Matteo Freddi FINCHÈ MORTE NON CI RIUNIRÀ Youcanprint Self-Publishing
Titolo | Finchè morte non ci riunirà Autore | Matteo Freddi Immagine di copertina | © McCarthys_PhotoWorks - Fotolia.com ISBN | 9788891170118 © Tutti i diritti riservati all’Autore. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta senza il preventivo assenso dell’Autore. Youcanprint Self-Publishing Via Roma, 73 - 73039 Tricase (LE) - Italy www.youcanprint.it
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«E ogni angoscia che ora par mortale, di fronte al perder te, non parrà eguale.» William Shakespeare
NOTA DELL'AUTORE Questo romanzo racconta fatti realmente accaduti e contiene citazioni di frasi pronunciate dalle persone che hanno vissuto gli eventi. Il testo include anche personaggi e situazioni di fantasia, di conseguenza non può essere considerato una cronaca storica. Personaggi realmente esistiti: DRAGUT: comandante navale e corsaro turco. Imperversò per decine d'anni nelle coste del Mediterraneo saccheggiando paesi e città specialmente del Sud Italia e della Liguria. PIALE PASCIÀ: ammiraglio della flotta turca. LALA MUSTAFÀ: comandante dell'esercito turco. JEAN PARISOT DE LA VALETTE: nato in Provenza, entrò nell'Ordine dei Cavalieri di Malta. Fece carriera fino a raggiungere il grado di Gran Maestro, la carica più alta. IL SACRO ORDINE DEI CAVALIERI DI MALTA: attualmente noto come SOVRANO MILITARE ORDINE DI MALTA. Opera a livello mondiale in attività mediche e umanitarie. Inoltre gestisce vari ospedali in Europa. GARḈIA DE TOLEDO: viceré di Spagna. FEDERICO DE TOLEDO: figlio del viceré. VITELLINO VITELLESCHI: giovane cavaliere che si distinse per il suo coraggio. IMPERATORE SOLIMANO IL MAGNIFICO: sotto la sua guida l'Impero Ottomano raggiunse l'apice del suo splendore. PRINCIPESSA MIRHMAH: l'adorata figlia di Solimano. VISIR SOKOLLI: consigliere preferito di Solimano.
ANDREA PROVANA: ammiraglio italiano che comandò la flotta sabauda. GIANANDREA DORIA: ammiraglio genovese pronipote del celebre Andrea Doria.
A.D. 1540 II potente pezzo d'artiglieria allungava la sua ombra sul massiccio rostro di legno. Una mano poggiava sull'unico cannone della nave. L'ammiraglio turco Dragut era in piedi, a prua della galea. Occhi chiusi. La sua mente era concentrata ad ascoltare un suono lontano. Sulla terra ferma. Stizzito, si accarezzava i baffi. Si girò verso l'equipaggio e ordinò: «Frustateli! Voglio sbarcare a terra!» I marinai sferzarono duramente i prigionieri incatenati ai remi. Il vice ammiraglio Piale Pascià colpì personalmente un ragazzino che svenne all'istante. A Dragut non sfuggì la scena: «Una secchiata d'acqua per quel debole! Deve continuare a compiere il suo dovere! Pascià! A rapporto da me.» Piale con o deciso raggiunse il comandante della flotta che non perse tempo e cominciò a parlare: «Le senti? Campane! Campane cristiane! Proprio non le sopporto! Quante dovrò buttarne ancora in mare? Odio il suono che emettono. Voglio che tacciano per sempre.» Piale annuì convinto: «Vero. Tacciano per sempre.» Dragut soddisfatto continuò: «Conosco bene queste terre. Dritto davanti a noi c'è un piccolo villaggio di pescatori. Guiderai tu la scorreria oggi. Aggredisci velocemente gli abitanti e al tempo stesso penetra nell'entroterra. Il campanile dove stanno suonando le campane non è lontano.» Piale sogghignò soddisfatto: «Grazie per l'opportunità.» «Ricorda i miei insegnamenti e avrai successo. Quando avrai terminato, ti darò una nuova, inedita lezione. Fai come me. Sono il migliore. Impara da me. Diventerai il migliore.» *** I turchi lanciando invettive a squarciagola assaltarono il porto. «Mamma li turchi! Mamma li turchi!» urlò un uomo scappando il più velocemente possibile.
Un bracciante lasciò cadere il cesto pieno di pesce che trasportava. Corse verso casa sua gridando «Caterina! Prendi i bambini! Dobbiamo scappare.» I corsari, scimitarra in mano, guidati da Piale avanzarono senza alcun problema tra le piccole case: «Uomini! Eccola! La vedete? Tutti alla chiesa!» Improvvisamente un uomo sbucò da un vicolo poco più avanti. Mirò e sparò con la sua balestra. Un dardo sibilò nell'aria. «Pascià! Attento!» disse concitato un turco spingendo a terra il suo comandante. Il dardo colpì il corsaro in pieno petto. In silenzio, si accasciò all'istante. Piale da terra si accorse che la morte lo avrebbe stretto nel suo abbraccio se non fosse stato buttato a terra. Fece per aprir bocca e ringraziare il suo salvatore quando un altro pescatore da una finestra lasciò partire un'altra saetta di legno. Il soccorritore del vice ammiraglio non udì mai il ringraziamento. Il dardo gli traò la gola da parte a parte. «Catturateli!» ordinò Piale. *** II sole riscaldava le terre della fattoria. Deng deng deng. Le campane risuonavano in lontananza. La chiesa aspettava i fedeli per funzione domenicale. Deng deng deng. Il contadino con la pelle scura, quasi bruciata, incitava il possente cavallo da tiro a trainare l'aratro. «Dai bello! Forza! Dobbiamo finire in giornata!» Una donna uscì dalla casa vicina. «Giovanni! Corri! È arrivato il momento!» L’uomo fermò il cavallo tirando con forza le redini. «Aspettami qui. Torno presto» con una mano diede due vigorose carezze sul collo dell'animale e corse a perdifiato verso casa sua. Varcò la soglia ed entrò nella stanza da letto. Il tetto di paglia lasciava trapelare ampi fasci di luce. La donna che lo chiamò, con un largo sorriso, era in piedi, a fianco del letto. La moglie aspettava con un fagottino urlante tra le braccia: «Marito mio, vieni a conoscere... Marco, il nostro maschietto!» Giovanni camminò lentamente avvicinandosi alla sua famiglia. Si sedette sul letto e strinse in un tenero abbraccio moglie e figlio. Deng deng deng. Il padre mise una mano sulla testa del primogenito e disse: «Marco Rosso, sei nato mentre le campane della chiesa suonano a festa. Farai grandi cose. Lo sento nel cuore.»
*** II cospicuo bottino del saccheggio era ammassato in sacchi vicino all'ingresso della casa. Due turchi collaboravano caricando a più non posso un carro a due ruote, agganciato al cavallo da tiro. Decine e decine di donne e uomini erano incatenati in ginocchio, uno con l'altro. Il fagottino urlante era a terra, tra i piedi della madre. «Bene. Le campane infedeli sono qui. Silenziose. Davanti a me. Assieme a ricchi sacchi colmi di candelabri della chiesa e altri oggetti sicuramente interessanti e di valore. Ben fatto!» osservò Dragut, complimentandosi con Piale. «Vieni, iamo in rassegna i prigionieri. Ti insegnerò come valutarne l'utilità.» I due cominciarono a camminare lentamente, spalla a spalla, osservando i prigionieri: «Bene bene. Questa donna ha partorito da poche ore, forse solo da minuti. Liberatela. Lasciatele il figlio. Crescerà. Quando sarà grande a sufficienza, se ricadrà nelle nostre mani, potrà essere utile all'Impero Ottomano come manovale. Torneremo sicuramente più volte qui. Savona e dintorni si saccheggiano facilmente. Chissà. Magari un giorno costruiremo una moschea su queste terre. Invece del suono stonato delle campane, udiremo il dolce canto del muezzin che ci chiama a pregare in moschea. Se Allah lo vuole.» Un o avanti e si fermarono: «Mm... gli stessi occhi della donna che ha partorito. Si somigliano. Potrebbero essere sorelle. Con lei puoi divertirti un po', se vuoi.» Dragut riprese a camminare. Piale lo seguì. Gli occhi terrorizzati di uomini vigorosi chiedevano pietà. «In seguito libera anche lei. Aiuterà a crescere il nipote. Il padre, chiunque sia, verrà con noi. Gli individui di questa zona sembrano molto energici. Ricorda. Le ricchezze dell'Impero Ottomano crescono grazie alla forza degli schiavi. Ci servono per spingere le nostre galee e come manovali per qualsiasi lavoro pesante. Nel caso il prigioniero sia un ricco o un potente, chiedi un riscatto. Sarai pagato lautamente.» L'ultimo prigioniero della fila era il prete. Dragut lo indicò con un dito: «Tienilo con te sulla tua nave se non ne hai già uno. Gli schiavi lavorano più velocemente e meglio dopo averlo ascoltato.» «Dei due che ci hanno aggredito che ne facciamo?» chiese Piale. «Toglietegli le catene, subito. Saranno d'esempio per il futuro. Tutti devono sapere il trattamento che riserviamo a chi si ribella. Metteteli in ginocchio.
Decapitateli.»
A.D. 1564
Ventiquattro anni dopo Il piccolo battello procedeva spedito verso la galea genovese. I due rematori affondavano con forza i remi nel mare calmo. Piatto. Increspando l'acqua in superficie. Il vecchio cavaliere nella sua lunga maglia rossa con una grande croce bianca a otto punte sul petto e su entrambe le maniche, era immobile. Stretto nel mantello, anch'esso rosso, con lo sguardo osservava la sagoma della nave, ormai vicina. Una voce si alzò dalla galea: «È in arrivo il gran maestro del Sacro Ordine dei Cavalieri di Malta. Prepariamoci a farlo salire a bordo.» Gli schiavi bruciati dal sole, incatenati ai remi, sedevano silenziosamente sulle lunghe panche di legno. Il gran maestro, in piedi di fronte a un magro ottantenne coperto da una folta barba incolta, cominciò a parlare: «lo sono se, voi siete turco, se non ricordo male parlando in spagnolo mi capite alla perfezione, giusto Dragut?» Lo schiavo con tono irritato rispose: «Eccome se vi capisco. Ricordo anche chi siete. Jean Parisot de La Valette. E voi vi ricordate? Anni fa vi catturai. Vi legai a un remo della mia nave. I vostri fratelli cavalieri vi vogliono un gran bene. Mi ricoprirono mo d'oro per lasciarvi libero.» Il gran maestro, imibile, rispose: «Al momento siete voi prigioniero. Usanza di guerra.» Dragut grugnì dalla rabbia e replicò: «Solo una mutazione di fortuna ha permesso ai genovesi di catturarmi. Indisturbato per anni ho saccheggiato e assediato centinaia di paesi lungo il Mediterraneo, Specialmente le coste italiane. Nella mia carriera ho sempre avuto solo una vera spina nel fianco. Voi. I cavalieri di Malta. Non sapete quanto vi odio. Vi odio. Tutti quanti!» La Valette sempre imibile obiettò: «Non mi dite cose nuove. Lo immaginavo. Noi vogliamo difendere la nostra fede. Abbordando le vostri navi mercantili riprendiamo parte dei tesori che voi avete rubato alla cristianità. Mi hanno detto che tra poche ore Piale Pascià in persona verrà a pagare il vostro riscatto. Una volta libero intendete riprendere le vostre scorribande?»
Dragut con una smorfia sarcastica rispose: «Certo. Alla mia età non ho ancora molto da vivere. Voglio chiudere in bellezza. Riprenderò la mia lotta spietata contro gli infedeli come voi. Mi chiamano la Spada Vendicatrice dell'Islam. State attenti. Potrei venire a casa vostra. A Malta.» «Nel caso, sapete dove trovarci» disse con tono deciso La Valette. *** «Scarpe. Scarpe comode! Avvicinatevi!» «Pugnali! Coltelli!» «Sedie! Tavoli! Venite dal vostro falegname di fiducia.» Federico de Toledo, attorniato dagli uomini della sua guardia, procedeva con fatica tra la folla. Come consuetudine il mercato attirò tutte le tasche siciliane piene di denaro. I venditori tra una contrattazione e l'altra urlavano per richiamare l'attenzione. Un tozzo monaco con le gote rosse davanti a un carro pieno di botti di legno, disse a voce alta: «Vino rosso! Vino bianco! Vino per tutti i gusti! Voi nobile signore? Volete rallegrare le vostre serate?» Federico lentamente si fermò: «Volete assaggiarne un sorso signore? Lo produco insieme ai miei fratelli in monastero. Una volta provato non vorrete più farne senza. Garantito!» Il nobile si voltò e disse sottovoce a una guardia: «Non mi fido troppo. Mi sembra alticcio. Assaggialo tu.» Mise una mano in tasca, tirò fuori qualche moneta e aggiunse: «Se lo ritieni buono comprane più che puoi. Ti aspetterò dove sai.» Il soldato annuì e si avvicinò al monaco. Federico fece un rapido gesto con la mano al resto dei suoi uomini: «Noi procediamo. Lui ci raggiungerà. Voglio far visita al mio mercante preferito.» *** I due amici conversavano amabilmente divisi dalla bancarella colma di tessuti pregiati.
«Buon Dio! Niccolò! Chi è quell'uomo che si sta alzando? Era seduto a pochi i da te?» disse sorpreso Federico. II mercante sospirò: «Non avete mai visto una scena simile al mercato? Io in altre città ne ho viste tante. Ognuno vende quello che ha. Lui non ha niente, perciò non gli rimane che vendere se stesso. È debole e sicuramente denutrito. Deve aver camminato molto negli ultimi giorni. Gli ho dato parte della mia acqua e qualcosa da mangiare.» Federico strabuzzò gli occhi: «Un uomo che si mette in vendita in un mercato? Mai visto niente di simile. Nemmeno nella mia immaginazione. Eppure sono abituato a vedere presentarsi gente bisognosa di lavoro direttamente alla mia corte.» Rivolgendosi verso il povero aggiunse: «Buon uomo, vieni qui. Fatti vedere.» Il nullatenente titubò. Rimase fermo. «Se sei un buon uomo, non hai nulla da temere.» Niccolò si avvicinò al sofferente, lo strinse forte per un braccio e lo portò al cospetto del nobile, impietositosi disse: «Non aver paura. Lui può darti un lavoro.» Federico con sguardo comionevole domandò: «Sei malato o solamente denutrito come sostiene Niccolò?» L’uomo con un filo di voce rispose: «Ho solo fame. Ve lo garantisco. Non mangio da sette giorni. Vi sarò eternamente grato se mi darete un lavoro.» Federico sorrise. «Bene. Vieni con me. Ti troverò qualcosa. Da questo momento sarai uno dei miei servi di corte.» *** Il vessillo bianco raffigurante il simbolo papale, due chiavi incrociate sotto il triregno, pendeva da un'asta inserita nel muro in pietra. Il tesoriere, seduto dietro il bancone stringeva tra le mani un massiccio forziere in legno. Due soldati immobili, davanti a lui, scrutavano attentamente i anti. Incrociando le loro alabarde proteggevano il funzionario disarmato. Un uomo con o sicuro si avvicinò. «Mi pare di conoscerti. Nome?» chiese il tesoriere. «Sinibaldi. Ettore Sinibaldi. Sono venuto a riscuotere la paga che mi spetta.»
Le guardie rimasero immobili. Una di loro strinse saldamente le mani attorno all'arma. «Calma ragazzi, non ho cattive intenzioni. Prendo il mio denaro e me ne vado.» Il funzionario papale estrasse dalla tasca una pergamena. La srotolò e l'appoggiò sul bancone. Con gli occhi scorse velocemente il fitto elenco scritto. «Guardie. Riposo. Sì, quest'uomo deve ancora ricevere la sua paga.» «Ai vostri ordini signor Arnaldo!» rispose una guardia. I soldati si rilassarono e si fecero da parte. «Devi scusarli Ettore. Oggi, avendo poco denaro con me sono accompagnato da una piccola scorta non troppo esperta.» Sinibaldi ridacchiò: «Non c'è problema. Capisco. Non gliene faccio una colpa. Non tutti sono stati svezzati dalla guerra come me.» Arnaldo aprì il forziere, prese una manciata di monete e le porse al suo interlocutore. Avidamente, in un sol colpo, Ettore svuotò le mani del tesoriere. Gli occhi del guerriero brillarono. «Così tanti? Devo aver lavorato bene! Grazie!» Le guardie si voltarono e fissarono Ettore incuriositi. Sinibaldi sghignazzò: «Eh sì ragazzi, ci so fare! Oppure il nostro tesoriere non sa contare.» Arnaldo rispose imperturbabile: «Io non sbaglio mai i conti. Per questo Sua Santità in persona mi ha affidato questo incarico. Hai ricevuto tanto denaro perché ti sei distinto per le tue azioni. Il capitano della galea conta molto su di te. Ha voluto premiarti. Meriti tutte quelle monete. Non ho dubbi. » Ettore si lasciò andare in un sorrisetto beffardo: «Conta su di me? Ora posso inseguire il mio sogno. Ora voglio rilassarmi. Basta Roma e dintorni. Voglio andare a nord. Voglio stare sulla terra ferma a ubriacarmi tutte le notti. Voglio spendere tutto il mio denaro in vino, birra e donne!» Arnaldo si innervosì: «Quando avrai sperperato tutti i tuoi averi cosa farai? Guardati bene. Come ti guadagnerai da vivere? Hai dimenticato quella lunga
cicatrice che hai sul volto? Per me sai fare solo un lavoro. II guerriero.» Ettore scosse le spalle: «Quando avrò bisogno nuovamente di un lavoro, mi farò arruolare dal signore di turno. Ovunque sarò.» Il tesoriere scattò in piedi e disse irato: «Mi hai profondamente deluso. Mi aspettavo che tu combattessi per un ideale. Per proteggere il Papa, per proteggere i fedeli, i nostri fratelli. Pensavo che tu fossi come una Guardia Svizzera.» «Cioè?» rispose annoiato Ettore. «Pronto a morire per difendere la vita del Papa.» Sinibaldi si voltò e s'incamminò lentamente. Allontanandosi disse: «Che cosa volete da me? Non sono un membro del clero. Non ho giurato nulla a nessuno. Sono solo un mercenario qualunque pronto a lavorare per chi gli offre di più. Non combatto inseguendo ideali. Pensateci bene, se lo fi, non sarei un mercenario.» *** La luce penetrava dall'alta finestra avvolgendo l'imponente scrivania attorniata da pile di libri accatastati disordinatamente. La parte superiore di un cranio bianco completamente calvo si ergeva tra due piccole fragili spalle. Nel suo saio marrone, padre Gianni era curvo sul tavolo. Completamente immerso nella lettura, bisbigliava con frenesia mentre scorreva gli occhi velocemente sulle pagine libro aperto alla sua sinistra. La porta della stanza si aprì. Un’ombra entrò in silenzio. Il prete, non accorgendosi di nulla, prese una penna e la intinse nell'inchiostro contenuto in una piccola ampolla in metallo. L'ombra si avvicinò furtivamente alla scrivania. Gianni, aumentando il suono dei bisbigli, cominciò a scrivere sulle pagine bianche di un libro aperto sulla sua destra. «Padre. Sempre immerso nei tuoi studi?» Il prete sobbalzò dalla paura. La penna gli scappò di mano dopo aver lasciato una spessa riga nera sul foglio sul quale stava scrivendo. «La Valette!» sospirò Gianni. «Quante volte vi ho detto di bussare prima di entrare! Prima o poi mi farete venire un colpo!»
Il gran maestro sorrise: «Ebbene sì. Lo ammetto. Mi diverte molto vedere le tue reazioni. Ad ogni modo penso che tu in un certo senso mi ringrazieresti se per un grosso spavento...» Gianni si alzò di scatto; «Andassi in paradiso?» I due si guardarono negli occhi e scoppiarono a ridere. II prete si lasciò andare e si sedette nuovamente: «Ah! Non riuscirò mai a rimproverarvi seriamente! Però vi avviso! Intendo camminare ancora a lungo sul suolo maltese. Ho tanti testi antichi ancora da tradurre.» La Valette chiese incuriosito: «Su cosa stai lavorando ora?» «L'Odissea. Dalle descrizioni dell'autore deduco che le galee dei giorni nostri sono del tutto simili a quelle usate da Ulisse e compagni.» Il gran maestro annuì pensieroso: «Si, ho letto qualcosa di Omero. Però non mi sono mai soffermato su tali dettagli. I miei impegni mi costringono a dedicare gran parte del mio tempo nel pensare al presente. A dirigere il Sacro Ordine dei Cavalieri di Malta.» «A proposito» padre Gianni picchiettò le dita sulla scrivania con una leggera aria inquisitoria, «volevo farvi una domanda. Mi giunge voce che date ordine di inseguire e abbordare non solo le navi musulmane, ma anche quelle dei nostri fratelli cristiani. È vero?» La Valette rispose fermamente: «Sì. Vero. Ti dicono anche che non facciamo del male a nessuno? Noi cerchiamo solamente i ricchi averi degli ebrei. Null'altro.» Imperturbabile, Gianni continuò a picchiettare le dita: «Vi sembra un agire lodevole?» Il gran maestro si avvicinò il più possibile e appoggiò le mani sulla scrivania: «I ricchi mercanti e strozzini ebrei che vivono in Europa si fanno trasportare insieme ai loro averi sulle navi cristiane per mimetizzarsi. Per cercare di are inosservati. Noi abbiamo tanto bisogno di quel denaro.» Il prete scosse la testa: «Non mi avete risposto. Abbordare galee cristiane vi sembra un agire lodevole o un peccato?»
La Valette, scandendo bene le parole, replicò: «Noi cavalieri di Malta siamo solo qualche centinaia di anime insediate su una piccola isola del Mediterraneo. Dobbiamo pensare non solo al presente. Dobbiamo pure pensare al nostro futuro. Al futuro dell'Ordine e alla sua sopravvivenza. Abbiamo bisogno di tanto denaro per continuare a importare anni e armature, per costruire e migliorare le nostre fortificazioni. I turchi negli ultimi anni hanno conquistato molte terre. Nessuno finora ha fermato la loro avanzata. Se un giorno dovessimo essere chiamati noi a difenderci dalle truppe dell'imperatore Solimano?» Le dita di Gianni si bloccarono di colpo. La Valette guardò la mano del suo amico e aggiunse: «Ora faccio io una domanda. Gesù Cristo ci ha dato delle linee guide comportamentali. Non ci ha detto come comportarci in ogni singola situazione. Quindi, in generale cos'è un peccato? Come fai a sostenere che una persona compie un peccato senza immedesimarti nel suo punto di vista? Tu nella mia posizione, nello stesso momento, nella stessa situazione, cosa faresti? Agiresti diversamente o compiresti le stesse azioni? Nel caso tu mi imitassi, commetteresti un peccato o metteresti in atto ciò che è giusto?» Padre Gianni stupefatto aprì la bocca leggermente. Con sincera ammirazione rispose: «Interessante lezione di filosofia. Volete per caso prendere il mio posto? Volete diventare la guida spirituale degli abitanti di Malta?» Il gran maestro ammiccò e uscì dalla stanza.
A.D. 1565
Un anno dopo “A casa. Sempre bello tornare a casa!" pensò il mercante Niccolò. Il commercio in città fu molto impegnativo ma economicamente gratificante. La pregiata lana importata dall'Inghilterra ebbe un enorme successo alla fiera cittadina. Federico, il suo caro amico ne comprò un enorme quantitativo con la promessa di saldare il debito entro sette giorni. A Niccolò non piaceva concedere credito ma ritenne che per Federico, il figlio di Don Garçia de Toledo, il viceré di Spagna, si potesse fare un'eccezione. Come si fa a rifiutare un favore a una persona così importante? Accattivarsi ancor di più la famiglia reale sicuramente non può che portare benefici. Il cavallo, fiancheggiando una fattoria ancora addormentata, avanzava lentamente sul sentiero. Niccolò stanchissimo scrutava l'orizzonte. Un gallo cominciò a cantare allegramente. Le prime luci dell'alba illuminavano la costa ormai vicina. «Sempre bello tornare a casa. Guarda che bell'alba rossa vivida mi regala la mia terra. Non la ricordavo così. Avrò le idee confuse perché non vedo l'ora di rivedere mia moglie. Ho voglia di raccontarle i successi del mio ultimo lavoro. Oh mia cara e bellissima Eleonora! Mi sei mancata! Alta, snella, scaltra, intelligente!» Zzzzzz. «Va via zanzara!» Inveì contro l'insetto. «Più di una volta ti ho visto saltare In steccato e acciuffare i conigli che si avventuravano nel tuo orto! Mi sei mancata, sto arrivando!» Zzzzzz. Con un veloce colpo di mano Niccolò schiacciò la zanzara che si era posata su una guancia. «Ti ho preso!» L'uomo contento di essersi liberato dell'insetto guardò ancora più attentamente il paesaggio davanti a sé. A ben vedere, qualcosa non andava. Troppo vivida l'alba. Socchiuse gli occhi e si sforzò di capire cosa succedesse... «Fiamme! Galee attraccate al largo! Sono arrivati i corsari! Scappa, mio amore, non cadere prigioniera!» Niccolò accorciò le briglie. Con decisione sferzò il cavallo. «Eleonora! Arrivo!» *** La sala era interamente costruita in marmo. Il colonnato circolare in prossimità dei muri delimitava perfettamente il cuore dell'ambiente, la parte centrale, dove i sei visir stavano aspettando in piedi, stretti tra le loro vesti ricamate. II mento
appoggiato sul petto. Raccoglievano le idee ma soprattutto le parole. Sapevano benissimo che sarebbe bastato un tono di voce sbagliato per far rotolare le loro teste sul pavimento. Un fragore acuto riecheggiò tra le mura. Le guardie entrarono scortando Solimano, l'imperatore Ottomano. Il turco più potente al mondo, come sua consuetudine, si sedette sul trono protetto da una grata, reso invisibile da una tenda scura. A un batter di mani si accese un fascio di luce che si riflesse sul soffitto illuminando il trono e quasi metà sala. «Cominciate, spiegate la vostra idea» disse con tono deciso Solimano. Non avendo la possibilità di vederlo e grazie alla particolare illuminazione, ai visir sembrava di discutere con un'entità spirituale. Non con un uomo. «Quindi?» Il visir Sokolli alzò la testa e ruppe gli indugi: «Imperatore, da anni abbiamo il controllo marittimo del Mediterraneo, nonostante ciò abbiamo una fastidiosa spina nel fianco, una piccola isola ci disturba, a volte prende in ostaggio alcuni dei nostri fratelli, altre affonda le nostre galee. Non è onorevole permettere che la situazione perduri.» Silenzio. Silenzio. Il visir abbassò la testa e socchiuse gli occhi. Ancora Silenzio. Finché... «Quello che dici è... giusto» sul volto di Sokolli spuntò un piccolo sorriso. «Per questo ti reputo uno dei migliori consiglieri. Comunque non mi hai convinto, ho condotto il mio esercito su terra a enormi conquiste, i miei cavalli sono alle porte di Vienna. Ora dovrei fermarmi per attaccare un'isola? Ogni volta che ho affrontato i Cristiani sul campo di battaglia, ho stravinto. Sono tutte femmine!» Sokolli non più intimorito, in tono rispettoso continuò a difendere la sua opinione: «Mio imperatore, Malta è un covo di figli di Satana che non meritano di stanziare nel mare che controlliamo. Inoltre è distante pochi chilometri dalla Sicilia. Una volta conquistata avremo il pieno controllo delle acque e da lì avremo gioco facile ad arrivare alla mela che bramiamo. A quella città che si chiama Roma.» Un fruscio di vesti partì da dietro la tenda. Solimano si alzò e disse: «Io, chiamato "Spada Sguainata dell'Islam" sono ancora dell'idea di attaccare Vienna, immagino già i miei cavalli abbeverarsi a Roma. Chiamate Dragut, voglio
sentire anche la sua opinione.» *** Il sole riscaldava la sabbia battuta della piazza di Castel Sant’Angelo. «Hai voglia di scommettere qualche soldo sul nostro allenamento di oggi?» disse il vecchio settantenne. «Va bene, il solito. Oggi però con il pugnale» rispose il giovane. Entrambi sguainarono il pugnale e partirono in combattimento, sicuri di non nuocere all'avversario. Per tenersi meglio in forma i due cavalieri indossavano l'armatura a placche da guerra che proteggeva interamente il corpo. Il giovane partì con un rapido affondo sulla destra. Il vecchio indietreggiò di un o e fece partire un fendente verso la testa dell'avversario che si alzò di scatto. I due si fermarono. La lama del giovane era a contatto con il collo del vecchio. «Finalmente ho vinto!» Una grassa risata si sparse nella piazza. «Sicuro? Guarda bene dov'è il mio pugnale. Fossimo avversari, probabilmente ti udirei cantare in un concerto di voci bianche! Pareggio. Buon tentativo impavido Vitellino Vitelleschi!» Il ragazzo abbassò lo sguardo, verificò la veridicità dell'affermazione del compagno d'armi e rispose: «Ebbene, gran maestro La Valette, pareggio.» «Mio signore! Urgente!» urlò un uomo vestito da mercante entrando in piazza, correndo e sbracciando. Il gran maestro girò lo sguardo verso il nuovo arrivato. «Ebbene Girolamo, hai importanti informazioni?» Il mercante stremato, si fermò e con un filo di voce pronunciò: «Chiedo udienza, urgente.» Il viso di La Valette si contorse in una smorfia tesa e preoccupata. «Accomodati alla sala consiliare, dammi qualche minuto per mettermi comodo e rendermi presentabile.» La stanza era ampia e ben illuminata. Enormi arazzi raffiguranti il blasone dell'Ordine dei Cavalieri di Malta, la croce bianca a otto punte su sfondo rosso,
pendevano dal soffitto. Le imponenti vetrate lasciavano are il sole del Mediterraneo riscaldando l'ambiente. «Mio signore, guardate, grazie ai miei commerci con l'est» disse Girolamo agitando alcuni fogli «sono riuscito ad ottenere il testo integrale di un nuovo piano d'attacco nemico. L'ideatore è il visir Sokolli, vuole convincere l'imperatore ad attaccarvi qui, a Malta, per annientarvi e rendere proprietà turca l'intero mare.» Jean Parisot de La Valette afferrò i fogli dalla mano della spia. Prese un candelabro da un tavolo alle sue spalle. Accese le tre candele e le avvicinò agli scritti eseguiti con succo di limone. Un cupo silenzio calò nella sala. Il gran maestro leggeva assorto il messaggio. ato qualche istante... «Guardie!» Due lancieri spalancarono la porta. Girolamo sobbalzò e strabuzzò gli occhi... «Guardie! Bloccate tutte le nostre galee ferme al porto, fate rientrare chi è in mare! Chiamate Vitelleschi, dobbiamo terminare al più presto l'edificazione di Castel Sant'Elmo. Prepariamoci a un probabile imminente attacco!» *** Le strade nel paese risuonavano dello sferragliare delle catene. I corsari turchi stavano finendo di caricare i prigionieri della loro ultima scorribanda. «Eleonora! Eleonora! Dove sei?» il cuore di Niccolò batteva a mille. Le sue pupille scrutavano velocemente le fila di prigionieri in cerca degli inusuali corti capelli neri di sua moglie. L'uomo scese da cavallo, triste. Molto triste. I suoi occhi non videro quello che cercava. Le gambe cedettero. Cadde in ginocchio. Imibile. Osservò l'orizzonte. Notò che era pieno. Molto pieno. Un'infinità di vite umane e di metallo. «Messer Niccolò, finalmente è qui!» il quindicenne fratello di Eleonora saltò davanti all'uomo ridotto in ginocchio. «Dov'è? L'hanno presa?» Una scintilla di speranza si accese nel suo cuore. «Dimmi ti prego» fece con voce strozzata. Il ragazzino gli mise le mani sulle spalle: «Sì...» In quella luminosa e focosa mattina si spense una scintilla.
«Lasciami solo.» *** Da due giorni, al largo, erano ormeggiate le navi corsare. Niccolò riparava la casa. La casa semidistrutta dal saccheggio turco. Le forze erano tornate. Nutriva buone speranze. Con sé aveva ancora un bel gruzzoletto. I fiorini guadagnati al mercato. Tutti erano in attesa di sapere a quanto ammontava il riscatto dei propri cari. Una nube grigia si alzò in lontananza. Rumore di zoccoli di cavallo. «La confraternita di Messina!» gridò la folla. I tre nuovi arrivati si fermarono in mezzo alla strada. Tutto il paese li circondò. Fremevano per la vita dei parenti in schiavitù. Tutti parlavano, chiedevano aiuto. Si avvicinò anche Niccolò. «Signori, siamo qui per trattare con i corsari capeggiati da Dragut. Non sarà cosa facile, se scoprono che qualcuno proviene da una famiglia ricca il conto sarà salato come il mare. Pregate che i vostri cari non abbiamo fatto troppo sfoggio dei vostri averi. Noi siamo solo mediatori, chi non avrà fondi necessari per pagare potrà dire addio ai propri cari e immaginarli per il resto della vita incatenati ai remi delle galee orientali.» All'udire le ultime parole tutti ammutolirono e si fecero il segno della croce volgendo Io sguardo verso il ciclo. In quel momento si riaccese una scintilla. «Messer Lanza. Messer Niccolò Lanza?» Il mercante corse verso il mediatore. «Sono io. Quanti? Quanti fiorini vogliono in cambio di mia moglie?» *** Carnagione olivastra e occhi verdi. Mirhmah, materialista e viziata, udendo quelle parole arrossì di rabbia e andò via stizzita. «Principessa, aspettate!» La ragazza senza voltarsi rispose: «Voglio parlare con mio padre!» Erano seduti una di fronte all'altro su morbidi cuscini ricamati. «Padre, quei dannati monaci guerrieri hanno attaccato una delle nostre navi! Il
forziere ricco di pietre preziose riservate a me ora è a Malta!» Solimano strinse le mani della figlia. «Mia cara, te ne procurerò altre, vedrai. E molte di più. Vedrai quanti tesori giungeranno a noi. Aspetta che conquisti e saccheggi la ricca Vienna.» Gli occhi della ragazza si inumidirono. «Ma io non riesco a pensare che le mie pietre siano in mano a quei luridi infedeli.» Il volto dell'imperatore abbandonò l'aurea comionevole e diventò rigido. «Per un fortuito caso tu vuoi attaccare Malta come i visir. Io, l'imperatore, non la penso così. Per me è meglio non attaccarla, preferisco continuare l'avanzata su terra e conquistare nuovi tesori europei. Porta pazienza. Dimentica la tua sete di vendetta. Vedrai. Vienna ti donerà di più.» Una piccola lacrima scese sulla guancia di Mirhmah. Una lacrima di stizza. La principessa voleva i suoi gioielli. A tutti i costi. Si asciugò il viso meditando. Pensando come convincere suo padre a cambiare idea. Si alzò e disse: «Andrò a pregare insieme all'imam in moschea.» «Davvero principessa? Gli infedeli hanno rubato un piccolo tesoro?» disse l'imam sorpreso stropicciandosi la lunga e folta barba. «Sì, e hanno fatto prigioniero buona parte dell'equipaggio. I nostri fratelli ora sono schiavi. Vi prego. Convincete mio padre ad attaccare Malta per liberarli.» «Principessa, le vostre sono parole sagge, nessuno di noi deve vivere in schiavitù. Ogni venerdì durante la preghiera ricorderò i prigionieri, le cui grida tormentano il Profeta. Prigionieri che sarebbero uomini liberi. L'unica arma in grado di spezzare le catene di quegli sfortunati è la spada invincibile del Sultano.» *** «Non esistono parole dolci, per dirlo. Purtroppo.» Niccolò immaginava il resto della frase. Sentì la scintilla nel suo cuore spegnersi nuovamente. «Non sono disposti a trattare il riscatto di vostra moglie perche sostengono che è
molto vitale e atletica. Più volte ha tentato di ribellarsi. Dicono che sarà l'imperatore in persona a decidere la punizione da infliggerle. Che Cristo la aiuti.» I giorni diventarono molto bui. Il marito diventato solitario cercò di reagire. Pregò tanto e giunse a una conclusione. Non voleva che altri in futuro provassero il suo tremendo dolore. Un dolore tagliente come una lama appena affilata, capace di recidere in due il suo cuore. Da mercante diventò vedetta. A turno, giornalmente doveva presidiare su una torretta di legno una porzione di mare. «Messer Lanza, sono qui, ora tocca a me» gridò Puccio, un ragazzino di quindici anni. «Bene, non vedo l'ora di fare una bella dormita.» Niccolò scese le scale, salutò e si avviò verso casa. Lentamente. Nessuno lo aspettava. «Ah! Dimenticavo, Puccio attento! Gira voce che i nemici possano tornare entro pochi giorni. Il loro capo, il famoso Dragut, che da decenni depreda e saccheggia l'Italia e dintorni è stato convocato in udienza da Solimano. Per andarci dovrà tornare indietro.» Il ragazzo senza voltarsi urlò: «Non vi preoccupate, ho la vista acuta. Per questo mi hanno assegnato il turno di notte.» Deng deng deng suonava la campana. Deng deng deng suonava ancora convulsamente nella notte. «Mamma li turchi! Mamma li turchi! Sono tornati!» Niccolò si svegliò di soprassalto e uscì di casa. Un gruppo di mercenari quasi lo travolse. L'ultimo si fermò, sguainò una daga e gliela porse: «Scappa, o brandisci quest'arma e difendi la tua casa fino alla morte.» *** «Padre, sono qui per confessare i miei peccati.» La Valette era seduto, lo sguardo fermo, perso nel vuoto. «Non i peccati che ho commesso. I peccati che probabilmente commetterò.» Padre Gianni ascoltava dall'altra parte della grata. Nel confessionale un fascio di luce si rifletteva sul suo volto rendendolo quasi un'entità spirituale. «Fratello,
non preoccupatevi. Il papa ci ha appena rassicurati. Se i turchi scateneranno la Jihad, la Guerra Santa contro di noi, sarete autorizzati a uccidere. La difesa della cristianità garantirà ai suoi paladini il paradiso.» Il guerriero voltò lo sguardo in cerca dell'interlocutore. «Lo so. Questo riempirà di fervore il cuore dei miei uomini. Io invece non dimentico il nostro motto: "difesa della fede e assistenza al povero". Ora sono costretto a concentrarmi solamente sul primo punto: difesa della fede.» Padre Gianni si avvicinò il più possibile alla grata che li divideva. «In questo momento non abbiamo scelta. La difesa della cristianità è fondamentale. La cristianità non è solamente la nostra fede, è anche la nostra cultura, le nostre tradizioni, la letteratura e le opere d'arte create dai nostri avi. Come ben sapete io sono uno studioso, negli ultimi tempi ho avuto modo di confrontarmi con artisti, filosofi e matematici greci costretti alla fuga nel momento in cui il loro paese è caduto in mani musulmane. Il tesoro culturale greco è immenso. Dobbiamo avere il tempo di elaborare queste nozioni. Magari migliorandole con le nostre conoscenze. Perché no? Il concetto più interessante che mi hanno raccontato è la democrazia di Atene. Pensate che secoli fa nella loro piazza principale tutti i cittadini decidevano insieme sulle leggi da attuare; in questo modo si poteva vivere senza sorbirsi i capricci e le inettitudini del re di turno.» La Valette si mise una mano sulla bocca per trattenere una piccola risata. «Un popolo senza re? Idea curiosa! Non penso che un giorno sarà come immagini! A parte questo, penso tu abbia ragione, dobbiamo difendere tutto ciò che abbiamo. Se saremo attaccati, i cavalieri di Malta dovranno essere pronti a difendere, a costo della vita, l'intera cristianità. Infatti, ora è tempo che vada ad affilare la mia misericordia.» Il prete si fece indietro sgomento. Non capiva. «Caro amico, come ho detto prima, è un momento nel quale devo pensare solamente alla difesa della fede. La misericordia non è solo il sentimento che ci insegna il nostro Signore, per noi cavalieri è anche una daga che portiamo sempre al nostro fianco. Una lama forgiata per finire i nostri nemici.» *** Federico, mio caro amico.
Ti scrivo la presente per avvisarti che sono prigioniero dei corsari. Non potrei in nessun modo, al mondo, stare peggio. Io ti prego, cerca di tirarmi fuori da qui. Vendi e impegna tutti i miei pochi averi per cercare di liberarmi da questo inferno. Usa anche il denaro che mi devi se ora ce l'hai. Ti sarò debitore a vita, giuro che mi impegnerò ad aiutarti, qualsiasi favore richiestomi sarà un ordine. Dio ti dia la grazia di non provar mai le cattiverie che sto subendo. Niccolò Lanza *** Le urla riecheggiavano fino all'harem. Il sultano aveva appena scelto il suo successore. Eleonora era in ginocchio in un angolo della stanza. Faccia al muro. Occhi chiusi. Premeva forte le mani sulle sue orecchie. "Non posso vedere e ascoltare una scena simile! Spero di non dar mai un erede all'imperatore" pensò. "Non potrei sopportare il fatto di vedere un mio eventuale figlio strangolato solamente perché non è ritenuto degno alla successione dell'Impero." In quel momento, la siciliana cercò di controllare il respiro e le lacrime. Fece un sospiro e si impose di ragionare. "È inutile pensare a un eventuale futuro, devo concentrarmi sul presente. Ora sono stanca di accontentare le voglie di Solimano. Devo trovare una via di fuga. Devo scappare da qui, da Costantinopoli. Potrei cercare di accattivarmi la principessa. La sua lingua la conosco abbastanza bene grazie alle origini turche di mia nonna. Se riuscissi a diventare una sua amica o qualcosa del genere, potrei essere invitata a una eggiata al di fuori di queste mura. Una bella eggiata al mercato magari. Potrei dileguarmi tra la folla." *** La principessa come consuetudine entrò corrucciata nell'harem in cerca di compagnia. L'enorme ambiente era avvolto da una soffusa, calda luce rossastra. Le imponenti vetrate dipinte a mano filtravano la luce del sole. Sgargianti tappeti usati come arazzi coprivano interamente i muri. Uno sfavillante drappo rosso vicino all'ingresso pendeva dal soffitto dando il benvenuto a chi entrava. In fondo all'harem, dieci donne scesero tre scalini e si immersero nude nella piscina circolare. Sontuose ampolle decorate bruciavano essenze liberando nell'aria il loro dolce profumo sensuale. Variopinti petali di fiori freschi ricoprivano il pavimento. Al centro, quaranta ragazze nei loro succinti vestiti erano adagiate su
morbidi tappeti ricamati a mano. Alcune sedute, altre sdraiate, conversavano allegramente. Eleonora, fuori dal gruppo, assieme ad un'altra ragazza d'origine occidentale, osservava la sua immagine riflessa in un piccolo specchio d'acqua ricavato nel pavimento. Con una grande foglia verde usata come ventaglio si rinfrescava il viso osservando il suo volto riflesso nell'acqua. Mirhmah batté le mani per richiamare l'attenzione e iniziare a parlare della questione che più la affliggeva. I suoi gioielli rubati. Eleonora si alzò in piedi. «Principessa, so di essere un'umile schiava, scusate la sfrontatezza, ma vorrei porvi una domanda.» Mirhmah fece un gesto d'assenso e rimase in attesa. «Posso chiedere umilmente di aiutarvi in qualche maniera a convincere vostro padre?» Mirhmah sospirò. Chinò la testa quasi in segno di resa. «Non penso che tu possa fare qualcosa essendo una schiava.» Eleonora non si demoralizzò. «È vero, concordo, se anch'io consigliassi al sovrano di attaccare Malta per recuperare il tesoro non cambierei di certo la sua opinione. Essendo donne, chiaramente noi siamo solidali. Una principessa che si rispetti deve poter sfoggiare inestimabili gioielli. Unite potremmo farcela. Ogni venerdì l’imam ricorda a Solimano che i vili cavalieri di Malta hanno attaccato le sue navi svuotandole di qualsiasi bene prezioso comprese le forti braccia dei suoi marinai. Corretto? In aggiunta a questo, se tutti i giorni la sua principessa e tutte le sue donne nell’harem ricordassero la stessa identica cosa, pensate che l'imperatore possa cambiare idea?» Mirhmah alzò la testa. Sorrise. «Sì, potrebbe funzionare. Come ti chiami? Voglio are più tempo con te.» Eleonora sorrise e pronunciò il suo nome. In quel momento finalmente si risentì felice. Era riuscita a far breccia nel cuore della principessa. Chissà, magari sarebbero riuscite a mandare l'esercito turco ad assaggiare le spade maltesi, di certo più affilate di quelle viennesi. Fece un inchino e pensò: "Caro Solimano, considera il mio operato come l'inizio della mia vendetta. Probabilmente non avrò mai modo di fuggire per rivedere il mio Niccolò, però posso contribuire a convincerti a mandare il tuo esercito verso uomini che hanno dedicato buona parte della loro vita all'arte della guerra." ***
Caro Niccolò, amico mio. Ieri notte ho dormito poco e male. Il motivo? Nel pomeriggio ho letto la tua missiva. Che Dio ti aiuti! In famiglia stiamo pregando per te e i tuoi malcapitati compagni. Oggi con le mie guardie partirò per Messina. Mi metterò in contatto con la confraternita che gestisce le operazioni di riscatto. Spero di riuscire a racimolare il necessario per levarti da quell'inferno terreno. Non ho idea di come stai vivendo. Non oso immaginarlo. Ti mando un grande abbraccio fraterno. Potremmo non vederci mai più. Le nostre spie ci segnalano che Solimano il Magnifico sta valutando un eventuale attacco ai cavalieri di Malta. A casa loro. Intendo salpare il prima possibile per l'isola. Arrivato prenderò i voti e diventerò un monaco guerriero. Il loro piano è conquistare Malta per poi risalire l'Italia dalla nostra Sicilia. Non intendo aspettarli qui con le mani in mano. Voglio combattere in prima persona da subito. Carissimo amico, ti saluto. La misericordia di Dio sia con te. Federico de Toledo *** Solimano era sdraiato nel suo letto. Per nulla assonnato. Un turbine di pensieri vibrava nella sua mente: "Qual è la via giusta da percorrere? Possibile che mi sbagli? Se al contrario fossi l'unico ad aver ragione? L'imam mi incita ad attaccare Malta. La mia principessa vuole vendetta attaccando Malta. Le mie amate donne sempre dolci con me, vogliono che liberi i nostri fratelli uccidendo gli empi cavalieri maltesi. Eppure. Eppure... Noi non siamo un popolo originario del mare. Siamo diventati bravi grazie agli insegnamenti degli infedeli europei. Gli infedeli che hanno preferito vivere e abbracciare la vera fede. La nostra. Decine di marinai e ammiragli valorosi. Ci hanno permesso di ottenere un dominio quasi assoluto del Mediterraneo. Noi che abbiamo le nostre radici nell'entroterra dovremmo attaccare e assediare un'isola in mezzo al mare? Abbiamo imparato abbastanza per compiere questa impresa? Non so. Il mio sogno rimane sempre il medesimo. Abbeverare i miei cavalli a Roma. Sono di fronte a un bivio. La biforcazione a nord a attraverso l'assedio di Vienna ed è più lunga ma più sicura. Quella a sud è la più breve ma teoricamente la più ardua. Devo sciogliere questi nodi presenti nella mia mente. Mi è rimasto poco tempo. La vita terrena non è eterna. Spero che le prossime notti mi portino consiglio. Non è eterna. La vita terrena..." Con un sussulto, l'uomo si addormentò.
*** Appena entrata nell'harem, Eleonora le corse incontro: «Principessa, come sta vostro padre? Ho saputo del suo malore. Siete andate a vedere come si sente? E grave?» Mirhmah sogghignò. «Come sempre il vociare delle persone distorce la realtà. Mio padre sta benissimo. Ha solamente qualche problema a riposarsi.» Nessuna serva del sultano parve capire. L'amata di Niccolò riprese a comandare il discorso: «Non capisco. Per caso è preoccupato? O soffre di un particolare dolore quando si sdraia?» Mirhmah fece qualche o avanti e si mise al fianco di Eleonora: «Ragazze, mio padre grazie soprattutto alle nostre pressioni, è molto combattuto sul da farsi. Ha ato le ultime notti pensando, riflettendo, rimuginando se attaccare Malta o Vienna. Questo è stato, e spero continuerà ad essere, un buon lavoro. Noi donne non siamo mai riuscite ad essere importanti a livello decisionale. Forza! Sembra sia arrivato un momento a noi propizio. Coraggio! Grazie a tutte per la vostra solidarietà. Ma grazie specialmente ad Eleonora. La nostra... La nostra... mente se così si può dire...» *** Caro Federico, grazie per l'aiuto. Con te in mio soccorso sono sicuro che oggi sarà uno degli ultimi miei giorni vissuti in prigionia. Ti sarò eternamente grato. Ho un desiderio. Un forte desiderio. Vorrei contraccambiare l'enorme favore che mi stai facendo. Io non ho più nulla. Non ho più una casa. Non ho più una moglie. Non so se sta ancora respirando in questo mondo. So per certo che non la rivedrò mai più. La vita qui in Sicilia non ha più un senso per me. Permettimi di accompagnarti a Malta. Non posso prendere i voti. Me ne rendo conto. Però posso aiutare in qualsiasi altra maniera. Durante l'assedio potrei correre con secchi d'acqua per domare gli incendi, potrei correre con pietre per riparare le mura colpite dall'artiglieria, potrei correre per soccorrere i feriti. E chissà cos'altro! Mi offro come umile servo. Spero vorrai accettare la mia compagnia. Credimi, è tutto ciò che voglio. Dio mi è testimone. Un abbraccio fraterno. Niccolò Lanza
*** Le guardie si fecero da parte. Una aprì la porta. La figura dell'uomo che camminava a o sicuro era conosciuta in mezzo mondo. Entrato nella stanza vide un cumulo di vestiti intorno al letto. Null'altro. L'uomo pensò che ciò doveva essere stato predisposto per salvaguardare la vita del sovrano. Un omicidio si può commettere benissimo anche con banali oggetti di uso quotidiano. «Lasciateci soli. Potete chiudere» ordinò Solimano. Gli uomini di guardia chio le porte. «No, voi no. Ho ancora voglia della vostra compagnia oggi» disse rivolgendosi alle due donne che avevano accennato prontamente ad alzarsi dal letto. Le donne si sdraiarono nuovamente coprendosi il viso con le lenzuola fino agli occhi. Solimano rovistò sotto le coperte. Si mise i pantaloni e scese dal letto. «Bene, Dragut! Il mio uomo! Il mio corsaro preferito. Perdonami. Non mi vestirò di più. Sarebbe tempo perso per il resto della giornata.» «Ogni desiderio del mio imperatore è indiscutibile.» Dragut non era per nulla turbato. Quando incontrava Solimano in privato spesso assisteva a scene simili. I due si strinsero in un abbraccio rispettoso. «Bene amico mio, ti ho chiamato per chiedere anche a te un'opinione riguardo la scelta che dovrò prendere in questi giorni. Sai di cosa parlo vero? Una persona di fama come te, scaltra, intelligente, ricca di ammiratori saprà già di cosa sto parlando.» Il grande condottiero del Mediterraneo accennò un sorriso di compiacimento. «Come sempre, mio imperatore, avete fatto bene a non dubitare di me. Io sono per annientare Malta. Quell'isola è un nido di vespe da sterminare. I cavalieri sono dei valorosi combattenti e le loro galee continuano a importare una grande quantità di archibugi. Non posso accettare ancora per molto la loro esistenza. Sono una spina nel fianco mio e di ogni mio uomo. Inoltre ho un conto personale aperto con il gran maestro La Valette. Li assedieremo, li affameremo e appena s’indeboliranno... li massacreremo! Verranno travolti dalla pioggia di frecce che solo il nostro esercito può lanciare. Quelle frecce che hanno abbattuto qualsiasi nostro nemico in Europa. Ne sono sicuro. Sicuro come il fatto che ho
imperversato per decenni in lungo e in largo per il mare, fornendo all'impero incredibili tesori e innumerevoli schiavi utili come manodopera. Lasciatemi il comando delle operazioni. Come sempre, mio signore, non ve ne pentirete.» Solimano fissò gli occhi di Dragut, gli posò le mani sulle spalle e disse: «In tutti i modi voglio che tu rimanga qui. Hai ottanta anni. Goditi il meritato riposo.» Dragut fece una smorfia sardonica e rispose: «Mio sovrano, il mio animo non avrà riposo finché non vedrà Malta in fumo.» *** L'unico pensiero positivo che correva nella mente del gran maestro La Valette era il fatto che in quel momento tutti erano presenti nella sala consiliare. Finalmente il primo consiglio di guerra al completo. Il settantenne guerriero stava in piedi, come tutti gli altri quattro, attorno al tavolo. Essendo il generale, studiava il campo di battaglia nei minimi dettagli. Era totalmente immerso nell'osservazione della mappa di Malta. Senza staccare gli occhi da essa disse: «Messer Girolamo, rapporto.» La spia che vestiva i panni da mercante raccontò tutto quello che sapeva: «Solimano ha ufficialmente deciso di attaccare Malta, sta riunendo sulle coste del Corno d'Oro un forte esercito e la flotta che lo trasporterà qui da noi, ma non essendo pratico di assedi navali ha preferito lasciare il comando ad altri. Nemmeno Dragut verrà a farci visita immediatamente. Probabilmente comanderà le riserve che arriveranno in un secondo momento.» «Grazie. Don Garçia de Toledo, rapporto.» «Gran maestro, ho cercato di fare il possibile, purtroppo i miei poteri sono limitati. Come sapete tutti sono il viceré del Regno di Sicilia, ossia un governatore che opera nel Sud Italia per conto del re di Spagna. La mia libertà decisionale in molte tematiche è vincolata dal volere della corona spagnola. Specialmente sul caso in cui noi ora stiamo discutendo. Al momento sono riuscito a combinare ben poco, garantisco il massimo impegno per migliorare la situazione...» «Tutto qui? Solo parole?» fu ammonito dal tono perentorio e stizzito di La Valette. «Qui abbiamo bisogno di aiuto concreto, non certo di belle parole!»
«Signore, l'esito della battaglia mi interessa tantissimo. Se Malta capitolerà, il successivo regno a cadere in mani nemiche senza alcun dubbio sarà il mio. II re di Spagna, Filippo II non è certo un condottiero impavido e capace. Preferisce rimanere nelle sue stanze ad osservare gli eventi incrociando le dita. Mi ha imposto il rigido divieto di impiegare qualsiasi risorsa in questa guerra. Io sono pronto a non rispettare le consegne. Credetemi, offro garanzie indiscutibili. Sono arrivato qui con sei navi, cinque rimarranno per trasportare in Sicilia donne e bambini che vorrete evacuare. Il grano e le armi che ho portato rimarranno a vostra disposizione. Inoltre, mio figlio diciottenne, è giù, nella piazza in attesa di presentarsi per prendere i voti e diventare un cavaliere di Malta. È desideroso di partecipare in prima linea allo scontro.» Il volto del gran maestro si rasserenò. «Scusatemi se ho dubitato per un attimo. Spero non sia un problema.» Don Garçia assentì con un gesto della testa. «Messer Giovanni, rapporto.» Il delegato papale si schiarì la voce. «Nobile cavaliere, sono certo che è al corrente dei recenti rapporti che intercorrono tra i nostri fratelli. Hanno perso la retta via, abbandonandosi a vili desideri terreni. Il loro unico scopo in vita è accumulare sempre più ricchezze. Genova invidiosa dei commerci della porta d'oriente, cioè Venezia, ha recentemente preferito tradirla e lasciarla in balia di una flotta turca. I cannoni che tra poco non lasceranno dormire Malta nemmeno di notte, portano impresso un marchio ben conosciuto. Un giglio. Il giglio se. Piuttosto che combattere gli infedeli, preferiscono continuare a vendere i loro cannoni a Solimano sperando di essere risparmiati dall'avanzata musulmana. Gli archibugi non sono turchi, sono tedeschi. Inoltre, quasi tutti in Europa vi danno per spacciati, immaginando una rapida vittoria turca. Non intendono aiutarvi. La cristianità sembra aver perso lo spirito di fratellanza che la univa all'epoca delle crociate. Abbiamo avviato intense trattative diplomatiche, speriamo di convincerli ad aiutarvi a respingere attivamente l'assedio. Intanto, il sommo pontefice ha inviato la totalità delle sue navi per accelerare l'evacuazione dall'isola di donne e bambini.» «Bene, si fa per dire... Vitelleschi, rapporto.» «I lavori riguardanti Castel Sant'Elmo sono terminati. Ho dato ordine di preparare grandi scorte di fuoco greco. Dovremo resistere il più possibile dietro le nostre mura, tutti i nostri informatori concordano sul numero di uomini che
Solimano sta preparando alla partenza. Quarantamila mio signore, tra i quali sono presenti seimila giannizzeri. Il reparto scelto dei turchi. Cristiani catturati adolescenti, convertiti e addestrati con il massimo rigore. Noi, contando anche i nobili guerrieri che prenderanno i voti in questi giorni, siamo in settecento più circa seimila maltesi.» Nella stanza calò il silenzio. «Pochi. Abbandonati al nostro destino. Signore se è questo che vuoi, combatteremo fino alla morte.» *** La piazza era affollata. Centinaia di uomini a cavallo schierati rigorosamente in file ordinate aspettavano direttive. Le armature tirate a lucido scintillavano sotto il sole. «Mio signore, ecco qui i futuri cavalieri» disse Vitelleschi a La Valette. Niccolò era in piedi in mezzo alla folla. Era l'unico appiedato. Il cavallo davanti a lui muoveva nervosamente la coda. La Valette camminava fiero osservando i nuovi arrivati. All'improvviso il cavallo davanti a Niccolò scalciò all'indietro, il mercante riuscì prontamente a buttarsi a terra ed evitare gli zoccoli dell'animale. Il cavaliere a stento lo richiamò alla calma. «Hey! Questo è uno stallone da guerra! Non infastidirlo! Non è il tranquillo palafreno al quale sei abituato!» «Scusatemi signore. Non ho fatto niente.» Niccolò si mise in ginocchio e giunse le mani: «Ero qui in silenzio in piedi, non fiatavo, gli altri cavalieri mi sono testimoni.» Si guardò intorno cercando aiuto. Nessuno sguardo trasmetteva comprensione. «Magari sbaglio, ma per me sei abituato a eggiare solamente con i muli!» incalzò nuovamente il cavaliere irato. «Che succede lì in fondo? Tu!» tuonò il gran maestro. «Tu! Senza cavallo! Vieni qui. A rapporto da me.» Niccolò si alzò in piedi e avanzò con o incerto fino ad arrivare al cospetto di La Valette.
«Che ci fai a Malta? Non sembri nobile, ma non è peccato. Mi preoccupa di più il fatto che non hai l'aria di essere un uomo d’arme. Sei cosciente di ciò che sta per avvenire in quest'isola o per caso sei uno stolto posseduto dal demonio?» Il messinese s'inginocchiò nuovamente. Cercò di nascondere il forte disagio che lo attanagliava: «Mio signore, avete ragione. Le armi non sono il mio mestiere. Non sono qui per prendere i voti. Sono qui per aiutarvi in qualsiasi maniera. Posso aiutare a caricare i cannoni, posso correre giorno e notte con un secchio per spegnere gli incendi. Qualsiasi cosa per rendermi utile.» Terminate le parole Niccolò vide che il suo interlocutore non era per niente convinto. Tremò al pensiero di essere rispedito forzatamente a casa. Quella casa che non esisteva più. «Mio signore, vi prego. I turchi hanno preso mia moglie e distrutto la mia dimora. Non ho più nulla. Inoltre ho vissuto giorni d'inferno come prigioniero dei corsari. Una punizione che non augurerei a nessuno.» Il volto del cavaliere si fece comionevole. «Non devi spiegarmi altro. Anch'io sono stato prigioniero. Incatenato a un remo. So di cosa parli. Vitelleschi! Affido quest'uomo sotto il tuo comando. Spero possa aiutarci.» «Grazie signore, non ho molti artiglieri. Gli farò seguire un rapido addestramento.» Niccolò si alzò in piedi raggiante: «Grazie, non vi deluderò!» La Valette si avvicinò a pochi centimetri di distanza e con una smorfia spietata disse: «Deludimi. E rimpiangerai la tua prigionia. Deludimi. E assaggerai lo scudiscio del mio disappunto.» *** Le vie del porto erano gremite. La folla festante era accalcata ai bordi della strada. Le urla rimbombavano tra le mura delle case. I leggendari guerrieri giannizzeri con i loro sgargianti turbanti che si slanciavano verso il cielo sfilavano fieri e sicuri. Alla fine della strada erano presenti enormi tavoli presidiati dai tesorieri turchi pronti a consegnare il soldo di paga spettante a ogni soldato. Dietro di loro cinque guardie facevano da scudo a due donne che indossavano ampi niqàb. Le uniche parti visibili del loro corpo erano gli occhi e le mani. «Grazie per avermi regalato l'opportunità di vivere questa bella giornata
mondana» fece Eleonora alla principessa con un gran sorriso che s’intravide tra le pieghe del velo che le ricopriva la bocca. «Grazie a te, mia cara, il tuo aiuto è stato decisivo per convincere mio padre a prendere la scelta giusta. Le parole di Dragut hanno seminato su un campo molto fertile.» «No, troppo, mia signora, non dite così, mi fate arrossire.» Mirhmah abbracciò la nuova amica: «È la verità mia cara. Solamente la verità. Mio padre tiene molto alle sue donne. Le sue amate, come gli piace chiamarle. Ha molto a cuore la loro felicità. Felicità che le rende più disponibili alle sue attenzioni.» Con un occhio, Eleonora vide Solimano mimetizzato tra i giannizzeri ricevere il soldo di paga. Con ancora la moneta in mano lanciò via il lungo turbante e si fece riconoscere. Tutta la folla lo acclamò. L'imperatore sguainò la spada e la puntò verso il cielo. A quel gesto tutte le persone urlarono creando un enorme fragore. Solimano andò incontro alla figlia che si staccò dall'amica. «Mia principessa, ho deciso di accontentarti, farò recuperare i tuoi gioielli, partiamo per Malta.» «Tante grazie, padre» rispose Mirhmah raggiante.
L'ASSEDIO Gli unici rumori che si udivano erano i colpi di frusta che torturavano i corpi martoriati degli schiavi. La galea solcava il mare silenziosamente. Una forte brezza gonfiava le vele spiegate. I remi penetravano nell'acqua delicatamente fornendo un'ulteriore spinta all’imbarcazione. Sottocoperta, i due cambusieri intenti a strisciare sul pavimento un'enorme cassa di legno, si bloccarono di colpo. Si guardarono negli occhi. Urla provenienti dalla stanza vicina rimbombavano nella nave turca. «Senti che urla!» disse Selim. «E pensare che a Costantinopoli, quando venivano visti, tutti dicevano: ecco i due compagnoni sempre felici di condividere oppio, caffè e donne» rispose l'altro. Un rumore di legno fracassato interruppe il discorso. L'ammiraglio Piale Pascià uscì sbattendo la porta. Salì le scale attigue e andò sul ponte a o spedito. «Beh mio caro amico Hadyn, o non sono più compagnoni o l'eccessivo egocentrismo di entrambi li fa scontrare duramente. Il peso del comando può essere molto duro da sopportare» disse Selim «o magari entrambi vogliono avere il completo comando di questa spedizione. A Piale Pascià, vice di Dragut, è stato affidato il controllo della flotta, Lala Mustafà che è stato il tutore dì Solimano è invece il generale delle truppe da sbarco.» Il silenzio tornò a regnare nella cambusa. Hadyn pose fine a quel momento di tranquillità: «Spero che tutto questo non ci causi troppi problemi.» *** «Navi in vista! Navi al largo!» urlò un uomo sulle mura. La notizia dell'avvistamento si propagò rapidamente in tutto il castello. Tutti i cavalieri accorsero. La Valette salì sulle mura per osservare di persona. «Buon lavoro» disse all'attenta sentinella. «Mio signore, mi sembra che si stiano avvicinando molto lentamente. Arriveranno non prima di una trentina di ore» riferì la vedetta.
L'alba a Malta sembrava esser diventata notte. Nessun rumore nell'aria. Il gran maestro si girò, spalle al mare, e guardò la folla. Erano giunti tutti. Compresi i comuni abitanti dell'isola rimasti volontariamente a combattere. «Fratelli, un formidabile esercito di barbari audaci si sta avvicinando alla nostra isola. Fratelli, costoro sono i nemici di Gesù Cristo. Oggi dobbiamo difendere la nostra fede per evitare che il Corano soppianti i Vangeli. Dio ci chiede la vita, che noi abbiamo già votato al suo servizio. Beati coloro che consumeranno per primi il sacrificio.» Un boato. Un boato assordante. Le mura quasi tremarono. Svariate voci si distinguevano a malapena nel frastuono. «Alle mura! Il nemico ci attende!» «Alle armi! Alle armi! Chi vuole essere il primo ad assaggiare la mia lama?» «Muoversi! Portare altre palle da cannone.» *** La flotta turca lentamente attraccò. Un nugolo disordinato di uomini e bandiere scesero sulla spiaggia. I corni e i tamburi suonavano all'impazzata. La Valette, sulle mura di Castel Sant'Angelo guardava la scena. Padre Gianni arrivò al suo fianco. Il cavaliere si voltò e gli chiese: «Terminata la messa?» «Sì, capisco perché parte di voi non era presente. Pensate che attaccheranno subito?» chiese padre Gianni. «No amico mio, devono ancora sbarcare i cannoni e montare l'accampamento» rispose il gran maestro. «Abbiamo qualche possibilità di vittoria?» «Vedi questa?» disse il vecchio guerriero indicando la sua armatura «noi siamo protetti da settanta chili di robusto metallo lavorato dai migliori fabbri del mondo, i milanesi. Le frecce a contatto si spezzano, un archibugio ci può ferire solo con un colpo a bruciapelo. Fendenti di spada? Devono riuscire a colpirci nelle parti scoperte, sotto le ascelle o dietro le ginocchia. Prima di ammaccarsi e farci perdere mobilità le nostre armature devono subire decine e decine se non
centinaia di colpi. Tra i nostri nemici solo i giannizzeri indossano una leggera armatura. Molto inferiore alla nostra. Inoltre quasi non sanno cos'è un elmo in metallo. In testa portano solamente turbanti in tessuto. Fratello, ti garantisco che ciascuno di noi con l'aiuto del Signore, manderà all'altro mondo tanti nemici prima di esalare l'ultimo respiro.» *** Mia amata Eleonora, mi manchi tanto. Ho deciso che da oggi ti scriverò sempre. Per parlarti. Non e 'è alcun motivo razionale che m'invoglia a investire parte del mio tempo per farlo. Non ti rivedrò mai più. Non so dove sei. Non so se sei ancora viva. Nemmeno spedirò le mie lettere. E dove dovrei spedirle? Le terrò sempre con me. In un borsello legato alla cinta. Per ricordarti. Per amarti. Per sempre. Finché morte non ci riunirà. Esatto, hai capito bene. Non preoccuparti, probabilmente ci rivedremo molto presto in paradiso. Ora sono a Malta, insieme a Federico. Ho deciso di venir qui perché la mia vita a Messina senza dì te è terminata. Su quest'isola ricorderò meglio la tua elegante grazia perché dovrò combattere contro gli uomini che ti hanno strappato dalla mia vita. Evento fortuito? Evento Divino? No. Tutt'altro. Questa è la mia volontà. Ora Eleonora ti saluto, devo andare a preparare la mia postazione d'artiglieria. Dobbiamo sparare più colpi possibili, A costo di romperci le ossa della schiena caricando il cannone. In paradiso o qui. Comunque vada, a presto. Tuo Niccolò *** «Alle armi! Alle armi! I turchi attaccano!» La Valette imperturbabile alzò lo sguardo verso la torre di guardia: «Rapporto!» Il balestriere rispose continuando a urlare per esser certo di farsi capire: «Un gruppo compatto, un migliaio di nemici avanza munito di rampini e scale d'assedio.»
Tutti erano pronti. II gran maestro fece chiamare il prode Fernando, capitano dell'unità di cavalleria più potente ed esperta dei Cavalieri di Malta. «Fernando, i turchi impazienti, e probabilmente supponenti, hanno deciso di attaccare senza averci assediato nemmeno una giornata. Ebbene, ti ordino di comandare una rapida ed efficace sortita al di fuori delle mura. Facciamogli vedere che Castel Sant'Angelo non cadrà mai in una maniera simile.» Fernando, inorgoglito e fiero di sé, radunò i suoi uomini e disse a gran voce: «Avanti miei cavalieri, volete diventare degli eroi? Questo è un momento da ricordare. Rimettiamo la nostra speranza in Dio! Affrontiamo il nemico per mettere alla prova il nostro coraggio! Impugnate la lancia e preparate la vostra anima!» I cavalieri sui loro destrieri varcarono la soglia dall'alto portone principale del castello a o svelto e due alla volta. Scudo agganciato al braccio sinistro. Mano destra stretta attorno all'impugnatura della lunga lancia di tre metri e mezzo. Punta affilata verso l'alto. Usciti tutti, Fernando ordinò: «Serrate i ranghi! Al galoppo.» I cavalieri si schierarono in disciplinate file rimanendo il più vicino possibile gli uni agli altri. Le ginocchia corazzate quasi si sfioravano. I comandanti turchi vedendo il centinaio di cavalli al galoppo avanzare verso di loro si affrettarono a impartire nuovi ordini e a far suonare i corni. Tentativo quasi inutile. Il rumore degli zoccoli e dei nitriti dominava la scena. «Avanti! Serrate i ranghi!» urlò il capitano, che era sul lato sinistro della prima fila. «Lancia in resta! Per Malta!» e abbassò la celata. I cavalieri inclinarono la lancia verso il basso e la bloccarono sotto l'ascella in posizione parallela al terreno, punta in avanti. Gli stendardi garrivano al vento. Gli invasori lasciarono cadere scale e rampini e provarono a prepararsi all'impatto. Puntarono i piedi e cercarono di protendere il più possibile le loro armi. «Caricaaa!» Fernando traò due corpi in un sol colpo. Crac! La lancia si spezzò. Il suo
cavallo travolse i cadaveri. Un uomo armato di lancia si avvicinò per vendicare i suoi compagni. Il cavaliere sferzò il suo animale. Lo stallone dilatò le narici. Si alzò sulle gambe posteriori. Nitrì e frantumò il naso del nemico con uno zoccolo. Tornato a quattro a zampe nella mischia il capitano guardò verso i suoi compagni d'arme. Il centro dello schieramento aveva devastato le linee avversarie. Alcuni turchi travolti violentemente dall'impatto erano volati in aria. Urlando caddero travolgendo gli uomini delle ultime file. I maltesi erano riusciti ad annientare in pochi attimi i primi sei ranghi avversari, Fernando sguainò la spada. Deciso. Parò un fendente con lo scudo. Girò il cavallo verso destra. L'aggressore cercò di colpirlo nuovamente. Fernando si mise in piedi sulle staffe: «Per Dio e la cristianità!» e mozzò il braccio dell'avversario che lanciò in aria un urlo disperato. Non era ancora finita. Un turco trafisse in pieno petto un cavallo vicino. L'animale emise un nitrito lancinante e si accasciò. L'uomo che lo cavalcava finì a terra gambe all'aria in mezzo a sei nemici. Ancora stordito per l'impatto, cercò di parare un colpo con lo scudo legato al braccio sinistro. Ci riuscì, ma ormai era accerchiato. Un soldato con la mano sinistra gli alzò la celata e lo trafisse in piena gola. Un fiotto di sangue schizzò in alto. Fernando accecato dalla rabbia si avvicinò, alzò la sua lama e mirò al collo del turco che aveva appena ucciso il suo compagno. L'avversario colto di sorpresa rimase immobile. Decapitato. La testa rotolò per terra con un tonfo secco. I musulmani vicini indietreggiarono, impauriti dalla destrezza del cavaliere. Un corno suonò in lontananza. Lala Mustafà ordinò la ritirata. I suoi uomini si voltarono e disordinatamente corsero verso l'accampamento. «Lasciamoli fuggire miei uomini. Si rifaranno sotto. Oggi abbiamo vinto noi. Il Signore sia lodato!» disse Fernando. *** «Proprio non ci siamo. La loro amicizia è finita» disse Hadyn. «Stanno parlando così forte da rendere inutile la parete di legno che separa la loro stanza dalla cambusa dove siamo noi. Tiriamola giù, lavoreremmo in un ambiente molto più grande...» disse ironico Selim. Le voci dei due comandanti si udivano distintamente. «Abbiamo subito una dura sconfitta. Dopo aver visto la battaglia di oggi, penso che sarà molto dura per noi conquistare Castel Sant'Angelo. Quei monaci
bastardi difenderanno fino alla morte il loro insediamento più importante. Penso sia meglio cambiare tattica e attaccare il forte più piccolo, Castel Sant'Elmo. Così li demoralizzeremo. Sentiranno la paura della morte scorrere nelle vene» erano gli urli di Piale Pascià. «Vuoi forse dire che sono un incompetente? Pensavi di estirpare dal mare questo nido di vespe in mezza giornata? Dobbiamo attaccare qui. Dobbiamo umiliarli. Colpirli al cuore. Una volta caduto l'imponente Castel Sant'Angelo sarà gioco facile eliminare i superstiti!» fu la risposta rabbiosa di Lala Mustafà. «Non hai diritto di parola dopo la sconfitta che ci hai fatto subire oggi. Dobbiamo spostarci. Le navi non sono attraccate in un punto sicuro ora. Ci sposteremo in una zona dove il mare è più tranquillo. Proprio di fronte a Castel Sant'Elmo che sarà il nostro prossimo obiettivo» concluse Piale. *** «Tappeti! Venite da me! Troverete i migliori tappeti al mondo!» I mercanti urlanti dietro le loro bancarelle cercavano di attirare i anti all'acquisto. Le strade del mercato brulicavano di persone pronte ad acquistare le merci offerte. Eleonora e Mirhmah nei loro niqàb, attorniate da cinque guardie eggiavano in cerca di buoni affari. «Principessa, ecco, guardate qui. Questo mercante sembra ben fornito. Stupende pietre luccicanti che meritano di far parte della vostra personale collezione.» La figlia del sultano sospirò: «Cara amica, stupende mi sembra eccessivo. Belle è il termine più giusto. Nessun oggetto in vendita qui sarà mai al pari della mia collezione rubata dai Cavalieri di Malta.» La bancarella del gioielliere era situata in prossimità di uno stretto vicolo deserto. «Mia signora, venite. Date almeno un'occhiata, siamo qui per questo!» disse Eleonora con un largo sorriso. «Va bene» rispose la principessa convinta dall'amica «solo perché sei la mia
fidata consigliera.» La siciliana si guardò intorno. Le guardie non prestavano molta attenzione. Capì che era arrivato il momento. Indicando con una mano: «Mia signora, guardate com'è bella quella collana. Sono convinta che vi renderà ancora più affascinante!» Mirhmah non fece in tempo a guardare verso il punto indicatole. Eleonora inciampò volutamente su un piede di una guardia, cadde carponi sotto il tavolo e sgattaiolò nel vicolo. II mercante pensando di essere stato derubato scrutò il tavolo cercando di capire cosa fosse sparito. «Prendetela!» urlò la principessa. Il capo delle guardie fece segno a due d'inseguirla. Gli uomini partirono di corsa travolgendo l'inconsapevole mercante. Il volto di Mirhmah era viola di rabbia: «Maledetta traditrice! Non la erai liscia! E io che mi sono fidata di te!» *** Mia amata Eleonora. Come stai? L'attesa è finita. I turchi sono arrivati. Ci hanno attaccato immediatamente. Io non ho partecipato all’azione. In compenso ho ammirato i cavalieri che sto servendo. Dovevi vederli. Hanno sorpreso i nemici con una carica devastante. Proprio non se lo aspettavano. Li hanno costretti a cambiare piano d'attacco. Ora ti sto scrivendo da Costel Sant 'Elmo, dove sono stato dislocato sotto il comando del giovane Vitelleschi, il favorito del gran maestro. Pure Federico è con me. In questa fortezza possiamo contare su settanta cavalieri e un centinaio di miliziani nativi di Malta. Dobbiamo resistere il più possibile. Tra pochi giorni saremo in ballo. Ballerò anch'io. Dovrò. Questa volta sono certo che non farò solo da spettatore. I turchi stanno scavando le piazzole per l'artiglieria tra le alture. Terminate le operazioni cominceranno a lanciarci addosso palle di pietra e metallo pesanti almeno una ventina di chili. Dio ci aiuti. Mi manchi tanto. Quando penso a te non ho paura. Cercherò di pensarti quando per la prima volta nella mia vita dovrò combattere. Sogno spesso di rincontrarti nel Regno dei Cieli. Non ho paura di morire. Non ci
crederai, lo so. Ma è vero. In questa vita non ho più nulla da perdere. Perché mai dovrei essere preoccupato? A presto... mia amata Eleonora Tuo Niccolò *** Eleonora si voltò. Vide che era inseguita. Si mise a correre più velocemente. Voltò a sinistra in un vicolo ancora più stretto. Le voci degli inseguitori rimbombavano tra le mura delle case. Si concentrò sulla corsa. Voleva far perdere le sue tracce. Con suo disappunto vide che la strada era senza uscita. Che fare? Una porta aperta sulla destra. Si fiondò dentro. La casa era disabitata, rovesciò le sedie e il tavolo per rallentare i suoi inseguitori. Trovò un'altra porta, la oltreò e si trovò in una nuova strada. "Bene" pensò "non sono finita in una trappola." Corni e urla trepidanti in lontananza. Si rese conto che tutta la milizia cittadina la stava cercando. Pensieri nefasti le riempivano la mente. Amica della principessa? Non più. Una condanna a morte non l'avrebbe evitata nel caso in cui fosse stata catturata. «Qui, vieni qui!» le disse un uomo in perfetto siciliano. «Ti aiuterò a nasconderti!» e aprì la cancellata del suo cortile. Eleonora quasi senza fiato decise di fidarsi. Entrò nella proprietà dello sconosciuto, si chinò leggermente e appoggiò le mani sulle ginocchia cercando di recuperare energie. «Tranquilla. Sono un un marinaio fatto prigioniero tempo fa. Ho deciso di convenirmi all'Islam per aver salva la vita. Nasconditi dentro casa.» La fuggitiva guardò intensamente gli occhi dell'uomo. Qualcosa non andava. Il suo intuito femminile le consigliava di non fidarsi. "Perché mai questo apostata integratosi completamente qui, a Costantinopoli, dopo aver rinnegato Dio per aver salva la vita, dovrebbe correre il pericolo di salvarmi? Lo asseconderò. Entrerò in casa e salterò giù da una finestra. Non mi sembrano molto alte" rimuginò tra sé e sé Eleonora.
«Va bene buon uomo. Grazie.» Il siciliano prodigandosi in un piccolo inchino disse: «A vostro servizio signora» terminate le parole si voltò e chiuse il cancello. Le urla dei miliziani si fecero molto più forti. La ragazza entrò a o svelto in casa. Cercò immediatamente una finestra che potesse permettere di uscire su un'altra strada. La trovò. Appena appoggiati i piedi fuori dalla casa udì il cancello riaprirsi. "Quell'infame! Ha aperto subito ai suoi nuovi amici. Ho fatto bene a non fidarmi!" Scattò in avanti. Il cuore le batteva forte in petto. Orrenda sorpresa: strada chiusa! Nel muro che poneva fine alla strada c'era un pesante portone di legno. Si avvicinò e osservò. Era socchiuso. «Grazie al cielo!» Eleonora aprì un battente. Si trovò davanti ad uno spettacolo inusuale e inaspettato. *** Una forte esplosione. Un sibilo nell'aria. Rumore di pietra rotta. L'enorme basilisco sputò contro le mura di Castel Sant'Elmo un'immensa palla di ferro di un quintale. «Presto presto! Pronti con i sacchi di sabbia! Dobbiamo prepararci a riparare le brecce che apriranno nelle nostre mura!» urlò un miliziano disperato. Altri sibili nell'aria. Anche le colubrine spararono. Due proiettili incendiari colpirono il tetto di una piccola abitazione. Un ragazzo avvolto dalle fiamme uscì carponi. «Aiuto! Aiuto! Mio Signore, non merito di bruciare!» Niccolò che era nelle vicinanze recuperò da terra un sacco in tessuto e cercò di spegnere la torcia umana: «Calmo ragazzo, sono qui per non farti are le pene dell'inferno.» La vedetta suonò ripetutamele una campana: «Al fuoco! Al fuoc...» un'altra palla di un quintale s'infranse pochi metri sotto la postazione di guardia. Le mura tremarono. L’uomo perse l'equilibrio e cadde rovinosamente all'interno del castello. Non terminò mai di pronunciare la frase che aveva iniziato.
Niccolò spense completamente le carni del ragazzo, lo prese per le gambe e lo trascinò lontano dalla casa ormai del tutto distrutta dal fuoco. Andò verso il pozzo, riempì d'acqua un secchio trovato lì vicino. Rimase un attimo fermo e guardò in alto. Altri proiettili incendiari sibilavano in cielo. «Chiudere le brecce. Spegnere le fiamme. Finché morte non ci riunirà!» *** Un bellissimo, ampio giardino. Piante, alberi, fiori di ogni colore riempivano la vista della giovane. Rimase incantata a guardare quello spettacolo: una gioia per gli occhi. Rumore di i pesanti. Eleonora tornò alla realtà. Riprese a correre cercando di are sotto gli alberi più maestosi. Non vedeva l'uscita. Solo una serie di case sulla sinistra. Un losco figuro armato di arco comparì su un tetto. L'uomo incoccò una freccia. Tese la corda e infine lasciò partire il dardo. La ragazza si tuffò in avanti d'istinto. Appena toccò terra con tutto il corpo, la punta di metallo indirizzata al petto si conficcò nel terreno a un palmo di distanza dalla sua testa. Eleonora sbarrò gli occhi. Per il terrore il suo corpo fu scosso da un sussulto. "Rimanendo qui sdraiata non riabbraccerai mai Niccolò. Lascerai senza moglie tuo marito. Dai Muoviti!" ordinò a se stessa. Alzandosi finalmente notò qualcosa d'interessante: una grata. La sollevò senza fatica. Una scala! Senza pensarci due volte cominciò a scendere. L'ultimo gradino cedette e cadde di schiena sul suolo bagnato della galleria in pietra. "Sono finita nelle fogne! Potrei risalire in un punto molto lontano della città senza essere notata. Mai in vita mia avrei immaginato di essere contenta di fare una eggiata in un posto del genere." Il velo che le copriva il volto non filtrava sufficientemente l'intenso odore che la circondava. Si stracciò una manica e mise il tessuto sotto il naso per cercare di proteggersi dal fetore nauseabondo. Dopo aver camminato per circa un'ora calpestando il rivolo di acqua sporca che scorreva lentamente nella fognatura, s'imbatté in una scala. Salì e cercò di capire osservando dalla grata dove sarebbe capitata se fosse uscita in quel punto. Un posto chiuso, mura color marrone e tanto vapore. "Un hamam. L'accesso non è permesso contemporaneamente a entrambi i sessi. Devo solo aspettare di veder are delle donne come me. Entrare nel momento sbagliato sarebbe una pessima scelta” riflettè Eleonora.
Aspettò finché finalmente vide are due donne. La siciliana salì cautamente nella sala vuota. Fece per chinarsi e richiudere la grata, ma si bloccò di colpo estasiata dalla bellezza di quel salone circolare. Sul pavimento piastrellato con mattonelle verdi erano impressi vari ghirigori simmetrici di colore nero. Nell'alto soffitto cinque ampi fori lasciavano are la luce del sole permettendo di illuminare l'ambiente. Dal perimetro esterno della sala si diramavano quattro ampi corridoi illuminati con spesse candele appoggiate a terra contro le pareti. Con calma, Eleonora si guardò intorno e decise di prendere l'unico corridoio pieno di vapore in prossimità del soffitto. Poco più avanti un'anziana seduta, intenta a piegare degli asciugamani, senza alzare gli occhi disse: «Continua diritto per le vasche. Ti consiglio d'immergerti vestita. Devi eliminare il puzzo che porti appresso.» *** Mia amata Eleonora. Come stai? Io sono stremato. Da dieci giorni i turchi ci bombardano incessantemente. Ho dormito pochissimo nelle ultime ore. Mai un momento di quiete. Nessun luogo è sicuro qui, a Castel Sant'Elmo. Addormentarsi? Quando sei allo stremo delle forze è possibile, nonostante non ci sia mai un attimo di silenzio. Risvegliarsi? Evento non certo, se durante il sonno un proiettile colpisce il tuo giaciglio. Fortunatamente La Valette durante la notte, tramite aggi segreti, ci aiuta prelevando i nostri compagni feriti o caduti, rimpiazzandoli prontamente con freschi volontari. Abbiamo tanto bisogno di aiuto. Il peggio deve ancora arrivare. Dragut, il corsaro invincibile che ti ha portato via, ora è qui. E arrivato oggi. Immagino che tra poche ore dovrò essere pronto a respingere un assalto. Tranquilla. Come ti ho detto non ho paura. Combattendo questa battaglia la mia anima volerà in paradiso. Tu sei già lì ad aspettarmi? Comunque vada, un giorno ci riabbracceremo. Ti amo. Tuo Niccolò *** La tenda dei comandanti si stagliava nettamente in mezzo alle altre per la sua grandezza. Piale Pascià e Lala Mustafà raccontavano gli eventi accaduti
recentemente. Il vecchio Dragut ascoltava imperturbabile. Terminato il racconto espresse la sua opinione: «Ho visto Castel Sant'Angelo mentre ero sulla nave, prima di approdare. Era necessario continuare ad assediarlo. È la fortezza più imponente, sicuramente la più importante. E’ il cuore del nemico. Un avversario colpito al cuore è condannato a una morte certa. Il resto dell'isola sarebbe caduto nelle nostre mani facilmente. E’ stato commesso un grave errore. Inutile perdere tempo qui davanti alle quattro pietre che tengono su le mura di Castel Sant'Elmo.» I volti di Piale e Lala sbiancarono. Erano senza parole. Dragut scrutò i loro occhi impauriti e riprese a parlare: «Tuttavia non ritengo onorevole per il nostro grande esercito abbandonare questo assedio. Chiamate tutti gli imam, fate distribuire abbondanti dosi di hashish, attacchiamo immediatamente. La Valette lo voglio vivo. Lo voglio guardare in faccia per bene quando li avremo sconfitti.» *** I bombardamenti cessarono. La spiaggia cadde in un silenzio mortale. Un imam, a un gesto di Dragut, andò alla testa dei tremila uomini scelti per l'assalto: «Allah è grande! Andate e colpite gli infedeli sulla noce del capocollo!» I soldati urlarono all'unisono e partirono alla carica. I cannoni cristiani spararono nel gruppo. Sabbia si alzò nell'aria e corpi caddero sulla spiaggia. «All'attacco! All'attacco! Le Huri vi attendono in paradiso a braccia aperte!» I turchi, inebriati dalla droga, continuarono il loro assalto senza indugi. I primi arrivati alle mura lanciarono le corde e appoggiarono le scale. Ma una pioggia di fuoco greco cadde dagli spalti e molti si trasformarono in torce viventi. Alcuni fuggirono dal campo di battaglia, altri con urla disumane rotolarono sulla spiaggia travolgendo alcuni compagni d'arme. «Attento Federico! Uno alla tua destra!» II cavaliere alzò l'enorme spadone con due mani e affettò in due il nemico. «Grazie Niccolò. Ora tu e i tuoi compagni continuate a sputare palle di pietra verso i giannizzeri.»
Vitelleschi, sulla torre più alta, osservava attentamente gli avvenimenti. «Più li colpiamo, più li infervoriamo. Dai ordine di preparare le armi segrete» ordinò a un miliziano «io mi butto nella mischia.» Sguainò lo spadone e lo alzò al ciclo. Un raggio di sole colpì la punta della lama. La luce si riflesse intorno all'arma facendola luccicare, come se fosse avvolta da un'aurea divina. «Per il nostro Signore! Per Malta!» scese le scale e mise piede sugli spalti. Appena in tempo per mozzare un braccio che intendeva decapitare un maltese intento ad armeggiare intorno a un vaso di terracotta con un pezzo di corda. Il turco mutilato si accasciò silenziosamente. «Grazie mio signore» disse grato il maltese. Un sibilo seguito da un'ombra innaturale raggiunse le mura. Vitelleschi si chinò per proteggere l'uomo che aveva appena salvato. Le frecce si spezzarono a contatto con l'armatura. «Stai giù finché non sei pronto a lanciare.» II cavaliere si rialzò. Una mano si strinse intorno a un suo gambale. L'uomo che aveva appena mutilato cercò lentamente di alzarsi in piedi. Il moncherino riversava copiosamente sangue sull'armatura del cavaliere. «Non senti il dolore grazie all'hashish? Vuoi assaggiare anche un pezzo della mia lama?» disse Vitelleschi. Il turco ferito si mise in ginocchio e allungò la sua unica mano provando a prendere la misericordia riposta nella guaina del cavaliere, quando una nuvola grigia si sollevò dal centro dello schieramento musulmano. Gli archibugi spararono: un proiettile rimbalzò sull'elmo del comandante degli assediati e un altro finì il turco menomato perforandogli le tempie. Vitelleschi sorrise sotto la celata e urlò: «Forza con le pignatte!» I miliziani accesero le micce e lanciarono i vasi di terracotta riempiti di fuoco greco che esplosero a contatto con le teste degli assalitori. I malcapitati con i capelli e le braccia in fiamme ruppero i ranghi creando scompiglio. Il loro unico desiderio era raggiungere il mare. I giannizzeri illesi si fermarono persi in un attimo di esitazione. Vitelleschi vide finalmente un segno di cedimento. «Via! Lanciate la nostra ultima invenzione.»
Dalle mura caddero cerchi di metallo infuocati. Come un serpente rotolarono tra gli assalitori. Le fiamme incendiarono tutto e tutti al loro aggio. Il caos dominava. L'esercito turco andò in rotta. Tutti indietreggiarono disordinatamente in una corsa folle. Torce umane e illesi. «Vittoria!» urlarono all'unisono cavalieri e miliziani. *** Eleonora finalmente era serena. Si lavò con cura. Il momento magico terminò quando udì una voce riecheggiare nel bagno. Il turno delle donne stava per terminare. Si alzò. Prese l'asciugamano datole dalla signora che le aveva consigliato di lavarsi con tutti i vestiti. "Una gran stupidaggine!" pensò. "Desterei troppi sospetti se uscissi con un vestito bagnato senza una manica! Devo cercare un altro niqàb" Avvolta dal canovaccio, si mise in cerca del necessario. Camminò vicino al muro e allungò la testa per sbirciare nella sala seguente. Un'addetta al bagno, con un piccolo pezzo di tessuto a spugna, era intenta a rimuovere la pasta depilatoria dalle gambe di una giovane ragazza sdraiata su un tavolo. Entrambe non si accorsero della presenza di Eleonora. Un elegante niqàb era appoggiato a terra, a due i dalla siciliana. Si abbassò. A gattoni si avvicinò furtiva e allungò le mani per prenderlo. In pochi attimi tornò vicino alla vasca che le aveva donato tanti minuti di quiete. Si vestì, coprì per bene il viso per non farsi riconoscere e lasciò abbondare le maniche attorno alle braccia. Solo i suoi occhi erano visibili. "Bene, ora devo solo trovare una barca al porto che possa portarmi via da qui. Signore, proteggi la mia anima." Seguendo le indicazioni trovate per strada, raggiunse agevolmente il porto. Osservò ogni singola barca ancorata cercando di rimanere più indifferente possibile. Camminando ò in rassegna tutte le imbarcazioni: "Pescatori. Pescatori. Mercanti turchi. Ancora pescatori. Un leone alato su sfondo rosso: veneziani! Probabilmente mercanti." Eleonora riuscì a trattenere a stento un urlo di gioia. «Grazie Signore. Niccolò, sto arrivando! Ce l'ho fatta, non puoi immaginare come ho vissuto le ultime settimane della mia vita» mormorò a denti stretti. Puntò dritto verso l'imbarcazione veneziana. Si fermò davanti la erella.
Pareva esserci nessuno. Decise di salire. "Vado a controllare sottocoperta. Se i marinai sono in giro, li aspetterò sulla barca, ben nascosta. Non ho voglia di tornare in strada allo scoperto" pensò. Scese le scale per raggiungere i locali non visibili dall'esterno. Due mani protesero un sacco aperto davanti a lei. Una poderosa spinta sulla schiena la gettò dentro la iuta. Buio. «Buona caccia!» esclamò gongolante una voce roca maschile. «Stasera ci divertiremo.» ***
Mia cara Eleonora. Come sai benissimo, ti amo. Non smetterò mai di ripeterlo. Ebbene, il peggio, come temevo, si è presentato in tutta la sua grandezza. Dragut, appena arrivato, ha dato ordine di attaccarci. Ci siamo difesi con onore e forza. Un esito miracoloso, raggiunto specialmente grazie al fuoco greco e ai precisi maltesi armati di archibugio. Abbiamo perduto dieci cavalieri e settanta miliziani. I turchi hanno dovuto dire addio a circa duemila uomini. Inoltre siamo riusciti a catturare alcuni nemici. Io non so quante palle da cannone ho caricato dentro la bocca da fuoco a cui siamo assegnati io e i miei due compagni, di cui non conosco il nome. Sembrerà pazzesco ma non abbiamo ancora trovato il tempo di presentarci. O combattiamo o, a turno, corriamo a spegnere incendi o a tamponare brecce. Abbiamo respinto egregiamente un assalto. Vero. Nostro malgrado sono ricominciati i bombardamenti. Incessanti. Ora ti saluto. Il mio riposo è quasi terminato. Il dovere mi chiama. Finché morte non ci riunirà. Tuo Niccolò *** Gran maestro La Valette, vi scrivo questa missiva per comunicare che la notizia della vostra stoica resistenza ha raggiunto il continente. Porgo i miei più profondi complimenti. Nonostante ciò, alcun sovrano sembra credere in una vostra vittoria finale. Come in un grande ricevimento tutti sono seduti comodamente a osservare gli eventi. Il re Filippo II mi ha intimato di non aiutarvi più in alcun modo. Vuole preservare la sua flotta e conservare interamente la sua forza bellica. Al tempo stesso è convinto che prima o poi Malta cadrà, di conseguenza ha deciso di prepararsi all'invasione del 'esercito turco nel Regno di Sicilia. Ha inviato a Napoli e Palermo un forte esercito. Al contrario io sto ancora dedicando tutto il mio tempo a intavolare trattative per convincere la cristianità a correre in vostro aiuto. Se qualcuno avrà un ripensamento, renderò a disposizione la piccola flotta del mio regno ancorata a Messina, disubbidendo agli ordini ricevuti dal re. Il Signore vi aiuti.
Il viceré di Spagna Don Garcia de Toledo La Valette ripiegò la pergamena con un'espressione amara. «Siamo e rimarremo soli...» *** Mia amata Eleonora. Come stai? Io male. Ormai da dieci giorni stiamo subendo un incessante assedio. Quotidianamente, all'alba, siamo chiamati a respingere i turchi che con corde e scale assaltano le nostre mura. Nel resto del giorno palle di pietra e metallo continuano a dilaniare Castel Sant'Elmo e la nostra salute. Due brecce ormai sono irreparabili con i mezzi che ci sono rimasti a disposizione. Due brecce diventeranno ampi varchi per i nostri assalitori. In quel momento capitoleremo. Le nostre poche energie rimaste saranno annientate da migliaia di turchi inferociti. Non reggeremo mai un combattimento corpo a corpo per le strade interne di Castel Sant’Elmo. Il mio destino è segnato, presto io e te ci stringeremo nuovamente in un dolce abbraccio. Tuo Niccolò *** Lo squarcio era diventato immenso a tal punto da far intravedere metà dei borghi presenti all'interno del castello. «Presto! Mirate a quel gruppo lì sotto! Stanno togliendo a mano le ultime macerie! Siamo perduti se non li...» un forte colpo sull'elmo lo interruppe. Per un attimo rimase immobile. Un altro duro fendente lo colpì al ginocchio. Vitelleschi grazie a quest'ultimo tornò in sé: «Vuoi buttarmi a terra? Non credo ce la farai!» con un gesto repentino alzò a mezz'aria il lungo spadone e squarciò il ventre del nemico. Schizzi di sangue insudiciarono l’armatura del capitano. Un altro giannizzero traboccante di hashish con i capelli in fiamme si fece avanti. «Ecco un altro disposto a donarmi parte di se stesso per cambiare il colore della mia corazza!» Il turco con un balzo si avvinghiò al cavaliere. Con un pugnale mirò alla feritoia dell'occhio destro. Vitelleschi abbassò la testa d'istinto. A contatto con la lama
l'elmo scintillò. Il capitano lasciò andare lo spadone. Sguainò la sua misericordia e trafisse un rene dell'invasore che strillò all'istante. «Avete sentito il capitano? Penso abbia detto di mirare a quel gruppo!» Federico cercò di farsi sentire dai tre artiglieri. «Per noi è fuori tiro, non possiamo sparare così basso. E un compito di chi è armato con pignatte e cerchi» rispose Niccolò. «Allora continuate a sparare a chi potete!» Una freccia colpì in pieno petto il figlio di Garcia de Toledo. Con orrore il cavaliere notò che il dardo legato a un sacchetto in fiamme si era incollato al metallo. Federico, nel tentativo di spegnere il fuoco che gli lambiva la celata, rotolò a terra. Troppo. Cadde dalle mura. Niccolò ormai abituato alla guerra, si chinò per raccogliere una palla di pietra. «Amico mio, eseguirò l'ordine che hai riferito e ti vendicherò.» Deflagrazione. Decine di archibugi spararono. I due compagni del mercante furono colpiti in pieno petto e si accasciarono. "Dovrò fare da solo" pensò Niccolò. Caricò la bocca di fuoco e si preparò a mirare. In fondo al campo di battaglia, uno sgargiante turbante attirò la sua attenzione. "Dev'essere Dragut, ho fatto bene a osservare come si fa a mirare." L'artigliere si concentrò. «Finché morte non ci riunirà!» La palla con una forte detonazione sibilò verso il bersaglio. Il turbante volteggiò in aria assieme a un cumulo di sabbia. «Colpito!» Niccolò non fece in tempo a festeggiare che si trovò con le spalle a terra. Il giannizzero sopra di lui preparò il colpo letale. «Eleonora, è giunto il momento.» Buio. *** Con il favore della notte, Vitelleschi raggiunse la sala consiliare di Castel Sant'Angelo. Senza salutare consegnò immediatamente la missiva al gran
maestro. «Mio signore, oggi è giunto da noi un messaggero con bandiera bianca. Lala Mustafà e Piale Pascià sono rimasti molto colpiti dal nostro fervore. Le mura di Castel Sant'Elmo quasi non esistono più. Dopo un mese di assedio ci propone l'onore delle armi in cambio della resa.» «Nessuna resa. Dobbiamo guadagnare più tempo» rispose La Valette. Vitelleschi contento della risposta gonfiò il petto. «Mio signore, la proposta ricevuta è realista. Tutto ormai è perduto. Non vogliamo morire bruciati. Concedeteci di compiere una sortita fuori dal castello. Concedeteci l'onore di morire con la spada in mano.» Il gran maestro rispose con voce decisa: «Dobbiamo resistere più tempo possibile per ritardare la probabile invasione turca in Sicilia. Dal Sud Italia le armate di Solimano potranno puntare dritto al cuore dell'Europa. Non so chi potrà fermarli a quel punto.» Vitelleschi s'irrigidì: «Mio signore, insisto. Dopo così tanta fatica vorremmo...» La Valette lo interruppe bruscamente: «Sacrificando le nostre vite, a una a una, noi faremo guadagnare tempo all'Europa e alla Cristianità. Le leggi dell'onore non ci impongono ili sacrificare la vita a nostro giudizio, al contrario, il dovere di ogni Cavaliere è di ubbidire. Direte quindi ai vostri compagni di rimanere ai loro posti di combattimento.» Il giovane comandante di Sant'Elmo chinò il capo e appoggiò il pugno destro sul cuore. «Mio signore, ho giurato obbedienza. Così sarà fino alla fine dei miei giorni.» *** «Se non fosse per le urla che giungono fin qui, direi che laggiù un paese è in festa. Gremito da allegri giullari e cantastorie. Ora, al tramonto, le fiamme in aria sembrano quelle sputale dai mangiafuoco. È la prima volta che partono in un secondo assalto nel tardo pomeriggio.» La Valette, insieme ad altri cavalieri, cercò di aguzzare la vista. Da una torre di Castel Sant'Angelo osservava l'ennesimo assalto. I corni musulmani suonarono la ritirata. Il generale fece un largo sorriso. «Bravi! Non siete ancora stremati del
tutto.» Girò lo sguardo verso Fernando in piedi al suo fianco: «Spargete la voce, Castel Sant'Elmo non è caduto. Cerco volontari disposti ad aiutare i nostri compagni. È una missione suicida, lo so, me ne rendo conto, tuttavia vedrete che qualcuno si farà avanti ugualmente.» La Valette gli mise una mano sulla spalla e aggiunse: «Voi no. Mi servite qui.» *** «Che bel senso di libertà. Mi par di volare. » Niccolò aprì gli occhi. Guardò il suo corpo. Enorme stupore. Quattro angeli lo stavano trasportando in alto. Verso una luce bianca accecante. L'uomo si coprì parzialmente gli occhi per cercare di non rimanere abbagliato. «Quindi sono morto. Eleonora. Eleonora mia, sto arrivando. Chissà, sei già qui ad aspettarmi?» Gli angeli lo appoggiarono delicatamente in piedi su un'enorme nuvola. Una recinzione dorata senza fine luccicava poco distante. Niccolò notò un enorme cancello e s'incamminò verso di esso. Lo toccò. In quel momento apparve una figura barbuta. Nella mano destra stringeva un largo anello al quale erano inserite numerose chiavi. «San Pietro?» «Sì, prego entra» il Santo inserì una chiave nel cancello e lo aprì. Niccolò, incerto, non si mosse. «Mia moglie è già qui?» «No. Se sarà meritevole, un giorno ci raggiungerà.» «A me sembra che sia meritevole» disse con voce titubante. San Pietro scosse la testa: «Se sarà meritevole, lo deciderà l'Onnipotente.» Udendo quella frase, Niccolò si sentì sprofondare. Nel vero senso della parola. Scivolò impotente in basso. Udì una voce: «Sveglia! Sveglia! Giovanni, va' a chiamare il gran maestro.» «Ma che succede?» Il cerusico lo schiaffeggiò delicatamente. «Stavi delirando o sognando. Sei rimasto incosciente sette giorni. Ti ho sentito parlare e ho provato a svegliarti. Ben tornato!» Niccolò si stropicciò gli occhi e si accorse che aveva la testa fasciata. «Cosa mi è
successo?» Il chirurgo prese una sedia e si sedette vicino al ferito: «Mi hanno detto che un soldato ti ha salvato la vita colpendo il tuo aggressore. Il colpo indirizzato al centro della tua testa è stato deviato. Grazie a lui hai perso solamente un orecchio invece della vita.» Niccolò impulsivamente si toccò la testa. «Chi è? Posso conoscerlo?» Il suo interlocutore sospirò. «Sarà morto o nelle migliori delle ipotesi ora è un prigioniero. Finito l'assalto in cui tu sei stato ferito, Lala Mustafà ha proposto una resa in cambio dell'onore delle armi. In parole molto povere ha richiesto l'abbandono del castello in cambio della sopravvivenza. Offerta caldamente rispedita al mittente, diciamo così. Trenta cavalieri e trecento miliziani volontari sono andati a rinfoltire i nostri ranghi. Con questo aiuto Castel Sant'Elmo ha resistito altri cinque giorni prima di capitolare. I vessilli con la Mezzaluna sventolano sui resti della fortezza. Ora i turchi staranno saccheggiando il possibile. Facendo prigionieri i sopravvissuti.» Niccolò chiuse gli occhi. Cercò di visualizzare i volti che erano al suo fianco durante la battaglia. «Di Federico da Toledo hai notizie? Se la mente annebbiata non mi tradisce dovrebbe essere volato giù dalle mura. E Vitelleschi?» «La salma di Federico è stata sepolta in un piccolo cimitero, presso il borgo antico che fiancheggia le mura di Castel Sant'Angelo più vicine al mare. Del capitano non abbiamo notizie, ad ogni modo è stato presente fino all'ultima battaglia.» Il dialogo fu troncato dal cigolio della porta. La Valette entrò a o sicuro. «Cerusico. Il paziente è informato su tutto?» Il medico si alzò in piedi e si prodigò in un piccolo inchino. «No mio signore. Vi ho lasciato l'onore di raccontare l'evento che è meritevole di ringraziamento.» Il generale si avvicinò al letto. «Prima di farti affettare un orecchio hai sparato un colpo di cannone da solo. Rammenti? Una scheggia della palla ha ferito gravemente Dragut. Ho conosciuto di persona l'ammiraglio turco. Non sa cosa sia la resa. Ti racconto cosa ho immaginato fe da ferito. Il mio racconto non è molto dissimile dalla realtà...»
"Bravi, miei fratelli! Continuate così! Castel Sant'Elmo cadrà oggi stesso!" pensò Dragut mentre osservava l'assalto dalla spiaggia tra le tende dell'accampamento, sdraiato su un tavolo, con la testa appoggiata su uno scudo tondo. Urla di gioia si propagarono nell'aria. «Allah è grande! Allah è grande!» Piale Pascià corse verso Dragut. Arrivatogli a pochi i gli disse festante: «Mio mentore! Sant'Elmo è caduto!Abbiamo vinto!» Nel frattempo i vessilli con ricamata la Mezzaluna furono alzati sui resti delle mura del castello. «Bene Piale. Un o verso la vittoria. Quei bastardi finalmente hanno ceduto» disse Dragut con un filo di voce. «Ora saccheggeremo il possibile, come mi avete insegnato. Dei prigionieri cosa ne facciamo? Se li liberiamo, sicuramente torneranno a combattere contro di noi.» Il vecchio chiuse gli occhi. «Dragut? Siete svenuto?» chiese Piale preoccupato. Il vecchio non rispose. «E così, il vecchio corsaro, soddisfatto e felice, è morto. Ha voluto aspettare di vedere Sant'Elmo cadere prima di lasciarci per l'eternità. La perdita di quest'uomo, un'icona dei nostri nemici, non potrà che giovarci.» Niccolò rispose con voce ferma: «Dragut tra le sue imprese ha collezionato anche la cattura di mia moglie. Non ho più notizie di lei.» Una lacrima bagnò le bende. «Vi ricordate? Avevo promesso di non deludervi appena arrivato.» La Valette annui. «Certo. Ricordo. Hai mantenuto la tua parola. Hai dimostrato di essere un uomo retto e d'animo forte. Rimettiti presto, abbiamo bisogno di tutte le forze disponibili.» *** La notte fu interrotta da forti rumori e voci concitate. Niccolò si alzò dal letto. Lentamente uscì. Arrivato fuori, vide che tutti salivano sulle mura per scrutare in direzione del mare. Decise, con molta fatica, di salire anche lui. Cielo sereno. Luna piena splendente. Le onde erano ricoperte da dolci riverberi di luce. Tutti
ammutolirono. Il silenzio dominava, Niccolò superò con fatica due omaccioni che gli coprivano la visuale. Spalancò la bocca stupefatto. Inorridito. Un nugolo di zattere galleggiava sospinto dalla brezza marina. «Non è possibile...» farfugliò una voce poco distante. A ogni zattera era inchiodato un uomo. Decapitato. Gambe unite. Braccia aperte a forma di croce. «Oh mio Dio. Cerusico... Ecco la risposta alla domanda riguardo i sopravvissuti. Le zattere saranno centinaia. Inchiodate a esse ci sono sicuramente tutti i cadaveri dei nostri compagni caduti. Inclusi i prigionieri non risparmiati. Nessuno si è salvato» disse Niccolò con voce strozzata, osservando il macabro spettacolo. «Mio signore! Questo è vilipendio!» urlò un cavaliere. La riposta di La Valette non si fece attendere. «Consiglio di guerra convocato immediatamente! Tutti i cavalieri anziani con me.» *** L'alba cominciò a illuminare Malta. I due comandanti discutevano osservando le rovine di Castel Sant'Elmo. «Qui ormai il nostro compito è terminato. Darò ordine alla flotta di prepararsi per la partenza. Ora dobbiamo tornare ad assaltare il nostro obiettivo principale, Castel Sant'Angelo. Come disse Dragut, il mio mentore» propose l'ammiraglio Piale Pascià. «Giusto, solo le navi necessarie. Mi raccomando. Dobbiamo mantenere saldo e forte il blocco navale intorno all'isola» rispose Lala Mustafà. «Quanti sono i sopravvissuti? La conta è terminata?» Piale si guardò intorno cercando di far un rapido conto grossolano. Molte tende erano già state smontate nei giorni precedenti. Gli uomini che le utilizzavano ricoprivano immobili la spiaggia. I cadaveri mutilati marcivano al sole. Distesi su un letto di sabbia rossastra. Ricoperti da folti sciami d'insetti. Lala Mustafà, al contrario non distoglieva gli occhi dai resti del bastione: «Abbiamo perso diecimila uomini. Più erà il tempo più altri andranno a godere le gioie del paradiso. Il sole ardente e i corpi dei nostri fratelli caduti hanno scatenato una terribile epidemia di dissenteria e febbre, che debilitano fortemente le forze dei nostri soldati. Dobbiamo andarcene il più presto possibile da questa spiaggia. Farò spingere l'artiglieria a mano. Perderemmo troppo tempo
a caricarla e scaricarla dalle navi.» L'ammiraglio annui senza fiatare. Il comandante dell'esercito mosse la testa per scrutare l'imponenza delle mura di Castel Sant'Angelo. Sospirò e alzò gli occhi al cielo. «Se un figlio così piccolo ci è costato tanto caro, quanto dovremo pagare per il padre?» *** «Quante volte ti ho detto che non devi dormire addosso a me!» disse stizzito Murad girandosi sull'altro fianco. «Senti che puzza! Lavati Osman! Così rendi invivibile la nostra tenda. Continuando così sarà impossibile dormire. Qui non manca di certo un po' d'acqua per lavarsi!» Murad aprì gli occhi. «Osman? Dormi o vuoi fare di testa tua?» Toc, qualcosa colpì la tenda. «Ehy lì fuori. Siete in vena di scherzi? Lasciateci dormire!» Sbamm, sbamm. «Rumori di cannoni. C'i attaccano a sorpresa!» il soldato si alzò di scatto. Non corse fuori dalla tenda, rimase impietrito. «Murad è morto settimane fa. Il sonno mi ha ingannato...» Sbamm, sbamm. I cannoni di Castel Sant'Angelo sparavano proiettili che finivano per rotolare sulla spiaggia per centinaia di metri. Qualcosa entrò nella tenda. Osman uscì dallo stato di pietrificazione. Guardò in basso. Vicino ai suoi piedi due teste annerite. Si chinò. Le rigirò per vedere ehi fossero. «Allah salvi le vostre anime.» Il soldato diventò rosso in volto. La rabbia stava gonfiando le sue vene. Uscì dalla tenda e urlò: «Cani bastardi! Figli di una scrofa maledetta! Ve la faremo pagare!» ***
Notte buia. Nuvolosa. Senza luna. Il miliziano sulla torre di guardia sbadigliò. «Tra un'ora finisce il mio turno. Oggi mi sento molto affaticato.» Rapidi bagliori ad altezza acqua sfidarono il buio della notte. Sbamm, sbamm. «Ma che...» la vedetta si stropicciò gli occhi. Ancora bagliori. Sbamm, sbamm. «Ma certo! C'è solo un motivo che costringerebbe i cannoni della flotta turca a sparare! Qualcuno vuole forzare il blocco navale! Devo avvisare il gran maestro.» La Valette raggiunse la spiaggia al galoppo. Accompagnato dagli uomini della sua guardia personale. Due navi battenti bandiera del ducato di Savoia mollarono le ancore. Una erella si appoggiò sul suolo maltese. Un uomo in armatura scese rapidamente. «Jean Parisot de La Valette, gran maestro dell'Ordine dei Cavalieri di Malta. Voi chi siete?» «Andrea Provana, mio signore. Incaricato di condurre questa spedizione per conto del ducato di Savoia. Al vostro servizio. Ho portato con me anni e grano. Potete pure contare sul furore del manipolo dei miei uomini» il savoiardo sorrise fieramente e s'inchinò ginocchio a terra. «Cosa vi ha spinto fin qui?» chiese La Valette. Provana alzò la testa. «La gloria delle vostre imprese ha raggiunto rapidamente le nostre terre. Gli emissari di Garçia de Toledo galoppano l'Italia avanti e indietro senza sosta. I cantastorie nelle sagre di paese raccontano le vostre imprese eroiche. I predicatori della Santa Romana Chiesa hanno intrapreso un'estesa campagna popolare. Incitano alla difesa dei nostri valori tradizionali che sparirebbero se la Croce venisse prevaricata dalla Mezzaluna. Noi siamo pochi. Il mio è solo un umile, piccolo soccorso. Ma chissà. Con il tempo qualcun altro ci aiuterà.» Il gran maestro soddisfatto rispose: «Bene, non siamo soli del tutto. Manderò
immediatamente qualcuno ad aiutarvi. Meglio trasportare più presto possibile il vostro carico all'interno di Castel Sant'Angelo. Che il Signore ci protegga.»
IL SECONDO ASSEDIO «Non erete! Fatevi sotto!» sbraitò Vitelleschi. «Coraggio! Chi vuole andare in paradiso per primo?» Un turco evitò una pignatta in volo. Salì rapidamente la scala. «Allora sei tu il primo? Ti accontenterò caro nemico!» il cavaliere alzò lo spadone a due mani e calò un poderoso fendente. Il nemico cadde rovinosamente ali'indietro. Il suo urlo straziato coprì il fragore degli archibugi. Vitelleschi si sporse in avanti guardando la spiaggia affollata di nemici. «Qualcun altro?» Un'orda di spiritati giannizzeri appoggiò un'altra scala. Al capitano non sfuggi la scena. «Miliziani! Lanciate il fuoco greco.» Un uomo raccolse un lungo tubo e lo portò alla bocca. «Ora!» ordinò Vitelleschi. Il soldato inspirò tutta l'aria possibile. Quando i polmoni stavano per scoppiargli in petto, soffiò con tutta forza. Una lingua di pece infuocata uscì dall'estremità del tubo. I giannizzeri presero fuoco da capo a piedi. Scapparono urlanti. «Bravi! Chissà quante ore della loro vita hanno speso per allenarsi.» Applausi e urla riecheggiarono nella stretta via. Tutti i clienti della locanda e i molti anti rimasero incantati dallo spettacolo offerto. «Veramente bravi. Il narratore ha creato un'atmosfera molto evocativa. Hanno un gran fegato. Riesci a immaginare quanta preparazione ci vuole prima di realizzare uno spettacolo del genere? Se il mangiafuoco esagerasse nel dosare le fiamme, i suoi compagni non avrebbero il tempo di buttarsi a terra. Tu avresti il coraggio di recitare la parte di un turco?» disse concitato Marco Rosso al suo amico. «Probabilmente preferirei essere sul campo di battaglia. Ehy tu! Una qui per favore» Ettore Sinibaldi richiamò l'avvenente locandiera. Mise una mano sulla spalla di Marco e commentò: «Finalmente ho qualche fiorino per ubriacarmi.» La giovane ragazza si fermò davanti a loro. Con un braccio teneva
vigorosamente un largo vassoio colmo di bicchieri di vino. «Due fiorini. Grazie.» Ettore fece l'occhiolino all'amico. Si voltò e disse alla locandiera: «Salve stella del Tirreno. Perdonatemi. Noto solo ora la vostra bellezza. In mezzo alla folla, lontana, non riuscivo a vedervi bene.» La ragazza ammiccò. L'uomo riattaccò con la sua parlantina: «Vorrei offrire da bere al mio compagno. Se compro due bicchieri, me li fai a tre fiorini invece che a quattro?» Il volto della locandiera si irrigidì in una smorfia colma d'ira. «Due bicchieri quattro fiorini. Niente sconti. I poveri non possono godere le gioie della vita terrena, signore.» Sinibaldi farfugliò qualche sillaba senza senso. Marco gli tirò un pugno sulla spalla: «Su dai! Paga quattro fiorini senza fare storie. Poi, ormai che ci sei, salva il tuo onore e danne altri due ai saltimbanchi di strada. Ci hanno sollazzato per un'ora. Anche loro hanno diritto di bagnar le labbra con del buon vino.» Ettore non fiatò. Con gli occhi bassi fece esattamente quello che gli era stato appena detto. Terminato, cominciò a bere avidamente il suo vino. Mentre il liquido scendeva nella sua gola, pensò: "Grazie Cristo per averci dato il dono della vita. Grazie per assisterci costantemente con la tua misericordia. Grazie anche per aver simboleggialo il tuo sacrificio di sangue con il vino, incoraggiando i contadini e i loro signori a produrre il vino che rallegra la nostra mente." Fece per appoggiare il bicchiere sul ciglio della strada, contro il muro, quando un piede quasi gli pestò la mano. La folla si aprì all'improvviso, Sinibaldi vide avanzare un ragazzo magrissimo. Il prominente labbro inferiore balzava agli occhi di lutti. «Ma il labbrone, lì, chi è?» chiese Ettore. Marco spalancò gli occhi. Incredulo. «È Gianandrea Doria! L'ammiraglio! Nipote del mitico Andrea! Non ci sai fare con le donne. Sei un taccagno. Vivi a Genova, e non sai chi sono i Doria? Ma da che razza di ventre materno sei uscito?» Ettore fu assalito dalla rabbia. Prese per il colletto l'amico e a muso duro lentamente lo avvisò: «Non mi devi giudicare! Lo dicono le Scritture. A mio
modo di vedere, hai quasi bestemmiato. Lascia stare mia madre. Detto questo, ti lascio andare e mi racconti chi è. Ti rinfresco la mente. Sono in questa città da solo un mese. Siamo amici da due settimane. Scusami se dov'ero prima, non ho udito la fama di quel giovane.» Marco Rosso, tremolante, si sistemò il vestito. «Scusami. I Doria sono i signori di Genova. Vassalli di Filippo II, il re di Spagna. Sono una casta di abili armatori e ammiragli. La loro flotta è l'unica che può provare a reggere un conflitto in mare contro i turchi. Suo nonno, Andrea, ormai anziano, ha abbandonato la vita di mare. Il labbrone, come lo chiami tu, è suo nipote. Poco tempo fa è riuscito a prendere come prigioniero il famoso Dragut. Costui credendo di essere stato catturato dal mitico Andrea, quando vide il giovane nipote reagì in maniera stizzita. E sai come finì? Dragut prese una scarica di calci nel sedere. In seguito fu liberato grazie ad un lauto riscatto. Del resto, come si dice in giro per il mondo, a Genova siamo tutti mercanti...» Gianadrea Doria si avvicinò e interruppe il discorso. «Signori? Avete dei problemi?» Sinibaldi rispose prontamente: «No, no signore! È stato un leggero malinteso, ma come vedete, è tutto risolto.» Marco Rosso annuì rapidamente. «Bene signori. Sto organizzando una spedizione diretta a Malta. Il vostro furore sarebbe gradito su una delle mie navi.» *** Gran maestro La Valette, finalmente posso comunicare belle notizie. Ce l'abbiamo fatta. Abbiamo convinto i nostri fratelli. Gli unici che non hanno deciso di collaborare sono i si e i veneziani. Preferiscono evitare le ire di Solimano, continuando ad arricchirsi tramite i commerci con l'Impero Turco. Ora, la mia flotta a Messina non attenderà più invano. Entro pochi giorni sarà raggiunta dalle navi del granduca Cosimo di Toscana e da quelle del Papa. Gianandrea Doria in due settimane ci raggiungerà al comando delle galee spagnole. Tutti i volontari saranno imbarcati e mandati in vostro soccorso. Il Signore vi dia forza. Che la morte di mio figlio non sia giunta invano. Ora, scusate. Non riesco più a scrivere. Ho le lacrime agli occhi. Vi porgo i miei più
pregiati saluti. Don Garçia de Toledo *** Eleonora, mia amata. Perdona il mio silenzio degli ultimi otto giorni. Sono stato ferito. Ma tutto bene, non preoccuparti! Sono, come dire, quasi tutto intero! Ho perso un orecchio ma ora sono nel pieno delle forze come non mai. Pronto a una nuova sfida. Ebbene sì, Castel Sant'Elmo è caduto. Ora sono sugli spalti di Castel Sant'Angelo. I bombardamenti sono iniziati da giorni. Ho ripreso a correre tanto. Un aspetto positivo ora però l'abbiamo: grazie alle mura forti e resistenti di questo bastione, ci vorranno giorni e giorni di cannonate prima di aprire una breccia. La Valette sfrutta al massimo questo vantaggio comandando frequenti sortite della cavalleria. Noi qui soffriamo. Proiettili incendiari sulle nostre teste volano, distruggono e uccidono. Ora però anche i turchi soffrono durante l'assedio. Una violenta epidemia indebolisce molti dei loro, andando a incrinare il morale dei sani. Dio ti protegga Eleonora. Ti amo. Tuo Niccolò *** Notte fonda. Buia. Orhan si preparò alla fuga. La sua tenda era la più vicina al castello maltese, fatto molto importante considerando il suo piano. Si alzò dal suo giaciglio, strisciò carponi in avanti e, senza voltarsi indietro, raggiunse facilmente Castel Sant'Angelo. I pochi compagni svegli erano troppo intenti a sparare con i cannoni. In prossimità delle mura sventolò una stoffa bianca. Si avvicinò alle porte e bussò. La porta si aprì all'improvviso. Due braccia corazzate lo trascinarono di prepotenza all'interno. Con l'elsa della spada un altro cavaliere lo colpì violentemente dietro al ginocchio. Orhan stramazzò urlando per il dolore. «Parli la mia lingua? Che vuoi?» ordinò Fernando raggiungendolo a o svelto. «Sì, parlo abbastanza bene la tua lingua. Mi chiamo Orhan. Ho notizie
importanti da comunicare al vostro generale.» «Bene, a tuo rischio e pericolo... Mettetelo in piedi. Legatelo. Sarà il gran maestro in persona a decidere se quello che hai da dire è interessante o meno.» Orhan si alzò da solo, con fatica: la gamba era ancora dolente. Un proiettile di pietra atterrò poco distante. Una violenta vibrazione scosse il terreno. Il turco ricadde a terra e guardò immobile il solco nel pavimento generato dal proiettile. Fernando si chinò, lo prese per i capelli e gli disse: «Cosa ti ha spinto a venire qua? Pensavi di stare tanto meglio?» *** Nella sala consiliare, il gran maestro seduto dietro l'imponente tavolo, ascoltò attentamente le parole del disertore. In piedi, attorniato da tre cavalieri. Mani legate dietro la schiena. «Sei sicuro di quello che asserisci?» chiese La Valette. «Sì, mandate qualcuno a controllare. Vi prego, verificatelo con i vostri occhi. Ho disertato perché sono stanco di vivere su quella spiaggia in mezzo a migliaia di malati. Verificate, non ve ne pentirete. A quel punto mi ringrazierete. In cambio nutritemi e vestitemi. Tenetemi pure legato come prigioniero. Tutto, ma non ricacciatemi sulle spiagge.» Il generale rispose: «Hai scelto di rischiare di morire schiacciato da una vostra palla piuttosto che rimanere sulla spiaggia in mezzo all'epidemia. Bene. Se questo è il tuo desiderio, per ora, sarai accontentato.» *** «È da due giorni che siamo nascosti qui. Comincio a dubitare dell'utilità di questo appostamento» disse il balestriere chinato dietro un ammasso di legna. Il miliziano che era con lui rispose: «Abbi fede, le notizie del disertore si sono dimostrate veritiere. I turchi stanno costruendo piccole imbarcazioni che possono contenere solo sei uomini. Prima o poi eseguiranno il loro piano. Mentre assalteranno il lato della cinta muraria che stanno bombardando da una settimana, una parte di loro arriverà qua per sorprenderci, sulle loro barchette. E
sai cos'è il bello? Saranno colti di sorpresa loro! Noi nascosti sulla spiaggia, insieme ai cannoni sulle mura li colpiremo duramente.» Il balestriere scrollò le spalle indifferente: «Se lo dici tu...» Leggeri rumori provenivano dall'acqua, i due soldati si sporsero quanto bastava per osservare il mare. «Hai proprio ragione. Arrivano. Preparati» bisbigliò il miliziano. Tutti i maltesi aspettavano con il fiato in gola. Scrac, scrac. Dieci barche si schiantarono su pali di legno. Invisibili. Solamente le punte acuminate affioravano dal letto del mare. Molti turchi dall'impatto furono sbalzati in acqua. I miliziani nascosti in prossimità dello schianto si tuffarono in acqua. Uno di loro urlò: «Per vendicare Sant'Elmo!» e con una daga colpì un nemico dritto al cuore. I pochi turchi che rimasero sui battelli si tuffarono per aiutare i compagni d'arme. Scrac. Altre barche si fermarono a pochi palmi dal bagnasciuga. Una robusta catena, celata da un sottile velo di sabbia, arrestò la loro missione. Un urlo partì dagli spalti di Sant'Angelo: «Finché morte non ci riunirà!» Sbamm. Un proiettile colpì una barca nella parte centrale dello scafo. Schegge di legno, sangue, pezzi di carne, urla strazianti, esplosero nell'aria. «Per vendicare Sant'Elmo!» I combattenti nuotatori insistevano con il loro grido di battaglia. «Per vendicare Sant'Elmo!» fece un altro. «Per vendicare Sant'Elmo!» fece un altro ancora. «Per vendicare Sant...» corde vocali tranciate. Una spada zittì il maltese per sempre. Il corpo cadde in acqua. Tingendo di rosso le onde vicine. I giannizzeri, arenatisi sulla spiaggia, scesero dalle loro imbarcazioni. Volevano liberare i battelli e scappare. Il piano era fallito. Inutile rimanere. Sibilo acuto. I balestrieri mirarono nel gruppo. Molti dardi centrarono un bersaglio. Decine di schiene furono martoriate da almeno tre frecce. Feriti a morte. Senza speranza. I fortunati dovettero difendersi in uno scontro corpo a corpo. ato un quarto d'ora, le onde si calmarono. Le ultime sei barche turche
riuscirono a invertire la rotta. Scapparono trasportando gli unici superstiti dello scontro. La Valette che aveva osservato da lontano, accompagnato dalla guardia personale, raggiunse i suoi uomini. Un cavaliere scese da cavallo e andò a piedi verso la riva. Si fermò a osservare il aggio della guerra. I cadaveri galleggiavano placidamente. Un miliziano con tutti i vestiti tinti di rosso gli comunicò: «Signore, non penso sia stato risparmiato nessuno.» II generale rispose ad alta voce: «Questa atroce guerra dura ininterrottamente da un mese e mezzo. Ci ha stremati tutti. Cercate i nostri fratelli feriti, se ci sono. Cerchiamo di limitare le sofferenze che tutti stiamo ando. Che il Signore ci aiuti!» *** Un piatto fumante di cibo si materializzò tra le sbarre. Una mano lo appoggiò a terra. Il gradevole profumo della pietanza fece borbottare all'istante lo stomaco di Orhan. «Ecco. Mangia. Se ne vuoi ancora non hai che da chiederne. Stesso discorso se vuoi fare un bagno o vuoi avere vestiti nuovi. Il generale ti manda i suoi sentiti ringraziamenti. Grazie al tuo aiuto, oggi abbiamo ottenuto una vittoria strepitosa» disse la guardia prima di andarsene. Al musulmano ò la fame. Carponi, lentamente, si avvicinò al piatto. «Oh Allah! Perdonami per aver tradito i miei compagni. Perdonami. La tua misericordia concede il dolce abbraccio delle Muri a chi muore in battaglia contro gli infedeli. Non è il mio caso. So che ho mancato negli ultimi due giorni. Al contrario dei fratelli che ho mandato alla morte. Perdono. Perdono.» Una goccia trasparente cadde sul cibo. *** "Litigano ancora. Non va bene. Non mi piace sentire litigare nella mia cambusa" pensò Selim. «Tu e le tue idee! So io dove te le devi mettere! Che comandante sei! Non sai guidare un esercito in battaglia! Su un lato del castello subiamo continuamente dure cariche dei cavalieri. Studi un piano, mi dici che è infallibile e cosa
succede? Abbiamo perso altro tempo e uomini!» gridò Piale Pascià. «Ma tu che ne sai? Sei solo un ammiraglio! Non puoi capire! Non puoi permetterti di parlarmi in questo modo!» rispose allo stesso modo Lala Mustafà. «Sai che ti dico? Prendo io il comando di tutte le operazioni ora! Ci sposteremo all’istante. Attaccheremo le mura adiacenti al borgo antico. In quel punto le mura sono molto vicine al mare. Le bombarderemo anche con i cannoni delle mie navi. Metà flotta proseguirà fino a soffocare Malta con il blocco navale. L'altra metà parteciperà al bombardamento di Castel Sant'Angelo. Non li lasceremo respirare. Bombarderemo anche le case dei maltesi. I nostri uomini avanzeranno lentamente, ma protetti dalle piccole vie e dalle macerie con cui riempiremo le strade. La cavalleria non potrà lanciarsi in sortite a cavallo in luoghi così angusti.» «Solimano non ti ha assegnato un tale potere da riuscire a prevaricarmi!» «Ah sì? Non ti va bene? Allora salpo verso Costantinopoli da solo. Ti lascio qui. Non pensare che non ne sia capace. Non ne posso più di sopportare le tue inettitudini.» Selim non udì alcuna risposta da Lala Mustafà. Decise di salire sul ponte. "Devo avvisare Hadyn. Tutto ciò non va bene. Non va per niente bene." *** La banchina del porto di Genova era gremita. Tutte le persone camminavano velocemente sulle strade lastricate, i braccianti sudavano per lo sforzo nel trasportare le merci. Alcuni guidavano carri spinti da buoi, altri, uno a fianco all'altro, si avano le merci di mano in mano. Solo due persone erano immobili. Osservavano una galea attraccata. La erella, appoggiata sulla banchina, aspettava chiunque volesse salire. «Sei sicuro? È questo che vuoi?» chiese Ettore. Marco Rosso annuì. «Sì. Decisione irrevocabile. Ora è giusto che ti racconti cosa mi spinge ad accettare. Sono originario di un piccolo paese nei pressi di Savona. Sono nato mentre suonavano le campane della chiesa. Mio padre per questo motivo si convinse che in vita avrei fatto grandi cose. Non l'ho mai conosciuto. Dragut lo prese come prigioniero. La mia famiglia era troppo povera per
permettersi di pagare un riscatto. Poco tempo dopo, mia madre e mia zia, non riuscendo a gestire da sole la fattoria, decisero di trasferirsi qui, nella più sicura Genova. Le donne che mi accudirono, ora non ci sono più. Per anni patirono la fame per garantirmi una sana crescita. Io avevo quindici anni quando gli stenti e probabilmente una malattia strana me le portarono via. Grazie ad alcuni disponibili miliziani, ho imparato le nozioni base dell'uso della spada. Ho vissuto grazie al tuo stesso lavoro, come mercenario in guerra.» «Quindi vuoi vendicare la tua famiglia?» Gli occhi di Marco si inumidirono: «No. In un certo senso lo faccio per qualcosa di più grande e importante. Voglio che le campane continuino a suonare. I musulmani odiano la loro melodia. Non hanno mai dimenticato di sottrarle a ogni chiesa che hanno saccheggiato. Mio padre disse che avrei fatto grandi cose. Ebbene, voglio difendere le usanze e le tradizioni che contrassegnano la nostra esistenza.» Marco prese la mano dell'amico e la strinse forte: «Piacere di averti conosciuto. Spero di tornare, se sarai ancora qui andremo a ubriacarci.» Ettore assentì con un sorriso malinconico e lo guardò salire sulla nave. «Pronti a partire?» una voce si alzò tra la folla. Gianandrea Dona seguito da due dei suoi uomini più fidati salì alla svelta sulla galea. «Qualcun altro?» L'ammiraglio dal ponte della nave scrutò rapidamente la banchina. Nessuno rispose al suo appello. «Voi signore? Il vostro volto non mi è nuovo» disse indicando Ettore «ma certo! Vi ho incontrato giorni fa. Allora venite a Malta?» Marco a pochi i da Doria sentì tutto e intervenne: «Lo faccio anche per me. Ho sentito che i musulmani non possono bere mai vino. Oppure che lo devono bere con moderazione per poter pregare sempre lucidi con la mente. Scusami ma non ho capito bene in realtà... Ad ogni modo ritengo che la sostanza non cambi, se i turchi avanzeranno, non penso permetteranno l'abbondante produzione di vino cui siamo abituati. Non vorrei che un giorno tu non riesca più a offrirmi un buon bicchiere dopo aver fatto una figura da marrano con la locandiera!» Repentinamente Ettore assunse un colore violaceo in viso: «Sei fortunato! Io combatto solo per denaro. Non ti seguirò.» Marco ridacchiò: «Codardo! Di' quello che vuoi! Tanto non mi fai paura da lì
sotto!» Sinibaldi sempre più irato urlò: «Senti! Non continuare a provocarmi! Non costringermi a cambiare idea!» «Ritirate la erella! Siamo in ritardo, non abbiamo tempo di ascoltare le vostre piacevoli conversazioni» proclamò Doria. *** Mia amata Eleonora, siamo stremati. Tutti: assaliti e assalitori. Non puoi immaginare le sofferenze che stiamo ando. Dei quarantamila turchi sbarcati, sono rimasti solamente poco più dì quindicimila uomini idonei alla guerra. Nonostante ciò, noi non ce la iamo meglio. I Cavalieri di Malta sono rimasti in cinquecento, noi miliziani abbiamo perso quasi metà delle nostre forze. Siamo in tremila circa. I turchi ora ci bersagliano anche con i cannoni montati a prua delle loro galee. Mirano non solo alle mura della fortezza che ci protegge, ma cercano di colpire anche il borgo antico. A volte, nei brevissimi istanti di silenzio, sento le urla strazianti di quei poveretti martoriati dalle palle di cannone. Molti dì loro, ora, sono sicuramente immobili, sepolti da un cumulo di macerie. Che il Signore ci aiuti. Prega per noi Eleonora. Tuo Niccolò *** La nave ammiraglia seguita dalle altre galee solcava velocemente le acque tranquille del mare. Nella stiva, gli uomini giocavano a dadi. I topi incuranti delle voci dei giocatori correvano, annusavano e rosicchiavano le casse piene di viveri. I due amici erano seduti intorno a un tavolo, uno di fronte all'altro. «La sorte ti ha aiutato per tutto il viaggio! E ora che sorrida a me. Farò sette, scommetto tre fiorini» disse Ettore Sinibaldi. «Caro compagno di gioco. Sei un brav'uomo. Forte e vigoroso. Ma hai un problema. La collera ti sale al cervello all'istante, vuoi sempre vendicarti immediatamente. L'ira è un peccato capitale. Fossi in te, cercherei di rimanere più calmo» rispose Marco Rosso.
«Non sei un prete, non puoi farmi una predica. Ci stai? Tre fiorini?» Ettore prese i due dadi, li strinse nel pugno e fissò negli occhi l'amico. «Certo. Ci sto. Lancia.» Sinibaldi si baciò la mano e lanciò. Un dado si fermò immediatamente. Quattro. I due si concentrarono sul secondo ancora in movimento. Il dado arrivò rotolando alla fine del tavolo e si fermò di colpo prima di cadere. «Tre!» urlò Ettore. Un gatto nero saltò sul tavolo. Si abbassò sulle zampe, girò le orecchie all'indietro e si gettò giù, verso un topo poco distante. Nello slancio colpì il dado appena fermatosi, facendolo cadere. Rosso scoppiò in una risata fragorosa. «Devi ritirare. Io non ho visto cos'è uscito!» «Falso bugiardo! Con te non gioco più. Pure i gatti del demonio ti aiutano.» Marco indicò il gatto, che soddisfatto si allontanava con il topo stretto tra i denti: «Tra tutti i gatti, i neri sono quelli ritenuti più abili a cacciare. Per questo ne trovi tanti nelle stive delle navi. Non vorrai che i topi mangino tutte le nostre scorte alimentari. Giusto?» In quel momento, dalle scale scese silenziosamente un uomo. Marco con un gesto del mento lo indicò e riprese a parlare: «Gioca con lui, magari sarai più fortunato. Non mi sembra pieno di ardore. Non parla mai. Cammina sempre con l'elmo in testa. Non capisco perché non se lo tolga mai.» Ettore si girò e osservò il nuovo arrivato nella stiva che rovistava tra le casse. «Tre fiorini che riesco a farlo parlare» bisbigliò all'amico. «Tu! Che cosa cerchi?» chiese Ettore rivolgendosi all'uomo. L'uomo continuò la sua ricerca senza voltarsi. Lo sfortunato giocatore di azzardo si alzò e gli andò incontro. «Tu. Posso aiutarti?» Nessuna risposta. «Vinco tre fiorini se riesco a farti parlare, di' qualcosa e te ne regalo uno.»
L'uomo, imperturbabile, continuò a ispezionare le casse. Marco sghignazzò osservando la scena. Ettore deciso più che mai di vincere almeno una volta, strattonò con forza il muto e lo stampò contro le pareti di legno della nave. Con un movimento rapido del braccio gli diede una manata nelle parti basse. A muso durò gli intimò: «Cosa cerchi? Hai le palle per rispondermi?» «Il miele. Per ordine di Doria in persona.» Sinibaldi non esultò. Il pensiero del gioco svanì immediatamente dalla sua mente. Strabuzzò gli occhi. Di fronte non aveva un uomo, ma una donna. Abbassò lo sguardo e vide la punta di un pugnale appoggiata tra le sue gambe. «Ma... perché ti sei travestita?» «Per amore. Mio marito ha bisogno di me. Ora lasciami in pace e non rivelare a nessuno la mia vera identità, altrimenti perderai la virilità.» *** Eleonora, mia amata moglie. Ho poche energie, la mano mi trema dallo sforzo. I turchi ci bombardano giorno e notte. Prima di oggi pensavo che l'Inferno in terra fosse vivere in mezzo al mare, prigioniero dei corsari. Ora non ne sono più convinto. L'Inferno è qui. Sono esausto e stremato. Come nell'assedio di Sant 'Elmo, i cannoni sono rimasti in silenzio solamente durante un assalto alle mura. Ieri, un piccolo gruppo dì giannizzeri, al tramonto ha provato a colpirci di sorpresa. Sì sono radunati in silenzio, nascosti tra le case distrutte del borgo antico e hanno raggiunto rapidamente le nostre mura con scale e rampini. Mi sono sentito impotente. Quando eravamo pronti a colpire con i nostri cannoni i turchi ormai si stavano già arrampicando per raggiungere le nostre postazioni, pronti a conquistare Costel Sant 'Angelo. La cura dei dettagli di La Valette ci ha salvato. Teniamo sempre pronto il fuoco greco rimastoci. Io stesso ho lanciato dei cerchi infuocati. I turchi colpiti, bruciando, scappavano verso il mare. Mentre attraversavano il borgo, non sembravano uomini, assomigliavano alle torce appese sui muri delle strade. Non so per quanto resisteremo ancora. Il fuoco greco è quasi terminato. Scarseggiamo in tutto, armi e viveri. Ad ogni modo
manterrò la mia parola. Combatterò finché morte non ci riunirà. Tuo Niccolò *** II sole cominciava a far capolino. L'alba lentamente iniziava a illuminare a giorno l'isola di Malta. I bombardamenti continuavano incessanti. "Che cos'è quella gran confusione?" pensò la vedetta di turno che nascosta in una torre di Castel Sant'Angelo osservava i movimenti del campo turco. "Tutti si muovono. Tutti camminano. Non è il solito cambio turno degli addetti ai cannoni. Possono essere solamente i preparativi per un grande assalto. Di massa. Esercito al completo!" La vedetta suonò la campana appesa sul muro vicino. «Alle armi! Alle armi!» Le trombe risuonavano dentro il castello. Anche i cavalieri si preparavano al combattimento. Nella sala d'armi quasi non si vedeva il pavimento. I numerosi tavoli lasciavano poco spazio al aggio. Su ognuno di essi solitamente era appoggiata un'armatura ordinatamente smontata. In quel momento erano vuoti. La Valette in piedi, era circondato da quattro scudieri. Lo aiutavano a indossare la corazza. Fernando irruppe nella stanza: «Mio signore! È vero quello che ho sentito? Volete combattere anche voi?» La Valette non batté ciglio: «Condurrò personalmente la sortita. Non li faremo arrivare alle mura. Usciremo appiedati, armati di spadone. Le strade del borgo antico sono troppo strette per permetterci di compiere efficaci cariche a cavallo.» Fernando, visibilmente preoccupato, con il cuore in gola rispose: «Mio signore, il rischio è troppo alto. Vi prego. Ci servite qui, sano e forte per comandare e organizzare la nostra difesa.» Gli attendenti terminarono la vestizione del generale settantenne che s'incamminò fuori dalla sala d'armi. Fernando lo seguiva come un'ombra. La Valette si diresse verso le mura e raggiunse il resto dei cavalieri già raggruppati e pronti alla battaglia. Il sole cominciava a riflettersi sulle corazze di metallo. Il generale, ad alta voce, si rivolse a tutti loro: «Sono certo che se io cadrò, ciascuno di voi sarà in grado
di prendere il mio posto e di continuare a combattere per l'onore dell'Ordine e per amore della nostra Santa Chiesa.» Sguainò lo spadone, strinse l'elsa a due mani con decisione e alzò la lama al cielo. Urlò: «Signori cavalieri, andiamo a morire che è giunto il nostro giorno!» e si avviò verso l'uscita. Tutti gli uomini euforici urlarono creando un boato assordante, misero a nudo i loro spadoni e seguirono il gran maestro. *** Nella buia sacrestia, una piccola candela illuminava debolmente un dipinto appeso al muro raffigurante Maria Vergine. Padre Gianni stava pregando inginocchiato davanti al quadro. Un giovane chierichetto entrò nella stanza. Nella penombra appoggiò una mano sulla spalla del prete. Padre Gianni urlò dalla paura: «Chi sei?» prese la candela e con uno scatto si alzò in piedi. «Padre sono io. Chiedo scusa. Non credevo di...» «Ah! Lascia stare» rispose il prete sospirando «un giorno ci farò l'abitudine. Il problema è che mi estraneo completamente durante le mie preghiere. Comunque... Parliamo di te ora. Cosa ci fai qui?» «Fuori dalla chiesa un folto gruppo di uomini aspetta di partecipare alla Santa Messa» replicò il giovane. Padre Gianni aggrottò le sopracciglia: «Sei sicuro di quello che dici? I cavalieri stanno preparando una sortita fuori dalle mura. Pensavo che i miliziani parteciero all'offensiva. Per questo pregavo da solo. Non aspettavo nessuno in chiesa questa mattina.» Il chierichetto aprì gli scuri delle finestre. La luce mattutina illuminò i grandi armadi della stanza. «Così va meglio» disse il giovane sorridendo. «Preparo gli abiti per la funzione? Parte dei miliziani sani assisterà dalle mura allo scontro. Un'altra parte preferisce venire a pregare il Signore. Anche i feriti che non riescono a muoversi dal letto hanno chiesto di voi. Chiedono se finita la funzione, potete portargli la Comunione.»
Padre Gianni fu colto da un'improvvisa ansia. Freneticamente disse: «Sì, prepara gli abiti. Presto! Non c'è tempo da perdere. Dobbiamo compiere il nostro dovere.»
LA SORTITA Ore 8:00 Tutti i cavalieri uscirono dal castello. Schierati disciplinatamente in file serrate. Uno a fianco all'altro, quasi si toccavano le spalle. Le mani all'altezza della vita stringevano saldamente l'elsa del lungo spadone. Le lame rivolte verso il ciclo superavano di sei palmi le teste dei guerrieri. Sembravano giganti sotto l'ancor debole luce mattutina. Lo sferragliare delle armature in movimento attirò l'attenzione all'accampamento turco. «Avanzate sicuri. A o regolare. Non corriamo. Dobbiamo risparmiare le forze per lo scontro» gridò La Valette «continuiamo per la nostra strada, qualsiasi cosa ci lancino. Non dubitate, le nostre armature ci proteggeranno.» I soldati musulmani più vicini, all'interno del borgo antico rabbrividirono. Il cozzare delle armature creava un rumore tenebroso portando con sé un sinistro presagio di morte. Un corno suonò dal centro dell'accampamento. «Arcieri! Tirate! Archibugieri! Caricate! Svelti!» ordinò Lala Mustafà. Tutti gli uomini armati di arco o archibugio avanzarono velocemente nel cuore del borgo antico. Arrivati a cento metri di distanza dai cavalieri, gli arcieri incoccarono le frecce e mirarono. Una selva di dardi si alzò nel ciclo formando una nuvola nera sibilante. *** Mia amata Eleonora. Ti scrivo direttamente dagli spalti di Castel Sant'Angelo. Oggi probabilmente il nostro conflitto prenderà una svolta decisiva. Nel bene o nel male. Proprio in questo momento l'Ordine dei Cavalieri di Malta al gran completo ha varcato le mura del castello. A piedi, condurranno una nuova sortita. Ho scritto "al gran completo" perché il settantenne La Valette è in prima fila, spalla a spalla con gli altri cavalieri, il suo carisma sicuramente donerà nuovo vigore ai guerrieri corazzati. Non avrei mai immaginato una scena simile. Sul serio. Che cuore impavido ha quell'uomo! Potessi averne un decimo!
*** Le frecce cominciarono la loro fase discendente. «Abbassate la testa! Proteggetevi gli occhi!» gridò La Valette. Le punte di metallo si schiantarono sulle armature, rompendosi e schizzando in ogni direzione. "Siano benedetti i fabbri milanesi!" pensò il gran maestro rialzando la testa e guardando il nemico. Ormai erano distanti solo una cinquantina di metri. Gli arcieri si fecero da parte per far spazio agli archibugieri. «Signori. Ancora testa bassa! Raffica di metallo in arrivo» ordinò il generale. Una densa nuvola grigia si sollevò sulle teste dei turchi. I proiettili raggiunsero i cavalieri. Un rumore assordante si propagò nell'aria. Per qualche attimo Malta sembrò colpita da un'estiva grandinata tempestosa. Molti proiettili si disintegrarono sulle armature come ghiaccio piovuto dal cielo. Altri rimbalzarono su più uomini senza lasciare alcuna ammaccatura prima di fermare la loro corsa sul terreno. La Valette nascosto dalla celata sogghignò. «Aumentare il o! Attacco! Attaccoo!» I maltesi entrarono nel borgo antico. Il rumore delle corazze in corsa riecheggiò tra le mura di pietra della stretta strada. I turchi, impauriti dal suono metallico, gettarono a terra le armi da lancio e tremanti sguainarono le scimitarre. Il terrore dilatò le loro pupille. I cavalieri erano ormai a pochi i. «Malta non cadrà!» urlò il gran maestro. Tutti gli uomini al suo seguito lo imitarono a squarciagola. La Valette alzò lo spadone sulla testa. Con un gesto elegante e sicuro lasciò cadere un pesante fendente mirando al primo giannizzero che si trovò di fronte. Lo spadone gli aprì la testa in due. La lama, arrivata alla base del collo, smise di affettare carni e ossa. Il generale per liberare la sua arma diede un possente calcio al ventre dell'ormai cadavere. Un altro giannizzero vicino si prodigò in un rapido fendente indirizzato alle mani di La Valette, nell'intento di disarmarlo. Una rapida ombra piovve dal cielo. Lo spadone del cavaliere al fianco del
generale tagliò la mano del turco: cadde a terra ancora stretta attorno all'elsa della scimitarra. Ore 9:00 «Inetto! Non sei in grado di comandare!» Piale Pascià spinse rudemente Lala Mustafà. I due erano abbarbicati sulle macerie di quella che una volta era una casa del borgo antico. Protetti dalle loro guardie personali osservavano la battaglia dalla retroguardia del loro esercito. «Ora decido io! Manda degli uomini nelle strade laterali. Accerchiamoli. Non possiamo reggere uno scontro frontale! Non vedi? Dobbiamo cambiare qualcosa!» inveì Piale. «Non hai autorità sull'esercito che mi ha affidato l'imperatore Solimano. Pensa all'ammasso di legno marcio che chiami flotta!» rispose duramente Lala Mustafà. Piale lo prese per il vestito e lo strattonò: «Fai come vuoi! Vorrà dire che Solimano farà tagliare solamente la tua testa se perderemo!» Ore 10:00 Oh Eleonora! Se tu potessi essere qui, se tu potessi vedere... Lo scontro sta avvenendo sulla strada principale del borgo antico, da ben due ore. Senza sosta i cavalieri fronteggiano i turchi senza indietreggiare. Sono addirittura riusciti ad avanzare! Una ventina di metri direi. Pozze di sangue aiutano a ricordare il loro aggio. Semmai fosse necessario. Oh Eleonora! Per la prima volta da quando sono qui, finalmente vedo una luce. La speranza concreta di vittoria. Mah... un momento! Vedo grandi movimenti nelle retrovie dell'esercito turco... Due folti gruppi di uomini si sono lanciati in corsa. Uno a destra, l'altro a sinistra. Ma perché? La battaglia imperversa al centro, sulla via principale. Oh mio Signore! Ora ho capito. Vogliono accerchiarli costringendoli tutti a combattere. Fino ad ora nello scontro frontale hanno partecipato solo le prime tre o quattro file. Una volta accerchiati saranno tutti più soli. Se gli ultimi uomini dello schieramento saranno impegnati in combattimento, non potranno più essere di aiuto o rimpiazzo per i cavalieri delle prime file. Tutti saranno abbandonati al proprio destino. Senza una lama amica pronta a mozzare un braccio avversario in un momento di difficoltà.
Che il Signore ci protegga. Ore 11:00 «Gran maestro! Altri uomini stanno arrivando dalle strade laterali! Avvisate il gran maestro! Urlate più che potete» disse un cavaliere dal fondo del gruppo. La notizia rimbalzò tra i ranghi dello schieramento. La Valette in pochi secondi udì il messaggio. Senza distogliere lo sguardo da una spalla appena squarciata, ordinò: «In coppia. Come un sol uomo! Muoversi!» Un giannizzero lo aggredì. Il gran maestro parò il colpo opponendo la sua lama. Il cavaliere al suo fianco destro alzò lo spadone sulla testa caricando un colpo mortale. Il turco con un balzo lo trafisse sotto l'ascella, in uno dei pochi centimetri di corpo lasciato indifeso dall'armatura. Il maltese urlò di dolore e perse la presa sulla sua arma che cadde a terra. La Valette, con una ginocchiata rabbiosa, allontanò il turco mentre tre giannizzeri si avventarono sul cavaliere ferito sbattendolo a terra e trascinandolo in mezzo ai loro compagni arretrati. «In coppia! Subito! Ditelo a tutti!» urlò il gran maestro osservando con rabbia la testa del compagno d'armi rotolargli sanguinante tra i piedi. «Eccomi mio signore! Sono qui per guardarvi le spalle.» Fernando raggiunse il gran maestro. Mise la sua schiena contro quella del generale. «Come un sol uomo! Muoversi lentamente in circolo! Penetriamo nello schieramento nemico!» ordinò La Valette. I cavalieri, a coppie, spalla contro spalla, avanzarono camminando lentamente in circolo, rimanendo sempre in contatto. Tutti gli spadoni mulinarono in aria in cerca di corpi da mutilare. Ore 12:00 Oh Eleonora! Sono sempre qui: sugli spalti dì Caste! Sant'Angelo. Sotto il sole cocente di mezzogiorno. Lo scontro nel bel mezzo del borgo antico perdura ininterrottamente da quattro ore. Non so quante volte mi sono toccato la testa
cercando l'orecchio che ho perso a Castel Sant'Elmo. Ebbene, l'orecchio non c'è. Come le bende. Sono ancora vivo. Abile e in forze, pronto a correre e sparare nuovamente. Se non fossi certo di essere ancora vivo non crederei a quello che vedo. Mai avrei pensato, mai avrei sognato, che quasi cinquecento cavalieri potessero resistere attorniati da quindicimila turchi. Mai. Spero che i cavalieri reggano fisicamente. Spero che la stanchezza non prenda il sopravvento sui loro corpi. Hanno risposto all'accerchiamento avversario con uno schieramento molto efficace. Schiena contro schiena si coprono le spalle a vicenda. Ma cosa sto scrivendo? Scusa Eleonora! È la concitazione della battaglia. Ho scritto resistere? Ho sbagliato, i cavalieri sono avanzati ancora di qualche decina di metri. Alle loro spalle hanno lasciato un fiume di sangue e di cadaveri squartati. A terra vedo: teste, braccia e mani che ancora stringono scudi o scimitarre. Non c'è spazio dove mettere i piedi. Se ora volessi percorrere la strada principale del borgo antico, sarei costretto a camminare su carne umana. Ore 13:00 Cinque soldati nelle prime file voltarono le spalle e corsero indietro, fuori dalla mischia, verso la retroguardia amica. Piale li guardò con sdegno e grugnì: «Tornate a combattere codardi! Le Huri vi abbracceranno se morirete in battaglia, non se fuggite!» Un soldato si mise in ginocchio e implorò: «Non vinceremo mai. Non sono uomini. Sono esseri del demonio! È pressoché impossibile ucciderli!» Piale gli sferrò un calcio in pieno volto. «Certo che sono uomini! Non vi ricordate? Li abbiamo inchiodati a delle zattere settimane fa! Pagherete per questo. Sarete d'esempio per tutti. Guardie!» L'ammiraglio inferocito si rivolse al comandante della sua guardia personale: «Decapitateli! Mandateli all'inferno per l'eternità!» Le guardie scattarono e in pochi attimi atterrarono i cinque uomini. «Pietà!» urlarono all'unisono. Piale come risposta fece un cenno con il mento alle guardie. Cinque spade si alzarono. «Pie...» Cinque spade si abbassarono. «Che sia da monito per tutti. Appoggiate le teste davanti a noi. Chiunque arretrerà farà la stessa fine.» L'ammiraglio si girò verso Lala Mustafà: «Tu non dici niente? Così si trattano gli uomini che non obbediscono agli ordini. Tu dovresti infondere in loro il coraggio. Li ho visti molto impauriti. Per caso non
hai distribuito l'hashish?» Il comandante dell’esercito non aprì la bocca. «Inetto! Quante volte te lo devo dire! Incompetente! Qui ci giochiamo anche la nostra vita! Le prossime teste a cadere potrebbero essere le nostre quando torneremo a Costantinopoli. Solimano sarà molto adirato se torneremo sconfitti!» Lala Mustafà rispose quasi balbettando: «Non c'è stato il tempo. I cavalieri ci hanno colto di sorpresa con la loro sortita.» Piale Pascià si avvicinò al suo orecchio e bisbigliò: «Fosse per me, la tua testa sarebbe già lì, a rotolare assieme alle altre. È ora che cominci a fare scelte sensate al momento giusto. Sei fortunato, non voglio dare altro spettacolo. I nostri uomini ci vedono già troppo spesso litigare» e si allontanò di qualche o per tornare a guardare attentamente la battaglia. «Portate l'hashish! I nostri uomini ne hanno bisogno! Portatemi anche un imam» ordinò Lala Mustafà. Piale annuì con la testa senza voltarsi. Un imam arrivò immediatamente. «Vedi quel cumulo di macerie poco più avanti, sulla destra'? Da lì inciterai e infonderai coraggio ai nostri soldati» disse il comandante dell'esercito. Il predicatore corse deciso verso il luogo indicatogli. «Colpite gli infedeli! Allah è grande! Allah è grande!» Ore 14:00 «Per la cristianità!» Fernando mozzò di netto un braccio. Il sangue uscì a fiotti imbrattando l'armatura del cavaliere. Un turco, occhi sbarrati, allucinato dall'hashish saltò verso La Valette. Si aggrappò alle sue spalle, allungò un braccio e rapidamente sollevò la celata del gran maestro. «Per la Santa Chiesa!» urlò il generale che stampò il gomito corazzato sulla bocca dell'aggressore. Scrac, una manciata di denti schizzò in aria. Il poderoso colpo fracassò la mandibola del turco che mollò la presa cadendo rovinosamente. «Allah è grande» intonò l'imam sul cumulo di macerie. Un giannizzero salì accanto al predicatore. Volse lo sguardo in basso, sguainò la
scimitarra e si tuffò nella mischia. La sua arma colpì duramente Fernando facendolo cadere. La Valette, perdendo l'appoggio sulla schiena del compagno, barcollò un istante. Il giannizzero rapidamente mise le ginocchia sulle braccia di Fernando immobilizzandolo. Il gran maestro abbassò la celata e alzò al cielo lo spadone. «Per Malta!» e calò l'arma che tranciò le mani del turco impegnate a cercar di levare l'elmo a Fernando. Un'altra lama cristiana mulinò nell'aria decapitando il giannizzero. La Valette con un calcio spinse via i resti del cadavere turco e protese una mano verso il compagno per aiutarlo a rialzarsi. Due coppie di cavalieri, osservando l'accaduto, saldamente spalla contro spalla, sopravanzarono il generale per dargli il tempo di soccorrere Fernando che si rialzò goffamente: «Mio signore, la mia armatura è danneggiata, le ammaccature stanno limitando i miei movimenti. Ho bisogno di un fabbro.» La Valette alzò la sua celata e quella del compagno per osservarlo meglio. Fernando aveva il volto completamente bagnato dal sudore. Il collo intriso di sangue musulmano. I suoi occhi non trasmettevano alcun sentimento. Il gran maestro capì che non era stata la paura a mettergli in bocca le ultime parole che aveva pronunciato. «Torniamo spalla contro spalla. Il fabbro può attendere, lo e l'Europa intera, abbiamo bisogno del tuo vigore e della tua lama.» Ore 15:00 «Mio signore dobbiamo cercare riparo! Gli uomini non ce la fanno più!» gridò il viceammiraglio aggrappato a una corda. Gianandrea Doria avvinghiato all'albero maestro si voltò indietro cercando lo sguardo del suo secondo. Una forte onda colpì la galea su un lato facendola inclinare pericolosamente. Marco Rosso perse l'equilibrio e rotolò sul ponte. «Aah!» un flebile gemito uscì dalla sua bocca. Le sue reni si stamparono contro l'albero maestro. «Coraggio. Fatti forza!» disse Gianandrea. Marco a fatica si mise carponi. Un fremito improvviso travolse il suo corpo. Spalancò la bocca e vomitò sui piedi dell'ammiraglio.
«Afferra i miei piedi. Vedrai, erà» lo rincuorò Gianandrea. La tempesta imperversava da quattro giorni ormai. Pioggia, grandine, tuoni e fulmini scuotevano duramente le navi. Le assi di legno scricchiolavano all'impatto delle ripetute violente ondate. «Un volontario! Un volontario! Abbiamo bisogno di un uomo disposto ad arrampicarsi sull'albero maestro» urlò Doria con tutto il fiato che aveva nei polmoni. Eleonora, sottocoperta, riuscì a udire la richiesta del comandante. Salì le scale e rimanendo aggrappata ai gradini sollevò la testa oltre il pavimento del ponte, guardando intorno alla ricerca dell'ammiraglio. Ettore Sinibaldi sdraiato, abbracciato al o del timone, si mise in piedi e corse verso Doria. Si aggrappò all'albero e disse: «Cosa devo osservare?» «Bene. Grazie. Il Signore saprà ricompensarti per il coraggio che dimostri. Arrampicati e avvisami se vedi terra» disse Gianadrea soddisfatto. Ettore senza fiatare annuì e cominciò la sua missione. «Attenzione!» gridò una voce nella confusione. Un'onda alta venti metri s'infranse violentemente sul ponte della nave. «Aiuto!» Un marinaio finì catapultato in mare. Ettore cadde pesantemente atterrando sul povero Marco che vomitò nuovamente all'istante. Eleonora vide la scena e salì sul ponte. Fece tre rapidi i e si tuffò in avanti scivolando sul legno viscido inzuppato d'acqua. In un attimo raggiunse l'albero maestro. Fermò la sua corsa aggrappandosi a Ettore che era ancora gambe all'aria. Doria sorpreso, scosse la testa: «Buon uomo, mi spiace, cercati un altro posto dove resistere alla tempesta. Qui siamo troppo indaffarati.» Eleonora si alzò prontamente, aiutò Ettore a mettersi in piedi e disse cercando d'imitare una voce maschile: «Dai arrampicati. Altrimenti vado io.» Sinibaldi ricominciò l'arrampicata. «Grazie per l'aiuto. Come vedi, ci riprovo io. Spero non ti dispiaccia.»
Marco riprese un minimo di lucidità, fissò Eleonora e disse: «Ma allora è vero. Se vuoi, parli. Non sei muto.» «Terra!» urlò Ettore. «Terra!» Ore 16:00 Oh Eleonora! Non smetterò mai dì dirtelo... Se tu fossi qui! Se tu potessi vedere! Otto ore! Non ho sbagliato a scrivere! La battaglia infuria da otto ore. I cavalieri hanno guadagnato ancora qualche metro. Ormai penso che solo l'ombra della notte li fermerà. Almeno così spero. Mi sembra che i turchi caduti siano circa tremila. I nostri fratelli volati in paradiso sono all'incirca venti. Non riesco a fare una stima precisa. Ti assicuro che non è per nulla facile contare gli uomini morti su un campo di battaglia come questo. I cavalieri hanno lasciato una scia imponente di sangue, braccia, teste e moncherini. Quando esauriranno le forze i nostri paladini? Chissà... Spero il più tardi possibile. Eleonora, ti amo. Sto terminando l'inchiostro che ho con me. Domani ti racconterò come è andata a finire la battaglia. Perdonami, ma non voglio e non posso abbandonare gli spalti di Costel San 'Angelo proprio ora. Finché morte non ci riunirà. Tuo Niccolò Ore 17:00 «Per la cristianità!» urlò La Valette. Le armature dei cavalieri ormai non luccicavano più. I raggi del sole non riuscivano più a riflettere sulle corazze completamente imbrattate di sangue. Il gran maestro incitò nuovamente i suoi uomini: «Avanti cavalieri! Il Signore è con noi!» Un corno in lontananza suonò una lacerante nota acuta. I turchi all'istante voltarono le spalle e corsero all'impazzata verso l'accampamento. I più lesti e agili in quella fuga disordinata travolsero alcuni fratelli facendoli cadere. «Mio signore. Si ritirano! Li dobbiamo inseguire?» chiese Fernando osservando due turchi che cercavano di rialzarsi.
«No. Torniamo al castello a ripulirci e possibilmente a riposare. La guerra non è finita oggi» poi sollevò lo spadone e disse a gran voce per esser certo di farsi capire da tutti: «Oggi è il giorno della nostra vittoria più gloriosa. Tutta la cristianità rimarrà stupita!» *** «Inetto! Non sei in grado di comandare un esercito in battaglia. La tua testa sarà mostrata in piazza a Costantinopoli ! Se sarà così, non piangerò. Mi preoccupa di più sapere che per colpa tua anche la mia testa rischia un giorno di fare bella mostra nella nostra capitale!» inveì Piale Pascià contro Lala Mustafà che abbassò la testa silenziosamente. «Tieni bene a mente che ogni errore che hai fatto e che farai lo racconterò di persona a Solimano. Sono proprio curioso di vedere come continuerai l'assedio» continuò Piale. Lala Mustafà fu assalito improvvisamente da una rabbia accecante. Rosso in volto, alzò la testa e gridò in faccia all'ammiraglio: «Anche tu ti devi assumere la responsabilità delle tue azioni. È stata una tua idea assediare il lato delle mura che si stagliano sul borgo antico. Dà ordine a tutte le tue navi di raggiungerci qui. Bombarderemo con tutti i cannoni disponibili. Distribuirò hashish agli artiglieri. Voglio che raddoppino la loro velocità. In questo modo, io dimostrerò di aver fatto tutto il possibile per vincere in questo assedio. Se Castel Sant'Angelo non cadrà, sarà tutta colpa tua.»
IL BOMBARDAMENTO «Signore, siamo ormai fermi qui a Trapani da quattro giorni, quando riprenderemo il largo?» chiese Ettore. «Il tempo necessario per terminare le riparazioni. Un altro giorno dovrebbe essere sufficiente per rendere come nuova l'intera flotta» rispose Gianandrea Doria. I due sul molo osservavano i marinai lavorare duramente. Sulla banchina un gruppo di uomini era intento a ricucire una vela lacerata dalla grandine. «Oh issa!» Un coro si alzò dalla nave ammiraglia. Dieci marinai appena saliti sulla erella di una galea trascinavano con tutta forza sulla nave il nuovo possente albero maestro. Un giovane mozzo a o svelto raggiunse il molo e riferendosi a Doria disse: «Signore, il comandante della flotta siciliana che ci ha seguito, chiede di parlare con voi. Vi aspetta nella taverna qua vicino per offrirvi da bere.» L'ammiraglio annuì immediatamente e con un gesto della mano invitò il ragazzo a fare strada. Il mozzo rimase immobile, titubante. Doria lo fissò con aria interrogativa. «Non è colpa mia. Scusate. Mi hanno detto di accompagnare solo voi.» *** La taverna era scarsamente illuminata. Il sudiciume sui vetri delle finestre mai lavate non faceva filtrare la luce del sole. Il chiasso dominava tra le mura del locale. Uomini ubriachi accalcavano il bancone dell'oste. Ogni tavolo era circondato da uomini chiassosi che spingevano e urlavano scommettendo su qualsiasi cosa asse per la testa. C'era chi scommetteva su una sfida a braccio di ferro, alcuni giocavano a dadi, altri si cimentavano in duelli in cui vinceva chi beveva di più. Doria, vedendo l'atmosfera, si domandò il perché di un incontro in quel luogo. Non trovando alcun valido motivo fece per uscire dal locale. Mentre appoggiava la mano sulla porta, notò nell'angolo più buio della taverna un uomo isolato vestito con indumenti raffinati, seduto da solo davanti a un tavolo. Doria
decise di tornare indietro per presentarsi. «Gianandrea Doria. Voi chi siete?» disse l'ammiraglio. L'uomo seduto si alzò e cominciò a parlare: «Garçia de Toledo. Viceré di Spagna. Piacere di conoscervi.» «Non sapevo foste in viaggio con noi.» Il regnante sorrise. «Prego, sedetevi. Vi spiegherò tutto.» I due si accomodarono uno di fronte all'altro. Don Garçia porse al genovese un fresco boccale di birra d'orzo. «Prego. Bevete. Vi ho chiamato qui perché ritengo che sia il luogo più sicuro per una chiacchierata. Gli uomini sono troppo intenti a spendere i loro fiorini. Non baderanno di certo a noi.» Gianandrea sorseggiò con calma un'abbondante boccata di birra. Appagato per la bevuta, chiese: «Cosa volete dirmi?» «Io e la mia flotta siamo qui, disubbidendo apertamente ad un ordine del re di Spagna. Devo riuscire a mantenere integre le mie navi. I quattro giorni che abbiamo ato in balia del mare, sballottati avanti e indietro, senza controllo, mi hanno fatto riflettere. Arrivati in prossimità di Malta ci divideremo, dirigerò direttamente io le operazioni di sbarco delle mie navi. Non è sfiducia in voi. Credetemi. Voglio solo rendere più sicure le operazioni. Sono certo che capirete da buon ammiraglio quale siete» e fissò negli occhi Doria aspettando la risposta. «Comprendo pienamente. Dividendoci, entrambi saremo agevolati. E’ più facile gestire i movimenti di poche navi... Piuttosto. Tra poco salperemo nuovamente. Appena gettate le ancore qui a Trapani, molti, spaventati dalla tempesta, volevano scappare. Ho perso pochi uomini, ho convinto la maggior parte a rimanere, con poche parole ricche di frusta. Inoltre ho dovuto minacciare i rematori e i marinai che se fossero scappati, mai avrei pagato il lavoro degli ultimi giorni. Voi avete perso uomini?» Don Garcia ascoltò assorto e replicò: «Fortunatamente molti rematori sulle mie navi vivono ogni giorno della loro vita, incatenati ai remi. Sono persone colpevoli di crimini efferati e corsari turchi fatti prigionieri. A volte nelle loro scorrerie qualcuno può rimanere ferito e cadere nelle nostre mani.»
*** Mia amata Eleonora, scusa la pessima calligrafia di oggi. La mano destra fa male e trema, come posseduta dal demonio. Perdonami ma oggi probabilmente sarò breve. Ti aggiornerò rapidamente sui fatti accaduti negli ultimi quindici giorni. Pensavo di aver già visto il peggio... Sbagliavo. Ora i turchi ci bombardano con tutte le navi e i cannoni a terra. Hanno inoltre alzato spaventosamente il numero di proiettili sparato al minuto. Probabilmente hanno imbonito gli artiglieri di hashish. Sulle nostre teste e contro le nostre mura si schiantano almeno cinquanta palle da cannone al minuto. Non dormiamo più. Ieri si è aperta una breccia nelle nostre mura. I turchi si sono catapultati nell'apertura. C'è voluto un nuovo intervento in prima persona del gran maestro La Valette per respingere il furioso assalto. Ancora una volta non ha fallito. Qualcuno giura di averlo visto combattere nella mischia senza armatura. Non saprei dire se è vero. Io ero intento a sparare con il mio cannone, i miei occhi osservavano la spiaggia in cerca di nemici da colpire. Purtroppo, però, il prode La Valette è rimasto ferito a una gamba. Ora zoppica vistosamente. Ho solo una piccola nota positiva da raccontare. Non vedo più i turchi sparare con gli archibugi. Suppongo non ne abbiano più di funzionanti. Eleonora, ti amo. Che Dio ci aiuti. Tuo Niccolò *** «Bravo muto! Bel colpo! Sei un guerriero nato!» esclamò Ettore. Il mare era calmo. Quasi immobile. Nemmeno un alito di vento gonfiava le vele spiegate. I rematori rovesciavano litri di sudore sul pavimento per lo sforzo. Le galee molto stabili permettevano ai balestrieri di allenarsi mirando botti vuote usate come bersaglio. «Muto! Ma dove hai imparato a tirare così bene?» chiese Marco Rosso. Eleonora imperturbabile scrollò le spalle. Appoggiò l'estremità superiore della balestra a terra. Mise i piedi sull'arco di legno e cominciò a girare la manovella per tendere la corda e ricaricare l'arma. «Vieni con me Marco. Lasciamolo solo. Alleniamoci con la spada» disse Ettore
rivolgendosi all'amico che sguainò immediatamente la sua lama. Doria, dal timone, osservava tutti gli uomini che si allenavano. «Bravi, continuate così. Tenetevi pronti. Presto combatterete per davvero.» *** Un marinaio sulla nave ancorata vide una flotta apparire in mezzo al mare. "Non stiamo aspettando un altro esercito. Sono sicuramente rinforzi pronti a schierarsi al fianco dei maltesi. Devo avvisare i nostri comandanti!" pensò il turco che dalla prua della galea si tuffò direttamente in acqua per raggiungere il più velocemente Piale Pascià e Lala Mustafà. Appena riemerse con la testa, cominciò a nuotare verso la riva mentre i proiettili sparati dai cannoni delle navi sorvolavano l'aria pochi palmi sopra la sua testa. *** «Navi in vista! » Urlò una vedetta che osservava il mare da una torre in posizione opposta alle mura bombardate. «Fate chiamare il gran maestro! » La Valette, trascinando la gamba ancora ferita, raggiunse faticosamente la torre di guardia. Senza salire urlò: «Ragazzo! Che bandiera battono? Cristiana o Musulmana?» La vedetta aguzzò la vista cercando di mettere a fuoco le vele lontane. Senza rispondere. Il gran maestro lo esortò nuovamente: «Allora? Riesci a vederle?» «Non saprei signore. Non riesco a distinguere bene i colori.» La Valette si fece il segno della croce e con le mani giunte guardò verso il cielo: «Signore aiutaci. Dimmi che sono fratelli arrivati in nostro soccorso.» Un innaturale silenzio dominava la zona attorno alla torre. «Gran maestro, non distinguo i colori ma posso dire che si ! Sì ! Si! Croci! Non distinguo bene i colori ma posso dire con certezza che la Croce di Nostro Signore si staglia al centro dei loro vessilli!» La Valette che non aveva smesso di osservare speranzoso il cielo disse: «Grazie
Signore. Se gli uomini che sbarcheranno sono almeno ottomila decideremo le sorti della guerra in un'ultima battaglia campale.» *** I due comandanti, udita la notizia, corsero per andare a vedere di persona. «Quanti saranno? Quanti uomini stanno sbarcando?» chiese Piale preoccupato. Lala Mustafà con il cuore in gola rispose: «Duemila, tremila... E chissà quanti ancora... Ha gettato l'ancora solo un terzo della flotta. Interrompiamo il bombardamento. Ormai è inutile. Facciamo riposare i nostri soldati. Le sorti della guerra si decideranno sicuramente in un'ultima battaglia campale.» *** Oh Eleonora, mia amata. Altri quindici giorni. Questa è solamente la seconda volta che ti scrivo nell'ultimo mese. Perdonami. Quasi tutti gli spalti sono ormai granelli di polvere sotto il sole rovente. I nostri cannoni non potranno più sparare. Sono caduti rovinosamente in mezzo alle macerie. Se fossi stato vicino al mio cannone ora sarei abbracciato a te in paradiso. Vista la nuova situazione, nelle ultime due settimane, sotto il bombardamento incessante, sono stato addestrato assieme ad altri a sparare con l'archibugio. Continuerò a difendere Castel Sant'Angelo. Finché morte non ci riunirà. A breve sarò chiamato sicuramente a usare la mia nuova arma. Proprio in questo momento stanno sbarcando migliaia di uomini accorsi in nostro aiuto. Tutti i cavalieri sostengono che le sorti della guerra si decideranno in un 'ultima battaglia campale. Ti amo, non scordarlo mai. Tuo Niccolò *** Don Garçia de Toledo scese da cavallo e mise piede sulla piazza di Castel Sant'Angelo. Il suolo in sabbia battuta, perfettamente livellato, era ormai un ricordo. Profondi squarci nel terreno permettevano di ricordare il bombardamento incessante.
«Buongiorno viceré, siete portatore di buone nuove?» chiese raggiante La Valette. «Sì, siamo qui per aiutarvi. A breve attraccherà anche la flotta di Gianandrea Doria. Abbiamo condotto le operazioni separatamente. In tutto sbarcheranno novemila uomini pronti a combattere» rispose fiero Don Garcia. Il gran maestro appoggiò la mano sulla spalla del viceré: «Bene. Appena tutti saranno sbarcati, studieremo la strategia per quello che probabilmente sarà l'ultimo scontro di questa guerra estenuante. Vi ringrazio tutti. Questo è un gran soccorso.»
LA BATTAGLIA CAMPALE Sulla spiaggia che vide il primo assalto turco della guerra, il giorno dopo il loro sbarco, i due eserciti schierati in file ordinate si guardavano a distanza. La Valette assieme a un giovane suonatore di corno da battaglia osservava gli uomini dagli spalti di Castel Sant'Angelo, accanto all'ingresso principale. A duecento metri di distanza, sulla destra novemila soldati, i balestrieri cristiani precedevano di qualche metro i fanti armati di spada. "Spero che i capitani dell'esercito corsi in nostro aiuto abbiano capito i miei ordini" pensò il gran maestro. Gli stendardi bianchi, con ricamata una Croce rossa, si alzavano al cielo. Sulla sinistra, i dodicimila turchi creavano un unico blocco alzando al vento i vessilli raffiguranti la Mezzaluna gialla su sfondo verde. In fondo allo schieramento, seppur lontani, si notavano i maestosi turbanti del comando di Piale Pascià e Lala Mustafà, attorniati dai soldati della loro guardia personale. La Valette si voltò indietro, verso il castello e guardò in basso. Sotto di lui, i cavalieri con le celate alzate sui loro destrieri erano affiancati dagli scudieri che in piedi tenevano tra le mani due lunghe lance per la carica. Dietro i quattrocentosettanta cavalieri erano disposti, in attesa, i cinquecento miliziani superstiti armati di balestra o archibugio. Padre Gianni apparve improvvisamente al fianco di La Valette. «Che o felino! Complimenti» disse piacevolmente sorpreso il generale. «Posso rimanere al vostro fianco a pregare per l'esito della battaglia?» chiese padre Gianni. Il gran maestro sorrise e rispose: «Certo, una preghiera non fa mai male. Che ne dici d'intonarla tutti insieme?» *** Mia amata Eleonora,
ti sto scrivendo appoggiato alla schiena di un miliziano. Siamo all'interno di Caste! Sant'Angelo, tutti schierati e pronti a dare il nostro contributo in quest'ultima battaglia. Che Dio ci aiuti! Ho paura. Non di morire. Se arriverà la mia ora, volerò in paradiso, dove potrò riabbracciarti. Ho paura di non poter dare un contributo valido alla causa. Come ben sai non ho mai combattuto in una battaglia campale. Ho paura di sbagliare le azioni che dovrò compiere per caricare e sparare con il mio archibugio. Anche se ho imparato bene e sono abbastanza veloce, riuscirò a rimanere calmo e fermo in battaglia o le mani mi tremeranno? Dovrò accendere la miccia e versare la polvere da sparo nel bacinetto, la parte esterna dell'arma che sarà colpita dalla miccia. Poi versare altra polvere e il proiettile dì piombo fuso nella canna. Dovrò prendere l’asta, inserirla nella canna dando due colpi vigorosi fino infondo, stringere l’archibugio sul fianco, tirare la leva e sparare. A questo punto dovrò ricordarmi di chiudere gli occhi. Il fumo causato dall’esplosione potrebbe accecarmi. Non voglio vivere senza un orecchio e cieco. Meglio il Regno dei Cieli piuttosto. Quand’è l’ultima volta che mi sono sentito tranquillo? Non ricordo. Mia Eleonora, se sei lassù, sostienimi. Tuo Niccolò *** «Amen» conclo in coro. I corni turchi eseguirono due note profonde. Gli arcieri in prima fila estrassero simultaneamente una freccia dalla faretra. «Ragazzo anche tu» ordinò La Valette. Il giovane soffiò forte dentro il corno e il suono si propagò rapidamente su tutta la spiaggia. I balestrieri misero l'arma a terra e cominciarono a girare le manovelle. Un nugolo di frecce musulmane spiccò il volo. Sibilando travolsero lo schieramento cristiano ancora intento a caricare le balestre. Gli uomini della prima fila caddero a terra trafitti lanciando urla disperate di dolore. Eleonora, al centro dello schieramento, alzò la balestra in alto e insieme ai compagni sparò. ***
«Altre due scariche di frecce e ordino la carica» disse Mustafà. Piale stupito rispose: «Sei matto? Che comandante sei? Ti devo ricordare che i nostri uomini usano l'arco? E molto più facile da ricaricare rispetto alle loro balestre! Due frecce nostre equivalgono a un dardo loro. Falli continuare a tirare!» Le frecce cristiane colpirono i ranghi centrali dell'esercito turco. Altre urla di dolore si propagarono nell'aria. Lala Mustafà, senza voltarsi, con tono stizzito disse: «Altri due colpi e gli arcieri si faranno da parte lasciando spazio libero ai fanti che di corsa attraverseranno la spiaggia aggredendo corpo a corpo il nemico. Sai perché ho deciso così? Li vedi i cavalieri in lontananza? Sono dentro il castello in attesa di caricarci al primo momento propizio. I nostri arcieri si sposteranno verso le mura del castello sul fianco destro del nostro esercito. Voglio limitare il più possibile la carica della cavalleria. Ho dato ordine di mirare ai cavalli. Qualcuno dovrà pur rompersi l'osso del collo cadendo da cavallo!» *** La Valette osservava attentamente lo scambio di proiettili. La spiaggia cominciava a riempirsi di cadaveri. Padre Gianni con mani tremolanti stringeva un rosario al petto. «Mio signore! Carichiamo?» urlò Fernando saldamente in sella al suo cavallo. Il gran maestro si voltò e rapidamente rispose: «No. Non ora. Al prossimo suono del nostro corno. Quando tornerete indietro, ricorda ai tuoi uomini di non perdere tempo a cercare lo scudiere personale, fatevi servire dal primo che incontrerete. Riarmatevi il più velocemente possibile.» *** Alla svelta Lala Mustafà fece tre i in avanti e strinse energicamente la spalla del primo giannizzero a destra della fila: «Ora!» Il soldato ripeté immediatamente il gesto al compagno di fronte. Il messaggio in pochi attimi raggiunse gli arcieri in prima fila che scattarono verso destra. «Carica!» ordinò Lala Mustafà.
«Allah è grande!» *** Il gran maestro vide i turchi urlanti partire alla carica e disse a voce alta: «Ragazzo, suona!» Fernando strappò con forza una lancia dalle mani del suo scudiere e urlò: «Uomini! Avete sentito il corno? Tocca a noi! Tutti fuori!» L'ingresso principale di Castel Sant'Angelo si aprì di colpo. I cavalieri presero una lancia a testa, abbassarono la celata e partirono al galoppo verso la spiaggia. I balestrieri spararono un'ultima volta e scapparono verso il centro della spiaggia senza osservare gli effetti del loro ultimo lancio. I dardi, con un'alta parabola, travolsero i ranghi centrali turchi. Decine di uomini caddero. «A morte gli infedeli!» I sopravvissuti turchi, urlando, incuranti dei loro compagni caduti, continuarono la loro corsa travolgendo morti e feriti. «Piedi saldi a terra! «Resistere alla carica nemica! Rimanere in piedi! «Rimanete vicini!» gridò il capitano dei fanti cristiani. «Serrate i ranghi! Serrate i ranghi! Preparatevi alle frecce!» ordinò Fernando. «Arcieri nemici più avanti, sulla sinistra.» I cavalieri si strinsero il più possibile in dieci file ordinate. Le ginocchia corazzate si sfioravano scintillando intensamente. Gli arcieri musulmani alzarono gli archi e lanciarono le loro frecce verso i cavalieri. Clang, clang. I due eserciti si scontrarono. I turchi, sfruttando l'inerzia della corsa, colpirono duramente con le loro scimitarre. I soldati cristiani delle prime file furono spinti indietro, schiacciati sui corpi dei compagni arretrati. Le lame musulmane lacerarono i corpi che trovarono sulla loro strada. Il sangue rapidamente tinse la spiaggia. «Uomini! Combattete! Rispondete, non facciamoci travolgere!» ordinò il capitano dei fanti. «Siamo venuti a Malta per aiutare Ì cavalieri, non per
rimanere fermi e farci uccidere!» I cavalieri galoppavano veloci. Lancia in resta. Il nugolo di frecce turche cadde sulle ultime file dello schieramento. Quasi tutte schizzarono via rimbalzando sulle armature. Quasi tutte. Due frecce penetrano nel collo di un cavallo che nitrì con disperazione. L'animale si alzò con violenza sulle zampe posteriori disarcionando il cavaliere che volò all'indietro cadendo di testa sulla spiaggia. Immobile, morto sul colpo. «Forza! Lancia in resta! Caricaaa!» ordinò Fernando. «Muoversi! Scudieri, fuori dalle mura! Balestrieri e archibugieri correre sulla spiaggia! Colpite gli arcieri nemici. Dovete coprire l'avanzata dei cavalieri!» urlò La Valette. Tutti gli uomini uscirono. Una voce si udì distintamente uscire dal gruppo: «Finché morte non ci riunirà!» Padre Gianni baciò il rosario e disse: «Gran maestro. Come sta andando la battaglia?» Imperturbabile, con gli occhi fissi verso il campo, il generale rispose: «Lo scopriremo tra poco.» *** «Lancia in resta! Per la Santa Chiesa e la cristianità! Caricaaa!» gridò Fernando. I cavalieri abbassarono le lance e colpirono ai fianchi i turchi impegnati nel corpo a corpo. Penetrarono facilmente nell'esercito avversario. Le lance si ruppero trafiggendo i turchi. Una pioggia di schegge di legno impazzite accecarono i più sfortunati. Trafitti dalle lance, calpestati dagli zoccoli dei cavalli, volarono in paradiso seicento musulmani. «Sguainate le spade!» ordinò Fernando. I cavalieri gettarono le lance ormai spezzate nella mischia, colpendo altri turchi, e misero a nudo le loro lame. Fernando abbassò la spada e aprì il cranio di un giannizzero. Rapidamente cercò
di alzare il braccio per preparare un altro fendente, ma fu bloccato. Due scimitarre lo colpirono con violenza sulla mano. Il cavaliere perse all'istante la spada che cadde a terra. Due turchi si aggrapparono al suo braccio e lo disarcionarono. Scrac. Fernando cadde a terra con tutto il peso sul polso destro. Rotto. Ettore Sinibaldi e Marco Rosso videro la scena, avanzarono e infilzarono nella schiena Ì due musulmani. «Signore, vi rimetto in piedi io» dissero all'unisono i due amici. Presero il cavaliere per le spalle e lo sollevarono di peso. «Mio Dio, pietà per la mia anima» disse con un filo di voce Marco, mentre un rigagnolo di sangue gli usciva dalla bocca e la punta di una scimitarra sbucava dal suo ventre. Ettore si voltò. Accecato dalla rabbia, fece un balzo in avanti e tagliò in due il braccio del giannizzero che aveva colpito il suo amico. Il turco, urlando come un forsennato, si accasciò sulla spiaggia insieme a Marco. Fernando prese la misericordia con la mano ancora sana, la sinistra, e sgozzò il turco. Sinibaldi si mise in ginocchio, accanto all'amico. Premette forte sul ventre aperto. «Marco Rosso, non mi abbandonare. È una ferita da niente. Vedrai ti riprenderai» disse Ettore con voce rotta. L'amico a fatica, lentamente, quasi balbettando rispose: «Non prendermi in giro, tra pochi istanti sarò morto.» Ettore si morse il labbro nervosamente e rispose: «E io con chi giocherò a dadi?» Gli occhi di Marco si spalancarono. Sul suo viso si formò un piccolo sorriso: «Fai... che... le... campane... continuino... a... suonare.» «Non te ne andare! Non ora! Il paradiso può aspettare! Alzati che ti offro un bicchiere di vino!» disse disperato Ettore. Un fremito travolse il corpo di Marco. Gli occhi si chio. Fernando appoggiò una mano sulla spalla di Sinibaldi: «Aiutami a risalire sul mio cavallo e ti assicuro che il sacrificio del tuo amico non sarà vano.»
*** «Ragazzo! Suona!» ordinò La Valette. II corno coprì i rumori della battaglia. I cavalieri tirarono con forza le briglie dei loro cavalli. Si voltarono e galopparono verso il castello abbandonando la cruenta mischia. «Miliziani! Avanzate! Bersagliate gli arcieri nemici! Coprite il rientro dei cavalieri!» gridò il gran maestro. Gli uomini obbedirono correndo senza fiato. I balestrieri a cento metri dai turchi si fermarono e si prepararono al tiro. Gli archibugieri continuarono ad avanzare, la gittata massima della loro arma era di cinquanta metri. I musulmani scagliarono in aria le frecce. *** «Capitano! Dobbiamo colpire gli arcieri turchi. Non ricordate più le direttive? Avete visto i miliziani maltesi? Forza! Aiutiamoli a proteggere i cavalieri!» gridò Eleonora. II capitano dei balestrieri annuì e aggiunse: «Forza! Aiutiamo i miliziani!» *** La Valette osservava attentamente il rientro disordinato dei cavalieri. Si voltò verso padre Gianni e disse: «Ora posso asserire che la battaglia sta andando per il verso giusto. I nostri balestrieri e archibugieri stanno tenendo impegnati gli arcieri turchi. La prossima carica rispedirà a Costantinopoli gli invasori! Il Signore è con noi.» Il prete annuì, alzò lo sguardo al ciclo e fece il segno della croce. «Scudieri pronti con le lance» gridò il generale. *** «Aah! Che Male!» inveì Niccolò trafitto alla spalla sinistra da una freccia. I
dardi nemici falcidiarono gli archibugieri. I cinquanta superstiti accesero le micce e si prepararono a sparare. Niccolò, vedendo i suoi compagni all'opera, chiuse gli occhi e si impose di non ascoltare il dolore. Fece un lungo sospiro. «Signore, mia roccia. Dammi la forza» disse a bassa voce. Riaprì gli occhi, accese la miccia e gridò: «Finché morte non ci riunirà!» *** I primi cavalieri raggiunsero il castello. Al di fuori delle mura, gli scudieri aspettavano con le lance appoggiate a terra, strette nelle mani. I nobili guerrieri, senza cercare il proprio servente, recuperarono una lancia ciascuno dal primo ragazzo in cui si imbattevano. Fernando fu l'ultimo ad arrivare. Uno scudiere si avvicinò porgendo la lancia al cavaliere che fermò il cavallo. «Ragazzo, ho la mano destra rotta. Non riuscirò mai a stringerla. Devi legarmela al braccio.» II servente spalancò la bocca sorpreso. «Ho detto legamela al braccio! Esegui l'ordine, anche se non sei il mio scudiere! Hai una corda?» Il ragazzo tremò. Non riuscì a rispondere. Fernando sollevò la celata per farsi sentire meglio e con tono perentorio disse: «Se non hai una corda, usa la tua cintura! Se non lo fai, ti assicuro che non diventerai mai un cavaliere finché io sarò in vita!» *** Piale Pascià osservava angosciato i cavalieri. Con le lance rivolte verso l'alto, a ranghi stretti galoppavano velocemente preparando un'altra carica. Lala Mustafà si avvicinò a un soldato della sua guardia personale e disse: «Ora farai da messaggero. Corri dagli arcieri. Ricorda loro che devono colpire quei cani bastardi dei cavalieri a tutti i costi. È fondamentale che si sacrifichino. Non devono assolutamente rispondere ai balestrieri e agli archibugieri. Devono colpire i cavalieri. Allah saprà ricompensarli.»
Il soldato corse a perdifiato, evitando i cadaveri dei fratelli caduti. Il fragore degli archibugi riecheggiò nella spiaggia. Il messaggero, a pochi metri dagli arcieri urlò cercando di farsi sentire: «Dovete colpire i cavalieri! Solo loro! Ordine di Lala Musta...» Una freccia tranciò le sue corde vocali. Gli arcieri non udirono alcun messaggio. «E ora che facciamo?» disse sgomento Piale osservando i cavalieri galoppare uniti. «Non possiamo fare più nulla. I nostri arcieri sono bersagliali dai tiratori infedeli. Guarda i cadaveri. Molti di loro sono ali a miglior vita. Inoltre il mio messaggio non è giunto a destinazione» rispose sconsolato Lala Mustafà. Piale sgranò gli occhi stupefatto: «È colpa tua! Lo sanno tutti che in qualsiasi situazione bisogna mandare più di un messaggero! Mandane un altro! Subito! Ti sei arreso all'idea di sapere che la tua testa sarà denigrata da tutti in piazza a Costantinopoli?» Lala Mustafà avvilito scosse la testa. «Guarda là. Non c'è più tempo, i cavalieri sono a soli dieci metri.» I cavalieri uniti si avvicinavano velocemente. Nove metri. La Valette mise una mano sulla spalla di padre Gianni. «Ecco il momento decisivo. Il volere di Dio sarà svelato tra pochi attimi.» Otto metri. Una freccia perforò la gola del capitano dei balestrieri. Il suo corpo si adagiò lentamente sulla spiaggia. Gli uomini attorno a lui rimasero attoniti. «Uomini! Forza! Dobbiamo continuare a proteggere la carica della cavalleria!» strillò Eleonora. Sette metri. Niccolò si accasciò sulle ginocchia. Mano sul braccio, attorno alla freccia ancora conficcata nell'arto. Il sangue colava lentamente imbrattandogli la manica. Il miliziano accanto a lui si chinò avvicinandosi per soccorrerlo. «Riesci a togliermela? Non riesco più a sopportare il dolore» disse Niccolò con un filo di voce.
«Sei pazzo? Non puoi estrarre la freccia semplicemente tirandola fuori a forza. La punta in metallo ti squarcerebbe le carni. Hai bisogno di un cerusico che ti apra la ferita, quanto basta per estrarre la freccia.» Due frecce colpirono in pieno volto il miliziano. Veloci schizzi di sangue coprirono il viso di Niccolò. Senza pulirsi cominciò lentamente ad alzarsi. «Inutile rimanere fermi piangendosi addosso. Mi devo alzare. Eleonora, ti ho fatto una promessa. Finché morte non ci riunirà!» Sei metri. «Hai pregato all'alba?» chiese Piale. «Certo. Come sempre» ripose Lala Mustafà. «Sarebbe stato meglio di no. Dovevi studiare il piano di battaglia» ribatté l'ammiraglio. Il comandante dell'esercito rispose stizzito: «Bisogna pregare. Lo sai benissimo. Piuttosto. Perché non hai fatto alcuna proposta su come organizzare questa battaglia? Criticare con il senno di poi come fai tu, è facile. Evidentemente è l'unica cosa in cui sei abile.» Cinque metri. «Forza uomini! Ancora una volta!» gridò Fernando. Gli uomini accorciarono le briglie preparandosi all'impatto. «Abbassare le lance. Lancia in resta! Lancia in resta!» ordinò il capitano della cavalleria. I cavalieri abbassarono le lance stringendole con forza sotto l'ascella. Sordi rumori metallici. Per ottenere un maggiore controllo incastrarono l'estremità dell'arma nel piccolo gancio metallico saldato sul fianco dell'armatura. Quattro metri. Niccolò prese la mira. "Eleonora. Vorrei scriverti, ma non posso. Da lassù mi capirai. Ne sono certo" trattenne il fiato e sparò. Chiuse di scatto gli occhi. Il fumo dell'esplosione lo avvolse. Ad alta voce, per aiutare se stesso a continuare senza sosta disse: «Ancora. Ancora. Ricarica. Il braccio non mi fa male. Signore dammi la forza.» Tre metri. Il rumore degli zoccoli che rapidamente solcavano la spiaggia si fece incessante. Tutti i soldati turchi si voltarono. I più vicini sbarrarono gli occhi.
Tremanti. Due metri. La Valette strinse con forza la spalla di padre Gianni che si lamentò mugugnando a denti stretti. «Signori. Forza. Con tutto il vigore che scorre nelle vostre vene. Impetuosi e letali. Come sapete fare. Come sappiamo fare.» Un metro. Fernando sferzò il cavallo con un poderoso calcio corazzato. «Dai bello! L'ultimo sforzo! Dammi tutte le energie che conservi nella tua possente muscolatura.» L'animale nitrì, spalancò gli occhi, dilatò le narici, si alzò con violenza sulle zampe posteriori e con una possente falcata piombò sui turchi, Fernando, saldo sul suo stallone, protese in avanti la lancia legala al braccio e gridò: «Per la cristianitààà!» Impatto. Un'eco. Una forte eco assordante. Rumore di urla strazianti, disperate. Legno spezzato. Voci concitate. «Per il Sacro Ordine!» «La Santa Chiesa vivrà!» «Per Malta!» Fernando e il suo cavallo abbatterono tutti i nemici che trovarono davanti a loro. In pochi attimi attraversarono l'intero schieramento nemico uscendone illesi. Nessuno riuscì a fermare l'impeto della carica. Il capitano tirò con forza le briglie e il cavallo si fermò di colpo. Erano sul bagnasciuga. Una piccola onda bagnò gli zoccoli dell'animale. «Bravo! Molto bravo» disse Fernando accarezzando il collo sudato del fidato stallone «ora voltiamoci. Torniamo nella mischia. Non importa se la lancia legata al mio braccio ora è lunga solo mezzo metro.» Il cavallo si girò di scatto sulle quattro zampe, fece due respiri profondi camminando sul posto, alzò la testa ed emise un lungo nitrito. Fernando alzò la celata per osservare meglio il campo di battaglia. Sorrise, sorrise come non mai. «Caro amico. Fai bene a essere soddisfatto. Abbiamo vinto. È finita. Abbiamo vinto.»
I turchi superstiti scapparono gettando a terra le armi. I cavalieri sguainarono le spade e li inseguirono. *** «Il Signore sia lodato!» urlò al cielo a braccia aperte padre Gianni. «Sì. Abbiamo vinto» aggiunse La Valette. Il gran maestro, appagato, si voltò e prese a camminare trascinandosi leggermente la gamba quasi guarita. Raggiunse la torre di guardia e scese le scale tenendo appoggiata una mano contro il muro. Solitario, evitando le voragini aperte dalle palle di cannone, avanzò verso la piazza. Don Garçia de Toledo lo raggiunse di corsa: «Congratulazioni. Avete respinto i turchi. Il regno di cui ero sovrano e l'Europa intera vi saranno eternamente grati.» II gran maestro aggrottò le sopraciglia perplesso. Don Garçia sospirò: «Appena salpati, ci siamo imbattuti in una tempesta spaventosa. La flotta che è giunta in vostro soccorso è rimasta in balia del mare per quattro lunghi giorni. Ci siamo salvati attraccando miracolosamente al porto di Trapani, dove gli equipaggi hanno lavorato duramente per riparare i danni alle galee. Durante l'attesa un emissario mi ha raggiunto e consegnato una missiva scritta dal mio re, Filippo II in persona. Come bene ricorderete, non ero autorizzato ad aiutarvi.» Gli occhi di Don Garçia si inumidirono. Il gran maestro immaginò subito cosa intendeva dire il suo interlocutore. «Vede prode La Valette. Ripartirò immediatamente. Devo riconsegnare immediatamente le navi che ho condotto qui. Appena giungerò a Messina, sarò sollevato dal mio incarico. II mio comportamento ha profondamente deluso Filippo II.» «Invece io vi ringrazio. Il vostro sostegno costante ci ha donato un grande aiuto» replicò La Valette malinconico. Don Garçia rispose con tono deciso: «Non mi lagnerò con Filippo II, non fraintendetemi. Non mi pento di quello che ho fatto. Ne sono fiero.» Il gran maestro annuì. «Grazie.» Don Garcia si prodigò in un inchino: «Grazie a voi. Nel caso aveste ancora
bisogno, potete contare sempre su di me. L'unica cosa che mi turba è il non poter riabbracciare mio figlio.» «L'importante è sapere che è in paradiso ora» rispose convinto La Valette. *** Niccolò, stremato, osservava la spiaggia. Fradicio di sudore e sangue. Il volto leggermente annerito dalla polvere da sparo, una freccia conficcata ancora nel braccio. “Vedo tanti uomini, finalmente niente più turbanti” rifletté mentre cavalieri e miliziani urlando di gioia gli avano accanto. Alti incendi si propagarono in mare. Niccolò, incantato dalle lingue di fuoco, pensò a sua moglie: "Fiamme Eleonora. Fiamme. Tranquilla. Non sono all'inferno. Sono ancora vivo, qui, a Malta. Le fiamme che sto vedendo sono portatoci di una buona, stupenda, novella. Oh Eleonora! Fiamme! I turchi tornano da dove sono venuti. Stanno bruciando decine di navi. Non sono più numericamente sufficienti per governare interamente la flotta che li ha condotti qui. Preferiscono bruciare parte delle galee piuttosto che regalarle ai cavalieri dì Malta. Oh Eleonora! Sono fermo, immobile, in mezzo ai miei fratelli felici per la vittoria. Oh Eleonora! Sto sognando ad occhi aperti. Mi pare di vederti!" *** I due uomini, ciascuno con una torcia in mano, camminavano nell'angusto sotterraneo. La Valette fece un gesto con la testa alla guardia carceraria. L'uomo sganciò il mazzo di chiavi appeso alla cintura e aprì il cancello. L'inferriata cigolò in maniera sinistra. Il gran maestro entrò e volse lo sguardo in basso. Il prigioniero, al buio, era seduto con le gambe rannicchiate. Testa sulle ginocchia. «Orhan. Sei libero» disse con voce ferma La Valette. Il turco alzò la testa sorpreso. «L’assedio è terminato. Abbiamo vinto. Tra poco i tuoi fratelli faranno ritorno a Costantinopoli. Sei libero di seguirli.» Orhan rispose tristemente: «Li ho traditi. Molti hanno perso la vita per causa mia. Non merito di tornare a casa sano e salvo.» Il gran maestro insistette: «II motto del nostro Sacro Ordine è difesa della fede e
assistenza al povero. Abbiamo difeso la nostra fede. Ora ho altri progetti. Sei libero di andare. Se non vuoi raggiungere i tuoi fratelli, puoi restare pacificamente qui a Malta.» Orhan si alzò in piedi pensieroso. «Immagino che non ho molto tempo per decidere. Agendo volontariamente da spia vi ho fatto un favore. Voi, da vero signore, lo state ricambiando. Meritate rispetto. Raggiungerò i miei compagni. Se rimanessi qui, con il tempo, con il trascorrere di settimane, mesi e anni, prima o poi sentirò la mancanza dei miei fratelli. Chissà. Magari un giorno, rimpiangendoli, potrei odiarvi. Non voglio che ciò accada. Partirò immediatamente.» *** "Sono qui fermo. Intorno a me tutti i soldati camminano verso il castello" pensò Niccolò. All'improvviso fece due i in avanti ed esclamò: «Si. Io ti vedo...» Colta di sorpresa, Eleonora spalancò gli occhi e gettò l'elmo a terra. I due si strinsero in un tenero abbraccio. Si persero in un lungo, apionato bacio. Lunghi fischi e risate li circondarono. Cavalieri e miliziani osservavano la scena divertiti. «Speravo proprio di rivederti!» esclamò Eleonora con il volto provato e bagnato dalle lacrime. Niccolò raggiante rispose: «Ti credevo morta, o chissà dove. Pensavo ormai di poterti rivedere in paradiso. Dal momento della cattura, ho sempre escluso la possibilità di rincontrarti durante il resto della mia vita terrena. Non sai quante volte ho gridato: finché morte non ci riunirà!» La donna sorrise e si asciugò le lacrime con una mano: «Che cosa vuoi dire?» Niccolò si staccò delicatamente dall'abbraccio della moglie e mise mano nel borsello che teneva legato alla cinta. Prese tutte le lettere che aveva scritto e le porse all'amata: «Sai, ti ho sempre pensato. Tieni, queste sono per te. Leggile e capirai.» Con un amorevole sorriso Eleonora prese i fogli di carta. Poi, con gli occhi ancora bagnati, osservò il marito: «Che cosa hai fatto all'orecchio? Hai una freccia nel braccio! Riccardo I d'Inghilterra è morto per un'infezione causata da
un dardo. Corriamo al castello! Hai bisogno di un cerusico!» «Grazie per il paragone a Riccardo Cuor di Leone! Ma non farò la sua fine: la ferita si risanerà. I monaci guerrieri di Malta sono abili guaritori. Il loro Sacro Ordine fu fondato secoli fa, in Terra Santa. All'epoca erano conosciuti come Cavalieri dell'Ospedale di San Giovanni di Gerusalemme. L'Ordine degli Ospitalieri è nato per soccorrere e difendere i pellegrini diretti in Terra Santa. L'avanzata musulmana li costrinse a cambiare casa, prima Cipro, poi Rodi e in seguito qui, a Malta. Non ti preoccupare, mi guariranno, sono esperti guaritori e convinti igienisti. Grazie alle loro abitudini e conoscenze, durante l'assedio non siamo rimasti contagiati da un'epidemia che ha colpito i turchi.» Maliziosamente, Eleonora riabbracciò il marito: «E così sei diventato un uomo forte e pieno di ardore. Un guerriero. A Messina, per certi versi, pensavo di essere io la più forte nella coppia...» Niccolò si fece serio: «Molte cose sono cambiate. Andiamo a Castel Sant'Angelo. Questa notte voglio mettere in chiaro due o tre cose.» Eleonora sorridendo e accarezzando delicatamente il marito rispose: «Scherzavo! Ti ho sempre amato. Non vedo l'ora che sia notte.» Niccolò sorrise e baciò la moglie. «Bravo! Così si fa!» esclamò un miliziano. I due ridendo si presero per mano e seguirono gli altri soldati in direzione di Castel Sant'Angelo. «E tu Eleonora? Cos'hai da raccontarmi? Come sei arrivata a Malta?» «Arrivata a Costantinopoli, sono stata consegnata da Dragut all'imperatore Solimano che mi rinchiuse nel suo harem personale.» «Mah...» la interruppe bruscamente Niccolò «ti sei concessa all’imperatore?» Eleonora sospirò. Strinse forte la mano del marito e disse: «Ho fatto tutto il necessario perché potessi sopravvivere e riabbracciarti. Nulla di più. Te lo garantisco.» Niccolò la osservò attentamente. Ammirò il suo corpo sensuale, dai soffici capelli alla punta dei piedi. Si soffermò a fissarla negli occhi. Sinceri. «Il tuo
fisico è ancora agile e snello. Sono certo che non hai dato un figlio a Solimano. Questo è importante. Non devi scusarti di niente. Anche se fosse così non ti preoccupare. Gesù Cristo ci ha insegnato a perdonare. Io farò lo stesso.» «Ma allora sei ancora l'uomo che ho sposato a Messina. Tenero, dolce, intelligente e profondamente spirituale.» Niccolò la baciò sulla fronte. «Come hai fatto a scappare dall'harem dell'imperatore?» «Ti spiegherò i dettagli con calma. Con il senno del poi è stata una fuga emozionante, la rifarei. Ora ti voglio raccontare come sono riuscita a raggiungerti a Malta. Scappata dall'harem, ho raggiunto il porto di Costantinopoli. Vestita con un niqàb, mi sono imbarcata su una nave di mercanti veneziani. Credendomi musulmana volevano abusare di me, ma dopo essersi resi conto delle mie vere origini mi hanno lasciato in pace. Dopo un lungo viaggio abbiamo raggiunto Palermo. Non ero nella nostra Messina, vero. Ma è stato meglio così. Ho ringraziato tanto il Signore. A Palermo ho chiesto udienza presso Don Garçia de Toledo che mi ha accolto come se fossi una nobildonna. Il viceré mi ha aggiornato su tutti i fatti accaduti. Mentre lo ascoltavo, ho deciso di venirti a cercare qui, imbarcandomi sulla nave ammiraglia di Gianandrea Doria. Durante il viaggio ho imparato a tirare con la balestra. Appena ne ho presa una in mano ho avuto l'impressione di averla utilizzata fin dalla nascita.» Incantato dal racconto, Niccolò rispose: «Anche tu non sei cambiata. Ti amo.
IL RIENTRO A COSTANTINOPOLI Notte senza luna. La flotta avanzava silenziosamente sospinta dal vento. I rematori immobili, dormivano incatenati ai remi. I soldati feriti, molti mutilati, sdraiati o seduti sul ponte, attendevano con ansia di toccare terra per cercare qualcuno che li potesse aiutare a lenire le loro sofferenze. «Abbiamo fatto bene a decidere di rientrare a Costantinopoli di notte. In questo periodo i nostri fratelli sono abituati a festeggiare il rientro degli eserciti. I soldati eggiano felici per le vie della città. Mostrando il bottino dei saccheggi avvenuti nelle nuove terre conquistate. Attraccando di giorno al porto, probabilmente saremmo stati derisi da tutti. Chissà, forse anche insultati. Invece di tornare con ricchi tesori e centinaia di schiavi, torniamo con metà delle navi partite e con poche migliaia di uomini. Al nostro comando ne sono partiti quarantamila» disse con aria cupa Piale Pascià. Lala Mustafà sospirò e rispose: «Tornando in pieno giorno avremmo subito un linciaggio generale. Per una volta concordo con te. Troppo tardi però: i nostri dissensi ci hanno portato alla disfatta.» *** Piale e Lala Mustafà in piedi, al centro della sala con tono dimesso elencavano con dovizia di particolari gli eventi accaduti a Malta. L'imperatore dietro la grata, seduto sul trono, nascosto dalla tenda scura, ascoltò muto e imibile l'intero racconto. Quando i due comandanti terminarono il lungo resoconto, Solimano parlò: «II cuore me lo diceva. Dovevo attaccare Vienna comandando personalmente l'esercito» e rammaricato sì alzò e si diresse verso Piale e Lala Mustafà. Furono i primi uomini a trovarsi faccia a faccia con Solimano nella sala di marmo. I due, impauriti, sbarrarono gli occhi. I loro corpi sudavano freddo dalla paura. Gelati dal volto inespressivo del sovrano. «In ginocchio!» ordinò con tono perentorio l'imperatore. Piale e Lala, tremanti, eseguirono. Solimano sguainò la scimitarra: «L'accaduto prova che la Spada dell'Islam è
invincibile solo se impugnata dalle mie mani.» Rivolse la punta della lama in direzione dei due comandanti e aggiunse: «Con questa sconfitta avete disonorato il mio impero. Inoltre, a causa vostra sarà molto meno ricco. Il mio regno è splendente grazie agli abbondanti introiti derivati dalla guerra. Voi siete tornati senza alcuna ricchezza, dovrò utilizzare i miei tesori personali per rinfoltire la flotta e creare un nuovo e forte esercito, io, Sultano dei Turchi Ottomani, Vicario di Allah sulla Terra, Re dei credenti e dei miscredenti, Ombra dell'Onnipotente dispensatrice di quiete sulla Terra, dovrei tagliarvi la testa.» Piale e Lala rabbrividirono udendo le ultime parole. Il terrore si strinse attorno alle loro gole, impedendo loro di parlare. Solimano, lentamente, rinfoderò l'arma. «Ma non lo farò. Siete fortunati. Cercherò immediato riscatto. Avrò ancora bisogno di voi.»
A.D. 1568
Tre anni dopo Din don. Il forte suono delle campane entrò nella casa. «Muoviti Eleonora! Prendi la piccola Martina. Sbrigati! Dobbiamo andare» disse Niccolò. La moglie prese in braccio la bambina e raggiunse di corsa il marito che aspettava fuori, davanti l'ingresso della casa. «Potresti prenderla anche tu ogni tanto. E anche figlia tua!» borbottò Eleonora. Niccolò s'inchinò, ginocchio a terra. Strinse la mano della sua amata e disse: «Mia signora, io sono un gentiluomo. Lascio con felicità a voi l'onore di trasportare la piccola. Essendo voi la madre, vi meritate di vivere appieno questi momenti.» Eleonora liberò la mano dalla presa di Niccolò e lo colpì in volto con un leggero schiaffo scherzoso. «Ma senti come parli? Da dove credi di essere venuto? Dalla corte di Francia? Ruffiano!» «Mia signora! Ma perché? Perché mi fate del male?» replicò l'uomo fingendo stupore. Eleonora ridendo, rispose: «Mia grazia, scusatemi. Ve ne prego! Riuscite ad alzarvi? Dobbiamo camminare fino alla chiesa. Se lo farete vi prometto che assieme a me, erete ore felici.» *** Din don. I rintocchi delle campane si propagavano rapidamente intorno a Castel Sant'Angelo. I due sposi attraversavano il cimitero del borgo antico. Le tombe riempivano il paesaggio. Eleonora si fermò di colpo. Attratta da un bicchiere colmo di vino rosso che affiorava dal terreno, accanto a un cumulo di terra. Protese le braccia invitando Niccolò a prendere la bambina. L'uomo strinse forte a sé la figlia. La donna si chinò per osservare la tomba. Un nome era inciso sulla croce in legno conficcata a terra: Marco Rosso. Il cuore batté forte nel petto di Eleonora. Una goccia di sudore bagnò la sua fronte. Sollevò il solido bicchiere in ceramica e con le dita sfiorò delicatamente la bianca
superficie esterna, resa liscia da uno strato di vernice vetrosa. Colpita dalla precisa lavorazione artigiana, osservò con cura ogni centimetro del bicchiere. Notò una piccola croce rossa dipinta su un fianco della coppa. «Niccolò guarda» fece Eleonora. Il marito riflette un attimo e rispose: «La Croce di San Giorgio. L'emblema di Genova. Questa deve essere la tomba di un uomo giunto a Malta insieme a te. Il bicchiere sarà stato messo accanto la tomba da un amico. Un amico fidato e sincero. Non uno qualunque.» Sconsolata, Eleonora assentì: «Hai ragione in tutto. Conoscevo quest'uomo e anche il suo amico. Sarà sicuramente Ettore, il campanaro della chiesa di Castel Sant'Angelo. Ho viaggiato insieme a loro sulla galea di Gianandrea Doria. Pensavo che Marco fosse tornato a casa. Mi sbagliavo. Dovevo accertarmene.» «Non fartene una colpa, appena ci siamo ricongiunti anch'io non ho pensato a nessuno se non a te» rispose Niccolò. Eleonora voltò lo sguardo abbassando lentamente il bicchiere: «Ho soddisfatto la mia curiosità. Ora rimetto il vino al suo posto. È il minimo che possa fare ora. Ehy! Aspetta c'è un foglio sotto il bicchiere... vediamo cosa c'è scritto.» Caro Marco, sulla spiaggia avevo promesso che ti avrei offerto da bere. Eccoti un buon bicchiere di vino, Come? No, io devo ringraziare te. Non il contrario. Mi hai fatto capire l'importanza di combattere per un ideale. Per difendere ciò che abbiamo. Ciò che amiamo. Ti sarò riconoscente. Per sempre. Grazie al sacrificio tuo e degli altri fratelli caduti, a Malta le campane continuano a suonare. Le senti? Le suono io ora. Per te. Ettore *** Din don. Gli ingressi di Castel Sant'Angelo erano aperti. Una moltitudine di persone varcò le mura e s'incamminò verso la chiesa. Din don. Eleonora, con in braccio la bambina si soffermò a osservare il campanile e disse al marito: «Aspetta, Ettore le sta suonando.» Le campane si fermarono. «Dobbiamo entrare. Non ti preoccupare. Avrai tutto il tempo di parlare con lui» disse Niccolò.
«Hai ragione. Andiamo» ribatté la moglie. Ettore scese le anguste scale a chiocciola, aprì la porta e uscì dal campanile. Volse lo sguardo verso il ciclo plumbeo. «Marco, le senti vero?» Due nuvole sospinte dal vento si incontrarono creando una strana forma. Per un attimo, al campanaro sembrò di vedere il volto dell'amico Ettore sorrise contento: «Si, le senti.» *** La chiesa era affollata. Molte persone assistevano alla funzione in piedi, in ogni angolo libero. I cavalieri, nei loro abiti rossi, occupavano le prime file. Quattro di loro, avanzavano tra le panche, camminando in mezzo al aggio centrale che conduceva all'altare. Sulle forti spalle trasportavano una massiccia bara di legno. Nel silenzio assoluto la depositarono sul telaio di ferro a pochi i dalla tavola liturgica. Tre dei quattro cavalieri si allontanarono prendendo posto accanto ai loro fratelli. L'ultimo, Fernando, non andò via. Fece due i indietro e si mise in ginocchio sul pavimento. Sguardo verso il feretro. Padre Gianni, dietro l'altare, prese dalle mani di un chierichetto il turibolo fumante. Il prete strinse saldamente le cinque catene alle quali era appeso il vaso metallico. Avanzò e prese a camminare intorno alla bara, tirando con le dita una catena, sollevò il coperchio del turibolo. Lentamente e con cura, muovendo ripetutamente avanti e indietro il vaso liturgico, indirizzò il fumo profumato verso la bara. La incensò con cura. L'odore penetrante dell'essenza riempì l'atmosfera malinconica della funzione religiosa. Il prete riconsegnò il turibolo al chierichetto, tornò dietro l'altare e cominciò a parlare: «Oggi, siamo qui riuniti per porgere l'ultimo saluto a un nostro caro fratello. Dopo aver vissuto settantaquattro anni di vita, durante il suo atempo preferito, la caccia al falcone, il Signore ha richiamato a sé il suo paladino: Jean Parisotte de La Valette. Uomo forte e vigoroso, negli ultimi nove anni con il suo carisma ha guidato il Sacro Ordine dei Cavalieri di Malta, infondendo negli uomini un rinnovato ardore che ha permesso di respingere l'invasione turca. Le imprese del grande condottiero e degli uomini valorosi al suo comando sono già leggenda in Europa. La stessa Europa che, quasi all'unanimità, anni fa, mai avrebbe creduto in una sconfitta dell'esercito turco. I cavalieri di Malta, con la loro stoica resistenza, sono stati i primi a dimostrare alla cristianità che
l'avanzata dell'Islam può essere fermata. Ora, un grande fervore e voglia di rivalsa aleggiano nell'aria. Centinaia di giovani sono venuti qui spontaneamente, per diventare cavalieri. Il re di Spagna, Filippo II, ha donato al gran maestro una spada d'onore con l'elsa d'oro massiccio sulla quale è incisa la frase: "Più del valore vale La Valette". Le azioni del nostro compianto gran maestro, erano ispirate al motto dell'Ordine dei cavalieri di Malta: difesa detta fede e assistenza al povero. Me lo ripeteva spesso. Terminato l'assedio, il Papa gli propose di diventare cardinale. Da vero condottiero, rifiutò la proposta per rimanere al fianco dei suoi uomini. Dopo aver difeso con successo la fede, diede ordine di ricostruire Castel Sant'Elmo e il borgo antico. Grazie alle ricche donazioni di denaro arrivate dal continente, nei pressi del porto grande ha fatto costruire un ospedale, già operativo, dove i cavalieri fungono da infermieri servendo malati e feriti di ogni fede, senza distinzione. Come dicono loro, con piatti d'argento aiutano i bisognosi per il decoro dell'ospedale e la pulizia del malato. A breve, attorno all'ospedale, verrà costruita una città fortificata. In onore del gran maestro sarà chiamata La Valletta. Diverrà la nostra capitale.» Silenzio. Nessuno fiatava. Fernando, commosso, senza riuscire a trattenere le lacrime si alzò, mise una mano sul legno della bara, chiuse gli occhi e pensò a quel giorno dì tre anni prima. II giorno della sortita appiedata. «Mio signore. Sono Fernando. Nel mio momento di debolezza mi avete aiutato e convinto. Convinto a non arrendermi. Convinto a resistere. Fino alla morte. Grazie.» Silenzio. Volti addolorati. Occhi arrossati. Silenzio. Lacrime abbondanti rigavano le guance. Silenzio. Ancora silenzio. Padre Gianni lo interruppe: «Tempo fa la guerra è finita. Ora, la messa è finita. Andate in pace.»
DELLO STESSO AUTORE Il romanzo storico Ben ti voglio Lucia. Il re a Bologna. Un viaggio in una Bologna del ato a tratti irriconoscibile ai giorni d'oggi. In una città ricca di canali e torri... Sinossi XIII secolo. Da più di cent'anni il Comune di Bologna si era arrogato il diritto di governarsi autonomamente, scatenando le ire degli imperatori del Sacro Romano Impero che non accettarono tale comportamento. Dopo aver affrontato il Barbarossa unendosi nella Lega Lombarda, i bolognesi furono minacciati da Federico II che intimò la chiusura dello Studio (l'Università), il "tesoro" di Bologna, un'istituzione che, grazie agli studenti provenienti da tutta Europa, rimpinguava costantemente le casse del Comune in forte espansione economica e domografica. O meglio... la fazione dei Geremei (i guelfi sostenitori della libera autonomia) ebbe la meglio su quella dei Lambertazzi (i ghibellini che gradivano l'egida imperiale) convincendo il senato cittadino a formare un esercito per attaccare il vicino Comune di Modena, fedele alleato di Federico II. Così, il 26 maggio 1249 alla Fossalta, ebbe luogo una delle battaglie più sanguinose e note del medioevo italiano. Su questo sfondo storico si susseguono le vicende di Lucia, una bella e formosa ragazza che, come i concittadini, si troverà a lottare non affrontando un esercito, ma lottando contro forze più grandi di lei. L'amore incondizionato la spingerà a sperare di poter riabbracciare Rossano, il beccaio che pochi giorni prima di partire in battaglia rifiutò di sposarla. La fame e la povertà più volte la tenteranno a cedere alle lusinghe di Re Enzo. Il nobile ospite del Comune di Bologna che sogna di portarla con sé alla corte di Sardegna. Principali personaggi realmente esistiti: Re Enzo Di Torres Figlio dell'imperatore Federico II e di Adelasia von Urslingen, fu legittimato ed eletto Legato di tutta l'Italia. Combatté per anni nel nord Italia perorando la causa del padre fino a guadagnarsi l'appellativo di Achille.
Ottaviano Ubaldini Dal 1240 al 1244 resse l'arcidiocesi bolognese, nonostante non potesse essere letto vescovo a causa della sua giovane età rispetto i canoni imposti dalla Chiesa. Eletto cardinale, abbandonò Bologna impegnandosi come diplomatico e politico. Comandò personalmente gli eserciti che restituirono allo Stato Pontificio varie province cadute nella mani di Re Enzo. A tratti, fu criticato da alcuni suoi contemporanei per alcuni atteggiamenti ritenuti troppo "dolci" nei confronti dei ghibellini.Gli storici concordano che non abbia mai fatto "doppio gioco". Semplicemente, essendo portavoce e politico della Santa Chiesa, cercava in tutti i modi una mediazione diplomatica prima di scendere sul campo di battaglia. Rolandino de' aggeri Probabilmente lo studioso e politico più importante e influente dell'epoca comunale bolognese. Autore della Summa artis notariae, detta anche la Rolandina. Un'opera con la quale formulò la tecnica degli atti giuridici. Un testo che ebbe larga diffusione e attuazione in tutta Europa fin quasi ai giorni nostri. Filippo Ugoni Membro di una delle più antiche e nobili famiglie bresciane. Politico di rilievo della sua epoca, cominciò la sua grande carriera di podestà a Bologna nel 1245 e nel 1249 per poi essere chiamato in altri comuni toscani. Maggiori informazioni sul sito www.matteofreddi.it Infine, è disponibile anche L’arte di vincere al fantacalcio, un testo che ha come obiettivo quello di educare i fantallenatori, più o meno esperti, a costruire una strategia di gioco vincente. Adatto a particolarmente a chi non vince molto o vorrebbe vincere spesso o quasi. Più dettagli sul testo si possono trovare sul sito www.lartedivincerealfantacalcio.com e www.matteofreddi.it
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INDICE NOTA DELL'AUTORE
A.D. 1540
A.D. 1564
A.D. 1565
L'ASSEDIO
IL SECONDO ASSEDIO
LA SORTITA
IL BOMBARDAMENTO
LA BATTAGLIA CAMPALE
IL RIENTRO A COSTANTINOPOLI
A.D. 1568
DELLO STESSO AUTORE
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