Il forgiatore di spade
Elodia Saetti
Romanzo
Anno del copyright: 2013. Nota del copyright: Elodia Saetti. Tutti i diritti riservati. In copertina: “Il Galata morente”, dettaglio; Stonehenge (Inghilterra), dettaglio.
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Titolo | Il forgiatore di spade Autore | Elodia Saetti ISBN | 978-88-91108-32-6 Prima edizione digitale 2013
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Un ringraziamento particolare a Cristina M. Cavaliere, pseudonimo di Cristina Rossi, per il suo insostituibile lavoro di editing.
A mio marito e alla sua smisurata pazienza
Io so i cieli che scoppiano in lampi, so le trombe, Le correnti e i riflussi: io so la sera e l’Alba Che si esalta nel cielo come colombe a stormi; E qualche volta ho visto quel che l’uomo ha sognato!
(Arthur Rimbaud - “Il battello ebbro”)
Indice
Il forgiatore di spade Indice Clan celtici della Britannia e del nord del continente Preludio: Il canto di Niab 1. Il tormento di Fintan 2. Nelle terre di Albion 3. Il calore che risana 4. Un volto e un presagio 5. Parole di saggezza 6. Il futuro prende forma 7. L’offerta di Fintan 8. Antichi riverberi 9. La pretesa di Amorgen 10. Il dono più grande 11. L’antico insegnamento 12. Il guerriero e la sposa 13. Tensioni al banchetto 14. Il tradimento di Aisia
15. L’anima del metallo 16. La spada che non si spezza 17. Nascita di una leggenda 18. La rivolta delle fattorie 19. L’esortazione di Priyos 20. Sacrificio agli Dei 21. La scelta di Bran 22. Ritorno al Bosco Sacro Chiusa: Il canto di Niab Appendici Elenco dei personaggi suddivisi per clan, in ordine alfabetico Elenco dei clan e delle città Glossario dei termini Fonti Ringraziamenti
Clan celtici della Britannia e del nord del continente
Preludio: Il canto di Niab
Ricordo ancora il giorno in cui Fintan giunse alle nostre terre: esso si staglia nella mia memoria accompagnato da rimpianti e desideri nascosti. E spesso, di notte, quando il sonno tarda a venire, la vergogna mi sommerge nel comprendere quanto la sua venuta si rivelò determinante per la mia storia e la storia del mio popolo e quanto poco riuscii a percepire mentre accadeva innanzi ai miei occhi. Forse, se quel giorno avessi compreso, il mio intervento avrebbe potuto mutare il corso degli eventi. Ma ora che gli anni sono trascorsi, e le mie membra sono rivestite dell’abito dei druidi, so che ciascuna delle mie scelte faceva parte di un disegno più ampio e immutabile. Tuttavia questa consapevolezza non sopisce il rimorso, e, mentre i ricordi scorrono vividi, aiutati dalla vecchiaia, la mia mente non può far altro che allontanare l’immagine di quel primo incontro e la gioia e la sofferenza ch’esso mi procurò negli anni a venire. A quel tempo, tuttavia, ero troppo giovane per poter comprendere le conseguenze che ciascun nostro atto reca con sé, e come ogni scelta, pur banale, inneschi una catena di eventi inarrestabili. Nemmeno quando scorsi lo sguardo che mia sorella rivolse allo straniero, e il mio cuore accelerò i battiti in un brivido diaccio, ebbi la forza per reagire in alcun modo. Ma sarebbe stato sufficiente un unico gesto, una singola parola, per mutare il corso della storia? Quest’interrogativo è ciò che oggi mi tormenta, oggi che siedo innanzi al focolare e stringo l’arpa che Fintan costruì per me. Eppure il distacco dovuto al tempo trascorso mi permette di levarmi oltre gli istanti, per valutarli con obiettività e trovarvi quella relazione che la vergogna mi porta a chiamare destino. A volte questo compito mi dà la sensazione di percorrere un sentiero sconosciuto, immerso in una foresta intricata, come quella che circonda la capanna nella quale oramai vivo da anni: ogni parola, ogni movimento, sono particolari che confondono il sottobosco fitto. Il mio piede avanza e la mente scorge nuove immagini. Quindi proseguo, senza sapere ove condurrà il cammino, con la speranza di giungere al colle che mi permetterà infine di gettare un unico sguardo in grado di abbracciare quell’immenso panorama. Allora so che la foresta diverrà solo una macchia di verzura, costellata d’ombre e di luce, lontana, ma non impenetrabile, pronta a rivelarmi i suoi segreti. In quell’istante metterò ordine a ciò che mi tormenta.
Sarà solo allora, ne sono certo, che potrò trovare la quiete e, imbracciata l’arpa, usare la voce che mi donarono gli Dei per cantare la leggenda del mio popolo. Forse il mio canto sarà solo un’eco nel silenzio e coloro che l’udranno non sapranno intuire la realtà. Ma nel mio cuore l’odio e la pace troveranno il giusto posto e la mia mente potrà districare, finalmente, i fili della storia.
1. Il tormento di Fintan
Come un sogno inquieto, che si tramuta in ombre nel aggio alla veglia e lascia nel ricordo una sensazione di cose corrotte, così la devastazione seguita alla battaglia si disegnava negli occhi dei due uomini ritti ad un lato della pianura. Il loro sguardo percorreva quella distesa d’armi infrante e corpi riversi, fra i quali guaritori si muovevano lenti controllando i caduti, talvolta chinandosi a finire i moribondi, talvolta ergendosi, come spiriti nati da volute di nebbia. Corvi calavano in stretti voli, e il loro zampettare fra quei miseri resti si stagliava contro il candore delle tuniche e il rosso del sangue, come sfregi. Il lezzo di morte si spandeva, portato dalla brezza, lasciando sul palato un vago sentore metallico, eco delle spade spezzate. Il silenzio era una coltre che soffocava il presente. - Gli Dei hanno distolto lo sguardo dalle nostre terre,- disse Lugotorix, senza voltare il capo, rivolto al druido immobile al suo fianco. Il bel volto del re, segnato da rughe profonde, parzialmente celate ai lati della bocca dai folti baffi spioventi nei quali comparivano fili grigi, si stagliava contro la distruzione calata sul suo popolo, e la fierezza che sempre lo ammantava pareva scemata nella sconfitta di quel giorno. Amorgen rimase imibile, il profilo oscurato dai lunghi capelli canuti, che gli ricadevano lisci ai lati del volto, contornandolo e sottolineando le gote scavate. La lunga barba si confondeva contro il candore della tunica. - Gli Dei nulla possono per rinforzare il ferro delle nostre spade,- ribatté severo, obbligando il sovrano a volgere il capo.- Ma presto Nardos farà ritorno dal continente e porterà con sé l’uomo scelto da Oinos. Il Custode del Bosco Sacro non rifiuterà il suo sostegno.A quel punto il druido fissò il compagno e i suoi occhi grigi come metallo polito affondarono in quelli azzurri del re. I due parvero fronteggiarsi. Poi, entrambi, riportarono lo sguardo alla distruzione che li circondava. - Quest’oggi avrei dovuto impugnare la spada e scendere al fianco dei miei uomini,- disse a denti stretti Lugotorix, serrando i pugni lungo i fianchi.- Forse il
mio intervento avrebbe potuto evitare che il toro bianco venisse razziato.- Il tuo intervento sarebbe andato contro ogni tradizione,- precisò Amorgen.- La situazione non è ancora così grave da richiedere ad un re di scendere sul campo di battaglia. E poi avresti ottenuto l’effetto opposto: come ben sai, i tuoi uomini avrebbero distolto l’attenzione dal combattimento, pur di proteggerti le spalle. La tua presenza avrebbe sottratto alla battaglia molte spade, che invece hanno potuto abbattersi sui nostri nemici.Il sovrano tacque, tornando a guardare il druido e ritrovando sul suo volto, segnato da rughe, le fattezze dell’uomo che l’aveva accompagnato nel suo regno per tanti anni: quel volto fiero, leale, la cui bocca spesso era stata origine di saggezza e consigli sapienti, fonte di sostegno innanzi al Consiglio dei Saggi sin dal momento della sua acclamazione. Eppure, da anni, assieme alle pieghe che costellavano il volto del saggio, anche il cambiamento era sceso a sfregiarne il cuore. Un cambiamento sottile, ma spietato, che, talvolta faceva capolino, facendo dubitare al re della sua imparzialità nel sostenerlo alla guida del clan degli Ancaliti. Lugotorix si ò le mani sul volto e fece scorrere le dita fra i lunghi capelli brizzolati, mentre la stanchezza pareva calare su di lui come un manto, curvandogli le spalle possenti. Tornò a guardare il lavoro dei guaritori, un’ombra di incertezza che gli oscurava la fronte. Nel percepire quel moto, Amorgen si volse a guardarlo. - Nelle stelle ancora non è scritta la sconfitta per il nostro popolo,- prese a dire con decisione.- Se anche le nostre spade si spezzano contro il ferro dei nemici, presto faremo in modo che le conoscenze del continente, sulla lavorazione dei metalli, giungano alle nostre fucine. Allora sapremo ben recuperare quanto ci è stato sottratto.Ancora una volta il sovrano fissò il druido e, ancora una volta, un brivido lo scosse. - Domani riorganizzeremo i guerrieri e nei prossimi giorni tenteremo un nuovo accerchiamento. Terremo con noi una parte degli uomini, per impedire al nemico di penetrare ancor più nelle nostre terre. Tuttavia, per sicurezza, invieremo i messaggeri agli abitanti dei villaggi vicini, ordinando loro di rifugiarsi a Bibrax. Infine, se tutto questo non dovesse avere successo, saremo costretti alla resa.-
- Lugnasad è vicino. I combattimenti già avrebbero dovuto essere sospesi,precisò ancora una volta il druido. - Dobbiamo tentare,- continuò il sovrano, senza esitazione.- Privati delle mandrie siamo condannati alla carestia.I due tornarono a fronteggiarsi. Poi il druido chinò il capo in un assenso. - Stanotte interrogherò le stelle,- disse con semplicità. Infine, fianco a fianco, i due, voltate le spalle al campo di battaglia, fecero ritorno all’accampamento.
Il volto di cera prendeva forma lentamente, sotto l’utensile di metallo: un volto stilizzato con grandi occhi bulbosi, un collo sinuoso di serpente, e corna d’ariete. La punta di bronzo lasciava tracce minute, solcando i lineamenti, creando baffi cisposi. Mani pazienti ed esperte la guidavano, mani robuste e, al contempo, delicate. I loro gesti erano una danza attenta, cadenzata da sguardi insoddisfatti. Il candore della cera mutava in alabastro ai guizzi della fiamma e il tepore intenso disegnava una rugiada leggera, esaltante le forme. Il bronzo era una spada che violava la purezza. Sul tavolo ingombro, avvolta in una stoffa bagnata, la creta attendeva di preservare la forma intagliata. Madida, pareva bramare l’attenzione dell’artista. Combatteva la sua lotta contro il calore, con successo, ignorata al momento. Fra le braci, un piccolo crogiolo di terracotta accoglieva una lega di metalli. Le tenaglie giacevano a terra ai piedi del fabbro. Lo scoppiettio della legna si levava prepotente dal focolare, ma nulla poteva contro la musica lieve che colmava la stanza: una musica semplice, esitante, strappata all’arpa da dita infantili. Il fabbro ascoltava distratto il susseguirsi delle note zoppicanti, mentre la bambina, seduta ad un lato della stanza, oltre le sue spalle, serrava le labbra affannata. Le piccole dita si muovevano leggere, pizzicando con destrezza, eppure la melodia avanzava a saltelli, priva di uniformità. L’uomo talvolta interveniva a correggere gli errori involontari e subito il aggio veniva ripetuto. “Lascia che sia il tuo cuore a guidare la mano; non permettere alla ragione di
disturbare le tue note”, diceva sempre Fintan. Ma la bambina ancora non aveva scoperto in quale parte del cuore si celasse la magia che creava la musica. Eppure insisteva con tenacia, imbracciando l’arpa e lasciandosi guidare dal Maestro. Aveva l’impressione che, comunque, Fintan apprezzasse i suoi sforzi, addirittura gustandoli, mentre lavorava al tavolo da fabbro. D’altra parte, diceva anche che molti anni le restavano a disposizione per imparare ad ignorare la tirannia che la mente le imponeva. Saima sbuffò innervosita, colpendo le corde con stizza e strappando suoni discordanti: per quel giorno ne aveva avuto abbastanza! Poggiò l’arpa e si avvicinò all’uomo intento; poi s’appolaiò su un alto sgabello accanto al tavolo. Fintan sollevò appena lo sguardo e le sorrise di sfuggita. Saima raccolse le gambe e si abbracciò le ginocchia, poggiandovi il mento. Continuò così ad osservare i movimenti del Maestro, le sue dita precise che si muovevano modellando la cera. Lo stiletto di bronzo lanciava tenui bagliori sui capelli chiari e negli occhi verdi. - Cosa stai fabbricando?- domandò ad un tratto la bambina, i grandi occhi castani in adorazione. Fintan la guardò con dolcezza, schiudendo le labbra in un sorriso quieto. - Questa cera si muterà in una fibula di bronzo,- rispose, tornando con lo sguardo al lavoro. Saima rimase immobile, concentrata, osservando attenta. Lo sforzo le disegnava una piega leggera in mezzo alla fronte. Le labbra erano una linea sottile. Avrebbe voluto domandare ancora, ma sapeva che Fintan amava lavorare in silenzio. Solo la sua arpa era benaccetta alle orecchie del fabbro. Talvolta si stupiva nell’osservare gli oggetti che uscivano dalle sue mani sapienti; aveva l’impressione ch’essi fossero forgiati dalla sua stessa musica: curve sinuose, volti stilizzati, spirali ritorte nelle quali le note dell’arpa parevano riflettersi, impigliate. Gli errori erano graffi che disegnavano folti baffi ricurvi, ciocche di capelli scarmigliate da un vento impalpabile. - Hai deciso di non suonare più, per quest’oggi?- domandò Fintan senza levare lo sguardo. La bambina annuì impercettibilmente. Preferiva osservare il Maestro al lavoro: erano gli unici momenti in cui i suoi occhi potevano guardare, indisturbati, i
lineamenti del suo volto fiero, le ombre che il fuoco vi disegnava; il guizzo lieve dei muscoli delle spalle, lasciati scoperti dalla giubba senza maniche; i lunghi capelli biondi, inanellati sul collo, che alla luce della fiamma si mutavano in bronzo fuso. In quegli istanti il suo cuore si colmava di gioia. Fintan depose l’intaglio di cera e rivolse l’attenzione all’involto con la creta. Schiuse i lembi di stoffa e tagliò un angolo del pane d’argilla, prendendo subito ad ammorbidirlo fra le dita. I suoi occhi tornarono a posarsi sulla bambina. - Bisogna ricoprire la cera con cautela dopo che si è indurita,- prese a spiegare, porgendo l’intaglio a Saima. La bambina si alzò a deporlo all’esterno, per raffreddarlo: sapeva che il calore della stanza avrebbe lasciato la forma molle e vulnerabile. Fintan seguì quel movimento con lo sguardo, un sorriso divertito dalla solennità dei gesti infantili. Poi nei suoi occhi ò un’ombra, constatando quanto Saima fosse cresciuta in quegli ultimi mesi: per la prima volta comprese che sotto la tunica troppo corta, il corpo della bimba stava mutando in quello di una donna. Lo comprese dallo sguardo ch’ella gli rivolse, uno sguardo intenso, carico d’adorazione. Con disappunto seppe che presto non avrebbe più potuto accoglierla nella sua fucina. - Sarebbe meglio che riprendessi la tua lezione,- dichiarò allora: voleva impiegare al meglio gli ultimi istanti che rimanevano loro a disposizione. La bambina poggiò i pugni sui fianchi, serrando le labbra. - La tua arpa non è in grado di percepire la voce del mio cuore,- dichiarò seria. Fintan rise, deponendo l’argilla e sciacquandosi le mani in un bacile. Poi si alzò ed imbracciò lo strumento: le sue dita presero a muoversi agili sulle corde e una musica vivace pervase l’aria. Saima rimase a guardarlo affascinata. - Vedi? L’arpa risponde al tuo richiamo: ma dev’essere un richiamo che possa essere udito.- Lei è sorda con me: ascolta solo la tua voce,- ripeté la bambina stizzita. - Vorrà dire che costruirò un’arpa tutta tua, che imparerà ad ascoltarti,- concluse Fintan, deponendo lo strumento.
Saima annuì soddisfatta, avvicinandosi ed allungando la mano a stringere l’amuleto che pendeva dal collo dell’uomo. - Tu sai fare proprio tutto,- dichiarò assorta. Poi aggiunse, in un soffio: - I druidi sono tutti come te?La risata profonda dell’uomo pervase la stanza. - Solo il dio Lug sa fare tutto!- esclamò scherzoso, mentre il volto della bambina si illuminava, attendendo l’inizio di una delle storie che tanto amava. Ma Fintan non iniziò a raccontare: si alzò e tornò al tavolo da lavoro, riprendendo a manipolare la creta che già iniziava a seccarsi. - Ogni uomo e ogni donna hanno ricevuto in dono dagli Dei una particolare attitudine,- riprese, dopo una lunga pausa.- La loro vita spesso trascorre alla ricerca di quel dono. Ma talvolta esso si manifesta in giovane età: ecco che il tempo a disposizione può essere impiegato a perfezionarlo. Anche per i druidi è la stessa cosa: essi sono alla ricerca.Saima piegò il capo di lato, scrutandolo poco convinta. - Dunque i druidi non sono tutti come te,- insistette.- Tu sai fare tutto!Fintan si volse a guardarla, una strana espressione che gli oscurava il volto. Ma la bambina non se ne avvide e rimase immobile con aria di trionfo: aveva scoperto il suo segreto. - Io sono un fabbro, piccola Saima. Tutto il resto è solo caos e confusione.La tristezza di quelle parole costrinse la bambina ad avvicinarsi. I suoi occhi castani si fissarono in quelli verdi del druido. - La mia musica potrebbe portare l’ordine?- domandò in un soffio. Fintan tacque, pensoso. Quale risposta avrebbe dovuto dare? - Portami l’intaglio di cera,- ordinò infine deciso, evitando di rispondere a quella domanda inopportuna.
Poi prese a modellare l’argilla attorno alla forma indurita.
Saima stava per tornare all’attacco, quando la porta si spalancò, interrompendoli. Sulla soglia stava un giovane, la veste candida dei druidi che si confondeva nel sole, il volto arrossato dalla corsa, i capelli scarmigliati. Quando i suoi occhi si posarono sul fabbro, il suo volto mutò espressione. Saima si ritrasse contrariata. - Sono costretto ad interrompere il tuo lavoro, Fintan,- prese a dire, avanzando nella stanza.- Oinos desidera vederti.- Quale urgenza, Ardanos! Il cielo sta forse cadendo sulle nostre teste?- rispose di rimando il fabbro, ritrovando la sua abituale aria scanzonata. Saima rise divertita, prendendo posto su una panca poggiata alla parete. Il nuovo venuto le lanciò un’occhiata distratta, avvicinandosi al compagno. - Tu puoi anche scherzare,- lo rimproverò serio.- Ma Oinos ha chiesto di te con urgenza: un messaggero del popolo degli Ancaliti è giunto stamani al nostro villaggio.- Poi aggiunse, in un sussurro: - Un grave motivo deve averlo spinto sin qui.A quelle parole Fintan si fece attento: in quegli ultimi mesi aveva sentito nominare il popolo degli Ancaliti con sempre maggior frequenza. Nonostante le loro terre si trovassero oltre il mare del nord, nell’isola di Albion, le notizie sulle guerre che devastavano quei luoghi erano giunte sino al territorio dei Carnuti. Questo aveva qualcosa a che fare con l’invito di Oinos? Un presentimento si impossessò del suo cuore, e Fintan si alzò lentamente, deponendo il lavoro non ultimato. - Sarà meglio che tu ti vesta in modo appropriato,- suggerì con cautela Ardanos, osservando le brache sgargianti di Fintan e la giubba senza maniche di pelle di cervo. - Dunque Oinos non richiede un fabbro, bensì un druido,- dichiarò quest’ultimo, tentando un tono scherzoso. Il giovane alzò le spalle, mentre Fintan si spogliava e si sciacquava velocemente.
Saima osservava i suoi gesti per nulla turbata: abituata a vivere con quattro fratelli più vecchi di lei, conosceva perfettamente le differenze fra il corpo di un uomo e di una donna. Eppure il corpo di Fintan era differente da quelli che conosceva: i suoi fratelli erano massicci, mentre il corpo del druido appariva insolitamente delicato, nonostante i muscoli sviluppatisi a causa del suo lavoro. La bambina amava osservarlo e l’uomo pareva non farci caso. In quel momento, poi, era evidente che i suoi pensieri erano altrove. Ardanos le si avvicinò lentamente, carezzandole una guancia distratto. - Non sei mai stanca di venire qui, piccola Saima? Non sarebbe meglio se aiutassi tua madre nelle sue faccende?La bambina gli lanciò un’occhiata velenosa. - Mia madre mi ha dato il permesso di suonare l’arpa: Fintan è il miglior Maestro ed io ne approfitto,- dichiarò, come se la cosa non la coinvolgesse. Il giovane rise divertito, riportando l’attenzione sul compagno che, nel frattempo, aveva indossato la tunica. - Sarà meglio che torni a casa, Saima,- dichiarò il fabbro, fermandosi sulla soglia. La bimba si alzò controvoglia e si fermò ad osservarlo ad un o, reclinando il capo per vederne il volto. - Posso tornare domani?- domandò in un soffio. Fintan le carezzò i capelli con dolcezza. - La mia arpa sarà qui ad aspettarti.La bambina uscì nel sole, levando la mano a proteggere gli occhi dal riverbero. Poi si volse ed imboccò la via che conduceva alla sua capanna. Ardanos si avvicinò al compagno, i cui occhi seguivano la figura minuta allontanarsi sino a scomparire. - Oinos ci aspetta,- dichiarò, richiamando Fintan alla realtà.
Il fabbro richiuse la porta e si avviò a i spediti lungo il sentiero polveroso. Il compagno lo affiancò, rispondendo per lui ai saluti dei anti. Avrebbero dovuto attraversare gran parte del villaggio, poiché la fucina si trovava nei pressi della porta della città. - Hai udito i loro discorsi, Ardanos?- domandò ad un tratto Fintan spezzando il silenzio. Il giovane druido scosse il capo. - Hanno discusso gran parte del pomeriggio, ma Oinos ha preferito rimanere solo con lo straniero.Fintan levò lo sguardo, scoprendo il sole basso all’orizzonte. In quella stagione la notte arrivava tardi e lui, come sempre quando lavorava, aveva perduto la cognizione del tempo. L’ultimo pensiero, prima di giungere innanzi all’uscio di Oinos, fu per Saima, alle prese con una madre infuriata per il ritardo al pasto serale. Poi bussò e spalancò l’uscio.
All’interno l’aria era pervasa da un piacevole aroma, nel quale il profumo di carne arrostita si mescolava alle erbe e alla resina di pino. In una penombra animata da fiamme dorate, due uomini sedevano, mangiando tranquillamente, in silenzio, mentre un giovane apprendista colmava boccali di birra. Quando l’uscio si schiuse, i loro occhi incontrarono quelli del fabbro. - Ecco colui del quale ti ho parlato,- annunciò l’uomo più anziano, facendo cenno a Fintan di avanzare. Il fabbro percorse a lunghi i la distanza che li separava, fermandosi innanzi allo straniero e studiandolo con circospezione. Sin dal primo istante comprese che si trattava di un bardo, le cui vesti azzurre si allargavano in pieghe attorno allo sgabello. - Mi hai fatto chiamare, Padre?- chiese, chinando il capo innanzi a Oinos. Il druido sorrise, invitando il nuovo venuto a sedere e guardando Ardanos ancora in piedi sulla soglia. Quest’ultimo si toccò la fronte nel gesto rituale e scomparve, richiudendo l’uscio alle spalle. L’apprendista porse a Fintan un piatto
di carne ed un boccale pieno. Il fabbro rifiutò con un cenno. - Nardos proviene dalle lontane terre di Albion,- presentò il vecchio saggio, lisciandosi la folta barba canuta, mentre i lunghi capelli candidi, scivolando dalle spalle, gli contornavano il volto squadrato, dalle rughe profonde come screpolature sulla terra cotta dal sole.- Amorgen, capo druido degli Ancaliti, lo manda quale messaggero.A quelle parole il fabbro riportò l’attenzione sul giovane seduto di fronte a Oinos. Ne studiò i lineamenti delicati, le iridi talmente chiare da risultare incolori, i lunghi capelli biondi raccolti sulla nuca, e un’inspiegabile sensazione di disagio si impossessò del suo cuore. Chinò lo sguardo, indugiando sulle mani dalle lunghe dita sottili, parzialmente celate fra le pieghe della veste. Anche gli occhi del bardo, d’altra parte, lo studiavano con attenzione esasperata. Fu quello sguardo a fargli comprendere il motivo della sua chiamata: uno sguardo insistente e, tuttavia, dubbioso, volto a valutarlo e soppesarlo, uno sguardo impaziente, che non lasciava possibilità di replica. Comprese che, nonostante la giovane età, quell’uomo possedeva la capacità di penetrare nel cuore di coloro che aveva innanzi, e questo spiegava la sua scelta quale messaggero del popolo degli Ancaliti. Tuttavia quelle labbra sottili, che ora si serravano nel volto magro, gli dimostrarono un’ottusa superbia e una caparbietà indomita. In pochi attimi seppe che ogni tentativo di ragionare con quell’uomo sarebbe sfociato in una sconfitta inevitabile. Si preparò quindi ad eludere qualsiasi schermaglia. Sorrise, impedendosi di rompere il silenzio. Fu il giovane a parlare e le sillabe fendettero l’aria saettanti come dardi. - Sono qui per richiedere la collaborazione del Custode del Bosco Sacro, capo druido dei Carnuti e Padre dei druidi d’ogni tribù del continente. Il mio popolo è alla ricerca di una persona che sappia addestrare nuovi fabbri, per la produzione di armi in grado vincere qualsiasi battaglia,- dichiarò lo straniero, fissandolo con aria di sfida. Fintan chinò lievemente il capo, quasi ad assentire. Poi parlò con voce quieta. - Il nome del tuo popolo giunge con sempre maggior frequenza alle orecchie degli abitanti di Cenabum: le lotte che devastano le vostre terre divengono più sanguinose di giorno in giorno e il lamento dei bardi, che lega il nome del vostro re alle sue sconfitte, talvolta si fa acuto come un flauto incrinato.-
A quelle parole, la rabbia dello straniero divampò fulminea, colorandogli le guance ed accendendogli lo sguardo d’un odio intenso. Sulla fronte del vecchio saggio si disegnò una piega di disappunto. - Non rimarrò qui a lasciarmi insultare dal primo druido che varca la soglia!sbottò il bardo, levandosi in piedi, rivolto ad Oinos.- Mi stupisce che il popolo dei Carnuti, nostro fratello sin dall’inizio del tempo, non sappia offrire che parole d’ingiuria!Con gesto lento, il saggio colmò un boccale di birra, lasciando trasbordare la schiuma dai bordi e rimanendo ad osservarla mentre disegnava scie riverberanti al bagliore della fiamma. Fintan sorrise, senza nemmeno celare la soddisfazione dovuta a quella reazione: quell’uomo era sin troppo prevedibile. Il silenzio calò, pesando sulle spalle dello straniero come una cappa fradicia di pioggia, stroncando ogni ulteriore reazione. Dopo che Oinos ebbe sorbito un lungo sorso di birra ed ebbe deterso i baffi con gesto lento, sollevò lo sguardo su Fintan. - Ti ringrazio per essere venuto, - dichiarò quietamente. - Sono certo che il discorso con il nostro giovane ospite potrà continuare anche in tua assenza.Fintan chinò il capo, accettando il commiato. Poi si toccò la fronte nel saluto di rito, rivolto allo straniero. Il giovane nemmeno si volse, mentre il fabbro usciva, richiudendo la porta alle spalle. Una volta all’esterno, Fintan sollevò gli occhi al cielo, che iniziava ad arrossarsi. Poi s’incamminò a o spedito verso la porta della città: sentiva dentro di sé una singolare inquietudine montare dallo stomaco alla gola, e lì indugiarvi, pronta a soffocarlo. La sentiva premere dentro di sé, prepotente, e avviluppare i pensieri in una trama viscosa, inglobandoli in polle d’assenza. Accelerò il o, puntando lo sguardo con urgenza alle fitte chiome che si disegnavano oltre le mura del villaggio, lì, ove la radura mutava in foresta. Poi si fermò al centro del sentiero, gli ultimi raggi del sole morente che, superando le cime delle querce, ne disegnavano il profilo. Comprese che la quiete della foresta non avrebbe potuto allontanare la tensione. Quindi si volse e, tornato sui suoi i, rientrò nella fucina. La penombra lo accolse protettiva.
Quando l’uscio si aprì, nemmeno se n’avvide. Solo il tocco di una mano sulla spalla fu in grado di riportarlo alla realtà. Con un sussulto si volse, incontrando gli occhi cerulei di Oinos. - È da un po’ di tempo che ti osservo,- prese a dire il saggio con voce profonda.Cosa turba dunque il tuo cuore?Fintan si mosse nella stanza, prendendo le distanze dal vecchio druido. Poi si immobilizzò e le sue labbra si schio, rivelando la collera. - Non mi fido di quell’uomo,- dichiarò, ignorando la domanda. Oinos sedette, poggiandosi alla parete. Da quel punto avrebbe potuto osservare tranquillamente qualsiasi movimento del giovane. - Lo so: Nardos non mi ha detto tutto,- confermò. - E tu vuoi aiutarlo comunque?- le parole di Fintan risuonarono come un rombo cupo. - Proprio per questo vorrei fossi tu a recarti a Bibrax: i tuoi occhi vedono come fossero i miei.A quelle parole Fintan esitò, comprendendo la presunzione sciocca del suo atteggiamento ostile. - Ti chiedo perdono,- dichiarò in un soffio, lasciandosi cadere su uno sgabello. Oinos sorrise e, per un istante, la solennità che sempre lo accompagnava parve svanire, lasciando unicamente un vecchio, curvo sotto il peso delle responsabilità. Fintan lo guardò, ritrovando sul suo volto il ricordo di momenti ati al riparo delle querce, le orecchie intente a sorbire insegnamenti che avevano mutato la sua vita. A quel tempo Oinos non era ancora a capo dei druidi del popolo dei Carnuti: era semplicemente un saggio dalla mente limpida e dalla conoscenza profonda. Solo più tardi era stato scelto come guida e, soprattutto, aveva ricevuto la nomina di Custode del Bosco Sacro, un compito che lo mutava in un punto di riferimento per ogni druido di ogni tribù della stirpe dei Celti. Egli era il depositario delle tradizioni, intermediario fra terra e cielo. E lui l’aveva trattato alla stregua di un apprendista! Ma a chi avrebbero potuto rivolgersi gli Ancaliti se non al Padre spirituale di ogni druido del continente?
Il giovane si alzò e prese a muoversi lento nella stanza, la mente assorta, lo sguardo vacuo. Le mani sfioravano gli oggetti del suo lavoro, distratte: spade dalla lama scheggiata, pugnali infranti, schegge di metallo sparse alla rinfusa sul tavolo ingombro. Oinos lo osservava, pervaso da una preoccupazione crescente nel notare il flusso di energia che si sprigionava da quel tocco: era come se la punta delle dita di Fintan fosse un fuoco in grado di forgiare il metallo. E le lame rispondevano docili, restituendo la forza imprigionata dalla fiamma, ampliandola, lasciandola fluire come una marea attraverso il corpo del fabbro, il cui volto nel frattempo s’illuminava. C’era una comunione insolita, profonda, inquietante, fra quegli oggetti inanimati e colui che aveva dato loro forma: essi erano parte del suo corpo, in comunione con la sua mente, stimoli per il suo cuore contratto. Il saggio attese con pazienza, mentre la danza di Fintan proseguiva, ignara dello scorrere del tempo, finché, ad un tratto, la voce profonda del vecchio spezzò la tensione. - Vorrei comprendere cosa ti turba, Fintan. Il mio cuore soffre nel vederti così tormentato. È oramai da tempo che ti rifugi nella tua fucina: partecipi ai riti con sempre maggior disinteresse; i tuoi occhi si perdono durante le discussioni con altri druidi; la tua mente è lontana e nessuno è in grado di superare la barriera che hai innalzato. Le pareti di questa fucina segnano il limitare del tuo mondo, dal quale chiunque è escluso. Ma tu sei un druido, portatore di conoscenza, custode di tradizioni: la tua arte è solamente un retaggio dell’infanzia, che esula dai tuoi doveri di oggi. Eppure da molte lune è ciò che ti dà la forza per non smarrirti.A quelle parole il giovane si fermò di scatto, puntando sul Maestro i suoi occhi ardenti. - Retaggio della mia infanzia, dici. Tuttavia ora mi viene chiesto di metterla a frutto addirittura addestrando nuovi fabbri! E per giunta in una terra lontana. Non credi che queste parole contraddicano i tuoi desideri?L’espressione di Oinos mutò impercettibilmente, il disappunto che tornava a prendere il posto della preoccupazione. - Non comprendi che ti sto offrendo la possibilità di realizzare appieno ciò che in questi mesi ha occupato la tua mente e impegnato le tue forze fino allo stremo?
La tua arte è l’unica cosa che ti permette di mantenere un contatto con la realtà, come se la durezza del metallo desse concretezza al tuo esistere. Al di fuori di essa sei inconsistente, uno spirito che scivola assorto fra i druidi della comunità. Non è chiaro cosa ti turbi… ma molti hanno cominciato a domandarselo, biasimando il tuo disinteresse.A quelle parole le labbra di Fintan si schio in un riso sardonico, contratto quanto la sua espressione. - Trascuro i miei compiti di druido e la comunità non approva. Ora comprendo la tua richiesta. Sarebbe meglio per tutti ch’io non tornassi dalle terre degli Ancaliti!Il sospiro di Oinos pervase la capanna, spazientito, mentre la sua espressione mutava ancora una volta e il suo tono si faceva tagliente. - Ora parli da fanciullo,- lo rimproverò.- Queste parole sono un insulto alla tua stessa intelligenza.Fintan serrò le labbra, intuendo l’assurdità di quella discussione, mentre le sue dita si serravano con forza attorno ad una lama affilata. Il dolore lo fece sussultare e il sangue prese a stillare lento dalla ferita. Oinos osservò quel moto, evitò di commentarlo, e proseguì deciso, studiando l’espressione del giovane. - Da tempo hai smarrito il tuo equilibrio e questo per un druido è male: l’equilibrio è alla base della conoscenza ed è il primo insegnamento riservato agli apprendisti. I tuoi sforzi devono essere tesi a ritrovarlo, individuando ciò che ti turba e rimuovendone la causa. Se hai perso fiducia nei nostri insegnamenti, dovrà essere la tua lealtà a rivelarlo, perché le mie decisioni possano essere prese con obiettività. Se ciò che desideri è riprendere la tua attività da artigiano nessuno potrà impedirlo. Ma ora devo sapere.Il saggio si alzò, avvicinandosi a o lento; poi fissò il suo sguardo gelido negli occhi del giovane, che indietreggiò involontariamente. Fintan tentò un sorriso che si spense in una smorfia. - Il nome Fintan che mi è stato dato è un fardello troppo pesante da portare,disse il giovane. Poi seguitò con maggior forza.- La figura di Fintan si staglia all’origine della conoscenza, egli è l’uomo primordiale, artefice di tradizioni. Io sono unicamente un uomo, un uomo perduto nel presente: un eterno, fluido e
mutevole presente,- prese a dire con riluttanza.- Il sapere che tutti mi tributano è per me poca cosa: non mi sono cibato del Salmone della Conoscenza, non posseggo i segreti né le chiavi della saggezza. La mia arte lo dimostra.- A quelle parole il giovane levò una spada dalla lama scheggiata e la porse al saggio, tenendola poggiata sulle palme delle mani.- Guarda, la mia arte non può andare oltre l’insegnamento dei padri. Le mie armi sono fragili, il metallo impedisce ch’io possa penetrare i suoi arcani. Gli elementi mi deridono: terra, aria, acqua, fuoco mi osservano muti, canzonandomi. La mia comprensione si ferma qui, riassunta nell’incapacità di forgiare un metallo che possa superare le barriere del tempo. A cosa servono, dunque, i nostri insegnamenti, se non ci è data la consapevolezza nemmeno sulla materia?Oinos rimase ad osservarlo imibile, constatando l’eccesso di ambizione del giovane. Ma quale risultato avrebbe ottenuto tentando di spiegare che il compito di un druido era guidare la comunità, non possedere il dominio sugli elementi solo per soddisfare un orgoglio personale? - Comprendo il senso della tua ricerca,- disse infine. - Ma attento ch’essa non ti faccia deviare dalla strada che desideri percorrere. Un buon druido possiede la conoscenza per metterla a servizio del popolo; un metallo in grado di superare le barriere del tempo dispenserà morte anche dopo che il tuo spirito avrà trovato una nuova forma.A quelle parole il giovane si immobilizzò, raggelato: a questo dunque mirava la sua ricerca? Possibile che mai la sua mente avesse messo a fuoco una verità così evidente? Era forse la superbia ad allontanarlo così dalla realtà? - Cosa devo fare, Padre?- chiese infine, poggiando l’arma e lasciando ricadere le braccia lungo i fianchi. - Vai nelle terre degli Ancaliti, metti a frutto la tua arte, insegna ciò che sai ai fabbri di Bibrax, perché possano creare armi per difendere la loro comunità. E forse, studiando le usanze di quel popolo, saprai ritrovare il senso della realtà. Ma ricorda: voglio che tu faccia ritorno, poiché sei uno dei pochi druidi in grado di dubitare, pur possedendo già tutte le risposte.Fintan sorrise, stupito da quell’elogio inaspettato, che dimostrava una fiducia incrollabile per una responsabilità che non poteva essere elusa. - Pare ch’io abbia necessità di questo viaggio tanto quanto Nardos delle mie
armi,- scherzò. - Sarai tu a deciderlo,- rispose di rimando il saggio, tornando a sedere a ridosso della parete. Il giovane spostò uno sgabello e prese posto accanto al focolare, riflettendo. I minuti arono, poi la sua voce ruppe il silenzio. - Il legame che ci unisce al popolo degli Ancaliti si cela nel ato: i nostri antenati sono comuni,- disse, evocando gli insegnamenti ricevuti. - Immagino sia per questo che non possiamo rifiutare un aiuto.Oinos sorrise, comprendendo che il momento della confidenza s’era involato: il presente era tornato ad occupare la mente del giovane compagno. - Dici bene,- rispose.- Molte generazioni or sono, quando la nostra comunità era diventata troppo grande per poter sopravvivere con le risorse a disposizione, i druidi hanno compreso che l’unica possibilità di sopravvivenza era la migrazione. I clan si sono divisi e molti sono partiti alla ricerca di nuovi spazi: guerrieri e artigiani, per la maggior parte, si sono spinti a nord, verso le terre inesplorate di Albion. Lì hanno lasciato pascolare le mandrie, prendendo possesso di ampi territori; hanno fondato nuovi villaggi, che presto sono prosperati. Ma non fummo gli unici ad imboccare questa via. Ed ora i clan che hanno occupato quelle terre ricche e fertili hanno bisogno di espandersi per poter mantenere la loro gente. Tre sono in lizza: Dobunni e Atrebati, fra loro alleati, contro il clan di Nardos, gli Ancaliti: discendenti diversi di diversi clan, ma uniti da una tradizione comune. Il ato ci lega a questi ultimi. Amorgen, il loro druido, lo sa bene. E sa anche che, proprio per questo, non avremmo potuto ignorare una loro richiesta.Fintan annuì, pensoso. - Evidentemente il loro artigianato non si è evoluto di pari o con la popolazione,- disse.- Ora il nostro intervento potrebbe incrinare gli equilibri instauratisi.- Ciò che dici è una certezza e questo è il significato della richiesta del capo druido degli Ancaliti: i Dobunni posseggono ricche miniere di ferro che, in tempo di pace, veniva scambiato con l’orzo eccedente dei nostri lontani cugini. Ora la forza degli Atrebati garantisce ai Dobunni una vittoria certa, ed essi hanno
la speranza, peraltro fondata, di conquistare ampi territori. I vicini occidentali degli Ancaliti, i Durotrigi, grandi produttori di stagno, ma scarsi di risorse agricole, hanno preferito rimanere neutrali, al momento: attendono gli esiti della sfida lanciata, sapendo che, in caso di sconfitta, potranno espandersi senza fatica sulle terre fertili. Essi hanno il controllo dei commerci, e da tempo, probabilmente a causa del loro intervento, si è notato un calo del traffico lungo le coste. Gli Ancaliti rischiano di essere definitivamente annientati.Oinos si alzò e prese un pugnale dal tavolo ingombro; poi iniziò a tracciare i segni di una mappa sulla terra battuta del pavimento. - Le terre degli Ancaliti occupano il cuore della parte meridionale dell’isola: territori fertili, disseminati da dolci colline, che offrono alle mandrie pascoli inesauribili; foreste impenetrabili, ricche di selvaggina, segnano un confine ideale da difendere; la terra è costellata da laghi e fiumi ricchi di pesci, i cui dolci fondali favoriscono la navigazione e, quindi, i commerci. Questo territorio fa gola a molti, soprattutto agli Atrebati, costretti a est in un paese impervio e boschivo. Probabilmente i Dobunni, stanziati a nord, hanno approfittato dell’occasione: i loro clan aumentano di numero con velocità sorprendente e hanno di certo bisogno di nuove terre. Perché i vicini, ad ovest, dovrebbero intervenire, quando dalla sconfitta degli Ancaliti non possono derivarne che benefici? Chi oserebbe sfidare gli Atrebati e la loro potenza? Una volta sottomessi gli Ancaliti, i loro territori potrebbero esser smembrati fra le popolazioni confinanti. Tutti sanno che senza le armi del continente nessuno potrebbe resistere a lungo. Per primo Amorgen, che ora richiede il nostro aiuto. Come tu stesso hai detto, in questi anni di prosperità i loro artigiani non hanno perfezionato le tecniche di produzione. Ed ora i loro re sono costretti a procurarsi ciò che serve dal commercio.Fintan annuì ancora una volta, studiando i segni tracciati dal Maestro. - Bloccate le vie commerciali, privati dei mezzi per concludere gli scambi, l’unica alternativa che rimane agli Ancaliti è la produzione in proprio: ma per questo hanno bisogno di qualcuno che conosca le tecniche più avanzate di forgiatura. Tuttavia, in questo modo, gli equilibri che verranno infranti sono anche quelli interni alla comunità: temo che l’ostilità degli artigiani locali sarà un ostacolo difficile da superare, poiché l’orgoglio non sempre viene soffocato dalla necessità.-
- E difatti non sarà un fabbro colui che giungerà a Bibrax: la scelta è caduta su un druido.Quelle parole ebbero l’effetto di riportare Fintan al motivo che aveva generato la discussione. - Vedo che la decisione è stata presa,- constatò, non ancora certo che quella fosse la scelta migliore.- C’è qualcosa ch’io possa dire per far mutare il tuo giudizio? Come già hai veduto, la fiducia per il mio lavoro s’è involata: l’eredità che mio padre mi ha lasciata si è trasformata in una fonte d’amarezza. Non sono certo che la mia arte risulti d’utilità: il metallo che le mie mani creano non è di certo indistruttibile, ed è questo ciò di cui gli Ancaliti hanno bisogno.Dette quelle parole il giovane fissò Oinos, attendendo una reazione. Ma il saggio rimase ad osservarlo imibile. Il silenzio calò nuovamente e Fintan comprese che non aveva nessuna possibilità di rifiuto. - Quanto tempo dovrò dunque trattenermi a Bibrax?- domandò infine. - A te il giudizio,- rispose il saggio.- Una volta giunto nelle terre degli Ancaliti, saprai ben vagliare la situazione.A quelle parole il fabbro annuì: la discussione s’era conclusa senza possibilità di ulteriori repliche. Così Oinos si alzò e si diresse all’uscio. Quando il saggio richiuse la porta alle spalle, gli occhi di Fintan rimasero immobili a fissarne il legno scuro, mentre lo strano presentimento di poc’anzi tornava a farsi largo nel cuore.
2. Nelle terre di Albion
Immobili sul limitare della foresta e guardinghi come cervi pronti ad uscire allo scoperto, gli uomini tendevano l’orecchio ai rumori lontani. L’aria era percorsa da un brusio che giungeva ad ondate, portato dal vento che spirava da nord, nel quale si distinguevano a malapena echi di grida e clangori metallici. Innanzi a loro si stendeva una prateria ondulata, costellata da tumuli e dolci declivi. Su tutto, il sole di mezzogiorno rubava le ombre. Il piccolo drappello pareva esitare, i guerrieri che si guardavano, interrogativi, mentre il volto pallido di Nardos confermava la tensione del momento. Fintan osservava i compagni, comprendendo, al pari di loro, che quei suoni non erano altro che echi di battaglie. Sino a quell’istante nulla aveva potuto far presagire che gli scontri fra Atrebati e Ancaliti fossero ancora in corso e, dato che l’estate era oramai avanzata, e presto Lugnasad sarebbe giunto a segnare la fine della stagione del raccolto, tutti erano certi che le guerre si fossero concluse. Tuttavia quel rumore lontano pareva smentirli. Dopo aver superato il braccio di mare che separava l’isola di Albion dal continente, avevano attraversato le terre del sud celati dalla foresta, evitando le rotte fluviali, che avrebbero potuto ridurre il viaggio di svariate notti, ma esporli a sguardi indesiderati. Era necessario proteggere il ferro donato da Oinos, poichè quel prezioso carico avrebbe potuto risvegliare la bramosia di chiunque, e i cinque guerrieri di scorta certo non avrebbero potuto far molto contro bande di razziatori. In quel momento, mentre udiva i rumori lontani, Nardos ringraziò gli Dei per quella prudenza. Poi si volse verso il guerriero al suo fianco in un cenno d’intesa. Inquieti, i due spronarono i cavalli e in breve raggiunsero la cima del tumulo che si ergeva di fronte, seguiti da presso dai compagni. Lo spettacolo che si presentò alla vista mozzò loro il respiro: un’ampia pianura si apriva, piatta e uniforme, solcata da un fiume che disegnava ampie curve nell’erba di smeraldo. Colline rotondeggianti la delimitavano, prive di alberi, dominate da nubi basse, candide come spuma ed altrettanto arruffate. La loro corsa, guidata dal vento, disegnava ombre sulla terra e, in quei giochi scherzosi, il sole suscitava riverberi lontani. Fintan aguzzò la vista, osservando quei bagliori insoliti, trattenendo il fiato nello scorgere gli eserciti schierati lungo i declivi: gli uomini si serravano fitti,
ricoprendo i pendii di due colline gemelle, fronteggiandosi immobili. Erano divisi da un pianoro sgombro, pronto ad accogliere lo scontro. Le punte di ferro delle lance riverberavano, muovendosi senza sosta, mentre il clangore delle spade battute sugli scudi colmava l’aria. - Temo che la via che abbiamo deciso di percorrere non sia consigliabile,dichiarò Fintan, tentando un tono scherzoso, ma l’espressione lugubre di Nardos lo dissuase dal continuare. Ad un tratto il paesaggio parve mutare, mentre un’onda pulsante si lanciava dalla collina orientale invadendo la piana. Contemporaneamente il rombo cupo dei carnyx, le trombe di guerra, percorse l’aria, levandosi portato dalla brezza a coprire le grida dei guerrieri. A quel suono, Fintan rabbrividì, incapace di distogliere lo sguardo. Dalla parte opposta, l’esercito disposto sulla china occidentale ebbe un attimo d’esitazione; poi mutò velocemente forma, pronto ad assorbire l’assalto dei nemici. Il cozzo delle armi giunse con un tintinnio fragoroso, mentre la spinta iniziale degli attaccanti urtava contro il muro dei difensori. Un gorgo confuso ingoiò i singoli scontri, mentre, a mano a mano, un’onda di riflusso superava le prime file, per spandersi in rivoli ai lati della collina. I carnyx suonarono nuovamente, percorrendo l’aria con le loro note profonde, mentre le grida aumentavano di tono e i clangori sovrastavano ogni altro rumore. - Dobbiamo avvicinarci,- disse Nardos, suscitando l’approvazione degli uomini della scorta.- Devieremo oltre quell’altura, per poi risalire alle spalle della collina. Lì troveremo i guerrieri.Detto questo, il bardo spronò il destriero e prese a scendere la china al galoppo, distanziando i compagni, rallentati dal pesante carico. Fintan lo guardò per un istante, esitando. Poi lo imitò, affiancandolo. Nel frattempo si osservava attorno, circospetto, temendo di scorgere sentinelle ostili. Non era certo che fosse una buona idea muoversi alla volta degli scontri. Percorsero un’ampia curva, seguendo le pendici del colle; poi risalirono il declivio. Dalla cima un gruppo di guerrieri lanciò un richiamo minaccioso. Nardos rispose con un grido, levando le mani in segno di resa. Poi continuò il cammino a piedi, conducendo il cavallo per le redini. Ancora una volta Fintan lo seguì, guardingo. L’apprensione svanì, e il suo o si fece più svelto, nel momento in cui le sentinelle riconobbero il compagno. Una volta giunti alla
sommità del colle, spaziarono con lo sguardo in lontananza. - Mi attendevo che le battaglie fossero ormai concluse,- dichiarò Nardos scrutando la radura, rivolto al guerriero più anziano. - Gli Atrebati hanno razziato le nostre mandrie,- spiegò l’uomo, lanciando un’occhiata distratta a Fintan, per poi tornare a fissare la piana. Il piccolo drappello, che teneva la postazione sulla collina, era intento a seguire le sorti della battaglia, pronto ad intervenire in caso di bisogno. Più in basso stava contingente di guerrieri, la cui giovane età indicava il loro ruolo di o. Attendevano d’entrare in azione, una volta che fosse stato dato loro il segnale d’attacco. I cavalli scalpitavano, lanciando nitriti nervosi. Fintan si affiancò a Nardos e prese ad osservare con attenzione. Da quel punto era possibile osservare l’intero campo di battaglia, distinguendo persino i singoli guerrieri impegnati negli scontri. La confusione regnava sovrana. Ad acuirla erano i numerosi carri, guidati nella ressa da mani esperte, dai quali i guerrieri si lanciavano con grida minacciose. Molti corpi straziati già costellavano la piana. I corvi volteggiavano nel cielo. - Non potevamo lasciare impunito quest’affronto,- continuò il guerriero rivolto a Nardos.- Le nostre mandrie sono imprigionate oltre il tumulo di Altar e, con esse, il Toro bianco di Mink.L’uomo levò una mano ad indicare il colle di fronte, ingombro di guerrieri nemici in attesa. Fintan levò il capo, seguendo le indicazioni del veterano, e quella vista gli fu sufficiente per comprendere che le sorti della battaglia erano segnate: gli Ancaliti non sarebbero stati in grado di recuperare gli animali razziati. Già nella pianura si avvertivano i primi segni di cedimento: lance spuntate giacevano a terra, inservibili, e i guerrieri del popolo di Nardos erano costretti ad arretrare per raddrizzare o, addirittura sostituire, le spade piegate dal ferro dei nemici. Ad un tratto, un carro emerse dal folto gruppo degli Ancaliti, gettando scompiglio nelle fila avversarie e sfondando il muro compatto di uomini. In piedi sulla stanga, una mano stretta ai finimenti, l’altra levata a mulinare la spada, un guerriero dai capelli biondi, ritti sul capo come aculei di un’istrice, schiudeva la gola al suo urlo di battaglia, lasciandosi alle spalle una distesa di corpi mutilati. Fintan ne seguì la corsa trattenendo il fiato, ammirato per la sua
audacia. L’uomo percorse un’ampia curva, aprendosi un varco, finché si ritrovò nel folto dell’esercito atrebato. Fu allora che saltò a terra, sfidando gli avversari con grida tonanti. Il fabbro ebbe persino la sensazione di percepire la sua voce, colma di furia e d’ebbrezza, e nel suo intimo invocò il nome della Morrigan, la dea della battaglia, in una benedizione silenziosa. Subito all’intorno la ressa si aprì, disegnando un ampio circolo, al centro del quale il guerriero avanzava. Poco discosto, l’auriga attendeva sulla difensiva, pronto a porgergli le armi di riserva. Scorgendolo, Nardos si tese al fianco di Fintan, imitato dai guerrieri immobili sulla collina. In quell’istante un giavellotto fendette l’aria, diretto al cuore del guerriero. Ma l’uomo fu svelto a levare la spada, deviando il colpo mortale. - Torna sul carro, Bran,- sussurrò involontariamente Nardos, gli occhi fissi sul giovane circondato. Un grido improvviso catturò la loro attenzione, mentre, ai piedi della collina orientale, l’esercito degli Ancaliti ripiegava, rompendosi in rivoli disordinati. Dalla piana giunse un ululato lugubre. - Ritiriamoci!- gridò il guerriero più anziano, volgendosi a richiamare i suoi uomini. Fintan lo guardò interdetto, giusto un attimo prima di venir travolto dalla ritirata. Fu spinto giù dalla collina, confuso da un fiume di guerrieri allo sbando, costretto a correre per non venir calpestato, la vaga consapevolezza del pericolo che si faceva largo nella mente. Tentò di guardarsi attorno, alla ricerca di Nardos, ma il bardo sembrava scomparso, anche lui ingoiato dalla confusione. Decise così di non opporre resistenza e di lasciarsi trasportare dalla ressa. Infine montò a cavallo e prese ad avanzare al galoppo, uscendo dal gruppo e deviando verso nord, nel momento in cui i guerrieri che lo circondavano tornavano a volgere il o verso il campo di battaglia. Infine si immobilizzò, osservando il fiume di uomini che ora si riversava dalle colline vicine. In testa a tutti avanzavano i fanti, i più lenti nella ritirata, mentre i cavalieri proteggevano loro le spalle, impegnando i nemici sulla cima dei declivi, aiutati dai carri disposti in fila a creare una barriera per rallentare l’avanzata degli avversari. Fintan li osservava dilagare nella pianura, impegnato nella ricerca di un volto familiare. Non si avvide così del gruppo di guerrieri che gli si avvicinava alle spalle, le
spade sguainate, la furia disegnata sui volti infuocati. Udì solo le grida, cariche d’odio, che lo assalivano di sorpresa. Quando si volse, ebbe appena il tempo di comprendere che era stato scambiato per un guerriero nemico, prima di percepire una fitta al fianco e precipitare nel buio dell’incoscienza.
Nel folto della foresta, l’ululato delle trombe di guerra giunse soffuso, sovrastando appena il cinguettio degli uccelli. Attraversò l’aria come un’onda di risacca, mormorante oltre il fruscio del vento, e le foglie stormirono alla brezza, senza con questo poterne confondere il lamento. L’istante rimase sospeso; la foresta si zittì. Nel silenzio, uno scalpiccio fece levare il capo al cervo intento a brucare in uno spiazzo celato dagli intrichi. L’animale si tese, fiutando l’aria con le nari dilatate, i piccoli palchi di corna che si rizzavano. Poi spiccò un balzo e svanì nel sottobosco. Contemporaneamente un’imprecazione pervase l’aria, e, da oltre una quercia, un giovane comparve, rilasciando la corda dell’arco e riponendo la freccia. Gli abiti di pelle si confondevano sulla corteccia brunita e solo i capelli scuri spiccavano azzurrini al riflesso del sole nel fitto fogliame. Il volto imberbe era ancora arrossato dalla corsa e gli occhi spiccavano scuri sotto le folte ciglia. Il cacciatore si mosse a lunghi i veloci sino alla radura, per poi fermarsi a scrutare fra i cespugli. Infine levò la mano in un cenno di rassegnazione. In quello stesso istante il rombo si ripeté e la foresta parve risvegliarsi improvvisamente in un turbine di fruscii e frullare d’ali. Il giovane alzò il capo, la stessa espressione guardinga della preda perduta. Un altro ragazzo lo raggiunse, immobilizzandosi al suo fianco. Quando il silenzio tornò a regnare, i loro occhi si incontrarono, complici. Le loro gambe si mossero all’unisono e i due giovani si inoltrarono nel sottobosco, diretti al limitare della foresta. Le lunghe cacce avevano reso silenziosi i movimenti e la familiarità impediva d’intralciarsi il o. Attraversarono con un balzo un torrente, le cui acque turbinose scrosciavano allegre in quella giornata d’estate; poi si lasciarono cadere a terra, celati dai cespugli, a scrutare la radura che si allargava innanzi ai loro occhi. I dolci pendii erbosi erano deserti e solo in lontananza, sulle cime dei colli, si potevano scorgere ombre sospette. Ma il gioco continuo delle nubi impediva di distinguere alcunché con chiarezza.
- I carnyx gridano la loro furia: sono certo che oltre le colline stanno combattendo,- dichiarò in un sussurro il giovane dai capelli scuri. Il compagno si tese, tentando di percepire il cozzare delle armi e il nitrito dei cavalli. - Io non sento nulla,- dichiarò, dopo alcuni istanti di silenzio. - È perché siamo sopravento,- spiegò ancora il primo, facendo cenno al compagno di tacere. Ma lo fece inutilmente poiché il tuono delle trombe si fece udire nitido, strappando loro un brivido. - Sono vicini: credo sia meglio avvisare Anara.I due si scambiarono una nuova occhiata d’intesa. Poi si rialzarono e ripresero la corsa, inoltrandosi nel sottobosco e svanendo, inghiottiti dalla foresta.
Quando aprì gli occhi, Fintan impiegò qualche istante prima di mettere a fuoco il volto chino su di lui. Schiuse le labbra, tentando un movimento, ma il dolore lo immobilizzò, trasformando le parole in un gemito strozzato. - I nostri guerrieri avrebbero potuto farti a pezzi,- gli disse il druido. - Si è destato?- domandò Nardos con foga, chinandosi a sua volta e andogli sul volto un panno umido. Quel tocco fresco parve dare sollievo al ferito, che si rilassò, richiudendo le palpebre. Ma il saggio allontanò il giovane dal giaciglio, guardandolo con aria di rimprovero. Immerso nella penombra, seduto su uno sgabello nel punto più lontano dal letto di Fintan, Lugotorix si mosse e la sua voce echeggiò tonante nel silenzio. - La tua incoscienza non ha limiti: come hai potuto abbandonarlo nel mezzo della battaglia?-
Amorgen si volse, lanciandogli un’occhiata gelida. - Nessuno avrebbe potuto proteggere uno straniero da tanta furia,- dichiarò con voce quieta. Poi aggiunse, guardando il bardo con decisione: - L’errore è stato condurlo nel mezzo di una battaglia. Perché non hai proseguito il cammino sino a Bibrax?- Ero preoccupato: la lontananza e la mancanza di notizie mi hanno indotto a voler osservare con i miei occhi,- disse il giovane, tentando di giustificarsi. - Mettendo così a repentaglio il nostro stesso futuro!- dichiarò ancora, con rabbia, l’uomo in penombra. Amorgen gli si avvicinò, poggiandogli una mano sulla spalla nel tentativo di sedarne l’ira. - Nardos ha compreso il suo errore,- gli sussurrò all’orecchio. - Allora sarà bene che vada a meditarvi sopra in solitudine!- esclamò l’uomo di rimando, sollevando la mano ed indicando l’uscita. A quell’ordine, il giovane si alzò, scostò il lembo di cuoio e svanì alla vista. Le ultime parole che udì mentre si allontanava furono quelle che Amorgen pronunciava in sua difesa. - La colpa di Nardos è grave; eppure il suo cuore è animato da buoni propositi. Non credi d’esser stato troppo duro, Lugotorix?- Troppo duro? Se quest’uomo morrà, le nostre speranze saranno definitivamente perdute!- esclamò il re dei Ancaliti, alzandosi ed accostandosi al giaciglio di Fintan. Come se si fosse sentito chiamare in causa, lo straniero aprì gli occhi, fissando, senza vederlo, il volto serio del guerriero. Il druido si chinò, accostandogli alle labbra una ciotola d’acqua. Fintan tossì e quel moto gli provocò una smorfia di dolore. - Sarà possibile trasportarlo?- domandò ancora il sovrano, serrando le labbra preoccupato.
- È rischioso. Dovremo attendere almeno tre giorni, per vedere se la ferita inizierà a rimarginarsi. Allora potremo issarlo su un carro e condurlo a Bibrax.A quelle parole l’uomo prese a lisciarsi i folti baffi brizzolati, muovendosi nella tenda. - Il grosso dell’esercito è già sulla via del ritorno. Gli Atrebati sono accampati nei pressi del tumulo di Altar e non sembrano intenzionati ad avanzare: l’ingente tributo che ho promesso di versare sembra aver chetato le brame del loro sovrano. Non gli sono bastate le mandrie che ci hanno razziate!- dichiarò Lugotorix, la rabbia che saliva a soffocarlo. Tacque, tentando di calmarsi. Poi riprese: - Il pericolo al momento è ato; ma, nel caso vi trovasse qualche gruppo di sbandati, lascerò un contingente di guerrieri a difendervi. Anche Bran rimarrà a proteggere lo straniero.Il druido annuì. - Immagino vorrai levare le tende all’alba di domani,- indagò. - Domani imboccheremo il cammino per Bibrax, sconfitti,- disse il guerriero, serrando i pugni con violenza. - Attendi il mio ritorno prima di radunare il Consiglio,- lo invitò Amorgen, poggiandogli una mano sulla spalla.- Vorrei essere presente al momento della discussione.L’uomo assentì, il volto pallido, le labbra livide. Tuttavia non era certo che il Consiglio avrebbe gradito l’attesa che il vecchio druido stava chiedendo: la sconfitta era una grave colpa da portare innanzi alla comunità e, al momento, la sua autorità vacillava. Avrebbero voluto la sua morte?, si chiese Lugotorix. - Sono certo che gli Ancaliti non possano trovare un sovrano migliore di Lugotorix,- lo rassicurò il druido, comprendendone il turbamento. - La sconfitta è peggiore della morte!- ringhiò l’uomo, scostando il lembo di cuoio che fungeva da porta. Lanciò un’ultima occhiata al volto pallido del ferito, poi svanì nell’oscurità. Il druido si affacciò dalla tenda e rimase ad osservare il sovrano che si allontanava, i riverberi dei fuochi da campo che disegnavano ombre sul suo cammino, il capo
eretto, punto di riferimento per i suoi uomini, i cui sguardi lo seguirono attraverso l’accampamento. Con la certezza donatagli dalla conoscenza, Amorgen seppe che nessuno avrebbe preteso di occupare il posto di Lugotorix. “Non al momento, almeno”, aggiunse fra sé e sé. Le lunghe guerre avevano mutato la prosperità in sofferenza e privazione. Inoltre lo sguardo degli Dei pareva averli abbandonati: le terre stentavano a dare frutto, infradiciate dalla pioggia insistente. Il grano marciva nei campi e il bestiame non razziato, richiuso nelle alte fortezze sulle colline, smagriva. L’inverno annunciava carestia e la gente cominciava a dubitare del suo sovrano: un re veniva scelto dal popolo per preservare e garantirne la prosperità. Ma ora Lugotorix appariva incerto, incapace a portare innanzi il compito affidatogli. Amorgen sapeva che, già altre volte, le difficoltà incontrate nel sostenerlo innanzi al Consiglio dei Saggi erano apparse quasi insormontabili: anche nel prossimo incontro non sarebbero state da meno. Al suo ritorno avrebbe interrogato le stelle. Con gesto deciso rientrò, escludendo il buio della notte, e tornò a sedere accanto al giaciglio del ferito, detergendone il volto cereo. Fintan si agitò debolmente, per poi ricadere in un sonno tormentato. Il druido lo studiò, poi si toccò la fronte, lanciando agli Dei un appello silenzioso. Nello stesso istante Nardos rientrò, fermandosi sulla soglia ad attendere un cenno del druido. Amorgen annuì e il giovane prese posto al suo fianco, guardando Fintan con espressione affranta. - Sopravviverà?- domandò. - Ha perso molto sangue. Se un branco di lupi l’avesse aggredito, ne avrebbe fatto meno scempio,- dichiarò il saggio, senza mezzi termini.- E poichè a causa tua si trova su un letto di morte, sarai tu ad assisterlo finché non avrà ripreso le forze.“Sempre che le riprenda”, aggiunse il saggio fra sé e sé, formulando una preghiera silenziosa e toccandosi la fronte nel gesto rituale. - E Lugotorix?- chiese Nardos. - Penserò io a lui,- concluse Amorgen. I due si fissarono a lungo, complici. Infine il druido si alzò.
- Tu sai dove dormo: non esitare a chiamarmi per qualsiasi necessità,- disse, lasciando la tenda: altri uomini avevano bisogno della sua presenza, quella notte. Una volta all’esterno si fermò, spaziando con lo sguardo sull’accampamento. I guerrieri usciti incolumi dalla battaglia sedevano attorno ai fuochi senza parlare, i volti chiusi in una desolazione cupa. La sconfitta emanava dal loro silenzio, avvolgendo il campo con il suo manto lugubre. Amorgen levò gli occhi alla ricerca della luna e la scoprì, immobile e tonda, poco sopra le colline ad oriente, velata da nubi leggere. Si toccò la fronte, facendo un respiro profondo. Poi entrò nella tenda che accoglieva i feriti e prese ad aggirarsi fra i giacigli, osservando il lavoro dei guaritori. Fu lì che scorse Bran, seduto accanto ad un giovane guerriero dai folti capelli ricciuti, il cui volto cereo dava l’impressione di giacere senza vita. Amorgen si avvicinò e il fruscio della sua veste fece levare il capo al campione di Lugotorix. Innanzi al pallore del suo volto il druido esitò. Poi, in silenzio, sotto lo sguardo vigile di Bran, scostò la coperta da campo per ispezionare il corpo del ferito. Immediatamente gli fu chiaro che lo spirito lo aveva abbandonato. - Vieni, prendiamo un po’ d’aria,- invitò allora, poggiando una mano sulla spalla del guerriero. L’uomo non oppose resistenza, seguendolo all’esterno. Ma quando il druido tentò di allontanarlo dalla tenda, Bran si ribellò con ferocia. - Nulla può esser fatto per lui,- disse il druido con decisione.- Domani il suo corpo verrà bruciato sul falò rituale e il suo spirito inizierà il viaggio verso la Terra della Giovinezza. Il tuo dolore è un vincolo che lo trattiene in questi luoghi, in un mondo a cui non appartiene più. È necessario che tu gli consenta di proseguire il cammino.Come se quelle parole fossero prive di significato, il giovane si voltò, deciso, tentando di rientrare. Ma il saggio lo bloccò con mano ferma. Al ringhio di risposta del guerriero, molti volti si levarono nella loro direzione e un mormorio colmò l’aria. Allora l’uomo si guardò attorno, ritrovando il senso della realtà. Poi fissò il druido. - Hai bisogno di dormire,- gli disse il saggio. - Credo tu abbia ragione,- dichiarò Bran volgendogli le spalle e fermandosi
nuovamente.- La morte non dovrebbe generare tanto dolore,- aggiunse poi, senza guardarlo.- Voi druidi parlate della vita che attende ciascuno nelle Terre dei Viventi, nella Terra dell’eterna Giovinezza, ma nessuno parla dello strazio di coloro che restano. Sarei dovuto cadere io oggi sul campo di battaglia, e non ritrovarmi ora a piangere la perdita del mio auriga. Avrei dovuto scagliarmi contro le spade degli Atrebati, e falciare quegli uomini senza onore, che nulla sanno fare se non alzare la mano su un servo indifeso, un semplice guidatore di carri.Amorgen avanzò di un o, schiudendo le labbra per parlare, ma Bran non gliene lasciò il tempo. Si allontanò, scomparendo nella tenda assegnatagli, rizzata alla destra di quella di Lugotorix. Allora il druido sedette alla luce di un falò, comprendendo che nessuna parola avrebbe potuto alleviare il tormento di Bran. Gli uomini riuniti si scostarono per fargli spazio e presero ad osservarlo preoccupati: se anche il loro druido aveva perduto la speranza, cosa sarebbe accaduto l’indomani? Quella domanda trasparì talmente nitida dai volti dei presenti, da costringere l’uomo a levare il capo. - La notte è breve e domani vi aspetta una lunga marcia: sarà meglio riposare,dichiarò ad alta voce, rassicurante. Gli uomini continuarono a guardarlo, per nulla sollevati. Allora Amorgen si alzò e si allontanò. Per quella notte non avrebbe potuto fare più nulla.
3. Il calore che risana
Dopo una notte inquieta, il sonno di Fintan s’era finalmente chetato, permettendo a Nardos di distrarsi e di uscire a respirare una boccata d’aria fresca. All’intorno, il campo era già stato levato e i guerrieri erano intenti a caricare i carri per il viaggio verso la capitale. Grida attraversavano l’aria, animando la mattina cupa, nella quale il sole esitava a mostrarsi. Il cielo plumbeo incombeva sulle colline, ingombro di nubi foriere di pioggia, e la bruma stentava a diradarsi in fondo alla valle. Ad accentuare quel grigiore, dalla cima del colle, sbuffi di fumo si levavano dai falò rituali, accompagnati dalla nenia funebre dei druidi. Fra tutti si ergeva Amorgen, e, al suo fianco, Bran i cui capelli restituivano i bagliori delle fiamme. Gli occhi del guerriero erano fissi sulla pira che si consumava veloce, sulla quale il corpo dell’auriga già mutava in cenere, e il suo volto imibile sembrava scolpito nella roccia. Solo lo sguardo rivelava il suo tormento. Nardos rimase ad osservarlo da lontano, sino a quando Bran volse il capo e i suoi occhi lo scorsero. Per alcuni, lunghi istanti, i due rimasero immobili a fronteggiarsi. Poi il guerriero lo raggiunse. - Lugotorix mi ha ordinato di proteggere il ferito,- lo apostrofò con decisione.- È lui l’uomo che hai condotto dalle terre dei Carnuti, il fabbro?Nardos annuì. - Fintan, figlio di Catuverno, druido del Bosco Sacro,- precisò. - Voglio vederlo,- ordinò Bran, facendosi avanti e scostando il lembo della tenda. Avanzò nella penombra, scrutando incuriosito il volto di Fintan. Si chinò sul ferito, studiandone i lineamenti; poi tornò a volgersi verso compagno. - È giovane!- esclamò stupito. - Non più di te,- precisò ancora una volta Nardos. - E sopravviverà?- domandò, riportando l’attenzione sul fabbro. Ma subito sussultò, incontrando due occhi verdi che lo fissavano. Nardos si
avvicinò di fretta, chinandosi su Fintan e rinfrescandogli il volto con un panno umido. - Come ti senti?- chiese. Ma il ferito parve non udire e mantenne lo sguardo fisso su Bran. - Vai a chiamare Amorgen,- ordinò allora il giovane, mentre il guerriero già correva alla volta della collina. L’ingresso del druido fu preceduto da una folata di vento, che turbinò nella tenda rinfrescando l’aria. Poi Amorgen si chinò sul giaciglio, studiando Fintan con attenzione. Gli poggiò una mano sulla fronte e le sue labbra si serrarono con disappunto, trovandola rovente. Il giovane tentò di muoversi, ma il dolore lo obbligò a rilassarsi. - Hai perso molto sangue,- gli disse Amorgen, a verificare che fosse in grado di comprendere le sue parole. - Ho sete,- gli rispose di rimando Fintan, in un soffio. Sollevatolo con cautela, Nardos gli accostò una ciotola alle labbra e, mentre il ferito beveva a piccoli sorsi, Bran si mosse inquieto in fondo al giaciglio. Ancora una volta, gli occhi del fabbro, si fissarono in quelli blu del guerriero. L’uomo si mosse a disagio, scostandosi. - Dove sono?- chiese ancora il ferito, con uno sforzo che parve rubargli ogni energia. - In buone mani,- gli rispose il bardo. Nello scorgere il volto familiare, Fintan parve rilassarsi, poi chiuse gli occhi ripiombando nell’incoscienza. Amorgen scostò le coperte, scoprendo la fasciatura. Bran ebbe un sussulto, scorgendo il corpo martoriato. - Prendi le mie erbe,- invitò il saggio rivolto a Nardos, tagliando le bende di lino che avvolgevano il fianco di Fintan. Lo straniero si lamentò debolmente.
- Non sopravviverà,- dichiarò il guerriero, osservando il volto livido del fabbro e l’espressione preoccupata di Amorgen. Poi rimase a guardarli, mentre il volto di Fintan si imperlava di goccioline finissime. Allora si avvicinò a tergergli la fronte, facendo attenzione a non intralciare il lavoro dei due druidi. Poi aiutò a sollevare il corpo del giovane, mentre Amorgen rifaceva la fasciatura. - Ora so quanto tempo ci vorrà, prima di tornare a Bibrax,- dichiarò, una volta che il lavoro venne ultimato. - Nei prossimi due giorni sapremo se lo straniero vivrà,- disse il druido, guidando Bran fuori dalla tenda. Il guerriero annuì, scostando i ricci scarmigliati dal volto. - Sarà meglio che organizzi il campo e rifornisca le dispense,- concluse, allontanandosi a i svelti nella ressa. Amorgen lo osservò svanire fra i suoi uomini. Poi tornò a sedere accanto al giaciglio, assorto, tentando di decifrare la strana espressione che aveva scorta sul volto di Bran chino sullo straniero.
Un’acquerugiola fine prese a cadere nel tardo pomeriggio, mentre gli uomini rientravano dalla caccia, e per i due giorni seguenti continuò a riversarsi dal cielo plumbeo senza interruzione, trasformandosi talvolta in scrosci violenti. All’interno della tenda di Fintan, l’aria era talmente satura da impedire il respiro, e spesso Nardos era costretto ad aprirne i lembi d’ingresso per consentire alla frescura di inondare lo spazio esiguo. Amorgen non lasciava il giaciglio del ferito se non per pochi istanti, mentre la stanchezza si accumulava, curvandogli le spalle. Ma, nonostante le cure, il giovane peggiorava. Rassegnato, il druido attendeva l’istante in cui la lotta avrebbe avuto termine, e già si domandava come recare la notizia a Oinos ed ottenere nuovamente il suo sostegno. Il bardo si aggirava come un fantasma, il volto cereo: il sonno l’aveva abbandonato e il suo stomaco rifiutava il cibo. Sentiva la responsabilità dell’accaduto pesare sulle spalle come un macigno, per quanto Amorgen non ne avesse fatto più parola. Quando lasciava il giaciglio di
Fintan, era solo per sedere nella tenda della guarnigione, dove gli uomini attendevano, inquieti e annoiati. Seduto fra loro, all’interno della tenda, Bran li osservava con preoccupazione crescente, comprendendo che la pazienza era giunta al limite: dopo i lunghi mesi di lotta, tenere quei guerrieri ancora lontani da Bibrax gli sembrava un’impresa sempre più ardua. Inoltre il clima non era suo alleato: la pioggia impediva qualsiasi movimento, obbligando chiunque a rifugiarsi al coperto e costringendo gli uomini ad un’immobilità forzata, che spesso sfociava in risse immotivate. Bran sapeva che presto avrebbe dovuto pronunciare un ordine che Amorgen non avrebbe gradito. Tuttavia indugiava: i lamenti dello straniero suscitavano in lui fitte di dolore e speranza, mentre gli si ripresentava l’immagine del compagno caduto sul campo di battaglia. Ripensava alle sue ceneri sparse alla brezza e non poteva fare a meno di paragonare la sofferenza di Fintan all’agonia del giovane auriga. Ma, al contrario del compagno, lo straniero aveva la possibilità di sopravvivere. A quel pensiero il suo cuore accelerava i battiti e le sue labbra si schiudevano in un sorriso involontario, suscitando le occhiate interdette dei suoi uomini. E così lo stavano guardando in quel momento, mentre Nardos faceva il suo ingresso nella tenda affollata. Bran si ò una mano fra i capelli, ritrovando la sua espressione imibile e studiando il bardo alla ricerca di novità. Ma il volto cereo del giovane pareva privo di vita. Il guerriero allora lo avvicinò, porgendogli un boccale di birra. Il bardo rifiutò l’offerta, lasciandosi cadere su uno sgabello ad un lato della tenda. In quell’istante il richiamo sordo di un corno colmò l’aria, sovrastando il brusio e zittendo i presenti. Bran si tese, incredulo. Ma quando il brontolio si ripeté, indossò il mantello ed uscì a scrutare la pianura. Gli uomini lo seguirono, fermandosi al suo fianco e guardandosi attorno interdetti. La pioggia aveva dato loro un attimo di tregua e l’aria umida già condensava in bruma. Fra le spire di nebbia che turbinavano sul declivio, un drappello di uomini avanzava a o spedito. Il suono del corno era una voce che percorreva il silenzio, spezzando quell’istante. Bran aguzzò la vista, e il suo volto s’illuminò nel riconoscere Mawgan, il capo delle guardie di Lugotorix. Mosse alcuni i, facendoglisi incontro. - Tempo da lupi, mio caro Bran,- dichiarò il nuovo venuto una volta giunto sulla
sommità del colle.- Le piste sono una palude e la pioggia sembra non aver mai fine. Siamo stati costretti a rallentare il cammino.Bran afferrò le redini, trattenendo il destriero, mentre l’uomo scendeva a terra. Poi i suoi occhi si spostarono sulla scorta. - Vi manda Lugotorix per sostituire i miei guerrieri?- domandò il giovane, speranzoso, riportando l’attenzione sul capo delle guardie. A quella domanda, una voce profonda scaturì dal folto del gruppo e un uomo si fece avanti, il volto celato dal cappuccio. Nel riconoscerla, Nardos parve ritrovare la speranza. - Siamo qui per lo straniero,- dichiarò il vecchio druido scendendo da cavallo. I suoi occhi cerulei si fissarono sul volto di Bran e il guerriero chinò il capo in segno di reverenza, nonostante sapesse che l’uomo non era in grado di scorgere quel moto. - Il tuo arrivo è per noi una speranza, Padre,- dichiarò il guerriero, mentre Nardos poggiava una mano sulla spalla del nuovo venuto. Il vecchio volse il capo e il cappuccio gli scivolò dal volto, rivelando i lineamenti scavati, oltre la barba candida. Gli occhi limpidi, che nulla rivelavano della loro cecità, parvero fissarlo, penetranti. - Giovane Nardos, conducimi dal ferito,- invitò, avanzando di alcuni i. Il bardo assentì, precedendolo, per nulla stupito che il druido l’avesse riconosciuto senza nemmeno udire la sua voce. Da tempo chiunque a Bibrax aveva imparato a non sottovalutare le capacità del vecchio druido, le cui percezioni erano più acute della vista di qualsiasi essere vivente. Molti erano convinti che la sua cecità fosse un dono degli Dei e per questo un’aura di reverenza lo circondava ovunque. Il saggio si mosse con sicurezza, seguendo il cammino di Nardos, mentre all’intorno gli uomini di Bran si scostavano, cedendogli il o. I loro occhi lo seguirono sino a quando scomparve nella tenda di Fintan. Al suo ingresso, Amorgen si levò di scatto, andandogli incontro e stringendogli i
polsi. La sorpresa si mescolava al sollievo sul suo volto stanco. - Che tu sia il benvenuto, Priyos,- dichiarò. Il saggio annuì, sereno, rabbuiandosi subito dopo, nell’udire il rantolo proveniente dal letto del ferito. Allora si sciolse dalla stretta e avanzò cauto sino al giaciglio. Si chinò, percorrendo con la mano ossuta la coperta da campo, sino a raggiungere il volto accaldato di Fintan. Le sue labbra si serrarono. Poi tornò a rizzarsi, liberandosi del mantello. Nardos si avvicinò a recuperare l’indumento e rimase immobile ad osservare il druido che si inginocchiava a lato dello straniero, le sue dita ferme e stranamente possenti. Amorgen lo affiancò. - Sono tre giorni che si trova in questo stato: le mie erbe si sono rivelate inutili,disse con voce spenta. Priyos si volse a guardarlo, con quella luce talmente inquietante negli occhi ciechi da far dubitare chiunque. Sorrise e Amorgen parve rilassarsi. - La stanchezza ti annebbia la mente, amico mio: i tuoi rimedi sono stati in grado di tenerlo in vita e questa è la cosa più importante. Io percepisco la lotta in questo corpo tormentato, ma il dolore è troppo grande perché il cuore possa sopportarlo ancora a lungo.Il vecchio tornò a voltarsi verso Fintan e, scostate le coperte, prese a toccarlo delicatamente, a verificarne lo stato. Si fermò sulle tumefazioni violacee che ne costellavano le membra e sulle bende che celavano le ferite; percorse le lunghe gambe, indugiando sulla caviglia gonfia ed infiammata. Carezzò il volto arrossato, mentre brividi scuotevano il corpo del ferito. Infine chiuse gli occhi e trasse un respiro profondo. Allungò le mani sulla ferita al fianco, poggiandole leggero sui bendaggi che la coprivano. Infine si immobilizzò. Il tempo rallentò la sua corsa, mentre Amorgen e Nardos osservavano in silenzio, trattenendo il respiro, comprendendo il potere evocato dal guaritore. Concentrato sul corpo febbricitante di Fintan, il volto del saggio rivelava una quiete totale, che, a mano a mano, mutava in serenità. Le sue mani si mossero con insopportabile lentezza, sfiorando lievi la carne martoriata. Poi si chio sul capo del giovane, sollevandolo appena dal guanciale. Le dita ne ricercarono la nuca e indugiarono a lungo, esercitando lievi pressioni. Fintan schiuse le labbra, mentre il rantolo si mutava in respiro.
Priyos sorrise, rilassandosi e allontanandosi dal giaciglio. Poi sedette poco discosto. Amorgen gli porse una ciotola d’acqua, che l’uomo accettò senza portarla alle labbra, ma poggiandola sulle ginocchia ossute. La veste da viaggio ricadeva in pieghe attorno al corpo magro, conferendogli una strana aura di fragilità, in contrasto con la potenza che sino a quell’istante l’aveva circondato. Rimase immobile a lungo, traendo profondi respiri regolari, mentre Nardos lo osservava immobile, teso come la corda di un’arpa. Quando il vecchio parlò, ebbe un sussulto che gli strappò un singulto soffocato. - La vostra stanchezza è enorme,- disse Priyos con voce carezzevole.- Rimarrò io con lo straniero: le vostre menti gemono, bramando il sonno. Ci rivedremo quando avrete recuperato lucidità.Nardos schiuse le labbra per protestare, ma il vecchio saggio levò la mano in un gesto imperioso. - Di quale utilità saresti, giovane amico, con le mani tremanti e la vista annebbiata? Il tuo compagno ha bisogno di tutta la forza che potrai donargli: il tuo compito adesso è quello di recuperarla.Amorgen si avvicinò al bardo, poggiandogli una mano sulla spalla e guidandolo all’esterno. Il fruscio del cuoio che si richiudeva confermò al saggio d’esser rimasto solo. Allora l’uomo estrasse da una sacca, che portava legata alla vita, alcune erbe, che lasciò cadere nella ciotola poggiata sulle ginocchia. Quindi attese, ascoltando il respiro del ferito. Quando lo udì farsi nuovamente irregolare, Priyos accostò la ciotola alle labbra di Fintan, obbligandolo ad inghiottire. Infine gli poggiò la mano sulla fronte, gli occhi fissi su un buio che già si colmava di sensazioni. - Quale tormento, giovane straniero,- prese a dire in un sussurro carezzevole.Coloro che credevi amici si sono rivelati nemici; i Maestri tradiscono le tue speranze; credi che la solitudine sia l’unica risposta in grado di fugare la sofferenza. Ma non esiste ricerca più infruttuosa. La morte non dona soltanto sapienza: spesso è anche oblio per coloro che si sono isolati dal mondo.Le parole del saggio scivolavano nel silenzio come una musica lieve, trasformandosi in onde simili alla risacca; colmavano l’aria senza pause, riempiendo il vuoto della tenda di mormorii rassicuranti, che giungevano alle orecchie di Fintan a fugare gli incubi provocati dalla febbre. La sua mente vi si
aggrappava, lasciandosi cullare dalla loro dolcezza, ignara di quale significato avessero, eppure consapevole della tenue luce ch’esse accendevano, guidandolo sulla via del ritorno. Le mani del vecchio si muovevano sul suo corpo, calde e risanatrici, e le sue membra parevano risvegliarsi, vibrando al tocco sapiente. Il sangue riprendeva a fluire con regolarità e le ghiandole a secernere gli umori in grado di mantenerlo in vita. Il dolore a mano a mano si circoscriveva, lasciando la mente libera. Il tempo aveva perduto importanza. Il giorno trascorse e la notte calò profonda, mentre il ticchettio della pioggia era musica uniforme, che si sovrapponeva ai mormorii di Priyos. Le voci lontane giungevano talvolta a spezzare il silenzio, ma le menti dei due uomini erano fuse in una ricerca che allontanava ogni altra percezione. Il sole sorse oltre lo spesso strato di nubi e la luce si diffuse fra le colline, grigia come l’inverno che già si annunciava nel vento gelido, intento ad arruffare i declivi. Stormi di anatre volavano verso sud e il loro grido ricadeva aspro sulla terra, penetrando il torpore di Fintan. Priyos, seduto al suo fianco, era pronto a percepire ogni minimo movimento; così, quando il giovane schiuse gli occhi, il vecchio accolse il suo risveglio con un sorriso. - Bentornato fra noi, giovane straniero,- gli disse, rizzandosi sullo sgabello e poggiando le mani sulle cosce magre. Fintan rimase alcuni istanti ad osservarlo, faticando a mettere a fuoco il suo volto. Poi sollevò una mano con cautela, mentre fitte si irradiavano dal fianco leso e dalle costole incrinate. Si toccò, a verificare il suo stato, in uno sforzo che gli mozzò il respiro; poi lasciò ricadere il braccio, esausto. Il vecchio druido si chinò a portargli alle labbra una ciotola d’acqua, che il giovane sorbì con avidità. - Il peggio è ato ed ora la febbre sta scendendo,- continuò il saggio.- Presto ti porteremo a Bibrax, dove potrai trascorrere la tua convalescenza: in questa pianura desolata abbiamo delle difficoltà a fornirti ciò che ti serve.Il fabbro si guardò attorno senza curiosità, per poi riportare l’attenzione sull’uomo seduto al suo fianco, i cui occhi cerulei parevano in grado di penetrare sin nei recessi della sua anima. Distolse lo sguardo, improvvisamente intimidito
e si soffermò a studiarne le mani. La mente annebbiata, non era ancora certo che ciò che i suoi occhi vedevano fosse reale. - Il mio nome è Priyos, druido del popolo dei Ancaliti,- continuò il saggio con voce profonda.- Comprendo la tua confusione, ma vedrai che presto la tua mente sarà in grado di ritrovare il senso di ciò che ti circonda.L’uomo si chinò ancora una volta a poggiargli una mano sulla fronte e subito le palpebre di Fintan si fecero pesanti, accogliendo il sonno che il saggio invocava su di lui. Il respiro si fece regolare e i muscoli tornarono a rilassarsi. Quando il vecchio fu sicuro che il ferito si fosse riaddormentato, si alzò e uscì nella luce incerta. Mosse alcuni i, seguendo le voci lontane. Un fruscio gli annunciò l’arrivo di Amorgen: il suo incedere deciso era inconfondibile. - Domani potremo tornare a Bibrax,- annunciò Priyos.- Sarà meglio avvertire Bran perché organizzi i preparativi.Amorgen annuì. - Non so proprio come avremmo fatto senza il tuo aiuto,- disse, poggiandogli una mano sul polso in una confidenza insolita. Priyos lo fissò con quel suo sguardo inquietante e, involontariamente, il capo druido dei Ancaliti arrossì come un fanciullo. - Credo sia meglio che il ferito alloggi nella mia casa, per i primi tempi, se tu sei d’accordo,- gli rispose il saggio di rimando. Amorgen chinò il capo in un assenso. - Non vedo soluzione migliore,- confermò. Il vecchio allora si volse, tornando sui propri i, mentre lo sguardo del compagno lo seguiva attento, una vaga ostilità che si faceva largo nel cuore. Ora che il pericolo era ato, la rabbia stava prendendo il posto del sollievo. Amorgen si diresse alla tenda di Bran, senza comprendere che il suo rancore era un tocco infuocato per la mente di Priyos.
4. Un volto e un presagio
Una pioggia battente cadeva quel giorno su Bibrax, disegnando una cortina compatta. La donna avanzava, avvolta nel mantello cerato, accelerando il o nonostante il terreno scivoloso, seguita dall’apprendista che Priyos aveva inviato a convocarla. Raramente il vecchio druido chiedeva la sua presenza a Bibrax e quell’appello, unito all’urgenza che traspariva dalle parole del ragazzo, l’avevano messa in apprensione. E difatti il saggio aveva esitato nel chiedere il suo intervento: solo quando le condizioni di Fintan avevano ripreso a peggiorare, e la febbre l’aveva portato sull’orlo del delirio, s’era convinto della necessità dell’intervento di Anara. La donna levò lo sguardo sulla città arroccata, parzialmente celata dalla cortina di pioggia, le cui mura candide parevano l’unico bagliore in quella giornata grigia. Poi spostò lo sguardo alla sua sinistra, dove il fiume disegnava un’ampia curva, dividendosi in due rami distinti, e arrivando a lambire le pendici del colle, per poi unirsi poco più a valle, nei pressi del guado. Le sue acque, abitualmente chete, si muovevano turbolente, ingrossate dai frequenti rovesci che s’erano susseguiti sin dal rientro dei guerrieri, al termine delle battaglie. Oltre quelle sponde, la foresta sembrava avvolta da spire di nebbia, mentre la prateria, verso sud, s’era mutata in fanghiglia. La donna riportò lo sguardo sul sentiero, che iniziava a inerpicarsi, mentre rivoli ne segnavano i lati, come minuscoli torrenti. Percorse le curve che addolcivano la salita, infine si inoltrò fra le querce, mentre il terreno tornava in piano. Quando la radura si aprì, rivelando la sorgente sacra, la donna si toccò la fronte nel segno rituale. Costeggiò le rive del laghetto principale, dal quale si levavano volute di vapore, aggirò le pozze più piccole, che sembravano voler tracimare, infine tornò a salire, sino a raggiungere la porta della città. Quando fece il suo ingresso nella capanna di Priyos, il vecchio si levò ad accoglierla. - Ti ringrazio per essere venuta,- disse il druido, liberandola del mantello e porgendolo all’apprendista. - Ho avuto la sensazione che fosse urgente,- rispose la donna, avanzando
nell’alone delle fiamme, e i lunghi capelli castani, nei quali si scorgevano rari fili grigi, stretti in una folta treccia serpeggiante lungo la schiena, riverberarono di bagliori dorati. La sua voce calda percorse la stanza, provocando in Priyos l’abituale brivido di piacere. Il vecchio sorrise e Anara si volse a guardarlo. - Avevo ragione?- domandò, osservandosi attorno e notando infine la figura stesa nel giaciglio. Piegò il capo, comprendendo la situazione.- È un guerriero degli Atrebati?- chiese. - Appartiene ad una tribù del continente: i Carnuti.Anara fissò i suoi occhi cristallini sul volto del saggio e l’uomo parve sussultare, come se fosse stato toccato da una lama rovente. - Dunque proviene dai territori che ospitano quello che viene chiamato Bosco Sacro,- disse quieta, lasciando intuire all’uomo che aveva compreso.- E sembra che abbia bisogno di aiuto.La donna si accostò al giaciglio, ma quando i suoi occhi scorsero il volto addormentato di Fintan si immobilizzò, raggelata. Il sangue defluì dalle sue guance e i pugni si serrarono lungo i fianchi, mentre il respiro le si smorzava in gola. Percependo la tensione, Priyos si avvicinò. - Conosci quest’uomo?- chiese, poggiandole una mano sulla spalla. Anara annuì impercettibilmente. Da tempo quel volto giungeva ad abitare le sue visioni e sempre il suo corpo era percorso da brividi diacci. Tuttavia, per quanto avesse cercato nelle pieghe del tempo, nulla era stato rivelato, se non la certezza di una sciagura imminente che lo accompagnava. Aveva creduto, quindi, che quelle immagini fossero solo un avvertimento, inconsistente quanto le spire di nebbia. E adesso che i suoi occhi scorgevano quel giovane immobile e indifeso sul giaciglio, il suo cuore tremava, incredulo. - I suoi lineamenti mi sono noti, ma non il suo destino,- rispose Anara, facendo un respiro profondo e recuperando la calma. “Probabilmente farei meglio a lasciare le cose come stanno”, si disse di sfuggita, comprendendo che a breve lo spirito avrebbe abbandonato il corpo del giovane.
Invece si chinò, scostò le coperte e, sciolte le bende, studiò la ferita tumefatta, ricoperta d’una poltiglia di muschio e foglie macerate. Fece un cenno a Caolan, l’apprendista di Priyos, che recò un bacile. Si sciacquò le mani, poi il fanciullo, sostituita l’acqua, iniziò a porgerle l’occorrente. Delicatamente ripulì la parte lesa, suscitando un sussulto di Fintan, che si svegliò in un lamento. Quando i suoi occhi incontrarono il volto della sconosciuta ebbero un attimo di smarrimento. Schiuse le labbra, ma dalla sua gola non uscì suono, mentre la fronte s’impelava di sudore a quel debole sforzo. - Dovresti evitare di agitarti,- chiese la donna gentilmente.- Non impiegherò molto tempo.- Poi si rivolse a Priyos.- La ferita è suppurata, ma l’infezione è appena agli inizi. Sarà necessario incidere per farla spurgare.Caolan osservò il saggio, che chinò il capo in un assenso. Poi rigirò tra le fiamme la lama di un coltello, che porse ad Anara. Il vecchio druido si chinò a stringere le spalle di Fintan, mentre l’apprendista lo afferrava alle cosce, per tenerlo fermo. Anara tolse i punti di sutura e, quando la lama incise la carne, un liquido giallastro prese a colare, lento. Fintan si contorse, digrignando i denti in un grido roco. Quando scivolò nell’incoscienza per il dolore, Anara potè ultimare il lavoro con maggior tranquillità. Una volta che la ferita fu ripulita, poggiò le mani sulla parte lesa. Chiuse gli occhi e trasse un respiro profondo, mentre il calore si diffondeva dai suoi palmi lungo il corpo del giovane druido. Priyos sedeva poco discosto, in attesa, mentre Caolan poneva sulla pietra del focolare una ciotola d’acqua, a preparare l’infuso che avrebbe tenuto a bada il dolore. Quando la donna tornò a levarsi, il fanciullo prese posto sulla panca a ridosso della parete. - Non c’è altro che possiamo fare,- annunciò la donna, sedendo accanto al focolare.- Ma, dato che, come sai, le mie visioni non sbagliano, direi che molte lune ancora illumineranno il futuro di questo giovane.- Forse è colui che attendevamo,- suggerì Priyos, cauto, poggiando i gomiti sulle ginocchia e protendendosi verso di lei. Anara scosse il capo. - Ne dubito,- prese a dire.- Tuttavia, come sai, da tempo le mie visioni si stanno indebolendo, di pari o con l’antico insegnamento. Il sogno sta prendendo il sopravvento e la realtà mostra i suoi bagliori con sempre minor frequenza.
Nemmeno le meditazioni possono molto: le leggi e i vincoli che la natura impone si stanno rafforzando. Persino la mia gente si sta smarrendo, persone che, al pari di me, hanno appreso la conoscenza dei nostri padri sin da bambini. Tu stesso lo percepisci. Quindi non è escluso ch’egli possa essere colui che dici. Sarà il tempo, però, a fornirci le risposte.- Fintan è giunto dal Bosco Sacro su richiesta di Amorgen, e quando il suo compito sarà concluso, lì farà ritorno,- prese a spiegare Priyos.- Egli è un druido, istruito nella conoscenza dai migliori Maestri. Tuttavia è anche un fabbro, e dovrà fornire l’esercito di Lugotorix dell’occorrente per le prossime battaglie.- Questo non è importante,- dichiarò Anara, levando una mano in un gesto noncurante.- Forse la richiesta di Amorgen è il pretesto che l’ha condotto a questi luoghi. Ma se, come tu suggerisci, fosse colui che attendevamo, allora il suo destino va oltre il desiderio dell’uomo che l’ha convocato. Tuttavia, l’unica certezza è che la sua presenza è fonte d’inquietudine e nulla di buono deriverà dal suo arrivo a queste terre.Anara si alzò e tornò ad osservare il volto di Fintan. Infine afferrò il mantello e si rivestì. Priyos si avvicinò a stringerle i polsi e gli occhi della donna indugiarono sui lineamenti familiari. Poi allungò una mano in una carezza, affondando le dita nella barba candida. - Hai tutta la mia gratitudine,- sussurrò Priyos, accentuando la stretta. La donna chinò il capo in un sorriso mesto. Poi aperse la porta e scomparve in un turbine di pioggia. Improvvisamente la stanza apparve vuota, gelida, nonostante il fuoco scoppiettante. E, come sempre gli accadeva quando Anara li lasciava, Caolan provò una strana sensazione di perdita, mentre ancora fissava la porta chiusasi alle sue spalle.
Lugotorix sedeva su un seggio dall’alto schienale, ricoperto da una pelle d’orso, simbolo di sovranità. In piedi alla sua destra, Bran fissava Priyos, e nei suoi occhi si muovevano ombre inquiete, mentre un esperto guaritore, innanzi al Consiglio, tempestava il druido di domande. - Insomma,- intervenne il sovrano, interrompendo la discussione.- Quando lo straniero potrà iniziare il lavoro?-
Priyos volse il capo nella sua direzione, l’espressione severa. Bran chinò il capo, distogliendo lo sguardo. - La fucina è già allestita e gli apprendisti sono impazienti,- intervenne un uomo dai folti baffi spioventi e il viso affilato come una lama.- Sono già trascorse due lune da quando lo straniero è giunto alle nostre terre.- Non sono stati i miei guerrieri ad assalirlo,- rispose semplicemente il druido, rivolto al rappresentante dei fabbri di Bibrax. A quelle parole Lugotorix si mosse spazientito. Bran tornò a guardare il druido immobile al centro della stanza. La tunica candida riluceva, conferendogli un aspetto fragile e, contemporaneamente, possente. - Tu l’hai visitato, Amorgen?- insistette il re, volgendosi nella direzione dell’interpellato. Nell’udire quella domanda il saggio si alzò e si avvicinò al sovrano. - Priyos ha ragione,- dichiarò deciso, nonostante la sua espressione dimostrasse che avrebbe preferito non esser stato chiamato in causa.- Fintan ha ancora bisogno di riposo.Un mormorio percorse i presenti, mentre il rappresentante dei fabbri si alzava con espressione minacciosa. - Lugnasad è ato ed ora Samain è alle porte. Per forgiare tutte le armi di cui abbiamo necessità ci vorranno ben più di tre lune! Non c’è tempo: lo straniero deve mettersi al lavoro.A quelle parole un nuovo brusio si levò dai presenti, mentre il rappresentante dei guerrieri alzava le mani richiamando l’attenzione. - I miei uomini sono impazienti. Vogliono tornare sul campo di battaglia e vendicare l’affronto subìto: a primavera le mandrie degli Atrebati torneranno a pascolare nei pressi del tumulo di Altar. Per quella data dovremo essere pronti e nuove armi dovranno brillare nei foderi.Dal fondo della stanza si levò un grido infuriato e uomo massiccio, dalla faccia tonda come una luna piena, si fece largo nella ressa. Tutti si volsero nella sua
direzione. - Tutti voi parlate delle nuove armi,- dichiarò, avanzando a i nervosi.- Ma nessuno ha verificato se le scorte dei nostri magazzini sono sufficienti.Gli occhi di tutti si fissarono sul suo volto, le labbra schiuse, in attesa. - Spiegati meglio, Bechthir,- invitò Lugotorix con decisione. - Siete tutti impegnati a contare i lingotti di rame e stagno, addirittura vi trastullate guardando i lingotti di ferro inviati da Oinos!- Vieni al dunque, Bechthir,- sollecitò Amorgen, impaziente. - Nessuno ha controllato le scorte di cereali che, giorno dopo giorno, si assottigliano. Già sono state consumate le razioni di carne affumicata che avrebbero dovuto servire per l’intero inverno ed ora, le mandrie dimezzate dalla razzia degli Atrebati, anche latte e formaggio scarseggiano. Per non parlare dei tributi che siamo costretti a versare e che ancor più alleggeriscono le nostre riserve.A quella notizia la confusione invase la capanna, mentre i presenti fissavano Lugotorix in attesa di risposte. - La situazione al villaggio delle fattorie?- chiese Amorgen, mentre all’intorno tornava il silenzio. - A causa delle piogge, l’orzo e l’avena sono marciti nei campi prima ancora che maturassero. Le loro scorte sono più esigue di quelle di Bibrax.- Dovremo attingervi comunque,- dichiarò il druido, considerando chiusa la questione. Bechthir schiuse le labbra, ma fu Priyos ad intervenire. - Se i contadini morranno di fame, chi coltiverà i nostri campi la prossima primavera?- domandò con voce possente, suscitando un nuovo coro di proteste.Non possiamo privarli delle loro scorte per l’inverno.- Se le armi saranno pronte in primavera, potremo riprenderci ciò che gli
Atrebati ci hanno tolto e così riempire nuovamente i magazzini,- intervenne il capo dei guerrieri, sovrastando la confusione con voce tonante. Al centro della sala la discussione si accese, mentre dalle panche gli uomini gridavano suggerimenti, unendosi al gruppo già fitto. Bran si sporse a guardare il volto pensoso di Lugotorix; poi intervenne a riportare la calma. Tutti tornarono ai loro posti e solo Priyos e Amorgen rimasero immobili innanzi al sovrano. A quel punto Lugotorix si alzò, comprendendo l’assemblea in un’ampia occhiata. Il silenzio divenne totale. - Poiché i magazzini si svuotano con troppa rapidità, a tutti sarà richiesto un sacrificio: le razioni verranno dimezzate. L’inverno è ancora lungo e numerosi sono gli abitanti di Bibrax. Il compito rimane affidato a Bechthir, il quale dovrà aggiornarmi costantemente sulla situazione. Egli è inoltre autorizzato ad attingere alle scorte dei contadini, ma solo se indispensabile.- Nell’udire quelle parole, Priyos si fece avanti per protestare, ma Lugotorix gli lanciò un’occhiata di fuoco e Amorgen lo bloccò con decisione. Il sovrano continuò imperterrito.Inoltre il bisogno del nostro popolo di nuove armi si fa impellente: lo straniero dovrà essere affidato alle mani di Amorgen ed entro la prossima luna dovrà essere in grado di iniziare il suo lavoro. Che ora ciascuno ritorni alla propria casa e le discussioni vengano sospese.L’uomo tornò a sedere, mentre il brusio ricominciava a crescere e i presenti si attardavano in capannelli. Quando gli occhi di Lugotorix incontrarono quelli di Priyos, un brivido lo scosse. Nel percepire quel moto, Bran si chinò ad osservarlo. - Vai pure, Bran,- invitò il sovrano con voce stanca.- Ascolta tu le proteste di quel vecchio caparbio.Il giovane si volse, una strana sofferenza che traspariva dallo sguardo. Poi avanzò deciso alla volta di Priyos. - Posso accompagnarti alla tua capanna, Padre? La neve è alta e il cammino impervio.Il tono di urgenza che traspariva dalla voce del giovane attirò l’attenzione del saggio, che annuì in un ringraziamento muto.
Quando Priyos si fu allontanato, Amorgen parve respirare più liberamente. Osservò le due figure che sparivano nella ressa, poi raggiunse Lugotorix. Gli sussurrò qualcosa all’orecchio, senza notare che la mente dell’uomo era distante: gli occhi fissi sulla chioma bionda di Bran, il sovrano lo seguì con lo sguardo, finché non scomparve nella notte, richiudendosi la porta alle spalle. All’esterno il vento soffiava gelido, levando turbini di neve fresca dai tetti spioventi delle capanne. Ma il cielo era sgombro e le stelle scintillavano nell’aria limpida. Un’esile falce di luna troneggiava al mezzo del suo corso. Priyos poggiò una mano sulla spalla del giovane, rallentando volutamente il o, nonostante il freddo intenso. Bran lo assecondò, esitando, alla ricerca delle giuste parole. - Pensi realmente ciò che hai detto in Consiglio?- domandò. - A cosa ti riferisci di preciso, Bran?- A proposito dei contadini, e della necessità di non privarli delle scorte, anche se per nutrire i guerrieri che dovranno difenderli e proteggere le nostre terre.Priyos sorrise. - Tu che cosa ne pensi?Bran esitò. - Io condivido il tuo pensiero. E credo che anche Lugotorix sappia che le tue parole dicono il vero. La fame accende gli animi e affila le spade.- Quindi cosa credi sia meglio fare?- chiese il druido, con voce quieta. Il giovane si volse a guardarlo, colto di sorpresa. La politica era una cosa che non destava il suo interesse e raramente veniva chiamato in causa in questioni che esulavano dalle battaglie. - Credo che la cosa migliore sia tentare di parlargli.- Priyos annuì e Bran continuò.- Tu sai che Lugotorix è un uomo saggio. Tuttavia, dal giorno della sconfitta con gli Atrebati, il suo cuore non sembra trovare pace: parla unicamente di vendetta, fomentato dalle parole dei consiglieri.-
- Ho l’impressione che tu non condivida i suoi sentimenti. Non vuoi tornare a combattere?- In ogni momento sono pronto a scendere in campo e vendicare l’onore degli Ancaliti,- dichiarò il giovane con fervore.- Tuttavia ho l’impressione che non sia il giusto tempo.- Una folata di vento li investì, interrompendoli e riversando su di loro spruzzate di neve fresca. Bran levò le mani a proteggersi il volto. Poi si strinse ancor più nel mantello.- Vuoi entrare?- domandò il saggio, fermandosi innanzi alla porta.- È da quando siamo tornati, dopo la battaglia, che non hai messo piede nelle mia capanna.Bran scosse il capo, il volto serio, le labbra serrate. La luce flebile della luna strappava bagliori ai suoi ricci scomposti. Priyos percepì un’ansia oscura calare nel cuore del guerriero. Così evitò di insistere e rimase ad ascoltare il rumore dei suoi i svanire nella notte. Levò il volto e la carezza del vento penetrò la lana spessa, strappandogli un brivido. Poi si volse e, dopo un breve indugio, entrò nel tepore della capanna.
5. Parole di saggezza
Quella sera, quando Fintan, per la prima volta da molto tempo, si alzò, provò la strana sensazione che il viaggio che l’aveva condotto sin dalle terre dei Carnuti si fosse concluso. Comprese che la lunga convalescenza altro non era stata che una parentesi rassicurante, nella quale aveva indugiato volentieri, isolato dalla realtà. La sua vita aveva rallentato improvvisamente, perduta in frammenti ingoiati dal tempo, ed ora, in quell’istante in cui muoveva quel primo o, aveva ripreso la sua corsa. Una vertigine lo colse, ma Priyos fu svelto a sostenerlo, sorprendendolo con la sua forza. D’altra parte Fintan non poteva comprendere quanto il suo corpo fosse smunto, né immaginare il tempo necessario per riacquistare le energie di un tempo, quelle che permettevano al suo braccio di forgiare il metallo sull’incudine. Sedette, poggiando la schiena alla parete, in un sospiro di sollievo. Priyos occupò il posto di fronte, oltre il focolare. - Tutto bene, giovane Fintan?- domandò. A quelle parole il fabbro sorrise in un ghigno sarcastico. - Mi spiace deluderti, vecchio Priyos, ma, poiché i tuoi occhi non possono scoprirlo da soli, sono costretto a rivelarti di non esser più un fanciullo,- dichiarò tra il faceto e il turbato.- Quindi sarebbe bene che smettessi di trattarmi con troppa condiscendenza.Il saggio sorrise, colmando un boccale di birra. - Oh, lo so bene!- dichiarò divertito.- Ma forse è perché provo la sensazione d’essere più vecchio delle montagne che mi è più semplice trattare gli uomini più giovani come fanciulli. D’altra parte, alla tua età io già avevo veduto il mondo.Fintan annuì, scostando un ciuffo ribelle e studiando il volto del compagno: in quell’istante provava la sensazione che le parole dell’uomo dicessero la verità.
Osservò il corpo smilzo, le lunghe gambe ossute protese verso il focolare, la barba canuta che si confondeva sulla tunica candida, i capelli folti, anch’essi bianchi come neve, intrecciati sulla nuca e trattenuti da un legaccio di cuoio. Ma l’espressione inquietante degli occhi ciechi pareva smentire quell’aura di debolezza e vetustà che il corpo di Priyos pretendeva di emanare. - Tu non appartieni alla tribù dei Ancaliti,- gli disse, indagando.- Un giorno mi dicesti d’esser giunto in questi luoghi in tarda età. Qual è il nome del tuo popolo?Priyos sorrise, poggiando il capo alla parete. All’esterno il vento ululava, scuotendo la capanna e diffondendo scricchiolii sinistri. - Il mio popolo…- ripeté il saggio riordinando i ricordi.- Credo che affermare d’appartenere ad un unico popolo sia per qualsiasi uomo troppo limitante. I luoghi che ho visitato, coloro che ho conosciuto, mi hanno insegnato che l’uomo è tale in qualsiasi parte del mondo, sempre lo stesso, con i suoi limiti e le sue debolezze. La vita mi ha sorriso, giovane Fintan: i miei viaggi, alla ricerca della conoscenza, mi hanno donato una ricchezza che nessuno può comprendere. Il mondo è talmente grande…Il fabbro sorrise, rapito dalle parole del compagno. - Non ho mai provato il desiderio di esplorare il mondo,- dichiarò, assorto, ripensando alla sua fucina a Cenabum. - Gli Dei affidano a ciascuno una propria ricerca,- continuò il saggio.- La mia mi ha obbligato a percorrere molte leghe a bordo di navi fenice. Sono approdato in Etruria e ho veduto coi miei occhi le grandi fornaci bruciare sulle colline al soffio del vento; ho ammirato lo splendore di Atene, parlato con i migliori filosofi della scuola di Aristotele. Ho toccato con mano la potenza di Tiro, per poi spingermi sin nel cuore dell’impero persiano. Ho conosciuto menti sottili e argute; lingue sapienti mi hanno affascinato con interminabili discussioni, alla ricerca della Verità. Fu a causa degli studi compiuti con i Sacerdoti del dio Ra, in Egitto, che i miei occhi si indebolirono. Ricordo le lunghe notti trascorse ad osservare il moto degli astri, lo studio dei movimenti del sole all’orizzonte: innumerevoli albe; innumerevoli tramonti. Lo stupore delle eclissi mi aveva colpito sin da fanciullo, ai tempi in cui studiavo al Bosco Sacro. Ma solo nelle terre dei Faraoni credetti di comprendere a pieno il loro mistero. Non sapevo
ancora quanto mi ingannassi: gli occhi dell’uomo sono una fonte d’errore.Fintan lo ascoltava attento, rapito dalla luce serena che emanava dal volto del vecchio, perduto nei ricordi. Nello scorgere la sua quiete, una fitta d’invidia gli strinse il cuore. Priyos parve percepirla e sorrise. - La tua vita è ancora lunga, giovane Fintan, la tua ricerca solo agli inizi. Io, invece, che già ho contato cinquantuno Samain, giorno dopo giorno, mi domando perché gli Dei si ostinino a lasciarmi vagare fra queste colline. Probabilmente perché non tutte le mie domande hanno trovato una risposta soddisfacente!- L’uomo ridacchiò.- Ma so anche che molte rimarranno prive di risposta. Forse è per questo che mi trovo ancora qui: sono rassegnato a non sapere nulla.Fintan si premette una mano sul fianco, tentando di ignorare le lievi fitte che lo tormentavano. Intuendolo, il volto di Priyos s’adombrò. - Sarà meglio che torni a sdraiarti,- lo invitò gentilmente, avvicinandosi per sostenerlo. Il giovane si alzò a fatica e, a i lenti, guadagnò il giaciglio. Rilasciò il capo sul guanciale e chiuse gli occhi: stretta nella sofferenza, la sua mente evitava di pensare. Ma il saggio lo obbligò ad uscire da quel torpore. - Come sei diventato fabbro, giovane Fintan?- chiese, tornando a sedere a ridosso della parete e sorbendo un lungo sorso di birra dal boccale di terracotta. Fintan aprì gli occhi, fissando il tetto di paglia che si curvava alla sua sinistra, terminando sul muro di sostegno, contro il quale si ergeva, lungo tutta la circonferenza della capanna, un rialzo di terra, rivestito d’assi, che fungeva da panca. Alla grossa trave centrale erano fissati numerosi ganci, dai quali pendevano involti d’erbe medicamentose. Per un attimo si domandò come il saggio potesse riconoscerle. - Mio padre era un fabbro,- rispose.- Sin da piccolo giocavo nella sua fucina. Ricordo quanto mi affascinasse l’aspetto del metallo che colava dal crogiolo: esso aveva in sé la potenza del fuoco. O meglio, avevo l’impressione che le mani di mio padre fossero in grado di dominare i suoi segreti.- Sorrise.- Ero ancora un bambino.-
- È per questo che diventasti druido? Per domare la potenza del fuoco?- chiese ancora Priyos, poggiando i gomiti sulle ginocchia e rigirando fra le dita il boccale vuoto. Fintan volse il capo a guardarlo. - Non me lo sono mai domandato,- rispose.- Ricordo il giorno in cui mio padre mi portò innanzi al Custode del Bosco Sacro: ero piuttosto intimorito. Chissà cos’ha veduto in me quel saggio.- Forse ha saputo guardare nel profondo dei tuoi occhi,- disse Priyos con sicurezza. La risata del giovane colmò la capanna, priva d’allegria. Poi si spense nel silenzio. Gli scoppiettii della legna si levarono prepotenti a colmare quel vuoto improvviso, mentre i due uomini tacevano, immersi nei loro pensieri. - Domani ti trasferirai nella capanna di Amorgen,- annunciò ad un tratto il saggio, facendo sussultare Fintan. Il giovane tornò a guardarlo, turbato: per la prima volta da mesi la consapevolezza della realtà, fino a quell’istante ignorata, si fece sentire con prepotenza. Comprese che era giunto il momento di riprendere contatto col mondo: una nuova fucina lo attendeva e lo attendevano nuovi apprendisti, pronti ad ascoltare parole ch’egli avrebbe preferito non pronunciare. Ma seppe anche che la lotta iniziata nelle lontane terre dei Carnuti sarebbe rimasta celata nel suo cuore, soffocata dalla quotidianità, dai gesti ripetitivi che avrebbe dovuto compiere giorno dopo giorno. - Ho abusato fin troppo della tua ospitalità,- dichiarò con finta noncuranza, senza comprendere il motivo che lo allontanava dalla casa di Priyos. - In realtà credo che il capo druido degli Ancaliti non si fidi del mio operato,spiegò allora il saggio, sorridendo divertito.- È convinto ch’io voglia impedirti di iniziare il tuo lavoro.- Avresti un motivo per farlo?- domandò Fintan, improvvisamente attento. Il vecchio tacque, pensoso.
- Tu cosa credi?- gli chiese di rimando. La risata di Fintan percorse l’aria. - Rispondi sempre alle domande con nuove domande, Priyos?- Spesso,- confermò il saggio.- Ma è soltanto perché sono convinto che qualsiasi risposta sia già celata nel cuore di ciascuno.- O forse perché preferisci non affrontare l’argomento,- lo stuzzicò il giovane. Priyos si alzò, ridacchiando divertito, e stirando le membra in uno sbadiglio soffocato. - Forse…- dichiarò, in una risposta carica di sottintesi. Poi si chinò a ravvivare il fuoco, deponendovi un grosso ceppo che, trasformato in brace, avrebbe riscaldato la capanna per l’intera notte. - Il fatto è che, comunque, domani dovrai trasferirti da Amorgen. Caolan ti aiuterà a trasportare il tuo bagaglio.L’uomo si chinò a frugare nel baule ai piedi del suo giaciglio ed estrasse un oggetto minuto che strinse nella mano ossuta. Poi lo lasciò ondeggiare sul capo di Fintan. - Vorrei che tu accettassi questo dono,- disse con voce profonda. Il giovane allungò una mano a stringere la pietra legata ad un esile laccio di cuoio: sulla superficie levigata era tracciato uno strano occhio, sottolineato da un linea ricurva, terminante a ricciolo. - Cosa significa questo simbolo?- chiese, rigirando l’oggetto fra le mani. - È un invito a non soffermarsi mai all’apparenza delle cose. La vista può trarre in inganno: ricordalo sempre, giovane Fintan.A quelle parole un brivido lo scosse, mentre Priyos si voltava e si sdraiava sul giaciglio, considerando chiusa la conversazione. Fintan rimase a fissare a lungo quel dono insolito, mentre la penombra avanzava
nella stanza. Infine lo legò al collo, assieme all’amuleto che dimostrava la sua appartenenza all’Ordine dei Druidi. Poi chiuse gli occhi, tentando di ignorare l’inquietudine che lo pervadeva. Ma il sonno tardava a venire. Tentò di liberare la mente ascoltando il respiro regolare di Priyos e una sensazione di smarrimento lo sommerse. Avrebbe preferito non lasciare quell’uomo, continuare le conversazioni che colmavano le sue giornate, sorbire la musica serena delle sue parole. Molte erano le domande che avrebbe voluto rivolgergli, poche le risposte che sino a quell’istante aveva ottenuto. Ma, di questo era certo, il rispetto suscitato in quei mesi di convalescenza gli avrebbe impedito di lasciare a lungo quella casa. Strinse nel pugno la pietra donatagli e la consistenza dell’amuleto parve dargli conforto. Duro e tangibile contro una realtà mutevole, quel ciondolo focalizzò le sue sensazioni. I pensieri si spensero e le palpebre si chio. Quando il sonno giunse, il cielo cominciava appena a schiarire.
Quel giorno, quando Fintan lasciò la capanna di Priyos, il sole occhieggiava pallido nel cielo rannuvolato, e i suoi raggi, ampliati dal riverbero della neve, diffondevano all’intorno un’insolita allegria e un tepore inaspettato. Dai ghiaccioli formatisi sul bordo dei tetti spioventi stillavano gocce cristalline, formando ampi crateri sulla neve fresca. Allettati dalla giornata, gli abitanti di Bibrax erano usciti dalle case e si affannavano a spalare la neve in alti cumuli ai lati delle porte d’ingresso. Gli alberi spogli parevano coronati da gemme. La piccola processione avanzava nelle vie, adattandosi al o faticoso dello straniero. Innanzi a lui Amorgen levava la mano in saluti e alle sue spalle Caolan conduceva il cavallo di Fintan. Chiudeva il drappello un ragazzo magro, dal volto lentigginoso e dai folti capelli fulvi. Occhi incuriositi li seguivano. Concentrato nel cammino, una mano premuta sul fianco, Fintan levava raramente il capo, nonostante quella fosse la prima volta che attraversava la città. Così non si avvide della folla che, a mano a mano, usciva dalle case per guardarlo, richiamata dagli uomini impegnati nel lavoro all’esterno. Brusii lo seguivano, pulsando alle sue spalle. Il rumore degli zoccoli del destriero, segnava il ritmo della sua avanzata. Ad una svolta, Amorgen si fermò, levando la mano.
- Questo è il cuore della città, punto di ritrovo del nostro popolo,- dichiarò, attendendo che il giovane si fermasse al suo fianco.- Quella costruzione rettangolare è la Casa dei Raduni; al suo fianco si trova la dimora di Lugotorix. Alle loro spalle si estende il quartiere dei guerrieri. Invece alla nostra sinistra ci sono le abitazioni dei druidi. Fabbri e artigiani hanno le loro botteghe a ridosso delle mura.Amorgen riprese il cammino, dirigendosi ad una capanna il cui sentiero d’accesso era già stato sgombrato. La neve raggiungeva i lati del tetto spiovente. Fintan lo seguì all’interno. Una ragazza accorse a liberarlo dal mantello. - Rosmerta,- presentò il druido, spogliandosi a sua volta. La fanciulla sorrise, aiutando Fintan a sedere accanto al focolare e mettendogli fra le mani una ciotola di zuppa bollente. - Amorgen mi guida nella conoscenza delle erbe,- spiegò, fissando i dolci occhi castani sullo straniero. - Diventerà un’ottima guaritrice,- precisò ancora il druido, tagliando alcune fette di focaccia che poi porse al giovane. In quell’istante, l’apprendista di Amorgen fece il suo ingresso. - Ecco invece il mio futuro bardo!- esclamò il druido, poggiando una mano sulla spalla dell’alto giovane dai capelli corvini. Colpito dalla bellezza eterea del suo volto e dalla fierezza che emanava dalla sua persona, Fintan lo studiò incuriosito. - Niab è figlio di contadini,- continuò il druido.- Possiede una voce splendida. Se la cava peggio con l’arpa.A quelle parole il fanciullo levò lo sguardo sullo straniero e una luce inquieta brillò nelle iridi di ghiaccio, sconcertando Fintan. - Possa il tuo canto rallegrare le mie sere,- disse allora il fabbro.- Ti pregherò un giorno di suonare per me, se lo vorrai.Niab lo guardò turbato: mai nessuno gli si rivolgeva in quel modo. Chiunque
parlava di lui con Amorgen, come se solo la volontà del druido avesse potere sulla sua vita. Così quella richiesta cortese lo confuse, facendolo esitare sulla risposta. - Solo se lo desideri,- insistette lo straniero. Ma il giovane non ebbe tempo di schiudere le labbra che già il saggio parlava per lui. Allora tornò a chinare il capo e si volse a ravvivare il fuoco. - Niab è un po’ scontroso,- disse Amorgen, sedendo di fronte allo straniero.Dovrai dargli il tempo di abituarsi alla tua presenza.Rosmerta si avvicinò, servendo il pranzo. Fintan levò lo sguardo sul suo profilo delicato e la giovane gli sorrise nuovamente, prendendo poi posto sulla panca poggiata alla parete, imitata da Niab. Iniziarono a mangiare in silenzio, accompagnati dagli scoppiettii della legna. - Sarei curioso di vedere la mia fucina,- disse ad un tratto Fintan, strappando un sorriso ad Amorgen. - Noto con piacere che la tua impazienza si sposa con quella del villaggio,- disse compiaciuto.- Non a giorno che Lugotorix non mi domandi quando inizierai il tuo lavoro.A quelle parole Fintan lo scrutò, corrugando la fronte in una comprensione improvvisa. - Non vorrete riprendere la guerra in primavera!- esclamò incredulo. Amorgen ricambiò lo sguardo, tentando di intuire quanto Priyos lo avesse messo a parte della vita della comunità. - Questa è un’idea che non dispiace ai nostri guerrieri,- dichiarò cauto, suscitando la perplessità di Fintan. - Permettimi di obiettare, Padre,- iniziò a dire, soppesando le parole.- Ma ho veduto i vostri uomini combattere e posso affermare con assoluta certezza che, senza un nuovo armamento, gli esiti di una battaglia non si discosteranno da quelli già ottenuti. Non saranno sufficienti poche spade e qualche lancia: si dovrà armare un intero esercito.-
- Oh, lo so, giovane Fintan,- rispose il druido, fissandolo con occhi sornioni. Fintan tacque, comprendendo finalmente lo scopo del saggio. Poggiò la ciotola e prese a giocherellare con la focaccia, spargendo briciole sul pavimento coperto di canne. Assorto, le sue dita presero a modellare la mollica. - Spade, lance, giavellotti… Non credi che la meta che ci proponiamo sia troppo ambiziosa?- insistette il giovane, più per sondare che per convincere. - Gli apprendisti attendono solo il tuo arrivo: ci sono fanciulli, ma anche fabbri esperti, pronti a seguire i tuoi insegnamenti. Sarà sufficiente ch’essi guardino una volta per ripetere i tuoi stessi gesti.Fintan contrasse le labbra con disappunto. - Per forgiare le armi di cui avete bisogno, non è sufficiente ch’essi perfezionino le loro tecniche. È necessario intervenire alla radice, ovvero imparare un nuovo metodo di forgiatura in grado di dar forma ad un metallo che non si pieghi contro il ferro dei vostri nemici. È una cosa che presuppone più tempo di quanto tu possa pensare.Amorgen si mosse, innervosito. - Quello che il mio popolo ti chiede è solo di iniziare,- disse con voce improvvisamente tagliente.- La scadenza che impone Lugotorix è per il prossimo Beltane, il che significa fra tre lune. Dovrai fare il possibile per rispettarla.- Il volto di Fintan s’arrossò per la furia e le labbra si serrarono livide. Fece per ribattere; poi parve ripensarci, dando la possibilità al druido di continuare con tono più mite.- Già da diverso tempo i falegnami e i fabbri sono all’opera. Il metallo delle vecchie armi è stato fuso e molte delle nostre scorte per l’inverno sono state impiegate per procurare nuovi lingotti: come sai, lo stesso Oinos ci ha fatto dono di ingenti quantitativi di ferro dal continente. A te è riservato il compito di forgiare le spade.- Fece una pausa, studiando l’espressione contratta del giovane ospite e ripensando alle parole di Nardos che ne descrivevano la caparbia, mettendolo in guardia.- La sfida è ardua, ne siamo tutti coscienti: ma anche fiduciosi della tua abilità.A quelle parole Fintan levò il capo, gli occhi fiammeggianti. Alle spalle di Amorgen, Rosmerta trattenne un sussulto di stupore.
- Il dio fabbro Goibniu poteva anche forgiare spade e lance in tre colpi; ma non credi di sopravvalutare le mie capacità?- domandò. La risata di Amorgen percorse la capanna, provocando un brivido nei due giovani poggiati alla parete. - Forse Goibniu in persona ascolterà le nostre suppliche, non credi, giovane Fintan?- Il saggio si alzò lentamente, troneggiando sullo straniero, con occhi ardenti come tizzoni.- Ma la cosa migliore è andare alla fucina e conoscere gli uomini che ti seguiranno nel lavoro,- dichiarò calmo. Poi si volse a guardare Niab.- Vai a chiamare Lutterio e digli che lo straniero vuole conoscerlo.Fintan rimase immobile, lo sguardo fisso sulle fiamme, il volto contratto e una piega di disappunto che gli attraversava la fronte. Fra le dita stringeva ancora la forma modellata con la mollica. Amorgen si chinò a prendere l’oggetto dalle sue mani e studiò la piccola testa d’ariete con aria d’approvazione. Sorrise e la poggiò nuovamente sul tavolo. - Per qualsiasi cosa potrai chiedere a me,- concluse, indossando il mantello e lasciando la capanna. Un turbine di vento spazzò la stanza, provocando in Fintan un brivido diaccio. Rosmerta gli si avvicinò, porgendogli un boccale di birra. - Amorgen non è un uomo malvagio,- prese a dire cauta, mentre lo sguardo del giovane rimaneva fisso sulle fiamme.- Sono le responsabilità che pesano sulle sue spalle che lo costringono ad apparire spietato. Tu sei straniero qui e non puoi ancora comprendere.A quelle parole Fintan si volse a guardarla, e quando i suoi occhi incontrarono quelli castani di Rosmerta, ebbe un attimo di esitazione. Involontariamente sorrise e la giovane chinò il capo. - Sei la nostra unica speranza,- dichiarò in un soffio.- Se la prossima primavera non riusciremo a riprendere le mandrie razziate, al nostro popolo rimarrà solo la fame. Non abbiamo tempo per soffermarci a riflettere; non possiamo attendere oltre. Questo lo puoi comprendere, vero?Fintan esitò, guardando il volto della fanciulla e riflettendo sulle parole di Amorgen, mentre l’inquietudine che l’aveva accompagnato sin dalle terre dei
Carnuti, allontanata dalla malattia, ricompariva unita ad una strana consapevolezza: non era forse per questo che si trovava a Bibrax? - Sì, Rosmerta, posso comprenderlo,- rispose, rassegnato all’inevitabile.
- A Bibrax è arrivato un nuovo druido!Le parole di Niab spazzarono la grande sala dei ritrovi come un turbine, fendendo la penombra cariche d’entusiasmo. Quella notizia non parve procurare particolare scalpore e le donne riunite attorno al focolare continuarono le loro faccende senza nemmeno levare il capo. All’esterno la notte avanzava, gelida, ma il vento stava cambiando, annunciando nuovi rovesci. La temperatura pareva essersi alzata e presto la pioggia sarebbe scesa a spazzare il manto candido che copriva il mondo. - Avete sentito cos’ho detto?- insistette il giovane, avvicinandosi al gruppo. - Abbiamo sentito,- rispose una fanciulla dai lunghi capelli scuri, intenta a rifinire lo scollo di una tunica, il cui volto ripeteva fedelmente quello del giovane. In un angolo della sala alcuni bambini giocavano, strillando e accapigliandosi. Una donna si alzò, intervenendo a riportare la calma. - Non mi sembra una grande notizia,- dichiarò, rivolta al ragazzo, e tornando al suo posto vicino alla fiamma.- Sarà una bocca in più da sfamare.Un coro di mormorii pervase l’aria e Niab si lasciò cadere su una panca, a braccia conserte. Una bambina si staccò dal gruppo, sedette al suo fianco, e gli poggiò una mano sulla spalla. - Com’è questo nuovo druido?- domandò. Ma Niab tacque, risentito. - Sì, Niab, parlaci di questo nuovo druido,- ripeté la giovane dai capelli corvini, senza peraltro deporre il lavoro.
Il tono dolce della sua voce sembrò far breccia nell’orgoglio del giovane, che si mosse e prese a raccontare. - Sembra differente,- iniziò a dire, suscitando un nuovo coro di risatine soffocate.- Dico sul serio! Possiede uno sguardo singolare, che sembra giungere sino al cuore delle cose. Poi le sue dita sfiorano gli oggetti come se volesse possederne i segreti.- Mi sembra inquieto,- lo interruppe una donna dai capelli d’argento, intenta al telaio. - Quale uomo non lo è!- incalzò un’altra, deponendo il lavoro di rammendo e alzandosi a ravvivare il fuoco. Una fanciulla vistosamente incinta si alzò e prese a camminare, premendosi le mani sulle reni, seguita dagli sguardi delle compagne. La veste nera era un’ombra che rubava la luce già scarsa. - Vi dico che è diverso!- insistette Niab, seguendo con lo sguardo la camminata faticosa della puerpera. La giovane dai capelli scuri si avvicinò a sostenere la compagna, guidandola nel suo cammino lento. Era evidente che il momento del parto non era lontano e presto una nuova creatura avrebbe colmato l’aria di strilli incessanti. Sorrise, voltandosi verso il fratello, la mente lontana. Le sue labbra si schio senza riflettere, tanto erano scontate le parole che stavano per pronunciare. - Nessun uomo di Bibrax è differente,- dichiarò. Niab studiò la sorella a labbra contratte, dalla quale lo separavano solo due Samain: ne studiò il volto dagli zigomi alti e il mento sottile, gli occhi chiari come acqua di fonte, che con quella luce cangiavano, divenendo neri come pozze insondabili. I lunghi capelli, scuri come l’ala di un corvo, la rivestivano come un manto sino al bacino, trattenuti da piccole trecce che, partendo dalle tempie, si riunivano sulla nuca. La veste azzurra si muoveva attorno al corpo flessuoso in fruscii. Lo sguardo rivelava una caparbietà indomita. Niab si alzò, stirando le membra in uno sbadiglio soffocato. Le parole di Aisia non erano una novità: tutti sapevano quanto grande fosse l’odio che la consumava.
- Cosa ne sai tu, che ti ostini a non metter piede in città?- le domandò con aria di sfida. La ragazza evitò di ribattere, aiutando la compagna a sedere nuovamente. La donna intenta al telaio depose la spola, considerando con aria di rimprovero l’insistenza di Niab e attendendo che la furia di Aisia esplodesse. Ma, per il momento, il volto della giovane pareva rivelare unicamente una profonda stanchezza. Forse, per quella sera, non ci sarebbero state discussioni, si disse, sollevata. Ma, quando il ragazzo riprese a stuzzicare la sorella, un sospiro le sfuggì dalle labbra. - Io vivo in mezzo a loro, li osservo ogni giorno. I druidi mi mettono a parte delle loro conoscenze: sì, certo, le loro tradizioni sono differenti ma…Aisia interruppe il fratello con sguardo fiammeggiante. - Differenti?- sibilò avvicinandosi, i pugni poggiati sui fianchi, le nocche livide.Differenti tu dici? Uomini perduti nel loro mondo, incapaci di distinguere il sogno dalla realtà, abili unicamente ad allungare le mani nei nostri granai e a nutrirsi del nostro affanno. Le loro spade non sono nemmeno in grado di proteggere le nostre terre! Probabilmente arriverà il giorno in cui dovremo farlo da soli.La ferocia che trapelava dal tono della fanciulla sconcertò Niab. - Il tuo odio ti consuma, Aisia,- sussurrò mesto, avvicinandosi al focolare e allungando le mani al tepore della fiamma. All’intorno le donne si scostarono, deponendo il lavoro. La giovane dai capelli scuri fece per ribattere, ma la donna al telaio intervenne prontamente. - Le vostre discussioni rendono l’aria irrespirabile: sarà meglio che usciate, se volete continuare. Altrimenti la cosa più saggia è prepararci per la cena.A quelle parole Aisia parve chetarsi, nonostante il suo sguardo rimanesse fisso sul fratello, pronto ad incenerirlo. Niab le volse le spalle e si chinò a ravvivare il fuoco. Una ragazza dai capelli chiari, raccolti sulla nuca, gli poggiò una mano sulla spalla in un sorriso complice. Il giovane levò il capo a guardarsi attorno. - Dove sono tutti?- chiese all’improvviso, notando l’assenza degli uomini.
- Sono andati al Tempio,- rispose la giovane, scostandosi e prendendo ad aiutare le compagne indaffarate. L’ampia capanna ora sembrava essersi animata e la quiete che sino a pochi istanti prima aveva regnato s’era mutata in attività febbrile. Ognuna delle donne aveva un compito da svolgere e si muoveva in accordo alle altre in una danza già molte volte ripetuta. - Sono andati al Tempio con questa neve?- domandò ancora Niab, incredulo, aiutando la sorella a disporre le tavole sui cavalletti. - L’aria è tersa e la luna oscura. Quale occasione migliore per osservare il cielo?gli rispose di rimando Aisia. Un canto sommesso, ma cristallino, si levò da un lato della capanna, sovrastando il rumore. A mano a mano, altre voci si unirono alla melodia, accompagnando i preparativi per la cena. La donna dai capelli argentei pose sul fuoco un paiolo colmo d’acqua, mentre altre aggiungevano verdure ed orzo. Poi rimase in piedi, rimestando di quando in quando. - Forse dovrei unirmi a loro,- suggerì Niab poco convinto, ripensando al freddo che lo attendeva oltre la porta massiccia. Aisia lo guardò divertita. - Credo potranno fare a meno di te per questa notte,- lo canzonò. La furia pareva essersi involata e solo un sorriso quieto illuminava il suo volto. Niab si sorprese a pensare quanto fosse bella e quanto le ragazze che si trovavano nella stanza svanissero di fronte al suo fulgore. Arrossì, posando lo sguardo sulla giovane che l’aveva avvicinato. La ragazza volse il capo, arrossendo a sua volta. Aisia osservò i loro moti, maliziosa. - Qui potresti renderti più utile,- gli disse, poggiandogli una mano sulla spalla.Potresti aiutare Melyor,- suggerì, spingendolo verso la ragazza col volto in fiamme. Un bimbo sfrecciò, inseguito da un compagno, frapponendosi fra lei e il fratello. Aisia allora si scostò, indietreggiando sino alla parete e lasciandosi cadere sulla panca. I suoi occhi si fissarono sulla confusione che ingombrava la sala. Osservò
il volto delle donne indaffarate, le loro labbra schiuse nel canto sommesso, i gesti familiari che accompagnavano la venuta della notte. Osservò le gote scavate e il pallore che rivelava la fame. Ripensò alle parole di Niab e, in un attimo di lucidità, comprese che dicevano il vero: l’odio che da tempo abitava il suo cuore la stava allontanando dalla sua stessa gente e dall’insegnamento dei suoi padri. Ma avrebbe potuto essere in un altro modo?, si chiese, chinando lo sguardo, mentre un volto ghignante compariva dalle pieghe della memoria e mani lascive la frugavano sotto le vesti nel ricordo: sulla pelle ancora percepiva quel tocco rovente. Il dolore riemerse ad ondate. La fanciulla si levò di scatto, allontanando in quel moto il pensiero molesto. Poi prese ad aiutare le compagne, unendosi al canto comune. La donna dai capelli argentei stava colmando le ciotole di zuppa bollente, mentre i bambini le si affollavano attorno, pretendendo la loro razione fra grida e schiamazzi. Aisia osservò lo sguardo dolce ch’ella rivolse loro, nonostante l’asprezza dei rimproveri, e invidiò la sua serenità, una serenità che a lei non apparteneva più. Nemmeno la conoscenza che le derivava dall’antico insegnamento era in grado di allontanare la furia che, giorno dopo giorno, montava nel suo cuore. Nemmeno le parole di sua madre potevano riportare la quiete. Da molte lune il sonno s’era smarrito in immagini torbide e la sua mente pareva perduta in pensieri ricorrenti, mentre le emozioni la assalivano in modo scomposto, allontanandola dalla realtà. A quel pensiero inorridì, comprendendo d’aver smarrito la via tracciata dai suoi padri. Notando il suo improvviso pallore, Niab la avvicinò, porgendole una ciotola di zuppa, che la fanciulla accettò con un sorriso forzato. Poi il fratello sedette al suo fianco, iniziando a mangiare. Aisia percepiva il calore del suo corpo attraverso la lana spessa e quella vicinanza parve donarle conforto. E all’improvviso, fra la sua gente, si sentì protetta. Poggiò una mano sulla coscia del fanciullo, mentre il suo cuore si stringeva in un moto d’affetto. Niab ricambiò lo sguardo, affondando nei suoi occhi limpidi. Poi l’espressione del suo volto parve mutare e la ragazza comprese che il fratello poteva percepire il suo dolore. - Si fredderà,- disse allora, indicando la ciotola vuotata a mezzo. Niab rimase immobile, sino a quando Aisia iniziò a mangiare. Allora la imitò, allungando la mano a stringere quella della sorella, ancora poggiata sulla sua
coscia.
6. Il futuro prende forma
Lento come un fiume che scorre in pianura, indugiando nell’ampio letto e ristagnando in pozze acquitrinose, il tempo ava, annunciando, giorno dopo giorno, il termine dell’inverno. Le giornate si allungavano, spegnendosi in tramonti rosati, che presto sarebbero mutati in oro e porpora. Il freddo s’era fatto meno intenso e sempre più spesso sprazzi di sereno occhieggiavano nel cielo plumbeo, preludio alla bella stagione. La terra si preparava all’imminente risveglio e le basse colline a sud di Bibrax rilucevano, coperte d’erba tenera, che timidamente affiorava fra gli steli sfibrati dal gelo. La foresta, oltre il fiume, giaceva ancora addormentata, ma già le prime gemme si annunciavano sui rami spogli. Sotto il ticchettio insistente della pioggia, le radici si allungavano, avide, nella terra bruna. Scrosci sempre più frequenti si intervallavano a lunghe giornate uggiose, costringendo gli abitanti a rimanere nelle capanne. Rinchiuso nella sua fucina, Fintan ignorava quei mutamenti. Ascoltava distratto il rumore della pioggia sul tetto di paglia, mentre il metallo prendeva forma sotto i colpi di martello. Non poteva permettersi d’indugiare e il suo lavoro, giorno dopo giorno, volgeva al termine. Talvolta i suoi occhi si fissavano sullo spiazzo fangoso incorniciato dalla porta d’ingresso, sui ricami concentrici che la pioggia disegnava nelle pozzanghere, mentre il fuoco scoppiettava e il metallo si arroventava fra le braci. Osservava senza curiosità la luce esterna, che segnava il confine del suo mondo, la mente assorta in pensieri vaghi. Raramente osava avventurarvisi: la città di Bibrax era ancora estranea ai suoi occhi e gli abitanti erano sconosciuti senza nome. Inizialmente apprendisti e fabbri avevano affollato la sua fucina, ascoltando i suoi insegnamenti e osservando il suo lavoro. Tuttavia, a mano a mano ch’essi imparavano a padroneggiare le nuove tecniche, la loro presenza s’era fatta sempre più rada, ed ora il brusio delle fucine all’opera echeggiava sulla città senza sosta, colmando l’aria di clangori. Quel rumore si mescolava agli scrosci della pioggia, cullando Fintan nel suo lavoro. Quel giorno stava attendendo che il metallo fosse pronto per esser versato negli stampi, quando un’alta ombra bruna oscurò la fucina, disegnandosi nell’arco della porta. Il nuovo venuto avanzò nella penombra con o nervoso e si fermò
innanzi a Fintan, al centro della capanna. Il fabbro, distratto, levò lo sguardo e i suoi occhi verdi si fissarono in quelli blu di Bran. Sul suo volto si disegnò un’espressione interrogativa. Il guerriero lo fronteggiò in silenzio, studiandolo: i lunghi capelli biondi ricadevano fradici sulle spalle possenti e stille di pioggia, scivolando dal mantello cerato, disegnavano arabeschi sul pavimento di terra battuta, sollevando piccoli sbuffi di polvere. Ad un tratto, estrasse la spada dal fodero e la depose sul tavolo ingombro. Fintan levò un sopracciglio, interdetto, eppure divertito dall’atteggiamento del guerriero. Infine, comprendendo le sue intenzioni, prese l’arma e, alzatosi, si avvicinò al fuoco. Studiò con attenzione il filo d’acciaio e le decorazioni a viticci che abbellivano la lama a partire dall’elsa. Poi la brandì, annuendo compiaciuto. L’aria sibilò all’intorno. - Un’ottima spada,- dichiarò, spezzando il silenzio.- Forgiata rispondendo alle tecniche più moderne, nonostante le decorazioni antiquate. L’impugnatura è particolarmente confortevole e il peso è ben bilanciato.- Puoi farne una di migliore?- chiese Bran, fissando lo straniero con attenzione. Fintan restituì l’arma con gesto deciso e tornò a sedere. - Non hai necessità di un’arma migliore,- dichiarò, riprendendo gli attrezzi e riportando lo sguardo al suo lavoro. Bran rinfoderò la spada e rimase immobile al centro della capanna. L’alta figura troneggiò nella penombra, in attesa. Fintan tornò a sollevare lo sguardo, sempre più incuriosito: era evidente che il motivo che aveva spinto il guerriero alla sua fucina non era ancora stato rivelato. Studiò il volto scavato, le ombre scure che cerchiavano gli occhi, i folti baffi sulle labbra pallide e si sorprese nel constatare l’aspetto emaciato del giovane, nonostante i muscoli possenti: evidentemente la penuria di cibo si faceva sentire persino presso le classi più agiate. - Tu non indossi le vesti dei druidi,- disse Bran, interrompendo i suoi pensieri. - Non credi che le ampie maniche e le pieghe sarebbero d’intralcio al mio lavoro?- ribatté il fabbro con noncuranza.
A quelle parole il volto del guerriero s’adombrò e Fintan comprese d’aver commesso un errore. Si alzò e gli sorrise. - Potresti togliere quel mantello fradicio e asciugarti al fuoco,- suggerì con cautela. Bran esitò. Poi sganciò la fibula che tratteneva i lembi di tela cerata, liberandosi dell’indumento. Le fiamme strapparono bagliori alla sua figura dorata, disegnando un’aura nella penombra. Lo sguardo del fabbro indugiò, ammirato. Scivolò sulla tunica azzurra, bordata di rosso, che rivestiva il torace ampio; sulle brache a scacchi vivaci che ricoprivano le lunghe gambe; sul bacino, cinto da una cinghia che ne sottolineava la snellezza. Notandola il suo sguardo s’adombrò. - La tua spada è un’ottima arma, ma i ganci del tuo cinturone sono poco funzionali,- prese a dire, avvicinandosi e maneggiando la cintura che cingeva i fianchi di Bran.- Vedi? Sono laschi e lasciano troppo gioco al fodero, che intralcia così il movimento.A quel tocco Bran si irrigidì, ma evitò di scostarsi, mentre Fintan lo liberava della spada e si avvicinava al tavolo ingombro. Quando tornò, recando una nuova cintura, il guerriero lo studiò con sospetto. - Queste catene sono certamente più adatte,- continuò il fabbro, non notando l’espressione del compagno.- Sono più rigide, e, pertanto, limitano i movimenti del fodero durante la corsa. Allo stesso tempo, le maglie sono studiate per favorire la torsione dei fianchi. Vedrai che ti sembreranno più confortevoli,concluse chinandosi. Le sue mani cinsero il bacino dell’uomo, poggiando una catena sulle reni e facendo compiere un doppio giro al laccio di cuoio che vi era collegato. Infine agganciò il fodero, aggiungendo una corta catenella più massiccia, lasciandolo pendere al fianco del guerriero. Bran strinse l’elsa, saggiando la resistenza della cinghia e tornando a guardare Fintan. - Lo scopo è quello di favorire l’agilità,- spiegò ancora il fabbro, notando l’espressione interdetta dell’uomo, che ora, ritto al centro della capanna, brandiva la spada e la rimetteva nel fodero. - Sarà poco utile quando combatterò dal carro,- dichiarò infine Bran, tornando a
fronteggiare il compagno. Il fabbro, allora, levò una mano in un gesto eloquente e, voltatosi, prese a frugare in un baule. Poi tornò, porgendo una lunga cinghia di cuoio. - Per portare la spada a tracolla,- disse, trionfante.- Spesso l’importanza delle sospensioni dei foderi viene sottovalutata; eppure un movimento privo di intralci è più importante di una lama affilata.Bran annuì e, per la prima volta dal suo arrivo, sorrise. A quel moto il suo volto parve trasformarsi e una strana espressione infantile gli illuminò gli occhi. Fintan si mosse, improvvisamente a disagio. - Non ho nessuna bevanda da offrirti,- si scusò, indicando uno sgabello accanto al focolare. Bran sedette, poggiando i gomiti sulle ginocchia e protendendo le mani alla fiamma. Innanzi al suo sguardo penetrante, Fintan tacque, turbato. Il silenzio calò pensante, pervaso dalla tensione, mentre un raggio di sole entrava dall’uscio, disegnando un riquadro sul pavimento di terra battuta. L’imbarazzo divenne tangibile e, ancora una volta, il fabbro s’interrogò sul motivo che aveva condotto Bran alla sua fucina. Poi si volse, indossò una corta tunica di lana cotta e, cinti i fianchi di una spada, invitò il compagno ad uscire. Il guerriero lo osservò incuriosito. - Ha smesso di piovere: credo sia il giusto momento per dimostrarti l’utilità del mio dono,- dichiarò. Stupefatto, il compagno lo seguì all’esterno, battendo le palpebre alla luce improvvisa. Nel cielo un ampio squarcio di sereno rivelava il sole già basso all’orizzonte. Si fermò innanzi a Fintan, la mano sull’elsa, l’espressione titubante. Il fabbro estrasse la spada e si mise in guardia. Gli occhi di Bran si accesero. Lo straniero levò l’arma con movimento deciso e l’aria sibilò in una sfida. L’avversario brandì la spada e prese a studiare le sue mosse. - Non dovrei combattere con un druido,- dichiarò, stuzzicandolo.- L’ospitalità è sacra, non lo sai, forse?Fintan tentò un colpo laterale, trovando il ferro di Bran pronto a bloccarlo.
- Non stiamo combattendo,- lo corresse lo straniero, girando attorno all’avversario e tentando un nuovo affondo. Bran lo parò senza difficoltà, un sorriso canzonatorio sulle labbra. Poi, la mossa di Fintan lo colse di sorpresa e il guerriero vacillò, indietreggiando di un o. Fulminea, la reazione calò sul druido, obbligandolo a piegare le ginocchia. Ma il suo braccio resistette agli assalti, allontanando l’avversario con una poderosa spinta. Gli occhi di Bran brillarono, stupiti, e una nuova determinazione lo spinse ad avanzare. Richiamati dal clangore, numerosi volti si affacciarono dalle capanne circostanti, e grida si diffo all’intorno. Una folla si radunò in un attimo, gli occhi fissi sulla scena insolita, mentre il campione di Lugotorix brandiva la spada, calandola di piatto sul capo del giovane ospite. Domande concitate pulsarono nella folla, e qualcuno, non comprendendo di trovarsi di fronte ad una sfida lanciata per scherzo, tentò d’avvicinarsi per separarli. Ma s’allontanò di fretta, travolto dalla furia dei due avversari. Il suo intervento intralciò il balzo di Fintan, intento a schivare un colpo alla spalla. Il giovane perse l’equilibrio e rovinò a terra, rotolando nel fango. In quell’istante la voce di Amorgen sovrastò la confusione e i presenti si volsero, scostandosi e lasciandolo avanzare. La scena che si presentò ai suoi occhi gli strappò un’esclamazione esterrefatta: seduto in una pozza melmosa, le vesti inzaccherate, il capo rovesciato all’indietro, Fintan rideva, reggendosi il fianco con la mano libera, la spada levata in segno di resa, mentre Bran lo osservava divertito, allungando una mano per aiutarlo ad alzarsi. - Che accade?- tuonò il druido, richiamando l’attenzione dei due giovani. Bran si volse, mentre le risa iniziavano a scuoterlo. - Fintan mi dimostra l’utilità del suo lavoro,- spiegò, rinfoderando la spada, mentre un brusio vivace percorreva la folla. - Credo però d’essermi scelto l’avversario meno indicato,- dichiarò il fabbro, rimettendosi in piedi e tentando di ripulirsi. Bran allungò una mano e Fintan gli strinse il polso, complice. - Nella mia capanna ti aspetta un bagno caldo,- lo invitò in un sorriso.
Amorgen scosse il capo. - Non c’è più nulla da vedere!- esclamò rivolto alla folla. Poi prese ad allontanarsi, facendosi largo nella calca. Anche i due giovani ritornarono sui loro i, affiancati. Quando scomparvero ad una svolta della via, la ressa si diradò, assieme con commenti e risa. - Abbiamo turbato il villaggio,- dichiarò Fintan, avanzando. - Era tempo che si risvegliasse,- incalzò Bran, battendogli una mano sulla spalla.- Non te la cavi mica male, druido!- esclamò poi, osservandolo. Come notò Fintan, ora che la diffidenza era svanita, gli occhi di Bran avevano mutato colore, divenendo più profondi e trasparenti, screziati da pagliuzze dorate. Rise e quel suono parve colmare il cuore del compagno. - Ti ho sottovalutato, druido!- dichiarò l’uomo, aprendo la porta della capanna e precedendolo all’interno. L’ampia struttura circolare era suddivisa in vari ambienti, ciascuno illuminato da un focolare, e in quella sala d’ingresso facevano mostra di sé le armi più disparate e i trofei di guerra e di caccia. Fintan prese ad osservarli, mentre Bran chiamava i servi. Un bacile venne posto sul fuoco e la tinozza venne poggiata al centro della sala, poco discosta affinché si godesse del tepore delle fiamme. - Dove hai imparato a combattere a quel modo?- domandò Bran, porgendo al compagno un boccale di birra. Fintan ingoiò una lunga sorsata, poi sorrise. - Credevi che un fabbro non sapesse maneggiare le armi forgiate dalle sue mani? - gli chiese di rimando, fissandolo con sguardo complice.- O che un druido non conoscesse l’arte della guerra?Una nuova risata percorse la capanna, mentre Bran si lasciava cadere sulla panca, poggiando la schiena alla parete. - Sei pieno di sorprese, druido! A breve scoprirò anche che conduci il carro come un auriga esperto.-
- Puoi sempre mettermi alla prova,- incalzò Fintan, portando il boccale alle labbra. A quelle parole il volto del guerriero parve oscurarsi e un’ombra gli attraversò lo sguardo. Fintan tacque, turbato. Poi riprese a parlare, come per allontanare la tensione che ora si percepiva, tangibile. - In realtà, non ho mai condotto un carro da guerra- rivelò, tentando un tono scherzoso.- Nelle mie terre è un’usanza che sta scomparendo. I guerrieri preferiscono la libertà di movimento data dai singoli destrieri, per quanto il fragore dei carri ancora sia apprezzato nelle battaglie.A quelle parole il giovane tornò a sorridere, mentre i servi riempivano la tinozza. Un leggero vapore si diffuse nella sala e Fintan prese a spogliarsi. Bran osservò il suo corpo flessuoso riverberare ai bagliori del fuoco, i muscoli guizzanti sotto la pelle candida, la cicatrice che deturpava il fianco, dai contorni ancora arrossati. Poi, quando l’ospite s’immerse nell’acqua calda, distolse lo sguardo, portando il boccale alle labbra. - Ho perduto il mio auriga nell’ultima battaglia contro gli Atrebati,- dichiarò, fissando Fintan con occhi ardenti.- Ora sto addestrando un giovane per sostituirlo.- Non ne sembri soddisfatto,- disse il druido, iniziando a strofinarsi la pelle con vigore, mentre i servi versavano brocche d’acqua a ripulirgli i capelli dalla fanghiglia. Il guerriero levò una mano in un gesto distratto. - È ancora giovane e la sua inesperienza richiede un addestramento che oggi non possiamo permetterci. Tuttavia il suo braccio è forte e la mente svelta nell’apprendere. Quindi, nelle prossime battaglie, saprà condurmi al centro della mischia. E questa è l’unica cosa che conta, al momento.Fintan ripensò al giorno del suo arrivo, quando aveva scorto Bran ritto sul carro, la spada mulinante e il furore che lo circondava come un’aura. E per quanto la bravura di un guidatore fosse fondamentale, il druido sapeva che il valore del guerriero avrebbe saputo compensarne qualsiasi incertezza dell’auriga. Sorrise, levandosi, mentre i servi lo asciugavano con teli e gli porgevano abiti puliti. Una volta rivestito, Bran gli servì un nuovo boccale di birra, facendolo accomodare
su una sedia dall’alto schienale. I due si fissarono per un lungo istante, quasi a soppesarsi l’un l’altro. Poi Bran levò il boccale in un brindisi. - Alla prossima battaglia!- esclamò, mentre gli occhi si colmavano di bagliori al pensiero della lotta imminente. - Alla prossima battaglia,- rispose il druido, comprendendo che, forniti di nuove armi e con Bran a capo delle schiere, difficilmente gli Ancaliti avrebbero potuto uscire sconfitti dai prossimi scontri. Il suo volto si illuminò e, per la prima volta da quando aveva lasciato il suo letto d’infermo, Fintan avvertì l’inquietudine abbandonare il suo cuore.
Ritto sulla sponda del lago, Amorgen studiava l’orizzonte, ove gli ultimi raggi di sole baluginavano fievoli. Nel cielo già si intravedevano le prime stelle e la luna, tonda e pallida, spuntava dalla collina. Nubi si addensavano ad est, tuttavia il vento ancora pareva incerto e, forse, per quella notte, la pioggia li avrebbe risparmiati. Sul limitare della foresta, Nardos intonava una nenia, e l’aria risuonava del suo canto. Oltre quella voce si percepiva solo silenzio. Il druido levò le braccia in un’invocazione, e il bardo mutò melodia, accompagnando il gesto in un crescendo di toni. Poi, all’improvviso, tacque, mentre Amorgen, dopo essersi toccato la fronte nel segno sacro, dirigeva il o verso di lui. - In che modo questa notte sarà propizia, Padre?- chiese il bardo, una volta che il saggio l’ebbe raggiunto. Ma il druido non rispose: sollevò il cappuccio, celando il volto, infilò le mani nelle maniche della tunica, e prese ad inoltrarsi nella foresta a o lento. Nardos serrò le labbra, comprendendo che, ancora una volta, i segni s’erano rivelati infausti. In silenzio, prese a seguire la scia del Maestro. Attraversarono la foresta, percorrendo il sentiero serpeggiante fra le querce. Una volta che furono in vista della città, presero a risalire la china del colle, diretti verso la porta a sud. Sull’ampio terrapieno che si stendeva tra il fiume e le mura, leggermente digradante, uomini erano intenti ad allenarsi. Il clangore del ferro giungeva alle loro orecchie attutito dalla distanza, mentre il profumo dell’erba
umida colmava le narici. Nardos aguzzò la vista e, ritto ad un lato dei campi d’addestramento, scorse Lugotorix intento ad osservare i guerrieri. Raggiuntolo, Amorgen scostò il cappuccio e i suoi occhi affondarono in quelli del sovrano, che pareva attenderli. All’intorno il buio avanzava. - La pioggia cadrà sino a Beltane,- annunciò il druido, suscitando nel guerriero un moto di stizza.- La terra è fradicia e l’aratro dannoso. Sino al prossimo giro di luna nessuno potrà scendere nei campi. Non è nemmeno giunto il tempo per far uscire le mandrie.- Da Imbolc le tue parole sono sempre le stesse,- lo rimproverò Lugotorix. - Da Imbolc non è ato giorno senza che la pioggia cadesse sulle nostre terre,affermò Amorgen, tagliente. - Dunque i sacrifici si sono rivelati inutili,- continuò il guerriero, tornando ad osservare gli uomini intenti nel combattimento. - Nessun sacrificio è inutile, se non quello che tu richiedi ai nostri guerrieri,- lo corresse il druido.- I segni confermano che gli Dei disapprovano le nostre scelte. Ed ora è giunto il tempo di muoverci con decisione e attingere alle scorte delle fattorie. Un braccio indebolito dalla fame non può sollevare una spada.Lugotorix tornò a volgere lo sguardo su Amorgen e i due si fronteggiarono in silenzio. Poco discosto, Nardos osservava quel confronto muto, cosciente della forza dei due uomini. Si mosse inquieto, e quel movimento parve sciogliere la tensione. - Attenderemo il prossimo quarto di luna, poi prenderò una decisione,- dichiarò infine il sovrano. Amorgen chinò il capo in un assenso. Tuttavia i suoi occhi dardeggiarono, dimostrando tutta la sua disapprovazione. - Non sarebbe un errore se, per quel tempo, tu avessi scelto una nuova moglie,suggerì, cauto, deviando l’argomento solo in apparenza.- La terra grida a gran voce che il re mostri il suo vigore. Le chiacchiere cominciano ad udirsi e oramai tre Samain sono ati dalla scomparsa della nostra regina.- E suppongo che tu abbia già scelto una giovane adatta,- disse il sovrano con
sarcasmo, distogliendo lo sguardo ancora una volta. - Molte sono le giovani che ambirebbero a sedere al tuo fianco. Ma la più indicata sembra la giovane figlia di Mawgan, il capo delle guardie: la sua fierezza dimostra ch’è nata per essere regina e il suo valore in battaglia più di una volta ha piegato il ginocchio del nemico. La gente la ama per la sua gaiezza e più d’uno l’ha già chiesta in moglie. Ma la fanciulla esita.Lugotorix spostò lo sguardo sulla giovane, intenta ad allenarsi con la lancia al bordo del campo, ritta su un destriero dal manto corvino. I suoi capelli fulvi parevano rifulgere anche nella penombra del crepuscolo, mentre la furia le accendeva le gote e gli zoccoli dell’animale strappavano dalla terra ampie zolle. - Falla venire da me, stanotte,- disse l’uomo, voltandosi e allontanandosi con o risoluto. Amorgen rimase a guardarlo a lungo, sino a quando scomparve oltre le mura della città. A quel punto un uomo massiccio, dai folti capelli rossi e ricciuti, lo avvicinò. - S’è deciso, finalmente,- annunciò il druido. Il guerriero sorrise, spostando lo sguardo sulla figlia, intenta ad allenarsi ai bordi del campo. - E per le scorte?- chiese. Amorgen serrò le labbra e il suo silenzio fu più eloquente di molte parole. - Come può non comprendere?- insistette l’uomo, la furia che montava. - Lugotorix comprende benissimo,- lo corresse il druido.- Tuttavia nelle sue orecchie indugiano i consigli di Priyos. E tu sai quale sia la preoccupazione maggiore del nostro guaritore.- Difendere i servi,- dichiarò il guerriero con disprezzo, levando una mano in un gesto infastidito. Amorgen lo fissò con occhi gelidi, e l’uomo impallidì, comprendendo l’errore: nessuno era autorizzato a pronunciare parole di ingiuria verso un druido,
nemmeno se quel druido era Priyos. Chinò il capo e Amorgen tornò a fissare i guerrieri che iniziavano a riporre le armi. Il buio oramai era divenuto fitto e la città si preparava per la notte. Un giovane si avvicinò a lunghe falcate. I suoi capelli fulvi erano eco di quelli del padre e le efelidi che ne costellavano il volto gli conferivano un’aria furbesca, rimarcata dalle iridi d’un verde brunito, che ricordavano lo sguardo attento d’un gatto selvatico. Una volta che fu innanzi ad Amorgen, chinò il capo a ricevere la sua benedizione, e il druido tracciò sulla sua fronte il segno sacro. - Padre, in che modo questa notte risulterà propizia?- chiese il ragazzo con voce ferma. Le labbra di Amorgen accennarono ad un sorriso, mentre Nardos si faceva vicino, per udire la risposta. - Colui che in questa notte perderà una sorella, domani potrà ambire alla guida della comunità,- dichiarò il druido, suscitando nel capo delle guardie di Lugotorix, ritto al fianco del figlio, un moto di stupore. - Le tue parole sono fonte di molte promesse,- disse, fissando il druido con sguardo indagatore. - Mio caro Mawgan, i tempi chiamano cambiamenti e il volto di tuo figlio Clesek già ora mostra la fierezza che un domani potrebbe essere da guida alla comunità. Tuttavia ancora non ha osato sfidare colui che occupa il posto alla destra di Lugotorix. E questo è male,- disse il druido, tornando a guardare il giovane, che accettò il rimprovero chinando lo sguardo.- Ma presto, nelle prossime battaglie, sono certo che saprà mostrare il suo valore. I disegni delle stelle mutano ogni notte e ciò che accadrà domani ancora non è stato scritto.Il druido fece scorrere lo sguardo sui volti dei due uomini. Poi si volse e imboccò la via per la città. Nardos lo seguì, allungando il o. - Manda Elowen nella mia capanna,- disse il druido, allontanandosi. Padre e figlio si scambiarono un’occhiata eloquente. Poi il giovane schiuse le labbra in un sorriso. - Dopotutto i segni non sembrano così infausti,- disse Mawgan, battendo una mano sulla sua spalla.
Quando la fanciulla entrò, Lugotorix sedeva su un seggio accanto al focolare più lontano dall’ingresso, mentre i servi recavano pietanze, imbandendo il tavolo allestito per l’occasione. Le fiamme disegnavano sull’alta figura assisa ombre inquiete, e, contemporaneamente, strappavano bagliori ai suoi capelli chiari, screziati di fili grigi. La semplicità della tunica che indossava fece comprendere alla nuova venuta che l’uomo non s’era agghindato per quell’incontro e sul suo volto un’ombra ò, in una domanda muta. Un servo la avvicinò e la condusse al cospetto di Lugotorix, che le indicò la sedia di fronte, dalla parte opposta del focolare. La fanciulla sedette, mentre i servi lasciavano la stanza. I suoi occhi si fissarono sul volto dell’uomo, la cui espressione decisa tracciava rughe sulla fronte ampia e faceva risaltare il mento squadrato. Le labbra erano una linea sottile, parzialmente celata dai baffi folti, ingrigiti dal tempo. - Tuo padre desidera che tu divenga regina al mio fianco,- prese a dire l’uomo, andando dritto al nocciolo della questione, ma mantenendo lo sguardo sulla fiamma.- Tu lo desideri?A quella domanda diretta la fanciulla si mosse inquieta. - Quale donna non desidera occupare il posto di una regina?- rispose levando il mento in una sfida. Le labbra di Lugotorix si schio in un sorriso, comprendendo che la fanciulla stava eludendo la domanda, e i suoi occhi azzurri si levarono ad osservarla, divertito. I capelli fulvi ricadevano attorno al volto in una nuvola infuocata, sottolineando gli zigomi alti e il lungo collo. Candida come alabastro, la pelle riverberava alla fiamma, a tratti spruzzata da efelidi leggere. Gli occhi verdi richiamavano i pendii erbosi, umidi di pioggia, delle colline attorno a Bibrax. La lunga veste, del colore delle foglie di quercia, era eco di quel colore. - Quindi non provi ribrezzo al pensiero delle mani di un vecchio che percorrono il tuo corpo, un vecchio che potrebbe essere tuo padre.Lugotorix si alzò e, avvicinatosi, lasciò scorrere la punta delle dita sulla guancia della fanciulla, scendendo lungo il collo e indugiando sul bordo della veste. Elowen rimase immobile. Nello stesso istante comparvero nella sua mente gli
occhi blu di Bran. Infastidita, allontanò il pensiero, levando il volto ad osservare l’uomo che la accarezzava. - Tu hai fama di uomo giusto,- prese a dire, mentre le dita di Lugotorix le sfioravano i seni da sopra la stoffa.- E certo sai cosa è bene per il tuo popolo.Il guerriero si chinò, poggiando le labbra su quelle piene della fanciulla. Ancora una volta Elowen non si mosse. Allora Lugotorix prese a slacciale i lacci della tunica e le scoprì le spalle. Poggiò i palmi ruvidi sulla pelle morbida e, a mano a mano, le carezze divennero audaci. Accose i seni nelle mani a coppa e ne strinse i capezzoli, delicatamente. A quel moto la fanciulla schiuse le labbra e il respiro divenne profondo. Allora l’uomo si scostò e, sollevati i lembi della veste, la ricoprì nuovamente. Quindi tornò a sedere, mentre gli occhi della fanciulla lo seguivano, interrogativi. - Se avessi avuto un figlio, avrei desiderato te come sua compagna,- prese a dire Lugotorix, tornando a guardare le fiamme.- Ma gli Dei hanno deciso diversamente ed ora il popolo chiede una regina. A Beltane daremo l’annuncio e a Lugnasad celebreremo lo sposalizio con la terra.La fanciulla chinò il capo in un assenso. Lugotorix tornò a studiarla, attento, tentando di intuire i pensieri che si agitavano oltre quel volto imibile. L’aveva osservata a lungo combattere sul campo di battaglia e sapeva che il suo valore era superiore a quello di molti uomini. Come pure l’arguzia della sua mente. Ma mai aveva compreso se le idee di suo padre fossero da lei condivise, come lo erano da Clesek, suo fratello. Tuttavia, il fatto che Amorgen avesse optato per quella scelta, confermava al sovrano che non sarebbe stato opportuno sottrarsi. Già da tempo stava sfidando il volere degli Dei, rifiutando la redistribuzione delle scorte. - Tuo padre non condivide le mie scelte e spesso, innanzi al Consiglio, si è opposto alle mie decisioni,- prese a dire Lugotorix, studiando attento le reazioni della fanciulla.- La tua presenza in questa casa conferma il desiderio di allungare la sua ombra sul seggio del re.- Questi fatti mi sono noti, ed è evidente, dal fatto che sono qui, che già la sua ombra oscura il tuo seggio,- rispose la fanciulla, levando ancora una volta il mento con atto di sfida.- Ma se dalle prossime battaglie riporteremo una vittoria, nessuna ombra potrà più offuscare la luce del re degli Ancaliti.-
A quelle parole, lo sguardo di Lugotorix si fece penetrante, nel tentativo di comprendere se fossero dettate dall’adulazione. Ma lo sguardo limpido della ragazza confermò la sua lealtà. - Una regina non combatte,- le ricordò, schiudendo le labbra in un sorriso malizioso. - La regina di Lugotorix combatterà,- disse semplicemente Elowen. Ed il sovrano comprese che quella sarebbe stata l’unica richiesta che quella giovane donna, dallo sguardo fiero, avrebbe portato alle sue orecchie. Così si levò e, colmati due boccali di birra, ne porse uno alla promessa sposa. - La mia regina combatterà a capo dei cavalieri, e nessuno potrà privarla di tale privilegio,- confermò, levando il boccale in un brindisi. La fanciulla lo imitò, schiudendo le labbra in un sorriso, mentre, ancora una volta, gli occhi di Bran tornavano a colmarle la mente. E in quell’istante seppe che mai più l’avrebbero abbandonata, serrandola in un supplizio che, ogni giorno e ogni notte, le sarebbe stato compagno, lungo la via che il volere di Amorgen aveva tracciata.
7. L’offerta di Fintan
Il sole già calava all’orizzonte, quando, nella capanna di Priyos, l’uscio si spalancò con fragore e Niab fece il suo ingresso, trafelato. - Padre! Anara chiede di te con urgenza,- invocò il fanciullo, il sudore che stillava dalla fronte condensandosi in rivoli verso le tempie. Il vecchio saggio volse il capo nella sua direzione, mentre Caolan, intento sul focolare, sobbalzava. - Tanta foga sarà certamente motivata,- replicò il druido, imperturbabile, mentre il ragazzo si avvicinava, pronto a condurlo verso l’uscio spalancato. - La situazione è grave e mia madre desidera parlartene di persona,- incalzò Niab, afferrando un braccio di Priyos e invitandolo ad alzarsi. Ma più l’agitazione del fanciullo aumentava, più il saggio pareva rallentare i suoi gesti. Inizialmente Niab si spazientì; poi comprese che, nonostante l’urgenza, tanta smania risultava inutile, se non addirittura dannosa. Così si ricompose e rimase immobile al centro della capanna, in attesa. A quel punto Priyos sorrise, mentre Caolan gli porgeva il bastone che gli faceva da guida e lo rivestiva del suo mantello. - Chiama Fintan, affinché possa accompagnarmi,- invitò il saggio, rivolto all’apprendista, che uscì svelto, riportando subito dopo l’attenzione su Niab.L’equilibrio è alla base della conoscenza,- gli ricordò, poggiandogli una mano sulla spalla. Il fanciullo chinò il capo, accettando il rimprovero. Poi uscirono, mentre, dal fondo della via, già compariva la figura del fabbro, accompagnata da Caolan. - È richiesta la mia presenza alle fattorie,- prese a spiegare Priyos, una volta che il giovane li ebbe raggiunti.- E, dato che la notte è vicina, ho pensato che tu avresti potuto accompagnarmi. Inoltre potrebbe essere un’ottima occasione per vedere con i tuoi occhi il mondo al di fuori di queste mura,- aggiunse con fare scherzoso, mentre Fintan osservava l’espressione preoccupata di Niab e intuiva
che qualcosa non andava. Chinò il capo in segno di assenso, poi s’incamminò al fianco del saggio, guidandone il cammino, preceduto dal ragazzo, che, a mano a mano, accelerava il o, distanziandoli. Quando furono nella foresta che proteggeva la fonte sacra, a nord della città, il fanciullo era già svanito nel folto delle querce. Fintan prese a guardarsi attorno, incuriosito dal vapore che si alzava dalle polle. - Questo è un luogo di potere, frequentato sin dall’inizio del tempo,- cominciò a spiegare Priyos, intuendo l’interesse del compagno, e lasciandosi guidare lungo il sentiero, una mano poggiata alla spalla.- Le sue acque risanatrici posseggono una forza singolare. È con queste che ti ho curato quando la ferita si è infettata.Fintan si chinò ad immergere una mano nella polla più ampia, e subito un piacevole tepore si diffuse alle membra. In lontananza si udì il richiamo di Niab. - Dev’essere accaduto qualcosa di grave alle fattorie,- disse Priyos, la preoccupazione che, per la prima volta, gli oscurava il volto.- È raro che Anara chieda il mio intervento. Di solito la gente di Bibrax non è interessata alle loro questioni e la madre di Niab guida la comunità nel migliore dei modi.- Poi precisò, in un sorriso dai molti sottintesi: - Tanto che persino Amorgen non se ne è mai lamentato. La sua gente si occupa dei campi e delle mandrie di Lugotorix e dei Saggi della città.Fintan lo ascoltava in silenzio, percorrendo il sentiero che serpeggiava lungo il colle. Poi, quando la foresta si aprì, e il fiume si snodò innanzi a lui, iniziò a seguirne il corso, guidato dalle indicazioni del saggio. Il crepuscolo era oramai inoltrato; tuttavia, in lontananza, si scorgeva ancora la cerchia di legno di un villaggio, ritto al centro di un’ampia pianura. Ad occidente, siepi delimitavano le terre coltivate e ad oriente l’argine si apriva, spaccandosi in innumerevoli canali d’irrigazione. Ampi recinti indicavano la presenza dei ricoveri per le mandrie, i cui muggiti colmavano l’aria a tratti. Immobile al centro della via d’ingresso, ampia a sufficienza per il aggio di due carri affiancati, Niab attendeva. Quando i due lo raggiunsero, li guidò fra le capanne circolari, intervallate da ampie costruzioni quadrate, sollevate da terra, che fungevano da granai. - Grazie per essere venuto, Priyos,- disse Anara, accogliendoli sulla soglia e stringendo loro i polsi.
Quando i suoi occhi affondarono in quelli di Fintan, il giovane ebbe un attimo di titubanza, mentre un’inquietante sensazione di familiarità lo pervadeva. Prese a cercare nella memoria, tuttavia nessun ricordo gli restituì il volto della sconosciuta. Percependo quell’incertezza, Priyos intervenne. - Anara ti è stata al fianco a lungo durante la tua malattia,- spiegò, poggiando una mano sulla spalla del giovane, come per sollecitarlo ad entrare. Quindi entrarono in casa e sedettero sulle panche poste a ridosso della parete. La donna iniziò a servire un infuso dall’aroma penetrante, mentre Fintan continuava a studiarla con interesse, soffermandosi in particolare sul volto minuto, i cui lineamenti delicati la rendevano senza età. La veste di lana non tinta sottolineava una snellezza di fanciulla. Ma oltre quella snellezza, la carenza di cibo faceva capolino, rivelata dall’ossatura sporgente da sotto la pelle candida. E Fintan comprese che presto, in quel villaggio, la carestia avrebbe iniziato a mietere le sue prime vittime. Inquieto, si mosse sulla panca, facendosi attento. - Perdona l’ora tarda, Priyos, ma la gravità della questione mi ha obbligata a chiedere il tuo intervento,- iniziò a dire la donna, prendendo posto innanzi a loro, oltre il focolare. Tornò a fissare il giovane straniero, come per soppesarlo, poi decise di fidarsi. Così continuò:- Le nostre scorte di cereali sono state sottratte. Vorrei che tu parlassi a Lugotorix affinché ci siano restituite. Sai bene che la mia gente già ora soffre la fame e senza quell’orzo molti non supereranno l’inverno.A quelle parole Priyos chinò il capo, poggiando le mani sulle ginocchia, mentre Fintan si voltava a guardarlo, comprendendo la gravità della situazione. - Temo di non poter fare molto,- disse il saggio.- La decisione di requisire le vostre scorte è stata presa dal Consiglio. Ma tenterò ugualmente di parlarne a Lugotorix. Forse, se riuscissi a convincerlo, potrai ottenere almeno una parte di quanto requisito.- Nulla è stato requisito, secondo la legge,- dichiarò Anara, facendo sollevare il capo al compagno.- L’orzo è stato rubato dai magazzini, le porte dei recinti scardinate. Abbiamo trovato i segni dei carri. Hanno svuotato tutte le strutture fra il villaggio e la città. Le mandrie, però, non sono state toccate.Il vecchio druido prese ad accarezzarsi la barba, pensoso, mentre il silenzio calava pesante. Fintan fissava le fiamme, attento ad ogni parola. In quell’istante Niab entrò, annunciando la cena.
- Hai preso in considerazione la possibilità che non siano stati gli uomini di Lugotorix ad aver rubato le vostre scorte?- chiese Priyos, suscitando un moto di stupore. - E chi altri avrebbe potuto arrivare a tanto?- chiese la donna, mentre Niab prendeva posto al suo fianco. - Qualcuno che trarrebbe vantaggio a creare scompiglio nella tribù, generando malcontento fra i servi e usando la vostra rabbia contro i capi della comunità.- Solo uomini senza onore giungerebbero a tanto!- intervenne Fintan, incapace di trattenersi e attirando le occhiate di Anara e Niab. - Questi sono tempi senza onore,- disse Priyos, parlando per loro.- La situazione è più grave di quanto possa apparire agli occhi di uno straniero. E non è solo la guerra ata e quella che incombe. Gli Dei hanno allontanato il loro sguardo da queste terre.- A quelle parole, il silenzio calò, pesante, mentre Fintan si muoveva, improvvisamente a disagio. Poi il saggio continuò.- La nostra tribù è da sempre la più potente fra quelle del sud e, sinora, nessuno aveva osato sfidarne la forza. Solo un’alleanza avrebbe consentito di prevalere sul nostro clan e questo è ciò che è avvenuto. Ma è potuto accadere perché all’interno della tribù serpeggiano lotte intestine, e, laddove c’è divisione, c’è debolezza. Il nome di Lugotorix è da tempo messo in discussione e il Consiglio dei Saggi è spaccato. I segni, inoltre, paiono confermare lo sfavore degli Dei: la terra è sterile e, con essa, le mandrie. Molti sostengono che non possa essere altrimenti, dato che il re del nostro popolo non è stato in grado di generare una discendenza. Ad oggi queste voci sono ancora un sussurro, ma nuovi guerrieri già si affacciano da oltre il seggio rivestito di pelle d’orso: guerrieri che possono ambire alla guida della comunità, con il sostegno di Amorgen.Nell’udire quel nome, il volto di Anara s’arrossò. Poi, fatto un respiro profondo, la donna ritrovò la calma. Fintan la studiò attento, mentre lei tornava a fissare le fiamme. - La rivolta del popolo, oppresso dalla fame, sarebbe un’ottima occasione per rovesciare equilibri consolidati,- continuò Priyos, volgendo il capo verso Fintan in un sorriso quieto.- E non mi stupirebbe se oggi il vostro orzo fosse stato sepolto in qualche nascondiglio nella foresta.A quelle parole Niab scattò in piedi.
- Com’è possibile?- sbottò.- La nostra fame è anche la loro fame! I volti che si aggirano a Bibrax sono smunti quanto i nostri.Priyos levò una mano, noncurante. Poi continuò il suo ragionamento. - Come pure non sarei stupito se i druidi chiedessero un sacrificio esemplare, per placare la supposta ira degli Dei, come prescrive la tradizione.Fu Anara a quel punto a fissare i suoi occhi cristallini sul saggio. - Rischi la tua vita?- chiese in un sussurro, suscitando in Fintan un moto di stupore. La risata di Priyos percorse la capanna, sotto lo sguardo esterrefatto dei compagni. - L’unico che possa temere qualcosa, di questi tempi, è Lugotorix. Sempre che non riesca a vincere la prossima guerra e recuperare le madrie razziate, s’intende,- disse alzandosi e protendendo le mani verso Niab, che gli offrì la spalla.- Ho sentito però che le tavole sono imbandite. E di questi tempi è un lusso che non possiamo permetterci di ignorare, quindi direi che potremmo avviarci per la cena,- concluse, facendosi guidare verso la porta. Anara e Fintan rimasero immobili, riflettendo, le parole di Priyos che ancora aleggiavano nelle loro orecchie. Poi la donna si alzò, invitando il giovane a seguirla. All’esterno, la notte s’era fatta fonda e rade stelle occhieggiavano fra le nubi. Ma Fintan parve non notarlo. Assorto, soppesava la situazione descritta dal saggio, comprendendo quanto il suo isolamento di quegli ultimi mesi l’avesse allontanato dalla realtà. Poi, episodi isolati, notati casualmente, tornarono alla sua memoria e il giovane iniziò a dar loro il giusto peso e la corretta collocazione nell’insieme degli eventi. Seguì i compagni all’interno di un’ampia costruzione rettangolare, poco discosta dalla casa di Anara. Una volta ch’ebbe varcato la soglia, si fermò, notando la confusione: tavole erano disposte ad occupare tutto lo spazio disponibile e la gente si accalcava, fitta, dando l’impressione che l’intero villaggio si fosse radunato fra quelle pareti. Un brusio pulsante colmava l’aria. Il giovane si guardò attorno, mentre il silenzio calava e numerosi occhi si voltavano a studiarlo. Si toccò la fronte nel gesto rituale e qualcuno chinò il capo in risposta. Ma la maggior parte rimase immobile a fissarlo ed egli notò la
diffidenza colmare i loro occhi, oltre il pallore dei visi smunti. Fra tutti, catturò la sua attenzione il volto di una fanciulla bruna, i cui lineamenti assomigliavano a quelli di Niab. Lo stava fissando sgomenta, le labbra esangui, il volto cereo, i grandi occhi, azzurri come acqua di fonte, che cangiavano alla luce dei focolari. Quando essi incrociarono quelli di Fintan, la paura parve attraversarli, fuggevole come un’ombra. Poi la ragazza si volse e prese a fendere la calca, al seguito di Anara. Poco discosto, Niab osservava la scena, la mano di Priyos ancora poggiata sulla spalla. Quindi, a i lenti, lo condusse verso il tavolo disposto sul fondo della sala. Il fabbro li seguì, mentre la folla si apriva al suo aggio. Sedette accanto al vecchio druido, di fronte alla fanciulla bruna, che evitò di incrociare il suo sguardo. - Mia figlia Aisia,- la presentò Anara, prendendo posto innanzi a Priyos. Soggiunse:- Fintan è a Bibrax da diverse lune, giunto dal continente. E per quanto il suo aspetto sia quello di un guerriero, sotto quegli abiti sgargianti si cela un druido.- Dunque sei tu il nuovo fabbro, di cui tutti parlano, le cui armi ci restituiranno le mandrie razziate.- L’uomo che aveva appena parlato si sistemò accanto ad Anara, imitato da una giovane donna dai capelli biondi, riuniti in numerose trecce, fissate in una crocchia.- Che tu sia il benvenuto!Fintan si toccò la fronte nel gesto rituale, mentre Anara interveniva ancora una volta. - Carow si occupa della gestione delle scorte,- presentò.- È lui che ha scoperto l’accaduto, questo pomeriggio. Sua moglie Nessa è una delle nostre guaritrici.Nel frattempo anche le altre panche disposte attorno al tavolo si riempivano, mentre Anara diceva a Fintan i nomi di ciascuno. Credendosi non osservata, Aisia prese a studiare lo straniero. - Il furto di stanotte ci ha lasciato solo il farro custodito nei magazzini all’interno del villaggio,- intervenne ad un tratto Carow, rivolto a Priyos, sovrastando il chiacchiericcio.- Credi sia possibile intervenire presso Lugotorix per ottenere una redistribuzione delle scorte?Fintan si fece nuovamente attento, mentre la zuppa veniva servita e tutti iniziavano a mangiare.
- Temo che il mio intervento si rivelerà inutile,- rispose il saggio.- Già una volta tentai di far ragionare il nostro re, senza ottenere alcuna concessione. Ma, come dicevo ad Anara, farò comunque un tentativo. Tuttavia, se la pioggia non cesserà, anche la prossima stagione darà frutti ben scarsi.Carow si scostò dalla fronte un ciuffo ribelle e sul suo volto squadrato si disegnò un’espressione truce. - I segni sono sfavorevoli,- intervenne Anara.- La terra è fradicia e il cielo sta preparando tempeste. Forse dopo Beltane tornerà il sereno, ma questo solo gli Dei possono confermarlo. Nemmeno i miei occhi possono vedere oltre quell’istante.A quelle parole Priyos serrò le labbra impensierito, mentre Niab, seduto al suo fianco, studiava la madre stupefatto. - I magazzini saranno vuoti ben prima di Beltane,- rammentò Carow in un sussurro. Attorno al tavolo, il silenzio calò pesante. - Forse dovremmo prendere ciò che è nostro con la forza,- disse Aisia, intervenendo per la prima volta e attirando lo sguardo di tutti. Il giovane ricciuto che sedeva al suo fianco levò il mento, gli occhi accesi che sottolineavano le parole della fanciulla. - Aisia dice il vero,- disse, spostando lo sguardo da Carow ad Anara.- Dalle vostre stesse parole si comprende che non ci sono valide alternative. Se Lugotorix non interverrà con una ridistribuzione del cibo fra Bibrax e il villaggio, toccherà a noi assaltare i loro magazzini, se non, addirittura, macellare le mandrie. Vogliamo lasciare che la nostra gente muoia di fame? Guardatevi attorno,- disse, comprendendo la sala in un ampio gesto.- Vedete qualcuno che non ci sosterrebbe?- La rivolta non è una soluzione,- lo interruppe Priyos con voce ferma.Otterreste solo di farvi massacrare. Inoltre i campi rimarrebbero incolti, e questa è certamente l’unica cosa di cui la gente non ha necessità.- Adesso parli come uno di loro!- ribattè il giovane, protendendosi sul tavolo.- E
dove pensi che la nostra gente troverà la forza per arare la terra? Guardati attorno, Priyos, guarda i volti che ti circondano. Cosa vedi oltre i loro occhi spenti? E credi che negli altri villaggi degli Ancaliti la situazione sia migliore?- E tu, Lorcan, dove pensi che possano trovare la forza per sollevare una spada, se non sono nemmeno in grado di tirare un aratro? Tu vuoi condurci a morte certa!- La voce di Niab fendette il silenzio come una lama, guadagnandosi l’attenzione di tutti. In preda alla furia, il volto del giovane ricciuto s’imporporò e i suoi occhi, del colore delle castagne mature, dardeggiarono. - Le tue parole chiamano solo morte e distruzione,- intervenne a quel punto Anara, interrompendo la discussione.- E questo accadrà, se tu e mia figlia non ritroverete il senno smarrito. Gli Dei devono averci abbandonati, se proprio voi, figli della nostra gente, istruiti nell’antico insegnamento, osate parlare di rivolta con tanta sicurezza.Le parole della donna caddero nel silenzio come una staffilata. Fu la voce di Fintan a spezzare la tensione. - Un’alternativa ci sarebbe,- prese a dire, fissando Anara con intensità.- Potreste procurarvi il cibo dal commercio con i contadini delle tribù dell’ovest, quelle con cui non siete in lotta.- E cosa potremmo mai commerciare, se i nostri magazzini sono vuoti?- chiese Lorcan, sarcastico, i pugni serrati sulla tavola. - Vomeri d’aratro in ferro robusto, attrezzi, fibule in bronzo, piccoli oggetti, facilmente trasportabili ma di pregio, che io potrei procurarvi forgiando gli scarti di lavorazione delle armi che sto producendo,- disse, l’idea che prendeva forma nella sua mente nel momento stesso in cui la formulava.- Un buon fabbro sa ricavare dal suo lavoro la giusta quantità di scarti per non destare sospetti,concluse, complice. Tutti si voltarono a fissarlo. - E tu faresti questo per noi? Perché?- chiese ad un tratto Aisia, studiandolo diffidente.
- Già, perché, giovane Fintan?- incalzò Anara, con una curiosità quasi divertita che traspariva dalla voce calda. A quella domanda lo straniero esitò. - Perché così deve essere fatto,- sussurrò infine.- È una questione d’armonia: un equilibrio s’è infranto e deve essere ristabilito.Attorno al tavolo tornò a regnare il silenzio, mentre innanzi agli occhi di tutti la possibilità descritta prendeva forma tangibile. Fu Priyos a spezzare la tensione. - I Durotrigi, ad ovest, certamente non hanno risentito della guerra, come pure i Dumnoni. Sono territori facilmente raggiungibili per pochi carri che sanno muoversi con cautela, e senza generare sospetti. In qualche decina di giorni i vostri magazzini potrebbero contenere le scorte necessarie per giungere al termine dell’inverno. Quando, dopo Beltane, la guerra tornerà ad accendere i campi di battaglia, allora penseremo al da farsi.Anara chinò il capo in un cenno d’assenso. - Di quanto tempo hai bisogno, giovane Fintan, per procurarci ciò di cui parli?- Quindici giorni, se un apprendista mi aiuterà.La donna allora volse il capo verso il figlio e Niab spalancò gli occhi esterrefatto. - Nulla conoscono le mie mani di ferro e forgia. Esse conoscono unicamente di arpa e medicamenti!- esclamò in una debole protesta. - Ma la tua mente è svelta nell’apprendere,- concluse Priyos, sorridendo alle proteste del ragazzo. Niab chinò il capo e Fintan notò, divertito, come le emozioni si alternassero sul suo volto. Infine fu la determinazione a colmargli lo sguardo. Comprese in quell’istante che il fanciullo avrebbe saputo rendersi utile. - Dovremo parlarne ad Amorgen, dato che in questo tempo non potrò frequentare la sua casa,- disse infine Niab, rivolto a Priyos.
- A questo penserò io,- tagliò corto il saggio, levando la mano in un gesto noncurante. Aisia taceva, gli occhi cristallini intenti a fissare il volto dello straniero, le mani strette in grembo e le labbra serrate. E nel suo cuore percepì il dubbio divenire presenza e, nella presenza, incertezza. Seduta al suo fianco Anara la osservava, non vista, e il suo sguardo rivelava la stessa apprensione che si leggeva in quello della figlia.
- Possibile che tu non abbia saputo fare altro che tacere?- sbottò Lorcan, ergendosi innanzi ad Aisia in tutto il suo furore. - E cosa avrei dovuto fare, secondo te?- ribattè la fanciulla, fronteggiandolo. - Era il momento giusto per parlare con tua madre e per farle comprendere che quanto stiamo facendo è la cosa migliore per la nostra gente. Magari coinvolgerla!La fanciulla riprese il cammino, uscendo dal villaggio e dirigendosi verso i campi coltivati. Una volta terminata la cena, condivisa con Priyos e Fintan, Lorcan l’aveva avvicinata, facendole comprendere di voler parlare lontano da orecchie indiscrete. E l’unico luogo possibile era all’esterno del villaggio. La notte era oramai inoltrata e un vento gelido s’era levato a spazzare le nubi. Al mezzo del suo corso, la luna piena diffondeva il suo bagliore. - Mia madre non prenderà mai parte ai nostri progetti,- disse la fanciulla, allungando il o e lasciando indietro il compagno. Poi parve ripensarci e, dopo essersi guardata attorno, si fermò. Lorcan la raggiunse. - Questo non potrai mai saperlo, se non tenterai di spiegarle il nostro pensiero,la rimproverò. Ripresero a camminare affiancati. - E poi non sono certa di quale sia la cosa migliore per la nostra gente,- concluse Aisia, sollevando il cappuccio a proteggersi dal vento.
Il giovane allora si fermò e, afferratala per le spalle, la fece voltare. - Non sei certa che sia un bene liberare Bibrax da coloro che stanno portando la rovina sul nostro popolo? Lasciare che sia la nostra gente a decidere le sorti degli Ancaliti? Fare in modo che sia Anara a prendere il posto di Lugotorix e Priyos quello di Amorgen? Non riesci a vedere un futuro nel quale il nostro insegnamento possa divenire l’alito di vita che spira sul presente?La fanciulla si toccò la fronte, incerta. - Mi sembra tutto così assurdo,- sussurrò. - Non ti sembrava così assurdo oggi pomeriggio, dopo aver scoperto la razzia dei granai,- le ricordò il giovane.- Ma ora che l’intervento dello straniero allontana lo spettro della fame, il tuo cuore pare aver dimenticato che il saccheggio potrebbe ripetersi.Lorcan la strinse fra le braccia e Aisia poggiò il capo sul suo petto, assaporandone il calore. Poi si scostò, fissandolo. - Tutto questo è solo un sogno, Lorcan, iniziato molto tempo fa come uno scherzo da fanciulli. Ma ora siamo cresciuti ed è necessario prendere coscienza della realtà. Né mia madre né Priyos condivideranno mai i nostri progetti, questo lo sai.- Lo saprò quando gli Ancaliti avranno ritrovato la giusta armonia per governare queste terre. Solo in quell’istante saprò d’essermi sbagliato. Ma, nel frattempo, organizzerò le cose affinché la nostra gente, a Bibrax e nelle altre città, sia pronta a prendere il mano il governo della comunità. Con te o senza di te.La fanciulla si scostò e sul suo volto si disegnò un tristezza profonda. Allora il giovane tornò a stringerla, poggiandole le labbra sulla fronte. - Adesso che lo straniero ha deciso di aiutarci, non vedi in tutto questo un segno del favore degli Dei? Forse potresti tentare di capire quanto è disponibile. Magari provare a convincerlo a fornirci delle armi,- suggerì, cauto, carezzando la schiena della compagna. - Per poter tagliare la gola ad Amorgen nel sonno?- chiese la fanciulla, sarcastica.
- Quella di Amorgen e di coloro che lo sostengono,- ribattè il giovane, serio. Come evocate da quelle parole, immagini relegate a fatica in un angolo della mente presero a scorrere vivide innanzi agli occhi di Aisia, mentre l’odio esplodeva, riportando il volto ghignante che mai abbandonava i suoi pensieri. All’improvviso le parole di Lorcan divennero una promessa desiderabile. Si toccò la fronte, scostandosi bruscamente, e il cappuccio le ricadde sulle spalle, rivelando il volto teso. Fece un respiro profondo, tentando di calmarsi. Poi sollevò lo sguardo, incerta. I progetti nei quali Lorcan la stava coinvolgendo sembravano cambiare faccia a seconda del momento. E tanto parevano assurdi se esaminati con lucida razionalità, quanto auspicabili se guardati in preda alla furia che da tempo la dilaniava. Comprese così d’essere troppo confusa per poter valutare la situazione con obiettività. - Ci penserò,- disse allontanandosi da Lorcan e voltandogli le spalle. Poi tornò sui suoi i, ripercorrendo la via che l’avrebbe condotta al villaggio. Il giovane rimase a guardarla, immobile nella luce azzurrina, mentre l’ombra della compagna si perdeva nel buio. Fu nell’istante in cui scomparve alla vista, che comprese d’averla perduta per sempre.
Quando Aisia rientrò, Anara la stava aspettando. - Spero che i tuoi discorsi con Lorcan ti abbiano fatto comprendere quanto assurdi siano i vostri progetti,- disse la madre, invitandola a sedere. Aisia si lasciò cadere stancamente sulla panca. Tutto desiderava in quel momento, tranne un confronto con Anara. Dal giaciglio, oltre la parete di canne, il respiro regolare di Niab le confermò come fosse già sprofondato nel sonno. La fanciulla lo invidiò. - Non credo che questo sia il momento migliore per affrontare l’argomentodisse, slacciando la fibula del mantello. La stoffa si afflosciò sulla panca, come dando un sospiro di scoraggiamento. - Difatti non è questo il motivo che mi ha fatto attendere,- disse Anara.- Vorrei sapere cosa hanno veduto i tuoi occhi quando hanno guardato il volto dello
straniero.A quelle parole la fanciulla si tese sulla panca, mentre il pallore si accentuava sulle gote. - Nulla hanno veduto,- rispose in un sussurro, tormentandosi le mani in grembo. Anara la fissò per un lungo istante. Poi si alzò e pose una brocca d’acqua sulla pietra del focolare, nella quale lasciò cadere fiori essiccati. Una volta che l’acqua prese a bollire, filtrò il decotto e lo porse alla figlia. Un piacevole aroma si diffuse nella capanna. - Ho scorto la paura nei tuoi occhi,- disse a quel punto la donna, tornando a sedere.- E posso comprenderlo: il volto di Fintan abita da tempo le mie visioni. Tuttavia il futuro che lo riguarda è incerto. È per questo che ho necessità di sapere.Quella rivelazione strappò ad Aisia un moto di stupore. Anara sorrise, rassicurante, e la fanciulla chinò il capo e schiuse le labbra. - È da molte lune che il volto di quell’uomo visita anche i miei sogni,- disse con un filo di voce. - E non sono sogni piacevoli, da quanto vedo,- insistette Anara, incoraggiandola a proseguire. Ma la fanciulla tacque, caparbia, restia a rivelare altro. Così il silenzio calò, mentre lo scoppiettio delle fiamme si intervallava al respiro regolare di Niab. - Questi sono tempi di cambiamento,- continuò la donna.- E, come me, anche tu puoi percepirlo. La forza dell’insegnamento si sta indebolendo e temo che pochi Samain rimangano alla nostra gente prima che ci abbandoni del tutto. Oggi queste terre non sono più adatte ad accoglierlo e tanto meno a proteggerlo. Solo un nostro intervento deciso potrebbe mutare lo stato delle cose, lo capisci questo, vero, Aisia?La fanciulla annuì. Sapeva perfettamente di cosa parlava Anara e non ava giorno senza che il suo cuore percepisse la tensione che pervadeva il presente. - Eventi si stanno preparando,- disse, incrociando lo sguardo della madre.- I miei
sogni parlano solo di morte.- Una morte legata alla presenza di Fintan?- chiese Anara, protendendosi verso di lei. Ma la fanciulla reagì, improvvisamente stizzita. - Questo come posso saperlo? Sei tu la veggente!La violenza di quelle parole per Anara fu una conferma. Tuttavia ancora molto celava il cuore della figlia. La studiò per qualche tempo, decisa ad insistere. Infine rinunciò, comprendendo che il momento di esprimersi non era ancora giunto. Così sorrise e, all’improvviso, la tensione parve involarsi e la quiete calò fra le pareti della capanna. Aisia la percepì come un tocco tiepido sulla fronte, che, a mano a mano, scendeva sino al cuore. Il calore la pervase, donandole una serenità che da tempo le era estranea. Portò la ciotola alle labbra e sorbì il decotto a piccoli sorsi. Poi, imitata dalla madre, si alzò. - La notte è fonda e presto il sole sorgerà oltre la foresta,- disse Anara, avvicinandosi e stringendole le mani. Aisia annuì e ricambiò la stretta, grata. Già sapeva che, per quella notte, nessun sogno sarebbe giunto a tormentarla.
8. Antichi riverberi
Quando la porta si schiuse, Fintan era sdraiato sul giaciglio, un braccio poggiato sugli occhi e un leggero torpore che assopiva la mente. Il respiro profondo e regolare di Niab pervadeva la capanna. Dal lato più lontano, la forgia diffondeva il suo calore, disegnando goccioline finissime sulla fronte di entrambi. Era da diversi giorni che i due lavoravano senza sosta e, quel pomeriggio, lo sfinimento li aveva sopraffatti. A quel fruscio il fabbro si riscosse, lento, levandosi su un gomito. Quando i suoi occhi si posarono sul volto di Aisia le sue labbra si schio in un sorriso. Sin da quando avevano iniziato il lavoro concordato con Anara, ogni giorno Aisia era venuta a ritirare il carico, accompagnata da Carow. E, per quanto inizialmente una diffidenza caparbia l’avesse resa scostante, incontro dopo incontro, essa era scemata e la fanciulla aveva iniziato a fidarsi. Ora quella visita era divenuta un rito che cadenzava le sue giornate. - Temo d’esser giunta in un momento poco opportuno,- sussurrò Aisia in un bisbiglio. I suoi occhi misero lentamente a fuoco il volto della nuova venuta. Quasi senza volerlo, sorrise. - Niente affatto,- rispose. Si alzò dal giaciglio e uscì alla luce del giorno. - Il carico è pronto,- annunciò, guidandola sul retro della fucina, ove Aisia già aveva collocato il carro vuoto, che avrebbe sostituito quello contenente i vomeri d’aratro. La fanciulla si protese, poggiandogli una mano sulla spalla. Fintan si volse, interrogativo. - Non ti ho ancora ringraziato per quanto stai facendo,- prese a dire, la voce incerta.
- Le uniche cose importanti, oggi, sono celate in quel carro,- concluse svelto Fintan.- Carow non è venuto ad aiutarti?- aggiunse, guardandosi attorno. - Da sola attirerò meno sospetti. Troppi occhi hanno già iniziato a notare la nostra presenza in città.- Fece una pausa e osservò il volto segnato del giovane.Tu piuttosto sembri stanco. Il tuo lavoro per Lugotorix sta subendo ritardi?Fintan levò una mano in un gesto noncurante. - I fabbri di Bibrax sanno cavarsela da soli, oramai. Le mie spade sono piccola cosa, che si perde nel numero di quelle forgiate da loro.- A quelle parole un’ombra gli oscurò il volto.- In effetti potrei prendere in considerazione la possibilità di tornare al Bosco Sacro,- aggiunse fra sé e sé. - E cosa ti attende nelle tue terre di così urgente?La ragazza sorrise e il suo volto si illuminò. Fintan tacque, il cuore che tremava al ricordo della sua fucina, a ridosso delle mura di Cenabum. - Certo non dev’essere nulla di piacevole,- aggiunse Aisia, notando l’espressione che mutava sul suo volto. Fintan riportò gli occhi a fuoco. Poi distolse lo sguardo, poggiando le mani sul bordo del carro coperto e volgendo le spalle alla fanciulla. E, inaspettatamente, con semplicità, le parole fluirono dalle sue labbra, parole che pochi avevano potuto udire dalla sua bocca, quasi parlasse a sé stesso. - Per venire in questi luoghi, ho abbandonato la mia ricerca: la ricerca di un metallo incorruttibile, per una spada in grado di superare le cortine del tempo. Sin da bambino ho osservato i gesti di mio padre, la sua abilità sapiente, la pietra fusa che colava dalle fornaci, liberando il ferro che, battuto e ritorto, avrebbe preso la forma definitiva. Ho osservato il fuoco che arroventava la lama e l’acqua che ne dava la tempra. E da sempre ho compreso che qualcosa di imperfetto turbava l’unione di quegli elementi. Da allora ho tentato di cancellare quella sensazione inquietante. Ho ideato fornaci per tentare temperature più elevate. Ho ripiegato il ferro sull’incudine talmente tante volte che le mie mani, oramai, non hanno più necessità della mente, per fare il loro lavoro. Ma sempre ho fallito: la materia è restia a rivelare i suoi arcani. Come un’amante ritrosa, si sottrae alle mie dita e alla mia comprensione.- Dette quele parole, parve riscuotersi, come pentito della sua insolita loquacità. Quindi si voltò, fissando lo
sguardo negli occhi di Aisia.- Probabilmente è ormai tempo ch’io faccia ritorno e riprenda la mia ricerca.Aisia piegò il capo di lato, riflettendo. Poi tornò a fissarlo e prese a parlare con voce quieta. - Ciascuno di noi sente nel cuore il bisogno di lasciare una traccia del suo aggio: molti cercano instancabilmente la perfezione; altri, orecchie che possano ricordare la loro storia. Tutti temono che, alla loro morte, il loro vagare su questa terra non abbia lasciato un segno: un’intera vita come un insignificante attimo di tempo, perduto in un’eternità ch’è troppo grande per essere intesa. Dunque, tu credi che la tua vita sia tanto inutile, da obbligarti a forgiare una spada che possa divenire leggenda?Fintan ripensò alle parole di Oinos, che gli avevano fatto comprendere come un metallo incorruttibile avrebbe portato distruzione anche dopo la sua morte. Quindi si stupì nello scoprire in Aisia uno sguardo nuovo, che mutava la distruzione in possibilità. - Una spada che possa divenire leggenda,- ripeté, lo sguardo perduto sul tramonto.- Questo è solo un sogno,- concluse con amarezza. Aisia sorrise, poggiando il fianco al legno del carro. - Ma l’uomo vive immerso in un sogno!- esclamò senza esitazione.- Egli attraversa il suo tempo trasformando ai suoi stessi occhi la realtà che lo circonda, interpretandola secondo quanto gli dice la mente, adattandola alle esperienze ate, convinto di vedere ciò che è, incosciente della sua cecità. Egli vive in un sogno che è frutto del suo immutabile ato, senza consapevolezza di quanto lo circonda, e che lo proietta nel suo inevitabile e casuale futuro. Dunque, Fintan, cosa importa se la tua ricerca possa rivelarsi unicamente un sogno? L’importanza è contenuta nella ricerca stessa, nell’affanno di giungere là ove il nostro cuore chiama. Solo la perdita della propria ricerca rende la vita un male insanabile.Fintan la osservò, vagamente infastidito dalle parole della fanciulla. - Io non parlo di sogni. Ciò che ricerco è concreto quanto il legno di questo carro,- disse con tono deciso.
- La concretezza ha molti volti,- ribattè Aisia.- Sei certo, Fintan, che i tuoi occhi scorgano lo stesso carro che vedono i miei?Il fabbro tornò a studiarla, confuso. Nello scorgere la sua espressione, la risata di Aisia colmò l’aria, strappandogli un sorriso involontario. - Ti sto confondendo, perdonami,- disse la fanciulla, poggiandogli una mano sul petto.- Io penso che la tua ricerca non debba essere abbandonata, poiché ti ha reso ciò che sei oggi e segnerà il tuo volto di domani. Ma quello che intendo dire è che, forse, il tuo sguardo, come quello di tutti, vede le cose differenti da come sono in realtà. Forse, la tua fucina, immersa nella familiarità del tuo paese e di ciò che già conosci, non è il luogo giusto per la scoperta. Forse, quel metallo di cui parli è già scivolato fuori da una delle tue fornaci, ma i tuoi occhi non l’hanno riconosciuto. Forse, se la tua mente non fosse così assillata dal bisogno di perfezione, il tuo cuore avrebbe potuto udirne il richiamo.- La perfezione appartiene unicamente agli Dei,- concluse Fintan, stringendo la mano che Aisia gli teneva sul petto. A quel gesto la ragazza si scostò e i suoi occhi si fissarono in quelli del druido. Fece un o indietro e Fintan scorse il terrore nel suo sguardo. Ma fu solo un istante. Veloce come un battito di ciglia, l’ombra s’involò. - È tempo ch’io vada,- disse Aisia in un soffio, salendo velocemente sul carro. Fintan afferrò la briglia del cavallo e lo condusse sino all’uscita dal recinto. Nella mente si chiedeva cosa l’avesse spinto a compiere quel gesto insensato. - Per domani avremo terminato,- disse.- Se erai alla stessa ora troverai l’ultimo carico ad attenderti.La fanciulla fermò il carro al suo fianco e lo osservò attenta, le sopracciglia inarcate in un pensiero lontano. Infine sorrise. - A domani,- confermò. Fintan rimase a guardarla allontanarsi, assorto, il carro che svaniva nelle vie deserte. Poi un richiamo attirò la sua attenzione. - Sei tu il fabbro che forgia le lame che batteranno gli Atrebati?- gli gridò una
voce da lontano. Lo straniero si volse e si schermò gli occhi con la mano, a proteggerli dal riverbero del sole calante. - Chi lo vuole?- chiese, avviandosi verso la porta della fucina, nella direzione della voce che lo chiamava. I suoi occhi distinsero la figura di una donna ergersi ritta al di fuori del recinto, i capelli fulvi che sfavillavano infuocati sotto la luce del crepuscolo. - Mio cugino Bran dice di rivolgermi a te per un lavoro di qualità,- continuò la nuova venuta, mentre l’uomo si avvicinava.- E io ho bisogno di una spada.Fintan si fermò innanzi alla sconosciuta e i suoi occhi si specchiarono in quelli verdi di lei. Poi la studiò attento, soffermandosi sull’abbigliamento da guerriero che la rivestiva e sul fodero riccamente decorato. L’elsa della spada era intarsiata dal simbolo della sua famiglia, identico a quello di Bran. - Elowen,- si presentò allungando la mano verso di lui. Fintan le strinse il polso, riportando lo sguardo sul suo viso volitivo e, contemporaneamente, delicato, dagli zigomi alti e dal mento sottile.- Soddisfatto di quello che vedi?- Chiese la giovane, maliziosa, poggiando i pugni sui fianchi. Il fabbro arrossì. - Perdona la curiosità,- si scusò.- Ma i miei occhi raramente hanno veduto una donna cingere una spada.- Dalle tue parti le donne non combattono?- Temo che questa usanza si sia perduta con lo scorrere del tempo,- ripose Fintan, indicandole la porta della fucina e invitandola ad entrare. - Dalle nostre parti, invece, è un’usanza che ama essere perpetuata,- ribattè la giovane, osservandosi attorno e scorgendo Niab che dormiva ad un lato della fucina. A quella vista abbassò involontariamente il tono di voce. - Dunque sei tu il fabbro chiamato Fintan?L’uomo chinò il capo in un assenso, tornando poi a fissare il volto della
sconosciuta. La sua figura alta e snella si stagliava nella penombra in uno scintillio, i capelli che restituivano i bagliori della forgia, la pelle candida, leggermente spruzzata di efelidi, che riluceva dorata. Con gesto sicuro la giovane sfoderò la spada e la porse a Fintan. A quel rumore Niab si riscosse e si sollevò sul giaciglio. - Aisia è già venuta?- chiese sfregandosi gli occhi assonnati; poi, scorgendo Elowen, rimase immobile a fissarla. - Ho necessità di una spada che possa fermare il ferro degli Atrebati e questa, come dice anche Bran, non assolve allo scopo: ha veduto sin troppe battaglie. Di quanto tempo hai bisogno per sostituirla?Fintan prese l’arma e la studiò attentamente. Ne misurò la lunghezza a palmi e infine la brandì, per saggiarne l’elasticità e la leggerezza. - Senza intarsi, tre giorni,- concluse, restituendola alla proprietaria. - Ma è un lavoro che può fare anche un fabbro di Bibrax, oramai.- Bran sostiene il contrario. Dice che ha veduto le tue spade e nessuno a Bibrax saprebbe imitarle.Fintan rise, divertito. - Se così fosse, significherebbe che non sono un buon Maestro,- la canzonò. La ragazza si fece seria e, avvicinatasi di un o, lo fissò, risoluta. - Io voglio che la mia spada sia fatta dal fabbro migliore,- sussurrò, la tensione nella voce.- Posso pagarti bene.L’uomo si scostò, mentre una nuova risata echeggiava, colmando la fucina. - Non sono qui per farmi pagare,- precisò. - L’ospitalità del tuo popolo è più che sufficiente. Il punto è che al momento la lista è lunga e Lugotorix impaziente. Inoltre la tua spada mi sembra adatta allo scopo che ti sei prefissa.- Attenderò,- concluse la fanciulla, incrociando le braccia sul petto e sollevando il mento in un gesto volitivo.
Fintan tornò a guardarla e, scosso il capo in una resa, le sorrise. - Niab, il mio apprendista, verrà a chiamarti quando il lavoro sarà ultimato,concluse infine. Gli occhi di Elowen riverberarono nella penombra. - Agli intarsi penseremo quando la guerra sarà vinta e le mandrie recuperate,incalzò, un sorriso malizioso che ne trasformava il volto. Il fabbro scoppiò in una nuova risata. - Così sia,- confermò. Allora la giovane, soddisfatta, si volse, e a lunghi i percorse la distanza che la separava dalla porta. Poi si fermò. - Se ti avanza del tempo, ci sarebbe da pensare anche alla lancia,- aggiunse senza voltarsi, in attesa della risposta. - Prenderemo in considerazione questa nuova questione una volta che la spada sarà forgiata,- disse Fintan, sempre più divertito dalla fermezza di quella giovane donna. - Mi basta,- disse lei lanciandogli uno sguardo da oltre la spalla.- Attenderò con impazienza.Quando uscì, la fucina ripiombò in un silenzio sospeso, mentre Fintan rimaneva ad osservare il legno scuro dell’uscio appena richiuso. - Elowen è un’abile cavallerizza,- gli disse allora Niab, alzandosi e poggiando una ciotola d’acqua sulla pietra del focolare.- Il suo braccio è come un fulmine e nulla ha da invidiare alla bravura di Bran.- Ci sono molte donne che vestono gli abiti da guerriero fra gli Ancaliti?- chiese Fintan, scuotendosi e prendendo posto accanto al fuoco. Niab rifletté per un istante. - Non tante quanti gli uomini, ma direi di sì. Qui è normale che una donna decida
di impugnare le armi.- Poi lo guardò.- È ata mia sorella a prendere il carico? Fintan annuì. - Mi ha fatto discorsi inquietanti a proposito degli uomini che vivono in un sogno,- rivelò distrattamente, la mente divisa fra l’immagine della giovane donna fulva e le parole dette da Aisia. Niab sollevò il capo, stupito. Poi dissimulò quella reazione chinandosi per preparare l’infuso. - Ah, sì? E cosa ha detto?Il fabbro riportò lo sguardo sul giovane, attirato dal tono insolito della voce. - Non sono certo d’aver ben compreso, ma forse tu saprai spiegarmi meglio. Mi sembra di aver intuito che siano concetti che appartengono ad una tradizione del tuo villaggio.- No, non direi,- tagliò corto Niab.- Mia sorella spesso dice cose che hanno senso solo per la sua mente.Fintan osservò il giovane chino, percependo che qualcosa non andava, ma senza riuscire a comprendere fino in fondo l’inquietudine di Niab. - Non importa,- concluse infine.- Sarà meglio riprendere il lavoro.Poi si volse, mentre sul volto del fanciullo ava un’espressione di sollievo. E quando il giovane sorrise fra sé e sé, non si avvide dello sguardo di Fintan, che studiava ogni sua mossa.
- Mio giovane amico, come procede il tuo lavoro?- lo accolse Priyos, indicandogli uno sgabello accanto al focolare. Fintan non rispose, distratto, e prese posto laddove indicatogli. Alle sue spalle l’apprendista gli porse una ciotola di zuppa, ma il giovane rifiutò.
- Il tuo silenzio sembra piuttosto rumoroso. Senti anche tu, Caolan, il borbottio incessante dei pensieri del nostro ospite?- scherzò il vecchio, accettando la ciotola dalle mani del ragazzo.- Devi essere esausto.A quelle parole, Fintan rovesciò il capo in una risata. Poi si chinò in avanti a poggiare i gomiti sulle ginocchia. - In effetti un po’ di zuppa mi andrebbe, ma come sei messo a scorte?- chiese. - Un po’ di zuppa calda non farà la differenza fra la vita e la morte, per stasera,scherzò ancora il saggio, facendo un gesto noncurante con la mano. Quando Fintan iniziò a mangiare, Priyos lo imitò. Caolan sedette poco discosto, sbocconcellando un pezzo di formaggio. - Niab non è con te,- prese a dire il vecchio, in una domanda velata. - È appunto di questo che vorrei parlarti. Niab mi è stato molto utile. La sua mano è forte e precisa e la mente sa comprendere le sottigliezze della tecnica. Pensavo di richiedere il suo aiuto anche dopo che avremo terminato la fornitura per Anara, dato che, quando la guerra avrà avuto inizio, Lugotorix avrà ancora bisogno di tutti i fabbri disponibili.- Dunque ancora non hai deciso di imboccare la via del ritorno,- disse Priyos, facendo sollevare un sopracciglio a Fintan; quell’uomo era sin troppo perspicace, concluse fra sé e sé il giovane, lievemente infastidito. - Non è di questo che volevo discutere con te,- tagliò corto. - Ah, no? Dunque non hai ancora compreso che la tua ricerca può essere portata avanti anche in questi luoghi? O forse è perché hai dei dubbi su Niab?Fintan poggiò la ciotola vuota, poi si alzò e prese a misurare la lunghezza della stanza a lunghi i nervosi. Caolan lo guardava, e il movimento del capo seguiva la sua danza inquieta. - Vorrei sapere se mi posso fidare. In questi giorni l’ho osservato a lungo e ho concluso che diverrà un ottimo druido. Probabilmente anche un ottimo fabbro. Ma,- Fintan si immobilizzò accanto al focolare.- C’è qualcosa che non comprendo. Non so definire esattamente. C’è qualcosa che lo tiene distante,-
concluse, fissando il saggio in una domanda muta. - Potrebbe non essere Niab quello distante,- prese a dire Priyos. - Potresti essere tu. Ci hai pensato?- Non è così. La sua mente è brillante e la sua lingua sa discutere di ogni argomento. Ma quando si tratta della sua gente, delle sue tradizioni, allora trova sempre un pretesto per cambiare discorso.- Potrebbe non aver piacere di parlare della vita alle fattorie,- concluse Priyos, proferendo una banalità, cosa che non gli era consueta. Fintan lo osservò, ritrovando sul suo volto la stessa espressione del giovane che lo aiutava nella fucina. - Cosa non devo sapere, Priyos?- chiese infine in una domanda diretta. Il saggio esitò, riflettendo. Poi si volse verso Caolan in un sorriso. - Si è fatto tardi, sarà meglio che tu vada. Ti attendo per domattina.Il fanciullo si alzò, celando la contrarietà per esser stato congedato e, quando si fu richiuso la porta alle spalle, Priyos tornò a rivolgersi al compagno. - Cosa è accaduto, di preciso?Fintan tornò a sedere. Poi riportò le parole dette nel pomeriggio da Aisia e la reazione di Niab, mentre, a mano a mano, il volto dell’uomo s’adombrava. Quando ebbe terminato, il silenzio calò, teso. Priyos prese a carezzarsi la barba, la mente lontana. Sul suo volto le fiamme disegnavano ombre e il giovane rimase a lungo a studiare quell’espressione imibile. Poi, ad un tratto, il saggio parve prendere una decisione e le sue labbra si schio. - A lungo mi sono interrogato sulla tua presenza in questi luoghi e, in tutti questi mesi, ho atteso un segno che me ne fe comprendere il significato. Fosti tu stesso a darmelo, con la tua decisione di aiutare la gente delle fattorie. Poiché spesso, come sai, gli eventi nascondono volontà che vanno ben oltre la nostra comprensione. Un fatto, all’apparenza insignificante, genera conseguenze imprevedibili. E forse, il motivo che ti ha condotto a Bibrax non è quello voluto da Amorgen.- Dette quelle parole, Priyos parve rimanere in ascolto di un
pensiero lontano. Poi riprese, con sicurezza.- Le tradizioni di cui parla Aisia si fondano su un insegnamento molto antico, un insegnamento oramai perduto per il nostro popolo. Un insegnamento che, nel continente, forse, si rivelò all’origine del tempo. Noi druidi ne conserviamo frammenti, celati fra le conoscenze che tramandiamo da Maestro ad apprendista, ma talmente diluiti da aver perduto il loro significato originario. Gli Dei, che abbiamo creato a nostra immagine, hanno preso il posto di concetti troppo inaccettabili per le nostre orecchie, concetti semplici eppure inammissibili, persino audaci. Abbiamo avuto bisogno di loro perché la nostra razionalità ci impediva di guardare davvero le cose come sono. Abbiamo negato il nostro cuore, tacciandolo di inadeguatezza, e poi l’abbiamo colmato di mito e leggenda. Le cose sono molto più semplici.- Priyos fece una pausa, e allungò una mano sul tavolo alle sue spalle alla ricerca di qualcosa. Indovinando il suo desiderio, Fintan si alzò e, riempita una ciotola d’acqua, gliela porse. Ma il vecchio non la portò alle labbra.- Noi uomini siamo come questa ciotola, troppo colmi per poter ricevere altro. Nuova acqua tracimerebbe oltre i bordi, lasciando solamente poche tracce. Per comprendere l’antico insegnamento, prima è necessario svuotare la ciotola.- A quelle parole fece seguire il gesto. La legna sfrigolò nel focolare, liberando una nuvola di vapore. Il silenzio calò. Poi la fiamma ricomparve. E il saggio riprese.L’insegnamento protegge sé stesso. Solo orecchie disposte ad ascoltare possono riceverlo. Ma, se mal posto, anche orecchie disponibili possono rimanere sorde. È necessario che chi ne parla abbia toccato con mano la realtà di quanto insegna, abbia sperimentato, sappia con esattezza ciò che racconta per averlo veduto coi suoi occhi. Niab è ancora giovane e sa che, oggi, le sue parole sono incerte. Niab vuole proteggerti.- Proteggermi?- Dal rischio che tu possa considerare le tradizioni dei suoi padri come favole, e te ne allontani.- Tutto questo non ha senso.- Lo so, Fintan. Eppure è la realtà. Inoltre vuole proteggersi, evitando che le sue usanze possano essere fraintese.- Continuo a non comprendere.Priyos si toccò la fronte, esitando. Poi riprese.
- Cosa hai provato quando Aisia ti ha detto che l’uomo vive in un sogno?Fintan chinò lo sguardo sulla fiamma in un sorriso divertito, ripensando agli occhi chiari della fanciulla. - È evidente che è un modo di dire. Probabilmente intendeva che le nostre menti si fanno affascinare da cose inconsistenti.Priyos posò su di lui i suoi occhi ciechi, e, a quel moto, un brivido percorse la pelle del giovane. - E se non fosse una metafora, ma Aisia intendesse un vero sogno? Puoi provare a considerare questa possibilità?La risata del fabbro colmò il silenzio, ma nel vedere l’espressione imperturbabile del saggio, le risa gli morirono in gola. - Parli seriamente?- Sì, parlo sul serio quando affermo che l’uomo attraversa la vita perduto in immagini vaghe, proprio come accade quando, la notte, egli sprofonda nel sonno e visioni casuali giungono a visitarlo. La nostra mente è perennemente immersa in un marasma di pensieri. E questo un druido lo capisce molto bene. Le nostre meditazioni servono per chetarli, riordinarli, infine allontanarli. Quando essi si allontanano, allora proviamo la quiete, la vera quiete. È come svuotare una ciotola colma. In quel momento possiamo essere riempiti: in quel momento, non distratti dal loro bisbiglio, possiamo ascoltare il suono del silenzio. E della realtà. Ciascun druido si addestra allo scopo di raggiungere quello stato di pace e unione con ciò che lo circonda. Non è forse questo che ricerchi anche tu?- Priyos fece una pausa, per lasciare il tempo a Fintan di riconoscere quanto gli stava dicendo. Poi continuò.- Ma sono momenti ben precisi, ottenuti con impegno e costanza. E ano in fretta. Quei pensieri nascono dalla nostra storia, i nostri ricordi, le nostre esperienze. Spesso non ci rendiamo nemmeno conto ch’essi si muovono oltre il nostro ragionare volontario. Questo lo sai, poiché l’hai provato in prima persona, sin da ragazzo. Quello che non sai è che tutto questo ci allontana da ciò che ci circonda, dalla realtà delle cose, dalla loro essenza. La nostra interpretazione della realtà avviene tramite la nostra esperienza, e la nostra esperienza lascia un segno di riconoscimento indelebile, impedendoci di osservare con occhio nuovo, come fosse la prima volta: un occhio limpido come quello di un fanciullo. E così vestiamo la realtà di cose apparentemente note,
togliendoci la possibilità di scoprire quello che è davvero. È come se, oltre i nostri pensieri, ci fosse un mondo di idee pure, intoccate, che si erge oltre la nostra singola interpretazione, differente da uomo a uomo. Idee perfette e immutabili, libere dalla nostra contaminazione: ciò che sta alla base delle molteplici interpretazioni date da ogni singolo individuo. L’essenza della realtà.- E questo insegnamento di cui parli dovrebbe farci scoprire queste idee perfette e immutabili?Fintan si portò una mano alla fronte, scostando un ciuffo ribelle. Non gli riuscì di trattenere uno sbadiglio, suscitando il sorriso di Priyos. La stanchezza era calata, improvvisa, ad avvolgere il giovane come un manto e il sonno pareva chiamarlo con voce suadente. - Sei esausto, mio giovane amico,- disse il saggio.- Penso sia tempo che il tuo corpo ritrovi il giaciglio. La notte è ormai fonda. Riprenderemo il discorso in un momento più opportuno.Fintan esitò, incerto. Temeva che quel momento non sarebbe mai giunto e l’occasione sarebbe andata perduta. Poi il torpore lo assopì. Così si arrese. Si alzò, stirò le membra e si avvicinò al vecchio druido. - Per stasera temo tu abbia ragione,- confermò in un sorriso. Si toccò la fronte nel gesto rituale, poi fece per parlare, ma Priyos lo anticipò. - Ci saranno nuovi giorni per parlare. Ora va. Non è ancora il giusto tempo.A quelle parole il giovane esitò nuovamente. Poi uscì, richiudendosi la porta alle spalle. Priyos allora si alzò e, sedutosi poco discosto dal focolare, le gambe incrociate, la schiena eretta, iniziò la meditazione serale. Percepiva un’insolita tensione nell’aria e il suo cuore tremava. Udiva ancora la sua voce colmare la capanna e immaginava il volto mai veduto del giovane straniero, che si tendeva nella concentrazione del momento. Sorrise, ripensando a quegli sbadigli, così casuali eppure così opportuni. E vi ritrovò la forza dell’insegnamento che, ancora una volta, sapeva proteggere sé stesso. Inspirò a fondo e prese ad osservare con sempre maggior distacco i pensieri che gli affollavano la mente, quella sera particolarmente incalzanti, sino a quando,
infine, s’involarono. E a quel punto, come in un abbraccio rassicurante, la quiete scese a colmargli il cuore. E in quella quiete emerse un volto di fanciulla, la fanciulla ch’era stata Anara, colei che l’aveva guidato in quelle prime scoperte, quando ancora i suoi occhi vedevano il mondo e la sua mente nulla sapeva dei sogni che la annebbiavano. Fece un respiro profondo, ad allontanare i ricordi e ritrovare il vuoto perduto. Poi sorrise, in una resa. Così lasciò che la mente si cibasse di quella ridda di pensieri. E forse, una volta sazia, avrebbe concesso alla pace di tornare ad abitare il presente. Era giunto da poche notti alla città di Bibrax, al seguito di una carovana di mercanti, e quel pomeriggio, finalmente, il suo piede era riuscito ad imboccare la via che l’avrebbe condotto al Tempio di Anki, il motivo che l’aveva spinto sino a quelle lontane terre di Albion. Voleva vedere con i suoi occhi quel luogo eretto per lo studio degli astri, capace di predire lo sposalizio fra sole e luna. Sin da quando studiava al Bosco Sacro la forza di quel luogo di potere veniva descritta alla stregua di una leggenda. Tuttavia, egli sapeva che era la conoscenza di coloro che lo abitavano, o erano in grado di riconoscerlo, che rendeva ciascun tempio importante. Così, ora il suo o era impaziente, dopo che per tanto tempo aveva studiato il moto delle stelle e sondato i misteri del sorgere del sole: sperava che nuove risposte sarebbero giunte a dissipare i dubbi che ancora lo tormentavano. Aveva con sé una sacca di cuoio, con gli strumenti costruiti nelle lontane terre d’Egitto e di Persia, nonché cibo a sufficienza per molte notti. Ed ora camminava svelto, nella direzione indicata da Amorgen, il druido della città. All’intorno campi coltivati, protetti da siepi, si aprivano in larghe distese, dorati sotto il sole fulgido di mezza estate. E, in quel paesaggio uniforme, il suo occhio poteva spaziare sino a lunga distanza. Ma ancora non scorgeva, nemmeno in lontananza, nessun circolo di pietre. Temette così d’essersi smarrito. Si fermò, aguzzando la vista e, in una piana poco discosta, vide figure chine, intente alla raccolta del grano. Accelerò il o alla loro volta. - Qualcuno sa indicarmi la via per il Tempio?- chiese, rivolto alle donne impegnate nelle loro occupazioni. Molte levarono il capo nella sua direzione, qualcuna indicò verso ovest. Una soltanto rimase immobile ad osservarlo, il braccio alzato a proteggersi dal riverbero. Poi si avvicinò.
- Chi lo cerca?- chiese, studiandolo con attenzione. L’uomo alto e snello che le si ergeva di fronte non pareva appartenere al loro popolo. I lunghi capelli corvini, trattenuti sulla nuca da un legaccio di cuoio, il volto rasato dalla mascella volitiva, i chiari occhi grigi, che ricordavano il colore del cielo d’autunno, le dicevano che non poteva essere figlio di quelle terre. Tuttavia la candida tunica che lo rivestiva era conferma dell’appartenenza all’Ordine dei Druidi. Priyos si toccò la fronte nel gesto rituale, presentandosi. - Sarà sufficiente seguire il cammino del sole al tramonto,- gli disse la fanciulla, abbassando il braccio e rivelando il volto. I suoi occhi limpidi, chiari come polle d’acqua sorgiva, si riempirono di sole, e il volto arrossato, arrotondato in un ovale perfetto, si aprì in un sorriso. Fu in quell’istante che si riconobbero. O, più probabilmente, fu Anara a riconoscerlo. Il druido percepì unicamente una vibrazione del cuore, come un sussurro che gli diceva d’esser giunto al termine del suo viaggio. La fanciulla superò la siepe e si fermò al suo fianco. Sfilò dalla cintura i lembi rimboccati della veste, a coprire le lunghe gambe abbronzate. Poi s’incamminò, facendogli strada. - Accompagno lo straniero,- disse soltanto, rivolta alle donne che avevano ripreso il lavoro, e allungò il o lungo la via. Priyos la seguì, certo che, da quell’istante, quello sarebbe stato il suo posto. E così era stato, notte dopo notte, mentre la fanciulla rivelava ai suoi occhi i misteri dei grandi monoliti, l’uso degli architravi, e il giusto posizionamento, all’interno del cerchio, per lo studio dei cicli della luna. - Questa è una conoscenza oramai dimenticata fra la mia gente,- gli disse una notte, mentre cenavano alla luce di un fuoco da bivacco, subito all’esterno del cerchio di pietre.- Ma forse il tuo giungere saprà preservare quanto il tempo ha rubato al ricordo. Il caso ha dita viscide, ma la tua presenza non è casuale. Da tempo ti attendevo.La ragazza si alzò e il suo corpo snello si stagliò nel riverbero. Poi gli sedette accanto e, oltre il suo sguardo limpido, Priyos fu in grado di leggere la sua stessa
storia. Allungò le mani a stringere quelle di Anara. La fanciulla lo accolse, affondando le dita nei suoi capelli. - Chi sei?- le chiese in un sussurro, poggiando le labbra sulle labbra. - Io sono la terra che percorre il tuo o, il vento che accarezza il tuo volto, l’acqua che placa l’arsura e il fuoco che accende i tuoi lombi.E così era stato, per tutti gli anni trascorsi a Bibrax, anche quando lo sguardo s’era spento nei suoi occhi e solo il ricordo poteva ritrovare il volto di fanciulla di colei che gli aveva indicato il cammino, in quel lontano giorno di sole. Ed ora, ora che oramai sentiva che la sua vita giungeva al termine, ancora nel cuore echeggiavano quelle parole, le prime che l’avevano guidato lungo la via dell’antico insegnamento. Le ultime a cui avrebbe pensato il giorno in cui il suo spirito avesse lasciato per sempre quei luoghi di potere, alla ricerca di una nuova forma. Il druido si mosse, carezzando con la mente le immagini portate dal ricordo, percependo nelle membra un’eco del vigore che l’aveva percorso in quei tempi lontani. Poi, fatto un respiro profondo, prese ad osservarle con sempre maggior distacco, sino a quando s’involarono. Rimase solo il silenzio e lo scoppiettio della legna a cadenzare la quiete della notte.
9. La pretesa di Amorgen
- L’auriga di Bran è ancora troppo incerto,- dichiarò Lugotorix, osservando i campi d’allenamento sottostanti, dall’alto delle mura di Bibrax.- Esita nella curva a sinistra. È un punto debole, facile da attaccare.Amorgen, al suo fianco, si proteggeva gli occhi dal riverbero, aguzzando la vista sulle figure intente nella piana, e concordò con quanto osservato dal guerriero. - Non c’è tempo per i miglioramenti. Bran dovrà porvi rimedio con la sua abilità,- concluse secco. Il sovrano batté il palmo aperto sul legno del recinto in un’imprecazione, notando un nuovo sobbalzo nel carro che sterzava. - Gli Dei non potranno aiutarlo, nemmeno se li insulti,- lo riprese il druido, spostando lo sguardo sui cavalieri che si allenavano con la spada.- Beltane è vicino e le nuove armi forgiate. Il terzo quarto di luna dopo la festività d’estate potrebbe essere un buon momento per partire e portare i campi al confine.- Domani convocherò il Consiglio,- tagliò corto Lugotorix, ancora intento ad osservare il giovane campione che fermava il carro e mostrava al guidatore la procedura corretta. La preoccupazione gli disegnava una piega truce nel mezzo della fronte.- Forse dovrei impedirgli di scendere sul campo di battaglia, a meno che non sia indispensabile. In fin dei conti le prime razzie dovrebbero cogliere gli Atrebati di sorpresa. Certo non si aspettano che le nostre armi possano esser state nuovamente forgiate in così breve tempo.- Sempre che i loro osservatori non abbiano raccolto voci nel vento che parlano di fucine indaffarate a Bibrax.Lugotorix si volse ad osservare il compagno. - Se non fossi certo della tua lealtà, direi che ogni tua parola tenta di minare la mia sicurezza,- dichiarò infastidito. Amorgen sorrise.
- Tu sai che il mio compito è quello di metterti di fronte a qualsiasi possibilità. Peraltro, non possiamo nemmeno escludere che il nome di Fintan abbia superato i confini delle nostre terre. Gli Atrebati ci attendono, questo è certo. Forse la loro sorpresa potrà farli esitare, quando vedranno coi loro occhi che, stavolta, sarà il loro ferro a piegarsi sulle nostre spade.Un grido dalla piana richiamò la loro attenzione e i due uomini tornarono ad osservare il trambusto sottostante. - Pare che Elowen abbia deciso di farsi notare ai tuoi occhi, quest’oggi,- dichiarò il druido, osservando il bagliore fulvo dei capelli della giovane, circondata da tre guerrieri in difficoltà. - I cavalieri di Elowen potrebbero sostituire i carri di Bran, in effetti.- E tu credi che Bran rimarrebbe in disparte come un fanciullo? Sai bene che oserebbe persino disobbedire ad un tuo ordine in tal senso.La risata di Lugotorix si levò, sovrastando il clangore delle armi, e, per la prima volta da tempo, il suo volto si distese. Amorgen lo studiò e comprese che era giunto il momento propizio per affrontare l’argomento che in quei giorni lo angustiava. - Tu consideri Bran alla stregua di un figlio,- prese a dire, subito interrotto dal compagno. - Come quel figlio che gli Dei mi hanno sempre negato,- rimarcò Lugotorix. Amorgen annuì, poi continuò imperterrito. - Esattamente ciò che intendevo. Tuttavia non hai ancora pronunciato il suo nome innanzi al Consiglio. Sei forse incerto sul tuo possibile successore?- Il sovrano rimase immobile, il sorriso che gli moriva sulle labbra. Il druido continuò, in apparenza senza notare quel mutamento.- Certo si sa che un nuovo re viene scelto per acclamazione, esattamente come è accaduto a te. Tuttavia la parola di un sovrano può molto, innanzi ai Saggi e al popolo, per la nomina del suo successore.- Hai letto la mia morte nelle stelle?- chiese l’uomo, il profilo che si stagliava contro il cielo limpido.- Hai veduto la nostra sconfitta?-
Amorgen sollevò la mano in un gesto noncurante. - Certo che no, Lugotorix,- lo rassicurò.- Tuttavia potrebbe essere giunto il tempo di istruire un giovane atto a coprire la tua carica, soprattutto con una guerra alle porte. E Bran potrebbe non essere la scelta migliore. Egli è un grande campione, un guerriero valoroso, ammirato dalla gente e rispettato dai Saggi. Tuttavia a volte appare incerto sulle decisioni da prendere e sui giusti i da compiere, in particolare nei confronti dei contadini.- Bran è ancora giovane per occuparsi di politica.- Proprio ciò che volevo dire, Lugotorix. Altri uomini, esperti guerrieri come lui, altrettanto amati, potrebbero aspirare, un domani, alla guida della comunità.- Sentiamo il nome che hai in mente,- disse spazientito Lugotorix, scostandosi.A volte voi druidi siete insopportabili,- concluse. - A lungo ho osservato Clesek figlio di Mawgan, e il suo sguardo è limpido.- E la sua lingua tagliente nei confronti dei servi,- concluse per lui il guerriero.Perché dunque ti irrita quella gente? Tu sai quanto sia indispensabile per l’andamento della comunità.A quella domanda, nella mente di Amorgen si disegnò la quiete che pervadeva il volto di Priyos ed il suo cuore si contrasse in un moto di rabbia. Respirò a fondo, a ritrovare la calma, poi tornò ad osservare i guerrieri. - Voci nel vento dicono che il malcontento cresca fra loro e, nel malcontento, una fazione reticente stia incitando alla rivolta. Non è più solo pace quella che alberga nei loro cuori. Si preparano tempi nei quali la magnanimità potrebbe non rivelarsi un’arma efficace.A quelle parole Lugotorix si volse e fissò i suoi occhi in quelli del druido. Il silenzio calò fra i due, teso. Il sole strappò bagliori alla chioma brizzolata del guerriero, indugiò sugli zigomi pronunciati, scintillò sui denti candidi, che si rivelavano in un sorriso suadente. - Adesso abbiamo una differente battaglia da combattere e non abbiamo necessità che i nostri contadini scatenino una rivolta. Ecco il motivo che mi ha fatto desistere dalla redistribuzione delle scorte. Per il bene di Bibrax e delle
nostre mandrie, faremo tutto il possibile affinché questa apparente tranquillità non muti in collera,- concluse, senza possibilità di replica. Amorgen chinò il capo in un assenso, gli occhi gelidi che fissavano il volto del guerriero. - Tu sai certo meglio di me qual è il bene per il nostro popolo,- dichiarò; poi si volse e prese a scendere dai bastioni a o lento. Lugotorix rimase a fissarlo sino a quando scomparve oltre le capanne. Sapeva di non aver ottenuto una vittoria. Ma, forse, Amorgen avrebbe compreso che non era ancora venuto il tempo di mutare gli equilibri interni alla comunità. E di certo non c’era necessità di un giovane campione che trattasse i servi alla stregua di schiavi. - Ne riparleremo più avanti,- si disse tornando a guardare Bran, ancora alle prese con un carro malfermo. In quella visione, la sua mente si perse, scordando velocemente l’inquietudine che, per la prima volta, aveva scorta negli occhi del druido. Era preoccupato da quanto vedevano i suoi occhi, a cominciare dalle incertezze dell’auriga di Bran, sino alla stanchezza che veloce pareva calare sugli uomini che si allenavano con il fantoccio. Comprendeva che la fame aveva rubato molte energie ed ora solo la furia era in grado di risvegliare la forza necessaria a battere gli Atrebati. “Forse avrei dovuto ascoltare le parole di Amorgen e rifornire il mio popolo con le scorte delle fattorie”, si disse in un sospiro, andosi una mano sul volto. Poi l’inquietudine gli impose di scendere dagli spalti e incamminarsi fra i guerrieri. Scese le scale lentamente, varcò la porta e percorse a o più deciso la distanza che lo separava dai campi d’allenamento. Camminò fra gli uomini intenti, il clangore delle armi nelle orecchie, la sua alta figura che attirava gli sguardi, senza che le attività dei guerrieri si interrompessero. Arrivato al limitare della radura, si fermò a studiare ancora una volta le curve maldestre compiute dall’inesperto auriga, schermandosi gli occhi con la mano, contrariato. Bran lo scorse in lontananza e diede un ordine al giovane al suo fianco, che si diresse alla volta del sovrano. Quando il carro sterzò innanzi a Lugotorix, una nuvola di polvere lo investì e il giovane guerriero balzò a terra imprecando. - Per oggi può bastare, Masek. Sarà meglio che tu riprenda l’allenamento per tuo
conto quando la stanchezza sarà ata. Quest’oggi il tuo braccio non ha certo dato il meglio di sé!- esclamò il giovane rivolto all’auriga, che chinò il capo, rabbuiato, mentre le mani si serravano ancor più sulle redini. Poi, quando il guerriero fu disceso dal carro, indirizzò i cavalli alla volta di Bibrax, tentando di prendere velocità, ma le ruote slittarono sulle asperità del terreno, lasciando profondi solchi. Così fu costretto ad un’andatura più lenta. A quel punto, Bran si volse verso Lugotorix, toccandosi la fronte in un saluto riverente. - Quel ragazzo non è adatto,- dichiarò l’uomo, seguendo con lo sguardo il carro che s’allontanava. - Espone troppo il fianco destro.- Mio sovrano, le tue parole dicono il vero. Tuttavia non c’è tempo per addestrare un nuovo guidatore. O forse hai deciso di rimandare la battaglia?chiese. Gli occhi di Lugotorix affondarono in quelli blu di Bran, in uno sguardo riverberante di bagliori infuriati. Il giovane si scostò, come ad evitare il colpo di una lama affilata. - Non è tempo di rimandare, - disse poi il re, respirando a fondo e ritrovando la calma. - Amorgen ha interrogato le stelle e la partenza è prevista per il terzo quarto di luna dopo Beltane.Bran esitò, una piega truce che gli attraversava la fronte. I suoi occhi brillavano nella sfida, ma il volto scavato ne spegneva lo scintillio. - I guerrieri sono ansiosi di partire,- prese a dire, cauto.- Ma i tuoi stessi occhi vedono come la forza del loro braccio sia frustrata dalla fame. Inoltre il ferro dei nostri fabbri non è solido quanto speravamo: le loro spade si piegano contro il ferro forgiato da Fintan.A quelle parole Lugotorix si tese, il furore che tornava ad accendergli il volto. - Quindi lo straniero non ha compiuto il lavoro per cui è stato chiamato in questi luoghi,- sibilò. - Tutt’altro!- lo rassicurò Bran.- Il problema è l’impazienza e la fretta dei fabbri, che ancora non padroneggiano a pieno le nuove tecniche. Più d’uno mi ha
rivelato che seguire l’insegnamento dello straniero implicava un tempo più lungo di quello abitualmente impiegato con le vecchie modalità di forgiatura. Quindi in molti hanno preferito semplificare, per risparmiare tempo. Se così non fosse stato, oggi i nostri guerrieri non avrebbero una spada nel fodero o una lancia nel pugno.Lugotorix si scostò, lasciando vagare lo sguardo sulla piana e tentando di accettare quanto gli aveva rivelato il giovane campione. - Tu credi che le spade dei nostri fabbri sapranno resistere al ferro degli Atrebati? - chiese infine in un sussurro. Per un attimo, negli occhi del sovrano ò un’ombra d’incertezza e Bran rimase ad osservarlo, le dita che scostavano un ciuffo ribelle dalla fronte. - Lo credo,- disse infine, sperando in cuor suo di avere ragione.- Ma ciò che più conta è che tutti bramano di seguirti per vendicare l’onore perduto. Nessuno vuole essere ricordato come colui che s’è fatto razziare il Toro bianco di Mink da sotto il naso.Quelle parole parvero spezzare la tensione e Lugotorix ridacchiò sotto i folti baffi. Poi gli poggiò una mano sulla spalla. - Le tue menzogne sanno riscaldare il mio cuore,- dichiarò, un’improvvisa tristezza che gli oscurava il volto. Bran esitò, scrutandolo attento. La sua alta figura troneggiava su quella del vecchio guerriero, curvo sotto il peso del dubbio. - Il popolo non esita innanzi al tuo valore, mio re,- dichiarò, chinando il capo. Lugotorix gli strinse le spalle. Poi iniziò a parlare con lentezza, gli occhi fissi in quelli blu del giovane. - Oramai il mio tempo sta ando. Lo sento nell’aria che ogni mattina porta il lezzo della terra, quella terra ch’è mutata in fango, innanzi ai nostri occhi impotenti. Lo leggo negli occhi dei guerrieri, grandi nei loro volti smunti. Lo sento dal silenzio della foresta, nella quale il cervo si cela, rifuggendo la mia lancia. La battaglia imminente sta per segnare un nuovo tempo. I druidi lo confermano. E anche se Amorgen vuole nascondere ai miei occhi la verità, so
che nella sua mente il nome di Lugotorix è già scritto in un ato che ogni giorno diviene più remoto.- Il sovrano si toccò la fronte con gesto incerto. Poi allungò le mani a stringere i polsi di Bran.- Il tempo che sta per giungere ha necessità di un uomo giovane, che, con polso fermo, sappia guidare la comunità oltre la lotta coi popoli confinanti, e abbia l’intelligenza per portare lo sguardo all’interno delle sue terre, per governare con magnanimità e giustizia. La forza di un popolo dipende dalla sua stessa compattezza e oggi la comunità è divisa. L’odio di Amorgen sta spaccando in due il Consiglio e i suoi seguaci divengono ogni giorno più numerosi. Presto, soprattutto se questa guerra avrà esito nefasto, avranno il sopravvento.Bran lo ascoltava in silenzio, gli occhi attenti che studiavano ogni moto dell’uomo che gli si ergeva di fronte. E il suo cuore sanguinava a quelle parole. Lugotorix era stato per lui il padre perduto da fanciullo, caduto in una delle tante scaramucce che avevano cadenzato la sua infanzia. E in quel momento, dove il re, accantonando ogni pudore, rivelava la sua fragilità, sentiva l’affetto salirgli alla gola, soffocandolo in parole che stentavano a conquistare il suono. - Perché mi dici questo?- domandò. Un senso di perdita, talmente intenso da stordirlo, gli impedì di aggiungere altro. - Amorgen ha deciso il nome del nuovo re, e non è il tuo,- disse semplicemente Lugotorix.- Certo questo non accadrà nel giro di poche lune, a meno che la sconfitta non tocchi i nostri volti. Ma non saranno molti i Samain che ci separano dalla nomina di un nuovo sovrano.- Non desidero prendere il tuo posto,- dichiarò Bran sciogliendosi dalla stretta e levando una mano in un gesto deciso. La risata di Lugotorix si levò all’intorno. - Non dubitavo che queste sarebbero state le tue parole. Tuttavia sarà necessario che tu prenda in considerazione questa ipotesi, e al più presto. Il nome pronunciato da Amorgen porterà gli Ancaliti sull’orlo di una lotta interna. Ed è proprio questo che è necessario evitare. L’unico che può farlo sei tu. Tu, con l’aiuto di Priyos. Quel druido sa vedere oltre quello che scorgono i nostri occhi. Saprà guidarti lungo la via necessaria, l’unica possibile se non vogliamo che la nostra comunità si divida in rivoli che non potranno più ridiventare fiume. Certo, tu mi hai udito trattarlo con sufficienza. Ma non poteva essere diversamente.
Amorgen non deve dubitare. Egli conduce da anni la sua battaglia nei confronti di quell’uomo, una battaglia che sta sfociando in un odio insensato nei confronti di Anara e della sua gente, coloro che Priyos protegge. Se i contadini insorgessero, la nostra comunità non potrebbe sopravvivere, schiacciata fra battaglie interne e invasori che premono ai confini. Capisci quindi che non abbiamo alternative.- L’uomo gli sorrise, improvvisamente sereno. Poi continuò:- E dovrai comprendere se Fintan potrà schierarsi dalla tua parte. Avrai bisogno delle sue armi. Tanto più che tu stesso mi dici che i nostri fabbri non sono in grado di imitare la sua abilità. Egli potrebbe rivelarsi un alleato prezioso, se le mire di Amorgen dovessero farsi audaci.Bran esitò, soppesando le parole del sovrano e comprendendo la gravità della situazione. Poi sorrise, un sorriso mesto, che non fu in grado di raggiungere lo sguardo. Allora Lugotorix lo abbracciò, come si abbraccia un figlio. E seppe che da quel momento la guerra aveva avuto inizio. Un inizio che vedeva al suo fianco la persona che aveva amato maggiormente nella sua lunga esistenza.
A o lento, la mente impegnata a ripercorrere i discorsi appena fatti con Lugotorix, Amorgen si dirigeva alle fattorie. Aveva deciso di vedere con i suoi occhi la situazione al villaggio e pretendere l’invio delle scorte, nonostante il parere contrario del sovrano. Oramai a Bibrax la fame si faceva sentire, segnando i volti dei guerrieri e indebolendone le forze, e, per quanto Lugotorix si fe ammaliare dalle parole di Priyos, era a lui, Amorgen, in quanto primo druido della comunità, che spettava il compito di risolvere la situazione. Era già preparato all’ostilità di Anara. Ma sapeva anche che la donna non avrebbe potuto opporsi alle sue richieste. Si fermò ai recinti delle mandrie e osservò il lavoro degli uomini. Entrò nei granai e li trovò vuoti. Le sue labbra si serrarono e la furia prese a montare nel cuore. Poi percorse le vie del villaggio, i contadini che si affacciavano dalle capanne a guardarlo incedere: la sua presenza era un fatto insolito, che dimostrava la gravità della situazione. Quando giunse nella piazza principale, trovò Anara immobile sulla soglia di casa. - Le voci dicono il vero, dunque,- lo accolse, scostandosi per farlo entrare e indicando uno sgabello accanto al focolare.
Il druido sedette, guardandosi attorno. - Perdona la scortesia, ma non ho nulla da offrirti,- prese a dire Anara, sedendogli di fronte.- Come sai, sono tempi difficili. Cosa ti porta alla mia casa, Amorgen?La donna pronunciò il suo nome indugiando sulle sillabe, la voce calda che pareva disegnare pause inesistenti, in quel modo che, da sempre, sapeva catturare la sua attenzione e deliziare l’orecchio, come in un tintinnio lieve di cascata. Un brivido gli corse sulla pelle, al ritmo della carezza di quel suono. Tuttavia, quella reazione indesiderata lo infastidì e il druido si mosse, stizzito. - Ho veduto che i granai da qui a Bibrax sono vuoti. Dove avete nascosto le scorte?A quell’accusa Anara rimase imibile, le labbra schiuse su un sorriso tranquillo. Ancora una volta l’uomo si agitò sullo sgabello. - Potrei rivolgerti la stessa domanda,- rispose infine.- Sono ate più di dieci notti da quando l’orzo è stato rubato dai magazzini.Amorgen serrò le palpebre impercettibilmente, scrutando l’espressione della donna. Comprendendo infine che le sue parole non contenevano alcuna menzogna, trattenne a stento lo stupore. - Quanto dici è grave. Perché il fatto non è stato portato alle mie orecchie? Quelli sono i magazzini della città.- Quelli sono i magazzini del nostro popolo,- lo corresse Anara, la voce dolce e un sorriso suadente sulle labbra.- Ad essi attingono Bibrax, tanto quanto le fattorie. Tuttavia, pare che qualcuno abbia deciso diversamente. Ed ora, dalla tua presenza nella mia casa, comprendo che entrambi siamo al limite delle forze. Inoltre la stagione non è delle migliori. Mi è stato detto che hai pronosticato pioggia sino a Beltane. Quindi i campi non sono ancora stati arati.- Perché non mi è stato riferito l’accaduto?- ripeté il druido, la furia che montava. - Lugotorix è al corrente della situazione. Carow ha provveduto ad informare Bechthir, il responsabile delle scorte in città.-
Gli occhi di Amorgen dardeggiarono, la rabbia che gli accendeva le gote. - Forse sarebbe meglio dire che Priyos stesso si è dato la briga di informare personalmente il sovrano,- disse. - Priyos non c’entra in questa faccenda,- dichiarò Anara con voce ferma. Lo sguardo del druido affondò in quello della donna e un nuovo brivido lo scosse. - Priyos c’entra sempre, quando si tratta di te,- disse, l’astio che emergeva da ogni singola sillaba. Anara ne sostenne lo sguardo, mentre il silenzio calava fra loro, carico di tensione. Poi il druido si alzò, sovrastandola. - Domani al tramonto, Clesek erà a ritirare cinque carri di cereali,annunciò.- Fai in modo che non debba attendere.- Le tue parole sono una sentenza di morte per la mia gente,- ribatté la donna, nessuna emozione che traspariva dal suo volto.- Chi coltiverà i tuoi campi la prossima estate, Amorgen?- A tutti viene richiesto un sacrificio.A quel punto Anara si alzò e, avvicinatasi, poggiò una mano sul petto dell’uomo. - Il tuo odio nei miei confronti non è un motivo sufficiente per lasciare che il popolo muoia di fame,- sussurrò.- Me ne andrò da Bibrax, se è quello che desideri, ma non affamare la tua stessa gente.Amorgen strinse la mano poggiata sul suo petto, gli occhi che affondavano in quelli di Anara. Poi si scostò, brusco. - Un tempo le parole che ora pronunci potevano fare la differenza. Ma ora quel tempo è ato,- disse, voltandosi e spalancando l’uscio. Esitò, poi scomparve nella luce esterna. Anara rimase sulla soglia a guardare le spalle del druido svanire oltre una curva. Nello stesso istante arrivò Aisia.
- Era Amorgen quello che è appena uscito?- chiese, sfilandosi il mantello e sedendo a ridosso della parete. Anara chinò il capo. - È venuto a pretendere cinque carri di granaglie,- spiegò, continuando a fissare il punto nel quale il druido era scomparso. Aisia fece per parlare, ma la madre la precedette.- Come sta andando il lavoro alla fucina?- Domani andrò a ritirare l’ultimo carico e, a breve, dovremmo avere ritorni anche dai primi scambi coi Durotrigi.A quella notizia, la donna parve scuotersi. Richiuse l’uscio e sedette accanto al focolare. I suoi occhi si posarono sulle braci e il silenzio calò, denso. Aisia si soffermò a scrutare il volto della madre, immobile, per non turbare l’istante. Il tempo, all’improvviso, parve rallentare, mentre le fiamme baluginavano, furibonde. Fra esse immagini comparvero, innanzi allo sguardo attento di Anara. Fra tutte, il volto di Fintan si disegnò netto. Caminava svelto, la foresta che si serrava all’intorno, e nelle mani stringeva un involto di pelle. Poco oltre, la testa china di Niab era un’ombra che l’accompagnava. La donna battè le palpebre, alla ricerca, e subito l’immagine mutò, rivelando il cerchio di pietre ch’era il Tempio dei loro padri. Fuochi illuminavano la notte e i loro bagliori si riflettevano sulle tuniche candide di tre druidi ritti al centro del circolo. All’intorno una folla di volti si assiepava, perdendosi nell’oscurità. Ad un tratto una lama vibrò e il suo sfavillio rubò la visione. Anara si toccò la fronte, tornando al presente. Aisia allora si alzò, colmò d’acqua una brocca e la pose sul fuoco. Poi, quando l’acqua prese a bollire, lasciò cadere una manciata di foglie sminuzzate. Una volta che l’infuso fu pronto, lo filtrò e ne porse una ciotola alla madre. Poi tornò a sedere, bevendo a piccoli sorsi. - Priyos sostiene che Fintan potrebbe essere colui che stavamo attendendo,prese a dire Anara, studiando il volto della figlia.- Le mie visioni non lo smentiscono. Inoltre il suo intervento si sta rivelando provvidenziale, soprattutto ora che Amorgen ha deciso di svuotare i nostri granai.La donna tacque e il suo sguardo affondò negli occhi cristallini della figlia, che comprese la muta richiesta. La fanciulla chinò il capo, ancora esitante. Tuttavia, da giorni, il suo cuore pareva aver trovato la giusta distanza dagli eventi. Così schiuse le labbra e la sua voce uscì in un sussurro.
- Un sacrificio si prepara,- prese a dire, lo sguardo chino.- Un sacrificio esemplare. I miei sogni hanno veduto la moltitudine e le mani di Fintan rosse del sangue della nostra gente.- Aisia levò lo sguardo sulla madre e i suoi occhi divennero pozze insondabili.- Ma oggi il suo volto si confonde e, oltre l’immagine, solo gli occhi di Amorgen emergono. Gli occhi di Amorgen e il ghigno del figlio del capo delle guardie.A quelle parole, un brivido scosse il corpo di Aisia. La ciotola le sfuggì di mano e rotolò sul pavimento di terra battuta, disegnando un’ampia chiazza scura. Anara sedette al suo fianco e strinse le dita tremanti. Poi attirò il capo della fanciulla sul suo petto e prese a carezzarle i capelli, come faceva quand’era bambina. - Ho scorto la bramosia negli occhi di Clesek,- disse la donna in un sussurro.- So cosa è accaduto, lo scorso Beltane, al Tempio di Anki.Incapace di trattenerle oltre, finalmente le lacrime di Aisia sgorgarono, e i singhiozzi colmarono la capanna. Anara prese a cullarla, le labbra poggiate sul suo capo. Da tempo attendeva che il dolore della fanciulla trovasse la via per mostrarsi. Ed ora sapeva che la guarigione aveva iniziato il suo corso. Attese a lungo, sino a quando comprese che lo sfogo era ato. Poi si scostò, sorridendole rassicurante. - Il tempo ha ricominciato a scorrere,- le disse.- È necessario tornare ad occuparci del presente, non credi?Aisia annuì, asciugandosi il volto con dita tremanti. Poi il sorriso le illuminò lo sguardo e Anara comprese che il peggio era ato. Si alzò, le porse un bacile e la fanciulla si sciacquò con gesti lenti. - Credi che Fintan possa comprendere i principi del nostro insegnamento?chiese a quel punto Anara, indossando il mantello e avviandosi per la cena. Aisia la imitò e ne seguì la scia. A quella domanda, rallentò il o, riflettendo. Poi annuì, con sicurezza. - Già lo sta cercando,- disse.- Molte domande affollano la sua mente, domande che da tempo lo assillano, conducendolo lungo una via che ancora non intuisce. Ma la ricerca che lo tormenta sin da fanciullo gli schiuderà le porte per la comprensione. E l’antico insegnamento gli fornirà gli strumenti per giungere alla
meta. Di questo sono certa.A quelle parole Anara si volse a studiare il volto della fanciulla. Poi un sorriso parve accenderle lo sguardo e la tristezza serrarle le labbra. - Il cambiamento è vicino,- disse soltanto, riprendendo il cammino.
10. Il dono più grande
Quando estrasse dalla fornace il ferro ridotto ad una pasta malleabile, Fintan ne studiò l’aspetto a labbra serrate. L’esperienza gli diceva che il processo s’era compiuto al meglio e le modifiche, apparentemente insignificanti, che aveva apportato al metodo di estrazione avevano avuto successo. Aveva deciso che la spada commissionatagli da Elowen sarebbe divenuta il primo esperimento in quella terra straniera. Avrebbe, per così dire, segnato la ripresa della sua ricerca. E quella mattina il suo cuore fremeva nel desiderio di scoperta. Certo, avrebbe impiegato qualche giorno in più nella realizzazione, partendo dal minerale, ma il ferro che aveva a disposizione non lo soddisfaceva pienamente. Poco discosto, Niab lo osservava attento, gli occhi che seguivano ogni sua mossa, la bocca aperta per la meraviglia e i capelli scompigliati sulla fronte. Il calore della fornace aveva ricoperto il loro corpi di un velo di sudore, ed ora i due rilucevano alla carezza dei raggi tiepidi del sole, ritti al centro dello spiazzo retrostante la fucina. Fintan strinse le tenaglie, rovesciando il ferro tenero, e prese a martellarlo con lentezza e gesto preciso. Niab si scostò, studiando i movimenti del polso nel ripiegare il metallo, la potenza del martello che, senza fatica apparente, iniziava a disegnare una forma sotto i suoi colpi. - Potresti occuparti dell’impugnatura,- propose Fintan, senza interrompere il movimento, le orecchie colme del rumore secco del metallo. All’intorno l’aria era satura dell’odore del carbone che ancora si consumava nella fornace. Il giovane tossì. - Non credo di esserne ancora in grado.- Sciocchezze,- lo interruppe Fintan. - Ti ho veduto forgiare attrezzi ben più complicati. Non è richiesta una foggia artistica. Se la spada si rivelerà per ciò che spero, quando le battaglie saranno cessate allora potremo completarla al meglio. Altrimenti, non tornerà sul nostro tavolo se non come ferro da recupero. E allora l’arte sarebbe in ogni caso sprecata.-
Fintan fece una pausa e portò lo sguardo sull’apprendista, il volto aperto in un sorriso. Niab comprese che la foga del lavoro lo aveva pervaso, quindi qualsiasi protesta sarebbe stata inutile. Si volse e rientrò nella fucina, contrariato. Avrebbe preferito imparare la forgiatura delle lame, ora che aveva compreso il meccanismo degli attrezzi. Prese alcuni scarti di ferro e li pose sul carbone della forgia, poi lasciò vagare lo sguardo sulle braci ardenti. Grazie a Fintan, in quei pochi giorni aveva appreso dei metalli più di quanto sapessero le sue dita di musica, e si sorprese comprendendo quanto poco Amorgen gli avesse insegnato, a confronto, in quegli anni di studio. Una piega lieve si disegnò sulla fronte e una ciocca arruffata corse svelto a coprirla. O Fintan era un Maestro fuori dall’ordinario, oppure Amorgen lo teneva nella sua capanna per un altro motivo, si disse, improvvisamente inquieto. Nel frattempo il ferro si stava arrossando. Si volse a prendere le tenaglie, afferrò il metallo e iniziò a batterlo sull’incudine. Quel movimento gli piaceva: così ritmico e concreto, aveva il potere di svuotargli la mente. Percepiva il furore defluire dalle membra sino al metallo. Questi, prendendo forma, pareva imprigionarlo in sé. Ruotò il polso, come aveva visto fare a Fintan, e il ferro si ripiegò su sé stesso senza sforzo. Dopotutto, sembrava che il suo braccio sapesse riconoscere meglio quel movimento di quello richiesto dallo studio dell’arpa. “Forse non dipende da Amorgen”, concluse fra sé e sé, tornando alla forgia e affondando il metallo fra le braci. - Probabilmente non sono adatto ad essere druido,- disse, stavolta a voce alta, non accorgendosi della figura che gli si avvicinava alle spalle. - Non è mai troppo tardi per scegliere una via differente, fratellino,- gli sussurrò Aisia all’orecchio, facendolo sobbalzare. Le tenaglie caddero sulla terra battuta con un tonfo sordo e il ragazzo si volse, la risata di Aisia che colmava la fucina. - Proprio tu!- la aggredì.- Invece di divertirti tanto, perché non mi spieghi cosa è ato nella tua mente quando hai parlato a Fintan delle nostre tradizioni?La fanciulla tacque, il sorriso che le moriva sulle labbra. Ad un tratto la furia le accese il volto. - Non sei certo tu che potrai dirmi cosa è giusto o cosa è sbagliato!-
Nello stesso istante la figura di Fintan si disegnò sulla soglia, oscurando la luce, e il druido si fermò, stupito da quel confronto. - Di qualunque discussione si tratti, temo dovrete ultimarla fuori. Mi serve la forgia,- disse, facendo seguire il gesto alle parole.- Inoltre credo sarebbe meglio togliere il ferro dalle braci, Niab, se non vuoi che si cristallizzi e diventi inutilizzabile.- I due giovani si mossero all’unisono, una sedendo accanto all’uscio, l’altro a fare quanto Fintan aveva chiesto.- Infine, per quel che mi riguarda, non trovo che le mie orecchie abbiano potuto udire qualcosa di disdicevole. Quindi,- aggiunse, volgendo il capo verso Niab.- Direi che Aisia non mi ha rivelato nulla che non possa essere detto.Il druido riprese a martellare il ferro sull’incudine e la capanna si colmò dei clangori del suo lavoro. I due giovani tornarono a guardarsi; poi arrossirono. Infine scoppiarono in una risata sonora, spezzando la tensione. - Sono venuta prima quest’oggi,- iniziò a dire Aisia, alzando la voce per superare il rumore.- Ho pensato che avresti potuto accompagnarmi alla foresta. Niab dice che raramente uscite dalle mura e potrebbe interessarti scoprire qualche luogo adatto alle tue meditazioni, lontano dalla confusione di Bibrax.A quelle parole, Niab la fissò stupefatto. - Sono troppo occupato,- rispose il fabbro senza nemmeno sollevare il capo.Questa spada deve essere ultimata al più presto.Aisia lo osservò, reclinando lievemente il capo e comprendendo che Fintan era talmente preso da quel compito da aver a malapena udito le sue parole. Allora tacque, lasciando scorrere lo sguardo sull’uomo intento, mentre il fratello, recuperato il metallo dalla forgia, si disponeva al suo fianco a proseguire il lavoro iniziato. Osservò i muscoli guizzare nella tensione dello sforzo ripetuto, il volto teso, i capelli chiari che lo contornavano in ciuffi scompigliati. E, per un attimo, il suo cuore fremette nel desiderio di saggiarne la morbidezza. Innervosita, distolse lo sguardo. Fu in quell’istante che la lama si infranse. Il fabbro imprecò. Poi sollevò il moncone spezzato e lo portò alla luce, osservandolo con attenzione. Infine sospirò e, poggiato il lavoro sul tavolo ingombro, sedette al suo fianco. - Dopotutto una pausa potrebbe essere quello che ci vuole. La mia mente dev’essere esausta se ha permesso un errore così banale. Sempre che tuo fratello
se la senta di proseguire da solo.Sentendosi chiamare in causa, Niab s’interruppe, poi li fissò entrambi, annuendo. Nei suoi occhi ò un’ombra di disappunto. Aisia allora uscì, mentre il druido si sciacquava. Infine, indossata la tunica, Fintan si avvicinò al fanciullo. - Comunque ti sbagli,- gli sussurrò all’orecchio, scherzoso.- Sono certo che diverrai un ottimo druido.- Concluse avviandosi alla porta.- Sempre che tu decida di farmi udire il suono della tua arpa, naturalmente, in modo ch’io possa valutare.La voce si spense in lontananza e Niab poggiò il martello sull’incudine, il respiro affannoso per lo sforzo. Si deterse la fronte madida, gli occhi fissi sul chiarore del giorno incorniciato dall’uscio. Quando l’ombra del carro che si allontanava rubò il bagliore del sole, decise che era urgente parlare con Anara.
Seduto al fianco di Aisia, Fintan osservava le capanne che sfilavano lente ai lati del carro, alzando la mano a salutare, in risposta al cenno di qualche sconosciuto. Ancora si perdeva nelle vie di quella città e i suoi i conoscevano unicamente il cammino per due destinazioni: la casa di Priyos e quella di Bran. Ma quella gente non lo incuriosiva. Forse a causa della guerra e delle privazioni, i loro volti rivelavano una strana apatia e lo sguardo che li abitava era spento e spesso sfuggente. Percepiva l’inquietudine aleggiare all’intorno e il timore albergare nei loro cuori. Persino i druidi della comunità, da Amorgen sino all’ultimo apprendista, non conoscevano la naturalezza di un sorriso. Si mosse inquieto, scostandosi i capelli dalla fronte e Aisia si volse a guardarlo. - Anche a me non piace Bibrax,- gli disse, intuendone il corso dei pensieri.L’aria che vi si respira è malsana.Fintan sorrise, stupendosi ancora una volta della semplicità con cui la fanciulla sapeva esprimere concetti complessi, scomponendoli e rivelando uno sguardo differente, concreto. - Temo non sia solo la guerra,- confermò.- L’armonia nasce dalla guida della comunità e qui sembra che si sia smarrita.- Armonia…- sussurrò Aisia, spronando i buoi a superare il portone delle mura
di recinzione. Innanzi a loro, dall’alto del colle, si presentò una distesa verdeggiante, lievemente ondulata e cinta all’orizzonte da una foresta di querce secolari. Il fiume, pigro nelle sue anse, era ancora gonfio della pioggia recente. Nel cielo, anatre si muovevano in formazione, sospinte dal vento che, tramutato in brezza sulla terra, strappava fruscii sussurrati ad alberi ed erbe, e trasportava con sé un vago sentore di legna bruciata. In lontananza, verso ovest, un’ombra più scura rivelava il grande cerchio di pietre, capace di predire le eclissi. - Quello è un tempio dei vostri padri?- chiese Fintan, schermandosi gli occhi. - Il Tempio di Anki,- precisò la fanciulla, guidando il carro lungo la strada in pendenza.- La leggenda dice che furono gli antichi abitanti di Albion ad erigerlo, per suggellare l’unione fra terra e cielo. E in effetti è un ottimo punto d’osservazione per studiare le stelle,- minimizzò, sorridendo e levando la mano in un gesto noncurante. Fintan ne osservò il profilo delicato, i folti capelli corvini mossi dal vento, il pallore che nemmeno il sole poteva allontanare. - Ogni volta che tento di comprendere qualcosa che riguarda le tradizioni della tua gente, tutti evitano di formulare risposte chiare e dirette, a cominciare da tuo fratello. Speravo che almeno tu, dopo i discorsi fatti, fossi disponibile a fidarti di me.A quelle parole Aisia si volse, sorpresa, e i suoi occhi cristallini affondarono in quelli verdi del druido. - Ma io l’ho già fatto,- dichiarò, comprendendo sino a che punto fossero vere le parole pronunciate. - E di questo io ti ringrazio. Quindi cosa temi ancora?- Prima ancora della parola, nostra madre ha insegnato a me e Niab la prudenza. E gli insegnamenti ricevuti da bambini sono difficili da scordare, come suppongo avrai verificato anche tu.- Un sorriso malizioso le illuminò lo sguardo e Fintan trattenne il fiato, ammirandola. Ancora si interrogava sul cambiamento avvenuto in lei dalla prima volta che
l’aveva incontrata. Ma poi comprese che, in realtà, poco gli importava. In quegli ultimi giorni aveva scoperto il piacere della sua presenza e la vivacità della sua conversazione, che la fanciulla sapeva sostenere con arguzia, sotto i colpi delle provocazioni giocose del giovane. Così rimase unicamente a guardarla, il cuore che a mano a mano si chetava. I buoi presero ad inoltrarsi nel folto della foresta e sul volto della ragazza la luce mutò in una penombra screziata di bagliori. Fintan si osservò attorno, studiando il cammino per il ritorno, finché, arrivati ad una radura, Aisia si fermò. - Qui vicino c’è un lago,- annunciò.- È il luogo che ho in mente per le tue meditazioni,- disse, deviando dalla strada principale e inoltrandosi lungo un sentiero meno segnato. Il carro ava a malapena, sfiorando gli intrichi del sottobosco, ma Aisia seppe guidarlo con mano esperta, sino a quando la foresta, improvvisamente, si aprì, riportando la luce e rivelando una distesa azzurra, increspata dalla brezza. A quel punto smontò, legò i buoi ad una radice sporgente e si incamminò a o leggero. Una volta sulla riva si volse e lo chiamò. Innanzi a lei, il lago si apriva, ampio e circolare, sfumando all’orizzonte in una bruma azzurrina. Fintan percepiva una strana quiete aleggiare nell’aria, una sensazione di pace che aumentava ad ogni o, a mano a mano che la distesa d’acqua si faceva più vicina. Il canto degli uccelli risuonava con trilli ovattati, mentre lo stormire delle foglie era un indistinto mormorio. Parzialmente celato da un canneto, un cerbiatto uscì dal folto della foresta a pochi i da loro e si fermò ad abbeverarsi, indifferente alla loro presenza. Un falco veleggiò nel cielo. Il profumo del muschio si diffondeva dalla terra. - Questo è un luogo speciale,- iniziò a dire la fanciulla, sedendo e incrociando le braccia sulle ginocchia. Fintan prese posto al suo fianco.- È come se qui cielo e terra trovassero la loro unione, in un abbraccio in grado di fonderli in un unico punto d’infinito.- Si toccò la fronte, a scostare una ciocca inesistente, un sorriso incerto.- Chiunque giunga a queste sponde sentirà nel cuore scendere la pace e nelle orecchie il suono del silenzio.- Poi aggiunse svelta, con tono scherzoso.Sarà dovuto probabilmente allo sciabordio dell’acqua, con il suo rumore incessante.Fintan si volse, affondando lo sguardo nei suoi occhi limpidi, e, allungato un
braccio a cingerle le spalle, posò le labbra sulle sue, indugiando con dolcezza. Aisia si irrigidì, ma non si ritrasse. Allungò invece la mano, ad infilare le dita fra i suoi capelli, e il corpo dell’uomo si tese in un brivido inaspettato. Incerto, il druido si scostò, tornando a fissarla. - Hai dunque deciso che sarà questo il ringraziamento della tua gente per i miei vomeri d’aratro?- chiese, un’improvvisa amarezza che si rivelava roca nella voce armoniosa. Come percossa, la fanciulla si ritrasse. Si rassettò la veste con gesto lento e tornò a fissare l’acqua. - Veramente avevo pensato a un dono diverso,- dichiarò sprezzante.- Ma forse ho commesso un errore.L’uomo tacque, nuovamente incerto, spostando lo sguardo dal profilo della ragazza al lago immobile innanzi a loro. - Ti chiedo perdono,- disse infine, toccandosi la fronte e richiamando l’attenzione della compagna. Aisia esitò. Poi allungò una mano a scostargli i capelli dal volto. Un sorriso quieto era tornato ad illuminarla. Allora l’uomo si volse nuovamente, ad abbracciarla, il corpo che si tendeva, la bocca che percorreva la pelle morbida del collo. E la fanciulla si offrì, reclinando il capo all’indietro, le mani che lo allacciavano alla schiena muscolosa, trascinandolo con sé sull’erba. Poi prese a sciogliere i legacci della tunica, mentre Fintan esplorava il suo corpo, le labbra come una carezza. Ad ogni tocco la fanciulla si tendeva, la schiena inarcata, il respiro ansante, un rossore diffuso che le accendeva le gote sino ai piccoli seni, turgidi sotto le labbra delicate. Gli si offrì, stringendogli le cosce ai fianchi, incrociando le caviglie attorno alle natiche. E Fintan accettò quel dono, in un sospiro, il movimento che diveniva incalzante, un bisogno crescente che non era più unicamente del corpo, ma mutava in necessità della mente. Gli occhi affondati nello sguardo di Aisia, si tese, penetrandola più a fondo, gustando il grido roco che uscì dalle sue labbra, troppo impetuoso per essere trattenuto. E vi si unì, in un sospiro che all’improvviso divenne pace e infine silenzio. Sempre allacciati, i loro corpi si abbandonarono sull’erba soffice, il sole che giocava in riflessi sulla pelle d’alabastro, fondendo in un’unica immagine ciò che a breve sarebbe stato nuovamente diviso. Giacquero immobili, il tepore che
ava tra loro, in uno scambio reciproco, lo sguardo nello sguardo, l’azzurro di Aisia nel verde di Fintan, che richiamavano, uniti, il colore delle acque del lago. Quando la brezza percorse loro la pelle madida, strappando brividi diacci, Fintan si levò e, recuperata la veste, la avvolse attorno al corpo della fanciulla con fare protettivo. Aisia si strinse ancor più a lui, poggiando il capo sul suo petto. - Debbo ancora darti il mio dono,- sussurrò maliziosa, tornando a fissarlo. Fintan giocò con i suoi capelli, indugiando con le dita fra le ciocche scure. Poi si levò a deporle un bacio lieve all’angolo della bocca. - Qualunque esso sia, non posso certo rifiutare,- dichiarò, riprendendo la danza delle labbra sulla pelle delicata della fanciulla. Aisia gli affondò le mani nei capelli a trattenerlo con dolcezza. - Sono seria,- concluse, alzandosi. Il suo corpo nudo si stagliò candido contro il bruno delle querce, e Fintan rimase a guardarlo, il desiderio che si accendeva nuovamente, mentre con lentezza Aisia giungeva al carro e, presa la sacca di pelle conciata, tornava verso di lui. Le lunghe gambe parevano sfiorare la terra in una danza lieve e, in quel movimento, i seni si muovevano sodi, invitanti. L’uomo si alzò e, avvicinatosi, la strinse nuovamente, la bocca avida, le mani che si stringevano sulle natiche. Ma stavolta la fanciulla si scostò. - Io so che c’è qualcosa che desideri più di quanto il tuo corpo, ora, possa desiderare dal mio,- iniziò a dire. Lo prese per mano e lo condusse nuovamente sulla riva del lago. Gli porse la tunica e, a sua volta, si rivestì. Infine sedette, invitandolo al suo fianco. - Quando ti parlai del sogno e della realtà, le mie labbra non mentivano. So che la cosa può apparire folle, ma questo è quello che vorrei tu vedessi e questo è ciò che ho intenzione di mostrarti. Certo, normalmente per poter scorgere il vero volto delle cose sono necessari lunghi anni di addestramento. Spesso per molti trascorre un’intera vita, nella ricerca. Ma ci sono erbe che, opportunamente dosate, possono infrangere per un attimo il velo di illusione che ci separa da ciò che è. L’effetto dura solo pochi istanti, quindi è necessario usarli al meglio.- A quel punto si fermò, studiando attenta la reazione di Fintan, che rimase a
guardarla immobile. Aisia si mosse inquieta, poi continuò.- Queste erbe agiscono acuendo i sensi. Non generano illusione o visioni, come quelle usate nei riti dei druidi,- spiegò, sempre più incerta.- Agiscono sul corpo, potenziando funzioni che già siamo abituati ad usare, ma non al meglio delle loro possibilità. Ma vedo dalla tua espressione che non riesco a spiegarmi.Fintan le sorrise, sfiorandole lieve la fronte. - E cosa dovrebbe accadere, dunque?- chiese, quieto.- Mi risveglierò ancora qui al tuo fianco?Aisia lo guardò sbigottita. - Credi ch’io voglia avvelenarti?La risata di Fintan percorse l’aria. - Credo di amarti,- dichiarò con semplicità, affondando gli occhi in quelli cristallini della fanciulla.- Può un druido straniero innamorarsi di una donna delle fattorie di Bibrax?La fanciulla trattenne il fiato, turbata. - Questo non c’entra con quanto ti sto dicendo,- disse, confusa.- Io ti sto offrendo la possibilità di vedere quante cose possono celarsi ai tuoi occhi, quanto può esserti sfuggito nella tua ricerca del metallo perfetto. Quanto potresti un domani scoprire!- Dette quelle parole esitò. Poi levò il mento nel gesto che a Fintan stava divenendo familiare e i suoi occhi brillarono.- Questo è il mio ringraziamento per aver salvato il mio popolo. E il mio pegno d’amore,concluse in un fiato, le gote che s’imporporavano. Poi aggiunse: - E la risposta alla tua domanda è: no. Non può un druido innamorarsi di una donna delle fattorie. E nemmeno il contrario.I suoi occhi si colmarono di lacrime e Fintan la strinse, cullandola dolcemente. - Adesso mi andrebbe di provare le tue erbe,- le bisbigliò all’orecchio. Aisia si scostò, tornando a fissarlo, ancora incerta. Poi prese a frugare nella sacca e ne estrasse un piccolo otre di pelle.
- È importante che, qualunque cosa accada, tu rimanga calmo. L’effetto durerà pochi istanti. Molti prima di te hanno verificato che la nostra mente è in grado di sopportare solo la quantità di impressioni che le erbe consentono di recepire. Se sarà troppo, allora si spegnerà da sola, senza pericolo. E inoltre io sarò qui, accanto a te a guidarti.- Tu l’hai già sperimentato?La fanciulla rise divertita. - Certo! La curiosità è un nemico potente!Fintan prese l’otre e, senza esitazione, ne bevve il contenuto, lo sguardo sempre fisso in quello di Aisia. Ancora una parte della sua mente si domandava se non fosse tutto un inganno, volto ad eliminare la minaccia dello straniero, forgiatore di spade e portatore di morte. Poi scoprì che non gli importava. Se quello era il suo destino allora certo non sarebbe stato lui ad opporsi al volere degli Dei. Solo l’immagine di Oinos, il suo Maestro, si disegnò un istante nella sua mente, in una fitta di dolore che si sopì veloce com’era venuta. Restituì l’otre ad Aisia, sollevando le sopracciglia in una domanda silenziosa. - Questa non è magia,- spiegò lei.- Devi lasciar loro il tempo di agire sul tuo corpo.Fintan allora allungò una mano e prese a percorrere i lineamenti del suo viso con gesto lento. Le carezzò la fronte, scivolò sugli zigomi, disegnò il contorno delle labbra. Si sporse a baciarla ma la fanciulla si scostò, osservandolo attenta. Fintan sorrise, attorcigliando una ciocca di capelli fra le dita. Ed erano così scuri, neri come la notte, screziati sotto la luce del sole. E sottili. Talmente sottili da non distinguerli l’uno dall’altro. Eppure sembrava che, lentamente, l’immagine si mettesse più a fuoco, rivelando, in quella cascata bruna, dettagli minuscoli, come fili intrecciati di una ragnatela, perfettamente delineati nei loro nodi. Batté le palpebre, interdetto, e riportò lo sguardo sul volto della fanciulla, che ora spiccava netto, immerso in un’aura azzurrina. Indugiò, stupito, ad osservarne i particolari, e quel colore cangiante che avvolgeva l’intera figura di Aisia. Già altre volte era accaduto, durante i riti, di scorgere i colori dei compagni, ma mai con una chiarezza come quella che scorgeva in quell’istante. Era come una spirale di luce che si snodava, pulsante,
diffondendosi dal corpo della fanciulla, avvolgendolo e sfumando da un blu intenso ad un azzurro tenue sino a perdersi in luce bianca. Battè le palpebre. All’intorno l’aria s’era fatta più luminosa, come se il sole avesse intensificato la sua luce, e, a mano a mano, gli oggetti risaltavano nei loro contorni sempre più netti, dettagliati sin nei particolari più insignificanti. E ciascuno possedeva un suo proprio colore, che, velocemente, s’accendeva. E i colori si diffondevano e mescolavano, iridescenti, in mille giochi d’arcobaleno, circondandoli in una ragnatela di luce vibrante. Fintan spostò lo sguardo sulle acque del lago. E le scoprì argentee, evanescenti. Le piccole increspature, in precedenza sfumate, ora erano un disegno di spirali nette, onde che si intersecavano tra loro in una danza continua. Quelle spirali si levavano dalle acque, mutando in bruma. E la bruma era vapore, che svaniva oltre la superficie, disperdendosi. Poi, sotto i suoi occhi sempre più increduli, l’immagine del lago parve dissolversi, sostituita da una piana erbosa, riverberante come smeraldo sotto i raggi vividi del sole, al centro della quale si levava un colle arrotondato cinto da boschetti di noccioli e meli in fiore. Il loro profumo era talmente intenso da giungere sino a lui, inebriandolo. Alla sua destra e ai piedi del colle era una palude circondata dalla vegetazione, le cui acque sciabordavano quiete, giungendo all’orecchio in un canto lieve, sottolineato dal fruscio delle canne e inframmezzato da ronzii e gracidii. E i suoni, alla pari dei colori, parevano aumentare sempre più d’intensità, mescolandosi in armonie giocose e dissonanti. Un falcò stridette nel cielo. E quel verso fu, per il druido, assordante. Si portò le mani alle orecchie, mentre iniziava a percepire odori non notati, sconosciuti, nei quali poteva riconosce distintamente, sovrastati dal profumo dei meli in fiore, l’aroma muschiato delle querce, quello frizzante dell’erba fresca, la dolcezza della pelle della fanciulla al suo fianco. Ma anche quelle sensazioni crescevano a dismisura in lui, sommergendolo in una nausea montante. Il cuore accelerò i battiti, le orecchie si colmarono di fruscii e cadenze, che aumentavano sempre più di tono, a stordirlo, assordandolo con i suoni prodotti dal suo stesso corpo. Una vertigine lo colse. Poi il buio e il silenzio scesero ad avvolgerlo, protettivi, mentre si accasciava sull’erba soffice.
Quando riaprì gli occhi, il volto sorridente di Aisia era chino su di lui, rassicurante, ed egli comprese di avere il capo poggiato sul suo grembo. Le mani della fanciulla gli bagnavano la fronte con l’acqua fresca del lago, carezzandola con gesto quieto, ritmico. Ad un tratto, un eccesso di nausea lo colse, ed egli si voltò, scostandosi svelto. Poi tornò a poggiare il capo in grembo alla fanciulla, il respiro ansante. Lei gli deterse le labbra e Fintan percepì l’arsura consumare il suo corpo. Quando Aisia gli porse l’otre, bevve con frenetica avidità. - Presto erà,- lo rassicurò. Quella voce melodiosa e carezzevole fu un riferimento tangibile per la mente di Fintan, che vi si aggrappò, riemergendo dalla confusione che la annebbiava. La lingua intorpidita gli impedì di domandare. - Già te lo dissi che questo è un luogo speciale, un luogo in cui sogno e realtà si mescolano e divengono entrambi concreti,- prese a dire, il sorriso che diveniva malizioso.- Hai veduto il colle?Fintan annuì, tentando di sollevarsi, ma la spossatezza lo obbligò all’immobilità. - Hai consumato molte energie. Ora il tuo corpo rifiuta il cibo e la nausea ti sommerge, ma dovrai sforzarti di mangiare al più presto.Estrasse dalla bisaccia una focaccia d’orzo e quell’odore provocò nel druido un nuovo eccesso. La bocca gli si riempì di un fiotto acre, obbligandolo a scostarsi nuovamente. A quel moto Aisia la ripose. Poi tornò a porgergli l’acqua e riprese la sua danza di carezze fra i capelli. - Esistono altri luoghi come questo,- prese a dire, la musica della sua voce che lo cullava.- Ma nessuno così potente. È come se il sogno fosse divenuto così concreto da prendere una forma tangibile anche agli occhi di coloro che tentano di svegliarsi. E, oltre il sogno, il colle che hai veduto è la realtà, una realtà talmente inconsistente da svanire, come una pallida visione. Anara ha motivato questo fenomeno con la presenza di quella roccia,- disse, levando una mano ad indicare una forma scura a poca distanza da loro e parzialmente celata dagli intrichi della vegetazione.- È fatta di un metallo particolare, un metallo caduto dal cielo,- concluse e tornando ad affondare gli occhi in quelli di Fintan, carichi di sottintesi. L’uomo impiegò qualche istante a mettere a fuoco l’informazione ricevuta. Poi
schiuse le labbra in una domanda silenziosa. - Sì, Fintan. Questo è l’ultimo dono: il giusto metallo per la tua spada,- concluse la fanciulla. A quelle parole, il fabbro, in uno sforzo che gli imperlò la fronte, sedette e prese ad osservare la roccia poco discosta. La superficie era parzialmente celata da formazioni di muschio e ciuffi di vegetazione erano cresciuti nei suoi anfratti. Ma la forma era talmente caratteristica da togliere qualsiasi dubbio. Era talmente grande da consentire di forgiare un numero di spade per dieci eserciti! Ma a lui ne bastava una soltanto, si disse, levandosi incerto. Poi si avvicinò con o malfermo e posò la mano sulla superficie levigata. Il suo cuore accelerò i battiti. - Adesso ti porterò al mio villaggio dove, se lo desideri, potrai trascorrere la notte, - annunciò la fanciulla, avvicinandosi e poggiandogli una mano sulla spalla.- Domani ti ricondurrò a questi luoghi per prendere ciò che ti serve.Ma il druido non la udì. Intento, studiava la superficie brunita, saggiandone la consistenza, interrogandosi sugli attrezzi da utilizzare per intaccare quella massa compatta. Il malessere stava ando, lasciando il posto ad un’urgenza frenetica. Aveva il volto infuocato, come la forgia che arroventava il metallo delle sue armi. Poi una vertigine lo colse e fu costretto a sedere. Aisia gli tese la focaccia con gesto imperativo e Fintan prese a masticare lento, in uno sforzo evidente a trattenere la repulsione. Quando Aisia fece per condurlo al carro, dapprima esitò. Poi la seguì docile, gli occhi fissi sul metallo donato dagli Dei, nella mente un nuovo sogno che prendeva forma: la forma di una spada dalla lama scintillante, un’immagine nitida e precisa sin nei minimi particolari, come mai in ato era avvenuto. E così seppe, con un tuffo al cuore, che la sua ricerca aveva finalmente assunto una forma tangibile: una forma che segnava l’inizio della sua stessa fine.
11. L’antico insegnamento
- Devi essere completamente impazzita!- esclamò Niab ergendosi innanzi ad Aisia in tutta la sua furia.- Non l’avrai condotto anche al lago, vero?La fanciulla distolse lo sguardo, serrando le labbra infastidita. Poco discosta, Anara la fissava, un’espressione indecifrabile sul volto. - L’hai fatto?- insistette Niab, tendendosi e stringendo i pugni lungo i fianchi. - Sentivo che era la cosa giusta da fare,- replicò Aisia, la furia che si specchiava in quella del fratello. - L’unica possibile,- concluse per lei Anara, levandosi e prendendo a muoversi nella stanza. A quelle parole i due ragazzi si immobilizzarono. Lo stupore disegnò sui loro visi un’espressione grottesca. - Il caso allunga in continuazione le sue dita viscide sul presente,- continuò la donna, quasi parlando fra sé e sé.- Ma stavolta non è il caso che muove i nostri i. L’arrivo di Fintan era previsto. Tuttavia non era previsto che tu ti fi coinvolgere in questo modo,- concluse, fissando la figlia con sguardo severo.- Di sicuro non era previsto che ti spingessi sino a questo punto,- aggiunse. Niab si mosse, lasciandosi cadere su una panca, poggiandosi alla parete e iniziando a tormentare un lembo della veste con dita inquiete. - Il cuore di Fintan è puro,- insistette Aisia, tendendosi impercettibilmente verso la madre, che si volse e sorrise, lasciandola interdetta. - Le tue parole dicono il vero,- disse, sedendo al suo fianco.- Ma egli non conosce ancora le nostre tradizioni e un suo intervento presso Amorgen potrebbe rivelarsi un problema.Niab scoppiò in una risata.
- Se è questo che ti preoccupa, madre, allora possiamo stare tranquilli. Il o di Fintan corre lontano da quello di Amorgen. E Amorgen fa lo stesso.Anara si toccò la fronte, riflettendo. Poi si rilassò e sorrise. - Dove si trova in questo momento lo straniero?- chiese alla figlia, alzandosi e ponendo una brocca sulla pietra del focolare. - È stremato: dorme nella capanna di Melyor,- rivelò la fanciulla, rilassandosi. - Sarebbe opportuno coinvolgere Priyos,- suggerì Niab, con cautela. Anara lo scrutò attenta. - Non sarà necessario. Sarà lo stesso Fintan a parlargliene. E Priyos saprà usare le giuste parole per risvegliare la comprensione. Ma io credo che la promessa del metallo caduto dal cielo, dopo quanto ci ha raccontato tua sorella della sua ricerca, lo impegnerà per molto tempo. Di certo la tranquillità è la migliore soluzione. Dopotutto, gli eventi stanno prendendo la forma annunciata. Alla fine potrebbe essere proprio lui a preservare l’antico insegnamento, se dovesse giungere l’istante temuto.Niab guardò la madre esterrefatto, comprendendo le implicazioni celate oltre quelle parole. Un lungo silenzio colmò la capanna. Dopo qualche tempo Anara si chinò sull’acqua, che oramai bolliva, e, preparato l’infuso, ne riempì tre ciotole, che distribuì con gesto lento. Infine sedette accanto al focolare, considerando chiusa la questione. - Adesso mi piacerebbe sapere come sono andati i commerci nelle terre dei Durotrigi,- disse, guardando Niab.- Saresti così gentile da chiamare Carow?invitò, sorridendo quieta. Incerto, Niab si alzò. Lasciò vagare lo sguardo sulle due donne sedute, dopo di che si avviò a o spedito. Il silenzio calò nella capanna, Aisia che si tormentava le mani strette in grembo e Anara che la osservava con sguardo attento. - Ti sei innamorata di lui?- le domandò con voce ferma quando il figlio fu uscito. La fanciulla levò il capo e i suoi occhi si colmarono di lacrime trattenute. Infine
chinò il capo in un assenso. Allora Anara si toccò la fronte in un sospiro e la tristezza tremò nella sua voce. - Speravo tu non commettessi il mio stesso errore,- le disse in un sussurro.- Tu sai che questo sarà solo fonte di sofferenza.- Forse è come tu dici. Ma Fintan non è Priyos,- affermò la ragazza, tagliente. Anara tornò a fissarla. - Tuo padre non può fare diversamente, lo sai. Egli è più utile a Bibrax che qui alle fattorie. Da lì può proteggerci.- Forse Fintan saprà fare lo stesso,- suggerì Aisia, la speranza che le velava la voce. Quelle parole venero interrotte dall’ingresso di Carow, seguito da Niab, che sorrise alla madre con espressione soddisfatta. - I vomeri d’aratro ci hanno procurato più orzo di quanto sperassimo,- esordì entusiasta, stringendo i polsi della donna e prendendo posto al suo fianco.- Carne essiccata, orzo, aringhe affumicate: una riserva che ci sfamerà per tutta l’estate e anche oltre!A quelle parole Anara sorrise. - Hai portato le scorte ove ti ho indicato?- domandò poi, posandogli una mano sulla spalla. L’uomo annuì. - Sfido chiunque a scoprirne il luogo!- esclamò ancora, lo sguardo sornione. - E abbiamo raccolto notizie utili?- Non ci sono movimenti nelle terre dei Durotrigi,- rivelò Carow con voce sicura.- Ancora bloccano le navi lungo la costa, ma non ci sono segni di movimento di guerrieri, né di armamenti. I nostri confini non sono minacciati.- Le notizie che mi porti sono gradite,- disse la donna, accendendosi in un
sorriso.- E i nostri villaggi lungo la via che conduce a ovest?- Si stanno preparando al peggio: la terra è mutata in fango e, come da noi, la pioggia continua a cadere incessante. Potrebbe essere una buona idea dividere con loro le scorte. Ma, anche se lo fimo, il nostro villaggio non soffrirà la fame per molto tempo.Aisia li ascoltava attenta, il fratello, seduto al suo fianco, ugualmente teso. Il giovane si voltò e i suoi occhi cristallini si specchiarono in quelli della sorella, così simili e limpidi da rivelarsi un’eco della stessa immagine. Aisia indugiò ad osservarlo in una domanda muta, e Niab esitò, incerto. Poi le sue labbra si schio in un sorriso e la fanciulla comprese che qualsiasi diffidenza era oramai fugata. Il suo cuore si strinse. Gli poggiò una mano sulla spalla e Niab strinse l’altra fra le sue. Infine, assieme, tornarono ad ascoltare la voce calda di Anara, carezzevole nel silenzio quieto. - Non potremo eccedere nella distribuzione delle scorte,- stava dicendo.- Se gli abitati di Bibrax vedessero i nostri volti improvvisamente pasciuti, certo si porrebbero domande inopportune e Lugotorix non esiterebbe a comandare una perquisizione.- Incrociò le labbra sul seno.- Fai il possibile affinché la gente comprenda che deve essere cauta. Dopo Beltane la guerra avrà inizio. Sino ad allora dovremo ancora apparire privi di risorse.Carow assentì, concentrato sulle parole di Anara. - Ma ora è tempo di cenare,- disse la donna levandosi e stirando le membra. Il suo volto si aprì in un sorriso malizioso.- E per stasera faremo a meno della prudenza.-
Quando si svegliò era notte fonda. In un primo tempo Fintan si volse per riaddormentarsi. Ma poi il ricordo di quanto era accaduto il pomeriggio precedente lo assalì in immagini incalzanti, rubandogli la tranquillità. Per ogni ricordo, una nuova domanda si delineava, e, più pressante fra tutte, come poter tagliare il metallo venuto dal cielo. Si rivoltò ancora una volta sul giaciglio, che scricchiolò sommesso nel silenzio profondo. Tese l’orecchio, a percepire il respiro di coloro che dormivano poco discosti. Infine, inquieto, si alzò e, indossato il mantello, uscì nella notte. Il villaggio era immerso in una quiete sospesa e su di lui vegliavano le stelle. Prese a camminare nella vie deserte,
tentando di riportare alla mente il percorso fatto con Aisia, finché giunse alla cinta di legno e vi salì con o svelto. Seguendo il suo percorso avrebbe raggiunto il portone che gli avrebbe consentito d’uscire. Ma poi cosa avrebbe potuto fare?, si domandò, l’impazienza che lo percorreva con tocco rovente. Di certo incamminarsi lungo una via sconosciuta, disarmato, non era una scelta particolarmente saggia. Tuttavia aveva fretta di tornare alla fucina e prendere gli attrezzi utili a tagliare il metallo degli Dei. A quel punto gli sovvenne il pensiero della spada per Elowen e un moto di stizza lo percorse. Respirò a fondo, comprendendo l’inutilità del suo comportamento e tentando di calmarsi. La ragione gli diceva che prima avesse ultimato la forgiatura dell’arma per la fanciulla, prima avrebbe potuto iniziare la scoperta del dono venuto dal cielo. Dal cielo?, si domandò, ripensando al volto pallido di Aisia. In un istante, gli si presentò l’immagine del suo corpo sottile, stagliato contro la penombra della foresta, e il suo corpo si tese in un desiderio violento, un’arsura che pareva consumarlo sino al profondo delle viscere. Si toccò la fronte ad allontanare quell’immagine, che lo colmava in un moto quasi doloroso. Quindi tornò al metallo sconosciuto e una nuova frenesia lo percorse. Sorrise. Di certo per quella notte non avrebbe avuto pace. Poi comprese che quella smania gli sarebbe stata compagna per lungo tempo, mentre il suo o avanzava sempre più spedito, sfogando nel movimento l’inquietudine che lo divorava. Sollevò lo sguardo oltre i tronchi che formavano la cinta del villaggio, e lo lasciò spaziare oltre il fiume, sino alla foresta. Una civetta stridette in lontananza e l’odore umido della notte gli assalì le narici. Si strinse nel mantello e i suoi occhi si posarono su una figura lontana, ritta sulle mura, immobile nella notte e confusa contro il bagliore delle stelle. Il cuore di Fintan accelerò i battiti, scorgendo i lunghi capelli scuri sciolti sulla schiena, e sveltì ancor più il o. Ma quando su sufficientemente vicino da esser scorto a sua volta, la donna volse il capo e Anara gli sorrise. Lo straniero si fermò. - Ti aspettavo,- disse semplicemente la donna, riportando lo sguardo sulle querce lontane. Fintan riprese ad avanzare e si fermò al suo fianco, incuriosito. Addolcito dall’ombra della notte il volto di Anara pareva rispecchiare fedelmente quello della figlia, e il colore dei capelli, unica differenza rubata dal buio, sottolineava quella somiglianza così evidente. L’uomo rimase ad osservarla. Poi ne seguì lo sguardo, sino agli intrichi del bosco lontano.
- Tu sei straniero da queste parti e non conosci le tradizioni dei nostri padri,prese a dire Anara, la voce dolce che si diffondeva nel silenzio come un canto lieve.- Aisia ti ha coinvolto in qualcosa che è più grande di tutti noi, qualcosa che sa proteggersi da qualsiasi intervento inopportuno, a volte in maniera violenta.- Non sono interessato alle vostre usanze,- la interruppe Fintan, fraintendendo le parole della donna. - Invece dovresti,- ripose lei, con decisione. Poi si toccò la fronte e riprese con tono più mite: - O meglio, potresti. L’origine del nostro insegnamento si perde nella notte dei tempi e si cela nel cuore di ciascuno, inascoltato. Ma, se risvegliato, permette alla nostra mente di riconoscerlo. E io sono certa che le parole di mia figlia hanno vibrato in te con un canto antico.Fintan si volse a guardarla, diffidente. Anara sorrise, quieta. - Altrimenti non ne avresti chiesto spiegazioni a Niab,- continuò sicura.- E nemmeno a Priyos.Fece una pausa e il silenzio tornò ad avvolgerli con il suo manto protettivo, isolandoli uno dall’altra e, contemporaneamente, risvegliando un’insolita intimità. - La quiete della notte può molto,- disse ancora la donna.- Il ricordo di quanto Aisia ti ha mostrato lo scorso pomeriggio, l’immagine di quel colle perduto, tornerà giorno dopo giorno a ripresentarsi sempre più inquieto, fino a toglierti la pace. Probabilmente ora la tua mente è concentrata sulla scoperta di ciò che ti permetterà di portare a compimento la tua ricerca, lo studio dell’unione perfetta fra gli elementi, gli arcani legati alla materia. Ma non sarà il metallo caduto dal cielo che ti consentirà di percorrere la tua vera strada.Lo stranierò la guardò, tentando di cogliere il significato profondo di quelle parole. Anara allora gli sorrise, rassicurante. - Quello che ti sto dicendo è che, quando sentirai che è venuto il momento, da me otterrai le risposte che il tuo cuore brama.Detto questo, la donna si volse e, sollevato il cappuccio, si allontanò. Fintan la seguì con lo sguardo, sino a quando svanì, inghiottita dalle strade buie. Poi tornò
ad ergersi nella notte, una nuova domanda che si faceva largo nel cuore. Il pensiero della spada s’era involato. Poi la sua attenzione venne attratta da un movimento sul limitare della radura, un bagliore tenue che richiamava lo scintillio delle stelle. Aguzzò la vista e, quando fu oramai convinto d’essersi sbagliato, scorse un carro che arrancava faticosamente lungo il fiume. Nonostante i buoi che lo trainavano, cinque figure erano intente a spingerlo, con sforzo evidente. La terra era tenera e il carico indubbiamente pesante. Quando fu sufficientemente vicino, Fintan notò che le ruote erano state rivestite di stracci e paglia. Una piega truce gli si disegnò in mezzo alla fronte, comprendendo la segretezza di quel minuscolo drappello. Fugacemente si chiese se non fossero coloro che avevano rubato le scorte di Anara. Fletté le ginocchia e si chinò, a celarsi dalla luce delle stelle, mentre gli sconosciuti superavano il villaggio, diretti alla foresta a nord. Allora si sporse dagli spalti, per vedere il carico: rimase interdetto, nello scorgere un grosso cumulo di fieno, non sufficiente a dimostrare la fatica del trasporto. Quando il drappello scomparve in lontananza, sedette, poggiando la schiena ai tronchi. Rifletté, tentando di motivare quella scena insolita, poi scosse il capo. Si rialzò e tornò sui propri i, ancora una volta seguendo il recinto del villaggio. Il bagliore che stava iniziando a mostrarsi ad est gli annunciò il termine della notte. Allora, fatto un respiro profondo, sollevò le mani nel gesto rituale, pronto ad accogliere il nuovo giorno, il canto come un sussurro sulle sue labbra.
12. Il guerriero e la sposa
La giornata tersa, preludio d’estate, e il sole che scaldava l’aria con il suo tepore, nulla avevano potuto contro l’impazienza di Fintan. Finalmente nella sua fucina, il fabbro osservava con attenzione il ferro immerso nella brace, che pian piano s’arroventava. Niab sedeva poco discosto, ancora assonnato, sbocconcellando quel che rimaneva di una focaccia d’orzo e talvolta stropicciandosi gli occhi al bagliore delle fiamme. Era stato trascinato lungo la via che conduceva alla città senza nemmeno toccare il cibo necessario a fugare il torpore mattutino, spinto dallo straniero ad accelerare il o, la fretta che lo punzecchiava nell’incedere come un pungolo molesto. Ora sedeva imbronciato, le gambe allungate innanzi a sé e lo sguardo torvo. Sul capo, i capelli scarmigliati disegnavano un’aura scura, lugubre, ricadendo sulla fronte scomposti, in nodi intricati. La blusa, parzialmente annodata, gli scendeva sghemba su una spalla e le maniche, malamente rimboccate, cadevano asimmetriche a ricoprirgli i polsi. - Puoi sciacquarti il volto con l’acqua del bacile,- invitò Fintan, senza voltarsi.A me non serve.In un borbottio irritato, Niab fece come gli era stato suggerito. L’acqua gelida lo percorse con un brivido. Imprecò. - Non avevo mai notato quanto tu sia di malumore, al mattino,- disse il fabbro, la voce accesa da un tono scherzoso.- Sono certo che Priyos avrà pietà del tuo stato e ti cederà volentieri un po’ del suo latte. Sempre che tu abbia la forza di arrivare sino alla sua capanna.Dette quelle parole, l’uomo si volse e prese a battere il ferro sull’incudine. A quel frastuono, il ragazzo lo fissò, cupo. Poi uscì a o strascicato. Fintan sorrise, fermandosi un istante a guardare la sua figura dinoccolata che si allontanava lungo la via, un moto d’affetto che si faceva largo nel cuore. Poi tornò con l’attenzione al lavoro. Ma presto s’avvide che la foga che lo stava animando rubava sin troppo velocemente energie. Così, fatto un respiro profondo, rallentò il gesto e si dispose a dosare la giusta forza sull’incudine. Ripiegato più volte, il ferro già iniziava a mostrare le prime striature e, a quella vista, gli occhi di Fintan
s’accesero. Talvolta la sua mente si allontanava, tornando a riproporgli l’immagine della spada che presto avrebbe forgiata. Una volta che fosse riuscito ad intaccare il ferro venuto dal cielo, beninteso! Vedeva il disegno ondulato che ne percorreva il metallo in anse parallele, l’incisione a spirali nei pressi dell’elsa, l’impugnatura impreziosita da quel corallo che aveva scorto nella fucina di Lutterio. Avrebbe dovuto faticare per riuscire ad ottenerlo. Ma la promessa di alcune fibule del bronzo più fine avrebbe certamente allettato il vecchio fabbro. Magari avrebbe pure potuto aggiungere uno specchio, se proprio fosse stato necessario, si disse fra sé e sé. Poi, quando vide il corso che avevano preso i pensieri, si fermò, si deterse la fronte e fece un respiro profondo. Sapeva per esperienza che tutto quel lavorio di immaginazione rubava più energie del braccio sull’incudine. Quando riportò l’attenzione al lavoro, la mente era sgombra e l’attenzione rivolta unicamente all’impegno che lo occupava. In quell’istante Niab rientrò, recando con sé una brocca che poggiò sul tavolo. Riempì due ciotole e si avvicinò a Fintan. L’uomo lo guardò di sfuggita. Poi, con uno sforzo, si impose una pausa. Prese la ciotola e sedette sulla panca, poggiandosi alla parete. - Nel mio baule c’è uno specchio e un pettine,- disse con fare noncurante, celando malamente il riso ed evitando di guardare il ragazzo in piedi al centro della stanza. - Direi che ti sei divertito abbastanza, per quest’oggi. Possiamo cessare questo gioco?- rispose Niab, facendo ancora una volta quanto gli era stato suggerito. Ma quando scorse il suo volto riflesso nel piccolo specchio di bronzo, non poté trattenere un sorriso. Infine, con pazienza, prese a districare i nodi con il pettine di corno. - Hai finita l’impugnatura che ti avevo chiesta?- domandò il fabbro, fra un sorso e l’altro. - È ancora da levigare, ma direi che il grosso è fatto,- rispose il ragazzo, recuperando il lavoro dal tavolo e porgendolo a Fintan, che prese ad osservarlo con attenzione. - Questa spada è per una donna,- iniziò a spiegare il druido.- È più probabile che Elowen abbia delle mani simili alle tue che a quelle di un guerriero. Va certamente limata. Ma la ultimeremmo quando verrà a prendere l’arma, per
adattarla meglio al suo pugno.Il ragazzo sedette al suo fianco, sorbendo a sua volta lunghe sorsate corroboranti. Il malumore stava scemando e la vicinanza di Fintan contribuiva a quel cambiamento. Si volse ad osservare il suo profilo. In un moto di stupore, comprese che si stava affezionando a quell’uomo alto, sempre in bilico fra il serio e il faceto, il cui disappunto si mostrava veloce quanto il sorriso che giungeva a dissiparlo. Si mosse inquieto sulla panca. Non era una buona idea pensare a Fintan come al suo Maestro. Dopotutto, una volta che il fabbro avesse lasciato Bibrax, lui sarebbe dovuto tornare alla capanna di Amorgen. E, nonostante quella prospettiva non lo entusiasmasse, sapeva che quella era la strada che aveva scelta, l’unica possibile. Ma al momento il caso aveva deciso che non fosse il vecchio druido degli Ancaliti a sedere al suo fianco: al dolore per la separazione avrebbe pensato quando fosse giunto il momento. Sorrise e Fintan fraintese quel moto. - Ora che il tuo malumore pare essersi involato,- prese a dire senza abbandonare l’atteggiamento scherzoso,- è tempo che tu mi faccia sentire cosa sanno fare le tue mani con l’arpa. Dopotutto diverrai un bardo, e, probabilmente, fare il fabbro potrebbe non essere altrettanto gratificante.L’uomo si diresse al giaciglio, prese l’arpa riposta nell’angolo e la porse a Niab, che la accettò serrando le labbra contrariato. Poi, nello scorgere gli intagli ricavati nel legno di quercia, i suoi occhi brillarono d’ammirazione. - Anche questa è opera tua!- esclamò.- Lo vedo dalle volute dei palchi di corna e dal modo in cui i cervi si intrecciano sull’ansa. Forse potresti insegnarmi anche ad intagliare il legno,- suggerì, senza distogliere lo sguardo dallo strumento. Fintan sorrise. - Al momento è meglio se mi fai sentire come te la cavi. Mi piace lavorare con la musica.Quando Niab prese a riscaldare le corde di metallo, il fabbro tornò al lavoro, ma presto, udendo l’incedere zoppicante delle dita del giovane, il suo volto s’adombrò. Solo quando la voce di Niab si diffuse nella capanna, Fintan si volse ad osservarlo con attenzione, attirato dalla purezza di quel suono cristallino, dolce eppure possente, lieve e contemporaneamente incalzante, abile nei giochi di contrappunti, che le mani a malapena sapevano ripetere. E per un istante la
sua mente tornò alla fucina di Cenabum, alla piccola Saima intenta a pizzicare le corde a labbra serrate. E ritrovava la stessa espressione sul volto concentrato di Niab, la stessa caparbietà, lo stesso affanno. Sorrise ancora una volta, la tristezza che colmava il suo sguardo di smeraldo. Poi riprese il lavoro e il battito del martello sull’incudine divenne ritmo per le dita del giovane. Proseguirono così, ciascuno impegnato nella sua occupazione, sino a quando il sole giunse al mezzo del suo corso e le nubi coprirono il cielo. Fu in quel momento che Bran fece il suo ingresso, seguito da una fanciulla che recava un involto. Quando la sua figura si disegnò sulla soglia, i due all’interno si rizzarono a guardarlo. Bran entrò, chinando il capo per superare il basso architrave. La ragazza prese a imbandire la tavola con movimenti svelti e aggraziati, disponendo le pietanze che aveva portato. Terminata quell’incombenza, la fanciulla se ne andò. - Sono venuto per conto di Lugotorix,- annunciò Bran.- Ma il pranzo che porto è un’idea mia. Immaginavo che vi avrei trovati talmente intenti al lavoro da scordarvi persino che talvolta è necessario nutrirsi. E di questi tempi, vi dirò, pochi se lo scordano!Prese posto ad un lato del tavolo, colmando tre boccali di birra e levando il suo in un invito. Fintan osservò con attenzione la spada appena forgiata, rigirandola più volte con lentezza. Soddisfatto, la immerse nel liquido che teneva subito al di fuori della porta sul retro, per poi tornare a posarla sull’incudine. Infine, immerse le mani nel bacile e si sciacquò. - Potrai dire ad Elowen che domani la sua spada sarà pronta,- annunciò, prendendo posto di fronte a Bran, subito imitato da Niab. - Elowen!- A quel nome Bran levò la mano in un gesto esasperato.- Non a giorno che non mi tessa le tue lodi. Devi averla conquistata con il tuo fascino straniero, Fintan! Per quanto a guardarti non si direbbe possibile,- aggiunse, gli occhi che brillavano nello scherzo.- E ti assicuro che non è certo cosa facile! Più di un guerriero a Bibrax bramerebbe anche solo una minima parte degli elogi che lei ti riserva. Ne ha peraltro tutte le ragioni, dato che quando ti chiesi io una spada tu non ti dimostrasti così disponibile.Niab fissò il fabbro incuriosito. Ma l’uomo ignorò le parole del guerriero e sorbì un lungo sorso di birra.
- Sarà meglio che tu mi riferisca il messaggio del tuo re,- disse, improvvisamente scontroso. - Lugotorix dice che vorrebbe averti come ospite al suo tavolo, per i festeggiamenti di Beltane. Temo che daremo fondo alle scorte in quell’occasione, anche se da diversi giorni è iniziata la caccia e pare che il bottino sia cospicuo, nonostante il lungo inverno.- Probabilmente gli Dei hanno ricominciato a posare il loro sguardo su Bibrax,disse il fabbro, distratto. I suoi occhi erano tornati sulla spada, una piega truce che gli attraversava la fronte. - Potesse essere come tu dici.Il tono di Bran catturò l’attenzione del fabbro, che si volse nuovamente con sguardo interrogativo. Ma il guerriero tacque, immobile, le labbra serrate. Il silenzio calò pesante, e l’atmosfera scherzosa che aveva colmato la fucina s’involò. Fintan si alzò e, presa la spada, tornò a studiarla, apparentemente assorto. Poi la poggiò di nuovo sulle braci, rigirandola con frequenza. - Amorgen ha letto nelle stelle segni sfavorevoli?- chiese con leggerezza, ma ancora Bran tacque, lo sguardo inquieto che ava sugli oggetti posti innanzi a lui senza vederli. Comprendendo il motivo di tanta ritrosia, Fintan parlò con voce ferma. - Puoi fidarti di Niab,- disse, rivolto al guerriero.- Egli è il mio apprendista e come tale le sue orecchie odono come fossero le mie. Inoltre la sua lingua conosce la discrezione. Non c’è nulla che non possa essere detto in sua presenza.A quelle parole inaspettate il volto di Niab s’imporporò, mentre il cuore accelerava i battiti. Bran parve riflettere un istante, poi decise di fidarsi. - Mi preoccupa Lugotorix,- prese a dire, scostando un ciuffo ribelle dalla fronte.La sconfitta subita la scorsa estate l’ha reso vulnerabile. Ed ora io temo per la
sua vita. Il fatto che il suo desiderio sia ch’io prenda il suo posto alla guida della comunità è una conferma della sua debolezza, e non sono in grado di comprendere quale sia la giusta via per riportare il vigore nei suoi occhi spenti.- Probabilmente il tuo re comprende che è ato il suo tempo,- disse Fintan, poggiando nuovamente la spada a raffreddare sull’incudine e tornando a sedere di fronte al compagno.- Il tuo compito è quello di sostenerlo in questo momento di aggio. Il popolo deve sapere che, se anche un domani il suo sovrano dovesse raggiungere la Terra della Giovinezza, egli ha già scelto un uomo in grado di sostituirlo degnamente. Ai sovrani preme la continuità tanto quanto il valore in battaglia.A quelle parole le mani di Bran presero a tremare visibilmente. - Non desidero prendere il suo posto,- disse in un sussurro. - Non stiamo parlando dei tuoi desideri, ma di quelli del tuo re,- rispose deciso Fintan, fissando il compagno, che ne sostenne lo sguardo.- Lugotorix sa che, privata della giusta guida, Bibrax cadrebbe nel caos dell’incertezza. E già ora si percepisce che l’armonia, propria di una comunità, da tempo s’è involata da questi luoghi. Non mi sorprende che la terra rifiuti di donare i suoi frutti.Sopravvenne un nuovo silenzio. Poi Bran spostò lo sguardo su Niab, fissandolo dritto negli occhi. Il ragazzo si mosse sullo sgabello, visibilmente a disagio. - Lugotorix dice di guardarsi da Amorgen,- disse ancora il guerriero, la voce velata dal tono di sfida. - Questo è male,- intervenne Fintan, poggiando una mano sulla spalla del ragazzo, che a quel tocco parve rilassarsi.- Un sovrano ha necessità di un druido al suo fianco: una persona che possa leggere per lui il volere degli Dei. Se Amorgen non condivide le scelte di Lugotorix, in particolare quella che ti riguarda, la questione diventa complicata. Dovrai trovare un druido di cui ti puoi fidare.- L’unico di cui mi fido sei tu, Fintan. Non c’è druido in Bibrax che non ascolti le parole di Amorgen, come deve essere, peraltro, secondo tradizione,- dichiarò Bran, riportando lo sguardo sul compagno. - Priyos non mi sembra particolarmente soggiogato dalla potenza del capo
druido del tuo popolo,- dichiarò il fabbro, in un sorriso dai molti sottintesi.Inoltre, è rispettato all’interno della comunità almeno quanto Amorgen.“Forse di più”, aggiunse fra sé e sé, evitando di dar voce a quel pensiero. - Priyos è un grande saggio ma anche un vecchio che ha veduto numerosi Samain,- disse il guerriero; poi esitò. Infine diede voce alla richiesta che lo angustiava:- L’unico che può ergersi al mio fianco, a capo degli Ancaliti, sei tu, Fintan. Certo, non appartieni al nostro popolo. Ma se tu potessi anche solo considerare questa mia proposta, il mio cuore diverrebbe più leggero.A quelle parole il druido tacque, stupefatto, lo sbigottimento che gli sbiancava le gote con il suo tocco diaccio. Niab lo guardò, incuriosito dalla risposta che avrebbe data, mentre il cuore esultava nel petto, accelerando i battiti nell’euforia di quella possibilità. Ma la risposta di Fintan non venne. Invece il giovane si alzò e prese a misurare la stanza a lunghi i lenti, la mente assorta, il pensiero lontano. La proposta di Bran aveva risvegliato in lui un tumulto inatteso, certamente non dettato dalla brama di potere, tuttavia presente e pulsante, in una possibilità che disegnava innanzi ai suoi occhi una via mai neppure immaginata: quella di rimanere a Bibrax. E la possibilità di rimanere accanto ad Aisia fece eco ai suoi pensieri una voce sottile nella mente. Il volto della fanciulla emerse in tutto il suo fulgore, colmandogli lo sguardo e serrandogli il cuore. - Ci rifletterò,- disse con semplicità, celando in un gesto scanzonato il turbamento che lo pervadeva.- Tuttavia, al momento, sarebbe opportuno che tu ne parlassi a Priyos. E ti ricordo che i suoi occhi hanno veduto gli stessi Samain di quelli di Amorgen. Quindi non è più vecchio delle montagne, come lui stesso vuol farci credere,- concluse, tornando a sedere. Colmò un boccale di birra e lo vuotò in un un’unica sorsata. All’improvviso sentì la testa leggera e quella sensazione l’aiutò a riordinare i pensieri.- L’unica cosa certa è che il tuo o non dovrà scostarsi da quello di Lugotorix. Ho notato gli sguardi di Amorgen ed è evidente che il tuo sovrano ha assoluta necessità di avere accanto una persona fidata. Soprattutto oggi che sta per intraprendere una nuova impresa, certamente non facile dato lo stato di prostrazione dei guerrieri.- Lugotorix già sta chiamando a raccolta gli uomini dei villaggi più lontani. Dopo Beltane saranno tutti riuniti. Un grande esercito, come da tempo non si vede nelle terre degli Ancaliti!- Gli occhi di Bran brillarono a quella prospettiva e il furore di guerriero gli accese le gote.- Un grande esercito per una
memorabile battaglia,- aggiunse. Poi posò lo sguardo su Niab.- Sono certo che i bardi vedranno imprese degne d’essere lungamente narrate.Quelle parole di speranza richiamarono alla mente del fabbro l’immagine che, a fatica ma con determinazione, aveva tenuta lontana per tutta la giornata, l’immagine di quella spada ancora a venire, ma già carica di promesse intuite. E, all’improvviso, seppe qual era il suo compito.
Quando Elowen giunse, Bran l’attendeva vicino al fiume, nel punto in cui le rive disegnavano un’ampia ansa, cingendo una lingua di terra leggermente rialzata, circondata dalle acque. S’erano accordati per un allenamento alla spada, e la quiete di quel luogo, lontano dalla confusione del terrapieno, era la più adatta per lo scopo che la fanciulla s’era prefissa. Elowen si fermò sul limitare della radura, celata dalla penombra del sottobosco, e prese ad osservare l’uomo ritto, stagliato di spalle contro il verde delle acque turbinose. La blusa che indossava, bordata d’azzurro, richiamava il blu dei suoi occhi e gli stessi colori disegnavano i riquadri delle brache sgargianti, strette attorno ai polpacci dalle cinghie intrecciate delle calzature. I lunghi ricci ricadevano sulle spalle, inanellandosi sul collo, riverberanti di bagliori riflessi nonostante l’aria cupa e il cielo plumbeo. Il fodero, di cuoio semplice, privo di lavorazione, appariva prezioso per il solo fatto d’esser legato al suo fianco. Teneva una mano sull’elsa della spada, mentre l’altra, a tratti, tamburellava contro la coscia, impaziente. Il cuore della fanciulla si strinse e, per un attimo, ebbe l’impressione che un gorgo le risucchiasse il respiro. Poi levò il mento e si fece avanti con o deciso. Attirato dal fruscio, il giovane si volse. Quando la scorse, le labbra si schio in un sorriso, e l’espressione di fanciullo, che sempre rivelava quel moto, la disorientò. Per un solo, singolo istante, Elowen si sentì perduta. Sorrise a sua volta, ma quel gesto non fu in grado di giungere agli occhi. - Cominciavo a disperare,- la accolse Bran, sfoderando la spada e mettendosi in guardia. La fanciulla lo imitò, lama contro lama. - Sarà più che disperazione, quella che proverai una volta che ti avrò battuto. E più di una volta!- disse, tentando un fare scherzoso.
Bran prese a stuzzicarla, giocando di taglio con la punta dell’arma, facendola rimbalzare contro il metallo con piccoli colpi precisi e sapienti. Elowen si innervosì e il sorriso del giovane si allargò: sapeva quanto la fanciulla detestasse quelle provocazioni. La ragazza ritrasse la spada, poi avanzò, calando una gragnola di colpi, che Bran parò senza difficoltà, arretrando di un o. In un guizzo Elowen si pose di lato, menando un fendente al fianco, trovando, ancora una volta, la lama del compagno. - Mi sembri inquieta, quest’oggi,- indagò il giovane, malizioso, voltandosi svelto e colpendola alle reni, di piatto. Elowen sobbalzò. - Sei morta,- le disse Bran, gli occhi accesi dalla sfida. Poi si spostò al centro della radura e riprese posizione. Elowen fece ondeggiare il braccio e la lama sibilò nel silenzio. Poi tornò a poggiare l’arma contro quella dell’avversario. Il giovane riprese il gioco di punta e la fanciulla sbuffò, tentando un affondo che venne prontamente intercettato. - Se non smetti di stuzzicarmi, quando colpirò non sarà di piatto,- gli disse Elowen, schivando un colpo alla coscia e tornando in guardia. - Bisogna sfruttare i punti deboli dell’avversario,- spiegò il giovane, impegnando l’arma sino all’elsa. I volti si sfiorarono e gli occhi di Elowen affondarono in quelli di Bran. Poi, con una spinta, il giovane la allontanò, tornando subito in posizione. La fanciulla allora ruotò su sé stessa e colpì in basso, cercando il polpaccio, ma Bran schivò il colpo agevolmente, fermandosi alle sue spalle. Quando calò l’arma, trovò la lama di Elowen a bloccargli il colpo. - Stai migliorando,- le disse, afferrandole il polso. La giovane si divincolò e, con un balzo all’indietro, guadagnò la posizione. Ma Bran non le dette tregua, e menò un fendente dritto alla spalla. - A Lugnasad diverrò la moglie di Lugotorix,- disse la fanciulla, parando il colpo con mano ferma.
A quelle parole Bran si immobilizzò, mentre la spada di Elowen calava, di piatto, fra collo e spalla. - Sei morto,- gli disse, aprendo le labbra in un largo sorriso. Il giovane la fissò, comprendendo quanto quelle parole dicessero la verità. All’improvviso ebbe la sensazione che il cuore si fosse fermato, risucchiato nel baratro che gli si apriva sotto i piedi, mentre nelle orecchie il sangue pulsava furioso e il sudore si gelava sulla pelle. Ripensò a tutti gli anni vissuti con Elowen, anni condivisi sin da bambini: nati nella stessa notte, figli di due fratelli, sin dall’istante in cui i loro occhi avevano veduto la luce, i loro vagiti erano stati eco l’uno dell’altra. Mai aveva immaginato che le loro strade avrebbero potuto esser divise. E, persino in quell’istante, mentre la fanciulla si avvicinava a carezzargli il volto, Bran stentava ad afferrare il senso delle parole udite. - A Beltane verrà fatto l’annuncio innanzi al popolo e a Lugnasad verrà celebrato lo sposalizio con la terra,- continuò la fanciulla, rinfoderando la spada. Bran la guardava impietrito, gli occhi come pozze insondabili, e il pallore del volto si perdeva contro il grigiore delle nubi. Elowen gli prese il pugno, che ancora stringeva la spada, e lasciò cadere l’arma. Poi gli strinse i polsi. - Tu sai che non mi è possibile opporre un rifiuto. Ma nemmeno voglio rifiutare,continuò. Gli posò una mano sulla guancia e avvicinò il volto al suo, ma Bran si scostò e, fatto un o indietro, rimase a fissarla a labbra serrate. La fanciulla rizzò le spalle. - Così, il campione di Lugotorix sarà tale anche per la sua regina,- proseguì Elowen, cercando una breccia che le avrebbe consentito di giungere al cuore del giovane. Ma Bran appariva distante, oltre un abisso che non poteva più essere colmato. Allora Elowen si volse e, raggiunta la riva, si fermò a guardare l’orizzonte. - Tuttavia ho una richiesta da farti,- proseguì con voce ferma.- Vorrei che fossi tu il padre di mio figlio.- Quelle parole caddero nel silenzio come una staffilata e,
non ricevendo alcun ritorno da parte di Bran, la fanciulla proseguì.- Tutti sanno che Lugotorix è sterile: la sua lunga vita, le numerose compagne, l’assenza di figli, ne sono la conferma. Ma la comunità ha bisogno di un segno del favore degli Dei e lo sposalizio con la terra dovrà dare frutto, affinchè l’equilibrio e l’armonia vengano ripristinati.La fanciulla si volse e studiò il volto del guerriero, ancora imibile. Così tornò ad avvicinarsi. - Lugotorix è stanco,- disse ancora Elowen.- Le continue lotte con Amorgen ne stanno minando la sicurezza. Sono certa che, se avesse potuto, già avrebbe lasciato che la sua testa fosse spiccata dal collo, nelle scorse battaglie con gli Atrebati. Ma non ha potuto farlo, poiché non c’è certezza sul nome del suo successore. Mio padre pensa a Clesek, e Amorgen guarda a questa possibilità con favore. Ma tu stesso sai che mio fratello sarebbe la rovina per Bibrax. Egli ha molte qualità, ma non certo quella che consente ad un sovrano di guidare una comunità con equità e giustizia. Tuttavia, la mia presenza al fianco di Lugotorix potrebbe chetare le brame della mia famiglia, almeno per qualche Samain. E se un figlio nascesse da questa unione, anche il popolo comprenderebbe che il suo sovrano ha ancora la forza per guidare la tribù e il favore degli Dei. Lugotorix è un uomo giusto e valoroso, e la comunità ha ancora bisogno della sua guida.- La fanciulla tacque ancora una volta, ma ancora una volta Bran non fece cenno.Non è stata la mia volontà a pormi al fianco di Lugotorix, ma il desiderio di Amorgen. Tuttavia, ciò che il nostro druido non ha previsto, è che la scelta non è caduta su un suo alleato. Egli spera che da questa unione nasca la conferma dell’incapacità del nostro re. Ed ora, l’unica cosa che posso tentare è quella di smentirlo, generando un figlio, per la salvezza della nostra gente. Ma ho bisogno di conoscere il tuo pensiero, in tutto questo. Tu sei l’unico di cui Lugotorix ha completa fiducia.- E proprio colei che sarà la sua regina mi chiede di tradire tale fiducia.La voce di Bran risuonò roca nel silenzio e quelle parole furono per Elowen graffi nel cuore contratto. La fanciulla levò il mento, caparbia. - Prometti almeno che ci rifletterai,- insistette. Bran, a quel punto, volse lo sguardo, e i suoi occhi gelidi affondarono in quelli della compagna.
- Non c’è nulla su cui riflettere,- disse soltanto, prima di voltare le spalle e allontanarsi a o deciso. Elowen allora spostò lo sguardo sulla spada rimasta a terra e, chinatasi, la impugnò. Già sapeva che, d’ora in avanti, quel metallo sarebbe stata l’unica cosa di Bran che avrebbe potuto stringere tra le dita.
13. Tensioni al banchetto
Il o svelto, Niab al fianco che lo guidava nel cammino, Fintan si dirigeva alla radura per i riti di Beltane. Recavano entrambi la loro arpa, pronti ad unirsi al gruppo dei bardi. All’intorno, le strade di Bibrax erano deserte, gli abitanti impegnati negli ultimi preparativi, e dalle capanne si diffondeva un piacevole aroma di pane e carne arrostita. Le cacce erano state fruttuose e il banchetto di quella notte, per quanto frugale, dopo i mesi di privazioni sarebbe apparso a tutti sontuoso, almeno quanto doveva esserlo un dono degli Dei. Dall’alto del terrapieno, Fintan fece spaziare lo sguardo sulla pianura, scorgendo in lontananza i servi che disponevano e allestivano i tavoli per i festeggiamenti nella forma di una spirale, al cui centro erano collocati i posti per Lugotorix e i Saggi della città. Dalla foresta, carri ricolmi di legna portavano l’occorrente per i numerosi falò che, illuminando quella prima notte d’estate, avrebbero fugato il buio dell’inverno. Costeggiarono il fiume, poi s’inoltrarono nella foresta, percependo un canto lontano. Innanzi a loro avanzavano Carow e Anara, conducendo i tori bianchi per il sacrificio. Le loro corna erano state addobbate con ghirlande e legate da catene d’argento. I due li superarono svelti e, quando fecero il loro ingresso nella radura, scorsero Nardos intento a tracciare il circolo che avrebbe delimitato lo spazio sacro, sotto lo sguardo severo di Amorgen. Nell’esatto centro, Priyos sussurrava la sua preghiera, le mani protese nella direzione del solco che ancora doveva essere tracciato, il capo leggermente proteso, come in ascolto di una voce lontana. Attorno a lui, altri druidi, le cui vesti candide si stagliavano contro il bruno della terra, erano intenti a predisporre le tre cataste rituali, mentre le loro mani incrociavano la legna in volute complicate, come prescritto da tradizione. Amorgen si spostò ad osservarne il lavoro, mentre i nuovi venuti prendevano posto fra i bardi. Quando estrassero le arpe e iniziarono a scaldarne le corde, lo sguardo del druido sfiorò i loro volti, per poi tornare al suo compito. Il sole era già basso all’orizzonte, e nella foresta si levavano le prime brume, quando un gruppo di bardi lasciò la radura. Non appena fosse scesa la notte, avrebbero guidato la processione dalla città a quel luogo sacro. All’intorno la confusione si chetò e le arpe si zittirono. Al centro del circolo, disposti in un
triangolo che aveva come vertici le grandi cataste ultimate, rimasero Amorgen, Priyos e Nardos. Le loro mani si unirono e la preghiera scaturì dalle loro labbra. Una nenia colmò l’aria, all’unisono con le loro voci. Fintan fece un respiro profondo e prese ad ascoltare la lieve vibrazione che iniziava a salire nell’aria immota. Quando il buio divenne impenetrabile e il cielo rivelò le prime stelle, fiaccole vennero accese, mentre si udiva il canto della comunità farsi sempre più nitido. Il muggito dei tori era contrappunto alle voci. I bardi fecero il loro ingresso, seguiti da Lugotorix e dai Saggi di Bibrax, e, alle loro spalle, in ordine d’importanza, dagli uomini e le donne della tribù. Si avvicinarono, disegnando un’ampia spirale, le cui ultime fila, composte dai servi e dai contadini, si perdevano fra le querce. Quando l’immobilità tornò a regnare sovrana, Amorgen levò le braccia e il silenzio si fece profondo. - Fine del buio ch’è stato, preludio alla luce che verrà. Le nostre voci si uniscono in questa notte di aggio ad invocare lo sguardo benevolo degli Dei,- la voce del druido risuonò possente, giungendo sino alle orecchie lontane. Gli occhi di tutti erano fissi sulla sua figura candida, baluginante alla luce delle torce.- Con fermezza gli Ancaliti hanno accettato la punizione che s’è abbattuta sulla comunità. Privati dei suoi frutti e della sua benevolenza, con coraggio hanno chinato il capo alle parole severe che si sono riversate dalla terra. Ma ora la mano degli Dei chiama vendetta, e il sacrificio di questa notte sarà promessa di rivalsa. Il nostro piede calcherà il suolo, il nostro braccio traccerà un nuovo solco, le armi si leveranno pretendendo sangue: sangue che sarà offerta agli Dei della tribù, affinché ci sostengano in questa nuova prova. Il buio sarà luce e la luce illuminerà i nostri volti, come i fuochi che, in questa notte, illumineranno la terra e, con il loro calore, ne schiuderanno il grembo, pronto ad accogliere il nuovo seme.Il druido levò le braccia al cielo e all’intorno le arpe gridarono il loro lamento, mentre il canto si faceva possente, spandendosi nel buio e colmando il silenzio. Amorgen si chinò e accostò la torcia alla prima catasta, che immediatamente s’incendiò. Le fiamme si levarono alte, e i volti di tutti riverberarono, dorati, a quel bagliore. Dal buio delle querce, Carow si avvicinò, recando i tori bianchi. Nardos li fece entrare nelle gabbie di vimini disposte sulle cataste ai lati di Amorgen. - Che la potenza di questi messaggeri, dono per gli Dei, giunga al nostro braccio,
si diffonda nelle nostre spade, e, dalla punta delle lance, colmi l’aria col grido di battaglia, affinché sangue chiami vendetta, e vendetta, vittoria.Il druido accostò la fiaccola alla legna e, subito, un mugghiare furioso colmò l’aria, mentre grida si levavano all’intorno. Fintan rabbrividì, le dita che esitavano, il corpo che si risvegliava alla violenza chiamata da Amorgen. Respirò a fondo e ritrovò la melodia, serrando gli occhi e allontanando la mente. Al suo fianco, Niab immobilizzò le dita sulle corde, incespicando. Gli occhi di tutti, fissi sugli animali intrappolati che scuotevano le gabbie tentando di uscire, rivelavano una furia profonda, che, finalmente, poteva trovare sollievo e giusta direzione. - Che il fuoco accenda le viscere, l’acqua nutra il seme, il vento ne ampli la forza e la terra dia frutto abbondante.Quell’ultima invocazione si levò inudita, coperta dal canto della tribù e dal rombo cupo che si levava dai piedi della moltitudine. Il grido straziante degli animali sovrastava il tutto, spegnendosi a mano a mano che il sacrificio si compiva e la morte giungeva a rubarne lo spirito e consumarne i resti. La frenesia era palpabile e Fintan, ancora una volta, lasciò che il suo corpo ne fosse pervaso, mentre lo stomaco si serrava e i lombi s’accendevano. La musica aumentò il ritmo, mentre la folla iniziava ad ondeggiare e mani venivano protese verso i tre druidi ritti nello spazio sacro, stretti nuovamente nel triangolo ideale, che era triade di potere. Le loro lingue sussurravano una nuova preghiera e sui loro volti si disegnavano ombre. Poi la processione prese ad inoltrarsi fra le querce, diretta alla piana, il canto che si allontanava, accompagnato dai bardi. Quando nella radura rimasero unicamente i druidi, le arpe si zittirono. Il silenzio calò, mentre in lontananza si diffondeva l’eco dei tamburi, che segnava l’inizio del banchetto. La triade si sciolse e i tre uomini uscirono dallo spazio sacro. Fintan allora si levò e si avvicinò a Priyos. - Mio giovane amico,- sussurrò il saggio alle sue orecchie.- L’aria è inquieta stanotte.Un’insolita stanchezza si percepiva nella sua voce e il giovane, d’istinto, gli strinse una mano, per guidarlo fuori dalla confusione. Ma, trovandola rovente, si ritrasse. Priyos sorrise. - Perdono, giovane Fintan, ma non sempre è possibile tenere lontana la forza
chiamata dagli uomini. E stasera mantenere il controllo non è cosa facile. La furia colma gli animi e Amorgen ne fa da pastore. Tuttavia, temo non sappia esattamente ove egli voglia condurla,- disse, accettando il bastone che Caolan gli porgeva. Fintan lo prese sottobraccio, mentre Niab si avvicinava. Poi seguirono il flusso che li portava alla pianura. Fuochi illuminavano la notte, e lo spazio predisposto per il banchetto si scorgeva da lontano, illuminato a giorno. Oltre il loro capo le stelle svanivano. Si inoltrarono fra i tavoli gremiti, ove servi disponevano brocche di birra. Schiamazzi e grida colmavano l’aria. Fintan prese a guardarsi attorno, alla ricerca di volti familiari. Scorse Anara, circondata dalla gente delle fattorie, seduta nei posti più esterni, vicino ai grandi spiedi sui quali arrostiva la selvaggina. - Aisia non siede con tua madre?- chiese Fintan, rivolto all’apprendista che lo seguiva. - Mia sorella serve al tavolo di Lugotorix, come da tradizione,- disse Niab.- E con lei molte fanciulle delle fattorie.Fintan guidò Priyos oltre i focolari, e si diresse al tavolo disposto al centro del circolo, ove Lugotorix era impegnato in una conversazione con Mawgan e Clesek. Innanzi a lui, ad una distanza sufficiente da lasciare libero un ampio spiazzo per le danze, tre cinghiali arrostivano sugli spiedi, controllati dai servi. Su un quarto focolare faceva bella mostra di sé un maialino da latte, le cui carni rosee iniziavano appena ad arrossarsi. Sfrigolando, il grasso spandeva aromi all’intorno, mentre Aisia lo cospargeva di erbe profumate. La fanciulla levò lo sguardo ad incrociare quello di Fintan, attirando l’attenzione di Clesek, che prese ad osservare i nuovi venuti. Bran si levò ad accoglierli. - Padre, come sarà propizia questa notte?- chiese, chinando il capo innanzi a Priyos. Il saggio allungò le dita a toccargli il volto. Ne percorse la fronte e gli zigomi, corse sulla mascella e indugiò sulle labbra, mentre nei suoi occhi ciechi ava un’ombra. Infine tracciò il segno sacro. - In questa notte molte sfide si accenderanno, ma una contesa soltanto, se ben
risolta, disegnerà l’alba di un nuovo giorno.Quelle parole attirarono l’attenzione degli uomini seduti, che si voltarono attenti. Ma il druido non proseguì oltre e prese posto innanzi a Lugotorix. Stretti i polsi del guerriero, Fintan lo imitò, mentre gli apprendisti si recavano nella zona riservata ai fanciulli. Poco dopo giunse Amorgen che, accompagnato da Nardos, occupò il posto alla sinistra del re. - Gli Dei sorridono,- annunciò il nuovo venuto.- I presagi annunciano grandi vittorie.- Poi si volse verso Lugotorix e continuò:- Al termine dei giorni sacri, le nubi si dissolveranno. Sarà quindi possibile scendere nei campi e liberare le mandrie.A quell’annuncio, il sovrano levò il boccale in un brindisi e grida d’esultanza si diffo come un’onda sino al cerchio più esterno. Poi Lugotorix si alzò e, fatto il giro del tavolo, si dispose al centro dello spiazzo predisposto per le danze, mentre i guerrieri battevano le mani sul tavolo, chiamando l’attenzione e invitando al silenzio. Quando tutti si zittirono e i volti furono levati verso di lui, il sovrano parlò. - Il nostro druido porta notizie di speranza e di vittoria. Da domani, l’aratro potrà affondare nella terra e il seme dare il suo frutto. Al terzo quarto di luna, un grande esercito verrà riunito e il o dei guerrieri muoverà verso le terre degli Atrebati. Le mandrie razziate verrano riprese e, se gli Dei lo vorranno, molte altre si aggiungeranno ad infoltire i nostri recinti.- All’intorno grida si levarono, i tavoli rimbombanti sotto i pugni che vi battevano. L’uomo alzò ancora le mani e il silenzio tornò a regnare.- Oltre a tutto questo, un nuovo annuncio voglio portare alle vostre orecchie, un annuncio preludio ad anni di prosperità per il nostro popolo. Poiché a Lugnasad siederà sul seggio degli Ancaliti una nuova regina, che sarà promessa di stabilità e unione con la terra.Lugotorix volse lo sguardo ai tavoli delle donne. A quel richiamo Elowen prese ad avanzare. Fintan stentò a riconoscerla: abbandonati gli abiti da guerriero, fulgida in una lunga veste del verde più brillante, rifinita d’oro rosso, i capelli come fiamma, raccolti in una complicata acconciatura e ricadenti in onde sul collo candido, la fanciulla gli strappò uno sguardo d’ammirazione. Il torquis che le ornava la gola spandeva bagliori sulle pelle d’alabastro, mettendo in risalto il collo di cigno, e il sorriso che le illuminava il volto non aveva nulla da invidiare al rifulgere delle stelle. La mano di Priyos si posò sulla sua coscia, calda e
vibrante, e Fintan volse lo sguardo, interrogativo. Sulla fronte del druido stille di sudore si disegnavano e la tensione faceva risaltare le rughe sottili che gli contornavano le labbra. Lo straniero fece per accostare l’orecchio alle sue labbra, in una richiesta di spiegazioni, ma venne distratto dal volto terreo di Bran. Il giovane sedeva eretto, le mani serrate sul boccale di terracotta, le nocche talmente livide d’esser eco del volto di Priyos. Tuttavia, oltre il pallore, null’altro pareva indicare la tensione del momento, se non il colore degli occhi, divenuti come baratri senza fondo. Il guerriero sorrise, tentando un’indifferenza ch’era ben lungi dal provare, e Priyos parve vacillare. Allora Fintan gli mise fra le mani una ciotola d’acqua, che il saggio portò alle labbra. All’intorno fu tripudio, mentre la fanciulla si ergeva al fianco di Lugotorix. - La vostra nuova regina,- annunciò il sovrano, levando la voce affinché giungesse sino ai tavoli più lontani.- E la mia futura sposa,- aggiunse in un sussurro, poggiando le labbra sulla fronte della fanciulla. Poi la guidò al tavolo e la fece sedere fra sé e Bran. Elowen levò lo sguardo su Fintan e il giovane, oltre l’espressione rilassata del suo volto, scorse, nel profondo delle iridi, un’ombra di disperazione. - Che si dia inizio al banchetto,- annunciò Lugotorix, prendendo posto. Subito i servi si mossero solerti e le tavole vennero imbandite. - Difficile trovare una regina più fulgida,- osservò Amorgen.- Quest’unione certo è fonte di promesse per il nostro popolo.La fanciulla chinò il capo in segno di ringraziamento, mentre Lugotorix le porgeva un boccone di focaccia intinto nel sugo. Bran le colmò un boccale di birra, poi portò il suo alle labbra. Al fianco del fabbro, Priyos parve riprendersi e Fintan gli porse una fetta di cinghiale arrostito, che il druido accettò senza portarlo alle labbra. - Possa il braccio del mio guerriero più valoroso proteggere la mia futura regina nelle prossime battaglie,- disse il sovrano, sporgendosi a guardare il giovane, che chinò il capo assentendo. Amorgen serrò le labbra contrariato. - Mio re, il posto di una regina è quello che la vede accanto al suo sovrano, non
nella mischia, la spada in pugno,- obiettò a voce alta, attirando lo sguardo di tutti. Priyos si mosse, ancora a disagio, e Fintan comprese che uno scontro si stava preparando. Ma Lugotorix sorrise, un sorriso pago, radioso, che disarmò il druido. - Può un vecchio privare la sua giovane sposa del suo unico dono di nozze?Quelle parole parvero sciogliere la tensione, e le risate si diffo all’intorno, sguaiate. I volti arrossati confermavano che molti erano già in preda all’ebbrezza. Fu la volta del druido di chinare il capo. In quel momento Aisia si avvicinò, recando nuove caraffe di birra, e gli occhi di Amorgen si fermarono, assorti, ad osservare i suoi gesti. Poi un’improvvisa comprensione parve accendergli lo sguardo, e il saggio prese ad osservare i servi che si muovevano indaffarati. Notò così che le pietanze che ingombravano le tavolate erano generose, ma mai quanto le caraffe di birra che le accompagnavano. All’intorno la conversazione si accese, ed egli non vi prestò orecchio. Invece si volse a guardare le numerose botti, fornite da Mawgan, che si ergevano in una pila al di fuori del circolo. Ripensò quindi alle parole di Anara e all’orzo sottratto e il suo sguardo attento si posò su Clesek. Il giovane mangiava lentamente, gli occhi che, a tratti, seguivano i movimenti dei servi e, in particolare, quello della fanciulla dai lunghi capelli corvini e la veste di lana non tinta, che ora si protendeva a sostituire le caraffe. Talvolta si voltava a guardarla, mentre Aisia si occupava dello spiedo poco discosto, e il druido scorse la luce avida che accendeva i suoi occhi. Il dubbio s’insinuò, mentre Lugotorix chiamava un altro brindisi. - Alle nuove armi che brillano nei foderi,- dichiarò, portando lo sguardo su Fintan. Dal fondo della tavolata, Lutterio si alzò, levando il boccale. - E alla pazienza dei miei fabbri, che hanno saputo tener testa ai rimproveri di un severo maestro!Ancora una volta le risa colmarono l’aria, mentre lingue impastate si perdevano in battute inconcludenti. Fintan si alzò a sua volta e bevve lungamente.
- Alle armi che ancora si stanno preparando, nella speranza che non vengano utilizzate.Gli schiamazzi coprirono le ultime parole, mentre Mawgan, il volto rubizzo, batteva il boccale sul tavolo ed esclamava con voce impastata: - Armi che verranno forgiate solo se il ferro rubato verrà restituito!A quelle parole, Fintan posò lo sguardo su di lui, in una domanda muta, che non ricevette risposta. Allora tornò a sedere, spostandolo su Bran, alla ricerca di una spiegazione. Per la prima volta in tutta la serata, il giovane schiuse le labbra. - Diverse notti or sono, hanno rubato i lingotti di ferro dai magazzini di Lutterio. Sono rimaste solo le scorte fornite da Oinos.- Una cosa molto strana,- si intromise a quel punto Amorgen, fissando Priyos, cosciente che il druido avrebbe percepito quel moto.- Le porte non sono state scassinate. Quindi, chiunque sia stato, conosceva molto bene quale sarebbe stato il momento giusto per entrare in città, e uscirne con un carico pesante che difficilmente avrebbe potuto non attirare sguardi.Fintan fece per domandare ancora una volta, ma la mano del saggio seduto al suo fianco si posò di nuovo sulla sua coscia, a trattenerlo. Così il giovane tacque, portò alla bocca un pezzo di cinghiale e prese a masticare. - Al ferro penseremo domani,- dichiarò Lugotorix, chiudendo la questione e battendo la mano sulla tavola.- Ora è tempo di danze.Nardos si alzò e, una volta ch’ebbe riunito i bardi, una musica vivace colmò l’aria. Lugotorix strinse la mano di Elowen e la condusse al centro dello spiazzo. Poi iniziarono ad intrecciare saltelli, subito imitati dalla gente all’intorno, che colmò velocemente gli spazi lasciati liberi fra i tavoli. Oltre la confusione Fintan notò che persino Anara s’era alzata, ed ora batteva le mani assieme alla sua gente. Poi spostò lo sguardo su Aisia e, all’improvviso, un fuoco parve accendergli i lombi, la gola s’inaridì e il cuore accelerò i battiti. Ingoiò un lungo sorso di birra, imitato da Bran. Clesek allora si alzò e, avvicinatosi alla fanciulla, le pose un braccio attorno alla vita; poi la trascinò nella danza. Ma Aisia prese a divincolarsi, mentre il giovane le afferrava un polso e la stringeva contro il proprio corpo. Lo schiaffo che calò sul suo volto accese la furia negli occhi del giovane, che lo ricambiò prontamente. Aisia rovinò a terra, attirando lo sguardo
di tutti. Sotto gli occhi attenti di Amorgen, Fintan si alzò e si frappose fra i due. - Quale onore ricavi nell’alzare la mano contro una donna?- gli disse fronteggiandolo, mentre all’intorno le danze cessavano e Bran si poneva al suo fianco, pronto ad intervenire. - Calma, straniero,- disse il giovane fulvo, levando le mani e avvicinandosi allo spiedo sul quale arrostiva il maialino da latte.- Sto solo reclamando quanto stanotte è stato posto sul fuoco per colui che saprà dimostrarsi il migliore fra i guerrieri di Lugotorix. Chiedo per me la “porzione dell’eroe”.Fece per allungare una mano sulla carne, ma Bran avanzò di un o, ponendosi fra lui e Fintan, e accettando la sfida. Immobile al centro del circolo, Lugotorix spostò lo sguardo dall’ira su Amorgen, che si alzò. - La contesa è aperta,- proclamò il druido, facendosi largo nella ressa. Fintan aiutò Aisia a rialzarsi, poi la condusse ad un lato dello spiazzo, dove la gente si accalcava per vedere meglio. Anara lo affiancò. Innanzi ai loro occhi lo spiazzò si svuotò, lasciando al centro i due contendenti, le spade incrociate. Elowen osservava poco discosta, il volto pallido. I due giovani rimasero immobili per un lungo istante, fronteggiandosi. Poi la spada di Bran prese a scivolare di piatto lungo il filo di quella di Clesek, stuzzicandolo in una carezza che dalla punta scendeva sin quasi all’elsa, per poi risalire lenta, in uno stridio che graffiava i timpani. Clesek spostò l’arma, tentando un colpo, ma la lama dell’avversario si mosse all’unisono, incollata alla sua, mentre lo stridore riprendeva, stavolta sordo. Gli occhi di Bran erano fessure che ingoiavano lo sguardo dell’avversario e le lunghe gambe si muovevano lente, in una danza che ripeteva le sue stesse mosse. Fintan venne scosso da un brivido, nel percepire la furia che emanava dai due contendenti. Ad un tratto, Bran si mosse, fulmineo, calando un fendente, di piatto, sul collo di Clesek, che vacillò, sbilanciato. Ma il giovane fu lesto a riprendersi, e rispose con un affondo, subito bloccato dal ferro di Bran. La lama di quest’ultimo scivolò sulla lama dell’avversario, poi, con un abile movimento del polso, la scalzò. L’arma sfuggì dalle dita di Clesek, disegnando un arco e rovinando a terra. Lo sfidante allora sollevò i pugni. Bran si erse e, in un sorriso ferino, lanciò la spada accanto all’altra. L’arma cadde con rumore sordo, mentre il pugno del giovane campione calava sulla coscia dello sfidante, che piegò il
ginocchio e poggiò un palmo a terra. Poi si erse, nuovamente, e rispose con una sequenza di colpi rivolti al volto, che Bran schivò, centrandolo al mento con un pugno ben assestato. Clesek scosse il capo, per snebbiarsi la vista, ma un nuovo colpo lo raggiunse allo stomaco. Allora si piegò, cadendo sulle ginocchia. A quel punto Bran si fermò, ergendosi su di lui, lo sguardo , le mani lungo i fianchi. Ma Clesek reagì, allungando un piede a colpirlo al ginocchio, di taglio. Bran si scostò svelto, poi, uniti i pugni, li calò sulla nuca del giovane, che stramazzò a terra. All’intorno grida si levarono, mentre Bran raccoglieva la spada e, alzato un boccale, ingoiava lunghi sorsi di birra. Poi, per tre volte, brandì l’arma oltre il capo ed infine la depose ai piedi di Lugotorix. - Che il tuo valore sia fuoco per i miei guerrieri,- disse il sovrano, levando la voce a sovrastare l’urlo della folla.- Servite a questo giovane quanto gli spetta!ordinò infine, levando le braccia. Aisia si avvicinò al maialino da latte e, tagliata una generosa fetta di carne, la porse a Bran. Quando i loro occhi si incontrarono, il giovane sorrise, e, per un istante, il suo volto tornò ad essere quello giocoso di sempre. Poi un’ombra gli attraversò lo sguardo, riportando l’espressione contratta. Quando tornò a sedere al fianco del sovrano, nei suoi occhi era rimasta solo la furia. La musica si alzò in un tripudio, mentre Mawgan aiutava il figlio a rialzarsi e lo accompagnava a sedere al suo posto. Gli colmò un boccale di birra, che Clesek sorbì, senza abbandonare gli occhi di Amorgen. Il druido chinò il capo, a celare la rabbia. Poi tornò a sedere di fronte a Priyos. - È bene che i nostri giovani tentino ancora di superare sé stessi,- prese a dire, attirando i sorrisi gelidi di Lugotorix. - È bene che i nostri druidi conoscano ancora la giusta distanza dagli eventi. Ma soprattutto che tornino ad occupare il posto che spetta loro,- sottolineò il sovrano, volgendosi verso di lui e comprendendo quanta parte avesse avuto il druido nella sfida lanciata da Clesek. A quell’affronto il volto di Amorgen s’accese e gli occhi dardeggiarono. - Pare che le tue parole celino lo stupore, mio re,- s’intromise a quel punto Priyos, nel tentativo di sedare la disputa, fornendo una giustificazione al tono
tagliente di Lugotorix.- Ma certo, un orecchio attento è in grado di cogliere lo scherzo, nel tuo tono di voce.Lugotorix lo fissò, esitando, ben sapendo che uno scontro con Amorgen sarebbe stato dannoso, quanto inopportuno, se portato innanzi alla comunità. Allora le labbra si schio in una risata tonante, sciogliendo la tensione. Amorgen spostò lo sguardo su Priyos, che rimase imiblile. Poi lo portò sulle danze e infine lo lasciò indugiare su Fintan e Aisia, intenti in conversazione accanto agli spiedi. Rimase a studiarli a lungo, e le sue labbra divennero una linea sottile, sino a quando il giovane si volse e tornò a sedere accanto a Priyos, che levò il capo verso di lui. - Giovane Fintan, sarai così cortese d’accompagnare a casa un vecchio esausto?invitò, poggiandogli la mano sul braccio.- Temo che le emozioni di questa sera di festa siano state più che sufficienti. Inoltre non vorrei assistere a quanto accadrà nel prosieguo della notte, quando le danze avranno raggiunto il loro apice,- aggiunse in una risata maliziosa, rivolto a Lugotorix. Fintan l’aiutò ad alzarsi e lo guidò oltre la confusione, seguito dagli occhi attenti di Amorgen. - La stupidità umana non ha confini,- sussurrò Priyos, una volta che si ritrovarono al di fuori del circolo dei tavoli, la confusione che svaniva alle loro spalle. Fintan si volse a guardarlo, scoprendo sul suo volto una stanchezza che lo invecchiava di molti anni. - Sembri davvero esausto,- gli disse, percependone il peso contro il proprio corpo. - Giovane Fintan, - prese a dire il saggio, fermandosi.- Il giorno che deciderai di avvicinarti all’antico insegnamento, scoprirai che le emozioni dell’uomo si spandono all’intorno come un riverbero: un’onda che, partendo dal sasso lanciato al centro del lago, si allarga sino alla riva. E più sono violente, maggiore è la loro forza. È necessaria una grande energia per resistere all’impeto della bufera che si sta scatenando in questa notte. E io, ora, l’ho esaurita.Il druido riprese il cammino, poggiato al braccio di Fintan, che, a o lento, lo condusse lungo la via, attraverso il terrapieno, inoltrandosi poi nelle vie deserte
di Bibrax. Una volta entrati nella casa del saggio, il giovane lo fece sedere e gli mise tra le mani una ciotola d’acqua, che l’uomo sorbì con avidità, mentre Fintan sedeva oltre il focolare, poggiandosi alla parete. - Tutti sono immersi in questo riverbero,- continuò il druido restituendo la ciotola.- Tutti sono catturati nei gorghi che ciascuno di noi traccia attorno a sé, e sono consumati dalla loro forza. Ma pochi possono comprenderlo, o almeno percepirlo. Tuttavia ciascuno risponde di riflesso, come l’immagine restituita da uno specchio di bronzo, reagendo senza consapevolezza alcuna a cose che nemmeno intuiscono. Così è la natura dell’uomo. Queste sono le leggi che ci governano. Chi vive nel sogno può solo piegarsi, ignaro, al volere degli Dei.Fintan poggiò i gomiti sulle ginocchia, tentando di penetrare i misteri rivelati dalle labbra di Priyos. Il vecchio si toccò la fronte, fece un respiro profondo, poi riprese. - Ma, se solo l’uomo potesse intuire la realtà, potrebbe mutare quel riverbero di emozioni in una forza che sa fendere l’istante, per scoprire, oltre il velo opaco che ci annebbia la vista, il vero volto delle cose: i segreti della materia e dello scorrere del tempo. Saprebbe percepire la vibrazione che, come un canto, tutti ci avvolge e ci lega l’un l’altro, inscindibile: la potenza del divenire.Il saggio ridacchiò divertito e Fintan battè le palpebre interdetto. - Tutto l’opposto di quanto è accaduto stasera,- concluse Priyos alzandosi e sedendo sul giaciglio.- C’è un letto anche per te, se lo desideri,- invitò poi, lasciando cadere la conversazione.- Ma il richiamo della vita è potente, e forse stanotte vuoi rispondere alla sua richiesta.Fintan sorrise. - Il richiamo della vita per stanotte potrà attendere,- disse il giovane, sdraiandosi. - La tua ricerca sta rubando troppe energie, giovane Fintan,- lo canzonò allora l’uomo.- Rischi di trascurare le cose importanti.Il giovane si levò su un gomito, nuovamente incuriosito. Ma il respiro regolare del druido lo fece desistere dal porre ulteriori domande. Così tornò a sdraiarsi e le sue dita si serrarono sulla pietra donatagli dal saggio, ancora legata al suo collo. Poi l’immagine della spada gli colmò la mente e scivolò in un sonno
profondo, ricco di riverberi.
14. Il tradimento di Aisia
Gli occhi di Aisia erano fissi sul cumulo di lingotti di ferro appena disseppelliti, mentre Muir sorrideva soddisfatto al fianco di Lorcan. Delen camminava inquieta, la veste non tinta che spandeva fruscii, mescolandosi al suono della brezza fra le foglie di quercia. Nemmeno lei approvava la bravata dei compagni, prevedendo sciagure. - Dobbiamo riportarli a Bibrax,- sentenziò Aisia, levando gli occhi su Lorcan. - Impossibile!- ribatté il compagno.- Tu non puoi nemmeno intuire le difficoltà che abbiamo dovuto affrontare per portarli sin qui. E poi ci serviranno. Sempre che Niab si renda finalmente disponibile ad aiutarci.- Oppure potresti chiedere al tuo druido!- esclamò Muir, la voce velata dal disprezzo. Aisia lo osservò a lungo. Aveva compreso che i progetti di Lorcan erano stati portati avanti come annunciato, aiutato dai due giovani che ora gli si stringevano al fianco. Dopo il confronto avuto la notte in cui Fintan era giunto alle fattorie, Lorcan non l’aveva più coinvolta, frenato dalla titubanza dimostratagli. Tuttavia, ora aveva deciso di metterla alla prova. Quindi si trovava nella necessità d’effettuare la scelta a lungo rimandata: chiedere a Fintan di forgiare nuove spade per la loro rivolta, come già era stato proposto da Lorcan in quella lontana notte, oppure tentare di convincere i compagni a desistere, facendo loro comprendere l’insensatezza di quei progetti. - Fintan non deve essere coinvolto,- dichiarò Aisia con decisione.- E questo ferro va restituito. Non avete pensato alle conseguenze per la nostra gente, se Amorgen dovesse convincere Lugotorix a perquisire il villaggio?- Nessuno può dimostrare nulla,- intervenne ancora Muir, richiamando l’attenzione di Delen.- E poi chi mai potrebbe trovarli, sepolti qui, nel folto della foresta?- E tu, povero sciocco, pensi che i druidi si facciano ingannare con tanta facilità? - domandò la ragazza scostando una ciocca sfuggita alla treccia.- Quanto tempo
pensi che impiegheranno a comprendere che solamente noi avremmo potuto rubare il loro ferro?Lorcan levò le mani in un gesto volto a riportare la calma. - È inutile azzuffarci tra noi. Per il momento torneremo a seppellirli e attenderemo il giusto tempo per tornare a riprenderli. E tu, Aisia, dovrai farmi parlare con tuo fratello. Ora che Niab ha lavorato con lo straniero, non potrà rifiutare il suo aiuto.- Nemmeno Niab dovrà essere coinvolto,- insistette la fanciulla.- E poi la sua abilità ancora non è in grado di forgiare lame degne di tale nome.- Rimane solo il tuo druido,- ribattè ancora una volta Muir, un sorriso feroce sulle labbra. Ma Lorcan lo ignorò. Si avvicinò ad Aisia e le poggiò le mani sulle spalle. - Se questa tua decisione è irrevocabile, tu sai che le nostre strade d’ora in poi si divideranno.La fanciulla ne sostenne lo sguardo, poi annuì. - Eventi si stanno preparando oltre le mura di Bibrax e presto la guerra incendierà i confini,- disse.- I progetti, sui quali abbiamo fantasticato per tante notti, oggi sono solo sciocchi giochi di fanciulli. Non vi aiuterò a percorrere una via che porterà la nostra gente alla rovina.A quelle parole, sul volto di Lorcan ò un’ombra e Aisia lesse il dolore bruciare nei suoi occhi. Il suo cuore esitò, ma il giovane, lasciate ricadere le braccia lungo i fianchi, si scostò. - Oramai è troppo tardi,- le disse con voce spenta.- I villaggi sono stati allertati. Tutto è pronto, con o senza spade. Stiamo solo attendendo il momento giusto.- Se Aisia non condivide i nostri progetti, oramai è inutile metterla a parte dei piani,- intervenne Muir, feroce. Ma Lorcan levò una mano a bloccare il suo intervento.
- Aisia avrà sempre un posto al mio fianco, se dovesse cambiare idea,- dichiarò, voltando le spalle.- E saprà sempre dove trovarmi,- concluse, riprendendo a seppellire il ferro con gesto deciso. La fanciulla rimase immobile, lo sguardo fisso sul metallo che, a mano a mano, veniva inghiottito dalla terra. Poi si volse e svanì nella foresta.
- Comincio a credere che alle fattorie stiate perdendo il senso della realtà,- disse Priyos rivolto a Niab, che lo precedeva lungo il fiume, diretto al villaggio nella pianura. Al suo fianco, l’espressione truce di Fintan confermava il persistere di un pensiero inquietante. Il giorno successivo alla notte di Beltane, il fabbro s’era recato da Lutterio, ne aveva visitato i magazzini e controllato i lingotti, a vagliare la situazione e verificare la disponibilità di ferro per i giorni a venire. Aveva così scoperto che le scorte rimaste non avrebbero consentito di forgiare le armi di riserva, necessarie all’esercito che già si stava preparando per la partenza. Allora ne aveva lungamente parlato con Priyos, tentando di stabilire, in quel confronto, quanto i suoi sospetti fossero fondati. Ma solo quando aveva descritto il carro dal pesante carico, veduto nella notte trascorsa alle fattorie, il saggio aveva cessato di obiettare. Ora erano diretti alla casa di Anara, decisi a fare chiarezza e a risolvere la questione lontano dagli occhi di Amorgen. Ma, in tutto questo, un pensiero fra tutti tormentava la mente di Fintan: la convinzione, che a mano a mano si faceva largo nel cuore, dell’inganno di Aisia. Rivedeva i giorni nei quali era venuta alla sua fucina, e aveva riconsiderato i tempi disponibili, trovandoli sufficienti a recarsi coi compagni ai magazzini di Lutterio, e sottrarre le scorte. A quella constatazione, ogni parola pronunciata dalle labbra della fanciulla si trasformava alle sue orecchie in una richiesta sottintesa, mentre un disegno più ampio si presentava alla vista, partendo dal furto dei lingotti, sino a giungere al suo coinvolgimento per la forgiatura delle spade necessarie alla rivolta. Quello che aveva creduto un atto d’amore si rivelava come un tentativo d’irretirlo e, all’improvviso, Fintan si sentì uno sprovveduto. La furia salì ad arrossargli il volto e il disprezzo gli colmò il cuore. Priyos percepiva il tormento del giovane come un tocco rovente, che gli graffiava le viscere e gli invischiava i pensieri. Ma nessun intervento era
possibile per chetarlo, sino a quando non si fosse confrontato con Anara. Fintan allungò lo sguardo entro i recinti alla loro destra, e scorse i druidi intenti nella purificazione delle mandrie, i grandi falò rituali che spandevano nell’aria i loro effluvi benefici. Poi riportò l’attenzione al cammino e la sua mente tornò a sprofondare in un baratro d’incertezza.
Carow sedeva quieto, poggiando le spalle alla parete. Da quella posizione gli occhi potevano spaziare nell’intera capanna e seguire agevolmente i movimenti di Anara, immersa nelle sue riflessioni. Dopo il confronto con Fintan, la donna s’era ritirata nella foresta, iniziando il digiuno rituale. Ma nemmeno le meditazioni, lungamente protratte, le avevano consentito di infrangere le cortine del tempo: le visioni che stava ricercando erano solo pallide ombre. La disciplina a cui si era piegata, unita alla carenza di cibo che l’aveva preceduta, le avevano scavato le gote ed ora gli occhi, enormi nel volto pallido, rilucevano per la febbre. Guardandola, il cuore dell’uomo si strinse. - Hai deciso di ucciderti?- le chiese, senza tralasciare di seguire con lo sguardo il o che misurava le pareti. La donna levò una mano in un gesto noncurante. - L’aria è cambiata e le tensioni che la percorrono sono potenti. La mia mente ha sempre più difficoltà a giungere ai luoghi ove si cela la quiete. Presto dovrò tornare nella foresta, poiché qui non sono più in grado di isolarmi. L’insegnamento si sta indebolendo e sento che presto, come già accaduto in ato, s’inabisserà. Non è possibile indugiare oltre. Eventi si stanno preparando e, per la salvezza della nostra gente, è necessario che i miei occhi vedano.- Tu mi insegni che la lotta è dannosa, e quella che hai ingaggiato con te stessa ti sta consumando,- le ricordò l’uomo con voce ferma.- Inoltre un corpo consunto non è il miglior contenitore per una mente forte. Solo il giusto equilibrio e la pace del cuore sapranno indicarci la via.- Ed è per questo che stanotte tornerò al bosco di noccioli,- ribadì la donna, caparbia.
Un bussare sommesso li interruppe e, quando Anara aprì l’uscio, si trovò innanzi Niab, accompagnato da Priyos e Fintan. Si scostò per farli entrare. - Vedo dall’espressione dei vostri volti che le notizie non sono delle migliori,prese a dire Anara, sedendo accanto a Priyos. Nell’udire il suono della sua voce, il saggio allungò una mano a stringerle il polso e nei suoi occhi brillò una luce di comprensione. - Da quanto tempo digiuni?- le chiese senza mezzi termini, percependo il calore della febbre attraverso la pelle. - Da tutto il tempo necessario,- rispose la donna con noncuranza, sciogliendosi dalla stretta.- Ma ora ditemi cosa vi conduce alla mia casa.- Ci sono fondati motivi per credere che qualcuno alle fattorie abbia rubato le scorte di ferro di Bibrax,- intervenne Fintan, levando su di lei uno sguardo più che eloquente. - Cosa lo fa pensare?- domandò Carow, attirando lo sguardo del fabbro. Con poche parole, Fintan narrò l’accaduto, osservando l’espressione dell’uomo che, a mano a mano, si incupiva. - Al momento Lutterio è stato incaricato di mettersi in contatto coi mercanti del sud,- intervenne a quel punto Priyos.- Ma voi sapete bene cosa può la furia di Amorgen.In quell’istante la porta si aprì e la figura di Aisia si disegnò sulla soglia, ove esitò incerta, notando l’espressione dei volti che si levarono a guardarla. Poi entrò e sedette accanto a Carow. - Cosa sai dirci del ferro sottratto?- la accolse Anara, andando diretta al succo della questione. - Sto facendo il possibile affinché venga restituito,- rispose la ragazza con voce ferma. A quelle parole gli occhi di Fintan dardeggiarono e, nello scorgere l’espressione contratta del suo volto, la fanciulla comprese i pensieri che lo agitavano e che, in
quell’istante, stavano trovando conferma. Il cuore si strinse e la gola si serrò, impedendole di fornire ulteriori spiegazioni. - Con la vostra stoltezza e presunzione tu e Lorcan state chiamando la sciagura sulla nostra gente, spero che ve ne rendiate conto,- disse ancora Anara, alzandosi e avvicinandosi alla figlia.- E anche se il ferro dovesse essere restituito, cosa che deve accadere al più presto, a nulla varrà qualsiasi mio intervento presso Amorgen, lo comprendi questo?Aisia rimase imibile. Tornò a spostare lo sguardo su Fintan e il disprezzo che lesse nei suoi occhi fu come una lama che le penetrò le viscere. Allora, senza proferir parola, si alzò ed uscì, serrandosi la porta alle spalle. - Lascia che le parli io,- intervenne Carow, seguendone la scia. Quando la sua figura scomparve oltre la soglia, Anara si lasciò cadere sulla panca, improvvisamente svuotata. All’improvviso il sangue defluì dal suo volto e la donna s’accasciò. Fintan fu lesto ad accoglierla tra le braccia e a deporla sul giaciglio. Sotto lo sguardo turbato dei due giovani, Priyos si alzò con prontezza e, accostatosi, mosse le mani esperte su di lei. - La febbre è alta e il digiuno l’ha debilitata,- disse in un sussurro.- Tu sai di cosa c’è bisogno, Fintan. Mostralo a Niab che ti condurrà nella foresta.Una volta solo, il saggio poggiò una mano sulla fronte della compagna, l’altra sulla nuca, e subito il calore fluì. Quando la voce di Anara si fece sentire nuovamente, sorrise. - Pare che salvarmi sia il tuo destino,- sussurrò la donna, stringendogli un polso. - Se non ti sforzerai di mangiare, il mio destino non potrà realizzarsi,- rispose Priyos con voce quieta, allontanando le mani.- Era necessario arrivare a tanto?- Ciò che attendevamo sta prendendo forma, Priyos, qui, innanzi ai nostri occhi ciechi. Il caso sta allungando le sue dita scomposte, la confusione regna e il sogno sta prendendo il sopravvento. Lo vedo negli sguardi smarriti della mia gente. Persino mia figlia non ode più il richiamo delle tradizioni. Qual è stato il mio errore?Un eccesso di tosse rubò quelle ultime parole e Priyos si alzò a scaldare l’acqua
sul focolare. Poi tornò verso la donna e la coprì con la pesante coperta di lana. - L’insegnamento si mostra nel luogo più adatto. Tu sai quanto io l’abbia inseguito nel mio vagare, sino a giungere a queste terre e incontrare il tuo volto. Oramai da tempo gli equilibri sono mutati e le leggi si rafforzano. Lo sforzo richiesto per uscire dal sogno è sempre più gravoso e qualsiasi nostro intervento non sarà sufficiente. L’unica cosa che possiamo fare è conservare la sua sapienza nei nostri cuori e percorrere il cammino che ci è stato indicato. Il tempo è giunto e il mondo è già cambiato.Anara si levò sul giaciglio, poggiandosi su un gomito, e quello sforzo le imperlò la fronte. Priyos allora si chinò e la strinse, poggiandole le labbra sui capelli. - Lascia che il destino faccia il suo corso,- sussurrò con voce quieta, cullandola con dolcezza.- Le tradizioni ricompariranno in un nuovo tempo, in un altro luogo che, come in ato in queste terre, saprà accoglierle e proteggerle.A quelle parole Anara si abbandonò, svuotata, mentre calde lacrime scendevano a bagnarle le gote. - È stato quindi tutto inutile,- disse con voce spenta. - Tu sai che l’epilogo non è ancora stato scritto, qualunque esso sia. Il caso ha preso il sopravvento e gli equilibri sono infranti. Dovremo semplicemente seguire gli eventi. Ora non è più tempo di guidarli. Ora il futuro e nelle mani di coloro che verranno. Nulla è più possibile per tentare di cambiare la natura dell’uomo.Priyos la stinse al petto, le mani calde che le carezzavano la schiena e, finalmente, sotto quel tocco rassicurante, Anara pianse tutte le lacrime che da tempo non aveva voluto versare.
La notte era dolce e l’aria tiepida si alzava dalla terra, disegnando volute di foschia, subito condensata in vapore. Su tutto, la nebbia diffondeva il suo tocco, insinuandosi nelle vie e aleggiando sulle capanne addormentate. Un silenzio ovattato regnava sovrano. Fintan sedeva nell’oscurità, sulla panca posta all’esterno, a lato dell’uscio di
Anara. Il mantello che lo avvolgeva luccicava dell’umidore della notte. I suoi occhi assenti erano fissi su quel muro di nebbia, candido e mutevole, che giocava con gli oggetti rendendone incerti i contorni. Talvolta uno sprazzo di sereno si mostrava, portato dal vento d’alta quota e allora la luna emergeva, disegnando ombre sulla terra e palpiti nella nebbia. La sua mente era vuota. O almeno così gli pareva, dato che i pensieri si susseguivano talmente incalzanti da non poter nemmeno esser riconosciuti. La rabbia gli stringeva la gola. Ripensava agli istanti trascorsi con Aisia e, a mano a mano, la furia montava in ondate pulsanti, evocata con desiderio, nel tentativo di allontanare la certezza che da quel pomeriggio più non l’abbandonava. Si toccò la fronte, muovendosi nervoso sulla panca, spostando lo sguardo al cielo mutevole. E la nostalgia della sua terra, per la prima volta da molte lune, emerse prepotente a soffocarlo. Per un istante desiderò che i suoi occhi non avessero mai toccato quei luoghi. Poi il pensiero del metallo, immobile sulla sponda del lago, allontanò il tumulto della mente, riportandolo all’unico reale desiderio che da sempre aveva percorso i suoi giorni. Il dolore si fece lieve e lo sguardo si colmò ancora una volta dell’immagine della spada che tutte le notti giungeva ad abitare i suoi sogni. Allora seppe quale sarebbe stato il suo prossimo o, proprio nello stesso istante in cui un’ombra si disegnava innanzi ai suoi occhi, velata dalla nebbia. Aisia si avvicinò, esitante, il volto celato dal cappuccio, le mani protette dalle larghe pieghe del mantello. Quando fu innanzi a Fintan, si fermò, in attesa. Ma il druido rimase immobile. I due si fronteggiarono. Poi la fanciulla prese posto al suo fianco, discosta, evitando di sfiorargli la veste. - Il tuo arrivo ha portato scompiglio fra i miei compagni,- prese a dire con voce incerta la fanciulla, lo sguardo ritto innanzi a sé.- Parlo di coloro che da tempo stanno tentando di ribellarsi alla prepotenza della gente di Bibrax, naturalmente. Quando Niab descrisse il vostro primo incontro, disegnando di te un’immagine così differente da quella dei druidi che conosciamo, tutti pensammo che le nostre speranze si stessero realizzando. Non fu mia l’idea di coinvolgerti e certamente non fu per questo che ti avvicinai. Tuttavia voglio chiederti perdono per quanto sta accadendo. Se solo fossi stata più decisa, forse oggi saresti al mio fianco e l’odio non ti accenderebbe lo sguardo.Aisia tacque, attendendo una reazione, che non venne. Allora riprese.
- Ho riflettuto a lungo, dopo che offristi il tuo aiuto, e ho deciso di comprendere il motivo che ti aveva spinto a farlo. Ho osservato i tuoi occhi, ascoltato le tue parole, e ho compreso che il tuo arrivo in queste terre stava mutando delicati equilibri, equilibri fatti di speranze. E tu, ignaro di quanto ti circondava, eri unicamente preso dalla tua ricerca, dal tuo sogno,- la fanciulla sorrise a quel pensiero, abbassando il cappuccio a rivelare il profilo delicato. La luna disegnò ombre sul suo volto.- E così ho compreso che eravamo tutti immersi in un’illusione, un miraggio nel quale la realtà non aveva posto, ignorata, casualmente o volutamente, da piccoli uomini indaffarati nell’inutile costruzione del loro vuoto futuro. Fu in quell’istante che decisi di portarti al lago, sperando che forse tu, non coinvolto, potessi vedere ciò che oramai i nostri occhi non sono più in grado di scorgere. Non fu inganno. Fu desiderio. Ed ora ti chiedo perdono per il mio sconfinato egoismo.A quelle parole Fintan si volse e affondò lo sguardo in quello della fanciulla. - Le tue giustificazioni non sono necessarie.- Se quanto dici fosse vero, allora in questo istante saresti sdraiato nel tuo giaciglio, a sognare la spada che forgerai. Invece sei qui, e leggo il tormento nei tuoi occhi. Un tormento che non desidero, per l’uomo che ha saputo aiutare la mia gente e farmi comprendere quanto fossi in errore. Oggi ho deluso molte persone: i miei compagni, che ho abbandonato alla loro insensata follia; mia madre, convinta ch’io abbia scordato le tradizioni; persino Niab, che non riconosce più il volto di sua sorella. Ma una fra tutte vorrei che comprendesse, poiché il suo odio è un dolore troppo grande da sopportare.Aisia allungò le mani, incerta, a cercare quelle di Fintan. E ancora una volta l’uomo rimase immobile. Solo un lieve fremito rivelava la furia trattenuta a stento. - Mai le mie labbra hanno proferito menzogna,- insistette la fanciulla, inutilmente. Fissò lo sguardo negli occhi del druido, esitando. Infine si alzò e, sollevato nuovamente il cappuccio, s’allontanò, inghiottita dalla nebbia. Fintan rimase immobile ad osservarla svanire, figura evanescente, mentre l’angoscia calava con le sue dita gelide.
15. L’anima del metallo
Da giorni la fucina di Fintan era sbarrata. Solo il fumo della forgia e il battere del martello sul metallo dimostravano che non era stata abbandonata. Tuttavia, chiunque trovasse il coraggio di condurre il o sino all’uscio, veniva respinto con garbo, ma decisione. Nemmeno Priyos era riuscito a varcarne la soglia, e la preoccupazione, già presente per la malattia di Anara, si accentuava a causa del comportamento di Fintan. Niab, accolto nella sua casa, si aggirava inquieto in un movimento incessante, il volto pallido, le labbra serrate. Dal giorno in cui aveva assistito allo scontro fra la madre e la sorella a causa del ferro di Bibrax, i suoi occhi non avevano più veduto il volto dello straniero. Ogni mattina si recava alla fucina portando viveri e sempre ne tornava sconfitto. Poi guidava Priyos sino alla casa di Anara, e nel suo cuore riaffiorava la speranza, osservando le mani risanatrici compiere prodigi. Allora la mente tornava al suo Maestro, assieme allo sconforto che lo soffocava. Finché una sera, mentre cenava assieme a Priyos e Caolan, Fintan si presentò sulla soglia. Nel vedere il suo volto, il cuore di Niab tremò: gli occhi accesi, i lineamenti scavati, i capelli scomposti, era l’ombra dell’uomo che conosceva. - Sapevo che ti avrei trovato qui,- iniziò a dire il fabbro rivolgendosi al fanciullo e varcando la soglia con o svelto. Recava con sé un involto che gli mise frettolosamente tra le mani.- Ho necessità che tu vada da Lutterio. Egli ti consegnerà ciò che mi manca. Portalo alla mia fucina.Fintan fece per voltarsi, ma la voce decisa di Priyos lo bloccò sulla soglia. - Dato che lo sforzo per giungere alla mia casa è stato compiuto, puoi fermarti per una ciotola di zuppa,- lo invitò, levandosi.- È da tempo che non godiamo del piacere della tua compagnia e credo che un po’ di notizie dal confine possano interessarti.Fintan esitò. Poi sedette alla tavola imbandita. L’odore del cibo gli provocò un eccesso di nausea che trattenne a fatica. Con disgusto allontanò la ciotola che Caolan gli porgeva.
- È accaduto qualcosa che dovrei sapere?- chiese con scarso interesse. - Pare che Bran stia compiendo prodezze,- iniziò a raccontare Priyos.- Le prime razzie si sono concluse con successo: le tue armi sono state all’altezza delle aspettative. Ma la battaglia si fa più lunga del previsto e gli esiti appaiono incerti.Fintan annuì, muovendosi inquieto sullo sgabello. - Inutile che ti domandi da quanto tempo non mangi,- continuò il saggio, invitando Caolan e Niab a lasciarli soli con un cenno.- Sento dalla tua voce che lo sfinimento sta mettendo a dura prova la tua resistenza. Vengo da poco dalla casa di Anara e voglio che tu sappia che a fatica, e con molti sforzi, sta cominciando a riprendersi dalle conseguenze della follia che l’ha colta. Ho l’impressione che tu voglia imitarla. Posso sapere cosa sta accadendo?Il giovane si portò le mani al volto, i gomiti poggiati sul tavolo. Poi fece scorrere le dita fra i capelli scomposti e tornò a guardare Priyos, ancora in attesa di una risposta. - Sono riuscito a tagliare il metallo caduto dal cielo,- annunciò, gli occhi febbricitanti.- Ma la lama che sto forgiando continua a spezzarsi senza motivo evidente. La mia solita tecnica non funziona.- Quanto dici non mi sorprende, dato che la lucidità ha abbandonato la mente del forgiatore. Forse un po’ di riposo potrebbe aiutarti. Potresti farmi compagnia per qualche giorno,- suggerì Priyos, allungando una mano a stringere il polso del compagno e a quel tocco le sue labbra si serrarono con preoccupazione. - Non c’è tempo!- esclamò Fintan preda a un eccesso di rabbia, sciogliendosi dalla stretta. - Se non morirai di stenti nei prossimi giorni, direi che la tua giovane età promette ancora parecchi anni da dedicare a questa ricerca,- dichiarò il saggio tra il serio e il faceto. Fintan si alzò di scatto e, a quel moto, una vertigine lo colse. Quindi tornò a sedere sulla panca poggiata alla parete. Chiuse gli occhi e abbandonò il capo contro il legno scuro.
- Sento che sono vicino, Priyos,- sussurrò con voce spenta.- Presto gli arcani di quel metallo mi saranno svelati.- Questo accanimento ti sta consumando. Non è solo la foga della ricerca, ne siamo consapevoli entrambi. Cos’altro abita il tuo cuore, oltre alla rabbia che ti fa tremare le mani?- A quelle parole sul volto di Fintan ò un’ombra, che il vecchio percepì dal silenzio teso.- Aisia ha chiesto di te,- dichiarò poi con tono casuale.- Vuoi che riporti un tuo messaggio?Nell’udire quel nome, i pugni di Fintan si strinsero sino a quando le nocche divennero livide. Posò lo sguardo su Priyos e si alzò. - Dì a Niab che lo attendo alla fucina. Ora debbo proprio lasciarti.Quando si richiuse l’uscio alle spalle, Priyos chinò il capo. Se le parole nulla avevano potuto contro la testardaggine di quel giovane, c’era un’altra strada che avrebbe potuto percorrere. Sospirò, la stanchezza che calava come un manto, domandandosi ancora una volta se mai avrebbe potuto vedere il confine che la stupidità umana, in continuazione, pareva allontanare.
- Sono Aisia,- annunciò la fanciulla, bussando all’uscio di Fintan.- Mi manda Priyos per recarti quanto hai chiesto a Lutterio.Il silenzio calò per alcuni, lunghi istanti. Poi la porta si schiuse e l’ombra del fabbro si disegnò sulla soglia. Dal cielo cadeva un’acquerugiola fine che, posandosi sul mantello scuro della fanciulla ne faceva brillare la trama, costellandola di minuscole gocce riverberanti. Il cappuccio sollevato le nascondeva il volto. Fintan si scostò per farla entrare e Aisia avanzò titubante nella fucina, illuminata dalle fiamme del focolare e dalla forgia posta sulla parete opposta. L’aria era satura e il calore le disegnò veloce piccole stille di sudore sulla fronte. Sganciò la fibula e appese il mantello accanto alla porta. Poi si volse a porgere l’involto che le aveva consegnato il saggio. Quando i suoi occhi si posarono sull’uomo immobile al centro della stanza il suo cuore tremò. - Priyos dice che la tua ricerca ti sta imprigionando fra queste pareti. Mi ha chiesto di portarti latte, formaggio e focacce.-
Tacque e il giovane si volse a guardarla: il viso della fanciulla s’era affilato e due ombre scure le segnavano gli occhi. I capelli annodati in una lunga treccia aumentavano l’impressione di fragilità che emanava dal corpo sottile. Fintan esitò e le parole sprezzanti che gli stavano salendo alle labbra si spensero. Allora Aisia si avvicinò all’incudine e prese ad osservare il lavoro interrotto. All’intorno la confusione regnava sovrana e numerosi attrezzi giacevano abbandonati sul pavimento. - Alla fine sei riuscito a tagliarlo, quel metallo,- prese a dire, ma subito le parole pungenti del fabbro la zittirono. - Se sei venuta per fare conversazione, sappi che la cosa non mi interessa. Come vedi la mia mente ha altro cui pensare.A quelle parole la furia di Aisia dilagò. - Quanto pensi di poter continuare a questo modo?- gli domandò, avvicinandosi e stringendo i pugni lungo i fianchi.- Non ti sono state sufficienti le scuse che ti ho fatte? Sei ancora convinto ch’io abbia voluto raggirarti?La risata di Fintan colmò la capanna, beffarda. - Tu, piccola e inutile donna, credi che ancora il mio cuore brami le tue attenzioni?A quella provocazione la mano di Aisia si levò per colpirlo, ma Fintan fu svelto ad afferrarle il polso. I due si fronteggiarono, tremanti di rabbia, gli occhi che mandavano bagliori. La fanciulla fece per divincolarsi ma Fintan la strinse contro il proprio corpo, imprigionandola, le labbra che calavano a cercarle le labbra, le dita che affondavano nella carne. L’uomo si tese, la bocca avida che la percorreva, le mani che stracciavano le vesti, frugandola, mentre Aisia si dibatteva per liberarsi da quella stretta. Il gemito strozzato che colmò la fucina parve riportare il fabbro alla realtà. Fintan si scostò, inorridito da quanto stava per compiere, e quando i suoi occhi tornarono a fuoco, il sangue defluì dalle sue guance e il volto livido si stagliò alla luce della fiamma. - Perdonami,- disse in un gemito strozzato, cadendo sulle ginocchia e artigliando la polvere, mentre le lacrime salivano ad inumidirgli lo sguardo e rotolavano sul volto distrutto dal tormento.
Aisia fece un o indietro, tremante, tentando di ricomporsi, mentre innanzi agli occhi tornava quel volto che da tempo non abitava la sua mente, e il ghigno smanioso si chinava su di lei, colmandole la vista. Si rannicchiò sulla panca e singhiozzi violenti le squassarono il petto. Il giovane si alzò e fece per avvicinarsi, ma la fanciulla si ritrasse, stringendosi nella stoffa, i cui ampi strappi poco potevano per ricoprirla. Allora Fintan si scostò, immobilizzandosi al centro della stanza, la gola serrata. Rimasero così a lungo, i singhiozzi di Aisia che colmavano la fucina, mentre Fintan attendeva immobile, il volto cereo. Solo quando la fanciulla parve chetarsi, il giovane l’avvicinò, porgendole una ciotola d’acqua. I loro occhi s’incontrarono. - Perdonami,- ripeté il fabbro in un sussurro, ponendole la ciotola fra le mani. Aisia bevve. Poi allungò una mano a carezzare il volto del druido. - Inganni della mente abitano il nostro tormento,- disse, affondando le dita nei capelli del giovane e attirandolo a sé, mentre Fintan sedeva al suo fianco, cauto. Le labbra di Aisia presero a percorrere il suo volto, lente, le mani che scivolavano sulla tunica, il fianco che premeva contro il corpo del compagno, che si tese, trattenendosi. Ma, quando la bocca della fanciulla trovò la sua, la frenesia li colse improvvisa, la rabbia che trovava sfogo in movimenti che, a mano a mano, divenivano sempre più incalzanti: un’onda di piena che si frangeva sugli scogli, poi si ritraeva, e tornava a dilagare in gorghi furiosi. I corpi si unirono, l’urgenza che li percorreva, la disperazione che aleggiava con il suo tocco rovente. E la collera, in quell’unione che andava oltre il semplice contatto della pelle, trovò risposte in grado di chetarla. Pian piano i movimenti divennero più lenti e la danza delle dita, carezza lieve. Quando infine giacquero ansanti, la quiete era tornata ad accendere lo sguardo di entrambi. - Può essere solo desiderio, questo bisogno disperato che ho della tua presenza?chiese il fabbro in un sussurro, stringendo la fanciulla al petto, poi sollevandola e sdraiandola sul giaciglio.- Ho creduto d’impazzire.Il fuoco disegnava sul suo corpo madido ricami di tramonto. Aisia l’attirò a sé, poggiando le labbra sui suoi capelli. - Sei l’ombra di te stesso,- sussurrò la fanciulla, facendo scorrere le dita sul volto
del compagno. - Vorrei che quanto è accaduto fosse solo un sogno, uno di quei sogni che tanto mi descrivi,- disse il giovane, tornando a fissarla. La fanciulla sorrise. - Lo è,- rispose.- Nulla di quanto ha pensato la tua mente è reale e l’inganno immaginato è solo un tormento che hai voluto importi, dannoso quanto la distanza che ci ha separati. Non mi importa nulla né del ferro rubato, né delle armi che forgerai. Tranne una.- Aisia sorrise, poggiandosi su un gomito.- Priyos dice che la lama forgiata col metallo del lago continua a spezzarsi.Un’ombra ò negli occhi di Fintan. Allora la fanciulla si alzò e, avvicinatasi all’incudine prese la lama infranta e tornò al giaciglio. Poi la pose fra le mani del fabbro e ne chiuse delicatamente le dita all’intorno. - Ascolta la voce del metallo,- gli disse, poggiando i palmi sui suoi pugni. Il giovane si levò a sedere e un’espressione divertita si disegnò sul suo volto. Ma Aisia insistette, seria. - Chiudi gli occhi,- disse, poggiandogli un dito nel mezzo della fronte.- Ascolta la vibrazione delle tue mani. Senti come risale le braccia e si diffonde nel tuo corpo. È come un canto che ti pervade.Il fabbro esitò. Poi fece quanto la fanciulla chiedeva e, a mano a mano, una sensazione di calore si diffuse dai palmi serrati, attorno ai quali le dita di Aisia premevano con gentilezza. Poi, lentamente, quel calore parve espandersi, seguendo il pulsare del sangue nelle vene. Risalì il corpo in una carezza, colmandolo, come si colma un otre accostato alla fonte, e un suono di vento gli sfiorò i timpani, un fruscio simile al canto delle querce. Indugiò in quella sensazione, che, istante dopo istante, diveniva sempre più presente. Infine, all’improvviso, scemò e il druido aprì gli occhi, ritrovando quelli limpidi della compagna. - Solo così potrà nascere una spada in grado di superare le cortine del tempo,continuò Aisia.- Solo ascoltando il canto del metallo, assecondandolo, piegandosi al suo desiderio. Un’unione che legherà alla materia la tua stessa forza, imprigionando la natura dell’uomo in quella del ferro, forgiandola in
armonia con ciò che ti circonda: scaldandola alla potenza del fuoco, temprandola con la purezza dell’acqua e colmandola del tuo stesso respiro. Fintan l’ascoltava e, innanzi ai suoi occhi colmi del volto di Aisia, la scoperta disegnava uno stupore trattenuto, mentre nelle mani il ferro ancora pulsava, scaldandogli i palmi. - Solo ascoltando te stesso troverai il segreto che pervade la materia,- concluse la fanciulla alzandosi e raccogliendo la veste da terra. L’alzò, osservando la stoffa lacerata, e un’espressione divertita le colorò le gote. Poi la lascò cadere tra le fiamme e, indossato il mantello, tornò a volgersi verso il giaciglio. - Tornerò,- disse aprendo la porta e svanendo nel chiarore del giorno. Fintan rimase ad osservare a lungo l’uscio richiusosi alle sue spalle. Poi si alzò e, strette le tenaglie attorno al ferro che teneva fra le dita, l’immerse nella brace. Sotto i suoi occhi, finalmente limpidi, il metallo prese ad arroventarsi.
16. La spada che non si spezza
Immobile sulla cima del colle Bran osservava la piana che si apriva innanzi ai suoi occhi, dalla quale volute di foschia si levavano baluginando sotto i raggi candidi della luna che sorgeva ad est. Ritta al suo fianco, Elowen stringeva l’elsa della spada forgiata da Fintan, le nocche livide. La ferita alla spalla, dono degli Atrebati, pulsava come un fiore rovente. Ma la fanciulla s’era rifiutata di obbedire al comando dei guaritori e, decisa, era già pronta per gli scontri che avrebbero avuto luogo all’alba. Bran talvolta posava lo sguardo sul suo volto pallido, la preoccupazione come un’ombra sul bel viso. Ma la fanciulla pareva non avvedersene. Fremeva nella furia già montante. La strategia di accerchiamento voluta da Lugotorix aveva dato i suoi frutti ed ora gli Atrebati erano accampati oltre il tumulo che si ergeva al di là della piana. Già una parte delle mandrie razziate l’estate precedente era al sicuro nei recinti degli Ancaliti. Tuttavia i loro occhi ancora non erano riusciti a scorgere il Toro bianco di Mink, il motivo che li aveva spinti sino a quei confini. Ma la foresta che si ergeva alle spalle del nemico era un ostacolo insormontabile per le schiere di Lugotorix, che più di una volta aveva veduto il suo esercito frangersi sotto le lance scagliate dalla folta verzura. I carri erano inutili in quegli intrichi. La battaglia era in stallo e nemmeno le sfide lanciate in singolar tenzone avevano potuto mutare le sorti in favore di uno dei due popoli. Per quanto i druidi tentassero di leggere le stelle, il futuro rimaneva incerto. Inizialmente la potenza delle armi degli Ancaliti aveva disorientato il nemico e l’evidente superiorità del metallo di cui erano forgiate aveva costretto i guerrieri a ripiegare. Ma l’astuzia di Catigern, re degli Atrebati, aveva consentito di mutare strategia, sfruttando la conoscenza del territorio. Ora i guerrieri di Lugotorix, con sempre maggior frequenza, erano costretti a difendersi da attacchi sporadici, ma fulminei, che, giungendo dalla foresta, sfibravano gli animi e alzavano la tensione. Tuttavia, con un sapiente colpo di mano, Lugotorix era riuscito a costringere il nemico in quella piana. Ora i guerrieri attendevano, inquieti, che il sole mostrasse il suo volto. - Preferirei che domani non guidassi i cavalieri,- prese a dire Bran in un sussurro. - Tu lasceresti il comando dei carri a causa di un graffio?- chiese Elowen con
voce severa. - Quello che tu chiami graffio intralcia il movimento della spada. Ti ho veduta combattere e già il mio cuore ha tremato. Devo forse ricordarti che senza il mio intervento adesso i tuoi occhi non attenderebbero il bagliore dell’alba? Che il mio re avrebbe perduto la sua regina?Elowen si volse a guardarlo. - La mia gratitudine ha più di un motivo per mostrarsi,- disse in un sussurro, poggiando una mano sul braccio del cugino. Bran si volse e i due si fronteggiarono in un confronto muto. I loro corpi vibravano nella tensione del momento. Poi il giovane allungò una mano, a scostarle una ciocca sfuggita alla treccia, e quel tocco disegnò scie ardenti sulle gote della fanciulla. - Credi che non sappia della tua decisione di sfidare Gawain, il campione di Catigern?- chiese Elowen.- Pensi di poter risolvere le sorti della battaglia facendoti carico da solo dell’onere di un intero esercito?- Questo accadrà se gli scontri di domani non avranno l’esito sperato. Se i nostri guerrieri non riusciranno finalmente a disperdere le schiere degli Atrebati, ne parlerò con Lugotorix. Non c’è altra via, e tu lo sai.Gli occhi di Elowen dardeggiarono, mentre una smorfia, provocata dal dolore alla spalla, le serrava le labbra. Sul volto di Bran ò un’ombra, mentre le dita indugiavano sulla lunga treccia, sciogliendone i nodi. - Stanotte i miei occhi ti vedono come da tempo non hanno potuto,- sussurrò in un bisbiglio, rubato dalla brezza.- Temo per la tua vita.A quelle parole la fanciulla fremette. Poggiò la mano sul petto dell’uomo che la strinse, portandola alle labbra. - Desisti,- sussurrò Bran, in una supplica.- Fa che la mia preoccupazione sia rivolta unicamente verso il nemico. Non obbligare il mio sguardo a cercarti nel mezzo della battaglia, temendo di non giungere in tempo.Elowen si protese, poggiando le labbra sulle labbra e l’uomo la strinse, il
desiderio che dilagava chiamando la vita. Quando la fanciulla si abbandonò fra le sue braccia, Bran seppe che le sue parole erano state ascoltate. Allora si scostò e, presala per mano, la condusse lungo il declivio, diretto alla tenda di Lugotorix.
Il clangore della battaglia era un richiamo preciso per le orecchie di Fintan, che, seguito da Niab, avanzava cauto nella foresta, conducendo i cavalli con o sicuro. I carnyx soffiavano la loro furia e talvolta, nel loro boato, grida emergevano attutite, portate dal vento. Le nubi nel cielo annunciavano tempesta. I due viaggiavano leggeri, seguendo il limitare delle querce che segnavano i confini della lotta. Non erano riusciti a trovare l’accampamento di Lugotorix ed ora si dirigevano verso il campo che accoglieva gli scontri. Fintan recava con sé la spada finalmente ultimata e spesso il suo sguardo raggiungeva l’involto celato con cura sul dorso del destriero, fra i bagagli. Il cuore gonfio, il giovane bramava, e al tempo stesso temeva, l’istante nel quale l’avrebbe consegnata a Bran. Riconosceva quel dolore. L’aveva provato sin dall’istante in cui le sue dita avevano sollevato quella lama perfetta, lucente come la luna riflessa sulle acque del lago nella foresta, attraversata in tutta la sua lunghezza da onde sottili che indicavano le pieghe ribattute del metallo: un disegno che rivelava tutta la forza e la potenza che mano d’uomo era in grado di imprigionare. Con cura aveva decorato la lama vicino all’elsa, intersecando larghe spirali a quelle onde brunite, e solo i suoi occhi sapienti erano in grado di distinguere gli intrecci che, evocando il nodo cosmico, erano promessa di infinito. E ancora quel dolore s’era ripresentato quando la mano s’era chiusa sull’impugnatura, adattandosi perfettamente alle pieghe del palmo, rivelando il pomo impreziosito da coralli con mano tanto paziente da farli apparire come un’unica gemma. Quando l’aveva brandita oltre il capo a saggiarne la leggerezza, la sua mente aveva compreso che quel dolore segnava la conclusione della sua ricerca. Allora il cuore aveva tremato e, non pronto ad accettarne la fine, per quanto desiderata in anni d’affanno, s’era rivolto al fodero, custode prezioso per una lama destinata a superare le cortine del tempo. E, quando anche quell’impegno aveva avuto termine, il vuoto era giunto a colmarlo, contendendo al dolore il posto che gli spettava di diritto. Seduto nella sua fucina, la spada stretta tra le mani, gli occhi ricolmi del suo bagliore, Fintan s’era sentito improvvisamente inaridito. Solo la presenza di Niab gli aveva dato la forza per risollevarsi e, senza
por tempo in mezzo, incamminarsi alla volta della battaglia, alla ricerca dell’unico guerriero che avrebbe saputo brandire con onore quell’arma pronta ad entrare nella leggenda. Ed ora avanzava, l’orecchio teso, il piede accorto, quel dolore sordo che pulsava nel cuore, mentre Niab, ignaro del ruolo avuto in quel presente di ricerca, talvolta imprecava, inciampando in radici insidiose. E Fintan sorrideva al suono della sua voce. - Sarà meglio non avvicinarci troppo,- suggerì il ragazzo con cautela, strappando occhiate divertite al Maestro. - Non ho certo intenzione di ripetere esperienze già molto istruttive,- scherzò Fintan.- Sarà sufficiente seguire la pista che ha condotto qui l’esercito e troveremo l’accampamento di Lugotorix. Penso si celi oltre la collina ad ovest.I due accelerarono il o, mentre in lontananza il furore della battaglia scemava, finché, costeggiato il crinale, le prime sentinelle bloccarono loro il o. Poi, riconoscendoli, indicarono il luogo dell’accampamento. I guerrieri già stavano rientrando, mentre i guaritori riunivano i feriti. Sui volti di tutti la stanchezza aveva preso il posto del furore. Il bagliore del tramonto imminente disegnava scie infuocate. Fintan si aggirò fra le tende, diretto al centro della radura ove, leggermente isolato, sorgeva il ricovero di Lugotorix, affiancato alla sua destra da quello di Bran e a sinistra da quello di Amorgen. I due si fermarono nello spiazzo deserto, mentre servitori uscivano incuriositi. Infine si diressero alla tenda del guerriero, ove vennero fatti entrare e vennero portati loro bacili d’acqua per rinfrescarsi. Dopo che si furono liberati dalla polvere del viaggio, i due sedettero, disponendosi all’attesa. Il nervosismo che percorreva l’accampamento ammorbava l’aria e i nuovi venuti, oppressi da quella sensazione, tacevano, il volto cupo. Quando Bran fece il suo ingresso, il bagliore che sempre lo accompagnava fugò la sensazione di sciagura imminente e Fintan si levò a stringergli i polsi, il sorriso che tornava ad illuminargli lo sguardo. Niab si scostò, sedendosi in disparte. - La visione del tuo volto è di buon auspicio per il mio cuore contratto,- disse Bran liberandosi delle armi e iniziando a spogliarsi.
Sangue rappreso gli tingeva i capelli e, per un istante, Fintan temette che fosse il suo. Poi, a mano a mano che l’acqua s’arrossava, il druido constatò che il compagno era illeso e nemmeno un graffio si scorgeva sulla sua pelle candida. Il sollievo gli riempì il cuore. Così sedette al centro della tenda, rasserenato. Quando Bran si fu rivestito ed ebbe preso posto al suo fianco, il druido notò la stanchezza cerchiargli gli occhi e rughe attraversargli la fonte. - Cosa vi conduce a questi luoghi?- domandò l’uomo, lo sfinimento che traspariva dalla voce. Un servo entrò con birra, zuppa d’orzo e focacce. Poi uscì a o svelto.- Volevate vedere coi vostri occhi se le notizie che giungono a Bibrax sono veritiere?- Le risa percorsero l’aria. Poi Bran si fece nuovamente serio e, senza attendere risposta, continuò.- La battaglia è in stallo. Le forze si fronteggiano oramai da giorni senza risultato. Gli uomini attendono un segno degli Dei. Temo che presto dovremo ritirarci.- Dunque è una disfatta?- chiese Fintan, stupito. - Le notizie giunte in città non dicevano che la situazione fosse così grave.- Le mandrie sono state recuperate,- spiegò ancora il guerriero.- Quindi non siamo ancora di fronte ad una sconfitta. Ma Lugotorix sperava in una punizione esemplare, che scoraggiasse i nemici ad invadere le nostre terre in futuro. Tuttavia la foresta è un avversario più potente di quanto si dimostri l’esercito degli Atrebati.Bran tacque, il volto assorto in pensieri lontani, gli occhi fissi a terra. In quell’istante Elown fece il suo ingresso e si fermò interdetta a guardare il nuovi venuti. Poi le labbra si schio in un sorriso e si avvicinò a stringere i polsi del fabbro. Fintan notò che portava un braccio legato al collo, e il dolore che talvolta scendeva ad offuscarle lo sguardo era la prova di una ferita recente. - Siamo al punto d’avere necessità di tutti i druidi disponibili?- scherzò la fanciulla, spostando lo sguardo su Bran che ancora sedeva assorto. Un’ombra ò sul volto della donna e Fintan comprese che qualcosa si stava preparando. - Lugotorix ha deciso di togliere il campo?- indagò, spostando lo sguardo dall’uno all’altra. Elowen colmò un boccale e prese posto accanto a Niab.
- Bran ha deciso di sfidare il campione degli Atrebati. Lugotorix e Amorgen in questo istante sono al campo di Catigern a contrattare i termini dello scontro,spiegò, la preoccupazione che le arrochiva la voce. Sentendo pronunciare il suo nome, l’uomo levò il capo. Poi sorbì un lungo sorso di birra, mentre Fintan lo osservava attento. - Sei preoccupato,- disse in una domanda ch’era anche conferma. Fu Elowen a rispondere. - Il nome di Gawain figlio di Lyr è noto in tutte le terre di Albion e non esiste bardo che non canti le sue gesta. I miei occhi l’hanno veduto in battaglia e confermo che i racconti rispondono a verità,- si fermò un istante, un pensiero improvviso che le attraversava la mente.- In effetti non comprendo perché Catigern, suo sovrano, non abbia chiesto prima un confronto fra campioni.- Forse teme che la leggenda di Gawain possa venir offuscata,- disse Fintan, attirando lo sguardo del guerriero. - Possano gli Dei darti ascolto,- disse l’uomo, andosi le dita fra i capelli con gesto stanco.- La vergogna mai ha toccato la mia fronte. Tuttavia stanotte il mio cuore esita.- Invece il mio cuore dice che domani il sole assisterà alla tua vittoria,- proclamò Fintan con voce ferma, sorridendo al compagno e allungando le mani a stringergli i polsi.- Il valore che sempre ti accompagna parlerà più di qualsiasi spada e il mio sguardo seguirà ogni mossa che compirai, con la certezza che quelle gesta verranno ricordate.Bran si levò e, aumentata la stretta, sorrise, riportando la luce sul suo volto. - E comunque, per essere certi che quanto dico non è menzogna,- aggiunse Fintan con sguardo sornione,- ho recato un dono che potrebbe esserti utile.A quelle parole, Niab gli porse l’involto, dal quale occhieggiava il metallo scintillante. Nello scorgere il fodero riccamente decorato e l’impugnatura tempestata di coralli, gli occhi dei guerrieri si fecero attenti. Poi Fintan allungò le mani, le palme rivolte verso l’alto in un’offerta, e Bran lo strinse, sfoderando la spada, che rifulse nella penombra. Il metallo vibrò a quel movimento e un
suono lieve, come un canto che si leva dalla terra, percorse l’aria. Il giovane fece scorrere le dita sulla lama, seguendo le linee brunite dell’acciaio, e quella carezza languida indugiò a lungo, quasi percorresse la pelle vellutata dell’amante. Gli occhi di Elowen seguivano ogni sua mossa e, a quella vista, il suo cuore si strinse. Infine Bran serrò le dita sull’impugnatura, la mano ferma, e, dopo aver brandito l’arma tre volte, i suoi occhi si accesero. - La tua arte non ha eguali,- sussurrò Elowen ammirata, avvicinandosi ad osservare l’opera del fabbro. - Con quest’arma e il tuo valore, Gawain non potrà far altro che piegare il ginocchio,- assicurò Fintan in una risata complice. Poi tornò a frugare nella bisaccia ed estrasse le cinghie per legarla ai fianchi. - Ricordi?- chiese, la voce ancora scherzosa. - “Spesso le sospensioni dei foderi sono sottovalutate”,- gli fece eco Bran, ricordando il loro primo incontro. Allora Fintan, fatti are i lacci attorno ai fianchi del compagno, legò il fodero e ne saggiò la stabilità. Poi fece un o indietro, ad osservarlo, e i suoi occhi scoprirono, soddisfatti, che il suo lavoro si adattava alla perfezione alle sue misure. Bran rinfoderò l’arma, quindi si avvicinò al compagno, poggiandogli le mani sulle spalle. Gli occhi affondarono in quelli verdi di Fintan in un ringraziamento silenzioso. - Mai dono è stato più gradito. Nulla potrò per ricambiarlo,- disse, la voce roca. - La vittoria di domani sarà più che sufficiente,- assicurò Fintan. E a quelle parole il dolore che stringeva il cuore del fabbro, per un istante, parve sopirsi, mentre lo sguardo si perdeva in quello limpido del compagno, la forza delle mani sulle spalle come una promessa per un futuro ancora da definirsi.
17. Nascita di una leggenda
Quella notte la tempesta si scatenò. La pioggia cadde a rovesci e il vento spazzò con furia l’accampamento. La terra bevve avidamente quel dono inatteso, mutando la polvere in fanghiglia. Quando il sole mostrò il suo volto da oltre la collina, i guerrieri giacevano ancora addormentati, sfiniti dalla notte insonne e travagliata. Fintan uscì dalla tenda e levò le mani nel gesto rituale, a salutare il nuovo giorno. L’aria era frizzante e la brezza gli scompigliò i capelli. Sentiva la testa leggera e il cuore carico di aspettativa, mentre una vaga eccitazione gli percorreva le membra. Quando Amorgen lo affiancò, le loro voci si unirono nel canto. - I segni sembrano propizi,- annunciò il saggio, quando il sole si fu levato.Chissà se possono dire lo stesso i druidi degli Atrebati.Fintan si volse a guardarlo. Il suo volto era segnato da rughe fitte e gli occhi, profondamente incassati nelle guance smagrite, erano la riprova della fatica protratta in quei mesi di tensione. L’immagine di potenza che sempre l’accompagnava s’era involata, lasciando unicamente un vecchio curvo sotto il peso degli anni e della fatica. - Questo giorno segnerà la fine degli scontri,- dichiarò Fintan.- Sono certo che gli Dei guardano con occhi benevoli. Probabilmente è giunto anche per loro il tempo di far ritorno alle loro dimore.Amorgen lo fissò e nel suo sguardo ò un’ombra di incertezza. Poi le sue labbra si schio e il sorriso riportò sui lineamenti l’abituale aria di superiorità. - Oinos ha sempre saputo scegliere con saggezza gli uomini che teneva al suo fianco,- dichiarò, poggiando una mano sulla spalla del giovane.- Quando pensi di tornare alle tue terre?Fintan rimase immobile, esitando sulla risposta. - Sei certo che il compito per il quale mi hai chiamato sia concluso?- chiese con
voce pacata, ricambiano lo sguardo del saggio. La risata di Amorgen si librò nell’aria. - Quello che oggi accadrà sarà la migliore delle risposte,- sentenziò il vecchio druido. Poi, ripercorrendo i suoi i, scomparve all’interno della tenda, lasciando il giovane sotto il sole che già intiepidiva. Fintan allora lo imitò e quando fu rientrato nel ricovero di Bran, trovò il guerriero intento a sciacquarsi il volto. Niab ancora dormiva e il suono lieve del suo respiro accompagnava il canto dell’acqua nel bacile. Bran si volse, ergendosi innanzi a Fintan che, inumidito un panno candido, prese a percorrere il corpo del compagno per le abluzioni del mattino. Il rito di preparazione aveva avuto inizio e il guerriero rimase immobile, consapevole dell’istante. Il druido gli intrecciò i capelli, in un’acconciatura complicata che si levava sul capo in punte irsute. Poi lo rivestì degli abiti più preziosi, scegliendo i colori del cielo e della terra. La seta azzurra della tunica, lunga sin sopra al ginocchio, frusciò sulla casacca di lino candido, ricadendo sulle brache di pelle di cervo che esaltavano le lunghe gambe possenti. Infilò i calzari. Con mano ferma cinse le cinghie attorno ai fianchi, legando il fodero con una catena più corta, mentre l’elsa della spada spandeva bagliori. Infine fissò il mantello, blu come la notte, con la fibula d’argento che l’aveva accompagnato sin dalle terre di Oinos, ripiegandone i lembi oltre le spalle. Fece un o indietro, lo osservò, e il cuore si gonfiò, una sensazione di presagio che incombeva sul loro capo, mentre il suo sguardo si fissava in quello limpido di Bran. Ombre danzavano inquiete negli occhi del guerriero. Quando gli porse lo scudo e la corta lancia a due punte, il druido seppe che per quel giorno ancora nulla era stato deciso. Un brivido gli percorse la pelle. - Il dio Lug cammina al tuo fianco,- pronunciò nella formula di rito, girando attorno al guerriero come da tradizione.- I suoi occhi scrutano il tuo volto, la sua mano guida la tua lancia, lo scudo è potenza che frangerà l’impeto della lotta, la spada baluardo di vittoria.- Gli strinse i polsi e il sorriso gli illuminò lo sguardo, subito restituito da quello del guerriero.- Possa il tuo valore ergersi possente a liberazione del nostro popolo.A quelle parole Fintan tacque, stupito, comprendendo che, in quel momento, la
gente per la quale Bran sarebbe sceso in lizza era divenuta la sua gente. Intuendolo, il guerriero sorrise. - Questo sarà il primo di tanti giorni di vittoria che ti vedranno ritto al mio fianco,- dichiarò, il volto che s’imporporava e il corpo già vibrante nella furia della prossima contesa. Un senso di fatalità scese a colmare il cuore di Fintan. In quell’istante Niab si svegliò e, scorgendo il guerriero già rivestito delle armi, balzò in piedi. Lo guardò sbalordito, quasi lo vedesse per la prima volta, quindi iniziò a prepararsi in tutta fretta. I due uscirono nel sole e i suoi raggi si infransero sullo scudo di Bran, spandendo bagliori. Gli uomini si volsero e si scostarono, a lasciare il o alle due figure che avanzavano verso la collina. Lugotorix si ergeva sulla cima, affiancato dalla candida figura di Amorgen, mentre nella radura allestita per la lizza, i guerrieri si radunavano fra schiamazzi e provocazioni. Sul colle opposto Catigern e Glewas, capo druido degli Atrebati, attendevano, pallide figure stagliate contro il cielo limpido. Ai loro piedi la piana riverberava come smeraldo. Furono portati i seggi e i due sovrani sedettero ai bordi del campo. I loro occhi si incrociarono al centro della piana. Quando Fintan ebbe raggiunto la cima del colle, i suoi occhi spaziarono sulla folla riunita. Poi si posarono su Bran, stringendone i polsi con mano ferma. - Possa il tuo cuore condurre il braccio con sapienza,- sussurrò in una benedizione. Affiancati, presero a scendere il declivio, mentre il silenzio calava ad accoglierli e, dal tumulo opposto, Gawain compariva, la lancia stretta in pugno accesa da mille riverberi. Fintan tolse il mantello al guerriero. Quindi si fermò accanto ad Amorgen, mentre Bran chinava il capo innanzi al sovrano, per poi avanzare fronteggiando l’avversario. La furia già gli accendeva il volto e le nocche livide fremevano nella tensione dell’istante. Le labbra di Gawain erano contratte e i suoi occhi scaltri studiavano i punti deboli dell’avversario. Una volta entrati nello spazio destinato al combattimento si fermarono e portarono alla fronte il pugno che stringeva l’asta di legno, nel saluto di rito, la punta dell’arma rivolta al cielo. Infine mossero alcuni i, avvicinandosi guardinghi. I due cominciarono a ruotare al centro della piana, soppesandosi. Poi la mano di
Gawain scagliò la lancia, fulminea, che, colpita la spalla dell’avversario e deviata nella sua corsa, si infisse a terra ai piedi di Lugotorix. Il rosso del sangue di Bran colorò la tunica sulla spalla sinistra, giungendo sino al petto e lungo la schiena, mentre un boato saliva dalla folla. Il campione degli Ancaliti ricambiò la gentilezza scagliando la lancia a sua volta, senza tuttavia cogliere di sorpresa il campione degli Atrebati, che si scostò agevolmente. La lancia s’infisse a terra ai bordi del campo. Le labbra di Fintan si serrarono nel notare la ferita del compagno e il sangue che ne fluiva copioso. Ma Bran pareva non risentirne e continuava a muoversi cauto, senza perdere di vista l’avversario, lo scudo stretto in pugno, sostenuto dal braccio sinistro che si levava senza intralci. I contendenti estrassero le spade e, avvicinatisi, presero a fronteggiarsi nuovamente, in quella danza lenta ch’era preludio di furia montante. Tentarono alcuni colpi, per studiare le reazioni reciproche, ma ogni fendente trovava la via sbarrata dalla lama dell’avversario. La ferocia si disegnò sui loro volti. Bran provò un affondo, diretto alla coscia di Gawain, ma il guerriero degli Atrebati calò lo scudo di taglio, allontanando l’arma con gesto secco, bloccandola contro la terra, e levando la sua oltre il capo. A quel punto Bran si lanciò in avanti, scudo contro scudo, mentre Gawain ne sosteneva l’urto e calava il pomo con forza, diretto al capo del nemico. Con una possente spinta, il campione degli Ancaliti allontanò il contendente, che, fatto un balzo all’indietro, tornò a riprendere posizione. Si guardarono ancora una volta, il sudore che scendeva a rivoli sulla fronte di entrambi. Ma fu solo un istante, poiché Gawain tornò all’attacco, calando una gragnola di colpi contro lo scudo di Bran, che arretò. L’aria si colmò di clangori, mentre all’intorno la gente tratteneva il respiro, gli occhi fissi sulla contesa. Ad un tratto l’arma di Gawain calò in un nuovo fendente, trovando ancora una volta lo scudo pronto di Bran, che vibrò sotto la forza del colpo. Ma, a quel punto, il braccio di quest’ultimo scattò veloce, dal basso verso l’alto, approfittando di un varco lasciato dal campione degli Atrebati e la lama scivolò sulla pelle tenera del fianco dell’avversario, tracciando una scia di sangue. Gawain si scostò, un vago stupore nello sguardo, poi sorrise lanciandosi con tutta la sua potenza. I colpi si moltiplicarono, confondendosi nella velocità dei movimenti, mentre il clangore riempiva il silenzio sospeso. Il sangue colorò la terra e la stanchezza si disegnò sui volti dei guerrieri in lizza, offuscandone la furia. Ad un tratto Bran piegò un ginocchio e Gawain si levò su di lui, scudo contro
scudo. Ma prima che la gamba toccasse terra, la spada di Bran si librò nell’aria e, in un ampio cerchio, s’abbatté su quella dell’avversario, tagliandola di netto due palmi sopra l’elsa. Un brusio di stupore si levò all’intorno, mentre Gawain faceva un o indietro, gli occhi increduli che fissavano il ferro spezzato. Ma fu solo un istante poiché la lama forgiata da Fintan, e condotta dal braccio sapiente del campione di Lugotorix, disegnando un ampio arco dalla parte opposta calò di schianto sul collo dell’avversario, spiccandone la testa con un taglio netto. Un fiotto vermiglio inondò il volto di Bran, mentre il corpo di Gawain stramazzava e il capo rotolava a terra, gli occhi ancora increduli, sbarrati su quel presente che all’improvviso aveva riassunto tutto il suo inesistente futuro. Ci fu un istante di silenzio sospeso. Poi la frenesia percorse gli astanti e un boato si levò, tonante, sino agli intrichi lontani della foresta. Oltre la piana, Catigern si levò dal seggio, volse le spalle, e s’incamminò alla volta della collina. Quel giorno stesso il toro, oggetto di contesa, sarebbe stato condotto all’accampamento di Lugotorix e il tributo promesso consegnato su numerosi carri. Amorgen sorrise. Poi il suo sguardo si posò su Fintan. - Adesso il tuo compito è concluso,- sentenziò, il trionfo che colmava la voce. Ma il giovane non l’ascoltava. Osservava Bran immobile al centro della piana, un ginocchio affondato nella terra umida, la mano, ancora stretta sull’impugnatura della spada, che premeva sulla spalla offesa. Il capo chino, il giovane si sosteneva allo scudo, infisso nel terreno di taglio, e dal gomito sinistro il sangue gocciolava rubandogli la vita e formando una pozza vermiglia, che riluceva sotto il sole impietoso. A o svelto il druido s’incamminò alla volta del compagno, l’urgenza che traspariva dallo sguardo, ben comprendendo quanto il guerriero fosse al limite delle forze. Quando gli fu accanto, gli occhi blu di Bran affondarono in quelli verdi di Fintan. - È stata una grande sfida,- dichiarò il guerriero in un soffio, prima di scivolare nel buio dell’incoscienza.
Seduta ai piedi del giaciglio di Bran, Elowen tormentava la veste con dita inquiete, il volto pallido, nel quale gli occhi splendevano, lucidi di lacrime trattenute. Fintan stava ricucendo con mano esperta la ferita alla spalla, ma il
flusso di sangue ancora non s’era arrestato e Niab era costretto a sostituire con frequenza i tamponi che presto s’inzuppavano. Gli occhi del guerriero erano fissi sul volto del druido intento, le labbra serrate, i denti digrignati dalla sofferenza. - Hai veduto?- chiese con voce rotta, rivolto a Fintan, il respiro ansante che si faceva sempre più debole.- La tua spada sa tagliare l’acciaio.Gli occhi del druido affondarono per un istante in quelli del compagno. Poi tornarono svelti al lavoro delle dita pazienti. Bran si tese sul giaciglio, la sofferenza che percorreva il suo corpo ad ondate. Elowen si alzò e, con l’unica mano libera, prese a detergere il viso pallido del ferito. - Adesso finalmente potremo tornare a Bibrax,- continuò Bran, in un sussurro. La sua mano si levò, con forza inaspettata, a stringere il polso del druido. Ma Fintan si divincolò con dolcezza. - È necessario che tu stia fermo,- lo invitò, tornando al suo impegno. “Se solo Priyos fosse qui”. Quel pensiero gli attraversò la mente, mentre il cuore si stringeva. Quando ebbe finito, il flusso di sangue finalmente cessò. Niab uscì a cambiare l’acqua del bacile. Poi, al suo rientro, aiutò il Maestro con le bende, mentre Elowen tergeva il corpo del ferito con cautela, ripulendolo del sangue che già iniziava a rapprendersi. Infine l’apprendista preparò il decotto, seguendo le istruzioni che gli venivano impartite. Quando Fintan portò la ciotola alle labbra del compagno, Elowen lo sostenne in uno sforzo evidente. Poi, il volto imperlato di sudore, Bran tornò a giacere immobile, il fiato corto, gli occhi serrati. Infine, lentamente, il sonno scese a portare la quiete. Il druido allora si rivolse alla fanciulla. - Presto Lugotorix leverà le tende e saremo costretti a trasportalo. Non possiamo restare nelle terre degli Atrebati,- spiegò con preoccupazione. Come evocato dalle parole di Fintan, Lugotorix fece il suo ingresso, il volto cupo, le labbra serrate. Si avvicinò al ferito, ma come fece per chinarsi, il druido lo bloccò con decisione. - La lancia ha intaccato i muscoli e l’osso della spalla. Ma il problema più grave è che ha perso troppo sangue. Non è certo che supererà la notte,- annunciò evitando inutili perifrasi.- Avete già deciso quando spostare il campo?-
- Gli uomini stanno preparando i bagagli,- disse l’uomo, senza staccare gli occhi dal giaciglio. Poi portò lo sguardo su Fintan.- Faccio venire Amorgen,annunciò. Ma la mano del druido calò decisa sul suo braccio, a trattenerlo. - Sei certo che questa sia una soluzione?- chiese, provocandolo e facendo comprendere al sovrano quanto conoscesse degli intrighi del saggio. A quelle parole Lugotorix esitò, scrutando attento il volto del druido che ne sostenne lo sguardo. Infine chinò il capo. - Cosa suggerisci?- domandò. All’esterno la confusione montava e il vociare degli uomini riempì la tenda. - Mi servono due giorni. Dopo potrò caricare Bran su un carro. Saremo obbligati a fermarci di frequente, lungo il cammino che ci ricondurrà alle vostre terre, e avrò bisogno dei tuoi uomini più fidati a proteggerlo. Al primo villaggio che potrà accoglierci, ci fermeremo. Bran non è in grado di sopportare la fatica del viaggio di ritorno.Il sovrano annuì. Poi, lanciata un’ultima occhiata al ferito, uscì per disporre quanto richiesto. Fintan sospirò, liberando il fiato che aveva trattenuto sino a quell’istante. Un’ombra di sollievo gli attraversò la fronte. - Ora l’unica cosa che possiamo fare è attendere,- dichiarò infine, mentre le lacrime sgorgavano senza più pudore dagli occhi disperati di Elowen.
Seduta al tavolo di Anara, Aisia sbocconcellava una focaccia con avidità, la mente assorta in un pensiero lontano. La madre la studiava con attenzione, non vista. - Quando tornerai ad affrontare la questione con Lorcan?- le chiese ad un tratto. - Lorcan si è dato alla macchia, lo sai.-
- I messaggeri annunciano il ritorno dell’esercito e dei lingotti non c’è ancora traccia,- insistette Anara, riprendendo la conversazione interrotta soltanto il giorno prima.- Per quanto io veda il tuo impegno, lo sforzo non porta frutto. Forse è necessario un mio intervento deciso.Aisia la guardò scuotendo il capo. - È del tutto inutile, ma questo già lo sai. La verità è che sono oramai certa che il ferro sia stato venduto.La giovane si mosse, poggiando quel che rimaneva della focaccia sul tavolo ingombro, la nausea che saliva a serrarle la gola. Si alzò ed uscì. Ancora una volta lo sguardo di Anara non l’abbandonò un istante. - Da quanto tempo non lo vedi?- chiese poi, quando la ragazza fu rientrata. Aisia capì perfettamente a chi si stava riferendo. Era trascorsa più di una luna da quando Fintan era partito. - Dalla celebrazione per il solstizio,- rispose guardandola interrogativa. - Forse un suo intervento presso Lugotorix potrebbe essere utile,- riflettè ad alta voce Anara, riportando lo sguardo sulle fiamme. Poi una nuova preoccupazione le attraversò la mente. - Tu sai che Lorcan si sta organizzando,- disse.- Sta radunando gli uomini dai villaggi al confine?Aisia sospirò, la stanchezza che le disegnava una piega in mezzo alla fronte. - Non conosco le sue mosse, ma i piani erano quelli,- concluse, fissando la madre. Il malessere le rubava il colore dal volto e una nuova ondata di nausa la percorse. Un fiotto acre le riempì la bocca e fu costretta nuovamente a lasciare la capanna. Anara attese con pazienza e, al suo rientro, le porse una ciotola d’acqua. - Lui lo sa?- domandò.
Aisia levò il capo, guardandola con i suoi occhi cristallini, nei quali ombre si muovevano inquiete. Poggiò una mano sul ventre con gesto protettivo e si scostò. - Lui non deve saperlo,- dichiarò con voce decisa, fronteggiando la madre. - E per quanto tempo pensi di poterglielo nascondere?- Tutto il tempo necessario.A quelle parole, Anara sedette, invitando Aisia al suo fianco. Ma la fanciulla non si mosse, il mento levato in una sfida. - Non sarebbe più semplice dire la verità?- domandò ancora, lasciando ricadere la mano in grembo. - E a cosa servirebbe? Tutti sanno che una serva non può sedere al fianco di un druido.- Questo forse a Bibrax,- suggerì la madre, in un sorriso malizioso.- Quando Fintan tornerà alle sue terre potrebbe condurti con sé.A quella prospettiva Aisia inorridì. - E abbandonare il nostro insegnamento?- chiese.- Tu sai cosa accadrebbe! In breve tempo scorderei le tradizioni e diverrei…- fece una pausa, osservando incerta il volto di Anara. Poi aggiunse in un soffio: - Diverrei come Niab.- E questo cosa significa?- chiese la donna, facendosi improvvisamente attenta. - Significa che inizierei a dibattermi, confusa fra due tradizioni che tentano di prendere il sopravvento, senza più alcuna appartenenza, tormentata in una continua ricerca, pur sapendo di possedere già tutte le risposte. Ma, a differenza di Niab, che più apprende la dottrina dei druidi, più sa coniugarla con il nostro insegnamento grazie alla tua guida, io non avrei le tue parole ad accompagnarmi. Come potrei, lontano da qui, non perdermi in breve tempo? Solo le persone veramente tenaci sono in grado di portare avanti la loro ricerca di verità in solitudine. E io non lo sono.- Priyos l’ha fatto,- disse la madre, piegando leggermente il capo e studiando la
figlia. - Priyos, quando ha incontrato la tua voce, s’è fermato in questi luoghi,- fece notare la fanciulla.- E poi voglio che il figlio che porto in grembo conosca la differenza fra sogno e realtà,- concluse.- Vedi quindi che non c’è altra via.Anara annuì, comprendendo che qualsiasi suo intervento era inutile. Allora tornò ad affrontare l’argomento tralasciato. - Se vuoi che il figlio che porti in grembo conosca la purezza del nostro insegnamento, sarà necessario fermare Lorcan.A quelle parole Aisia esitò, incerta, un pensiero improvviso che le attraversava la mente. - Hai mai preso in considerazione la possibilità di un successo?Anara si toccò la fronte in un gesto spazientito. - I miei occhi non hanno mai veduto il futuro che tu descrivi.- Il fatto che tu non l’abbia veduto non significa che non sia possibile.La donna sollevò lo sguardo e la tristezza colmò i suoi occhi. - La lotta non è mai una soluzione. La nostra gente è sopravvissuta grazie alla mediazione. Il nostro futuro verrà scritto dalle persone come Niab.A quelle parole Aisia tacque, riflettendo. - Domani cercherò Lorcan,- concluse con voce spenta.- Forse non è ancora troppo tardi.Fu in quell’istante che Anara comprese che le parole della figlia celavano molto più di quanto le labbra non avessero sinora rivelato.
18. La rivolta delle fattorie
La notizia degli incendi giunse alle orecchie di Fintan nel giorno in cui Bran si levò per la prima volta dal giaciglio. Il villaggio presso il quale erano alloggiati era in fermento e sulle labbra degli abitanti gli eventi si confondevano in mille rivoli di incertezza. C’era chi sosteneva che gli Dei avessero voluto punire gli Ancaliti per un qualche disonore nelle ultime battaglie. Altri parlavano di forze che si muovevano nell’oscurità recando sciagure. La versione più plausibile, alle orecchie del druido, era quella che parlava di una rivolta scoppiata nei villaggi dell’ovest, vicino ai confini coi Durotrigi. L’unica notizia sicura era che i magazzini fossero stati dati alle fiamme. E tutti nella medesima notte. - Sono ben organizzati,- dichiarò Fintan, discutendo della faccenda con il compagno.- Se così non fosse, non avrebbero potuto agire contemporaneamente in tutti i villaggi.Seduto in disparte, Niab ascoltava attento, e il suo volto rivelava una preoccupazione che, a mano a mano, mutava in tormento. - Le voci del vento parlano anche di incendi nel nord?- s’informò Bran, il tono velato dalla sofferenza. Teneva una mano premuta sulla spalla offesa e il volto rivelava i segni della malattia. L’ingente perdita di sangue l’aveva quasi ucciso e la febbre consumato. Molte erano state le notti nelle quali Fintan aveva temuto per la sua vita. Ora il guerriero iniziava a riprendersi, ma il suo corpo ancora rifiutava il cibo. Il druido gli ò una mano sul volto, a verificarne le condizioni. Quindi lo obbligò a bere il decotto che aveva preparato. Bran lo accettò con una smorfia. - Le tue erbe potranno ciò che gli Atrebati non sono riusciti a compiere,dichiarò il guerriero, tornando a stendersi sul giaciglio. Quello sforzo gli imperlò la fronte di sudore. - Nel nord e anche nell’ovest,- dichiarò Fintan, rispondendo alla domanda rimasta in sospeso.- Inoltre dicono che gli eserciti dei Durotrigi e dei Dobunni si stanno radunando ai confini. Ma questa notizia potrebbe essere solo il frutto del
timore che percorre la comunità. Dopo la vittoria sugli Atrebati, non vedo come i nostri vicini possano farsi avanti.Detto questo, Fintan tacque, riflettendo. Sapeva che il racconto della sfida fra Gawain e Bran era corso veloce sulle ali del vento, spazzando tutti i villaggi dei dintorni, e il nome attribuito alla spada in grado di tagliare l’acciaio già veniva pronunciato da molti con deferenza. Certamente la prodezza compiuta avrebbe dovuto scoraggiare qualsiasi avversario. Non riusciva, quindi, a comprendere come fosse possibile che si stessero radunando gli eserciti. - Con i granai dati alle fiamme e le scorte distrutte, che vantaggio avrebbero nell’invaderci? Cos’altro potrebbero saccheggiare?- domandò Bran, a conferma dei pensieri del druido. Fintan si chinò a controllare la fasciatura e il guerriero digrignò i denti in un’imprecazione. - Con Lugotorix lontano, Bibrax è una facile preda,- continuò il druido, riflettendo ad alta voce.- Inoltre le perdite sono state ingenti e l’esercito è debole. Se sono decisi ad impossessarsi della terra, quale momento migliore di questo per attaccare?- Tu credi che gli incendi siano opera loro?- chiese Bran, con voce sempre più flebile. La stanchezza lo stava sopraffacendo e, a breve, il sonno sarebbe giunto ad allontanare la sofferenza. Fintan esitò. Da quel villaggio perduto nella foresta, vicino al confine con gli Atrebati, era impossibile avere notizie sicure. Probabilmente la situazione era meno preoccupante di quanto la gente temesse. Ma questo avrebbe dovuto verificarlo di persona al più presto. Si avvicinò al compagno e lo osservò con attenzione, valutando la possibilità di caricarlo su un carro e fare ritorno a Bibrax. Ma il suo volto cereo fu una risposta eloquente. Così il druido tornò a sedere al fianco di Niab con un sospiro. La lunga immobilità lo stava innervosendo. - Non credo che gli incendi siano opera dei nostri vicini,- prese a dire Niab, levando lo sguardo sul fabbro. Fintan si fece attento.- Io temo che tutto questo sia opera di Lorcan.- concluse il ragazzo in un sussurro. Il druido lo studiò attento.
- Come puoi dirlo?- Questi erano i piani. Li udii per sbaglio una notte, quando mi recai al Tempio di Anki ad osservare le stelle. Ma non potei udire altro, poiché quando si accorsero della mia presenza non proseguirono oltre nei loro discorsi. Fu molto tempo fa, prima ancora che tu giungessi alle nostre terre.- Credi che sarebbero tanto folli da attaccare Bibrax?Niab scosse il capo. - L’unica possibilità che hanno è quella di attaccare l’esercito di Lugotorix finchè si trova ancora nella foresta. Bibrax è inespugnabile. Non sono così folli da non saperlo!- A quelle parole un sorriso sardonico si disegnò sul suo volto, che gli piegò le labbra in un ghigno.- La mia gente non saprà usare la spada, ma certamente sa usare molto bene la fionda.-
L’accampamento di Lugotorix era immerso nel sonno e il silenzio era rotto talvolta dal grido sporadico di una civetta in caccia. Provate dalla lunga marcia, le sentille sedevano sul limitare del cerchio disegnato dalle tende, sonnecchiando. Si sentivano tranquille, poichè la vittoria contro gli Atrebati e la leggenda della prodezza compiuta da Bran erano più che sufficienti a non far temere scaramucce. E questo nonostante il carico prezioso, d’oro, metalli e armenti, che recavano e che aveva fortemente rallentato la loro marcia di rientro. La superbia le aveva rese imprudenti. Lorcan osservava il campo, affiancato da Muir, pronto a sfruttare quell’occasione insperata. I suoi uomini si celavano nel folto degli alberi, silenziosi solo come i cacciatori esperti sanno esserlo. In quella stessa notte, presso ciascuna città, i magazzini sarebbero stati dati alle fiamme, segnando l’inizio di quella rivolta da tanto tempo preparata. Non aveva creduto, nè tantomeno sperato, che contemporaneamente avrebbe anche potuto infliggere il primo colpo all’esercito di Lugotorix. Un esercito che riuniva tutti guerrieri dei villaggi degli Ancaliti, che ora erano rimasti sguarniti. Fece il segno convenuto e Muir s’allontanò, a raggiungere gli uomini sull’altro lato dell’accampamento. Subito dopo ombre si inoltrarono tra le tende, mentre le sentinelle, freddate alle spalle, venivano messe a tacere. Avevano scelto la zona
più lontana dal recinto dei cavalli, pur sapendo che, comunque, gli animali non avrebbero potuto dare l’allarme. Molti di loro si erano occupati spesso delle mandrie ed erano persone familiari. Il fruscio delle tende che venivano aperte attirò la sua attenzione. Imprecò fra sé e sé per quell’imprudenza, tendendo l’orecchio ad altri rumori indesiderati. Ma il silenzio tornò profondo. Così si dispose all’attesa. Fra due giorni avrebbero teso un agguato presso l’ultima radura nella foresta, prima che gli uomini di Lugotorix si inoltrassero nelle pianure. Ma con l’attacco di quella notte sperava di sfoltire di molto le schiere dei guerrieri. Certo, morire nel sonno con la gola tagliata non avrebbe recato grande onore a quegli uomini ossessionati dal valore in battaglia. Ma a lui poco importava: conosceva la loro forza. Ed ora che i piani stavano cominciando a realizzarsi, era pronto ad accantonare qualsiasi titubanza che la coscienza avesse voluto presentargli. Un lamento strozzato lo distolse da quei pensieri. Aguzzò la vista e notò un movimento nella tenda poco discosta, dalla quale emerse una figura che prese a guardarsi attorno con circospezione. Per quella notte poteva bastare, si disse. Non voleva mettere a repentaglio inutilmente la vita dei suoi uomini. Sapeva bene che, in uno scontro diretto, non avrebbero avuto scampo. Quando il guerriero, apparentemente rassicurato, rientrò, Lorcan si portò le dita alle labbra e fischiò il segnale convenuto. Subito nuove ombre si disegnarono nell’oscurità, per poi svanire nel folto degli alberi. Il giovane rimase ad osservare ancora per qualche istante. Poi, non notando movimenti insoliti, si ritrasse, raggiungendo i compagni.
- Gli Dei ci hanno abbandonati,- sussurrò Lugotorix, incredulo, quando Clesek gli descrisse l’accaduto. Amorgen si mosse nervoso nella tenda. - Gli Dei non c’entrano,- disse.- E nemmeno gli Atrebati. Non c’è onore nello sgozzare nel sonno uomini indifesi nei loro giacigli!- La furia traspariva da quelle parole rovente come lava fusa.- Sappiamo bene chi oserebbe giungere a tanto, anche se le tue orecchie vogliono ostinatamente rimanere sorde.-
A quelle parole sprezzanti Clesek levò lo sguardo sul sovrano, mentre Lugotorix inceneriva con un’occhiata il druido che lo fissava a sua volta. - Va e organizza le sentinelle,- ordinò poi il guerriero rivolto al giovane, che s’allontanò. - Dietro quanto accaduto stanotte si cela la mano dei contadini,- continuò Amorgen, pronunciando quella parola come se avesse appena addentato un frutto acerbo.- Non mi stupirebbe che avessero organizzato qualche altra sorpresa lungo il cammino di rientro.- Una volta a Bibrax, convocheremo Anara,- disse Lugotorix, stringendo le dita sull’impugnatura della spada. La risata sardonica di Amorgen spazzò l’aria. - Anara non saprà dirti nulla! È la figlia che sta organizzando tutto. Possibile che i tuoi occhi siano tanto ciechi?La rabbia di Lugotorix montò ad arroventargli il volto, ma la luce sinistra che scorse nello sguardo del druido gli fece morire sulle labbra ogni tentativo di ribattere. Comprese in quell’istante che qualsiasi difesa egli avesse in ato portato nei confronti di Anara e della gente delle fattorie, d’ora in avanti sarebbe stata vana. Il futuro era scritto nell’odio che accendeva gli occhi di Amorgen. - Sono certo che la tua saggezza saprà risolvere questa questione nel migliore dei modi,- dichiarò infine, sapendo di mentire.
- Non c’è altro da fare,- disse stancamente Anara, poggiando una mano sulla spalla di Carow.- Dobbiamo abbandonare il villaggio e trovare rifugio nella foresta.- Potrei provare a parlare a Lugotorix al suo rientro,- suggerì Priyos, poco convinto. La situazione era precipitata e poco avrebbe potuto fare per intercedere a favore della gente delle fattorie. Inoltre Aisia era scomparsa, certamente per raggiungere Lorcan nella foresta. Priyos sperava che il suo intervento avrebbe
potuto bloccare il prosieguo di quella follia, per quanto ne dubitasse. Oramai nulla poteva sedare la furia ch’era dilagata nelle loro terre. Il sogno aveva infine consolidato la sua forma e la natura umana aveva preso il sopravvento. Persino le visioni di Anara s’erano spente e a tutti non restava che seguire il fluire degli eventi. - I messaggeri dicono che, dopo gli attacchi nella foresta, Lorcan si è ritirato,informò Carow, un sorriso che ava fuggevole sulle labbra.- Bisogna riconoscere che è stato abile. Ha braccato gli uomini di Lugotorix come fa il lupo con la preda. Con la precisione delle fionde, ha decimato l’esercito dal folto degli alberi, a mano a mano che avanzava verso Bibrax. Una guerra di nervi, che deve aver fatto impazzire quegli uomini avezzi alla battaglia.- Levò lo sguardo su Anara.- Chi l’avrebbe detto!- esclamò, ammirato. - Tuttavia ora Lugotorix è asserragliato oltre le mura di Bibrax e si sta riorganizzando,- gli ricordò la donna, sedendo sulla panca e prendendo a tormentarsi le mani in grembo. - Non è Lugotorix quello che mi preoccupa, è Amorgen,- intervenne Priyos con decisione.- Il re vorrebbe una mediazione. Sarebbe persino disponibile a trattare, se Lorcan desistesse dalla sua follia. Ma Amorgen, con le sue parole, sta sobillando i Saggi del Consiglio e ora Lugotorix è costretto ad organizzare una repressione che può sfociare solo nel sangue. Proprio per questo Clesek è stato posto a capo dell’esercito. Inoltre la lontananza di Bran lo rende incerto e la preoccupazione gli offusca la mente. Vorrei proprio sapere dove l’ha portato Fintan e perché aspetta a fare ritorno.- Ovunque si trovino, non esiteranno a tornare quando sentiranno le notizie portate dalla voce del vento,- disse Carow, sedendo accanto ad Anara. - Questo poco importa,- intervenne a quel punto la donna.- L’unica cosa certa è che domani prenderemo la via della foresta e abbandoneremo il villaggio.-
Aisia sedeva assorta osservando l’acqua vivace del ruscello che disegnava onde attorno alle rocce. Nonostante l’ora tarda, s’era allontanata dall’accampamento per riflettere in solitudine. Le notizie che giungevano dai villaggi erano sempre più inquietanti e, nonostante le schiere dei ribelli stessero aumentando a velocità mai sperata, quella era anche la prova che il suo mondo era definitivamente
cambiato. Pochi di coloro che in quel momento mangiavano attorno ai fuochi di Lorcan avevano una casa a cui tornare. Forse, nemmeno un villaggio. Immerse le mani nell’acqua gelida, poi le posò sulle gote accaldate. Un brivido la percorse. Ma non era dovuto al freddo improvviso: il pensiero della sua gente sterminata dal ferro di Lugotorix le aveva tolto la quiete e il sonno. Era questo ciò che aveva desiderato nelle notti in cui si trovava con Lorcan fra le pietre del Tempio di Anki?, si chiese ancora una volta. Poi sospirò stancamente, comprendendo che oramai quella domanda era l’unica che cadenzava gli attimi delle sue giornate. Ma anche quella, come le altre, aveva perduto ogni significato. Inizialmente aveva tentato di ragionare con i compagni, nella speranza di farli desistere. Ma gli eventi erano oramai ad un punto tale che nessuna possibilità di ritorno era possibile. Un riso sardonico le nacque in gola, subito spento da singhiozzi soffocati. In quell’istante una mano le si posò sulla spalla e Lorcan sedette al suo fianco. Aisia si asciugò le gote, poi si volse a guardarlo. - Ho scordato l’insegnamento di mia madre,- dichiarò. L’uomo allora la strinse e prese a cullarla dolcemente. - Forse l’abbiamo scordato tutti,- disse il giovane in un sussurro. Il silenzio calò, inframmezzato dal canto dei grilli e dalla danza dell’acqua sulle pietre, mentre all’intorno il profumo della sera avanzava. - Presto ci troveranno,- disse ancora l’uomo, quando comprese che i singhiozzi erano cessati.- Forse se fossimo noi a consegnarci, potremmo salvare molte vite.Aisia volse il capo ad osservarlo e i suoi occhi affondarono in quelli castani del compagno. - Ci sono notizie?- chiese. - I Durotrigi hanno attraversato il confine e stanno razziando tutto ciò che trovano lungo la loro strada. Sono venuti per prendere la terra. I nostri uomini ora sono schiacciati fra loro e i guerrieri di Lugotorix. E a nord la situazione non è differente. L’unica possibilità che abbiamo è ritirarci e vedere cosa accadrà quando gli invasori saranno giunti sotto le mura di Bibrax. Ma qualunque sia il
vincitore, il nostro destino è segnato. Se cessassimo le ostilità e ci consegnassimo, consentendo così ai guerrieri degli Ancaliti di difendere le terre, forse Lugotorix risparmierebbe i nostri uomini.A quella prospettiva Aisia esitò, riflettendo. Poi un sorriso le schiuse le labbra e gli occhi brillarono di un bagliore sinistro. - O forse potremmo tentare un accordo con i Durotrigi,- suggerì, studiando attenta il volto del compagno. Lorcan battè le palpebre, perplesso. Poi il suo volto si illuminò. - Potrebbe funzionare,- sussurrò assorto. - Ma prima debbo tornare al villaggio. E se c’è anche solo una possibilità, tenterò di portare Anara e Priyos con noi.- Questo è impossibile! Per arrivare a Bibrax bisogna superare i guerrieri di Lugotorix.- È un problema mio, Lorcan, - dichiarò la ragazza.- E nessuno dovrà accompagnarmi.L’uomo annuì. - Io nel frattempo prenderò contatto con i Durotrigi,- Meglio che prima attendi mie notizie,- concluse la fanciulla, un’ombra inquieta che le danzava nello sguardo.
19. L’esortazione di Priyos
L’inquietudine aveva spinto Fintan ad accelerare i tempi. Le notizie riguardanti la rivolta erano divenute ogni giorno più frequenti e, a mano a mano che Bran recuperava le forze, più preoccupanti. Dopo l’incendio dei magazzini e la lotta nelle foreste, Lugotorix, rientrato a Bibrax, a seguito delle pressioni del Consiglio dei Saggi aveva organizzato una controffensiva che stava sfociando in massacro. I villaggi erano stati perquisiti e, dove reputato necessario dalla presenza di ribelli, dati alle fiamme. I sopravvissuti venivano ati a fil di spada. Tuttavia questo poteva avvenire solo nei villaggi che non erano stati abbandonati, dato che la maggior parte della popolazione s’era rifugiata nelle foreste e s’era unita alle forze di Lorcan. Ora la caccia all’uomo era iniziata. I guerrieri ancora non avevano fatto ritorno alle loro città e, accampati nei dintorni della capitale, battevano le foreste con perizia allargandosi in una spirale che presto non avebbe lasciato scampo. Chiunque trovavano veniva giustiziato. La furia di Amorgen aveva alla fine trovato il modo di manifestarsi. A tutto questo si univano le notizie confuse provenienti dai confini minacciati. Ogni giorno Fintan inviava Niab a sentire cosa sussurrassero gli abitanti del villaggio e sempre riceveva una laconica risposta. Tranne quel giorno. Stava aiutando Bran a prendere posto sul carro che li avrebbe ricondotti a Bibrax, quando il ragazzo sbucò trafelato da oltre una capanna. - Sono arrivati!- dichiarò, ansante per la corsa, riferendosi chiaramente agli eserciti invasori.- Sono venuti a prendere la spada che sa tagliare l’acciaio.A quelle parole il volto di Fintan sbiancò e il druido fu costretto a sostenersi al parapetto per non cadere. Bran, d’istinto, si protese a sostenerlo e un ringhio di dolore lo percorse. - Druido! Tu mi vuoi uccidere.Veloce Niab prese il suo posto e condusse Fintan alla panca posta di fianco all’ingresso, certo che stesse per svenire. Allora gli mise tra le mani una ciotola d’acqua che l’uomo ignorò, lo sguardo fisso sulla polvere della strada. A o cauto, reggendosi la spalla, il guerriero lo imitò.
- È questo quello che dice la gente?- chiese poi, rivolto a Niab. - Dicono che gli eserciti hanno invaso le terre degli Ancaliti da ovest e da nord. Sono diretti a Bibrax decisi ad impossessarsi della spada che ha battuto Gawain figlio di Lyr.Bran tacque, riflettendo, una piega truce che gli attraversava la fronte. - Ovviamente questo è un pretesto,- dichiarò infine, poggiando una mano sulla spalla di Fintan, che si riscosse.- Dobbiamo tornare a Bibrax,- concluse alzandosi ed ergendosi innanzi al druido. Fintan levò lo sguardo e l’orrore che Bran scorse nei suoi occhi gli fece serrare le labbra. Allora la sua risata si diffuse all’intorno, subito soffocata dalle fitte che si irradiarono dalla spalla ferita. - Non crederai davvero che Durotrigi e Dobunni vogliano arrivare a Bibrax per la tua spada?- chiese con tono scherzoso, spezzando la tensione. Fintan portò la ciotola alle labbra, ne bevve alcuni sorsi e il suo volto riprese un po’ di colore. Quindi la restituì a Niab. - Quello che credo è che dobbiamo partire al più presto,- concluse alzandosi e riprendendo a caricare i bagagli. - Con dei cavalli faremmo prima,- osservò il guerriero. - Dopo un giorno di viaggio non saresti più in grado di reggerti. Adesso è necessario che recuperi le forze o quando arriveremo a destinazione certamente non potrai nemmeno trasportarla, la spada, figuriamoci brandirla!Le parole secche di Fintan caddero in un silenzio improvvisamente cupo, mentre Bran e Niab incrociarono lo sguardo oltre le sue spalle, impensieriti. Infine presero posto sul carro e il viaggio di rientro ebbe inizio.
Quando giunsero a Bibrax la città era in subbuglio. Dall’accampamento al di fuori delle mura sino alla grande piazza principale, un vociare continuo ripeteva notizie confuse, nelle quali al nome degli invasori si alternava quello dei
rivoltosi e, fra tutti, il più frequente era quello di Lorcan. Fintan si fermò più di una volta a chiedere informazioni, ma nessuno seppe dirgli con esattezza cosa stesse accadendo. Così avanzarono nella ressa e quando si trovarono fra le tende, lungo la via a sud della città, i guerrieri accampati scorsero Bran e, riconosciutolo, presero ad acclamarlo. Veloce come un’onda di riflusso, il nome dell’uomo corse svelto fin nel cuore di Bibrax. Fintan condusse i buoi lungo il terrapieno, arrancando lentamente, la stanchezza del viaggio che pesava sulle spalle. Finché, una volta giunti al varco nelle mura, una figura si parò sul loro cammino. - Lugotorix ti attende alla Sala dei Raduni,- annunciò Mawgan, rivolto a Bran.Ho l’ordine di scortarti personalmente.Il giovane lo fissò contrariato. Avrebbe preferito liberarsi dalla polvere del viaggio e presentarsi innanzi al Consiglio dei Saggi come si conveniva. Invece chinò il capo in un segno d’assenso, facendo un cenno ai compagni. Fintan lo studiò per un lungo istante. Poi scese dal carro, imitato da Niab, e rimase al centro della strada ad osservare i due che si allontanavano, subito inghiottiti dalla folla. - Data l’urgenza, il motivo dev’essere grave,- sussurrò Niab, assorto in un pensiero lontano. Fintan lo guardò. Poi, poggiata una mano sulla sua spalla, prese a condurlo nelle vie ingombre sino alla fucina. Lì lo attendeva Priyos. Stava seduto, immobile nell’oscurità, sulla panca accanto all’ingresso, la schiena poggiata alla parete. Quando i due superarono la soglia nemmeno si avvidero della sua presenza. Fu la sua voce profonda a farli sobbalzare. - Ti attendevo,- dichiarò il saggio, una volta che i due ebbero fatto il loro ingresso. Fintan si avvicinò a stringergli i polsi, mentre Niab accendeva il focolare. Poi uscì a procurarsi l’acqua alla cisterna. - La tua presenza mi dona speranza,- dichiarò il giovane, chinando il capo e sedendogli di fronte.- Le notizie giunte alle mie orecchie sono poche e vaghe. Bran già è stato convocato da Lugotorix. Cosa sta accadendo fra le mura di
Bibrax?- Questo non ha importanza,- dichiarò il saggio con voce ferma.- Sono venuto a dirti che è tempo che tu faccia ritorno al Bosco Sacro.Lo stupore che calò su Fintan nell’udire quelle parole gli tolse il fiato. Tutto si aspettava tranne che Priyos ordinasse la sua partenza. Aveva immaginato di dover tornare alla fucina per la forgiatura di nuove armi, persino di dover scendere in battaglia in difesa della città. Ma mai di dover lasciare quelle terre in un momento così travagliato. Si chiese se ciò che Priyos gli diceva riportasse un desiderio di Amorgen. Ma poi comprese la sciocca infondatezza di quel pensiero. - Non capisco,- sussurrò, celando il turbamento. - Che tu non capisca è irrilevante,- dichiarò il saggio, in apparenza non disponibile a discutere la questione. Fintan allora si alzò e prese a muoversi inquieto, un turbine di pensieri che lo stordiva in mille congetture. Si chiedeva ove si trovasse Aisia in quell’istante e cosa fosse accaduto alle fattorie. Poi ripensava a Bran innanzi al Consiglio e le sue mani fremevano. Poi, percependo la tensione che colmava la stanza, si fermò accanto al focolare e tornò a levare lo sguardo sul saggio. - Con gli invasori alle porte, Lugotorix avrà necessità di tutti gli uomini disponibili e sicuramente di nuove armi per il suo esercito,- prese a dire, mentre un’ombra si disegnava sul volto di Priyos.- Se Bibrax dovesse venir attaccata…A quel punto il saggio lo interruppe. - Ciò che da molte lune si sta preparando sta per realizzarsi, e il tempo sta iniziando ad avvolgere le sue spire. Molte sono le trame che sono state tessute e ora i fili stanno per essere tagliati. Ma coloro che stringono le forbici non comprendono le conseguenze dei loro atti. Forze si muovono oltre le nostre possibilità e presto gli eventi si scateneranno. La parte che tu potresti avere in tutto questo potrebbe segnare la sventura per il nostro popolo. Questo sei in grado di comprenderlo?Fintan tacque, la fronte corrugata, le labbra schiuse che mutavano lo stupore in superstizione. Tornò a sedere, improvvisamente svuotato, e la fatalità scese a
colmargli il cuore. In quell’istante Niab rientrò e deposta la brocca, prese ad armeggiare nel focolare. Il silenzio calò sospeso, sino a quando il ragazzo si volse verso Priyos, tormentandosi le mani, l’inquietudine nello sguardo. - Hai notizie di mia madre e di mia sorella?- chiese in un sussurro. Il tono di voce strappò Fintan dai suoi pensieri e solo in quell’istante il giovane comprese a pieno il tormento che in quegli ultimi tempi aveva abitato nel cuore del fanciullo. - Anara è al sicuro,- disse Priyos. Il tono di voce era mutato ed ora la dolcezza era scesa a scaldarlo, carezzevole e rassicurante.- Mi ha chiesto di recarti un messaggio,- aggiunse, invitando Niab a sedere al suo fianco.- Tua madre vuole che tu segua Fintan nelle terre dei Carnuti. Dice che al momento questi luoghi non sono sicuri e desidera saperti in salvo. Poi, quando sarà il giusto tempo, ti manderà un messaggero per fare ritorno. Nel frattempo, nel Bosco Sacro, potrai apprendere più di quanto avresti mai potuto nelle terre di Amorgen.- Il ragazzo si volse ad osservarlo, il pallore che si faceva strada sul suo volto. Ma non osò interrompere quel fluire di parole.- Tu sai quanto Anara desideri che tu possa apprendere al meglio la dottrina dei druidi,- concluse infine Priyos, poggiandogli una mano sulla spalla. Niab annuì, voltandosi poi a guardare Fintan. La disperazione che il fabbro lesse nei suoi occhi gli strinse il cuore in una morsa. Poi la rabbia gli accese lo sguardo. Priyos lo percepì e, alzatosi, levò una mano verso Fintan in un gesto perentorio, bloccando qualsiasi tentativo di ribattere. - Non c’è più tempo,- dichiarò, severo e, per la prima volta, Fintan scorse l’inquietudine aleggiare sul suo volto.- Dovete partire immediatamente. Le foreste attorno alla città non sono sicure, ma sono certo che la vostra abilità vi consentirà di evitare incontri spiacevoli. Dovrete muovervi verso est, tornando verso le terre degli Atrebati. Poi prenderete un battello che vi condurrà lungo il fiume, sino al mare del sud.Priyos si avvicinò a Fintan. - Sono certo che la tua saggezza non ti farà esitare su questa decisione,- concluse stringendogli i polsi. Poi si volse e a o sicuro scomparve oltre la soglia. Quando fu uscito, Niab
guardò il fabbro. - E adesso che facciamo?- chiese in un sussurro, in preda alla confusione. Fintan lo guardò, assorto. - Faremo come dice Priyos, naturalmente,- dichiarò con voce ferma.- Ma prima debbo capire cosa sta accadendo e sapere da cosa stiamo fuggendo.-
Lugotorix era seduto sul seggio, un gomito poggiato al bracciolo, la mano che reggeva la fronte e le dita affondate nei capelli scarmigliati. Teneva gli occhi chiusi, le orecchie colme dei rumori provenienti dall’esterno, che saturavano la grande sala cadenzando lo scorrere del tempo. Un pensiero fastidioso gli attraversava la mente, disegnando sui lineamenti fieri pieghe d’amarezza. E quell’espressione era l’unica che oramai da tempo i guerrieri potevano scorgere sul suo volto. Il tumulto che abitava il suo cuore, e che inutilmente tentava di soffocare, era celato a chiunque. Quando Bran fece il suo ingresso, lo stupore lo immobilizzò sulla soglia. Aveva creduto di trovare il Consiglio riunito e non si attendeva di trovarsi di fronte solo Lugotorix. Spinse gli occhi nella penombra, poi avanzò con o spedito. La ferita che l’aveva costretto lontano da Bibrax finalmente stava guarendo e il suo braccio stava riacquistando mobilità. Lugotorix levò lo sguardo e l’inquietudine che il giovane gli lesse negli occhi lo fece esitare. Poi chinò il capo nel saluto consueto e, quando il re gli fece cenno di sedere, prese posto sullo scranno alla sua destra. - A lungo ho temuto per la tua vita. Vedere il tuo volto porta la pace nel mio cuore,- lo accolse Lugotorix, studiandone i mutamenti. La malattia aveva lasciato le sue tracce ed ora rughe leggere si disegnavano sul bel volto del giovane. Distrattamente si domandò cosa scorgesse Bran, mentre lo fissava con tanta attenzione. Poi si ò le dita fra i capelli striati di fili grigi e iniziò a parlare. - Ti ho fatto venire con urgenza perché la situazione sta diventando ingovernabile ed è necessario che tu prenda al più presto il posto di Clesek a
capo dell’esercito. Sempre che le tue condizioni lo consentano,- aggiunse, studiandolo attento. Bran annuì senza esitazione. Così l’uomo continuò.- Il capo dei ribelli è stato catturato e presto, senza la sua guida, la rivolta si placherà. Amorgen ha comandato che per Lugnasad venga offerta la sua vita in sacrificio agli Dei, per placarne la furia.A quelle parole Bran trattenne il fiato. La situazione doveva essere grave se il vecchio druido era deciso ad arrivare a tanto, sebbene il sacrificio di prigionieri non fosse insolito nei periodi di guerra. - Ma non è questo ciò di cui voglio parlarti,- continuò a dire Lugotorix.- Gli eserciti dei Durotrigi e dei Dobunni stanno calando verso Bibrax, razziando tutto ciò che trovano lungo il cammino. Ciò che non è stato distrutto negli incendi è divenuto preda degli invasori.- L’uomo si alzò e prese a camminare con o inquieto innanzi agli occhi attenti del giovane.- Il nostro esercito è debole e i villaggi lontani dalla capitale sguarniti. I guerrieri esitano e la lotta contro i ribelli ha disperso energie. È anche questo il motivo per cui Amorgen ha comandato un sacrificio esemplare, nel giorno in cui viene celebrata l’unione del capo della comunità con il popolo, nel giorno in cui siederà sul trono una nuova regina e verrà celebrato lo sposalizio con la terra. Vuole accendere gli animi prostrati e scatenare la furia necessaria a difendere le mura della città.Lo stupore si disegnò sul volto di Bran. - Non hai intenzione di fermare gli invasori lungo il cammino?Lugotorix scosse il capo. - Spaccare un esercito indebolito è sconfitta certa. Le difese di Bibrax saranno un baluardo sufficiente a smorzare l’ardore degli invasori. Inoltre la tua presenza, la presenza di colui che ha oscurato la leggenda di Gawain figlio di Lyr, unita ai prodigi che tutti attribuiscono alla spada che sa tagliare l’acciaio, sapranno riportare sicurezza nel cuore degli uomini. Si sentiranno partecipi di un grande evento, un evento che legherà il loro nome al corso della Storia.A quelle parole Bran serrò le labbra infastidito, comprendendo il ruolo che avrebbe dovuto rivestire in quella guerra. Il suo cuore certo non esultava, comprendendo quanto lontano si sentisse dall’essere un eroe uscito dalla leggenda. Ma poi un sorriso gli colorò il volto, sapendo che sarebbe stato compito dei bardi descrivere quanto Lugotorix desiderava. Il suo vero ruolo era
condurre con mano ferma i guerrieri del suo popolo, per evitarne la scomparsa: se Durotrigi e Dubunni avessero superato le difese di Bibrax e data la città alle fiamme, gli Ancaliti sarebbero stati definitivamente annientati e nessuno, in futuro, avrebbe ricordato il loro nome, come se non fossero mai esistiti. Si levò deciso, avvicinandosi a Lugotorix a stringergli i polsi. Nello scorgere la sua determinazione, il sovrano parve rilassarsi. - C’è un’ultima questione, e della massima importanza per chetare Amorgen,dichiarò, tornando a sedere sull’alto seggio. Bran tornò a farsi attento. - Il sacrificio per Lugnasad dovrà essere officiato da Fintan. E a te spetterà recargli la notizia e convincerlo, se necessario.La perplessità si disegnò sul volto del giovane. - Fintan non appartiene al nostro popolo,- fece notare scioccamente.- Perché dovrebbe officiare il rito?- Amorgen nutre sospetti sul suo conto,- spiegò il sovrano.- Sostiene ch’egli ha avuto parte attiva nell’organizzazione della rivolta.- Lugotorix esitò, toccandosi la fronte con dita inquiete.- Oltre questo desiderio, in realtà, l’obiettivo della sua furia è Priyos, ma, non potendo colpire lui direttamente, ripiega sulla persona che al momento gli è più vicina. Con il gesto che richiede, Amorgen vuole una prova di lealtà, ma, soprattutto di sottomissione. E Fintan, ai suoi occhi, è l’unico in grado di fornirgliela. Tuttavia, soddisfare i desideri di Amorgen potrebbe salvare molte vite, in cambio di una soltanto. Quindi Fintan deve comprendere quanto sia determinante che venga fatto come richiesto.Bran annuì ancora una volta, stringendo le dita sull’impugnatura della spada legata al fianco. Lugotorix notò quel gesto e, nel vedere la magnificenza dell’arma, gli occhi si accesero. - Che questa spada possa essere promessa di un futuro di pace,- disse stringendo il pugno attorno alle dita del giovane. Bran sorrise e i suoi occhi si specchiarono in quelli del vecchio guerriero, carichi di speranza.
20. Sacrificio agli Dei
Quando fu fatto entrare nella casa di Bran, il guerriero ancora non era rientrato. Così Fintan sedette accanto al focolare, un boccale di birra tra le dita, e si dispose ad attendere tutto il tempo necessario. Aveva ancora nelle orecchie le parole di Priyos e più le vagliava meno riusciva a comprendere l’urgenza che rivelavano. Aveva veduto gli eserciti prepararsi per le battaglie imminenti, la fatica che si disegnava sul volto degli uomini e, ancora una volta, la rabbia lo percorreva, al pensiero di lasciare quei luoghi proprio in un momento così travagliato. Il futuro gli appariva sempre più incerto e, nelle ipotesi che la sua mente formulava, nessuna comprendeva la possibilità di imbarcarsi con Niab per tornare sul continente. Inoltre il volto di Aisia continuava ad emergere da quel tumulto di pensieri, e Fintan comprese che, se solo la fanciulla avesse accettato di seguirlo nelle terre dei Carnuti, probabilmente il suo piede non sarebbe stato così esitante sulla via da percorrere. Si ripromise di scendere alle fattorie per cercarla, subito dopo aver parlato con Bran, sebbene avesse compreso dalle parole di Priyos che con ogni probabilità le avrebbe trovate deserte. Tuttavia quello era il futuro che ancora non osava prospettare a se stesso, il desiderio che il suo cuore celava con tenacia. E il fatto che quel futuro potesse realizzarsi a Bibrax, al fianco di Bran come suo consigliere, rendeva quella prospettiva inebriante, più di una coppa ricolma di dolce idromele. Portò alle labbra il boccale e sorbì un lungo sorso di birra, muovendosi impaziente sul seggio, mentre all’intorno i servi si occupavano della cena. Fu in quell’istante che la porta si spalancò e Bran fece il suo ingresso. Scorgendolo, il guerriero gli si avvicinò a lunghi i nervosi. - Ho notizie che ci riguardano,- esordì, mentre i servi lo liberavano del mantello e gli porgevano un bacile per ripulirsi dalla polvere che ancora lo ricopriva. - Dunque gli invasori sono alle porte?- chiese Fintan, alzandosi, incapace di sopportare ancora quell’immobilità forzata. Bran si spogliò e prese a sciacquarsi con gesti svelti. Una volta rivestito di abiti puliti, fece un cenno ai servi che se ne andarono, lasciandoli soli. - Lugotorix dice che, con ogni probabilità, gli eserciti dei Durotrigi e dei
Dobunni giungeranno a Bibrax un quarto di luna dopo la celebrazione di Lugnasad. Quindi, al più tardi, fra otto notti.- Esattamente quel che temevamo,- confermò Fintan in un soffio, tornando a sedere, mentre la stanchezza calava su di lui, curvandogli le spalle. - Non si stanno muovendo velocemente,- precisò Bran.- Le razzie stanno rallentando la loro marcia. Ma dovremo essere pronti. Domani i fuochi illumineranno la notte di Lugnasad e non rimarrà tempo per ulteriori festeggiamenti.Il capo chino, gli occhi fissi sulle fiamme, Fintan assentì, comprendendo la situazione. - Tuttavia ho anche una buona notizia,- continuò Bran, colmando un boccale di birra e prendendo posto di fronte al compagno, oltre il focolare.- La rivolta è stata sedata e Lorcan, il capo dei ribelli, è stato catturato. Quindi gli uomini potranno concentrarsi sulle battaglie imminenti e non saranno più costretti a calare la spada sulla loro stessa gente.Il druido levò la mano in un gesto distratto, accogliendo quell’informazione come una cosa scontata. Quello che lo inquietava era il pensiero degli stranieri, pronti a calare su Bibrax per conquistare la spada che lui stesso aveva forgiato e che Bran cingeva al fianco. Le parole di morte e distruzione pronunciate dal suo Maestro tornarono vivide alla memoria. Levò lo sguardo a studiare il compagno e scorse nei suoi occhi accesi l’eccitazione per la sfida imminente. Ma quella vista non bastò a chetare il suo cuore. - Ho veduto lo sconforto sul volto degli uomini,- disse preoccupato, mentre ben altri pensieri lo torturavano. Bran confermò, indugiando ad osservare il volto di Fintan. Il silenzio calò, sospeso, e il druido comprese che una richiesta aleggiava nell’aria. Si fece attento. - Amorgen ha organizzato un grande evento per risollevare gli animi,- prese a dire il guerriero, senza staccare lo sguardo dagli occhi del compagno.- Un sacrificio solenne, volto a risvegliare la furia nel cuore dei nostri uomini.- Bran fece una pausa. Portò il boccale alle labbra. Poi riprese, cauto.- La vita del capo dei ribelli verrà offerta agli Dei come richiesta di vittoria sugli invasori.-
A quelle parole lo stupore si disegnò sul volto del druido, che, tuttavia, non intervenne, comprendendo che la notizia, per quanto insolita, non era quella che angustiava il compagno. - Amorgen chiede che sia tu a compiere questo sacrificio,- specificò il giovane. Poi aggiunse, svelto:- Naturalmente sarà lui a soprassedere al rito. Tu sarai solo la mano che porgerà l’offerta agli Dei.Il silenzio colmò la capanna ancora una volta, mentre la tensione diveniva palpabile. Fintan si mosse sul seggio, portò il boccale alle labbra e tornò a fissare il compagno. - Non è possibile,- disse con decisione.- Io non appartengo al Popolo degli Ancaliti.- Proprio per questo è necessario che tu faccia come chiede Amorgen,- insistette ancora Bran, con foga.- Questo gesto potrebbe segnare ufficialmente il tuo ingresso nella nostra comunità: è un’occasione insperata. Devo forse ricordarti i progetti formulati? Il tuo desiderio di rimanere a Bibrax, al mio fianco, è forse scemato?A quelle parole Fintan si levò, poggiò il boccale e, intrecciate le mani dietro la schiena prese a misurare la distanza fra le pareti a lunghi i nervosi. Il volto cupo rivelava la tensione. Infine si fermò e tornò a guardare il compagno con occhi accesi. - Il desiderio di appartenere al tuo popolo non è morto nel mio cuore,- disse.- E i progetti che hanno animato le tue notti di convalescenza non sono svaniti dalla mia mente. Tuttavia questo non è ancora il giusto tempo per realizzarli. Presto dovrò lasciare queste terre. Domani stesso.A quell’annuncio il volto di Bran impallidì e il guerriero balzò in piedi, per poi stringere i polsi del compagno. - Non puoi dire sul serio,- dichiarò, affondando gli occhi blu in quelli verdi di Fintan. - Tornerò. Di questo puoi esserne certo,- aggiunse il druido, divincolandosi e riprendendo il movimento fra le pareti. Gli occhi di Bran non lo lasciavano un istante.- Ma al momento non mi è possibile fare diversamente. Debbo fare
ritorno alle mie terre.Quelle parole caddero nel silenzio come un rintocco, ma Bran percepì oltre la decisione una nota d’incertezza, insolita per il carattere del druido. Quindi comprese che c’era ancora una possibilità per trattenerlo in quei luoghi. - Lugotorix dice che, se sarai tu ad officiare il rito, la furia di Amorgen si placherà. Questo consentirà di salvare molte vite, fra la gente delle fattorie. Il suo odio è calato sulla comunità con pugno impietoso e, sino a quando non troverà soddisfazione, non cesserà di mietere vittime. Il tuo intervento sacrificherebbe una vita per salvarne molte. Amorgen vuole te. Sei l’unico che può farlo.Fintan si fermò e studiò a lungo il volto del compagno, comprendendo che le sue parole dicevano il vero, mentre percepiva una strana quiete scendere nel cuore al pensiero che il suo o non avrebbe percorso la via del ritorno. Almeno, non subito. Ancora una volta Fintan si chiese cosa lo attendesse a Cenabum, e ancora una volta la risposta non venne. Ora che la sua ricerca s’era conclusa, e quel vuoto inquietante era sceso nella sua anima, cercava un motivo che lo legasse al presente, e solo lo sguardo di Bran era in grado di formulare una seppur vaga promessa. Oltre quello sguardo, Fintan scorgeva gli occhi cristallini di Aisia. Ripensò alla richiesta di Priyos ed esitò. Poi si domandò se la fretta del vecchio saggio fosse davvero così motivata. - Dopotutto non sarebbe un problema rimandare la partenza di qualche giorno,dichiarò in un sorriso appena accennato. Bran si avvicinò e gli strinse i polsi con foga. - Farò tutto ciò che è nelle mie possibilità affinché tu non rimanga intrappolato all’interno delle mura di Bibrax in un assedio,- promise. Fintan levò una mano con gesto noncurante, come si fa per scacciare un insetto molesto. - Rimanere intrappolato a Bibrax, al tuo fianco, non sarebbe la peggiore delle sciagure,- dichiarò, scoppiando in una risata. E gli occhi di Bran si colmarono di riverberi, comprendendo, con una sorta di allegria mista a sollievo, che molto tempo sarebbe ato prima che il
compagno decidesse d’imboccare la via del ritorno.
All’interno della capanna destinata a prigione, svuotata da ogni suppellettile, una figura ammantata, immersa nelle tenebre, sedeva a terra, poggiata alla parete. Il suo respiro regolare frangeva a tratti il silenzio, come un mormorio che ricordava preghiere sussurrate a divinità lontane. Tuttavia le sue labbra erano serrate, mentre lo sguardo vagava in quel buio impenetrabile e la mente evocava giorni perduti. Aveva appena consumato il suo ultimo pasto e ancora la ciotola contenente la zuppa di semi di lino era colma a metà: aveva lo stomaco serrato. Poco prima di incamminarsi alla volta del Tempio di Anki avrebbe ingoiato anche quegli ultimi bocconi. Sapeva che quel cibo rituale avrebbe aiutato il suo o a percorre la distanza fra la capanna e la pietra che avrebbe raccolto il suo stesso sangue, in quel sacrificio voluto, accettato con la fatalità che segnava i momenti di cambiamento nel corso della Storia. Quindi, con uno sforzo, l’aveva inghiottito e già le erbe che vi erano disciolte iniziavano a sortire i loro effetti. Immagini emergevano dalla memoria, evocate o richiamate dalle droghe che percorrevano il suo corpo. Una strana quiete aleggiava, rivelando lo sguardo degli Dei. Rivedeva notti insonni, ate nel cerchio di pietre del tempio, e udiva come in un’eco distorta i progetti formulati con i compagni, che tratteggiavano la riscossa della sua gente. E la forza dei monoliti, eretti dai loro avi sin dall’origine del tempo, si allungava in spire, avvolgendoli in un turbine di ebbrezza e di speranza. In quell’istante, in cui la sua mente a mano a mano si distaccava dal corpo, quelle parole tornavano alla memoria, prive del loro reale significato, mutando in giochi di fanciulli e balocchi pronti a disegnare un futuro di leggende. La realtà era giunta a smentirli, prendendo forma in quella sconfitta che aveva tracciato fiumi di sangue sulla terra in precedenza graffiata dagli aratri. Ora solo quella notte, e la tenebra che era giunta come una morsa con il suo gelo, segnavano l’epilogo di attimi felici. E rivedeva i volti dei compagni, i loro occhi accesi e i sorrisi carichi di promesse, seduti sulla stessa pietra che sarebbe divenuta altare, per il sacrificio in cui sarebbe stata offerta la sua vita. Forse il suo gesto avrebbe potuto salvarli. Alla luce di quei pensieri, il suo cuore esultava, poiché il futuro era giunto e solo il ato rifulgeva in echi sereni. Nessuna preoccupazione avrebbe più tormentato il suo cuore. Nemmeno quella per lo sterminio della sua gente. Nemmeno il pensiero degli eserciti invasori alle porte. Un movimento percorse l’oscurità e le sue dita ferme si mossero nel buio a
tracciare sulla fronte il segno rituale. Oramai futuro e ato erano uniti in quel presente che a breve avrebbe trovato compimento. Il tempo aveva perduto valore. “Una vita per salvarne molte”, queste parole mai udite continuavano ad echeggiare nella sua mente, pronunciate da voci note, ma lontane come ombre all’orizzonte. Quell’unica vita di cui parlavano era la sua. Poggiò il capo alla parete, trattenendo il respiro. Il silenzio calò pesante, mentre scintille rosate si disegnavano oltre le palpebre chiuse. Nuovi turbini di incoscienza l’avvolsero. Infine il petto tornò a sollevarsi e abbassarsi con regolarità, e quel moto fu cadenza per il cammino della luna, che già si coricava all’orizzonte, annunciando quel nuovo, ultimo giorno. Forse la sua vita era stata una sconfitta, ma la sua morte avrebbe segnato una futura, inevitabile vittoria. Con il consenso degli Dei.
Volute di fumo avvolgevano il Tempio di Anki, come una bruma che si levava dalla terra, diffondendosi dai tre falò rituali, sui quali Nardos spargeva polveri candide. Il profumo acre del legno di betulla, che si consumava lentamente nelle pire, mescolato al dolce aroma di quello del tasso e del nocciolo, si spargevano nell’aria, sino a raggiungere le prime file degli astanti. In quell’aria densa emergevano, come spiriti nati dalla terra, tre figure candide, baluginanti sotto i guizzi della fiamma. Al centro stava Amorgen, le braccia levate al cielo, un’invocazione sulle labbra, e la sua voce tonante giungeva lontano, sino alla foresta e ancora oltre, diretta alle orecchie degli Dei. Ritto alla sua sinistra, Fintan ascoltava attento, lo sguardo sui falò, mentre Nardos, muovendosi leggero, tornava ad ergersi alla destra del suo Maestro. Vita, morte e ricordo: i tre simboli sacri che riunivano l’essenza del tempo. Tre druidi che in quella notte avrebbero formato un unico nodo d’eternità: un druido per chiamare la vita, un guaritore per portare la morte e un bardo a conservare il ricordo di quella supplica, per la salvezza degli Ancaliti. Tre forze riunite per chiamare una nuova realtà. Tre forze riunite in un’unica mano, stretta attorno al coltello sacrificale, per quell’ultima invocazione. Amorgen aveva scelto quel luogo per celebrare i riti di Lugnasad al posto della radura nella foresta, poiché l’ampiezza della pianura che lo circondava, e la collocazione lievemente elevata, consentivano al gran numero di persone riunite di assistervi con facilità. Ora, all’esterno degli architravi e sin dove l’occhio poteva giungere, guerrieri si assiepavano, mescolati alla popolazione. Al termine del rito si sarebbero diretti al fiume, per l’offerta delle armi, come prescritto da
tradizione, e poi nella foresta, per lo sposalizio con la terra. Una processione che avrebbe toccato i luoghi sacri della comunità, a cominciare da quello nel quale si trovavano. Fintan fece scorrere lo sguardo sulla folla e i volti si confo innanzi ai suoi occhi, sino a quando si posarono su Bran, ritto alla destra di Lugotorix. Il giovane guerriero ne sostenne lo sguardo: Fintan appariva quieto, gli occhi vigili, le orecchie intente a sorbire ogni parola uscita dalle labbra del saggio. Nulla dimostrava in lui qualche incertezza e il guerriero si sentì improvvisamente sereno. Poi la sua attenzione venne richiamata dal tono deciso della voce di Amorgen. - L’Armonia della nostra comunità è stata infranta dal gesto sciagurato di un pugno di uomini,- stava dicendo il druido, facendo un o innanzi ed emergendo dalle volute di fumo, rivolto alla folla che lo ascoltava muta. I suoi occhi accesi si fissarono sul volto cereo di Priyos.- Un gesto che ha mutato la nostra terra in un mare di sangue. Come potevamo chiedere che i campi dessero frutto, quando lo sguardo degli Dei non poteva scorgere se non rovina all’interno della nostra comunità? Figli contro padri, fratelli contro fratelli. Il lavoro di un’intera stagione dato alle fiamme, quando già la carestia aveva mietuto le sue vittime. E tutto per un insensato orgoglio, un desiderio sterile di potere. Potevamo guardare impotenti, mentre gli equilibri venivano infranti e gli Dei gridavano il loro sdegno?- Il druido tacque, lasciando scorrere lo sguardo sui presenti, che mossero il capo in un diniego, guidati dal tono della sua voce.D’ora in poi più non saremo impotenti, poiché il responsabile della rovina del nostro popolo verrà immolato ad espiazione della sua colpa, offerto agli Dei per riportare Armonia. Il suo sangue sarà il giusto dono per placarne l’ira, affinché il loro sguardo torni a posarsi sulle nostre terre.Il druido tacque ancora una volta, tornando ad avanzare di alcuni i, mentre alle sue spalle Nardos e Fintan lo imitavano, affiancandolo nuovamente. Lo sguardo del fabbro si posò sul volto di Priyos e l’espressione che vi scorse gli strappò un brivido diaccio: gli occhi ciechi del vecchio druido stavano fissando qualcosa d’innominabile, che solo lui riusciva a scorgere. Quindi Fintan riportò lo sguardo sulla folla, nella quale l’eccitazione già pulsava, palpabile. Sussultò al suono delle arpe, mentre il canto si levava. La voce della moltitudine si alzò possente, sulla scia di quelle note, e la sua forza lo investì come una tempesta. Ancora una volta la frenesia lo stava risucchiando e il giovane chinò il capo accettando, come sempre, il turbine montante. Dietro di lui ci fu movimento. Poi
il silenzio calò improvviso e immoto. Amorgen lo fissò, levando il braccio in un gesto di comando. Fintan fece un respiro profondo, comprendendo che il momento era giunto. Estrasse il coltello, e la lama, forgiata dello stesso metallo della spada di Bran, riverberò sinistra al bagliore dei fuochi. Quella notte sarebbe stato un portatore di morte, ma nel suo cuore conservava la speranza d’aver risparmiato molte vite: una in cambio di molte, così gli aveva detto Bran. Il volto di Aisia giunse a colmargli lo sguardo e Fintan, fatto un nuovo respiro, allontanò quell’immagine, disponendosi a compiere quanto gli era stato richiesto. Si volse e avanzò a o lento verso l’altare, inspirando a fondo ed evocando nella mente le formule di rito, gli occhi innanzi, fissi su quella bruma carica di effluvi che già iniziava a disperdersi. E, a mano a mano che le polveri cessavano il loro effetto, e il o di Fintan lo conduceva al centro del Tempio di Anki, una figura, ritta in piedi sulla pietra del sacrificio, sollevata da terra solo di due palmi, emergeva dalle volute di fumo che si diradavano, sospinte dalla brezza. Quando i suoi occhi furono in grado di metterla a fuoco, il suo cuore mancò un battito. Allontanato dalla mente, ma richiamato dalla fatalità, il volto di Aisia lo stava fissando dall’alto della pietra sacrificale, i lunghi capelli che si confondevano nella notte a sottolinearne il pallore. Attorno ai piedi, la lunga veste di lana non tinta si apriva in larghe pieghe, risaltando contro il bruno della roccia. Gli occhi cristallini rilucevano al fulgore della fiamma poco discosta e le labbra, leggermente socchiuse, sorridevano quiete in un invito silenzioso. A quella visione inattesa, Fintan indietreggiò involontariamente, comprendendo solo in quell’istante che non Lorcan, bensì Aisia era stata individuata come il capo dei ribelli. Esitò, la mente ingombra di pensieri turbinanti. Fu la mano di Amorgen che, serrandosi sulla sua spalla, lo obbligò ad avanzare. E Fintan, sentendo le dita oltre la stoffa, con gesto deciso si liberò, incapace di distogliere lo sguardo da quello della fanciulla. I suoi occhi gli dicevano che lei già sapeva, che forse da sempre aveva saputo. I suoi piedi si mossero senza volontà, e il giovane avanzò, il coltello stretto in pugno, sin quando giunse a ridosso della pietra del sacrificio. A quel punto la fanciulla portò le mani alle spalle e, con movimento lieve, fece scivolare la veste, ergendosi nuda sotto il suo sguardo smarrito. L’alabastro del suo corpo si mutò in bronzo e le fiamme disegnarono ombre sul ventre arrotondato. A quella visione Fintan si sentì perduto. La mente turbinò, i pensieri
impazziti alla ricerca di una via di fuga. Fece per ritrarre la mano, ma Aisia glielo impedì e, stretto il polso con fermezza, si lasciò cadere sulla lama affilata. D’istinto Fintan ruotò il polso e, come aveva appreso all’ombra delle querce del Bosco Sacro, donò la morte velocemente e senza dolore. Rimase immobile per un lungo istante, che parve risucchiare il tempo in un vortice d’assenza. Infine estrasse la lama. Un fiotto vermiglio gli spruzzò la tunica e il corpo di Aisia si accasciò fra le sue braccia. Poteva percepirne il peso, tangibile e concreto in quel presente rarefatto, mentre il cuore nel petto pareva essersi squarciato, nello stesso istante in cui quello di Aisia era stato trafitto. Ora lo spirito della fanciulla, e del figlio che portava in grembo, si libravano sopra di lui, alla ricerca di una nuova forma. Fintan non abbassò lo sguardo, nemmeno si mosse. Impietrito, fissava il buio che si disegnava oltre gli architravi, immoto e impenetrabile come la tenebra calata sui suoi pensieri. Poi le labbra si schio, in un sussurro rubato dal vento. E la sciagura aleggiò. - Possano gli Dei chinare lo sguardo, possa il loro alito percorrere la terra, la loro voce esser rombo di tuono e il braccio furia di tempesta. Ma per quanto quest’ira giunga a mostrarsi, nulla potrà su quanto chiamo in quest’istante. Poiché la mia lingua maledice il presente e la mia collera vi seguirà oltre lo spazio e il tempo per vendicare la morte di questi innocenti, sino a quando giustizia sarà fatta. E questa furia cadrà su voi tutti e la vostra stirpe, padri, figli e fratelli, avvinti nel fluire del tempo, affinché il sangue trovi vendetta e il dolore tumulo. Che il vento mi sia testimone, la terra conservi memoria, l’acqua doni costanza e il fuoco ne ponga sigillo. Ciò che dev’essere sarà e nulla verrà tralasciato. Poiché vano è il desiderio dell’uomo e tronfia la sua superbia.Quel sussurro fu silenzio, inudito da orecchie umane. Tuttavia un soffio di vento parve levarsi e calare furioso sugli uomini riuniti. Gonfiò le tuniche e le vesti, mulinò fra i monoliti, s’insinuò tra i piedi immoti e infine s’innalzò in un turbine di capelli. Il tempo parve attorcersi su sé stesso e nell’aria vibrarono presagi. Tutti si strinsero nelle vesti, mentre Amorgen levava le braccia, certo che quel segno fosse la risposta sperata, con la quale gli Dei confermavano il loro favore verso la comunità. Il canto sgorgò, strappando un brivido diaccio, mentre le arpe sovrastavano il rombo che nasceva dalla terra, dovuto al battere dei piedi della moltitudine. A quel fragore Fintan parve scuotersi e, sollevato il corpo della fanciulla, lo depose sulla pietra sacrificale. Il sangue colò lento a nutrire la terra.
Poi si raccolse in una pozza che lambì i piedi del druido. Amorgen si fermò al suo fianco, levando le braccia ancora una volta nel gesto benedicente, e il boato della folla fu tripudio, mentre i bardi iniziavano ad allontanarsi, guidando la processione. Distaccato dal presente, Fintan udì una voce nuova unirsi al coro e con stupore intuì che proveniva dal suo stesso petto. La ascoltò modulare le note con perizia, librandosi oltre quella dei compagni, un contrappunto preciso alla carezza delle arpe che, a mano a mano, si allontanavano. Ed era l’abitudine al rito che conduceva il suo canto, in un moto talmente estraneo al suo cuore da apparire grottesco. Già la decisione aveva preso forma nella mente del druido e solo lo smarrimento aveva rimandato l’istante. Bran lo osservava poco discosto, mentre Amorgen, affiancato da Lugotorix, s’incamminava alla volta del fiume e poi nella foresta, ove avrebbe celebrato lo sposalizio con la terra. Comprendeva che qualcosa non andava, percependo nella voce del compagno una nota stridula, che mal si confaceva alla sua abituale bravura. Si avvicinò, notando lo sguardo vacuo di Fintan, che si perdeva nell’oscurità oltre il suo capo. Poi si tese, improvvisamente all’erta. Quando vide la mano del druido rivoltare il coltello contro il proprio petto, fu lesto a balzare su di lui e a trattenerne il polso. La lotta fu accanita e, solo quando il pugno del guerriero calò sul volto del compagno, riuscì a strappargli dalle dita l’arma insanguinata. Fintan si accasciò, inerte, e Bran lo accolse tra le braccia.
- Sono tre giorni che delira!- esclamò Bran con evidente preoccupazione. - Quando giunse in queste terre recava in sé un dolore dell’anima. Ora è arrivato un dolore più grande. Nulla è in nostro potere per allontanarlo. Quando sarà il giusto tempo, tornerà dal luogo nel quale ha trovato rifugio.Le parole di Priyos caddero come una sferzata, ferme e inscalfibili, strappando un ringhio alle labbra del guerriero impotente, che gli si avvicinò stringendo i pugni, le nocche livide. Ma l’espressione di dolore che ritrovò sul volto del saggio gli fece morire le parole sulle labbra. Seduto al suo fianco Niab si fissava le mani abbandonate in grembo, curvo sotto il peso della disperazione che abitava il suo cuore. Allora il guerriero, lanciato un ultimo sguardo a Fintan, immoto sul giaciglio,
spalancò la porta con gesto secco e uscì nel chiarore del mattino. Il sole penetrò la penombra della fucina con dita avide e il pulviscolo si mosse impazzito nella scia di luce. Niab si alzò ad accostare l’uscio. Poi tornò ad occupare il posto al fianco di Priyos. Il silenzio calò, rotto solo dal respiro irregolare del fabbro. - Non so quali parole usare per dirlo a nostra madre,- prese a dire ad un tratto Niab, riferendosi chiaramente a quanto accaduto alla sorella. Ma il nome di Aisia stentava ad uscire dalle sue labbra e aleggiava nel silenzio con il suo carico di morte. Priyos comprese che sarebbe ato molto tempo prima che tornasse ad essere pronunciato. Posò una mano sulla spalla del fanciullo e il calore del palmo infuse a Niab un’immotivata sensazione di tranquillità. - Già lo sa,- sussurrò il saggio, levandosi subito dopo e avvicinandosi al giaciglio di Fintan. - Era per questo che volevi che lasciassimo Bibrax?- chiese ancora Niab, seguendolo con sguardo spento. Il vecchio annuì, poggiando le dita sulla tumefazione che gonfiava la tempia del druido. Fece un respiro profondo e poggiò le mani ai lati della testa del giovane. Sapeva che il sangue era ormai riassorbito, ma il fatto che ancora non si fosse svegliato lo inquietava. Aveva preferito mentire a Bran, facendogli credere che l’incoscienza del compagno fosse legata al suo tormento e non al trauma dovuto al colpo inferto con troppa rudezza. Priyos schiuse le labbra in un sorriso, poiché non era certo che quella fosse una menzogna. Anzi, era più propenso a credere che l’anima di Fintan indugiasse nei pascoli celesti, rifiutando di prender coscienza dell’accaduto. Oramai nessuna causa fisica giustificava quel delirio che durava da giorni. Qualunque motivo fosse, tuttavia, il saggio sapeva che non era importante. Quanto accaduto a Lugnasad aveva innescato una serie di eventi oramai inarrestabili ed ora l’unica cosa da fare era rimanere all’erta, per comprendere quando sarebbe giunto il giusto tempo per far ritorno alla foresta e unirsi ad Anara. Di una cosa era certo: il sacrificio di Aisia aveva portato i risultati sperati e la rabbia di Amorgen pareva essersi chetata. Ora veniva rivolta verso gli invasori che, giorno dopo giorno, avanzavano a velocità prodigiosa. Il miraggio della
spada, dono degli Dei, era più forte di qualsiasi razzia, peraltro scarsa, data la devastazione delle terre degli Ancaliti. Priyos si interrogò sulla via che avrebbero scelta: sfidare la prodezza del campione di Lugotorix o preferire la battaglia in campo aperto. Poi si toccò la fronte, scostando le mani dal volto di Fintan, sapendo che anche quella risposta sarebbe stata inutile. Le usanze di ciascun popolo erano differenti, ma il risultato sempre il medesimo. Per un istante la mente si schiuse e i ricordi emersero vividi in tutta la loro crudezza, evocando echi di altre battaglie che, a quei tempi, i suoi occhi erano stati in grado di vedere. Fece un respiro profondo, tornando a sedere accanto a Niab e poggiando la mano sulla sua spalla, nell’unico conforto possibile per il suo cuore contratto. Era sempre lo stesso, si disse, poggiando il capo alla parete. Piccoli uomini intenti in faccende che nulla avevano a che vedere col vero volto delle cose. Piccoli uomini smarriti in eventi troppo grandi per essere compresi. Solo una mente perduta nella follia poteva supporre che morte e distruzione fossero valide soluzioni: una mente addormentata, inconsapevole delle vere leggi del cosmo. Poi, quando gli eserciti si ergevano tronfi nei loro paramenti, in qualsiasi parte del mondo li avesse scorti, dicevano sempre la stessa cosa: l’incapacità di osservare e comprendere il legame che univa il Tutto, di udire l’alito di vita che sempre soffia, chiamando ciascuno al suo destino. Se solo avessero potuto, anche per un solo istante, udirne il mormorio! Certo la Storia sarebbe stata scritta in un modo differente. Ma, oltre agli eserciti, egli aveva potuto scorgere anche quei saggi che sapevano porre orecchio al canto della realtà e muovere il o oltre i vincoli imposti dalla natura dell’uomo. Solo questo gli aveva dato la speranza per proseguire il cammino. E sapeva che, in quel medesimo istante, mentre piccoli uomini ponevano termine a vicine esistenze, con il ferro o con la lingua, essi si muovevano silenziosi, elevandosi sul presente e chiamando la quiete su quel mondo travagliato, muovendosi sicuri fra quelle leggi che governano il destino, oltre lo spazio e oltre il tempo. La natura umana non può essere mutata se non in piccole quantità!, ricordò, richiamando gli insegnamenti dei suoi Maestri. E lui, nel suo piccolo mondo, aveva tentato almeno un cambiamento, esattamente come gli era stato insegnato. Ma aveva fallito. Il sogno era giunto puntuale a smentirlo. Strinse le dita sulla spalla di Niab e il ragazzo volse il capo. Gli occhi lucidi di pianto dicevano della
sofferenza che a lungo avrebbe abitato il suo cuore. Egli percepì il tremito che lo scuoteva. Così gli sorrise, mentre un alito di speranza palpitava lieve, colmando l’attimo e il futuro ancora incerto di quel fanciullo, l’ultimo depositario dell’antico insegnamento.
Uscito dalla fucina di Fintan, Bran si diresse alla porta della città. Voleva controllare la situazione di persona e, se ne avesse avuto il tempo, misurarsi con la spada. La spalla era ancora indolenzita e voleva essere pronto per gli scontri che si stavano preparando. Aveva deciso di tralasciare l’addestramento dell’auriga, sapendo che, se la sua abilità gli avesse consentito di superare indenne la battaglia, avrebbe cercato un giovane più adatto. Adesso avanzava a o spedito, ignorando i cenni dei anti, la rabbia che lo guidava e che presto avrebbe trovato sfogo nell’allenamento. La preoccupazione per Fintan l’aveva costretto nella sua fucina, ma quel giorno la tranquillità che sempre scorgeva sul volto di Priyos l’aveva esasperato. L’inattività e le notizie sempre più pressanti l’avevano reso irascibile. Superò le mura levando il capo oltre le tende, osservando il daffare dei guerrieri accampati. Adesso che, dopo la morte di Aisia, i ribelli si erano dispersi, pochi uomini bastavano a sedare le ultime rivolte e il grosso dell’esercito era in ozio al di fuori delle mura di Bibrax. Serrò le labbra contrariato: quella sera stessa ne avrebbe parlato con Lugotorix. Era necessario che fossero pronti quando gli invasori fossero giunti nella piana oltre il Tempio di Anki. Oramai era questione di giorni. Aguzzò lo sguardo ai piedi della collina e scorse i cavalieri intenti nell’allenamento quotidiano. Fra tutti la lunga chioma di Elowen sfolgorava come un fuoco sotto il sole vivace. Sostò ad osservarla. Poi riprese a scendere a o svelto. Giunto ai bordi del campo si fece consegnare un destriero e si tuffò nella mischia. I cavalieri subito si aprirono, in un’onda pronta a rifrangersi, e quando il braccio di Bran levò in alto la spada, le grida turbinarono nell’aria e gli uomini si lanciarono al galoppo. Dall’alto degli spalti Lugotorix lo guardava. Il re aveva notato la figura del giovane scendere il declivio, attardandosi talvolta a scrutare fra le tende. Il modo di incedere rivelava la furia trattenuta a stento. Probabilmente la stessa che abitava il suo cuore. Lugotorix poggiò le mani sul legno. L’attesa stava snervando gli uomini. Ma altro non era possibile fare. A breve sarebbero giunti
gli eserciti e presto si sarebbe scatenata la battaglia. Probabilmente l’ultima battaglia che avrebbero veduto i suoi occhi. Sospirò. Oramai aveva deciso. Una volta respinti gli invasori, avrebbe lasciato il posto alla guida della comunità a Bran. E l’unico modo per farlo, ne era cosciente, era condurre egli stesso i guerrieri nell’ultimo scontro, anche violando le tradizioni, che vietavano ai sovrani di scendere in prima persona nella mischia. Certamente, nella confusione, si sarebbe presentata la giusta occasione per non generare sospetti. Se gli Dei l’avessero accolto con favore nella Terra della Giovinezza, sarebbe morto con onore sotto il ferro dei Durotrigi. Ripensò alla giovane sposa che l’aveva accolto nella penombra delle querce, al suo corpo sottile e scattante, ai seni pieni e i fianchi giusti per una numerosa discendenza. Il fuoco dei suoi capelli sempre gli colmava lo sguardo, quando rivedeva quel volto abbandonato contro la propria spalla. E l’orgoglio si mescolò all’affetto. Lasciò vagare lo sguardo sul campo d’allenamento e la scorse ritta sul destriero, fiera come sempre sapeva essere, e il fulvo della chioma si mescolava all’oro dei ricci di Bran, intento a fronteggiarla. Li osservò a lungo, intenti, comprendendo la complicità che li avvolgeva, che sempre li aveva avvolti. Comprese il dolore e la lealtà. Infine seppe che, alla sua morte, quella giovane regina avrebbe avuto al fianco colui ch’egli aveva amato come un figlio, desiderato come figlio. A quel pensiero il cuore parve chetarsi, nella certezza di lasciare il suo popolo in buone mani. Poi tornò ad allungare lo sguardo e i riverberi della spada che tagliava l’acciaio gli colmarono gli occhi in una promessa di vittoria.
21. La scelta di Bran
Innanzi agli occhi di Bran, la pianura era una distesa piatta e uniforme, un mare che presto sarebbe stato percorso da turbini di tempesta, calpestato dall’impeto degli eserciti. Il suo confine era tracciato da una linea sottile, all’orizzonte, che si ingigantiva al o delle schiere dei Durotrigi che avanzavano. L’aria era percorsa da un rombo, portato dal vento e dai piedi dei nemici. Nel cielo nubi si addensavano. Il giovane volse il capo e comprese in un unico sguardo l’esercito schierato alle sue spalle. Al centro stavano i fanti, protetti da lunghi scudi ovali con gli umboni sporgenti, i giavellotti in pugno e la spada al fianco. Loro era il compito di squarciare il cuore delle schiere nemiche, in un primo urto che avrebbe segnato gli esiti della battaglia. Alla destra si ergevano i cavalieri, la lancia ritta, il volto fiero, gli occhi alla ricerca delle linee dei carri, pronti ad evitarle per scagliarsi contro il fianco degli avversari appiedati, confondendone le fila e portando scompiglio. Ad entrambe le ali della formazione stavano i carri, disposti a raggiera, i guidatori seduti e i guerrieri ritti alle loro spalle, gli scudi sull’avambraccio, la spada a tracolla e i numerosi giavellotti stretti nel pugno. Col loro fragore avrebbero distratto il nemico, piombando sui cavalieri avversari, tagliandone la via o travolgendone i destrieri, e proteggendo il cuore del proprio esercito. Sul volto di tutti si scorgeva il rossore dell’impazienza, mentre, in quell’immobilità totale, la furia risaliva, rubata alla terra, per diffondersi ad ondate, sino a dardeggiare dagli sguardi. Bran la percepiva come un tocco arroventato, che gli percorreva le viscere con un pulsare sordo, in vampe crescenti, ritorte come spirali attorno alle membra. Nella gola premeva, trattenuto, il grido di battaglia, pronto a scatenarsi e a dar sfogo al furore che lo percorreva. I suoi occhi si posarono su Elowen, ritta fra i cavalieri, e, in un lampo, il fuoco che già pulsava nei lombi divenne divampare di fiamma, in un tormento dilaniante, ampliato da quell’immobilità imposta e a fatica trattenuta. Si tese, bilanciando il corpo sulla cassa del carro, serrando le dita sui giavellotti e tornando a fissare l’orizzonte. Adesso le schiere nemiche avevano preso consistenza e poteva scorgerne la disposizione. Valutò il bilanciamento delle
forze e un sorriso sornione si disegnò sulle labbra. Fece un cenno e i cavalieri mutarono forma alle sue spalle, avanzando e disponendosi fra i carri e gli uomini appiedati. Poi, quando anche le schiere dei Durotrigi si fermarono, prendendo posizione, l’immobilità tornò sovrana. L’aria parve addensarsi, pesando sugli eserciti che si fronteggiavano. Ad un tratto le armi presero a battere contro gli scudi. Il loro cozzare giungeva nitido sin sugli spalti della città, ove gli occhi attenti di Lugotorix seguivano ogni mossa; e, aumentando d’intensità, diventavano un rombo ossessivo. Bran si erse sul carro, levando la mano che reggeva le armi, e a quel gesto il frastuono parve salire in un’eco restituita dalle schiere nemiche. Il suo grido eruppe, feroce e vibrante, e il corpo venne percorso da un sussulto, mentre abbassava il braccio e l’esercito iniziava la corsa, le urla che lo anticipavano. Si spostò sulla sinistra, liberando il o ai cavalieri, ponendosi innanzi alle schiere dei carri in corsa, il cui frastuono univa strepito al tumulto, bilanciando il peso del corpo sulle asperità del terreno. Ora poteva scorgere i volti degli avversari, distorti dalla rabbia. Toccò la spalla al guidatore, che prese a percorrere un’ampia curva, disponendosi di taglio contro i cavalieri avversari. Alle sue spalle i compagni seguirono la sua scia, imitati, a specchio, da quelli che stavano dalla parte opposta del campo. Prese la mira e il primo giavellotto si librò nell’aria, diretto alla gola del nemico più prossimo che stramazzò in un singulto. I Durotrigi mutarono posizione, pronti ad assorbire l’urto dei carri, mentre il cielo s’oscurava sotto una pioggia di legno e metallo. Quando il destrieri giunsero allo scontro, s’impennarono con furia, il carro scartò di lato e Bran, sfoderata la spada, prese a menar fendenti su cavalieri e cavalli. Il sangue sgorgò, spruzzandogli il volto e le vesti. Il guidatore trattenne gli animali un solo attimo, per poi spronarli in modo da aprire un ampio squarcio nella schiera avversaria, mentre il guerriero alle sue spalle tracciava una scia di morte. Giavellotti volarono nella loro direzione, deviati dalla spada fulminea di Bran. Ad un tratto, al centro, lo scontro dei fanti scosse la terra e la vibrazione si propagò come un’onda, sotto i piedi dei guerrieri. Il carro sussultò e Bran spiccò un balzo a bilanciarsi, evitando una spada avversaria. Lesto rispose, spiccando dal torso la testa dell’assalitore. Si flettè sulle ginocchia e, di punta, squarciò il ventre dei destrieri che gli sfilavano ai lati, i cavalieri che rotolavano nella polvere, investiti dalla corsa del veicolo e dilaniati dalle ruote cerchiate col ferro. Levò lo scudo a parare, e fece un nuovo affondo, mentre il carro curvava e si fermava al centro della mischia. Dalla gola di Bran uscì un urlo selvaggio, mentre saltava a terra e colpiva, accecato dalla
furia. L’urto di uno scudo, a sinistra, lo sbilanciò, ma fu lesto a riprendersi, balzando di lato e colpendo di taglio, tranciando di netto il braccio dell’avversario sopra il gomito. Poi, ritirando la spada, colpì col pomo un guerriero che lo caricava alle spalle, che stramazzò. Infine tornò subito in un nuovo affondo, diretto al fianco di un nuovo guerriero che lo fronteggiava. Per un attimo Bran levò lo sguardo oltre la confusione, e s’avvide che il centro dei Durotrigi stava ripiegando. Allora balzò di nuovo sul carro e riprese la corsa, percorrendo un cerchio a serrare gli assalitori. La spada era un pallido bagliore, sfocata nel movimento fulmineo, e, come una falce sulle spighe, lasciava corpi lungo la scia. Le labbra di Bran non cessavano il grido di battaglia, che, levandosi con ferocia crescente, istigava la sua stessa furia. Quando il nemico ripiegò, gli Ancaliti presero ad inseguirlo. Poi, al richiamo del loro campione, si immobilizzarono, le spade levate, gli scudi innanzi a loro, e ancora quel lugubre ululato sulle labbra. Alle loro spalle la pianura era mutata in una distesa di corpi e armi spezzate, immersi in un mare di sangue ed erba divelta. Bran volse lo sguardo a controllare i caduti, mentre ancora il furore lo percorreva, non sazio, e il suo corpo tremava, pronto a continuare la lotta. E ancor più si accese, in un desiderio dirompente, quando i suoi occhi incontrarono quelli dardeggianti di Elowen, in piedi poco discosta. Circondato da quella distesa di morte, il sangue che lo copriva colando il lente scie, udì il richiamo della vita salire a colmarlo e il suo corpo si tese in uno spasmo violento, che più non poteva trovare sfogo nello scontro. Il fremito aumentò e la gola si colmò di un nuovo grido, che esplose all’intorno in un trionfo, subito imitato da quello dei compagni. Allora levò le braccia e chiamò la ritirata. Svelti, i guerrieri ripiegarono su Bibrax. Ma Bran non li seguì. Sapeva che quella furia non doma avrebbe continuato a lungo a percorrerlo, consumandolo come fa il fuoco con la brace, sino a quando non avesse trovato il modo di manifestarsi o di venir placata. Già in quell’istante si sentiva soffocare dalle sue spire. Toccò la spalla al guidatore, indicandogli le pendici del campo di battaglia e subito il carro mutò destinazione. Quando fu ai limiti della radura, smontò, consegnò lo scudo al compagno e, riposta la spada nel fodero, prese ad inoltrarsi fra le querce, diretto al fiume. Voleva ripulirsi del sudore e del sangue della battaglia e chetare nella frescura la vampa che lo bruciava. Accelerò il o e nemmeno quel movimento riuscì a calmarlo. Oltre lo sguardo, la mente evocava, spietata, l’immagine della fanciulla che sempre lo
tormentava, il volto accaldato dalla lotta, i capelli di fiamma, sfuggiti alla treccia, la pelle candida, percorsa da ombre di morte e dal vermiglio del sangue. Un’immagine che chiamava la vita, oltre la distruzione dalla quale aveva trovato scampo, ancora una volta. Quando giunse sulla riva del fiume, Bran slacciò i legacci del cinturone e poggiò la spada sull’erba, si liberò degli abiti con mosse svelte e si tuffò. Il gelo dell’acqua fu come una sferzata e il giovane si tese, immerso, muovendo ampie bracciate. Quando l’assenza di respiro gli disegnò scintille oltre le palpebre, tornò a levare la testa nel sole e un nuovo grido uscì dalla gola, dandogli sollievo. Quando si volse, Elowen lo fissava dalla riva. Si guardarono e il tempo prese a rallentare, gravido, vischioso. Immoti, i corpi che sprigionavano grida silenziose, la tensione che disegnava fremiti sui muscoli contratti, riconobbero la medesima bramosia riflessa sui loro volti, come in uno specchio, ove più l’immagine si rifletteva, più veniva restituita moltiplicata. Allora la fanciulla posò lo scudo, sciolse la spada dai fianchi e prese a spogliarsi. Gli occhi di Bran divennero due fessure. Vide il candore della pelle protetta dalla stoffa e il vermiglio del sangue che tracciava disegni netti sulle braccia e sulle spalle, laddove gli abiti s’erano strappati. Vide i seni ergersi, mentre la blusa veniva sfilata oltre il capo, e ondeggiare subito dopo, invitanti, mentre le brache venivano abbandonate sull’erba. Al chinarsi, ciocche di capelli li percorsero e il giovane percepì il tormento mutare in supplizio. Non era più fuoco, quello che pulsava nel suo corpo, ma una lama incandescente che, penetrata dai lombi, irradiava il suo calore in uno spasmo, dal ventre alla gola. In quell’istante comprese d’essere perduto. Elowen si immerse e l’acqua s’arrossò del sangue dei nemici. Poi tornò ad ergersi, fulgida, rivoli che la percorrevano come carezze. Bran avanzò d’un o e posò le dita sulla sua guancia. La fanciulla si volse lenta, poggiando le labbra nel palmo. Quindi allungò una mano, a cercare il petto del compagno. Esitarono, fissandosi, gli occhi di Bran accesi in un rogo oramai fuori controllo. - Amami,- sussurrò Elowen avvicinandosi e sfiorandolo. S’inarcò, affondando i capelli nell’acqua e i seni si ersero, pieni, in un’offerta che non poteva esser rifiutata. Il giovane sfiorò i capezzoli con la punta delle dita e la fanciulla vibrò a quel tocco, come le corde di un’arpa toccate dal bardo più esperto. Tornò a rizzarsi, immobile, in attesa. Bran allora la strinse con foga,
cercandole le labbra con le labbra in un gemito strozzato, percependo il suo calore fondersi nell’abbraccio ricambiato. Affondò le mani nell’acqua e le strinse le natiche, attirando il ventre contro il suo corpo, l’urgenza che mutava in affanno e il desiderio in bisogno. La bocca del giovane prese a percorrerla, disegnando curve e anfratti, trovando luoghi celati, eppure concessi, le labbra che sorbivano stille madide che erano gocce di fiume, mescolate al sale della pelle. Il tremore di Elowen accompagnava ogni suo cenno, mentre il suo corpo si schiudeva in un tepore che era pretesa. Allora Bran la sollevò e, lento, la fece scivolare contro il proprio corpo, penetrandola e tendendosi. La fanciulla gli allacciò le mani sulla nuca e rovesciò il capo all’indietro, in un ansito che, finalmente, era liberazione. Gli premette le cosce contro i fianchi e allacciò le caviglie contro le reni, iniziando a muoversi lenta, guidata dalle mani del compagno. I loro corpi disegnavano increspature sulla superficie dell’acqua che, a mano a mano, mutarono in onde, e lo sciabordio s’accompagnò al respiro, accelerando al ritmo del movimento. Quando il seme sgorgò, colmando il ventre di Elowen, anche il furore di Bran parve colmarsi, per scivolare subito dopo dalle membra e disperdersi nelle acque che li circondavano. Percepì il fremito che li univa scemare in un unico grido, seguendo il pulsare del cuore che, a mano a mano, si chetava. Le bocche si unirono, in un singolo alito, mentre i muscoli si rilassavano e le tensioni si scioglievano. Nelle loro menti la furia era mutata in dolcezza e le immagini di morte in promessa di vita. Elowen tornò a poggiare i piedi a terra, premendosi ancora contro il corpo del compagno, in quel bacio che pareva non aver mai termine e che, sapeva, non sarebbe stato ripetuto. In quell’istante comprese che il loro sciogliersi sarebbe stato un addio. Così lo trattenne, stringendolo contro di sé, le labbra sulle labbra, le dita fra i capelli, mentre Bran, leggermente chino su di lei, indugiava nell’istante, desiderando non tornare più al presente. Ma, quando il volto di Lugotorix si delineò nella mente e oltre le palpebre serrate, le sue mani si sciolsero e il suo piede arretrò. Fu solo a quel punto che percepì il dolore occupare il posto liberato dalla bramosia. Un’ombra ò nello sguardo e i suoi occhi tornarono ad essere due pozze insondabili. Quella promessa di vita appena scorta già tornava ad essere un aleggiare di morte. La rabbia tornò a percorrerlo, ma non era più il furore del guerriero: era la consapevolezza d’aver mancato ad un impegno d’onore verso colui ch’egli considerava come un padre. Lasciò scorrere lo sguardo sulla fanciulla. Poi la strinse a sé, perdendosi in quell’ultimo abbraccio, le lacrime che parevano volersi disegnare nei suoi occhi, ma che erano solo riverbero delle acque del
fiume. La sollevò e a i lenti raggiunse la riva. La depose sull’erba, un sorriso che si disegnava sul suo volto. Infine, raccolti gli abiti e stretta la spada, s’avviò fra gli alberi. Elowen rimase a guardarlo svanire ancora una volta, il cuore stretto nella certezza che in quell’ultimo sorriso si celavano solo amarezza e determinazione.
Gli eventi gli erano sfuggiti di mano ed ora si susseguivano scomposti e non più controllabili. Così pensava Amorgen, seduto nella sua casa, gli occhi fissi sulle fiamme del focolare. Per quanto tentasse, ogni suo intervento era vano e si perdeva nel caos della fatalità. Per quanto interrogasse le stelle, gli Dei tacevano. Oramai da tempo le loro lingue erano mute, dall’istante in cui i granai delle fattorie erano stati svuotati con l’inganno. Più ripensava al susseguirsi dei fatti, più comprendeva che quel momento aveva segnato una svolta irreparabile. In che maniera ancora non riusciva a comprendere. Tuttavia tutto gli diceva che da quel punto, apparentemente insignificante nel fluire del tempo, le sue dita avevano perduto i fili della storia. E mentre lui tentava di tracciare una via che avrebbe condotto il suo popolo lontano da sconfitta e carestia, alla ricerca di un sovrano in grado di udire la voce della terra, un’altra strada veniva percorsa, celata ai suoi occhi ciechi. A quel pensiero altri occhi gli colmarono la mente, occhi cerulei e oscurati sul mondo, tuttavia profondi e vigili in quel volto rilassato, luminoso in una quiete imperturbabile, quella quiete che il suo cuore mai aveva conosciuto: gli occhi di Priyos. Serrò i pugni sulle ginocchia e si protese sulle fiamme. Ombre si disegnarono sul suo volto. Poi, strisciante come il sangue che cola sulla lama d’una spada, l’odio lo percorse, risalendo le membra e arrossandogli la fronte. Respirò a fondo, nel tentativo inutile d’allontanarlo, e ancora una volta comprese che quella lotta sarebbe stata strenua, tuttavia inconcludente. Alla mente si presentò l’immagine di Priyos, nel giorno in cui l’aveva veduto la prima volta e il suo cuore aveva sussultato, riconoscendolo. Ma non era il volto ad essere familiare: bensì quell’espressione serena, che lo circondava come un’aura, accompagnando il suo o e la sua parola. Era l’espressione di colui che possedeva la pace, il vero equilibrio che appartiene solo ai Maestri, una pace che si irradiava all’intorno, chetando il cuore di chiunque giungesse a toccarla. In quel giorno lontano, avrebbe potuto chinare il capo e tentare di penetrarne il mistero. Ma aveva scelto un’altra via, la via della lotta. Quella lotta che ora i
suoi occhi scorgevano ogni giorno sotto le mura di Bibrax, eco della sua stessa esistenza, impregnata di morte. All’improvviso la stanchezza calò sulle sue spalle, curvandolo. E Amorgen comprese la futilità dei suoi giorni. No!, si disse, non futilità. Mentre le sue dita tessevano la trama che avrebbe dovuto condurre a nuovi anni di prosperità, il suo odio gli impediva di scorgere quanto il suo piede si scostasse dalla volontà degli Dei, la volontà che Priyos costantemente indicava, inascoltato, talvolta tacitato, spesso ignorato. E ora nulla era più possibile per raddrizzare il o e quell’odio cocente era solo una conferma di distruzione. Si toccò la fronte e chiuse gli occhi. Immagini si mostrarono ed erano i suoi stessi ricordi: il volto splendente di Anara, mentre, fanciulla, gli sorrideva immersa nelle acque della fonte sacra, le sue gambe muscolose che si mostravano nella corsa, quegli occhi trasparenti, richiamo di mondi sperati. La fanciulla che aveva rubato il suo cuore. E poi il corvino della chioma di quello straniero era calato, oscurando il tempo, come la notte che scende a rubare il sole. Non pago, quel buio s’era propagato, e proprio dal ventre della fanciulla ch’egli aveva desiderato più d’ogni altra, per mostrarsi nei capelli di quei due figli, conferma di tradimento. Ora Aisia era morta e la soddisfazione d’aver veduto, per una volta, un’unica volta, il dolore offuscare la quiete sul volto del rivale, era valsa bene la distruzione che lo circondava. Le dita artigliarono la veste e la furia tornò a montare nei suoi occhi. Oramai erano giunti all’epilogo e solo gli Dei avrebbero potuto allungare la mano su quelle terre dilaniate. Si levò e, portato alle labbra un boccale di birra, bevve a lunghi sorsi. Quando infine tornò a fissare la fiamma, la speranza scese a colmargli il cuore, nel desiderio finalmente presente che i suoi occhi non giungessero a scorgere il termine di quei giorni. Si coricò e lo stordimento, come da molto tempo non accadeva, gli consentì, per una volta ancora, di dormire.
Elowen si muoveva rapida, mulinando la spada e seminando scempio. Ritta sul dorso del destriero, poteva spaziare sul campo di battaglia e spesso i suoi occhi si muovevano alla ricerca dell’alta figura di Bran, ritta sul suo carro. L’aveva osservato a lungo quel giorno, e ancor più attentamente negli istanti che avevano preceduto gli scontri. Nonostante il volto imibile, l’ombra che oscurava la fronte del giovane le aveva strappato un gemito di consapevolezza. Allora aveva
tentato di rimanergli al fianco durante la battaglia, pronta ad intervenire in caso di necessità. Comprendendo le sue intenzioni, Bran aveva sorriso, un sorriso pieno eppure privo di slancio. E ancora una volta il cuore di Elowen aveva mancato un colpo: la luce s’era spenta negli occhi blu del giovane. Parò un fendente con lo scudo e quel gesto la sbilanciò. Rovinò nella polvere, il cavallo che s’impennava, i denti che cozzavano con rumore sordo. Poi, lesta, si levò, mulinando l’arma, facendosi largo nella confusione del combattimento e tornando alla ricerca del giovane, senza scorgerlo. Ad un tratto una lama le stracciò la veste alle spalle, e la fanciulla si volse con scatto ferino. La spada di Bran aveva deviato il colpo mortale e ora baluginava con colpi di saetta. Elowen allora levò lo scudo, portandosi alle sue spalle, mentre ancora il suo braccio colpiva e il sangue dei nemici colava ad inzupparle le vesti. Era decisa a guardargli le spalle e a non lasciarlo un solo istante, facendo l’impossibile per tenere lontana la morte, scorta ed evocata dallo sguardo vacuo del giovane. Una gragnola di colpì calò da sinistra, e la fanciulla fu costretta a piegare il ginocchio, investita dalla sua potenza, mentre, da destra, un affondo le sfiorava il fianco, subito parato con mano sapiente. Balzò in avanti, sgusciando fra i due avversari e voltandosi lesta a colpire. Ma fu costretta ad arretrare, incalzata dai guerrieri. Ancora si scostò, riuscendo a sfuggire ad un nuovo affondo, mentre la lama penetrava, dal basso verso l’alto, sotto il mento di uno dei due, subito ritirata per un nuovo fendente. Quando anche il secondo nemico stramazzò al suolo, tornò a levare lo sguardo su Bran. Appiedato e poco discosto, il giovane era intento a muoversi nella mischia, il volto pallido, privo della furia che sempre lo accendeva durante gli scontri. Lo scudo si levava a parare e la lama disegnava archi calando e fendendo, ma Elowen percepì un’inusuale lentezza che tratteneva il movimento, facendolo giungere appena in tempo a deviare i colpi mortali. Ad un tratto, alle spalle del giovane, un guerriero dei Durotrigi allungò la lancia in un affondo. Gli occhi di Bran ebbero un guizzo, percependo quel moto, la spada fece uno scatto, d’istinto, per voltarsi a parare, ma il braccio del giovane la trattenne, immobilizzandosi. La lancia penetrò a fondo nelle carni, da dietro, e la punta acuminata traò il ventre, stracciando la stoffa della blusa poco sopra il cinturone. In quell’istante gli occhi di Bran si fissarono in quelli di Elowen e un sorriso gli incurvò le labbra, mutandosi in smorfia quando la lancia venne ritratta, lacerando e provocando un largo squarcio.
Per un istante Bran si erse, il pugno serrato sulla spada che tagliava l’acciaio. Quindi crollò sulle ginocchia, abbandonando lo scudo e portando la mano al ventre, nelle orecchie il grido furibondo di Elowen, che calava sui nemici, creando all’intorno un ampio spazio e proteggendo l’auriga che sollevava il corpo del compagno, per distenderlo sulla cassa del carro. Quando la corsa pazza del giovane si perse oltre le schiere nemiche, che si richiudevano sulla sua scia, Elowen seppe che il futuro del loro popolo stava mutando in ato. Dall’alto degli spalti, il volto di Lugotorix divenne una maschera di cera.
22. Ritorno al Bosco Sacro
Quando Fintan aprì gli occhi, Priyos sedeva accanto al giaciglio. - Il cerchio si chiude, giovane Fintan,- disse il saggio, accogliendo il suo risveglio.- Come oggi che la nostra storia sta per concludersi, così ebbe inizio molte lune or sono. Tutto gira, come una ruota, e il tempo si riavvolge su sé stesso. Tuttavia ad ogni svolta siamo differenti. Sta a noi decidere se migliori o peggiori.Il giovane batté le palpebre, frastornato dalle sue parole. Si portò una mano alla tempia, dove pulsava un dolore sordo, e controllò il gonfiore quasi scomparso. Un pensiero improvviso gli attraversò la mente e le sue labbra si contrassero. - Non è stato un sogno,- confermò Priyos, la voce profonda. A quelle parole il volto del giovane sbiancò, mentre il ricordo emergeva in tutta la sua crudezza.Così era scritto. Ora possiamo unicamente muovere i prossimi i lungo il cammino tracciato. Come già ti dissi, i tuoi ti riporteranno da Oinos. E stavolta apprezzerei se tu dessi subito ascolto alle mie parole.Il tono leggero che coloriva la voce del saggio mal si coniugava con l’espressione del suo volto e Fintan comprese che Priyos stava tentando di tenere lontana da lui la disperazione. Si sollevò sul giaciglio e gli posò un mano sul ginocchio, a rassicurarlo. - Se temi per la mia vita, puoi abbandonare qualsiasi preoccupazione. La punizione peggiore sarà portare avanti i giorni con il tormento del ricordo.Priyos allungò una mano a toccargli il viso, percependo nelle parole di Fintan un distacco che era fin troppo ammantato di tranquillità. Sapeva che l’angoscia del giovane avrebbe dovuto trovare la via per mostrarsi, altrimenti l’apatia, giorno dopo giorno, l’avrebbe annientato. Tornò ad ergersi sullo sgabello, mentre Niab si avvicinava recando una ciotola di latte fresco. Fintan gli sorrise, combattendo la repulsione e portando alle labbra quanto gli era stato offerto. Il ragazzo lo studiò, le emozioni che si alternavano sul suo volto. Inizialmente aveva tentato di rivolgergli tutto l’odio che il suo cuore era in grado di contenere.
Ma quello sforzo si era rivelato inutile e la sua intelligenza gli aveva rivelato che era solo un tentativo volto ad allontanare il dolore. Anche se era stata la mano di Fintan a stringere l’arma che aveva tolto la vita a sua sorella, la verità diceva che quello era stato solo opera del caso. Gli eventi si erano succeduti in maniera scomposta sino a quell’epilogo, coronato dalla decisione di Amorgen. Forse avrebbe dovuto odiare lui, si disse Niab, dubbioso. Ma in realtà il suo cuore bramava unicamente la quiete. Così, quando Fintan restituì la ciotola vuota, le sue labbra risposero con lo stesso sorriso triste che aveva schiuso quelle del Maestro. Ad un tratto clangori colmarono la capanna e Fintan si tese, in ascolto. - Gli eserciti stanno combattendo nella piana, sotto le mura di Bibrax,- spiegò Priyos, alzandosi per poi sedere poco discosto. Fintan lo studiò attento. Quindi, con cautela, provò ad alzarsi dal giaciglio. Un capogiro lo colse, ma fu lesto a riprendersi. Per sicurezza, Niab si avvicinò, pronto a sorreggerlo in caso di necessità. - Da quanto tempo mi trovo qui?- chiese il fabbro, prendendo a muoversi a piccoli i, misurando le forze. - Sei notti,- disse Niab alle sue spalle. Fintan levò il capo e i suoi occhi si accesero di un dolore profondo, velocemente dissimulato dallo sforzo di compiere un nuovo o. Sedette al tavolo e fece per portare alle labbra un pezzo di focaccia. La nausea lo colse e istintivamente il fabbro allontanò il cibo. Infine, con uno sforzo, iniziò a mangiare. Priyos attendeva in silenzio che la furia del giovane esplodesse. Ma Fintan pareva assente, lo sguardo vacuo che si posava distratto sugli oggetti. Allora il saggio prese a parlare, narrando gli eventi di quegli ultimi giorni, descrivendo l’arrivo degli eserciti invasori e gli scontri che quotidianamente avevano luogo al di fuori delle mura. Il tono leggero e disinvolto strideva con la tensione del momento. Niab ascoltava distratto, mentre in lontananza il grido della battaglia aumentava, cadenzando il chiacchiericcio del vecchio druido. L’immobilità del fabbro talvolta attirava la sua attenzione. Ma subito l’inquietudine lo obbligava a tornare a porgere orecchio ai rumori lontani. Ad un tratto Fintan si ripiegò su sé stesso, cadendo in ginocchio e poggiando la
fronte a terra, scosso da conati, una mano a reggere il ventre, l’altra artigliata a stringere la polvere. Un lamento da animale ferito uscì lugubre dalle sue labbra, facendo rizzare a Niab i capelli sulla nuca. Il fanciullo fece per muoversi, ma un gesto perentorio di Priyos lo trattenne. Così rimase raggelato a guardare l’angoscia del fabbro che, finalmente, aveva trovato la via per mostrarsi. Le lacrime bagnavano il suo volto senza pudore, tra singhiozzi convulsi, i pugni poggiati a terra, impotenti. Il suo lamento era un canto di morte, sottolineato dai clangori lontani. Il tempo rallentò, ristagnando nel presente come un miasma, ammantando l’istante di un sudario che lentamente mutava in vermiglio. L’immagine del corpo straziato di Aisia, e il pensiero del figlio perduto, tornarono prepotenti, aleggiando nella capanna ed evocando nuove ondate di sofferenza, montanti come la marea. Infine, lentamente, come rubato dalla risacca, lo strazio di Fintan parve chetarsi e il giovane rimase a terra immobile, in ginocchio, del tutto svuotato. In quell’istante Priyos parlò e la sua voce quieta e vibrante scese a spezzare la tensione. - Ciò che è accaduto oramai è concluso. Il dolore si cheterà, impallidito dallo scorrere del tempo. Tuttavia sai che la maledizione che hai lanciata sul nostro popolo accompagnerà i tuoi i, sino a quando il tuo piede giungerà al termine del tuo cammino.- “Ed anche oltre”, aggiunse il saggio. E preferì tenere quel pensiero per sé, evitando di dargli forma concreta per non sfidare la fatalità.- Ma ancora molte sono le scelte che dovrai compiere e la tua mente non potrà esitare. Il futuro di queste terre non è più legato alle nostre decisioni. L’unica cosa che potremo fare è conservare memoria di questi giorni. Forse raccontarli a coloro che verranno,- disse, poggiando una mano sulla spalla di Niab seduto al suo fianco, in un invito che era anche un pronostico.- Stanotte lasceremo Bibrax,annunciò infine, abbassando il tono di voce.- Anara ci attende nella foresta.A quelle parole Fintan parve scuotersi. Si levò, incerto sulle gambe, poi affondò le dita fra i capelli scompigliati. Infine si chinò sul bacile e l’acqua gelida parve riportare colore sulle sue gote. Non visto, Priyos fece un cenno a Niab che, veloce, prese ad armeggiare sul tavolo ingombro. Quando Fintan si fu rivestito dell’abito dei druidi, gli porse una ciotola di zuppa, che il giovane prese a sorbire a sorsi cauti. Il silenzio calò, avvolgendoli.
Quando la porta si spalancò i tre sobbalzarono e Fintan levò lo sguardo, nuovamente attento, sul nuovo venuto. - Bran è stato colpito,- annunciò il guerriero spostando lo sguardo nervoso sulle tre figure che gli si presentarono alla vista.- Chiede di Fintan,- aggiunse fermando lo sguardo sul fabbro. L’urgenza che traspariva dai suoi occhi obbligò il giovane a levarsi senza indugio. Poi, a o svelto, seguito dai compagni, raggiunse la casa del guerriero. La penombra li accolse e i tre esitarono sulla soglia, attendendo che il baluginio del sole si fosse allontanato prima di poter mettere a fuoco lo sguardo. Bran giaceva sul giaciglio, il volto cereo coperto da un velo di sudore diaccio. Le mani premevano sul ventre, stretto in una fasciatura di fortuna intrisa di sangue. Quando Fintan si avvicinò, schiuse le labbra in un sorriso che mutò in smorfia, trasformando il suo volto in una maschera grottesca. Il cuore del druido parve fermarsi, mentre la ragione gli diceva, inascoltata, che poco avrebbe potuto fare. Si chinò sul compagno. Gli scostò le mani e prese a svolgere le bende. Quando i suoi occhi si posarono sullo squarcio che apriva il ventre, levò gli occhi su Priyos. Il saggio nel frattempo aveva preso posto accanto al giovane e ne controllava lo stato facendo scivolare le mani sul suo corpo. Quando raggiunsero la ferita, indugiarono a lungo senza toccarla, e sul suo volto ò un’ombra che fu eloquente più qualsiasi parola. Fintan, allora, prese delle nuove bende di lino e rifece la medicazione con gesto cauto. Niab era ritto ai piedi del giaciglio, le labbra serrate. - La tua spada sa tagliare l’acciaio,- prese a dire Bran con voce incerta, respirando a fatica fra una parola e la successiva.- Ma nulla può contro le lance che colpiscono alla schiena.Un rantolo lo scosse e un fiotto di sangue salì a colorargli le labbra. Fintan lo asciugò con gesto preciso. - Adesso è necessario che tu riposi,- prese a dire il druido, mentre Priyos poggiava la mano sulla fronte del guerriero. Ma Bran si tese sul giaciglio verso Fintan e le nuove bende si colorarono all’istante. - Come vedi, presto riposerò nella Terra della Giovinezza. Ma prima è
importante che tu faccia per me un’ultima cosa,- disse al compagno, lasciandosi cadere nuovamente sul guanciale. In uno sforzo, levò il braccio ad indicare la spada poco discosta.- Più di una volta mi ha reso salva la vita. Ed è stato come se fosse il tuo braccio a proteggermi. Voglio che la riprendi,- dichiarò perentorio, le parole subito rubate da un rantolo.- È necessario che non cada in mani sbagliate. Se i nostri nemici dovessero arrivare a brandirla, il mio popolo non avrebbe scampo.Un nuovo eccesso lo scosse e il sangue colò ad inzuppare le coltri. - Farò come chiedi, - assicurò il fabbro, stringendo il polso del compagno.- Ora riposa,- invitò di nuovo con voce quieta. Lo sguardo del guerriero penetrò quello verde del druido e gli occhi blu riverberarono d’orgoglio trattenuto a stento. Senza rumore, il suo respiro si spense, mentre il cuore di Fintan sprofondava ancor più nell’abisso che già lo ospitava. Il fabbro allungò le dita a serrare gli occhi del compagno. Infine rimase immobile, gli occhi asciutti. Non aveva più lacrime da versare. Priyos gli posò una mano sul braccio, a scuoterlo. Così il giovane si levò e, voltatosi, recuperò la spada. Con mano tremante la cinse ai fianchi, poi tornò con lo sguardo al guerriero. - Fa venire i servi,- disse Priyos rivolto a Niab, volgendosi subito dopo verso Fintan.- Qui non possiamo fare più nulla. È giunto il tempo di lasciare Bibrax.-
La notte era tersa e le stelle occhieggiavano nel cielo. La luna nera si ergeva altera nella sua ombra, avanzando lenta verso le colline ad ovest. Un vento gelido spazzava la città, annuncio dell’inverno incombente. Nella pianura lontana il campo degli attaccanti era avvolto in un silenzio profondo e le sentinelle si radunavano attorno ai fuochi per riscaldarsi. Sugli spalti i difensori si stringevano nei mantelli, rabbrividendo ad ogni nuova raffica. Su tutti la stanchezza allungava le dita avide. Tre figure si muovevano nell’ombra, caute, seguendo silenziose il perimetro delle capanne, dirette al varco che dava all’esterno. Priyos poggiava una mano sulla spalla di Fintan, che lo precedeva osservandosi attorno vigile, pronto a celarsi nel buio della notte. Niab chiudeva il piccolo drappello, il cappuccio
levato a nascondere il volto. Viaggiavano leggeri, diretti alla foresta, nel luogo in cui Anara li stava attendendo. Superarono la grande porta senza difficoltà. Poi presero a scendere a o svelto la via che li avrebbe condotti alla piana. Quello era il tratto di percorso che più preoccupava Fintan. Ma, ringraziando gli Dei, solo la luce delle stelle poteva svelare i loro i. Così si mossero svelti, ombre fra le ombre, confondendosi fra i bagliori strappati all’erba umida. Quando raggiunsero il sottobosco, alle labbra di Niab sfuggì un sospiro di sollievo. A quel punto rallentarono il o inoltrandosi nell’oscurità, fra le querce secolari. Il silenzio era profondo e l’umidità spandeva effluvi dolciastri. Niab si pose innanzi al gruppo e prese a seguire la via che li avrebbe condotti al lago. Quando emersero dal folto della vegetazione e le acque scure disegnarono un arco sino all’orizzonte, i tre si fermarono, esitanti, aguzzando la vista nell’oscurità. Subito una figura ammantata emerse dall’ombra e Anara prese ad avanzare lenta. Allora Niab accelerò il o e, di corsa, raggiunse la madre, che lo accolse fra le braccia in un sospiro di sollievo. - Per quanto ti sapessi al sicuro a Bibrax, il mio cuore non ha cessato un istante di temere per la tua vita,- gli sussurrò all’orecchio, scostandosi e facendogli scivolare le dita leggere sulla fronte. Niab chinò il capo, riconoscendo in quelle parole la stessa angoscia che aveva stretto il suo cuore. Quando Priyos si fu avvicinato, Anara gli strinse i polsi e le sue labbra si schio in un sorriso quieto. Fintan stava immobile poco discosto, voltando le spalle ai compagni, lo sguardo perduto sulle acque immobili, screziate di bagliori alla luce delle stelle. Ripensava alla prima volta che aveva veduto quei luoghi e il dolore lo avvolgeva con il suo tocco asfissiante. Anara gli poggiò una mano sulla spalla e il giovane volse il capo. Le lacrime brillavano negli occhi di smeraldo. - Dobbiamo lasciarla andare,- sussurrò la donna, le labbra schiuse in un sorriso quieto.- Aisia ha fatto la sua scelta ed è giusto che venga rispettata. Stanotte ti affido l’altro dei miei figli. Sono certa che la tua lealtà saprà condurlo in luoghi sicuri e la tua tenacia guidarlo sulla via della conoscenza.A quelle parole la mano di Niab si strinse sul polso della madre, le nocche livide sotto la forza di quella stretta.
- Tu non vieni con noi?- chiese con voce strozzata, affondando gli occhi colmi di disperazione in quelli della donna. Anara scosse il capo e una ciocca di capelli le scivolò sulla fronte in una carezza lieve. - Il mio futuro è scritto in questi luoghi. Io e Priyos rimarremo a proteggerli.La donna allungò una mano a stringere quella del saggio e, per la prima volta, Fintan notò, con stupore, la somiglianza dei lineamenti dell’uomo riflessa sul volto del fanciullo. Un altro volto emerse svelto a cancellare l’istante e la tristezza del momento montò in furia. - Sapevi che era tua figlia,- sibilò avvicinandosi a Priyos.- E non hai mosso un dito per salvarla dalle mani di Amorgen!Il vecchio chinò il capo e la tristezza si disegnò sul suo volto. - Quello che era possibile è stato fatto. Attraverso te, Amorgen ha voluto colpire me.A quelle parole, pronunciate con semplicità disarmante, il furore di Fintan esplose. D’istinto la mano corse alla spada che aveva legata al fianco, la sguainò e la levò oltre il capo dell’uomo, che non accennò a spostarsi. Fu quell’immobilità a snebbiargli la mente e, presa coscienza del gesto inconsulto che stava per compiere, Fintan si volse e scagliò l’arma nell’oscurità. La spada vorticò, spandendo bagliori. Poi si infisse in una roccia poco discosta, penetrando sino all’elsa, lasciando intravedere le spirali tracciate dal fabbro, in una promessa di infinito. Il giovane strinse i pugni lungo i fianchi e nuove lacrime inondarono il suo volto. Priyos mosse alcuni i e poggiò le mani sulla pietra ch’era divenuta fodero per la lama baluginante. La roccia accolse il loro calore, ampliandolo. - Il tempo scorre, riavvolgendosi in volute di morte. Il presente ha veduto la vittoria e conosciuto la sconfitta. Il sangue è scorso a nutrire la terra. Molti popoli verranno e il loro piede calcherà ignaro questi luoghi remoti. E ancora nuove battaglie scuoteranno l’istante. Ma la speranza tornerà ad aleggiare.- La voce di Priyos si levò cristallina, colmando l’aria carica di presagi.- Verrà il giorno in cui questa spada diverrà un simbolo di lealtà e il suo metallo sarà salvezza per il nostro popolo, baluardo contro gli invasori.-
Lentamente si volse e tornò al fianco di Anara, il volto sereno, le labbra schiuse in un sorriso. Ad est iniziava ad albeggiare e il chiarore dei primi raggi danzava sul lago immoto, mutando le sue acque in rame fuso. All’intorno l’aria era pervasa dal canto degli uccelli, in un fragore che mutava in musica, disperso dalla brezza. Il profumo del giorno colmava, frizzante, l’attimo sospeso. - Ciò che è stato segna il nostro futuro,- iniziò a dire Anara.- E il ato non può essere mutato. Come un presagio, allunga le sue dita nel presente, conducendo le azioni che le nostre mani compiranno. Ma c’è un tempo, talvolta un solo istante, che separa il pensiero dall’azione. Quello è il momento che ci è concesso per intervenire e far prendere al futuro una via differente, liberandolo dal ato che lo imprigiona e rivelando il nostro vero destino.Le mani di Anara si posarono sulle spalle di Fintan, invitandolo a voltarsi. Quando gli occhi del giovane affondarono in quelli della donna, per un attimo parvero trovare la pace. Allora Anara gli strinse i polsi e le sue labbra si schio in un sorriso. - Torna alle tue terre e proteggi mio figlio,- sussurrò. Fintan chinò il capo in un assenso e la promessa venne pronunciata. - È tempo di andare,- invitò Priyos rivolto alla compagna e Anara tornò ad affiancarlo, serena. Niab si avvicinò, incerto, e il saggio allungò le mani sul suo capo in una benedizione rubata dal vento. Poi i due si volsero e presero ad avanzare verso il lago silenzioso, il o lento come una danza sull’erba tenera, i mantelli come ombre contro il chiarore del cielo. Si fermarono un istante sulla riva. Poi il piede affondò nelle acque gelide. Niab fece per lanciarsi nella loro direzione, in un grido strozzato che fece levare gli uccelli in un turbinio scomposto. Ma Fintan fu lesto a trattenerlo. Gli poggiò una mano sulla spalla e il suo sguardo penetrò quello del fanciullo, che si chetò, gli occhi ricolmi di lacrime. Fianco a fianco, tornarono a voltarsi. In silenzio osservarono le due figure ammantate scivolare nelle acque immote, sino a quando i flutti si furono richiusi, senza rumore, oltre il loro capo. Il tempo parve esitare, riavvolgendosi su sé stesso. All’intorno il canto della foresta si levò, in un frusciare lieve ricolmo di fragranze. I due indugiarono, gli occhi fissi sul lago, che parve baluginare in volute diafane sotto i raggi del sole nascente. Infine si
volsero e, in silenzio, imboccarono la via del ritorno.
Chiusa: Il canto di Niab
Fintan non si riprese più dalla morte di Aisia. Nemmeno quando la notizia della morte di Amorgen ci raggiunse sulla via del ritorno il suo volto tradì un’emozione, nemmeno quando si seppe che il popolo degli Ancaliti era stato cancellato dal corso della Storia. Avanzava nel presente con sguardo limpido, un sorriso lieve sulle labbra. Ma io sapevo quale tormento conservasse nel cuore. Spesso lo osservavo, non visto, anche quando il suo insegnamento si dipanava tranquillo e preciso all’ombra delle querce del Bosco Sacro. E in quei momenti scorgevo il vuoto incolmabile della sua anima, lo smarrimento che cadenzava il suo o, in apparenza così sicuro. Più di una volta ho desiderato che le mie parole potessero frangere quel baluardo di indifferenza ch’egli aveva eretto attorno al suo dolore. Ma nulla poteva scalfirne la determinazione. Allora mi allontanavo in silenzio, ben sapendo che, lontano da Fintan, anche il mio tormento avrebbe trovato la via per mostrarsi. Così tornavo al suo fianco e la vicinanza era fonte di conforto. Tuttavia, anche se lontano dalle terre che mi avevano conosciuto fanciullo, mai smisi di cercare notizie. Fui in grado, quindi, di ricostruire gli eventi che avevano avuto luogo dopo la nostra partenza. Seppi che gli ultimi sopravvissuti della mia gente, guidati da Lorcan, s’erano uniti alle schiere dei Durotrigi e, con valore, avevano combattuto al fianco dei guerrieri. Ma oltre a questo le voci del vento nulla sapevano aggiungere. E io accettai, definitivamente, che anche il nome del mio popolo e del suo sovrano si fossero smarriti nelle nebbie del tempo. L’unica certezza che avevo era che mai il mio cuore avrebbe scordato l’insegnamento impartitomi da mia madre. Spesso ne parlavo a Fintan, anche dopo che Oinos lo ebbe scelto come successore alla guida dei druidi del Bosco Sacro. E ogni volta che evocavo le parole di Anara, tentando di coniugarle con gli insegnamenti che stavo ricevendo, mi ascoltava con sguardo attento, talvolta sorridendo, come se quei concetti fossero già noti alle sue orecchie. Fu solo in punto di morte, quando oramai la sua lunga vita aveva fatto il suo corso, ch’egli mi rivelò quanto Aisia gli aveva mostrato sulle rive del lago. Mi narrò del colle e della brezza che recava il profumo dei meli in fiore e dello
stupore che aveva colmato i suoi occhi increduli. Inizialmente pensai che il suo racconto fosse solo leggenda. Ma poi quella visione di pace giunse con sempre maggior frequenza ad abitare i miei sogni. Così seppi che Fintan aveva compreso l’essenza delle parole di mia madre e di quei concetti aveva colmato l’insegnamento impartito nelle terre di Oinos, evitando che andassero perduti. Non mise più piede nella sua fucina. La sua ricerca si ergeva inscalfita dal tempo, infissa in una roccia, sulla riva del grande lago protetto dalla foresta. E spesso, quando la mia mente evocava l’immagine dell’elsa baluginante sotto i raggi del sole nascente, i miei occhi scorgevano quel colle lontano. Ai suoi piedi due figure ammantate si muovevano, serene, levando lo sguardo protettivo sul mutevole e incostante presente.
Appendici
Elenco dei personaggi suddivisi per clan, in ordine alfabetico
Clan degli Ancaliti Aisia: figlia di Anara e sorella di Niab; Amorgen: capo druido; Anara: referente del villaggio delle fattorie; Bechthir: responsabile delle scorte di Bibrax; Bran: guerriero, campione di Lugotorix; Caolan: apprendista di Priyos; Carow: referente per le scorte del villaggio delle fattorie; Clesek: guerriero, figlio di Mawgan; Delen: compagna di Lorcan; Elowen; figlia di Mawgan; Lorcan: capo dei ribelli; Lugotorix: re del clan; Lutterio: rappresentante dei fabbri; Masek: auriga di Bran; Mawgan: capo delle guardie di Lugotorix; Melyor: fanciulla delle fattorie;
Muir: compagno di Lorcan; Nardos: druido-bardo; Nessa: moglie di Carow; Niab: figlio di Anara e fratello di Aisia; Priyos: druido; Rosmerta: apprendista di Amorgen;
Clan degli Atrebati Catigern: re del clan; Gawain: guerriero, campione di Catigern; Glewas: capo druido;
Clan dei Carnuti Ardanos: druido; Fintan: druido e fabbro; Oinos: capo druido e Custode del Bosco Sacro; Saima: bambina, amica di Fintan;
Elenco dei clan e delle città
Alba: l’attuale Scozia; Albion: antica Britannia; Ancaliti: clan celtico della Britannia meridionale. In questa storia il loro territorio comprende, all’incirca, il moderno Wiltshire; Atrebati: clan celtico della Britannia sud-orientale il cui territorio comprende il moderno Hampshire, il Sussex occidentale e il Surrey; Bibrax: capitale del clan degli Ancaliti; Carnuti: clan celtico della Gallia stanziato fra la Senna e la Loira; Cenabum: capitale del clan dei Carnuti, corrispondente all’attuale Orléans; Deganwy: capitale del clan degli Ordovici; Dobunni: clan celtico della Britannia sud-occidentale e occidentale il cui territorio comprende la contea di Avon, il Somerset settentrionale e il Gloucestershire; Dumnoni: clan celtico della Britannia sud-occidentale il cui territorio corrisponde all’incirca all’attuale Cornovaglia; Durotrigi: clan celtico della Britannia sud-occidentale il cui territorio comprende il moderno Dorset, sud Wiltshire e Somerset meridionale; Ordovici: clan celtico della Britannia occidentale il cui territorio corrisponde all’incirca al nord del moderno Galles; Parisi: clan celtico della Gallia stanziato sulle rive del Sequana (l’attuale fiume Senna);
Glossario dei termini
Beltane: nome della festa sacerdotale del primo di maggio. Segnava il aggio dalla stagione invernale a quella estiva; Carnyx: strumento musicale a fiato, solitamente zoomorfo; Fintan: nelle leggende irlandesi, uomo e druida primordiale, che visse dall’epoca del diluvio fino alla conversione dell’Irlanda al cristianesimo, ando per metempsicosi attraverso stati ferini, per tramandare il patrimonio del sapere e della conoscenza; Imbolc: nome della festa sacerdotale del primo di febbraio; Lugnasad: nome della festa sacerdotale del primo di agosto, in onore dell’abbondanza e della prosperità garantite dal buon governo del sovrano; Porzione dell’eroe: nella tradizione irlandese, porzione scelta di cibo che nei banchetti veniva offerta al più grande campione presente. Salmone della Conoscenza: anche “Salmone della Saggezza”; secondo la leggenda, era un salmone che, dopo aver mangiato nove nocciole cadute nel Pozzo della Saggezza, acquisì tutto il sapere del mondo e la prima persona che avesse mangiato la sua carne, avrebbe ottenuto, a sua volta, questo sapere. Samain: nome della festa sacerdotale del primo di novembre. Segnava la fine e l’inizio dell’anno, pur non appartenendo né all’anno vecchio, né a quello nuovo. Segnava, inoltre il aggio dalla stagione estiva a quella invernale; Terra della Giovinezza: anche Terra dell’eterna Giovinezza o Terre dei Viventi, indica l’aldilà celtico; Torquis: girocollo, o collare, costituito da un anello, aperto o chiuso, con la parte terminale sagomata a tamponi.
Fonti
Celti “I Celti” - Catalogo della mostra di Palazzo Grassi (Venezia- 1991) - Ed. Bompiani; “Il mistero dei Celti” - Gerhard Herm - Ed. Garzanti; “I druidi” - Françoise Le Roux, Christian-J.Guyonvarc’h - Ed. Ecig; “Il druidismo” - Jean Markale - Ed. Mediterranee; “L’astronomia dei Celti - Stelle e misura del tempo tra i druidi” - Adriano Gaspani, Silvia Cernuti; “La guerra gallica” - Gaio Giulio Cesare - Ed. Einaudi;
Miti e leggende celtiche “La grande razzia” - a cura di Melita Castaldi - Ed. Adelphi; “La saga irlandese di Cu Chulainn” - a cura di Gabriella Agrati e Maria Letizia Magini - Ed. Mondatori; “I miti celtici” - Thomas William Hazen Rolleston - Ed. Longanesi & C.;
Archeometallurgia “I metalli nel mondo antico - Introduzione all’archeometallurgia” - Claudio Giardino - Ed. Laterza; http://archeologiamedievale.unisi.it/SitoCNR/Metalli/ferro/home.html -
Archeologia ed archeometria della produzione ceramica e metallurgica dall'antichità al Medioevo in Italia - A cura di Maddalena Belli, Silvia Guideri e Vasco La Salvia;
Antica Britannia “Stonehenge - Indagine nella Britannia neolitica 4700-2000 a.C.” - Rodney Castleden - Ed. Ecig; “Il mistero di Stonehenge” - John North - Ed. Piemme; www.dot-domesday.me.uk - From dot to Domesday - A history of Britain, from its creation, by rising sea levels at the end of the last ice age, to the product of William the Conqueror's great survey of his kingdom, the Domesday Book. By Stephen J. Murray; http://www.open.ac.uk/Arts/classical-studies/amesbury/index.shtml - Amesbury excavation - Summary of AA309 and U211 students’ field work at Vespasian’s Camp, near Stonehenge, Wiltshire, 2005-2011.
Origini europee “Gli indoeuropei e le origini dell’Europa” - Francisco Villar - Ed. Il Mulino;
Ringraziamenti
Ringrazio innanzitutto mio marito Marco, per la sua determinante presenza e per la sua capacità di farmi sempre sorridere.
Un grazie particolare va a Cristina M. Cavaliere (http://ilmanoscrittodelcavaliere.blogspot.it/), pseudonimo di Cristina Rossi, autrice, fra le molte cose, dei romanzi “Il Pittore degli Angeli”, imperniato sul contrastato rapporto fra il pittore Tiziano Vecellio e un giovane artista dalle doti molto particolari, e “La Terra del Tramonto”, un intreccio di vite e relazioni ambientate ai tempi della prima crociata, che ha curato l’editing di questo romanzo.
Infine ringrazio mia sorella Cristina, per la pazienza dimostrata nella lettura della prima stesura e per i suoi primi preziosi suggerimenti.