Table of Contents
copertina titolo nota dell'autore citazioni introduzione note biografiche io non ho finale incorniciato rotocalco è tutto qui aggrapparsi fuori tempo massimo la ballata degli storpi viaggio in caravan toccata e fuga stazione sud animale anti-sociale la mia trincea
coffee and cigarettes e nessun verbo sogni al cellophane la perdita dell’innocenza luci della ribalta campo lager lettera d’amore vorrei essenziale destino contaminato appellandoti alle distrazioni quotidiane nella tela giusto il tempo di una sigaretta lobotomia sono le piccole dosi massicce senza risciacquo liberi a metà cactus il pazzo della zona guardo il mondo dalla prospettiva di un posacenere il senso che resta
e lei ride beffarda dietro l’angolo al chiaro di una luna di febbraio fattore cancerogeno fluttuo ancora e perché vivere in diretta dalla mia testa senza titolo fuori fase lungometraggio serotonina credenziali (del poeta?) meravigliosamente inutile lp poeta della jungla urbana il finale contromano nessuna rivoluzione volevamo ammazzare il tempo senza un domani
© 2015 Società Editoriale ARPANet Srl, Milano Prima edizione: maggio 2015 ISBN 978-88-7426-253-3 Via Stampa, 8 Tel. 02.670.06.34
[email protected] I libri di ARPANet sono disponibili qui: http://www.ARPANet.org http://www.ARPABook.com http://www.EdizioniARPANet.it art director: sca Fasoli a cura di: Paco Simone
poesie di Alexa Nicastro
Il finale Poesia – Collana ARPABook Società Editoriale ARPANet
Scrivo perché voglio morire e rinascere ogni giorno, “tirare fuori la morte dal taschino, scagliarla contro il muro e riprenderla al volo” come diceva C. Bukowski. Il Finale è una raccolta di parole che non vogliono essere lette, sono poesie frontali e senza forma, hanno i lineamenti della mia fronte corrugata, il riflesso allo specchio dei demoni che saltano fuori dalla mia testa quando ho di fronte carta bianca, hanno il sapore della pioggia che riempie le buche della mia strada, sono crampi e malesseri penzolanti. Ci svegliamo la mattina inseguendo una fine, perché il tempo è il rimedio a tutto, ma sottovalutiamo il potere che il tempo ha su di noi. Ciò che voglio è raggelare i lettori, cosicché corrano a cercare un fuoco per scaldarsi, voglio che provino un vuoto di senso cosicché vadano alla ricerca di qualcosa che li riempia, voglio che si sentano minacciati per cercare un nuovo riscatto, un nuovo inizio prima di morire ancora, ancora e ancora. Il mio Finale non ha una fine né un fine, è invasivo, cronico, sgarbato.
“Dietro ogni scemo c’è un villaggio”. Fabrizio De Andrè “Ogni Io comincia con una incrinatura ed una rivelazione”. Emil Cioran “A volte un dipinto, una musica, un volto sembrano sul punto di rivelarci un segreto. L’imminenza di quella rivelazione che non avviene mai, è l’arte”. J.L. Borges “Io scriverò sul mondo e sulle sue brutture, sulla mia immagine pubblica e sulle camere oscure, sul mio ato e sulle mie paure”. Rino Gaetano “Ma vi perdono, perché in fondo portate nel cuore sangue che è destinato a seccare. Vivete un morire”. Baustelle
introduzione
A volte mi fermo a spiare dentro le case degli altri, forse sperando di consolarmi, forse per dire “se tutti finiscono così ci sarà una cazzo di ragione”. La scena è quasi sempre la stessa, c’è il marito che è diventato tutt’uno con la poltrona, il telecomando un’estensione del corpo, guarda la partita di calcio o un documentario se si tratta di tarda serata. Si asciuga il sudore della fronte con la tshirt lasciando intravedere i segni di domeniche ate tra Quelli che il calcio e tramezzini. Probabilmente ha l’alito pesante e beve un orribile succo ai frutti tropicali che la moglie ha comprato ai figli e che lui è stato costretto a farsi piacere. Ormai anche le birre son state bandite. Il frigorifero ha più scompartimenti, in alto il pranzo del giorno dopo, in mezzo cibi precotti e avanzi della cena, in basso ancora sigillate confezioni di salamini e olive condite (assolutamente vietate). La moglie è a balcone a stendere la biancheria, un cagnolino insulso tra i piedi. Ha i capelli arruffati pieni di fermaglini di Hello Kitty, una vestaglia stanca di essere indossata. Il trucco, messo per convincersi di essere ancora attraente magari anche solo agli occhi del salumiere, non ha tenuto fino alla sera. È sfatta, prende l’ennesima camicia dalla lavatrice e la accoda alle altre, con molta cura, molta dedizione, quasi fosse ormai l’unico scopo della sua vita. O forse lo è. Plac Plac Plac, trascina le ciabatte lungo il balcone e caccia via il cane con rassegnazione. Lei non vede l’ora di andare a morire a letto, ma neanche là smetterà di pensare alle faccende da sbrigare l’indomani, l’interminabile fila alla Posta, le mutande
al mercatino, il Festivalbar. Lui non vede l’ora che la moglie si addormenti per andare a rovistare nel frigorifero. Deciderà di osare aprendo la confezione di salamini Beretta, fregandosene del colesterolo alto, oppure si limiterà a mangiare ciò che gli è concesso di mangiare, ovvero gli avanzi della cena? Nel caso della prima ipotesi, quel salamino sarà il momento più eccitante della sua giornata. Tanto il giorno dopo incolperà il figlio più grande, che ora è seduto alla sua scrivania a farsi una pippa davanti l’ultimo video caricato su Youporn. La figlia adolescente intrattiene conversazioni superficiali con i suoi amichetti virtuali, ascoltando l’ultimo album di quel ragazzino che con una sola mossa di capelli riesce a far bagnare un’intera popolazione di teenager, chiaramente finocchio. Domani sgarrerà il compito di matematica e alla domanda sulle cause del primo conflitto mondiale risponderà che l’anarchico serbo detiene il cento per cento della responsabilità individuale, ripetendo a memoria altre frasi del libro di testo. E io sono qui, seduta a terra a balcone, anche la mia gatta mi detesta, perché sa che farò la loro fine. Ma io non voglio finire così. Non voglio finire.
note biografiche
Alexa Nicastro nasce nel 1990 in provincia di Salerno, ma di origini siciliane. Vive a Palermo e non vuole lasciarla. È influenzata dal rock e dalla controcultura. Legge Nietzsche, Bukowski, Kerouac, Céline, Majakovskij, Dostoevskij, Burroughs, Cioran e si apiona di cinema guardando Tarantino, Scorsese e Kubrick, Lynch e Jodorowsky, Polanski e Lars Von Trier. Alterna prosa e poesia, nel 2012 entra a far parte del movimento underground Nucleo Negazioni, un collettivo di scrittori, poeti, artisti, anime libere che si dirama nel web. La accomuna a loro lo spirito ribelle, il pensiero controcorrente, il potere della parola liberata dal concetto, lo svisceramento di ogni sentimento umano, l’ironia dissacrante, l’individualità e la voglia vorace e malsana di verità. Con Nucleo Negazioni partecipa a reading, progetta raccolte di poesie e racconti, pubblica pezzi per la Fanzine. Alcune sue poesie vengono selezionate per varie antologie come “I ragazzi non vogliono smettere”, “Un niente per due” e “R.I.P. read in peace” (Matisklo Edizioni), “Guadagnare soldi dal caos” (Edizioni La Gru). Un suo racconto breve è pubblicato nell’antologia “Effetto Munroe” (Edizioni David and Matthaus).
io non ho
Risposte pronte all’uso e facili soluzioni. Ho visto gente trascinarsi la vita dietro un sacco a pelo, una chitarra classica fare miracoli e piedi mai stanchi di seguire la melodia. Ho sentito il rumore di pensieri melanconici che han fatto rotta su marciapiedi polverosi di corsie preferenziali. Ho toccato mani stanche afferrando bicchieri vuotati in fretta
cercando da accendere cercando comprensione tra volti sconosciuti. Ho attraversato mi sono eclissata ho vissuto e sono morta dentro parole sincere e ne ho scritto storie e poesie e canzoni che scivolano via assieme a ricordi a fumetti che ho disegnato per creare una trama. Io non ho storie a lieto fine, una barca pronta ad attraversare l’oceano. Sono ancorata a questo presente che non spiega le sue vele, ma all’orizzonte ho sempre l’oceano a farmi compagnia
e storie e poesie e canzoni.
finale incorniciato
Son le tre C’è di certo che ho finito il pacco di sigarette, e che nessuno riscalderà i miei piedi freddi. Che la poesia non farà rivoluzione, e che i miei ideali sul mercato non varranno che qualche spicciolo. Che nessuno comprerà, le mie voglie, o quel brivido che corre, quando sento una canzone. C’è di certo che non puoi spiegare i tuoi momenti non puoi condividerli rimarranno solo i tuoi, meglio. E c’è di certo Che il mio glorioso fallimento varrà più di mille targhe di merito
Perché io non ho bisogno di appendere qualcosa alla parete per ricordarmi chi sono. Poco mi interessa, tutto ciò che conta è svalutato in questa vita ed io non ci tengo al vostro riconoscimento, davvero. Piuttosto, offrimi da bere che c’è di certo che ti offrirò pure la verità del mio momento dei miei intervalli di vita tra un caffè ed una sigaretta a gambe incrociate mentre vi guardo correre alle vostre scrivanie mentre voi correte e il mondo rimane fermo.
rotocalco
Ti piace sbirciare nelle viscere dell’inferno là fuori senza sporcarti mai le mani. Ti preoccupi delle guerriglie urbane dell’antagonismo moderno e dici che ci vorrebbe una guerra su misura, mentre te ne stai lì, inghiottito dal divano con le mani dentro le mutande chiedendo cosa c’è per cena. Il carosello della vita, la moda dell’essere l’essere alla moda, seguire l’onda cavalcare l’onda, soffro di orizzontite cronica. Sei pronto? Su, andiamo. Sei fatto. Sei fottuto. Anche oggi. Sciogli i tuoi pensieri nell’acido,
ti dai un gran da fare a non far nulla, stretto nella morsa della tua diatriba interiore, impantanato tra le tue poche certezze. La ricerca sociale, le psico-frontiere da superare, uscite d’emergenza. Oggi sono uscita e non ricordo dove sono andata, probabilmente non mi sono mai mossa.
(teguise, isla de lanzarote - foto di selene nicastro)
è tutto qui
Sai, Credo che la vita sia tutta qui, Tra musei dell’innocenza E camere non ancora visitate, Tra oggetti impolverati E vetri appannati, Sotto le lenzuola Tra le tendine di confessionali, Tra macerie e corpi inanimati Tra fosse comuni Tra strade asfaltate, Credo che sia tutto qui Tra mondi inesplorati L’immagine di un avvoltoio Che punta il bambino africano in fin di vita E uomini europei in giacca e cravatta Tra le miniere di rubini
E le multinazionali E quella donna costretta a vendersi Per sfamare i suoi bambini. È tutto qui, In un insano contraddittorio vivere.
aggrapparsi
Mi ritrovo ancora una volta a far capolino tra zone ostiche del sub-conscio, lì dove si annidano paure a angosce profonde che la mente nasconde. Il mondo mi somiglia nelle sue contraddizioni e questo enorme dubbio che si insinua e striscia tra i miei organi arrivando allo stomaco avvelenando le mie giornate, rendendomi spesso impotente. Il tempo non sembra ar mai faccio avanti e indietro da una stanza all’altra fumo un’altra sigaretta mi mimetizzo con le pareti gioco a nascondino con l’angoscia.
Tana. Scheletri sorridenti un deltaplano colorato sorvola cimiteri abbandonati. E vedo uomini aggrapparsi ai fianchi della morte per non precipitare nel nulla.
(teguise, isla de lanzarote - foto di selene nicastro)
fuori tempo massimo
Vivo nello strapiombo, non lo so cosa sia questa realtà fai da te di cui parlate, questa precisa prospettiva di vita, la metodica di ogni cosa, perentorio e banale susseguirsi di avvenimenti, logiche conseguenze di ogni azione. Io non do niente per scontato, solo il vostro compendio di stronzate è scontato. Sono in combutta con il caso. Io so solo che sono comune e sono mortale. Forse sbaglio però, può darsi. Sono sempre fuori tempo. Oggi non guardo il paesaggio scorrere dal finestrino, oggi guardo il mio riflesso nello specchietto, mi chiedo se un giorno smetterò di fumare,
se le rughe cambieranno il mio volto, se il tempo mi renderà diversa. Il paesaggio mi guarda e se la ride.
la ballata degli storpi
Oggi è San Valentino. Oggi ho fatto a pezzi mio marito con la sega elettrica che teneva in cantina, volevo dare un tono di rosso a questa importante giornata. Il fatto è che tra i nostri primi giochi di sguardi e la promessa di amore eterno è ato troppo poco tempo. Certo, svegliarmi con un uomo accanto era confortante, era persino piacevole prepararti la cena mentre mi parlavi dei fatti aziendali come fossero la cosa più importante al mondo, ma ci eravamo anche promessi di rimanere noi stessi, invece mi sono ritrovata incastrata in questa spirale di gelosie, sotterfugi, problemi mascherati da finti sorrisi, costrizioni, banalità. Il fatto è che siamo diventati ciò che ci eravamo ripromessi di non diventare: io, mogliettina ossessiva senza più alcuna ambizione,
tu, maritino adultero fissato col lavoro. Abbiamo smesso di giocare e la vita si è presa gioco di noi. Avrei davvero voluto prendere quella sega elettrica e fare a pezzetti quel corpo di cui non ti curi più perché tanto ormai mi hai conquistata. Sono tua ora, bravo. E anche quest’anno mi hai regalato la piramide di Ferrero Rocher e ti guardo mentre rivolgi sguardi languidi alla cassiera fingendo di scegliere quale rasoio elettrico comprare. Io intanto faccio la fila alla cassa.
viaggio in caravan
Ricordo di quando parlavo ancora dei miei sogni, del viaggio in caravan. Quella sabbia bagnata si insinuava tra le dita dei piedi, il mare ce li ripuliva. Io ti succhiavo la vita, tu mi ringraziavi. Inventavo momenti autentici, li distruggevo e poi ne reinventavo altri, mi annoiavo parecchio volevo potermi disperare per qualcosa. Ho una bislacca concezione dell’amore. Ti cedo i miei i, e le mie notti Mi prendo una tregua dalla mia agonia.
(cefalù, palermo - foto di selene nicastro)
toccata e fuga
Sono una corda di violino Piango e strillo Spesso sotto voce In Sol minore. L’orchestra segue il suono stridulo La mia melodia non mi vuole. Sono le giornate su cui una mosca si poggia smettendo di ronzare senza però smettere di far vibrare le sue ali. Sono quel presentimento E presagio che non avrà mai conferma. Sono il tuo ballo lento Sulle strade avvelenate. voglio parlarti ancora Io voglio parlarti ancora, mi accendo una sigaretta. La accendo perché credo sia un gesto sensato,
faccio testamento: ti lascio le mie cantine vuote puoi infilarci dentro ciò che pare, i ricordi dell’infanzia, ad esempio, scrivili e non tralasciare nulla, i giorni felici all’ombra di quell’abete, le vacanze estive in riva al mare, i castelli di sabbia, l’altalena costruita dal nonno, il cane che ti faceva festa ogni volta che ti vedeva. Raccontami dei litigi tra i tuoi delle volte in cui te ne stavi accucciata dietro l’angolo ascoltando e non capendo, e ti addormentavi abbracciando il cuscino, raccontami del giorno in cui per la prima volta gridasti raccontami delle volte
in cui nessuno stava a sentirti, raccontami di quando prendesti la tua via e sempre più lontano nessuno riusciva più a seguirti. Raccontami ora, della donna che sei diventata dei bocconi amari ingeriti della gente che voleva qualcosa in cambio quando invece tu cercavi solo un po’ di comprensione un po’ d’affetto, raccontami di quello che sei diventata costretta dalle vicissitudini della vita, non raccontarmi di quello che vorrai diventare, so che non troverò una risposta, so che tutto si esaurisce alla fine dei tuoi i, so che il domani sarà sempre troppo remoto.
(puerto del carmen, isla de lanzarote - foto di alexa nicastro)
stazione sud
Forse è vero, son buona solo a bere e scopare però da una persona come te mi sarei aspettata qualche parola in più. Infatti ti sei dimenticato di dire anche che son buona a distruggere ogni momento di idillio fasullo, a ridere in faccia alla sfortuna, ad annientare le sicurezze in cui vi cullate per paura di morire ogni giorno, a sconsacrare i vostri templi dorati e buttar giù la muraglia che protegge le vostre vite sagomate. E non lo faccio per voi io non voglio aiutarvi, lo faccio per me e non me ne torna nulla. Mi hai detto una volta che la paura è la più grossa fregatura infatti io ho scelto di fare amicizia coi miei demoni.
Li porto a so a braccetto con me ogni giorno gli lascio un posto a sedere nell’attesa di un o falso. La tua vita è solo una gran bella facciata di una casa divorata all’interno dal verme dell’inesistenza. Io cado a pezzi ma ho creato un piccolo museo di sconfitte e sofferenze e con le mie ossa rotte ho costruito una caverna in cui tutti possono trovare riparo, e vi offro da bere il mio sangue amaro e una manciata di parole che vi ritorneranno utili.
animale anti-sociale
Io ci voglio sguazzare da sola nella mia bacinella di bile stagnante. Non trascinerei nessuno con me nel fondo. Non voglio convertirti, io sono io tu sei tu. Io non ho mai portato un orologio, ho bussato a porte sbagliate sbagliato indirizzi, perso opportunità bevuto troppo. Non mi sono mai curata del mio benessere psicofisico, non mi sono mai interessati i soldi né la fortuna. Se potessi starei a mollo nell’inerzia per giorni a contemplare i buchi sulle pareti di casa mia.
Tu non lo faresti, ti sentiresti inutile, ti sentiresti in colpa… ma verso chi? Tua madre ha scelto di vivere una vita che le hanno imposto con accanto un uomo che non ama, ed ora a le sue serate seduta su una sdraio a balcone a piangersi addosso. Pensi di stare vivendo la tua vita solo perché non te ne stai con le mani in mano? Io pure do il mio contributo alla società gridando ogni giorno in faccia a qualcuno che se ci pensa bene in fondo non siamo che delle pedine che ogni giorno scelgono di far la mossa sbagliata regalando lo scacco matto alla vita. Il mio contributo alla società non è un contributo. Io non devo proprio un cazzo alla società,
preferisco gli animali agli animali sociali. Io non sono socievole, io non voglio essere utile a nessuno. In questa vita le cose inutili se ci pensi sono anche le più belle. Io non ti farò affondare con me, avrai sempre quel pezzo di speranza che ti aiuterà a stare a galla. Io non voglio compagnia in questa autostrada verso l’infelicità. Mi chiedi perché ti amo, dal momento che affermo sempre che nulla esiste. È vero, credo ancora che l’amore dipenda solo da impulsi elettrici e reazioni biochimiche, che sia solo un riflesso neurochimico. Ma io credo al mio stomaco, alle rughe del mio viso,
ai compromessi quotidiani con la morte, e questa vita, per quanto effimera sia, io non posso fare altro che viverla.
la mia trincea
Il fango impasta uomini e cose assieme, artiglieria pesante, bombe a mano, fucili di precisione. La mia trincea sembra un tritacarne, fingo di prendere la mira ma sparo al cielo e così fanno anche i miei commilitoni. Mi lascio uccidere lascio che mi sparino dritto in testa. Così il giovane soldato potrà dire al suo superiore di aver combattuto sul serio. Ogni sconfitta l’ho incorniciata e appesa al muro. Le vittorie mi annoiano. Scriverò, piuttosto, di quel disgraziato che chiede l’elemosina nel sottoaggio pedonale della metro, per potersi consolare con una bottiglia di brandy. O di quell’uomo col cuore spezzato
da quella donna di cui non è innamorato, o del tizio che se ne sta seduto al tavolo a bere vino senza dire una parola, dell’impiegato che ha perso lavoro e famiglia per una mano sbagliata a poker, dei parassiti, degli abietti, dei reietti. Di tutti coloro che, toccando il fondo, hanno imparato cosa significhi vivere. Sgomitare per cosa? Io non la voglio la poltrona in prima fila, non la voglio la tua benedizione, né la tua promozione. A me piace stare negli ultimi posti, in sordina, io voglio godermela da quaggiù.
(tias, isla de lanzarote - foto di alexa nicastro)
coffee and cigarettes
L’idea è controproducente, dico, mentre penso al prossimo bicchiere di vino. Ti guardo mentre rosicchi le unghie e ti accendi una sigaretta, ascoltando interessato la conversazione tra Iggy e Tom. In bianco e nero. Poi prendi a parlare del tuo amico che studia fisica, mentre io osservo le rughe d’espressione del tuo viso contorno occhi e guance. Ti chiedo scusa, non ho ascoltato una sola parola di ciò che dicevi. Aspetta. Non ti incazzare…
in compenso ho scritto di te, che mi fai venir una voglia matta di correre a prendere un pezzo di carta, anche adesso che siamo qui nudi sul divano a scoprire la vita. A colori.
e nessun verbo
Eiaculazioni precoci Gratta e vinci Incontinenza verbale Lustrini e parrucche Giornate ubriache Digestivo Tagliacarte Istruzioni per l’uso. Matrimoni Omicidi Spermicidi. Chissà chi Sopravvivere All’involuzione Chi Troverà Qualcosa a cui aggrapparsi
Durante il risucchio.
(cefalù, palermo - foto di selene nicastro)
sogni al cellophane
La disperazione umana che gocciola dai finestrini sudati della seicento grigio-topo di seconda mano. Sali a bordo, ti porterò in un posto magico… a un treno ogni dieci minuti, spero non ti dia fastidio, dopo un po’ non ci farai neanche più caso. Non ti consiglio di scendere dall’auto è pieno di randagi qui. Ma a noi basta poco per essere felici, no? Levati i vestiti, non ci vedrà nessuno. Tra non molto tornerai a casa, ti farai una bella doccia calda levandoti il sudicio di dosso. Ti guarderai allo specchio. Ti guarderai allo specchio
e penserai a quanto tu sia fortunata ad avere quel fisico. Fortunata ad essere desiderata e amata soprattutto grazie a quel fisico. Andrai a letto facendo un resoconto della serata, appagante sotto nessun aspetto, ma ti addormenterai col sorriso pensando di vivere in una bella favola, scenari d’amore e lieto fine. Il tutto contornato da romanticismo grigio-topo di seconda mano, completini intimi all’ultima moda e sogni incellofanati da vendere su e-bay.
la perdita dell’innocenza
C’era una grotta in cui andavamo a disegnare coi gessetti sui muri, fingendo di essere dei primitivi. Credevamo di esserne a conoscenza solo noi di quel luogo. Poi un giorno, proprio lì in quel posto, trovammo un pacco di Marlboro e un accendino, e ci dimenticammo subito della grotta. Ora giocavamo a fare gli adulti, facevamo discorsi insensati facendo uscire il fumo dalla bocca. Tossivamo e ridevamo. Provammo a giocare di nuovo ai primitivi… ma ci annoiavamo e accendevamo una sigaretta. Una volta finito il pacchetto trovammo il modo di comprarne un altro
e in quella grotta non ci mettemmo più piede.
luci della ribalta
Nel grigio mi son trovata ruminando le ultime molecole di vita. Tu te ne andavi a so coi tuoi sorrisi al mentolo e le scarpe ben lustre su strade asfaltate. Nel grigio mi son trovata inghiottendo spade e coltelli in un piccolo spettacolo di illusionisti erranti. Tu innalzavi trofei illuminato dalla luce del sole davanti ad una platea di cadaveri agghindati. Nel grigio mi son trovata stringendo tra i pugni fango e rabbia cantando a squarciagola contro cieli incazzati. Tu cantavi,
radendoti la barba, sotto una doccia di speranze ben costruite. Mi son trovata nel grigio dando calci a porte barricate fino a farmi male bestemmiando contro me stessa. Tu davi di matto quando non funzionava il pulsante del cancello automatico. Mi son trovata nel grigio e ci sto ancora, con lo stomaco infilzato da spade e coltelli le mani sporche di fango e i piedi sanguinanti. Ma non ho smesso di lottare e non ho smesso di amare questa fottuta vita. Tu, che hai avuto la strada facile, hai per giunta smesso di vivere.
(piazza politeama, palermo - foto di alexa nicastro)
campo lager
La mia testa è un campo di concentramento. Containers sovraffollati brulicano di teste rasate che si muovono in maniera disordinata come piccoli automi e si preparano all’eccidio. Locali adibiti a torture ed esperimenti in cui la speranza viene dissezionata in piccole parti e data in pasto ai cani delle SS. Eliminazioni sistematiche. Sogni costretti a suicidarsi con la corrente ad alta tensione dei reticolati.
lettera d’amore
Amore, hai visto oggi al tg quel tale che si è dato fuoco a Piazza Rivoluzione? C’erano una dozzina di giapponesi armati di Reflex ad immortalare il momento. Amore, se la notte senti il mio petto fischiare non svegliarmi. Soffro d’asma, ami una sigaretta. Amore, una volta mi hai detto che tra i rifiuti si trova roba interessante. Allora ripuliscimi da questa sporcizia e trovami un posto sul tuo comodino, ti parlerò di morte e commiserazione
mentre dormi, ti racconterò della volta in cui vidi tutti quei corpi rotolare giù per la collina e arrivare al fiume, come quei barattoli di pomodori pelati in latta che feci cadere per le scale una domenica mattina. Amore, ho ancora in testa l’immagine dell’uomo col cilindro che si getta dal balcone, e sento ancora il boato di quel tuono violento come una frustrata alla schiena, e vedo ancora quell’abbaglio di luce che illumina il suo corpo nella notte. Amore, un millepiedi è entrato nel mio orecchio quella notte che mi hai fatto dormire in giardino, ora striscia nel mio cervello, lo sento. Il medico dice che si tratta di emicrania.
Amore, lo sai, odio le barzellette. Fammi ridere, piuttosto, parlandomi della messa domenicale, di quel Cristo in croce cui rivolgi le tue preghiere mentre il tuo Giuda ti aspetta sotto il portico della chiesa. Raccontami della malattia e della vecchiaia. Se vuoi farmi davvero ridere allaccia tra di loro i lacci delle mie scarpe mentre sto seduta per ore a scrivere e non dirmi che è bagnato a terra. Amore, non chiedermi a cosa penso quando fisso nel vuoto mentre mi parli.
(marina rubicon, playa blanca, isla de lanzarote foto di alexa nicastro)
vorrei
Vorrei che si dicesse di noi che ci siamo persi nel deserto. Vorrei che si dicesse di noi che abbiamo seguito vecchie orme di vecchie scarpe sulla strada. Vorrei che si dicesse di noi che abbiamo sorriso a volti sconosciuti che ci hanno offerto un pasto caldo in cambio di buone parole. Vorrei che si dicesse di noi che abbiamo danzato con demoni e dannati attorno ad un fuoco d’energia e preso benzedrina e assenzio con qualche poeta bohemien. Vorrei che si parlasse di noi come fossimo due pazzi che un giorno hanno deciso
di conoscere quella realtà oltre la realtà, quei pazzi che hanno capito che vivere come animali è meglio di vivere come puritani benpensanti. Vorrei che si dicesse di noi che non abbiamo potuto resistere al richiamo della vita. Vorrei che si fossero perse le tracce di noi. Vorrei non aver più bisogno di guardare questo dannato orologio. seven Ecco di cosa abbiamo bisogno torce nascondigli cibi in scatola nuove carte di identità nuove vite da vivere e morti sane. Smettila di circumnavigare il mio cervello mi fai il solletico. Vuotami lo stomaco soffoca questo tramonto digeriscimi e lasciami andare.
sinergia Mi sono lasciata inghiottire dalla luna, ho camminato sui carboni ardenti… ma in due ci si tiene forte la mano. È conveniente star soli, non è una dimostrazione di forza e coraggio. Più difficile è amare, darsi. Noi siamo la dicotomia perfetta tra ragione e sentimento amore e morte. Sheila mangia l’ultimo boccone e poi scappa in bagno per ficcarsi due dita in gola. Non siamo molto diverse… Sono bulimica. Questo senso di sazietà e benessere mi fa sentire in colpa. E vomito, mando giù e poi butto tutto nel cesso. Per sentirmi di nuovo sola,
affamata e sola. Alla ricerca perenne di un maiale da scotennare, ne mangerò fino a stare male e puntualmente mi ficcherò due dita gola. Berrò fino a star male, scoperò fino a non sentirmi più le gambe, amerò fino a dare l’ultimo respiro, griderò finché avrò voce, scriverò col sangue e la saliva, darò la mia carne in pasto ai lupi, apritemi e prendete tutto ciò che vi serve, non risparmiatemi, io non vi risparmierei.
(teguise, isla de lanzarote - foto di selene nicastro)
essenziale
Ho abolito ogni metafora inutile come l’architettura e l’arte barocca. Il mio stile è sobrio ed essenziale come quello di una chiesa sconsacrata. Asciutte, umili, le mie parole non ci sono significati da estrapolare è tutto chiaro e limpido. Non esiste più un messaggio, voglio fare tutto fuorché la moralista del cazzo. Voglio comunicare il mio disgusto per la società moderna cose e persone, io non scrivo io abbaio, negando ogni valore preesistente,
voglio creare panico e disordine distruzione di ogni falsa certezza. Vomito sulla moquette di quell’uomo laureato che a i pomeriggi dietro la scrivania firmando scartoffie e leccando culi definendosi un politico o un funzionario del governo. Sputo sul servizio d’argenteria di qualunque tronfia famiglia alto-borghese che non s’è dovuta rompere il culo e sudare per avere un piatto di pasta in tavola, che vive di rendita, contenta del testamento di qualche familiare morto. Ridicolizzo i patetici sentimenti dettati solo dall’egoismo e dall’insicurezza, dalla poca stima di sé. Non è amore ma codardia, non è ione ma solo bisogno di svuotarsi lo scroto. Chiamiamo le cose col proprio nome... cazzo.
Io inneggio l’inconsistenza le risorse esauribili della natura umana, elogio chi scrive con un serpente che gli stringe la gola, con la mente satura e l’anima impregnata di vino.
destino contaminato
Subisco sevizie dalla mia coscienza non ha pietà di me mi sta facendo ammalare, è così folle il suo giro. È minacciosa a volte, arrendevole altre criptica nelle sue torbide illusioni deviante. Pensieri decomposti ridotti a brandelli, partoriti dall’utero di una mente insana, che viaggiano e si diramano lungo vie altrettanto sconosciute della mente fino ad arrivare indisturbati al fluido vitale,
ed alla carne. Ti siedi ed aspetti che questo verme ti divori, altri giorni esci di casa
appellandoti alle distrazioni quotidiane
che a lungo andare ti riconducono verso un ancora più profondo baratro di desolazione e vuoto. E ti appelli all’amore, ma l’essere amato ti fa sentire colpevole, e ti appelli ad un dio persino, ma presto ti rendi conto della parola vuota di significato, ti appelli alla vita... ti appelli a questa notte rossa ti vesti di vento e vaghi tra le note jazz di questa dannata colonna sonora.
(teguise, isla de lanzarote - foto di selene nicastro)
nella tela
Proprio non li sopporto i fanatici della vita le sanguisughe gli avvoltoi che si sballano sotto la pioggia acida con la loro finta maschera di ottimismo. E s’imboccano l’un l’altro la merda col cucchiaino. Proprio non li digerisco quelli della domenica a messa coi figli e delle feste a cena coi parenti, tavolate imbandite con vitello e tacchino e fratelli che si azzannano per avere il pezzo più grosso. Proprio non li tollero quelli con gli abiti firmati e il frigorifero vuoto quelli dell’aperitivo del venerdì e della scampagnata per Pasquetta,
non sopporto neppure gli idealisti gli asceti, gli idealisti ascetici, quelli del “non festeggio il compleanno perché sono anticonvenzionale”, i pessimisti, chi si infligge dolori e sofferenze, i finti ribelli che poi danno anche il culo per avere l’aumento. Non vi spremete così tanto per essere diversi, per distinguervi, che tanto si vive per morire, è risaputo, e ate due generazioni il vostro ricordo sarà svanito. A meno che non siate davvero dei geni, ecco, allora il mondo si ricorderà di voi, ma anche il mondo è destinato a morire, quindi non serve ad un cazzo neppure essere dei geni. Fate di voi la vostra divinità, siate onnipotenti e immortali.
giusto il tempo di una sigaretta
Oggi sono mezza morta, non riesco a conversare né a parlare né a ridere alle battute. Oggi proprio non ce la faccio a fingere. Mi han detto che la libertà sta nell’amare le proprie catene, indossando maschere terribili arredando la propria cella di suppellettili inutili. Io vorrei innamorarmi della vita vorrei aver voglia di star bene vorrei riuscirci. E non riesco ad amare queste sbarre a sguazzare nella fanghiglia. C’è lo sbirro di servizio con la beretta carica appoggiata sul tavolino.
Ma è tranquillo, spesso lo sento ronfare rumorosamente. Sa che con me non c’è da preoccuparsi. Non scapperò. Ripiombo nell’oblio trovo rifugio negli anfratti della mente e neanche lì sto bene mi ritrovo a grattare la carta da parati e a mangiare ortiche. Potrei continuar a star sola ma non mi basto neanche, o il tempo ad annientarmi, ad aver paura delle paure paura di esser scarna di sentimenti emozioni. Sono logora, sono misera e vigliacca. La mia felicità dura giusto il tempo di una sigaretta.
lobotomia
Siamo dei senzatetto giocatori d’azzardo alcolizzati mitomani figli di quel dio che dimora nelle viscere e dalle viscere nasciamo con un unico colpo in canna che non possiamo permetterci di sprecare. Noi che sublimiamo ogni paura con una nuova battaglia all’ultimo sangue col nostro cervello, noi che abbiamo capito che Vivere è impossibile e che sopravvivere richiede uno sforzo maggiore. E sopravviviamo all’inevitabile involuzione del genere umano e neghiamo ogni ordine preesistente, urliamo bestemmiamo
ci ribelliamo a una società che non ci appartiene, perché non va più bene, vogliamo fermare il processo di decomposizione intellettuale, non vogliamo distinguerci... vogliamo che la massa si unisca a noi, vogliamo moltiplicarci, vogliamo essere la terra che trema sotto i vostri piedi, siamo l’Avvertimento. Non vogliamo creare una religione né un mito. Vogliamo essere un’alternativa a questa stupida realtà.
(teguise, isla de lanzarote - foto di selene nicastro)
sono le piccole dosi massicce
Io li sento i miei organi il fegato il cuore la milza lo stomaco a contatto col materasso, e poi vedo maschere di legno infrangersi al suolo, e qualcosa mi trapana le tempie. Lo sento il battito irregolare. Sono l’ultimo attacco d’appendicite sono un orgasmo un teorema. È come annegare la mano in una vasca di piranha. Io sono le piccole dosi massicce.
senza risciacquo
Il rumore della centrifuga della lavatrice mi rasserena. Sono seduta al bordo della vasca da bagno, ho appena finito di far la doccia e sono in accappatoio. Fisso le piastrelle del pavimento e credo di star per avere un attacco di appendicite oppure è il fegato che non ce la fa più. Non so. Non sono un medico. Ma non ho intenzione di farmi aprire da nessuno. Comunque sono qui seduta che ascolto la lavatrice, anche i miei pensieri girano e rigirano vorticosamente. Ho la nausea e non è colpa di tutti quei nachos, sono nauseata da questa pantomima dalle perifrasi della tua vita.
Soprattutto sono stanca di far finta di essere interessata alle tua elucubrazioni mentali, ho deciso di ingannare la mente perché ci sono mille ragioni per mentire e solo una per dir la verità, io semplicemente ho scelto di vivermi.
(teguise, isla de lanzarote - foto di selene nicastro)
liberi a metà
Abbracciati sotto un ponte coi piedi sporchi di fango e tutto va bene finché c’è vino nel bicchiere, e mi racconti dei tuoi viaggi in Africa e mi parli di libertà ma ora sei rinchiuso in questa gabbia con me. E cerchiamo di sentirci liberi nel metro quadro che ci rimane da vivere, liberi nell’immaginazione per lo meno immaginando terre inviolate ascoltando la pietra cieca e sorda solo lei, incontaminata e con quel bisogno di dare agli altri senza aspettarsi nulla in cambio con la mano sempre tesa
verso quella luna sempre più vicina sempre più lontana sperando di acchiappare qualcosa di bello e autentico.
cactus
Sono nel ripostiglio. È il mio luogo della mente preferito ogni tanto sento zampettare qualche scarafaggio che si intrufola per farmi compagnia. Nessuno mi vede nessuno mi sente me ne starò un po’ qua a scribacchiare ora che ho assorbito le informazioni necessarie. Le chiamo informazioni, potrei anche chiamarle emozioni. Ma cosa cambia? L’uomo vive per sé e chi scrive fa lo stesso solo che ne è consapevole e per questo è ancora più infimo. Sono una pianta grassa. C’è un odore confortevole di corredi
e pezzi d’antiquariato, mi piace imbrattare queste mura e accovacciarmi di notte sui miei fogli. È un giro da cui non si può più uscire una volta entrati. Una giostra violenta e solitaria.
il pazzo della zona
Oggi il pazzo della zona parla dell’amore quello vero ma ne parla come se fosse un virus intestinale che ti fa stare ore al cesso a invocare santi e diavoli pregandoli di farlo smettere. Il pazzo gesticola, inveisce contro i anti poi riprende a discutere col marciapiede. Disquisisce su qualsiasi tipo di argomento filosofico, letterario, politico e ha una sua idea originale su tutto tutto quello che esce dalla sua bocca sdentata ha un sapore nuovo, ma se gli chiedi il prezzo
di un panino non sa risponderti. La vita gli ha fottuto il cervello, forse prima era un genio ora è solo un pazzo.
(orzola, isla de lanzarote - foto di selene nicastro)
guardo il mondo dalla prospettiva di un posacenere
Alabama guarda la patina di moscerini morti che ricopre i vetri e pensa che lo spettacolo oltre la finestra non sarebbe poi tanto diverso. Oggi si rinchiude nel suo stomaco e silenziosamente si avvelena ancora Ad Alabama non piace la gente Non le piaci tu che le conservi sempre un posto pur sapendo che non si presenterà Non le piaci tu che ti sforzi di cavarle del buono parlando di un futuro vanaglorioso Non le piaci tu che la metti continuamente sul tavolo operatorio e ti nutri dei suoi tumori
Non le piaci tu che la ricuci per bene Non le piaci nemmeno tu che la ringrazi continuamente, non si capisce di cosa poi Non le piaci tu che usi il tuo campionario di cazzate per rifilarle i tuoi consigli spiccioli Alabama dorme in posizione fetale abbracciata da un diavolo e con un coltello sotto al cuscino. Ad Alabama piace essere usata e poi dimenticata.
il senso che resta
Ed ora silenzio… tutto si spegne tranne la coscienza, quella mai è sempre lì a pungolarmi. Sempre. Anche mentre dormo. La vita mi stringe per la gola mi sento morire, ho le vertigini. Come quando sogni di cadere da un grattacielo o anche semplicemente dal letto, e poi ti svegli di soprassalto sudato e impaurito. Io ho costantemente questa sensazione addosso. Questa storia non avrà un lieto fine. Qualcosa mi divora lo stomaco
e mi toglie il respiro. A volte ho il desiderio di sfracellarmi la testa contro qualche muro. Poi penso che non sarebbe abbastanza, non ne ho ancora abbastanza.
(museo del cinema, torino - foto di alexa nicastro)
e lei ride beffarda
Sto morendo. Ogni giorno muoio un po’ regalando un pezzetto di me all’elogio dell’ipocrisia mangiando questo cibo precotto coltivando sentimenti di plastica seguendo criteri che qualcuno scaltramente ha inserito nella mia testa, rispettando orari e scadenze mangiando il pane quotidiano delle cazzate non sbilanciandomi aldilà del concesso alimentando il commercio del superfluo facendo arricchire l’industria dell’ovvietà. Ogni giorno muoio un po’ e lei ride beffarda.
dietro l’angolo
Fantagiri di parole al collasso dei pensieri, mormora lo stomaco mentre la coscienza s’impicca. Io cosa ci faccio in mezzo a questa gente? Risparmiami. Non lo vedi? Son zoppa, non ho nulla da offrirti, son già di troppo per me stessa, e non c’è posto per nessun altro. È già affollato qua dentro.
al chiaro di una luna di febbraio
Forse… forse... lo facciamo solo per nasconderci. Ho asciugato lacrime di rabbia inespressa sotto la luna di febbraio, le ho assaggiate… avevano un sapore dolce. Ho baciato labbra tristi e stanche, volevo che lei mi regalasse un po’ del suo dolore, per rendere la sua anima più leggera, ho visto respingere brutalmente ogni mio tentativo di accoccolarmi un po’ nella sua angoscia. Forse… forse...
lo facciamo solo per nasconderci. Ho ascoltato deliri di onnipotenza di chi ha scelto la via di fuga più letale da questo mondo, l’ho visto a poco a poco crearsi il suo piccolo mondo fatto di assenza, l’ho visto fare a pezzetti la sua dignità e la dignità della verità… ed ho pensato che non c’è proprio nulla di poetico nella droga… diventa tutto cosi disperatamente patetico. Ho detto parole che non volevano essere ascoltate, ho ricevuto gli insulti peggiori che non mi hanno neppure sfiorata. Poi ho visto me, riflessa nell’ennesimo bicchiere di vino al termine della notte, sotto il chiaro di una luna di febbraio,
sentendomi impotente ed inutile di fronte a tutto.
(isla de lanzarote - foto di alexa nicastro)
fattore cancerogeno
Un rantolo nella notte, un grido disperato nel vuoto di pensieri assorti e assopiti, un gesto consueto che ti ricorda chi sei e dove stai andando. Certezze incrinate da un dubbio del dubbio. La malata sono io, i malati siete voi. Mistiche rappresentazioni di luoghi mai vissuti, ridondanti parole che sbattono da una parte all’altra del cranio. I vetri sono appannati, dall’altra parte scorrono ologrammi informi, l’autoradio è sintonizzata su Radio Moondrive che offre solo cento per cento insuccessi della mia vita.
Sono una pellicola flop, la canzone ultima in classifica, un romanzo mai pubblicato e mai recensito. E stavolta quel gesto consueto, che ormai fai inconsapevolmente come una lavatrice programmata ti fa render conto di quanto la tua vita sia paralizzata, e di quanto tu stessa sia stata addomesticata dalla società.
fluttuo ancora
Non sono neanch’io questa carne che mi trascino dietro, giochi coi miei affanni mentre mi attorciglio tra le lenzuola, questa sono io, tu ancora non mi vedi. Non vorrei neanche avere queste piccole comodità, questo letto questo tetto, vorrei essere là fuori a patire. Alla deriva. E invece ho, di nuovo, la vescica piena per il troppo vino. Ho bevuto per cercare di far are più velocemente anche questa notte. Ma sono ancora sveglia. E vorrei tanto farmi di qualcosa,
o cadere in un sonno profondo per un po’. Ma mi tocca ancora affrontarmi. Finché morte non ci separi, no? Sento il ticchettio dei secondi pulsare nel mio tempo, una nota scordata scompone la melodia, fluttuo ancora.
(museo del cinema, torino - foto di alexa nicastro)
e perché vivere
E perché vivere, vivere perché quell’attimo in cui ti ritrovi solo con i tuoi fantasmi e i tuoi armadi ti ricorda chi sei tra sbronze, e parole mezze vuote e sentimenti chiaroscuri e lenzuola troppo comode sotto cui sentirti sicuro, e orologi che ti rammentano che è troppo tardi che sei in ritardo anche stavolta all’appuntamento con la vita. Sei sempre un o indietro e uno troppo avanti e rimani in silenzio spesso
ridendo o abbassando lo sguardo… ché ne sai di più ma è ormai inutile dirlo, e ti alzi ti alzi cercando cercando sempre cercando un mondo che non incontrerai neppure stanotte, neppure stanotte che ti sembra che tutto graviti intorno alla tua orbita. Non incontrerai pianeti né satelliti solo il tuo Io un po’ sbronzo un po’ assuefatto un po’ rincoglionito, e desidererai qualcosa qualcosa di nuovo ed eccitante ma ti addormenterai
con la consapevolezza che il domani sarà identico, il caffè e il pranzo e il lavoro e il mare in cui sognerai di navigare a vele spiegate controvento in una vita che ti concede ormai poche possibilità.
in diretta dalla mia testa
Vi guardo sottecchi piangere sopra i pop corn davanti ad uno spettacolo di casi umani o drammi da telenovela. Dovrei anch’io regalarvi i miei psicodrammi in mondo visione per potermi comprare il macchinone e far finta di far beneficenza. Il mio programma non ha programmi ha uno scarso indice d’ascolto perché quando spieghi che è tutto una bufala troveranno sempre un motivo per credere che sia vero per consolarsi addolorandosi per le finte tragedie degli altri mangiando pop corn.
senza titolo
Vite ammazzate dal sole d’estate, che ne sai tu di un campo di grano? Ci siamo strattonati, sbottonati, violentati, perseguitati, liberati sbadatamente presi per mano spietatamente amati. Non siamo che dei bambini dall’andatura sicura ed espressioni curate nel dettaglio.
(museo del cinema, torino - foto di alexa nicastro)
fuori fase
Regalami il sovraccarico dei tuoi pensieri le idee bizzarre per far tirare avanti l’ipocrisia della tua modestia. No, non nascondere le voglie malsane col make up il nero del bruciato della torta col cacao. Le imperfezioni ci tengono uniti nella mediocrità che ci accomuna. Non cercare di essere migliore ci vuol poco per essere migliore di me, una semplice abilità o la dimestichezza con la propria esistenza. Non essere migliore non sarei all’altezza.
lungometraggio
Guardati, siamo in chiusura, conti i soldi in cassa. Oggi è andata benone tutto sommato. Hai la faccia sfatta, cerchi di ridere ti riesce male. Con le poche energie che ti rimangono non ti riuscirà nemmeno di farti una sega stasera. Guardati, hai ato un’intera giornata a fare cose che non ti interessano a prostrarti di fronte all’ultimo cliente cafone del paese che ti regala quel mezzo sorriso infelice a chiusura. Soldi, nient’altro. Soldi che non compreranno la tua felicità né un viaggio esotico né la macchina dei tuoi sogni. Tutt’al più quest’estate affitterai una casetta al mare
assieme a moglie e marmocchi annessi. Una non-vacanza coi fiocchi. Guardati, Sei avvilito, questa vita ti ha trafugato, raggirato, sottomesso, inchiodato. Guardati, sei un insulto alla vita. Ma io non te lo dirò e non te lo dirà nessun altro punteremo le sveglie alle sette del mattino per rimettere in moto questa macchina dei soldi sputandoci sulle scarpe.
(museo del cinema, torino - foto di alexa nicastro)
serotonina
Mi piace pensarmi come una falla nel sistema la parte mal funzionante di questa macchina autodistruttiva. In realtà non sono altro che l’ennesimo spettatore distratto di questo spettacolo folkloristico in cui le idee vengono crocifisse e la libertà messa al rogo tra canti nazional-popolari e giullari incravattati. “Il sole sanguina come un retto sfondato” mercurio cromo negli occhi fuliggine tra i capelli schegge di morte nei polpastrelli, pipistrelli nelle ventiquattrore. Ognuno con un dio personale nel taschino pronto a puntarlo nel suo gioco d’azzardo, un presagio flautato nei titoli di cosa.
Viviamo in questo clima para-infernale sotto effetto di placebo dimenandoci tra la folla ego intonata come atomi impazziti.
credenziali (del poeta?)
Siamo carne guasta. Lo siamo tutti, ulcere che perforano lo stomaco. Ho sete, ho sete. Dammi pelle da spianare, mi prudono le mani, siamo inchiostro psicotropo. Il cervello è andato in loop famelico, puoi abusare un po’ di me. Ho sete, ho sete. Sono stata via per un’eternità, al ritorno ho scoperto l’odore di casa mia, che per troppo tempo si è confuso col mio. Devo far riabituare le narici. Ci portiamo addosso le disgrazie violentate dal tg5, rendiconti e pasticche colorate per pranzo, lumaconi griffati con bocche ciondolanti a lavoro,
miasmi per cena. Devo bere per poter spegnere anche questa candelina. Fumo un’altra sigaretta mi godo la resa sfogliando il mio repertorio di attese. Ho sete, ho sete.
meravigliosamente inutile
Scendendo lungo il viale di ciottoli pensavo alla vita che corre e si ripercorre come noi ripercorriamo la solita strada per tornare a casa. Camminiamo sopra, calpestiamo, cadaveri di istanti ati, di secondi morti, di riflessioni fatte. Ci ritroveremo a farle quelle riflessioni, ma non saranno più originali, saranno delle copie, un ricordo della riflessione stessa. E anche i ricordi muoiono, non subito. Si appannano, si sgretolano, si frappongono tra la realtà e l’immaginazione e cessano di esistere con la morte della memoria la morte cerebrale. Assieme a noi. E pensavo, affondando le suole nei ciottoli, a quanto sia stupida l’esistenza mortale,
così insensata, così meravigliosamente inutile.
(parco sempione, milano - foto di alexa nicastro)
lp
Albeggia una nuova adrenalinica voglia di riscatto dai meccanismi betabloccanti della mente. Il sistema frana ho le vene in tilt le ragioni sono andate a giocare fuori, in giardino fanno la corte alla morte sono moleste. Just a dream just a dream only one ripete l’LP che salta un giro. Mi affaccio alla finestra C’è sempre qualche spettacolo da guardare ripete il disco.
poeta della jungla urbana
Io devo andare ora. C’è l’ultima alba morta da seppellire in quel campo di viole che avevi promesso di farmi vedere. C’è la tua schiena dritta che vorrebbe sostenere il peso del mondo ed io sopra la testa cerco di tenere in equilibrio intricati labirinti di parole. E non serve a nessuno. Il mondo si sostiene da sé, di parole ce ne sono già troppe. Gli uomini hanno creato città sopraelevate ci sono alberi a mezz’aria su terreni ibridi, e cyborg che progettano solo sentimenti utili.
(ballarò, palermo - foto di alexa nicastro)
il finale contromano
Cieli sanguinanti e sedie volanti, camminando sull’onda di voci interrotte, sui sampietrini benedetti, come papi fatti santi, da conati di bisognosi benestanti. Un amaro, grazie. Voglie che pizzicano sul palato come spine di rose a buon mercato. Bicchieri, parole e canzoni che ci intrattengono e riempiono le vite su panchine remote di piazze dimenticate nascoste da sguardi indifferenti. Palermo, che ci chiama e sussurra a voce alta il nostro destino,
ci confonde con vecchi amori e lineamenti familiari di chiese, donne, e cori traversi. Il finale contromano nella nostra corsia non c’è paradigma solo scie lasciate da auto in corsa sulla via di ioni di periferia.
nessuna rivoluzione
Non c’è più niente. Nessuna porta da scardinare nessuna mancanza cui sopperire, solo muri troppo bianchi troppo puliti da riempire, nessuna legione ci vuol far guerra, fate l’amore con le vostre ancelle, al nascere di una nuova era marinai gettate le ancore non c’è più porto in cui andare, Troia può aspettare amore che vieni amore che vai sotto l’ombra pallida di un cielo buio foschia che inganna anche questa strada di linee interrotte e anime da spianare.
Dammi il misero rintocco storto un o che non si decide dammi il furore sotto la carne e la tua anima scarna ti vestirò.
volevamo ammazzare il tempo
Andiamo. Divincoliamoci da queste eclissi refrattarie ed esplosioni congelate, siamo anime da purgare, congedate dalle nostre stesse vite. Inauguriamo le nostre primavere respirando a pieni polmoni quest’aria di decadenza, cercando di guardare il tramonto aldilà di confortanti certezze cementificate. Ci mischiamo, ci confondiamo, sbattiamo nel nostro metro quadro blindato, prosciugandoci, nutrendoci dalla nostra stessa vita per rimanere in vita. Un tetto, un letto, la stanza per rinchiudere i demoni che vengono a trovarci senza invito. eggiando, tenendoci per mano,
ci giuravamo amore eterno sotto pioggia radioattiva, arrancando di fronte al presente, ci sedevamo su sedie elettriche di fronte al distributore di sigarette. Giorni pilotati, accordi di macchine sfreccianti, la nenia del barbone per le nostre morti a lume di candela, poesie date in pasto a cani tra un orgasmo e l’altro, la strada il nostro altare. Non siamo più andati. La pioggia fece arrugginire ogni cosa, il carro attrezzi fece il resto.
senza un domani
Signori e signore della giuria... Forse Dio è quel falco sopra le nostre teste quando ci dimentichiamo di guardare il cielo, sono un mortale fiuto la vita come un cane non addomesticato, piscio gli angoli dell’esistenza per ricordarmi dove sono stato. La vita mi sfreccia accanto, mi aggrappo ai fianchi ma io vorrei restare a guardare la corsa… in sordina tra le ultime file e godere tra una scena e l’altra senza un domani e salutare il falco, salutarlo e continuare a fiutare la terra.
Non ringrazio in particolare nessuno e in generale tutti, tutti quelli che si ritroveranno in alcune di queste poesie, tutti quelli che sanno di esserci dentro, e che già più volte ho ringraziato. Alexa Nicastro
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