Alessandro Sciacca
LA FABBRICA DEL TEMPO
Youcanprint Self – Publishing
Titolo | La fabbrica del tempo Autore | Alessandro Sciacca ISBN | 9788891175977 Prima edizione digitale: 2014 © Tutti i diritti riservati all’Autore Youcanprint Self-Publishing Via Roma 73 - 73039 Tricase (LE)
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Prefazione
Comincio a sentire essere arrivato il momento di porre ordine nelle cose che mi circondano.
Io vivo ormai da circa mezzo secolo in mezzo a malati, e malattie che questi malati hanno trasformato, da sani che erano a soggetti completamente “altri”. Da studente in Medicina mi ero interessato da subito a darmi una spiegazione della Malattia in genere e del Cancro in particolare. Cosa molto complessa. Impossibile umanamente a venirne a capo. Possiamo solo farcene una idea, sia fisica che metafisica. E solo un’idea! Il resto appartiene all’Universo e ai suoi arcani misteri.
Vi racconto quello che mi successe circa 5 anni fa, in modo che anche Voi possiate prenderne conoscenza, e forse farne buon uso, per esempio nel poterla confrontare con la Vostra esperienza.
Per poter intraprendere il nostro percorso insieme, dobbiamo avere anche un linguaggio di “ insieme” ed evitare incomprensioni, malintesi e dispersioni. Dobbiamo dare per scontato che Voi ed io siamo univoci in alcuni concetti espressi nella presente trattazione, e che da parte mia delineo in calce.
Il tutto avviene in una sera di Autunno, a fine lavoro. Sento improvvisamente una trasformazione interna come se qualcosa mi avesse “fatto acidità” ed un calore dietro allo sterno quasi pungente. Senza avvertire alcunché di laciniante. Si è sempre detto che se mangi pesante, poi fai brutti sogni. Ma io non avevo mangiato nulla, e l’ultimo caffè era del mattino. Ero sveglio, e rimuginavo semplicemente, così come faccio spesso, nei miei attimi di intimità con me
stesso. Il più delle volte lo faccio sotto la doccia, ad occhi chiusi, e a contatto con l’acqua fluente. Attimi questi in cui riesco a fare il punto della situazione del momento, o della giornata a venire, ed inquadrare una strategia di azione. Qui però era tutto all’asciutto! E cosa curiosa ma più bella, si sviluppa in me una chiarezza di pensiero unica, che non avevo mai avvertito prima. Il tutto mi è apparso in una frazione infinitesimale di tempo e di spazio, più lucido, splendente, e semplicemente più chiaro. Da chirurgo avrei potuto già pensare ad una acidità, la cosa più immediata e più semplice. Ma avrei anche potuto andare a sbirciare verso il cuore, oppure ancora girare intorno alle costole, o infine rimuginare un “segnale” a mò di avvertimento, anche nello stomaco stesso. Cosa che però escludevo già in partenza. Io stavo bene, e ancora oggi a distanza di tempo, nulla ha fatto capolino.
In quegli istanti ho rivisto come in una pellicola veloce, molto veloce, tutte le mie cose vissute, sia quelle che mi avvinghiavano involontariamente nell’immediato perchè a caso le incontravo. Sia infine quelle che sviluppavo io personalmente “mia sponte” in rispetto ed al cospetto del mio stesso essere, proteso alla apoteosica manifestazione dell’essere me stesso.
Non ero in uno stato cosiddetto di trans, né tanto meno in uno stato allucinatorio. Né avevo bevuto. Sono astemio! Vivevo semplicemente una trasformazione impercettibile del mio essere io. Da quel momento qualcosa in me era diversa, era più avanti. Aveva conquistato senza il mio intervento un gradino in più nella conoscenza delle cose.
A dir il vero, cosa simile, ma non con la stessa intensità di ora, e con le stesse modalità modalità però, mi era accaduta almeno 15 anni prima ai tempi di “Mjadonna”. All’epoca il concetto fondamentale che mi era apparso era dato dalla “scoperta” del reale. Per i Madonnjani il concetto è conociuto. Per gli altri, Li invito ad andarlo a leggere.
Mi sono prefisso di rispondere a Voi e a me stesso in questa circostanza circa il
nesso che correla questo mal di pancia con”una mia definita fabbrica del tempo” e la relazione che con questa possiamo intravvedere nell’immaginarci una spiegazione dell’origine della malattia. Darwin parlò di una “Origine della specie” tentando di spiegare anche l’Origine dell’Uomo. Tutti però lo interpretarono a mio vedere, in modo errato, attribuendogli un concetto che credo lui stesso non volesse esprimere. E che cioè in natura avviene una selezione spontanea delle speci, senza creazione delle singole. Fondamentalmente Darwin non aveva completato l’Opera, per paura che fosse frainteso dalla Chiesa, ma soprattutto perché non ne ebbe il tempo e lo spazio, essendosi ammalato. Per cui ciò che ci perviene rimane in un ampio respiro interpretativo, falso. Dobbiamo intanto far nostro un primo concetto tra i due momenti che avvengono in quella sera, in me. Per cominciare a renderci conto di come la mente umana elucubra alla ricerca continua di una soddisfacente spiegazione delle cose, Vi invito di nuovo vivamente ad andare a leggere con molta oculatezza i concetti a piè testo.
In quel nostro mal di pancia consideriamo il fatto in sè come compreso in un momento temporale inteso come “tempo” che scorre, nell’attimo in cui avviene un fatto, quel “mal di pancia”, e l’”azione” stessa nel suo contesto spaziotemporale, il mal di pancia in sé, nel suo divenire, e nel quale “io” ero collocato da attore principale a manifestarmi, cioè ad essere lì, e a riconoscermi come facente parte non solo dell’attimo stesso, il mal di pancia, ma anche e soprattutto come facente parte del “tutto”, come facente parte cioè di quel preciso contesto spazio-temporale, e solo di quello.
Allora, ricapitoliamo: siamo davanti ad un tempo che scorre in uno spazio, entrambi inseparabili, in continua evoluzione ed espansione tra di loro. Nell’ambito di questo divenire carpiamo un “attimo” di una sera di autunno, e ne descriviamo i singoli fatti. . in cui spazio e tempo di un singolo fatto impressionano la pellicola di registrazione in un mal di pancia. Il mal di pancia interessa un soggetto, io. Io che avverto la trasformazione in me, in un preciso tempo, ed in un preciso spazio. Mentre il tutto diviene, indipendentemente.
Stiamo quindi inquadrando un fatto, il mio, come essere creato, in un determinato istante, in un determinato tempo, nell’ambito di un altro fatto, enorme, l’Universo, che si sviluppa, me compreso. Fatto, in un contesto spaziotemporale “unico”, personale, e non isolato. Perché facente parte di un tutto e con il quale è connesso, inseparabilmente. Nel frattempo che “io” ho il mal di pancia, altri 7 miliardi di “io” hanno altri mal di pancia o simili avvenimenti. Quindi fatti indipendenti, separati l’uno dall’altro, ma compresi in un tutto, l’Universo in continua espansione e trasformazione.
Considerate per un attimo il cielo stellato in una sera di agosto, sereno, brillante! Sguardo fisso tra la luna e la polare. State guardando quel punto, e state vedendo uno sfondo bluastro, tantissime lucine chi più chi meno splendenti, ed una luce più intensa data dalla polare, tra di esse. Mentre guardate state immagazzinando immagine su immagine, attimo su attimo, le varie sequenze del vostro film, come se i vostri occhi fossero la cinepresa, ma nello stesso tempo anche il monitor. Praticamente gli occhi vi servono da mezzo di ricezione e mezzo di trasmissione, e soprattutto come mezzo di visione. Cosa stiamo dicendo? ,
Ecco allora essere arrivato il “momento spazio temporale” di comprendere il nesso tra tutti questi attori, ed in particolare capire il nesso con l’Origine della malattia. Perché ci assilla la malattia, e soprattutto come ci siamo creati il concetto di malattia? Perché lo sguardo al cielo non ci dà il senso della malattia. Ci dà il senso della dinamicità delle cose, invece, e lo sguardo sull’umanità ci affligge per malattia intrinseca, imperterrita. Virus, batteri, agenti chimici fisici e meccanici, cancro, ne sarebbero responsabili. Sono agenti innaturali, diavoli, e quindi facenti parte del tutto, e quindi ce li dobbiamo tenere come da San sco? Oppure sono agenti nemici, sviluppatisi per trasformazione, da combattere e debellare, a priori, come compito umano?
Malattia ha come origine semantica il “male”. Il far male, che fa male, è un male. La malattia dà un dolore. È un dolore, a manifestazione di una malattia. Quindi il male come sofferenza e malattia come fonte di male, fonte come mezzo,
come tramite di pena, come pena da scontare. Ecco il dolore. Ecco la malattia. La spiegazione però è ancora acerba. Dobbiamo proseguire nel nostro cammino, ancor prima che la stessa non precipiti nella complessità interpretativa del Darwin!
La finestra del mondo
Che la malattia appartenga al Creato nessuno ad oggi si metterebbe a metterlo in discussione. Ma percepirne l’Origine, cioè il perché e non il “come”, è compito del nostro obiettivo. Il “come” lo lasciamo agli scienziati.
Io che con la Malattia ci lavoro dentro e ci vivo praticamente da quando ho cominciato a percepire le cose del mondo, e sicuramente già dal concepimento ve ne stavo dentro, spero di poterVelo trasmettere questo nesso, con la chiarezza umile della spontaneità linguistica. Ancora in fasce mi si diceva “sarai un chirurgo”, e probabilmente queste voci mi si sono formate in testa come obiettivo indelebile. Io lo sono diventato “chirurgo”, e non semplice, ma “endocrino”. Sono diventato cioè un Endocrinochirurgo. Il concetto e l’abito del “medice cura te ipsum” associato al “chiros” ha scatenato in me un altro concetto fondamentale, come risultante dei primi due, e cioè il “gnòti sé autòn”, fondamentale adesso per arrivare alla delucidazione di quel nesso da cui siamo partiti tra Creato ed Origine della Malattia.
Dobbiamo accettare per prima cosa che tutto nel mondo “si esprime dinanzi al Creato”, come trasformazione visiva, o a volte solo percettiva. Come quelle stelle del bluastro cielo di agosto!
Prendi per esempio lo sbocciare di un fiore. Ti piazzi lì se hai tempo, o metti una cinepresa continua, e poi ti osservi se vuoi anche in velocità, le varie fasi in
movimento di questa meravigliosa sinfonia silenziosa! Tu non fai nulla, stai ammirando, stai osservando, stai rubando qualche dettaglio di un procedimento senza possibilità di spiegazione. E si, perchè tu puoi dargli tutti i processi chimici possibili, tutte le sfumature e le fasi della fotosintesi, tutte le “magie razionali” della chimica. biochimica. botanica. etc. etc. etc. ma...non troverai nessuna connessione logica. Tutto quello che possiamo dire è che dai fenomeni osservati visivi, sia in natura che in laboratorio, o attraverso l'intermediazione di una telecamera, di una lente o di altro mezzo interposto, possiamo notare una evoluzione dinamica progressiva di un fenomeno naturale, che si porta avanti, autonomamente. Questo e’ tutto quello che possiamo dire dello sbocciare di un fiore. Noi cosa c’abbiamo messo? Cosa abbiamo fatto materialmente in questo procedimento? abbiamo svolto il ruolo di spettatore inattivo.
Ma non ivo. E lo vedremo dopo, il come ed il perché. Noi siamo stati lì a guardare svilupparsi un fenomeno senza potervi interferire. Ma..ne abbiamo influenzato l’azione con la nostra semplice “guardata”. Non abbiamo subito il fatto, ma lo abbiamo conosciuto e riconosciuto, da inattivi. E non eravamo ivi. No, assolutamente. Eravamo semplicemente inattivi. Cioè eravamo lì, registravamo il fatto nei suoi movimenti, “guardando”. Il guardare adesso non è un fatto “ivo”. Guardare implica un’azione in movimento statico. In movimento perché ha una cinetica di registrazione dei singoli movimenti. E statico perché non muove nulla e non partecipa all’azione di quel fatto stesso. Ma se ne lascia impressionare.
Tutto questo avviene vuoi che assista lo spettatore, l'uomo, e quindi in un certo senso sotto impressione, vuoi che il tutto avvenga senza di lui, cioè senza impressione. Cioè senza l’ uomo. Cioè, con o senza il suo guardare, assistere o partecipare. Ciò che si trasforma in quel preciso momento, si sta trasformando secondo un semplice spontaneo coordinato movimento, a fine. Cioè con un progetto predefinito, con un programma determinato, con un meccanismo, il più delle volte ancora allo spettatore ignoto, o incomprensibile.
Proviamo per un attimo, come si diceva una volta, e sarebbe meglio
ricominciare a prenderne l'abitudine a farlo, a metterci alla finestra.
Cosa succede? Ci poniamo da spettatori non partecipi, dinanzi alla strada, dall'alto, o all'orizzonte, in lontananza, e guardiamo, prima, cominciamo ad osservare poi. Tutto questo naturalmente sta accadendo senza che noi poniamo un dito nell'azione, senza che noi partecipiamo alla trasformazione naturale, che ci stiamo accingendo a scorgere.
Cosa notiamo?
Così, come quando ci poniamo dinanzi ad un fiore in fase di risveglio, al mattino o a sera dinanzi ad una carnivora, direttamente o attraverso una telecamera, e cominciamo a vedere i movimenti lenti ma imperterriti che portano a quelle trasformazioni naturali di cui parlavamo prima, fino al fiorire per esempio, o fino alla cattura e all'ingurgito della preda quotidiana, allo stesso modo possiamo lasciarci impressionare alla finestra se e quando ci pare. E più ci affacciamo, a quella finestra, più ci avviciniamo ai meccanismi oscuri delle trasformazioni.
A questa fase, dobbiamo dire che a nostro avviso, dovremmo più porci verso il "quando ci pare" alla finestra, che più che verso il "se ci pare" affacciarci alla finestra.
E cioè, dovremmo metterci alla finestra tutte le volte che arriva l'atto, e non se ci pare pur essendo arrivato di già il fatto! Cioè ancora, praticamente il porci alla finestra ci fa accorgere di quella trasformazione, il fatto, e la osserviamo. Osserviamo cioe’ il fatto.
Ma abbiamo perso l'attimo in cui il fatto era stato oggetto di un atto, il “suo” atto. Cioè abbiamo perso il momento in cui quel fatto si configurava nella sua dinamicità iniziale, nel momento in cui veniva concepito, ancor prima di essere progettato. Ancor prima di divenire in fatto.
Solo nel momento in cui ci viene sotto gli occhi, ci a dinanzi il fatto, siamo in grado di dire che quel fatto è la trasformazione di un atto, ma pur troppo non abbiamo conosciuto l'atto in se’ che quel fatto ha determinato. Veniamo a conoscenza del fatto in sé, ma non dell’atto da cui e per cui quel fatto si sta compiendo. E questo solo perché nel momento del fatto, noi non eravamo alla finestra. Eravamo non affacciati. Eravamo in un altro spettacolo, dove invece e forse eravamo spettatori alla finestra. Non certamente però e non necessariamente. Abbiamo detto sopra che il tutto avviene anche senza di noi. Per cui, nel momento che un atto si verifica, non necessariamente ci impressiona. Esso ci impressionerà solo nell’attimo in cui siamo anche spettatori, solo nel momento in cui ci siamo affacciati alla finestra e ci siamo messi a guardare.
Può anche succedere che siamo spettatori inattivi, in fatti non altrimenti guardati nell’atto del loro concepimento. In quel caso saremmo spettatori “ivi”. Ma talmente ivi, che oltre a non esserne attivi, e non partecipi minimante dell’azione stessa, non siamo in grado di renderci conto che il fatto ci riguarda e ci tocca, e non ci influenza a tal punto che non lo guardiamo come nostro. Qui entra in gioco un altro meccanismo cognitivo ancora più complesso. Perché non dobbiamo dimenticare che il tutto avviene anche senza di noi. Ma, in quel caso, “noi” siamo anche partecipi. Quindi dovremmo essere anche attivi. Purtroppo non lo siamo. E per il fatto che ne siamo inattivi, anzi ivi, ne subiamo non solo l’azione ma anche gli effetti, e le conseguenze, in questi casi “disastrose”.
Questa inattività iva darà origine alla malattia.
E’ per questo motivo, che siamo infelici. L’essere, il divenire, o lo stesso stato infelice, si determina nel momento stesso in cui non riconosciamo in quel fatto la determinazione di un atto incipiente, del motore e della forza che poi determinerà quel fatto, o lo ha già determinato. Siamo infelici praticamente perché non siamo venuti a capo della spiegazione del fatto, proprio perché non siamo arrivati in tempo, anzi siamo arrivati tardi alla visione del fatto. Siamo arrivati a vedere il fatto, ma solo nella sua manifestazione, non nella sua creazione. Se fossimo arrivati un attimo prima avremmo avuto il piacere di conoscere l’atto e così poter riconoscere il fatto come risultato di quel suo stesso atto. Questo raffinatissimo momento è purtroppo insostituibile. Tanto che non avendolo conosciuto e riconosciuto come origine del fatto, ci tormenta e ci pone in uno stato di sofferenza . da qui la infelicità. Ma anche la sofferenza fisica, e qui intesa come “malattia”.
Il fatto come espressione dell’Atto.
Quindi la progressione da atto a fatto, conosciuta e riconosciuta, è il processo naturale. Naturale anche nel senso che avviene comunque. A prescindere dall’uomo. Che l’uomo la conosca o meno, che l’uomo la viva o meno, questa sequenza, all’Universo interessa poco. Anzi nulla. Lui, l’Universo va avanti lo stesso. E’ però all’uomo e nell’uomo che produce un disagio fisico e mentale, quindi trascendentale, che porta alla infelicita’ ed alla malattia. Perchè trascendentale? Trascendentale è tutto ciò che ci permette di conoscere e riconoscere il fisico nel suo metafisico. Il metafisico appartiene al fisico, a spiegazione del fisico, ma soprattutto a determinazione di esso, come manifestazione di se stesso. Il riconoscere adesso che il fisico è la manifestazione del suo metafisico appartiene al meccanismo di “conoscenza” intuitiva di Mjadonna. Senza l’intuizione non avviene la conoscenza. E senza la conoscenza il fatto rimane fatto, cioè privo del riconoscimento del suo atto da parte dello spettatore. Il fatto come tale, non riconosciuto, appartiene all’Universo, e naturalmente al Creato. Ma rimane oscuro, non conosciuto.
E mi spiego meglio con un esempio banale. L’informazione del singolo fatto, per
televisione o per carta stampata, oppure online, rappresenta un fatto, ma non ci dà l’idea dell’atto. Anche quando quel fatto lo riviviamo attraverso le immagini di quel fatto stesso. La spiegazione ad atto di quel fatto non è data dalla cinetica del fatto in sé. Non è la visione di un’azione che mi dà la conoscenza di quel fatto. Tanti, milioni di fatti accadono attimo per attimo nell’Universo. Ciascuno però non viene alla nostra conoscenza. Nemmeno quando di questo ne “vediamo le immagini”. Dovremmo essere lì, alla finestra nel preciso attimo in cui quel fatto si materializza. Non lo siamo. E quindi della conoscenza di quel fatto abbiamo solo una informazione. Ma non la conoscenza in sé..
Noi ci dobbiamo porre alla finestra ogni qualvolta l'atto si muove. Non quando si è mosso. Praticamente, L'atto è il momento prima in cui sta avvenendo il fatto, qualunque esso sia. Teorico, o pratico. L'atto è l'azione creatrice di un fatto, nella sua primaria trasformazione da atto puro, inerte, ad atto impuro, dinamico, cioe’ a fatto.
Adesso, arrivare a conoscere l'atto da un fatto, e’ cosa analitica a posteriori a volte elucubrativa, deludente, e il piu’ delle volte inconcludente. Il singolo atto dei singoli fatti, tutti, intesi come il tutto espressione dell’Universo, non ci è dato conoscere, né vivere, né osservare, né tanto meno influenzare attivamente. L’Universo si muove nelle sue varie manifestazioni anche senza di noi. Anche senza il nostro contributo, anche senza la nostra azione. Il complesso di atti e fatti appartenenti al tempo dell’Universo, costituisce l’Universo stesso. La singola azione appartiene al singolo, come unità singola, indipendente nell’azione propria, ma non nella dinamica totale del suo habitat. Pur facentene parte.
Il fine nostro con questo scritto deve essere quello di imparare a “riconoscere l’Atto in quel fatto, ancor prima che esso si realizzi come tale. Badiamo bene, stiamo parlando dell’Atto di quel fatto. Non l’Atto dell’Universo. L’Universo come tale lo abbiamo percepito e dato per esistente, in dinamicità, in movimento. Costituito del creato. Questo, il creato, esiste, di per sé. Indipendentemente da noi. Così come io esisto indipendentemente dall’altro, sia
che viva, sia che sia morto. Sia che si muova, sia che sia fermo e non partecipa all’azione, mia e o dell’Universo. Io, il singolo, ho un dinamismo mio, cioè un mio fatto da un atto, indipendente ed indipendentemente dall’Universo in toto. Perché io possa allora conoscere e riconoscere l’atto del mio fatto, devo esserne capace. Questo adesso diventa l’essere singolare in “Barth”, oppure in forma piu’ trascendentale, l’essere unico in Zaratustra.
Se ci confrontiamo giorno dopo giorno con l’essere nel suo Atto, possiamo vivere nel segreto della felicità! Vedi allora Barth, vedi allora Zaratustra!
Tutto questo pero’, se per felicità si intende uno stato di equilibrio dinamico nell'essere appagato: una carica tesa tra il tentativo di raggiungere e la consapevolezza di non aver ancora raggiunto quella verità nuda e cruda che a nostra immagine ci sfugge tra le mani quotidianamente e che ci assilla, e ci rende tristi, ci drammatizza, ci determina, ci condiziona fin dal paradiso terrestre, dal quel morso della mela dell'albero del bene e del male.
La felicità
Se avessimo ascoltato la Voce, e non avessimo dato il primo morso a quella mela, oggi l'uomo non avrebbe necessità di conoscere e riconoscere l’Atto. Non avrebbe necessità di agognare la Verità. E naturalmente non sarebbe infelice. Non avrebbe necessità di chiedersi della Malattia!
La verità era insita in Adamo. Ma la disubbidienza di Adamo attraverso Eva, ci costringe su questa terra ad agognare la Verità, cercandola peregrinando su questa terra di aggio, dove non la troveremo mai realmente. Essa appartiene ad un altro mondo lontano dagli occhi degli umani. Allora, qualcuno ci chiede: dobbiamo attendere ivamente la fine del aggio? e aspettare
che la Verità faccia capolino? Troppo comodo, e troppo semplice, quasi apatico, inconcludente, superficiale, etc. etc. etc. etc. con tutte le cose e le espressioni che in questi milioni di anni la mente umana ha potuto strumentare per indicare una cosa che non ha soddisfacimento, e che non appartiene all'uomo oggetto o soggetto di quella Verità. Tutto ruota intorno a lui, a sua insaputa, con o senza il suo contributo, tale da determinarlo e configurarlo in quella essenza che gli è propria al centro dell'Universo.
Bene. Allora?
Per prima cosa diciamo che a queste osservazioni tutti arrivano e tutti gli uomini piccoli o grandi, di cultura o ignoranti, pratici o teorici, si sono affacciati, e in un certo modo hanno dato una risposta, per poter continuare ad esistere al sorgere del sole fino al tramonto, quando le tenebre sorprendono quasi tutti, in una ingognita senza luce.
Analizziamo alcuni fatti.
Il Paziente ed il Medico
Quando sono nato io esistevano nel Paese solo 3 medici. Quando mi sono laureato ne esistevano gia’ 28. Oggi a distanza di circa mezzo secolo, ne esistono oltre 50. E la popolazione, è rimasta con i suoi circa 13 mila unità, senza grosse variazioni di numero, nè di subunità, nell'ultimo mezzo secolo! Ciascuno di loro, dei Medici, si è fatta la propria Verità, nonostante che abbia studiato alla stessa Università degli altri, e per molti, nonostante abbia ricevuto gli stessi imput, dagli stessi Luminari.
Il paziente rimane una proprietà del singolo a cui è arrivato per primo. Non è più autonomo. Non è più un “uomo”.
Sei costretto a scegliere il medico, per legge. E solo tra quelli che ti presentano secondo una lista. E non sempre tra quelli puoi scegliere quello che meno ti sembra assomigliare agli altri: perchè sei di nuovo costretto a scegliere quello con meno assegnati. Una volta sceglievi, certo, anche. Ma sceglievi secondo un tuo orientamento. Tanto pagavi tu, e se alla fine non ti piaceva, ne sceglievi un altro. Oggi è uguale dappertutto. Se per esempio vai a votare, non voti. Croci. Hai fatto un segnale su uno schieramento, e di quello schieramento forse conosci appena il rappresentante nazionale, se ti va bene. Ma lo hai votato, e quando si presenta la malaugurata occasione di doverne fare uso, cominciano i guai. Sia l'uno il medico, che l'altro il politico, non li trovi mai. Hanno tutti il cellulare spento, oppure non rispondono. Il telefono ormai serve per essere “a volte” sull'elenco. Puoi solo raggiungerli attraverso la segreteria, la segretaria, o il servizio di segreteria. Se sei fortunato, e sopravvivi fino ai giorni di consulta, ecco allora dici “adesso sono salvo”. Ti siedi, aspetti, fai la coda o prendi il numero, o ti tiri i capelli con chi era arrivato prima, o dopo, o chi ha fretta e vuole fare il furbo, anzicchè chiedere permesso, oppure fa la fila all'italiana: tutti primi, orizzontale, e non all'indiana, per ordine di arrivo!
Ebbene, sei adesso dinanzi al medico, già sudi e stai ancora più male perchè in sala d'attesa non c'era ricambio d'aria, e il tempo ti ha scaricato l'adrenalina necessaria ad esporre adesso il tuo problema. Tanto che quello non ti guarda proprio, non capisce il tuo problema, e si accinge a prescriverti uno dei tanti farmaci che gli faranno poi comprare la macchina alla figlia. Tu hai perso la pazienza, sei più ammalato di quando sei entrato, e non sai che pesci prendere per risolvere il tuo problema. Arrivi in farmacia, ti scarichi, cominci a raccontare la tua disavventura di paziente al tuo farmacista, che sta al gioco e ci mette del suo. Ti propina altro materiale, ad integrazione della prescrizione. Ma ti rassicura, e ti invita ad riferirgli di disturbi o miglioramenti da lì a qualche giorno. Tu ti senti meglio, fiducioso. Segui i consigli. Ti ripresenti, e il gioco è fatto. Sei un paziente e un cliente ottimo.
E fin qui tutto in ordine, anche perchè tu hai bisogno poi del cerotto, dello spray, dello smalto, degli alimenti proteici per la dieta di tua moglie. Del taglia unghia, dei prodotti per la tua pelle grassa, per la caduta dei capelli, per l'alito, per i denti..etc.etc.etc.etc.
Ma......
se sei ammalato, la nota battuta "nonostante i farmaci il paziente sopravvive" non ti fa sorridere più. Anzi ti trascina in un baratro invalicabile.
Comincia adesso il calvario, o il supplizio, o la fortuna, o il tuo destino, o la tua predestinazione.
Non sei più al centro dell'universo, ma sei oggetto di volontà che ti girano attorno, e a cui non ti puoi sottrarre facilmente. Sei dentro un meccanismo di ingranaggi pericolosi, accidentali, intoccabili. Non ti puoi permettere di rompere il sistema, se non a tuo discapito, pregando che quel meccanismo sia un sistema caricato a salve, e che alla fine della catena, tutto ritorni al punto di partenza.
La tua volonta, il tuo libero arbitrio, in questa fase, sono compromessi. Segnati da un cozzare di diverse molteplici cariche e forze, a volte contrastanti, contraddittorie e disorientanti. La tua fortuna sta in quel "predestinato", che adesso ti scorre davanti agli occhi. La fine ti arriva, vuoi o non vuoi, prima del previsto, davanti agli occhi, e alle tue mani inabili.
Quando dicevamo che la Verità non è di questo mondo, e che non la vedremo mai su questa terra, possiamo tranquillamente affermare che tutto questo è
scritto. In realtà non avremmo necessità di riscoprirlo, e di dircelo continuamente, quasi a monito. Dovremmo semplicemente saperlo, cioè conoscerlo, e metterlo in pratica. Ma per saperlo e per conoscerlo dovremmo apprenderlo. E da dove lo apprendiamo? Bene, questa forma di conoscenza umana ci viene o dai nostri docenti, gli insegnanti o i genitori, oppure in Chiesa dai nostri Pastori. Non sempre, anzi raramente, questo meccanismo porta purtroppo a benefici chiari e intelligibili a tutti. Spesso si arriva a forme di incomprensione, a malintesi, a disguidi fino a forme di frattura, poi difficilmente riconciliabili.
La Verità come Conoscenza
Dobbiamo allora ritornare alle origini, e immedesimarci nella naturalità delle cose, nella loro spontaneità. Cosa abbiamo sostenuto con “Mjadonna”? “che la conoscenza della verità nelle cose ci è data dal porci umili dinanzi al mondo”, con l’Intuizione. Ora, se non riusciamo a definire questo "umili" nella allocuzione semantica della espressione, difficilmente riusciamo a vedere il vero, difficilmente riusciamo ad essere quegli unti del mondo che vedono le cose ancor prima che accadano! E' solo una espressione,un modo di dire. Sappiamo già "noi di Mjadonna" che il futuro non esiste e che i veggenti non hanno vita facile con noi. Ma gli unti sono certamente quelli che nella loro innata genichialità hanno mantenuto l'intellizione spiccata rispetto ad altri, e che per loro il porsi umili dinanzi al creato, è cosa automatica, non da ricercare, nè da studiare, o da imparare. La loro genichialità è già umiltà intrinseca. La genichialità di ciascuno è proprietà privata, appartiene al singolo, la eredita dalla nascita, non la apprende, ma la riconosce e la valorizza, nel suo miglior modo. Purtroppo, ci sono anche coloro che a dire della storia la utilizzarono per fini e scopi ancora oggi a tutti ignoti e oscuri, da doverli definire chiamati orrori della storia, anzi che geni. Una genichialità non umile ma selvaggia, arrogante e fiera di "uomità", egoista e spregiudicata. Da Caino. O se vuoi da criminale, o da terrorista, o da dittatore, o da scienziato pazzo, che da maniaco narcisista, è intento a creare o riprodurre l'uomo! E non capisce, che la creazione è solo divina! Cos'è allora questa genichialità o umiltà a priori, e questa intuizione o umiltà a posteriori? chi ha ingurgitato Mjadonna, sa benissimo che “l'intuizione è la chiave della conoscenza”. Senza intuizione, cioè l'andare dentro le cose e
vederle nella loro interiorità, l'uomo non può colloquiare, non può porsi dinanzi al prossimo e con esso confrontarsi nel quotidiano vivere. E intuire le cose, si significa conoscerle nella loro essenza, ma senza quella genichialità non riusciamo a definire la verità delle cose stesse. Il nostro obiettivo è quello nella nostra vita di raggiungere la nostra propria genichialità con la quale ci poniamo umili dinanzi al creato e riconosciamo il vero. Se ci dovessimo fermare all'intuizione, non avremmo la verità, ma solo la conoscenza delle cose in sè. Il fine della nostra vita è raggiungere già su questa terra la consapevolezza della verità, per essere pronti e preparati a viverla in eterno, con la morte.
Il 7 dicembre del 2007, veniva portato dinanzi a Dio Giuseppe Sciacca, di 78 anni, umile genichiale.
A lui dedico la mia rimanente vita, perchè è con lui e con la sua morte, che si affaccia in me il senso chiaro della genichialità pura. Della chiave della Verità del mondo. Questo monologo esprime la mia “pena”, cioe’ la mia espiazione di una colpa, “pena” per la quale devo vivere la mia condanna a continuare a vivere alla luce della ricerca della Verita’ attraverso le sofferenze degli altri, e a partecipare a soffrire insieme a loro, nel tentativo di raggiungere un minimo di sollievo per entrambi.
Avevamo già parlato con Mjadonna, di Conoscenza e di Verità. Di Gene e Genichialità, di Intuizione e di Conoscenza. Ecco però che il aggio dalla Conoscenza fino alla Verità delle cose, non era evidente, non era semplice, non era in pratica connesso nel senso pratico. Non mi diceva praticamente che cosa dovevo fare per raggiungere la Verità. Mjadonna mi diceva cosa era la Conoscenza, cosa era la Verità, ma sia nell'un aggio che nell'altro non mi venivano resi noti i particolari delle connessioni.e soprattutto non mi era chiarito cosa è in realtà la Verità.
Cerchiamo di arrivarci o per o.
La Verità
La faccenda riguarda sia le cose singole, nella loro materialità intrinseca e pura unitaria, sia i complessi che le singole cose rappresentano in aggregazione tra loro o tra diverse specie tra loro, in strutture od infrastrutture. Esempio semplice, la casa, le case, un villaggio, una borgata, un paesotto, una città, una provincia, un capoluogo, una capitale, una metropoli, una nazione....etc..etc..etc. Ma anche quindi, e forse soprattutto, quei complessi meccanismi di aggregati delle singole cose, che nella loro configurazione complessa e strutturata rappresentano nella mente visiva di chi si appresta alla conoscenza, sia del complesso nel suo insieme, sia nella singola parte costituente il tutto, e che comunque partecipa alla costituzione di complessi aggragati mentali definiti in concetti, che sia il singolo che il tutto sviluppano, volontariamente o involontariamente. Cioè nel senso obiettivo, o / e puramente soggettivo.
Dalla casa alla città, le tematiche e gli aggregati fisici materiali e fisici mentali che i singoli sviluppano o possono sviluppare, sono notevoli. Dal mattone alla famiglia, dalla società alla Nazione. Dalla salute alla mobilità. Dalla prevenzione alla terapia. Dalla struttura sociale alla qualità di vita.
Siamo partiti dalla casa, o se vogliamo dal mattone, o ancora se vogliamo dal cemento, oppure dall'acqua. O ancora se vogliamo dall'atomo. O dall'elettrone, e quindi dall'energia. Dalla infinitesimale particella conoscibile, fino a ritroso all'invisisbile.
La verità. Ecco il nocciolo.
Immaginate di trovarvi per un attimo come fantasmi, in un "Rettungsstelle", cioè in un Pronto Soccorso di un Ospedale diciamo di media portata, con 500 posti letto..
Cosa vedete?
Bene ve lodico io.
ER Medici in prima linea!
L'avete visto?
La prima serie. Se non l'avete visto, prima di leggere il seguito, vi consiglio di andarlo a vedere su internet, e poi di leggere il contenuto di questo scritto a seguire.
Adesso che l'avete letto o rivisto, sedetevi in un angolo di questo pronto soccorso, e filmate con una cinepresa a sonoro il tutto, o se non ne siete forniti, cercate di immagazzinare quanto più possibile nella vostra mente, tutto quello che vi a intorno, ad obiettivo fisso, durante anche solo un'ora di attività in quella parte di struttura, dedicata alle emergenze sanitarie.
Prepariamoci intanto a ciò che può essere un pronto soccorso, e per chi ha visto ER, ciò che può essere un pronto soccorso all'americana, dove transita di tutto, dai reduci da risse, agli incidentati, ai profughi da catastrofi, ai drogati e alle prostitute in subbuglio. Fino alle liti tra coppie, o per finire alle dispute in
famiglie, per la quotidiana sopravvivenza, o per assurde guerre psicologiche esistenziali, e giuridiche nello stesso tempo, in una realtà in continuo divenire, nel porsi in confronto con se stessa e con l'incomprensibile destino, a volte predefinito?
..allora?
Avete immaginato qualcosa?
No?
Ebbene, cominciamo ad analizzare!
Qualche giorno fa, ci siamo soffermati sulla finestra, e precisamente eravamo intenti ad analizzare se il fenomeno del porsi alla finestra stava più sulla opportunità intesa come possibilità dataci dalla natura, piuttosto che sulla opportunità intesa come occasione offertaci in quel preciso istante per raggiungere il nostro obiettivo durante la nostra permanenza sulla terra, e cioè carpire la verità, anzicchè il dovere di porsi alla finestra proprio per ottemperare al nostro compito, altrimenti vano. Il porsi alla finestra come per chi guarda senza partecipare, ivamente, impotenti, ma attenti osservatori del procedere di cose al di fuori di se stessi, altrimenti immersi in esse attivamente, cioè partecipi attivi.
Il dovere di porsi alla finestra!
Ma perchè porsi alla finestra per poi rimanere staccati e imibili?!
Beh, proprio così non lo è.
Dobbiamo cominciare ad estendere in modo esplicito il concetto di Pronto Soccorso, per arrivare automaticamente al concetto di finestra, porsi da spettatori, per agire in un tempo adeguato ed appropriato, in modo consono e veritiero. Alcuni lo chiamano Primo Soccorso, altri Emergenza, nei paesi angloamericani. In Europa, ed in Germania in particolare, anche Rettungsstelle, ad indicare il luogo dove avviene o si può salvare, retten, e stelle, posto dove si salva (la vita umana). Quindi un luogo dove avviene un miracolo! Dove chi arriva in fin di vita, si risveglia, e sopravvive ad una emergenza di vita, o di morte, a seconda di come si vuol interpretare il termine, o l'azione.
Quindi sosteniamo in questo istante che esiste, da una parte l'opportunità di guardare cosa sta succedendo, dall'altra la possibilità di usufruire di questi posti per essere salvati. Dall’altra anche il dovere di usufruirne per essere salvati! Salvati da che cosa? ecco, altro concetto, altro sviluppo. Ci si chiede, si va li per essere salvati dalla morte? o salvati da un pericolo? o ci si sente in pericolo fuori e ci si protegge in questi posti chiamati posti della salvezza? (Rettungsstelle). Allora ci chiediamo ancora, se siamo veramente senza attenzioni fuori, o abbiamo solo paura che da soli, anche se con il medico accanto o attorno, non siamo abbastanza protetti fuori di quelle mura del luogo della salvezza??
Andiamo ancora per ordine.
Perchè esistono i Pronto Soccorsi?
Risposta immediata: per un pronto soccorso, cioè per ricevere un soccorso immediato in estremità, in estremo bisogno. Estremo. Deve essere estremo, altrimenti non ci fanno nemmeno entrare. E sì perchè se esiste un pronto soccorso è perche tu necessiti in quel momento di un servizio urgente, veloce, immediato. Pena la tua salvezza. La tua vita in quel momento è in pericolo. Allora il pronto soccorso, ti aiuta a riprenderti la vita, che sta sfuggendo in quel momento, per una causa qualsiasi, ma sta sfuggendo. Il pronto soccorso, allora deve essere vicino a te. A due i, pronto alla tua necessità, pronto ed immediato, a salvarti. Ma quanti Pronto Soccorsi sarebbero necessari per sopperire alle necessità di una popolazione? Tanti. Troppi, Impossibile. Nascono allora le ambulanze, macchine veloci, pronte a raggiungere il Pronto Soccorso dal luogo dell'emergenza. E a volte la velocità non basta. Di mezzo c'è il traffico, le intemperie, gli ostacoli, di qualsiasi tipo, o anche le emergenze di diverso tipo. Nascono allora Auto-Ambulanze veloci si, ma attrezzate di tutto, come in un Pronto Soccorso, un pronto intervento, dalla maschera per l'ossigeno, all'elettrocardiografo, ad ogni attrezzatura per prelievo del sangue, infusioni, test della glicemia, pressione, temperatura, prima terapia endovenosa, e naturalmente la possibilità di stare in contatto telefonico e online con una base, per eventuale soccorso con elicottero, o altro... Insomma, tutto ruota in quei frangenti a salvare l'uomo da un pericolo immediato. Dobbiamo ancora analizzare da quale pericolo, però, e per quale necessità.
Filmato:
…uomo con tuta rossa a strisce laterali rifrangenti che cammina a o d'uomo, traina una barella con persona a bordo, distesa, e legata da cinture di sicurezza fisse al lettino; sèguita altro uomo con uguale tuta rossa, a i lenti ma fermi e decisi. Dietro di loro altro uomo con tuta rossa a strie verticali rifrangenti, sulle spalle la scritta "Rettungsarzt" "medico-che-salva". Questo consegna documenti ad altra persona in tenuta bianca, con cui si intrattiene, e riferisce: Persona anziana di 92 anni, sesso femminile, trovata a terra distesa tra l'atrio e l'uscio di casa, infreddolita, temperatura corporea 33*C, non parlante. RR 110.60. BZ e O2 non misurabili. Connessione venosa difficile. Il figlio l'avrebbe trovata dopo sicuramente molte ore da quando presumibilmente era caduta. Il soggetto viene nel frattempo spostato su un letto da degenza, e
monitorato. Coperta termica adesso lo copre, riceve ossigeno, si preleva sangue per analisi, EKG, primi accertamenti clinici sullo stato di vitalità, riflessi, e condizioni generali. Si valutano eventuali contusioni, fratture, ferite. Si accerta lo stato del cuore, dei polmoni, della pancia, della testa e delle articolazioni. Si prescrive una Rx del torace ed una risonanza della testa. Difficile la presa della vena. si inserisce un C.V.C. Catetere venoso centrale.
- arriva una seconda fila di tute rosse, altro pericolante...sfilza di scambi di informazioni...altro scambio di letti, altre analisi, altra strategia...
...terza lettiga...altro film..simile sceneggiatura...nella stessa stanza, su tre letti attigui, tre persone in pericolo di vita, con tanta gente attorno che si affanna a trovare un punto di salvezza ...per tre uomini... in pericolo di vita, salvati da auto speciali con uomini a bordo altrettanti speciali, attendono salvataggio finale da altri uomini speciali, in affanno a salvare in contemporanea tre persone con tre pericoli diversi. Salvo complicazioni da quarta lettiga!!!!!!!!!!
Beh la quarta lettiga arriva, ma almeno due dei tre sono su un percorso alternativo di indagine diagnostica, raffinata, per cui si riordinano le sale di salvataggio.
Che fine hanno fatto allora quelle vite da salvare?
Santa Lucia
Il giorno di santa Lucia. Veramente noi lo festeggiamo il 12, ci sono i falò!!!!
Una giornata di allegria, da bambini. Erano gli anni sessanta. La guerra era finita da un pezzo, ma sembrava come se l'aria profumasse ancora di soldati, di cioccolate, e di allegria. Di bombe, proiettili e sirene, io non ne avevo mai viste. Sentito parlare si, spesso e volentieri. Di persone che avevano perso le dita, qualcuno entrambe le mani, qualcuno il braccio intero, e altri o il piede, o qualche dito. Ad uno mancava l'occhio. Ma forse erano più di uno. Non ricordo bene. Poi c'erano quelli che si intrattenevano, anche mentre eggiavano, per strada, a raccontare ancora di quel tedesco che si era nascosto in un rifugio lungo la strada per Gela, e all'avanzare degli americani, ne fece una carneficina. Era ben nascosto. Finite le munizioni, arrivò anche la sua fine. E si continua la eggiata. Molti non sanno cos'è la eggiata a Barricyti. Ce ne sono di diverse forme e maniere. Prendiamo la forma media degli anni settanta. La eggiata in macchina. Prima avevi la moto, ed era la eggiata in moto, prima ancora la bici. Adesso era la volta della macchina. Beh, avevi la macchina, tua o del tuo paparino. E comunque coi suoi soldi. Adesso che fai? la fai camminare. la porti in giro. Ce l'hai, cosa fai, te la tieni in garage? No. La lavi, la lucidi, fai il pieno di benzina, il resto non ti interessa, tanto è problema del papi, metti in moto e via! Quale meta? Beh, una vale l'altra, giri, e rigiri. Poi ti vedono gli amici, ti salutano, li saluti. E se vuoi puoi scarrozzarli a dx e manca. Ma se non vuoi, li saluti, e continui i tuoi giri. Le tue girate, a dx e a manca, in paese, o appena fuori le prime case. Beh, Santa Lucia, non è di questo periodo. é un pò prima, quando la festa era la festa, del falò! C'era anche la festa del prete, ma è più difficile da ricordare. Il ricordo fondamentale, a proposito era del collegamento imprescindibile del aggio della processione con l'accensione del proprio falò. E qui scatta la guerra. Le contrade avevano ciascuna il proprio falò. Veniva preparato già nel primo pomeriggio, o alcuni, anche il giorno prima. Il posto era il quadrivio. Il punto dove le quattro strade si incrociavano. E questo perchè era il luogo più ampio, era il luogo dove le persone potevano accentrarsi con più facilità. Ancora prima, vi si giocava alla "cantunera". Oppure vi si alzava il palo della cuccagna!!!! Con i "pignatuni".
Perchè ci si ammala?
E' la domanda che ormai tutti si pongono, sia ammalati che curatori!
L’esempio del falò protetto dagli interessati agli attacchi estranei, o del “pignatuni” irraggiungibile, sono esempi di di ricostruzione informale di tentativi di mutazione di realtà precostituite. Il falò non deve prender fuoco fino a comando. Il pignatone ti riserva la “sorpresa”dell’inconoscibile inconoscibile.
Così come la Malattia, inconoscibile, ma prevenibile.
Ed è un argomento che tutti sono in grado di affrontare con più o meno dovizia di fatti e documenti. Tutti si chiedono perchè e come arriva la malattia. Sfilza di scienziati, filosofi e sapienti vari, a darsi una spiegazione più o meno logica, più che scientifica, a volte solo sociale o addirittura psicologica del fenomeno. Quello che sicuramente siamo in grado di definire con certezza assoluta è che il malato "esiste". Cioè, esiste un individuo che da routinario essere galoppante diventa ad un certo momento, in forma acuta d'amblè, o acuta da reiterati episodi di eggeri malesseri, un essere diverso da quello che era prima, un essere altro dal suo stesso essere, un essere non più autonomo, un essere dipendente. A volte non totalmente, a volte in modo completo e assoluto. Dipendente da cosa?
Ci troviamo dinanzi ad un essere non più attivo per la società, ma dipendente dalla società stessa. Quello che quell'essere ha dato fino al minuto prima della sua malattia alla società come essere del complesso, adesso si trova lui ad averne bisogno, ad esigerlo. Come essere un elemento che quelle attenzioni necessita, ed in forma immediata.
La malattia è da intendersi in principio come sofferenza da disobbedienza a Dio.
Per i Cattolici, questo concetto è verosimilmente più accessibile, dal momento che le raffigurazioni dal paradiso terrestre ad Adamo ed Eva ignudi, sono conosciute e sempre più riviste. Per i non-credenti la forma del positivo e del negativo, come forze contrastanti sia per l'evoluzione che per la dissoluzione, sono anch'esse conosciute e visualizzate. Per gli Evangelisti, la cosa non mi è tanto chiara ancora, Ma sono sulla strada della ricerca. Per i Musulmani e gli Ebrei il peccato originario trasmesso non ha senso. Perché ciascuno è responsabile delle proprie azioni, non più legate all’origine adamiana.
Se si leggesse il peccato originario ed il suo castigo con l'allontanamento della facilità della beatitudine nella visione di Dio, immediata, senza l'affanno della continua ricerca, quindi come un flagello da Dio all'uomo, ecco allora si commetterebbe un grandissimo errore di interpretazione e di impostazione della propria idea di vita terrena.
Adamo si fa trascinare da Eva, si lascia convincere per amore alla facilità della conoscenza del bene e del male, cosa che aveva già superato Eva nel colloquio con il serpente.
I due hanno disobbedito. Hanno trascurato quello che Dio aveva detto loro: "Questo è l'albero del bene e del male, i suoi frutti non dovete toccarli, solo io posso disporne"!
In realtà, loro non avrebbero avuto necessità di quei frutti, la loro conoscenza delle cose del creato era immediata. Loro avevano già la verità insita nel loro stesso essere. Ma allora, perchè Dio, perfetto, ha voluto questa pecca nel creare Adamo? Non sarebbe stato più semplice evitare il tutto? Perchè ha prima creato esseri perfetti, che poi si sono lasciati corrompere? era già dentro e previsto tutto questo? e se così è, ci sono molte cose che ancora dobbiamo affrontare nella conoscenza dell'uomo Adamo, e nella creazione, in sè e per sè.
La Bibbia dice che il sesto giorno Dio creò l’uomo, a Sua immagine. E da li a poco Eva, per fargli compagnia. Da una sua costola! Era già insito che avrebbe tradito? se si, perchè tutto questo nel piano divino?
Che senso doveva avere allora la Creazione? Cioè, perchè la Creazione? Solo per il capriccio di far peccare Adamo e poi castigarlo alla conoscenza terrena, in attesa della conoscenza dopo la resurrezione dei corpi? no. Troppo semplice, banale, e forse anche sadico-masochistico proprio delle cose effimere, terrene. Allora dobbiamo elevarci a superiori livelli di interpretazione, dobbiamo cioè quasi trasportarci con mente e corpo in altra dimensione, al di fuori del creato, e osservarlo, così come dalla finestra! Dobbiamo porci da Barth oppure da Zaratustra a guardare il mondo, e viverlo secondo Barth o Zaratustra.
Ebbene, cosa ci dobbiamo attendere allora? E sopratutto cosa ci vogliamo attendere dalla osservazione estranea?
Vogliamo una risposta alle nostre osservazioni, ai nostri dubbi. Alle nostre domande.
Siamo partiti dalla malattia, e dal parallelismo ostentato tra creazione e peccato originale e tra creazione e malattia. Tra creazione quindi e il diavolo che ci mette la coda e in ogni atto e fatto che l'uomo si trova a vivere come malefico, orribile,
Non siamo ancora alla conclusione della risposta.
Dobbiamo necessariamente adesso rivolgere lo sguardo ad un particolare, molto dirimente. L'UOMO, nel suo stato di essere, come Adamo, e nel suo stato di
Essere Uomo.
Cosa fa la differenza tra l'uno e l'altro? tra Adamo e l’Uomo?
Non rispondiamo subito. Diamoci un paio di spiegazioni, e formuliamo un'analisi dettagliata della domanda e della possibile risposta. Intanto, cosa ci aspettiamo dalla domanda, e la ripetiamo, "Cosa fa la differenza tra l'essere uomo Uomo, e l'essere uomo Adamo?"
Cos'è l'Uomo, e cos'è Adamo? Ecco, cominciamo a darci una definizione dei concetti, e subito arriviamo alla risposta. E ancora, chi è l'uomo Uomo, e chi è l'Uomo Adamo?
Adamo,
cretao da Dio sul Paradiso terrestre, padrone delle cose conosciute e del mondo conosciuto, compreso l'albero del bene e del male, senza poterne però usufruire. E' il padrone assoluto del Creato. Ogni cosa si prostra ai suoi piedi, ai suoi desideri, alla sua volontà. Fatta eccezione di una, la serpe, il diavolo tentatore. La sola creatura che lo può sottomettere, senza difficolotà, ma solo se lui lo vuole, è il diavolo. Ecco, solo se lui lo vuole. E cioè solo se Adamo lo vuole. E così sono andate le cose, fino a quando non arriva Eva. La serpe è stata sempre sotto il dominio di Adamo, perchè Creatura come le altre al suo dominio. L'arrivo di Eva, sconvolge le cose. E Adamo, adesso ha un nuovo padrone, Eva. Tutto ciò che lui fa, è in funzione e per Eva. Per suo amore e per suo riflesso. E lui alla fine ha voluto lasciarsi dominare dalla serpe. Ha voluto cedere alle sue tentazioni, e solo per amore della EVA. Per amore ad Eva, per amore alla sua
donna, alla sua metà, alla carne della sua carne! Lui ha voluto per amore della sua donna, quello che gli era proibito: disobbedire al Padre. Ecco per amore della sua donna, ha voluto la disobbedienza, ha voluto il peccato, ha accettato impunemente, senza domandarsi e chiedersi del perchè, ha accettato di far piacere in pratica a se stesso attraverso la sua donna, andando incontro al delitto, alla condanna, alla penitenza. all'oblio del Padre e del Paradiso Terrestre.
Ecco chi è Adamo. Il conoscitore del Bene, il dominatore dell'Universo, il Padrone assoluto delle cose, ma il debole in persona, l'essere innocente, che come un bimbo ignaro, sale sulla sedia traballante per arrivare alla marmellata in alto allo scaffale, incauto della instabilità del suo appoggio. Cade. Si fa male. Piange, e ci riprova, in seguito. Fino a quando non ha percepito che il piacere della marmellata in sé è minore del rischio di andarla a prendere dallo scaffale.
Adamo, è il bambino, fatto adulto, senza are dalla fanciullezza, senza aver vissuto gli effetti della innocenza pura, dal concepimento.
Adamo è il creaot fannullone, senza problemi e senza malizie, privo di caducità terrena, e privo di esperienze quotidiane; è nato adulto, senza are dalle grinfie della età evolutiva del fanciullo. Ricca di pericoli, di confronti ed affronti.
L' Uomo uomo, invece è un altro.
L'Uomo uomo, è stato concepito. Ha pianto alla nascita, si è fatto le ossa, cadendo più volte dalla sedia per arrivare alla marmellata. E tante altre volte ha dovuto versare lacrime, ed assaporare la sconfitta, a volte la vittoria. Spesso le delusioni, le amarezze, le incomprensioni, l'orgoglio della riuscita, e anche la consapevolezza della meritata sconfitta. Insomma, l'uomo che ogni giorno si
confronta con l'avversario, dal diavolo, al prossimo stesso che lui cerca di difendere e sorreggere, spesso anche di aiutare in momenti difficili e impensabili.
Ma la differenza, ancora non sta solo e semplicemente in questa cruda ma reale analisi di fattezza. O se vogliamo di età storica!
La differenza è ben altra, e sta nelle radici della loro essenza. Spieghiamoci allora ancora questa differenza. Però non siamo ancora sul punto maturo della risposta immediata. Riflettiamo ancora su un punto fondamentale. Chi è allora Adamo?
Abbiamo detto e lo ripetiamo, e dalla Bibbia lo rivediamo sempre davanti ai nostri occhi, senza però capirne almeno da subito il significato.
Ogni film sulla creazione, sulla bibbia, sul giudizio universale, parte da Adamo, e lo descrive, o almeno ce lo lascia immaginare, creato sul Paradiso terrestre, che da li a poco, come se si ribellasse al Padre, e viene castigato. Espulso dal Paradiso. Condannato ad essere UOMO. Ma allora, ancora ci dobbiamo chiedere, non era Adamo Uomo?, se divenne uomo, con il peccato originale? Ecco, proprio cosi. L'uomo Adamo, non può diventare uomo. é Adamo, uomo. Che deve penare, per essersi opposto a Dio, ma rimane Adamo. Cioè Creatura divina, che si pecca ribellandosi al suo Dio, e si veste di sembianze terrene. Diventa un comune mortale, che ha conosciuto Dio, ma ha perso le qualità dell'essere il creato PRIVILEGGIATO sul paradiso.
Adamo è diventato uomo. Non lo era. Era il “creato da Dio”. Era l'Uomo creato da Dio. Dopo Adamo l'uomo non è più creato da Dio ma viene concepito da Adamo ed Eva, secondo la Volontà di Dio. I discendenti non sono più i “creati di Dio. Ma sono solo uomini nati per concepimento da altri uomini.
Più o meno abbiamo adesso la differenza almeno, tra Uomo Adamo e Uomo Uomo. Parliamone.
Adamo è un essere creato senza peccato originale. Si è macchiato dopo, del delitto, del peccato alle origini. Ma Adamo è nato senza peccato originale. Il suo delitto, il suo peccato, è di aver cioè disobbedito, peccato di superbia e di superiorità, di voler divenire come il Dio suo creatore. Ecco la colpa al suo peregrinare terrestre. Ancora oggi ci sono uomini simili ad Adamo che credono di poter eguagliare il Creatore e potersi a Lui sostituire. Costoro però non sono Adamo, e non lo saranno mai. Sono dei semplici uomini, invogliati da un tentatore diabolico, e privi di capacità intuitiva, intellettiva, simili cioè ad animali da traino. Devono cioè trainare l'essere ad una maggiore responsabilità indiretta, così come lo fu Giuda. Anche loro hanno il loro compito straordinario nella funzione umana terrestre.
Allora, Adamo come essere Puro, creato, privo di difetti, essere perfetto, non creatore soggetto, creato oggetto, eterno, infinito. L'evoluzione delle cose, nell'ambito del Paradiso Terrestre ha fatto sì che anche la serpe divenisse scaltra. E si invaghisse di Eva. Non tanto delle sue fattezze fisiche quanto di quelle intellettive. Eva, terzo elemento del paradiso, è il cardine della Vita. Proprio perchè attraverso Lei avviene il Peccato, proprio perchè in Lei e con Lei si manifesta la Potenza Divina giorno dopo giorno, con le nuove generazioni. Tre elementi insostituibili. Tre elementi inverosimili. Pilastri della Bibbia. Pilastri dell’ Umano. Pilastri dell'Universo. Il quarto elemento è adesso l'Universo, inteso come spazio e tempo e luogo dove ogni cosa si materializza, diviene, in funzione dei tre elementi cardini del creato: Adamo, Eva, la serpe. Dove ogni cosa si materializza, compresa la Malattia. La malattia nasce col peccato originale. Nasce dal peccato originale, così come l’Uomo.
Cosa ci resta come singoli in questa esistenza da fare? Dobbiamo”seguire il nostro naso”. Dobbiamo vivere nel migliore dei modi. Dobbiamo seguire il meglio di quello che ci spetta. Dobbiamo e vogliamo vivere nel successo
continuo. Senza cadute. E questo lo puoi ottenere se il fine del tuo successo non è la materialità effimera del caduco, ma l’eterno rincorrere il piacere della Verita’.
IL SUCCESSO.
Sta tutto in te. In te stesso. Dentro di te. Devi scavare attimo per attimo. E non fermarti mai. Devi carpire il senso di quello che ti sta accadendo, dentro e fuori. Dentro il tuo corpo e dentro la tua mente, sempre connesso e collegato a ciò che ti sta accadendo "fuori", fuori del corpo, fuori della mente, ma in te e accanto a te. A contatto con la pelle, e a contatto con gli occhi. della vista e a contatto con gli occhi della mente.
Devi *in-tu-ire.*
Devi dialogare con tutto questo, e afferrare la marcia di aggio. Del tuo "agio". Tutto scorre, *anche senza di te. Non dimenticarlo. *Ma se vuoi che tu ci sia, in quel aggio, devi dare la tua mossa alle cose che ti girano attorno. Tutte. Dall'intimo al pubblico. Dal fisico allo spirituale. TU e solo TU sei al centro delle cose tutte, del Mondo. E tutte girano intorno a TE. Non lasciare che sia il contrario.
Tutto è per Te. Tutto si muove solo per Te. A questo,, certo non ci arrivi domani a vederlo, nè dopodomani. Ma devi preparati, attimo per attimo. Quello spaziotempo "può e deve" essere sempre il Tuo spazio-tempo. Perchè lui a. Vuoi, o non vuoi. E se non hai agito a dovere, quell'attimo ti sfugge. Per sempre. Invece deve essere Tuo.
Devi solo vederlo. Non basta guardarlo.Devi vederlo. Se lo hai visto, bene. Nessuno te lo può togliere. Ti appartiene. E' Tuo. Il Tuo Successo.
E tutto questo avviene nel Tempo
IL TEMPO,
IL Tempo è il padrone assoluto delle cose, delle cose tutte. Di quelle visibili e di quelle invisibili. Delle cose ate e di quelle future. Il Tempo è padrone anche dello Spazio. Cioè di quella dimensione materiale che fa del Tempo la sua Immagine. Il Tempo è lo Spazio. E’ l’Universo. Il Tempo è il continuo espandersi in evoluzione dello Spazio. E’ l’immagine dello Spazio, è la faccia della Materia, fatta Uomo.Universo. senza il Tempo non esiste Realtà. Il Tempo è la Realtà. Il Tempo è lo Spazio, assieme. Il Tempo è la Verità.
Cosa pensi ti possa soddisfare allora in questo tuo vivere?
Sai che vivi perchè hai gli occhi aperti, e vedi. Sai che la gente muore, se ne va, perchè chiude gli occhi, si ferma, diventa di ghiaccio, e viene portata in un altro luogo. Il luogo della eternità. Del riposo continuo, un luogo senza tempo, senza movimento, un luogo quasi assurdo, pensi. Senza senso e senza prospettive.
Perchè la gente chiude gli occhi? E perchè invece li tiene aperti? Cosa fa avvenire tutto questo? Cosa muove l'immagine del visibile? E se anche l'invisibile fosse reale? fosse in un certo modo acciuffabile? E' forse questo che ti istiga ad un ricerca il più delle volte affannata? potremmo anche dire forzata? E' certo che se non ti muovi tutto fila lo stesso liscio. Ma con una altra velocità, con un altro ritmo. E ti chiedi, e se non fi nulla? E se non mi muovessi, non
mi agitassi, non mi sforzassi di arrivare a tutti i costi a ciò che in effetti nemmeno so di esistere?
Qual'è allora la verità su Adamo che mangia dall'albero della Conoscenza? Come si inserisce nell’Universo? In parte abbiamo già analizzato concitatamente i fatti. E’ l’Atto che ci sfugge ancora in parte. Siamo sicuri che il termine “peccato originale” non è presente nel testo biblico, né nell’Antico Testamento né nel Nuovo. Il testo che tradizionalmente descriverebbe questo peccato è il capitolo 3 del libro della Genesi.
Nella religione islamica ed in quella ebraica è assente il concetto di ereditarietà della colpa, perché ognuno è responsabile del proprio peccato. Secondo l'Islam e gli Ebrei il peccato originale sarebbe solo un errore commesso da Adamo ed Eva, ma essi si sarebbero pentiti e quindi sarebbero stati perdonati da Dio, senza che il loro sbaglio si trasmetta alle generazioni future. Il peccato originale quindi non è stato trasmesso. Nessuno dei discendenti ha generato peccatori.
E se adesso riprendiamo Mjadonna, in questo preciso spazio temporale, avremo un chiarimento in più per arrivare ad una prima chiarezza interpretativa dell’origine della malattia, in questa fabbrica del tempo.
"Mjadonna comincio' a dire la sua. Il calice adesso lo teneva poggiato al petto.
- Genio, comincio' Mjadonna, e' colui che genera.
- Gene, e' l' unita' informativa trasmissibile della cosa generata, corporea e non.
- Genichiale, e' cosa, che appartiene al genio, perche' lui l' ha generata, e contemporaneamente appartiene al gene, perche e' in questo e per questo che e' stata generata.
L' uso di genichiale, prosegue Mjadonna, non e' frequente nella lingua corrente, anzi, molti nemmeno conoscono l' esistenza del termine.
E questo non perche' non fosse soltanto trascritto nei comuni vocabolari o dizionari di corrente uso, ma perche' non c'era e non c'e' interesse a termini che racchiudono gia' in se' un concetto, ben chiaro, senza necessariamente dover ricorrere per gli addetti, all' uso di parafrasi o circonvoluzioni linguistiche. Diremmo meglio forse, che si sconoscono e per questo fatto, se ne creano sempre di meno.
Si e' sempre piu' perso l' uso di termini a contenuto netto.
Si usa sempre piu' una terminologia che ha perso i contenuti, si cerca di aggirare e di parafrasare attorno all' argomento senza poterci arrivare direttamente proprio per mancanza di contenuti.
Mia nonna faceva uso di termini oggi in disuso, e mi incitava ad usarli sempre piu' correntemente perche' sosteneva che l' uso di determinati vocaboli nella parlata denota conoscenza profonda del meccanismo di trasformazione linguistica del pensiero , ed abitua nello stesso tempo a rispettare il senso etimologico del termine, come se si trattasse di un monito continuo, a conoscere se stessi.
Serviva praticamente ad avere sempre presente la misura della correttezza nel
linguaggio, ma anche il riflesso di esso, nell' azione quotidiana. Il significato del termine era gia' una morale, a se stessi, una morale continua."
Mio padre, di verso, “studiava” il vocabolario!
Adesso la cosa prende un altro gusto, ed aspetto! Noi vogliamo con questo definire la figura del “genio”, nella sua Essenza:
vogliamo cioè cercare di definire quella figura di essere umano che nel "genio" interpreta la "generazione" delle cose, cioè la loro fattizione, non la loro creazione. Il loro essere diventato cosa cioè per tramite di quel genio. Di quell'uomo, genio. Tutti gli uomini sono geni, per nascita, per definizione. Tutti. Perchè generano. Ma non tutti generano cose strabilianti. Quando l'uomo genera cose che agli occhi degli altri uomini appaiono strane, inverosimili, belle, fuori dal comune e fuori dal possibile genere umano, allora si definische quell'uomo, genio. Gli antichi, abbiamo visto, ma anche oggi, i contemporanei, attraverso una certa letteratura soprattutto di tipo anglosassone, più americana che inglese vera e propria, parlano di genio benigno, di genio maligno, di genio benefico, di genio malefico, di genio del bene, di genio del male, di genio cioè, di essere che produce con efferata strabiliante capacità fattiva, il bene...il male...
Andiamo per gradi.
Dobbiamo necessariamente andare alle origini, per rendere visibile la cosa, ed esplicitarla al meglio. Ripeto che in questa trattazione, vogliamo definire chi è il genio, per arrivare alla malattia, come generata. La Malattia non è creta. E sicuramente non è "colui che crea", ma è "colui che genera" le cose, che genera anche la malattia. Qui sta il succo dell'arancia.
Chi crea lo definiamo creatore. Chi genera lo definiamo generatore. Come il generatore di corrente. Perchè non diciamo creatore di corrente, e invece definiamo per scontato, automaticamente, il generatore di corrente?
Rispondiamo subito e facilmente: perchè siamo corretti, ed abbiamo appreso dalle generazioni ate, dalla esperienza linguistica dei nostri avi, dall'essere la cosa così come ci viene agli occhi, immediata e reale, cioè vera, che la corrente viene generata, non creata. Viene generata da un apparato, da un aggeggio che produce corrente. Non la crea. non può crearla. La sviluppa attraverso altri meccanismi, con il confluire di determinate azioni e reazioni fisiche. Ed in quel caso del generatore, la corrente viene generata attraverso un complesso sistema fisico che definiamo e nominiamo "generatore" di corrente. E non quindi creatore di corrente...
Colui che in questi ultimi venti anni parla di creazione in campo umano, è solo lui e solo uno: é colui che a dir la verità forse ha messo sale in zucca, finalmente! E sinceramente nell'ultimo anno io personalmente non l'ho più sentito almeno parlare di creazione! Di altre corbellerie si, e tante, ma di creazione, quella era la più nota e la più insensata macchinazione che un uomo di scienza, quale egli si reputa e si esplicita all'opinione pubblica del mondo intero, potesse sprigionare dalla propria mente.
Che noi crediamo o meno, che noi apparteniamo ad un genere di pensiero o ad un altro, che noi siamo o meno una èlite nel creato, quello che conta è che siamo costituenti del genere umano.
Cioè siamo tutti, e lo dobbiamo essere, partecipi del fatto che io, voi, gli uomini in genere donne comprese, questo è d'obbligo, siamo tutti appartenenti ad un "genere" quello umano, cioè ad una fetta del creato che genera, ed in questo caso, nel nostro, al genere che genera uomini e cose!
Noi rappresentiamo l'Uomo. Noi generiamo uomini e cose. La malattia appartiene a questo generato. Non appartiene al creato. In origine la malattia non era stata concepita, e non fu creata. Con Adamo e la sua disobbedienza viene generata la malattia. La malattia quindi appartiene al genere umano e quindi al creato generato. Non appartiene al Creato. Appartiene all’Universo.
L'UOMO è l'essere creato, è l'essere per eccellenza! L’Uomo è In Adamo! E' l'essere creato che genera. Da Adamo l’uomo genera. Gli altri esseri del creato, gli animali, non generano. Loro procreano. L'UOMO procrea anche, ma procrea generando. Può anche non procreare, alla stessa stregua di alcuni animali, e di animali in genere che non riescono a riprodurre. Ma l'uomo...genera. Cosa che gli animali non sono in grado di espletare! Gli animali procreano. Stop.
L'uomo: noi rappresentiamo e noi stessi "generiamo" l'UOMO, cioè il "re" del creato. cioè ancora "il creato", cioè colui che è stato creato. Dal nulla. Colui che è stato creato dal nulla da un essere superiore, e dal nulla. Questo è creare: fare una cosa senza avere nulla altro che il nulla. Dal nulla fare delle cose. Questo è creare. Questo diversifica l'uomo da Dio. L'uomo genera, Dio crea. L'uomo è il genio, è colui che genera. Dio è colui che crea.
Anche le altre cose sono state create. Ma "l'uomo" è stato creato ad immagine ed assomiglianza di Dio. E' stato creato cioè con caratteristiche similitudini a Dio. Come il pensiero, l'intelligenza, la genialità, ma soprattutto la genichialità.
Cosa dice Mjadonna a proposito?
Genichiale, e' cosa, che appartiene al genio, perche' lui l' ha generata, e contemporaneamente appartiene al gene, perche e' in questo e per questo che e' stata generata.
Genichiale deve essere e diventare l’uomo per conoscere e riconoscere il fatto alla sua origine, già dal suo atto.
La malattia è un fatto. Il Treaning cognitivo quotidiano deve potare alla scoperta del suo Atto. Solo così saremo in grado di verificare il fatto con l’avvenuta conoscenza del suo Atto a priori e vivere felici nella Verità terrena.
Vocabolario
Tempo: scorre imperterrito come da orologio perfetto
Spazio: dove scorre il tempo
Creato: ciò che appartiene alla Realtà
Universo: dove spazio e tempo divengono
Conoscenza: intuire le cose scoprendole
Verità: l’essenza delle cose nel loro Atto
Intuizione: andare dentro le cose scoprendole nella loro Verità
Genio: colui che genera
Genichialità, la caratteristica essenza del genio.
Indice
Frontespizio
La fabbrica del tempo