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Dammatrà - Racconto intimo dell'Ispettore De Angelis

Artemio Antinori

Dammatrà - Racconto intimo dell'Ispettore De Angelis

Artemio Antinori

Edizione digitale: marzo 2014

ISBN: 9788868859152

Edizione digitale realizzata da Simplicissimus Book Farm srl

Indice

Dammatrà racconto intimo dell'ispettore De Angelis

Dammatrà 2° episodio - la notte 1a parte


Dammatrà 3° episodio - i fatti 1a parte

Dammatrà 3° episodio i fatti 2a parte

Dammatrà 4° episodio 1a parte - L'insostenibile amaro insonne

Dammatrà 4° ep. 2a parte - L'insostenibile amaro insonne

Dammatrà 5° episodio 1a parte: spara forte più forte non capisco



Dammatrà 6° capitolo - 1a parte - l'odore, acre, della paura

Dammatrà 6° Capitolo - 2a parte - l'odore acre della paura



Dammatrà 7mo capitolo - Il buio freddo dell'oblio - Epilogo

Dammatrà racconto intimo dell'ispettore De Angelis

Era incredibile come fosse cambiata negli anni la gente della curva; rispetto agli ‘80 tutto era diventato assolutamente triste e becero. Solidarietà sparita, ragazzi rovinati da sostanze, senza nessuna idea di appartenenza, senza nessuna responsabilità identificativa con la maglia…tant’è…alla mezz’ora del primo tempo la sua squadra, quella per cui aveva fatto di tutto da ragazzo e non, quella di nonno, di papà, di zio insomma, da generazioni tramandata, già era sotto di due gol, come di solito accadeva a San Siro…quanto tempo era…dal ‘92 che era in servizio a Milano e l’aveva vista sempre sempre soccombere di fronte alle milanesi; o meglio quasi sempre, col “pelatone in panca” belle partite e soddisfazioni s’era tolto ululando a squarciagola in tribuna verso chiunque lo circondasse su quei seggiolini freddi e plasticosi. Ma poi alla lunga aveva preferito tornare in curva, amore di gioventù, sbagliando come si stava accorgendo stasera.

Era ora di andare…il cordone della celere si aprì in due al suo aggio rivelando una confidenza sospetta per i molti che osservavano la scena:

- Ahò l’hai visto quello ? Pure i celerini c’hanno il padrone che li move a comanno !

D’istinto girò la testa con uno scatto figlio di tempi di attività di curva e politica, dai tempi della strada, quella vera :

-fatte li cazzi tua regazzi’ sinno te ce faccio pijà ‘a residenza a San Vittore ! incredibile come nei momenti di nervosismo e tensione tornasse a galla il

vecchio linguaggio di quartiere, di Corso Trieste ” …un nuovo scenario TriesteSalario…” (cit.) La strada dove destino voleva era tornato da molti anni.

Il cordone si richiuse e lui iniziò a scendere le orribili scale in cemento del primo blu. Alle 23 iniziava il turno e voleva prima are al Plastic per salutare una persona.

La moto targata Roma nonostante fosse parcheggiata nei posteggi Delle forze dell’ordine, aveva una gomma a terra, squarciata da non so cosa di affilato; si diresse verso il ghisa che era di servizio all’ingresso dell’area parcheggio: buonasera capo a che ora ha montato ?-

-A lei che cosa ci interessa ?-

-beh, mi interessa per due motivi il primo è che c’ho una ruota della moto squarciata…-

-E con questo ?-

-no no con questo- disse mentre metteva nella visuale del ghisa il suo tesserino di riconoscimento…

-Ah mi scusi ispettore intendevo dire con questo sono tre le gomme bucate stasera-

- Ecco se non vuoi che te buco er cervello che nun c’haii famme portà la moto in Fatebenefratelli con un carroattrezzi così là me la sistemano e chiamame una macchina de servizio che me può dare uno strappo in 22 marzo prima che te le faccio gonfià tutte a fiato le gomme che hanno bucato stasera pupazzo che non sei altro-

“senti pupazzo ma che un matto se calma così ?-(cit.) questa era la frase che gli riecheggiava in testa mentre quello diventava tutto rosso e la mano che teneva la trasmittente tremava. Dopo mezz’ora era all’ingresso del locale. Salutò con un bacio Ivana il trans che la domenica sera faceva selezione all’ingresso - Ciao gioia Madonna sempre più tosto diventi e sì che c’hai un’età anche tu ormai !-

-L’importante è rimane’ tosto nei punti giusti Iva’ !- facendole l’occhiolino; c’era volgarità.

Il locale nei primi anni ottanta era diventato famoso per frequentazio ultra modaiole di cantanti, stilisti e modelle; anche Andy Wahrol era ato di qui. Ora era diventato nel week end un ritrovo di giovani gay impazziti e qualche fuckin’ poser al quale interessava solo apparire; la domenica però aveva ancora un suo fascino perverso. Lei non era ancora arrivata con le sue amiche … mannaggia ! e fra non molto la sua giornata di lavoro sarebbe iniziata …per un gin tonic fatto da Gigi, il barman del locale, avrebbe comunque trovato qualche minuto in più….


Tre quarti di Tanquerey mezza tonica un quarto di succo di lime quattro gocce di angostura; questo era il gin tonic migliore di Milano e lo preparava per lui Gigi, amico e barman, unico esemplare di commerciale/ruffiano, capace di dar da bere acqua del rubinetto facendoti credere che era incredibile e rarissima vodka eschimese, innamorato del suo lavoro, innamorato della gente, barman per attitudine, grande incantatore di clienti. Fidanzato con la Amy Winehouse di Quintosole, lei dirigente informatica donna da parecchi pippi mensili, innamorata di Gigi il nottambulo barman, sempre in trincea psicologica per fargli cambiare quel lavoro che non avrebbe dato futuro alla coppia. Risultato: tre volte su quattro erano in litigio pieno; e proprio di quello Gigi stava raccontando all’ispettore che, appoggiato al bancone sorseggiava quel fantastico nettare formulato e preparato dal suo amico.

“Cioè non ci riesce a capire che di giorno vado in para a lavorare…caffè in trecento modi differenti, deca, orzo tazza grande, orza tazza piccola, con latte freddo a parte, con latte caldo freddato, con la panna, marocchino, tunisino, egiziano, cacao, corretto…”

“Ho capito ho capito Gi’. Stai calmo prima di farti venire un esaurimento nervoso”

” no l’esaurimento mi viene se mi dice di nuovo di lavorare in un bar di giorno ! Mi ci vedi a preparare panini ed insalate biologiche a modelle anoressiche che bevono Evian ?!?!?!?”

“Beh, direi proprio di no. Perchè togliere alla notte un talento come il tuo…certo che poi se torni a ca’ e te devi fa’ una semplice….forse forse…c’hai pensato bene ?”

” Sì che c’ho pensato…ma io la trombo ugualmente quando voglio …tanto poi è lei che tromba me durante tutto il giorno…è un disco rotto…sempre le stesse cose…se mi girano i coglioni me ne vado e torno da mia madre…”

” Se, da -Dacci un taglio- a lavare i capelli alle sciure di giorno ed a caricarti le sfatte di notte…che amarezza…c’è aggressività!”

“Prima o poi lo farò almeno gli metto un po’ di pepe alle splendide chiappe che si ritrova…poi con un altro poco di fortuna la smetterà di rinfacciare sempre che guadagna il doppio di me…”

“Te l’ho sempre detto…già nel rapporto contiamo poco noi poveri maschi, se economicamente siamo in difetto là, su quell’argomento, inizia l’inferno. Guarda me per esempio, tutt…”

Si interruppe perchè due gelide mani, con le unghie lunghe, gli coprirono gli occhi; reminescenze delle scuole. Lui quegli indovinelli gli aveva sempre odiati…che bisogno c’era di….vabbè

“Che faccio ??? Tiro ad indovinare facendo finta che non ero qui per un appuntamento oppure togliamo le manine dagli occhi così non mi si gelano le cataratte prima dei 70anni ???”

“Tipico umorismo bulgaro dell’ispettore più coatto di Milano. Amore ma quando sorridi ?”

“Quando magari riesco a vederti di giorno e per tre ore filate direi…”

“Sempre di cattivo umore eh ?!”

“Beh piccole’ mi preparo per quando fra tre minuti ti dirò che fra otto devo andar via”

“Di già ??? A cena no perchè c’era la partita poi ci vediamo qui sul tardi e già te ne devi andare ???”

“Piccole’ devo montare di servizio lo sai “

” no l’unica cosa che so’ è che nell’ultimo mese tutte le volte che hai montato sotto non c’ero io e la cosa mi inizia ad innervosire un po’ “

“Scusala eh Gi’ ” disse voltandosi al bancone

“Tranchillo. Sapessi la mia come me lo mena”

“Almeno lei riesce a toccartelo ! Io debbo accontentarmi delle foto !”

Il colpo di tosse salì dall’imbarazzo perchè il gin ovviamente gli era andato di traverso; arrossì come non gli accadeva dal primo appuntamento insieme.

“Fai come ti pare ma io stasera ho voglia di divertirmi con le mie amiche. Tu vattene dove vuoi mi trovi domani mattina in casa che dormo. Ho preso un giorno di ferie. Se ce la fai vieni a dormire da me e magari mi svegli in quel modo che mi piace …dopo un mese potrei meritarmelo no !?” C’era volgarità, di nuovo ahilui. D’altronde lei era un animale carnale schietto e ionale come a lui piaceva. Si girò sui suoi tacchi fucsia e si strinse nel gilet di volpe nera che portava sopra di una canottiera bianca con due manette stampate sopra. Sembrava uno spot della P.S.

Camminò voluttuosamente muovendo quei fianchi rotondi che lo facevano sudare; facevano sudare anche un paio di giovani avventurieri appoggiati in fondo al bancone…

“Tranchillo di nuovo” disse Gigi “Le do’ un occhio io e se c’è qualcosa che non va ti messaggio ed arrivi coi lampeggianti !”

” Beh, non vedo l’ora Gi’. buona serata, ciao grande”

“Ciao Sheridan!”…va’ a cagare….spiritoso…

Salì sul taxi di fronte a quella che era stata la discoteca rock più famosa di Milan l’è un gran Milan…si fece portare in Fatebenefratelli. La nebbia. In marzo. Non avrebbe mai capito il clima di quella città. Entrato nel cortile della caserma vide

la sua moto sistemata di fronte all’officina che se ne sarebbe occupata l’indomani mattina. Pensò di lasciare un biglietto con una nota per i meccanici:

“Gomma bucata, già che ci siete aprite la pompa della benzina…190km/h iniziano ad essere un po’ pochi. Grazie. De Angelis”


La strana sensazione che lo colpiva ogni volta che scendeva negli spogliatoi per recuperare gli oggetti personali era equivalente al senso d’ansia che aveva provato le poche volte che aveva dovuto sottoporsi ad una risonanza magnetica per controllare i il suo ginocchio matto. Claustrofobia. Provava ogni tanto a chiedere a Tolli, il suo compagno di “gite” se poteva lasciarli nella macchina di servizio ma quello gli rispondeva sempre :”Milanes se pissa vun pissa des”… come dire che inizi a farlo tu poi lo faranno tutti quelli che avranno lo stesso ghiribizzo…ogni tanto s’accollava brutto Tolli coi suoi proverbi milanesi.

Tant’è. “Ciao Ma’ ” - “Ciao De Angelis” lo irritava chi lo chiamava per cognome, neanche alle superiori lo sopportava; come quelli si presentavano enunciando prima il cognome poi il nome…manco in Questura era più in uso…

“Com’è ? Tuttapposto ?” Erano in coppia da quasi nove anni e avevano condiviso tutto insieme; debiti, problemi, sangue, morti, emorroidi e geloni. Problemi di servizio e non insomma…”Se se tuttapposto. Solito battibecco con Jessica …non ci sei mai, quando ci sei tu non ci sono io, come facciamo a stare un po’ insieme…insomma da quando mi ha chiesto di trasferirmi da lei e le ho detto di no la sua pazienza ha iniziato ad essere molto più labile…”

” Bah, lo sai che il problema è alla radice…lei detesta che tu metta in pericolo il vostro rapporto con il tuo lavoro”

“Mica faccio il barista” disse sorridendo sotto i baffi. Povero Gigi.

” Sì certo ma lei non credo lo accetti più…dovresti parlarne in tranquillità con magari una cenetta in un posticino tranquillo”

” Se, poi magari mi pianta in asso come la volta che le dissi che per sei mesi mi sarei infiltrato in quel giro di bische e che non ci saremmo potuti sentire nè vedere per tutto il periodo dell’indagine…e mi ha pure lanciato il bicchiere di Cosmopolitan sui capelli…”

“Ho capito ma là c’era stato astio in partenza. Dai va’ andiamo stasera ghè anca el nebbiun”

“Sì è mejo va’…com’è che dice quel proverbio ? Se mia nona la gheva i ball saria sta me nono ???”

“Già…bravo Roma Ladrona…”

La notte era la dimensione che più gli piaceva. Niente traffico, niente ritmo frenetico e quando ce n’era bisogno niente falsi ciuri. La notte non mentiva, mai. La notte tutto era dilatato, di notte non potevi essere nulla se non quello che eri; niente falsità, niente compromessi di notte. Il buio e le strade vuote allargavano i sensi la vista l’olfatto l’udito. Tutto quello girava attorno alla notte poteva essere chiarissimo e torbidissimo; manager in grana padri di famiglia che in discoteca lontani da mogli e figli insidiavano la ragazzina di turno che dopo tante smanie si concedeva per modiche cifre a tre zeri. Quando non erano le baby escort molti li ritrovavi nei pied a terre dei migliori trans della città che sudando e sbanfando sui culi bianchi e ricchi dei suddetti manager eviravano la potenza emanata di giorno negli uffici e nei corridoi di banche società quotate in borsa. Fottevano l’economia italiana. Nuove droghe si espandevano nelle discoteche della città,

nuovi sistemi di comunicazione e spaccio giravano da Carlo Farini fino in Corso Como, da via Fiori Scuri fino in Ripamonti; era il territori odi caccia, noiso, uguale, bugiardo e falso come coloro i quali usufruivano dello stesso. Era il loro territorio di caccia.

“Iniziamo dai Magazzini ?”

“Sì va’ così ci facciamo la prima birretta…Alba lavora stasera ?”

“Credo di sì”. Girarono in via Manzoni e tagliarono sulla preferenziale di Visconti di Modrone. Dieci minuti e furono di fronte ai Magazzini Generali, discoteca milanese famosa per i suoi sabati gayfriendly (non avrebbe mai capito perchè i gay poi fossere friendly), per i suoi concerti rock e per il movimento ambiguo e losco che gli girava attorno. parcheggiarono la Mini verde dietro al baracchino di Matteone, il paninaro storico della discoteca.

Alba era all’ingresso. ” Signori i miei omaggi ” - “Ciao Fabietto come va’ stasera ?”

“Tutto occhei nulla di rilevante se volete fare un giro dentro…” - “Dai va’ dieci minuti e ci togliamo dai maroni” Disse Tolli.

Fabio Albanese, Alba per gli amici, aveva avuto un percorso di vita straordinariamente sorprendente: chitarrista rock negli anni novanta aveva avuto un successo discreto in Italia, tre dischi, un centinaio di concerti ed un migliaio di donne scopate nei posti più impensabili. Retro dei furgoni, camerini dei locali, autogrill, bagni di appartamenti dove era ospite d’onore…poi l’incidente in moto, la mano che non andava più come una volta e si reinventò distributore di

carburanti per stazioni di rifornimento grazie alla sua ultima conquista, figlia di un petroliere ligure molto in vista. L’exploit nei primi anni zero, il ritorno di ione della fica, il divorzio. Ora lavorava per un organizzazione di bodyguard che gli permettevano di sbarcare il lunario…ah, aveva ricominciato a suonare la sua adorata chitarra: era uno dei turnisti più richiesti di Milano.

La discoteca puzzava di umido, al bancone servirono le due birre che, com sempre ed in qualsiasi locale, pagavano regolarmente; non avrebbero mai accettato nulla in servizio. Movimento classici di due piccoli spacciatori che conoscevano bene.

“Vado a dargli un po’ di fastidio ‘” chiese Tolli - ” Che voglia che hai Marco” rispose De Angelis “se proprio devi…sbrigati però così ci spostiamo…’sto posto puzza stasera”

Dopo mezz’ora erano di nuovo in macchina, Tolli fumava al lato eggero e De Angelis recuperava la radio di servizio per rispondere alla chiamata

“Vela 3 pronti” - ” Segnalazione in via Orti 22. Chiamata anonima per un presunto cadavere. Andate voi ‘”

“Nel 2012 chiamata anonima ? Dai che stronzata è ? Chi ha chiamato ? “

“Ispettore ripeto e confermo anonima. Da un telefono pubblico. Via Orti 22 ripeto via Orti 22. Confermate ?”

“Sì sì dieci minutoi e siamo là…chi c’è di pattuglia ?”

“Milano otto…Sugheri e De Luca…”

“Allora se famo du’ risate” accese il lampeggiante e partì contromano su via Pietrasanta.

Via Orti è una stretta e sporca via dietro Corso di Porta Romana, c’è la più alta concentrazione di ristoranti in Milano. Da là arrivarono, sempre contromano, da Corso di Porta Romana. ” Una guida umanamente decente no stasera eh ?! Dopo guido mì…” disse Tolli.

“SUGHERIIIII !!!!” urlò De Angelis scendendo dalla Mini - ” SUGHERIIII !!!! DE LUCAAAAAA !!!!” continuò s gridare mentre entravano al 22. Non gli erano simpatici, per nulla.

Dammatrà 3° episodio - i fatti 1a parte

Erano usciti dal locale ancora con le orecchie ovattate dalla musica. “The sound of violence” dei Cassius come ultimo ritmo nel cervello, il o svelto verso la macchina mentre non riuscivano a staccarsi l’uno dalla bocca dell’altro. Era da un po’ che non veniva preso da una ione così perciò sorprendentemente si ritrovò a sorridere mentre continuava a baciarla; saliti in macchina non la smettevano tanto che per mettere in moto dovette scostarla da sè infilando la chiave nel blocchetto dell’accensione. Alla prima curva lei gli aveva già slacciato i pantaloni insinuando la mano fra i boxer di H&M che a lui tanto piacevano; al secondo semaforo, si staccò da lui e iniziò a piegarsi verso le sue gambe. In un attimo lo aveva in mano e lo infilò in bocca iniziando un movimento sussultorio delicato e preciso. La macchina andava avanti a scatti e la fatica nello sterzare verso Parco Ravizza gli fece sfiorare un marciapiede. Si appartarono accanto ad un cantiere che doveva ampliare la strada fra il parco e le palazzine della Milano bene, sotto ad un albero grande, grosso e fiorito come il suo membro in quell’istante. Con un tocco da professionista lui tirò in un attimo il sedile di lei in posizione orizzontale, con una mano le strappò le mutandine e sdraiandola la penetrò con la voglia di chi, dopo un bel po’ di quel tempo ato ad immaginare, concretizzava il suo desiderio.

E’ qui che successe. Mentre facevano l’amore in maniera totale, il manganello che batteva sul vetro non li fece neanche sussultare anzi, continuarono a pompare sangue l’uno nell’altra senza sosta, sudati, i vetri appannati, le voci grosse. Lo sportello si aprì ed il poliziotto battè di nuovo il manganello però stavolta sul culo nudo di lui che da sopra dimostrava tutta la sua voglia potente e sensuale.

“Ma che cazzo fai ?” fu la sua immediata reazione - “Te scureggia er cervello guardia der cazzo” e mentre lo diceva, scendendo con la parte inferiore del corpo completamente nuda ed in erezione, colpiva il malcapitato agente prima con una

testata poi con un violento calcio nelle di lui palle. Ne seguì una violenta colluttazione tanto che, a manette fissate ai polsi, l’ispettore De Angelis non potè neanche provare a far capire all’allora agente scelto Sugheri che era innanzitutto un collega per giunta superiore in grado.

Quella era la motivazione principale del cattivo sangue ce correva fra l’ispettore e, ora sovrintendente, Sugheri; e proprio quel sangue cattivo continuava a scorrere senza nessun compromesso.

“A che ora hanno chiamato ?” chiese Tolli - “Alle undici ed un quarto viceispettore Tolli” - “Uomo o donna ‘” intervenne De Angelis - “Non specificato ispettore “

“Oh Sugheri, che cazzo stai facendo l’appello dei gradi di tutti quelli che stanno qua dentro ? Falla finita che me pari Pierino carabiniere” non si perdeva tempo nel beccarsi. Il battibecco, anche formale, era fra i due all’ordine del giorno.

“Già mi scusi ispettore De Scopolis dimenticavo che con i pantaloni indossati lei cambia umore” Lo sguardo di Tolli lo gelò, De Angelis stava per reagire quando il collega/amico lo sovrasto’ fisicamente spostandolo verso la camera da dove arrivavano i rumori dei flash della Scientifica. “Mollalo Claudio, lo sai che è un frustrato, non vede l’ora di alzarti le mani” - “Stasera me ce trova pure ‘sto cojone !”

“Buonasera ispetto’ già incontrato Sugheri eh ?! Quando si dice la buona sorte, manco a li cani ! Le due di notte, puzza di cadavere e debbo anche sorbirmi i vostri battibecchi da puttane di strada”

“Ciao ’ non t’avevo visto” disse De Angelis - “C’hai già qualche novità ?”

“Beh, visto che siamo qui da quasi un’ora per adesso posso dirti che il dottore, perchè di dottore si tratta, è deceduto fra le dieci e le undici di stanotte colpito prima al capo con un famoso oggetto contundente, poi gli sono state mozzate tutte e dieci le dita di cui tre infilate nelle due orecchie ed in bocca, le altre non chiedermelo perchè fin’ora non le abbiamo manco trovate. Sulle gambe ci sono segni di fratture probabilmente conferite al cadavere già dopo il decesso. Questo è quanto per ora, se poi ti vuoi mettere in posa con un bel sorriso ti faccio ‘na foto vicino a lui, magari chiami pure Sugheri e poi le postate su Facebook insieme eh ?! Adesso levate annanz’ o cazz’ perchè vorrei terminare con questo schifo!”

Il dott. sco Maria Scalia era il medico della Scientifica più vicino a De Angelis, un amico silenzioso, nell’ombra, che però spuntava impensabilmente proprio quando l’ispettore aveva bisogno della sua saggezza partenopea; diciamo che era tale e quale ad una canzone di Bennato: profonda e sincera nonostante il ritmo. Fu proprio Scalia che gli diede una mano coi superiori dopo l’episodio in macchina con Jessica quando lui e Sugheri si picchiarono. Schietto e incline alla battuta proprio come gli piaceva trattare i problemi.

“Pe domani a mezzogiorno riesci a farci avere una relazione” - “Sì Cla’ ma mo’ lievet’ daippall’ t’aggia’ detto per favore” ispezionarono l’appartamento del professionista; già, era un dottore, il classico medico di corsia all’ospedale Mangiagalli, proprio dietro via Orti. Casa e lavoro almeno per la distanza s’intende. La casa era un bell’appartamento rifinito con colori neutri, che vanno proprio ora di moda, i beige, le poltrone di pelle nera, parquet grigio in terra, una grande libreria fatta su misura, si vedeva, stracolma di libri, una delle ioni di De Angelis. Il vice Marco Tolli stava rovistando nel pc del dottore, questa una sua ione, il pc, cercando di trovare chissachè e chissacosa. ” Che fa Ma’ ? “

“Vedo se trovo qualcosa di losco eh ! Hai visto mai che el duttur g’aveva

qualche scheletro nel pc “

“Ma se non sappiamo manco che cerca’ che te metti a perde tempo ? Piuttosto raccogliamo una foto dei numeri di telefono che domani possono esserci utili e annamosene va che m’è venuta pure fame”

“El tuo amis Sugheri non lo saluti ?”

“Stasera fai proprio ride lo sai ? Te ce diverti a famme rosica’ eh ?!”

“Beh un ciccinin sì eh ! Dai ‘ndem…” salutarono i colleghi, Sugheri compreso, e s’incamminarono giù per le scale. La macchina era parcheggiata davanti ad un o carraio salirono e girarono a destra proprio su via Commenda

“Fermate subito va’ magari gli infermieri di guardia lo conoscevano e se portamo avanti con le domande”

“Mi lo sapev’” rispose Tolli tirando il freno a mano di fronte al baracchino dei fiori “Manget no ancura”

Dammatrà 3° episodio i fatti 2a parte

Là dove il silenzio sa di disinfettante, dove i rumori metallici degli ascensori e delle barelle squarciano la paura di chi soffre, di chi spera, di chi è semplicemente nel momento sbagliato della sua vita. Le preghiere ano attraverso i muri, ripetitive come delle nenie ancestrali, traano muri, pavimenti, sale d’attesa, nubi di preoccupazioni mischiate a nubi di sigarette che si alzano dalle finestre aperte, nubi di garze che vengono smaltite nelle differenziate dedicate, nubi dello stesso silenzio di cui è avvolto l’ospedale nella notte.

L’entrata del pronto soccorso della Mangiagalli, uno dei ricoveri storici di quella vecchia Milano dove erano capitati, era un bel portone stile proprio vecchia Milano, con due rampe d’accesso laterali lastricate in pavè (per De Angelis era sempre stata un’evoluzione dei Sanpietrini romani) una ringhiera in colonnine bombate a fare da parapetto al muro che, dal marciapiede, si stagliava verso le colonne d’entrata. Posteggiarono la macchina accanto al baracchino del fioraio sulla destra dell’ingresso ed entrarono, insieme, in silenzio, ancora un po’ sconvolti per come la loro serata di turno fosse precipitata nel buio di un omicidio.

“Buonasera signora” - disse Tolli all’infermiera di guardia mostrandole subito il tesserino “avremmo bisogno di parlare col dirigente di turno o con qualcuno che conosce il dott. Colombo per cortesia”

“Sì certo …ma perchè che cosa è successo ? Qualcosa di grave al dottore ?”

“Non si preoccupi signora normale routine, il professore ha avuto un piccolo incidente…”

“Chiamelo piccolo c’ha du’ squarci in panza che parono due quadri di Fontana…” mormorò De Angelis sperando di non essere ascoltato dall’infermiera…fu inutile. Una vola capita la gravità della situazione l’urlo della diplomata in scienze infermieristiche perforò il silenzio malato e sfinito dell’ospedale facendo ccorrere al gabbiotto di ricevimento portantini, altri infermieri e dottori di turno con gli occhi cisposi di chi, incidentalmente, viene svegliato da un sonno rubato su una poltrona.

“Oh Signur…oh signur…”continuava a ripetere la donna, ora seduta sulla sedia con altre due a sostenerla da quella improvvisa tragica notizia; vennero fatti accomodare nell’ufficio del dirigente sanitario e scambiarono, senza ricavarne nulla di interessante, un’ora di domande, racconti e confidenze con il dottore più anziano in servizio che, fortunatamente per loro, quella notte era di turno.

“M’è venuta fame Marco, facciamo uno spuntino prima di andare in Fatebene ?”

“uhè ti gh’à el verme solitario eh ?! L’era ura de magna’ ! Va bene, iam da Cristian a spiluccare qualcosa”

Il dottor Stefano Colombo sembrava essere un uomo perbene, avrà avuto i suoi peccati ma, dedito al lavoro, aveva addirittura comprato la casa vicino all’ospedale dove prestava servizio tanto da sistemarci anche lo studio dove poteva controllare in seguito coloro i quali si erano affidati alle sue cure nel policlinico e continuavano a farlo con visite private; era un chirurgo specializzato nella ricostruzione della mano e nei trapianti ad alto livello. Nonostante ciò sembrava condurre una vita modesta, tranquilla, votata perlopiù agli altri. Tutti erano affezionati a quell’uomo una volta biondo di capelli ora

ingrigiti, con gli occhi di un azzurro rassicurante, mani forti e ferme di chi è abituato ad usarle con molta decisione.

Questo stavano riassumendo i due al bancone del Ricci’s dove il loro amico Cristian, responsabile del locale modaiolo, stava mangiucchiando salmone e bevendo Coca Cola Zero. Attratti dalla curiosa combinazione dolce/salato si unirono anche loro iniziando a discutere della situazione che per le mani gli era capitata.

“Tu dici che tutto può far sembrare un omicidio per rapina ?”

“Non vedo perchè no…”

“E quindi lo avrebbero ucciso perchè armato di bisturi voleva difendere la sua collezione di film di fantascienza anni ‘80…certo…logico…”

“Fai lo spiritoso ?” - ” No no fila il ragionamento logico…non ti sembra ‘”

“Per me sì” - ” E questo spiega perchè tu guidi ed io rispondo alla radio direi…”

“Continuo a notare del sarcasmo…” - ” Ma scusa” intervenne deciso De Angelis “entrano rubano due orologi, un portafogli, magari 400 euro in contanti poi lo aprono come un abbacchio così, per divertimento”

“Chissà sotto che droga erano…” - ” Certo, la risolviamo sempre così poi,

drogati, pazzi, ubriachi, ma va’ va’ va’”

“Oh ma vi vedo tesi però !” disse loro Cristian sorridendo con quei suoi 66 denti bianchi più bianchi del bucato della nonnetta Ace.

“Ma no Cri’ è che è un’altra nottata di quelle che ti spezzano l’anima. Un poveraccio che faceva una dignitosissima vita rovinato dalle mani impazzite e omicide non si sa di chi e noi che dopo lo schifo ci tocca anche capire il perchè”

“Perchè perchè, vedrai che il perchè il per come lo troviamo lo troviamo…” disse De Angelis ” Ciao Cri, ci

vediamo domenica”

“Sì ma domenica arriva puntuale Claudio !”

La mattina dopo, veramente all’alba dopo bisogneremmo dire, verso le 06e45 del mattino, verbale compilato, pc del dottor Colombo al vaglio, le due guardie aspettavano il fax del magistrato per ottenere il permesso di sequestrare il pc dello studio in ospedale del chirurgo e per accordarsi per la perquisizione approfondita della casa. De Angelis stava girando lo zucchero di canna versato nel cappuccino mentre Tolli, sbadigliando, finiva di masticare il secondo cornetto della sua colazione. ” Vedo che ti sei messo a dieta. Il sacchetto di carta non l’hai mangiato…” - “T’el chi ! Lo aspettavo l’umorismo della nottata… iniziavo a preoccuparmi” rispose Tolli.

“Oh ! So’ quasi le sette quale notte. Anzi appena arriva tutto torniamo in via Orti ed in ospedale a prendere il pc”

“Dormire un po’ direi di no, a che servirebbe”

“Dormiremo dopo. Diretti a casa e due giorni di smontante e riposo”

” Sì, per Sugheri che è uno sbirro sfigatello sicuro. Mi te vedet propr’ a durmir con ‘st’impiccio”

Squillò il cellulare. Il nome era Jessica che appariva sul display.

“Ancora in piedi ‘”

“Veramente sono tornata da un’ora e ti stavo aspettando. Mi sono docciata, incremata, profumata, sottovestata ma…non ti vedo…mi metto a dormire direi. Tu ancora a so ad arrestare barboni ?”

“Se, gioca te…bel casino c’abbiamo per le mani”

“Almeno Marco Tolli mangia sicuramente, tu ora ti consumerai di nervoso e diventerai come al solito un chiodo, intrattabile e anche un po’ stronzo”

” se non te lo dice chi ti ama chi te lo deve dire no?!”

“E chi te lo dice che ti amo ?”

“Piccole’ sono stanco e mi aspettano almeno altre quattro ore di lavoro”

“Vabbè…mi trovi che dormo…lavata, incremata, profumata, sottovestata ma ADDORMENTATA !”

“Solito ‘” chiese Tolli

“Solito…ma è pazza di me…ah ! Ti saluta e dice di mangiare anche per me “

“Grazie !”

Mentre guidavano per ritornare in via Orti, il mandato del Magistrato era arrivato a tempo di record. Ne avevano trovato uno che si stava separando dalla moglie e aveva iniziato a dormire negli uffici del Tribunale, squillò di nuovo il cellulare di De Angelis: “Seee…chi è ‘”

“Ispettore sono Maroncelli dalla Centrale”

” Ma va ?! Maronce’ me credevo che stavi in Kenya e volevi raccontarci del tuo

safari di stamattina”

“Ma no ispettore, io in Kenya non ci sono neanche mai stato ed in più sono anche contrario ai saf…”

“MARONCE’ PARLA CHE VUOI ? CHE C’E’ ? CHE DEVI DIRMI ?!”

“Allora a parte il safari volevo avvisarvi che i nostri tecnici informatici avrebbero rintracciato qualcosa di estremamente interessante sul computer portatile del dott…”

“Maronce’, non dormo da ieri mattina a mezzogiorno, non dormirò prima delle quattro di oggi pomeriggio ME VUOI DI CHE CAZZO AVETE TROVATO IN MANIERA CONCISA ED EFFICACE ??? TE VA BENE COSI’ ? PARLAAAAA !!!!!”

“Occhei ! Tecnici trovato foto e mail stop. Sospetto traffico di organi e di….boh ! qualche altro strumento nel pc del professionista” Maroncelli era prolisso, noioso, verbalmente incontinente ma stavolta aveva fatto quello che De Angelis gli aveva chiesto. Conciso ed efficace. Ora che probabilmente il movente poteva essere più chiaro, l’omicidio del dottor Colombo si faceva quantomeno più evidente nel movente; se effettivamente c’era una qualche possibilità che ci fosse realmente il sospetto di un traffico di organi, le nostre due guardie iniziavano davvero ad avvistare nel prossimo futuro qualche pensiero in più. Il dottore ucciso era stato mutilato e violentemente assassinato per un movente ben preciso, un movente drammatico e particolarmente fastidioso per Tolli e De Angelis, un movente che avrebbe tolto più energie di quanto avrebbero potuto pensare.

Dammatrà 4° episodio 1a parte - L'insostenibile amaro insonne

Il letto sembrava ormai troppo piccolo per poter riposare in maniera soddisfacente; lo aveva praticamente circumnavigato in lungo ed in largo, il cuscino era troppo caldo ed il lenzuolo accartocciato di lato gli dava soltanto la sensazione della nudità intima della solitudine nella quale dove giacere. Aprendo gli occhi e fissando come un gufo la parete di fronte a lui poteva vedere la luce di riflesso che la sveglia proiettava sull’altra, alle sue spalle; la notte era già ata. Rincasando si era fermato a prendere il latte ed il pane così magari dopo qualche ora di riposo avrebbe tentato di avere una parvenza di colazione in un fuso orario che non era il suo. Ma non riusciva a dormire. In bocca l’amaro di quell’insonnia procurata dal troppo stress durante la nottata e la giornata precedente.Lo faceva incazzare ed allo stesso tempo gli procurava questa strana sensazione di piacere nello stare in dormiveglia, ascoltando i rumori della città che ovattati, dalla finestra avano fra gli stipiti confondendo le provenienze, facendo immaginare quello che fuori poteva accadere senza che lui vedesse le azioni e le reazioni dell’umanità insonne che abitava quella metropoli apparentemente senz’anima. Una di quelle sensazioni che trovava ogni giorno durante il suo lavoro e non; una città che si metteva a nudo e lo faceva anche con le coscienze degli altri, soltanto durante la notte. Come se quella condizione di spazio tempo fosse inevitabile per tirar via la patina della giornata e sistemare le anime in un incastro sempre più schietto e drammatico.

L’insonnia lo proiettava in una dimensione onirica dove Tolli era un baritono interrogatore nella saletta di Fatebenefratelli di un imputato chirurgo, deceduto e sospettato di uno dei traffici più barbari e viscidi del quale poteva macchiarsi; e lui, De Angelis, vuoyer insonne dietro lo specchio “segreto” esterno della saletta interrogatori a sorseggire un amato ed agognato cappuccino dopo tre giorni di investigazioni trascorsi correndo su e giù per la città. Ma il chirurgo era morto e quel pensiero lo riportava immediatamente alla realtà della situazione in cui si trovava.

Il letto oltre che piccolo era vuoto perchè Lei lo aveva abbandonato, il letto, per recarsi come tutte le mattine della settimana, al lavoro. Senza pensare all’incubo freddo e sudato al quale l’avrebbe lasciato: quell’insostenibile sapore amaro che mastica un insonne. Egoista. Pensava soltanto a lui ed alla sua possibilità di alleviare quella sensazione…

Squillò il pc poggiato sul tavolo della cucina; era quindi. Skype lo chiamava, almeno se non lui, chiamava qualcuno e qualcun’ altro avrebbe dovuto rispondere. Non trovava mai, appena scendeva dal letto, al primo tentativo, la ciabatta da calzare per andare in un’altra stanza che non fosse quella. Mai. Tentennò, imprecò, alla fine varcò la soglia della cucina fissando il pc che, di spalle, lo chiamava.

Le cuffie erano appoggiate sul tavolo, il nome in basso a destra scritto sotto la scritta logo arancione di Skype recitava: “Jessi&ca”

“Amore buongiorno !” la voce calda e squillante di Jessica lo salutò

“De che ? Ancora devo prendere sonno…ma che ore sono ?”

“Le quattro e venti tesoro perchè?”

“Ecco…sono tre ore che mi rigiro nel letto senza riuscire neanche a fare un pisolino…Cristo”

“Stai calmo amore fra un’ ora esco e vengo a farti un bel massaggio rilassante così poi crolli fino a domani mattina”

“No no piccole’ non posso, alle nove devo andare in ufficio per completare un’integrazione di verbale quindi è meglio stare un po’ svegli…”

“Allora appena torno mi prendo quello che aspetto da domenica notte ” disse ammiccando con la voce come solo le femmine della sua risma sanno fare

“Ma perchè oggi che giorno è ?”

“Ecco, ti hanno confuso povero piccolo mio. E’ martedì mattina oggi !”

“Ah…martedì…un giorno e mezzo a so come la cacca nei tubi…”

“Dai !!! Non essere volgare ! Comunque alle sei meno un quarto esco e vedi di farti trovare a casa ispettore altrimenti chiamo i carabinieri !”

“…spero di dormire per quando arriverai…”

“Non ci provare eh !?” ringhiò lei “Non ti vedo nè ti parlo da tre giorni quindi De Angelis fai un piccolo sforzo!”

Claudio De Angelis era un ispettore di Polizia suo malgrado; nato e cresciuto nella città storicamente antagonista a quella dove si era ritrovato a prestare servizio nel lontano ‘96, era sempre stato il classico figlio di Roma e delle sue strade, dei suoi umori, della Roma calcistica e della Roma delle attività politiche destrorse e sinistrorse, di quella città mamma, sorella, amante e puttana, assorbendone giorno dopo giorno vizi e virtù. Al momento della chiamata del servizio militare aveva scelta di richiedre la possibilità di svolgerlo in polizia, per uno stipendio più elevato, per la possibilità in quei tempi di poter entrare gratis allo stadio, occasione per lui importantissima, e per avere la tranquillità di poter anche terminare il suo corso di laurea in Scienza Politiche lavorando contemporaneamente. Mise addirittura la firma per la ferma di leva triennale; riuscì a laurearsi e alla prima occasione lasciandosi convincere dal suo ufficiale di riferimento, fece il concorso interno come laureato, per ufficiali. Nel quartiere ormai era “la guardia”, tutti lo connotavano con quell’idioma anche se lui sempre poco, molto poco si era sentito identificato in quella divisa, in quella parola. Erano gli anni della poca occupazione e lui comunque, dopo aver sbagliato in gioventù in molti episodi che gli erano accaduti, aveva scelto la strada della dignità ed onestà intellettuale. Rimaneva comunque “la guardia”. Poi promosso ispettore e trasferito a Milano iniziò quello che fu il suo percorso nella Ps che lo metteva in luce come un elemento ottimo, brillante, in grado di confondersi con la città ed il suo sottobosco un po’ restio a regole e protocolli ma pur sempre un affidabile elemento definitivo nelle sue indagini. Applicava soltanto quanto imparato dalle esperienza ate a Roma ed a quello che le sue strade gli avevano insegnato.

Uscito dalla cucina si adagiò sul divano della sala accendendo la tv per sbirciare un qualche notiziario visto che tanto di dormire non se ne parlava ormai per il momento. Sky tg24 era già sulla notizia del chirurgo, fortunatamente non era ancora trapelata l’indiscrezione riguardante il traffico d’organi che veniva evidenziato dalle tracce trovate sul suo pc; per il resto il suo nome oltre a quello del chirurgo, c’era ed era ripetuto abbastanza chiaramente. Iniziava tutto da quel momento, da quel momento non avrebbe avuto più respiro. Prefetto, Sindaco, dirigenti, sarebbero stati tutti con il fiato sul collo per cercare di far risolvere prima possibile la situazione. Per loro era più importante risolvere ciò che a loro premeva di più, ciò che per molti e non per tutti era il vero problema che saltava fuori da quel momento in poi: la risonanza degli organi di stampa; campagne elettorali, richieste e compromessi politici venivano messi in allarme dal nemico

principale dei movimenti sotteranei del Paese. Lui e Tolli erano ufficialmente nell’occhio del ciclone.

Il suono dell’sms fece vibrare il Nokia poggiato sul divano:

“Ho saputo che hai deciso di farti intervistare sul caso Colombo. Fissiamo appuntamento ??? :-D” Era il messaggio di Moggia, Alessandro Moggia, quello che forse somigliava più ad un amico di tutte le persone che aveva conosciuto e che frequentava a Milano; giornalista, scrittore di cinema per ione, aveva scritto un magnifico libro su Clint Eastwood, anche lui romano trapiantato a Milano come De Angelis, molte volte si confrontava sulle indagini con l’ispettore il quale, da parte sua lo consultava come fosse una voce della coscienza, un occhio neutro esterno in facoltà di dare delle opinioni che molte volte facevano pendere la bilancia delle decisioni di De Angelis in maniera definitiva.

Una smorfia di sorriso gli segnò il volto, pensò cinque minuti sul da farsi e…lo chiamò…: “Sandro ? Sono Claudio..”

“Sai che nel 2010 i numeri ed i nomi memorizzati sui cellulari appaiono quando si ricevono telefonate ? Lo so che sei tu Cla’ ho visto il nome”

“E’ abitudine abbi pazienza…”

“Abitudine anni ‘90 direi….allora ? Ti intervisto per il giornale ?

“No. Non ora almeno, abbiamo soltanto un referto medico e tre deposizione mezze spontanee non mi sembra il momento di rilasciare interviste Sandro”

“Ma quindi c’è qualcosa in più rispetto alla comunicazione ufficiale della Questura ?”

“Sandro, abbi pazienza qualche giorno e poi ci vediamo così ti ragguaglio su quello che c’è da investigare…sai che da domani c’avrò tutti attaccati al culo pensa tu che umore ho in prospettiva”

“Jessica quant’è che non la vedi ?”

“Tre giorni pieni…e me ce girano pure di più le palle”

“Immagino…ascoltami: fra un paio di giorni ho una specie di inserto da terminare per il prossimo mese sulla cronaca nera. Se riusciamo a farla possiamo inserirlo come ultimo scoop”

“Ma che ho iniziato a lavorare per te e non me ne sono accorto ? Damme tempo e poi puoi iniziare a dare sfogo alla penna…dai su’ ! Stasera sono in Fatebene dalle nove se vuoi ci possiamo vedere per un caffè sul tardi se sei in redazione”

“Occhei, te faccio sape’. Bella a dopo”

“Ciao Sa’”

Dammatrà 4° ep. 2a parte - L'insostenibile amaro insonne

Il cerchio di fumo correva dalle labbra al viso dell’uomo legato alla sedia. Era al buio e completamente fradicio. Il sangue scendeva dal sopracciglio destro inzuppando il bavaglio con il quale era costretto. Le mani legate dietro la schiena avevano perso sensibilità, il sapore metallico del suo sangue iniziava a dargli il voltastomaco. L’orecchio destro ormai senza più il lobo aveva completamente perso la sensibilità così come la mano sinistra la quale privata delle dita dava la sensazione di avere il braccio intorpidito; non era la sensazione. Il dissanguamento era stato suturato bruciando i moncherini con una ossidrica da distanza ravvicinata. Udiva distintamente la musica pervenire dallo stereo alla sua sinistra; i System of a Down continuavano ad urlare e pestare sugli strumenti da più di un’ora. Adesso la tregua era data da “Lost in Hollywood” dolce melodia che lo stava intorpidendo mentalmente. O forse era il dissanguamento e i colpi ricevuti ”…they find you, to time you say you’re the best they’ve ever seen…”. L’uomo di fronte a lui continuava a fumare, calmo, imibile, tranquillo; indicava esattamente all’altro, al quale si rivolgeva col nome di Nazar, i punti del corpo da colpire mutilare, suturare. Di colpo la testa ricominciò a girare, la musica tornò ad essere veloce ed aggressiva ed il suo corpo subì di nuovo colpi violentissimi. Stavolta fatali.

“Nazar hai esagerato…troppo violenti troppo pesanti. Ora lui è morto, non può più parlare e noi non sapremo tanto presto come siamo messi in questo affare.”

“Sì Alexandar ma non potrà farlo fortunatamente con nessun altro però “

“Chiama i cinesi così che possano prelevare almeno gli organi utili da vendere. Fagli portare molto ghiaccio in questo caso.”

“Chiamo immediatamente”

“E cambiati e lavati. Sei sudato fradicio e puzzi come un macellaio”

Alexandar scese una scala che lo condusse direttamente di fronte ad una porta che dava su un cortile rotondo, con una piazzetta con degli alberi nel centro; intorno transenne perchè l’ospedale stava ristrutturando dei padiglioni che dal lontano 1906 ancora non erano stati cambiati totalmente. Sarebbero diventati omologatamente uguale ad altri in poco meno di 5 mesi. Erano dentro la clinica dove milioni di bambini nacquero in tutti questi anni, nel padiglione Alfieri, la “Luigi Mangiagalli”. La clinica del dottor Colombo.

De Angelis si incontrò con Moggia in macchina, nei parcheggi di fronte i giardini di Porta Venezia, dal lato del distributore IP il cui proprietario, ex cocainomane ed attuale confidente segreto dell’ispettore, ogni tanto gli lasciava il gabbiotto a mo’ di ufficio per riunioni un po’ particolari. Tipo questa.

“A Sa’ però nun te posso di’ tutto tutto. Allora sembra che questo dottor Colombo avesse dei contatti con l’Est Europa per portare, sembra, organi da rivendere su quel mercato e, per alcuni molto costosi e preziosi, il contrario”

“…e ???…” seguitò Moggia

“E che ? De che ? Te dico che tutto tutto nun te posso dì. Famm cercare di capirci qualcosa in più poi magari ci confrontiamo con quello che magari riesci a sapere tu, poi magari mi paghi un bel pranzo e tiriamo le somme”

“Parlamose chiaro Cla’” disse incisivo il giornalista ” se poi scopriamo, tiriamo le somme, smuoviamo le acque…l’esclusiva me la devi lasciare su tutto quello che succede !”

“Se scopriamo, tiriamo le famose somme così come dici tu. Ma se per puro caso è come mi immagino… …me sa che te devo mette sotto programma protezione testimoni Alessandro. Qui se smuoviamo smuoviamo la merda vera, quella fatta di gente di merda che fa traffici di merda e che proverà anche a farcela mangiare….e non dalla parte giusta temo”

“Occhei occhei come dici tu ma questo movimento non me lo lascio scappare. Ti starò incollato ispetto’ dovesse arrivare il mare a Milano !”

“Vedo che la prendi sul serio e sul serio ti coinvolgo. Sempre con il rispetto dei ruoli però eh ?! Io guardia tu giornalaio…”

“Siamo d’accordo !”

“Chiama Tolli verso le sei e ti aggiorniamo; tu ed io comunicheremo per interposta persona oppure con messaggi nei soliti posti in buste o chiavette Usb. Bella !”

“Bella pe’ te Cla’. A più dopo”

La brace del Sunrise, il cigarillo che solitamente usava fumare in quantità

giornaliera mai superiore ai sei, ardeva e si colorava di quell’arancione che soltanto il fuoco poteva regalare al tabacco biondo e morbido che si consumava. Il posacenere della macchina di servizio era saturo anche perchè il tempo d’attesa si avvicinava intorno alle tre ore buone. Mai avuto un orologio lui, ce ne sono fin troppi in tutto quello che di tecnologico possediamo e ne aveva rinunciato fin da quando telefoni cellulari, macchine con display digitali e radio dotate di Rds avevano invaso la privacy delle belle indagini vecchia maniera senza tempo e senza ansie.

Tolli si era allontanato per consegnare la busta con un messaggio di aggiornamento per Moggia nel bar accanto alla fermata dell’autobus di fronte al cinema Ducale, in Piazza Napoli; l’ispettore era rimasto nell’auto parcheggiata in direzione Lorenteggio, verso il Giambellino poichè la soffiata del pomeriggio parlava di una consegna all’ospedale San Paolo direttamente dalla circonvallazione esterna.

Basso. la faccia deformata dall’alcol di cui faceva un uso incontrollato, una calvizia ereditaria che gli faceva partire i capelli da metà testa escludendo immediatamente la fronte. Erano però neri almeno, neri come la pece, le mani piccole e tozze con le dita che sembravano essere state fornite a metà della lunghezza necessario; perennemente arrossato in viso, dovuto ai capillari sotto sforzo, i piedi piatti e grandi che lo facevano sembrare uno di quegli hobbit dei racconti di Tolkien. Si faceva chiamare Paolino perchè maniaco dei panini con la porchetta dei baracchini dei centri commerciali brianzoli, dove risiedeva, i quali comprendevano assolutamente una postazione di camioncini con griglie e birre alla spina che avevano l’insegna denominata proprio “E’ ARRIVATO PAOLINO”. Ne era dipendente quasi come lo era dell’amaro Montenegro, consumato in due bottiglie alla volta, che gli toglieva la lucidità per gran parte della giornata.

Dopo il rapporto messo insieme dall’Interpol lo avevano chiamato poichè aveva una sorella infermiera nel reparto trapianti della clinica Madonnina di Porta Romana. E lui non aveva perso tempo. Lui aveva dato la dritta a De Angelis ed a

Tolli:

“Ispettore non ci crederà ma questo è il mio giorno fortunato ! ano per la clinica di mia sorella per cambiare la destinazione di due polmoni e poi sono diretti al San Paolo per consegnarli. Uè pagamento in contanti senza troppe menate e paranoie. Arriveranno verso le sette di sera quindi eranno dal Giambellino, l’è l’unica strada per arrivare in fretta, verso le otto. Voi li aspettate e taaaac ! Una bella promozione !”

“Paolino non dire stronzate. Noi non arrestiamo nessuno dobbiamo risalire al distributore possibilmente e per cui…”

“G’ho capì ! Volete masticarci qualcosa anche voi eh ?!”

“Paolino appena finisco qui, ti trovo e ti spacco la prima bottiglia di amaro che non hai ancora tracannato. Che cazzo ti salta in mente ? Vuoi che rendo attiva ed immediata la denuncia per molestie di quella tassista 25enne alla quale sei saltato addosso completamente ubriaco con l’uccello di fuori ??? Due anni de gabbio te li vuoi fare ?”

“No no ispettore mi scherzi !”

“Allora sciaquate quella chiavica di bocca che ti ritrovi, attaccate alla bottiglia che hai accanto e ci facciamo sentire noi appena abbiamo casomai bisogno ancora di te e delle tue spiate !”

“Dice già cazzate ?” chiese Tolli che gli era accanto in uffcio quando raccolsero l’informazione

“Sì sì non lo sopporto più…” ripose De Angelis

“Lascialo perdere dov’è tanto fra mezz’ora non ricorda più nulla di quel che t’ha detto el anda a ciapal in del lisca !

“Quando mi parli in dialetto non ti resisto “

“Pirla ! Mena no el tulon !”

“Appunto…”

Esistono diverse tipologie di trapianto, a seconda della tipologia del donatore, che può per alcuni tipi di organo essere una persona vivente ma anche a seconda del tipo stesso di trapianto, il quale può essere di due tipi: ortotopico, l’organo originario malfunzionante viene rimosso, e l’organo del donatore viene piazzato nella stessa posizione anatomica dell’organo originario, oppure eterotopico un nuovo organo viene affiancato a quello vecchio non più funzionante, che però rimane al proprio posto; questo tipo di trapianto viene detto anche ausiliario.

Dal punto di vista clinico il trapianto è l’unica possibilità di cura per un vasto gruppo di malattie degenerative, talora ad evoluzione acuta, in cui la terapia sostitutiva non è sempre possibile.

Tecnicamente il termine appropriato per definire la rimozione di un organo o tessuto da un organismo donatore è prelievo di organi o tessuti; il termine espianto infatti tecnicamente va riservato al prelievo di un organo precedentemente trapiantato e rimosso per motivi diversi, non funzionamento, trapianto “domino”. Nella lingua d’uso comune il termine “espianto” è spesso usato nel senso di “prelievo”. Il termine di “trapianto” a rigore dovrebbe essere riservato agli organi, mentre per definire l’impianto di tessuti si usa il termine “innesto”: ad es., “trapianto di cuore”; “innesto di valvole cardiache”.

Questo leggeva Tolli, seduto in camera da letto sul divano ad un posto, che il fratello gli aveva regalato per Natale; viveva in zona Forlanini in un appartemento preso in affitto negli ultimi 5 anni sempre e solo da poliziotti di aggio nella città meneghina e poi trasferiti al Sud, vicino alle loro città d’origine. Tolli da quell’appartamento non se ne sarebbe invece mai andato. Erano le quattro di una notte piovosa e fresca che stava annunciando l’imminente autunno. L’insostenibile sapore amaro dell’insonnia aveva iniziato a colpire anche lui, grande e grosso, sbuffava e ciancicava a vuoto nel tentativo di sopire preoccupazione repressa e paura per quello che avrebbero dovuto affrontare.


La corda era tesa ed i polsi iniziavano a sanguinare per la corrosione del tessuto contro la pelle. Il sudore che inizialmente aveva imperlato la sua fronte ora, si faceva copioso e goccia dopo goccia prendeva la via delle rughe intorno agli occhi scendendo ancora un po’ e arrivando fino al mento. Era stato lasciato là, ancora frastornato da quello che era successo nell’ultima ora, seduto e legato ora addirittura, si era accorto, imbavagliato. Come era stato possibile ? Tutto era iniziato con l’approccio, il brindisi, magari due o tre, poi via dal locale fino a casa di lei. Il sesso, quello vero, fra sconosciuti, violento, apionato, senza timidezze o imbarazzi. Per più di due ore. Poi il gioco erotico era diventato incubo. Si ricordava nitidamente del rumore che la piccola mannaia da cucina, quella con la quale lui solitamente spaccava il pollo in due o più parti, gli aveva di netto staccato le prime due dita del piede destro. L’urlo lancinante terribile. La musica elettronica a tutto volume aveva coperto tutto . Dalle urla orgasmiche delle ore precedenti alle sevizie che ora subiva dalla sua carnefice. Le ossa erano visibili e non poteva guardarle di nuovo. Aveva già guardato e i sensi li aveva persi per quello. Seduto, con il sapore salato del sesso della sua carnefice sotto al naso e sulla bocca, attendeva il ritorno di quel furioso essere che non si sa bene da dove, canticchiava preparando chissà quale altra sevizia.Però, che bella che era. Bionda, occhi rotondi, verdi, fisico non perfetto ma perfetto per il suo viso, la sua altezza, il suo portamento. Chiappe sode e rotonde seno non troppo grande ma perfettamente in alto sodo e duro. Ne aveva goduto, ne sarebbe morto.

Accartocciato in un angolo il vestito turchese con la quale l’aveva conosciuta e dal quale l’aveva separata scoprendo il suo corpo abbronzato con le spalle coperte di efelidi brune ed il profumo di agrumi estivi che lo aveva colpito mentre le parlava accostandosi al suo orecchio, qualche ora prima, nel locale.

La stanza era abbastanza grande, la sedia dove era legato era posizionata di fronte al letto alle cui spalle si trovava un grosso specchio che occupava tutta la parete. Aveva una grossa cornice nera intorno e la parete era di colore fucsia, intenso. Riflesso nello specchio si vide, nudo, le mani legate con un nastro di velluto nero, la pozza nerastra ai suoi piedi, il petto imperlato di sudore. Gli occhi erano gonfi, lividi. Quindi lo aveva colpito prima o dopo il taglio delle dita ? Questo lo ignorava assolutamente. Quello che ricordava con nitidezza erano le ultime parole che le aveva sentito pronunciare: -Ci sono molti modi per farmi godere e questo e’ forse quello che preferisco… Mentre si leccava le dita della mano destra sporche di sangue, che avevano appena fatto cadere la piccola mannaia da cucina. Svenne. Non capiva se fosse un incubo o realmente lo stavano lavando, ma la percezione di cio’ l’ebbe quando apri’ gli occhi, nella penombra ancora della stanza ora diventata calda insopportabilmente per la stantia aria che conteneva dalla notte prima. Che ore fossero non lo avrebbe saputo dire perche’ luce dalle imposte non ne filtrava; solo quella maledetta lampada alogena di quel magazzino di mobili svedese a basso costo che irradiava, o almeno cercava di farlo, la camera. Lei era a cavalcioni sopra di lui poggiando i piedi sui braccioli della sedia accovacciata con le ginocchia all’altezza delle sue spalle e stava beatamente urinando sulle gambe addormentate ed amputate di due dita dei piedi. L’assurdo era che a lui tutto cio’ non dispiaceva, anzi per la verita’ lo eccitava.

Il pensiero di consumare un amplesso in quelle condizioni, con il ventre riscaldato dal liquido della sua carnefice, la mente che già pregustava le sensazioni già provate ore prima, lo stavo facendo perdere di vista la sua condizione di prigioniero sacrificale chissà per quale perversione. Non capi’ quindi se lo aveva risvegliato dal sogno ad occhi aperti fu il dolore lancinante al volto o il rumore delle ossa e cartilagini nasali che si frantumarono quando lei colpi’ di netto, secco, violento. La testata ravvicinata lo fece quasi svenire; lei balzò da sopra di lui, colpendolo di nuovo appena poggiati i piedi a terra, con un calcio di tallone sulla tempia sinistra facendolo cadere, legato e sanguinante, insieme alla sedia, sulla moquette. Sì, si era accorto solo ora che a terra c’era

della moquette, alta, morbida, blu di una tonalità appena più scura del vestito dal quale l’aveva liberata prima di sfrenarsi nella nottata torrida e languida di sesso. Stavolta svenne decisamente. Non sogno’ perchè si sogna quando ci si addormenta beatamente, senza costrizioni, senza violenza fisica o psicologica subita. Le gambe intorpidite, la testa che pulsava per i colpi ricevuti, occhi gonfi, pisti di sangue raggrumato, bolle di muco dalle narici fratturate. Il ronzio nelle orecchie non gli impediva di sentire che lei, proprio lei, stava parlando. Con chi ? Al telefono ? Al pc su Skype ? Cercò di aprire gli occhi ma soltanto uno rispondeva al comando del suo cervello che tentava di riconnettere un contatto con il mondo perverso e malato nel quale si trovava. - Sì, l’ho già sistemato, non credo che potrà neanche ribellarsi a quanto accadra’. Per che ora ? Dovrò dargli degli antibiotici altrimenti sarà facile che ci muoia prima PRIMA ??? PRIMA DI COSA ??? La domanda gli ronzava insieme al dolore nella testa, o almeno a quello che rimaneva della sua testa.

Si accorse che un lungo e largo tappeto di plastica era srotolato sotto di lui, più che un tappeto una vera e propria cerata protettiva, sembrava; in lontananza udiva voci che parlottavano animatamente. E rumori di ferri, pesanti, ingombranti. Stridevano a terra come venissero tirati a forza sul pavimento, il rumore veniva alle sue spalle. Immaginò ci fosse un corridoio lungo e stretto da dove facevano entrare quei ferri che producevano il fastidioso rumore.

La bocca asciutta, la testa pesante, non sapeva neanche da quanto tempo fosse rinchiuso legato, costretto e violentato, dentro a quella proiezione di incubo.

Apparvero in due, vestiti con colori neutri, o almeno a lui sembrava, la donna dietro di loro con in mano una bacinella con del liquido marrone. Parlavano in cinese i due, si avvicinarono a lui, lo presero per i capelli sollevandogli la testa

da terra. I lunghi capelli bagnati di sudore e sangue secco neanche si mossero.

“Gli armeni pagheranno almeno bene, è giovane, sano, forte e ben dotato e fisicamente resistente. Stanotte l’ho messo a dura prova” disse la sua carnefice al duo asiatico che si stava infilando guanti di lattice. Lui non capiva ancora bene cosa stesse succedendo. Si accorse soltanto nel momento in cui il gli misero una maschera di ossigeno, o almeno a lui sembrava quella, e prima di perdere i sensi riuscì appena ad emettere un suono, una parola, un ricordo:

“Gli occhi azzurri che hai sssssooooonnnnnoooo…..”. Si addormentò.

L’amputazione di entrambi gli arti inferiori non è insolita per i pazienti diabetici o per i pazienti affetti da una vasculopatia periferica. Come con l’amputazione monolaterale, la prognosi funzionale dipende dal livello dell’amputazione, sopra o sotto il ginocchio. Gli amputati bilaterali al di sotto del ginocchio, con protesi adatte, possono essere in grado di camminare senza bastoni o stampelle. Gli amputati bilaterali al di sopra del ginocchio, protesizzati, probabilmente possono camminare solo con due bastoni o stampelle. Però, la maggior parte dei pazienti anziani con amputazione bilaterale al di sopra del ginocchio non ha la forza o l’energia necessaria per camminare con le protesi.

Ma questo a lui non poteva interessare, sarebbe morto entro la mezz’ora successiva. Il duo cinese segava e martellava, tagliava con bisturi affilati e precisi, riponeva gli arti utili al commercio in buste di plastica sterilizzate che riponevano con grande cura nei recipienti criogenizzati con chiusura a pressione. arono agli organi interni o meglio agli organi richiesti entro le 24 ore dagli armeni. Iniziarono l’espianto dei bulbi oculari, facendo attenzione a non fare pressione eccessiva sulle cornee e sui bulbi stessi. Un fiotto di sangue macchiò il camice di uno dei due che imprecò nell’idioma di provenienza. Forse mongolo.

arono a cuore, reni ed orecchie. Il sangue aveva riempito la cerata sotto i loro piedi, la vittima della mantide non era più neanche una figura umana; era steso con la testa ricurva, due enormi buchi neri sopra al naso quest’ultimo gonfio, contornato dai grumi secchi di muco e sangue ricordo della frattura inflitta dall’algida killer ninfomane bionda e straordinariamente bella. Aperto in due all’altezza dello sterno, le viscere riverse sul telo protettivo, inerme e assurdamente terrorizzante agli occhi di chiunque.

Non a quelli di lei che, a debita distanza proprio per non sporcarsi, fumava i suoi sigaretti, appoggiata ad una cassettiera verde, i capelli che le scendevano sul lato sinistro del volto.

Squillò il telefonino di uno dei due chirurghi abusivi.

“Per favore Delia, puo ripondere ssarano arméni per infomare noi”

Fece una smorfia come per commentare in maniera critica il linguaggio accozzato dell’uomo.

“Chi parla ? Sì sono Delia, ciao Nazar. Credo che fra mezz’ora avranno terminato. Vero ? Dimmi dove ?

Bene io però non ci sarò, voglio sistemare un po’ qui, c’è troppa puzza di sudore, adrenalina e chiuso. Sì molto. Il cellophane verrà bruciato inseme a quello che non ci serve di lui. A domani” chiuse il cellulare e si rivolse ai cinesi

“Mezz’ora e vi aspetta sotto al ponte di Forlanini. Forza che non posso più sentirvi parlare, mi date sui nervi”


Spari nel vuoto, penzoloni quasi da un finestrino di auto, mentre l’aria gonfia le guance, capelli che volano indietro e moscerini che colpiscono il viso; clacson impertinenti che ululano nelle direzioni opposte. Un boato. La ruota anteriore che esplode, la macchina perde aderenza ma, Tolli, la tiene in strada recupera la posizione ed accelera ancora di più pigiando il piede sull’acceleratore della Bmw spingendola fuori giri ancora all’inseguimento della macchina blu che li aveva speronati all’uscita dell’ ospedale.

Una soffiata. Di Paolino ? Probabile ma sicuramente avrebbero sistemato dopo la questione con il loro informatore, ora, loro due, da soli, tentavano di raggiungere quella che doveva essere l’unica traccia di collegamento che avevano con quella brutta inchiesta che stava togliendo loro il sonno.

Il sudore correva dietro la schiena di De Angelis che continuava a sballottare fra il montante dello sportello ed il tetto dell’auto cercando di tenere la mira precisa e di non cadere dall’auto in corsa; gli inseguitori rispondevano al fuoco zigzagando davanti a loro ed avevano colpito oltre all’anteriore destra anche il parabrezza ed uno dei due fari. L’ispettore invece continuava a sparare e non si era accorto di averne colpito uno di loro alla base del cranio, precisamente quello seduto dietro, il quale aveva candidamente spiaccicato sul lunotto posteriore il contenuto della sua testa e giaceva ora sul sedile, ormai occupato dalla inutile massa corporea. Il suo pensiero adrenalinico lo portava a sperare di potersi avvicinare quanto bastava all’auto dei trafficanti per saltarci sopra, aggrappandosi agli sportelli o al tetto e fermarli sparando direttamente dentro l’abitacolo per finirli in maniera rapida e definitiva.

Tolli faticava a tenere dritta la macchina specialmente nelle sterzate, curve o deviazioni che fossero, sulla ruota destra colpita; sbandava, aveva già centrato a causa del cattivo controllo qualche cassonetto, delle auto parcheggiate e qualche semaforo. Praticamente dalla parte sinistra la macchina era completamente devastata, le mani sudavano copiosamente e continuava ad ogni urto a farsi scappare una di quelle bestemmie che tanto lo infastidivano pronunciate dagli altri quando le doveva ascoltare.

I cinesi della macchina inseguita da parte loro continuavano ad urlarsi addosso l’un l’altro, sporchi di sangue e di materia celebrale esplosa dal terzo compare che era seduto dietro con la testa esplosa. Il guidatore aveva iniziato ad aiutare il compagno sparando alla cieca con la mano destra che ad intervalli regolari sporgeva fuori dal finestrino esplodendo due o tre colpi per volta. Proprio durante una di queste raffiche non poté scalare la marcia nella curva che da Via Novara portava verso via Turbigo, affrontandola in quarta, perdendo aderenza andando in testa coda; nel panico della manovra per sistemare quell’errore il cinese alla guida impugnando il cambio sparò accidentalmente dall’interno dell’abitacolo verso l’interno del cofano motore. Il proiettile traò la carrozzeria, uno dei tubi dell’iniezione facendo spruzzare fuori la benzina che andando in combustione per il calore creava un enorme fumo bianco che, girando su se stesso, formava vortici soffici che sembravano zucchero filato.

Proprio dello zucchero filato sembra l’odore del sangue che brucia. Squaglia il grasso della pelle attaccando anche i tessuti sintetici dei vestiti ai sedili dell’auto formando un corpo unico con le molle che rinforzano le sedute.I denti cadono dalla bocca incandescente e completamente arsa dal fuoco. Gli occhi escono dalle orbite e vanno in liquefazione lasciando soltanto che i cristallini volino nell’atmosfera.

Sbandando e perdendo benzina a causa del colpo di pistola esploso all’interno dell’abitacolo, appena la macchina dei corrieri cinesi andò a schiantarsi contro la betulla che c’è all’inizio di via Turbigo, esplose deflagrando violentemente e bruciando tutta la vegetazione intorno all’auto per un raggio di quindi metri.

L’auto di Tolli e De Angelis, ormai vicina all’altra, venne investita dallo spostamento d’aria causata dall’esplosione; De Angelis scaraventato sull’asfalto perse la pistola nell’urto, colpendo il marciapiede con la schiena e perdendo i sensi all’istante; Tolli invece venne scaraventato contro lo sportello durante le carambole che l’auto fece per ben quattro volte prima di fermarsi dentro un cespuglio di oleandri cresciuti chissà come accanto al bosco in città.

Le sirene delle ambulanze che arrivavano a tutta velocità destarono l’ispettore sdraiato sull’asfalto, immobile ed incapace a muovere anche le gambe a causa del colpo subito.

“Fermo, non si muova !”

“Svelti con quella barella !”

“Collari collari per bloccare la schiena!”

Le urla si susseguivano concitate e De Angelis riusciva soltanto a pensare ad alzarsi per andare a cercare qualche lurido indizio nell’auto in fiamme che avevano inseguito per mezza Milano senza, con questo finale d’avventura, avere in mano nulla di utilizzabile per riuscire ad arrivare alla fonte del traffico di organi che li aveva portati fin là dall’omicidio del laido dottor Colombo.

“Ispettore stia fermo per cortesia altrimenti non riesco a bloccarle il collo”

“Ma che blocca e blocca, stia ferma lei piuttosto ! Devo raggiungere quell’auto

prima che vada completamente in fumo!”

“Ma è andata ormai del tutto, la smetta”

“Dottore lei non ha capito che se non mi toglie le mani di dosso immediatamente l’arresto pure ! Lèvate dar cazzo ho detto”

Si alzò con enorme prepotenza scaraventando il dottore lontano da lui, si riversò con le uniche forze rimastegli verso la pira in fiamme alla disperata ricerca di un qualsiasi potenziale appiglio ad una sentiero di verità che poteva portarli a contatto con l’organizzazione che c’era dietro.

Arrivato a pochi metri, prima di desistere dalla convinzione di poter trovare qualcosa, il miracolo. Il colpo di culo. La fortuna dei segugi insomma, chiamatela come volete ma la’, a pochi metri dall’incendio, un telefono cellulare. Macchiato di plasma, con lo sportellino rotto ed il display crepato dall’urto. Ma era lì, il telefonino di uno dei tre cinesi, dei tre cazzo di cinesi che avevano combinato tutto quel maledetto casino di spari, inseguimenti ed attacchi piromani.


Mentre i paramedici stavano cucendo l’avambraccio di Tolli che si era inciso la carne con il vetro del finestrino a causa dell’impatto, De Angelis avanzava, un po’ caracollante, verso il compagno.

- Uè Claudiètto, cos’è che hai in mano ? -

-Marco, un cellulare. Anzi il cellulare credo di uno di quei tre mandarini là -

- Ce ne andiamo in Fatebene e lo facciamo aprire come una prugna, ci tiriamo fuori tutto quello che c’è e ‘ndem a cuccare chi l’ghè dietro -

- Speriamo Tolli, speriamo -

La stanza era ancora buia e c’era odore di disinfettante, si spoglio’ accanto alla cassettiera dove i cinesi avevano poggiato i flaconi di candeggina. Via la camicetta, via il reggiseno rimase a petto nudo, scalza, con solo i pantaloni che iniziava a slacciare pregustando già una doccia fotonica che avrebbe lavato via le scorie dell’ultimo lavoro fatto per gli armeni.

Entro’ in bagno per chiudere la cabina ed aprire l’acqua calda per far formare un

po’ di vapore che avrebbe tenuto caldo ed umido il bagno; la corda di nylon le cinse il collo, da dietro, all’altezza del pomo di Adamo e sentì chiaramente la stretta di due braccia possenti che stringevano, stringevano in maniera violenta ed animalesca. Un rivolo di sangue inizio’ ad uscire dal taglio sul collo che le stava procurando, scivolo’ fino al capezzolo sinistro, gli occhi le stavano uscendo dalle orbite, il fiato stava terminando e le gambe si piegavano. Morì in ginocchio, il turgido rosso capezzolo fu l’ultima immagine nei suoi occhi prima di diventare blu in viso e stramazzare al suolo morta, soffocata, mezza nuda ed ancora con la convinzione che la vita che faceva stava per finire.

Nazar chiuse l’acqua della doccia, tirò fuori dalla tasca il sacco di plastica ed iniziò ad infilare il cadavere dentro. Il contatto con il corpo mezzo nudo della donna però lo stava facendolo eccitare. Ebbe un attimo di esitazione in cui immaginò di togliere i pantaloni alla ragazza ed iniziare un necrofilo amplesso sul pavimento del bagno umido e scivoloso. Squillò il cellulare, aprì lo sportellino e rispose al suo capo:

- Nazar non perdere tempo nelle tue solite stronzate. Lascia stare la ragazza e sbrigati a tornare qui con il corpo. So come sei fatto e che testa malata hai. I cinesi sono tutti morti e dobbiamo cancellare qualsiasi contatto con noi prima possibile, prima che la polizia scopra qualcosa per qualsiasi motivo. Dobbiamo tagliare i ponti con tutto e tutti. -

- Sì Alexandar ma ti giuro che è proprio quello che stavo facendo -

- Balle ! Non insultarmi con le tue puerili giustificazioni da maniaco quale sei. Ti ricordo dove e come ti ho salvato 12 anni fa ed i tuoi vizi sono duri a morire. I bordelli nei quali vai a fare l’animale mi fanno rapporti ogni volta che ti servi delle nostre ragazze -

- Scusami Alexandar, arrivo subito lì da te -

- No ! Vai nel sotteraneo della clinica, metti la ragazza nella vasca dell’acido e poi smaltisci tutto come al solito, non voglio avere neppure un osso che si possa ritrovare -

- Ci può essere qualcosa del suo corpo che possiamo vendere ? -

- Non voglio nulla di quella schifosa maniaca. Soltanto a te piaceva a me ha sempre fatto ribrezzo e non voglio nulla di suo da rivendere, perciò fai come ti ho detto. Ti aspetto fra 3 ore al nostro ristorante -

- A dopo -

Il cellulare iniziò a squillare di nuovo e l’uomo automaticamente lo prese e rispose quasi sbuffando:

- Sì Alexandar, sto andando dimmi cosa vuoi ? -

- Te dice male Ivan Drago nun so’ Alex-comecazzosechiama-andar -

- chi cazzo parla a questo telefono ? -

- Veramente vorrei sapere come ti chiami tu, io ho tlovato questo cellulale nella giacca di mio amico cinesino… -

- Chi SEI TU ?! -

- Ah ecco, me dovresti mette paura con quella voce … sono quello che appena ti localizza te viene a pija’ e se famo un par de chiacchiere su tle cinesini molti ed una scatola surgelata de organi umani !!! -

- Tu doveresti fare paura a me ?! Sei uno sbirro vero ?! Sei morto sbirro -

- Se vabbé me l’hanno già detta questa… -

- Ispettore - lo interruppe l’analista tecnico Bianchini, fenomeno informatico in forza alla Speciale di Fatebene - lo abbiamo localizzato il pirla, è in via Sciesa dietro 5 giornate -

- Acchiappa le due volanti più vicine, convergile dietro questo stronzo che Tolli ed io partiamo ora e ce lo andiamo a pizzica’ fresco fresco -

- Occhei Ispettore -

- Cojone ce sei ancora ??? Mo’ arivo rallenta ! -

- Ahahahahahahahahahahahahahahahahah - scaraventando il cellulare fuori dal finestrino e accelerando sempre di più fra le viuzze dietro alla piazza.

Via Maffei, via Fogazzaro, viale Lazio (che de Angelis non apprezzava per via del nome) attraversò a tutta velocità i binari del tram piombando in viale Montenero dove venne agganciato dalla prima volante che iniziò a seguirlo alla medesima velocità creando il panico fra automobilisti e anti.

Nazar sentiva il corpo della donna sbattere nel portabagagli vuoto mentre saliva su un marciapiede per evitare un furgone portavalori. Sballottando nell’abitacolo riuscì a tirare fuori con la mano destra la Glock che aveva nella giacca, iniziando a sparare alla cieca verso la volante che lo inseguiva. Il primo colpo fece andare in frantumi il vetro curvo della sua Citroen C3. Il secondo colpo raggiunse la sirena blu sopra la volante, ponendo fine all’ululato della luce che da sempre contraddistingue le auto delle forze dell’ordine segnalando un imminente pericolo come in quella situazione. Il terzo colpo ferì di striscio il poliziotto seduto accanto al guidatore, prima che questo iniziasse a rispondere al fuoco, mirando prima alle gomme e poi, vedendo la direzione impazzita che continuava a tenere, direttamente alla figura che seduta al volante, continuava ad investire tutto quello che trovava mentre continuava a sparare all’impazzata.

All’incrocio con Porta Romana la seconda volante intercettò la Citroen imbizzarrita piazzandosi di fianco e proseguendo a velocità impazzita mentre imboccavano via Sabotino; Nazar sparò immediatamente alle gomme della vettura facendola sbandare prima della curva all’imbocco della via. Il poliziotto alla guida riuscì a tenerla in strada quel tanto che bastava per permettere al suo collega di mirare in faccia Nazar, iniziare la pressione del dito sul grilletto per cercare di centrare in pieno volto l’armeno. Il tram numero 9 tipo ADTranz Eurotram proveniente da Porta Vigentina, sulla curva vicino alle Mura Spagnole, centrò la volante in pieno; il guidatore non fece neanche in tempo a toccare i freni che l’impatto lo fece volare dall’abitacolo, sfondando il parabrezza che, con uno dei suoi pezzi scheggiati, gli recise la giugulare facendolo morire sul colpo, con il busto incastrato nella parte davanti dell’auto. Il suo collega riuscì

appena a sparare ma, per l’impatto, il colpo non raggiunse il volto di Nazar bensì la spalla sinistra, facendo esplodere il finestrino lato guidatore. Molte schegge del finestrino schizzarono nell’orecchio e nell’occhio sinistro di Nazar che imprecò frenando d’istinto per il dolore e per la momentanea cecità. La prima volante che era all’inseguimento da viale Montenero non riuscì a fermarsi e a tutta velocità entrò dentro all’auto dell’armeno che picchiò in maniera violenta il volto sul vetro davanti, mentre le due macchine iniziarono una danza impazzita in avanti travolgendo tutto quello che incontrava. I due poliziotti, feriti, avevano perso i sensi quando la loro auto si fermò contro le macchine parcheggiate sul lato destro della strada. L’auto di Nazar continuò la sua corsa fino a travolgere i tavoli all’aperto del locale alla moda. Aperitivi, brunch e pranzi macrobiotici, sfamava la milanesità acquisita dei molti Bocconiani che lo frequentavano e che ora a bocca aperta, con cannuccia dell’aperitivo incorporata, assisteva interdetta alla catastrofeche gli si stava scagliando contro.

Un capannello di gente si era formata intorno alla sua macchina quando riaprì gli occhi, nello stesso momento in cui sentì un’altra sirena arrivare da chissadove.

- Dai, dai dai, spigni spigni che se lo perdemo ! -

- Claudio più di così non posso spinger mica questa macchina qui, siamo in mezzo al traffico non vedi ???

-

- Levatevi, toglietevi !!!! Ma nun la sentono la sirena ???? -

- La senton sì ma in questa viuzza dell’ostrega dove si posson buttare ?? -

- Sul marciapiede, che cazzo me ne frega se devono levaaaaaa’ !!!! Se lo perdemo Marco se lo perdemooooo !!!!! -

- No no che non lo perdiamo Claudio, dammatrà non lo perdo, lo seguo fin sulla luna quello schifùs -

Nazar ebbe uno scatto fulmineo dettato dall’istinto che in quegli anni aveva permesso a lui ed altri di salvarsi da situazione pericolose e spadroneggiare per le regioni del Nord Italia; scese dall’auto colpendo con lo sportello due ghisa che si erano avvicinati e lo scrutavano da fuori l’auto.

Impugnando ancora la pistola, a sangue freddo, sparò ai due vigili centrandoli al petto con il risultato di creare quel panico di cui aveva bisogno. Aprì il tappo della benzina, accese lo zippo, diede fuoco ad un brandello di manica della camicia e lo lasciò cadere dentro il serbatoio iniziando a correre verso via Ripamonti.

La macchina esplose andando in fiamme, il tendone del locale prese fuoco iniziando a cadere squagliato sui tavoli di legno che all’esterno lo rendevano un confortevole dehor, i vetri del locale per il grande calore iniziarono ad esplodere, presero fuoco alcune moto e scooter parcheggiati là accanto. Feriti da ustioni, gente che rimaneva a terra stordita ed impaurita.

La macchina di Nazar era una palla di fuoco, il cadavere della donna nel portabagagli era ormai carbonizzato, una pira di fumo nerissimo si innalzava verso la Porta che, eretta nel 1596, indicava la direzione per Roma da dentro il cuore della città meneghina, che creò anche la leggenda che quella porta fosse abitata dal diavolo. Quel diavolo che aveva dato inizio a quel massacro e che ora

correva su via Ripamonti, col volto insanguinato, una pistola nella mano destra diretto verso la campagna per meglio mimetizzarsi e sfuggire a guai ancora più grossi se mai ce ne fossero stati.

Tolli arrivò in testacoda per evitare il groviglio di sangue e fuoco che gli si parava davanti, De Angelis scesa prima ancora che la macchina si fermò, estrasse la pistola correndo verso l’incendio. In lontananza alcune sirene annunciavano la loro partecipazione alla mattanza.

- Dov’è ? Dov’è ? - chiedeva l’ispettore ad uno dei due poliziotti della prima volante che era accasciato sul marciapiede con il volto insanguinato ed una gamba fratturata

- L’ho visto chill’ figli’e zoccola scappava verso Ripamonti Ispetto’ verso Ripamonti -

- Marco, Marco dai ripartiamo ! E’ andato verso Ripamonti, a piedi ! ‘Ndo cazzo me scappa lo pijamo dai, dai - Tolli era impitrito ed incredulo di fronte allo scempio che guardava catatonico; una volante con due corpi senza vita e sanguinanti era tritata da un tram dietro al quale si innalzava una collina di fumo nero reso ancora più denso dagli idranti dei pompieri. Due agenti feriti gravemente giacevano fuori dall’altra volante in attesa del 118, due vigili urbani erano distesi a terra con due buchi sul petto dal quale il sangue che scendeva formava una pozza accanto alle rotaie. Era novembre e il cielo grigio non presagiva niente di buono.

DAMMATRÀ 6° capitolo - 1a parte - l'odore, acre, della paura

Il suo nome quasi per un caso era identico a quello di una piccolissima cittadina, popolata da 56 abitanti, situata nella comunità autonoma della Navarra, in Spagna; anche un antico amuleto turco porta quello stesso nome, fatto a forma di occhio, di colore blu. Deriva dall’arabo e significa “a vista” oppure “vedere”. Serve a scacciare il malocchio. Proprio in Turchi ed anche in Grecia.

Il papà era un agente dell’ASALA organizzazione guerrigliera marxsista/leninista fondata a Beirut, che operò nel decennio 1975 sino all’86. L’ASALA era l’esercito segreto armeno per la liberazione dell’Armenia stessa, inseriti negli anni ‘80 nelle organizzazioni terroristiche da parte di Stati Uniti e conseguentemente dall’ONU. Guardia del corpo personale negli ultimi anni di attività del leader indiscusso Hagop Hagopian, rimase ucciso nell’attentato del 1988 appena fuori dalla sua casa di Atene dove risiedeva e dove il papà di Nazar prestava servizio come controllore unico dell’incolumità del suo capo.

Orfano di padre, si trasferì con la madre in Italia dove alcuni parenti lavoravano come maestranze in un paio di imprese edili del Nord Italia.

L’escalation verso la vita criminale fu immediata e soddisfacente per Nazar che divenne in poco tempo un malvivente di spicco delle province Venete e friulane controllando la prostituzione e lo spaccio; le province del NordEst furono battute e sfruttate in lungo ed in largo dal giovane Nazar finquando il o falso lo colse in fallo. Dopo una notte di sballo totale picchio’ troppo forte una delle ragazze bulgare che controllava nei suoi strip club della nebbiosa ed umida provincia, tanto da farla finire in ospedale con delle menomazioni fisiche.

La crudeltà che lo avrebbe negli anni eccitato sempre di più iniziava a venire a galla, il piacere della sevizia, il gusto dell’umiliazione attraverso la forza.

Dovette intervenire allora Alexandar Zartarian, il padrino e padrone delle province, di base a Milano, che lo fece sparire per un po’ dalla circolazione, dandogli ossigeno con documenti falsi ed una nuova fedina penale immacolata, perfetta, in cambio della sua fedeltà e lealtà come guardia del corpo, controllore dei suoi affari nel Nord Italia e per sempre esecutore delle sue punizioni contro coloro i quali disobbedivano al padrino.

Il controllo delle zone grazie alla violenza di Nazar ed alla ferocia di Alexandar si fece di anno in anno più agevole, più ordinato, tanto da distrarre i due in altri traffici, più redditizi come quello degli organi, traffico in cui De Angelis e Tolli si erano imbattuti oggi, loro malgrado.

Era buio ormai, l’umidità di novembre entrava nelle ossa indolenzite di Nazar che per sfuggire all’inseguimento si era dato ai campi dietro al cimitero di Chiaravalle sfuggendo così anche aglli elicotteri che sembrava, adesso, aver interrotto le ricerche.

Uscì dalla tubature di cemento dove si era nascosto, sotto al ponte in direzione Poasco, bagnato, ferito al volto e ad una spalla, senza più possibilità di comunicare con Alexandar. Si incamminò nel buio seguendo in lontananza le luci del piccolo centro abitato ai confini con la periferia di Metanopoli accanto a San Donato Milanese. Rimaneva in mezzo ai campi percorrendo sentieri paralleli alle strade asfaltate per non beccare magari una pattuglia che rientrava da un sopralluogo per cercarlo.

Le gambe erano pesanti, la testa bollente. Sicuramente aveva febbre, perdeva sangue e le tempie pulsavano da matti. Non voleva fermarsi, voleva raggiungere Milano, magari rintanarsi nel nascondiglio sotto al padiglione Alfieri dove avrebbe potuto riposarsi e dare tregua alle sue pessime condizioni.

La luce della villetta familiare lo colpì agli occhi come un’idea infallibile, come un dolore finito. Si avvicinò al cancello coperto dalla nebbiolina umida della pianura, scavalcò il muretto di cinta e puntò alla rampa che portava al garage. La basculante era socchiusa e in silenzio entrò nella buia rimessa. Non arrivavano rumori dal piano di sopra, cercò un interruttore per fare luce ma non ne trovò.

D’istinto portò la mano alla tasca destra ma l’accendino era rimasto in terra, in Viale Sabotino, accanto alla macchina incendiata; iniziò a cercare toccando tutto quello che nel garage sporgeva dal muro. Cadde un barattolo. Rimase in silenzio trattenendo il respiro aspettando che qualcuno scendesse per controllare. Il sudore malato della febbre gli colava dalla fronte facendogli bruciare e strofinare gli occhi. La sua paura iniziava ad avere un odore riconoscibile, un odore che sulla strada si sarebbe immediatamente sentito. Un odore che sulla strada l’avrebbe esposto al pericolo più grande. Il definitivo.

Nulla, nessuno scese a controllare. Continuava a non udire alcun rumore dal piano superiore. Prese coraggio convincendosi che la casa fosse deserta. Iniziò a salire la scala a chiocciola, faticando a mantenere l’equilibrio. Una sala con un piccolo angolo cottura gli si parava davanti. La luce dei lampioni che entrava dalle finestre lo aiutava ad orientarsi; cercò immediatamente un bagno dove poter cercare un medicinale e dove poter verificare i danni subiti.

Si ricordava dell’appuntamento che Alexsandar gli aveva dato; non poteva però presentarsi così. Oppure l’idea dell’Alfieri era quella giusta ?.

La macchina trovata nel garage della villetta viaggiava in tangenziale sbandando un po’ nelle curve a sinistra. L’occhio e la spalla non stavano granchè bene anche se le quattro bustine di Aulin e le 4 aspirine che aveva preso ed ingerito nell’armadietto a specchio nel bagno non avevano dato l’effetto desiderato. Arrivato all’altezza di piazzale Bologna ò largo da Corvetto dove il pericolo di un posto di blocco era più denso. Svoltò poi per via Tito Livio girando largo da Porta Romana ed imboccando via Curtatone per raggiungere l’ospedale. Parcheggiò di fianco alla sinagoga e dal parcheggio sotterraneo di fianco al complesso ospedaliero, o’ da una delle porte tagliafuoco che si trovavano accanto agli ascensori. Il rifugio lo fece sentire più tranquillo, si appoggio’ al divano dove Alexandar era solito sedersi mentre torturavano le vittime, sfilò le scarpe. Dal frigorifero presa la bottiglia di vodka, quella con le oche in rilievo. Crollo’ in un sonno pesante, tossico e violento.

“E’ impossibile che sia scomparso ! Da solo acciaccato e mezzo morto, a piedi pe’ campi !!! Come cazzo ha fatto a spari’ ?!?!?! “. “Ispettore non so’ non lo trovemo ma neanca coll’elicottero”. Era veneto il maresciallo Baldacci mentre Maroncelli nella stanza accanto cercava di tapparsi le orecchie per le urla di De Angelis.

“Claudio, senti ma se facciamo una pausa per oggi pomeriggio? Recuperiamo un po’ son due giorni che non dormiamo . Altrimenti ti te fa cume l’Isacch che’l strascia i camìs per giüstà i sacch”

“Madonna Marcoli’ questa nun l’ho mica capita !? Che vòr dì ?”

“Significa che altrimenti non troviamo rimedio peggiore del male e poi parè ‘n gatt che l’ha mangià i lüsert. Dormi un po’, mangia, stai con Jessica stanotte e domattina presto si ricomincia. Idee schiarite, un po’ di sonno in cascina e comm’ du’ cagnass’ seguiamo la preda”

“Giuro che ho capito la metà de quello che hai detto ma va bene, hai ragione. Siamo e sono troppo stanco per continuare. Ragazzi tutti a casa fino a domattina alle settemezzo. Poi qui e mettiamo un po’ d’ordine in questa situazione”

La strada dalla Questura di Fatebenefratelli all’appartemento di Jessica la percorse a piedi, fumando, ripercorrendo gli eventi degli ultimi due giorni. L’appostamento, l’inseguimento, il disastro che era successo nel centro di Milano. Incendi, incidenti, morti, panico, inseguimenti. La stanchezza gli mordeva le gambe. Il pensiero di essere soltanto ancora all’inizio della schifosa storia nella quale erano precipitati lo preoccupava. Già in macchina con Tolli alla guida, era un grande, durante l’ultimo inseguimento aveva avuto una sensazione di nausea, di malcelata tolleranza per quella vita che gli rubava la vita. Una vita che arrestava i suoi desideri, i suoi sogni. Una vita che castrava i lunghi e pindarici voli che da bambino gli davano il sorriso la voglia di avventurarsi sempre in situazioni dubbie, buie ma sorprendentemente per lui stimolanti. Il telefono vibrò nella tasca. Era Jessica.

“Amore puoi parlare ?”

“Sì piccole’. Sto tornando a casa, tu ci sei ?”

“Son qui dalle cinque di oggi. In pausa ho iniziato a vedere al bar il tg24 di Sky, l’incendio, il tram finito dentro la volante….ho avuto paura. Tanta. Ho iniziato a sentire odore di bruciato anche lì dentro, pensavo…sarà la suggestione…poi invece ho capito. Era l’odore del mio cuore che bruciava dalla paura che tu fossi ferito o addirittura….”

“Ho capito, ho capito. Diciamo che altre volte me la so’ vista brutta ma l’alberi pizzuti devono aspetta’ ancora un po’ amore.”

“Dai sbrigati che è buio. Ti accompagna Marco a casa ? “

“No sto venendo a piedi”

“Con questa pioggia ?”. Non se n’era neanche accorto. Continuava a fumare ed a pensare a la giacca completamente zuppa lo faceva sentire come impalpabile all’esterno.

“Arrivo subito. Mi faccio un bel bagno caldo e stasera stiamo un po’ insieme. Sempre che qualche serata mondana non ti porti fuori”

“Mi porta fuori solo quando tu non ci sei. Mi aiuta a non pensare quando sono sola”

Camminava, bagnato e rifletteva. Accarezzava la barba lunga e pensava. Moggia. Forse Moggia aveva scoperto qualcosa ma in quei due giorni non aveva avuto l’occasione di sentirlo. Chissà…

Svoltò l’angolo, era quasi arrivato. Fece una fermata all’enoteca all’angolo per prendere due bottiglie di “Bianco di Nera” uno dei preferiti di Jessica. Salutò e ed uscì dirigendosi verso il ventre caldo e protettivo della donna che amava, consapevole che sarebbe durato il tempo di quella notte e poi la caccia sarebbe ricominciata. E non sapeva quando sarebbe finita.

DAMMATRÀ 6° Capitolo - 2a parte - l'odore acre della paura

Era l’alba. Grigia e luminosa. Quel grigio del quale Milano si veste dalla metà dell’autunno fino all’inizio della primavera; il bavero della giacca di pelle nera si raffreddava ad ogni colpo di vento. Lo abbassò perché il fastidio della pelle gelata a contatto con la pelle del collo lo faceva rabbrividire.

L’appuntamento era proprio dietro l’angolo della stazione del ante ferroviario, sulla strada che portava in circonvallazione, alla fermata del ante ferroviario Dateo dove, con un sms, l’appuntamento gli era stato fissato dalla donna alla quale aveva telefonato dopo aver finito l’ultima parte di quella sua prima, personale indagine.

Partito da una intuizione rivelatasi efficace seguendo da redattore di turno un caso di scomparsa di persona, segnalato dalla Questura da dove proveniva il giovane cronista in apprendistato che aveva portato la notizia in redazione. C’era qualcosa che non tornava in quella denuncia. C’erano troppe casualità con gli ultimi avvenimenti dell’indagine di De Angelis. Una donna di 36 anni scomparsa. La compagna, omosessuale, denuncia l’accaduto, la Polizia va nell’appartamento e fra vestiti e documenti, trova corde, stimolatori elettrici, manette, bavagli. Giochi estremi fra amanti perverse e pervertite, pensano. Fanno are, fra ammiccamenti maschili ed imbarazzi repressi i ritrovamenti del materiale segnalandolo come archivio. Ha però uno strano collegamento con la storia che sta seguendo indirettamente insieme a De Angelis. La ragazza che denuncia l’accaduto è l’infermiera della Mangiagalli, una delle assistenti del dottor Colombo. Il dottore sul quale Tolli e De Angelis hanno iniziato l’indagine che poi li porta fino all’inseguimento devastante di Porta Romana.

Saltato sulla moto raggiunse presto l’appartamento trovando delle piccole tracce che, forse, potevano metterlo nella direzione giusta. La scomparsa era una gran bella donna dalle foto che erano nella casa, aveva un non so cosa di particolare nello sguardo delle foto, una sensazione che gli era rimasta addosso anche durante il tragitto che l’aveva portato alla fermata di Dateo. Ora stava aspettando Silvia, la compagna della ragazza scomparsa, riuscita ad incontrare con la scusa di una breve intervista da pubblicare sul suo quotidiano per evidenziare le incongruenze nelle indagini forse troppo misogine.

Lei era la classica istrice metropolitana, abbastanza distante da tutto ma decisamente coinvolta in molte delle cose che si depositavano, come una coltre di smog, nulla città; lavorava in Mangiagalli da quasi dieci anni e Moggia aveva colto un tremito nella voce quando, al telefono, si avvicinò al discorso sul dottor Colombo e sul lavoro che insieme svolgevano. Aveva avuto la netta sensazione di poter cavare qualcosa di buono da questa storia.

Il rumore del collegamento della registrazione che portava la loro conversazione su file audio fu impercettibile per orecchie inesperte. La telefonata scorreva tranquilla, non si erano accorti di nulla, si diedero appuntamento. Un appuntamento non più esclusivo. Un appuntamento con troppi invitati ormai, loro due, inconsapevoli dell’ombra che si allargava sul loro incontro.

“Lei è Alessandro Moggia ?!” la ragazza era alta, occhi azzurri, capelli castani. Moggia ebbe un sussulto dovuto all’inaspettata bellezza

“Sì, buongiorno signorina Silvia.:”

“Solo Silvia non si preoccupi. Beviamo un caffè ?”

“Volentieri. Venga andiamo…” attraversarono la strada diretti verso il bar all’angolo di Corso Plebisciti. L’uomo che li seguiva era seduto nell’auto nera, un’utilitaria di lusso, di fronte al marciapiede del bar.

“Un caffè normale per me ed un marocchino per la signora”

“Allora sig. Moggia mi voleva vedere per parlarmi di…?”

“Vede Silvia, la casualità ha voluto che occupandomi indirettamente della scomparsa della sua compagna……”

“Diletta”

“…della sua compagna Diletta ho incrociato alcune informazioni e casualità che vole vo che lei mi cercasse di chiarire una volta per tutte”

“Quindi le coppie di fatto omosessuali e l’opinione pubblica non c’entrano un bel cazZO !”

“La prego di calmarsi Silvia…”

“Calmarmi ? E perchè ? Perchè sto urlando dopo aver scoperto che mi ha ingannato per estorcermi informazioni non si sa su cosa ???”

“Beh, estorcerle mi sembra esagerato ed inadeguato al nostro caso. Siamo seduti a bere un caffè tranquillamente, lei è ancora sconvolta per quello che le è accaduto quattro giorni fa e di conseguenza è ancora spaventata. Ma non voglio costringerla assolutamente se non vuole”

“No, no, scusi…lei è così gentile e pacato. Mi dispiace molto, scusi ancora”

“Con il lei ora basta così. Lei è Silvia io sono Sandro occhei ‘”

“Occhei”

“Allora Silvia lei è infermiera assistente all’ospedale Mangiagalli vero ?”

“Sì ho iniziato un po’ di tempo fa’ poi sono diventata assistente e anche un po’ segretaria del dottor Colombo negli ultimi due anni”

“Proprio del dottor Colombo vorrei chiederle…”

“Pover’uomo, morire così, per un furto in casa, da parte di un paio di balordi…”

“Ecco, dicevo, sembra che non fossero proprio balordi. La Polizia sospetta che qualche collegamento potesse esserci fra l’omicidio ed il lavoro del dottore”

“Come può essere possibile ? Il dottor Colombo era un illustre primario di chirurgia conosciuto in tutta Europa famoso per trapianti e corsi di trapiantologia a livello mondiale “

“Lei ha mai avuto contatti con qualche suo informatore scientifico in particolare ? “

“Informatori non era proprio possibile incontrarne per noi però ho seguito il professore nell’ultimo anno in parecchi viaggi presso l’Università Statale di Yerevan in Armenia dove teneva numerosi seminari sui trapianti di organi”

“Continui la prego…”

“Durante le sue conferenze la gente pendeva dalle sue labbra, era magnetico, preciso, puntuale e professionalmente era rimasto umile così come l’avevo conosciuto. La sera poi organizzavano grandi cene in suo onore facendo arrivare da tutto il Paese colleghi che volevano solo conoscerlo, confrontarsi, parlare delle argomentazioni che portava per loro”

“Non ha mai notato magari qualcosa di strano negli atteggiamenti del professore, non so, delle piccole insicurezze, delle piccole manie per qualcosa, per qualcuno…”

“Guardi, a parte le conferenze e il presenzialismo che dovevo fare nelle cene organizzate io stavo molto per conto mio, con Diletta che mi faceva da cicerone perchè, forse non lo sapeva ma, Diletta era originaria armena ma i suoi fuggirono prima del ‘91 e della dichiarazione di indipendenza dall’Unione Sovietica per ricominciare nel nostro paese. Aveva appena otto anni…”

Eccolo il momento della scintilla, della rivelazione inaspettata; Moggia fu colpito da quella verità come un gancio alla mascella. Verificare le fonti, controllare, incrociare informazioni questo è il giornalismo investigativo nel quale, Moggia, aveva sempre tentato di iniziare a scrivere senza però mai trovare la sua storia giusta. Ora ce l’aveva. Aveva la storia, il collegamento, doveva solo verificare, incrociare magari, chiedere a De Angelis se avrebbe potuto funzionare il suo ragionamento, se qualche informazione avrebbe potuto aiutarlo.

“Grazie Silvia lei mi è stata di grandissimo aiuto”

“Ma…veramente non mi sembra le abbia detto molto…”

“Lei mi ha detto più di quanto creda. Grazie di nuovo, il mio numero lo ha se dovesse ricordare qualcos’altro non so un particolare in più sul professore, su Diletta, non si faccia scrupoli a chiamarmi a qualsiasi ora. Di nuovo arrivederci”

I microfoni direzionali di nuova generazione hanno una sensibilità ormai incredibile, anche se sosti al semaforo di fronte al locale nel quale sta avvenendo la conversazione che ti interessa, riesci nonostante il rumore del traffico e della città, ad ascoltare e registrare perfettamente tutto quanto. Ecco perchè quando Moggia usci’ di nuovo nella giornata grigia l’uomo della macchina che li stava tenendo d’occhio mise in moto ed iniziò a seguirlo.

Percorse il tragitto a ritroso, forse preoccupato che Silvia lo potesse seguire per non capiva quale motivo. Era soltanto paura. La sensazione di pericolo che aveva iniziato a pervaderlo da quando si era catapultato nell’appartamento delle due amanti contiuava a fargli fare strani comportamenti. Non si fidava. Forse

solo di De Angelis, il quale più volte lo aveva messo in guardia. Lui, giornalista di spettacolo più che altro, libri su registi importanti nella sua vita pubblicati. Clint Eastwood lo aspettava. Doveva finire il volume su di lui anche perchè l’anticipo della casa editrice stava quasi finendo. Non riusciva però a mettere in ordine tutti gli elementi che stava riuscendo a scoprire: gli armeni e l’Armenia, il luminare che porta nell’Est ancora poco sviluppato il verbo della medicina dei trapianti, la sua assistente fidanzata con una ragazza armena che a volte li accompagnava. Il dubbio. I collegamenti troppo evidenti adesso.

Silvia era uscita e si era precipitata alla fermata di Dateo per riprendere il ante ferroviario che, chissà in che direzione l’avrebbe portata. Nazar non poteva rischiare. Fra i due scelse di seguire Moggia. Quello che aveva ascoltato intercettandoli era sufficiente a preoccuparlo abbastanza da fargli centrare nel suo mirino il giornalista. Stava iniziando a diventare pericoloso. Alexandar era stato chiaro, a quel punto dovevano iniziare a difendere le loro posizioni da disturbi esterni che avrebbero potuto metterli ancora più in pericolo. Nazar era ormai ricercato da Polizia e Carabinieri, doveva muoversi con molta, molta cautela. Il loro terreno era minato e se l’eliminazione, ora, del giornalista fosse servita, non avrebbe esitato un attimo ad eseguirla ma, prima, doveva comunque attendere le istruzioni da Alexandar. Il semaforo rosso lo fermò proprio mentre Moggia attraversava la strada in direzione di Piazza Tricolore. Mise la freccia a sinistra e continuò a seguirlo non appena la luce verde si accese.

Nel controviale cercava di camminare zigzagando fra le macchine parcheggiate in mezzo alla spazio che c’è fra albero ed albero, in parallelo alle rotaie del tram che a sulla strada principale. Attraversò prima della chiesa dove c’è l’Opera Pia San sco, rifugio di senzatetto e papà separati in difficoltà economiche importanti, dirigendosi verso via Guicciardini. Nazar svoltò facendo una mezza inversione dal controviale e immettendosi anche lui nella via che Moggia aveva scelto per cercare di far perdere le sue tracce ad un ipotetico inseguimento di Silvia. Prese il cellulare e premette il nome di De Angelis che rispose al quarto squillo.

“Ciao Ale, che fai ?”

“Claudio sono vicino viale Piave tu sei in casa ?”

“Magari. Appena uscito. Sto andando in Fatebenefratelli a vedere se ci sono novità su quel cazzo de tipo scomparso nel nulla da due giorni…”

“Senti ho bisogno che se vedemo…”

“Ale c’hai l’affanno che succede ?”

“Ho delle novità su questa cosa del traffico di organi. Ho anche paura da tre ore a sta parte quindi prima se parlamo mejo è Cla’…”

“Occhei, occhei senti sono in moto, fermati all’enoteca di Viale Piave che fa angolo arrivo in dieci minuti”

“Che enoteca ed enoteca, vengo io in Questura. Sto più tranquillo. Ora prendo il tram e ci vediamo in ufficio da te”

“Come te pare. T’aspetto lì e….Sa’?”

“Eh ?!”

“Non fare cazzate”

Moggia si diresse verso la fermata del 61 che lo avrebbe portato alla sede centrale della Questura di Milano. Nazar si trovò incastrato fra un furgone che scaricava alimentari per un ristorante lì accanto ed una macchina che era in parcheggio. Non poteva forzare quella situazione. Troppo allo scoperto. Accostò alla sua destra con le quattro frecce accese, scese dall’auto e corse verso la fermata successiva a quella dalla quale vedeva Moggia.

Urtò un paio di persone ferme al semaforo rosso che non lo facevano are, allungando il o fino a quasi correre per saltare sul tram che stava portando il giornalista in direzione di De Angelis. Salito in corsa cerco’ di rendersi invisibile fra le persone che a quell’ora riempivano le linee che attraversavano Milano. Mentre cercava di farsi largo, Moggia era assorto fra le sue paure ed i suoi pensieri nel tentativo di collegare e ricostruire i aggi che aveva messo a nudo su tutta la storia. Era ormai ad un metro dal giornalista le pulsazioni aumentavano, doveva agire, doveva mettere un freno a quella valanga che stava per travolgerli. Eliminato lui avrebbero potuto rimettere le cose a posto. Eliminato lui Alexandar avrebbe lo tenuto ancor più in considerazione e questo poteva essere l’ultimo slancio per rendere reale quello per cui stava lavorando da anni.

Moggia si rese conto di essere stato toccato da qualcosa sul collo, una zanzara forse, un insetto qualunque che lo aveva punto o morso; portò la mano sul punto dove aveva sentito il dolore, istintivamente. La testa iniziò a ronzargli, non vedeva più chiaramente, era appannato nella vista, le gambe iniziavano a piegarsi…cosa succedeva ? Stava per svenire se ne stava accorgendo. Cercò di resistere ma alla frenata un po’ brusca del tram sbattè contro il corrimano e cadde a terra.

“Sono un dottore sono un dottore !” urlò Nazar accovacciandosi sul corpo esanime di Moggia

“Fate largo, aria ! Conducente fermi il tram !”

“Devo chiamare l’autoambulanza ? “

“Certo ! Ne chieda una per il policlinico sono di servizio là ” sapeva che una volta dentro lo stomaco della Mangiagalli per lui sarebbe stato facilissimo sparire nei sotterranei con il corpo del giornalista


La mano giaceva sul tavolo operatorio lercio, insozzato di sangue, le dita gonfie e storte pulsavano e sembravano appartenere a qualcun altro; la testa ronzava ininterrottamente e il sapore di ruggine in bocca provocava frequenti conati. Non capiva dove fosse, sentiva parlare le persone che sembravano essere nella stanza con lui in una lingua ambigua e sconosciuta, c’era un po’ d’eco nel posto dove era. Non riusciva a muovere le gambe. Il braccio destro incollato dietro la schiena. Intorpidito. Gli occhi erano semichiusi, incollati da qualcosa che sembrava una stantia pappetta di lacrime. Un orecchio fuori uso chissà perché. Il suono delle voci sembrava arrivasse da un solo lato della stanza, concitate, strane nell’accento e nella pronuncia italiana poi subito dopo in una lingua che pareva essere dell’Est.

“Allora giornalista investigatore, tu dici di non sapere nulla e che i tuoi articoli sono soltanto la cronaca di ciò che vedi. Ora facciamo entrare tua amica di bar e vediamo se combaciano le versione che date a noi”

Rabbrividì. La voce aveva iniziato a bisbigliare nell’orecchio funzionante e poi, salendo di tono, bassa, profonda, urlante, era finita verso il fondo della stanza dove lui non poteva ancora vedere. Verso un punto dove non intuiva cosa potesse esserci.

La canna della pistola che premeva sulla tempia di Silvia le stava formando un livido tondo e viola accanto all’occhio sinistro; il destro era quasi chiuso e tumefatto dai colpi subiti durante il tentativo di farle confessare ancora non aveva capito bene cosa. La manovalanza cinese di Alexandar ci era andata giù dura e la ragazza faceva fatica a stare in piedi. Il viso dalla parte destra era

completamente gonfio, faceva fatica anche a guardare in direzione di Moggia, legato alla sedia, irriconoscibile, tumefatto e in grave difficoltà. Ora iniziava a collegare qualcosa però

Nazar dirigeva tutto dritto in piedi, ben saldo nella sua postura, dietro a dove Moggia era seduto. I tre cinesi tenevano la ragazza di fronte a loro e Alexandar, nella penombra dietro tutti, seduto, fumava ed osservava gli sviluppi, telefono cellulare schermato nella mano destra giocherellando con delle monetine con la sinistra.Erano ore che erano lì, da quando avevano prelevato il giornalista dal tram 61.

Quasi tutti i venti milioni di possessori di smartphone sanno che il loro telefono è in grado di determinare la propria posizione grazie a un sistema GPS, che fa riferimento ai satelliti dell’omonimo sistema, o grazie a un sistema GSM, che usa come punti di riferimento (anche o solo) le antenne del sistema GSM (il cosiddetto A-GPS). Non tutti sanno, però, che l’operatore telefonico può determinare la posizione di un telefono cellulare anche se questo non è dotato di nessuno di questi sistemi, senza che l’utente del telefono abbia modo di accorgersene e senza che possa impedirlo in alcun modo. Ciò è reso possibile dal fatto che le antenne GSM ed UMTS sono in grado di determinare la distanza a cui si trova un telefono rispetto alla loro posizione misurando l’intensità del segnale e spesso sono anche in grado di stabilire in quale direzione geografica si trovi il telefono rispetto alla propria posizione. In entrambi i casi si tratta spesso di informazioni grossolane. Per esempio la distanza dall’antenna viene spesso determinata con un margine di errore di centinaia di metri, o persino di km, e la posizione radiale viene spesso determinata solo come nord, sud, est od ovest.

Tuttavia, sommando tra loro queste informazioni (e a volte sommando anche tra loro le informazioni che provengono da più antenne) è possibile stabilire la posizione di un telefono cellulare con una precisione che può andare daalcuni chilometri di raggio, in aperta campagna, a qualche centinaio di metri, nei centri urbani. In alcuni casi, la precisione può essere di alcune decine di metri, per lo meno in certe aree urbane. La localizzazione di un telefono cellulare è, in realtà,

un’applicazione dei concetti più generali di triangolazione radio e multilaterazione già usato a questo scopo sin dagli anni ‘40. In Italia (e in quasi tutta Europa) la localizzazione di un cellulare è un servizio accessibile solo agli organi di Polizia e di Pronto Intervento.

Queste triangolazioni radio aveva dato a De Angelis e Tolli tre possibili zone dove Moggia poteva essere ato e da queste dovevano iniziare a cercare il giornalista. La saletta riunioni operativa di Fatebenefratelli era stipata di agenti in divisa ed in borghese che ascoltavano attentamente l’organizzazione della ricerca che stava spiegando Tolli.

“….quindi l’ultima volta che lo ha usato era in viale Piave probabilmente prendendo il tram che lo avrebbe dovuto portare qui come aveva detto all’ispettore De Angelis. Dopo un quarto d’ora la cella che lo aggancia è invece in direzione di Piazza Cinque Giornate…Setàs giò Sugheri !!! Non ho finito !”

“Ma, Tolli, non sono operativo da venti minuti e ho altro da fare…”

“Fenomeno della stradale !” urlò De Angelis “… guarda che se non rimani seduto e ascolti tutto e inizi a segnare straordinario da oggi fino a che non ritroviamo Moggia te faccio fa’ il fenomeno a Colico, acca ventiquattro caserma de Valpo poi me dici quando nevica come se sta’ per strada a controllare se se portano via l’acqua del lago ! “. Piccole, vecchie ruggini fra colleghi, sistemate nei momenti di maggior pressione, dove il grado fa la differenza, sempre.

“Grazie Claudio…dunque dicevo Piazza Cinque Giornate ! Poi dieci minuti dopo è agganciato in via Curtatone, dietro la caserma dei Caramba di….di….di viaaaa…….”

“La Marmora…caserma di via La Marmora !”

“Grazie Claudio….allora come diceva l’ispettore De Angelis la caserma di via La Marmora proprio nei paraggi è stato agganciato il segnale del cellulare di Alessandro Moggia. Ora, organizzeremo tre pattuglie che perlustreranno la zona in direzioni opposte e contrarie: da fuori verso dentro la circonvallazione e vicecersa. Si parte da piazza Cinque Giornate verso il centro e l’altra verso Viale Forlanini, la seconda si farà da Piazza Cinque Giornate verso viale Piave e verso Porta Romana. L’ispettore De Angelis ed io faremo la zona di La Marmora verso Porta Romana ed il centro della città. Maroncelli coordinerà le operazioni via radio per tutti ed il riferimento unico per qualsiasi azione sarà De Angelis” concluse Tolli, rosso in viso la gamba che ballava in un tic nervoso incontrollato.

“Allora ci serve qualsiasi traccia. Sugheri e compagno si fanno gli autisti ATM della linea dove è sparito, magari qualcuno ha visto, qualcuno ha sentito qualcosa. Le volanti setaccino tutto e tutti, entrate nei cortili, nelle cantine, nei supermercati, nei locali spazzatura dei condomini non lasciate nulla al caso. Ricordate che cerchiamo un giornalista che ha o potrebbe avere informazioni importanti su ‘sta storiaccia. Gli indizi che abbiamo portano a pensare che l’organizzazione sia perfettamente mimetizzata ed occultata da vari possibili professionisti della chirurgia. Parte da lontano e noi dobbiamo riavvicinarla qui, oggi ! Non voglio fallimenti me so’ rotto er cazzo d’arivà secondo ! Forza ! Tutti fuori iniziamo ! Questa è ‘na caccia ragazzi! Una caccia !”

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Il buio iniziava ad essere sopportabile ora, non più claustrofobico. Più un compagno di morte, quella morte che, ne era sicuro, sarebbe arrivata per lui e la ragazza. Erano rimasti soli, legati uno accanto l’altro, al caldo del buio che rassicurava la vicina fine che li attendeva, la fine liberatoria e definitiva. Finalmente un po’ di riposo.

“Non credevo che fosse così pericoloso altrimenti col cazzo che avrei acconsentito ad incontrarla !” urlò Silvia, con la voce ormai roca, rotta dalle troppe già fatte durante la tortura. Per urlare il suo dolore, per gridare le sue implorazioni. Inutili. Silenziose.

“Guardi Silvia che io non pensavo si potesse arrivare a tanto…” balbettò Moggia “…credevo fosse comunque un percorso dovuto ad un articolo investigativo che stavo portando avanti….”

“Ma evidentemente avrà scoperto qualcosa di molto pericoloso per questi pezzi di merda qui che hanno deciso di sistemarci per bene altrimenti perché ci avrebbero ridotto così ?!?!?”

“Sì ma rimanga calma però…”

“Calma un cazzo io ho paura…” la voce di Silvia, sfinita dal dolore e dalla tensione, arrivava piagnucolante a Moggia senza che ne riuscisse a capirne la provenienza da dentro la stanza nella quale si trovavano

“Ci serve calma Silvia, calma e per quanto possibile sangue freddo. Se ci avessero voluti morti lo saremmo già. Qualche appiglio forse possiamo trovarlo..”

“Sì e quale secondo te ?” la voce rotta, la fine vicina.

“Cercano qualcosa o di capire che cosa sappiamo”

“Ma su che cosa ?! Io non so niente, non voglio sapere niente….Diletta voglio, solo lei…” il pianto ormai disperato, l’appiglio agli affetti deceduti come ultima speranza.

“Deve essere proprio lei la chiave. Diletta, l’Armenia, il professore. Solo prima ho messo a fuoco, solo un momento in cui tutto mi è stato chiaro, chiaro come non lo era mai stato. La sua Diletta sicuramente aveva contatti diretti con questi qui, questi che ci hanno rapito. Lavorava insieme al professore per loro.

Direttamente o usavano uno dei due per incastrare l’altro, credo ci sia sotto qualche traffico ma non credo sia droga. Troppo banale per dei tipi così e poi quel giro non è in mano loro. Diletta le aveva mai parlato di appuntamenti con il professore che a te sembravano strani ?!”

“Me lo hai già chiesto ma non te lo so dire ho soltanto una cazzo di fottuta paura di morire ! Mi fa male la faccia, il naso voglio vomitare e le mani credo stiano iniziando a sanguinare….” La resa. La disperata voglia della morte liberatrice.

“Non sono le mani a sanguinare. Sono i polsi. Le corde sono dure e la sua pelle più delicata della mia ne sta risentendo” Moggia era incredibilmente calmo. Calma che aveva recuperato mentre si convinceva di tentare qualcosa per uscire dallo stallo in cui si trovava. Si trovavano. Un bluff.

“Ora giochiamo le nostre carte, tentiamo. Mi ascolti, devi essermi complice e confermare tutto quello che dico occhei ?!”

“Cosa vuoi dire ?! Fammi capire che fine ci fai fare !”

“Mi ascolterai mentre lo dirò. Conferma tutto ed inventa a braccio i particolari se servono a rendere credibile tutto. Dobbiamo improvvisare”

“A che scopo?’”

“Cercare di uscire da qui dentro ed allungare il momento in cui c’ammazzeranno. Nel frattempo potrebbero trovarci”

“Chi ?”

“un amico. Un amico di cui mi fido. La nostra unica via d’uscita da questo buco demmerda “

Tolli svoltò in via La Marmora dopo aver rivoltato la zona di porta romana verso Ovest già teatro del loro inseguimento tragico finito con uno spettacolo da ricordare per milanesi e stampa

“Marco così non lo troviamo mai mia lo troviamo porcoddue…”

“Claudio un ciccinin d’ottimismo però siam due ore che la giriam in lungo ed in largo ! Hai rivoltato chiunque come un calzino, una sciura un altro po’ finisce in

ospedale con un colpetto apoplettico….e sì che è qui dietro faceva casa e bottega….”

Che cos’è il genio ? E’ un dono che capita così, di tanto in tanto, nella scatola cranica di colui dal quale non ti aspetteresti mai il colpo inaspettato. La deduzione risolutiva. O meglio, quella che secondo te, in quel preciso momento carico magari di tensione, nervoso, ansia, sembra la soluzione finale. Geniale. Risolutiva. Definitiva.

“Tu sei un grande Ma’ !”

“Cus’è che ‘l dis ?”

“Gira in Mangiagalli ! Gira, gira, gira ! Dai che ce li abbiamo cazzo ! Gira sto cesso de macchina! “


L’atrio dell’ospedale era un viavai di persone, malati, infermieri e dottori che sciamavano fra barellieri e marmi grigiastri, se parlavano lo facevano sicuramente di qualcosa o qualcuno. Lettighe posteggiate ai lati del corridoio d’entrata e file interminabili di pazienti in attesa del turno per la prenotazione delle loro visite, ticket pagato alla mano e la rassegnazione delle loro vite in coda alle loro anamnesi.

Tolli e De Angelis erano entrati parcheggiando davanti all’ingresso autoambulanze correndo dentro in cerca di qualcosa che potesse confermare l’intuizione di Tolli. O meglio l’intuizione di De Angelis venuta dal suggerimento di Tolli.

“Marco tu parla con l’infermiera all’entrata io vado verso la stanza del dottor Colombo nel reparto dove lavorava”

“Chirurgia ?”

“Me pare. Chiacchiera, falle perder tempo e cerca di farti dire se c’è qualche aggio non convenzionale fra i padiglioni”

“Se trovi qualcosa chiama me racumandi eh ?!”

“Metti l’auricolare così stiamo collegati”

Girò l’angolo accanto al cancello che divideva i reparti e corridoi dall’atrio e dalla sala d’aspetto puntando verso Chirurgia o veloce cuore che batteva forte, nella speranza di avere ragione.

“Sciura buongiorno….Tolli - mostrando il tesserino - Questura di Milano. Posso rubarle qualche minuto per favore ?”

“Venga dentro però che di qui a gente e devo controllare nè”

De Angelis nel frattempo percorreva il corridoio entrando nel padiglione di chirurgia. Porte a destra laboratori, porte a sinistra ambulatori. Quello di Colombo era…era….era…..Eccolo ! Giro’ la maniglia entrando in un’anticamera dove un’infermiera stava ultimando la compilazione di un registro “Prego ?” ” Ispettore De Angelis salve. Questo era lo studio del professor Colombo giusto ?” ” Si ma a lei cosa interessa mi scusi ? Qui stiamo lavorando e per giunta stiamo per….” “Lei ha perfettamente ragione ma, abbia pazienza, stiamo seguendo una pista non è che posso dare un’ occhiata allo studio, ai collegamenti con i laboratori che ci sono ?” “Guardi, io fra venti minuti finisco qui, lei faccia come crede poi la chiudo dentro l’avviso” “Ringrazio la sua comprensione e simpatia……stronza - ringhio’ fra i denti entrando nell’ambulatorio - daje va’…”

Si richiuse la porta alle spalle ed entrò nello studio sperando di trovare uno spiraglio in cui infilarsi per cercare la traccia determinante.

Alle spalle della scrivania l’altra porta affacciava su un più piccolo ambulatorio che, probabilmente, Colombo usava per qualche urgenza che arrivava dai reparti accanto. Dietro al lettino per gli astanti la grande portafinestra affacciava sul cortile esterno dal lato della sinagoga, accanto al padiglione Alfieri, quello in perenne ristrutturazione.

Ricognizione ottica… Il balcone spazioso, la scala esterna antincendio all’americana, il aggio diretto sul cortile ….. ma porc…..De Angelis impreco’ e scese immediatamente giù dal balcone dello studio. “Marco ! Pronto mi sentì ?! Ma chi è che parla ?”

“L’e’ la sicura infermiera Claudio non sta zitta un secondo”

“Sto uscendo dall’antincendio dello studio de Colombo piazzale del padiglione Alfieri alle spalle dell’ospedale”

“Arrivo allora !”

“No, no ! Aspetta ! Esci all’esterno apparecchiate vicino al chiosco dei fiori e controlla se ci sono movimenti da fuori dal padiglione. Macchine, movimenti strani… se trovo qualcosa d’altro arrivi al volo “

“Come vuoi tu Claudio ma in campana nè ?! Se l’intuizion l’é giusta poive merda ancora un po’ per noi”

Il piazzale era affollato ma nessuno si accorse dell’ispettore che scendeva dalla

scala antincendio. Fece il percorso che portava nel centro del padiglione ma, sul lato opposto alla sinagoga, i lavori di ristrutturazione ostacolavano la vista oltre al primo edificio. Di fronte c’era il primo padiglione di ortopedia. Entrò per chiedere informazioni

“Salve … mi scusi dobbiamo programmare degli scarichi di materiale per i lavori di fronte. Saprebbe cortesemente dirmi se c’è la possibilità di avere un aggio sotto al piazzale per risbucare al di là delle impalcature ?”

“Guardi, di qui, che è ortopedia, siamo chiusi nell’edificio praticamente - gli comunicò l’infermiere - aggi non ce ne sono né in superficie né sotto il livello dei marciapiedi. Però in Chirurgia, lì di fronte, c’è la Morgue all’altezza delle cantine. Forse da loro è più facile avere un accesso”

“Ah, grazie. Grazie mille “

Chiamò Tolli : “Marchì ?! Com’è de fòri ?!”

“Qui gh’è nisun Claudio dove sei ora ?”

“Fuori da ortopedia. Sto cercando un aggio sotterraneo che poteva permettere al dottore di are indisturbato fra un padiglione e l’altro senza farsi vedere nei traffici o negli incontri che faceva. C’è una morgue in Chirurgia vado a vedere se lì trovo qualcosa”

“Allora entro così accorcio la visuale di un cicinin di metri e magari ti sono

d’appoggio. Chiamiamo qualcuno di rinforzo per la ricerca ?”

“Se…così sai che tranquillità co’ sei guardie che girano per i padiglioni, in divisa, magari un paio de schegge che combinano qualche casino. No, no vado ed intanto dò un’occhiata tu stai in campana che se trovo qualcosa arrivi al volo”

“Beh al volo per modo de dir mì arrivet”

L’ingresso di Chirurgia aveva sei gradini in marmo, di quello vecchio, dei vecchi ospedali, quelli che nel momento in cui si rompono non li ripari, li stucchi lasciando che la crepa sia in bella vista perché l’amministrazione dell’ospedale non ha in budget la riparazione dei medesimi e si aspetta il nullaosta della cancelleria del dirigente sanitario per effettuarla….

Burocrazia….lui cercava sempre di aggirarla, rallentava indagini, azioni e lo metteva di umore pessimo.

Le indicazioni per la camera mortuaria lo portavano a scendere da dietro l’ingresso della Cappella verso una scala che aveva un corrimano in ebano largo con un avvallamento nel centro, lucida, fredda….come a casa di nonna, pensò. Più scendeva, più la luce alle sue spalle si affievoliva. La porta della Morgue di fronte. La porta, la scala dietro, a destra un muro a sinistra un piccolo locale per lo smaltimento differenziato. Entrò nella luce fredda e bianca della camera mortuaria, il ronzio fisso di sottofondo dei motori refrigeratori, la temperatura più bassa rispetto all’esterno. Nessuno all’ingresso, un lungo corridoio illuminato dai neon metteva in mostra un pavimento d’altri tempi, arancio sbiadito, nero e bordeaux. De Angelis cercò un rumore, un segno della presenza di qualcuno ma, non poteva essere, non c’era una sola ragione per la quale sarebbero potuti essere rintanati dentro a quel posto.

Fuori, esci fuori, riparti da fuori ! Si disse fra la confusione di pensieri che lo stavano travolgendo. Spalle alla porta d’ingresso il suo sguardo si fermò sulla porta della sala smaltimento proprio lì accanto. Alla sua destra. Un attimo di tentennamento. No….sì, perché no ?!

La maniglia era fredda, di metallo ottonato. La spinse verso il basso ed entrò nel buio della sala. Bidoni gialli medi e grandi erano piazzati contro una parete bianca, in calce spruzzata, tipica nei lavori di tamponamento poco importanti delle finiture. Dietro, la cornice intagliata di quella che sembrava una porta, senza maniglia ma, il contorno ben visibile, come se fosse un attiguo locale di deposito simile a quello per altri tipi di smaltimento.

Spostò i secchi, iniziò a tastare con la mano in cerca di qualcosa da afferrare per poter aprire quella porta, per capire cosa ci fosse dietro. Inciampò nella concitazione, cadendo sul fianco destro, battendo la testa su uno dei bidoni gialli di plastica

“Cazzo ! Porca troia !” urlò. Scalciò contro il muro per la rabbia .

“‘Fanculo ! Mortaccivostri !” La porta si sfessurò appena per il colpo ricevuto. Apertura a pressione. Scrollò la testa come per far cadere il dolore dell’urto e si rialzò in piedi. Quanto tempo era che non fumava ? tre ore forse. Gli mancava il sapore dolciastro del cigarillo abituale che inspirava fregandosene del concentrato di nicotina più alto delle normali sigarette. Quella nicotina ora gli mancava, in bocca. Non poteva accendere però, non era a eggio. Era in un aggio. Un aggio che avrebbe potuto portarlo fino al suo obiettivo oppure poteva essere un buco nell’acqua ma era un aggio fondamentale.

Aprì la porta quel tanto che gli bastava per infilarcisi dentro ma il buio lo avvolse di nuovo. iniziava ad essere una sensazione che detestava. Accese lo schermo del cellulare per farsi luce e poter proseguire riuscendo almeno a vedere le sue scarpe precederlo. Chiamò Tolli dall’auricolare cercando di tenere un tono di voce basso. Protocollo di sicurezza :

“marco …. marco…Marco !”

“Claudio sei té ?!”

“no … sono l’intermittenza marziana che s’infila nei cellulari”

“Mi te senti male male t’el diset”

“ascolta e basta allora …ti do la posizione…sono accanto al locale rifiuti della morgue e sono entr….askdjngir…dlfkmopcrrrrrr….”

“CLAUDIO ! CLAUDIO !”

Bene…dentro al tunnel del cazzo il telefono neanche prendeva bene…

Avanzava con cautela sentendo il rumore del suo respiro quasi in apnea; gli sembrava di sentire delle voci in lontananza, che rimbombavano nel vuoto della specie di cunicolo dove si trovava. Ad un tratto uno spiraglio di luce, bassa, fredda ma la poteva notare da una fessura come se una porta fosse aperta.

Accelerò il o per raggiungerlo facendo attenzione a non fare troppo rumore. Avvicinandosi iniziava a sentire molto meglio le voci e quasi a distinguerle. Una era di Moggia la distingueva perfettamente. Ora era dietro la porta da dove proveniva la luce e dal retro dello stipite nella fessura della porta aveva anche un po’ di visuale per rendersi conto della situazione. Estrasse la Beretta togliendo la sicura.

“Quindi tu dici che noi siamo in pericolo ?! Piccolo uomo meschino sei solo un bugiardo ! Nessuno sa dove sei, nessuno ti potrà sentire quando inizierò a strapparti i denti uno ad uno per punirti della tua insolenza !”

“Questo continui a dirlo te ! Ho scoperto tutto ! Sono risalito a quello che tu ed il professore con l’aiuto dell’interprete avevate organizzato - ora Moggia stava quasi urlando, con la voce ormai rauca e rotta dal dolore - bei viaggi di organi da qui all’Armenia e viceversa ! Per chi ?! Ricchi magnati del petrolio o del gas che pagano profumatamente per vincere gli anni che ano ?! Con l’aiuto del professore invece qui in Italia a chi ?! Facoltosi imitatori edonisti e berlusconiani pronti a pagare per un organo di un 18enne che gli dia vigore fisico e vita più lunga ?! Ormai non potete più nascondervi ! Tutti sanno ormai !”

Alexandar si alzò dalla poltrona che era posizionata dietro di loro, fece un giro attorno al corpo di Silvia legata alla sedia più grossa e si piegò sulle ginocchia di fronte a lei ed a Moggia. La voce bassa e baritonale uscì facendo vibrare i timpani dei due

“Tu credi di essere furbo vero ?! Tu credi che noi qui possiamo credere di quello che tu dici ?! Chi hai avvisato dici tu ? Tu non hai avvisato nessuno perchè appena fuori dal bar dove ti sei con lei visto noi ti abbiamo seguito e portato qui. E lei prima di te, subito. Quindi tu cosa vuoi fare credere a noi ?! Di avere avvisato la Polizia ‘! Il tuo amico poliziotto ?! E come credi possa trovarci in questa fogna che sarà anche la tua tomba…”

“Loro sanno tutto, sanno chi siete, cosa fate, chi sono le due donne. Siete fottuti !” Silvia aveva iniziato di nuovo a piangere, singhiozzava perlopiù. Alexandar si voltò verso di lei:

“Tu femmina inutile ed insulsa credi davvero che noi possiamo essere in pericolo ?! Minacciati da questo omuncolo ?!”

“Si - la voce ormai confusa fra il pianto isterico - lo ha detto anche a me li stava aspettando dove lo avete preso. Uccidetelo, uccidete lui e fatela finita con questo incubo….io voglio Diletta, la mia Dilettaaaa”

Il movimento di Alexandar fu veloce, quasi impercettibile. Violento e preciso allo stesso tempo. Un pugno secco, dato con la sua mano grossa sul collo di Silvia, all’altezza della laringe. Moggia udì distintamente il rumore della trachea che si spezzava come un rumoe di legna. Silvia strabuzzò gli occhi, inizio a vomitare saliva diventando prima rossa poi cerulea. Lei morì così. Legata alla sedia, soffocata. Il suo corpo sembrava un sacco vuoto ed avvizzito. Alexandar l’aveva uccisa.

De Angelis sussultò nel momento esatto che l’armeno colpì la ragazza, strozzando un’esclamazione di rabbia che avrebbe fatto troppo rumore. O meglio, non era quello il rumore che ora voleva iniziare a fare. L’auricolare non rimandava nessun segnale significava che di campo proprio non se ne parlava lì sotto ” Spero de non fa la fine del sorcio” pensò fra se. Attese un’altra mossa avendo ben in mente che Moggia, il suo amico, non era sacrificabile.

“Ora tu piccolo uomo sei di nuovo solo a parlare con me. La bambina dispettosa non ci interromperà più”

“Voi siete pazzi - la voce rotta dalla paura e dal rammarico per la giovane donna uccisa - voi non avete idea di quello che fate….”

“Oh, sì invece giornalista, invece lo sappiamo ed ora è tutto chiaro anche a noi. Sei solo qui sotto, sei solo e non rimarrai ancora vivo. Nazar !” l’altro Armeno disse qualcosa ai due uomini di fronte a lui e si avvicinò ad Alexandar che allontanandosi alzando la voce ribadì :

“Ciao giornalista avevi capito ma non potrai dirlo a nessuno”

Nazar prese da un tavolo accanto a lui in penombra una mannaia. Moggia fissò la lama che risplendeva dal riverbero del neon sopra di loro. Un splendore bianco e freddo come la morte che stava per avvolgerlo. Avrebbe finito di soffrire comunque. Nazar alzò il braccio destro, Moggia chiuse gli occhi. Poi un botto.

Qualcosa di caldo e bagnato gli arrivò sul viso. Lo sentiva, non era morto ancora. Aprì gli occhi per vedere mentre un altro botto più vicino questo riempì il sotterraneo. E vide quello che non poteva credere ai suoi occhi.

De Angelis riparato dietro alla sedia dove c’era il corpo di Silvia che centrava l’occhio destro di uno dei due cinesi che erano d’appoggio a Nazar. Fiotto di sangue in alto come fosse una bottiglia di prosecco di quello scadente con troppo gas dentro che schizzava sempre e comunque imbrattando i vestiti degli ospiti. L’altro cinese a terra con il corpo riverso a faccia in giù. Colpito due volte al corpo da De Angelis che da dietro la sedia mirava come un cecchino sotto i colpi che l’altro cinese gli indirizzava. Il corpo martoriato di Silvia li assorbiva tutti continuando a sanguinare rendendo quel posto una fabbrica di Mourguet e del

suo Guignol. In pochi minuti era finito tutto.

“Sandro ora ti slego e poi vado appresso a quello stronzo. Esco e avviso Tolli te esci di qui togliti quella roba dal viso e dai vestiti e vattene da qua dentro” era De Angelis che gli parlava. Lui non se ne rendeva bene conto ancora. Gli riecheggiavano in testa le note di “The man who wasn’t there” dei Rival Sons. Rispose quasi meccanicamente:

“Sì Claudio. Grazie e vai non fartelo scappare….”

“Oh !? Ce sei ?! Stai bene ?! Sandro stai a capì ?! “

Si scosse rassicurò De Angelis e cercò qualche altro interruttore per accendere altri neon. Li trovò proprio dietro dove era legato lui e c’era anche uno specchio con un lavandino. Ma svenne nel momento esatto in cui si rese conto di avere metà della faccia di Nazar appiccicata ai vestiti e un pezzo di naso attaccato alla sua guancia sinistra. il sangue che gli colava sul mento non era il suo ma dell’armeno. De Angelis aveva sparato da dietro, alla testa.

“Marcoooo !!! Marcooooo !!! Me senti Ma’ ?! Marcoooooo !!!” urava nell’auricolare mentre correva a ritroso nel aggio segreto cercando di raggiungere Alexandar che approfittando della sparatoria era fuggito.

Tolli era in mezzo al cortile del padiglione Alfieri per cercare di chiudere un appostamento in maniera circolare come all’Accademia cercano di insegnare tralasciando sempre i particolari che nulla va mai come deve andare. La voce di De Angelis di colpo tornò nel suo di auricolare facendolo sobbalzare.

“Claudio ! CLAUDIO ! CLAUDIO ! Ti sento ! Dov’è che sei ?!”

“Sto a uscì Ma’ corro appresso all’ultimo rimasto spero. Alto, grosso, scuro di capelli e mezzo me pareva pure de carnagione ma era tutto buio là dentro sòncazzo io “

“Da dove l’è uscito ?!”

“Non so manco se è ancora uscito ma tu chiama trequattro pattuglie, là dentro ho fatto un bordello ce trovi tre morti e Moggia !”

“L’è morto anca lù ?!”

“No ! De che ?! Quale morto è vivo, ridotto male ma vivo ! Fa na cosa metti in moto e mettete di fronte alla

De MArchi che se esce da quel lato lo vedi sicuro. Io rientro in Mangiagalli magari ristà dentro “

Dove però si chiedeva l’ispettore, da dove era rientrato ? Da dove sarebbe potuto uscire e come ? Tolli vide De Angelis che usciva correndo come una lippa dall’entrata della Morgue e si rinfilava in Mangiagalli dal retro che dava sull’Alfieri. In quel preciso istante arrivò alla sbarra d’uscita un’ambulanza. La guardia giurata si sporse per parlare con il conducente. Fu un attimo. Il cranio esplose in una fragorosa esplosione, alzò lo sguardo e vide il conducente grosso,

scuro di capelli e d’istinto estrasse la pistola nel momento esatto in cui l’autoambulanza abbatteva la sbarra lanciandosi in strada. Si fece avanti per mirare meglio ma l’autoambulanza lo puntava veloce, sgommando, per travolgerlo. Si gettò di lato rotolando sul fianco sinistro e facendo fuoco verso l’armeno da terra tre volte prima di finire la corsa contro un’auto parcheggiata. Una gomma colpita, aveva visto l’impatto ma, nonostante il tentativo, era fuggito.

“Claudio ! Claudio ! Sì ero io che sparavo. Vieni fuori di corsa che l’è scappato in ambulanza ! No, No l’era lù che la guidava ! Muves !”

Dammatrà 7mo capitolo - Il buio freddo dell'oblio Epilogo

La piscina comunale Cozzi in viale Tunisia era stata la prima piscina coperta inaugurata in Italia nel lontano 1934; Roberto Cozzi era stato un fante, un soldato semplice della Brigata Regina, morto nella battaglia dei Tre Monti con medaglia d’oro al valore militare. Un eroe.

L’ingresso della piscina comunale era formato da una lunga scalinata stile Impero, in marmo bianco che spiccava dal resto dell’edificio formato da mattoni a cortina. Ma quello che stonava di più in quel pomeriggio di novembre era l’autoambulanza che ci si era fermata sopra. Piegata dal lato sinistro. Dopo aver percorso un kilometro abbondante di strada e aver abbattuto semafori, pali ed auto parcheggiate.

Alexandar era balzato fuori ed entrato nella piscina comunale brandendo la pistola si era rifugiato in uno degli spogliatoi che si trovava alle spalle della grande vasca olimpionica. Incredibilmente nessuno lo aveva notato. Sudato, adrenalina a mille e il cervello in vorticoso funzionamento per trovare una via d’uscita.

Il panico si era creato in strada e molti di coloro che erano nei dintorni si accalcavano intorno alla scalinata per guardare, spiare, a quella specie di evento cittadino. Come se non bastasse la quotidianità.

De Angelis e Tolli arrivarono con la macchina proprio sotto la scalinata cercando di far allontanare i voyer della prima ora, i curiosi dell’ultima e tutti quelli che avrebbero potuto essere d’intrlcio alla loro caccia.

“Marco dì in Centrale di far arrivare due volanti, ci voglio Sugheri qui a rimbalzare queste persone. Transenne, nastro, dissuasori…tutto insomma. Anche

qui ! Signora deve allontanarsi, è pericoloso. Marco fai allontanare quelli là ! Qui dicono che è entrato appena sceso dall’ambulanza, io vado dentro !”

“Claudio non fare il bamba ! Spetta rinforsi che poi si entra insieme in due è più facile ! Sciuro via di lì! Spetta ti dico cinque minuti e entriamo ! Tieni lontano quel bambino Claudio !”

“Regazzì che cazzo stai affà ?! Vattene ! Tu madre ce sta ?! E’ lei signò la mamma del mostro qui ? Prenda il bambino e vada via è pericoloso ho detto !”

Sirene in lontananza, finalmente pensò Tolli che ormai fatica a contenere la rabbia di De Angelis.

Le sentiva anche l’armeno da dentro l’edificio, le sirene che arrivavano.

Seduto in uno degli spogliatoi della piscina cercò di riordinare le idee per trovare una soluzione alla situazione nella quale era precipitato. E’ finita pensò. Sono in trappola, come ne esco ?! Se arrivo in tempo a Linate c’è l’aereo che mi aspetta, nel tragitto ho chiamato Suskie e gli ho detto di andare a preparare per la fuga. Quel bastardo subito i soldi mi ha chiesto ed il prezzo è già aumentato. Un’ora mi ha detto, un’ora di tempo e poi sarebbe stato pronto. Devo resistere.

Ne è ata già più di mezza, devo riuscire ad arrivare in qualche modo a Linate are dietro al parcheggio multipiano dal lato dell’entrata del personale e raggiungere la pista 31. Da lì la il volo verso la salvezza.

In pochi minuti la piscina comunale era stata messa in sicurezza, transennata, circondata da poliziotti. De Angelis e Tolli si guardavano a distanza. Sapevano che ora toccava a loro. Quello era il loro uomo. Squillò il cellulare di De Angelis. Si allontanò un poco dai poliziotti accanto a lui. Per rispondere.

“Siete là vero ?!”

“Stai calma Jessica…”

“Non dirmi di stare calma Claudio ! Lo sai che mi mandi in bestia quando mi chiedi di stare calma ! C’è la diretta sul sito del Corriere ed ho visto di sfuggita la tua giacca nera di pelle. Sei là vero ?! Siete lì ?!”

“Sì piccolé siamo qui. E ora tocca a noi. Siamo noi che dobbiamo entrare…”

“Claudio per favore non fare cazzate ! Mi ascolti ?!”

“Sì ti ascolto così come sto ascoltando il battito del mio cuore. Che non mente mai e mi sta dicendo che l’adrenalina è pronta ed anche io”

“Stasera ti voglio a casa altrimenti non farti vedere mai più”

“D’accordo amore, ci vediamo stasera te lo prometto”.

Accese un cigarillo, aspirò. Pensava a come girare dentro la piscina, come localizzare il bastardo che comandava tutto quello schifo.

Moggia aveva ragione ma ancora qualcosa c’era da chiarire, da mettere bene a fuoco. Il ruolo delle due donne, il trasporto degli organi, la manovalanza cinese.

“Sei pronto ?!” chiese Tolli al compagno

“Uè Marchino, mi sun pronto damò !” e gli strizzò l’occhio

“Pirla…dai entriamo” e si incamminarono fra le transenne e le volanti che circondavano il vecchio palazzo anni ‘30 dove la resa dei conti sembrava essere sempre più vicina.

Alexandar si scosse dopo la scarica di adrenalina durata anche troppo per quelle che erano diventate le sue consumate abitudini da capo dell’Organizzazione. Cercò l’uscita dello spogliatoio ma in direzione della piscina. Forse poteva nascondersi da qualche parte finchè non si fossero calmate le acque; aprì un poco metà della porta a vento che consentiva l’ingresso alle vasche.

Tutto rimbombava, le risa dei bambini, le urla di sprono e di richiamo degli istruttori, il chiacchiericcio delle persone sedute sugli spalti in attesa della fine dei corsi. Lì dentro nessuno si era accorto ancora di nulla. Poteva essere un vantaggio per lui.

Iniziò a percorre il corridoio che portava alle vasche e si sedette sul secondo

gradone che formava gli spalti dove amici e parenti seguivano le lezioni di quel pomeriggio.

Che tipo di pomeriggio sarebbe stato per lui lo aveva già capito.

Tolli e De Angelis fecero la scalinata che portava all’ingresso delle due enormi porte in vetro entrando volsero un’occhiata al bancone dove c’era un ragazzo, occhiali con la montatura nera, camicia a quadri con le maniche arrotolate. non si era accorto neanche fossero entrati. Testa bassa, cuffie nelle orecchie e tanti saluti. Picchiò forte con la mano destra sul bancone che lo divideva dal’ hipster assorto in altro

“Giuvinot ! Giuvinot ! Claudio questo non mi senta neanca mo’ “

De Angelis aprì la porta dello sgabuzzino dove era seduto il ragazzo e lo scalciò giù dalla sedia. Gli sbattè in faccia il tesserino ringhiando:

“Ci sono persone in vasca ?! Corsi di nuoto, famiglie, persone ?!”

“S..sì…i co…corsi delle cinque e que…quelli delle sei in preparazione…”

“Cell’hai un cazzo de microfono per fare un annuncio dagli altoparlanti ?!”

“Sì il tasto è …è ….è questo….”

“Marco controlla dalla parte delle vasche ! Ora do un avviso occhio a chi scappa ed a chi rimane. non possiamo rischiare un far west der cacchio qui dentro “

“Va bene ! Tu poi fai il giro da sinistra così blocchiamo due uscite! “

La voce di De Angelis rimbombò fra le grida ed i rumori di fondo della piscina :

“Buonasera signori ! Scusate ma è in corso un’ispezione di Pubblica Sicurezza all’interno della struttura ! Vui preghiamo di recarvi negli spogliatoi e di iniziare a preparare le vostre cose per uscire entro un quarto d’ora da dentro lo stabile. Grazie per lo collaborazione !”

Si voltò verso il ragazzo : “Hai mica visto un grosso omone scuro di carnagione e capelli che è entrato qui dentro venti minuti fa ?!”

Quello lo guardò ancora terrorizzato senza spiccicare parola. De Angelis lo tirò su da terra, gli stirò con le mani la camicia fissandolo negli occhi : “Mo’ vattene da qui dentro che tonto come sei facile che fai la fine der sorcio prima dell’altri …”

Le persone iniziavano ad uscire dalla vasca grande ed a dirigersi verso gli spogliatoi, le mamme ed i papà recuperavano i piccoli nel bel mezzo della lezione, Alexandar seduto iniziava a sudare. Un po’ perchè nelle piscine il calore è sempre elevato un po’ perchè si vedeva costretto.

Un bambino ! Cosa c’è di più persuasivo di un bambino minacciato dalla canna di una pistola. In mano ad un criminale come lui. Poteva funzionare forse. Almeno avrebbe funzionato permettendogli di far are un altro po’ di tempo per raggiungere Linate.

Nello stesso istante in cui si alzò, Tolli lo inquadrò nonostante il viavai di persone fosse già iniziato. Alto, grosso, scuro di capelli e di carnagione. Auricolare pronto e comunicazione con de Angelis attiva :

“Lo vedi Claudio ?!”

“Capirai ! Come fai a nun vedello. E’ enorme. Più grosso de te Ma’ …”

“Cacchio già…ma perchè mi g’ho iniziaa’ la dieta eh ?!”

“Come no te ce vedo facile…entro io occhei ?! Tu me copri dall’altra parte”

“Ti ricordo che volendo potrei anche entrare e sparare direttamente al suo testun bello brillo ed in evidenza”

“Marco stai calmo me ce manca che te ce metti te affà il matto, nun basto io, Facciamo così, entro io, appena mi nota e cambia visuale, con calma entri e ti sistemi accanto a quella montagna di appendicorsie di lato alla porta”

“Lo tengo sotto tiro però come si muove in maniera strana lo brucio “

“Va bene va bene manteniamo il controllo però nun famo cazzate proprio adesso. C’è troppa gente dentro ancora bisogna fare tutto con calma. Magari si arrende pure tanto ndo va’ da qui….”

Poi successe. Urla. Pianti. Gente che scappava, urlava impazzita da chissà cosa.

De Angelis quasi travolto da chi si gettava fuori balzando dalla porta da dove era lui. Caos che durò tre minuti forse. Poi la piscina si svuotò e quello che si presentava davanti ai suoi occhi era l’armeno che aveva in braccio un bambino in costume ed accappatoio. Gli puntava la pistola all’addome ed urlava in direzione di Tolli. Che cazzo ci faceva Marco dentro la piscina, non doveva aspettare ?! Cazzo, basta. Dentro.

“Fermo ! Fermo ! Marco anche tu !” insopportabile.

Tutto rimbombava nel vuoto della copertura. L’odore di cloro era penetrante, le luci creavano una strana aurea intorno al gigante straniero.

Alexandar ghignava soddisfatto della posizione di vantaggio che aveva recuperato. Ora aveva uno scudo protettivo che lo avrebbe accompagnato fino alla sua salvezza. L’aereo era là aspettava lui.

“Ciao Eroe. Posso chiamare te così ?! Eroe ?! Perchè tu sei eroe vero ?! L’eroe della Mangiagalli, hai sgominato banda di loschi trafficanti. Ahahahahahahahahahah” e rimbombava anche la risata. Che fastidio. De Angelis iniziava ad avere paura. Non si fidava di quel gigante pazzoide.

Il bimbo piagnucolava stretto nel possente braccio dell’armeno, era ancora in accappatoio e De Angelis provava una grande rabbia nel vederlo così costretto.

La rabbia stava diventando odio con il are dei minuti e la voglia di piantargli una pallottola nel cranio diventava sempre più forte. Pericolosamente più forte. Quasi una individualità detonante di quello che provava in maniera forte e profonda. Stava prendendo vita a dispetto del suo autocontrollo. Doveva domarla.

“Senti d’accordo io sono l’eroe tu sei il cattivo. Ma l’eroe capisce quando è finita e quando è il momento di sacrificarsi per una giusta causa”

Alexandar era indietreggiato fin quasi contro il muro perimetrale che girava intorno alla grande vasca olimpionica

“Bravo eroe ! Quindi cosa proponi tu a me o vuoi tu che io propongo a te ?! ” da quella posizione controllava tenendo sotto tiro sia Tolli sia De Angelis. Ruotava il braccio destro puntando prima l’uno poi l’altro con il bambino sempre stretto nella morsa del braccio sinistro.

“Intanto potresti lasciare andare lui che non c’entra nulla con questa storia direi ….”

“Tu lo hai fatto entrare di questa storia e lui mi farà uscire di questa storia, eroe! Sai cosa devi fare ?! Devi farmi andare via di qui, lo faccio con lui in mio braccio ancora finché non sarò in tranquillità salva ! Capisci ?! Eroe ?! “

“Senti, facciamo un accordo….”

“Niet !!! Niente accordi ! Tu fai quello che io ti dico !”

“Ascolta io faccio quello che vuoi - la gamba destra di De Angelis iniziava a tremare non riusciva a scaricare l’odio, la mascella si irrigidiva. La bestia stava per uscire fuori - però ho bisogno di sapere se hai qualche altro deposito in giro. Se c’hai delle cazzo di consegne come le chiamate voi da fare ! “

“Tu hai voglia di farmi uccidere il bambino vero !?!?!?” Non andava bene così.

Dalla parte opposta della vasca Tolli era di pietra, in posizione. Mano sinistra in appoggio alla destra che impugnava “Berta ed i suoi fratelli” occhio sinistro chiuso, peso portato sulla gamba opposta. La fronte imperlata di sudore.

L’ispettore iniziò a parlare al bambino che era ormai in lacrime

“Picchio bello ! Stai tranquillo amore di Claudio non succede niente. Come ti chiami ?! “

” Andrea” rispose il piccolo prigioniero, moccoli dal naso e viso rosso pieno di lacrime che sgorgavano a fiotti dagli occhi marroni.

“Andrea io sono Claudio fidati di me ora farai un giro in macchina con questo signore poi ti verrò a prendere io in macchina dove mi dirà ma tu stai calmo fai quello che dice e…..” Fu interrotto dal grido dell’uomo

“Tu parli con bambino ma io comando tu e lui ! Tu non puoi niente con lui, con me, con carichi da consegnare ! Oh si c’è ne sono carichi che io debba consegnare a qualcuno ! Cosa pensi ?! Salvato tuo amico giornalaio bravo eroe ! Ma il bambino e’ mio finché non sono sicuro di poter fare tutto ! Tuo amico aveva capito anche troppo . Una delle donne era mia, era mia da tanto tempo ma lei malata. Lei piacevano anche le donne oltre gli uomini. Allora diventata mia per prendere contatti con professore. Prima scopato poi dominato poi diventato anche lui mio e da li’ tutto ha avuto un senso. Lei scopava sua infermiera poi scopava uomini presi dai locali che uccideva e cinesi facevano il lavoro. Nazar controllava tutto e tutti ed anche lui era mio. Tu hai cercato fermare tutto ma nulla di questo può essere fermato. Io non posso essere fermato !!”

“Ora !!!!” gridò De Angelis.

Il bambino morse forte la mano di Alexandar che allento’ un po’ la presa. Il gesto che gli aveva fatto mentre gli stava parlando era stato facile da capire per piccolo. Gli si sfilo’ da sotto al possente braccio e corse verso di lui che gli si tuffò addosso per proteggerlo.

L’armeno rimase sopraffatto dall’accaduto e si svegliò dal torpore che gli aveva dato la loquacità del racconto che stava facendo.

Scrollo’ la testa punto’ la pistola facendo due i in avanti e sparò un colpo, uno solo, in direzione della sua nemesi.

L’enorme piscina coperta fu investita da un assordante e velocissimo rumore di colpi, due, tre, quattro…..sette ed otto ! Percorrendo il lato perimetrale della vasca Tolli era avanzato verso il suo bersaglio ed aveva iniziato a scaricare la Beretta su Alexandar.

Collo, gamba, torace, ancora collo fino a farlo cadere in ginocchio sul bordo della vasca e piegato leggermente in avanti con le mani che cercavano di tenere dentro il sangue dall’addome.

L’ultimo colpo lo colpi’ alla spalla destra facendogli fare un giro all’indietro come fosse una marionetta, un pupazzo drammatico, un Pierrot morto e martoriato. Cadde diritto nella vasca.

L’acqua dal l’odore di cloro, celeste come le piastrelle del rivestimento fece quasi un verso quando fu dentro. È da celeste diventò prima rosa, poi fucsia ed infine rosso porpora. Una piscina di sangue. Il sangue di Alexandar.

“Claudio ! Claudio ! ” gridava Tolli correndo verso il collega ed a, ciò riversò a terra, sopra al bambino che continuava a piangere forte per lo spavento. Il rumore delle detonazioni ancora rimbombava nella sala.

Si piego’ in ginocchio per spostarlo e tirare fuori il piccolo quando vide il sangue che coagulava a terra.

Lo giro’, prese il bimbo in braccio. De Angelis gli fece un sorriso da terra

“Oh, ancora c’è piji bene da lontano eh ?! Significa che tutte le pippe che ti fai non ti stanno facendo diventa’ cecato…” e soffoco’ un sorriso con un colpo di tosse ” il cloro lo odio io cazzo….”

“Dove ti ha colpito Claudietto ?!”

“Ma ncazzo qui sopra la spalla me sa Andrea sta bene ?!”

“Si’ …. Sto bene Claudio ” ancora piagnucolando ma riuscendo a sorridere al l’ispettore disteso a terra.

“Ti te set voeun gran pirla altroché ” disse Tolli e lo aiuto’ a rialzarsi

Fuori era quasi buio quando uscirono. La mamma di Andrea si gettò verso i due poliziotti urlando il nome del figlio che di contro ora, divertito, la salutava sorridendo. Tolli urlo’ a Sugheri un qualche ordine che De Angelis non capi’ bene tanto era il dolore che, ora a freddo, sentiva ed un po’ anche perché il frastuono che c’era fuori rendeva complicato comprendere molte cose. Si sedette su un gradino e tiro’ fuori dalla tasca lo Zippo “Jack Daniels” regalato gli da Jessica. Che si sarebbe incazzata ed anche parecchio. Infilo’ fra le labbra uno dei suoi cigarillos e lo accese, fumando, in attesa dell’ambulanza che lo avrebbe portato ….dove ?! In quale ospedale ?! Probabilmente al Policlinico, proprio quello di fianco alla Mangiagalli.

Epilogo …

L’aria iniziava a diventare fredda, novembre era quasi finito e l’inverno stava per travolgere la città. In lontananza una sirena echeggiava quasi come fosse un monito. Una luce chiara ava fra il grigio compatto delle nuvole che avvolgevano la città che iniziava a prendere il loro stesso colore.

La doccia gessata aveva ricomposto la frattura alla spalla dovuta al proiettile dell’armeno in meno di un mese e De Angelis iniziava anche a muover la senza quasi alcun dolore. Jessica lo aspettava dalla parte opposta del marciapiede, in macchina. Bella come sempre, capelli lunghi e chiari, occhi fra il grigio ed il celeste piscina….piscina …..’fanculo alla piscina.

Salì dal lato eggero:

“Ho pensato di portarti il piumino, sei ancora in giacca di pelle di quando ti hanno ricoverato…”

“C’ha pure un buco qui sopra…tocca portalla a sistema’ che me piace nfrego….come te” lo disse ammiccando e sporgendo si verso di lei per un bacio.

“E’ vecchia e le cose vecchie quando si rompono o rovinano non si riparano mai come si dovrebbe. Mantengono ed evidenziano la vecchiaia” era ancora un po’ arrabbiata con lui. Troppi patemi, troppo amore sofferto. Ma non poteva fare a meno di quell’uomo.

“Già - fece lui accendendo si da fumare - e’ quella la qualità che ti fa impazzire di me lo so” . Lei sorrise abbassando la testa come se si vergognasse di essere stata scoperta nella sua bugia. Mise la prima e parti’ verso casa.

Non avevano ancora smesso di corteggiarsi. E lui sapeva che prima o poi qualcuno gli avrebbe tolto la possibilità di farlo.

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