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IL MUSEO DELLE COSE INUTILI

Alessandro TASSI

EDIZIONI SIMPLE

Via Weiden, 27 62100, Macerata [email protected] / www.edizionisimple.it

ISBN: 978-88-6259-674-9

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Prima edizione digitale marzo 2013

Copyright © Alessandro Tassi

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IL MUSEO DELLE COSE INUTILI

In tutti i viaggi che ho compiuto, ho raccolto gli oggetti più svariati. Oggetti, per lo più, senza alcun senso ma che a me, proprio per questo, sono molto piaciuti. Ed è così, che in un angolo del mondo, ho allestito un museo di oggetti futili che ho chiamato “il museo delle cose inutili”! Beh, questo è proprio un museo insolito! Ci puoi trovare le cose più incredibili: ci sono occhi di tigre, ali d’elefante, squame di drago ed il cappello di un mago, c’è anche un cuore d’oro ed un’anima gemella, c’è pure una frittella imbalsamata e la testa di un tale tutta assonnata! Ci sono pezzi di montagne

e gusci di castagne! Nel museo delle cose inutili c’è tutto e niente, ci sono i ricordi di una vita che mi danno gioia infinita!

ZIO GIOVANNI

Zio Giovanni era oppresso dal peso degli anni, per non parlare dei suoi molti malanni, quando decise di non curarsene più, di divertirsi a più non posso, di farsi vedere perfino commosso. Visse una vita sgrammaticata, fino a morire d’indigestione di panna montata!

Ora, beato, se ne sta in Paradiso, su una soffice nuvola spaparanzato, a ridere di chi, sulla Terra, si lamenta dei tanti malanni ed è afflitto dal peso degli anni!

IL POETA E LA GUERRA

Il poeta aveva sei anni e tutta la vita davanti, quando nel suo villaggio arrivò la guerra e le bombe fecero tremare tutta la terra! Il poeta divenne soldato ed in mezzo al nemico venne mandato. Il suo nemico erano vecchi, donne e bambini che assomigliavano ai suoi fratellini! Il poeta non sparò neanche un colpo, ma gli altri commisero stragi ed eccidi sotto i suoi occhi atterriti. Il poeta smarrì la ragione e nessuna poesia portò mai a conclusione! Il poeta aveva sei anni e tutta la vita davanti, quando nel suo villaggio arrivò la guerra e le bombe fecero tremare tutta la terra!

BERENICE

Berenice la tua filosofia non mi si addice! Hai deciso di fare la scrittrice ed io ti ho assecondata in men che non si dice! Poi hai voluto fare la pittrice ed io sono andato da zia Bice per aiutarti ad esporre i tuoi quadri ad Amatrice! Mi hai assillato quando dovevi diventare una formidabile sciatrice. Ed io lì zitto ad ascoltarti, perché guai a chi ti contraddice! Ma ora che pretendi di diventar mia moglie, io mi ribello gridandoti sul muso, - Brutta scimmia, fatti ar queste tue voglie!-

CRISI DI COPPIA

Mi ero innamorato, ma tanto tanto che quando la vedevo rimanevo senza fiato!

La mia maestra era talmente bella che brillava nel cielo più di una stella!

Poi, un giorno sciagurato, in un compito scellerato, mi sono un po’ imbranato e lei, senza rimorsi, mi ha messo 5. A me, che, da quanto l’amavo, mi vedevo già sposato!

Allora sai che ho fatto? Non le ho più parlato

e mi sono divorziato!

CARNEVALE

Un orsetto ripieno di bambino tira i coriandoli ad un leoncino! Di mostri e transformer son piene le piazze e, perfino le mamme sembrano pazze per tener dietro ai loro piccini imprigionati in quei bei costumini.

Al giorno d’oggi, di Colombina ormai non c’è traccia ed anche Arlecchino pare non piaccia! Quel che mi resta del mio carnevale, è il ricordo di un Cow boy piccolino sommerso da un mare di stelle filanti, con Goldrake che lancia le sue lame rotanti.

Quanto vorrei tornare bambino

per mascherarmi da Topolino, lanciare coriandoli all’impazzata sopra un’aiuola di cioccolata, soffiare in faccia a damine e pirati stelle filanti di panna montata, fare scherzi a giovani e vecchi, divertirmi tra mille dispetti, dimenticarmi dei miei difetti! Ma ciò che mi resta del carnevale, è un orsetto con dentro un bambino che tira i coriandoli ad un leoncino!

DA GRANDI

Ma com’è essere grandi? Giorno dopo giorno, perdere tutti i propri sogni od avere solo dei bisogni? Alzarsi presto la mattina e lamentarsi perché è aumentata la benzina? Tornare la sera a casa stanchi quasi come dei briganti, dire ai figli ai tempi miei…e a nessuno dare del lei? Guerre, inquinamento, abusi e soprusi… Se fosse questo essere grandi, sono certo, ma proprio sicuro, di non voler crescere più! Voglio starmene sospeso su una nuvola senza più tornare giù!

DEDICATA A TE

Dedicata a te è questa filastrocca! Filastrocca per una bambina affatto sciocca, con i capelli che sanno d’albicocca, che cammina allegramente con un fiore stretto in bocca!

Filastrocca coccolosa, per una bambina assai golosa.

Filastrocca dove non piove fatta solo di parole nuove, parole colorate, strampalate, parole buttate alla rinfusa che raccontano d’un gatto che fa le fusa!

Filastrocca senza inizio e senza fine che attraversa ogni confine!

Filastrocca un po’ invadente

che all’improvviso salta in mente!

Filastrocca arrò arrò, questa bambina a chi la do!

Filastrocca da mangiare con la panna da leccare Filastrocca forse un po’ banale ma che non si legge sul giornale!

Filastrocca fatta di vita che sia piena ed infinita!

DOMANI ADESSO

Domani il sole sarà giallo, domani sentirò cantare il gallo, domani le stelle di notte brilleranno, domani qualcuno nascerà e forse qualcun altro se ne andrà, domani sarò puntuale, domani studierò, domani non andrò a scuola, domani magari piangerò, domani riderò a crepapelle, domani sarò buono ed ubbidiente, domani sarò dispettoso, domani i soldati partiranno per la guerra, domani non ci saranno dolore e sofferenza, domani ci sarà una nuova speranza, domani crescerò col mio cuore da bambino e sarò felice lo stesso perché domani è …adesso!

IL RIORDINATORE DI COSE

Questo lo metto lì, quest’altro lo metto qui! Questo va di sopra, quello va di sotto! Questo un po’ più a destra, quello un po’ più a sinistra! In alto è tutto pieno, in basso è tutto vuoto! Questo, ormai, non serve più, quello è vecchio e non va più! Per far prima, rovescio tutto in terra! Mamma mia, sembra scoppiata la guerra! Rimetto tutto a posto appallottolato, così rimane ben stirato! Non c’è che dire, sarò anche un tipo originale, ma quest’armadio non è certo messo male!!

IL RITORNO

In punta di piedi tornerò a salutarti e sarà bello rincontrarti, ripensare ai giorni belli di quando, da piccolo, mi tiravi i capelli. Se ne avrai voglia giocheremo ancora insieme con trenini e costruzioni come se io non fossi più lontano, come se avessimo eggiato tutto il tempo, tenendoci per mano!

ENRICO IL LOMBRICO

Tra grilli, cicale e feroci zanzare tutto il giorno sul prato, senza niente da fare, se ne sta un curioso lombrico chiamato Enrico. Enrico detesta le mezze stagioni, adora la pioggia oppure il sole detesta la nebbia e l’umidità ama soltanto oziare sul prato perché per lui è un posto incantato! Un giorno, un erotto affamato vide Enrico russare sul prato. Tutti gli insetti urlarono forte per strappare il lombrico alla sua sorte: Attento, Enrico, arriva la morte! Quando ormai sembrava perduto

il lombrico ricevette un aiuto. Un bambino diede un calcio al pallone che colpì dritto l’uccello mettendolo in fuga, mentre il volto di Enrico era tutto una ruga. Da quel giorno, il nostro lombrico non ozia più al sole ma striscia veloce tra i fiori del prato filando a casa dritto sparato!

LA NONNA RACHELE ED IL GATTO MICHELE

Nonna Rachele aveva un gatto di nome Michele. Questo gattino col muso nero era simpatico e mattiniero. Ogni giorno svegliava la nonna alle sei, le portava la colazione ed con lei andava in stazione, dove, insieme, guardavano i treni arrivare e partire finché la sera iniziava a venire.

Soddisfatti per la bella giornata, nonna Rachele ed il gatto Michele se ne tornavano a casa. Dopo una tazza di caffelatte se ne andavano dritti a dormire e nel caldo delle loro coperte, sognavano di grandi viaggi che da svegli parevan miraggi, immaginavano di andare di stazione in stazione a vedere i treni arrivare e partire, sperando che la sera tardasse a venire!

I BAMBINI DEL MONDO

I bambini son tutti poeti e, se gli parli, ti accorgi che non hanno segreti. I bambini hanno tutti un gran cuore ed alla vita danno sapore. I bambini sono mondi indifesi ed i loro pensieri, spesso, non sono compresi. I bambini sono grandi inventori, con la fantasia di mille colori. I bambini dicono sempre perché, ma i grandi non ne sanno un granché. I bambini, a volte, subiscon violenze e per questo non ci son penitenze. Nel mondo non c’è ideologia o convinzione che valga quanto un trenino di latta o che giustifichi una bambola rotta!(1)

1. Pessoa Fernando, il libro dell’inquietudine di Bernardo Soares.

IL DESIDERIO

Che bello sarebbe il mondo se fosse un buco con una ciambella intorno!

IL DIRIGIBILE

All’improvviso apparve nel cielo un dirigibile. Una gran folla si radunò nella piazza per scattare una foto ed avere un ricordo tangibile di quel coso incredibile. Il dirigibile planò silenzioso ed atterrò sulla Terra, con fare quasi scherzoso! La gente stava lì rumorosa, un po’ timorosa ma molto curiosa. Da una porta posta sotto la pancia dell’enorme pallone uscì una bambina piccina, piccina. Un grande stupore colpi dritto al cuore i presenti nel vedere quegli occhi ridenti. La bambina guardò verso la folla, poi, delicata, sorrise, agitò la manina e si sciolse nel vento. Nessuno si prese spavento ed ognuno tornò a casa contento!

IL SIGNOR ASPETTA ASPETTA

Il signor Aspetta Aspetta se ne stava tutto il giorno affacciato alla finestra aspettando che si raffreddasse la minestra.

Quando s’era ben freddata, lui la riscaldava perché troppo congelata, di certo, non se la mangiava.

Così facendo arono i giorni, i mesi e gli anni finché, magro come un chiodo, morì di fame senza avere mai assaggiato un panino col salame!

Fu fatto un grande funerale a cui partecipò tutto il paese e perfino un generale nonostante un potente temporale!

Giunto in paradiso, il signor Aspetta Aspetta non si mise certo fretta e, per disdetta, arrivò proprio all’ora di chiusura del cancello principale.

Non è colpa mia!- disse a San Petro. Durante il funerale c’è stato un temporale, s’è bagnato pure il generale!piagnucolò col volto tetro. Caro ragazzo, in Paradiso la regola è certa resta fuori chi non giunge puntuale!Sentenziò il santo lasciandolo di sale.

Da quel giorno, chiunque arrivi in Paradiso, troverà, fuori il cancello principale, il signor Aspetta Aspetta seduto ad aspettare di poter entrare!

I TRE PICCOLI PORCELLINI

- Ehi di laggiù, perché non venite quassù?! - Noi siamo i famosi tre porcellini, chi è lei signore, così ben vestito che sembra un dottore? - Sono il lupo catt…cioè, non sono un dottore ma un gran venditore! - E che vende di grazia: biscotti, frittelle o gustose caramelle? - Signori miei molto di più. Vendo case e villette, alte o bassette, magre o grassette, larghe e anche strette! - Signor venditore, ci faccia vedere il suo campionario che io voglio la casa di un milionario! - Ecco qui una casa di paglia, un rifugio sicuro ed ecologico, più resistente di un palazzo a due piani! - Grazie signore, la prendo io! Tutti lo sanno quanto rispetto l’ecologia, son laureato in tuttologia! - Bene, il primo l’ho sistemato. Vi mostro ora una casa di legno, non avete nulla da darmi in pegno? - Io ho solo un pezzo di pane, è sufficiente per combinare l’affare? - Signore mio basta ed avanza, anzi sa cosa faccio le regalo anche una stanza! - Come sono contento, questa casa di legno è proprio un portento! - E a lei che è rimasto per ultimo offro un’amaca… - Signor venditore non c’è bisogno perché io una casa già la possiedo, di ferro e cemento. Un vero portento!

- Contento lei che si accontenta di poco! Così il venditore si accomiatò e soddisfatto nel fitto del bosco si dileguò. - Che strano tipo! – Pensò il porcellino, poi fischiettando a casa tornò.

ò neanche un giorno che il lupo cattivo dal bosco spuntò.

- Ecco la casa fatta di paglia, ora con un soffio bello potente la spazzo via e così sia! - Oh mamma mia che brutta disgrazia! La casa è volata, con tutto quello che l’ho pagata!

Di corsa il porcellino si rifugia nella casa di legno del suo fratellino tutto preso in un riposino. - Che t’è successo così trafelato? C’è forse il lupo in giro affamato? - Hai indovinato! C’è proprio il lupo preciso spaccato che con un soffio via la mia casa ha spazzato! - Voi di là dentro, non mi fate perdere tempo uscite di fuori che vi mangio codini e zampetti, grugnetti e baffetti! - No, non usciamo. Ce ne stiamo chiusi qua dentro nella nostra casa di legno. Per averla un pezzo di pane ho dato in pegno! - Un altro soffio ancor più potente e la casa sparisce nel niente! - Aiuto, fuggiamo nella casa di nostro fratello prima che il lupo ci mangi il cervello! Entrambi affannati arrivano i due nella casa del saggio fratello mentre era intento a riparare il cancello.

- Che vi è successo così sudati? State correndo come dannati! - Il lupo cattivo abbiamo alle spalle, con un sol soffio ha distrutto le case. Presto chiudiamoci dentro a pregare perché quel brutto ci vuole mangiare! - Niente paura questo è cemento non è né paglia né legno, qui i soffi non servono a niente. State tranquilli qui siamo al sicuro, il lupo non entra lo giuro! - Forza, uscite che ho fame! La mia dieta è durata fin troppo, ora devo mangiare a più non posso solo la carne con l’osso! - Vienici a prendere brutto birbone, non abbiamo paura del tuo soffio potente, contro calce e mattoni non può proprio niente! - Ora assaggerete il mio soffio spaziale, quindi vi mangio braciole e guanciale! Ma soffia e risoffia la casa resiste anche se il lupo insiste ed insiste, finché alla fine stremato e sfiatato rimane svenuto nel mezzo del prato. Un’ambulanza lì di aggio lo carica a bordo ed a sirene spiegate lo trasporta in ospedale.

Questa è la storia del lupo cattivo e dei tre porcellini, della casa di paglia e di quella di legno che per quanto sian belle son niente in confronto a quelle in cemento. Le case in mattoni, brutte o stupende, enormi o piccine, con terrazzi o tetti per le famiglie son nidi perfetti.

IL RE E LA REGINA

Oggi il re è davvero sconsolato, triste e preoccupato, chissà che sarà stato?! Nel regno tutti sono felici: non ci sono poveri né ricchi e tutti sono amici. Solo il re è tanto scontento, a il tempo solo soletto a fissare l’orizzonte arrampicato sopra il tetto! Quando tutti han perso la speranza di vederlo ancora sorridente, ecco che il re, tutto eccitato, scende dal tetto e chiama l’attendente: - Lontano, all’orizzonte, ho visto qualcosa proprio sorprendente. Dice ridendo allegramente. - Presto, si attacchino i cavalli alla carrozza e se non è pronta basta anche una tinozza! E, così, in tutta fretta senza perdere altro tempo, il re parte diretto all’orizzonte. Nel suo viaggio supera il mare e la foresta ed infine un alto monte, finché raggiunge quel posto scorto all’orizzonte.

Si tratta, alfin, di un borgo grazioso e piccolino popolato da gente assai gentile che appena vede il re si mette ad applaudire. - Viva il nostro re, evviva il nostro sovrano! Esclama la folla al suo aggio. - Ho scorto di lontano una gentil donzella e me ne sono innamorato! Dice il sovrano tutto d’un fiato. - Ma chi sarà, chi non sarà questa gentil donzella?- S’interroga la folla. Fin quando il re aguzza la vista e scorge nel tumulto la donna tanto amata. - Io son la Gina, risponde interrogata. - No, non sono maritata e neanche fidanzata! - Bene, mia dolce prediletta, diventerai mia sposa. Ti prego, accetta in dono questa rosa! E fu così che il re tornò felice con al fianco la Gina che in tutto gli si addice. L’arrivo nella reggia fu un trionfo colossale. - Auguri al nostro re e a Gina, diceva il paggio con voce assai nasale. A furia di gridar tutti - auguri al re e a Gina -, il nome della giovane andò confuso e tutti si misero a gridar – auguri al re e a la Regina! Da quel giorno per tutti i Re la moglie prende il nome di Regina anche si chiami Gloria oppure Serafina!

I CAVALLINI BIANCHI

Ed ecco a voi, udite, udite: i cavallini bianchi che entrano in pista tutti trionfanti!

Ad ogni schiocco di frusta si fan più impettiti lanciando al pubblico gioiosi nitriti.

Fanno esercizi mirabolanti, da farli sembrare bianchi giganti. Sono la gioia di grandi e piccini, son fatti dei sogni di tutti i bambini!

IL NONNO IMMAGINARIO

Io un nonno non ce l’ho, ma non importa, perché lo inventerò! Inventerò il suo sorriso e sognerò di giocare con lui perfino in Paradiso! Io un nonno non ce l’ho, ma davvero non importa, perché chiuderò gli occhi e sognerò… sognerò finché non sognerò il nonno che vorrò!

L’INDOVINELLO

Girongirondò, girongirondà! Quando la vedo mi batte forte il cuore e di mangiare non mi va!

Girongirondò, girongirondà! Quando mi parla mi viene un gran singhiozzo per la felicità!

Girongirondò, girongirondà! Se mi saluta, poi, divento rosso rosso finché non se ne va!

Girongirondò, girongirondà! Chissà cosa sarà?

IL MANGIATORE DI ARCOBALENI

In un giorno limpido e sereno, mi son trovato a camminare su un arcobaleno! Era un arcobaleno strano, fatto di gelato, di panna e cioccolato. Così mi son seduto e l’ho mangiato! L’ho mangiato finché, dal cielo, l’arcobaleno ho cancellato ed, con la faccia ancora sporca di gelato, a casa tutto contento son tornato!

L’INVENTORE

L’invenzione più incredibile che ho inventato, dopo quella del gelato, è la bicicletta che diventa del colore che hai pensato! È un’invenzione rivoluzionaria, ma la sto sperimentando con gran difficoltà, perché, per quanto mi sforzi, il colore rimane sempre là. Che sia il mio cervello che abbia qualcosa che non va?

IL SIGNORNO

Il Signorno ha sempre qualcosa da dire: se piove vuole il sole, critica le notizie che legge sul giornale, si lamenta se rincara la carne di maiale, la pasta è sempre scotta, Per favore, la carne un po’ più cotta! Detesta la ricotta, a lui non piace il pane e guai se abbaia un cane!

Il Signorno ne ha una per tutti e nessuno osi contraddirlo, sarà impossibile rabbonirlo.

Il Signorno è quasi perfetto se si esclude un unico difetto: non ama lavorare se non per far castelli di sabbia, l’estate, in riva al mare!

L’INVIDIA

Sempre allegra e sorridente, non ti preoccupi mai di niente. Ogni giorno è una scoperta, vivi una vita proprio perfetta! Io t’invidio veramente quando dormi beatamente. Quindi, ho deciso, immantinente, di imitarti in ogni cosa: voglio stare senza pensieri e dimenticare i miei doveri, voglio tornare ai miei dieci anni quando ero allegro e sorridente e non mi preoccupavo mai di niente!

LO SPAZZACAMINO

Lo spazzacamino che io conosco indossa un vestito sdrucito e sporco, ha il naso nero ed il sorriso sincero, a la notte sdraiato sui tetti come se fossero dei soffici letti.

La sua casa ha il soffitto di stelle e le pareti son fatte di sogni.

Vive una vita senza pensieri ed esaudisce tutti i miei desideri!

IL REGALO

Vorrei farti un regalo, che possa darti l’idea del mio amore grande. Grande come un abbraccio, come un tuo capriccio. Grande come tutto lo spazio, un amore di cui non sia mai sazio. Grande come quando ti dico: sei uno strazio! Vorrei farti un regalo, un regalo speciale, come quelli che si fanno a Natale. Un regalo che dia un senso a quello che penso. Un regalo che quando lo vedi, tu quasi non ci credi. Un regalo da rimanere senza fiato, che ti ricordi del tempo, che insieme, abbiamo ato.

Un regalo che sia del presente e che mi faccia sembrare meno assente! Vorrei farti un regalo, ma non so cosa farti, avrei mille idee lo giuro, ma poi tutto sembra banale e inadeguato, quando potrei stringerti ancora in un tenero abbraccio!

LONTANO NEL MONDO

Somewhere over the rainbow… ci sarà un posto dove i grandi sognano ancora, dove i bambini sono felici, dove tutti si danno la mano e lo sguardo è puntato lontano!

Somewhere over the rainbow… ci sarà un posto dove la luna risplende la notte, dove dopo la pioggia ritorna il sereno, dove i gabbiani volano ancora nel cielo ed il mare è azzurro ed il suo odore sincero!

Da qualche parte, lontano nel mondo, ci deve pur essere un posto così, che mi riporti lontano nel tempo, a quando bambino pensavo che il mondo fosse soltanto un grande giardino!

LA MATEMATICA

Tre per tre fa trentatre, scrivo trenta e riporto di tre, siccome c’è ancora posto accanto al tre ci scrivo un otto e così viene trentotto, se tolgo venti arrivo a diciotto… mamma mia che quarantotto! Per fortuna che la maestra è amica mia, domani a scuola, mentre spiega la lezione, ci dirà la soluzione ed io sarò beata e sorridente ed avrò un’aria indifferente ma in cuor mio, per molto tempo, anzi, per sempre, le sarò riconoscente!

MARY POPPINS

Volare appesi ad un ombrello dev’esser proprio bello, sentire il vento tra i capelli, il frusciare dei vestiti, are attraverso il fumo che esce dai camini, volare per il mondo in lungo e in largo, guardare tutti dall’alto verso il basso pensa che so!

E già, sai che ti dico? Che se rinasco vorrei esser Mary Poppins, anche da maschio!

LA NEVICATA DEL 2012

Nel febbraio del 2012 accadde un fatto eccezionale, si trattò d’un evento colossale: la neve cadde in grande abbondanza stendendo sulla terra un velo di speranza. Sembrava fatta di zucchero a velo e panna montata ed io l’ho anche mangiata, ma era come se fosse annacquata! Le scuole furono chiuse per il gelo che fece ma nessuno se la prese; anzi, tutti i bambini improvvisarono una danza, felici di starsene in vacanza!

LA PACE

E poi venne la guerra che fece tremar tutta la Terra! Durò anni e stagioni, fu un periodo di stenti e privazioni! La maestra tutto questo ci ha raccontato per farci capire l’importanza di vivere in un mondo rappacificato. Ho preso spunto da questa bella lezione per lamentarmi di una punizione dei miei severi genitori. Siate buoni, sereni e rilassati ed imparate a perdonare i bambini un po’ imbranati, perché se c’è una cosa che a me piace è fare quel che voglio in santa pace!

IL CIELO

Cielo azzurro come il mare, celo nero come il piombo, come un livido strapiombo. Cielo limpido a metà, cielo cupo via di qua, cielo terso e profumato come un grande prato incantato. Cielo vivo e luminoso, come un canto melodioso, cielo immenso, cielo intenso più ti guardo e più ci penso: non cadrai da quanto sei denso?

IL VIGILE URBANO

In mezzo alla piazza principale, quasi di fronte al palazzo municipale sfrecciavo veloce sulla mia bici, infischiandomene di ogni segnale!

Curva a destra, poi verso sinistra sembravo un ciclista professionista! Finché, all’improvviso, un triplice fischio si sente echeggiare e lì capisco che non c’è più da scherzare!

Il vigile urbano avanza impettito e col suo sguardo mi lascia impietrito. Ho solo la forza di piagnucolare e a mani giunte, mi metto a pregare: - Non mi faccia la multa, per carità, poi chi lo dice a mamma e papà?! -

Il vigile urbano, m’ha guardato severo poi s’è messo a parlare e m’è sembrato sincero - Alla tua età io andavo più forte! Sai quante volte ho rischiato la morte? Per questa volta ti lascio andare, ma la prossima non te la faccio are! -

Mi ha salutato e s’è allontanato, io l’ho guardato finché è sparito ed è lì che ho davvero capito che il vigile urbano è proprio un mito!

THE TEACHER

Marina è la mia teacher. In Inghilterra lei si chiamerebbe Marìn, o forse Marinà…chissà come si dirà!

In inglese è facile parlare perché i verbi non è necessario coniugare. Per le parole non c’è problema basta togliere dal fondo la vocale.

Per esempio, per dire: maestra ti voglio bene, applicando i ferri del mestiere… MAESTR T VOGL BEN…!

…visto?! A ciascuno il suo mestiere!

LA MAESTRA PERFETTA

Di maestre, sulla Terra, ce n’è tante, forse più di un milione. La mia è tanto comprensiva e nel lavoro ci mette molta ione, insegnare per lei sembra quasi una missione!

Tanto che, a volte, mi viene da pensare che ad incontrarla abbia fatto un vero affare, come se avessi vinto al lotto, visto che son diventata brava quasi di botto!

Io ti ringrazio tanto, cara maestra, per tutto quello che mi dai, a volte lo so son capricciosa ma prometto: farò meglio… non son mica una mocciosa!

E poi anche quest’anno m’hai promossa

perfino la mia mamma s’è commossa! Ed io da quanto son felice, per aver questa fortuna, mi sento come un razzo sparato sulla luna!

LA SERA DEI MIRACOLI

La sera dei miracoli il cielo era pieno di stelle ma non c’erano solo quelle. C’erano le streghe a cavallo delle scope che sfrecciavano nel buio inseguite da scie luminose! C’erano i ladri che correvano allegri sui tetti delle case, senza aver rubato niente, se non poche caramelle. C’erano i buoni ed i cattivi e tutti insieme mangiavano e brindavano felici, di gatti non ne ho visti, pare se ne siano andati facendo i capricci! C’erano i negozi tutti aperti, c’era chi offriva zucchero filato e lecca lecca, c’era anche un tenore che, cantando, ha preso una stecca. Le strade erano piene di bambini da quelli grandi ai più piccini

e tutti ridevano e scherzavano mentre le stelle li illuminavano! Abbiamo giocato e scherzato per tutto il tempo, nessuno ha dormito, siamo stati insieme come in un sogno, e, finché è durato, si è vissuti in un mondo incantato…

LA SOLIDARIETÀ

La solidarietà non ha colore, ma solo il ritmo del battito d’un cuore!

L’ANNO CHE VERRÀ

L’anno che verrà chissà come sarà! Sarà un anno pieno di speranza, dove tutti i popoli si uniranno in un’allegra danza! Sarà un anno pieno di colori e nei deserti nasceranno milioni di fiori! Sarà un anno di pace, dove tutti potranno fare quello che più gli piace! Sarà un anno di grandi ideali e finalmente i nostri sogni metteranno le ali! Sarà un anno che erà veloce se tutti i bambini alzeranno la voce! Sarà un anno fatto per il mondo che, per fortuna, è ancora rotondo! L’anno che verrà sarà come sarà! Spero solo che ogni istante sia davvero emozionante,

che il tempo scorra lieto e che tra noi non ci sia alcun segreto! In fin dei conti, lo so già, l’anno nuovo porterà solo grandi novità!

LA MIA CASA

Costruirò una casa fatta di cielo e di mare, la costruirò senza mattoni e cemento, con le pareti fatte di alberi e le fronde scosse dal vento.

Costruirò una casa con finestre vista sogni, lontana dai difetti del mondo ed abbracciata ad un pensiero giocondo.

Costruirò una casa volante, la mia sarà una casa parlante. Sarà una casa al dritto e al rovescio, col pavimento messo a sghimbescio!

Costruirò una casa fatta di fantasia, sarà la casa più stramba che ci sia, ci vivrò da solo e in compagnia e nessuna sarà più bella della mia!

LA PENSIONE

E, dopo tanto faticare, è arrivata la pensione che non è un male di stagione, semmai, una grande illusione! Quella di ritornar bambini ed esser coccolati dai figli non più piccini! Ma, presto o tardi, ci si accorgerà che i conti non tornano neanche qua! Circondati da urlanti nipotini si a il tempo a desiderare di tornare a lavorare!

MI RICORDO DI UN RICORDO

- Mi ricordo che quando avevi dieci anni facevi ancora la pipì a letto. - Ed io, invece, mi ricordo che tu hai bevuto il latte dal biberon fino alla seconda elementare. - Io mi ricordo che se qualcuno ti guardava storto tu iniziavi a piangere a dirotto. - Io, invece, mi ricordo che, siccome avevi paura del buio, dormivi sempre a letto con mamma e papà. - Io mi ricordo che mangiavi gli spaghetti con le mani perché non eri capace a mangiarli con la forchetta. - Io, invece, mi ricordo che hai imparato a parlare che eri già vecchio. - Io mi ricordo che sei andato a gattoni fino all’altro ieri. - Io, invece, mi ricordo che a scuola sei andato sempre male. - Io mi ricordo che a scuola non ti ho mai visto. - Forse perché andavamo in scuole diverse! - Io, allora, mi ricordo che sei un bambino proprio stupido. - Io, invece, mi ricordo che ancora credi che i bambini li porta la cicogna. - No, lo sanno tutti che si trovano sotto i cavoli! - Scusa, mi ricordavo male. - Prego. Io, però, mi ricordo molto bene che non sai le tabelline. - Sei per otto? - Non me lo ricordo!

- Quarantotto… - Sei sicuro? - Certo! - E come fai ad esserne certo? - Fa rima con asino cotto! - Genio! - Grazie! Io invece mi ricordo che tu non sai nuotare. - Io mi ricordo che sono il fratello maggiore e che do dei pugni molto forte. - Io, invece, non mi ricordo più che non sai nuotare! - Io mi ricordo che ora di andare a giocare. - Strano, anch’io ho lo stesso ricordo! - Io invece mi ricordo che è il momento di andare a studiare!- Interviene la mamma. - Ma guarda che sbadati. Per lo sforzo di stare qui a ricordare ci è ato proprio di mente dei compiti che avevamo da fare!

LA BALLATA DEL GIOVANE STUDENTE

Questa è la ballata del giovane studente, bambino assennato, studioso ed ubbidiente! Il giovane studente ha un talento eccezionale per le scienze e la cultura in generale! Il giovane studente è sempre presente ed anche quando è assente si avvantaggia con i compiti, perché lui è alquanto previdente! Il giovane studente è preso come esempio da maestre e professori ed è sempre ricevuto con elogi e grandi onori! Ma no, ma no! Questa è una ballata strampalata, assurda e menzognera perché un giovane così non sta simpatico a nessuno perfino a me che vorrei scrivere una storia veritiera! E quindi, il giovane studente spezza le catene di un mondo falso e qualunquista, diventa un tipo strambo e fantasioso, che con i colori riempie tutti i muri

di cuori, fiori, soli, prati e collinette perché anni e anni di rigore la sua pazienza han fatto a fette! Libero da vincoli e catene, viaggia per il mondo facendo l’autostop. Mangia hamburger unti e puzzolenti e, se gradisce, si abbandona a ruttini rumorosi, che sembrano dei tuoni fragorosi! Se poi gli scappa, fa pipì di fronte a tutti, oppure si trastulla a far pernacchie tra la gente! Se gli gira, fa puzzette in libertà, la sua vita è tutta qua! Non ha vergogna né pudori perché voi sapete certamente, quanto è bello e divertente are il tempo senza fare niente!

LA CREAZIONE DEL BAMBINO

E finalmente, l’ottavo giorno della settimana, ricordo perfettamente essere stato NESSUNDÌ, Gesù creò il bambino!

Lo creò grande e piccolino, alto ma bassino, grasso e magrolino. Lo fece buono e sfaticato, cattivo ma educato! Creò un bambino intelligente ma poco diligente, un bambino bianco e nero, un bambino con testa, braccia e gambe da sembrare proprio vero! Lo fece bugiardo ma sincero, assonnato ed irrequieto. Fece un bambino pieno di se, di ma, di forse e di perché.

Ed ora che son grande e ripenso agli anni ormai ati credo che quel bambino somigliasse proprio a me!

MIOMAO

Miomao era un gatto proprio matto. Pensate che un giorno decise di partire per un viaggio senza ritorno, voleva scoprire se il mondo fosse piatto oppure tondo.

Attraversò un’immensa pianura, una vallata sconfinata, scalò un’altissima montagna senza un lamento od una lagna.

Arrivato sulla cima, vide sotto di lui un’immensa massa blu. - Il mare! – Pensò Miomao tutto contento. - Ormai non v’è dubbio alcuno, laggiù dove arriva l’orizzonte c’è sicuramente un strapiombo che segnala la fine del mondo!

La Terra, quindi, dev’esser piatta come una moneta! Che sia stata la magia di una strega a convincer tutti che sia tonda? È proprio vero, la gente d’oggi è proprio tonta, a pensare che la Terra sia rotonda!

PIGOTTE E PUNTURE

Le punture non fanno per me, quando vedo un ago scappo senza sapere il perché!

La mamma, per fammi coraggio, mi ha regalato una Pigotta. Dice che cura tutte le paure, figuriamoci quella per le punture!

La mia Pigotta, giustappunto, è vestita da infermiera, è fatta così bene da sembrare quasi vera!

Io, però, ci ho pensato e ripensato a me l’ago fa sempre tanta paura. Io lo so che non ci faccio una gran figura, ma, nonostante la Pigotta, continuo a detestare ogni tipo di puntura!

PIOVE

Beh! Quando piove, piove su tutto. La pioggia non sta lì a guardare dove cadere! Cade sui tetti delle case, cade sui prati, cade sulla testa della gente, cade sugli ombrelli aperti, case sulle macchine, cade sulle strade. La mamma mi dice che quando piove lassù in cielo, Qualcuno s’è arrabbiato perché un bambino è stato davvero maleducato. Però, se così stan le cose, non capisco perché la pioggia cade anche su me, visto che sono il bambino più buono che c’è!

LA FAMIGLIA

Vorrei che la mia fosse una famiglia allegra, dove la mamma non sia una strega!

Dove il papà lavori poco, e se proprio deve, lo faccia per gioco!

Per fratelli vorrei due gemelli, spero solo non siano monelli!

Voglio anche tanti parenti, ma che non siano come serpenti!

La mia famiglia la voglio unita per viverci dentro tutta la vita!

LA FATA SMEMORINA

Il circo è un luogo pieno di poesia, ce ne è uno molto speciale che sta vicino casa mia. Ogni giorno, tutto accade in un piccolo tendone, con spettacoli colorati di follia, che non lasciano spazio alla malinconia.

In questo circo c’è ogni genere d’attrazione: l’equilibrista che cammina sospeso sull’immaginazione, i pagliacci che col mondo hanno poca implicazione, i cavalli bianchi fieri e aitanti, il domatore di elefanti che sembran sempre stanchi, ci son, perfino, le foche monache che non portano le tonache.

Ma il momento più esaltante, quello proprio emozionante, quello dove il mio cuore è tutto traballante è quando arriva la fata smemorina. Con la sua bacchetta magica, fa sparire cose e persone

e nessuno saprà mai che fine han fatto, forse disperse sulla luna, per riaverle servirebbe proprio un colpo di fortuna!

In verità la sua magia non è molto efficace, ma sapeste voi quanto mi piace!

IL REGALO DI NATALE

Come vedi, è arrivato il Natale! Ma, quest’anno non staremo più a guardare e, tutti insieme, ci daremo da fare.

Anche se fuori farà freddo, usciremo almeno a cantare. Ogni strada sarà piene di gente che saprà ancora sognare!

Infatti, come vedi, siamo già dentro il Natale ed, anch’io, per quanto mi riguarda, ho deciso di cambiare. Non un cambiamento radicale, solo qualcosa che mi renda un po’ speciale: ospiterò vicini, parenti, anti e conoscenti

e me ne starò seduto ad ascoltare ognuno il racconto che ha da fare.

E, per ognuno, avrò del tempo da donare!

ALLA RICERCA DELLA FELICITÀ

Della felicità non c’era più alcuna traccia. Non ce n’era nei cuori della gente. Non ce n’era negli occhi languidi dei cani. Non ce n’era nei miagolii stanchi dei gatti. Non ce n’era nemmeno nel cinguettio degli uccellini. Ma, quello che più sorprendeva era l’assenza di felicità perfino nei giochi dei bambini. Com’era stato possibile che il mondo si fosse ridotto in quello stato? Era ato ormai così tanto tempo che era impossibile ricordarsi il motivo di tutta quella tristezza. Nessuno era più in grado di donare un sorriso a nessuno e tutti erano sempre seri ed arrabbiati. Talmente grande era la tristezza nel mondo, che in nessun posto si festeggiavano i compleanni; perfino il Natale era stato cancellato dal calendario! Eppure da qualche parte, in qualche posto del mondo ci doveva essere una traccia di felicità; doveva esistere almeno un bambino capace ancora di sorridere davanti al volo di una farfalla o semplicemente perché ne aveva voglia. Vista dallo spazio, la Terra era un luogo cupo e buio, fatta eccezione per un piccolo puntino luminoso. Se da un’astronave ci si fosse soffermati a guardare meglio probabilmente si poteva anche scorgere, in mezzo a quel puntino luminoso, una piccola casa con due bambini intenti a prendere a calci un pallone a piedi nudi su un prato.

- ala, ala! È il mio turno di tirare adesso!- Urlava isterica una bambina con i capelli rossi e la faccia piena di lentiggini verso un bambino con i capelli rossi e la faccia piena di lentiggini. - No, la palla è mia e non te la do!- Rispondeva, con tono fermo, il ragazzino con i capelli rossi e la faccia piena di lentiggini. - Allora io vado in casa a dirlo alla mamma che sei un prepotente!- Urlava ancora la bambina con i capelli rossi e la faccia piena di lentiggini. - Smettetela voi due là fuori, altrimenti esco e ve le suono di santa ragione!Diceva, da dentro la casa, una voce di donna che, se fosse uscita, tutti avrebbero potuto vedere i suoi capelli rossi e la faccia piena di lentiggini. - Con quei due là fuori non c’è mai un attimo di pace. A volte vorrei che fossero già grandi ed in grado di badare a se stessi per starmene un po’ in santa pace!Pensava tra sé e sé la donna con i capelli rossi e la faccia piena di lentiggini. Ad un tratto, il pallone sfuggì di mano al bambino con i capelli rossi e la faccia piena di lentiggini, percorse un lungo tratto di prato e si adagiò ai limiti di un piccolo boschetto che lo delimitava da un lato. Il bambino si precipitò verso la sua palla inseguito dalla bambina, ma quando giunsero sul punto preciso dove questa avrebbe dovuto essere non ne trovarono alcuna traccia. - Sei stata tu a nascondere la mia palla!- Piagnucolò il bambino. - Ma se stavo dietro di te! Mi chiedo come sia possibile vivere accanto ad un fratello così scemo!!- Ribatté la bambina. Mentre i due fratelli litigavano, videro spuntare dall’erba un naso. I due bambini rimasero come due stoccafissi, non avevano mai visto un naso a eggio senza il resto del corpo. - Un naso?!- Esclamò il bambino. - Un naso?!- Gli fece eco la sorella.

- Non avete mai visto un naso?- Chiese stupito il naso. - Sì, ma con il corpo attaccato!- Spiegò il bambino. - Il posto di un naso è al centro della faccia!- Precisò la bambina. - Non mi risulta che i nasi abbiano bisogno di accessori per esistere!- Si stupì il naso. - Deve essere una specie di sogno!- esclamò sconsolato il bambino. - Però, il nostro pallone è sparito per davvero!- Costatò la sorella. - L’ho mangiato io!- Fece con molta soddisfazione il naso. - Mangiato?!- I bambini non potevano credere alle loro orecchie. - Certo! Ai nasi piacciono molto i palloni. Siccome sono pieni d’aria, sono facilmente digeribili e non fanno ingrassare!- Spiegò il naso. - Ma adesso con che cosa giochiamo?- Disse sconsolato il bambino. - Potremmo giocare a nascondino tutti e tre insieme. Sono un naso da ricerca io!Continuò a spiegare il naso. - Io non ci voglio giocare a nascondino. Mia sorella vince sempre. Ma si può sapere chi ti ha chiamato?- Urlò di rabbia il bambino. - In effetti, vi devo una spiegazione. Come vi ho già detto sono un naso cercatore; il mio compito attuale è quello di trovare tracce di felicità su questo pianeta!- Il naso parlava con cognizione di causa ed i bambini erano molto attenti alle sue parole. - Il nostro pianeta è pieno di felicità!- Disse la bambina. - La felicità sta dovunque!- Ribadì il fratello. - Purtroppo, vi sbagliate. Ho esplorato ogni angolo della vostra rotonda Terra ma l’unico posto ancora felice è questo!- Disse con rammarico il naso. - Oh mamma mia e adesso cosa si fa?- Chiese la bambina.

- Dobbiamo fare in modo che tutti gli abitanti del vostro pianeta respirino quest’aria felice!- Sentenziò il naso. I bambini ed il naso arono tutto il pomeriggio a parlare per cercare il modo di far arrivare in quell’angolo di mondo tutte le persone del mondo. Alla fine, giunsero alla conclusione che era praticamente impossibile. La loro casa ed il loro prato erano troppo minuscoli per ospitare quella fiumana di gente che popolava il loro pianeta. - Non c’è altra soluzione. Solo la mamma può aiutarci!- Concluse la bambina al termine della loro estenuante riflessione. - Oddio mio!- Esclamò la mamma appena vide il naso parlante privo del corpo. Ci vollero alcuni minuti perché la donna si riavesse dallo spavento, non era comune incontrare nasi da ricerca anche in un’epoca evoluta come quella che la Terra stava attraversando all’epoca dei fatti. - Non c’è che dire, siamo di fronte ad un problema molto delicato!- Rifletté la donna. - L’unica soluzione è imbottigliare la nostra aria felice e spedirla in tutto il pianeta. Ci vorrà un po’ di tempo ma sono convinta che insieme ce la faremo!Concluse. - Ma, con le bottiglie, come faremo?- chiese il figlio. - Ci penseranno i nasi!- Esclamò il naso – Chiamerò i miei colleghi nasi sparsi nel mondo e mi farò portare qui milioni e milioni di bottiglie vuote ed insieme provvederemo a riempirle. Dopodiché, noi nasi penseremo a farle recapitare anche negli angoli remoti del pianeta. - Fantastico!- Esultò la bambina con i capelli ancora più rossi dalla felicità. Fu un lavoro lungo ed estenuante ma, alla fine, di fronte alla casa della nostra famiglia felice, c’era una collina gigantesca fatta tutta di bottiglie pronte per essere riempite con l’aria della felicità. Venne montato un enorme compressore in grado di sparare l’aria dentro le bottiglie poi, a mano, i nasi provvedevano a mettere i tappi e le etichette con

l’indicazione del contenuto: ARIA FELICE DOC – RESPIRARE A PIENI POLMONI, c’era riportato a caratteri cubitali su ognuna. Le bottiglie, una volta pronte, venivano inscatolate ed imballate e, quindi, portate in giro per il pianeta da nasi solerti e con un forte senso dell’orientamento. All’improvviso, man mano che le bottiglie d’aria felice giungevano a destinazione, si sentivano levarsi alte nel cielo le risa dei bambini nuovamente contenti senza un motivo preciso, come ogni bambino dovrebbe essere. Tornò la felicità nei cuori della gente. Tornò la felicità negli occhi languidi dei cani. Tornò la felicità nei miagolii stanchi dei gatti. Tornò la felicità persino nel cinguettio degli uccellini. - Abbiamo fatto un ottimo lavoro!- Disse il naso alla famiglia dai capelli rossi e la faccia piena di lentiggini prima di scomparire nel boschetto che delimitava il prato antistante alla casa. - Ciao naso! A presto!- Lo salutarono la mamma ed i due bambini, quando, dal bosco, un pallone rotolò verso di loro. - Il nostro pallone, il nostro pallone!- Gridarono i bambini felici mentre correvano incontro alla loro palla. - Grazie naso della felicità!- Sussurrò la mamma. Se qualcuno avesse osservato la Terra dallo spazio, avrebbe visto che non era più un luogo cupo e buio, ma un posto pieno di luce e di gioia. Se da un’astronave ci si fosse soffermati a guardare meglio, sicuramente, in mezzo a quella luminosità ritrovata, si poteva scorgere, una piccola casa con due bambini intenti a prendere a calci un pallone a piedi nudi su un prato.

IL TRENO A VAPORE

Dei treni a vapore ricordo i viaggi, quando, seduto in terza classe, immaginavo di volare nello spazio cercando qualcosa da trovare!

Ultimamente mi sono reso conto di essere un po’ invecchiato. Me ne sono accorto perché, sempre più spesso, mi vengono in mente storie vissute durante la mia infanzia. In quegli anni, chi, come me, non aveva molti soldi viaggiava in terza classe. Ma non era un problema. Io ero contento lo stesso. Quello che mi piaceva era viaggiare, vedere nuovi luoghi, incontrare nuova gente e soprattutto cercare qualcosa da trovare. La terza classe era un posto curioso. I eggeri di terza classe quando viaggiavano si portavano dietro tutti i loro averi: polli, conigli, uova, verdure di tutte le qualità, coperte e, per chi ne possedeva una, la bicicletta! La bicicletta, a quell’epoca, era come una station wagon: una di quelle macchine per tutta la famiglia con il bagagliaio molto capiente che vanno di moda oggi. Ma c’era un particolare davvero curioso che accomunava tutti i eggeri di terza classe, quando io ero bambino: portavano mutande fatte in casa, di lana in inverno e cotone in estate! - I trenini a vapore non hanno mutande!- Pensavo io - e questa è una fortuna, poiché, se le avessero, dovrebbero essere gigantesche e poi non credo esista tanta stoffa nel mondo per farne di così grandi. Anche se fosse possibile, occorrerebbe certamente tutta la stoffa del’universo ed io dovrei rinunciare alle mie. Questo

mi darebbe molto fastidio perché finirebbe col prudermi moltissimo il popò!I eggeri della altre classi erano molto diversi. Per andare in classe extra lusso bisognava essere re o regine oppure persone molto importanti. In prima classe andavano persone incappottate. Molto eleganti e taciturne. Quelli della seconda, invidiavano che stava in prima e per tirarsi su di morale prendevano in giro i viaggiatori di terza classe. Un giorno, mentre ero sperduto in una delle mie riflessioni sulle mutande, si sentì una botta tremenda – SBANGH!! - Il treno a vapore aveva sbattuto contro una stella. - Una stella? Ma no, sicuramente sarà stato un meteorite caduto sulla Terra dallo spazio!- Direte voi. No, no era proprio una stella. Ne sono certo! Per il semplice fatto che il trenino a vapore sul quale viaggiavo prendeva sempre una scorciatoia e tagliava dritto per lo spazio invece di percorrere la noiosa ferrovia tutta curve e saliscendi. Che poi, detto tra noi, io quel treno lo prendevo apposta. Gli altri mi facevano venire il mal di mare. - Abbiamo colpito una stella!- Ebbero appena il tempo di esclamare i eggeri della prima classe. - Da che parte?- Chiesero i eggeri della seconda classe. - Dalla parte della coda!- Rispose qualcuno dalla terza classe. Dopo l’urto, il treno e la stella iniziarono a precipitare per anni luce e anni luce fino a schiantarsi su una durissima nuvola per fare piovere ghiaccio. - Ahi, che botta! – Disse il trenino a vapore. - Con tante nuvole che esistono, proprio su una per il ghiaccio dovevamo atterrare?- Gli fece eco la stella.

- Se fossimo atterrati su una nuvola di panna, sarei stato il trenino a vapore più felice dell’universo!- Si rammaricò il trenino a vapore mentre con la ruota si toccava il comignolo tutto ammaccato per la gran botta presa. - Finiscila di dire sciocchezze, non vedi che ho perso la coda?- Si lamentò la stella. - La coda?- Esclamò stupito il trenino. - Sì, la coda! Sono una stella cometa io!- Disse la stella. Intanto, da dentro il treno, i eggeri iniziavano a fare illazioni su come poteva essersi staccata la coda della stella e soprattutto dove potesse essere finita. - Ormai non attaccano più le code alle stelle come una volta!- Diceva un tale in classe extra lusso. - Ai miei tempi, le code erano cucite alle stelle!- Gli rispondeva un tizio della prima classe. - Si sarà disintegrata nello scontro!- Supponeva un altro eggero della seconda classe. - Secondo me l’hanno rubata i pirati!- Suggerì una vecchina della terza classe. La stella cometa senza coda aveva iniziato a piangere a dirotto. - BOOH, BOOH! La mia coda, la mia povera coda!- Non fare così, ti aiuterò a cercarla io. Se sarà necessario metteremo a soqquadro tutto lo spazio. Vedrai, la troveremo!- Tentò di rassicurarla il trenino a vapore. E così, il trenino a vapore prese a bordo la stella cometa senza coda ed insieme ai eggeri andarono in cerca della coda smarrita. Girarono e rigirarono per tutto l’universo ma della coda della cometa non v’era alcuna traccia. Non trovarono neanche un piccolo puntino luminoso che le fosse appartenuto.

- Sembra dissolta nel nulla. Non c’è traccia della tua coda in nessun cantone dell’universo!- Disse costernato il trenino. - Non avrò più il coraggio di farmi vedere dalle altre comete. Sarò costretta a nascondermi in un buco nero per il resto della vita!- Pianse sconsolata la stella cometa senza coda. - Servirebbe un’idea geniale che ci consenta di ritrovarla. Proverò a chiedere ai eggeri se hanno qualche suggerimento da darci per riuscire a sistemare le cose!- Buttò là il trenino a vapore. - Un attimo d’attenzione!- Si sentì dire dagli altoparlanti delle carrozze. - Si informa la gentile clientela, anche quella che viaggia in terza classe, che, nonostante una meticolosa ricerca, non siamo riusciti a trovare la coda della cometa che abbiamo urtato. I eggeri sono pregati di comunicare al personale di bordo eventuali suggerimenti che possano consentire di portare al ritrovamento del prezioso accessorio!Istantaneamente, tra i eggeri si fecero largo le idee più disparate. - Togliamo la coda ad una stella cometa antipatica!- Suggerì un tale della classe extra lusso. Riscriviamo i libri di astro fisica dicendo che le comete non hanno la coda!Buttò lì un tizio di prima classe. - Incolliamo dei fumogeni sulla stella in modo tale che quando vola lascia la scia!- Sentenziò un altro eggero di seconda classe. - La mia mamma è bravissima a lavorare a maglia. Potrebbe fare un’enorme coda di lana da attaccare alla stella. D’inverno potrebbe usarla come sciarpa!Proposi io dalla terza classe. Alla mia proposta si fece un profondo silenzio. Tutti i eggeri della terza classe mi guardarono come se davanti ai loro occhi stava un fantasma in carne ed ossa. - Ma che bella proposta!- Urlò felice la stella.

- Presto mettiamoci tutti al lavoro, servirà tantissima lana per fare la coda della cometa!- Incitò il trenino a vapore. Il trenino viaggiò per giorni e giorni facendo visita a tutti i greggi di pecore che popolavano l’immenso universo, senza dimenticare boutique e grandi magazzini. Alla fine, quando la lana sembrò sufficiente, i eggeri iniziarono a fare la maglia. Fecero una sciarpa di tutti i colori e quando, dopo giorni di duro lavoro, fu terminata, un famoso chirurgo che viaggiava in classe extra lusso si incaricò di cucirla sul retro della stella. - Ma è una meraviglia!- Esclamò la stella cometa con la coda di lana. La cometa ringraziò tutti e felice, spiccò di nuovo il volo diretta nel cuore dell’universo. Durante il suo interminabile viaggio, chiunque l’avesse incontrata non avrebbe potuto fare a meno di notare la sua magnifica coda di lana. Il trenino la vide scomparire pian piano nel cielo accompagnando il suo volo con lunghi fischi di sirena, mentre alti sbuffi di vapore uscivano dal suo comignolo ammaccato. Una piccola lacrima di gioia uscì dai suoi fanali anteriori, ma fu solo un attimo poi il trenino a vapore riprese il suo viaggio. Anch’io ero felice, me ne stavo tranquillo seduto in terza classe intento a ripensare alla stella, alla sua coda e a tutte le cose che ancora avevo da cercare.

IL CUORE DI OTTONE

Questa è la storia di un vecchio signore che tornò ad esser bambino grazie ad un cuore piccolino!

- Presto portiamolo in sala operatoria, non c’è un attimo da perdere!- Il medico che stava di turno al pronto soccorso era molto agitato. Gli avevano portato un uomo di circa cinquant’anni con un brutto infarto ancora in atto. In sala operatoria, ormai, era tutto pronto per l’intervento: gli avrebbero applicato un by- in attesa di trovare un cuore idoneo per un trapianto. Durante l’operazione accadde un fatto veramente insolito: arrivò una comunicazione che era giunto in ospedale un cuore che poteva essere compatibile con quel paziente. Il chirurgo ordinò che gli venisse portato immediatamente. Quando, in sala operatoria, venne aperto il contenitore sterile in cui era conservato l’organo tutti rimasero sbalorditi. Si trattava del cuore di un bambino. - Ma è troppo piccolo!- Esclamò il chirurgo. Poi, però, visto che le condizioni del paziente stavano peggiorando venne deciso di eseguire ugualmente il trapianto. - L’operazione è perfettamente riuscita!- Disse il medico ai familiari del signore cui era stato trapiantato il piccolo cuore – Per sapere se potrà tornare a fare una vita normale dobbiamo aspettare ancora qualche giorno. Sapete, gli abbiamo trapiantato il cuore di un bambino, non è detto che il suo corpo adulto reagisca bene!Dopo qualche ora dalla conclusione dell’operazione, l’effetto dell’anestesia

terminò. - Mi pare di aver sognato che non mi sentivo molto bene. Che cosa mi è successo?- Chiese il malato appena sveglio. - Ottone, hai avuto un infarto!- Spiegò sua madre. - Un infarto? Ma se conduco una vita sanissima: non fumo, non bevo, non ho una fidanzata, vado a letto la serra presto, non ho amici, ho un lavoro importante e…vivo a casa con te e papà, che mi volete tanto bene!- E non devi dimenticarlo mai Ottone, io e tuo padre ti vogliamo tanto ma tanto bene e tu devi stare sempre con noi. Pensa che da quanto era triste, tuo padre non ce l’ha fatta neanche a venire in ospedale. Se no è amore questo?!- Concluse la madre. Dopo qualche tempo, il cinquantenne Ottone, trapiantato di fresco, fece ritorno a casa sua. - Ottone, cosa ci fai con quell’orsacchiotto in mano?- Gli chiese il padre prima ancora di abbracciarlo. - Mi piace l’orsacchiotto. Lo porto sempre con me. È tanto morbido!- Rispose l’uomo. L’anziano genitore guardò la moglie con aria interrogativa, la donna, dal canto suo, alzò le spalle come per dire: io non ne so niente! Ottone trascorse la convalescenza circondato dall’affetto dei suoi cari: il padre e la madre. Certo, aveva iniziato a fare delle cose alquanto strane per un uomo della sua età, ma, nel complesso, sentiva che stava guarendo. A colazione gli piaceva prendere il latte con i biscotti ma non nella tazza, nel biberon! A merenda ficcava le dita nel barattolo della nutella e poi se le leccava beatamente.

Non si ricordava più come si allacciavano le scarpe e pretendeva che il padre lo portasse a cavalcioni per il salotto. - Non ne posso più!- Diceva il pover’uomo dopo cinque minuti di quello strazio. Finalmente, Ottone si sentì proprio bene e decise di tornare al lavoro. Ottone era un ottimo architetto ed aveva fatto un sacco di progetti importanti nella sua carriera. Nel suo studio lo accolsero con grandi festeggiamenti e lui ne fu veramente felice. Per ringraziare i suoi colleghi decise di dare una piccola festa a base di caramelle, patatine, pop corn e coca cola. - Una volta si beveva champagne!- Mormoravano i colleghi. - Starà seguendo una dieta post operatoria anti rigetto!- Dicevano tra loro. Dopo qualche giorno, ottone decise che gli sarebbe piaciuto molto mettere una scivolo nella sua stanza, uno di quegli scivoli che si trovano nei giardinetti pubblici. I colleghi iniziarono a pensare che tanto bene non doveva stare. Ne parlarono perfino con i genitori di Ottone. - Figuratevi che in casa ha montato una gigantesca pista per le macchinine elettriche e si diverte a giocarci con il figlio del vicino ed i suoi amichetti… piuttosto che frequentare persone della sua età!- Disse la madre. Ignaro delle preoccupazioni di chi gli viveva accanto, un bel giorno, Ottone convocò una riunione nel suo ufficio. Aveva delle importanti comunicazioni da dare. - Ho avuto un’idea meravigliosa!- Iniziò a dire – Voglio costruire un immenso parco giochi dove grandi e bambini possano divertirsi ogni volta che ne abbiano voglia. Sarà un’opera colossale, come non ne esistono al mondo. Che ve ne pare?- Quindi si mise il pollice in bocca ed iniziò a succhiarlo con avidità.

Tutti si guardarono in faccia perplessi, quella di Ottone era veramente un’idea strampalata. Ma nessuno ebbe il coraggio di protestare né, tanto meno, di fargli notare che si stava succhiando un dito. In fin dei conti il padre di Ottone pagava lo stipendio a tutti quanti, visto che era il proprietario dello studio di architettura. Per rendere l’ambiente di lavoro un luogo più creativo, ottone decise di dipingere le pareti dello studio con colori sgargianti: rosa confetto, verde bottiglia, blu notte, rosso carminio, giallo limone e anche arancione arancia. Per non parlare del suo studio personale, avreste dovuto vedere che grande allegria metteva! Vicino allo scivolo aveva montato un enorme plastico del parco giochi. Tutte le attrazioni avevano un meccanismo che le faceva muovere come se fossero vere. Ad ognuno che entrava nel suo ufficio, Ottone regalava un lecca lecca gigante e pretendeva che venisse mangiato al momento, sotto il suo occhio vigile. Terminato il colossale progetto, fu necessario iniziare le opere di sbancamento del terreno, gettare le fondamenta ed i basamenti per le attrazioni ed i vari divertimenti. Si lavorò alacremente per più di tre anni e finalmente, quasi all’improvviso, tutto fu pronto per l’inaugurazione. Ottone indossò un costume da coniglietto e costrinse tutti i dipendenti dello studio a fare lo stesso. Ognuno doveva avere un travestimento. C’era un ferroviere, un’infermiera, una fatina, un marziano, un pollo, un lupo mannaro, un girasole, un grillo e perfino un dirigibile! Il parco d’attrazioni aveva un nome veramente azzeccato: IL CUORE DI OTTONE – PARCO TEMATICO PER GRANDI E PICCINI. All’interno del parco c’erano innumerevoli giochi per soddisfare i gusti di tutti i visitatori. C’erano le montagne giapponesi, la casa di quelli in carne ed ossa, la eggiata nel mondo reale, il viaggio fuori del corpo umano, la visita alla grotta sospesa in cielo ed anche la giostra immobile ed il treno a testa in giù.

.- Che meraviglia!- Esclamavano tutti quelli che entravano nel parco di Ottone. In breve tempo, il parco di attrazioni divenne famosissimo e da tutto il mondo fiumane di curiosi venivano a provare l’emozione di visitarlo. Ogni giorno che ava, la felicità di Ottone per il suo parco cresceva a dismisura con le sue stranezze. Pensate che ormai indossava solamente bermuda a quadretti ed una maglietta polo con il numero sette sulle spalle, non contento girava seduto su un triciclo fatto a forma di somarello con una bandierina tricolore fissata sul manubrio. Preoccupati per glia atteggiamenti del figlio, i genitori decisero di portarlo da uno specialista. Il luminare lo visitò da cima a fondo, poi comunicò solennemente le sua diagnosi –RIMBAMBIMENTUM JUVENILIS ACUTISSIMUS!- Esclamò. - Dottore è molto grave?- Chiese la madre di Ottone. - Non c’è rimedio. Vostro figlio continuerà a regredire fin quando non si addormenterà per sempre!- Rispose sconsolato il dottore. In effetti, le cose andarono proprio come aveva previsto il luminare:Ottone assunse atteggiamenti sempre più infantili, i genitori furono costretti perfino a mettergli il pannolino, fin quando, un giorno, si addormentò in braccio alla mamma…per sempre! Il suo parco tematico, invece, non si addormentava mai. Ogni giorno, a tutte le ore e con qualsiasi tempo non smetteva di dispensare divertimento a tutti i grandi e piccoli Ottone di cui è pieno il mondo. La storia di Ottone però non finisce qui. Infatti, dopo che si fu addormentato andò in cielo ad occupare il posto che durante la sua vita aveva meritato. - Bella la tua storia, Ottone!- Grazie, signor San Pietro! Anche se avrei da chiederle un piccolissimo favore – Disse Ottone complimentoso.

- Sentiamo, che cosa ti è capitato adesso?- Chiese il Santo. - Quando mi sono addormentato in braccio alla mamma, mi è caduto di mano il lecca lecca. Non potrei mica fare un salto a casa mia per riprenderlo?-

IL GOLASPINO BALLERINO

Ultimamente, Leonardo non ha avuto vita facile: è stato ricoverato in ospedale per togliersi le tonsille. - Sono grandi come due meloni!- Aveva sentenziato il medico. Ed i genitori non avevano esitato a portarlo nel miglior ospedale pediatrico della zona per fargliele togliere. Fortunatamente, non tutti i mali vengono per nuocere. Infatti, Leonardo, aveva in stanza la TV satellitare con cui poteva sintonizzarsi sul canale tematico National Geographic, il suo preferito. Durante i giorni di degenza, aveva potuto assistere ad un’altra stupenda trasmissione dedicata ad uno dei rarissimi animali che popolano il nostro pianeta. Quella sera, Leonardo si era messo comodo, comodo nel suo bel letto con in mano una vaschetta di gelato al limone, l’ideale per lenire il fastidio che l’asportazione delle tonsille gli aveva lasciato in gola. Dopo l’annuncio che presentava la trasmissione, l’intero schermo televisivo era diventato più nero di una notte senza luna. Ad un tratto, una flebile luce aveva illuminato un animale stranissimo. Un’enorme bocca rossa, a forma di cuore, precedeva un musetto a trombetta color verde bottiglia. Due grandi occhi neri, dall’espressione intelligente, occupavano, quasi per intero, la testa tondetta di un colore blu cobalto veramente bello. La cosa veramente curiosa era il corpo: rotondetto anch’esso e coperto di spine marroni, ad eccezione della grande coda gialla e delle minuscole pinne ventrali arancioni. - Ma è un pescetto!- Esclamò Leonardo sorpreso. - Il Golaspino Ballerino è un piccolo pesce degli abissi oceanici!- Iniziò a dire la voce del giornalista scientifico.

- Si nutre di piccole meduse, piccoli granchi e naturalmente di plancton anche se gli scienziati hanno dimostrato che va ghiotto per lo yogurt alle pere. Alla sua golosità, oltre che alle innumerevoli spine presenti sul suo corpo, deve il nome di Golaspino!- Spiegava il documentario. - Che strano animale, non ne avevo mai sentito parlare prima!- Pensò Leonardo mentre teneva gli occhi puntati sulla televisione e ingoiava l’ennesimo cucchiaino di gelato. - I Golaspini sono animali sociali che ano tutta la loro vita in famiglia. Sono pigri e non amano viaggiare però non vanno mai in letargo. La vita media di questi animali è di circa cento anni. Pensate, i più vecchi si scoloriscono tutti ed hanno una lunga barba bianca. La società dei Golaspini tiene in grande considerazione gli anziani che sono rispettati ed ossequiati dagli esemplari più giovani. Il periodo degli amori non è in primavera, come nella maggior parte delle specie animali, bensì l’inverno. Le femmine, dopo un periodo di gestazione di circa un anno, sono capaci di deporre anche un milione di uova che vengono covate a turno sia dal maschio che dalla femmina. Non tutte le uova però si schiuderanno, molte finiranno in pasto ai predatori degli abissi come ad esempio il Polpo Mangiatutto. Una femmina può deporre uova ogni cinque anni, dall’età di diciotto anni fino ai quarantacinque. Una ferrea legge vieta alla femmine di Golaspino di deporre uova all’infuori di questo intervallo di tempo. Per i maschi vale lo stesso divieto poiché i genitori di Golaspino devono essere sempre giovani e belli. Non sono una specie in via d’estinzione, ma siccome vivono nelle profondità abissali, non sono facili da osservare. In questo documentario siamo riusciti ad incontrarne una coppia intenta a costruire una tana per la deposizione delle uova!- Il servizio era veramente dettagliato. Si potevano osservare due magnifici esemplari di Golaspino Ballerino intenti nella costruzione di un nido molto simile a quello che fanno le rondini in primavera. Ad un tratto, uno dei due pesciolini si fermò ad osservare la telecamera. Dopo alcuni secondi, iniziò a fare le boccacce, la linguaccia, a strabuzzare gli occhietti ed infine ad agitarsi come una ballerina di salsa e merengue. Il suo compagno, nel vedere l’altro danzare, iniziò ad arrabbiarsi. - Ma possibile che ogni scusa sia buona pur di non lavorare? Non è il momento di mettersi a ballare, dobbiamo terminare il nostro nido. Tra poco partorirai e non abbiamo un posto sicuro per deporre le uova, gli altri pesci se le

mangeranno tutte!- Si lamentava quello che doveva essere il maschio. - Zitto! Questa è una telecamera, magari siamo in mondovisione. Chissà quanta gente ci starà guardando!- Gli rispose la femmina. - Sei sicura?- Chiese il maschio. - Sicurissima!- Confermò la femmina. Il maschio, quindi, le si avvicinò ed insieme diedero vita ad uno spettacolo strabiliante: i due pesciolini erano dei provetti ballerini di danze latinoamericane. - Cari telespettatori ora sapete perché i Golaspini sono detti ballerini. Sono gli unici pesci al mondo in grado di fare simili evoluzioni!- Commentava il telecronista. Dal suo letto d’ospedale, Leonardo seguiva con ione il documentario e, come ipnotizzato, aveva iniziato a ballare sul letto abbracciato al cuscino. - Signori spettatori, è la prima volta che possiamo osservare dei Golaspini Ballerini nel loro habitat naturale mentre effettuano la loro danza di corteggiamento!- Il giornalista aveva una voce solenne e soddisfatta nel descrivere la scena. - Ci hanno preso per due Golaspini che si stanno corteggiando! Secondo loro per il corteggiamento facciamo tutte queste scene! I Golaspini non hanno tempo da perdere, non siamo mica umani noi! Al posto di inutili smancerie, ci si presenta: nome e cognome ed il gioco è fatto. Subito dopo, si costruisce il nido ed, ogni cinque anni, si depongono una milionata di uova. Ma non mi sembra il caso di disilluderli dicendo che ci stiamo allenando per i campionati mondiali di ballo tra Golaspini!- Sussurrò la femmina al maschio. Nel frattempo, Leonardo se ne andava in giro per la corsia d’ospedale presentandosi a chiunque incontrasse. - Buongiorno, permette che mi presenti sono Leonardo De Pissis che ne dice se facciamo un bel nido e deponiamo qualche milione di uova?Gli altri pazienti, preoccupati per il bambino, chiamarono l’infermiera che

riaccompagnò Leonardo in camera sua pregandolo di calmarsi e di rimettersi sotto le coperte a guardare le televisione. L’immagine che stava andando in onda in quell’istante era tremenda, tanto che Leonardo, per la paura, saltò in braccio alla donna che, a sua volta, era sbiancata in volto per l’impressione di quelle immagini. Un Polpo Mangiatutto aveva tentato di rubare le uova alla coppia di Golaspini Ballerini ma questi, con una velocità sorprendente, gli avevano annodato i tentacoli e con le code avevano iniziato a fargli il solletico. Il polpo si dimenava come un ossesso tentando di allontanarsi il più velocemente possibile dalla tana dei due terribili pesciolini. Quando furono sicuri di averlo reso innocuo, lo lasciarono scappare via, sicuramente, quel polpo, non avrebbe mai più assalito una tana di Golaspini per tutta la sua vita. - Come avete potuto osservare, questi pesci, pur molto piccoli, sanno difendersi molto bene dalle insidie della natura. E come ogni volta, siamo giunti al momento di salutarci. Vi diamo appuntamento al prossimo documentario con un altro misterioso animale!- Salutò il giornalista. Nel frattempo, Leonardo ne aveva combinata un’altra delle sue. Impressionato dalla lotta tra i Golaspini Ballerini ed il Polpo Mangiatutto aveva legato l’infermiera alla sedia con le lenzuola del suo letto ed aveva iniziato a farle il solletico in ogni parte del corpo. La poveretta gridava come un’ossessa chiedendo aiuto a chiunque fosse stato in grado di darglielo. Finalmente, giunsero altri infermieri che immobilizzarono Leonardo e liberarono la poveretta. Inutile dire che, anche stavolta, il nostro amico si è beccato una dura punizione: per un mese di fila dovrà starsene chiuso in camera sua a fare i compiti e, se proprio si sentirà triste, potrà sempre farsi il solletico da solo!

IL NATALE DI CATERINA

Quell’inverno sembrava essere come tutti gli altri inverni che si erano succeduti da quelle parti. La neve era caduta ed aveva ricoperto con il suo candore i tetti delle case mentre, agli angoli di giardini e viali, giganti cumuli bianchi erano fonte inesauribile di gioco per i bambini. In una casetta, appena in periferia, viveva la famiglia di Caterina. Caterina era l’unica figlia di due genitori, molto impegnati nel loro lavoro, ma che cercavano di dedicarle tutto il tempo libero che avevano a disposizione. Alla bambina pensavano, la vecchia governante, l’anzianissima cuoca ed il nonno materno, quando riusciva a materializzarsi. Di questi tempi, per un fantasma è difficilissimo materializzarsi: pare che il buco dell’ozono crei delle particolari condizioni atmosferiche per cui la materializzazione risulta, il più delle volte, incompleta. Sicché il nonno spesso assomigliava ad una grande gelatina che rimbalzava per la casa. Indubbiamente per un uomo della sua serietà era molto imbarazzante, “una vera e propria tegola” come avrebbe detto lui. Il papà e la mamma di Caterina, gestivano un piccolo ristorante proprio sulla via principale del paese la cui fama costituiva un’attrazione irrinunciabile per tutte le persone di aggio. Sopra la porta del ristorante giganteggiava una insegna in legno, illuminata da mille lucine colorate, che la rendevano visibile anche da molto lontano. “Il grillo parlante”, riportava l’insegna, in onore di tutte le favole del mondo. La vita di Caterina era scandita dai ritmi dettati dalla severa governante: sveglia all’alba, colazione, scuola, pranzo, compiti, un po’ di sport, cena e a letto per le nove.

Quella notte, la mamma di Caterina dormiva profondamente, ma all’improvviso il suo sonno venne turbato dalla visione di un vecchio con una lunga barba bianca, il vecchio non stava bene, non era molto malato, ma quel suo malessere lo rendeva molto triste. Chi era quel vecchio? Perché era così triste? La mamma di Caterina si svegliò con un grande senso di angoscia. La mamma stette in silenzio finché tutti non furono seduti attorno al tavolo pronti per fare colazione. - E’ molto ammalato! – Iniziò la mamma. - L’ho visto molto chiaramente, temo proprio che quest’anno non potrà are, è in arretrato con il suo lavoro e non ha nessuno che sia in grado di condurre la slitta quest’anno! – - Di chi stiamo parlando? – Chiese il marito - Ma di Babbo Natale! All’inizio non l’avevo riconosciuto ma poi questa mattina, mentre aiutavo Wanda a preparare la colazione tutto mi è stato chiaro – rispose soddisfatta per la sua brillante deduzione. - Babbo Natale, Babbo Natale! – Esplose Caterina tutta eccitata. - Andremo io ed il nonno a casa sua e l’aiuteremo. - Il nonno! – Disse il nonno come svegliatosi di soprassalto. - Andremo io ed il nonno hai detto? Ma non sappiamo niente di questo signore! – Continuò il nonno preoccupato. - Io non posso andare sola, sono troppo piccola e poi non conosco la strada! – Riprese Caterina. - Perché io la conosco? – Ribatté il nonno. - Certo che la conosci, perché ogni Natale mi fai spedire la lettera a Babbo Natale, quindi deve sapere il suo indirizzo! – Replicò Caterina.

- Dovrò essere stato ubriaco di vino, perché Babbo Natale …- Tentò di giustificarsi il nonno. - Conosco io l’indirizzo! – Interruppe la mamma. - Il vecchio me lo ha detto questa notte, l’ho scritto su questo foglio, è molto distante da qui ma anche molto vicino, credo che possiamo dare il permesso a Caterina di andare a patto che tu, nonno, l’accompagni – Sentenziò. - Un posto molto lontano ma anche molto vicino… Ma io dovrei riposare in pace! – Implorò il nonno. - Visto che non l’hai fatto fino ad oggi, vuol dire che mi accompagnerai Concluse Caterina. Quel giorno a scuola la bambina combinò ben poco. - Allora nonno hai iniziato i preparativi per partenza?- Chiese Caterina uscendo da scuola. - Mi sono documentato, nel senso che ho fatto un ricerca, ho scoperto che Babbo Natale si trova in Lapponia e che lì fa molto ma molto freddo – Disse il nonno fiero di se. - Ma queste cose le sapevamo già, ce le ha dette la mamma stamattina a colazione! – Disse sconsolata Caterina. - Ah già è vero, però c’è qualcosa che sicuramente tu non saprai… come arrivare in Lapponia senza muoversi da casa e soprattutto come dilatare il tempo - Come dilatare il tempo? – Sussurrò Caterina sbigottita. - E già, non penserai di preparare i regali per tutti i bambini del mondo in questi pochi giorni che ci separano dal 25 dicembre? - E’ vero, ma tu sei sicuro di sapere come si fa? – Certo che sono sicuro, non sono mica ubriaco di vino! – Disse il nonno un po’ risentito per la perplessità della nipotina. Così, senza accorgersene, si ritrovarono davanti alla porta di casa, dove c’era il

resto della famiglia ad aspettarli. Tutti erano sorridenti, il che piacque molto a Caterina, ma fece percorrere la schiena del nonno da un brivido di terrore, - la solita tegola a ciel sereno – pensò - che non si riesce mai a schivare -. - Presto entrate in casa – disse la mamma – Ci sono molte cose di cui discutere per preparare al meglio la vostra partenza -. Tutti entrarono e si misero seduti attorno alla tavola da pranzo dove li aspettava la famosa zuppa di zucca della vecchia Wanda ancora fumante. - Questa mattina mentre ero al ristorante mi ha telefonato Babbo Natale, mi ha detto che vi aspetta il 23 dicembre alle otto in punto, inoltre mi è stata recapitata da un folletto questa busta dove all’interno troverete la filastrocca magica da leggere per potervi recare a casa sua ed inoltre serve per la dilatazione del tempo – concluse la mamma. La mattina del 23 dicembre, tutta la famiglia era riunita in salotto. Con molta esitazione il nonno aprì la busta ed iniziò a leggere la filastrocca dopo avere accennato un timido saluto ai presenti ed essersi schiarito la voce.

FILASTROCCA SPAZIO – TEMPORALE DA LEGGERSI PER INCONTRARE BABBO NATALE

DESIDERO, ANZI, LO VOGLIO VERAMENTE CHE OGNI ISTANTE SIA VISSUTO INTENSAMENTE SE IO CI CREDO FERMAMENTE INCONTRERÒ BABBO NATALE CHE MI SORRIDE ALLEGRAMENTE!

Come d’incanto Caterina ed il nonno si trovarono in un enorme stanzone tutto pieno di gnomi e di folletti indaffarati con giochi di tutti i tipi, c’era chi riempiva orsetti di peluche di piume d’oca, chi serrava bulloni, chi incollava pinocchietti di legno, chi assemblava aeroplanini a motore, chi attaccava testa e braccia a corpi di bambole in plastica. Era tutto un fermento, un lavorio senza sosta, Caterina ne era incantata, non aveva mai visto niente di simile, era lì che tutti i giocattoli del mondo venivano realizzati, in quell’enorme stanzone pieno delle creature più stupefacenti che fossero state create. - Su non rimanete lì fermi come due stoccafissi! - Disse un vocione proveniente dalla sommità di una scala in legno che portava al piano superiore. - Salite pure senza timore – Continuò la voce. Nonno e nipote si guardarono con aria interrogativa, poi pian piano iniziarono a salire le scale gradino dopo gradino con grande circospezione, trasalendo ad ogni scricchiolio. Arrivati sulla soglia del piano superiore si fermarono. - Su ate dalla porta di fronte a voi, vi ho detto di non aver paura, non ho mai mangiato nonni e nipoti, a meno che non siate commestibili…- No, no!- Si affrettarono a dire i due, - non siamo commestibili affatto! Poi, facendosi coraggio, entrarono nella stanza. Sotto le coperte con una grande barba bianca, baffi bianchi, capelli bianchi ed un grande termometro in bocca c’era un vecchio che li fissava con aria divertita. - Non crederete mica che Babbo Natale sia una specie di cannibale - Esclamò il vecchio con uno strano accento dovuto al termometro che aveva in bocca. - Ma tu sei Babbo Natale? – chiese Caterina ancora un po’ impaurita. - Beh, certo non sono la Befana! – - Oh! Finalmente conosco Babbo Natale e non mi escono le parole, oh rabbia! E

dire che ho aspettato questo momento con tanta ansia - Non ti preoccupare piccola cara che tra poco ti sentirai completamente a tuo agio e tornerai ad essere la bambina vivace di sempre - Speriamo di no – Disse il nonno sorridente. - Dunque, mettetevi pure comodi, come avete potuto vedere il lavoro procede spedito – Disse Babbo Natale. - Ma allora, perché siamo qua noi due? – Interruppe Caterina. - Come perché? La mamma non vi ha detto niente? - No! – Affermò sicura Caterina. - Bene, io sono affetto da una strana malattia, si chiama Natalitis Acuta, che mi impedirà di uscire di casa fino al giorno della Befana. Quindi ho necessità di qualcuno che possa distribuire i regali al posto mio - Ma io sono una bambina, nessuno crederà che io sia Babbo Natale anche se mi vestissi di rosso! – Disse preoccupata Caterina. - Forse il nonno è più adatto di me a sostituirti! - Il nonno è qui come tutore, non sta bene che una bambina se ne vada tutta sola per la casa di un vecchio Babbo Natale, che cosa penserebbero i vicini. Comunque io non ho nessuna intenzione di farti are per me, sarai proprio tu, Caterina, a consegnare i regali ai bambini di tutto il mondo, ho deciso di aggiungere un tocco di modernità alla tradizione del Natale. non sei contenta? - Io forse sarò un po’ tradizionalista, ma credo che i bambini rimarranno un po’ delusi quando vedranno me in giro con la slitta per i cieli del mondo anziché te - Ma no ormai tutti sono interessati solo ai regali, che devono essere sempre più belli, a chi vuoi che importi chi c’è sulla slitta a guidare le renne? – Disse con tono provocatorio Babbo Natale. - A me importa! – Ribatté Caterina.

- Ed è per questo che ho scelto te, perché tu ancora credi in me, pensi veramente che un altro bambino al mondo avrebbe accettato di venire da me senza batter ciglio, così come hai fatto tu? - Spero di si! – Ribatté Caterina. - Beh, ti sbagli! – Tagliò corto Babbo Natale. - Allora non perdiamo altro tempo, visto che siamo d’accordo su tutto, non resta altro che metterci al lavoro, scendiamo sotto dagli gnomi e dai folletti a fare una bella verifica sullo stato dei lavori Visto dalla sommità delle scale il lavoro di quegli esseri stupefacenti era meraviglioso, ovunque era un vociare allegro, un martellare, un avvitare, un incollare, un impacchettare, insomma per un bambino quel laboratorio era tutto un mondo, un universo di gioia. - Alla vostra destra c’è il reparto ferroviario, costruiamo locomotori, vagoncini, rotaie stazioni, scambi, aggi a livello, ci sono anche i capi stazione, i eggeri e gli operai tutto come in una vera stazione. Più in là ci sono i giochi in legno, ormai è un reparto piccolo, piccolo ma quest’anno i pinocchietti vanno molto di moda, spero in una ripresa. Di fronte a voi gli ultimi ritrovati della tecnica, giochi elettronici, mostri urlanti, computer parlanti e chi più ne ha più ne metta. Ma come mai voi bambini andate pazzi per questa roba?- Perché è forte! – Disse Caterina non credendo ai suoi occhi. - Alla vostra sinistra costruiamo bambole. pupazzi e affini direi che si tratta di un reparto intramontabile, mi dà molte soddisfazioni. Ma venite scendiamo nel laboratorio, vi faccio vedere le lavorazioni più da vicino Babbo Natale era molto fiero di se e del suo lavoro ed anche i folletti e gli gnomi sembravano esserlo. - Questo è Crinch! – Disse Babbo Natale presentando a Caterina ed al nonno uno gnomo intento a scrivere numeri e annotazioni su un librone tutto rosso, pieno di agrifogli ed orsetti disegnati.

- Ha veramente un nome che gli si addice! – Disse il nonno compiaciuto. - Crinch si occupa della corrispondenza! - Continuò Babbo Natale. - Salve io sono Crinch, in questo periodo sono sommerso di lettere e cartoline con la lista dei regali che ogni bambino vorrebbe ricevere da questo signore qui!Disse Crinch seccato. - Su, su – continuò Babbo Natale – proseguiamo il nostro giro tra i doni di Natale, ho ancora tante cose da mostrarvi, vedrete che meraviglie! Poco distante da Crinch c’erano due folletti che stavano discutendo animatamente nel tentativo di mettere a punto un bambolotto che cantava canzoncine natalizie. Il primo insisteva per gingle bells, mentre il secondo andava pazzo per Christmas tree. - Vi presento Tano e Nano, si occupano delle musiche di Natale, sono due veri geni - Il genio sono io! – Disse Tano. - Tu sei solo un povero stupido! – Ribatté Nano. - Sei invidioso perché i bambini preferiscono gingle bells piuttosto che quella tua melodia stonata! – Disse Tano sempre più arrabbiato. - Christmas tree è il canto di Natale più bello che esista! – Sentenziò Nano molto arrabbiato. - Calma ragazzi calma, più tardi avrete modo di cantare qualcosa per i nostri ospiti! – Cercò di intervenire Babbo Natale. Da un angolo in fondo alla sala provenivano degli strani rumori come se qualcuno stesse lamentandosi di qualcosa andato storto. - Quel folletto non ne combina mai una giusta- sospirò Babbo Natale. – Venite devo presentarvi l’essere più stravagante che abbiate mai incontrato – Continuò rivolto a Caterina ed al nonno. A grandi i raggiunsero un grosso pentolone che conteneva del cioccolato

nero, nero tutto fumante ed indaffarata ad attizzare il fuoco c’era una signora folletto che imprecava e malediceva ogni cosa che avesse intorno in un linguaggio incomprensibile. - Buon giorno Gertrud, ancora problemi con la macchina per la fabbricazione dei cioccolatini?- Iniziò cortese Babbo Natale. - Quante volte ti ho detto che devi avere un po’ di pazienza altrimenti non ce la farai mai a fabbricarli come piacciono ai bambini - Afere pazienza, foi tite afere pazienza ja! Ma sono mesi che cvesti cioccolatini non ne fogliono sapere di tenere una forma adeguata, si spappolano tutti una folta tolti dalle forme ja!- Disse il folletto molto irato. - Ma forse dovrebbero rimanere nei loro stampini ancora per qualche minuto – Disse con aria ingenua Caterina. - Chi ha parlato? Tu piccola pampina hai mai fatto dei cioccolatini ja? - No io mai, però pensavo che…- Farfugliò Caterina. - Pensare, pensare è pericoloso soprattutto se poi tu dire stupidaggini come cvesta. Fare stare i cioccolatini per più tempo nelle loro formelle, tze! mai sentita una stupidaggine più grande ja– Disse sdegnata Gertrud. - Però si potrebbe tentare – Suggerì Babbo Natale con un sorrisetto malizioso rivolto a Caterina. - Tentare? Anche foi contro di me? E fa bene, tentiamo ma se no dofesse funzionare sarà colpa di cvesta insolente pampina se anche cvest’anno i cioccolatini saranno pronti solo per Pasqua ja! Gertrud si mise all’opera, mescolò e versò il cioccolato negli stampini ed attese quasi cinque minuti in più di quello che aveva fatto fino a quel momento. Quando tolse i cioccolatini dalle loro forme accadde una cosa per lei sconvolgente, tutti avevano mantenuto la loro forma. Gertrud ne assaggiò uno, non c’era che dire era buono e bello come aveva sempre desiderato, tutti quegli anni ad impazzire dietro il suo pentolone ed infine

la soluzione era così semplice. - Sono un fero fallimento ja! – Disse commiserandosi il folletto. - Non devi dire così – la consolò Caterina mentre si ingozzava di cioccolatini – sono buonissimi, credo che saranno un successo in tutto il mondo! – Concluse Caterina. - Tu dici feramente? Forse hai ragione. Potrei metterci una nocciola sopra, chissà potrebbero feramente difentare un successo mondiale, ja! Così mentre Gertrud inziava a confezionare i suoi cioccolatini, Babbo Natale trascinò via Caterina ed il nonno che stavano trangugiando cioccolato come nessuno aveva mai fatto prima. Babbo Natale si rabbuiò improvvisamente quando vide comparire uno gnomo con un lungo camice bianco. - Non mi dire che è già l’ora della medicina? – Chiese allo gnomo. - Sapete signore che contro la vostra malattia questo è l’unico rimedio se volete rimettervi almeno per il giorno della Befana – Replicò lo gnomo. - E va bene procediamo pure Cettina. Scusate vi presento Cettina la strega della casa – Disse svogliato Babbo Natale. - Io mi considero una guaritrice, non una strega, quante volte ve lo devo ripetere. Comunque è un vero piacere fare la vostra conoscenza. Ed ora bando alle ciance, ingoia la medicina tutta d’un fiato vecchio brontolone! Disse Cettina rivolta a Babbo Natale, che con mille smorfie vuotò tutto il bicchiere d’un fiato come comandato. - Però non c’è che dire, dopo aver preso questa pozione mi sento rinvigorire, che sia l’effetto del peperone Babbo Natale congedò la guaritrice cordialmente, poi fece cenno di seguirlo in sala da pranzo dove di fronte a loro sfavillava una tavola imbandita di ogni ben di Dio.

- Domani è la vigilia di Natale, manca poco al grande momento – Iniziò Babbo Natale, mentre si riempiva il piatto di gelato al puffo. - Ancora non vi ho parlato di come si svolgeranno le cose e soprattutto non vi ho spiegato che cosa mi aspetto da voi. Per prima cosa domattina vi farò conoscere le otto renne. Dopo che avrete fatto amicizia con loro dovremo preparare la slitta, caricarla con tutti i doni catalogati in ordine di continente, nazione, regione, città, paese ecc. Dopodichè vi aspetta la prova costumi, ve ne ho fatti confezionare due bellissimi, vedrete vi staranno a pennello, già mi pare di vedervi! - Ma come faremo a distribuire i regali a tutti i bambini del mondo in una sola notte! – Chiese il nonno un po’ preoccupato. - Per la precisione in un solo minuto. Caterina dovrà essere a casa sua esattamente il 25 dicembre ato un minuto dopo la mezzanotte, siederà sotto l’albero e scarterà i suoi regali come ogni anno e come ogni anno ringrazierà Babbo Natale per avere esaudito i suoi desideri - Quest’anno dovrò ringraziare anche un po’ me, visto chi ti sostituisco! – Esordì Caterina. - Già è vero e chissà che non dovrai farlo anche l’anno venturo, ormai inizio ad essere vecchio sapete, ho quasi duemila anni io! – Disse sorridendo Babbo Natale. Terminato di cenare Babbo Natale accompagnò il nonno e Caterina nella loro stanza da letto e diede loro la buona notte. Mentre Caterina dormiva una voce familiare si udì giungere da ogni parte della casa, era la voce della sua mamma…

NINNA NANNA DELLA MAMMA

FAI LA NINNA BIMBA MIA

STANOTTE, FAI LA NANNA NINNA NANNA AMORE SANTO LA TUA MAMMA TI È VICINA NELLA NOTTE FREDDA E BUIA SOTTOVOCE CANTA QUESTA NINNA NANNA DOLCE CHE T’ACCOMPAGNERÀ VERSO IL SOLE DEL MATTINO FAI LA NANNA MENTRE I SOGNI SBOCCERANNO COME FIORI PROFUMATI DI… NINNA NANNA DELLA MAMMA CANTERÒ PER TE NINNA NANNA DELLA MAMMA SUONERÒ PER TE NINNA NANNA DELLA MAMMA CHE TI SCALDA IL CUORE MENTRE FAI LA NINNA BIMBA MIA STANOTTE MAMMA È CON TE… BUONANOTTE!

- Buon giorno Caterina! – La sveglio il nonno. - Siamo in grave ritardo, sai bene che quando si deve partire si deve partire,

prendere il primo treno utile e via senza pensarci troppo- disse il nonno con aria greve. - Ma nonno sono le otto del mattino abbiamo tutta la giornata, e poi non siamo soli c’è Babbo Natale - Babbo Natale, la fa facile lui! Qui c’è il rischio che per colpa nostra salti tutto il Natale, ma ci pensi se non si dovesse più giocare a tombola, al morto che parla chi glielo spiega che per quest’anno niente tombola? – Concluse il nonno preoccupato. - Su, su non perdiamoci d’animo – Disse Babbo Natale entrando nella stanza con un vassoio pieno di dolci ed una brocca di latte fumante. - Vedrete che dopo colazione tutto vi sembrerà più semplice, si ragiona meglio a pancia piena!Terminata la colazione i tre si diressero al piano inferiore per controllare gli ultimi ritocchi che gnomi e folletti stavano apportando ai regali ormai ultimati. A quel punto non rimaneva altro che mettere tutto in due enormi sacchi, uno per i maschietti ed uno per le femminucce. - Ma come è possibile far entrare tutte queste cose in due soli sacchi? – Chiese Caterina piuttosto stupita. - Non ti preoccupare e lascia fare ai miei folletti insaccatori, sono maestri nel far entrare ogni più piccolo regalo dentro questi vecchi sacchi di iuta. Noi dobbiamo occuparci delle renne, sono impazienti di conoscervi. Seguitemi vi condurrò alla stalla!E così dicendo uscirono dalla casa per dirigersi verso la stalla che era praticamente attigua al laboratorio. Nella stalla c’erano otto enormi renne marroni con delle corna meravigliosamente grandi. - Eccoci qua! – iniziò Babbo Natale – queste sono Cometa, Fulmine, Donnola, Freccia, Ballerina, Saltarello, Donato e Cupido.

Caterina si avvicinò con una certa circospezione agli animali, iniziandoli ad accarezzare uno ad uno. - Non essere timida! – Disse ad un tratto Cometa. - Ma tu parli! – Disse esterrefatta Caterina. - Tutte noi parliamo – Dissero in coro le otto renne. - Ma come è possibile, non ho mai sentito dire che le renne potessero parlare – Continuò Caterina sempre più stupita. - Veramente ho parlato da quando sono nata, pensavo fosse normale – intervenne Fulmine. - Ragazze, ragazze non è il momento di raccontare la storia delle renne parlanti ora, tra pochissimo sarà il vostro momento milioni di bambini vi aspettano! – Intervenne Babbo Natale, che ormai sentiva l’avvicinarsi della fatidica ricorrenza. Dopo aver condotto le renne dentro la stalla e sistemato la slitta affinché gli gnomi e i folletti potessero caricarla con i sacchi pieni di regali, i tre tornarono in casa. Si diressero verso un grande guardaroba pieno di costumi da Babbo Natale, lì trovarono ad aspettarli uno gnomo di nome Pino, era il sarto di casa, un grande sarto ed in effetti quei costumi erano meravigliosi. - Oh bene, bene! – Iniziò Pino – finalmente potrò vedere indossati i miei vestiti nuovi, preparati proprio per questa occasione, spero che vi vadano bene, questa notte non bisogna sfigurare Caterina ed il nonno indossarono i loro abiti nuovi, non c’era nulla da dire il sarto Pino aveva fatto un lavoro eccezionale, i due, a dire il vero, non somigliavano molto a Babbo Natale, ma in quei costumi sentivano di incarnare veramente lo spirito natalizio. - Potete tenerli indossati – disse Babbo Natale – ormai manca veramente poco alla partenza -

Finalmente le lancette dell’orologio erano quasi sulla mezzanotte. Babbo Natale condusse Caterina e suo nonno fuori della casa dove i folletti avevano preparato la slitta, tutto era magnifico, sembrava di essere in una meravigliosa favola. - In carrozza: slitta per il mondo intero in partenza sul binario zero! – Disse ridendo Babbo Natale mentre i suoi sostituti prendevano posto a bordo di quell’originale mezzo di trasporto. - Cosa succederà quando avremo finito il nostro compito? – chiese Caterina. - Non ti preoccupare ho pensato a tutto io! – Rispose Babbo Natale. - Ma ci rivedremo ancora? – Incalzò Caterina. - Ogni anno per tutta la vita, se avrai ancora voglia di credere in me! – Detto questo, i tre si abbracciarono e si salutarono a lungo, Caterina avrebbe sempre creduto in quel simpatico vecchio, c’era da scommetterci. Terminati i saluti, Babbo Natale fece cenno ai due di partire, Caterina schioccò le dita e subito le renne si misero in marcia iniziando a salire in cielo. - Buon Natale! – Urlò Babbo Natale. - Buon Natale e a presto! – Risposero urlando a squarcia gola i due mentre avano di fronte alla luna. La slitta solcava il cielo rapida e quando ava sopra una casa dai sacchi uscivano pacchi colorati dalle forme più strane, quindi entravano nelle case o dai camini o dalle finestre oppure attraverso i muri. Fu un minuto interminabile e bellissimo. Caterina poteva sentire un gioioso vociare proveniente dalla Terra – È arrivato Babbo Natale! – Dicevano tutti – Buon Natale, buon Natale! Quando finalmente la slitta ò, al termine del viaggio, sulla casa di Caterina, lei ed il nonno si trovarono nel loro salotto di fronte all’albero di Natale più bello che avessero mai visto, pieno di luci, palline colorate, fiocchi e dolci di ogni

tipo. - Wow!- Esclamò Caterina. - Mi sento tutto stralunato!- Si lamentò il nonno. - Essere Babbo Natale è stata un’esperienza pazzesca. Vedrai domani quando lo racconterò a papa, mamma, Wanda e Anna. Rimarranno a bocca aperta!Continuò la bambina. - Caterina, sai cosa ti dico: che in tanti anni che sono vissuto non mi sono mai sentito così vivo come da morto!- Sentenziò il nonno. - Buon Natale a tutti e grazie!- Risuonò la voce di Babbo Natale.

IL SIGNOR “T” E L’INVENZIONE DEL NATALE

Il signor “T” era un tipo giocondo ed un giorno, decise di portare il Natale nel mondo! L’esperimento riuscì così bene che, ancor oggi, il Natale ci appartiene!

Non era riuscito a chiudere occhio quella notte, il signor “T”. Si era girato e rigirato nel letto per tutto il tempo, pensando come fare a riparare un vecchio gufo meccanico che, per quanto lui si sforzasse, non ne voleva sapere di fare - UH, UH! -. Innervosito, si era alzato dal letto ed era sceso nel suo laboratorio. Il signor “T” abitava in una vecchia casa a due piani. Al piano terra c’era il suo negozio di giocattoli con il laboratorio che utilizzava per le sue creazioni e per le riparazioni. Mentre lui viveva al primo piano insieme ai genitori, una coppia di arzilli ultraottantenni che il signor “T” chiamava – l’mi babbo e la mi mamma!-. Sul davanti c’era un piccolo giardino dove il signor “T” esponeva i giocattoli più grandi. Il signor “T” aprì lentamente la porta del laboratorio e subito vide due occhietti gialli fissarlo intensamente. - L’ha aperto l’occhi!- Esclamò ad alta voce - Peccato che non ne vole sentì di parlare, sto gufaccio maledetto!-. E così, senza perdere altro tempo, il signor “T” si mise a trafficare intorno al gufo meccanico nella speranza di riuscire a fargli dire - UH, UH! -. Saranno state circa le sette e mezza del mattino che sua madre fece capolino

dalla porta del laboratorio con in mano un vassoio pieno di un’abbondante colazione. - T’ho portato qualcosa da sgranocchiare. Oh che tu ha fatto? No hai dormito codesta notte costì?- Gli chiese la donna. - Oh benedetta mammina, codesto gufo non ne vole proprio sapere di parlare. Dovrò chiedere aiuto al babbo, quel vecchio stralunato!- Rispose il signor “T”, senza alzare la testa dal suo lavoro. - Non mancare di rispetto al tu babbo, vorrei vedere tu alla su età se non ti mancherà qualche venerdì. E poi che farà mai di strano quel pover’omo?- Disse risentita la donna. - Se ti sembra normale a la su età fa la pipì contro ‘l muro de la chiesa! Se lo piglia ‘l curato lo fa a strisce!- Rise il signor “T”. - Invece di pensare al tu babbo, a la tu età, dovresti pensare a pigliar moglie invece di continuar a saltar la cavallina!- Lo incalzò la madre. - A chi hanno rubato la gallina?- Li interruppe suo padre, che nel frattempo era sceso in laboratorio anche lui. - L’è sordo come un trombone, sto poro marito mio! Non hanno rubato nulla non ti preoccupare”!- Lo rassicurò la moglie con un tono di voce da oltre 100 decibel. - Ah! L’han ritrovata. Me ne compiaccio. Figliolo, ancora con sto gufo in giro? Proprio non ti ci riesci a raccapezzare!- Disse il vecchio rivolto al figlio. - Senti babbo, provaci tu che sei tanto bravo!- Il signor “T” era molto suscettibile quando qualcuno criticava il suo lavoro. Suo padre si mise seduto, prese il gufo tra le mani, lo scosse un pochino ed accese il pulsante d’avviamento. - UH, UH!- Fece il gufo. - Toh! L’è bello e riparato. Tutto sto nervoso per nulla!- Disse l’arzillo vecchietto restituendo il giocattolo al figlio.

- Oh babbo, non so come tu faccia a farmi perdere le staffe in codesto modo costì? Mi vo a fa ‘na doccia, che è meglio!- E così dicendo, il signor “T” se ne tornò al piano superiore. - Oh che tu n’hai fatto neanche colazione!- gli disse sua madre mentre saliva le scale. - Non ti preoccupare che in codesta casa non si spreca nulla!- Le fece eco il marito mentre masticava un pezzo di pane, burro e marmellata. Alle nove in punto, come ogni mattina, il signor “T” si recò in negozio. Di lì a poco giunse il suo assistente. Un ragazzino sui tredici anni magro come un chiodo di nome Ugo ma, vista la sua corporatura, che tutti chiamavano Ughetto. - UH, UH!- Fece il gufo, appena il ragazzo varcò la soglia del negozio. - Bravo il signor “T”, ero sicuro che non ce l’avresti fatta a ripararlo!- Si complimento Ughetto. - E invece ce l’ho fatta. A la faccia di chi mi vole male!- Rispose acido il signor “T”. Dopo quel battibecco, la mattinata scorse con il solito tran tran rotto, di tanto in tanto, da qualche eccentrico cliente. - Signor “T”! Mi sa che ci sono guai in arrivo. Sta arrivando la signora De Renzis, quella delle formiche ‘mpagliate!- Ughetto non fece in tempo ad avvertire il signor “T” che la signora era già in negozio. - Buon giorno signori, sono pronte le mie formiche?- Fece la donna con fare altero. - Certamente!- Rispose il signor “T” gentilissimo – Vado nel retro a prendergliele. - Ecco qui le sue formiche ‘mpagliate, spero sia soddisfatta del lavoro!- Disse il signor “T” riapparendo in negozio dopo mezz’ora abbondante.

La signora De Renzis guardò attentamente le formiche poi disse – Ottimo lavoro, lei mi stupisce sempre signor “T”! i suoi giocattoli dovrebbero arrivare in capo al mondo tanto sono belli. Pensi che di formiche, al giorno d’oggi non se ne ‘mpagliano più, e mio nipote come fa a giocare al piccolo entomologo senza le formiche ‘mpagliate? Mi dica lei, come fa?- Senza le formiche ‘mpagliate non si pole di certo!- Rispose il signor “T”. Quando la donna se ne fu andata in signor “T” divenne pensieroso. Se ne andò nel retro bottega e se ne stette lì fino all’ora di pranzo. Durante la mattinata arono molti altri clienti, compreso il proprietario del gufo meccanico: il cavalier Pescimbarile, ma il signor “T” si fece negare. - Mi dispiace cavaliere ma il signor “T” è appena uscito, comunque mi ha lasciato il su bel gufetto. Guardi, sembra novo novo!- Disse con fierezza Ughetto. - L’è vero, sembra proprio novo di pacca. Il signor “T” l’è un fenomeno! Ringrazialo da parte mia quando ritorna! – Si a accomiatò il cavalier Pescimbarile, naturalmente senza pagare il conto. Poi fu la volta del parroco. - Ciao Ughetto, non c’è il signor “T”?- Salutò il sacerdote entrando in negozio. - No, don Pietro, è uscito a fare delle commissioni!- Mentì il garzone. - E neanche il su babbo s’è visto?- Chiese ancora l’uomo. - No, è da iersera che non si vede. È successo qualcosa?- Ribatté Ughetto. - Mah! L’altro giorno, mi è parso di vedere un’ombra tale e quale al padre del signor “T” che aveva scambiato la pareti della chiesa con un vespasiano…- Si lamentò il parroco. - Don Pietro, non può essere! Si sarà senz’altro confuso di ombra. Il babbo del signor “T” non farebbe mai una cosa così orribile!- Lo giustificò Ughetto. - Voglio crederti. Senti ti lascio alcune macchinine da riparare, dì al tuo capo di

darsi una mossa che mi servono per gli orfanelli. E non ti dimenticare da parte mia appena esce dal laboratorio!- Disse con aria di chi la lunga don Pietro mentre usciva dal locale. - Non c’è nulla da fare, a don Pietro non la si fa sotto il naso. Sente le bugie lontano un miglio, soprattutto quelle che mi fa raccontare il signor “T”- Sospirò Ughetto. Dopo qualche minuto, il negozio fu invaso dalla famiglia Appetecchi: padre, madre e cinque figli di cui tre femmine e due maschi. - Buon giorno Ughetto, dove s’è nascosto il signor “T” stavolta?- Chiese il signor Appetecchi. - Cosa vuole, il signor “T” è molto impegnato in questo periodo. È praticamente impossibile trovarlo in negozio con tutto quello che ha da fare!- Rispose Ughetto. - Non ti preoccupare, chiederemo a te!- Fece la signora Appetecchi. - Io voglio il mostro sputa bava!- Disse il primo figlio. - Io voglio la bambola che fa le capriole all’indietro!- disse una delle figlie. - Io voglio la mazzafionda super professionale per rompere le finestre della scuola!- disse il secondo figlio. - Io voglio il vestito da eschimese e tutto l’occorrente per fare gli igloo!- Disse l’altra figlia. - Io voglio la ghigliottina per decapitare le galline, tutta rosa, però, perché sono femmina!- Disse la terza figlia. - Abbiate un po’ di pazienza e vedrete che accontenteremo tutti!- Fece Ughetto mentre cercava di difendersi dagli assalti dei bambini. Dopo un’ora il negozio era completamente a soqquadro. I bambini avevano cambiato idea almeno dieci volte a testa ed Ughetto era seppellito da una montagna di giocattoli.

Alla fine l’unica veramente contenta fu la signora Appetecchi che comprò una meravigliosa lampada per fare le ombre le ombre cinesi, mentre i figli, per ordine del signor Appetecchi, dovettero accontentarsi di un set di sagome in cartone per fare le ombre cinesi davanti alla lampada per le ombre cinesi. - Non è giusto, però, io volevo il kit del piccolo piromane!- Disse il primo figlio. - Io volevo il forno per fare le statue di ceramica giganti!- Disse una delle figlie. - Io volevo la pistola lancia razzi!- Disse il secondo figlio. - Io volevo la scatola con i trucchi che fanno diventare invisibili!- Disse l’altra figlia. - Io volevo il cane meccanico che fa la pipì!- Disse la terza figlia. Tra tutti quei piagnistei il signore e la signora Appetecchi trascinarono fuori del negozio i loro cinque pargoletti. - Arrivederci Ughetto, salutaci il signor “T” quando lo vedi!- Si accomiatò il signor Appetecchi. - Addio per sempre!- Ringraziò Ughetto. Verso l’una, dopo aver sistemato tutto il negozio, Ughetto chiamo il giocattolaio. - Signor “T” l’è l’ora di desinare. Il su babbo e la su mamma c’hanno già chiamato du volte!- Disse Ughetto che a quell’ora aveva sempre un certo languorino. A tavola il signor “T” non toccò quasi cibo. Poi all’ennesima insistenza della madre per sapere cosa fosse successo, disse – La signora De Castris la m’ha fatto venire un’idea codesta donna lì! Sarebbe bello regalare i mi giochetti a tutti i bambini del mondo!- Ganzo, sarebbe fichissimo!- Esclamò Ughetto. - Ma che t’ha dato di volta ‘l cervello? Sa quanto ci costerebbe in spese di spedizione? Per non parlare dei materiali!- Lo rimproverò la madre.

- Oh che guastafeste che devi sempre essere vecchia strega, se ‘l tu figliolo vole uscire a comprare du angioletti perché nun pole fare!- Il padre difendeva sempre il signor “T”, quantunque fosse sordo come una campana. - Oh babbo se tu non ti decidi a metterti l’auricolare…pigli sempre fischi per fiaschi! Mammina, lascia che ti spieghi: ho pensato che al mondo non esiste una festa dove ai bambini si dia ‘na certa ‘nportanza. Ho pensato che ’l 25 dicembre che è ‘l giorno della nascita di Gesù Bambino si potrebbe ‘nventare una storia di un babbino che porta i regali a su piccini!- Spiegò il signor “T”. - E che nome l’avrebbe sto babbino che dovrebbe portare i tu giocattoli ai piccini del mondo?- Chiese curiosa la madre. - Ma è chiaro! L’avrebbe ‘l nome del mi babbo…Natale!- Fece, tutto trionfante, il signor “T”. - Babbo Natale! Lo sai che mi piace!- Esclamò suo padre, che nel frattempo, si era messo l’auricolare e quindi aveva sentito tutto perfettamente. Nei giorni che seguirono il signor “T” rimase tappato nel suo laboratorio a costruire giocattoli su giocattoli da regalare a tutti i bambini del mondo mentre sua madre si diede un gran da fare per cucire un costume da Babbo Natale per suo marito. Lo fece tutto verde con i risvolti delle maniche bianchi, stivali ed un enorme cappello a punta. Non c’era che dire il padre del signor “T” con quel costume e la sua barba bianca avrebbe spopolato. Ughetto aveva preparato un enorme cartello e lo aveva messo fuori dal negozio – CARI BAMBINI, QUEST’ANNO IL 25 DICEMBRE BABBO NATALE A MEZZANOTTE VERRÀ NELLE VOSTRE CASE E VI LASCERÀ IN DONO UN BELLISSIMO REGALO PER CIASCUNO! -. L’iniziativa del signor “T” non ò inosservata. Tutti i genitori, che non credevano affatto che il signor “T” avesse veramente intenzione dei regalare i suoi bellissimi giochi a tutti i bambini del mondo, erano molto preoccupati di dovere spendere soldi per accontentare i loro figlioli, una volta saputa la notizia dell’arrivo di questo babbo Natale, si rivolsero al sindaco chiedendogli di

bloccare l’iniziativa dello stralunato costruttore di giocattoli. Il sindaco, che aveva quattro figli piccoli, non se lo fece ripetere due volte e convocò all’istante il signor “T” in municipio. - Ma ‘nsomma, si pole sapere cose t’è saltato ‘n mente sta volta benedetto figliolo?- Attaccò il sindaco. - ‘na bellissima idea signor sindaco. Ho inventato Babbo Natale!- Rispose con fierezza. - Che stupidaggine vai dicendo! Questo è un trucco per vendere i tu giocattoli a noi che siamo pieni di bambini. Volevo vedere se non eri scapolo…questa idea non ti veniva davvero!- Lo rimproverò il sindaco. - Ma non è così, io i mi giocattoli li voglio regalare a tutti i bambini del mondo! Anzi se voi eravate un sindaco intelligente inventavate anche il Natale!Insistette il signor “T”. - E che cosa dovrebbe essere il Natale?- Chiese il sindaco che iniziava ad essere scocciato. - Ci pensi bene. Lei potrebbe dire che il 25 dicembre è la festa del Natale. Ogni famiglia potrebbe decorare la propria casa, magari con uno dei suoi alberelli, ne ha un vivaio pieno e da anni non ne vende uno!- Suggerì il signor “T”. - Oh benedetto figliolo, piuttosto che regalare i mi alberelli gli do foco! Non mi piace codesta festa del Natale. Se tu voi rovinarti co le tu mani, libero di farlo. Ma io non ho nessuna intenzione di seguire il tuo esempio!- Concluse il sindaco. Il signor “T” se ne tornò a casa sconsolato. In fin dei conti lui avrebbe voluto portare solo un po’ di bontà nel mondo ma nessuno gli aveva creduto anzi, i suoi compaesani erano ricorsi al sindaco pur di boicottare la sua iniziativa. Ma il signor “T” era un osso troppo duro per quella gente, mai e poi mai si sarebbe dato per vinto: aveva deciso di inventare il Natale ed il Natale avrebbe inventato! - Il sindaco non ci vole aiutare!- Esclamò appena rientrato in negozio.

- E ora che si fa? Abbiamo il laboratorio invaso di giocattoli!- Rispose Ughetto. - Oh! Io al mi vestito da Babbo Natale non ci rinuncio. Piuttosto, o tutta la notte al freddo ma, i giocattoli, li vo a distribuire io di persona a tutti i bambini del mondo!- Disse suo padre. - Io m’accontenterei di distribuirli qui in paese. Sarebbe uno smacco per tutti!S’intromise sua madre. - Quindi voi pensate che dovremo fare tutto da soli, senza l’aiuto di nessuno!Disse il signor “T” che iniziava già ad assaporare l’idea di lasciare il paese di stucco. - Ce la possiamo fare signor “T”, basterà organizzarci!- Fece Ughetto tutto eccitato da quell’idea. E così, il signor “T”, i suoi genitori ed il piccolo Ughetto si organizzarono per distribuire regali a tutti i bambini del paese. La notte a cavallo tra il 24 ed il 25 dicembre, di nascosto da tutti, scorrazzarono furtivi per le strade del loro paese lasciando di fronte ad ogni portone i regali per i bambini che vivevano in quella tal casa o in quel tal palazzo. - Sono esausto!- Esclamò il signor “T” gettandosi sul divano del salotto. - Oh figliolo, l’è stata dura ma ce l’abbiamo fatta!- Si congratulò sua madre. - Sono il primo Babbo Natale della storia!- sorrideva felice il padre del signor “T” aggirandosi per la casa fischiettando una canzoncina che s’era inventato lì per lì. La mattina successiva, il paese fu risvegliato dalle urla di gioia dei bambini che avevano scoperto fuori della porta delle loro case i giocattoli che Babbo Natale aveva lasciato per loro. Proprio come stava scritto sul cartello fuori del negozio del signor “T”. Inutile dire che tutti i genitori del paese furono costretti a ricredersi sulle intenzioni del giocattolaio e così tutti insieme decisero di contribuire affinché quella nuova festa riuscisse perfettamente. Il sindaco, seppur con grande sforzo, regalò un piccolo abete ad ogni famiglia.

Dall’emporio furono messi a disposizione fiocchi e dolci per decorare gli alberi ed infine la banda del paese si mise a suonare delle bellissime musiche nella piazza coperta di neve. E così, da quel giorno, ogni anno il 25 dicembre è detto il giorno di Natale e tutti i bambini ricevono bellissimi regali ma solo in pochi sanno che tutto il merito è di un certo signor “T”.

Grazie al signor “T” nessuno ormai ha più dubbi, il Natale è la festa di tutti!

LA FATINA DEI DENTI DAVANTI

Ultimamente accadono cose davvero strabilianti. Pensate che il famoso topino dei denti è entrato in sciopero perché quando dalla lira si è ati all’euro le mance da lasciare ai bambini, per ogni dentino perso, hanno raggiunto cifre esorbitanti e lui è rimasto senza fondi, praticamente in mutande. Ma niente paura: la società moderna, malata di consumismo, l’ha subito rimpiazzato con una fatina molto ricca, in modo tale che, per qualche tempo ancora, i bambini non faranno storie quando perderanno i denti. Sono apparsi perfino interessanti articoli di stampa che ne hanno lodato le qualità e le bellezza. Le è stato dato anche un nome che secondo me le si addice molto: Zia Stefania! Ma, come spesso accade, non è tutt’oro quello che riluce. Infatti, anche a me è capitato di perdere un dente da latte, per la precisione un canino. Come tutti i bambini diligenti, ho provveduto a metterlo sul davanzale della finestra della mia camera da letto, coperto da un bicchiere e trepidante me ne sono andato a dormire in attesa di scoprire, l’indomani mattina, l’ammontare della mancia che la fatina dei danti mi avrebbe sicuramente lasciato sotto il bicchiere in sostituzione del mi canino. L’indomani, mi sono svegliato più presto del solito e trepidante dalla curiosità mi sono accostato al bicchiere. Dopo qualche attimo d’attesa, dove ho cercato d’immaginare quanto potesse esserci sotto il bicchiere, l’ho sollevato di scatto. - Oh mamma, ma è un incisivo!- Esclamai stupefatto. La fatina dei denti mi aveva lasciato un enorme dente davanti, di quelli che quando ti spuntano sembri un incrocio a metà tra un cavallo ed un coniglio ed inorridisci solo al pensiero di are davanti ad uno specchio e vederteli esplodere dalla bocca.

- Ma che cosa può essere successo? La fatina si è presa il mio canino e l’ha sostituito con un incisivo! Che me ne faccio di un incisivo? Io ce li ho tutti gli incisivi!- Ero veramente disperato. Già mi vedevo col mio bel gruzzoletto davanti ad una gelateria pronto a gustarmi il mio gelato triplo gusto e doppia panna ed invece ero rimasto con un bel pugno di mosche in mano, anzi, per essere precisi con un enorme dente davanti che neanche mio padre ce li ha così grossi! Con molta rassegnazione sono andato a scuola, non prima di aver raccontato tutto a mia madre. - È tutto molto strano!- Mi ha detto lei – No ti preoccupare, vedrai che la prossima volta la fatina dei denti ti accontenterà!Giunto in classe, ho scoperto di non essere stato l’unico a ricevere quell’insolita sorpresa. Anche Piero, il mio migliore amico, aveva perso un premolare e si era ritrovato con un incisivo bello grosso ma grosso da far spavento. - Non so che dire, è da stamattina che cerco di darmi una spiegazione!-Si lamentò Piero. - Non lo dire a me, per un pelo non ci rimanevo stecchito per la delusione!- Gli feci eco. - Senti, io ho un altro dente che mi si muove. Dopo me lo tolgo e, se stasera verrai a dormire a casa mia, tenderemo una trappola alla fatina dei denti!- Mi disse Piero. Ed io accettai volentieri. Così, quella sera, andai a dormire a casa di Piero per risolvere l’enigma dei denti davanti. Piero, come aveva promesso, si tolse un altro premolare ed insieme lo mettemmo sotto un bicchiere sul davanzale della finestra della camera da letto. Quindi Piero se ne andò a letto ed io mi nascosi dietro la cesta dei giochi in attesa di zia Stefania la misteriosa fatina dei denti di cui tanto parlavano quotidiani e riviste. Ad un tratto, quando stavo, ormai, per addormentarmi sentii un rumore di i. Aguzzai le vista, per quanto nel buio fosse possibile farlo e, senza esitare, le saltai addosso con un balzo felino.

- Oddio mio!- Fece lei. - Presa!- Urlai io. - Bravissimo!- Mi disse Piero, mentre stiracchiandosi, scendeva dal letto. - Ma siete impazziti, che maniere sono queste? Vi ha forse dato di volta il cervello?- Chiese arrabbiatissima zia Stefania. - Non siamo noi ad aver perso la ragione, sei tu che te ne vai in giro per le case a regalare incisivi grossi come non se ne sono mai visti prima!- Le dissi io con tono molto serio. - E cosa c’è di strano nel regalare incisivi? Io sono la fatina dei denti davanti!Esclamò la fatina dei denti davanti. - Come sarebbe a dire?- Chiese Piero incredulo. - Sarebbe a dire che io sono specializzata in denti davanti. C’è la fatina dei denti canini, quella dei denti premolari e c’è perfino lo stregone dei denti del giudizio!- Spiegò zia Stefania. - Ma perché allora tutti parlano di te? Le altre fatine e lo stregone che fine hanno fatto?- Azzardai. - Quanto sei ignorante bambino. Le altre fatine e stregoni assortiti non hanno la mia notorietà, la mia classe, il mio fascino. Ma volete mettere la bellezza di un dente davanti con un molare. Ma secondo voi perché l’incisivo se ne sta lì, beato in prima fila avvolto nel suo candore mentre il molare vive nascosto nelle profondità della bocca sporco e puzzolente?- Si vantò la fatina. - Io non ci capisco niente, ma che fine a fatto il topino dei denti che metteva i soldini sotto i bicchieri?- Urlai disperato. - È qui che ti volevo!- Esordì la fatina – Il topino dei denti a forza di regale soldi è finto sul lastrico ed ora se ne sta mogio mogio in una casa di riposo per topini dei denti. Io non ho alcuna intenzione di finire come lui ed allora ho deciso di sostituire i vostri dentacci cariati con dei meravigliosi denti davanti. Se ne trovano a migliaia in giro per il mondo sapete?- Concluse soddisfatta.

- Tu te ne vai in giro per il mondo a raccogliere denti per poi regalarli a noi bambini quando perdiamo i nostri. Ma è assurdo! Chi può essere tanto sciocco da darti i suoi denti davanti!- Esclamò Piero sempre più sbalordito. - Fanno la fila per regalarmi i loro denti. Per esempio, cosa se ne fanno dei denti davanti i cacciatori? Quando devono fischiare per richiamare i cani, i denti davanti sono di impaccio e quindi spesso li regalano a me. Un elefante che ha già due zanne enormi non può forse privarsi di un paio di incisivi per beneficenza?Spiegò la fatina. - Tutto ciò è incredibile!- Sospirai. - Ma voi neanche immaginate quanto siano utili i denti davanti. Per esempio: possono essere usati come apribottiglie, se sono ben affilati ci si può giocare a freccette, si possono usa come cucchiaini da te, quelli dei criceti possono servire come segna numeri quando si gioca a tombola al posto dei fagioli o delle orribili bucce di mandarino. Ci sono un milione di modi per usar i denti davanti. Senza dimenticare che quando anche voi perderete i vostri io potrei trapiantervene di migliori!- Spiegò gentilmente la fatina. - Ma allora, in tutto questo tempo abbiamo vissuto in tremendo equivoco. Noi pensavamo che era bello trovare i soldi sotto il bicchiere al posto dei denti caduti ed invece dovevamo desiderare di trovarci degli incisivi. Quando poi si dice l’ingenuità dei bambini…!- Esclamammo io e Piero. - Suvvia, non ve la prendete. Adesso sapete quanto siano importanti i denti davanti e la loro fatina. Mi tratterrei volentieri ancora a chiacchierare con voi ma purtroppo ho altri bambini a cui far visita. A proposito, non avete dieci euro per pagare il taxi, sapete mi hanno ritirato la patente per eccesso di velocità, sono una fatina eternamente in ritardo!- Certamente!- Le risposi dandogli i soldi. Poi la fatina ci baciò affettuosamente e se ne andò via. Non c’è che dire, in tutti questi anni non avevamo capito l’importanza dei denti davanti. In effetti, la fatina aveva ragione: con i denti davanti ci si può fare un milione di cose come ad esempio piantarli al muro al posto dei chiodi per appenderci dei quadri.

- È proprio vero se uno nasce fatina dei denti davanti e qualcun altro sdentato ci deve pur essere un motivo!- Mi disse Piero prima di mettersi a letto. - Hai ragione Piero – Annuii - ma tu lo sapevi che le fatine andassero in taxi?-

LA GARA OLIMPICA

Il momento era solenne. La formica si spinse con le zampette fino al bordo del trampolino, quindi iniziò a saltellare su e giù. Sotto, uno specchio d’acqua brillava alla luce del sole. Intorno, migliaia di insetti tenevano i loro occhietti puntati verso l’alto aspettando, con il cuore sospeso, il momento del tuffo. Fu un attimo, la formica spiccò un ultimo, decisivo, salto per esibirsi in un doppio avvitamento che lasciò tutti i presenti senza fiato. Il volo sembrava interminabile, la formica tuffatrice, finalmente, assunse la posa per l’ingresso in acqua. - SBOING!!- S’udì d’un tratto. La formica si era schiantata sul fondale della piscina olimpionica, inspiegabilmente vuota. L’animaletto faceva una certa impressione, se ne stava con gli occhietti strabuzzati ed agitava le zampette in modo asincrono e sconclusionato, sulla sua fronte campeggiava un enorme bernoccolo tutto rosso. Dopo un attimo di smarrimento, accorsero due portantini che raschiarono con delle palette la formichina spiaccicata sul fondale. Poi, a sirene spiegate, l’ambulanza portò lo sfortunato atleta in ospedale dove i medici avrebbero cercato di salvare il salvabile. Poco distante di lì, un enorme elefante era impegnato in un difficile esercizio di sollevamento pesi: con la sua proboscide stava sostenendo una pesante sbarra di acciaio dove ai suoi lati si trovavano aggrappati con le zampe due ulteriori elefanti tutti sudati per lo sforzo.

Una folla urlante faceva da cornice alla scena. Nel bel mezzo dell’esercizio si sentì un CRACK! Quindi il terzetto sparì, inghiottito dalla terra. Subito, i presenti corsero fino ai margini della voragine. Sotto di loro c’era un intreccio indefinito di proboscidi, zanne e zampone enormi che si dimenavano freneticamente. Uno spettatore impietosito avvertì i pompieri che si presentarono di lì a poco con gru ed ambulanze. Dopo alcune ore di lavoro, i pompieri riuscirono a venire a capo della ingarbugliata situazione. Nel frattempo, alla pista olimpica, proprio al centro della foresta nera, una folla variopinta stava assistendo ad una gara di corsa tra ghepardi. Dopo il primo giro, mentre i felini erano pressoché appaiati, un potente fascio luminoso si abbatté sullo stadio accecando tutti i presenti. Quando il bagliore accecante svanì, i presenti riaprirono timidamente gli occhi e, con grande stupore, videro che sulla pista non c’erano più i concorrenti. Che cosa stava accadendo nella foresta proprio durante la grande manifestazione olimpica interforestale? Dal commissariato di zona partì una telefonata urgente verso l’abitazione di un noto investigatore. - Pronto, sono il commissario De Grillis. Sto cercando il dott. Torquato Tassotti!- E lo ha trovato?- Chiese una voce dall’altro lato dell’apparecchio telefonico. - In che senso scusi?- Ribatté il commissario. - Mi perdoni ma lei mi detto che sta cercando il Dott. Torquato Tassotti e io le chiedevo se lo avesse trovato!- Rispose al voce. - Ma lei chi è scusi?- Disse alterato il commissario De Grillis. - Sono Quaglia, l’assistente del dottore!- Fece la voce. - Allora, me lo i!- Urlò il Commissario.

- Dottore, al telefono c’è un commissario che la stava cercando e l’ha trovata. Chissà come ha fatto a sapere che lei stava proprio in casa?- Disse Quaglia rivolto al Dott. Torquato Tassotti che, nel frattempo, si era avvicinato all’apparato telefonico. - Stupido Quaglia, Quaglia stupido! Dammi il ricevitore e fila in cucina a lavare i piatti!- Lo rimproverò il suo capo. - Pronto, commissario mi dica sono io!- Disse il dottor Tassotti appena prese il telefono. Il commissario De Grillis spiegò per filo e per segno tutta la situazione all’illustre investigatore. L’investigatore dedusse brillantemente che qualcuno stava cercando di boicottare i “Giochi Olimpici Interforestali”. Ma chi aveva interesse a compiere questa azione così spregevole nei confronti di questo importantissimo evento? Il dott. Torquato Tassotti fece una serie di ipotesi, poi si convinse che nella foresta esisteva un solo individuo così abietto da poter rovinare un momento così significativo per tutti loro. La bieca scimmia Olivia Von Bertuccen, esperto in crimini di ogni tipo ed inventore ineguagliabile. Vi chiederete perché mi rivolgo alla bieca scimmia in forma maschile invece che con il femminile, visto il nome Olivia. Molto semplice, l’immondo animale fu vittima di un errore di registrazione anagrafica. L’impiegato era un po’ sordo ed invece di iscriverlo a registro come Oliver lo segnò come Olivia. Quando lo seppe, la scimmia si arrabbiò molto ma tutto fu inutile ormai il suo nome era Olivia (la burocrazia, anche nella foresta è inesorabile!). - Quanto è vero che mi chiamo, erroneamente, Olivia impedirò lo svolgimento dei giochi. Con questo potentissimo disintegratore annienterò quegli sciocchi animali da giardino zoologico!- Esordì la crudele scimmia. - Ma capo…po, po, perché vuoi rovinare questi giochi interforestali? A me piacciono tanto, to, to!- Chiese Army, il piccolo armadillo, fidato assistente di Von Bertuccen.

- Quei perfidi non hanno accettato che io sponsorizzassi la manifestazione. Cosa me ne faccio di tutti i gadget che ho comprato? Pensa sulle maglie avevo perfino fatto fare la scritta “Bieca Bertuccia for President”!- Spiegò Von Bertuccen. - Ma capo, po, po… non puoi fare propaganda elettorale sulle maglie destinate ad un evento sportivo, vo, vo!- Replicò Army. - Volevo risparmiare! Visto che tra poco ci saranno le elezioni per eleggere il presidente del mio condominio pensavo di prendere due piccioni con una fava!Disse sconsolata la scimmia. Nel frattempo l’illustre investigatore aveva iniziato ad indagare. Le tracce, che con molta abilità aveva raccolto sui luoghi dei vari disastri sportivi conducevano dritti, dritti al rifugio della malefica bertuccia. - Capo, lei è veramente un genio. Ma c’è una cosa che non ho capito bene: come mai a lei gli indizi parlano e me non dicono mai niente?- Chiese Quaglia al dott. Tassotti. - Stupido Quaglia, stupidissimo Quaglia. Gli indizi parlano a chi li sa ascoltare. Agli sciocchi come te non diranno mai nulla!- Lo rimproverò il geniale dottore. Dopo una estenuante camminata nel folto della foresta l’investigatore ed il suo assistente giunsero ai piedi di un gigantesco baobab dove, ben nascosto tra i rami, si trovava il rifugio della malvagia scimmietta. Il dottor Tassotti insieme al fido Quaglia si arrampicarono sull’albero, poi, all’improvviso, entrarono nel laboratorio, cogliendo di sorpresa il subdolo inventore. - Ah, tradimento, presto Army difendi il tuo padrone!- Urlò la bertuccia. - Subito, to, to signore!- Rispose l’armadillo. Quindi estrasse da una delle sua tasche un mazzo di carte napoletane. - Fermi lì, voi due, ue, ue! Prima di mettere le mani addosso al mio capo, dovrete sconfiggermi in un’accanita partita di scopone scientifico, co, co!- Intimò Army. - Non c’è problema, piccolo armadilletto. Ti posso battere anche ad occhi

chiusi!- Disse Quaglia – Io al Bar dello Sport, sotto casa mia, ero rinomato per la mia bravura con le carte!E così, in men che non si dica, iniziò una sfida senza esclusione di colpi a scopone scientifico con doppio morto tra i due assistenti. - Ma che stanno facendo?- Chiese Tassotti alla bertuccia. - Non ne ho la più pallida idea. Mai vista una cosa simile!- Rispose la malvagia scimmia. - A questo punto della storia dovevamo batterci all’ultimo sangue. Tu, in qualità di cattivo, dovevi usare tutte le tue armi per impedirmi di catturarti!- Si lamentò l’investigatore. - Uffa! Scusi scrittore, ma che figura ci sta facendo fare di fronte ai nostri lettori? Ha messo il destino della foresta in mano a quei due stupidi assistenti e noi due che siamo i veri protagonisti rimaniamo con un palmo di naso!- Rimproverò Von Bertuccen. - Effettivamente, vi ho un po’ sminuiti. Scusate provvedo subito!- Risposi io, in qualità di scrittore di questa storia. - Capo, che ne dici se tu e la bieca scimmia vi uniste a noi per una partita a quattro!- Chiese a bruciapelo Quaglia. - Una partita all’ultimo sangue, però!- Fece Von Bertuccen. - E sia…la salvezza delle Olimpiadi Interforestali dipenderà da una partita a carte!- Annuì l’investigatore. Di lì a poco, intorno all’enorme baobab si radunò un’enorme folla che, per l’euforia, prese ad incitare le due squadre indistintamente. - Po, po, po, po, po, po, po…!!!- Faceva la folla. - Sul più bello, Quaglia commise un imperdonabile errore. - Stupido Quaglia, stupido, stupidissimo Quaglia, per colpa tua abbiamo perso la partita. Finisce sempre così, ogni volta che abbiamo in pugno l’avversario tu fai

una stupidaggine e quello la fa franca!- Si lamento Tassotti. - Abbiamo vinto! Abbiamo vinto!- Esultò la scimmia, che per l’euforia si dimenticò dei suoi propositi di sabotaggio dei giochi olimpici interforestali. - Capo, po, po…la folla ci acclama, ma, ma…!- Disse contento Army. Così, in un tumulto incredibile, gli animali della foresta portarono in trionfo l’immonda bertuccia ed il suo assistente lasciando con un palmo di naso il brillante dottor Torquato Tassotti ed il suo fido Quaglia. - Capo, lo sai che dobbiamo fare adesso per vendicarci dell’ingratitudine degli animali della foresta?- Disse Quaglia rivolto a Tassotti – Dobbiamo portare a termine il piano di Von Bertuccen e boicottare i giochi olimpici interforestali. Che ne dici, non è un’idea brillante?- Stupido Quaglia, zitto Quaglia, prima che ti dissolva nel nulla con il raggio disintegratore della bertuccia!- Lo rimproverò l’investigatore.

LA SCOPERTA DELL’AMERICA (O GIÙ DI LÌ)

- Terra, terra! Gridò Colombo, quando avvistò la sospirata meta. Ma, ahimè, si ritrovò di fronte ad una catapecchia sulla spiaggia di Civitavecchia!

- Insisto! Con tutto il rispetto maestà, la Terra è senz’altro rotonda!- Disse Colombo, rivolto alla regina Isabella d’Aragona. - Caro il mio sognatore, la Terra è piatta, piattissima ed i suoi confini sono popolati da mostri giganti e pericolosi. Hai mai visto qualcuno tornare da un viaggio ai confini del mondo?- Lo contraddiceva la regina. - Maestà, mi lasci provare. Sono convinto di poter raggiungere il Catai ando via mare da occidente perché la Terra non è stata mai rotonda come lo è adesso!Insistette l’esploratore. - Basta Colombo, finirò col prendermi un’arrabbiatura colossale. Mi si riempirà il viso di rughe!- Si lamentò la donna. - Mia signora, non mi dica che ancora non ha provato il rimedio portentoso che ho inventato contro le rughe?- Chiese Colombo. - Ma no, non ne sapevo niente!- Esclamò curiosa la regina. - Non ha mai sentito parlare dell’uovo di Colombo?- Disse, meravigliato, l’estroso navigatore. - Presto valletti, un uovo per Colombo!- ordinò Isabella.

In un batter d’occhi, un valletto si presentò al cospetto di Cristoforo Colombo con un uovo di gallina freschissimo. Il marinaio lo ruppe schiacciandolo sull’enorme tavolo che campeggiava nel mezzo della stanza della regina. - Sono l’unico al mondo che riesce a far stare in equilibrio le uova!Esclamò soddisfatto, quindi si impiastricciò le dita con il tuorlo e l’albume e ne cosparse il viso della donna, che nel frattempo si era adagiata su una sedia. Terminata l’operazione Colombo si raccomandò di tenere l’impiastro sul viso fino a sera. Dopo il risciacquo, il viso della sovrana sarebbe stato più giovane di almeno dieci anni. Nel frattempo il re era alle prese con importantissimi affari di stato. - Mannaggia, padre Giovanni mi ha ripulito. Ed ora chi lo dice alla regina che ho perso tutti i soldi per comprarle quel meraviglioso castello sulla Costa Brava. Ci teneva così tanto! Cercherò di essere un po’ complimentoso. Magari non si arrabbierà quando lo verrà a sapere!Ferdinando II d’Aragona aveva sempre paura di far arrabbiare la moglie, eppure era lui che portava i pantaloni in casa. Nel frattempo, Isabella rimase con il viso imbrattato per tutta la giornata. Quando giunse la sera, si fece ripulire la faccia dalla sua cameriera, non fece neanche in tempo a specchiarsi che sopraggiunse il marito tutto sorridente. - Mia cara, ma cosa hai fatto? Sembri ringiovanita di dieci anni!Esclamò il sovrano con un sorriso a trentadue denti. - Oh bella, ma allora l’uovo di Colombo funziona davvero!Pensò la donna. Poi, tutta piena di sé si rivolse al marito – Sai caro, ci ho pensato molto. Il castello in Costa Brava non lo voglio più! Mi sembra una spesa inutile. Ho deciso invece di finanziare il viaggio che Cristoforo Colombo vuole fare per raggiungere il Catai in senso contrario, pare che la Terra sia rotonda, anzi è più

che certo!- Ma cara, che vai cianciando?- Disse con sorpresa il marito. - Vuoi forse contraddirmi!- Fece di rimando la moglie. - Giammai, ogni tuo desiderio è un ordina mia adorata!Rispose sottomesso Ferdinando che, dopotutto, era contento di non dover comprare un’inutile castello anche se si vedeva costretto a finanziare l’ennesima bizzarria della moglie. E così, il 3 agosto 1492 Cristoforo Colombo, a bordo della Santa María, salpò da Palos alla volte del lontano Catai, seguito dalla Niña e dalla Pinta. - Abbiamo il vento in poppa signor capitano!- Gli disse il nostromo. - Sono sicuro che in breve giungeremo nel Catai. Diventerò famoso per aver scoperto una nuova rotta ed aver dimostrato che la terra è rotonda!Fece soddisfatto Cristoforo Colombo. Poi, visto che s’era fatto tardi, salutò tutti e scese sotto coperta a dormire. Durante la notte accadde qualcosa di veramente strano. I marinai della Santa Maria si radunarono in coperta dove si tenne un’importante assemblea. - Il capitano deve essere pazzo se pensa che andremo in Catai ando da occidente. Da che mondo e mondo il Catai sta ad oriente ed quella la direzione che prenderemo!- Esordì il Comandante in seconda. - Ben detto!- Esultò l’equipaggio. - Solo uno sciroccato può credere che la Terra sia rotonda!- Concluse il mozzo. E così, le tre imbarcazioni invece di proseguire la loro navigazione nell’oceano Atlantico, arono le bocche d’Ercole ed entrarono nel mar Mediterraneo, mentre Colombo dormiva sonni di bambino, tanto era felice. Per non farsi scoprire da Colombo, i marinai navigarono a zig zag per oltre due mesi e quando videro il loro comandante sull’orlo di una crisi di nervi si decisero

ad avvistare terra. Era 12 ottobre del 1492, quando Cristoforo Colombo a bordo della Santa Maria udì la vedetta gridare – Terra, terra all’orizzonte!- Il Catai, siamo arrivati in Catai!- Urlò dalla gioia il grande navigatore. - Presto, presto caliamo le scialuppe in mare voglio essere il primo a toccare le spiagge del Catai!A notte fonda, le scialuppe giunsero sulle coste di quello che doveva essere il Catai. Colombo quasi svenne dalla contentezza, appena mise piede sulla terraferma. - eremo qui la notte e domani ci spingeremo nell’entro terra!- Ordinò impettito come un pavone. La ciurmaglia sghignazzante eseguì gli ordini alla lettera ed in un battibaleno allestì un accampamento veramente confortevole. Cristoforo Colombo quella notte sognò di scoprire tesori, animali mai visti prima, piante rarissime ma, soprattutto, sognò la gloria che la scoperta della nuova rotta gli avrebbe dato per non parlare poi della soddisfazione che avrebbe avuto nel far rimangiare a tutti i suoi detrattori che la Terra non era piatta bensì tondissima. - Signore, signore sveglia!- Disse una voce, mentre una mano scuoteva Colombo ancora immerso nei suoi sogni. -Signore, qui non si pole stare. Ci sono gli ostelli per dormire oppure le hostarie, se vuole la posso ospitare io nella mia catapecchia, ma sulla spiaggia proprio non si pole!- Continuava la voce. - Ma chi è lei? Perché non parla il mandarino?- Chiese Colombo meravigliato. - Perché non sono forastiero. Sono de quine, autoctono nato, cresciuto e pasciuto!- Disse soddisfatto l’uomo. - Ma dove siamo?- Chiese ancora Colombo.

- A Civitavecchia, signore. Il famoso porto dei Papi. Per la precisione questo è il Pirgo. Bello vero?- Spiegò l’uomo. - Ma come è possibile, siamo in Italia! Io dovevo andare in Catai!- Si lamentò Colombo. - Beh, qual è il problema? È sulla strada giusta, tanti mercanti attraccano qui per rifornirsi prima di andare verso le coste turche, di là si prosegue via terra!Rispose l’autoctono. - Ma io dovevo arrivarci da occidente e non da oriente!- Riprese l’intrepido navigatore. - Ad oriente la terra finisce, lo sanno tutti che è più piatta di un piatto! Lo dice sempre anche il papa Alessandro VI! Spiegò con pazienza il civitavecchiese. - La Terra è rotonda anzi è rotondissima!- Colombo era isterico. - Sor navigatore bello, la Terra è piatta te lo dice Amerigo Persichetti famoso tellinaro locale, che sarei io in carne ed ossa!- Chiarì Amerigo Persichetti. - E che diavolo sarebbe un tellinaro!- Disse velenoso il prode navigatore. - Il tellinaro è uno che vende telline. Poi c’è il cozzaro che vende le cozze. Il vongolaro che vende le vongole e se vuole c’è anche il pesciaro che vende i pesci!- Lo informò il venditore di telline. - Tutti i mestieri in aro finiscono qui!- Esclamò Colombo. - Tutti, nessuno escluso!- Confermò soddisfatto il Persichetti. - Ma chissene frega di queste sciocchezze! Io sono rovinato! Questi imbroglioni di marinai hanno deviato la rotta e mi hanno portato fin qui. Devono aver proceduto a zig zag per non farsi scoprire!- Colombo era furioso. - Ci perdoni messer Colombo, ma abbiamo avuto paura dei mostri che popolano i confini del mondo!- Si scusò il capitano in seconda.

- Non mi sembra una catastrofe!- Esclamò il Persichetti. - Questo viaggio è stato finanziato dai sovrani d’Aragona ed io ho promesso che avrei raggiunto il Catai ando da occidente. Non avrò più il coraggio di farmi vedere in giro per un milione di anni!- Colombo si mise a piangere a dirotto. Solo a quel punto tutto l’equipaggio si rese conto che la rovina di Colombo sarebbe stata anche la loro. Non avrebbero potuto più far ritorno nel loro paese, i sovrani li avrebbero messi nelle patrie galere a marcire per anni. Così tutti si misero a pensare come fare per evitare quell’orrenda fine. Ad un tratto Amerigo Persichetti prese la parola. - Perché non dite che siete venuti a trovare il vostro amico Amerigo?- Suggerì – Tutti hanno il diritto di fare visita agli amici. Ad oriente ci andrete un’altra volta!Colombo guardò il pescatore di telline come se avesse visto comparire la Madonna davanti ai suoi occhi. - Genio! Diremo a tutti che non siamo arrivati in Catai perché ad oriente c’è una terra misteriosa che abbiamo chiamato America. Inventeremo che è popolata da gente pacifica ed ospitale dedita alla pesca delle telline! Vedrete nessuno riuscirà mai a scoprire la verità! Grazie amico mio!- E così dicendo Cristoforo Colombo abbracciò forte Amerigo Persichetti. Gli scopritori di Civitavecchia si trattennero nella città papalina il tempo necessario per far credere a tutti che avevano affrontato un lungo e pericoloso viaggio. In realtà si erano fermati a meno di una settimana di navigazione da Palos. Quando, finalmente, Colombo fece ritorno in Spagna fu accolto da gran trionfatore. Aveva dimostrato a tutti che la Terra era rotonda, aveva scoperto un nuovo mondo e per questo fu ricoperto d’oro dalla testa ai piedi. - Messer Colombo, in effetti, le debbo delle scuse per aver dubitato del suo ingegno. Sono sicuro che questa America ci frutterà molta ricchezza. Di una cosa però, la dobbiamo ringraziare veramente io e mia moglie!- Disse cerimonioso il re Ferdinando II d’Aragona.

- Di cosa mio signore?- Chiese Cristoforo Colombo. - Di aver portato con se le telline più saporite del mondo!- Concluse la Regina Isabella.

LA STORIA DI CALPURNIO MALATESTA

(stralci di vita cavalleresca al tempo della peste in Aquisgrana, con indovinello finale)

Questa è la historia bella di tal Calpurnio Malatesta, che per un difetto di favella per poco perse la testa, al tempo di Carlo Magno imperatore! (Dalla traduzione di Camillo Silvestri, Venezia MDCCLVII)

La pestilenza giunse ad Aquisgrana nell’806 e nel volger di pochi giorni fece decine di vittime tra la popolazione della città. La peste fu determinata dalla lunga mancanza di pioggia che, inesorabilmente, aveva provocato l’aumento della sporcizia in tutta la città. All’epoca c’erano molte credenze popolari sul modo di far tornare la pioggia. Uno tra i più strani era quello di inviare un coraggioso cavaliere fino alla più vicina distesa d’acqua per sfidare a duello il signore degli abissi, ritenuto responsabile dell’assenza cronica di pioggia. Quella volta, l’imperatore Carlo Magno decise di inviare fino al Canale della Manica un valoroso cavaliere chiamato Calpurnio Malatesta da Rimini. C’è un fatto da sapere, cari lettori, che al momento vi farà sorridere ma più avanti ne comprenderete la tragica importanza. Il cavalier Calpurnio Malatesta

aveva un difetto di pronuncia che rendeva il suo parlare molto grazioso: al posto della S pronunciava la T. - Buongiorno, tignor imperatore!- Si rivolse il cavaliere all’imperatore Carlo Magno. - Buongiorno a te grazioso Calpurnio!- Replicò il sovrano – Ti ho fatto chiamare per affidarti una missione molto importante. Ho deciso di inviarti ai margini occidentali del mio impero, fino al Canale della Manica, per affrontare il signore degli abissi e convincerlo, con le buone o le cattive, a far tornare la pioggia e liberarci dalla pestilenza!- Mio tignore, accetto di buon grado l’onore che mi ha dato!- Così dicendo il grazioso cavaliere si congedò da Carlo Magno per dedicarsi ai preparativi per il lungo viaggio. Siccome Calpurnio Malatesta era un tipo a cui piaceva viaggiare comodo decise di allestire un carro a mo di abitazione, come una specie di moderna roulotte che fu costretto a far trainare da sei buoi, tanto era il peso. Al suo seguito imbarcò il fido cameriere, scudiero, cuoco, governante, giullare nonché biografo, Marcantonio Stradafacendo, un ometto piccolo piccolo e pallido pallido (da cui il famoso detto che pezzo di marcantonio, poiché talmente era uno scricciolo che non riusciva a fare un Marcantonio sano!). Legato dietro il pesante carro, seguiva un bellissimo destriero che sarebbe stato molto utile qualora ci fosse stata la necessità di dar battaglia al re del mare. La notte i due facevano sosta lungo le mulattiere che si addentravano nel cuore dell’Europa. - Marcantonio, preparami una titana!- Chiedeva prima di addormentarsi il Cavaliere. - Subito mio signore!- Rispondeva il cameriere. - Ecco la sua tisana illustrissimo!- La titana che prepari tu è veramente buonittima, mio caro!-

Subito dopo aver sorseggiato la sua bevanda, Calpurnio Malatesta si metteva a ronfare e russava talmente forte da sembrare una trebbiatrice col motore a scoppio se all’epoca l’avessero inventata. Un giorno appena giunti nella pianura della Francia del nord accadde un fatto veramente sconcertante. Il carro del nostro eroe fu assalito dai briganti. - Felloni, tcellerati!- Esclamò il Cavaliere mentre veniva depredato di tutto – Non portatemi via il dettriero, che mi terve per combattere contro il tignore del mare!Inutile dire che, nell’udire quelle parole, i briganti iniziarono a ridere a crepapelle e fu una vera fortuna perché vollero accontentarlo e non privarlo del suo cavallo. Così, Calpurnio Malatesta, grazioso cavaliere, e Marcantonio Stradafacendo si trovarono soli nel bel mezzo della sconfinata pianura se a molti chilometri di distanza dal mare con il solo destriero a disposizione per percorrere tutta quella strada. senonché sorse un problema gravissimo. - Il mio dettriero non può arrivare ttanco al fatidico appuntamento con il tignore del mare e tantomeno il tottotcritto!- Esclamò il cavaliere. - Mi è venuta una meravigliosa idea: tu, mio fido portatore, totterrai con le tue forti ppalle me ed il dettriero! Tono un genio, non c’è che dire!- Fece tutto soddisfatto. E così, il povero Marcantonio Stradafacendo di nome e di fatto fu costretto, suo malgrado, a trasportare il pesante fardello fino alle coste bagnate dalle gelide acque del Canale della Manica. Sono esausto!- Esclamò Marcantonio prima di stramazzare a terra. Oh quante ttorie per un po’ di ttrada!- Lo riprese il grazioso cavaliere. Piuttotto, non vedo alcun tovrano del mare nei paraggi!- Si lamentò. Poco distante di lì, una sirena stava prendendo il sole su uno scoglio. Il cavalier

Calpurnio Malatesta in groppa al suo gagliardo destriero le si avvicinò con fare torvo e minaccioso, deciso a saper chi fosse il signore di quell’immenso specchio d’acqua. - Chi è il tignore del mare, da quette patti?- Chiese Calpurnio Malatesta. - Nettuno!- rispose la sirena. - Come, nettuno? È impottibile, qualcuno deve pur ettere!- Esclamò il cavaliere indignato. - Mio cavaliere, ti garantisco che il nome del signore dei mari è Nettuno!- Ribadì la sirena. - Ma Nettuno, Nettuno con la enne maiuttola o nettuno, nettuno con la enne minuttola?- Chiese Calpurnio Malatesta. - I nomi propri, da che mondo e mondo, sono con la maiuscola!- Ribatté scandalizzata la sirena. - Orbene, dove potto trovarlo per cottringerlo a far piovere?- Ingiunse l’uomo. - Credo stia facendo il bagno. Se pazienti un attimo te lo vado a chiamare – Rispose la ragazza mentre si avviava verso una imponente scogliera. Nel frattempo il grazioso cavaliere Calpurnio Malatesta se ne stava dritto in sella con lo sguardo puntato verso l’orizzonte. - Chi osa venirmi a disturbare mentre faccio il bagno, non sai che è vitatissimo disturbare il re dei mari mentre si fa il bagno?- Disse iroso Nettuno sorgendo dalle acque del mare. - Io tono un cavaliere tenza macchia e tenza paura e tono qui per ingiungerti di far piovere tul regno del grande Carlo Magno!- Fece sfacciato. - Ma come parla questo?- Chiese Nettuno alla sirena. - Non me lo dica, mio signore, è un tipo tutto strano!- Rispose questa. - Allora, ci muoviamo a far piovere o appettiamo che faccia notte? C’è una

pettilenza da far finire!- Ruggì graziosamente il cavaliere. - Ma si può sapere chi ti ha detto che io posso far piovere?- Chiese il re del mare. - Il mio grande trovano Carlo Magno!- Rispose Malatesta. - Ma è ora di finirla con questo Carlo Magno. Ogni volta che succede qualche calamità nel suo regno mi manda un povero deficiente che mi chiede di far piovere. È ora di finirla!- Si lamentò Nettuno. - Ma te tu non puoi far piovere che potto fare io?!- piagnucolò il cavaliere. - Puoi tornare da dove sei venuto, in modo tale che io abbia la possibilità di tornarmene alle mie occupazioni!- Concluse Nettuno. E così cavallo e cavaliere, per non parlare del servitore tutto malconcio per lo sforzo fatto, con la coda tra le gambe se ne tornarono ad Aquisgrana. Giunti in città trovarono una situazione disperata: tutte le strade erano stracolme di persone moribonde e lamentose ed il cattivo odore saliva acre da ogni parte. Il grazioso cavaliere rimase molto impressionato nel vedere quello spettacolo, ma non ebbe molto tempo per rammaricarsi dell’insuccesso della sua missione perché venne riconosciuto da due guardie imperiali che lo arrestarono immediatamente insieme al cavallo ed al servitore. - E così hai fallito! La tua incapacità sta decimando al popolazione!- Esordì l’imperatore. - Illuttre maettà, ho fatto del mio meglio ma purtroppo le informazioni che la maettà vottra mia ha dato erano bbagliate! Il tignor Nettuno non ta far piovere!Si giustificò Calpurnio Malatesta. - Come osi insultare il tuo sovrano!- Si adirò Carlo Magno. - È facile gettare tutta la reppontabilità sulle mie ppalle, io non tono colpevole per il fallimento della mittione!- Si giustificò il grazioso cavaliere. - Ma di che palle e palle vai blaterando, non si insulta Carlo Magno in questo modo! Guardie che venga portato immediatamente dal boia e gli sia tagliata la

testa nella pubblica piazza!- Sentenziò l’imperatore. In men che non si dica nella piazza principale di Aquisgrana fu allestito il patibolo per tutti i partecipanti della sfortunata spedizione, cavallo compreso. Calpurnio Malatesta, Marcantonio Stradafacendo ed il cavallo furono messi con la testa sui ceppi di fronte alla folla che li insultava e malediceva. Il boia si presentò con un’enorme mannaia. Ad un cenno dell’imperatore l’omone mascherato sollevò la mannaia. Miracolosamente, dal cielo iniziarono a cadere alcune gocce di pioggia. La folla iniziò ad urlare e pregare felice di quell’acqua che via via scendeva sempre più copiosa, anche l’imperatore iniziò a saltellare tutto contento. Ben presto si formò una lunga processione con Carlo Magno ed il boia in testa, mentre i due malcapitati ed il cavallo rimasero inginocchiati con la testa sul ceppo, nel bel mezzo della piazza. - Per favore, qualcuno ci può liberare? Ehi, vi tiete dimenticati di noi? Oh non facciamo tcherzi qui piove acqua vera, tra poco la piazza tarà tutta allagata. Ehi, dico a voi non lattiateci qui ad affogare…BLUB…Ehi!...BLUB! Niente paura cari lettori, il grazioso cavaliere Calpurnio Malatesta non affogò nel bel mezzo della piazza. L’imperatore Carlo Magno si ricordò di lui appena in tempo, anzi lo promosse a Cavaliere di Gran Croce! Da parte sua, Calpurnio insieme al suo fido scudiero decise di ritirarsi a vita privata in una lussuosa residenza vista mare. - Mi ccuti, tignor Nettuno? La ditturbo? Ta è un po’ che non piove ed io ho bitogno di annaffiare il mio giardino!- Chiese il grazioso cavaliere. - Basta, qualcuno lo porti via da qui o scatenerò un diluvio universale pur di togliermelo di torno!- Urlò il signore del mare dal profondo degli abissi.

Nda: bambini, avete capito chi aveva fatto piovere al tempo della peste ad Aquisgrana?

LA VACANZA TOTALE

- Finalmente le vacanze!- Esclamò felice il signor Gianni. - Erano anni che desideravo trascorrere qualche giorno a Venezia!- aggiunse felice la moglie Emma. - Io voglio andare a Moena dove anche quest’anno c’è il ritiro della Sampdoria!Si lamentò Ettore, il figlio maggiore. - Finiscila di lamentarti Ettorino, non è possibile che tutte le estati si vada dietro quei forsennati dei tuoi amici ultras a vedere gli allenamenti della tua squadra. Ormai hai quindici anni!- Lo riprese la madre. - Mamma, io sono contento di andare a Venezia. Non vedo l’ora di dare i bocconcini avvelenati ai piccioni di piazza S. Marco, per farli morire tutti!Disse gioioso Antonello, loro secondogenito. - Antonellino, amore santo del papà, se per disgrazia dovessi venire a sapere che durante la nostra permanenza in laguna, un solo piccione dovesse venire a mancare, sarà mia cura chiuderti a chiave in un riformatorio in mezzo al deserto del Sahara! Sono stato sufficientemente chiaro?- Fece con fare minaccioso suo padre. - Ma caro, Antonello ha solo otto anni, ormai lo sappiamo che è un simpatico briccone!- Intervenne in sua difesa la madre. - Chiedilo al giornalaio cosa ne pensa del nostro simpatico briccone da quando gli ha dato fuoco all’edicola solo perché aveva terminato le figurine dei calciatori!- Disse sconsolato il padre – Ma tu guarda cosa mi doveva capitare: un figlio sampdoriano, in una famiglia genoana da generazioni ed uno completamente sconclusionato! Ma che male ho fatto io nella vita per meritare una simile punizione?!In un clima idilliaco, l’allegra famigliola si appresta alla partenza per le meritate vacanze.

Dopo ore di treno i nostri eroi giungono, da Genova, alla stazione di Venezia Santa Lucia carichi di valige e sudati per il gran caldo umido che, da sempre, caratterizza il torrido agosto lagunare. Trascinandosi al seguito le valige, la famigliola riesce a farsi largo tra la folla di turisti assiepati sulle banchine e prendere un traghetto per la Riva degli Schiavoni. In quasi un’ora di navigazione, i quattro arrivano di fronte ad uno dei più lussuosi alberghi della città, dove si avviano trionfanti. Fatte le ultime raccomandazioni al figlio più grande e perquisito accuratamente quello più piccolo, i genitori si decidono a fare il loro ingresso nella prestigiosa residenza seguiti a ruota dai ragazzi. La famiglia viene accolta con tutti gli onori, come si addice ai frequentatori di simili hotel. Disfatte le valige e preso possesso della lussuosa stanza, si avviano verso la famosa piazza S. Marco, antico cuore politico della città. Mescolato tra la folla multicolore dei turisti, il piccolo Antonello ne approfitta per verificare l’effettiva presenza dei piccioni nella grande piazza. - Che peccato non poterne catturare neanche uno!- Pensa sconsolato. Nel frattempo i genitori sono intenti a scattare foto a più non posso di ogni particolare artistico presente sulla facciata della basilica che si erige stupenda nella piazza, purtroppo chiusa per restauro. - Ettorino, ci scatti una foto?- Chiede la mamma rivolta al figlio maggiore. - Ettorino, Ettorino hai sentito?- Continua a chiedere la madre rivolta al figlio. - Caro, hai visto che fine ha fatto tuo figlio Ettore?- Chiede al marito. - Non lo so, ero convinto che stesse qui con noi!- Rispose l’uomo. L’uomo e la donna, preoccupati per la scomparsa del figlio si mettono a perlustrare la piazza freneticamente. - Oddio mio, hai visto Antonello?- Chiede la moglie al marito dopo circa un’ora

che stavano perlustrando la zona senza alcun risultato. - Oh mamma, ci siamo persi anche lui!- Dice il padre agitato. Disperati per la scomparsa dei figli, i genitori si accasciano in un angolo della piazza. - Papà, mamma, presto venite hanno arrestato Antonello!- Dice, tutto trafelato Ettore ai genitori affranti. - Ettorino, ma dove eri finito? Ci hai fatto morire di paura!- Chiede ansiosa la mamma. - Mamma, papà vi ho detto che hanno arrestato Antonello. Due poliziotti lo hanno sorpreso mentre tentava di tirare il collo ad un piccione!- Continua a spiegare il ragazzo. - Dove si trova adesso tuo fratello?- Chiede il padre piuttosto contrariato. - I poliziotti mi stanno aspettando a pochi i da qui. Seguitemi!- Li esorta Ettore. - Signori, siete voi i genitori di questo teppista sadico e sanguinario?- Chiede uno dei due poliziotti appena i due coniugi gli sono vicino. - Ci perdoni agente, ci siamo distratti un attimo ed il bambino è sfuggito al nostro controllo. Comunque, di solito è molto buono. Quello che ha fatto ci sorprende molto!- Si giustifica il padre con i poliziotti. - Per questa volta, lo lasciamo andare. Ma che sia l’ultima volta. Non vogliamo bambini così a Venezia!- Gli agenti rimproverano duramente tutta la famiglia che, umiliata, si allontana in silenzio. - Ma che cosa ti è saltato in mente?- Chiede stizzito il padre al figlio più piccolo. - L’ho visto fare su uno dei fumetti che legge Ettore!- Risponde candido il bambino. - Ettorino, ma ti sembrano cose da leggere! Lo sai che tuo fratello è impressionabile!- Lo riprende la madre.

- Mamma, ma ci sono solo squartamenti, decapitazioni, amputazioni chi vuoi che impressionino?- Si giustifica Ettore. - Sentite, finiamola con questa storia, quando saremo a casa faremo i conti. Per il momento andiamoci a fare un bel giro in gondola!- Suggerisce il padre. Di lì a poco la famiglia si ritrova su un piccolo molo intenta a contrattare con un gondoliere un giro per i canali della città sulla sua bellissima imbarcazione. - Facciamo ottanta euro e che non se ne parli più!- Conclude il gondoliere lasciando intendere di essere arrivato al massimo dello sconto possibile. Suo malgrado, il signor Gianni paga la tariffa lamentandosi per non aver potuto risparmiare ancora di più. Con qualche difficoltà i quattro salgono sull’imbarcazione. Durante il viaggio, il gondoliere illustra alla famigliola le bellezze della ridente città. - Questo è il Ponte di Rialto!- Esclama l’uomo mentre rema. - Caro, ho tutti i piedi bagnati!- Esclama la signora Emma rivolta al marito. - Stiamo imbarcando acqua dal fondo dell’imbarcazione!- Dice, preoccupato il signor Gianni rivolto al gondoliere. - Chi è stato a togliere il tappo dal fondo della barca? Stiamo affondando presto aiutatemi a svuotare la gondola!- Urla isterico l’uomo. - Antonello, sei stato tu a togliere il tappo?- Chiede Ettore al fratello. - Veramente c’era una cosa che somigliava ad un tappo che mi dava fastidio ai piedi. L’ho tolta e gettata in acqua! Non avrò mica fatto male?- Risponde ingenuo Antonello. - No, e quando mai fai una cosa sbagliata! Zitto e svuota la gondola prima che sia troppo tardi!- Gli bisbiglia Ettore. I frenetici sforzi della ciurma disperata non impediscono alla gondola di

inabissarsi. - Presto indossate i salvagente! Ci manca solo che qualcuno affoghi!- Urla, molto arrabbiato il gondoliere. I cinque naufraghi vengono soccorsi da uno dei mille battellini che percorrono i trafficati canali della laguna. - Vi farò pervenire il conto in albergo. Le gondole costano molto care, non sono mica delle comuni barchette da pesca!- Minaccia il gondoliere allontanandosi dal molo dove erano stati fatti sbarcare. - Ma possibile che non si riesca a fare una vacanza in santa pace. Ogni volta deve capitare una disgrazia! A casa faremo i conti una volte per tutte!- Dice duramente il signor Gianni, rivolto a tutta la famiglia. - Forza, si torna in albergo e non voglio sentire più volare una mosca!- Conclude perentorio. Mestamente, i quattro si incamminano verso la Riva degli Schiavoni, sede del loro lussuoso albergo. Man mano che si avvicinano all’hotel, una voce si fa sempre più insistente tra i anti: la lussuosa residenza cinquecentesca sede del loro hotel era andata a fuoco ed i pompieri stavano faticando a spegnere il gigantesco rogo. Il signor Gianni, nell’udire quelle voci, inizia a correre all’impazzata in direzione della Riva degli Schiavoni, seguito da tutta la famiglia. Quando, tutti trafelati, giungono nei pressi vengono fermati dai soliti due poliziotti che in piazza San Marco volevano arrestare il piccolo Antonello. Poco distante di lì, i vigili del fuoco stanno comunicando al direttore dell’hotel che qualcuno doveva aver lasciato una lente d’ingrandimento appoggiata su un libro, per cui un raggio solare, filtrato dalla lente, aveva inesorabilmente incendiato il volume. Il fuoco era divampato in un istante distruggendo l’intero stabile. - Antonello, dove hai messo la tua lente d’ingrandimento?- Chiede il padre temendo la risposta del figlioletto. - L’ho lasciata in stanza. Perché me lo chiedi?- Risponde il figlio.

Il signor Gianni non regge alla notizia e si accascia esanime al suolo. Fortunatamente un medico, che stava nei pressi, riesce a rianimarlo in attesa che arrivi il battello ambulanza. Quando l’uomo viene issato a bordo ha appena la forza di dire ad uno dei due Poliziotti – Perché non avete arrestato mio figlio quando era il momento?!-

L’AGENDA MISTERIOSA

Tanto tempo fa il mondo della scuola era popolato da personaggi molto fantasiosi che usavano dei metodi didattici per così dire alternativi se non perfino magici. Sentite questa storia.

La maestra apparve sulla porta vestita in modo alquanto stravagante: in testa aveva uno strano cappello a cilindro tutto nero alto più d’un metro e con un grosso fiocco viola alla base; indossava una camicetta bianca con il collo molto grande e sul davanti era piena di pizzi e merletti; aveva un tailleur fumo di Londra con la gonna lunga fino alle caviglie e la giacca terminava a forma di coda di balena; ai piedi calzava due stivaletti di vero cuoio con il tacco a rocchetto ed allacciati sul davanti proprio come si usava ai tempi delle nonne. Ben serrata sotto il braccio destro teneva un’agenda di pelle che, sicuramente, doveva contenere dei misteriosi segreti da come la maestra sembrava custodirla. Era una maestra giovane, non molto alta, con una gran massa di capelli lunghi e riccioluti color rosso fuoco. Sulla bocca aveva un rossetto rosso scarlatto che ad ogni suo sorriso incorniciava dei denti bianchissimi. - Deve avere un marito dentista!- Pensò tra sé e sé Antonluca, quando la vide. - È impossibile che io abbia un marito dentista, visto che non sono sposata e tantomeno fidanzata, per quanto non sia da buttare. Caro Antonluca!- Esordì acida la maestra, come se avesse potuto ascoltare i pensieri del bambino. - Veramente, io pensavo tanto per pensare. Non volevo offendere nessuno!Cercò di giustificarsi l’alunno. - Dicono tutti così, all’inizio. Poi i pensieri sfuggono di mente e allora sì che son guai!- Continuò l’insegnante.

- Mamma mia, ma la maestra legge nel pensiero davvero!?- Mormorarono tra loro i bambini. - Fate silenzio! Non mi piacciono i bambini rumorosi, pasticcioni, imbranati, ignoranti, mocciolosi, borotalcosi e neanche quelli permalosi. Per quello basto e avanzo io!- Cantilenò la maestra. - Sì, ma chi sei tu?- Chiese una bambina piccolina seduta al primo banco. - Non mi sono ancora presentata? Eppure io vi conosco tutti! Tu che hai parlato adesso, per esempio, ti chiamo Ginevra. Ma non sei né una città né tantomeno una regina!- Rispose la maestra. - Ma come fai a conoscere tutti i nostri nomi, se non ci siamo mai visti?- Riprese stupita Ginevra. - Mi chiamo Miss Watson, Clarissa Watson e sarò la vostra insegnante di…che materia dovevo insegnarvi? Ora come ora non mi sovviene, forse in seguito mi tornerà alla mente. Mentre parlava, Miss Watson non si separava mai dalla sua agenda di cuoio. La teneva sempre stretta sotto il braccio destando la curiosità dei bambini. - Cosa avete da guardare?- Chiese stizzita la maestra, ad un tratto. - Perché stringi sotto braccio quell’agenda e non la posi sulla cattedra? Sarai stanca di tenerla in quel modo!- Disse coraggiosamente un bambino dall’ultimo banco in fondo a sinistra. - Fossi stato seduto in fondo a destra ti avrei suggerito di lavarti la faccia, visto che in fondo a destra, di solito, mettono i bagni! Nessuno di voi è autorizzato ad aprire mai questa agenda se ci tiene a non incorrere in spiacevoli inconvenienti. Non auguro a nessuno di saper che il suo nome si trova scritto qui sopra!Rispose seccamente l’insegnante. - Ah, ah, ah! Non ci vorrai far credere che si tratta di un’agenda magica!- Rise sfacciato l’alunno con il banco in fondo a sinistra. Miss Watson lo guardò seria, poi prese la sua agenda, la aprì di fronte ai suoi occhi poi tornò di nuovo a guardare il bambino.

- In fondo a destra!- Esclamò decisa ed, in un istante il bambino iniziò ad urlare di dolore per un improvviso mal di pancia. - Mamma mia che dolore. Devo correre subito in bagno non ce la faccio più!- Si mise a piagnucolare. - Avete visto cosa succede a prendere in giro Miss Watson?- Disse Miss Watson. I bambini si guardarono terrorizzati. Quella non era una maestra bensì una strega ed anche della peggiore specie se se la prendeva con i bambini. - Una strega? Come vi permettete di pensare che io sia una strega. Cari bambini dovete imparare un po’ di sana educazione altrimenti finirete tutti sulla… mia… AGENDA!- scandì la maestra. Dopo poco entrò in classe il bidello molto preoccupato. - Signorina, c’è nel bagno un bambino che sta facendo…come le posso dire…mi aiuti lei…- Farfugliò l’uomo. - Cacca. Direi che quel bambino sta facendo moltissima cacca!- Lo informò la maestra. - Signorina, ma è una quantità impressionante. Sta iniziando a straripare per il corridoio quasi si trattasse di un’inondazione!- Riprese il bidello. Miss Watson, a quel punto, fece un lieve sorriso, aprì di nuovo la sua agenda, sfogliò alcune pagine e disse – In fondo a sinistra!- quindi la richiuse tutta soddisfatta. In quel preciso istante, il bambino fece ritorno in classe un po’ bianco in volto e, diligentemente, prese posto al suo solito banco in fondo a sinistra. - Tutto bene?- Chiese Miss Watson. - Tu…tutto bene!- Farfugliò il bambino. Il resto della classe ondeggiava tra l’atterrito ed il terrorizzato e nessuno ebbe il coraggio di dire nulla per paura di finire vittima dei poteri dell’agenda.

I bambini, dopo quella presentazione indimenticabile, iniziarono ad abituarsi ai modi un po’ anticonvenzionali dell’insegnante stando però sempre bene attenti a non farla arrabbiare. Un giorno accadde un fatto insolito: Miss Watson fu chiamata in presidenza e, nella fretta di uscire, dimenticò la sua agenda sulla cattedra. - Guardate, la maestra ha lasciato la sua agenda in classe. Andiamo a vedere cosa c’è dentro!- Disse un bambino molto curioso di nome Giampaolo. - Ma che sei pazzo!- Lo ammonì una bambina con la voce tremante di paura. - Per carità, non facciamo sciocchezze!- lo ammonirono altri. Ma non ci fu nulla da fare, il bambino si avvicinò alla cattedra e pian piano aprì l’agenda. Accadde tutto in un istante, l’agenda si trasformò in un’immensa bocca ed ingoiò il bambino. Tutti i compagni rimasero atterriti nel vedere quella scena. Bambine e bambini iniziarono ad urlare e a correre per tutta la scuola mentre alcuni più coraggiosi avevano preso una scopa con cui avevano ingaggiato una lotta furibonda con l’agenda nel tentativo di fargli sputare fuori il loro compagno. Quando Miss Watson tornò in classe e si trovò di fronte a quella scena di isteria collettiva comprese che qualcosa di terribile doveva essere accaduto. - Che cosa avete combinato?- Chiese ad una bambina. - L’agenda s’è mangiata un bambino, l’agenda s’è mangiata un bambino!Continuava a ripetere come un disco rotto. L’insegnante batté le mani per tre volte e come per incanto tutti ripresero posto ai loro banchi. - Silenzio e fate che non si ripeta mai più!- Li rimproverò, quindi posò gli occhi sull’agenda che se ne stava tranquillamente adagiata sulla cattedra.

Miss Watson prese l’agenda e la osservò con aria severa poi disse – Avanti, è l’ora del ruttino!L’agenda si gonfiò tutta, quindi fece un grosso ruttino e, come per magia, dalle sue pagine saltò fuori l’alunno curioso. - Oh mamma!- Esclamò il bambino, poi fece un profondo inchino alla maestra e se andò al suo posto saltellando allegramente. - Bambini, cosa vi avevo detto? Per nessun motivo dovete toccare questa agenda. Giampaolo è stato fortunato perché era giunta l’ora del ruttino altrimenti sarebbe rimasto imprigionato nell’agenda fino alla digestione e allora sì che sarebbero stati guai grossi!- Spiegò Miss Watson tutta compunta. Da quel giorno nessuno dei bambini osò più neanche avvicinarsi alla misteriosa agenda, bastava solo nominarla che tutti scoppiavano in lacrime per paura di finirci sopra.

Dovete sapere che quell’agenda è veramente esistita e pare che oggi sia in possesso di una discendente di Miss Watson che lavora in una scuola della vostra città. Se, per caso, voi la conoscete, tenetevene alla larga, potreste finire in un grosso guaio!

DUE NANI

Nonna Adele aveva una grande gonna nera. E questo è un fatto veramente importante, perché sotto la gigantesca gonna vivevano due nani, uno più nano dell’altro! I nani erano talmente nani che, se fossero usciti da sotto la gonna della nonna, tutti li avrebbero scambiati per due topini. Se i due tipetti fossero vissuti in un mondo come il nostro, li avremmo scambiati per due fenomeni da baraccone e studiati e ristudiati fino a scriverne pagine e pagine di elucubranti teorie scientifiche. Invece, nel posto dove vivevano, i due non davano minimamente nell’occhio. Nel loro paese vivevano personaggi veramente contraddittori: c’era l’uomo più basso tra gli uomini alti e l’uomo più alto tra gli uomini bassi; c’era la donna brutta più bella tra le donne brutte e la donna bella più brutta tra le donne belle; c’era l’uomo più magro tra gli uomini grassi e l’uomo più grasso tra gli uomini magri; c’era perfino il più ignorante tra le persone istruite ed il più istruito tra le persone ignoranti! Ora, in questo bailamme di abituali diversità, accadde un fatto veramente insolito. I due nani non volevano essere più nani ma volevano iniziare a crescere. Non si sarebbero accontentati di diventare i nani più alti del mondo oppure dei giganti bassini no, no! Loro volevano crescere, ma in un modo tutto loro. Il problema stava nel fatto che non erano in grado di spiegare a nessuno cosa intendessero per crescere, per il semplice motivo che neanche loro ne avevano la più pallida idea. Nel paese iniziarono a preoccuparsi, non tanto perché i due nani volevano

crescere ma perché non sapevano spiegare in che modo e quanto. Nonna Adele era molto avvilita, si era talmente abituata a vivere con i due nani sotto la gigantesca gonna nera che al solo pensiero di vederli crescere le scendevano ruscelli di lacrime dagli occhi. Quando nonna Adele andava a dormire era solita togliersi la gigantesca gonna nera e sistemarla su una vecchia sedia a dondolo di legno, poi prendeva i due nani e, dopo avergli fatto il bagnetto in una tazzina da caffè, li asciugava ben bene e li metteva a dormire dentro un gomitolo di soffice lana proprio sul suo comodino. Una notte, il gatto di nonna Adele, invece di starsene a dormire, decise di farsi una eggiata tra le stanze sonnacchiose della casa. Giunto in camera da letto, vide il soffice gomitolo adagiato sul comodino. - Ma quello è un soffice gomitolo di lana! – Esclamò. Fu più forte di lui, spiccò un salto e con una zampata lo fece cadere in terra, poi iniziò ad inseguirlo, dapprima per la casa poi, per tutto il paese finché, annoiato da quel gioco, fece dietrofront e se ne tornò a dormire. La mattina seguente, nonna Adele non poteva credere ai suoi occhi quando vide che, sul comodino, il soffice gomitolo di lana era sparito. In fretta e furia indossò la sua gigantesca gonna nera e corse in piazza urlando disperata. - I due nani, i due nani sono spariti!- Diceva a chiunque incontrasse. - Come spariti? Non è possibile che due nani, per quanto piccoli, spariscano così!- Sentenziò la donna più intelligente tra le donne stupide. - Se sono spariti i due nani, potremmo sparire anche noi!- ribatté l’uomo con la testa più grande tra gli uomini con la testa piccola. - Aiutatemi a ritrovarli, non possono essere andati lontano nani come sono!Piangeva nonna Adele. - Certo dobbiamo trovarli, potrebbero essere in pericolo nani come sono!- disse l’uomo più debole tra gli uomini forzuti.

E così, in men che non si dica, fu organizzata una spedizione per la ricerca dei nani perché, come tutti sapevano in paese – L’unico posto dove potevano vivere due nani come loro era sotto la gigantesca gonna nera di nonna Adele -. - Mmhh…che dormita fantastica!- Fece il più nano tra i due nani stiracchiandosi tutto. - Mmhh…che dormita fantastica!- Fece il meno nano tra i due nani stiracchiandosi tutto. - Ma dove siamo?- Chiese il più nano tra i due nani, mentre si guardava intorno con aria interrogativa. - Non ho mai visto questo posto. Come avremo fatto ad arrivare fin qui?- chiese il meno nano tra i due nani. - Sarà il caso di dare un’occhiata fuori!- Esclamò con coraggio il nano più nano tra i due. - Potrebbe essere l’occasione che aspettavamo per iniziare a crescere!- Ribadì il nano meno nano tra i due nani. E così, i due intrepidi nani si misero in cerca del modo per iniziare a crescere in quel mondo che non avevano visto mai prima di quel momento. Il gatto, in realtà aveva portato il gomitolo di lana ai limiti del bosco che circondava il paese dove vivevano i nostri due amici, solo che loro, vivendo sempre sotto la gigantesca gonna nera di nonna Adele, non ne conoscevano l’esistenza. A dire il vero, i due nani non sapevano niente di niente, erano due ignoranti matricolati. Se, in qualche posto nel mondo, fosse esistita una università per ignoranti loro due sarebbero stati studenti modello! Dopo aver camminato per un po’ di tempo, i due giunsero nei pressi di una radura dove, al centro, si ergeva una gigantesca costruzione. I nani si avvicinarono al portone dove un cartello riportava la scritta – SUONARE TATONA-.

Dopo essersi scambiato uno sguardo interrogativo, il meno nano tra i due nani prese il coraggio a due mani e suonò il camlo. Dopo alcuni secondi, il portone si spalancò. Un’enorme donnone fece capolino. - Chi ha suonato?- Domandò il donnone. - Noi!- Risposero i nani. - Noi chi?- Chiese il donnone. - Noi. I nani qua sotto!- Precisarono i nani. - Toh! Due nani piccini picciò!- Rise l’immensa donna. - Possiamo entrare?- Chiese il meno nano tra i due nani. - Certamente, Tatona è la personcina più educata di questo mondo. Entrate, entrate pure!- Li invitò ad entrare la padrona di casa. - Cosa ci fate da queste parti?- Chiese la Tatona. I due nani le raccontarono la loro sorpresa nel risvegliarsi lontano da casa in un posto mai visto prima e della loro voglia di iniziare a crescere in un modo diverso dagli altri, talmente diverso che neanche loro ancora sapevano come. - Crescere è complicato!- Sentenziò la Tatona – Pensate che io sono figlia di una maga esperta in pozioni magiche e da piccola ho bevuto per sbaglio un suo intruglio ed ho iniziato a crescere senza fermarmi più!- In effetti, noi non vorremmo arrivare a tanto!- Esclamò il più nano dei due nani. - Secondo me, senza pozioni magiche è impossibile crescere!- Sentenziò il donnone. I nostri nani rimasero con la Tatona fino all’indomani, quanto la salutarono per riprendere il loro viaggio alla scoperta del modo di crescere. In fin dei conti, la loro amica aveva fornito un indizio prezioso: PER CRESCERE SERVE UNA POZIONE MAGICA.

Camminarono nel bosco parlando della loro nuova amica, fin quando incontrarono un pulcino grasso come un maialino intento a beccare il terreno. - Che stai facendo?- Chiese il più nano tra i nani al pulcino grasso. - Oh bella, mangio!- Esclamò il pulcino. - E che mangi?- Chiese al pulcino grasso il meno nano tra i due nani. - Qualsiasi cosa. D’altronde si sa: quello che non strozza ingrassa!- Affermò il pulcino grasso. - E voi che fate di bello in giro per il bosco?- Chiese il pulcino ai nani. - Stiamo cercando il modo per crescere!- Risposero i due. - Per crescer bisogna mangiare, non c’è altro rimedio!- Affermò il pulcino. - Ma cosa dovremmo mangiare noi due per diventare grandi come te?- Chiese il nano più nano tra i due. - Non saprei. Ma credo di aver capito cosa dovrei mangiare io per diventare ancora più grande di quello che sono!- Disse il pulcino. - Diccelo, magari potremmo mangiarlo anche noi per provare a crescere un po’!Lo esortò il nano meno nano tra i due nani. - Ma voi due, naturalmente, oh miei tenerissimi nani!- E così dicendo, il pulcino grasso diede una beccata in direzione dei nani che, lesti com’erano, se la diedero a gambe in un battibaleno. I due nani corsero come non avrebbero mai pensato di correre in tutta la loro vita per liberarsi dalle calcagna il pulcino grasso. Quando si accorsero di essersi messi in salvo, si accasciarono in terra tutti ansimanti. - Oh Gesù, Giuseppe e Maria che paura che mi sono messo!- Disse ansimando il più nano tra i due nani. - Non ce la faccio neanche a parlare da quanto ho corso. Mi sento il cuore in

gola!- Fece di rimando il meno nano tra i nani. - Se ci avesse raggiunto ci avrebbe mangiato in un sol boccone!- Rabbrividì il nano più nano tra i due. - Chi vi avrebbe mangiato?- Disse una voce proveniente dalle loro spalle. - Chi sei?- Chiese il nano meno nano tra i due andandosi a nascondere tra il fogliame. - Non abbiate paura, io non mangio nani. Sono vegetariano!- Puntualizzò la voce. - Dicci che sei!- Urlarono i nani impauriti. - Sono il rospo sapientone!- Si presentò il rospo sapientone – Nel bosco ne so più io di un intero battaglione!- È sicuro che non ti nutri di nani?- S’informarono nuovamente i nani. - Ve l’ho detto, sono vegetariano. Non mangio neanche gli insetti! Figuratevi due nanetti come voi!I due nani, rassicurati dalle parole del rospo, uscirono dal loro nascondiglio. - Che ci fate da queste parti?- Chiese il rospo ai nani. - Stiamo cercando il modo per crescere!- Rispose il più nano dei due nani. - Oh bella, ma lo sanno tutti che per crescere occorre studiare!- Sentenziò il rospo sapientone. - Ma che cosa dovremmo studiare?- Chiese il meno nano tra i due nani. - Tutto!- Disse perentorio il rospo. - Ma noi non abbiamo mai studiato niente!- Risposero allibiti i due nani. - Per questo non siete mai cresciuti! Siete due ignoranti!- Sentenziò l’illustre anfibio.

- È vero, non siamo andati neanche alle elementari. Ci siamo fermati all’asilo. Sai, siamo stati bocciati per tre anni di seguito!- Si commiserarono i due nani. - Tutti vanno all’asilo per tre anni, è obbligatorio. All’asilo nessuno viene bocciato, è impossibile!- Li sgridò il rospo. - Pensa tu che equivoco che c’è capitato. Eravamo convinti di essere dei buoni a nulla!- Rise amaramente il più nano tra i due nani. - Signor rospo, se fosse così gentile da indicarci la strada per tornare a casa nostra, le promettiamo di metterci subito a studiare!- Disse il meno nano dei due nani. - Sono uno studioso, non un indovino. Datemi almeno un indizio!- Fece stizzito il rospo. - Non ne sappiamo molto neanche noi, abbiamo sempre vissuto sotto la gonna di nonna Adele!- Puntualizzò il più nano dei due nani. - Mi dispiace, non posso esservi utile. Adieu mon amis!- Salutò il rospo saltandosene via. I due nani si guardarono negli occhi per un attimo, poi scoppiarono in un pianto a dirotto. - Boooh, che nani sfortunati!- Singhiozzarono così forte che li avrebbero sentiti anche in capo al mondo. Poco distante da loro gli intrepidi concittadini, capeggiati da nonna Adele, non avevano ancora smesso di cercarli. - Mi pare di sentire piangere!- Disse nonna Adele all’uomo più intelligente tra gli uomini stupidi. - È vero, sento piangere anch’io!- Rispose l’uomo più intelligente tra gli uomini stupidi. - Presto, non c’è un attimo da perdere; potrebbero essere i due nani!- Riprese nonna Adele mentre, sollevandosi la gigantesca gonna nera, iniziava a correre più velocemente che poteva.

Di lì a poco, la donna e gli altri componenti del paese che l’aiutavano nella ricerca dei nani, scoprirono chi stesse piangendo a quel modo. Erano i loro amatissimi nani. - Miei piccoli nani, che spavento mi avete fatto prendere!- Esordì la nonna appena vide i due nanetti. - Oh nonnina, che brutta avventura che ci è capitata!- dissero i nani appena videro nonna Adele. I due nani raccontarono per filo e per segno tutta la loro storia ed in particolare tutti i modi di crescere che avevano scoperto. - Prima abbiamo incontrato la simpatica Tatona, che ci ha detto che per crescere occorreva una pozione magica!- Disse il più nano tra i due nani. - Poi abbiamo incontrato un pulcino grassotto che ci ha detto che per crescere occorreva mangiare a più non posso. Se non ce la fossimo data a gambe avrebbe mangiato perfino noi due!- Continuò il meno nano tra i due nani. - Infine, un rospo sapientone ci ha detto che non cresceremo mai se non andiamo a scuola ed iniziamo a studiare!- Concluse il più nano tra i due nani. Al termine del loro resoconto, nonna Adele sorrise e li invitò a riprendere posto sotto la sua gonna. I due nani furono ben lieti di obbedirle, ma quando furono sotto la sua gonna nera si accorsero di stare un po’ stretti; forse perché avevano già iniziato a crescere!

L’ASTRONAVE

Ed alla fine, l’astronave arrivò. Sulla Terra l’aspettavano da anni e, finalmente, il gran momento era giunto. L’astronave atterrò a mezzogiorno in punto poggiando il suo peso su quattro enormi dischi metallici. Intorno a lei, si radunarono migliaia di persone con in testa il sindaco, la giunta, i consiglieri e perfino la banda comunale. Lentamente si aprì il gigantesco portellone principale dal quale uscì un ometto piuttosto allegro. Appena lo videro, il sindaco fece un cenno deciso e la banda attaccò una musica allegra:

E l’astronave che arriva sembra amica ma però non si ferma qui disegna un arcobaleno che sembra vero, poi scappa in direzione Palm Beach e questo genere umano sembra vano ma una logica ci sarà bon voyage, bon voyage... (Sergio Caputo, L’astronave)

Tutte le persone lì convenute iniziarono a sventolare delle bandierine colorate in segno di saluto. Quando l’omino fu a tiro di voce, il sindaco fermò la musica ed indirizzò all’ospite il suo discorso di benvenuto. - Carissimo marziano o, che dir si voglia venusiano, nettuniano, gioviano, tripolitano, puteolano; noi ti diamo il nostro caloroso benvenuto e ti consegniamo le chiavi della nostra città per l’onore che ci hai fatto scegliendoci per la tua visita!Ciò detto, il sindaco si avvicinò all’omino e gli consegnò le chiavi della città. Subito ripartì la musica ed il pubblico proruppe in uno scrosciante applauso. L’omino prese le chiavi con il suo solito sorriso stampato sulla faccia e, per tutta risposta, disintegrò il sindaco con il suo laser ad eccimeri. - Oh che ospite sbadato!- Esclamò la folla – Per sbaglio ha disintegrato il sindaco. Pazienza, ne eleggeremo un altro!Così, non curanti delle ceneri fumanti del sindaco, la folla portò in trionfo il marziano fino al municipio dove qualcuno propose di insediarlo come nuovo primo cittadino. - Pensate, saremo il primo paese con un sindaco marziano. Sfido chiunque a dirci che siamo dei provinciali con un extraterrestre in municipio!- Disse un assessore tutto soddisfatto. E quella che sembrava un’idea campata in aria divenne realtà: a grande maggioranza l’extraterrestre dal sorriso stampato fu eletto sindaco tra il tripudio generale. Come tutti i buoni sindaci, l’omino si fece accompagnare dagli assessori in giro per la città per ricevere il meritato bagno di folla ed illustrare le sue ricette per rendere il futuro di quei luoghi più luminoso. Innanzitutto, fu portato dinanzi ad una scuola elementare dove tutti i bambini lo accolsero festosamente.

Il sorridente omino, dopo essersi congratulato con tutti, ebbe un colpo di genio. Quella scuola non era sufficientemente moderna per ospitare gli alunni della sua città e, quindi, andava demolita seduta stante per far posto ad una struttura avveniristica che lui stesso avrebbe progettato appena rientrato in municipio. Così, tra lo stupore degli alunni che già si vedevano costretti ad andare, chissà per quanto, a scuola nel paese vicino, vennero chiamate le macchine demolitrici ed in men che non si dica la scuola venne abbattuta. Il codazzo dei cittadini che seguiva il sindaco si sperticava in encomi ed elogi per quel governante illuminato – Pensate avremo la scuola più moderna del mondo, che uomo geniale!- Dicevano i più accalorati. Poi, il sindaco venne portato a vedere tutti parchi cittadini. L’omino rimase impressionato da tutto quel verde e lodò molto i cittadini per il loro buon senso, però, disse che sarebbe stato più utile costruire dei fast food, un casinò ed alberghi con piscina per accogliere i turisti che sicuramente, di lì a poco, sarebbero venuti per visitare la sua astronave. - Che idea rivoluzionaria, togliere tutto il verde pubblico per sostituirlo con un mare di cemento! I turisti arriveranno a frotte, non c’è che dire!- lo lodarono gli assessori. I bambini che, ormai senza scuola, lo seguivano, iniziarono a mormorare preoccupati. - Prima ci ha tolto la scuola, ora vuole toglierci i parchi, se continua così saremo costretti a trasferirci a vivere altrove!- Si lamentavano. Come ultima tappa, l’omino sorridente venne condotto a visitare il museo archeologico. Ma come era possibile? Chi aveva avuto la malsana idea di conservare tutti quei cocci dentro un palazzo così bello? Occorreva porre immediatamente rimedio. Così tutti i reperti archeologici furono rimossi e portati in discarica mentre, nel bel palazzo si decise di realizzare una beauty farm.

- Oh finalmente, una ventata di aria nuova in città!- Esclamarono i cittadini più illuminati sotto gli sguardi attoniti dei bambini. Terminata la visita, il sindaco venne ricondotto in municipio ed i cittadini se ne tornarono allegramente alle loro occupazioni. I bambini si ritrovarono da soli nella piazza principale del paese nella più totale incredulità. - Di questo o in città rimarranno solo cose futili di cui la gente presto o tardi si stancherà. Dobbiamo mandare via questo extraterrestre prima di pentircene amaramente!- Suggerì uno dei bambini. E così i bambini iniziarono una campagna di sensibilizzazione dell’opinione pubblica: furono affissi manifesti in cui si lodava la cultura, furono chiamati esperti del WWF per fare dibattiti all’aperto, visto che la scuola ormai non c’era più, sull’importanza della natura. Venne anche l’UNICEF per parlare del diritto all’istruzione dei bambini. Di fronte a quella campagna contro i suoi moderni principi, il primo cittadino si adirò molto e minacciò gli assessori di andarsene via se non avessero messo tutto a tacere. Gli assessori assicurarono al sindaco che avrebbero provveduto. Inutile dire che i bambini furono tutti messi in punizione dai genitori e l’ordine tornò a regnare in città con grande soddisfazione del’omino sorridente. Qualche tempo dopo, l’extraterrestre decise di dare una festa sulla sua astronave per festeggiare la posa della prima pietra del nuovo edificio scolastico. La notizia corse di bocca in bocca e anche i più piccoli ne vennero a conoscenza. I bambini si riunirono segretamente e decisero di sabotare l’astronave in modo tale che una volta entrato il sindaco con gli illustri ospiti avrebbero potuto chiuderli dentro e spedirli nello spazio una volta per sempre. E così fu fatto: l’astronave venne sabotata e, una volta che tutti furono a bordo, i bambini li chio dentro ed avviarono la procedura di decollo. In un enorme boato l’astronave accese i motori e si sollevò fino a sparire nel buio.

Quando gli adulti si accorsero dell’accaduto vennero colti da un grande smarrimento, senza quel sindaco illuminato non sapevano cosa fare. - Che ne sarà di noi?- Si chiedevano preoccupati. - Non c’è nessun problema!- Intervenne uno dei bambini – Sostituiremo noi quel sindaco. Nella vita serve solo un po’ di buon senso, il resto viene da sé. Non occorre essere dei geni per capire che i bambini non possono crescere ignoranti o che un parco non può essere sostituito da un fast food o che un museo è parte della nostra storia e che, quindi, merita di rimanere al suo posto!A quelle parole gli adulti compresero il loro grave errore, si erano fatti convincere da un extraterrestre che i veri valori potevano essere sostituiti dall’apparenza senza pensare alle disastrose conseguenze. Così venne eletto un nuovo sindaco e col tempo tutto tornò alla normalità, ad eccezione di un enorme cannone che venne piazzato su una collina vicina pronto a sparare alla prima astronave che si fosse avventurata da quelle parti. Per fortuna, ad oggi, l’enorme pezzo d’artiglieria non ha ancora sparato un solo colpo, forse nello spazio si è sparsa la voce!

E l’astronave che arriva vira e ammira il panorama che c’è quaggiù Saluta un arcobaleno su nel cielo, poi fugge in direzione Malibù E tutto il genere umano A un palmo di naso Tutti a chiedersi dove va

Bon Voyage, Bon Voyage

SGNUNFF!

- Robertino, Robertino!- Chiamò la mamma. - Mamma, mi fa tanto male la pancia!- Si lamentò, con il suo vocione cavernoso, Robertino, un bambino di circa dieci anni, alto un metro e venti per cento venti chili di peso. - Ti avevo detto di non mangiare tutto quel gelato. Ben ti sta! Vedi cosa succede ad essere sempre disubbidiente?- Lo rimproverò la mamma. - Ma mamma, era solo un chilo di gelato plurigusti, che male può avermi fatto? E poi non l’ho mangiato da solo!- Si giustificò il bambino. - Ma se te ne stai sempre rintanato nella tua cameretta a giocare con quelle stupide carte tutte colorate e piene di mostri orribili, smettila di dire bugie Robertino!- Lo sgridò la donna. - Ti dico che non ero solo!- Insisté Robertino. - Sì, va bene! Sentiamo, dunque, chi ha mangiato il gelato insieme a te?- Chiese la mamma. - Uno SGNUNFF!- Rispose il figlio. - Uno SGNUNFF!- Gli fece eco la madre. - In carne ed ossa!- Ribadì Robertino. - Ma che cosa è uno SGNUNFF in carne ed ossa? Non mi dirai che abbiamo un topo in casa? Dimmi dove lo hai nascosto, bambino disubbidiente che non sei altro! Quante volte ti ho detto che in questa casa animali non ne voglio vedere!Urlò isterica la donna. - Ma mamma, uno SGNUNFF è uno spiritello di città tutto nero come la notte. Se vuoi te le faccio conoscere!- Puntualizzò Robertino.

- Non mi dire che nascondiamo un ladro in casa senza che io ne sappia nulla!Disse preoccupata la donna. - In effetti, lo SGNUNFF vive qui da circa una settimana. Non sapeva dove andare e quindi ho pensato di portarlo a stare un po’ da noi!- Spiegò il bambino, con l’aria di chi pensava di non aver fatto nulla di male. - Ma ti rendi conto di quello che hai fatto? Se questo uomo nero è un mascalzone, la polizia potrebbe arrestare anche noi per favoreggiamento!Incalzò la madre. - Mi pare di aver capito che sia solo uno spiritello bisognoso di avere un po’ di compagnia!- Si difese il bambino. - Ho sentito abbastanza sciocchezze per oggi. Portami da questo coso nero e prega Dio di non averci cacciato in qualche guaio grosso perché, altrimenti, altro che punizione, ti chiudo in collegio fino al giorno delle tue nozze!- La mamma di Robertino era veramente fuori di se per la bravata fatta dal figlio. Robertino, rassegnato al peggio, accompagnò la mamma in camera sua per presentargli lo SGNUNFF. Lo spiritello se ne stava tutto contento a saltellare sul letto. Appena vide la donna tentò di farci amicizia lanciandogli contro un palloncino pieno d’acqua. La signora, tutta bagnata, iniziò a correre per la casa urlando disperata. Robertino e lo SGNUNFF la inseguivano cercando di calmarla. La corsa della donna terminò in bagno, dove si asserragliò minacciando di chiamare tutte le forze dell’ordine e le organizzazioni di soccorso al cittadino di cui conosceva l’esistenza: 112, 113, 114, 115, 116, 117 e 118(1). - Mamma, ti rendi conto che il tuo comportamento non ha senso? Lo SGUNFF è buonissimo. Certo è un po’ dispettoso, ma non fa male a nessuno! Ti prego vieni fuori di lì e fate conoscenza!- Pregò il bambino. Dopo circa due ore di suppliche, la mamma mise il naso fuori dalla porta. - Va bene, mi hai convinta. Farò conoscenza con questo mostriciattolo nero!Disse, uscendo dal bagno.

- SGUNFF!- Fece lo SGUNFF appena la vide e veloce come un fulmine le saltò in braccio riempiendola di baci. - Non c’è che dire, è molto affettuoso! Ma non possiamo tenerlo con noi, magari appartiene a qualcuno…- Cominciò a dire la donna. - Ma perché non può rimanere? Chi vuoi che lo cerchi. Gli SGNUNFF sono liberi e non appartengono a nessuno!- La interruppe il bambino. Dopo un’estenuante trattativa, Robertino riuscì a convincere la madre a permettere allo spiritello di rimanere in casa finché ne avesse voglia. Lo SGNUNFF per ringraziarla le leccò tutta la faccia con la sua gigantesca lingua appiccicosa. Le cose, dopo qualche giorno, sembrarono andare per il verso giusto. Lo spiritello nero si dimostrava molto educato: mangiava dal piatto anche se aveva la strana abitudine di lanciare i bocconi di cibo verso l’alto e poi inghiottirli al volo quando ricadevano verso il basso. Anche per bere aveva una tecnica tutta particolare: metteva l’acqua nel bicchiere, quindi si rovesciava il contenuto sulla testa e con la lingua si leccava i capelli per recuperare le gocce che vi si erano impigliate. Per dormire, lo SGNUNFF si era ben organizzato: aveva messo una sedia nello sgabuzzino e, tutte le notti, si metteva ritto su un piede sullo schienale con le braccia parallele al terreno ed iniziava a russare beato. I problemi sorsero quando Robertino decise di portare il suo amico a scuola per fargli apprendere tutti i segreti della nostra cultura. La maestra, trovandosi di fronte all’ometto nero, trasalì emettendo uno stranissimo urletto e blaterando, nel contempo, una frase stranissima – Oh, ODDIOMIOMADONNINABELLAETUTTIISANTIDELPARADISO!- Poi, cadde a terra, priva di sensi. Immediatamente, tutti i bambini cercarono di rianimarla facendole vento con i quaderni, mentre lo SGNUNFF corse a prendere il solito secchio d’acqua. Per fortuna Robertino riuscì ad intercettarlo prima che la situazione peggiorasse. Quando la maestra rinvenne, esclamò con voce tremante – Cos’era quel coso nero?-

- SGNUNFF!- Esclamò lo spiritello sorridente. - Si tratta di uno spiritello di città. Non è pericoloso!- Intervenne Robertino, mentre i compagni iniziarono a stringere amicizia con l’esserino nero. - Come ti è venuto in mente di portarlo a scuola?- Chiese la maestra al bambino. - Pensavo che gli sarebbe piaciuto imparare le cose che lei ci insegna con tanta ione!- Rispose Robertino. La maestra, alle parole del suo alunno, si rasserenò. In fin dei conti, che male c’era ad insegnare un po’ di cose allo spiritello. Anzi, la cultura gli avrebbe, senz’altro, giovato. - Va bene, l’uomo nero potrà diventare alunno della scuola!- Sentenziò la Preside, dopo essere stata messa a conoscenza dei fatti dalla maestra. Lo SGNUNFF divenne un alunno modello. Indossava un bellissimo grembiule blu con un fiocco bianco intorno al collo ed una enorme cartella dei Gormiti. La maestra lo interrogava tutti i giorni in tutte le materie e lui, ad ogni domanda, rispondeva puntuale – SGNUNFF!- Non c’era che dire, era sempre preparatissimo. I suoi temi d’italiano erano meravigliosi, scriveva pagine e pagine della stessa parola…SGNUNFF! Ma con una grafia deliziosa. Per questo prendeva sempre dieci. In matematica, poi, era un asso: SGNUNFF + SGNUNFF = SGNUNFF, SGNUNFF, scriveva sul suo quaderno diligentemente. Anche in casa di Robertino tutti gli volevano bene, lo spiritello di città si era pienamente integrato nella nostra società, ma c’era un nemico in agguato pronto a rovinare l’idillio. Questo nemico si chiamava BUROCRAZIA. Nessuno, in effetti, sa cosa sia questo essere mutevole ed inafferrabile che, di volta in volta, si manifesta sotto le più disparate vesti. Nel nostro caso, la burocrazia prese le sembianze di un funzionario dell’Ufficio

Immigrazione Spiritelli di Città. - Ho saputo che in questa casa si ospita abusivamente uno SGNUNFF!- Disse il funzionario, quando la mamma di Robertino aprì la porta di casa. - Tutti sanno che gli spiritelli di città devono essere regolarmente adottati dalla famiglia, altrimenti non possono essere tenuti!- Continuò l’uomo. - Signore, non lo sapevamo. Siamo comunque disposti ad adottarlo, se lei potesse darci qualche indicazione…- Rispose la mamma di Robertino. - Lei la fa facile signora. Innanzitutto, mi dovete consegnare l’omino nero perché deve fare un lungo periodo di isolamento. Poi dovete compilare dei formulari e sottoporvi a severi interrogatori da parte dell’assistente sociale. Dopodiché, le forze dell’ordine faranno un’indagine sulla vostra famiglia per vedere se siete persone degne per ospitare in casa vostra lo spiritello. Quindi, sarete dati in affidamento ad un giudice che vi terrà sotto stretto controllo per cinque anni. Fatto questo, verrete sottoposti a dei test sanitari e, ammesso che li superiate, vi sarà inserito sottopelle un microchip affinché possiate essere controllati dal satellite. Ma non è tutto, siccome gli SGNUNFF sono una specie protetta, dovete firmare una dichiarazione con cui vi impegnate a presentarvi in commissariato ogni due giorni e produrre una relazione dettagliata sullo stato di umore dello spiritello di città. Questo mi sembra sia tutto – Sorrise l’uomo soddisfatto. - Ma quanto tempo ci vorrà?- Chiese impressionata la madre di Robertino. - Circa quindici anni, un’inezia!- Rispose il funzionario. Mentre le mamma ed il funzionario parlavano, Robertino e lo SGNUNFF ascoltavano in silenzio nascosti dietro il divano. I due non ci pensarono molto su, corsero in camera, prepararono uno zaino in fretta e furia e scapparono dalla finestra. Inutile dire che quando se ne accorsero, i genitori di Robertino entrarono nel panico e dopo aver scacciato in malo modo il burocrate, si rivolsero alle autorità. Ci fu una sollevazione cittadina contro la burocrazia che aveva impedito allo SGNUNFF di vivere una vita serena con la famiglia di Robertino. Le manifestazioni si susseguirono ininterrotte, fin quando il sindaco dichiarò che

l’adozione dello spiritello poteva essere attuata senza tutta quella assurda procedura. Ma nel frattempo dello SGNUNFF e di Robertino non c’era più nessuna traccia! I genitori riempirono la città di manifesti raffiguranti i volti di Robertino e dello SGNUNFF, nella speranza che qualcuno, che li avesse incontrati, avrebbe potuto dargli utili notizie. Perfino la nota trasmissione televisiva “Chi l’ha visto?” si occupò del caso, ma senza alcun esito. I due sembravano essere spariti nel nulla. - Mhm, mhm!- Cercò di parlare Robertino. - È inutile che ti sforzi tanto di chiedere aiuto, nessuno vi verrà a liberare!Disse, minaccioso, il funzionario dell’ufficio immigrazione spiritelli di città. - I tuoi genitori volevano adottare quello stupido affare nero senza rispettare l’iter burocratico. Pazzi, la burocrazia è sacra!- Urlò il fanatico burocrate. Mentre quel losco figuro inveiva contro Robertino, lo SGNUNFF riuscì a liberarsi dalla corda che lo teneva immobilizzato. Rapidamente, lo spiritello sgattaiolò alle spalle del burocrate, gli saltò addosso afferrandolo per il collo. Poi, con la lingua iniziò a leccargli un orecchio facendogli il solletico. Così, mentre lo SGNUNFF ed il burocrate si rotolavano in terra in una lotta furibonda, Robertino, riuscì a liberarsi dalle funi che lo imprigionavano. Appena libero, Robertino frugò nel suo zainetto dove, nascosto in qualche tasca, stava il cellulare. Ricordava che sua madre, quando lui era un po’ disubbidiente, diceva sempre – Adesso chiamo il 113, così arriva la Polizia e ti faccio arrestare!-. -Sì, chiamerò la Polizia!- Esclamò Robertino. Nel frattempo, l’eroico SGNUNFF era riuscito ad immobilizzare il burocrate ed a legarlo come un salame. Non contento, aveva un po’ esagerato. Aveva appeso lo sciagurato burocrate per i piedi ad una trave del tetto. Il poveretto penzolava

come un prosciutto in una pizzicheria. - Fammi scendere, odioso coso nero!- Urlava l’uomo. - SGNUNFF!- Diceva, molto arrabbiato lo SGNUNFF. - Perché ci hai rapito?- Chiese Robertino. - Ero geloso. Io sono un orfano che, per colpa della burocrazia, non è stato adottato, così ho ato tutta la mia infanzia in orfanatrofio. Una volta cresciuto, per vendicarmi, mi sono messo a fare il burocrate cavilloso, anzi cavillosissimo! Se non ero stato adottato io, nessuno doveva esserlo!- Pianse l’uomo. Robertino e lo spiritello si commossero molto sentendo quelle parole. - Ti piacerebbe diventare mio fratello insieme allo SGNUNFF?- Chiese Robertino all’uomo. - Ma non è possibile, io sono più vecchio dei tuoi genitori!- Disse il burocrate. - Se i miei genitori possono adottare uno SGNUNFF, figurati se non possono adottare un bambinone come te!- Fece gioioso il bambino. - SGNUNFF!- Fece lo SGNUNFF, in segno di assenso. E così, contro ogni logica, la famiglia di Robertino adottò sia lo SGNUNFF che il burocrate sconfiggendo le sciocche convenzioni della nostra società. C’è un’ultima cosa da dire, lo SGNUNFF ed il burocrate divennero talmente amici che lo SGNUNFF smise di dormire nello stanzino ma prese l’abitudine di riposare facendo la verticale tenendosi in equilibrio su un dito poggiato sulla fronte dell’uomo steso nel suo letto. - Che famiglia meravigliosa!- Esclamava, ogni sera, la mamma di Robertino. - SGNUNFF!- Rispondeva, ogni volta, lo spiritello nero.

1. I numeri corrispondono rispettivamente a: Carabinieri, Polizia, Emergenza

Infanzia, Vigili del fuoco, Soccorso ACI, Guardia di Finanza, Emergenza Sanitaria. 1

SHATILA

A Shatila alcuni bambini prendono a calci un pallone di pezza. La palla rotola stancamente verso una piccola sorgente e mollemente vi cade dentro adagiandosi sul basso fondale imbevuta d’acqua. Ai margini della sorgente un cartello riporta la scritta “acqua non potabile”. A Shatila non ci sono case ma baracche luride e puzzolenti. A Shatila ci sono in maggioranza vecchi e bambini che odorano di povero come le baracche. Non ci sono scuole, non ci sono divertimenti. Lì non c’è nulla che inviti alla speranza. Chi entra dentro Shatila pensa di essere giunto nella terra di nessuno dove non c’è chi comanda e non c’è chi obbedisce. Lì vive un’enorme massa di persone che si muove come in un immenso formicaio tra gli angusti vialetti che separano i blocchi di baracche fatiscenti. In un angolo del campo profughi, proprio alla fine delle ultime baracche qualcuno ha montato un grande tendone. Di fronte è stata piantata una bandiera azzurra dove al centro campeggia la scritta “UNICEF”. - Cos’è quella tenda laggiù?- Chiese Renè alla sua amichetta Rein. - L’ho vista montare qualche giorno fa da un gruppo di persone che dicono essere delle ONU!- Rispose Rein. - Cos’è l’ONU?- Continuò a chiedere Renè. - È un’organizzazione che mette insieme tante nazioni di tutto il mondo che cercano di aiutare chi ha bisogno!- Spiegò con pazienza la bambina. I bambini, mentre erano intenti a parlare, si avvicinarono, quasi inconsapevolmente al grande tendone. - Ciao!- Li salutò una ragazza bionda – Mi chiamo Daniela. Sono una volontaria dell’Unicef. Sapete, in questo tendone stiamo allestendo una scuola per i bambini di Shatila. Vi va di visitarla?-

I due bambini si guardarono perplessi. Nel campo profughi non avevano mai visto una scuola. Generalmente, le lezioni si svolgevano all’aperto o sotto una tettoia quando pioveva o faceva troppo caldo. Con la pioggia ci si sedeva in mezzo al fango. Non era poi così male; il fango è più morbido della terra e a stare seduti non fa male il sedere. Con il caldo c’erano continui assalti di mosche e zanzare e, quindi, si ava tutto il tempo a cercare di spiaccicare quegli odiosi insetti tra i palmi delle mani. Così le lezioni trascorrevano tra continui scrosci di applausi. La tenda era ben refrigerata. – Abbiamo messo anche l’aria condizionata. Così farà fresco d’estate e caldo d’inverno. Bello, vero?- Spiegò la ragazza bionda. C’erano anche i banchi con le sedie per tutti gli alunni. In un angolo della tenda c’erano alcune persone che stavano discutendo – Quelli laggiù sono gli insegnati. Venite, ve li presento!- Disse la ragazza mentre si dirigeva verso di loro. - Ma guarda un po’ che bei bambini ci sono venuti a trovare oggi? Vi piace la vostra nuova scuola?- Esordì una signora che indossava una tuta azzurra con la scritta “Teacher”. - Questa è la maestra Rosy. È una insegnante delle elementari. Può darsi che voi possiate essere due suoi futuri alunni!- Spiegò la ragazza bionda. - Come vi chiamate?- Chiese la signora. - Io sono Rein e lui è Renè!- Rispose Rein. - Sembrate due bambini proprio simpatici. Vedrete, insieme ci divertiremo moltissimo!- Sorrise Rosy. - Ma quando inizieranno le lezioni?- Chiese Renè. - Stiamo aspettando che arrivino i libri per gli alunni. A giorni dovrebbe essere tutto pronto. Credo che sarà possibile iniziare l’anno scolastico già nel tendone invece che all’aperto, come al solito!- Disse la ragazza bionda.

La visita guidata continuò per tutto l’enorme tendone. C’erano perfino dei televisori giganti per vedere i cartoni animati. - Veramente pensavamo di usarlo per i documentari scientifici, ma anche i cartoni animati sono un’idea interessante!- Fece divertita la ragazza bionda. Quando furono nuovamente fuori del tendone i due bambini salutarono la loro accompagnatrice. Mentre tornavano verso le loro baracche incrociarono dei soldati armati che si dirigevano verso il tendone. Incuriositi dalla presenza dei militari, i bambini li seguirono senza farsi vedere. I militari chiesero al personale dell’Unicef di mostrargli i permessi per piantare quell’enorme tendone all’interno del campo profughi di Shatila. Ne seguì un’accesa discussione al termine della quale i militari se ne andarono tutti impettiti. - Che cosa è successo?- Chiesero i bambini che, preoccupati, erano tornati indietro. - Sembra che non siamo in regola con i permessi. Non possiamo aprire la scuola, per il momento!- Rispose un uomo sconsolato. - Ma, allora, saremo costretti a seguire le lezioni all’aperto seduti in terra come sempre!- Si lamentò Rein. - Non è giusto!- Protestò Renè – Ci sarà pur qualcosa che si possa fare per utilizzare il tendone!- Mi dispiace, ma la situazione non promette nulla di buono!- Disse la maestra Rosy. I bambini se ne tornarono mestamente verso le loro abitazioni, man mano che si addentravano nell’accampamento rividero il desolante scenario quotidiano: i vecchi seduti fuori delle baracche, i bambini che giocavano nelle viuzze polverose, gli adulti impegnati ad occupare il tempo con incomprensibili discorsi di politica, mentre i ragazzi più grandi, per ingannare il tempo, davano fastidio ai

anti. Renè raccontò ai suoi genitori quello che era accaduto al grande tendone dell’Unicef. - Non c’è niente da fare. Quando i militari si mettono di mezzo non è più possibile fare nulla. Vedrai, faranno smontare il tendone e anche quest’anno seguirete le lezioni all’aperto!- Spiegò con un po’ di malinconia sua madre. Ma Rein e Renè non si diedero per vinti. Nei giorni seguenti girarono per tutti gli angoli del campo raccontando a tutti i bambini quello che stava succedendo. Se i grandi non volevano intervenire ci avrebbero pensato loro a spiegare ai militari l’importanza di quel tendone per i piccoli di Shatila. Uno dei giorni seguenti, entrò nel campo un drappello di militari armati e si diresse verso la nuova scuola. - Il permesso che ci avete consegnato la volta scorsa non è valido. Dovete smontare la tenda ed andare via!- Ordinò il capo del drappello ai volontari dell’Unicef. - Ma non è giusto. Come faranno i bambini ad andare a scuola?- Protestarono i volontari. - Si continuerà a fare come al solito: le lezioni si svolgeranno all’aperto!- Tagliò corto il militare. Mentre la discussione si animava sempre di più, un lungo serpentone di bambini attraversò le strade di Shatila e silenziosamente sfilò davanti ai soldati armati entrando all’interno del tendone e prendendo posto nei banchi. Erano talmente tanti che molti rimasero in piedi. Renè e Rein si fermarono di fronte agli uomini in divisa. - Per noi oggi iniziano le lezioni. Avere una scuola è un nostro diritto. Rimarremo nel tendone fin quando non ci sarà l’autorizzazione del governo!Detto ciò, Renè prese per mano Rein ed insieme entrarono nella scuola. I militari non parlarono. Guardarono i bambini allontanarsi con fierezza e sparire

all’interno della tenda. Ad un cenno del capo drappello, i soldati si mossero ed abbandonarono il campo tra due ali di folla che nel frattempo si era radunata incuriosita dalla lunga processione di bambini e ragazzi che silenziosamente aveva attraversato il campo. A Shatila i soldati ancora non sono tornati ed anche se continua ad essere un groviglio di vicoli che si snodano attraverso baracche fatiscenti e male odoranti, in un angolo del campo sorge un enorme tendone dove i bambini possono andare a scuola ed all’esterno sventola libera una bandiera azzurra con al centro la scritta “UNICEF”.

TEMPI MODERNI

- Luigi, ti lascio la lista delle cose da fare appesa al frigorifero. Mi raccomando non dimenticare di portare i bambini a scuola!- Urlò la signora Luisa con un piede già fuori della porta di casa al marito che era intento a lavarsi i denti nel bagno di servizio. - Non ti preoccupare, penso a tutto io!- Gli fece eco il marito. Il signor Luigi e la signora Luisa erano una stimata coppia di professionisti. Lei era medico mentre lui un avvocato. Avevano due figli: Luca di otto anno e Lucia di dieci. Tutte le mattine, la signora Luisa lasciava un foglietto appeso al frigorifero dove c’erano annotate tutte le incombenze che il marito avrebbe dovuto assolvere durante la giornata. - Vediamo un po’ cosa mi tocca fare oggi!- Mormorò l’uomo mentre si apprestava a leggere quello che la moglie gli aveva lasciato scritto sul solito biglietto mattutino. - Fare la spesa, comprare un regalino per la collega che partorisce domani. Sarà la terza volta che questa partorisce in due anni, se qualcuno del guinness dei primati se ne accorge la mette sull’edizione del prossimo anno! E, per ultimo, accompagnare i bambini a scuola. Speriamo mi rimanga del tempo per le udienze in tribunale!Una volta letto per benino le istruzioni della moglie, il signor Luigi si assicurò che i bambini fossero vestiti e pronti per uscire. - Dobbiamo fare ancora colazione!- Si lamento Lucia. - Non abbiamo tempo da perdere, faremo colazione al bar!- Tagliò corto suo padre. I tre si avviarono per le scale e si diressero in macchina dove il signor Luigi

scoprì di avere preso una multa per divieto di sosta. - Ma come è possibile! Deve essere quella donna vestita da vigile. Perché quella ha solo la divisa del vigile per il resto gode a mettere multe ai poveri automobilisti vittime dell’assenza cronica di parcheggi in questa città!- Ringhiò l’uomo. - Ma papà, il vigile ha fatto bene a metterti la multa ti sei parcheggiato su un posto riservato ai disabili!- intervenne il figlio. - Ma come riservato ai disabili? Se avevo rimosso il cartello la settimana scorsa!- si sorprese il signor Luigi. - Papà ma che esempio ci dai, te ne vai in giro a rimuovere i cartelli dei divieti di sosta?- lo rimproverò Lucia. - Non tutti, solo questo. Lo faccio ogni volta che non trovo il parcheggio. Vabbè andiamo via altrimenti si fa troppo tardi!- Si rassegnò l’avvocato. I tre giunsero al bar dove di solito il signor Luigi faceva colazione. Mentre il padre e la sorella mangiavano beatamente il loro cornetto, Luca andò in bagno. Terminato di consumare, padre e figlia salirono in macchina e l’uomo si diresse verso il tribunale. Di lì a poco, squillò il telefono. - Sì, pronto!- Fece l’uomo. - Sono Luca!- Disse Luca. - Cosa vuoi!- Chiese il padre. - Sono al bar!- Rispose Luca. - Ma come al bar non dovresti essere a scuola?- Chiese ancora il padre. - Sì, se tu non mi avessi lasciato al bar!- Spiegò Luca. - Oh mamma mia, torno subito a prenderti!- Disse l’uomo raggelato dallo spavento.

- Grazie!- Concluse serafico il bambino. In un baleno, il piccolo Luca venne recuperato . - Mi fate perdere la testa ogni volta!- Lo rimproverò il padre. - Sono solo andato in bagno!- Si giustificò il figlio. - Ma quanta pipì fai, hai un innaffiatoio al posto dei reni!- Sentenziò il signor Luigi. Così, tra una lamentela e l’altra, la macchina si diresse verso il supermercato dove il signor Luigi avrebbe fatto la spesa. - Ma papà, questo è il super mercato non è la nostra scuola!- Si lamento la figlia. - Senti mi sono sbagliato, ormai visto che ci siamo mi aiuterete a fare la spesa. Vorrà dire che oggi entrerete in ritardo!- la rassicurò il padre. Seguendo attentamente le istruzioni della moglie, il signor luigi fece la spesa senza esimersi dal lamentarsi per i rincari che, dal giorno prima c’erano stati. - Ma papà, come è possibile che ogni giorno ti lamenti che i prezzi aumentano. Le cose non possono rincarare dal giorno alla notte!- Gli disse Lucia. - Che ne sai tu, fai forse la spesa tu? Conosci di economia tu? Fai la quinta elementare e falla e sta zitta. Le cose non possono rincarare dall’oggi al domani dice lei. Ma che ne sai tu?- la rimproverò il padre. Il signor Luigi era talmente preso a lamentarsi di tutto che pagò il conto e lasciò la spesa al supermercato. Una pensionata che s’era accorta della dimenticanza ne approfittò per portarsela a casa. - Non faccio nemmeno peccato, tanto si vede che quelli i soldi ce li hanno!Commentò tra sé e sé la vecchietta. Era talmente preso a rifare i conti di ciò che aveva comprato che, invece di andare a scuola, il signor Luigi puntò dritto in tribunale dove stavano per iniziare

le udienze. - Papà, questo è il tribunale!- Disse il figlio. - Porca miseria!- Esclamò l’uomo – Sentite, ormai siamo qui. Io sono anche in ritardo con le udienze. Venite con me assisterete alle cause che devo discutere stamattina. Poi se ci sarà tempi vi accompagnerò altrimenti oggi farete festa!I figli si guardarono con rassegnazione, poi, sconsolati, seguirono il padre lungo i corridoi del tribunale. La prima udienza che aveva il signor Luigi era per una causa di divorzio tra due coniugi molto litigiosi. - In questa udienza dovevano partecipare anche i nostri figli!- Si lamentava un signore piccoletto ma con un grosso vocione verso quella che sembrava essere la moglie. - Me ne sono dimenticata!- rispondeva la donna. - Adesso occorrerà rimandare la causa!- Diceva molto arrabbiato il piccoletto. - Guarda lì c’è il tuo avvocato con due bambini, uguali, uguali ai nostri. Potremmo farceli prestare. In fin dei conti, si tratterebbe solo di recitare per qualche minuto!- Suggerì la donna. Dopo una estenuante trattativa ed un sostanzioso ritocco al suo onorario, il signor Luigi fu convinto ad affittare i figli ai due divorziandi. Purtroppo, nel bel mezzo dell’udienza, il piccolo Luca iniziò a chiamare papà sia il signor Luigi che il signore piccoletto. Nella confusione che ne seguì, il giudice non volle sentir ragioni fece arrestare i due divorziandi ed il signor Luigi, mentre i due bambini furono fatti accompagnare a casa da una volante della polizia. Quando la madre li vide, quasi svenne dalla felicità. Infatti, una volta giunta a scuola per riprenderli si era accorta che i due bambini non erano mai arrivati e di loro si erano perse le tracce già dal mattino.

Inutile dire che la signora Luisa, riavutasi dallo shock iniziale, aveva chiamato tutte le forze dell’ordine per iniziare le ricerche. - Ma che fine a fatto vostro padre?- Chiese ai bambini. I due raccontarono per filo e per segno tutto quello che il signor Luigi aveva combinato anche di quando li aveva affittati ad una coppia di divorziandi. - Ci deve rimanere tutta la vita in carcere quello sciagurato!- Concluse la donna. Nel frattempo il signor Luigi se ne stava chiuso in una cella del carcere sdraiato sul tavolaccio intento a leggere la lista delle cose da fare che gli aveva lasciato la moglie. - Far fare colazione ai bambini, e questo l’ho fatto. Fare la spesa, e questo l’ho fatto. Accompagnare i bambini a scuola, e questo l’ho fatto. Andare in tribunale, e questo l’ho fatto. Bene, mi pare di avere fatto tutto. Ora posso starmene un po’ steso sul letto a riposarmi poi, domattina, quando mi sveglierò troverò un’altra lista appesa al frigorifero con tanti begli incarichi da svolgere. Non c’è che dire sono un uomo modello!- Pensò il signor luigi prima di addormentarsi.

UN LUOGO COMUNE PER I MORTI

Nella mia città, se volete trovare delle persone veramente vive, dovete andare al cimitero. - Al cimitero?- Mi chiederete voi sorpresi. - Già, già. Proprio lì!- Vi risponderei io molto tranquillamente. Dove generalmente riposano parenti e conoscenti, invece, nella mia città è un tutto un fervere di attività. Soprattutto di notte! Nel cimitero di cui vi parlo la notte non è possibile chiudere occhio. Tutti i fantasmi e gli spiriti che lo popolano si danno appuntamento all’imbrunire di fronte alla cappella di un noto signore ed iniziano ognuno a raccontare le avventure della propria vita. Il problema è che tutti parlano ma nessuno ascolta. Immaginate, quindi, la confusione che si genera. Ogni volta, perdo quasi mezz’ora per farli tacere e far sì che parlino uno alla volta. A proposito, in questo cimitero io ci lavoro. Mi occupo un po’ di tutto: dalle piccole riparazioni, alle tumulazioni. I morti mi vogliono molto bene e questo mi rende veramente felice, non è da tutti essere benvoluto dagli spiriti: in genere si divertono a spaventare le persone, ma senza cattiveria sia bene inteso! Mi vogliono talmente bene che quando faccio il turno di notte mi ospitano sempre a dormire in una delle loro bare, sono veramente gentili. Purtroppo, una volta sono rimasto chiuso dentro alla bara di una vecchietta molto simpatica e non riuscivo più ad uscire. Mi sono dovuto sorbire i racconti della donna senza poter dire neanche una parola. Quando si è stancata di raccontare, mi ha detto che era stata lei a

chiudermi dentro perché si annoiava a stare tutto il tempo senza poter parlare con un ospite in carne ed ossa. Inutile dire, che da quella volta non accetto più inviti, per così dire, a casa di nessun defunto. Se gradiscono scambiare due chiacchiere con me, ci vediamo in giro per il cimitero oppure nel mio ufficio. C’è, poi, una credenza da sfatare: nel mondo dei vivi si pensa che da morti ognuno sia uguale all’altro, si pensa che la morte cancelli tutte le differenze fisiche e sociali. Purtroppo, non è così o meglio, sarebbe così se solo i defunti se ne rendessero conto. Per esempio, qui da me c’è un barone che continua a comportarsi da barone; dà ordini a tutti con arroganza anche se nessuno gli dà retta. C’è poi un edicolante che continua a vendere giornali e riviste anche se nessuno le compra. C’è un avvocato che ogni notte fa un’ arringa ma nessuno lo ascolta. Ci sono, poi, dei calciatori che, ognuno per conto proprio, giocano partite immaginarie e quando segnano esultano come se fossero vivi. C’è perfino un povero vecchietto tutto ingobbito a causa dell’età che se ne va in giro a chiedere a tutti di toccargli la schiena per avere qualche colpo di fortuna. In effetti, quando io gliel’ho toccata, o meglio ho tentato perché gli spiriti, come ben sappiamo, non sono fatti di materia, ho azzeccato un terno secco sulla ruota di Napoli: 48 (morto che parla), 57 (il gobbo) e 85 (le anime del purgatorio). Peccato che mi sono dimenticato di giocarlo, altrimenti avrei guadagnato un sacco di soldi! - E dovevate giocarvi anche il 23!- Mi rimproverò il gobbo. - E, perché?- gli chiesi io. - O’ scemo!- Mi rispose il gobbo, prima di allontanarsi imprecando in malo modo. Ora io vorrei rivolgermi alle superiori autorità celesti per chiedere come sia

possibile che anche da morti ci si comporti come se si fosse ancora vivi. Quantomeno, bisognerebbe avvertire chi ha detto la famosa frase: riposino in pace amen, che ha preso una grossa cantonata! Sappiamo bene che morire è alquanto seccante, perché ognuno di noi è affezionato alla sua vita bella o brutta che sia. Mi piacerebbe, raccontandovi del mio cimitero, riuscire a tranquillizzarvi. Vi assicuro che la vita da morti è veramente uno so. Pensate che giorni addietro, durante la consueta riunione per decidere in quale cimitero andare in vacanza per le prossime ferie estive s’è accesa una discussione tra un ex impiegato comunale ed un ex operaio della FIAT. Il primo voleva andare a Torino per vedere la “Sacra Sindone” mentre, il secondo, era molto contrariato – Non ho mai visto quel lenzuolo da vivo, eppure ho vissuto quarant’anni a Torino, figuriamoci adesso che sono morto! Io voglio andare a Rio de Janeiro a ballare la samba! – Esclamò tutto soddisfatto. Inutile dirlo, la proposta dell’ex impiegato comunale è stata bocciata all’unanimità. Purtroppo, anche se a malincuore, non si è potuti andare a Rio de Janeiro perché il biglietto dell’aereo costava troppo ed io, con lo stipendiuccio che prendo, non potevo permettermelo (chiaramente le anime dei defunti usufruiscono gratuitamente del teletrasporto. Che volete farci, questi morti hanno tutte le fortune!). - Bisognerà che ti aumentino lo stipendio. Non è possibile che ogni volta ci accapigliamo per scegliere una destinazione idonea alle nostre meritate vacanze e poi dobbiamo sempre andare al solito posto! – Mi ha rimproverato l’anima di un ex operatore turistico. Così, come ogni anno, siamo andati al cimitero di Ladispoli che non sarà Rio de Janeiro ma ha pur sempre un suo fascino. Comunque, io ho provveduto a fare un’istanza al comune per farmi aumentare lo stipendio. Il prossimo anno ci terrei molto ad andare con i miei amici defunti a ballare la samba a Rio de Janeiro.

Oltre alle vacanze estive, l’altro appuntamento davvero imperdibile è quello relativo alla celebrazione del giorno dei morti, il 2 novembre. Questo giorno, per chi è morto, è più importante del Natale o del giorno del proprio compleanno poiché in questa data tutti si ricordano di loro e anche a chi non c’è più fa piacere essere ricordato, magari con una bella messa. Nel mio cimitero c’è una divertentissima tradizione: i defunti si scambiano degli omaggi floreali e si fanno un sacco di auguri. L’unico inconveniente è che, siccome i morti non possono acquistare i fiori al negozio, come i comuni mortali, li prendono dalle tombe. Immaginate voi che parapiglia accade il mattino seguente, quando i parenti vengono a far visita ai loro cari e non trovano più i fiori al loro posto ma, magari, sulla tomba del vicino. Ogni volta, si scatenano delle liti furiose che devo sedare io a rischio di rimediarci un occhio nero. - Cara signora, lo so benissimo che è stata lei a rubare i miei crisantemi!- Si lamentava una signora con quella che stava pregando sulla tomba vicina. - Ma se a mio marito, pace all’anima sua, i crisantemi neanche da vivo sono mai piaciuti. Figuriamoci se li voleva sulla tomba da morto!-Rispondeva alterata l’altra. Pensate che un anno mi hanno accusato di essere stato io a scambiare i fiori sulle tombe e, per vendicarsi, mi hanno chiuso dentro il mio ufficio a chiave per un giorno intero. Sono stato liberato dal fantasma di un noto scassinatore che ogni notte se ne va in giro ad aprire tutte le serrature che trova nel cimitero, tanto per tenersi in esercizio. È convinto che il giorno del giudizio universale sia vicino! Beato lui che ne è convinto, io di queste cose non me ne intendo molto. Per fortuna che don Carlo, un prete morto da cento anni orsono, due volte a settimana mi fa un po’ di rio del catechismo altrimenti, in fatto di cose religiose, sarei proprio un asino matricolato. - Bene figliolo ripetimi i sette sacramenti!- Mi interroga sempre don Carlo.

- I sei sacramenti erano cinque, di questi quattro me ne ricordo tre: la processione di pasqua ed i regali di natale!- Risposi io una volta. - Se continui così, ti scomunico anche se non sono papa!- Mi disse furioso don Carlo. Vi garantisco che ultimamente le cose sono molto migliorate e don Carlo non si arrabbia più con me. Bene, credo di avervi raccontato abbastanza di questo meraviglioso posto che è il cimitero dove lavoro. Mi raccomando bambini di non averne paura perché, in fin dei conti, si tratta solo di un luogo comune per i morti!

URANIA

Io non ho paura. Io non ho paura delle stelle ed un giorno, vorrei brillare come quelle!

- Il cielo di notte non sarebbe lo stesso se non ci fossero le stelle!Pensava Urania distesa sul prato. - La notte sarebbe troppo nera ed io ne avrei una paura tremenda!- Urania non sopportava il buio, a lei piaceva la luce e qualsiasi tipo di bagliore. Urania paragonava la sua voglia di vivere ad un’esplosione atomica. - Un boato poi un’immensa, potente luce. Vorrei che così fosse la mia vita!Pensava tra sé e sé. Urania era una bambina piccolissima ma con una particolarità: era pesantissima! Urania era talmente pesante che la sua mamma non era mai riuscita a prenderla in braccio. Neanche suo padre, un uomo fortissimo, c’era mai riuscito per quanto si fosse sforzato. Per abbracciarla occorreva inginocchiarsi e stringerla forte, forte. Questo faceva molto piacere ad Urania ma non era la stessa cosa che andarsene a eggio per la città standosene accoccolata tra le braccia della mamma. Da quanto era pesante, un giorno, Urania sprofondò sotto terra e riapparve dalla parte opposta del pianeta. - Toh, la Nuova Zelanda!- Pensò. Non potendo prendere nessun mezzo di

trasporto, perché non ne esistevano di così resistenti da sopportare un peso simile, fu costretta a ritornare a casa a piedi. Pensate ci mise quasi due anni! - Che bel viaggio ho fatto!- Disse al suo arrivo a casa – ho conosciuto un mucchio di nuovi amici che mi hanno aiutato a ritrovare la strada!Nella casa dove viveva con i genitori, Urania aveva una stanza al pian terreno con il pavimento ben rinforzato. Non poteva dormire in un vero letto e neanche su un materasso, lo avrebbe appiattito fino a farlo diventare sottile come un foglio di carta velina. Questo suo piccolo difetto fisico, però, non la disturbava. Urania era una bambina molto felice e tutti le volevano bene. Quando Urania arrivava in un posto, era impossibile non accorgersene in anticipo perché il - THUND, THUND! - che facevano i suoi pesantissimi i la precedeva sempre. - Sai piccola mia – le diceva sempre suo padre – tu sei molto simile ad un metallo che si chiama uranio, anche una piccola pallina ha un peso molto elevato, molto più elevato dei metalli più comuni, come possono essere il piombo ed il ferro!Anche a scuola la bambina aveva qualche piccolo problema: purtroppo non poteva stare seduta ad un banco normale per il motivo che già conosciamo, così la maestra aveva scelto una classe al pian terreno ed il suo banco era senza le zampe, una semplice tavola di legno appoggiata al pavimento. - Mi piacerebbe essere una farfalla per volare leggera di fiore in fiore. Volare deve essere bellissimo. Potersi staccare dal suolo e lasciarsi trasportare dal vento sarebbe una meraviglia. A me piace la mia vita ma essere così pesante non è molto agevole!- Pensava, a volte, Urania prima di addormentarsi. Un giorno, accadde un fatto veramente insolito. In classe di Urania fece il suo ingresso un bambino grasso, grasso. Talmente grasso che per farlo entrare dovettero togliere la porta ed abbattere gran parte della parete. - Quanto è grasso!- Esclamarono tutti i bambini quando lo videro apparire. - Vi presento Elio!- Disse la maestra rivolta alla classe – Forza Elio, togliti il

cappotto ed accomodati vicino ad Urania!Elio fece un mezzo sorriso e, faticosamente, si tolse l’enorme cappotto. Appena se ne fu disfatto, successe una cosa incredibile: Elio iniziò a staccarsi dal pavimento e, se non ci fosse stato il soffitto a fermarlo, si sarebbe ritrovato a girovagare in cielo tra rondini e gabbiani. - Sa volare!- Esclamarono i bambini con lo guardo rivolto al soffitto. La maestra fu costretta a prendere una scala per poter prendere il bambino volante e riportarlo giù. - Non ti preoccupare!- gli disse Urania – ti fisserò per terra con le puntine!- Così prese il grembiule del suo compagno e lo fissò ben bene al pavimento con le puntine da disegno. - Grazie!- Esclamò Elio con gratitudine. Per Elio, conoscere Urania fu una fortuna insperata. Nelle belle giornate di primavera non era più costretto a mettersi dei pesi nelle tasche per evitare di volare in alto, trascinandosi dietro tutti quelli che tentavano di trattenerlo, bastava legarsi una cordicella al polso per poter svolazzare tranquillamente in cielo. Tanto all’altro capo c’era l’enorme peso di Urania a non farlo scappare via. Erano veramente una coppia perfetta: una bambina piccolissima ma pesantissima ed un bambino grassissimo e leggerissimo proprio come il famoso gas. L’elio per l’appunto. - Se tu vorresti essere una farfalla, a me piacerebbe essere un elefante. Anche essere leggero ha i suoi svantaggi. A scuola, se tu non mi avessi attaccato al pavimento con le puntine, sarei stato costretto a seguire le lezioni dal soffitto!Diceva Elio alla sua amica quando lei gli parlava dei suoi sogni. - Chissà se crescendo cambieremo?- Gli chiese un giorno Urania. - Vuoi dire un po’ meno pesante tu e un po’ meno leggero io?- Chiese a sua volte Elio. - Proprio quello che intendevo!- disse la bambina.

- Io non credo che potremmo diventare come gli altri, siamo nati così. Un puledro non può trasformarsi in tacchino. Quando cresce diventa un cavallo bello grande!- Spiegò Elio. - Sì ma un bruco si trasforma in farfalla! Questo come te lo spieghi?- Lo incalzò Urania. - Sinceramente non me lo spiego. Potresti aver ragione tu. Lo scopriremo solo crescendo!- Sorrise il bambino. Personalmente non so se diventando grandi Urania ed Elio cambiarono. Se lei diventò una donna bella e intelligente e lui uomo simpatico e divertente. A me piace immaginarli così come li ho raccontati: lei piccolissima e pesantissima mentre lui grasso e leggero come l’aria!

Io non ho paura di volare tra le stelle, e tenendoci per mano, brilleremo come quelle!

ZIA CATERINA

Se ne andò via senza inventare una bugia e neppure una mezza verità! Chissà dove sarà?

Sono cinque anni che la zia Caterina se ne è andata. Senza dire una parola, un giorno, ha fatto le valige e si è volatilizzata. Senza di lei la mia famiglia ha perso tutti i suoi pezzi. Dapprima ho iniziato a non avere più rapporti con i miei cugini, poi con i miei fratelli ci siamo persi un po’ di vista, se si esclude qualche telefonata in occasioni imprescindibili come i compleanni e le feste comandate. I miei genitori, piuttosto avanti con l’età, improvvisamente, sono diventati un peso e abbiamo deciso di metterli in una casa di riposo per anziani. Chissà se sono felici? È tanto che non li vedo. Per quanto mi riguarda, tra tutti i parenti, sono quello che ancora oggi, si chiede il perché di questa scomparsa. Una cosa è certa: era la zia Caterina che teneva unita la famiglia, era come la colla e quando ha smesso di funzionare ogni frammento si è staccato dall’altro e tutto è andato a rotoli. Sono state queste riflessioni che mi hanno spinto ad arrivare fin qui, davanti al ricovero dei miei genitori. Ho bussato al grande cancello di ferro ed un’infermiera mi è venuta ad aprire. - Sono venuto a trovare i miei genitori. È molto tempo che non li vedo ma sa ho avuto da fare, io non vivo da queste parti!- Le ho detto.

Lei mi ha guardato con un espressione come per dire – Non mi interessa perché all’improvviso il senso di colpa ti ha spinto fin qui!- e mi ha condotto nella stanza di mio padre e mia madre. Quando sono entrato, mi hanno sorriso entrambi, non mi hanno rimproverato per la mia lunga assenza, mi hanno abbracciato e baciato. Mi hanno chiesto della mia vita, come stava mia moglie, mi hanno chiesto di mostrargli le foto dei miei figli. Mi hanno tenuto a parlare come non ero più abituato a fare, ossia con quell’allegria e quella leggerezza che solo la zia Caterina sapeva tirar fuori da me. Ad un tratto, mia madre mi ha guardato negli occhi – Se zia Caterina non fosse andata via, io e tuo padre staremmo ancora nella nostra casa!- mi ha detto. Forse mia madre aveva ragione, se tutto fosse rimasto com’era ora non starei qui cercando di farmi perdonare la mia completa assenza, schiacciato da un’insopportabile senso di colpa. E così, quasi senza accorgercene, abbiamo iniziato a parlare dell’unico argomento che avevamo in comune: zia Caterina. Ricordammo di quando ero piccolo e la zia mi teneva in braccio facendomi le coccole. Io ridevo spensierato e lei mi diceva – Giochiamo alla risarella!Una cosa che piaceva molto a mia zia era travestirsi. Non c’era bisogno che fosse carnevale, lei si camuffava nei modi più svariati. Ricordo che una volta indossò un meraviglioso costume da pirata. Aveva messo perfino un uncino al posto della mano sinistra e due enormi baffoni neri. Si aggirava per tutta casa urlando come un’ossessa – Pendagli da forca, fatevi avanti se avete coraggio!- E, man mano che incontrava uno di noi bambini in giro per casa gli regalava una caramella. Le caramelle di zia Caterina erano buonissime. Non ho mai saputo dove se le procurasse. - Le faceva lei!- Mi rivelò mia madre.

Zia Caterina viveva in una casa in riva al mare. Che poi è la casa dove vivo con la mia famiglia. Io sono il più piccolo tra i miei fratelli ed i miei cugini e quando mi sono sposato sono stati tutti d’accordo affinché abitassi nella casa di nostra zia, almeno fino al suo ritorno, semmai ci fosse stato. Il salone della casa, ai miei occhi di bambino, sembrava un campo da calcio, tanto era immenso. C’era un vetrata che affacciava direttamente sulla spiaggia. Io, i miei fratelli e i miei cugini avamo l’estate a costruire giganteschi castelli di sabbia. Facevamo delle vere e proprie gare a chi costruiva il castello più bello. Al termine, la zia offriva una fetta di torta a tutti quanti e a chi aveva costruito il castello più bello, metteva al collo una medaglia di pasta di sale. Il vincitore, a cena, aveva anche diritto a mettersi seduto a capotavola ed era il primo ad essere servito. Il giorno seguente avremmo potuto sfidarci di nuovo, così, a turno, tutti eravamo vincitori perché la zia era l’unico giudice che decideva quale fosse il lavoro più bello. C’era anche un’altra tradizione estiva che a noi nipoti piaceva particolarmente: il sabato sera, la zia ci portava in un ristorantino del centro storico a mangiare la zuppa di pesce e bere vino, senza il permesso dei nostri genitori. Una volta, ricordo di essermi un po’ ubriacato, tanto che, dopo cena, mi sono tuffato nella fontana che stava fuori del ristorante. Per fortuna, durante le vacanze estive, dormivamo tutti a casa della zia, così i miei genitori non hanno saputo mai nulla. - Abbiamo saputo, abbiamo saputo. Non ti preoccupare. La zia ci teneva al corrente di tutte le vostre bravate!- Mi interrupe mia madre, sorridendo di nostalgia. La casa della zia era un posto misterioso. Sembrava il museo delle cose inutili. C’era di tutto: enormi statue d’ebano, delle sfere di cristallo che scomponevano la luce nei colori dell’arcobaleno, rettili imbalsamati, tappeti ricamati a mano. Ma la cosa più strabiliante era l’enorme pappagallo che se ne stava tutto il giorno appollaiato sul suo trespolo, di fronte alla grande vetrata della sala. Ogni tanto svolazzava fino alla spiaggia facendo scappare via i gabbiani e se gli stavi

antipatico diceva impertinente – Brutto scemo, pussa via!- Sono i ricordi dei viaggi che ho fatto in giro per il mondo!- Ci diceva la zia Caterina. Noi bambini rimanevamo incantati ad ascoltare i racconti della zia. La sera, dopo aver cenato, ci mettevamo sulla spiaggia, seduti intorno ad un fuoco che accendevamo con la legna che la marea depositava sul bagnasciuga. A ripensarci oggi, le storie che la zia ci raccontava erano veramente assurde. Una volta ci disse che aveva soccorso un elefante a cui era rimasta incastrata una scimmia tra le zanne. Uno dei suoi racconti preferiti riguardava un viaggio che aveva fatto in Nepal alla ricerca della fonte dell’eterna giovinezza. quando giunsero alla fonte, uno dei suoi accompagnatori, dalla contentezza, ci si tuffò dentro e bevve talmente tanta acqua che si trasformò in un neonato. Una cicogna che ava di lì se lo portò via e, da quel momento, nessuno ne seppe più nulla. - Tua zia era una persona veramente speciale. Non ti immagini neanche quanto vorrei che oggi fosse qui con me!- Mi disse mia madre, interrompendo i miei racconti. - Ma dove potrà essere andata?- Le chiesi. - Non ne ho la più pallida idea!- Mi rispose rattristata. Ricordammo ancora uno dei fatti della vita di zia Caterina che ancora oggi, a distanza di anni, desta grande scalpore: il mancato matrimonio con un ricco imprenditore del nord Italia. Tutti stavamo in chiesa ad aspettare la sposa ed invece arrivò il pappagallo della zia dicendo:- Brutto scemo pussa via, brutto scemo pussa via!- Lo sposo si arrabbiò così tanto che in quattro dovettero togliergli il variopinto uccello dalle mani, altrimenti gli avrebbe tirato il collo come ad una gallina. - Non mi andava più!- Spiegò candidamente la zia quando gli chiedemmo il perché di quel ripensamento. Da quella volta, non mi pare ci siano stati altri fidanzati o pretendenti alla sua

mano. Il ricordo che ho vivo nella mia mente è quello di una donna sempre sorridente, dedita ai suoi nipoti come se fosse stata una seconda mamma. La giornata volgeva, ormai, al termine, ma io non volevo lasciare di nuovo i miei genitori lì da soli, seppur in un’ottima casa di riposo. Dopotutto, la casa della zia era talmente grande che avrebbe potuto ospitare decine di persone. La presenza di due ospiti non avrebbe turbato nessuno. Avrei potuto prendere una badante che fosse in grado di fare il pollo al forno con le patate perché ai miei genitori piaceva molto. Da piccolo ne ho mangiato talmente tanto che quasi mi spuntavano le ali. - Preparate le valigie, venite via con me!- Dissi perentorio ai miei genitori. - Sono pronte, sono sempre state pronte. Speravamo che prima o poi qualcuno di voi si sarebbe fatto vivo per riportarci a casa!- Rispose mio padre. - Con tutto il tempo che avete ato insieme a vostra zia, non era possibile che non vi avesse trasmesso un po’ della sua umanità!- Continuò mia madre. Così siamo tornati a casa tutti insieme. Tutti in famiglia sono stati contenti. - Tua zia avrebbe fatto lo stesso!- Mi ha detto mia moglie. Da quel momento, qualcosa è cambiato nelle nostre vite. La famiglia è tornata ad essere unita come lo era ai tempi della zia che ancora non è tornata ma tutti siamo convinti che prima o poi busserà alla nostra porta travestita da pirata con in mano un cestino pieno delle sua deliziose caramelle.

INDICE

Il museo delle cose inutili Zio Giovanni Il poeta e la guerra Berenice Crisi di coppia Carnevale Da grandi Dedicata a te Domani adesso Il riordinatore di cose Il ritorno Enrico il lombrico La nonna Rachele ed il gatto Michele I bambini del mondo Il desiderio Il dirigibile Il signor aspetta aspetta I tre porcellini

Il re e la regina I cavallini bianchi Il nonno immaginario L’indovinello Il mangiatore di arcobaleni L’inventore Il Signorno L’invidia Lo spazzacamino Il regalo Lontano nel mondo La matematica Mary Poppins La nevicata del 2012 La pace Il cielo Il vigile urbano The teacher La maestra perfetta La sera dei miracoli La solidarietà

L’anno che verrà La mia casa La pensione Mi ricordo di un ricordo La ballata del giovane studente La creazione del bambino Miomao Pigotte e punture Piove La famiglia La fata Smemorina Il regalo di Natale Alla ricerca della felicità Il treno a vapore Il cuore di Ottone Il Golaspino ballerino Il Natale di Caterina Il signor “T” e l’invenzione del Natale La fatina dei denti davanti La gara olimpica La scoperta dell’America (o giù di lì)

La storia di Calpurnio Malatesta La vacanza totale L’agenda misteriosa Due nani L’astronave Sgnunff! Shatila Tempi moderni Un luogo comune per i morti Urania Zia Caterina

Il museo delle cose inutili - Alessandro Tassi

Realizzato nel mese di febbraio 2013 da www.stampalibri.it - Boon on demand - Macerata

Versione digitale realizzata da: Eugenio De Angelis nel mese di marzo 2013