar, alla sede di rappresentanza della città sotterranea. Là, una vera sorpresa li attendeva al momento di entrare. «Horem!?». Il nome, pronunciato da Ashley, fu al tempo stesso un’esclamazione e una domanda, data come risposta all’osservazione appena fatta dal suo compagno terrestre. Un sorriso si dipinse sul suo volto, dopo le traversie del viaggio appena terminato. Era, questo, la sua manifestazione esterna per la piacevole, gradita ma del tutto inaspettata accoglienza che loro tutti ricevano grazie alla presenza del capitano delle guardie. «Forse, servirà più di una spiegazione…, e con qualche dettaglio in aggiunta», pensò George entrando nella villetta, mentre annotava mentalmente la presenza di alcuni elementi della guardia reale. Il terrestre riconobbe fra costoro persone molto fidate che, poche settimane prima, avevano contribuito all’arresto del tjaty. «Noi eravamo in vostra attesa, principessa Ishar! I nostri informatori vi hanno avvistato, quando eravate ancora lontani sul fiume, cosicché, prima ancora che ormeggiaste, mi hanno riferito del vostro arrivo!», furono le parole con cui Horem accolse la giovane principessa, chinando il capo verso di lei. Lei rimase sorpresa – però non troppo – dal trovare il capitano, comandante delle sue guardie, ad attenderla: sapeva, infatti, che suo fratello le avrebbe inviato il

suo uomo più fidato per scortarla sulla strada del ritorno. «Vostro fratello», continuò, «ritiene importante che torniate alla città sotterranea il più rapidamente possibile e, perciò, mi ha inviato qui con il compito di scortarla sulla strada del ritorno». Gli scambi calorosi di benvenuto tra Horem e i nuovi arrivati, finirono non appena tutti assieme entrarono in una saletta già predisposta per una riunione, mentre le guardie trasportavano al piano superiore i loro bagagli. Il capitano, pur scusandosi di non poter concedere quel minimo riposo che – giustamente – loro si attendevano, iniziò a ricapitolare lo svolgersi degli avvenimenti capitati dopo la loro partenza. Horem, in modo sintetico, spiegò come le redini del potere fossero oramai saldamente nelle mani della dinastia, ma occorresse – con l’aiuto di Ishar – consolidare ulteriormente i legami con le altre case regnanti confinanti. Ciò facendo, la principessa avrebbe avuto l’opportunità di recarsi nelle sedi delle sue delegazioni, dove avrebbe dovuto, con discrezione, vagliare la posizione degli zelatori colà presenti come funzionari. Il resoconto, infine, terminò con il quesito riguardante il motivo per cui il loro arrivo era avvenuto con alcuni giorni di ritardo rispetto alle stime di suo fratello e, ovviamente, anche alle sue. Fu, allora, la volta di Ishar e di Ashley di ragguagliare Horem su ciò che era successo a causa degli androidi durante il viaggio. Riassunsero, perciò, i momenti dell’attacco subito e come, poi, furono costretti ad abbandonare il loro veicolo danneggiato presso le rovine dell’antica città, trovando, tuttavia, aiuto nella grande oasi. Da lì, proseguirono raccontando l’attraversamento dei monti, l’incontro con i guardiani del deserto, la discesa verso la zona temperata e, infine, l’approdo a Friam, dopo una navigazione senza incidenti lungo il fiume. Le due donne erano sfuggite, assieme ai loro compagni, dalle mani degli androidi per ben due volte, l’ultima delle quali aveva visto l’intervento dei guardiani del deserto che si erano così confermati validi alleati e amici. Mentre questo dialogo aveva luogo, Grepx e George – intenti in fitto parlottio – intervenivano saltuariamente e unicamente per aggiungere qualche particolare al racconto di Ishar e Ashley. A un certo punto – quando ormai la conversazione stava volgendo al termine –, Grepx si rivolse al capitano chiedendo: «Horem, mi pare che con te vi sia almeno una decina, o forse più, di soldati appartenenti alla guardia reale, come scorta alla principessa. Inoltre, spiegati meglio su quest’altro

punto: dal tuo racconto mi pare di comprendere che voi dovreste essere ben equipaggiati, benché unicamente con armamento leggero. È corretta la mia stima sul numero e sul tipo di armi?». Horem si volse verso di lui per ascoltarlo più attentamente, abbozzando un mezzo sorriso sul suo volto abbronzato dal sole implacabile del deserto. «Gli uomini che ho con me sono almeno il doppio, all’incirca una ventina! Sono tutti ben addestrati ed equipaggiati, anche se, come ormai ti sei già accorto, solo con disgregatori portatili. Con molta discrezione, stiamo già sorvegliando…». Lui stesso non poté terminare la frase che, invece, fu completata da Grepx. «... state già sorvegliano quello che potrebbe diventare il nostro prossimo obiettivo: la sede operativa degli scientisti a Friam». Allora, sul volto di Horem si ampliò il sorriso, prima solo abbozzato. Grepx riprese, perciò, a esporre la sua proposta. «In altre parole, se ho ben capito, tu dovresti aver scovato la base di Friam da dove gli androidi sono partiti per darci la caccia. Se questo fosse vero, sarebbe arrivato il momento di capovolgere la situazione a nostro vantaggio: da preda a predatore!». La perspicacia di Grepx era notevole! «Quest’ufficiale dell’Alleanza è proprio in gamba!», pensò Horem, guardandolo dritto negli occhi. Per qualche istante, il capitano della guardia non parlò, mentre si riaveva dallo stupore creatogli dal fatto che fosse stato Grepx ad anticiparlo proponendogli, così, il suo stesso piano. «Sei rapido nell’arrivare alle conclusioni. Capisco come, per gli androidi, non ci sia stata alcuna possibilità di giocare una partita con voi! È vero, stiamo sorvegliando la base degli androidi da giorni, mentre eravamo in vostra attesa. Non ti nascondo che stavo soppesando l’idea di liberare questo pianeta della loro presenza! D’altra parte non potevo agire senza parlarne prima con la principessa Ishar».

«Noi…», riprese a raccontare, «abbiamo cercato ovunque, quando, giungendo a Friam, ci hanno riferito come voi non foste ancora arrivati. I nostri confidenti non hanno perso tempo, cosicché sono venuti a scoprire che alcuni giorni prima del nostro arrivo un veicolo era partito in direzione delle montagne senza un previo accordo con i guardiani del deserto per garantirsi l’attraversamento del loro territorio. Un fatto del genere è del tutto inusuale, come chiunque a Friam ben sa! A me era parsa, da subito, come una spedizione messa su rapidamente e volta alla vostra ricerca. Apprendo, ora, da voi come, in realtà, costoro cercassero la loro nave!». «Scoprire la loro base…», continuò poi il capitano delle guardie per completare il proprio resoconto, «non è stato difficile. Dal quel momento in avanti li stiamo sorvegliando. Inoltre, abbiamo scoperto che gli androidi rimasti in città non dovrebbero essere in molti: non saranno più di quattro o cinque. L’impresa di eliminarli sembrerebbe realizzabile, correndo rischi limitati». Poi, terminata la breve esposizione dei fatti, Horem si spostò facendo segno a Grepx di seguirlo assieme agli altri. Nessuno, sino a quel momento, aveva dedicato attenzione alla presenza, in bella vista, di una mappa appesa alla parete, dirimpetto alla porta d’ingresso. La mappa era, in realtà, una planimetria della base degli androidi e riportava gli ingressi, le uscite e le scale situate nei diversi piani. Sulla carta, in aggiunta, erano indicate le postazioni, esterne a quella villetta, dalle quali si stava conducendo la sorveglianza. Antecedentemente al loro arrivo, Horem aveva, in verità, già elaborato un piano d’azione per prendere la base ed eliminare i suoi ospiti. L’aiuto di un ufficiale esperto come Grepx – abituato e addestrato a compiere incursioni – permise al gruppo di convincersi come pochi fossero i punti deboli di quel piano. Infatti, un elemento importante da considerare nel progettare la scorreria, fu dettato dalla constatazione di come, nello scontro con i guardiani del deserto, il comportamento degli androidi fosse quello previsto dalla loro codifica originale, in cui l’uso letale di armi contro l’uomo era del tutto proibito. Quest’ultimo fatto, di per sé, avrebbe garantito rischi minimi e un’ottima probabilità di successo all’incursione. In effetti, fino allora, l’unica eccezione fatta all’uso non letale delle armi contro l’uomo era stata quella finalizzata alla ricerca, cattura o distruzione della nave di Grepx con a bordo Milys. Tutto ciò, pertanto, confermava come gli scientisti fossero in grado, riprogrammandoli, di poter disporre a loro piacimento di quegli

esseri cibernetici. In ogni caso, gli androidi della base non si sarebbero mai aspettati che proprio le due persone – ricercate da loro – potessero far parte del gruppo assalitore, perciò, avrebbero probabilmente reagito, evitando di ferire gli umani. In aggiunta a tutto questo, individuando e localizzando i transponder dei loro avversari, Milys avrebbe dato un contributo importantissimo per il buon esito dell’azione. Alla fine, decisero che Milys e Grepx non avrebbero preso parte direttamente all’incursione per evitare di esporli appena prima della partenza da Arion ormai prossima, ad altri rischi oltre a quelli già corsi nei giorni precedenti. In effetti, durante la navigazione sul fiume, di comune accordo, avevano deciso di evitare ogni contatto diretto con gli agenti dell’Alleanza stanziati a Friam. Sarebbero, piuttosto, partiti alla volta di Isis, dove progettavano di mettersi in contatto con la sede locale del servizio informativo al fine di organizzare il ritorno a Galactica direttamente da quel pianeta. Una nave spaziale commerciale, in effetti, sarebbe dovuta partire da Arion, alla volta di Isis, entro tre giorni. Quella nave doveva, ad ogni costo, portarli fuori dal pianeta tutti sani e salvi, inclusi i due terresti i quali, al contrario, avrebbero partecipato all’operazione.

Terminata la riunione, Milys si recò presso uno dei punti di osservazione – presieduti dagli uomini di Horem –, da dove poté individuare i segnali di solo quattro transponder accesi, due dei quali provenienti da individui in stato d’ibernazione. Probabilmente – capirono immediatamente –, costoro erano gli androidi che, da NC-T-GS-01, avevano inseguito Grepx e Milys, attraversando il campo di radiazioni. Quello, infatti, era stato un lungo viaggio, durante il quale Milys stesso era stato costretto a ibernarsi per minimizzare i danni irreparabili da radiazione, mentre i suoi inseguitori, evidentemente, erano stati costretti a subirne pienamente gli effetti a bordo di una nave da esplorazione priva, per di più, dello schermo creato dal campo magnetico. Horem e i cinque nuovi arrivati finirono per comprendere come le informazioni – raccolte dagli androidi danneggiati – non fossero state ancora trasferite agli scientisti. Al contrario, con buona probabilità, in quel momento le risorse degli altri due androidi sarebbero state completamente utilizzate nel tentativo di ripristinarle integralmente sfruttando, per quanto fosse possibile, anche i salvataggi parziali dei dati, riposti nelle memorie di riserva all’interno dei processori: compito lungo e delicato da svolgere.

La conclusione alla quale arrivarono – nel preparare il piano d’attacco – fu che, se fossero riusciti a liberarsi di quegli androidi, la strada di ritorno su Galaction sarebbe stata ben più sicura e, inoltre, sensibilmente più elevate le possibilità di sconfiggere gli scientisti. Solo un altro elemento rimaneva indefinito o, piuttosto, del tutto oscuro: non potevano, in realtà, conoscere il modo previsto dai loro avversari, per far arrivare notizie di sé agli scientisti, in caso di assalto alla base! Preparando il piano per l’incursione, inoltre, si erano resi conto di come una lunga mancanza di comunicazioni avrebbe suscitato negli scientisti il sospetto che qualcosa non andasse per il verso giusto su Arion e, di conseguenza, sarebbero arrivati altri androidi a Friam per indagare. In seguito, dunque, avrebbero dovuto distruggere o rendere innocui anche i nuovi arrivati. Pertanto, gli uomini di Horem avrebbero dovuto mantenere una sorveglianza molto stretta su tutti gli arrivi di navi spaziali ad Arion. Compito, quest’ultimo, di non facile esecuzione poiché erano all’ordine del giorno atterraggi clandestini di navi contrabbandiere, prive, cioè, del permesso per la discesa sul pianeta. Ora, però, occorreva compiere il primo o importante, cioè l’eliminazione di quei pochi androidi sopravvissuti, emanazione della congiura degli scientisti. In previsione dell’attacco, Horem, nei giorni antecedenti l’arrivo della principessa, aveva ottenuto che uno dei suoi confidenti simulasse dei guasti alla rete di distribuzione elettrica. Non era stato né semplice né facile ma, alla fine, era riuscito nello scopo di far accadere una serie di interruzioni casuali dell’alimentazione elettrica nell’area abitativa, dove la villa degli androidi era situata. Costoro, perciò, assunsero come un fatto abituale che a Friam – città situata su un pianeta di confine –, vi fossero dei guasti tali da creare delle mancanze temporanee dell’alimentazione elettrica. Horem riteneva che tutto ciò avrebbe permesso di condurre l’azione contro gli androidi mentre costoro si fossero trovati nelle condizioni di avere fuori uso i sistemi di sorveglianza e di comunicazione. Di solito, infatti, intercorrevano alcuni minuti tra l’istante in cui – essendo mancata l’alimentazione elettrica principale – sarebbe iniziato l’avvio dei generatori di emergenza. Tuttavia, questo tempo sarebbe stato allungato di molto, fino a circa una decina di minuti, alla presenza di una lunga successione di eventi, anche se ciascuno costituito da una breve interruzione. Al termine della sequenza, i gruppi di continuità avrebbero sì supplito la potenza elettrica necessaria, però Horem aveva calcolato come, creando un’opportuna serie temporale di brevi cadute di tensione,

l’incursione avrebbe potuto aver luogo, quando tutta la sede androide sarebbe rimasta priva di potenza per l’esaurimento degli accumulatori. Pertanto, se le sue stime si fossero rivelate corrette, avrebbero avuto alcuni minuti a disposizione prima che gli androidi attivassero manualmente i generatori d’emergenza che sicuramente possedevano: ma, di certo, quel tempo sarebbe bastato per metterli nelle loro mani! Alla fine, Milys, su richiesta di Horem, esaminò il piano dal punto di vista di un androide – quale, del resto, lui stesso era – senza trovare elementi negativi nella valutazione riguardante le reazioni dei suoi simili.

Dall’arrivo nella cittadina erano trascorsi solo due giorni; nella notte che si avvicinava rapidamente, i nuovi arrivati avrebbero dovuto – eliminando i loro inseguitori più prossimi – segnare, perciò, un o decisivo sulla strada verso Galaction. Innanzitutto, Grepx e Milys, appena giunta la sera, si appostarono sul tetto piatto di un edificio prospiciente la villetta degli androidi, da dove, indisturbati, potevano agevolmente osservare l’abitazione dei loro avversari. La bellezza del cielo stellato e delle lune non faceva parte del vocabolario di Milys, per la qual cosa, la conversazione – non potendo vertere su argomenti privi d’importanza per l’androide – languiva, inducendo una sonnolenza nervosa in Grepx. Dal suo stato di torpore, l’ufficiale dell’Alleanza si andava, di quando in quando, risvegliando per esaminare nuovamente come sarebbe stata condotta quell’operazione – così cruciale – alla quale avrebbe partecipato solo come spettatore. Come lui ben sapeva, non era quello il momento per l’incertezza, ma, per quanto fosse un soldato ben addestrato a operazioni di quel tipo, i dubbi venivano e non era per nulla semplice scacciarli. Milys, al contrario, restava – come al solito – pienamente operativo, indifferente alle condizioni climatiche e alla bellezza dei luoghi. George faceva parte, assieme a Horem e a un paio delle sue guardie, del gruppo che sarebbe entrato dalla porta principale per eliminare il primo androide. Lo avrebbero trovato, stando alle informazioni di Milys, nella sala di controllo. Mentre un secondo gruppo costituito da quattro guardie, aveva il compito di eliminare l’altro androide, penetrando nella base dall’ingresso secondario posto sul retro dell’edificio. Quest’ultimo androide si trovava, al momento, nel laboratorio sotterraneo, assieme ai due ibernati. Dopo aver eliminato i due androidi ancora operativi, Grepx e Milys avrebbero esaminato – prima di

eliminarli – i contenuti delle memorie in quelli ibernati, cercando poi, nella base, le eventuali copie trascritte in qualcuna delle banche dati. Speravano, inoltre, di venire a sapere ciò che fosse già stato inviato agli scientisti, limitando così – in prospettiva – i danni per l’Alleanza; anche se, in realtà, ipotizzavano che nulla fosse stato ancora trasmesso. Ashley e Ishar, invece, con un gruppo cospicuo di guardie sarebbero rimaste di riserva, pronte a intervenire per risolvere situazioni non previste. Data l’inferiore consistenza numerica degli avversari, l’operazione avrebbe dovuto terminare rapidamente, dando a loro tutto il tempo necessario per esaminare a fondo la villetta e distruggere tutte le informazioni destinate agli scientisti. Avrebbero lasciato la base apparentemente operativa e, tale, l’avrebbero trovata – se mai fossero riusciti a sfuggire agli uomini di Horem – gli androidi inviati a soccorso dagli scientisti una volta giunti su Arion.

Come per qualsiasi piano operativo, l’imprevisto – talvolta, sotto le spoglie della sfortuna – resta un elemento aleatorio difficilmente, o solo in parte, controllabile. In effetti, proprio la sera nella quale tutto era stato approntato per compiere l’incursione e risolvere in modo ultimativo la presenza di quegli ospiti alquanto sgraditi su Arion, uno degli androidi uscì dall’abitazione incurante del freddo notturno per avviarsi verso la zona portuale, addentrandosi così nelle strade semibuie. L’androide in questione era quello che normalmente si sarebbe dovuto trovare nella sala di controllo. Milys lo seguì senza difficoltà, localizzando il suo transponder. Ashley e Ishar, informate del fatto da Milys, decisero che sarebbe stato compito della loro squadra prendersi cura di lui, solo dopo, però, aver compreso quale fosse lo scopo finale di quella sortita del tutto non usuale. Le due ragazze con la loro squadra d’appoggio lo seguirono di nascosto. Sorprendentemente, scoprirono come costui si fosse recato in una modesta locanda, la cui fama non era delle migliori. Decisero di limitarsi ad attendere la sua uscita per eliminarlo: avrebbero capito – si dissero – lo scopo di quella visita soltanto in seguito. Nessuno di loro, infatti, conosceva al momento la sorte di Rekh – di cui avevano perso ogni traccia – e poteva immaginare, quindi, che il figlio del tjaty fosse, a sua volta, giunto a Friam. L’attesa fu breve. Infatti, probabilmente informato dal suo compagno su quanto stava accadendo alla loro base, l’androide recatosi alla locanda uscì in gran fretta, pochi minuti dopo

esservi entrato. Cercò di dileguarsi nella notte, nel tentativo di far perdere le sue tracce. Nondimeno, la sua sorte era ormai segnata: fu, infatti, distrutto dalla squadra in agguato fuori dalla locanda. Eccetto che per quell’imprevisto, all’interno della villetta il resto del piano andò secondo le previsioni e, data la disparità delle forze impiegate, tutto era finito in pochissimi minuti con l’eliminazione dell’unico androide operativo. Il resto della notte, perciò, trascorse nel fare un’accurata perquisizione della base; poiché androide, a Milys non fu per nulla difficile accedere a tutti i sistemi di calcolo e di controllo situati nell’edificio. In base all’ordinamento logico con cui erano le informazioni provenienti dai confidenti locali degli scientisti, Milys fu, innanzitutto, in grado di scoprire con chi gli androidi avversari fossero in contatto in Friam e nelle altre località del pianeta. Dopodiché, a uno a uno, gli archivi furono esaminati e copiati evitando, peraltro, di lasciare tracce evidenti che permettessero di far risalire a quella stessa operazione di trascrizione appena effettuata. In verità, Ishar contava sul fatto che, se gli scientisti avessero ripreso possesso della villetta, gli androidi inviati sul posto non avrebbero potuto, in alcun modo, risalire a quanto accaduto. Alla fine, l’operazione notturna terminò, almeno in apparenza, con un completo successo e con la conferma di come, solo recentemente, il tjaty si fosse aggiunto alla rete creata dagli scientisti sul pianeta. Sfortunatamente, a loro insaputa, tutte le informazioni ottenute dagli androidi ibernati nel laboratorio furono automaticamente trasferite al videocomunicatore lasciato nella locanda. Tutto ciò avvenne nel preciso istante in cui il primo essere umano – perciò privo di transponder – entrò in quel laboratorio, causando l’attivazione del trasferimento dei dati, al videocomunicatore consegnato a Rekh. In effetti, solo un minuscolo microprocessore – alimentato da un piccolo gruppo di continuità – costituiva l’estrema risorsa di salvataggio, disposta dagli androidi, per i dati più riservati custoditi nella base. Poi, completato il trasferimento, fu eseguito il codice per l’auto-cancellazione del programma di trasferimento assieme ai dati stessi. Alla fine, nessuna traccia dell’avvenuta trasmissione fu lasciata nei computer centrali della base degli androidi. Neppure Milys fu in grado di capire che tutto questo fosse realmente accaduto.

*

Nel pieno della notte, Rekh si ritrovò seduto nella sua stanza, avendo di fronte a sé quello strano individuo conosciuto nel suo viaggio verso Friam. Costui non pareva desistere dal perseguitarlo nella locanda e persino nella sua cameretta nelle ore in cui un essere umano non solo desidera essere lasciato in pace ma, altresì, dormire. Come in precedenza, la conversazione pareva basata sul nulla. Dapprima, immaginò che il vero motivo della sua presenza in quel luogo fosse solo quello di verificare l’uso fatto del videocomunicatore, ormai considerato dallo stesso Rekh, come una catena alla quale tenerlo legato. Poi, improvvisamente, interrotta la serie di monologhi in cui consisteva abitualmente la loro “conversazione”, l’indesiderato visitatore uscì in gran fretta. Il figlio del tjaty a quel punto, rimase seduto sull’unica poltroncina della stanzetta, meditabondo sul da farsi ma sentendosi sollevato per l’uscita di scena precipitosa: attribuì quella fuga del suo visitatore a qualche nuova stranezza di comportamento. Rekh ignorava del tutto che, l’androide sarebbe stato distrutto appena uscito dalla locanda. Il ragazzo, allora, si mise a riflettere sull’eccentrica visita appena ricevuta e si rese conto di non essere rimasto, alla fine, molto stupito nel vedere comparire e subito dopo dileguarsi il suo sgradito visitatore a un’ora notturna. Inoltre, irritato com’era, non prestò neppure molta attenzione all’accendersi e spegnersi del videocomunicatore alla presenza di quel bizzarro individuo. D’altra parte, non essendo a conoscenza che il suo interlocutore fosse un androide e neppure della loro base a Friam, non aveva alcun motivo di immaginare come un’incursione contro di essa fosse in pieno svolgimento, e che, pertanto, quella fuga precipitosa potesse essere collegata a essa. A maggior ragione ignorava, infine, come dei dati, potenzialmente strategici per l’Alleanza fossero stati trasferiti proprio sul dispositivo di videocomunicazione lasciato lì, con noncuranza, nella sua stanza. In aggiunta a tutto ciò, lui, che era appena fuggito dalla città sotterranea, mai avrebbe potuto ipotizzare che la principessa Ishar fosse in agguato all’esterno della sua locanda e, per di più, in attesa del suo antipatico visitatore.

Rimasto solo, e persa ogni speranza di addormentarsi facilmente, riprese le sue fantasticherie notturne riguardanti i recenti sviluppi della sua fuga.

«Chi mai conosco in questa città?», chiedeva a se stesso, senza però aver mai osato confidarsi a parole con qualcuno. «Nessuno!», rispose, «Non credo, d’altronde, che si possa raccontare questa vicenda per intero!». A differenza dei giorni ati nel deserto, questa volta sapeva di essere prossimo a lasciare definitivamente il pianeta in cui era nato e cresciuto. Capì, nonostante il dormiveglia, come dovesse resistere al suo pessimismo dilagante unicamente un altro giorno e parte della prossima notte. Ciò che avrebbe fatto, considerò, era di portare quell’oggetto – il videocomunicatore – a so con sé per tutto l’indomani, comportandosi come se, esteriormente, fosse ligio a quell’assurda consegna. La notte successiva, invece, si sarebbe recato allo spazioporto – la partenza della nave, infatti, era prevista poco prima dell’alba –, abbandonando quello strumento nella sua stanza solo al momento di lasciare la locanda per andare a imbarcarsi.

*

Il gruppo dei nuovi arrivati a Friam trascorse il giorno successivo all’incursione nei preparativi per il prossimo viaggio alla volta di Isis. Erano tutti in grado di sopportare la mancanza di sonno dovuta all’incursione notturna ma, fortunatamente, quella giornata non richiese il completo recupero delle loro risorse fisiche. Infatti, i bagagli da preparare erano pochi, giusto un abito di ricambio oltre a quello che avevano addosso, appena acquistato in sostituzione degli indumenti consunti con cui erano giunti a Friam; d’altra parte, tutte le informazioni importanti erano già racchiuse nei banchi di memoria di Milys e non richiedevano alcun lavoro supplementare per riordinarle. Cosicché poterono trascorre assieme una giornata in libertà, la prima da quando erano giunti su Arion. Quelle erano, per quattro di loro, anche le ultime ore che avrebbero trascorso su quel pianeta dominato dall’arida bellezza dei deserti. La partenza avrebbe, però, separato dalla principessa i quattro spaziali – tre umani, Grepx, George e Ashley e un androide, Milys – giunti da poche settimane

su Arion. Tutti e cinque, in verità, avevano viaggiato e vissuto a fianco l’uno dell’altro, trascorrendo assieme un periodo sufficientemente lungo da segnarli positivamente e da permettere di stabilire contatti profondi e duraturi tra loro. Questi legami costituivano una solida premessa per far sì che in un futuro non troppo distante nel tempo, s’intersecassero di nuovo le strade delle loro vite; almeno, questo era ciò che si augurava la principessa – e non solo lei – nel proprio intimo. Lo stesso androide, abituato oramai al modo di pensare dei suoi compagni umani, percepiva l’atmosfera un po’ melanconica che si era stabilita nelle ore antecedenti la partenza della nave. Nondimeno, come solo le donne hanno la capacità d’intuire, Ishar era certa che Ashley avrebbe trovato e fatto in modo che il suo cammino e quello di Grepx si ricongiungessero, sebbene non sapesse ancora quando questo sarebbe accaduto. Inoltre, dopo Ashley, persino George si era oramai accorto come per Ishar Grepx non fosse più soltanto un carissimo amico suo e del fratello. Infatti, alla presenza di quell’ufficiale dell’Alleanza, negli occhi della principessa si accendeva sempre una luce di particolare attenzione, volta a cogliere in lui anche il pur minimo segno d’interessamento e, benché si sforzasse di mascherarlo, si comportava assecondando un desiderio intimo di adeguarsi alla volontà di Grepx. George, in verità, vedendo il modo in cui l’ufficiale dell’Alleanza si confidava con la principessa, commentò alla sua compagna terrestre: «Quando mai un uomo può evitare di svelarsi completamente a una donna, quando lui stesso sia ormai giunto o stia arrivando a comprendere il ruolo fondamentale che lei ha nella sua vita?». A sua volta, Grepx teneva in grande considerazione la principessa, non soltanto come regnante ma anche in quando donna; tuttavia – aveva confidato a George –, lui era molto timoroso nell’approfondire il rapporto con lei, sia per il differente lignaggio tra i due, sia, anche, poiché ignorava quale fosse l’opinione di Sird – suo grandissimo amico –, in merito a questa eventualità. «Forse lo avevate già capito! Tuttavia, permettetemi di esprimere a parole ciò che penso. Dopo tutti questi giorni ati assieme su Arion, questo pianeta e soprattutto voi mi mancherete!», commentò George rivolgendosi a Ishar e Horem, sapendo che non sarebbero partiti con loro. Fu questa la frase con la quale il terrestre sintetizzò lo stato d’animo comune ai

due terrestri e a Grepx. Le parole erano semplici ma traducevano un complesso di emozioni che si accavallavano nel loro interno a mano a mano che l’ora della partenza si avvicinava. Poi, quasi fosse un pegno per il suo ritorno, prima di partire Grepx affidò alla principessa la navetta – con la quale lui stesso era giunto sul pianeta –, con la certezza che lei avrebbe saputo custodirla con cura. Gli sguardi intensi di Ishar e Grepx s’incrociarono, per salutarsi, prima di salire a bordo della nave per Isis. Ashley lesse, senza incertezze, quel loro modo di guardarsi a vicenda. Poi, stringendo la mano di George, la terrestre commentò sottovoce: «Ishar sta dicendo che lo attenderà e credo che Grepx stia dicendo, tornerò!». «George, saluta tu i nostri amici, se no mi metto a piangere per la commozione! Questo non si addice proprio per nulla a un ufficiale scientifico della Federazione!» «Tranquilla», disse lui sorridendo, a sua volta e stringendola fra le braccia, «siamo molto lontani dalla Federazione, anche se un giorno ci torneremo!». Non era ancora sorto il sole quando s’imbarcarono senza are alcun controllo ufficiale; poi, appena a bordo, i portelloni d’ingresso furono bloccati e la nave si preparò al decollo. Il carico, infatti, era stato completato ancor prima che iniziasse la notte.

Il mezzo stellare si staccò lentamente dalla piattaforma d’attracco; si sollevò verso il cielo ancora scuro, prendendo velocità a mano a mano che il pilota dava potenza alle piastre anti-gravitazionali. Nonostante tutti fossero degli esperti spaziali, Ashley, George e Grepx osservarono in silenzio il decollo dai finestrini della loro area riservata, rimanendo – come al solito in quelle occasioni – impressionati dalla magnificenza di una tecnologia che permetteva a navi possenti di alzarsi dalla superficie di un pianeta al modo di semplici piume e muoverle così delicatamente verso i confini dello spazio interstellare. Effettivamente, con la scoperta e il successivo utilizzo della tecnologia antigravitazionale, l’uscita dall’atmosfera poteva avvenire senza l’utilizzo di pesanti razzi vettori i quali, oltre ad un enorme dispendio di costosi carburanti, non

permettevano neppure una grande capacità di carico. Per merito di quella conquista tecnologica, secoli addietro, in quell’ammasso di galassie era nata l’era caratterizzata dai viaggi negli abissi spaziali e dagli spostamenti per colonizzare nuovi mondi. Quella conquista scientifica era stata, pertanto, ciò che aveva permesso a navi spaziali per eggeri e da trasporto, di atterrare e di decollare direttamente sulla superficie dei pianeti, evitando così gli infuocati rientri causati dall’impatto con l’atmosfera e la sproporzione immensa tra il peso del carburante e il carico utile da portare nello spazio. Questo fu il modo in cui i commerci e gli spostamenti attraverso l’ammasso di galassie, erano stati resi più accessibili ed economicamente convenienti. Da tempo immemorabile, in quell’ammasso un viaggio spaziale, pertanto, divenne un evento assimilato a quello effettuato su un comune mezzo da trasporto in uno qualsiasi fra i pianeti abitati. George, ammirando la delicatezza del decollo, comprendeva bene il divario tra le due civilizzazioni umane, poste quasi agli antipodi del cosmo, ancorché potesse solo immaginare l’imponente sviluppo commerciale in quella parte dell’universo. Il vantaggio primario per quella terrestre, invece, consisteva nella capacità di sfruttare i cunicoli spazio-temporali, in grado di permettere aggi istantanei connettenti zone dello spazio altrimenti inaccessibili. Nel frattempo, le riflessioni di Grepx erano rivolte al futuro prossimo della sua civiltà, indirizzata verso un pericoloso cambiamento dagli scientisti. Tuttavia, una volta giunto su Isis, lui sarebbe stato più vicino a sbilanciare quella complessa partita a favore dell’Alleanza. In realtà, pur decollando fisicamente poiché era a bordo della nave, una parte di sé ancora stentava ad abbandonare Arion. Forse, o almeno così lui stesso si convinceva sempre più, non era solo la bellezza selvaggia del pianeta ad attrarlo, spingendolo a tornare. Grepx percepiva, oramai, l’assenza – quasi fisica – di quella principessa tanto valente e senza la quale tutti loro non sarebbero mai stati in grado di sfuggire agli androidi che li avevano inseguiti fino a quel momento. Milys, da parte sua, non era per nulla distratto da considerazioni umane, di cui la sua programmazione originale non permetteva di percepire la valenza e i cui desideri erano troppo lontani dalla sua mente logica. Nonostante tutto ciò fosse per lui una limitazione oggettiva, l’androide stava registrando empiricamente, in modo sistematico, quei comportamenti e atteggiamenti che, – si rendeva conto, quasi avendo coscienza di sé – erano decisivi nell’agire degli esseri umani.

Con la prosecuzione della fase di decollo, la nave stellare iniziò a uscire dalla zona di spazio nella quale il campo gravitazionale di Arion faceva sentire maggiormente i suoi effetti; cosicché, all’interno del vascello, fu attivato un campo gravitazionale di compensazione. Il transito dall’atmosfera fu solo avvertito per la diminuzione graduale della luminosità del cielo, poiché si riduceva la densità dell’aria, in cui la luce del sole locale era diffusa. Poi, l’oscurità fu completa, rotta solo dai punti luminosi delle stelle, ora visibili a proravia. Questa fu la vista che apparve attraverso i grandi oblò della plancia di comando quando i quattro ospiti vi furono invitati dal comandante. L’ufficiale in comando aveva, in verità, fatto sistemare quel gruppo nella parte della nave – riservata ai personaggi importanti –, situata vicino ai suoi alloggi e separata dalle zone frequentate dagli altri eggeri. Solamente quando il comandante propose di visitare la nave – Milys preferì, in ogni caso, rifiutare l’invito –, essi poterono fare la conoscenza di alcuni eggeri senza, tuttavia, incontrare Rekh che, accidentalmente, era rimasto nella sua cabina. Il gruppo, salito a bordo senza alcun controllo, non era, infatti, destinato a condividere il viaggio assieme al resto dei viaggiatori e, una volta sbarcato, una corsia di favore sarebbe stata concessa per le pratiche d’immigrazione. Una comunicazione in tal senso sarebbe stata inviata dalla nave alle autorità portuali, una volta in orbita attorno al pianeta di destinazione. I viaggi riservati erano, infatti, casi previsti nei protocolli diplomatici tra pianeti.

Terminato il decollo, mentre la nave procedeva a velocità super luminale sulla sua rotta, la vita a bordo prese i ritmi regolari tipici delle navigazioni stellari, brevi o lunghe che esse fossero. Al quarto giorno di viaggio, i propulsori per la crociera interstellare furono spenti, lasciando che, nei due giorni seguenti, la nave procedesse sotto l’azione dei motori per la propulsione sub luminale e sfruttasse gli effetti gravitazionali dei pianeti appartenenti al sistema di Isis. Solamente comandanti molto esperti – coadiuvati da ufficiali navigatori e timonieri, profondi conoscitori del sistema di destinazione – avrebbero, infatti, osato spegnere la propulsione super luminale all’interno di un sistema planetario con il pianeta d’arrivo distante meno di alcune decine di unità astronomiche⁸.

Poi, mentre il cielo perdeva la sua oscurità e cresceva la dimensione dell’aurea azzurra attorno al corpo celeste dritto di prua, il comandante fece ai suoi ospiti la cortesia di invitarli in plancia per assistere al posizionamento in orbita della nave: sarebbe stato uno spettacolo magnifico visto da quelle grandi finestre che coprivano mezzo angolo giro. La traiettoria orbitale – alla quale erano stati destinati da parte del controllo spaziale di Isis – era bassa, non avrebbe superato i quattrocento chilometri sopra la superficie planetaria e sarebbe stata percorsa con un tempo di rivoluzione di circa un’ora e mezza. In orbita attorno a Isis, la vista che si presentava nella plancia era maestosa; nonostante ciò, Ashley e George restarono ammutoliti, piuttosto, dall’incredibile rassomiglianza che intercorreva tra il nuovo pianeta e la loro Terra. Quella dominanza d’acqua sulle terre emerse, quelle nuvole bianche in parte ammassate, quel colore azzurro del cielo nella parte diurna e, infine, quelle distese di foreste alternate a montagne erano tutti continui richiami al loro pianeta di provenienza. Di fronte a ciò che vedevano, i due terrestri si resero conto di quanto Grepx fosse stato saggio nel farli are per abitanti di Isis: pianeta indipendente, fiero e così simile alla Terra. D’altronde, restava corpo celeste alquanto misterioso e difficilmente accessibile sia dai mondi dell’Alleanza sia da quelli di confine.

Da lungo tempo, ormai, un unico governo rappresentava la federazione di stati in cui quel pianeta era ancora suddiviso. Lo spazioporto della capitale era capiente ma piccolo, rispetto a quelli cui Grepx e il comandante della nave erano abituati. Al contrario, non appariva tale agli occhi dei terrestri. Infatti, nella Federazione Stellare – costituita dai mondi raggiunti e colonizzati dai terrestri nella Via Lattea –, la popolazione abitava in numerosi centri, quantunque relativamente piccoli. Cosicché gli spazioporti erano diffusi in modo capillare e, per la maggior parte, di dimensioni ridotte. A dire il vero, i pianeti della Federazione non erano neppure molto numerosi – se paragonati a quelli dell’Alleanza –, poiché ancora non era avvenuto quello sviluppo tecnologico decisivo della propulsione super luminale, tale da rendere facilmente raggiungibile tutta la Via Lattea. Anche la tecnologia anti-gravitazionale era ancora parzialmente immatura rispetto agli sviluppi impressionanti che, in quella parte del cosmo, erano avvenuti. Tuttavia, i terrestri avevano scoperto i meccanismi in grado di controllare i processi fisici alla base dei cunicoli spazio-

temporali, ottenendo così accesso ad altre galassie. Il Corpo degli Esploratori era nato, perciò, con il fine di trovare altri mondi abitabili al di fuori della Via Lattea. Per questo motivo le scoperte dell’Alleanza Galattica e di NC-T-GS-01 avrebbero avuto una portata memorabile nella storia della Federazione. Sempre che – rifletteva George –, lui e Ashley fossero tornati indietro sani e salvi da quel viaggio e che la congiura scientista fosse debellata. Per questi motivi, entrambi i terrestri erano ben consapevoli di come non stessero solo coadiuvando a risolvere una crisi in una remota galassia, ma, altresì, stessero evitando che sulla loro civilizzazione si affacciasse un pericolo oscuro da cui, chissà, sarebbe stato difficile difendersi.

I eggeri della nave, una volta sbarcati, furono sottoposti agli usuali controlli doganali, molto scrupolosi su quel pianeta. A bordo, nel frattempo, i quattro ospiti di riguardo attesero che lo sbarco dei eggeri comuni fosse completato, per avviarsi, poi, verso un diverso portellone d’uscita. All’esterno, sebbene fosse protetto da sguardi indiscreti, un veicolo era in attesa per trasportarli all’ingresso di una sala, alquanto minuscola, in cui alti funzionari del governo federale del pianeta aspettavano silenziosi – senza, però, dare alcun segno d’impazienza –, per consegnare i loro aporti e le attestazioni di residenza temporanea illimitata. I nomi fittizi, figuranti su quei documenti, erano stati comunicati prima della partenza da Horem al comandante della nave e, in seguito, da quest’ultimo al governo di Isis. Il protocollo d’intesa prevedeva, infatti, esplicitamente anche questo tipo di eventi. Pertanto, nessun funzionario obiettò – tale era il prestigio dei regnanti della città sotterranea su Arion – al momento di rispettare l’accordo. D’altronde, in queste occasioni si è soliti evitare di porre domande indiscrete, oltre che inutili, poiché le risposte sarebbero state, in ogni caso, evasive e fuorvianti. Così accadde che i due terrestri, conosciuti su Arion come nativi di Isis, ricevessero – invertendo così i ruoli – dei aporti e delle attestazioni tali da qualificarli come cittadini provenienti dal pianeta dei deserti. «Caro Grepx», non poté trattenersi dal commentare George, uscendo dallo spazioporto e lontano da orecchie indiscrete, «tutta la fatica fatta per far are

Isis come il nostro pianeta di provenienza, è stata vanificata in un istante!». «Non crederai mica che sia tempo sprecato! Appena lasceremo questo pianeta voi ridiventerete suoi illustri abitanti!», replicò Grepx avviandosi per noleggiare un veicolo, in modo da potersi spostare nella capitale. «Anzi, dopo questa visita su Isis, voi due avrete il vantaggio che, almeno, saprete com’è fatto il vostro pianeta! Per ora, tutti noi accontentiamoci di essere degli stranieri residenti e cerchiamoci un alloggio». Trovata la vettura, riprese poi a dire, «Mentre voi tre vi farete un’idea della città, io mi metterò in contatto con la nostra unità del servizio informativo e vedremo di farci portar fuori da questo pianeta. Non vi preoccupate per me, saprò come raggiungervi!».

*

Rekh aveva viaggiato raramente tra i pianeti della sua galassia e per lui essere a bordo di una nave spaziale era motivo di profonda emozione, poiché ava dalla luce accecante del deserto – alla quale era abituato –, all’oscurità dello spazio profondo. Quel buio così cupo gli faceva provare, in verità, un senso di paura ogni qual volta doveva affrontarlo. Si era ormai convinto del fatto che lui non sarebbe mai diventato uno spaziale! Al momento del decollo, su quel tipo di navi, i viaggiatori – tranne gli ospiti del comandante – prendono, solitamente, posto nel salone principale, in cui ogni seggiolino è dotato dell’imbracatura per il eggero. Da moltissimo tempo, però, le piastre anti-gravitazionali garantivano un decollo senza scosse e con scarsissimi guasti; tuttavia, quella tradizione – per quanto, per ragioni di sicurezza, non fosse più strettamente necessario rispettarla – era, comunque, seguita ben volentieri dai eggeri sin dagli albori dei viaggi commerciali. Rekh si era, perciò, trovato un posto laterale, da dove assistette alla partenza emozionandosi, contrariamente a chi – con l’abitudine acquisita dai molti viaggi effettuati – la considerasse una sorta di noiosa routine. In quei momenti, i primi relativamente tranquilli dall’inizio della sua fuoriuscita, il colore azzurro del cielo s’intonò perfettamente al suo stato d’animo. Lui, in verità, dietro di sé stava

lasciando, assieme ai deserti del suo pianeta, anche tutte le angosce e gli affanni legati alla sua fuga precipitosa. I giorni che lo separavano dal suo nuovo mondo arono rapidamente e si ritrovò, alla fine, assieme agli altri eggeri di fronte al personale preposto all’immigrazione su Isis. Alla domanda se lui possedesse mezzi di sussistenza e su quale fosse lo scopo del viaggio, la sua risposta fu completa e accompagnata dalla garanzia economica proveniente dall’enorme valore delle sue gemme esibite, senza alcun indugio, davanti agli occhi dei funzionari. Cosicché non ebbe alcun problema a ricevere il visto d’ingresso a tempo indeterminato per il pianeta: quella ricchezza ostentata era divenuta la sua garante. A circa metà della mattinata in cui lo sbarco era avvenuto, Rekh aveva già trovato un ottimo albergo, da cui – dato lo scarso bagaglio da sistemare nella sua stanza – uscì, quasi subito, per iniziare a conoscere la capitale del suo pianeta di adozione, in cui era finalmente giunto.

*

I quattro ospiti del comandante, provenienti da Arion, non si sorpresero troppo nel constatare come i documenti appena ricevuti conferissero loro uno stato diplomatico; perciò, dovettero cercarsi un albergo di alto livello. Appena uscito dallo spazioporto, Grepx, tuttavia, lasciò i suoi tre compagni per recarsi verso una palazzina isolata, situata nella periferia residenziale dell’abitato. A dir il vero, ad Ashley non dispiacque per nulla avere a disposizione, nel loro albergo, una piscina con delle sedie a sdraio. Le avrebbero permesso – almeno, così sperava – di crogiolarsi per un po’ di tempo al sole. Non osava sperare di arvi diversi giorni, ma almeno qualche ora di quella stessa giornata! La piscina era ampia, lunga almeno una cinquantina di metri e – nel punto di massima apertura – larga una ventina. La forma era ad ansa di fiume, creata con una piccola prominenza ricca di vegetazione locale. Ai lati, diverse sedie a sdraio erano disposte su un prato la cui erba era simile a quella calpestata dai due terrestri sul suolo di NC-T-GS-01. La stanza, una suite condivisa con George, aveva due ampie stanze da letto che si aprivano su di un soggiorno. Mentre una grande terrazza – situata al quinto e ultimo piano del palazzo – permetteva di

avere una discreta vista sull’intera città. Le costruzioni della capitale raramente superavano i due piani e, pertanto, il loro albergo svettava sulla città. Forse – commentarono fra loro i due terrestri –, probabilmente l’edificio dell’albergo era da considerarsi uno tra quelli più elevati dell’intero pianeta, la cui popolazione complessiva era costituita da poche decine di milioni di persone. Su Isis, la densità degli abitanti non sarebbe stata un problema per parecchio tempo! Dopo aver trascorso, su Arion, quelle settimane talmente dure da essere, oramai, ben ancorate nei suoi ricordi, una nuotata e alcune ore di esposizione al caldo – ma non arroventato – sole di quel sistema erano giustamente tutto ciò che le occorreva. Almeno così pensava Ashley avviandosi, accompagnata da George, verso la piscina. Invece, nella suite che avrebbe condiviso con Grepx, Milys – mantenendo il suo abituale basso profilo – si era posto in auto manutenzione, evitando di partecipare, dunque, a quelle ore di rilassato riposo dei suoi compagni umani. Era il tardo pomeriggio quando tutti e tre decisero di avventurarsi – si fa per dire, dopo quanto avevano ato su Arion – a esplorare quella piccola capitale. Trascorsero alcune ore prima di recarsi, verso sera, al ristorante nel quale con Grepx avevano fissato un generico appuntamento, prima di separarsi da loro. Fu solo allora che, per quanto ciò apparisse alquanto improbabile, i due terrestri intravidero il figlio del tjaty. Milys, dotato di un sistema di riconoscimento visivo molto elaborato, non ebbe difficoltà a confermare la presenza di Rekh sul pianeta. Al momento, però, si limitarono a fare in modo che costui, al contrario, non si accorgesse della loro presenza. La sede operativa locale del servizio informativo non era imponente – pochi edifici, infatti, su quel pianeta potevano considerarsi tali –; ma a un osservatore attento non poteva sfuggire come il muro di cinta superasse i due metri d’altezza e mancasse di appigli visibili e come la recinzione stessa fosse – diversamente dalle altre palazzine eleganti di quel quartiere – ben sorvegliata da telecamere. Il servizio informativo, contrariamente agli altri corpi dell’Alleanza, non aveva androidi nel proprio organico e, ovviamente, l’unità operante su quel pianeta non faceva per nulla eccezione a ciò. D’altro canto, gli androidi stessi erano banditi su Isis, così come non erano ben accetti su Arion e su molti altri pianeti di confine. L’ingresso di Milys era, chissà, l’unica eccezione fatta alla regola –

strettamente osservata – sull’immigrazione in quel pianeta, per molti versi, esclusivo; d’altronde, loro quattro – Grepx rifletteva, avvicinandosi all’ingresso della palazzina – avevano seguito una corsia riservata, attraverso cui la presenza di un androide era stata volutamente ignorata. Giacché ufficiale d’alto grado dei corpi d’élite con compiti spesso segreti, Grepx aveva i codici riservati che gli conferivano l’autorità di qualificarsi come agente operativo senza dover necessariamente rivelare la sua vera identità. L’introduzione del codice su una tastiera inserita nella porta, sortì come effetto immediato che due delle guardie all’entrata della villetta lo scortassero direttamente – senza scambiare con lui alcuna parola – alla presenza del capo dell’unità, nel suo ufficio, dove lo lasciarono. Una volta fatto accomodare, costoro uscirono silenziosamente dalla stanza, chiudendo la porta alle loro spalle. I codici utilizzati avevano sortito l’effetto dovuto ma, si rese subito conto, ora sarebbe arrivata la parte maggiormente delicata in quella visita. Squadrandosi vicendevolmente – entrambi dettero l’un l’altro l’impressione di essere gente fredda e abituata all’azione –; i due attesero che il rumore dei i felpati delle guardie si spegnesse completamente garantendo, pertanto, l’assenza di orecchie indiscrete in grado di captare la conversazione. Nell’attesa dell’inizio del colloquio, il silenzio all’interno della stanza era rotto solo dal debole fruscio provocato dalle ventole che raffreddavano le apparecchiature automatizzate di comunicazione con gli agenti operativi sparsi sul pianeta. «Da quanto capisco», iniziò il responsabile dell’unità, rompendo il silenzio, «non avrò il piacere di conoscere il suo nome». «No», rispose Grepx, «non credo che sapere chi io sia e chi mi stia accompagnando, sia in qualche modo utile, ai fini del nostro colloquio». Il suo interlocutore mosse appena le ciglia, metabolizzando la notizia concernente il fatto che vi fossero più persone coinvolte nell’impresa della quale, sino a quel momento, non era stato informato; anche se, tutto ciò – ammise fra sé e sé – non costituiva in alcun modo un fatto eccezionale per operazioni coperte da segreto, come testimoniavano i codici usati dal suo interlocutore in questo caso. La persona, alla quale Grepx si stava rivolgendo, avrebbe potuto, a sua discrezione, decidere di svelare l’identità del suo visitatore. Nondimeno, all’ufficiale in comando era ben noto come il mettere in moto una procedura di verifica potesse, spesso, rendere nulle delle operazioni importanti e porre a repentaglio la stessa vita degli agenti.

«Le posso mostrare, al momento, solamente i miei documenti d’ingresso a Isis», continuò Grepx, guardandolo bene negli occhi. Il capo dell’unità, appena li ebbe esaminati, comprese immediatamente come, per ottenerli, fosse stata messa in opera una procedura riservata e come solo Sird e Ishar potessero averlo deciso. Quell’ufficiale, data la sua posizione, era bene a conoscenza di come, per l’Alleanza, Sird fosse la persona di riferimento nei mondi di confine, per tutta quella parte della galassia. Era evidente – ragionò – che la questione non fosse di poco conto, e che, chiunque fosse entrato su Isis in quel modo, avrebbe dovuto avere ragioni ben valide per mantenere l’incognito. Notò, anche, un altro particolare. Infatti, senza aggiungere alcun commento alle frasi concise appena pronunziate, Grepx aveva messo in mostra l’anello infilato sull’anulare della mano destra. Al suo interlocutore non ò, dunque, inosservato quel gesto, non dettato da vanità. L’anello irraggiava una tenue luminosità, simile – ma non identica – a quella di un’emissione dovuta a fosforescenza. Non ci volle molto per riconoscere come quel monile fosse un anello di riconoscimento personale che soltanto Ishar o Sird avrebbero potuto donare allo sconosciuto. Un oggetto di tal fatta, in realtà, poteva ben servire come una credenziale, peraltro, quella tenue emissione indicava come il monile riconoscesse il possessore, in base al suo DNA. «Ovviamente, non potrò verificare l’autenticità dei documenti». «No, come ben immaginate, è anche l’unica risposta che posso darle in questo momento». Per alcuni istanti tornò il silenzio. Grepx, però, non volle interromperlo, per dare così il tempo all’informazione di sedimentare e di essere pienamente valutata dal suo interlocutore. «Pertanto…», riprese il capo dell’unità, «immagino che vorreste un mio intervento». «Questo è precisamente il motivo per cui sono qui da lei. Deve consentirci di giungere su Galaction il prima possibile, e senza alcuna comunicazione tra quest’unità e la sede centrale del servizio a Galactica. Ritengo indispensabile, per il successo della missione, che nessuna informazione riguardante questo viaggio, debba essere inviata da questo pianeta. È di vitale importanza, per l’Alleanza, evitare comunicazioni che potrebbero essere intercettate. Sarà mio

compito, una volta su Galaction, prendere contatto direttamente con i miei superiori. Devo altresì aggiungere che, salendo a bordo di una sua nave, noi eviteremo qualunque contatto con i piloti durante tutta la crociera. Farei io stesso da pilota ma, immagino, potrebbe costituire un problema per l’attracco nello spazioporto del servizio informativo». «In effetti, non vi permetterebbero mai di atterrare senza superare il riconoscimento della retina da compiersi sul pilota nella videocomunicazione prima di concedere il permesso per l’atterraggio. Rischiereste, molto semplicemente, l’abbattimento!», commentò il capo dell’unità senza dare eccessivo peso alle sue stesse parole. Ciò nondimeno, il tono era tale da non lasciare adito a dubbi su quanto sarebbe potuto accadere. «Non dobbiamo sottoporre l’Alleanza ad altri rischi, oltre a quelli già corsi sino a oggi. Temo che questo sia quanto le possa dire, al momento!», commentò Grepx. «Deve, ripeto, fare in modo che siamo portati sani e salvi a Galaction con la massima urgenza. Questo è, in parole povere, tutto ciò che mi aspetto! Lei ha sicuramente già compreso come la decisione possa essere unicamente sua, e da prendersi al momento». Poi, Grepx tacque, attendendo che chi era di fronte a lui disponesse sul da farsi. Ci vollero pochi secondi. «Abbiamo delle navette regolari per trasportare pezzi di ricambio e materiale riservato, incluso il personale destinato a questa parte della galassia», replicò l’ufficiale in comando. Poi, tamburellando con le dita sul tavolo, riprese a dire: «La prossima spedizione arriverà fra due giorni e ripartirà fra tre. Voi salirete a bordo, accompagnati esclusivamente da me, prima dell’alba, ossia qualche ora in anticipo sul decollo. Informerò personalmente e solo a voce, i piloti, quando saliranno a bordo per la partenza. A loro darò, inoltre, istruzioni affinché evitino ogni contatto con i eggeri. Buona fortuna!» «Grazie, ci troverà allo spazioporto prima dell’alba. Quando arriverà, lei non ci vedrà: sarò io a trovarla. Lei non ci deve cercare per alcun motivo! Venga da solo!», rispose Grepx senza mostrare, al suo interlocutore, alcun segno esteriore di soddisfazione tranne quello causato da una piccola inflessione nel tono della

sua voce. Senza alcun cenno di saluto, Grepx si alzò e uscì dalla stanza, mentre il capo dell’unità riprendeva il suo lavoro, interrotto al momento dell’ingresso del visitatore. Il colloquio si era svolto proprio secondo le sue attese, andava riflettendo Grepx mentre si recava all’appuntamento con i due terrestri e l’androide. Quando arrivò al ristorante, il cenno di soddisfazione dipinto sul suo volto bastò per far comprendere ai tre come tutto procedesse nella direzione corretta; anche Milys, del resto, aveva ormai da qualche tempo imparato a riconoscere le sfumature facciali dei volti umani, associandole ai loro possibili o probabili significati. Il resoconto fu rapido e completo, quantunque esposto solo per sommi capi. Dopodiché, a loro volta, furono i tre a dover comunicare come Rekh – in modo del tutto inaspettato – si trovasse su Isis, anche se fosse molto probabile che il figlio del tjaty non sapesse, a sua volta, della loro presenza sul pianeta. Effettivamente, non avevano mai compreso fino in fondo quale fosse stato il suo ruolo effettivo con il padre e con gli androidi. Capivano che, al momento, si presentavano due possibilità, ossia, o considerarlo alla stregua di un personaggio veramente pericoloso, in grado – persino – di seguirli e raggiungerli su quel pianeta, oppure, – forse questa era la spiegazione più probabile – un ragazzo in fuga dalla sua vita su Arion. I quattro decisero di comune accordo di far richiedere al servizio informativo dell’Alleanza di farlo sorvegliarle. Subito dopo Milys, prima che i tre umani cenassero, si separò da loro per tornare in albergo.

I due giorni che li separavano dalla notte della partenza, arono nell’ozio, con nuotate in piscina e chiacchierate serali sulla terrazza. Scoprirono, così, il sottile lato umoristico di Grepx, però evitando con cura di prendere in giro il loro compagno androide. Infatti, Milys faticava ancora parecchio a cogliere, nei toni della voce, quelle piccole sfumature, che avrebbero potuto cambiare completamente il significato a una frase. Alla fine, la notte dell’appuntamento allo spazioporto giunse, trovandoli con tutte le loro risorse fisiche disponibili, pronti, quindi, per quella che avrebbe dovuto essere la fase più delicata della loro avventura. Con diverse ore d’anticipo, tutti e quattro si recarono sul luogo dove attendere l’ufficiale in

comando del servizio informativo e si misero a osservare i movimenti del personale vicino alla navetta spaziale su cui si sarebbero dovuti imbarcare prima dell’alba. Con il freddo della notte i sensori a infrarossi di Milys funzionavano senza che fosse presente troppo rumore di fondo: dalla sua scansione risultava, in verità, che, come avevano concordato, nessun umano pareva essere presente nell’area. Solo qualche tempo dopo l’ufficiale in comando comparve e si mise ad attendere ben visibile, accanto alla nave, senza mostrare segni d’impazienza. Trascorse almeno un’ora, ne mancavano ancora circa tre all’alba – momento in cui il mezzo spaziale sarebbe infine decollato –, prima che Grepx si avvicinasse a quell’uomo, facendolo spostare dalla parte opposta della scaletta, permettendo ai suoi tre compagni di salire senza essere visti. Terminato l’imbarco, al suo interlocutore affidò l’incarico di sorvegliare Rekh. Poi salì a sua volta nella nave per raggiungerli. All’alba avvertirono i rumori creati dall’equipaggio – quattro persone, inclusi i due piloti – per i preparativi della partenza. Subito dopo percepirono i leggeri tremolii, indotti dall’accensione delle piastre di anti-gravitazione, mentre si libravano sempre più velocemente nell’aria. Dagli oblò i quattro eggeri osservarono il pianeta, dapprima riempire tutta la visuale, in seguito diminuire sempre più rapidamente e, alla fine, – quando raggiunsero la velocità di crociera planetaria – scomparire del tutto, lasciando posto solo al buio delle profondità spaziali. La navigazione verso Galaction era iniziata. Poi, con l’accensione dei motori per la velocità super luminale, in pochi giorni – non più di tre – sarebbero giunti, finalmente, alla sede del governo dell’Alleanza Galattica.

L’avvicinamento a Galaction avvenne senza particolari problemi dopo essere stati agganciati dal sistema di controllo principale, in seguito, trasferiti automaticamente alla gestione dei voli per i servizi governativi e da questo, infine, a quello del servizio informativo. Il corridoio d’avvicinamento allo spazioporto – ancorché classificato come prioritario – era molto stretto a causa del traffico intensissimo in arrivo dalle diverse centinaia dei mondi abitati che formavano l’Alleanza. Visto dallo spazio, il pianeta esibiva tutta la sua bellezza impressionante, a causa delle sue città metropolitane, aventi una tale estensione da coprire fino a diverse

centinaia di chilometri quadrati di superficie. Allo sbalordito George – sulla Terra, centro vitale della Federazione Stellare, nessuna metropoli raggiungeva, neppur lontanamente, quelle dimensioni –, Grepx andava spiegando come le diverse metropoli fossero sedi dei quartier generali per i vari organismi governativi. Si sarebbe potuto dire, in sintesi, che Galaction, ossia l’intero pianeta, fosse la capitale; ancorché il nucleo centrale del potere galattico risiedesse là, dove sarebbero atterrati, ossia nella metropoli – certamente non la più la grande – chiamata Galactica. Le procedure per l’arrivo dei voli speciali erano diverse e dipendevano dalla segretezza della missione. Nel loro caso, un semplice volo di routine, proveniente da un mondo ai confini dell’Alleanza, quelle procedure erano abbastanza semplificate. Solo dopo lo sbarco, Grepx – accompagnato dai suoi tre compagni – si premunì di utilizzare un codice riservato, richiedendo, in tal modo, la presenza fisica del responsabile del servizio informativo, al quale fare un rapporto verbale. Assieme a questo – stupendo ulteriormente l’ufficiale di turno, da cui erano stati accolti dopo lo sbarco –, Grepx fornì un codice, riservatissimo, che imponeva persino la presenza del Presidente dell’Alleanza Galattica per ascoltare il resoconto verbale. I codici furono accettati all’istante; i quattro viaggiatori furono immediatamente posti in stato di assoluta protezione. Le sorti della congiura scientista erano, perciò, oramai segnate, mentre nello stesso tempo si aprivano, di fatto, i rapporti tra l’Alleanza Galattica e la Federazione Stellare. Al loro ritorno sulla Terra, Ashley e George avrebbero avuto, dunque, una lunghissima relazione da presentare, magari assieme – così già immaginavano – a chi era stato loro compagno, durante la traversata nei deserti di Arion, per i quali già provavano nostalgia.

Note

[←1] Vedi: https://it.wikipedia.org/wiki/Ponte_di_Einstein-Rosen. [←2] Vedi: https://it.wikipedia.org/wiki/Orbita_geostazionaria. [←3] Vedi: https://it.wikipedia.org/wiki/Sistema_binario_(astronomia). [←4] In meccanica celeste, nella configurazione orbitale di due corpi di massa grande, i punti lagrangiani sono delle posizioni, in cui le forze che agiscono su di un terzo con una massa molto più piccola - soggetto solo alla forza gravitazionale si bilanciano, creando una situazione di equilibrio. [←5] Vedi: https://it.wikipedia.org/wiki/Stella_di_neutroni. [←6] Il vento stellare è un flusso di gas emesso dall’atmosfera superiore di una stella. Il Sole, ad esempio, possiede dei venti che si dipartono dalla corona (vento solare). Questi venti sono formati per lo più da elettroni e protoni (di circa 1 keV di energia cinetica), in grado di sfuggire alla gravità del Sole a causa dell’alta temperatura della corona. [←7] L’equatore è la circonferenza massima della superficie di un corpo celeste

perpendicolare all’asse di rotazione e quindi equidistante dai poli. [←8] L’unità astronomica è un’unità di misura, determinata dalla distanza media tra il pianeta Terra e il Sole; corrisponde a 149 597 870 700 metri.