Teresa Di Gaetano
La Sabbia delle Streghe
Rosehan e la spada di Shanas
Romanzo fantasy
Youcanprint Self - Publishing
Rosehan e la spada di Shanas di Teresa Di Gaetano
Prima edizione © 2014 Teresa Di Gaetano
Tutti i diritti riservati. Vietata la riproduzione anche parziale a norma di legge.
Copertina realizzata da Chiara Boz, www.bozchiara.com
La cartina del GranRegno è stata disegnata da Alessia Coppola, http://erelneah.wix.com/alessiacoppola
Questa è una storia di fantasia. Personaggi nomi e situazioni sono frutto dell’immaginazione dell’autrice. Ogni riferimento a fatti o persone esistenti è puramente casuale.
ISBN | 9788891150677
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Via Roma, 73 - 73039 Tricase (LE) - Italy
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Dalle ceneri la fiamma sarà risvegliata. Una luce dall’ombra spunterà. Rinnovata sarà la lama che fu spezzata e il senza corona di nuovo Re sarà...
(Arwen, dal film “Il Signore degli anelli – Il ritorno del re” di Peter Jackson)
Dedico il libro a Chiara Boz,
illustratrice grafica
di tantissimo talento artistico,
che con le sue immagini bellissime
ha saputo cogliere dalla mia scrittura
il tocco sognante che probabilmente
abbiamo in comune.
Capitolo primo
Rosehan
«Rosehan! Rosehan! Rosehan![1]» chiamò con insistenza una voce femminile. Era di una donna di mezza età, grassoccia. Indossava un’ampia e lunga gonna verde, una camicia bianca che lasciava intravedere il prosperoso seno, un corpetto marrone, anche se le stringhe nere del corpetto non riuscivano a contenere l’esuberanza delle forme, una cuffietta dello stesso colore della gonna, da cui fuoriusciva un ciuffo arruffato di capelli biondi e ricci, un po’ lanuginosi.
«Quella ragazza sta sempre a zonzo per i campi[2] e si dimentica quando è ora di cena.»
Teneva una mano sul fianco, e nell’altra il mestolo di legno. Stava sulla soglia.
«Degon, caro» si voltò guardando all’interno della sala, «non pensi sia opportuno andarla a chiamare?»
L’anziano uomo sedeva su di una sedia e con un coltellino intagliava un piccolo pezzo di legno, voleva dargli una forma. Nel frattempo fumava una lunga pipa, tenendo la cannuccia stretta tra i denti.
«No, Calime. Lasciamo che scorrazzi ancora un po’ libera per i campi. Tu lo sai
com’è fatta Rosehan, no?» e qui fece scivolare un po’ gli occhialini per guardarla dritto negli occhi. «Quella ragazza ama la natura, non può vivere senza girovagare per i campi.»
Un enorme pentolone sbuffava dentro il camino. Calime si convinse delle parole del marito, così rientrò chiudendo lentamente la porta.
I tanti camlini sopra di essa tintinnarono festosamente quando la richiuse dietro le spalle.
«Sarà, ma io sono convinta che un po’ di disciplina Rosehan ormai dovrebbe averla, no?» sostenne la donna avvicinandosi al pentolone per rimestare la zuppa.
«In effetti…» ma Degon lasciò la frase a mezz’aria.
«In effetti?» riprese Calime seccata, voltandosi di scatto verso il marito col mestolo in mano.
Degon fece roteare la pipa in aria come per dire “continua tu, che lo sai”.
«Beh, perché non ci decidiamo a darle un’educazione, allora?»
L’uomo non la guardò nemmeno, riprese a scolpire il piccolo pezzo di legno. Le sfoglie legnose cadevano a terra con ritmo: evidentemente Degon era ispirato.
«Lo sai, lo strano simbolo impresso sulla sua pelle, proprio sulla nuca, lo impedisce…»
«Gli studi di Felagund[3] non hanno rivelato nulla però» affermò la moglie, poggiando il mestolo sul piatto a fianco del camino.
«Nella sua Biblioteca non ci sono poi molti libri. Occorreva andare in città, giù, ad Halifax. Lì sì che c’è una buona Biblioteca. Forse avremmo trovato notizie su questo strano simbolo.»
«Ma Felagund cura tutti, qui al villaggio!» obiettò la donna, avvicinandosi al vecchio.
«Cura tutti» riprese Degon, «ma non sa tutto» e si rimise tra i denti la lunga cannuccia della pipa.
«Rosehan però non ha mai accusato alcun dolore per questo strano simbolo, né ha mai manifestato qualcosa di strano» aggiunse afflitta la donna.
«Sì, certo. Ma era nostro preciso dovere di genitori verificare la natura di quel simbolo.»
Calime si sedette sulla seggiola, proprio di fronte al marito, con le braccia conserte.
«Non potevamo insistere» continuò la donna con dispiacere. «Rosehan avrebbe potuto scoprire tutto. Che non è realmente nostra figlia, per esempio.»
Il vecchio Degon la mise a tacere perentorio: «Zitta, potrebbe tornare da un momento all’altro.»
L’uomo si alzò per andare a sbirciare dalla finestra, vicino alla porta. Scostò la bianca tendina e rimase a guardare l’oscurità per alcuni istanti.
«Ti ricordi, Degon, quando ce l’hanno portata?»
«Certo! Lo ricordo benissimo... Quel giorno pioveva forte, imperversava una bufera. Tu eri intenta a cucinare, come oggi, io invece ero nei campi con quello scansafatiche di Ferlong: stavamo portando dentro la stalla le mucche per proteggerle dalla pioggia» continuò lui.
Calime annuì e aggiunse con voce pacata: «Bussò alla porta di casa una donna. Era molto alta e aveva degli splendidi capelli castani, lucenti. Poteva avere una trentina d’anni. Sì... secondo me aveva una trentina d’anni, non di più. Indossava un mantello nero che la ricopriva tutta, ma aveva il capo scoperto, per questo ho potuto vedere i suoi splendidi capelli. In una mano portava il cesto con dentro la piccola Rosehan. Sono ati ormai sedici lunghi anni da quel giorno.»
«Eh... sì...» ammise Degon, mettendosi a sedere sulla stessa seggiola di prima e riprendendo a scolpire il piccolo pezzo di legno.
«Ricordo che quella donna mi disse di chiamarsi Alison» continuò imperterrita Calime, «e aggiunse anche che lei non era la vera madre della bambina, ma la sua nutrice. Le chiesi con insistenza il nome della vera madre, ma lei mi rispose che non voleva essere riconosciuta, che voleva rimanere nell’anonimato. È tutto quello che sappiamo di questa bambina. Un nome, un solo nome: Alison.»
Tra i due calò un mesto silenzio, rotto dal lieve borbottare della minestra che cuoceva sul camino.
Poi Degon rivolse lo sguardo alla moglie. «Secondo me ha qualche potere la ragazza.»
Lei corrugò la fronte indispettita. «Del tipo?»
L’uomo mise le mani ai fianchi udendo questa domanda e sbottò seccato: «E che ne so! Era per questo motivo che dovevamo scoprire perché ha quello strano simbolo sulla nuca. Può vuol dire tante cose… o niente» concluse sibillino.
Calime si alzò, si diresse verso il grande pentolone, poi con una consunta pezza lo tolse dal fuoco, anche se lo lasciò .
«È pronto. Che dici? Mangiamo?»
Degon tolse lo scalpellino adagiandolo in una piccola insenatura del muro dove teneva anche altri utensili, e posò il pezzo di legno appena levigato sul tavolo.
Sul pavimento giacevano scomposti i trucioli.
«Sì. È meglio non aspettarla proprio.»
Calime gli sistemò davanti un bel piatto di zuppa fumante e del succo di bacche rosse. Anche lei prese posto a tavola e si servì la gustosa pietanza.
Era una donna molto umile e dolce. Sapeva cucinare bene qualsiasi piatto con ogni ingrediente. Una brava cuoca, insomma. Per alcuni istanti rimasero nel più completo silenzio, a desinare.
Poi Calime proruppe: «Pensi anche tu a quello che sto pensando io?»
Degon alzò lo sguardo dal piatto. «Sì, certo.» E sorseggiò la zuppa. «Ma ora sono davvero stanco di parlarne. Domani con Ferlong devo legare in fasci le spighe raccolte per portarle al mulino. E questo sai cosa vuol dire?»
La donna fece di no col capo.
«Che voglio andare a letto presto» concluse secco il vecchio.
Posò sul tavolo il cucchiaio e si asciugò le labbra con il tovagliolo.
«Ho finito» sentenziò soddisfatto, poi prese il bicchiere e bevve un po’ di succo di bacche.
Si alzò e, trascinandosi sui suoi larghi piedi, si diresse verso le scale di legno. In una nicchia, sul muro, c’era un candelabro di ottone. Accese la candela e pian piano iniziò a salire i gradini, bofonchiando un “buona notte cara” che nemmeno Calime udì.
La donna si prodigò a sparecchiare la tavola. Di tanto in tanto guardava ansiosa la porta con la speranza di vedere arrivare la ragazza. Ma non c’era proprio nessuno! Così malinconicamente mise i piatti nel lavandino, prese un secchio pieno di acqua e, dopo averla gettata sulle poche stoviglie, iniziò a strofinarle con lena.
“Dire a Rosehan la verità” pensò mesta la donna. Ma subito scacciò quel terribile pensiero: poteva significare perderla. Si mise a strofinare con maggior lena. Poi versò dell’altra acqua pulita e i piatti apparvero lindi. Li tolse dal lavandino e, con una larga pezza, iniziò ad asciugarli con cura.
A un tratto sobbalzò: udì i camli tintinnare con allegria sulla porta.
Si voltò, illuminandosi, pronta ad accogliere la ragazza per mostrarle indulgenza per il ritardo, ma in breve un’ombra aleggiò sul suo volto.
C’era un uomo avvolto di tutto punto in un mantello scuro proprio sulla soglia di casa sua. Un cappuccio nero a punta gli ricopriva completamente la testa, e nascondeva così il volto: sembrava tutto bagnato. Riuscì appena a distinguere che era un uomo di mezza età.
«Chi siete? Cosa volete?» domandò Calime in preda alla paura. «Non credevo piovesse…» continuò incerta avvicinandosi con cautela al forestiero.
«Sono Fuinuir. Signora?»
«Calime» rispose la donna ormai giunta vicino allo straniero. «Posso esservi utile... in cosa?» cercò di essere il più gentile possibile.
«Cerco ristoro per una notte» disse l’uomo senza fissarla e togliendosi i guanti. «Una tormenta improvvisa mi ha colto lungo il cammino. E questa è l’unica abitazione più vicina, prima del villaggio[4].»
Calime si morse il labbro: quell’uomo aveva ragione, tuttavia le metteva addosso una certa inquietudine e non voleva essere ospitale.
Quello doveva aver compreso il suo pensiero, forse perché la donna rimaneva zitta e, quindi, disse: «Mi accontento anche di dormire nella vostra stalla.»
«Uhm… sì… certo. Vado a prendere una coperta e una lanterna signor…»
«Fuinuir» ripeté l’uomo, il cappuccio un po’ si scostò e Calime poté vedere che aveva la barba e i capelli rossicci e la pelle incredibilmente diafana.
Aprì svelta l’anta di un armadio e con altrettanta celerità prese da uno scaffale una coperta e una lampada a olio.
«Siete nuovo da queste parti?» domandò la donna, tenendolo sempre d’occhio.
«In realtà, sono in viaggio» rispose enigmatico.
Guardava la piccola scultura in legno incompleta sul tavolo. Si avvicinò per prenderla.
«No, no! Quella è di mio marito. Ci tiene tanto!» si affrettò a dire, correndogli incontro con tutta la coperta e la lanterna in mano.
«È un erech[5].»
Calime lo guardò sorpresa.
«Serve contro gli Spiriti maligni. Vostro marito li teme?» Continuò l’uomo, incurante dello stupore di Calime.
«Più che altro per i raccolti. Se viviamo è grazie alle nostre coltivazioni» ammise la donna impacciata. Stare accanto a quell’uomo all’improvviso le donava un’incredibile pace, una serenità senza uguali.
Abbassò lo sguardo e quando lo rialzò vide negli occhi del forestiero una strana luce azzurra. Balenò per alcuni istanti. Si sbalordì di un simile prodigio e, quindi, si affrettò a chiedere un po’ spaventata e dubbiosa: «Siete un mago?»
L’uomo la scrutò per alcuni istanti, aveva uno sguardo pacifico. «Dipende.» Poi annusò l’aria e commentò: «Uhm… sento che avete cucinato qualcosa di buono. Vi va di offrirmene, non ho mangiato e gradirei tanto la vostra zuppa.»
La donna si affrettò a posare la coperta e la lanterna su una sedia lì vicino, sembrava che la richiesta dello straniero avesse fatto leva sul suo lato materno in qualche modo. Così prese dalla dispensa un piatto, un bicchiere e un tozzo di pane nero. Li dispose sul tavolo e poi riempì alla svelta il bicchiere di succo di bacche. Con un mestolo, infine, prese un po’ della zuppa e la versò con amorevole cura nel piatto.
Il forestiero si sedette senza togliersi né il mantello né il cappuccio. Calime notò le sue mani bianchissime e un senso di affetto le pervase il cuore.
Fuinuir prese il cucchiaio e di nuovo nei suoi occhi baluginò una luce azzurra. Portò alla bocca il primo boccone, dicendo sottovoce una parola che Calime non comprese.
«È buono? Vi piace?» domandò accorata.
«Sì. Ottimo!»
Mangiò in silenzio la minestra, mentre la donna lo osservava.
«Mi avete detto che siete in viaggio. Cercate qualcosa o qualcuno in particolare?»
«Cerco la casa di Endacil.»
Calime rimase stupita e, allo stesso tempo, preoccupata.
«Endancil di Degon o Endacil di Adanhel?»
Il mago aveva finito di mangiare e rispose secco: «Di Degon.»
Al che Calime ebbe un sussulto. Di nuovo gli occhi del mago brillarono di quella strana luce azzurrina.
La donna intimorita deglutì a fatica e con un filo di voce disse: «È questa!»
«Lo so.» Ribatté con semplicità Fuinuir. «Sapete chi sono io?»
La donna scosse la testa in segno di diniego.
«Io uccido le Tenebre» proferì con una voce spaventosa. «Sono Fuinuir, l’Uccisore delle Tenebre.»
«Cosa cercate in casa mia?» si risolse a dire piena di paura Calime per quella nuova rivelazione. «Qui non ci sono le Tenebre.» Stava per mettersi a piangere, quando lo sguardo calmissimo del suo interlocutore quasi bloccò le sue lacrime.
«Non temete, non è voi che cerco» la rincuorò posandole una mano sul braccio, ma la donna tremava, sembrava non aver udito le parole rassicuranti dell’uomo.
«Ah, no? Allora, chi?» chiese pallidissima.
Il mago fece tintinnare i camli sopra la porta.
Calime guardò interrogativa l’uscio. Ci mise alcuni secondi prima di comprendere che cosa stava cercando il mago.
Guardò col viso ancora più pallido l’uomo e poi, come presa dalle convulsioni, balbettò sudando: «No… no… no… Rosehan… lei no… no!»
«Ah! È così che si chiama la ragazza: Rosehan. E ditemi è forse giunta nella vostra casa grazie a una donna di nome Alison?»
A Calime tremarono le labbra e rimase nel più completo silenzio a fissarlo.
«Rispondete!» la sollecitò con rabbia Fuinuir.
«S-ì» balbettò incerta la donna.
«Non volete dirmi altro?»
«Cosa... che cosa dovrei dirvi ancora?» domandò incerta Calime.
«Quella donna vi ha detto qualcosa riguardo il futuro della bambina?»
Calime scosse la testa in segno di diniego e aggiunse: «Nulla! Non mi ha nemmeno voluto rivelare il nome della madre, nonostante l’abbia chiesto con grande insistenza. A stento mi ha detto il suo...»
«Bene! Posso dirvelo io il vero nome di sua madre.»
A quelle parole la donna sussultò.
«Davvero?»
«Si chiama Karen. È un’Incantatrice.»
Calime guardò stupita per un attimo un punto indecifrato della stanza.
«Ma ne siete sicuro?»
«Certamente.»
«Perché ha abbandonato Rosehan?»
«Non posso dirvi altro...»
Calime sbatté due volte le palpebre, incredula.
Mentre Fuinuir si alzava di scatto dalla seggiola e, avvicinatosi a lei, la afferrava per le braccia, stringendogliele forte: «E ora ditemi dov’è?» chiese in tono perentorio.
Finalmente Calime poté vederlo in viso: era bianchissimo e aveva gli occhi di un azzurro intenso. Il suo sguardo la dilaniava, si sentiva male guardandolo.
«Non guardatemi, stupida!» gli ordinò.
Calime voltò la faccia dall’altro lato e si mise a lacrimare un poco: «Non lo so, non so dove va quella ragazza. Mi spiace» ma sentì la sua voce come provenire da una tempesta di pioggia.
«Cos’è accaduto? perché la cercate? cosa ha fatto? è una fanciulla indifesa!» protestò la donna, ma la sua voce si sentiva come sotto lo scroscio dell’acqua. «Lasciatemi, ve ne prego.»
Un soave tintinnare di camli interruppe quasi la scena. La porta si aprì e proprio sulla soglia comparve una ragazza di sedici anni. Era scalza e indossava una gonna blu, ampia, una camicetta bianca e un corpetto nero: le stringhe del corpetto sottolineavano l’acerbo corpo. Aveva i capelli rossi, lunghi, ricci soltanto alle punte, tutti arruffati; gli occhi azzurri e una pelle diafana. Il piccolo viso era coperto da una miriade di efelidi. Portava con sé un coniglietto, forse ferito, perché la camicia era sporca di sangue.
«Scusa per il ritardo, mamma» esordì la ragazza entrando in casa, «ma ho trovato questo batuffolo ferito e ho voluto soccorrerlo.» Però non continuò a parlare, perché comprese che qualcosa di insolito stava accadendo: vide sua madre, tutta bagnata, e uno strano tizio dal mantello nero che la stringeva.
«Voi chi siete?» chiese corrucciata, indietreggiando.
Il mago lasciò delicatamente la stretta e si avvicinò piano alla ragazzina. Più che camminare però sembrava scivolare sul pavimento.
I suoi occhi lampeggiarono.
«Un amico, cara» disse tranquillizzandola.
Rosehan, turbata, lo fissò con curiosità.
«Non sapevo avessimo ospiti a cena, sarei di certo venuta prima» dichiarò incerta la ragazzina.
«Tu sei Rosehan, non è vero? So che ami molto la natura.»
Rosehan guardò il tavolo e vide il piatto, il bicchiere e il tozzo di pane nero sbriciolato.
«So a che cosa stai pensando» continuò imperterrito il mago, accarezzando il coniglietto che aveva tra le braccia, ma la ragazza si ritrasse.
«No, non toccatelo. È ferito.»
«Ferito? Per me sta benissimo!»
Rosehan sentì che il coniglietto cercava in tutti i modi di divincolarsi. Cercò di trattenerlo, ma invano. L’animaletto riuscì a trovare una fessura tra le sue magre braccia e sgattaiolò senza tanti complimenti andandosi a rifugiare sotto il tavolo.
«L’avete guarito!» esclamò meravigliata la ragazza.
«Certo.»
«Siete una mago?» chiese un po’ preoccupata Rosehan.
«Sì.»
La ragazza guardava contenta il piccolo coniglio nascosto ora sotto il tavolo.
«Vivrà?»
«Certo» rispose suadente Fuinuir.
«Chi siete?»
«Diciamo che non è importante chi io sia, ma perché sono qui.»
«Perché siete qui?» chiese risoluta la ragazza.
«Perché non ti siedi, così te lo racconto.»
Gli lanciò un’occhiataccia: Rosehan non accettava che le venisse detto cosa doveva fare, non prendeva ordini da nessuno, meno che mai da uno straniero.
Il mago inarcò un sopracciglio in chiaro segno di disappunto, poté scorgerlo però solo Calime.
«Piccina, forse è meglio se fai quello che ti consiglia il signore» le suggerì con voce tremante la madre.
Rosehan si volse verso quel mantello nero, e più risoluta che mai dichiarò: «Io non parlo con chi non mi mostra il suo volto!»
Calime sussultò e rimase in attesa della reazione del mago, che non tardò ad arrivare.
«Stupida! Non puoi vedermi!» rispose quello con una voce spaventosa.
«Allora, non se ne fa niente» concluse la ragazzina incrociando le esili braccia sul petto. «Il suo volto, la mia attenzione.»
«Cara, forse non hai capito: è un mago e può liberamente farci del male» disse infine Calime.
«E cosa può farmi? trasformarmi in un animale? in un brutto rospo? Non ho paura, mago, dei vostri incantesimi!»
«Lo so che cosa temi» rispose l’uomo alle provocazioni della ragazza. «Ed è molto doloroso quello che ti fa paura. Perciò siediti e ascolta.»
«No, tu non sai niente di me!» ribatté presuntuosa ando al tu.
«Ah, no?»
Udì dall’alto provenire un urlo atroce. La ragazza sgranò gli occhi.
«Sai a chi appartiene questo grido?»
Rosehan annuì amareggiata.
«A tuo padre. Se vuoi che non gli faccia altro male, siediti e ascolta. Ma prima… sposta i tuoi capelli, devo vedere una cosa.»
Calime si voleva interporre per impedire al mago di vedere il simbolo, ma non vi riuscì, rimase come bloccata nel suo angolo, singhiozzante.
Fuinuir si avvicinò alla ragazza, la quale aveva scostato i suoi morbidi capelli rossi da un lato. Vide il simbolo: un cerchio smile a uno scudo traato da una spada da cui fuoriusciva un pentacolo che sembrava un drago.
«Oh!» fu l’unica cosa che si udì nel silenzio della stanza. Il mago era sconvolto.
«Beh… l’ho da quando sono nata. Ma nessuno, qui nel villaggio, è riuscito a decifrare mai questo simbolo.»
«Sei tu, sei l’Eletta. La profezia di Duinuhir era corretta, allora.»
Rosehan coprì il simbolo con la sua folta chioma arruffata.
«Sai cosa vuol dire?» lo fissò interrogativa, ponendosi a sedere.
Il mago le andò vicino e le mostrò una spilla. La ragazza la prese tra le mani: riproduceva fedelmente il simbolo che aveva disegnato sulla nuca. Anzi, grazie alle piccole pietre preziose incastonate, i particolari erano ancora più dettagliati.
«Cosa vuol dire?» chiese prendendola tra le mani e rigirandola.
«È tua» fece suadente il mago.
La ragazza corrugò la fronte incredula e con una smorfia ribadì beffarda: «Non credo però che tu sia venuto solo per questa» e alzò la spilla in alto per guardarla meglio alla luce delle candele.
«No, hai ragione. Ma il significato della tua vita sta proprio in questi tre simboli che sono rappresentati sulla tua pelle.»
«Una spada, uno scudo e un drago?» domandò con arguzia Rosehan.
«Sì, è come se fosse una frase codificata. La spada che vedi rappresentata nel simbolo della spilla e, quindi, in quello dietro la schiena è quella di Shanas. Lo scudo che la trafigge è la potenza di questa spada. E il drago è l’animale dal quale trarrai una simile potenza.»
Rosehan guardò stupita prima la madre, poi il mago: non riusciva a capire bene il discorso di quello strano uomo.
Poi, una luce, le brillò negli occhi e così sbottò tutta arrabbiata: «Un momento: io non uso le armi, e non combatto. Cosa vuol dire questa storia, allora?»
Fuinuir tacque per alcuni istanti, prima di dire: «È il motivo per il quale sono qui, al tuo cospetto, Rosehan.»
La ragazza incrociò di nuovo le braccia sul petto: era scettica riguardo alle rivelazioni del mago. Ma lo vide estrarre dalla tunica qualcosa che subitamente la sorprese: una fulgida spada con l’elsa magistralmente scolpita e intarsiata con
ogni tipo di pietra preziosa.
«Questa è la spada di Shanas» e gliela porse.
La ragazza si ritrasse e in tono aspro inveì: «Sei sordo mago? Io non combatto? Non uccido nessuno, capito?»
«Ma non è per te» si affrettò a spiegare Fuinuir.
«Ah, no? E allora perché me la stai porgendo?»
«Ai confini, tra il regno Luna di vetro e Colori di pietra, si sta combattendo la Grande Battaglia. I nostri uomini si stanno dirigendo sul fronte. Fra di essi c’è un valoroso guerriero, Aegnor, figlio di Kamen, che si appresta a rispondere alla chiamata. Il tuo compito è portargli la spada.»
«Ah, no! Non ho alcuna intenzione di prendere ordini da nessuno, meno che mai da un anonimo mago capitato per caso nella mia brughiera.»
«Il carattere, quello del simbolo, è questo quello che ti rende così ribelle» commentò aspro Fuinuir. «Non sono un mago qualunque, sono l’Uccisore delle Tenebre.»
Rosehan lo guardò di stucco: «E chi è l’Uccisore delle Tenebre? Non conosco alcun mago con questo epiteto. Se sei tanto potente come dici perché non la porti
tu al guerriero, allora? Hai la magia, di certo per te basterà schioccare le dita per fargliela giungere tra le mani…»
«Sciocca ragazzina!» la rimproverò duramente. «Credi sia così facile? La spada di Shanas ha incredibili poteri, chiunque la brama. Se la portassi io, la noterebbero. Nessuno si aspetta che una semplice ragazzina possa averla con sé! E poi tu sei l’Eletta!»
«Ah, no? E come l’hai portata fin qui, allora?» chiese pungente Rosehan.
«Non sono qui, mi nasconde la tempesta, sciocca!» tuonò Fuinuir. «Infatti, non posso restare ancora molto tempo.»
«Con un incantesimo» commentò a voce alta Rosehan comprendendo tutto.
La spada, nel frattempo, brillava di luce propria sul tavolo.
«E, quindi, cosa dovrei fare? Perché proprio io?» chiese con un filo di voce che non tradiva affatto il suo dispiacere.
«Il tuo compito, come ti ho detto poco fa, sarà portare la spada al guerriero Aegnor a Weengran[6], lungo il fiume Athineild.»
«Hai detto che la spada di Shanas è molto ambita, come farò allora a proteggermi se qualcuno mi attaccherà?»
Il mago estrasse dalla sua ampia manica un cerchietto in ferro, al centro aveva un piccolo zaffiro blu.
«Questo diadema ti proteggerà lungo il tuo viaggio» e lo posò accanto alla spada.
«E se io non volessi…» disse Rosehan con un soffio di voce. «Se non accettassi… mamma tu cosa ne pensi?» Si volse verso Calime, ma rimase stupita nel non vederla.
«Mamma?» la chiamò atterrita guardandosi attorno alla ricerca della madre, ma sembrava che nella stanza non ci fosse nessuno oltre a lei e Fuinuir.
Lo guardò sbigottita: «Che cosa le hai fatto?» gridò esasperata.
«Rosehan, devi partire. Le sorti della guerra ormai dipendono esclusivamente da te.»
Il mago si appoggiava ora su di un lungo bastone di legno, apparso dal nulla.
«No» protestò angosciata. «Non voglio!»
«Sapevo che ti saresti opposta, per questo ho fatto un incantesimo: ho reso
prigionieri i tuoi genitori, le persone a cui tieni di più al mondo. Saranno liberi quando Aegnor sfiorerà l’elsa della spada.»
«Non puoi farmi questo! Che male ti ho fatto? Perché proprio io?» si lamentò la ragazza alzandosi e mettendo le mani tra i capelli per la disperazione.
Si mise a camminare su e giù per la stanza con nervosismo, mentre il mago, imibile, la guardava.
«E… allora, che mi dici?» osò chiederle con una voce profonda qualche istante dopo.
La ragazza si arrestò di colpo e lo guardò furiosa. «Che dico? Tu mi stai obbligando a fare qualcosa che non voglio fare! Come credi che mi senta?»
«Male?» rispose ovvio Fuinuir.
«Sì, male» rimarcò aspra Rosehan. «Non puoi piombare a casa mia e pretendere così di punto in bianco che io accetti questa assurda missione. A me cosa importa della guerra? Sono una semplice ragazza. Cosa me ne importa delle sorti della battaglia: che vinca il migliore, no? Sono sempre stata contraria a ogni forma di violenza, perché sono sempre vissuta libera…»
«Ma tu hai un dono» la interruppe l’altro, «e non va assolutamente sprecato!»
«E qual è?» chiese indispettita, mettendosi le mani ai fianchi.
«Non posso svelare il tuo segreto, rischieresti di mandare a monte la tua missione. Sai, a volte è meglio non sapere che sapere, perché se sai è più difficile tenere nascosto un segreto.»
«È il simbolo che ho sulla nuca, non è vero? Ti stai riferendo proprio a quello, eh?» incalzò sempre più stizzita.
«Sì. È un privilegio che tu lo possieda. Non posso aggiungere altro, però» concluse secco il mago.
Ci fu silenzio. Rosehan sentì montare la rabbia, aveva gli occhi umidi: tutto quello che le stava accadendo era solo una grandissima ingiustizia.
«C’è qualcosa che devi sapere riguardo al diadema che ti ho dato come protezione da eventuali attacchi. Ti dirò subito una cosa: non è semplice da usare per questo è importante che tu trovi Aerandir, un mago eremita delle colline di Clamtan[7]. Sicuramente, lui saprà illustrarti come usarlo al meglio.» Si voltò e claudicante si avviò verso la porta. «Comunque, non ti preoccupare» continuò ormai giunto all’uscio. «Ti proteggerà ugualmente anche se non sai come usarlo, in qualche modo... almeno... lo spero...»
La porta si spalancò all’improvviso. Un forte vento entrò nella stanza: foglie, rami, acqua e altri detriti si scatenarono attorno alla ragazza: un’autentica tempesta.
Rosehan fu costretta a inginocchiarsi per resistere alla forza del vento. Le luci si spensero e, quando tutto si fu calmato, Rosehan rimase sola, al buio. La porta spalancata, lei in ginocchio, le sedie a terra in disordine. Dalla porta aperta la luna illuminò l’ingresso in modo spettrale.
Capitolo secondo
Rosehan parla con Felagund
Quella sera Rosehan non riuscì proprio ad addormentarsi. Il fatto che i suoi genitori fossero prigionieri di Fuinuir, la storia della spada, il diadema, la spilla… pensò che doveva essere per forza un incubo e, quindi, presto si sarebbe ridestata. Poi però il sonno la vinse.
Il canto insistente del gallo e un raggio di sole che filtrava dalla tenda della finestra accolsero il suo risveglio mattutino. Ci mise qualche istante a capire che era distesa nel suo letto, in camera sua. Della sera ata non riaffiorò nulla. Si stiracchiò, e si stropicciò gli occhi. Poi scese ancora scalza i gradini che conducevano alla sala da pranzo. In verità era andata a dormire vestita e non si meravigliò quindi, quando si ò la mano nella rossa capigliatura, di trovare tra i capelli qualche foglia secca. All’improvviso avvertì una forte fitta allo stomaco. Aveva appetito? Questo un po’ la straniò: come mai non aveva cenato la sera precedente? La risposta giunse rapida come un fulmine a ciel sereno: la porta spalancata, il disordine nella stanza, i piatti ancora sporchi sul tavolo, la luccicante spada con il diadema e la spilla le diedero conferma che tutto quello che era accaduto la sera prima non l’aveva affatto sognato, ma era pura realtà.
Un senso di inquietudine si impadronì, allora, della povera ragazza. Se era vero tutto quello che aveva visto, era anche vero che i suoi genitori non c’erano più. Così si precipitò subito nella loro stanza. Il letto dove aveva giaciuto il padre era in disordine. Forse il vecchio, nel momento in cui il mago l’aveva rapito, ancora dormiva. Corse giù di nuovo nella sala da pranzo: il grembiule di Calime giaceva nell’angolo proprio dove aveva visto per l’ultima volta sua madre.
Il mago, dunque, non aveva scherzato: li aveva rapiti e imprigionati sul serio. Rosehan si inginocchiò e strinse il grembiule tra le mani, calde lacrime iniziarono a scenderle, a rigarle il pallido visino: era rimasta sola al mondo, dunque?
«Signor Degon!» udì da fuori una voce di ragazzo chiamare: era Ferlong venuto per aiutare suo padre a lavorare nei campi.
Entrò, vide Rosehan inginocchiata e in lacrime abbracciare il grembiule della madre.
«Rosehan, cosa è accaduto?» chiese avvicinandosi alla ragazza e cingendole le spalle.
Lei lo scacciò seccata.
«Va’ via!» gli intimò. «Non ti riguarda.»
Ferlong si guardò attorno e notò il disordine nella stanza.
«Sono forse venuti dei ladri?» domandò rialzandosi e aggiustandosi il cappellaccio di paglia. «Il signor Degon ieri presagiva qualcosa di brutto, me lo diceva mentre zappettavamo le aiuole. Era meglio se dormivo qui con voi, avrei cercato di proteggervi, in qualche modo.»
Rosehan pensò che era opportuno non raccontare a Ferlong l’accaduto. Se l’avesse fatto, tutto il villaggio di Noormit sarebbe entrato in allarme perché si sarebbe subito sparsa la voce, si sarebbe creato dell’ingiustificato panico e la gente, di certo, avrebbe abbandonato il villaggio per andare a vivere chissà in quale altra parte del GranRegno.
«In realtà, non è come pensi» iniziò a mentire la ragazza, alzandosi e asciugandosi le lacrime. «Ho litigato con loro e si sono arrabbiati così tanto da andarsene.»
Ferlong si bevve la bugia: conosceva il caratteraccio indomabile di Rosehan, e trovava plausibile che, alla fine, anche i suoi genitori non l’avessero sopportata più.
«E dove sono andati?»
Rosehan guardò verso la finestra e disse a caso: «A Kirkwood[8], da mio zio. Erano talmente infuriati, che hanno lasciato di gran carriera la casa ieri sera.»
«Ah!» fu l’unico commento del ragazzo.
Prese una seggiola e si sedette. Vide la fulgida spada, la spilla e il diadema posati sul tavolo.
«E questi? Cosa sono?»
Rosehan sudò freddo: non aveva pensato a nascondere i doni del mago, e nemmeno a una spiegazione plausibile. Così incerta spiegò: «Ehm… la causa del nostro litigio, naturalmente.» Giocherellò vezzosa con una ciocca della sua rossa capigliatura.
«Vuoi imparare a usare la spada?» fece Ferlong toccando la punta, ma Rosehan si affrettò a prenderla e a nasconderla dietro le spalle. «No, no… non puoi toccarla. Sì… certo… voglio imparare a usarla, ma loro, loro erano contrarissimi.» Deglutì sperando che anche questa volta le credesse.
«Uhm… capisco. Ma la spilla e il cerchietto?»
«Me li hanno regalati» si affrettò a dire.
«Non capisco, chi?»
«Ferlong, non pensi di fare troppe domande? Sei solo un domestico in questa casa» rispose pungente Rosehan.
Il ragazzo si irritò a quella affermazione e si mise in piedi di scatto.
«Sei sempre la solita, Rosehan. Sempre con quell’aria altezzosa. Da bambini giocavamo insieme, non ricordi?» proruppe con una punta di rabbia. «O mi vedi solo come un animale da soma? Bravo a spostare i trattori e a stare chino sulla terra per strappare le erbacce?»
Rosehan fece una smorfia, trattenne un sorrisetto beffardo. In effetti, era quello che pensava del ragazzo. Però si morse il labbro inferiore per trattenersi.
«Beh… vedi.... un po’ rozzo certo lo sei. Quando si entra in una stanza e in presenza di una signora poi, in genere, ci si toglie il cappello.»
L’intento di Rosehan era proprio quello di sviare il discorso della spilla e del diadema per non trovare ulteriori giustificazioni, anche perché non ne aveva.
«Ah! Ha parlato la grande signora. Anche tu sei una contadina, quindi sei simile a me!» protestò Ferlong.
Rosehan strinse la bocca, come per farsi beffe del ragazzo, nel frattempo indietreggiava. Voleva far cadere nel camino spento la spada, per liberare così le mani.
«Sì… ma io un giorno sposerò un principe e sarò ricca» continuò spavalda.
«Principe? Vedi forse qualche principe in questo villaggio?»
Rosehan raggiunse, indietreggiando, il camino – per fortuna il pentolone era stato spostato dalla madre – e quindi fece scivolare la spada lì. Il carbone spento l’avrebbe momentaneamente nascosta. Almeno così le venne in mente.
«Cosa ne sai? Magari un viandante a da queste parti, chiede ristoro nella mia casa e si scopre in realtà che è un bellissimo principe…» continuò ironica Rosehan.
“Speriamo se ne vada” pensò preoccupata. “Non so più cosa inventarmi!”
«Tu pensi proprio questo?» fece Ferlong balbettando per la stizza. «Sono stupide fantasticherie di una sciocca ragazzina. Non trovano alcun fondamento!»
L’atteggiamento di Ferlong iniziava a colpirla. Così tenendo lo sguardo fisso in un angolo del camino domandò: «Come mai ti fa tanta rabbia?» ma si morse la lingua per aver posto quella domanda: preludeva certamente a una brusca risposta che non tardò ad arrivare.
Il ragazzo l’afferrò per le braccia e le confidò senza tanti complimenti: «Ma non lo capisci? Io ti amo!»
Voleva baciarla in bocca, ma lei si dimenò dalla ferrea stretta.
«Finiscila! Non mi piace questo tuo scherzo.»
Si sentiva alquanto turbata. Si avvicinò alla finestra, scostò la tendina per guardare fuori: le galline beccavano qua e là il mangime che c’era per terra, evidentemente Ferlong aveva provveduto a darglielo. La cagnolina riposava placida in un angolo, mentre Feo, il gatto, si stiracchiava sonnacchioso.
«Va’ a lavorare!» gli ordinò perentoria.
Ma si sentì cingere la vita dalle sue nerborute braccia. «Non prendo ordini da te» proferì sprezzante il ragazzo. E scostò un po’ la folta chioma per baciarle il collo con tenerezza. Quando le labbra stavano quasi per sfiorarlo, si ritrasse spaventato.
Rosehan si voltò e lo guardò stupita.
«Cos’hai?» gli chiese.
«Ho visto, ho visto…» balbettò.
«Hai visto?» Ripeté incalzante la ragazza. «Cosa hai visto, allora? Parla!»
«È venuto un potente mago qui. L’Uccisore delle Tenebre.»
Rosehan si sorprese e cercò di sminuire l’accaduto.
«Ti stai sbagliando. Forse ti sei ubriacato ieri sera con quello stupido di Caleborn e la sbronza non ti è ancora ata.»
«No,» rispose turbato Ferlong. «Ho visto tutto: tu mi hai mentito!»
Rosehan non sapeva se sentirsi offesa per essere stata smascherata, oppure perché comunque quel sempliciotto di Ferlong sapeva tutto. E poi come aveva fatto?
«È semplice» udì una voce profonda che non ebbe difficoltà a riconoscere subito come quella di Fuinuir. «Il ragazzo è un Messo di un Profeta.»
Rosehan vide in un angolo della stanza il mago fluttuare nell’aria, sembrava fosse seduto su un invisibile sgabello.
«Non può vedermi. Non temere. L’ho bloccato con la mia magia. Ti avevo avvertita che saresti stata subito sotto il tiro dei tuoi nemici, o meglio di chi brama avere la spada.»
«Cos’è un Messo di un Profeta?»
«Colui che parla in luogo di un altro» rispose secco.
«Una spia? Ma come ha fatto…»
«…a sapere del nostro incontro? Il simbolo che hai sulla nuca. È come un occhio che svela ai maghi, alle streghe, agli stregoni, a chiunque sia dotato di magia insomma, tutto su di te. Per questo devi cercare di tenerlo coperto.»
Rosehan guardò il ragazzo, lo vide immobile, col viso sgomento.
«Quando si potrà muovere ricorderà solo le tue bugie. Complimenti, ora capisco la scaltrezza delle donne.»
«Ma tu perché mi sei riapparso?»
Il mago non rispose alla domanda, piuttosto indicò la coroncina sul tavolo.
«Te l’ho data perché ti proteggesse.»
«E la spilla? Perché me l’hai lasciata?»
«È una sorta di tappo per il tuo simbolo. Se la indossi, e ti consiglio di indossarla, impedisce a chi ha poteri magici di scoprire quello che vedi. Ehm… stai attenta anche a dove nascondi la spada.»
«Perché?» chiese Rosehan, guardando ansiosa verso il camino. Iniziò a preoccuparsi e a cercarla tra la cenere: non c’era più!
«Dov’è finita? L’avevo messa proprio qui!»
Poco dopo la vide fluttuare nell’aria davanti ai suoi occhi.
«L’ho salvata io. Non metterla mai in luoghi dove c’è, o c’è stato, il fuoco, nemmeno vicino. La spada trae potere dalla fiamma del drago. La stavi rendendo ancora più evidente.»
«Oh! Vedrò di starci più attenta» disse seccata. «C’è altro che devo sapere?»
«Sì, Ferlong si sta svegliando.»
«Cosa?»
Vide il ragazzo muoversi.
«Beh… Rosehan, se la pensi così, faccio anch’io come i tuoi genitori: me ne vado. Se ritornano, di’ loro di cercarsi un altro aiuto. Non torno più.»
Vide il ragazzo andarsene via con o svelto.
«Wow! Fenomenale!» fu il commento della ragazza, dopo che si fu allontanato.
Poi, con celerità, prese il diadema, la spilla, la spada e corse in camera per cercare un buon nascondiglio, nel caso fosse arrivato qualcun altro. Provò sopra l’armadio, sotto il letto, sotto le coperte: non le andava a genio nulla!
«Oh! Accipicchia! Ovunque nasconda questa spada, si nota. È davvero enorme!» strinse l’elsa e vide che la lama brillava nemmeno fosse stata d’oro.
«Oh!» esclamò meravigliata. «Che bella! Non mi stupisco che tutti la vogliano.»
A un tratto le balenò un’idea: perché non parlarne con lo Stregone della Caverna, con Felagund? Forse lui avrebbe potuto aiutarla. Fece un fagotto delle tre cose, se le caricò in spalla e correndo si diresse verso la vicina montagna. Il cielo appariva nuvoloso e grigio. Le dense nubi non lasciavano filtrare alcun raggio di sole. Vista da lontano, Rosehan sembrava un piccolo puntino che correva di malagrazia portando con sé qualcosa di grigio.
Rosehan percorse tutta la collina nemmeno fosse stata inseguita da qualcuno, con una rapidità senza uguali. E giunse di fronte alla caverna con il fiatone. Appena si fu ripresa, chiamò Felagund.
Il vecchio e grasso stregone venne con estrema lentezza ad aprirle, spostando le due grandi pietre che ostruivano l’entrata.
«Devo ricordarmi di inserire un congegno un po’ più comodo, spostare queste pietre mi dà complicazioni alla schiena. Ahiahaihahai!» bofonchiò.
«Hai corso come il vento, ragazzina» esordì non appena la vide. «E il vento ti ha fatto visita, a quanto pare» continuò togliendo dai rossi capelli della ragazza una foglia di trifoglio. «Questa è magia, o sbaglio?»
Rosehan entrò trascinando dietro di sé il sacco.
«No, non sbagli. Ieri sera è venuto a trovarmi Fuinuir, l’Uccisore delle tenebre.»
Felagund chiuse con le due grandi pietre l’ingresso, così che Rosehan e lui rimasero nella penombra, alla luce delle candele.
Rosehan si guardò attorno spaventata.
«Spegnile subito» il suo tono era decisamente concitato, perentorio.
«Ti sei ammattita? Così rimarremo al buio!»
«Guarda» disse la ragazza aprendo il fagotto: la spada era avvolta dalle fiamme.
«Oh! Ma guarda, hai la famosa spada di Shanas…» si chinò per guardarla meglio, stringendo tra le dita la montatura dei suoi occhialini. «Oh, perbacco: è bellissima! Ma dove l’hai presa?»
«Te l’ho detto, me l’ha data Fuinuir.»
Lo stregone si sedette sullo sgabellino, che a stento conteneva la sua immensa mole. La tunica marrone logora che indossava sembrava però contenere con calma l’eccesso, forse perché lo stanco tessuto aveva ceduto alla nuova forma che quel fisico così corpulento gli aveva dato.
«Raccontami tutto, cara» disse con dolcezza l’omone.
Intinse nel calamaio la penna e iniziò a scrivere sul Grande Libro che aveva di fronte.
«Ieri sera facevo il mio solito giro per i campi, ma mi sono attardata: una volpe aveva addentato un dolce coniglietto. L’ho raccolto per portarlo a casa e guarirlo…»
«Sì, sì… questi particolari non mi interessano» la interruppe lo stregone per farla arrivare subito al dunque.
«A casa ho trovato il mago, stava stringendo mia madre tra le braccia…»
«L’abbracciava?» chiese stupito, smettendo di colpo di scrivere.
«No! Che c’entra!» protestò la ragazza. «Ma devi scrivere proprio tutto quello che ti dico?»
«Eh, sì piccola cara: sono gli Annali del villaggio. È il mio lavoro. Ma non
curarti. Dunque, mi stavi dicendo che il mago teneva ferma tua madre dalle braccia. Giusto? Forse mi volevi dire questo?» sorrise mostrando la chiostra gialla di denti.
«Sì. La stava minacciando. Forse voleva farsi dire dove ero. Appena sono arrivata mi ha detto chi era e cosa dovevo fare.»
Felagund smise di scrivere, il suo occhio storto fissò per alcuni istanti le spoglie pareti della caverna, sembrava perso nel vuoto.
«Felagund?» lo chiamò Rosehan.
«Uhm… sì… e che cosa ha detto che dovevi fare?» domandò grattandosi il grosso capo ricciuto con l’estremità non appuntita della stilo.
«Mi ha dato la spada, mi ha detto che devo portarla a un guerriero che si chiama Aegnor, che combatterà la Grande Battaglia, che sono io l’Eletta perché ho il simbolo tatuato sulla nuca, mi ha dato il diadema e anche la spilla che serve da tappo al mio simbolo…» disse tutto d’un fiato la ragazza.
«Ehi, calma, calma. Una cosa alla volta. Il mago ti ha spiegato il simbolo?»
«Beh… non proprio. Mi ha detto che è una frase in codice.»
«Uhm… tipo?» chiese mentre scriveva con la sua bella grafia sul libro.
«La spada simboleggia quella di Shanas, colpirà lo scudo perché… perché traggo la mia forza dal fuoco del drago. Oh! Non ricordo! Deve essere una cosa del genere…»
«Interessante. E la storia della spilla?» la prese in mano e la annusò. «Cosa vuol dire che è un tappo?»
«Mi ha detto che chiunque, dotato di magia, può vedere che cosa mi accade.»
Il grasso stregone scosse la testa, mentre affermava: «Ma io non ho visto niente, come mai?»
«Tu non conoscevi nemmeno l’origine di questo tatuaggio…»
«Già. Però giorni fa sono andato a Tara[9].»
«Eh?»
Lo stregone posò la penna sul tavolo, prese un antico libro dallo scaffale.
«Mi sono fatto prestare dal bibliotecario un tomo, in cui per l’appunto si parla di simboli.»
Aprì il volume, sfogliò alcune pagine ingiallite dal tempo e finalmente trovò quella che cercava. Porse quindi il libro aperto a Rosehan.
«La riconosci?» domandò mostrando un’illustrazione.
Rosehan guardò e stupita ammise: «È la mia spilla, cioè il mio simbolo.»
«Già. È proprio come pensavo…» alluse sibillino Felagund.
«Cosa?»
«Questa è la spilla di Tara. La leggenda racconta che fu donata agli abitanti di questa città dal Popolo dei Dana. A quanto sembra ha il potere di proteggere e veniva ata di re in re.»
«Quindi?»
«Beh… quindi… il fatto che ti è stata impressa sulla nuca conferma che sei l’Eletta, l’unica in grado di proteggere il GranRegno dalle forze oscure.»
«Sì, ma perché mi ha donato la spilla?»
«Fregiarti di una simile insegna ti proteggerà dalle forze oscure, credo» ribadì poco convinto lo stregone.
«In ogni caso, non puoi tenerla» concluse, chiudendo di colpo il voluminoso tomo, che fece alzare nell’aria una nuvoletta di polvere.
«Come?»
«Dovrai restituirla al popolo di Tara. È un tuo dovere.»
«Ma il mago mi ha detto che posso tenerla!» protestò debolmente Rosehan.
«Lo so, ma sai cosa accadrà se si sa che l’hai presa tu?»
«Io non l’ho presa, me l’hanno data!»
«Oh! Sì… certo… e chi vuoi che ti creda?»
«Non so… tu?» fece saccente Rosehan.
«Rosehan, piccina, la spilla appartiene al popolo di Tara. Mi spiace per questo tragico inconveniente, ma dovrai portarla lì se non vuoi morire.»
«Morire?»
«Già. C’è una grossa taglia sul ladro. E francamente non vorrei proprio trovarmi in questo momento nei tuoi panni.»
«Sono ricercata?» fece ansiosa la ragazza. «Ma io non ho fatto nulla!»
«Stai tranquilla, hai fatto bene a venire da me. Un modo lo troveremo per tirarti fuori dagli impicci. Intanto, segui i miei consigli. Mettiti in viaggio, come ti ha detto il mago. Indossa abiti che diano meno nell’occhio, che so… dei pantaloni, una casacca e legati i capelli in una treccia. E avvolgi la spada attorno a questo fodero – lo prese dallo scaffale – è fatto con pelle di bisonte e argento del fiume Rolder, così quando sarai vicino al fuoco, la spada non brillerà e non ti farai notare.»
«E il diadema?»
«Mettilo in testa! Cosa vuoi da me? Ti darà anzi un’aria regale. Il mago, quel Fuinuir, non ti ha detto nulla a riguardo?»
«Sì. Aerandir, un mago eremita delle colline di Clamtan può insegnarmi a usarlo. Ma non so dov’è.»
«Uhm… capisco. Prendi questa. Credo che possa tornarti utile.»
Le porse una mappa del GranRegno.
«È di un famoso cartografo del regno de La sabbia delle streghe, un certo Rajkot, l’ho comprata da uno che rivendeva gli oggetti di guerra insieme al pregiato fodero della spada. Sai, dopo la IV scissione molte case sono state saccheggiate. Scommetto che gli eredi la staranno cercando. Quanto alla spilla, tienila in questa – prese una borraccia – qui metti dentro l’acqua, qui sotto invece la spilla: nessuno sospetterà che la nascondi sul fondo. È stata trovata ne Il deserto della solitudine qualcuno l’aveva abbandonata[10]… e io ho creato questo secondo fondo per nascondere le cose. Mi è stata molto utile. Comunque, te la cedo con piacere.»
«E quindi cosa devo fare?» domandò sempre più allarmata Rosehan.
«Per prima cosa vai da Aerandir per chiedergli come si usa questo diadema. Le colline Clamtan sono qui vicino. Non puoi sbagliarti.»
Rosehan era angosciata: la sua vita stava per cambiare e tutto solo per colpa di quel mago, di quel Fuinuir. Si sentiva furiosa. Avrebbe voluto che le fosse accaduto chissà che, ma non quella sventura!
Felagund la fece entrare in una sala nascosta della caverna, per permetterle di cambiarsi. Così Rosehan indossò un paio di pantaloni bianchi aderenti, degli stivaletti grigi come calzari, una casacchina verde, legò in una treccia i suoi meravigliosi capelli rossi, e indossò il diadema proprio come le aveva consigliato lo stregone. Poi, prese la borraccia, con dentro nascosta la spilla, se la mise a tracolla insieme alla spada, che era custodita nella prestigiosa custodia, e infine prese anche la mappa.
Quando Felagund la vide rimase decisamente sorpreso del cambiamento della ragazza: era bella e fiera come una guerriera.
Rosehan partì dalla caverna dello stregone che era già pomeriggio inoltrato, non solo si era intrattenuta con lui per il pranzo, ma lo stregone le diede anche qualche moneta d’oro e delle provviste.
Partì che pioveva a diritto e la campagna era tutta inzuppata d’acqua. Mentre si allontanava lungo i sentieri battuti, vide un coniglietto sbucare dalla collina. A Rosehan sembrò quello che aveva salvato, così volle avvicinarsi. In realtà, la bestiola capendo il tentativo della ragazza schizzò via come un fulmine a nascondersi dietro qualche cespuglio.
Rosehan delusa pensò di essere proprio rimasta sola al mondo, né la confortò voltarsi indietro e vedere il grasso e sudicio stregone salutarla con la mano alzata. La luce delle candele dietro lo faceva quasi apparire come un santo. In realtà, quando le due pietre furono messe davanti a chiudere l’entrata, Rosehan lo immaginò sedersi su quello striminzito sgabello e riprendere a scrivere sul Grande Libro degli Annali con la sua calligrafia curatissima, piena di ghirigori e di sapienti miniature che narravano di certo il loro incontro.
Capitolo terzo
Christian
Camminò senza provare alcuna fatica per tutta la notte. Per fortuna la casacca che indossava aveva il cappuccio, così poté proteggersi dalla pioggia. E poi era abituata a camminare per gli scoscesi pendii, per i campi, per le colline. Per questo motivo, nonostante l’insistente pioggia, non ebbe subito l’impressione di essere in viaggio. Invece, aveva percorso già diversi chilometri senza incontrare anima viva. Il suo pensiero correva alla madre e al padre. Si chiedeva dove fossero finiti e perché mai quel mago l’avesse costretta a partire con un espediente così meschino. L’odiò dal profondo del suo cuore. Lei non voleva combattere, non voleva saperne niente né di armi né di guerre: voleva semplicemente vivere a contatto con la natura, al riparo, tra le fronde degli alberi, in tutta tranquillità. Tornare a casa correndo e trovare sua madre che le preparava sempre qualcosa di buono da mangiare e il padre che magari scolpiva il suo solito pezzo di legno e fumava la sua adorata pipa.
Lacrimò un po’ al ricordo della pace in cui era immersa. E ora perché tutto il suo bel mondo andava in pezzi, veniva distrutto dalla decisione di un altro? Di uno sconosciuto, poi?
Svoltò nei pressi di un albero. Mentre camminava, ripensò in particolare alle parole dello Stregone della caverna[11]: riportare la spilla a Tara. Pensò che fosse proprio questa la cosa più saggia da fare prima: restituire la spilla ai loro legittimi proprietari e non andare dal mago Aerandir per farsi spiegare come funzionava il suo diadema. Così, dopo, sentendosi al sicuro, avrebbe potuto consegnare la spada nelle mani di Aegnor e tornare tranquilla di nuovo nel suo
villaggio, a Noormit.
Alle prime luci dell’alba giunse a Umyon[12]. Vedendo le mura fortificate della città decise però di non entrare e si rifugiò sotto le fronde di un’ampia quercia che era poco distante dal cancello di ingresso della città. Poteva così vedere i mercanti che entravano, oppure i soldati che venivano disarmati dalle sentinelle di guardia prima di ottenere l’accesso in città. Rosehan notò non solo che c’era molto controllo, ma che si respirava un’aria di grande tensione.
“E così è vero quanto mi diceva Fuinuir: la guerra dilaga e chissà forse raggiungerà presto anche il mio villaggio” pensò mesta la ragazza, mettendo le mani dietro la nuca e poggiando la schiena sul largo tronco dell’albero.
«Oh» si lamentò a voce alta, «sono fradicia!»
«Perché non ti accendi un bel falò?» udì una voce provenire da chissà dove.
Le arrivò una succosa mela verde che afferrò prontamente con le mani. «Tieni, mangia. Ti fa bene!»
Rosehan alzò gli occhi in alto per vedere se quella voce proveniva dall’albero. E non si sbagliò sulla direzione: accovacciato su di un ramo c’era un ragazzo. Doveva avere sedici anni come lei. O forse un paio di più. Non si capiva bene. Indossava pantaloni di fustagno verdi e una casacca dello stesso colore.
«Chi sei?» gli domandò subito, mentre quello sorrideva sornione.
«Christian. E tu, dolce fanciulla, come ti chiami?»
«Rosehan.»
«Non sei di queste parti, vero?»
«Bravo. Da cosa l’hai capito?»
Il ragazzo con un salto scese dall’albero per giungere in piedi precisamente davanti alla ragazza.
«I vestiti che indossi, il diadema. Ma sei forse una principessa?»
«No. Tu, invece, di dove sei?»
«Ah! È una lunga storia. Di certo non potrà affatto interessarti…»
«Raccontamela, invece. Mi interessa…»
Christian la fissò a lungo, come per decidere se parlare o meno. Poi si sedette di fronte a lei con le gambe incrociate. Nel frattempo, Rosehan mordeva la mela:
provava fiducia e simpatia per quel ragazzo. Notò che aveva capelli castano chiaro, un bel viso dai tratti gentili e regolari, la muscolatura evidente anche attraverso i vestiti e nonostante la giovane età.
«Sono scappato» rivelò laconico.
Rimasero in silenzio per alcuni istanti. Rosehan smise di mordere la mela per sottolineare saccente: «Ah. È tutta qui la tua lunga storia?» Rimarcò con insolenza “lunga”, per evidenziare appunto la stupidaggine dell’affermazione precedente.
Christian arrossì e si affrettò a ribattere: «No, no, no. Questo è solo l’inizio. Però sai, non ci conosciamo, non so se posso fidarmi di te.»
«Ah. Capisco. Va bene, allora di che cosa vogliamo parlare?»
«Perché non di te?»
Rosehan sgranò gli occhi: lui non si era voluto confidare, mentre lei avrebbe dovuto?
Distese il volto quindi e replicò ironica: «Anche la mia è una luuuunga storia, lunghissima.»
«Capisco. Beh… da come sei vestita deduco che stai viaggiando, o sbaglio?»
«Più o meno.»
Vide che il ragazzo dietro le spalle portava arco e frecce. «E tu sei un arciere.»
«Sì. Giusto. Sono un arciere…»
«… ed essendo qui, vuol dire che stai viaggiando anche tu, o sbaglio?»
«Senti finiamola: ti racconto tutto. Va bene?»
«Se ti va…» consentì con scarso interesse Rosehan.
«Faccio parte del corpo degli arcieri del re Erothu e lady Annael[13].»
Rosehan rimase interdetta recependo una simile informazione.
«Continua…» cercò impacciata di incoraggiarlo, nascondendo la sua ignoranza in merito a sovrani e regine del GranRegno.
«Ho scoperto una congiura ai danni dei sovrani. Ma il problema è che non ho fatto in tempo ad avvertirli, e non solo, mi hanno visto, sanno che so… e hanno
fatto di tutto per incolparmi.»
«Ah. E, quindi, non puoi tornare nelle tua città?» concluse Rosehan, indicando logica le mura fortificate di Umyon.
Christian si stranì e non comprese perché la ragazza indicasse la città. Poi capì il piccolo equivoco.
«Cosa? Che cosa? No, io non sono di questa città. Non sai chi sono i sovrani del regno Luna di vetro?»
Rosehan di fronte all’evidenza dei fatti, dovette ammettere la sua ignoranza.
Il ragazzo scoppiò in una sonora risata.
«Beh… che c’è? Sono una semplice contadina, non mi interesso degli affari di Corte» ribatté alquanto risentita.
«Scusa, non lo sapevo. Ma quella bella corona che porti in testa ti fa proprio sembrare una regina.»
Lei lo guardò corrucciata.
«Quindi, sei nei guai» concluse logica Rosehan, riprendendo il discorso di poco prima.
«Già… posso solo fuggire. Non c’è modo per riscattarmi. E tu dove sei diretta, potremmo viaggiare insieme, se ti va.»
«Devo andare a Tara e anch’io non sono messa un gran ché bene. Non ti consiglio di stare con me, potresti ritrovarti nei guai.» Si alzò, gettò il torsolo della mela per terra e fece per andarsene.
Christian la fermò, bloccandola per un braccio.
«Non potrai mai farcela da sola. Rimaniamo insieme, così uniremo le nostre forze.»
Rosehan mise le mani sui fianchi.
«Sei un moccioso, come pensi di difendermi dai pericoli che andrò ad affrontare? Lascia perdere, ascoltami: devo sbrigarmela da sola. Fine della discussione.» Si divincolò dalla stretta del ragazzo e si incamminò costeggiando la via lungo le mura fortificate della città.
Lui la seguì.
«Scusami, ma non so cosa fare, dove andare. Voglio mettere il mio arco al tuo
servizio. Permettimi di venire con te.»
Rosehan lo scacciò con un gesto sgarbato della mano.
«Ma non se ne parla neanche! Ho altro da fare che stare dietro a un ragazzino e per giunta nei guai più di me!»
«Ecco, lo dicevo io che non dovevo raccontarti proprio nulla! Non dovevo fidarmi. Quando mi hai visto ti sei illuminata. Appena ti ho detto che sono ricercato, hai cominciato a scacciarmi come la peste!»
Rosehan si sentì punta sul vivo, si arrestò di colpo. Christian, vedendo che le sue parole avevano sortito l’effetto voluto, rincarò la dose: «Io ti piaccio, non è vero?»
Lei diventò paonazza in viso, così che le sue efelidi nemmeno si distinguevano sul bianco volto. Stizzita si voltò e disse: «Beh… sì… lo ammetto. Sei davvero molto carino e simpatico.»
Christian che non si aspettava questa aperta affermazione arrossì a sua volta.
Rosehan soddisfatta per averlo zittito incrociò le braccia sul petto. Rimasero alcuni istanti a fissarsi in silenzio. Poi Christian balbettò: «Beh… è… è… un buon motivo per rimanere insieme, o sbaglio?» Ma non osò guardarla, tenne fisso lo sguardo sul selciato.
Siccome non ricevette alcuna risposta, si decise ad alzarlo. La vide un po’ arrabbiata. Poi con un cenno del mento aggiunse: «Coraggio, vieni. Andiamo a Tara.»
I due ripresero il cammino l’uno accanto all’altra rimanendo però in silenzio. Fu Christian a romperlo poco dopo, dichiarando: «Non sarebbe opportuno che ci procurassimo dei cavalli?»
La sua voce uscì però più come una sorta di lamento che come una richiesta, e questo fece indignare non poco la ragazza.
«E come pensi di trovarli due cavalli?» chiese di fatti stizzita.
«Beh… li compriamo. Non hai dei soldi con te?»
Rosehan si fermò di colpo e lo guardò torva.
«Ehi, ragazzino. Se cerchi denaro da me puoi anche andartene. E alla svelta. Non ti darò un centesimo di nulla, nemmeno di cibo. Hai capito? Vedi di procurartelo da solo» gridò con rabbia.
«Capisco» ammise con dolcezza il ragazzo. «Le provviste che hai sono poche. Però io posso cacciare qualche cervo o qualche bisonte, se necessario…»
«No, no! Non ti permetto di uccidere nessun animaletto» piagnucolò Rosehan
affranta.
«Ehm… ma prima o poi dovremo mettere qualcosa sotto i denti. E se non possiamo procurarci cibo in città, dovremo ricorrere alla cacciagione.»
Rosehan si gettò supplichevole tra le braccia del ragazzo.
«Non dire così» lo implorò disperata. «Va bene: condivideremo le mie provviste, allora.»
«Rosehan, ami gli animali?» domandò stupito Christian, ma felice di avere le braccia della fanciulla al collo. «Uhm… buono a sapersi...» E sorrise soddisfatto.
Rosehan si rese conto che lo stava abbracciando, così mollò subito la stretta.
«Non farti strane idee, ora!» protestò scorbutica.
«Ah! No, no… poi dopo la rivelazione che mi hai fatto…» e rise di gusto.
«Ti ho mentito» fu la sua risposta rapida e, voltandogli le spalle, riprese il cammino. Christian la seguì con una faccia da beota. Sembrava dire “io le piaccio, io le piaccio!”
Percorsero alcuni chilometri in silenzio. Di tanto in tanto incontravano gruppi di cespugli, o bassi arbusti. La vegetazione era alquanto varia.
Infine si ritrovarono vicino a un immenso campo di girasoli, a Rosehan venne l’infrenabile voglia di correre in mezzo a quella pianura. Così si staccò da Christian e si immerse tra i fusti, alti almeno tre metri, per correre a perdifiato. Il ragazzo, nel frattempo, la chiamava consigliandole di non allontanarsi troppo da lui. Ma ormai era sommersa dalle grandi foglie degli immensi girasoli e non poteva più sentirlo.
Mentre correva, però rimase impigliata con i capelli e non si accorse che, cercando di districare la chioma, aveva perso il diadema. Riprese a correre, incurante di qualsiasi pericolo.
Quando si fermò, si sentì stanca, aveva il fiatone. Cercò di riprendere fiato e si chinò per lo sforzo. Non appena fu pronta a ripartire, si guardò attorno un po’ smarrita. Aveva una strana sensazione: non sapeva in quale direzione andare. Iniziò a preoccuparsi e chiamò a gran voce Christian. Ma non le giunse alcuna risposta.
“Oh! Ma dove sono finita?” pensò preoccupata.
«Christian! Christian!» chiamò supplichevole. «Ma cosa ho fatto? Mi sono persa?»
Gli arbusti dei girasoli sembravano proprio tutti uguali e le sbarravano la strada alla stessa stregua. Pensò di tornare alla svelta indietro, così si incamminò mesta verso il corridoio che era già riuscita a tracciare.
“Forse il diadema può salvarmi!” pensò. “Sì, ma come funziona?”
Scorgendo, però, una ciocca di capelli che le ricadeva ribelle sulla fronte comprese di non averlo più in testa. Si toccò con foga il capo, sperando che fosse rimasto semplicemente impigliato nella capigliatura, da qualche parte. Invece, non lo trovò. Comprese, allora, di averlo perduto. Ma dove?
Cercò di ricordare e con non poca fatica capì che forse doveva essere rimasto impigliato tra le larghe foglie dei girasoli. Si mise disperatamente a cercarlo. Ma come poteva ritrovarlo? Non ricordava più il punto preciso in cui l’aveva forse perduto: attorno a lei poi sembrava tutto uguale.
“È finita! Mi sono persa. Ho perso il diadema. E ho perso di vista anche Christian, forse lui mi avrebbe aiutato in qualche modo a ritrovare la strada” pensò sconfortata.
Si sedette dispiaciuta su un grande macigno che era lì vicino e iniziò a piangere. Nel frattempo, dei grossi nuvoloni si stavano addensando nel cielo, rendendolo grigio.
Inesorabile, iniziò a cadere il primo gocciolone.
«Oh! Fantastico! E adesso piove, per giunta!»
Si mise il cappuccio e rimase lì sotto la pioggia, mentre gli stivaletti le si
riempivano di fango e attorno a lei si formavano delle pozzanghere. Alzò lo sguardo al cielo e il viso si bagnò tutto. Riprese a chiamare Christian, ma non ricevette alcuna risposta. Percorse di nuovo la strada a ritroso.
«Devo farcela, sì, sì, devo farcela» ripeté a se stessa per rincuorarsi.
Ma il corridoio di girasoli sembrava non aver termine. Aveva come l’impressione di ritornare sempre nello stesso punto.
«Christian!» chiamò con voce rotta dal pianto. Ma la pioggia ormai copriva la sua voce.
“Oh! Cosa posso fare? Ma certo! Ho la spada di Shanas con me. Ho visto che si incendiava, vicino a un fuoco. Già… ma con questa pioggia come l’accendo?” pensò.
Un lampo squarciò il cielo. Lo divise in due. Poi un fulmine colpì un gruppo di girasoli proprio accanto a lei, e subito si incendiarono.
«Uh! Questa sì che si chiama fortuna!» esultò raggiante di felicità Rosehan.
Estrasse la spada dal fodero e immediatamente si incendiò. Grazie al fuoco della spada si fece largo tra i robusti arbusti delle piante e riuscì a trovare un sentiero.
“Perfetto! Sono uscita… ma il diadema, come lo ritrovo?”
Pensò alla spilla, al legame che la univa al simbolo sulla nuca. La estrasse dalla borraccia e la levò in alto. Brillò di una calda luce.
«Spilla, ritrova il diadema!» evocò a voce alta, mentre la pioggia si infittiva e iniziava a grandinare.
La luce emessa dalla spilla illuminò un punto tra i girasoli e così seguì quella via luminosa. Il cerchietto dondolava mosso lentamente dal vento, appeso a una larga foglia. Rosehan l’afferrò felice e lo indossò subito. Riuscì a ritrovare in breve il sentiero. Guardò l’orizzonte: a parte lo sterminato campo di girasoli non vide altro. La spilla, nel frattempo, si era completamente annerita. Non capiva il perché. E ora? Come avrebbe fatto a ritrovare Christian?
Ripose la spada nel fodero, la spilla sul fondo della borraccia, e provò a chiedere aiuto al diadema. Ma non ebbe alcuna risposta o segnale.
«Forse è perché non so proprio usarlo. Oh! Ho sbagliato! Sarei dovuta andare da Aerandir, come mi aveva consigliato Felagund» sentenziò sentendosi sconfitta dall’evidenza dei fatti.
“Beh… però non posso aspettarlo oltre, dovrò per forza riprendere il mio cammino da sola. Chissà, forse Christian mi starà già cercando in qualche modo. Già. Speriamo!” pensò senza molta convinzione.
Quindi, si incamminò solerte alla volta di Tara.
Capitolo quarto
A Tara
Tara era una cittadina che ormai da tempo sembrava soffrire la fame: povertà e disordine regnavano infatti sovrane. Quel giorno poi era una giornata di mercato. Le tante bancarelle esponevano mercanzia di ogni tipo. E le donne erano tutte indaffarate a scegliere stoffe o pietanze. I bambini correvano scalzi per le strade con sudice tuniche. Sembrava una città tutta al femminile, almeno Rosehan ebbe questa impressione. I pochi uomini presenti, erano tutti dietro i banconi per vendere la loro merce. E non c’erano nemmeno anziani.
Rosehan fermò una ragazza per chiederle informazioni su dove poter trovare la Biblioteca della città. Credeva, infatti, che potesse essere un buon punto di partenza per ritrovare i legittimi proprietari della spilla.
«La trovi lassù in cima.» Le indicò un edificio dipinto di giallo arroccato in mezzo al verde di una collina.
«Cosa? Così lontano?» disse sbiancando Rosehan.
«Sì… è lì, nell’Abbazia di Newergy. Un tempo ci viveva un ordine di monacimaghi. Poi un terremoto ha distrutto parte del campanile, della Chiesa e, quindi, della cappella dove si riunivano per pregare.»
«Ah… davvero?» commentò senza alcun interesse Rosehan.
«Ora l’Antica biblioteca è custodita da un certo Quing He.»
Rosehan la guardò con sempre meno interesse. La ragazza non lo comprese e continuò imperterrita a raccontare: «Non credere però che sia un bene né per la città né per la biblioteca stessa che se ne occupi un abitante di Kina[14] . Di’ un po’, ma tu da dove vieni?»
«Beh da lontano» rispose vaga. «Mi chiamo Rosehan.»
«Oh. Io invece sono Nereis» si presentò porgendo la mano.
«Nereis» ripeté fra sé Rosehan. «Mi dicevi che è un male per la città e per la biblioteca di Tara che a occuparsene sia un abitante di Kina, come mai?»
«Beh… Quing He lo fa solo per soldi, gli antichi monaci invece custodivano i libri perché era loro compito, per ione oltre che per ubbidienza al loro ordine. Cercavi un volume in particolare?»
«No, vedi… cercavo informazioni riguardo una spilla appartenuta al vostro popolo. Volevo sapere dove era custodita. Tutto qui. Sicuramente qualche libro ne parlerà.»
«Spilla? Non ne ho mai sentito parlare. Dove l’hai appresa questa cosa?»
«Me l’ha detta uno stregone delle mie parti.»
«Davvero? Sì… allora credo che la biblioteca sia l’unico posto in cui poter avere le migliori informazioni.»
Nereis si caricò la giara piena d’acqua in testa e si allontanò stando attenta a non farla cadere per terra. Rosehan però la chiamò e lei si voltò nella sua direzione.
«Sì?»
«Se vedi un ragazzo, un certo Christian, digli che sono diretta verso l’Abbazia.»
«Ah! Va bene, anche se non penso che uscirò più di casa. Ciao e buona fortuna.»
Rosehan si mise a correre per i vicoli pietrosi della cittadina alla ricerca di un sentiero che la conducesse verso l’Abbazia. Chiese ai anti e dopo un paio d’ore finalmente costeggiava il pendio a strapiombo sulla vallata.
«Meno male che sono abituata alla vita di montagna, perché è davvero impervia questa strada!» commentò ad alta voce.
Dopo aver percorso un breve corridoio di foglie che una pioggia ata aveva incollato fedelmente sul selciato e dopo aver oltreato un arco si ritrovò di
fronte all’Abbazia distrutta. Il portone principale, infatti, invece di essere sprangato era scardinato e colonne di pietra giacevano in disordine sul cortile ricoperto di edera e di altre erbacce. Le vetrate istoriate della Chiesa madre, distrutte dall’evento sismico, erano rimaste a colorare pallidamente l’entrata. Rosehan entrò titubante. L’ambiente era buio e alquanto umido. Una goccia dal soffitto le cadde sulla nuca e lungo la schiena. Si spaventò per questo e sussultò. Ma poi si prese di coraggio e chiamò il bibliotecario.
«Quing He?» la dolce voce della ragazza risuonò tra gli androni.
Non le giunse alcuna risposta, così lo chiamò di nuovo.
Una luce di una fiaccola apparve dal tetto qualche istante dopo. Alzò gli occhi e intravide appena un uomo in vestaglia che l’apostrofò: «Ma chi è? Dico: è questa l’ora più opportuna per farmi visita?»
«Sono venuta per la biblioteca» disse con calma Rosehan.
«Non è orario di ricevimento» rispose stizzito Quing scendendo con agilità per il grande scalone: la sua vestaglia azzurrina svolazzava come ali di farfalla.
«Mi spiace. Vengo da lontano e non conosco le abitudini di questo posto.»
Rosehan vide finalmente l’uomo ormai giunto al suo cospetto: era un tipetto piccolino, dalla pelle gialla e dagli occhi allungati. Indossava una vestaglia consunta celeste, un paio di ciabatte dall’incerto colore e un bizzarro cappuccio
che sembrava per la notte. Teneva un paio di occhialini dalla montatura scura sulla punta del naso.
«Non è una buona scusa per venire a disturbare il mio riposo» la riprese lui con voce stridula.
Poi avvicinò la torcia al viso di Rosehan per scrutarla meglio.
«Ma tu chi diavolo sei?»
«Mi chiamo Rosehan, signore. E sono venuta per consultare un volume. Vorrei saperne di più sulla famosa spilla di Tara.»
Quing He ebbe un sussulto alle parole di Rosehan.
«Beh è stata trafugata 3000 anni or sono da un popolo di Barbari. Non c’è altro da sapere…» e fece per andarsene.
«No, aspetti. E se io l’avessi ritrovata?» suppose Rosehan.
Quing He che aveva già salito il primo gradino si fermò di colpo. Si volse verso la ragazza lentigginosa e disse, toccandosi il mento: «Impossibile, la vedrei.»
Rosehan rimase stupita da quella affermazione e vide che Quing riprendeva a salire le scale celermente e diceva: «Va via ragazzetta! Non è posto per te questa biblioteca.»
«Ma io ce l’ho! Guardi!» rivelò la ragazza mostrandogliela.
Quing si affacciò dalla balaustra per osservare l’oggetto.
«Dunque, quella… quella cosa annerita sarebbe la spilla di Tara?» commentò schifato.
«Uhm… può darsi che lucidandola sia meglio visibile» fu l’unica risposta che riuscì a dare la ragazza.
«Tu credi?» insistette mostrando una chiostra di denti gialli. «Vattene via, ora!»
Rosehan percorse le scale velocemente fino a raggiungerlo.
«Mi deve ascoltare: vorrei restituirla» e gli porse la spilla. Quegli alzò il sopracciglio seccato. «Ma non puoi.»
«Perché?»
«Non è questa la spilla di Tara.»
«Ah, no?» fece dubbiosa la ragazza.
«No. La spilla di Tara è formata da una spada che trafigge uno scudo vuoto morso a sua volta da una testa di Drago d’oro.»
«E perché? Questa non la rappresenta?»
Stavano discutendo sulle scale. Le loro voci rimbombavano nel vuoto edificio, fin troppo grande per due sole persone.
«Hai detto bene: rappresenta, ma non è.»
«Non capisco…»
«Ti ho detto che è formata da una spada che trafigge uno scudo vuoto morso da una testa di drago.»
Rosehan era perplessa: continuava a non capire.
«Vieni, ti faccio vedere una cosa.»
La condusse in un’enorme sala. Conteneva pile su pile di antichi tomi. C’erano poi dei tavolacci per poterli leggere o consultare con delle sedie. A separare gli angoli di lettura grandi teche di vetro ognuna con antichi monili.
«Ecco. Lì era conservata la spilla di Tara.»
Finalmente Rosehan comprese cosa Quing stava dicendo: la teca era grande, troppo grande per ospitare una spilla così piccola. In realtà era formata da una vera spada, da un vero scudo e dalla testa di un piccolo drago d’oro.
«Oh. Adesso comprendo tutto. Ma allora questa che ho?»
«È una ricostruzione in miniatura abbastanza fedele all’originale, direi» spiegò Quing posando la torcia in un’insenatura della stanza.
«Allora… ho fatto tanta strada inutile.»
«Beh… te l’avevo detto che non l’avevi. Compongono la spilla: la spada di Shanas, il Grande Scudo D’oro e la Testa di Drago d’oro.»
«La spada di Shanas?» ripeté Rosehan punta sul vivo.
«Già. Non so se ne hai mai sentito parlare…»
«Può darsi…»
«Il Grande Scudo d’oro è quello che il principe Chidley diede in dono a una tribù del suo Regno, PietreColorate, che fu però sterminata. E la testa di Drago D’oro è la testa del Drago che con le sue fiamme forgiò…»
«… la spada... e lo scudo...» continuò per lui Rosehan.
«Uhm… sì… proprio così. Come puoi vedere non posseggo nemmeno un pezzo della cosiddetta spilla di Tara. Questo perché i singoli pezzi furono rubati da questa antichissima biblioteca e quel popolo di barbari di cui ti parlavo approfittò proprio dell’evento sismico per prenderli. Non si hanno più tracce dei tre elementi che la compongono. E ti dirò di più. Ci sono numerose leggende riguardo alla spilla. Una di queste narra che quando lo ScudoD’oro sarà trafitto dalla potente spada di Shanas, mentre la testa di un Drago tutto d’oro morderà lo scudo, le parti si salderanno e sprigioneranno un potere talmente immenso che si vedrà in tutto il GranRegno, perché darà il Potere supremo a chi impugnerà la spada, oltre naturalmente si ricomporrà la spilla...»
Rosehan si sedette affranta sulla seggiola più vicina a lei: si sentiva distrutta! Non poteva lasciare lì la spada, la liberazione dei suoi genitori dipendeva proprio da quella.
«Ti senti bene? Sai, a parte un infuso di tè verde non ho altro nella mia dispensa. Non mi pagano bene qui e la popolazione di Tara vuole rispedirmi a Kina.»
«Sì, Nereis mi ha raccontato tutto. O quasi.»
Quing si sedette.
«Scommetto che ti ha parlato male di me.»
Rosehan non negò l’evidenza.
«Beh figliola, non ti stupire delle voci che girano sul mio conto.» Fece un gesto come a scacciarle. «Come vedi tu stessa, vivo solo qui, in questo eremo. Questa Abbazia distrutta è la mia tomba e allo stesso tempo la mia vita.»
Ci fu silenzio. Rosehan non stava ascoltando le confessioni di quell’uomo. Dopo la notizia della spada che apparteneva al popolo di Tara, rimuginava solo su quell’unico pensiero.
«Ma perché ti sta a cuore restituire la spilla?»
Rosehan lo fissò e poi incerta rispose: «So che c’è una taglia per chi la possiede…» e rise nervosamente.
«Sì… è vero. Il Re ha ordinato di uccidere chiunque abbia anche solo un pezzo della spilla. Soprattutto la spada...»
Rosehan si alzò di scatto dalla sedia.
«Mi sono ricordata che ho fretta e, quindi, devo andare. La ringrazio per l’informazione» e si diresse alla svelta verso l’uscio.
«Aspetta!» la fermò quello. «Ma tu hai una spada alle tue spalle.»
«Spada?» rimarcò Rosehan.
«Svelta!» udì la voce del mago Fuinuir. «L’ho bloccato. Possibile che ti cacci sempre nei guai? Sciocca ragazzina!»
Lo vide fluttuare in un angolo della stanza avvolto nel suo scuro mantello.
«Fuinuir non mi avevi detto che il possessore della spada di Shanas sarebbe diventato un ricercato privilegiato.» Disse in tono alquanto ironico.
«Ti sbagli. Ti ho detto che era molto ambita.»
«Ma non tanto da rendere ambita la mia testa!» protestò stizzita Rosehan.
«E cosa credevi che ti avrebbero preso la spada e dato un bacino in fronte? Siamo in guerra, cara.»
«È stato meschino il tuo modo di comportarti. Mi hai costretta e non è giusto!»
«Vuoi continuare a lamentarti e affrontare Quing, oppure ti decidi a fuggire finalmente?»
«Lo affronterò!» disse per dispetto Rosehan.
«Bene. Sappi che non correrò a difenderti una seconda volta, soprattutto quando ti giustizieranno in piazza.»
Rosehan si mise a correre più in fretta che poté, ma non fece in tempo ad allontanarsi abbastanza che l’uomo già la inseguiva con la torcia lungo le scale e gridava: «Fermati subito! Quella spada vale una fortuna: porterà credito finalmente alla mia figura di bibliotecario a lungo screditata. Vieni qui! Subito!»
“Accidenti a me!” pensò, “non me ne va bene una. Ma poi come faccio? Questo qui conosce l’Abbazia a menadito, io invece ho a malapena visto l’entrata.”
Si mise a correre più veloce che poteva e schizzò via dall’ingresso, ma cadde e una delle schegge della vetrata colorata che era per terra le trafisse il ginocchio.
«Ohio che male!» esclamò ad alta voce.
«Svelta» la incitò Fuinuir. «Nasconditi subito dietro quel cespuglio.»
«Aspetta. Mi sono ferita. Sanguino, mi troverà. Fammi scomparire, ti prego» lo supplicò Rosehan.
«E va bene. Tieniti pronta, ma rimani in silenzio: non devi fiatare.»
Dal bastone ricurvo del mago uscì una sfera luminosa: Rosehan si sentì pervadere da un’immensa luce. L’avvolse la pace più completa. Ebbe la sensazione come di fluttuare nell’aria per alcuni istanti, distesa. E di vedere il sole perché giaceva adagiata come se fosse sopra una nuvola. I suoi capelli volavano leggeri col vento.
“Che meraviglia!” pensò.
Ma poco dopo di nuovo l’oscurità l’avvolse e udì il mago parlarle.
«Si è allontanato, svelta! Nasconditi dietro quel colonnato laggiù.»
Rosehan tentò di alzarsi, ma la scheggia nelle carni le faceva troppo male.
«Non posso, non posso farcela» piagnucolò disperata.
Il mago si avvicinò e vide la sua ferita: era davvero grande. La prese, allora, in braccio e la portò dietro al colonnato vicino, come le aveva suggerito.
Rosehan si sentì umida, e la ferita le bruciava parecchio.
«Stai perdendo troppo sangue» commentò esasperato Fuinuir. La posò per terra delicatamente. Una lunga scia di sangue faceva vedere che si era spinta fin lì.
«La nasconderò subito.» E sparse una polverina brillante per terra.
Rosehan iniziò a sentirsi debole. Vedeva il cielo blu ricoperto di luccicanti stelle e la pallida luna nascosta da una nube. L’ombra delle colonne era proiettata su di lei che era al centro. Disegnati a terra c’erano degli strani ghirigori.
«Che cos’è?» domandò con voce rauca.
«Un orologio» rispose Fuinuir facendosi vicino.
«Perché mi hai portato qui?»
«La runa, il simbolo, ti proteggerà da occhi indiscreti.»
«No, ti sbagli. Non posso farcela. Mi sento così debole.» E socchiuse gli occhi.
La nube scoprì la luna che la illuminò tutta.
«Fuinuir non mi lasciare! Ho paura, vedo solo il buio e il vuoto attorno a me.»
«Rose non posso curarti, mi spiace. Ho fatto tutto il possibile…» udì la voce del Il Viandante delle Tenebre debolmente.
«Ma il coniglietto lo hai guarito, perché non guarisci anche a me?»
Udì in lontananza un lupo ululare alla luna.
«Non posso curare gli umani.»
Rosehan lo cercò con lo sguardo. Vide un lembo del suo nero mantello.
«Sto così male! Aiutami, ti prego!»
«Ti ha trovata. Cercherò di bloccarlo di nuovo. Prova ad alzarti.»
«Mi hai detto che sarei stata al sicuro qui» piagnucolò la ragazza. «Mi hai mentito! Mi fa male: ho troppo dolore!»
«Rose, coraggio, devi crederci che potrai farcela. Alzati!»
Rosehan cercò di sedersi: poteva vedere Quing bloccato quasi vicino a lei. Le labbra le tremavano.
«Non voglio ucciderlo!» piagnucolò di nuovo.
Estrasse la spada dal fodero. La lama riluceva di una strana luce azzurrina alla luce della luna.
Quing si sbloccò e vide Rosehan seduta a terra con la spada sguainata.
«Ah. Ecco… ti ho trovata. Non puoi più sfuggirmi ora!»
«No, non posso» cercò di tenere la voce ferma. «Ma posso combatterti.»
Usò la spada a mo’ di bastone per mettersi in piedi e cercò di assumere una posizione eretta.
«Coraggio!» lo invitò ad avanzare in segno di sfida.
«Ah. Ma allora l’hai tu la spada di Shanas… come sospettavo… se me la consegni non ti accadrà nulla. Sta’ tranquilla» e cercò di avvicinarsi tendendo la mano fiducioso.
«Stai lontano o ti colpisco» lo minacciò poco convinta Rosehan.
Quing tacque poi riprese a dire: «Ti ho detto che non ti consegnerò. Dirò che ho trovato la spada nel dirupo qui vicino. E finalmente la città di Tara mi guarderà con benevolenza.»
«Non posso dartela! Da questa dipende la liberazione dei miei genitori» rivelò lei con voce sofferente.
Quing aggrottò le sopracciglia: non capiva il senso delle parole della ragazza.
«Non dirgli niente» la rimproverò Fuinuir, ma Quing non poteva sentirlo, né tanto meno vederlo.
«Ma…» protestò Rosehan.
«Non dire niente. Non hai sentito?» l’ammonì il mago con una voce paurosa.
Rosehan guardò Quing: Fuinuir l’aveva di nuovo bloccato.
«Mi spieghi perché l’hai bloccato? Hai detto che devo cavarmela da sola, no? Mi hai portato in questo luogo così visibile…»
«Guarda» e le indicò la luna. «Riflette sulla spada il mio stesso potere. Non l’hai capito, sciocca? Ti ho portata qui per questo: non può avvicinarsi a te se non lo vuoi» la voce del mago era alquanto concitata.
Rosehan si sentiva smarrita: la luce azzurrognola della spada era lo stesso potere del mago?
«Coraggio! Punta la spada, corri verso il tuo avversario e imprigionalo!»
Rosehan strinse più forte l’elsa. Una strana forza le proveniva dalle gambe: la sua ferita si stava rimarginando pian piano.
«Rosehan no, non lo fare! Non puoi curarti! Ma perché non mi ascolti?» gridò esasperato l’Uccisore delle Tenebre scagliandosi contro la ragazza.
Rosehan con un urlo si gettò a sua volta contro di lui: voleva imprigionarlo per vendicarsi della cattura dei suoi genitori, ma la magia ricadde su se stessa: rimase prigioniera di una rete dai sottilissimi fili azzurrini.
«Ecco. Adesso come ti libero? Sciocca!» disse Fuinuir toccando la lama. «La nube ha ricoperto la luna di nuovo. Non hai più i miei poteri. Mi devi ascoltare quando ti parlo. Veditela da sola, ora. Gli hai dato il benservito!»
E scomparve, mentre Quing si sbloccava.
«Ahaà! Presa! Adesso non puoi più sfuggirmi.»
Trascinò Rosehan ancora dentro la rete in una stanza nei sotterranei dell’Abbazia.
«Sai cos’era questo?» le chiese legandola a una parete con dei lacci di cuoio. «Il luogo dove venivano legati i monaci diventati pazzi per il troppo isolamento.»
Rosehan non lo stava ad ascoltare si sentiva furiosa con se stessa: non solo non era riuscita a vendicarsi dei suoi genitori, ma adesso aveva ceduto su un piatto d’argento la spada a Quing che l’avrebbe consegnata di sicuro nelle mani del Re. Soffiò forte perché una ciocca dei capelli le sbatteva sulle labbra.
“Spero di avere ancora con me il mio diadema, almeno. Anche se purtroppo non lo so usare...” pensò affranta.
Fu legata a una parete di quella squallida stanza. Vide che c’era un tavolaccio con delle manette di ferro: forse lì venivano legati i matti. Su uno scaffale c’erano tanti strani arnesi. Quing ne prese uno: una sorta di pinza.
«Questa serviva per prendere i carboni ardenti che si avano sul corpo dei malati di mente per farli calmare» e rise di gusto.
Rosehan gli sputò in faccia. «Mi riprenderò la spada, non temere. E non avrò alcuna pietà» lo minacciò digrignando i denti furiosa.
«Ci puoi scommettere: sto tremando dalla paura, ragazzina. Ero stato buono con te e ti avevo fatto una proposta: avrei finto di non averti mai conosciuta. Ma tu no, hai insistito con la tua testardaggine ed eccoti qui. Mia prigioniera. Quando il Re ti avrà al suo cospetto non credo proprio che sarà clemente con te. Io invece guadagnerò il denaro e finalmente il rispetto di tutti gli abitanti di Tara.»
«Non l’avrai facendomi uccidere» gridò esasperata Rosehan.
«Oh. Cara: in amore e in guerra tutto è concesso. E a me interessano gli onori che deriveranno da questa mia vittoria personale. E anche tanto… Ti lascio una torcia per non rimanere al buio. Buona notte» se ne andò canticchiando e sbattendo la porta.
«Oh» fece arrabbiata Rosehan.
«Di che ti lamenti?» commentò il Viandante delle Tenebre disteso sul tavolaccio.
«Tu, tu!»
«Io? Io ho fatto di tutto per aiutarti. Ma tu hai voluto fare di testa tua e così ecco dove ti ha portata la tua testa.» Si alzò e si mise a sedere.
«Ora quale piano hai per farmi uscire?» gli chiese Rosehan indispettita.
Fuinuir afferrò le pinze che poco prima aveva preso Quing e poi fece apparire dal nulla un carboncino ardente. Glielo avvicinò molto lentamente.
«Non vorrai mica bruciarmi?» chiese spaventata la ragazza ritraendosi. «No, senti… scusami per poco fa… non volevo… davvero…»
«Uhm… sì… non volevi intrappolarmi. E pensavi che io fossi così stupido da non prevederlo? No, Rosehan hai decisamente superato la soglia.»
Rosehan chiuse gli occhi, pensando impaurita: “È giunta la mia fine, me la sono proprio cercata.”
L’Uccisore delle Tenebre avvicinò il tizzone infuocato al braccio della ragazza che urlò per il dolore.
«Non devi curarti con la magia, quando sei ferita. Che ti serva da lezione» la rimproverò.
«Va bene, non lo farò più» lacrimò la ragazza. «Ma dimmi almeno il perché…»
«Se tu guarisci una tua ferita ci saranno conseguenze per altre creature.»
«Mi spiace» piagnucolò, «ma chi si è fatto male? Io non ho visto nessuno» aveva la voce strozzata per il dolore.
«Quing verrà ucciso. Il Re lo riterrà un impostore perché ha la spada. L’editto parla chiaro: chi la possiede impropriamente deve essere ucciso» le rispose con voce calma.
«E io cosa c’entro? È avido e avrà proprio quello che si merita.»
«Non puoi giudicare una persona, Rosehan. Non alla tua giovane età e con così poca esperienza.»
«E allora perché hai affidato a me questa missione? Mi fa davvero troppo male il braccio» e iniziò a gridare per il dolore. «Sei ingiusto, sei cattivo!»
«Dici?» rimarcò Fuinuir giocherellando con una clessidra trovata tra le cianfrusaglie della stanza. «E secondo te perché ti ha lasciato una fiaccola accesa?»
Rosehan che stringeva gli occhi per il dolore, vide la torcia sul muro.
«Acqua, acqua, acqua, brucia» si lamentò Rosehan.
Fuinuir le gettò in grembo le pinze. «Poi, non ringraziarmi. Ricorda: c’è sempre una luce.»
Sentì girare la chiave nella toppa e la porta aprirsi.
Quing vide il braccio della ragazza bruciato, la torcia caduta a terra.
«Oh! Caspiterina: non devo averla fissata bene sul muro. Ti sei bruciata? Aspetta che prendo un unguento.»
Rosehan ebbe appena il tempo di udire le parole di Quing che svenne per il dolore.
Al suo risveglio, l’indomani, si ritrovò su di un grande letto, e i raggi del sole filtravano dalle imposte. Udì cinguettare gli uccellini allegramente. Non riusciva però a capire dove si trovava.
«Ciao. Credo che la ferita ora vada un po’ meglio.»
Vide lo smilzo viso di Quing osservarla da vicino. Si toccò il braccio che era fasciato da un pezzo di stoffa grigio e consunto.
«Sì… và un po’ meglio» ammise con un filo di voce Rosehan.
Dunque, Fuinuir non aveva torto: non era poi così cattivo Quing: aveva avuto pietà di lei, della sua ferita.
«Quing io vorrei dirti…»
«Sssst» la zittì l’uomo. «Sei svenuta, ma hai cianciato un sacco. Non sapevo che quella spada fosse così importante per te. Così un mago tiene prigionieri i tuoi genitori, e poi quello strano simbolo che hai sulla nuca, che riproduce i simboli della spilla… sei una ragazza dai tanti misteri. Comunque, ti restituisco la spada per ora. Ma vorrei che mi promettessi che un giorno, quando la Grande Battaglia sarà conclusa, ritornerai a Tara e la restituirai al suo popolo.»
«Se Aegnor mi permetterà di farlo.»
«Perché non dovrebbe? Ogni guerriero ha il suo codice d’onore» e si batté in modo teatrale una mano sul petto.
«Mi spiace. Potrebbe servirti per conquistare la fiducia di questo popolo.»
«Ormai sono abituato a essere scacciato da tutti. Sembra che sia il mio triste destino.» Alzò le spalle in segno di sconfitta.
«Mi piacerebbe se venissi a trovarmi nel mio villaggio, a Noormit. Mia madre e mio padre sono persone semplici, ma ospitali. Ricorda: c’è sempre una luce.»
L’uomo si allargò in un sorriso.
«Certo, verrò con piacere. Tanto qui non viene quasi nessuno a consultare gli antichi tomi. Per qualche giorno potrei chiudere l’Abbazia. Ma dimmi: ieri sera i tuoi occhi e la spada rilucevano di una strana luce azzurrognola. Come mai? Per un attimo ho pensato fossi una guerriera.»
«Non so» rispose a disagio. «Nei tuoi libri si parla di questo mago, di questo Uccisore delle Tenebre? Cosa sai dirmi di lui?»
«So che è un uomo saggio e che può vivere più di mille anni. Quindi, può aspettarti anche tutta la vita.»
«Già. Ma è cattivo?»
Quing scosse la testa in segno di diniego. «A essere sincero non conosco la sua vera natura, però credo che la saggezza risieda negli uomini giusti, retti. Quindi, probabilmente è buono. Credo che se ha inviato te a portare la spada vuol dire che sei la persona più adatta per farlo. In effetti, se non l’avessi sfoderata non avrei capito che portavi la spada di Shanas. Anche se me ne hai accennato, quindi… un po’ ti sei tradita… Adesso vado a preparati qualcosa da mangiare.»
Se ne andò e la lasciò con i suoi pensieri.
«Fuinuir» lo chiamò una volta rimasta sola, ma non ebbe risposta. «Grazie. Hai salvato la vita di quest’uomo.»
Si avvicinò alle imposte della finestra e le scostò per far entrare un po’ più di
luce che subito le ferì gli occhi. Sorrise felice.
Capitolo quinto
Rosehan rincontra Christian
Rosehan imparò a conoscere Quing ma soprattutto come si amministra una biblioteca. C’erano tantissime cose da apprendere in quel posto dimenticato da tutti, da quei libri così antichi. Quing era più colto e istruito di quanto si aspettasse. Certo, aveva tanto tempo a disposizione per studiare sui libri della biblioteca. I tomi non solo erano numerosi e antichi, ma alcuni anche introvabili, altri sepolti ancora tra le macerie. Rosehan si prodigò ad aiutare Quing a estrarli senza far crollare altre parti dell’edificio e si dispiacque alquanto, quando vide che la Chiesa era stata sventrata dall’evento sismico. La mezza cupola colorata di rosso, col tempo e le intemperie, era diventata di color corallino, e l’edera selvatica ci si era attaccata formando dei fantasiosi ghirigori. E poi c’erano il Campanile e le nicchie: i predoni avevano portato via proprio tutto.
Ogni tanto qualche stregone saliva su in collina da loro e Rosehan prendeva i volumi dagli scaffali per farli consultare, mentre Quing cercava in qualche modo di riparare i tomi ritrovati. Rosehan lo osservava intento con le pinzette e la colla a incollare le fragili pagine oppure a cucire con ago e filo le copertine a gruppi di fogli staccati. Quando mancavano alcune parti, Quing si impegnava a ricostruirle con sapiente cura, scrivendo anche di suo pugno le parti mancanti. Fu proprio mentre osservava la ricostruzione di una pagina, che Rosehan notò che si parlava del suo simbolo. Più che altro, mancavano dei pezzetti per completare le frasi. Rosehan riuscì a leggere solo queste parole:
Chi possiede dipinto sulla pelle questo simb…
grandi poteri… ed è…
«Ed è?» chiese a Quing.
Il bibliotecario scosse la testa: «Non ne ho la più pallida idea. Dove non so completare, non scrivo nulla, così se trovo altre informazioni le inserisco successivamente.»
«Ma sai ricostruire tutte le pagine, e non sai nulla sulla Spilla di Tara?»
«Sulla spilla so, posso raccontarti quante leggende vuoi. Ma non so niente di chi ha il simbolo. Però ragionandoci un pochino su…» disse Quing con in mano gli occhialini, «può voler dire solo una cosa.» E lasciò aperta la sua affermazione, perché si aspettava la domanda di Rosehan che non tardò ad arrivare: «Cosa?»
«Penso proprio che non sei l’unica ad avere questo simbolo sulla pelle.»
«Perché credi questo? Cos’è che te lo fa presupporre?» domandò con curiosità la ragazza.
«Semplice. Vedi anche le Tredici Streghe Nere hanno un simbolo impresso sul braccio. È il loro sigillo...» rispose con semplicità Quing.
«Vuol dire che sono una di loro?»
«No, non sto affermando questo. Loro ce l’hanno tutte al braccio sinistro. E viene apposto quando entrano a far parte della Congrega. Tu hai detto che ce l’hai fin dalla nascita... Ma i tuoi genitori non hanno mai fatto nulla per cercare di scoprire cosa fosse questo strano simbolo che hai sulla nuca?»
Rosehan ci pensò un po’ su prima di dire incerta: «S-ì. Si sono rivolti a Felagund, ma lui non ha saputo dire che origine avesse. Non mi fa male, però. Almeno, non ho mai provato dolore, nemmeno sfiorandolo.»
«Uhm... Mi spiace: non so proprio di cosa si tratti. Però mi sembra che Fuinuir ti abbia detto che la spilla è una sorta di tappo per i maghi. Tu la stai indossando, ora?»
Rosehan scosse la testa in segno di diniego.
«Vedi quel tizio laggiù che consulta un libro? » continuò Quing incurante della risposta della ragazza.
Rosehan osservò ben bene il vecchio stregone che Quing le stava indicando: era un uomo smilzo, aveva una lunga barba bianca, un naso adunco, degli occhietti neri, e portava un enorme cappello a punta di colore nero. Si appoggiava a un lungo bastone in legno e indossava un mantello grigio e, legate alla cintola, aveva due piccole bisacce in cuoio.
«Non era già venuto?» domandò con curiosità Rosehan.
«Sì. È Elros» bisbigliò Quing He. «Potrebbe avere già visto lo strano simbolo che hai sulla nuca, quindi qualcosa...»
«Certo. Adesso la metto subito.»
Si diresse in quella che ormai era diventata la sua camera per prenderla, ma nel corridoio udì all’improvviso ridere alle sue spalle. Sembrava una risata femminile e un brivido le percorse la schiena. Si voltò, ma non scorse nessuno. Di fronte alla sua camera, c’era solo un antico specchio. Quing le aveva raccontato che l’Abbazia prima era l’antica dimora dei regnanti. Ma era stata abbandonata. Insomma, in ato era stata un vecchio Castello di carta.
Si guardò allo specchio, ma non vide altro che se stessa riflessa. Non si accorse che una fanciulla dai biondi capelli e dalla veste azzurra stava facendo capolino dalla superficie riflettente, perché si era già voltata. Poi aprì la porta della sua camera e vide Fuinuir seduto su di una poltroncina in un angolo della stanza.
«Ebbene…»
«Ebbene?» rispose, cercando la spilla incurante della sua domanda, ma capendo dove volesse andare a parare.
«Perché non parti? Vuoi fare la bibliotecaria a vita? Oppure, non ti interessa più dei tuoi genitori. Sai, ultimamente tua madre è molto dimagrita…»
«Come ti permetti!» si scagliò con rabbia contro di lui, che manco a dirlo si spostò con una rapidità che Rosehan non riuscì nemmeno a scorgere.
«Continui ad andare contro te stessa. Prima porterai la spada ad Aegnor, prima sarai libera di scorrazzare felice per i praticelli con i tuoi amici animali.»
Rosehan strinse il pugno. Avrebbe voluto essere una maga per poterlo affrontare e sconfiggere, magari incenerendolo, ma non lo era purtroppo.
«Risparmia la tua rabbia per dopo, Rosehan. E non confidarti troppo con gli estranei. Quing è sempre Quing. Se a Tara ne parlano male, vuol dire che un fondo di verità c’è. E la verità è quella che tu hai visto: è avido. Potrebbe tranquillamente rivenderti. Per esempio, proprio ora. Magari a quello stregone che c’è giù.»
Rosehan si sbalordì della rivelazione di Fuinuir, però un pochino ci credeva. Lui non appariva mai senza un motivo valido.
«Sei troppo giovane e inesperta per giudicare un adulto. Soprattutto se questi ti ha fatto credere che è tuo amico, per pugnalarti alle spalle al momento opportuno.»
Fuinuir fumava il calumet, una lunga pipa in legno di frassino bianco.
«Sta arrivando. Inventa una scusa per non scendere. Io fermerò lui e anche l’altro.»
Poco dopo Rosehan udì i i strascicati di Quing: suo malgrado dovette ammettere che Fuinuir aveva ragione.
«Rosehan. Mi domandavo se volessi prendere una tazza di tè con dei biscottini. Ne ho preparati un pochino ieri sera.» Quing parlava da dietro la porta.
«Digli che non ti senti bene e che vuoi riposare» suggerì alla svelta il mago.
«Uhm… non mi sento molto bene. Vorrei riposarmi.» Ripeté la ragazza col cuore in gola: si sentiva in trappola.
«Vuoi che te ne porti io qualcuno?»
«Digli di sì, ma più tardi. Ora stai male. E salta giù dalla finestra. Ora!» gli ordinò Fuinuir.
«Sì. Magari più tardi, ora sto male.» Poi guardò torva Fuinuir.
«Cosa aspetti? Salta! Entrerà lo stesso.»
In cuor suo Rosehan voleva dare una chance al povero vecchio Quing, voleva sperare che Fuinuir avesse sbagliato, ma la maniglia iniziava a essere abbassata, mentre lui diceva suadente: «Sei sicura? Sicura, sicura, sicura?»
«Mi farò male» bisbigliò malamente rivolta all’Uccisore delle Tenebre.
Gli occhi di Fuinuir si illuminarono di una strana luce azzurrina.
«Tu salta, al resto penso io.»
Rosehan scavalcò il davanzale e si appoggiò alla finestra: vide quello che non avrebbe mai sperato di vedere in vita sua: un unicorno alato. Ebbe appena il tempo di saltare in groppa alla creatura che quella si librò in cielo. Quing intanto era già entrato con l’altro mago ed era tutto arrabbiato.
«Ragazzina della malora! Me la pagherai!» gridò furioso affacciandosi dalla finestra, mentre Rosehan rideva di gusto. Si voltò per lanciare un ultimo sguardo alla finestra e vide Elros, lo Stregone, osservarla stupito e dire: «Sì... è proprio lei quella che cerco...»
Nel frattempo il Viandante delle Tenebre le volava accanto. «Ti ho messo la sacca e la spada legate alla sella. Avevo così tanto tempo che ho potuto forgiare una sella d’oro.»
Ma a Rosehan non importava la ricchezza della sella: lei stava volando, ed era estremamente felice per questo motivo. Era così contenta: sentire l’aria tra i capelli, vedere tutte le valli dall’alto, le verdeggianti pianure: era tutto così meraviglioso e unico!
«Uuuuh!» gridò piena di gioia, ma proprio in quel mentre il cavallo alato atterrò.
«Cosa vuol dire? Perché?» domandò delusa.
«Non può portare sulle spalle la tua spada: è troppo pesante per lui» rispose prontamente Fuinuir.
«Ma io la sento leggera.»
«Perché sei l’Eletta. Lui, invece, sente il suo potere ed è troppo. Però ti ha portato un bel po’ distante da dove eri e ti ha permesso di rincontrare Christian. Guardalo, eccolo là…»
Vide dall’alto Christian. Stava intagliando un pezzo di legno.
«Iufuuu! Ciao Christian! Ben ritrovato amico caro!» urlò dal cavallo Rosehan con voce squillante.
Il ragazzino si alzò in piedi tutto trafelato e guardò su nel cielo: vide che c’era Rosehan e alle sue spalle due splendide ali bianche.
Si tolse il cappello e disse tra sé: «Sapevo che le donne sono degli angeli, ma uno così bello non lo avevo mai visto!»
«Attenzione» gridò la ragazza atterrando. Cadde di sedere sotto lo sguardo divertito di Christian.
«Ohioiiiii! Che male mi sono fatta!» disse a mezza voce. «Aiutami, Christian, aiutami ad alzarmi.»
Il ragazzo si precipitò verso di lei e le prestò soccorso subito.
«Ma da quando hai le ali?» le chiese Christian tra lo sbalordito e il divertito.
«Stupido. Non ho le ali! Ero sopra un unicorno alato. Vengo dall’Abbazia di Newergy, ho trovato quel che cercavo. Tu, invece che hai combinato?»
Christian si guardò attorno. «Beh… io ti cercavo, non avendoti trovata stavo facendo un arco. Guarda.» Corse a prenderlo, dato che con la caduta di Rosehan era scivolato a terra.
«Uao! È bellissimo… ma come hai fatto? Con quel semplice coltellino poi?» domandò Rosehan indicando il minuscolo pugnale che Christian aveva in mano.
«Amo tirare con l’arco, non vedi la mia faretra? Però mio padre mi ha insegnato che se voglio una cosa me la devo costruire io, con le mie mani. Ecco te lo regalo, io ho il mio.»
«Ma io non so tirare con l’arco» ammise con disappunto Rosehan.
«Ah. Nemmeno io sapevo fare gli archi e ho imparato a costruirmeli da solo. E così le frecce. Se non mi avessi raccontato che non sei una principessa, continuerei a crederlo.»
«Da’ qua, tonto.» Gli prese il piccolo coltello dalle mani con poco garbo. «Vedrai che me lo costruisco da sola un arco, non ho bisogno certo del tuo» e gettò a terra il bell’arco di Christian.
Il ragazzino si dispiacque alquanto e si chinò per raccoglierlo.
«Vandala» mormorò con astio.
«Che hai detto?» gli chiese Rosehan in tono di sfida.
«Quello che hai sentito: sei una vandala. Non hai affatto il tocco di una principessa: ecco da cosa si capisce che non lo sei.»
Rosehan incrociò le braccia sul petto.
«Scusa, scusa, scusa. Sempre con questa storia della principessa. La mia domanda sarà una e diretta e pretendo una risposta: c’era forse qualche principessa che faceva girare il tuo cuoricino di tonto in quella corte dove stavi?»
Christian si avventò sulla gola di Rosehan, gettandola a terra.
«Non farmi più una simile domanda. Hai capito? Non ti riguarda!» gridò il ragazzo arrabbiato.
«E come si chiama?» incalzò lei per nulla preoccupata dell’aggressione del ragazzo.
Christian la guardò fisso negli occhi e allentò la presa.
«Perché voi ragazze sapete sempre tutto?» mormorò sedendosi sull’erba e andosi disperato una mano tra i capelli.
«Spero sia bella…» tossì Rosehan. «Perché per colpa sua stavo morendo soffocata.»
Poi, una volta rianimatasi, si pose a sedere. «Ora capisco. Non hai scoperto nulla sul conto del re. Hanno scoperto che un umile arciere si è innamorato della bella principessa e ti hanno allontanato dal Castello di Carta senza tanti complimenti.»
«No, non è così la storia» protestò il ragazzino.
«Beh… allora, raccontamela.»
Christian sospirò prima di iniziare a raccontare. «Ho scoperto davvero un intrigo a corte. Era la sera della Festa delle quattro fate. C’era un via vai di gente, ma soprattutto al Castello. Mi sono insospettito e così sono sceso nelle segrete.»
«Beh… avevi libero accesso al Castello. Fin qui mi sembra tutto regolare. Ma cosa è accaduto, allora?» chiese Rosehan incrociando le gambe.
«Degli uomini, li ho riconosciuti tutti, erano a un tavolo. Le guardie del Re e il Consigliere Dewery: sono tutti corrotti lì dentro Rosehan. Tutti. Non lo sapevo, io mi fidavo… e…»
«Va bene, la storia dell’intrigo di corte non mi interessa, parlami invece della principessa.» Rosehan si era posta su un fianco, i suoi capelli rossi ondeggiarono con il vento.
A Christian parve incredibilmente bella, anche in quella mise da guerriera.
«Lei si chiama Misya ed è destinata a diventare una Sacerdotessa.»
«Ah. Ora capisco il tuo astio. Se diventa Sacerdotessa, non può congiungersi con te. La manderanno al famoso Tempio di Ayon.»
«Ma ha una gemella, Lynn. Potrebbe sostituirla e io stare con lei.»
«Aspetta. Vuoi ingannare i suoi genitori e i suoi sudditi? Non sei così tonto come
pensavo!» esclamò esultante Rosehan. «Ti aiuterò moccioso, in fondo te l’ho detto: mi hai ispirato subito simpatia.»
«Oh. Grazie. Anche tu, se è per questo» rispose gongolando Christian.
Rosehan si sfiorò il collo: «Non l’avrei detto, poco fa. Ma ci tieni davvero tanto?»
«Beh… anche tu sei bellissima, però non sei una principessa» ammise il ragazzo.
«Oh» fece ironica Rosehan. «Non ti concedi se una non ha un regno e qualche abitante da strapazzare?»
«Sono vittima di un maleficio. Solo una principessa di sangue blu può liberarmi.»
«Qui siamo tutti prigionieri…» commentò sarcastica Rosehan.
«Ma perché anche tu? Porti con te una spada e non vuoi combattere. Perché viaggi, allora?»
«Hai ragione. Anch’io sono costretta a viaggiare. La spada non è per me, ma per Aegnor figlio di Kamen. A Sud del GranRegno si combatte la Grande Battaglia e se voglio vedere liberi i miei genitori devo far sì che almeno Aegnor sfiori l’elsa di questa spada. Siamo tutti e due prigionieri di incantesimi. Ma ti aiuterò non ti
preoccupare.»
Christian si slanciò sulla ragazza per abbracciarla, ma lei lo schivò alzandosi prontamente in piedi e sguainando la spada: la lama era tutta infuocata.
«Che ho fatto?» piagnucolò il ragazzo allarmato.
«Non lo so. Non so perché l’ho impugnata. A un tratto la sentivo calda alle mie spalle e ho avvertito l’urgenza di impugnarla» ammise la ragazza in assetto difensivo: una gamba scivolata di lato, l’altra piegata. La spada di fronte a lei e con il dito della destra sfiorava appena la guardia.
«Stai dietro di me. Ho udito dei rumori…»
Il ragazzo che era in posizione da quadrupede si mise, correndo, dietro le sue gambe: a Rosehan sembrò un cagnolino.
In effetti, un cespuglio si mosse e da questi uscì un enorme Troll.
«Aaaaaaaaaah!» urlò impaurita Rosehan
«Andiamo bene» commentò sarcastico il ragazzo, «se mi devi proteggere gridando. Ma poi anche il Troll si è spaventato con questo grido. Perché non sventoli il fazzolettino e gli indichi anche dove siamo? Potevamo nasconderci, invece di affrontarlo.»
«Smettila con i tuoi commenti acidi e aiutami. Non lo vedi che non so combattere? Ooooh, adesso ci viene incontro. Christian aiutamiiii!»
«Usa la spada, Rosehan. Cerca in tutti i modi di distra…»
Ma il Troll non appena vide la spada infuocata rimase di pietra.
Rosehan guardò stupita il bestione e la spada il cui fuoco ormai si era spento.
«L’ho sconfitto!?» gridò isterica Rosehan e svenne.
«Certo» disse Christian alzandosi in piedi. «I Troll non tollerano la luce. Ehi Rosehan siamo fuori pericolo ormai.»
Scosse la ragazza per farla riprendere, ma non ebbe alcuna risposta.
“Com’è bella!”, pensò estasiato. “Se solo fosse una principessa! Io però me ne sono invaghito lo stesso.”
Accostò le sue labbra a quelle della fanciulla e delicatamente gliele sfiorò.
“Sembra un angelo, un angelo caduto dal cielo.”
L’abbracciò con tenerezza, stringendola con ardore. «Ti amo Rosehan» farfugliò.
La ragazza rinvenne pian piano.
Capitolo sesto
La sconfitta di due mezzi demoni
«Cosa è accaduto?» chiese riprendendosi, ma vide la spada sguainata stretta tra le mani del ragazzo.
«Niente: la tua spada si è infuocata – fico! – e ha distrutto il Troll che ci aveva attaccato. Ma dove hai trovato un simile gioiellino?» A Christian brillavano gli occhi.
Rosehan si avventò sul ragazzo per strappargliela dalle mani.
«Non puoi toccarla, hai capito? È mia!»
«Sì… certo, certo, come sei permalosa…» commentò lui sedendosi. «Comunque, è meglio che qualcuno di noi rimanga di guardia questa notte. Siamo nella foresta di Dedeiw, altri Troll potrebbero attaccarci. Ehi… ma che fai?»
Rosehan si stava incamminando.
«Ma quale riposo, dobbiamo riprendere subito il viaggio, non c’è tempo per riposare» e la ragazza si mise subito a correre.
«Aspetta, Rosehan: voglio venire con te» la rincorse perché già lei aveva svoltato l’angolo e si dirigeva lesta verso il sentiero.
«Nessuno ti obbliga, tonto!»
«Ma non dovevi aiutarmi a trovare il modo di sposare la principessa Misya?»
Rosehan rallentò la sua corsa e il suo diventò un o svelto.
«Certo. Hai detto che sei del regno Luna di vetro, andiamo nella direzione del Castello, allora.»
«Vorrei venire anch’io con voi» udirono una voce alle loro spalle.
«Un’altra femmina?»
«Arrapato!» commentò Rosehan imbronciata, fermandosi di colpo e voltandosi. «Nereis, come mai sei qui?»
«Vi conoscete già?» domandò stupito Christian.
«Sì» risposero all’unisono le ragazze.
E tutte e due scoppiarono a ridere sotto lo sguardo attonito dell’arciere.
«Ho udito i vostri discorsi. Io so combattere, sono abituata. Come hai visto tu stessa nella mia città siamo quasi tutte donne e siamo addestrate a difenderci.»
«Nulla in contrario, tonto?» chiese Rosehan a Christian in un tono che non ammetteva repliche.
«E invece sì: possiamo fidarci? Non è che è una traditrice?»
Rosehan gli diede una gomitata allo stomaco.
«Oh! Uh!» mugolò il ragazzo.
«Nereis mi ha aiutata a trovare l’Abbazia di Newergy e non solo mi ha anche messa in guardia da Quing. Sii la benvenuta, Nereis!»
E le porse le mani, che lei prese tra le sue con gioia.
«Mentre ci dirigiamo verso il Castello di carta, Christian dovresti raccontarci se ci sono aggi segreti e quant’altro…»
I tre si incamminarono lesti lungo il sentiero della foresta. Durante il tragitto Christian parlava e svelava i segreti del Castello.
Poi Nereis ne svelò uno sull’Abbazia di Newergy.
«Lo sai Rosehan? Prima il Castello di carta di questo regno[15] si ergeva dove ora c’era l’Abbazia di Newergy. La direzione del Castello è stata cambiata per permettere all’Occhio del Sole[16] di manifestarsi in un modo più coerente, ma cambiare posizione al Castello di Carta vuol dire solo una cosa: imprigionare l’ultima principessa rimasta in vita al suo interno.»
«Sì Quing me l’ha raccontato durante il mio soggiorno. Sai? Ora che mi fai pensare... ho udito e ho avvertito come una strana presenza aleggiare. Sembrava che ci fosse qualcuno allo specchio di fronte alla mia stanza, forse una giovane donna…»
«Sì… doveva essere la principessa Ylenia, figlia di Darshall, figlio a sua volta di Bloch e Nyasa.»
«Ylenia» ripeté Rosehan per tenerlo bene a mente.
«Perché non le hai parlato? Può darsi che la principessa ti avrebbe fatto qualche bel dono. Magari magico... Chissà.»
«L’ho intravista proprio l’ultimo giorno, quando sono scappata volando sulle ali di un unicorno alato dall’Abbazia. Quing voleva vendermi a Elros, un mago. Mi faceva così stupida da credergli.»
«Oh. Bene, questa la devo proprio sentire» irruppe Fuinuir. «Non possono vedermi, né sentirmi. Continua a vantarti.»
Christian si turbò e il mago notò subito il suo turbamento.
«Cos’è? Un sensitivo?»
«Un sensi che?» gli domandò Rosehan, rimasta un po’ indietro rispetto a Christian e a Nereis.
«Un sensitivo. Quel ragazzo non me la conta giusta. Aspetta. Voglio proprio fare una prova...»
Gli si avvicinò e gli soffiò in faccia. Il ragazzo ebbe un sussulto.
«Nereis, Rosehan… ci deve essere uno Spirito, perché io ho sentito come un vento gelido in faccia.»
«Sì… è un sensitivo e della specie Sindarin[17].»
Rosehan lo raggiunse e chiese prima ancora che il Cacciatore delle Tenebre potesse rispondere: «E che cos’è un sensitivo Sindarin?»
«Un Guardiano della Conoscenza. Questo ragazzo non è stato addestrato, altrimenti riuscirebbe a sentire i pericoli prima ancora che si verifichino.»
«Può prevedere il futuro, insomma» fece logica Rosehan.
«No, non con chiarezza. Avverte il pericolo, ma non sa la natura. Ma non l’hai notato? Ha il dono della faretra: è un Sindarin a tutti gli effetti.»
«Devo dirglielo?»
«No, non c’è chi lo addestri a dovere. Tieni in considerazione quello che dice. Ma perché sono apparso? Non c’è alcun pericolo?» Fuinuir era perplesso.
Si guardò difatti attorno. «Sarà il sensitivo Sindarin che mi rende cieco. Rosehan, sta’ in guardia. I Sindarin possono essere buoni e cattivi allo stesso tempo.»
«Cioè?»
«Può non esserti utile saperlo, chi lo sa, ma il tuo amico se viene colpito da una
lancia Daruk può diventare pericolosissimo. Proteggilo se puoi» e se ne andò.
Voleva chiedergli come erano fatte le lance Daruk ma non fece in tempo. Alla fine del sentiero c’erano due mezzi demoni. Avevano tutta l’intenzione di attaccare briga.
«O-ooh! Due belle signorine con tanto di spada e un moccioso, qual buon vento vi porta per le strade della nostra signora Zalmeja?» esordì uno con in mano una falce.
Si leccò le tremende fauci, e mentre Rosehan iniziava a spaventarsi, Nereis impugnava la sua spada con fermezza.
«Cosa? Credete davvero di battervi con quel pezzo di ferro?» e il mezzo demone con la falce colpì la spada di Nereis che si spezzò in due: la lama della falce del mezzo demone si era infuocata di un fuoco nero e maleodorante. Nereis cadde a terra stupita per la forza del mezzo demone.
Allora, intervenne Christian che con una freccia cercò di colpirgli il cuore, ma l’altro lo protesse con lo scudo. Sembravano invincibili.
Rosehan, però, senza sapere come, aveva già impugnato la sua spada e con un balzo fu sopra al mezzo demone riuscendo a ferirlo di striscio alla spalla.
«Ma quella è la spada di Shanas!» esclamarono all’unisono i due mezzi demoni.
La spada era tutta infuocata. Rosehan cercò ancora una volta di colpire il suo avversario con la falce e le due lame si incrociarono inesorabilmente. Si udì di fatti il rumore dei due metalli.
«Rosehan, il polso… piegalo…» le suggerì Nereis.
«Ma io non voglio combattere, sta facendo tutto da sola. Comunque, grazie per il suggerimento» piegò il polso e la spada schivò questa volta il metallo.
“Fantastico!” pensò Rosehan “mi sembra di avere le ali ai piedi.”
«E ce le hai» commentò Fuinuir che nel frattempo era riapparso.
«Cosa?» ma la falce le sfiorò il viso, graffiandola in modo lieve. Rosehan vide il suo sangue, mentre scendeva a terra con delicatezza.
«Che male!» esclamò sfiorandosi la guancia.
«Non pensarci, ti curerò io dopo. Pensa a combattere invece.»
«No, non voglio» e cercò di togliere la mano dall’impugnatura della spada, ma invano: sembrava come incollata.
«Non posso fare altro, la spada ha una sua volontà.» Digrignò i denti. «Accidenti a te Fuinuir! Lo sapevo che c’era sotto qualche altro trucco!»
«Rosehan, attenta, alle tue spalle» la redarguì Nereis.
Si voltò, fece come per parare il colpo e le lame della due armi si incrociarono, questa volta però il mezzo demone premeva per farle cadere la spada di mano.
«Sei finita» gridò entusiasta il mostro.
«No se ti trafiggo io» dichiarò trionfante il ragazzo e la freccia scoccò dal suo arco, rapidissima, così rapida che l’altro demone non ebbe nemmeno il tempo di proteggerlo dal colpo.
Il corpo cadde a terra esamine e l’altro mezzo demone scappò via spaventato. Rimase a terra la falce dalla lama nera e dal lungo bastone.
«Non la toccare!» l’ammonì Rosehan.
«Perché? È solo una falce. Potrebbe servire a Nereis per combattere, dato che la sua lama ormai è spezzata.»
Christian allora, nonostante l’avvertimento di Rosehan, la raccolse da terra e la porse a Nereis. Ma quella, categorica, la rifiutò.
«Non ò mai e poi mai un’arma del nemico, un’arma Oscura.»
«Rosehan, Nereis è saggia. Dove l’hai conosciuta?! Dovete lasciare l’arma al mezzo demone, fra poco la sua carcassa scomparirà e io ti apparirò come un mago viandante per curarti la ferita. Rosehan?!»
Ma Rosehan tremava tutta: non aveva mai visto nessuno morire e adesso il terrore era dipinto sul suo pallido visino pieno di efelidi.
Fuinuir scomparve per riapparire a loro tre sotto le vesti di un mago viandante, proprio come aveva detto a Rosehan.
«C’è n’è un altro!» esclamò Christian vedendolo e arricciando il naso.
«Può darsi che non sia un mezzo demone» replicò Nereis incerta.
«E da cosa lo deduci?» gli chiese con sarcasmo.
«Dal fatto che ha un bastone, sembrerebbe un mago» disse la ragazza strizzando gli occhi perché non riusciva a distinguerlo bene. «Un Guaritore, giusto quello che ci voleva per Rosehan. Dato che è ferita.»
Il vecchio si volse nella direzione dei ragazzi.
“Mi domando se ho fatto bene a lasciare questo incarico a Rosehan” pensò Fuinuir travestito da Guaritore. “È così sensibile!”
In breve fu vicino ai tre ragazzi, si inginocchiò vicino a Rosehan e le afferrò brutalmente il faccino.
“Forse così riesco a scuoterla dal torpore in cui è caduta.”
«È solo un graffio. Le metto un unguento. Serve a lenire il dolore, più che a curare la ferita.»
Ma Christian e Nereis non afferrarono il significato delle sue parole.
«Ragazza, prendi con questo un po’ d’acqua» disse e le porse una ciotolina di terracotta. «Invece tu, ragazzo, cerca questa erba» aggiunse mostrandogli una pianta raffigurata in una sorta di illustrazione che aveva estratto dall’ampia manica della sua tunica, «affinché possa preparare l’infuso. Accenderò un fuoco per far cuocere il decotto.»
Mentre Nereis e Christian erano impegnati a fare quello che lui aveva ordinato, Fuinuir guarì con la magia Rosehan.
«Non avevi detto che eri contrario alle guarigioni con la magia?»
«Sì… certo, ma questo è solo un graffio e non danneggerai nessuno se sarai curata, soprattutto da un Guaritore.»
Rosehan gli sputò in faccia sdegnata: «Lurido verme. Tieni prigionieri i miei genitori e mi affidi una missione che io non volevo portare a termine. Cos’altro mi nascondi?»
«Rosehan, perché aiuti questo ragazzino nella sua pazzia? Prima trovi Aegnor, prima saranno liberi i tuoi genitori e, soprattutto, le sorti del GranRegno saranno risollevate.»
«Ma la spada mi costringe a combattere, che storia mai è questa?» protestò la ragazza stizzita.
«Beh… sì certo… non ti ho detto tutto. La spada si fonde con l’anima del portatore, questo vuol dire che ti protegge.»
«Cosa?»
Fuinuir si sedette sopra un masso.
«Sì… se c’è un pericolo, non esita a proteggerti. Ma credimi, la spada di Shanas appartiene ad Aegnor, figlio di Kamen. Una volta nelle sue mani la battaglia sarà vinta.»
«Ma perché la spada mi fa fare quello che non voglio, cioè combattere? L’hai visto come Christian l’ha freddato?»
«Te l’ho detto: la spada vuole solo proteggerti. Non farà male né a te né ai tuoi amici. Te lo prometto! Ma cerca un po’ di avere spirito pratico, non rimanere imbambolata se qualcuno ti colpisce. Reagisci! Potrebbe esserci tua madre o tuo padre da difendere. Hai capito? La spada saprà guidare le tue mosse correttamente, solo se correttamente saprai guidarla.»
«Mi stai dicendo che devo combattere? Ma non era nei nostri patti. Io dovevo solo portarla» gridò esasperata Rosehan.
«Non era nei nostri patti nemmeno Christian e i suoi affari di cuore, o Nereis. Entrambi dei buoni compagni di viaggio, non lo metto in dubbio, ma non puoi lasciarti trasportare dalle umane emozioni» gridò esasperato a sua volta il mago.
«Pretendi troppo da me!» singhiozzò Rosehan
«No, voglio solo che tu combatti» disse risoluto il mago, avvicinandosi e posandole le mani sulle spalle. «Adesso me ne vado, ma ricorda: non lasciare mai che il nemico ti colpisca per prima, perché ti sarai mostrata vulnerabile. Colpisci tu prima e mettilo in ginocchio. Buon appetito, il mio decotto ti rimetterà in forze.»
La sfera del lungo bastone del mago si illuminò, immergendolo nella luce. Scomparve in un attimo.
Rosehan sospirò afflitta, mentre Christian e Nereis giungevano con gli ingredienti richiesti.
«Se ne è andato!» bofonchiò rabbiosa Rosehan. «Qualcosa però mi dice che lo rincontreremo purtroppo.»
«Perché purtroppo? È stato gentile a guarirti» disse Nereis vedendo la ferita di Rosehan completamente rimarginata. «E di questi ora cosa ne facciamo?»
«È la nostra cena. Credo che sia ora di riposarsi. Il fuoco, del resto, è già .»
Videro un bel fuocherello vicino a un masso.
Capitolo settimo
Il ritorno di Quing He
Dopo aver desinato, i nostri tre si misero a dormire. La notte, infatti, era già calata e le luccicanti stelle punteggiavano il manto blu del cielo. Nereis scelse un posticino vicino al macigno dove era stato seduto Fuinuir. Christian preferì di gran lunga dormire vicino al fuoco, mentre Rosehan per colpa della spada dovette evitare la piccola fiammella del falò e accontentarsi di un giaciglio vicino a un cespuglio. Mentre Nereis e lei erano abituate a dormire fuori, per Christian incominciò un vero e proprio calvario: non riusciva a trovare la posizione più comoda per stare sdraiato. Così si girò e rigirò parecchie volte. Tant’è che Rosehan sbuffò, stufa di sentirlo rivoltarsi senza sosta sullo stesso posto.
«La smetti!» lo rimproverò aspra. «Non riesco a dormire se sento che ti giri ogni cinque secondi.»
«Questa per me è la prima volta che dormo all’aria aperta, permetti che mi senta un tantino scomodo?»
«Lo permetto, però cerca di agitarti meno. Capito?»
«Non ci riesco. Ho fastidio qualsiasi lato cerchi per addormentarmi…»
«E tu cambia posto. Vai sotto quella grande quercia. Può darsi che riesca a conciliarti meglio la nanna, piccino.»
«Certo, certo. Tu sei una selvaggia. Dormivi sempre in mezzo all’erba come una pecora. Ma dove dormivo io, il letto te lo sognavi.»
«Volete farla finita di litigare, una buona volta? Domani dobbiamo cercare il più possibile di “uscire” dalle terre di questa Zalmeja» li interruppe Nereis.
«Ma chi è?» domandò Rosehan, dimentica delle lamentele di Christian.
«È una delle Tredici Streghe Nere.»
«Davvero?»
«Se sei figlio di una strega nera, lo sarai anche tu a tua volta. Non puoi sottrarti al tuo destino, purtroppo» ammise malinconica Nereis dal suo giaciglio.
«Perché purtroppo? Io sarei felice di poter apprendere l’arte oscura da qualcuno, soprattutto da mio padre o da mia madre» ammise il ragazzo.
Rosehan si rattristò delle parole di Christian: i suoi genitori erano prigionieri e la loro salvezza dipendeva esclusivamente da lei. Se avesse fallito, se non fosse
riuscita a portare la spada di Shanas al guerriero Aegnor? Cosa avrebbe fatto senza i suoi genitori, lì, da sola, alla fattoria? Senza contare che anche le sorti della guerra dipendevano da quella spada, un peso considerevole da portare sul groppone.
Ripensò alla sua mamma, Calime, intenta a preparare in cucina i deliziosi stufati, o a suo padre, Degon, dal quale aveva appreso l’amore incondizionato per gli animali. E una lacrima le scese, lenta e silenziosa, lungo la guancia, mentre Nereis parlava di questa nemica invisibile.
«… non possiamo contrastare la magia nera. Ci vorrebbe l’aiuto di una delle Cinque Streghe. Ma loro non combattono. Ah, se avessimo un Cuore di Vetro[18]! Potremmo andare lontano da qui il più possibile e anche alla svelta.»
Rosehan si mise a pancia in giù e improvvisamente le balenò un pensiero: “Chissà come mai Nereis si è unita a noi. Nessuna l’ha costretta o gliel’ha proposto.”
Si rese, infatti, conto che non sapeva nulla o quasi di questa ragazza di Tara. La fissò per alcuni istanti perplessa. Il piccolo fuoco illuminava a malapena il suo viso che, notò Rosehan, aveva un che di notevolmente aggraziato e armonico.
«Nereis tu sei di Tara, non è vero?»
La ragazza sembrò come punta sul vivo e rispose: «In realtà, ci sono sempre vissuta. Avevo forse quattro anni quando mi trasferii in questa città.»
«Trasferita?» rimarcò incredula Rosehan.
«Sì… i miei genitori mi adottarono a quattro anni. Ricordo ben poco, quasi nulla della città dove abitavo. Forse nemmeno il nome…» Nereis mise le mani dietro la nuca.
«Ah. Sei stata adottata. Mi spiace, non sapevo, altrimenti non ti avrei chiesto» proferì Rosehan.
«No, che c’entra: è normale essere curiosi. I miei genitori mi hanno abbandonata perché avevo una strana malattia.»
«Davvero?»
«Uhm… sì… praticamente ero zoppa. Poi i miei genitori adottivi mi hanno portata alla Fontana del Melograno. Lì si guarisce da ogni forma di malattia. E in effetti fui guarita, ma a una condizione: sarei dovuta stare lontana per sempre dai miei veri genitori.»
«E questo cosa vuol dire?» domandò Christian.
«Che se per caso dovessi incontrarli, ritornerò zoppa e sarà questa volta per tutta la vita. Mi ricordo com’era difficile camminare trascinandomi l’altra gamba ancora ora, nonostante sia trascorso già tanto tempo dalla mia guarigione» rispose Nereis guardando le stelle del firmamento. «Ho un piede più rovinato dell’altro, infatti.»
«Perché viaggi con noi, non potrebbe essere pericoloso, potresti incontrarli, no?»
«Sì certo, ma io desidero viaggiare, vedere il mondo. Cosa te ne fai di due gambe se non puoi usarle per visitarlo? Le probabilità che li rincontri, poi, sono bassissime. Potrebbero essere morti, ammalati. Non mi spaventa ritornare come ero. Mi spaventa non aver visto il mondo. Tara è una bella città, ma non abbastanza per me. Io voglio conoscere gente nuova.»
«In ogni caso» sentenziò Christian, «anch’io sono felice di essere con voi due. Stare a corte non sarebbe stato così entusiasmante come viaggiare con voi.»
Ma Rosehan non era convinta delle parole di Nereis. Secondo lei, nascondeva qualcosa. Un segreto, forse. Ma non lo disse apertamente, si limitò a concludere: «Bene, adesso cerchiamo di dormire. Buona notte! Ci aspetta una giornata di cammino e non voglio lamentele, capito tonto?»
«Ricevuto. Buona notte a entrambe.»
L’indomani, quando si svegliarono, non ebbero certo una bella sorpresa. Soprattutto Rosehan. C’era quel manigoldo di Quing: praticamente li aveva raggiunti e con dell’acqua fredda si accingeva ad avvicinarsi alla spada, pensando di spegnere così il fuoco che emanava.
«Fermo!» intimò Christian incoccando una freccia. «Un solo o e te la pianto sulla schiena. E sono davvero bravo a tirare.»
Il vecchio Quing He si girò lentamente con le mani alzate, lasciando cadere a terra il secchio pieno d’acqua. Vedendolo, però, esclamò sorpreso:
«Vostra maestà cosa fate qui, con queste due straccione poi?»
Christian si sentì punto sul vivo e gli intimò di stare zitto.
«Ah. Ho capito, siete sotto copertura.»
«Ormai non più, dato che hai svelato che sono un principe.»
Rosehan sbadigliò svogliatamente: tutta quella storia non l’aveva minimante sorpresa, anzi era annoiata.
«Ecco perché volevi una principessa, non ti ha colpito alcun maleficio. Sei un principe alla ricerca di qualche avventura. E la storia di tuo padre è vera almeno?»
«Padre? Il principe Christian è l’unico sovrano incontrastato del regno Luna di Vetro. Non ha più un padre, ma uno zio, re Erothu, e una zia, lady Annael, che stanno svolgendo per ora le sue veci» disse di nuovo sinceramente Quing.
«Ma no, non devi dire niente di me!» protestò il ragazzo.
«Beh… considerato che mi volevi vendere a quel mago e che prima ti sei mostrato gentile, non dovrei affatto crederti» dichiarò risoluta a sua volta Rosehan, mettendosi in piedi e raccogliendo da terra la spada.
«Non volevo venderti a Elros. Mi ha detto che doveva riferirti qualcosa di molto importante per questo l’ho condotto nella tua stanza, ma tu sei scappata via» strillò con la sua voce stridula Quing.
Rosehan mise le mani sui fianchi.
«Non ti credo. Perché allora mi stavi sottraendo la spada poco fa?»
Quing colto dall’evidenza dei fatti, non riuscì a dire altro che: «È la verità. Non ti sto mentendo.» Ma la frase gli morì sulle labbra.
«Ormai sono disposta a credere a tutto, o quasi. Del resto, Fuinuir sarebbe apparso se fossi stata in pericolo» ma quest’ultima parola Rosehan se la lasciò sfuggire.
«Conosci il Viandante delle tenebre, davvero?» dissero all’unisono Nereis e Christian.
«Sembra che tutta la verità la conosco solo io, allora» sentenziò soddisfatto Quing.
«Sì… è lui che mi ha affidato la missione di portare la spada di Shanas al guerriero Aegnor, figlio di Kamen.»
«Beh… stiamo imparando a conoscerci, allora» ammise un poco offesa Nereis. «Ieri ho raccontato quasi tutto di me, mentre voi, vedo, avete segreti ben più grandi del mio.»
«Non è come pensate. Ho davvero bisogno del vostro aiuto per conquistare il cuore di lady Mysia. Non posso avere i miei poteri di principe, voi lo sapete. No?»
«Certo, ma allora qual è la verità?»
«Quella che vi ho già raccontato.»
«Io non me la ricordo, andiamo Nereis il viaggio è lungo.»
Nereis e Rosehan si incamminarono, le seguivano Quing e Christian, il quale ce l’aveva con il bibliotecario.
«Hai visto? Hai rovinato tutto! Perché hai parlato?»
«Scusate sire, ma non era mia intenzione rovinare la sorpresa. Quella ragazza ha
la spada di Shanas, un pezzo della spilla di Tara. Se l’avessi io, sarei coperto di ogni onorificenza.»
Christian si arrestò di colpo e incrociò le braccia sul petto: aveva il volto in fiamme per la collera.
«In effetti, esisti solo tu. Solo tu sei importante…» fece ironico il ragazzo.
«Voi non capite. La gente di Tara mi odia…»
«Eh… e te ne meravigli, anche? Sei un grande egoista!» sentenziò il ragazzino con disappunto.
«Beh… anche voi cercate una cosa per il vostro tornaconto. Non mi sembra di essere dissimile da voi, sire» rispose a tono Quing indicando le ragazze che si stavano allontanando.
«Io non sono uguale a voi. Sono un principe! Un principe! E il tuo dovere di suddito è di ubbidire alle mie leggi.»
«Ma qui a Corallo D’Avorio non avete alcun potere, sire. E nel vostro Regno, Luna di vetro, senza una vostra principessa non potete regnare. Perché non sottostate alla decisione di vostro zio?»
Christian si fermò di colpo. Lo stesso fece Quing He.
«Non voglio sposare lady Kiera. Non ne sono innamorato. Io amo lady Misya. E poi perché credi mi debba aiutare Rosehan?»
Alla parola “debba” Rosehan si fermò di colpo anche lei. Si voltò e nonostante Nereis le dicesse di stare calma, la ragazza cominciò a gridare: «Io non devo niente a nessuno, capito? Se ti aiuto è perché mi sei piombato addosso come…»
«Ti è piombato addosso? Oh! Questa la voglio sentire tutta…» insinuò maliziosa Nereis.
«Non volevo dire questo. Non ci siamo abbracciati. Lui era sopra un albero» balbettò Rosehan arrossendo per l’imbarazzo. « E… ci siamo conosciuti così.»
«Voi non me la contate giusta. Comunque, riprendiamo il cammino. Il Castello di carta è molto lontano e non possiamo riposarci ora.»
Rosehan guardò per un fuggevole istante con rammarico Christian. Il ragazzo rimase alquanto colpito dal suo sguardo.
Nel frattempo, Elros era da poco giunto sul luogo dove avevano riposato la notte Rosehan, Nereis e Christian. Notò il falò spento, il secchio a terra e, quindi, il suolo ancora umido. Si chinò a terra per sfiorare le zolle bagnate, appoggiandosi al suo bastone di legno.
“Uhm... la terra è ancora fresca. La ragazza che cerco deve aver giaciuto qui...”
pensò mestamente.
Sfiorò l’erba calpestata con la sua nodosa mano.
Poi alzò lo sguardo per guardare l’orizzonte e scorse sul selciato le loro orme.
“Sono entrati nella foresta” continuò a riflettere.
Si alzò per avvicinarsi alle impronte e le ò in rassegna.
“A quanto pare non è sola. Sono in quattro! Uhm...”
Il sole era già alto nel cielo ed era cocente. Si sedette sopra un grande masso per riposarsi un pochino. Si tolse il cappello: aveva la fronte imperlata di sudore. L’asciugò col dorso della mano.
“Devo rimettermi in cammino. Non ho altra scelta. Non li ho raggiunti per poco...”
Si alzò con fatica e prese la direzione dei quattro viaggiatori.
Capitolo ottavo
Rosehan si scontra con Erchamon
Percorsero un viale alberato costeggiato dalle betulle. Le loro foglie triangolari si muovevano oscillando scosse con delicatezza dal vento. Rosehan si ricordò della sua casa e, solo per un istante, vide l’immagine della madre alla porta che la chiamava e il padre seduto su di uno sgabello intento a intagliare il legno per realizzare chissà quale piccola scultura.
Una lacrima le scivolò fugace sulla guancia mentre cercava di scacciare via quel triste pensiero.
«Sapete che con le foglie di betulla si può preparare un decotto che permette di guarire da alcune malattie?» intervenne Quing.
«Non ci interessano le tue elucubrazioni sulla medicina, piuttosto non vorrai venire con noi, perché a palazzo tutti ti conoscono e…» enunciò tutto d’un fiato Christian.
«Lo so, non volete fare brutta figura. Beh… me ne andrò dopo che la ragazza mi avrà dato la spada.»
«Scherzi? La darò ad Aegnor e basta. Fine della storia!»
«Ma Erchamon te lo impedirà. Stanne certa.»
«E chi sarebbe, scusa?» chiese Rosehan voltandosi di scatto sorpresa.
«Fuinuir non te ne ha parlato? Strano? Eppure avrebbe dovuto…» insinuò maligno Quing.
«Perché la spaventi?» protestò seccato Christian.
«Non la sto affatto spaventando. È giusto che sappia che è per colpa sua che si combattono delle guerre a Sud del GranRegno.»
Rosehan sguainò la spada: i suoi occhi erano infiammati dalla collera. Puntò la lama alla gola di Quing e gli intimò di parlare.
«Chi è Erchamon?» domandò quindi a bruciapelo e senza mezzi termini.
Quing si spaventò e balbettò una frase che Rosehan non comprese, ma nemmeno Nereis e Christian.
«Ripeti, nessuno ti ha sentito» ribadì risoluta.
Quing era sbalordito: Rosehan sembrava una vera e propria guerriera!
«Erchamon è un mago malvagio. Si dice sia monco. Ed è davvero tremendo.» Al poverino tremavano le labbra.
«Se è monco, come fa le sue magie? E poi cosa avrà di così terribile?» chiese Rosehan rinfoderando la spada.
«Ha l’altra mano» rispose tremante Quing. «Perché è tremendo? Ha distrutto, annientato mezzo GranRegno. La tribù colta PietreColorate è stata sterminata da lui e avevano il GrandeScudod’oro, donato dall’allora principe Chidley. Nessun mago può sconfiggerlo. È una follia mandarti in Guerra per portare una spada come questa. Sicuramente non farai più ritorno.»
Christian gli pestò il piede per zittirlo. «Se sarà necessario la proteggeremo io e i miei uomini. E poi c’è Nereis.»
Nereis lo guardò in maniera eloquente, come per dire “tu parla per te!”
«Ma non capite? Distruggerà il GranRegno e con esso tutti noi.» Quing si sedette affranto sopra un masso. Al suo fianco si udì gorgogliare una cascata.
«Che cos’è? Acqua? Bene allora, è una buona cosa. Vado a riempire le nostre borracce» dichiarò Nereis.
«Io invece vado a cercare qualcosa da mangiare, magari qualche cerbiatto.»
«No, ti prego. Non uccidere alcun animale. Piuttosto, cerca qualche erba da bollire e mangiare. Io e Quing accenderemo il fuoco. Vado a raccogliere un po’ di legna.»
Christian allora si allontanò per fare quanto Rosehan gli aveva richiesto.
«Rosehan… non ti sto mentendo. Ti ho detto la verità. Come per il mago Elros. Ti giuro: è vero! Non voleva la tua spada, voleva solo parlarti.»
«E secondo te cosa voleva dirmi?» domandò corrucciata Rosehan, voltandosi per fissarlo dritto negli occhi.
«Non so... chissà... magari sapeva qualcosa sullo strano simbolo che hai sulla nuca...» gettò lì Quing poco convinto.
«È impossibile che conosca la natura del mio simbolo. Ho chiesto ovunque e mai nessuno mi ha dato delle risposte, nemmeno tu che sei colto» affermò sfrontata la ragazza.
«Lo so. Ma quanti anni hai? Quindici - sedici? Non credo tu abbia potuto consultare chissà quanti oracoli per saperne di più sull’immagine rappresentata sulla tua nuca. Forse lui avrebbe potuto darti le risposte che tanto ansiosamente cerchi. Non credi?» fece ovvio Quing, allargando le braccia.
«Sarà» commentò poco convinta la ragazza, riprendendo a camminare su per la collina e voltandogli così le spalle. «In ogni caso, sappi che non mi interessa affatto chi sia o cosa abbia fatto questo Erchamon, ma io porterò questa spada ad Aegnor e me ne tornerò nel mio tranquillo villaggio, a Noormit, il prima possibile.»
«Lo sai che sei davvero testarda? Quel mago non guarderà in faccia a nessuno!»
«Beh… se è per questo nemmeno io. Ora se vuoi scusarmi, vado a cercare la legna per il fuoco.»
Rosehan si avvicinò alle sponde del fiume, dopo aver percorso una discesa sconnessa di sassi e iniziò a raccogliere i legnetti. In cuor suo più che con Quing ce l’aveva con Fuinuir che non le aveva parlato di questo nuovo pericolo.
«Ti avevo detto che in molti bramano la tua spada» disse Fuinuir alle sue spalle, leggendo quasi i suoi pensieri.
«Erchamon chi è? Esiste? Perché devo sapere tutto alla fine?» Rosehan aveva raccolto già dei legnetti da terra.
«Uhm… sì… Quing ti ha raccontato la verità» ammise con franchezza il Cacciatore delle tenebre.
Rosehan fece cadere a terra la legna appena raccolta, sbuffando.
«Mi dici, allora, a chi devo dare ascolto?»
«A me, naturalmente» rispose Fuinuir.
«Ma tu non mi racconti tutto. Come posso difendermi se tu non mi metti in guardia dai pericoli a cui andrò incontro?»
«Hai ragione. Ti chiedo scusa per questo. D’ora in poi cercherò di dirti tutto.»
Rosehan non aggiunse altro, si sedette a terra e iniziò a togliersi i calzari.
«Che cosa fai?» chiese Fuinuir infastidito.
«Quel cerbiatto è rimasto intrappolato nel fiume. Non lo vedi? Non riesce a raggiungere l’altra sponda: voglio salvarlo.» Si arrotolò i pantaloni fino alle ginocchia e immerse i piedi in acqua, mentre Fuinuir fluttuava sopra il fiume e vicino a lei.
«Perché non usi il tuo diadema?!»
«Ehm... non lo so usare» rispose con onestà la ragazza, mentre vacillante si inoltrava nell’acqua del fiume.
«Non sei andata da Aerandir come ti avevo detto?»
«No.»
«Se non fai cosa ti dico di fare, dandoti un buon consiglio, come pretendi di volere sapere tutto da me?»
Rosehan lo guardò torva.
«Uhm!» mugolò arrabbiata. «Va bene. Faccio da sola. Non ti preoccupare.»
Poi si toccò la testa e prese in mano il diadema, ma inciampò e cadde in acqua. La corrente iniziò a trascinarla via. Il Cacciatore delle tenebre, allora, iniziò a gridare: «Devi pensare a quello che desideri accada.»
Rosehan pensò che il cerbiatto si sarebbe dovuto salvare. Dal diadema caduto nell’acqua scaturì un cerchio di colore blu, luminescente. Ma invece di salvare il cerbiatto, salvò lei riportandola con un delicato volo sull’altra sponda.
«Lo vedi? Non funziona! Avevo pensato di salvare quel cerbiatto, invece ha salvato me.»
Fuinuir con la magia fece uscire dall’acqua il cerchietto e glielo rimise in testa dichiarando: «Lo devi tenere in testa se vuoi che funzioni, però può aiutare solo te. Pensa a una corda per legarlo, così da lontano gliela lancerai e potrai tirarlo.»
«Ma se ha la zampa bloccata si farà male.»
«Stupida, la corda sarà magica. Lo aiuterà a togliere i massi attorno alla zampa.»
Rosehan fece quanto Fuinuir le aveva detto e con sua grande sorpresa funzionò: riuscì a liberare il cerbiatto. Ma ormai si trovava sull’altra sponda del fiume.
Vide Christian che da lontano con il braccio alzato le faceva cenno di raggiungerlo. Lei gli rispose di aspettare, che presto sarebbe ritornata indietro. Voleva vedere un po’ cosa c’era oltre quella sponda.
«Non mi sembra il caso che ti inoltri. Rosehan: torna subito indietro.»
«Perché mi fai da balia? Non ho bisogno del tuo aiuto! So cavarmela benissimo da sola.»
«No, se sono comparso vuol dire che c’è qualche pericolo da qualche parte» asserì Fuinuir circospetto.
Rosehan si fermò, posò la candida mano su di un pino, accarezzò la corteccia.
«Sono abituata a girovagare per i campi. Ma perché ogni volta che c’è un pericolo arrivi tu?» Rosehan aveva notato una certa corrispondenza tra le volte in
cui era in pericolo e le apparizioni del Cacciatore delle tenebre.
«Devo proteggere la spada di Shanas.»
«Oh… bene!» commentò con una punta di sarcasmo la ragazza. «Sicuro che è proprio tutto, oppure qualcosa di misterioso ti lega alla spada?» insinuò maliziosamente la ragazza.
«Nessun incantesimo, ma per la salvezza del GranRegno devo fare in modo che la spada arrivi a destinazione.» Rispose frettolosamente il Cacciatore delle tenebre.
«Credi che Erchamon possa essere qui?» ridacchiò Rosehan inoltrandosi nella foresta.
«Può darsi.»
Rosehan smise di ridere. Si guardò indietro e senza indugio fece dietro front. Ma forse avrebbe dovuto pensarci prima, perché proprio davanti a lei c’era uno strano uomo. Aveva la pelle azzurrina ed era tutto pelato. Indossava una lunga tunica nera che strisciava a terra continuando in una nube nera: sembrava che, a parte un braccio, gli mancassero anche le gambe. Il solo braccio che aveva era lungo e snello, in contrasto con il collo tozzo. Sembrò volerla afferrare con la sua mano affusolata, ma Rosehan aveva già sguainato la spada di Shanas.
«Dunque, dunque» sibilò con la sua vocetta stridula quello strano essere. «Sei tu
che porti la spada, una semplice contadina. E hai il simbolo: posso vedere tutto quello che ti è capitato.»
«Erchamon?»
La sua lingua era uguale a quella di un serpente e anche il viso sembrava quello di un serpente: era un essere immondo!
«In persona. Dammi la spada e io non ti farò alcun male. Nemmeno ai tuoi amichetti, te lo prometto.» Ogni parola era un sibilo seguito da un grido acuto e stridulo. Facevano male le orecchie.
«Digli mai» suggerì prontamente Fuinuir.
«Mai!»
«Brava! Adesso combattilo» le suggerì Fuinuir.
Erchamon si fece serio. Rosehan lo colpì con la prima pietra che trovò a terra.
«Vattene! La spada di Shanas andrà ad Aegnor, come recita la profezia di Duinuhir.»
«Non puoi evitarlo, combatti Rosehan. Combattilo!» la incitò Fuinuir.
Rosehan allora impugnò più saldamente la spada, e si mise, senza sapere come, in assetto di combattimento. Erchamon si scagliò rapido come un rapace contro la ragazza invadendola con una nube di fumo nero.
Rosehan tossì e quando la nube nera si dissolse, si accorse con grande stupore di non avere più in mano la spada.
«Usa il diadema» le suggerì Fuinuir.
«E ora cosa faccio? Non so cosa può essermi di aiuto.»
«Grazie mille per questa» disse nel frattempo Erchamon, mostrandole la spada appena conquistata. «Te l’avevo detto che me la dovevi dare senza fare capricci» sibilò la vocetta.
Cominciò allora a lanciargli pietre, mentre quello se ne stava andando.
«Rosehan non puoi colpirlo. Non è qui. Questa è solo una proiezione. Devi cercare di recuperare la spada, prima che scompaia.»
Ma qualcosa di silenzioso e oscuro colpì Fuinuir, Rosehan però non se ne accorse.
«Il tuo protettore non potrà più proteggerti ora» sibilò minaccioso con la sua vocetta. Era davvero molto arrabbiato.
“Ma allora poco fa con quella pietra come sono riuscita a colpirlo?” pensò Rosehan. “Devo ingannarlo in qualche modo. Ci sarà sicuramente qualche trucco, pensa in fretta Rosehan, pensa in fretta!”
Le venne in mente, allora, di scatenare un forte vento: il potere del diadema lo fece levare fortissimo.
«Questi trucchetti da due soldi non funzionano con me!» dichiarò Erchamon.
«Ah, no? E allora perché sei infastidito?» ribatté agguerrita Rosehan.
Quello rise sguaiato, ma in realtà Rosehan ci aveva azzeccato: lo aveva disturbato. E non poco.
“È una nube, per questo il vento gli dà fastidio. Ha scelto la foresta per apparirmi perché qui non ce n’era come al fiume” pensò con arguzia Rosehan.
«Non è esatto» sibilò Erchamon leggendo i suoi pensieri. Ma fu costretto a mettere la mano all’orecchio e così la spada gli cadde. Rosehan si tuffò prontamente per raccoglierla, prima che il mago si accorgesse di averla persa.
Quando se ne rese conto il cielo della foresta divenne grigio e iniziarono a scendere le prime gocce di pioggia.
La furia di Erchamon si stava scatenando: «Che tu non possa mai arrivare ad Aegnor!» la maledisse. «E vagare per sempre senza meta ne Il deserto della solitudine.»
Ma prima che il secondo maleficio la potesse colpire si mise a pararlo Christian con il suo corpo per assumerselo lui. Infatti, il sortilegio ricadde per metà sul ragazzino e per metà su Rosehan. Christian scomparve mentre gridava: «Nooooo!» e fu spedito ne Il deserto della solitudine, mentre Rosehan capiva che l’altra metà del maleficio era ricaduta su di lei, si sentì terribilmente sola e triste. Si mise a piangere per questo.
Fuinuir cercò di tranquillizzarla: «Non ti preoccupare, il diadema ti ha protetta un po’. Per fortuna solo metà della maledizione è ricaduta su di te. Troveremo una soluzione per scioglierla, non ti preoccupare. Mi consulterò con i miei Superiori. Ma non sei stata astuta per niente!»
«Perché non me l’hai detto!» pianse disperata. «Io ti odio Fuinuir, ti odio» disse dibattendosi per terra.
Nel frattempo giunsero Quing e Nereis accorsi per le grida che avevano sentito da lontano.
«Cosa è accaduto?» chiese il bibliotecario, ma non gli servì spiegazione: vide Erchamon, il mago malvagio, che sbuffava dalle narici del fumo nero e che se ne andava, lanciando loro una rapida occhiata.
Intanto pioveva a dirotto.
«Vieni, andiamo via di qua» propose Nereis lacrimando un poco, e cercando di risollevare Rosehan.
«Nereis… ho la spada, ma non incontrerò mai Aegnor.»
«Sciocchezze!» cercò di rincuorarla per sminuire la triste situazione.
«È così! Erchamon mi ha fatto un maleficio, e metà se l’è addossato il povero Christian… Oh! Christian, Christian… dobbiamo andarlo a salvare… è stato spedito ne Il deserto della solitudine… vagherà per sempre lì. Dobbiamo fare qualche cosa…» ma ormai Rosehan più che parlare era come presa dalle convulsioni e le parole uscivano senza senso per gli altri.
Videro il Guaritore (Fuinuir travestito da mago guaritore) avvicinarsi.
«Devo addormentarla, al suo risveglio la disperazione si sarà dissolta, almeno... lo spero» proferì l’uomo colpendole con il suo bastone delicatamente la nuca. Così Rosehan perse i sensi.
Capitolo nono
Emerdyl delle Acque
Mentre Rosehan era svenuta, il Guaritore raccontò l’accaduto a Nereis, perché Quing non c’era, cercava delle foglie per cucinare il decotto.
«Come possiamo aiutarli?» gli chiese afflitta Nereis.
«Purtroppo la magia nera di Erchamon è terribile, difficile se non impossibile da sciogliere. Christian deve bere la pece nera della Valle di Breton solo così potrà liberarsi dal terrificante incantesimo. Lui ha fatto un gesto nobile, prendendosi metà della maledizione di Rosehan. Per questo sarà libero grazie a questo intruglio. Invece, Rosehan non so come liberarla per ora. Devo consultare i miei Superiori. Voi continuate il viaggio, appena saprò qualcosa ve lo farò sapere. A presto. Ah. Falle bere ogni tanto questa pozione» aggiunse consegnandole una boccetta trasparente con dentro un liquido lattiginoso, «poche gocce nell’acqua. Starà male, cioè avrà mal di pancia di tanto in tanto, ma non ti curare delle sue lamentele. Ah. E riprendete il viaggio il prima possibile.» E Fuinuir nelle vesti di Guaritore si dileguò nel nulla.
Nereis infilò la boccetta nella sacca, la nascose perfino agli occhi indiscreti di Quing, che arrivò poco dopo con in mano le erbe indicate dal Guaritore.
«Ma dov’è?» domandò vedendo il fuoco .
«Se ne è andato. La cosa è più seria di quanto si possa pensare: Christian è nel Regno La sabbia delle streghe, mentre Rosehan, per colpa dell’altra parte della maledizione, non arriverà mai da Aegnor.»
«Gliel’avevo detto che Erchamon era terribile, ma non mi ha voluto credere» sentenziò Quing con voce querula.
«Senti, facciamo così: porterò io la spada. Tanto basterà che il guerriero sfiori l’elsa e i genitori di Rosehan saranno liberi. Non ha detto forse così?»
Quing scosse la testa: per la prima volta Nereis notò che era smilzo fino a sembrare insignificante, la sua consunta casacca gli regalava un’aria davvero miserevole.
Invece, Quing notò le labbra carnose della ragazza, i bei seni rotondi, la desiderò con tutto se stesso. Al che Nereis si innervosì: non sopportava l’idea di essere oggetto del desiderio di un uomo così insulso.
Allora, Quing cambiò sguardo e assunse un’aria pietosa. Ma lei non si commosse, anzi lo guardò più arrabbiata. Nel frattempo, Rosehan si risvegliò con il viso ricoperto di lacrime.
«Cos’è accaduto?» domandò guardandosi attorno smarrita.
«Nulla» si affrettò a sdrammatizzare Nereis, «perché non bevi questo decotto?»
e le porse uno strano intruglio dentro una larga foglia. «Il Guaritore ha detto che presto starai benissimo.»
Mentre la distraeva con queste parole, mise le gocce della pozione che le aveva dato il Guaritore nella bevanda. «Ecco, con questo poi sarà ancora più buono, bevi… suvvia!»
Rosehan prese il bicchiere-foglia e ingurgitò il contenuto.
«Bleah! Ma cosa ci avete messo dentro?»
«Aghi di pino, una pianta velenosa che non ricordo come si chiama, e una pozione…» rispose prontamente Nereis in vece di Quing.
«Mi avete avvelenato!» cercò di sputare l’intruglio, ma ormai l’aveva ingoiato.
«No, è solo per anestetizzare la maledizione che hai subito. Vedrai che il Guaritore troverà quasi sicuramente un modo per guarirti del tutto.»
«La maledizione. È vero!» ammise afflitta Rosehan.
«Non ti preoccupare, troveremo un modo per guarirti ma tu cerca di non dar retta alle voci che senti dentro» intervenne Fuinuir, mentre gli altri come sempre non potevano né vederlo né sentirlo.
«Oh. Bene allora nemmeno alla tua?»
«Come scusa?» chiese Nereis stranita. «Parlavi forse con me?»
Rosehan scosse la testa in segno di diniego.
«Quali voci?» chiese poi guardandosi attorno.
«Le voci degli Spiriti dei morti. È la maledizione di Erchamon.»
«Ma io non sento nulla.»
Ebbe appena il tempo di dire questo che udì delle soavi voci che intonavano canti melodiosi.
«Sono queste?» domandò alzandosi di scatto in piedi.
Fuinuir rimase in ascolto.
«Le sento anch’io. Quindi, no, non credo...»
«Sono incantevoli» mormorò a mezza voce la ragazza dirigendosi come ipnotizzata verso la pianura verdeggiante lì vicino.
«Gli elfi!» esclamò vedendo tanti giovani elfi suonare la siringa sul prato.
Il vento accarezzava i loro bianchi capelli, avevano la pelle tutta brillante e le orecchie a punta. Non c’erano solo maschi, ma anche femmine che però suonavano l’arpa e cantavano.
Lei si sedette sopra un masso, a seguirla Nereis e Quing che non sentivano nulla ma potevano vedere.
Il suono era ipnotico. Rosehan era praticamente incantata.
«Deve essere sotto l’effetto di qualche maleficio» sentenziò Nereis, mentre Quing le guardava il seno con insistenza.
«Già… anch’io!» commentò con la faccia da beota.
Nereis gli diede un colpo sul braccio.
«La smetti di fare il porco? Le sorti della Grande Battaglia dipendono tutte da Rosehan e quel mago malvagio le ha complicato le cose.»
«Ma sono elfi, non faranno male a nessuno. Meno che mai a noi» commentò dispiaciuto Quing.
«Dobbiamo tapparle le orecchie.» Si strappò un lembo del suo vestitino. «Io lo infilo nel destro, tu nel sinistro e poi la trasciniamo via.»
«No, aspetta» l’afferrò per un braccio. «Prendiamoci la spada, il cerchietto e lasciamola al suo tragico e inesorabile destino. Col tempo non ricorderà più di aver perduto i suoi genitori e nessuno si ricorderà di lei. Che ne pensi?»
Nereis ci pensò un po’ su, poi rispose: «No, dobbiamo aiutarla. E credo che quel diadema non ci aiuterebbe, perché è personale. Aiuta solo lei. Se glielo sfilassimo il Viandante delle Tenebre ci potrebbe punire e già due di noi sono stati puniti. Non possiamo rimanere vittime innocenti per colpa di una spada. Se non mi vuoi aiutare, farò tutto da sola.»
«Aspetta! Volevo dirti una cosa che ho notato.»
«Cosa?»
«Erchamon… poteva colpirci, invece… non l’ha fatto. Ci ha soltanto guardato…»
«Beh… certo, noi non gli interessavamo. Dove vuoi andare a parare con questa tua affermazione?»
«Da nessuna parte. Mi è sembrato davvero strano che non ci abbia attaccati e no, non è così scontato come pensi. Poteva trasformarci in due brutti animali, così che non avremmo potuto più aiutare Rosehan.»
Nereis gli mise una mano sulla bocca: «Taci! Sproloqui e basta!»
Si avvicinò a Rosehan che era completamente in estasi: gli elfi non solo brillavano, ma emanavano una fredda luce lunare, era un incanto vederli. Sembrava quasi che la stessa luce avvolgesse anche lei.
Nereis si avvicinò a Rosehan, ma già lei stava iniziando a fluttuare in aria.
«Emerdyl delle Acque[19] ti dà il benvenuto, giovane guerriera» la salutò un’elfa con un diadema in testa.
Rosehan si portò la mano al petto per ricambiare silenziosamente il saluto, anche se poi aggiunse: «Salute a voi, maestà.»
L’elfa le disse delle parole incomprensibili, sembravano un’iniziazione. Poi si fece comprendere: «Sei schiava di un terribile male» la voce della regina degli elfi, Uentha, aveva un che di contrito.
«Cosa fa, vola?» chiese Quing vedendola fluttuare nell’aria. Sia lui che Nereis non potevano sentire i loro discorsi.
«No, non è lei. Sono gli elfi che la fanno volare. Non so come raggiungerla adesso» disse Nereis saltando per cercare di afferrarle almeno il piede.
«Ah! Vedo che con te c’è Fuinuir, il Viandante delle tenebre.»
Rosehan si sentì come fulminata: per la prima volta in vita sua, il tatuaggio sulla nuca le fece male, bruciava come se fosse colpito da una saetta. Per questo motivo iniziò a perdere un po’ quota e a precipitare, ma Uentha la fece risalire con dolcezza.
«Sì» rispose a mezza voce la ragazza, «viaggia con me. Mi protegge… anzi protegge la valorosa spada di Shanas.»
La regina Uentha annuì. «Comprendo appieno il motivo. Inizi a ricordare le ate gesta della spada.»
«Davvero?»
Uentha annuì e aggiunse solerte con la sua soave voce: «Imparerai ben presto a usarla grazie alla sapienza. Infatti, la conoscenza ti permette di apprendere direttamente dalla spada come usarla.»
«Invero, maestà… le poche volte che ho usato la spada, mi ha detto lei cosa dovevo fare. Credo che sia dotata di una volontà propria.»
«Certo che lo è» si intromise Fuinuir indispettito, ma nessuno se ne curò.
«Voglio farti dono di un talismano» disse Uentha. «Si tratta dell’antico Eyurwen, un amuleto magico che può darti il potere degli elfi.» E le porse un ciondolo. Su di esso c’era una semiluna scolpita su di uno scudo d’argento e cinque piccole sfere di diverso colore poste a raggio.
«Grazie, mia regina. Perché me ne fate dono?»
«Un giorno, tua madre Calime e tuo padre Degon salvarono il mio popolo dalla distruzione e io promisi che la loro figlia avrebbe portato con onore il nostro stemma non appena l’avessi incontrata.»
«Conoscete i miei genitori?»
«Sì. So che la tua bisnonna fu nutrice di Bloch e di Handlin, la fanciulla trasformata in lago dal mago cattivo Zanon e poi liberata. E i tuoi genitori liberarono il popolo elfico dalle grinfie di quel mago.»
“Mamma, papà” pensò mestamente la ragazza, una lacrima lenta le scivolò lungo la guancia.
«È per questo che te ne faccio dono» continuò imperterrita la regina di Emerdyl delle Acque.
La collana fluttuò nell’aria e raggiunse la ragazza, mentre un coro di elfi si levava alto fino al cielo. Quindi, raggiunse Rosehan che la prese e se la mise al collo.
«Adesso il potere delle Cinque città degli elfi, rappresentato nel ciondolo dalle cinque sfere, è ai tuoi piedi. Non ti servirà a eliminare la maledizione purtroppo, ma ti aiuterà nel tuo irto cammino. Potrai utilizzare le sfere soltanto due volte, poi il potere delle città si spegnerà e la grazia ricevuta ti accompagnerà nel tuo viaggio. Rosehan: non ti arrendere mai.»
Alla parola maledizione ricordò il terribile viso di Erchamon. E solo per un istante Rosehan provò un senso di pietà per lui, però non capì il perché.
La ragazza fu adagiata con delicatezza sull’erba. Aprì gli occhi, dopo averli chiusi e riaperti più volte: non capiva cosa fosse accaduto. Fu Nereis, e in parte Quing, a raccontarle ogni cosa.
«Christian! Dobbiamo soccorrerlo. Forse questo amuleto ci potrà aiutare.»
«No» gridò furioso Fuinuir. «Cerca di portare la spada di Shanas al guerriero Aegnor, e poi lo salvate.»
«Ma io ho perso tutto. Non hai capito?» sbottò Rosehan in lacrime. «Io… io amo Christian…»
«Oh! Sta davvero male!» scherzò Nereis. «Siamo sicuri che le ha lanciato solo due maledizioni?»
Rosehan alzò in alto l’amuleto e con le lacrime agli occhi gridò: «Portami da lui, ti prego. Fa che ricada solo su di me l’esilio, e libera lui.»
Il ciondolo si staccò dalla sua mano, fluttuò in aria per alcuni istanti e poi si illuminò di una tenue luce lunare che la inghiottì pian piano.
«Non cercatemi» urlò a Nereis e a Quing che erano esterrefatti per quel gesto così repentino.
«Rosehaaaaan» Nereis si tuffò per raggiungerla, ma invano.
Quing era senza parole.
«L’ha fatto davvero. Però quelle maledizioni funzionano» commentò ironica e con disappunto Nereis. «Andiamo di nuovo a Tara, non serviamo più. Quing? Oh! Perfetto, se ne è andato anche lui.»
“Non mi arrenderò. Andrò ne Il deserto della solitudine per cercarli, dovesse essere l’ultima cosa che faccio, la spilla di Tara tornerà a Tara.” Correva come un forsennato con la sua lunga treccia nera che si alzava a ogni suo salto tra le rocce e i pendii. Nereis lo guardò dall’alto.
«Beh… se è così... la raggiungo anch’io, dato che sono una strega.» Fece spuntare dal nulla un bastone. Poi pronunciò una formula magica. E scomparve, sotto gli occhi sbigottiti degli elfi.
Rosehan si risvegliò ne Il deserto della solitudine poco dopo. Era distesa a terra, aveva mangiato un po’ di sabbia e ora la stava sputando disgustata.
Si alzò e si scosse la sabbia dagli abiti: ne era ricoperta. Poi gridò il nome di Christian sperando che la potesse sentire, ma l’unico rumore che si sentiva nel deserto era quello delicato delle gocce di rugiada che cadevano dagli esili rami.
«Erchamon ti sconfiggerò! Te lo giuro! Fosse l’ultima cosa che faccio, ma non erà impunita la tua condanna.»
Allora si scatenò una tempesta di sabbia, i granelli sbatterono con impeto sui suoi vestiti. Era come se il mago malvagio l’avesse sentita in qualche modo.
«Non mi fai paura» lo minacciò sicura di sé Rosehan.
Si mise a correre veloce tra le dune del deserto.
Nereis apparve poco dopo, proprio dietro di lei.
“Meglio non farsi vedere” pensò la strega. “La lascerò libera di trovare Christian.”
Iniziò a seguirla. “Voglio solo aiutarla, non voglio altro. Per lei, per il GranRegno” pensò Nereis.
«Christiaaaaaaan! Mi senti?» urlò esasperata Rosehan.
Ma non le giungeva alcuna risposta. Guardò affranta l’orizzonte: sembrava tutto uguale.
Poi d’un tratto scorse qualcosa per terra. Sentì singhiozzare, allora comprese che doveva essere Christian, tutto rannicchiato, che piangeva a terra.
Gli corse incontro e il ragazzo fu stupito di vederla.
«Sono qui, non ti preoccupare Christian» e l’abbracciò forte.
Il ragazzo arrossì.
«Mi riprendo quello che è mio. Tu non devi soffrire al posto mio.»
«Rosehan che dici? La maledizione che ti ha lanciato Erchamon è terribile, non ti lascerò sola» e le baciò le guance con dolcezza. «Non lo sarai mai.»
I due ragazzi si abbracciarono.
«Se devi rimanere sola qui, rimarrò per sempre con te» la strinse ancora forte a sé.
«Christian» i due ragazzi ora singhiozzavano insieme.
«Vedrai Fuinuir troverà un modo per liberarci. Quel bastardo secondo me è legato alla spada e non me l’ha voluto dire.»
Si sedettero entrambi a gambe incrociate per terra. Si asciugarono le gote con i dorsi delle mani.
«L’importante è che la spada di Shanas sia ancora nelle tue mani. Se il mago non te l’ha potuta togliere vuol dire che sei stata forte.»
E le diede un colpetto amichevole sul braccio. Lei finalmente sorrise, quando d’un tratto il viso di Christian si illuminò tutto.
«Guarda c’è Nereis. Ma come siete arrivate qui?»
«Gli elfi mi hanno donato un medaglione magico. E io l’ho usato subito per raggiungerti.»
«E Nereis. Come è arrivata?» chiese Christian, mentre Rosehan la guardava stranita.
«Sono una strega» ammise lei senza preamboli.
«Ma non sei una delle Cinque[20]? Vero?»
«No, una delle Tredici.»
Christian e Rosehan si alzarono in piedi sgomenti: «Sei una delle Tredici Streghe Nere?!»
«Esatto!»
«Abbiamo viaggiato con una nemica al nostro fianco, allora!» esclamò sempre più allarmato Christian.
«In realtà, sire volevo aiutarvi nel vostro intento di congiungervi con una principessa, perché desidero che mi trasformiate in Strega bianca. Non voglio più far parte della Congrega. Eh… sì… in un certo qual senso siete in pericolo, le Dodici della Congrega saranno già sulle mie tracce. Per questo ho evitato di usare la magia con voi, per non farmi scoprire.»
«Ma… ma… ma…» balbettò il ragazzo, «sei bellissima. Come puoi essere cattiva?»
«È la mia natura. Ma sto cercando con tutte le forze di resisterle.»
«Puoi liberarmi dalla magia di Erchamon?» chiese Rosehan infastidita dal complimento di Christian.
«Sì… certo. La notte del sabba delle streghe. Con un rito propiziatorio. Dovremo sacrificare qualcun altro al posto tuo. Per spezzare la maledizione occorre un’altra ragazza, della tua stessa età e con la tua stessa indole, che prenda il tuo posto. Oppure, possiamo ingannarla…»
«Spiegati…»
«Nel senso che potremmo momentaneamente allontanarla, e poi cercare una cura. Credo che il Guaritore voglia fare proprio questo. Mi ha infatti donato questo filtro. Dovrebbe servire a tenere lontana la maledizione nell’attesa di trovare un rimedio più efficace.»
Rosehan guardò la boccetta. La prese tra le mani. Lo strano liquido biancastro brillava di una particolare luce grazie all’inconsueto sole del deserto. Agitò la boccetta.
«Ferma! Forse è meglio che la prenda io» si affrettò a dire Nereis, togliendogliela dalle mani con prontezza.
«Meglio non farne cadere nemmeno una goccia, dato che ti servirà per tutto il
viaggio.»
«Nereis, porta tu la spada di Shanas ad Aegnor. È evidente che io sono la meno adatta, dato che già mi sono presa questa terribile maledizione. Non tornerò più felice, è inutile» ammise piangendo in ginocchio Rosehan.
«Suvvia, non ti abbattere» la rincuorò Christian. «Dobbiamo farcela, è una grande sfida ma la vinceremo. E poi la spilla di Tara tornerà a splendere di nuovo nella sua teca. A proposito: dov’è finito Quing? Credi che ce l’avrà con noi?»
Nereis si mise le mani sui fianchi indispettita: «Non penso proprio, invece è stato un bene liberarsene: era una tale palla al piede!»
Rosehan riprese a singhiozzare. Christian allora l’abbracciò: «Il mio arco e il mio Regno sono al tuo servizio. Ti aiuterò Rosehan, come tu eri generosamente disposta ad aiutare me. Ricordati che io sono un Cavaliere prima di essere un principe.»
«Oh! Sapessi che cose belle ha detto di te, Rosehan. Dice che è inna…» ma Nereis non poté continuare la frase: Rosehan tutta imbarazzata le tappò prontamente la bocca.
«Sei innamorata di me?» concluse logico Christian, ma allo stesso tempo sbalordito.
«Seeeee… ora cambiamo discorso» fece Rosehan storpiandosi la voce, il rossore alle guance l’aveva fatta diventare paonazza.
«L’avevo capito dal nostro primo incontro, ma non credevo… innamorata?» ripeté incredulo.
«Sì, sì» annuì Nereis tutta sorridente invece di Rosehan.
«Basta non parliamone più, pensiamo al maleficio. Nereis per quanto riguarda Christian come possiamo liberarlo? C’è un qualche rimedio almeno?»
«Dovrebbe bere la pece nera della Valle di Breton.»
«E dov’è la Valle di Breton?» domandarono all’unisono Christian e Rosehan.
«Nella Valle di Breton» rispose logica Nereis.
I due la guardarono sbattendo più volte le palpebre senza capire.
«Si vede che non viaggiate mai. La Valle di Breton è nel Regno Cristallo D’oro. Ci sarebbe un poco di strada da fare. Ma visto che siete due piccioncini, mi offrirò spontaneamente di andarla a prendere. Nel frattempo, fate con comodo, vi lascio in questo deserto di solitudine. Ciao, ciao!»
«Aspetta, vorrei venire con te» ebbe appena il tempo di dire Rosehan, ma la strega era già scomparsa pronunciando una parola incomprensibile.
Nel frattempo, il mago Elros era giunto nel bosco dove Rosehan era stata attaccata da Erchamon.
Si guardò attorno stupito.
«Interessante...» commentò ad alta voce. «C’è stato un duello di magia, qui.»
Sfiorò un tronco e grazie ai suoi poteri magici poté vedere in un flashback quanto era accaduto. Poi le immagini furono risucchiate in un vortice e scomparvero del tutto.
“Si sono trasportati ne Il deserto della solitudine” pensò mesto. “Io posso farlo a piccole tappe con la mia magia. Eh... beh... muoviamoci, allora!”
Pronunciò una strana parola e si dileguò nel nulla.
Capitolo decimo
Nereis nella Valle di Breton
«Eccomi qui» disse Nereis non appena fu comparsa nel luogo. «Vediamo dove si trova la pece. Uuuh! Se penso che quel ragazzo dovrà berla, mi viene il voltastomaco solo a immaginarlo!»
Prese la sua palla di cristallo dalla sacca. La posò per terra e iniziò a interrogarla: «Dimmi dove si trova la pece?»
L’oggetto magico si accese e le mostrò una grotta su di un pendio scosceso. Vide il viale alberato dove iniziava il sentiero e così, rimessa la sfera a posto, si diresse per quell’irto sentiero.
Camminava a fatica. Si fermò dopo un paio d’ore di cammino. Si sedette su di un masso, e attese che il sole tramontasse per ottenere un poco di refrigerio. Ma quando alzò gli occhi al cielo, notò che era sorvegliata sia dall’alto che dai dintorni della caverna. I Nugh, soldati al servizio della potente maga Carlyn, volteggiavano nell’aria con i loro immensi dragoni neri.
«Oh! Ci sono i Nugh, mi metterò un mantello magico così non potranno farmi del male.»
Nel frattempo, Christian e Rosehan erano da soli ne Il deserto della solitudine.
Rosehan si era seduta su una piccola duna sabbiosa.
«Che caldo! Come farà Nereis a ritrovarci? Il deserto sembra tutto uguale.»
Christian era in piedi e la fissava con insistenza.
«Che c’è?» domandò lei seccata.
«Niente.» Si inginocchiò accanto a lei. «Rosehan davvero sei innamorata di me?»
Lei arrossì imbarazzata.
«Innamorata è una parola grande. Ti voglio bene» e gli diede un bacetto sulla guancia.
«Potresti essere una regina al mio fianco» considerò Christian prendendole il viso tra le mani.
«Ma non avresti i tuoi poteri, saresti solo un cavaliere della Coppa delle Virtù. E dovresti rinunciare al tuo regno, lo sai quali sono le leggi del GranRegno.»
«Lo so, ma sono ingiuste! Io non amo Misya. Voglio stare con te.»
«Ma quando hai raccontato quella storia, sembravi così preso da lei.»
«Ho mentito. In realtà, sono scappato dal Castello di carta. I miei zii, re Erothu e lady Annael, volevano impormi il matrimonio con lady Kiera.»
«Dunque, la storia del complotto era una bufala?»
«No, quella è vera. Ma non è stato il solo motivo che mi ha spinto a fuggire di nascosto da Palazzo.»
«Non capisco» ammise Rosehan.
«Non puoi capire...»
Christian le lasciò il viso, delicatamente. Si avvicinò a un ramo carico di gemme di rugiada e staccò un rametto senza imprimere chissà quale forza. Le gocce brillarono nell’aria e caddero a terra come tante lacrime, luccicando quasi fossero diamantini.
«Non è giusto che non possa sposare chi voglio peché sono un principe. Io voglio stare con te, Rosehan.»
«Devi ubbidire alle leggi del GranRegno. I poteri servono per proteggerlo dal Male che purtroppo incombe sempre in questo mondo.»
Rosehan si avvicinò a Christian e sfiorò con un dito una goccia che scivolò facendo scintillare la sua pelle.
«Cerchiamo di non perderci di vista, però. Anche se sono condannata a stare qui, a non fare ritorno» disse lasciandosi sfuggire una lacrima, «vieni a trovarmi qualche volta.»
Christian si voltò di scatto e le promise: «Non ti preoccupare, ti libereremo» e la strinse forte a sé.
Poi Rosehan, staccatasi dall’abbraccio, rimase in ascolto: sentiva come delle voci insistenti alle orecchie.
«Christian, non senti nulla?» domandò turbata.
Lui si pose in ascolto, ma a parte il vento che soffiava e faceva sollevare i granelli di sabbia e il dolce cadere delle gocce di rugiada sul terreno, non sentiva altro. Glielo disse difatti.
«Quello lo sento anche io. Mi riferivo a delle voci... sembrano provenire da lontano...»
«Mi spiace, ma non le sento.» Ammise a malincuore il ragazzo. «Riesci a capire cosa dicono, almeno?»
«No. Sono così distanti! Forse sono le voci di cui mi parlava Fuinuir.»
«Tipo?»
«Fuinuir mi ha detto che per colpa della maledizione di Erchamon posso sentire le voci degli Spiriti dei morti.»
«Ah. Ed è forse un male?»
«Non saprei... Fuinuir! Fuinuir!» chiamò a gran voce il mago.
Ma non apparve.
«Quando lo chiamo non viene mai. Invece, se sono in pericolo corre subito in mio soccorso.»
Sfilò la spada di Shanas dal fodero.
«Che fai?» le domandò Christian.
«Non ne sono certa, ma in qualche modo il suo destino è legato a questa spada.»
La spada brillò alla luce del caldo sole del deserto. Una strana luce azzurrina l’avvolgeva.
«Ho già visto questa luce» commentò Rosehan ammirando la spada e riflettendosi sul filo della lama. «Quando mi sono ferita all’Abbazia di Newergy, all’orologio...»
Christian non comprese il discorso di Rosehan. Si limitò a fissarla con insistenza. La ragazza rinfoderò la spada.
«Questo conferma la mia ipotesi» concluse convinta la ragazza.
«E cioè quale?» si decise a chiederle Christian.
«La luce azzurrina... secondo me è la stessa del potere del Viandante delle Tenebre. Questa spada è sicuramente legata a lui. La mia domanda è: perché?»
Rimasero in silenzio a scrutarsi.
«Ma so anche che la spada di Shanas è stata forgiata dal fuoco del Drago d’Oro...» continuò imperterrita Rosehan. «Come il GrandeScudod’Oro...»
Christian continuava a non comprendere i suoi discorsi.
«Riuscirò a risolvere questo enig...»
Proprio in quel momento comparve Nereis con in mano una boccetta colma di una liquaglia nera e non solo: con lei c’erano dei Nugh, soldati che cercavano di colpirla con delle lance affilate volando sopra dei grandi dragoni neri.
«È troppo se vi chiedo di correre?» domandò ironica Nereis correndo a sua volta.
«Ah!» gridarono all’unisono Christian e Rosehan e si appiattirono al suolo, mentre i Nugh cercavano di colpirli. Una lancia sfiorò il braccio di Rosehan.
«Ahi» gridò la ragazza tenendosi il braccio. «Ma dove diavolo è finito Fuinuir? Non mi proteggeva?»
«Andiamo, Rosehan… dobbiamo correre. Non c’è tempo!» la incitò Christian.
«Non ce la faccio, mi fa troppo male il braccio.»
«Vieni ti porto sulle spalle io.»
«Non esagerava Erchamon quando diceva che non sarei mai giunta alla meta» commentò sarcastica salendo sulle spalle di Christian.
«Presto! Uno di loro sta scendendo dal suo dragone e sta brandendo una spada!» lo incitò Rosehan.
Christian si mise a corre quanto più veloce poteva, seguiva la lunga scia di orme lasciata nel deserto da Nereis, che già li aveva distanziati da un po’.
«Ma come diavolo ha fatto quella donna a portarsi dietro questi Nugh?»
Christian non poteva vederla, ma gli occhi di Rosehan si illuminarono di una strana luce azzurrina e l’amuleto degli elfi creò una specie di barriera, uno scudo, alle loro spalle mentre la spada di Shanas si infiammava. Nonostante la prestigiosa custiodia che le aveva donato Felagund, avvertì un forte calore alla schiena.
«Lasciami andare» ordinò perentoria la ragazza. «Devo combattere.»
Christian la fece scendere dalle spalle. «Sì, giusto. È inutile scappare come conigli. Con le mie frecce e la tua spada riusciremo a guadagnare tempo.»
Così Rosehan tolse la lama dal fodero di nuovo. La spada era totalmente
infuocata e così anche gli occhi della ragazza. Si mise in assetto di combattimento. Sembrava già una guerriera provetta. Uno dei Nugh si scagliò contro di lei con la sua lancia nera. Rosehan non lo sapeva, ma era la lancia Daruk, quella della quale le aveva parlato già Fuinuir e che non doveva colpire in alcun modo Christian, essendo un sensitivo Sindarin, altrimenti sarebbe diventato cattivo.
Ma lei con due, massimo tre mosse assestate per bene lo disarmò subito. Rosehan seguì i segni di fuoco tratteggiati dalla spada nell’aria, come a suggerirle la mossa da eseguire. A lei bastò semplicemente ricalcarli con la lama per assestare il giusto colpo. Solo lei però potè vedere questi segni di fuoco.
«È l’Eletta» gridò uno dei Nugh. «Scappiamo, presto! Ritirata! Ritirata!»
Anche altri con il braccio ferito perché colpiti dalle frecce di Cristian, si allontanarono spaventati.
«C’è ne è per tutti se volete» esultò spavaldo ed entusiasta il principe. «Fatevi sotto, se avete il coraggio!»
E così se ne andarono, ma quando tutto fu finito Rosehan svenne tra le braccia del ragazzo, il quale la afferrò subito: il combattimento l’aveva davvero spossata.
Capitolo undicesimo
Agheon
Quando si risvegliò non era più ne Il deserto della solitudine. Si trovava ne La città del Sol Levante, ma questo lo apprese da Nereis che la stava fissando con insistenza mentre si riprendeva.
«Come ti senti?»
«Bene. Ho dormito parecchio?»
«Un pochino. Vi ho portato fuori dal deserto con la mia magia. Christian ha finalmente bevuto la pece e si è liberato dalla maledizione per sempre. Adesso tocca liberare te dalla maledizione di Erchamon.»
«Ma perché quei Nugh ci hanno attaccati?»
«Beh la pece della Valle di Breton non si può prendere così, come se nulla fosse. La custodisce una maga molto potente: Carlyn. Diciamo che io gliel’ho sottratta senza chiederle il permesso. Ma se avessimo osservato l’iter avremmo dovuto aspettare chissà quanto tempo. La maledizione di Erchamon è stata davvero molto efficace, devo ammetterlo. Ma grazie a Fuinuir un po’ riusciremo a contrastarla.»
Nereis tacque, Rosehan si pose a sedere sul letto sul quale era stata distesa.
«Un Nugh ha detto che io sono l’Eletta… e poi… poi non ricordo più nulla di quello che è accaduto. Sono come entrata in trance.»
«Sì… è l’effetto della spada. Ha un suo volere al quale ti piega. L’unico modo per governarla sarebbe addestrarti al combattimento. Ma credo che tra noi tre, il più esperto era Quing, anche se non si direbbe» ammise Nereis.
«E adesso dov’è?»
«E chi lo sa.»
«Potremmo provare qui a trovarti un bravo maestro. Che ne pensi?»
«E Christian dov’è?» domandò accorata Rosehan, incurante dell’affermazione di Nereis.
«In locanda, sta cenando. Non ti è venuta un po’ di fame?»
Rosehan si alzò dal letto, ma barcollò per alcuni istanti e il suo corpo incontrò il pavimento. Però non perse i sensi. Le venne subito incontro Nereis per aiutarla a rialzarsi.
«Stai bene? Se vuoi ti faccio portare qualcosa da mangiare in camera.»
«Forse è meglio» rispose Rosehan cercando di alzarsi e, rimanendo in ginocchio, si trascinò verso il letto rifiutando l’aiuto della strega.
«Allora, dimmi cosa vuol dire che sono l’Eletta? In molti me l’hanno detto. Tu sai perché ho sulla nuca tatuato il simbolo della cosiddetta spilla di Tara?»
«Io so che la spilla di Tara è un privilegio concesso a pochi. Rappresenta la regalità, la nobiltà.»
«Vorresti dire che potrei essere una regina?»
«No. Vedi... tu non sei l’unica a possedere impresso sulla nuca il simbolo di Tara.»
«È la stessa cosa che mi ha detto Quing mentre eravamo all’Abbazia di Newergy. Lui però lo ipotizzava. Tu, invece, ne sei certa.»
Nereis annuì e continuò la sua spiegazione: «Io so che le spille di Tara sono cinque tutte diverse tra loro, e la tua è la Quinta, quella che rappresenta l’Energia Spirituale e l’Anima.»
«Vuoi dire che ho qualche potere?»
«Non parlare!» le intimò Fuinuir.
Nereis si alzò in piedi di scatto, turbata: poteva sentirlo ora, ma non vederlo.
«Perché non vuoi che le dica la verità?»
«Quale verità?» gridò esasperata Rosehan. «Perché devo essere tenuta all’oscuro di tutto? Voglio sapere!»
«Giusto! Io non so molto, ma credo di sì… Rosehan tu hai un potere. Quello di…»
Ma non poté parlare: Fuinuir la zittì con un incantesimo. La strega rimase paralizzata.
«Fuinuir!» protestò debolmente Rosehan.
«Lo saprai a tempo debito.»
«Che cosa saprò? Saprò che sono una regina? È questo che ti spaventa? Non c’è altra spiegazione: ho un potere ed è dato alle persone regali. Posso congiungermi
con Christian e risanare in qualche modo il GranRegno.»
«No che non puoi!» gridò esasperato Fuinuir. «Sei solo una contadina.» E gettò rabbiosamente a terra la sedia. «La tua missione è portare la spada di Shanas al guerriero Aegnor. Non devi fare altro. Poi la tua vita riprenderà il suo corso come se nulla fosse accaduto.»
Ma si fermò: un’indicibile tenerezza gli prese il cuore. Rosehan sembrava un petalo delicato di rosellina in quel letto così grande. Gli occhi fieri e dolci della ragazza lo turbarono.
«Non sei niente, hai capito? Niente!» gridò ancora una volta esasperato il Viandante delle Tenebre appoggiandosi a una sedia rimasta in piedi. Non poteva guardarla, non ora che era così fragile.
«Devi pensare solo a questo» riprese a dire, calmandosi un poco.
«Non sono in pericolo, perché sei apparso?» chiese la ragazza con gli occhi lucidi.
«È meglio che non sappia nulla di più di quello che già sai. Credimi. Non potresti mantenere il segreto. Tua madre e tuo padre stanno soffrendo molto in questo momento. Mi sto curando di torturarli» fece aspro il mago. «Renditi conto che sono in pericolo e solo tu puoi salvarli. Adesso Nereis non ricorderà più nulla del dialogo e tu non le chiederai più niente. Altrimenti sarò costretto a cancellare i ricordi dalla tua memoria. E ti assicuro che non è una bella esperienza.»
Rosehan si rannicchiò sotto le coperte e si mise a piagnucolare, mentre a Fuinuir si stringeva il cuore. Se ne andò, sbloccando la Strega, la quale sapeva che era stata vittima di un incantesimo, ma non capiva quale.
«Quel Fuinuir, è più veloce di me» protestò Nereis. «Suvvia Rosehan, adesso ti porto qualcosa da mangiare.» E se ne andò, richiudendosi la porta alle spalle.
Rosehan smise di piangere. Rimasta sola con i suoi pensieri, ripensò alle parole di Nereis.
“Ci sono cinque spille di Tara tutte diverse tra loro, la mia è la Quinta. Quindi, se incontrassi sul mio cammino le altre quattro persone che hanno tatuata la spilla di Tara, forse saprei perché ho questo tatuaggio e a cosa serve. Chissà se il medaglione degli elfi può aiutarmi a trovare della risposte alle mie domande” pensò.
Lo prese tra le mani. Guardò la mezza luna scolpita sullo scudo d’argento e le cinque pietre blu che indicavano le città elfiche, una di esse era già annerita per metà: quella che aveva utilizzato per andare ne Il deserto della solitudine per ritrovare Christian. Gliene rimanevano quattro e mezzo. Quasi come le persone da cercare. Che coincidenza! Chissà però perché pur avendo espresso due desideri, la pietra elfica ne aveva esaudito solo uno. Quando lei aveva chiesto di raggiungere Christian aveva anche desiderato che la maledizione ricadesse su di lei, liberando così il ragazzo dal sortilegio. Invece, questa seconda richiesta non era stata esaudita. Perché? Gliel’avrebbe poi chiesto a Nereis, essendo una strega, una delle Tredici, sicuramente s’intendeva di magia. Dopo però si ricordò della parole di Uentha, della regina degli elfi che le aveva detto che l’amuleto non poteva liberarla dall’anatema. Allora, intuì la risposta alla sua domanda e cioè il motivo per cui il ciondolo non avesse esaudito entrambi i desideri.
Fissò per alcuni istanti l’amuleto, quindi desiderò cercare il possessore della spilla di Tara, allora l’amuleto si illuminò di luce lunare e la inglobò in una grande sfera di luce bianca.
Si ritrovò ad Akyab[21], in un mercato affollato di gente. Il sole era alto in cielo. C’erano tanti viandanti. Come poteva trovarlo in mezzo a tutta quella folla?
A un certo punto alzò gli occhi in alto. Sul tetto di un’abitazione c’era un ragazzo dai capelli biondi che ricadevano sulla fronte e un fazzoletto rosso in testa. Teneva le mani ai fianchi. Indossava una casacca nera, senza maniche, e un paio di larghi pantaloni dello stesso colore. Rosehan si fece largo tra la folla e raggiunse quell’abitazione. ò sotto un arco e imboccò delle scale ripide che portavano sicuramente al tetto. In breve, fu sopra. Lo vide che osservava come estasiato il paesaggio sottostante.
«Ciao!» lo salutò.
Lui si volse appena per fissarla, ma non rispose al saluto. Lei, allora, gli si avvicinò. Notò che era abbastanza alto per la sua età, e ben piantato sui piedi.
«Che cosa cerchi?» domandò quello brusco. «Questa è la mia postazione. Cercatene un’altra se non vuoi avere rogne.»
«Cosa stai guardando?» domandò Rosehan con grande curiosità.
Si volse verso di lei e commentò: «Ah! Non sei qui per guardare. Allora, che cosa vuoi?»
Rosehan per tutta risposta alzò i rossi capelli, mettendoli di lato per fargli vedere lo strano simbolo che aveva tatuato sulla nuca.
Il ragazzo disse: «Lo hai dalla nascita, non è vero?»
«Sì» ammise Rosehan.
Lui, allora, alzò i suoi capelli biondi che sembravano quasi bianchi tanto erano chiari e mostrò quello che aveva tatuato sulla nuca anche lui.
Rosehan si sorprese per quello che stava vedendo: dunque, l’aveva trovato!
Aveva tatuato sulla nuca un’aquila di profilo nell’atto di spiccare il volo, sullo sfondo una parete d’oro a ventaglio.
«L’ho dalla nascita anch’io. Sono Agheon, il possessore della Quarta spilla di Tara.»
«Dunque, tu sai che esistono Cinque spille di Tara?»
«Sì» rispose coprendosi alla svelta lo strano simbolo.
«Sai forse il suo significato?»
Agheon riprese a guardare l’orizzonte imibile.
«Sì. Però non dovresti mostrare al primo che capita questo simbolo. Potrebbe essere davvero pericoloso per te.»
Poi, la guardò dritto negli occhi.
«Allora? Il tuo simbolo cosa vuol dire?»
Agheon fece un sorrisetto malizioso. «Perché dovrei dirtelo? Non ti conosco nemmeno!»
Lei gli tese la mano e accompagnò il gesto con queste parole: «Sono Rosehan. Piacere!»
Ma lui non la prese tra le sue. La guardava con grande diffidenza.
«So cosa vuol dire il tuo» disse Agheon. «Il tuo vuol dire che quando la spada di Shanas trafiggerà il GranScudo d’oro, un drago dalla testa tutta d’oro priverà lo
scudo di ogni potere. E la spada di Shanas trionferà.»
«Però sei ben informato... Sì... una cosa del genere... E il tuo?» sbottò spazientita Rosehan.
Agheon sorrise di nuovo soddisfatto. «Il mio vuol dire: potere e fedeltà al volere divino. È sigillo del mio legame alla famiglia di Drowallack. Quando l’aquila avrà solcato un cielo dorato (cioè al tramonto), il suo occhio brillerà come un diamante, indicandomi la via del potere e la mia fedeltà al volere divino sarà premiata...»
Rosehan sbatté due volte le palpebre: non aveva ben capito.
Quello ridendo aggiunse: «Immagino che non sappia nulla delle famiglie reali. La dinastia dei Drowallack è legata ai sovrani Luna di vetro, in particolare al principe Christian.»
Rosehan si sorprese per la rivelazione.
«Io lo conosco. Sta viaggiando con me.»
Agheon si fece di colpo serio. «Davvero? Ho intenzione di mettermi in viaggio per trovarlo e, quindi, offrirgli i miei umili servigi...»
«Beh… l’hai trovato, allora» disse la ragazza allargando le braccia.
«Mi stai prendendo in giro, forse?» domandò scosso.
Rosehan fece di no con il capo.
«Assolutamente no» rimarcò convinta.
«Davvero? Ma come sei giunta in questa città? Ti ho vista apparire dal nulla, poco fa.»
Lei gli mostrò l’amuleto degli elfi. «Il principe Christian si trova nella città de Il Sol Levante. Posso portartici, se vuoi.»
Agheon la fissò incredulo per alcuni secondi, poi si risolse a dire: «Beh... d’accordo. Andiamo, allora. Cosa stiamo aspettando?»
«Bene! Ehm... mi togli però una curiosità?» domandò Rosehan prima di usare l’amuleto.
«Dimmi tutto.»
«Perché sei sul tetto di questa abitazione?»
«Semplice. Io e il mio Gruppo ci siamo creati delle postazioni di vedetta qui in città perché di recente ci sono stati alcuni furti. Da qui si può vedere chi al mercato ruba...»
«E se sei qui sopra come fai poi a inseguirlo?»
«Il mio compito è semplicemente di vedetta, in mezzo alla folla c’erano i miei compagni, solo che tu non te ne sei accorta perché non li conosci. Con un fischio segnalo il pericolo dabbasso e loro inseguono il ladro e lo acciuffano.»
«E cosa ci guadagnate?»
Agheon trattenne a stento una risatina, poi rispose: «Dieci monete d’oro e ottanta scudi d’argento. È una buona cifra se la spendi con parsimonia.»
«Quindi, lo fai per lavoro?»
«Certamente. Su commissione della Guardia Reale.»
«Oh!» fece stupita Rosehan. «Capisco perché mi hai rimproverato quando sono giunta vicino a te: credevi che ti soffiassi il lavoro.»
«Esatto.»
«Non ti dispiace partire, lasciare questa città?»
«Beh... il dovere mi chiama. E poi te l’ho detto: mi sarei messo in viaggio fra qualche giorno per cercare il principe Christian. Avevo messo da parte parecchi denari per intraprendere il viaggio, proprio per questo motivo.»
«Bene. Allora... andiamo...»
Rosehan prese in mano il medaglione che li avvolse della stessa luce intensa lunare e li trasportò in un istante in città. La prima sfera dell’amuleto si era annerita totalmente: non avrebbe potuto più usarla. E anche metà della seconda sfera si era oscurata, perché l’aveva utilizzata per ritornare nella città de Il Sol Levante con Agheon. Dunque, ora le rimanevano solo tre sfere e mezzo da utilizzare. Giunti nella sua stanza, notò che c’erano proprio tutti: Nereis con le mani sui fianchi, Christian preoccupatissimo e Fuinuir in un angolo della stanza, sempre ricoperto dal suo mantello nero e, come di consueto, nessuno poteva vederlo e sentirlo, solo Rosehan.
«Salve a tutti! Questo è Agheon e anche lui come me ha la cosiddetta spilla di Tara tatuata sulla nuca. Christian è un tuo fedele suddito, cioè deve servirti. Non sei felice che l’abbia trovato?»
«Rosehan perché hai portato questo individuo da noi?»
«Sto cercando i possessori delle spille di Tara» ammise lei con sincerità. «E Agheon è uno di questi. Il Quarto.»
«Io preferivo una ragazza, comunque… va bene lo stesso. E, quindi, Agheon da dove vieni?»
«Da Akyab signore, la profezia dice che devo servirvi fin quando l’aquila avrà solcato un cielo dorato (in genere al tramonto). Allora l’occhio dell’aquila brillerà come un diamante, indicandomi la via del potere e la mia fedeltà al volere divino sarà premiata. E dovrò prestare i miei servigi a un’altra persona che mi sarà rivelata grazie a una nuova profezia.»
«Beh… se è così ti investo mio secondo, così quando ci sarà qualche guerra ti batterai al mio fianco.»
«Signore» lo corresse quello inginocchiandosi, «mi spiace deludervi, ma i possessori della spilla di Tara non hanno vocazione guerriera. Il mio compito è solo di proteggervi, a costo della mia stessa vita.»
«Bene» esclamò il principe Christian un po’ smarrito per quella rivelazione. «Sarai il mio Consigliere di corte, allora. Quando il regno[22] sarà alla mia guida.»
Agheon fece un inchino.
«Beh… ora non ci resta che trovare un maestro per la nostra piccola Rosehan. Ormai abbiamo compreso che la spada di Shanas ha una sua volontà, quella di combattere ed è giusto che Rosehan impari a usarla come si deve. Domani ne cercheremo uno, quindi.» Concluse Nereis risoluta.
Agheon guardò sbalordito la ragazza dai capelli rossi e dal viso lentigginoso. Non sapeva che Rosehan avesse quella famosa spada.
Nel frattempo, il mago Elros era giunto ne Il deserto della solitudine.
Guardò affranto l’orizzonte sabbioso. Poi chiamò a gran voce il nome della ragazza, ma non ebbe alcuna risposta. In quel luogo della dimenticanza per lui era difficile se non impossibile seguire gli spostamenti di Rosehan. Non sapeva, infatti, dove fosse finita, se fosse ancora nel deserto o se ne fosse uscita. Decise allora di percorrerlo tutto per cercarla. Si immerse in quel mare di granelli di sabbia e il silenzio l’avvolse.
Capitolo dodicesimo
Un Maestro per Rosehan
Si ritrovarono di fronte a una semplice abitazione, forse più ricca delle altre, perché i muri erano bianchissimi e una staccionata di legno la delimitava.
«È permesso?» chiese titubante Rosehan.
Non ricevettero alcuna risposta. Poi si sentì il cigolio della porta che si apriva. Apparve un vecchio. Indossava una consunta tunica grigia e un paio di pantaloni larghi neri. Una cintola di stoffa rossa gli cingeva la vita. Era un uomo molto magro d’aspetto.
«Cosa volete?» domandò bruscamente.
«Siete il Maestro Obichi?» domandò senza preamboli Rosehan.
«In persona.»
«Maestro Obichi, vorrei che mi insegnaste a usare la mia spada» proferì lei con semplicità.
Il vecchio si avvicinò molto lentamente per cercare di vedere meglio il volto della ragazzina.
Quando fu vicino, inveì aspro: «Non insegno a una donna a combattere. Vattene via!»
Intervenne allora Nereis: «Una maledizione incombe sulla testa di questa ragazza. Ci aiuti a combatterla.»
Il Maestro Obichi la fissò per alcuni istanti in silenzio con i suoi piccoli occhi nascosti dalle sopracciglia cespugliose bianche.
«Proviene magia Oscura dalla tua persona. La tua aura è nera. Stai combattendo una dura battaglia contro te stessa» bofonchiò infine rivolto verso Nereis.
«Invero…» ma Christian non le permise di continuare.
Il vecchio si appoggiò al suo bastone, prima di tuonare ancora una volta burbero: «Andate via!» E accompagnò la frase con un gesto esplicito della mano.
Christian allora proruppe: «Sono il principe Christian, legittimo erede della casa di Drowallack, il mio è un ordine: darete lezioni alla nostra Rosehan.»
Il vecchio si mise a ridere: «Mia unica regina è lady Milmay, imperatrice di questo regno. Non ubbidisco ad altri re.»
«Maestro, per favore, insegnate a Rosehan come si usa la spada di Shanas» intervenne, dunque, Agheon in modo molto più diplomatico degli altri.
«Ha la spada di Shanas? Davvero?» Al vecchio tremarono un pochino le labbra per l’emozione. «Perché non me l’avete detto subito? Entrate, sarete miei graditi ospiti.»
I quattro entrarono nella sua dimora. Era molto frugale: al centro della saletta c’era un tavolino basso con attorno sei soffici cuscini in raso rosso per sedersi. Una tenda di bambù separava quella piccola e inospitale saletta d’ingresso da chissà quali e quante altre stanze. E poi c’erano un paio di antiche spade appese a una parete bianca. Nient’altro.
Offrì loro un tè verde.
«Come l’hai avuta? Perché ti sei decisa solo ora a imparare a usarla?»
Rosehan si schiarì la voce per rispondere, prima però lanciò un’occhiata indagatrice ai suoi compagni di viaggio: «Ebbene, non posso rivelarvi come l’ho ricevuta. E invero non volevo imparare a usarla. Chi me l’ha data non mi ha detto che la spada ha una sua volontà e incita a combattere, anche contro la propria intenzione.»
«Capisco. La tua indole di guerriera non è ancora riaffiorata...»
Rosehan aggrottò crucciata le fronte: lei non aveva alcuna intenzione di combattere. Si premurò a ribadirlo al vecchio maestro: «Io sono una semplice contadina, non amo usare le armi. Ma sono legata a questa spada da una missione molto importante.»
Il maestro Obichi intrecciò le mani sul tavolino e Rosehan notò che le dita erano nodose e lunghe.
«Se porti la spada di Shanas come il tuo amico ha affermato, vuol dire solo una cosa: sei l’Eletta. Gli Eletti sono dei particolari guerrieri. Combattono in nome della Giustizia e della Lealtà. Stai tranquilla, quindi. Lotti nel nome di valori sacri per un Guerriero del tuo calibro. Da quanto sei in viaggio? E, soprattutto, chi ti ha parlato di me?»
Rosehan alquanto dispiaciuta dalla rivelazione del maestro, rispose angustiata: «Sono in viaggio da poco tempo. Ho avuto la sfortuna di scontrarmi con il mago malvagio Erchamon, che senza tanti complimenti mi ha lanciato due maledizioni terribili. Una di queste se l’è addossata Christian – e lo indicò – però ora è guarito, grazie alla pece della Valle di Breton. Ma metà ce l’ho ancora addosso io. Ci hanno parlato bene di voi alcuni avventori della locanda dove alloggiamo. Sono certa che sarete un buon maestro per me.»
«Oh. Perbacco! Ci sono tante dicerie su questo mago malvagio. Dicono che sia impossibile sconfiggerlo. È davvero molto potente. Beh... è un bene che tu possegga la spada solo da poco tempo, vuol dire che per me sarà più semplice insegnarti a usarla. Ma non possiamo perdere altro tempo. Da domani iniziamo il tuo allenamento. Dimmi, ragazza, almeno hai mai combattuto prima d’ora?»
«No, mai! Non per mia volontà» rispose incerta Rosehan osservando la fogliolina di tè che galleggiava perpendicolare nel liquido verdognolo.
«Ci sarà comunque un gran lavoro.»
«Devo portarla ad Aegnor, ma non so come. Erchamon per alcuni istanti mi ha tolto la spada e poi mi ha lanciato una maledizione per impedirmi di arrivare alla mia meta.»
«Ma gli ostacoli che hai incontrato sono altri» aggiunse severo il Maestro.
«Che volete dire?»
«È il tuo spirito di guerriera sopito, come ti ho detto poco fa. Dovremo in qualche modo farlo venire alla luce. C’è qualcos’altro che ti turba però. Cosa?»
Rosehan annuì amareggiata.
«Ho impresso sulla nuca il simbolo della cosiddetta spilla di Tara.»
«Sei uno dei Cinque guerrieri della spilla di Tara, dunque?»
«Guerrieri?» ripeté incredula Rosehan.
Il vecchio annuì: «Sì… sei uno dei Cinque. E gli altri dove sono. Lo sai?»
«Agheon è il secondo. Vorrei saperne di più sul mio simbolo, ma nessuno, a parte interpretare la mia frase in codice, è riuscito mai a darmi informazioni.»
Glielo mostrò.
«Sì… ecco vedo. Lo conosco. È come già ti ho detto: sei un’Eletta.»
«Sì… ho sentito questo epiteto da un soldato Nugh. E non solo. Adesso capisco cosa vuol dire. Il mio destino è segnato, dunque. Finalmente so chi sono.»
Obichi disse: «Non così in fretta. Le spille di Tara nascondono tanti segreti. Questo è uno, ma è probabile che ci siano altri significati. Lo sai che il tuo dono fa parte di altri quattro?»
«Quattro doni?»
«Quando la tua spilla fu donata a Tara dai Dana, a esempio furono donate al GranRegno anche una pietra, una lancia, una spada e una coppa.»
«Non capisco. E questo che vuol dire?» domandò incuriosita.
«Non so come spiegartelo bene, perché anch’io ne so poco. So della pietra, a cosa serve. Viene comunemente chiamata La pietra del destino. In pratica, questa pietra è in grado di riconoscere tra i vari pretendenti al trono la persona degna di salirvi. Infatti, al cospetto di un vero re emette un grido. La coppa è quella delle Cinque virtù del GranRegno. La spada invece è quella con La goccia di cristallo, una vera lacrima di drago. So che è ata in mano di guerrieri valorosi, come Araton del regno di Duverger[23].
Infine la lancia. Beh... quella è andata dispersa da tempi immemori. Nessuno sa dove sia finita... L’ultima volta fu vista tra le mani di Emerald, l’elfa dei draghi, la quale se ne servì per sconfiggere il malefico Altador. Ma altro davvero non so...» rispose il Maestro Obichi.
«Sono legati al mio simbolo in particolare?»
«No. Sono solo stati donati insieme alla spada di Shanas, al GrandeScudod’Oro e alla testa di Drago d’oro. Non penso che siano legati al significato del tuo simbolo. Almeno...»
Rosehan si sentiva alquanto confusa dai discorsi del vecchio Maestro.
Agheon si intromise dicendo: «Anch’io posseggo il simbolo di Tara» e glielo mostrò.
«Eh... sì... tu sei legato alla dinastia dei Drowallack. Interessante, davvero interessante... Bene Rosehan, domani inizieremo l’allenamento. Per il resto... beh... potrete rimanere qui fin quando vorrete come miei ospiti.»
«Grazie. Ma alloggiamo in una locanda qui vicino» rispose in vece di tutti Nereis.
«Rosehan non può avere distrazioni di alcun genere. Le consiglio fermamente di rimanere qui, nella mia casa, se vuole imparare qualcosa...»
«Rimarrò» concluse risoluta la ragazza.
Così mentre Rosehan finiva di sorseggiare il suo tè con il Maestro Obichi e continuava a discutere con lui del suo destino, Nereis, Christian e Agheon se ne andarono facendo ritorno in locanda.
***
L’indomani il Maestro Obichi svegliò Rosehan che era ancora notte. Suo malgrado Rosehan si alzò lo stesso. Lui la portò nella foresta.
«Il primo esercizio che faremo è correre.»
«Oh, bene. Sono abituata.»
«Ma dovrai farlo con questi.»
Le lanciò delle pietre circolari legate a delle funi.
«Si chiamo maikioi e dovrai indossarle sia sui polsi sia sulle caviglie.»
«Va bene.»
«E non dovrai mai più toglierle.»
«Mai più?»
«Solo quando il tuo addestramento sarà finito. Oggi correrai fino a quella cascata e ritornerai correndo. Lo farai per venti volte. Si mangia quando il sole toccherà con i suoi raggi quel ramo lì. Buona fortuna.»
Rosehan iniziò a correre. O meglio voleva farlo. Ma i pesi alle braccia e alle gambe le permettevano appena di camminare.
«Se tu cammini, devi ripartire dall’inizio. Devi correre.»
«Ma non ci riesco! Questi aggeggi mi bloccano.»
«Come i nemici che non vogliono che tu continui il tuo cammino. Devi sforzarti di vincere te stessa. Non pensare di avere dei pesi alle estremità. Immagina di essere leggera, come una nuvola. Avanti. Se cadi, ricomincia da capo.»
Era il tramonto, quando Rosehan correndo aveva appena percorso un chilometro. Era stanchissima. Il maestro la fece riposare un pochino, facendola pranzare. Poi le disse di prendere il bastone che le porgeva e di colpire con forza l’aria e poi un tronco di un albero. Quindi di fare sempre lo stesso movimento.
«Quando impugni la spada devi tenerla stretta con le due mani, in modo da imprimere forza nel momento in cui colpisci qualcuno. Se ti accorgi che il tuo avversario ha capito dove colpirai, potrai sempre correggere il tiro. Forza! Tremila colpi a destra, e tremila a sinistra nel vuoto e sul tronco di quella grande quercia e poi puoi anche tornare a casa a riposare.»
E Rosehan fece quanto il Maestro le aveva ordinato.
Capitolo tredicesimo
La guerriera di Tara
Quella sera Rosehan si sentiva stanchissima. Soprattutto il suo desiderio era di togliersi i pesi, ma il maestro Obichi glielo impedì. Dormì poche ore, perché l’indomani l’allenamento riprese all’alba come tutte le volte che seguirono. Il Maestro Obichi le insegnò a tirare con l’arco sia da ferma, che a cavallo, le insegnò a cavalcare e ad arrampicarsi sugli alberi.
Quotidianamente doveva ripetere sempre le stesse azioni: correre, colpire l’aria con il bastone, salire su un albero con dei pesi alle braccia e ai piedi. Le mani, alla sera, le sanguinavano tanta energia imprimeva nel colpire con il bastone.
«Destra, sinistra, destra… affondo! E poi ripeti l’affondo. Fai scivolare il piede sinistro indietro, quello destro deve formare un quadrato con la gamba. La lama punta dritto sul petto dell’avversario. Ricorda: l’unica sorte degna per un guerriero, durante la battaglia, è la morte. Ma devi moderare il tuo astio nei confronti di chi combatti. Forse tu odi Erchamon, non è vero?»
«Sì, maestro.»
«Ebbene la temperanza è una virtù che un buon guerriero deve avere. Più avrai il controllo delle tue ioni, meno il tuo nemico lo avrà su di te. Domani proverai con me, che controbatto i tuoi colpi, così ti rafforzi. Avanti!»
L’indomani fu come disse il Maestro, provarono a combattere con due bastoni in legno molto pesanti. Rosehan indossava sempre i pesi.
Ma si dovette dichiarare vinta al primo colpo. Con destra, sinistra, destra e affondo il suo maestro la vinse subito. Riprovarono e riprovarono tante di quelle volte, ma Rosehan non riusciva proprio a non farsi disarmare.
«Ricorda sempre: quando combatti devi cercare di avere il sole e il vento dietro di te. Così la luce del sole può in qualche modo distrarre il tuo avversario. Invece, il vento servirà per dare maggiore spinta alle tue mosse. Se perdi la spada, a esempio, puoi lanciare al tuo nemico un po’ di polvere in faccia. Se avrai il vento alle tue spalle, lo potrai fare con maggiore facilità.»
Dopo quattro settimane di duro allenamento, Rosehan ormai riusciva a raggiungere la cascata di corsa, anche se continuava a impiegarci tempo, si arrampicava sugli alberi con un po’ di abilità, sapeva tirare con l’arco da ferma, ma non a cavallo, e sapeva controbattere il maestro con il destra-sinistra, destraaffondo. Allora, il Maestro Obichi le insegnò altre mosse con la spada.
«Ricorda sempre i miei insegnamenti. Il coraggio è un’altra virtù che deve possedere un buon guerriero. Consiste non solo nel non avere paura di affrontare il proprio avversario, ma anche nel saper affrontare le difficoltà. Sempre. Oggi combatteremo a mani nude. Pensa che hai perso la spada e comunque devi affrontare il tuo nemico. Coraggio! Combatti!» la incitò.
E così duellarono senza bastoni. Rosehan al primo pugno che inferse al vecchio maestro si fece male alla mano. Infatti, gettò un gemito soffocato e si prostrò a terra. Però era riuscita a colpirlo, nonostante fosse impedita dai pesi.
«Sciocca! Anche se ti fai male non devi inginocchiarti mai davanti al tuo nemico. Gli darai il ben servito così.»
«Ma fa male!» protestò tra le lacrime la ragazza.
«Ah sì? Vediamo se così non fa più male, allora.»
E le sferrò un calcio forte nell’addome, così forte che Rosehan gettò un grido, poi iniziò a tossire e dalla bocca le uscì un po’ di sangue.
«E questa è solo una carezza in confronto a quello che ti farebbe il tuo nemico. Rialzati ora! Subito!»
La ragazza tenendosi una mano allo stomaco si rimise in piedi. Ma non appena fu eretta, il Maestro Obichi la colpì in pieno viso con un forte pugno e lei ricadde a terra esanime.
«Se sei in difficoltà, usa la testa non la forza. Sii astuta. Pensa a una mossa inaspettata e soprattutto in fretta. Richiama il tuo spirito di sopravvivenza. Potrebbero essere per te le ultime ore di vita. Usa la paura che hai dentro per sconfiggermi. Non avere pietà Rosehan. Mai. La pietà è dei deboli. Alzati ora. E combatti.»
Ma Rosehan rimase distesa e ansimante: dal naso scendevano rivoli di sangue e anche dalla bocca.
Il Maestro Obichi stava per colpirla di nuovo con un forte calcio diretto alle costole, ma lei slanciò in avanti le braccia. Con l’aiuto delle corde che tenevano i maikioi legati ai suoi polsi non solo bloccò la caviglia del Maestro, ma gliela intrappolò intrecciando le mani dietro alla sua gamba. Poi, lo strattonò e lo gettò a terra.
«Brava!» si complimentò l’anziano «Sei stata un po’ lenta, ma hai capito il mio insegnamento.»
Rosehan sorrise soddisfatta con il viso ricoperto di sangue.
«Non volevo ricevere un altro dei vostri terribili calci.» Ammise.
«Molto bene. Però ti ricordo che avrei potuto fare anche questo» e la sollevò da terra con la sola forza della gamba, facendole fare una capriola in aria e facendole sbattere con forza la schiena contro il tronco della grande quercia che aveva preso a bastonate.
«Ahia, ahia!» piagnucolò l’allieva. «Non è giusto! Credevo che il combattimento fosse finito.»
«Finisce quando metti K.O. il tuo avversario, cioè quando sai che puoi dargli le spalle e non essere colpita.»
Il Maestro si avvicinò a Rosehan e le porse la mano per aiutarla ad alzarsi. Lei
l’afferrò, fingendo di accettarla, poi con uno scatto quasi felino si alzò e tirò con energia il vecchio insegnante verso di sé, ma, essendosi alzata prontamente, l’uomo andò a sbattere con vigore e di faccia contro il tronco dell’albero, rimanendo tramortito.
«Devo pensare che ora il duello finalmente sia concluso, o no?» fece saccente, ansimando spossata e mettendo le mani ai fianchi.
L’anziano guerriero cercò di ricomporsi in modo maldestro, lei allora pensò di attaccarlo alle spalle prendendolo dal collo mentre si alzava, ma lui con un gesto inaspettato le afferrò entrambe le mani con una velocità tale da somigliare a quella di un fulmine, poi gliele congiunse con forza, provocandole un grande dolore, perché i maikioi sbatterono violentemente sulle braccia.
Rosehan cadde in ginocchio sconfitta e in lacrime.
«Mai sottovalutare il tuo nemico. Mai. Anzi... devi attribuirgli più qualità di quelle che ha. La tua mente deve essere più desta dei tuoi muscoli. La forza non serve a niente se non usi l’ingegno e l’astuzia. Il bello di un combattimento è che ci sono mille modi per vincere e mille per perdere, ma tu nella tua testolina bacata pensi che la vittoria sia una sola, come la sconfitta. Non è così!»
Rosehan lo guardò sconvolta.
Il Maestro Obichi assentì.
«Non devi farti vincere dal dolore e non devi considerare la paura come una nemica, ma come la tua sola e unica forza per reagire, per combattere. Supera il dolore e appoggiati alla paura. Quando un leone insegue una gazzella, la gazzella cosa fa?»
«Scappa? Inizia a correre?» rispose logica ma allo stesso tempo incerta Rosehan.
«Esatto: inizia a correre. Ed è quello che devi fare tu: inizia a mettere in moto le tue facoltà di guerriera. Impara ad ascoltare il vento per esempio o i rumori che ti circondano. L’odore può raccontarti molte più cose di quanto tu non possa immaginare. Ho previsto che mi avresti attaccato alle spalle mentre mi alzavo perché hai ansimato di più. L’emozione e la rabbia ti sono state cattive consigliere. Cosa ti ho insegnato? Non lasciarti dominare dalla rabbia. Controlla i tuoi sentimenti, soprattutto quelli più cupi e negativi.»
Il vecchio sputò a terra: a parte un sottile rivolo di sangue che gli colava dal naso, non mostrava segni del recente comattimento. Si stupì sfiorandolo.
“Questa ragazza ha stoffa da vendere. Non ha mai combattuto a mani nude, eppure è riuscita a ferirmi. Che brava! Nessun mio allievo c’era riuscito alla prima volta, come lei. È veloce. È astuta. Ha davvero un grande potenziale...” pensò Obichi asciugandosi il sangue con un fazzoletto.
***
Erano trascorse altre quattro settimane e finalmente Rosehan andava e veniva dalla cascata come se nulla fosse, saliva sugli alberi, sulle pareti rocciose, tirava con l’arco non solo da ferma ma anche correndo e stando a cavallo, conosceva
tantissime mosse e con una spada qualsiasi già riusciva a disarmare il maestro. Aveva anche imparato ad ascoltare gran parte dei rumori che la circondavano grazie alla meditazione e conosceva una discreta gamma di odori.
Il Maestro Obichi però si preoccupava, nonostante i duri allenamenti di meditazione, Rosehan non riusciva a sentire il sibilo delle frecce nell’aria o di una lancia o di una spada o di un qualsiasi altro oggetto metallico. Sembrava “sorda” a questi rumori così essenziali. E non ne capiva il perché.
Giunse finalmente il giorno in cui duellarono con le loro spade.
«Adesso proviamo con la tua spada e io con la mia. Se mi batterai, vorrà dire che avrai appreso tutto ciò che avevo da insegnarti.»
Iniziò il combattimento. Christian e Nereis, che erano andati a casa del Maestro Obichi per vedere quell’incontro, facevano il tifo per Rosehan, mentre Agheon per il Maestro.
Rosehan si mise in assetto di combattimento: fece scivolare di lato la gamba sinistra fino a quasi distenderla per terra mentre piegava la destra fino a toccare con il sedere quasi il tallone. La spada dritta, di fronte a sé. Sfiorò il filo della lama con il dito. Lo sguardo fiero, austero.
Christian rimase colpito oltre che sorpreso: stentava a riconoscere la sua amica. Sembrava diversa, un’altra.
Il Maestro Obichi sferrò il primo attacco, ma lei lo parò senza alcuna difficoltà. Le lame si incrociarono e per un istante provocarono uno scintillio. Il Maestro impresse forza nel braccio per farle cadere dalla mano la spada di Shanas.
Rosehan fece un sorrisetto malizioso, come per dire “è troppo facile”. Si staccò dalla presa della spada del Mestro semplicemente indietreggiando. L’anziano insegnante preso alla sprovvista perse l’equilibrio e si sbilanciò in avanti, cercando erroneamente appoggio sulla lama.
Rosehan allora colpì rapidissima con un calcio la spada del suo avversario che si era piantata nel terreno.
L’anziano perse del tutto l’equilibrio e cadde disteso a terra, mentre Rosehan gli puntava sulla schiena la grandiosa spada di Shanas.
Il Maestro Obichi rimase sconvolto: con due semplici mosse l’aveva battuto!
Christian e Nereis esultarono per i progressi compiuti dalla ragazza, mentre Agheon rimase alquanto sorpreso. Non si aspettava che Rosehan avrebbe sconfitto il Maestro e soprattutto così semplicemente.
«Sei pronta. Ora puoi toglierti i pesi. Vorrei darti una cosa.»
Li condusse a casa. Le fece dono di una nuova veste da combattimento. Così Rosehan indossò una gonnellina corta color rubino, bordata d’oro, un paio di pantaloni aderenti e degli stivaletti, una cintura dello stesso colore della
gonnellina e dei pantaloni, un corto corpetto dello stesso colore del resto dell’abito e delle polsiere, sempre color rubino.
«È nata Rosehan, la guerriera di Tara» annunciò il Maestro Obichi mentre la ragazza si ammirava stupita nello specchio, intanto Nereis, Christian e Agheon la osservavano esterrefatti. Sembrava un’altra, una... vera guerriera.
Dopo qualche giorno si rimesero in viaggio.
Capitolo quattordicesimo
L’antico Eyurwen
Avevano camminato parecchi giorni quando giunsero a Kina, nella terra natia di Quing, dove a sorpresa lo rincontrarono.
Trovarono ristoro presso una locanda, Kinatwon, e il vecchio locandiere Xiwàn tenne loro compagnia raccontando le antiche gesta della principessa Primrose. In particolare, raccontò, quella sera, di come la principessa Primrose avesse restituito la spada a Salu[24].
Oltre a loro c’erano tanti altri avventori, che sorseggiavano liquori al bancone delle bevande. Agheon però stava in disparte a degustare una birra, mentre Nereis ascoltava annoiata. La sua ava, infatti, le aveva raccontato questa storia milioni di volte. Rosehan era stupefatta del temperamento della ata sovrana e avrebbe voluto tanto emularla.
Andarono a letto che era già l’una di notte. Rosehan sostò a guardare le stelle del firmamento e la luna dalla finestra aperta. Sembrava che l’amuleto donato dagli elfi riflettesse la luce lunare. Anche lei, come il medaglione del resto, splendevano di luce per quella sera. Una leggera brezza fece sollevare i suoi capelli rossi con delicatezza. Dormiva nella sua stessa stanza Nereis, mentre Christian e Agheon alloggiavano in due stanze diverse. Quing, invece, era ritornato a casa sua, felice di averli ritrovati dopo tanto tempo, anche se un po’ si sorprese e si corrucciò nel vedere Agheon, dato che si era unito a loro durante la sua lunga assenza e, quindi, non lo conosceva e temeva che anche lui potesse ambire a possedere la spada di Shanas.
«Sai Nereis?» iniziò a dire a fior di labbra Rosehan.
«Cosa?» domandò quella distesa e mezza addormentata.
A Rosehan sembrò che già dormisse, tanto la sua risposta fu un mugolio.
«Odo una bellissima musica in lontananza. È così triste ma, allo stesso tempo, riempie l’anima di serenità.»
«È la pace degli elfi» disse a mezza voce Nereis. «E le voci degli Spiriti dei morti le senti più?»
«A volte sì, ma è come se fossero in lontananza» rispose corrucciata. «A quanto sembra la pozione di Fuinuir riesce a tenerle lontane da me. Sai? Non credevo che Emerdyl delle Acque fosse così bella! Una pianura verdeggiante, sconfinata, e poi tutti gli elfi che suonano la siringa o l’arpa. E i cori, li hai sentiti anche tu?»
«No, io e Quing non potevamo sentirli, non so il perché. Ho notato che erano particolarmente belli. Comunque, so che la Strega bianca Christabel era una mezz’elfo. Ma adesso non saprei dirti se a una Strega Nera è concesso udire il loro suono.»
«Davvero? Tu... tu... credi che ti sia precluso per colpa della tua natura?»
«Temo proprio di sì. Noi Streghe Nere attingiamo il nostro potere dall’Oscurità, gli elfi invece dalla luce lunare. Adorano, infatti, la dea luna Kathleen. Le mie compagne per ora saranno furiose: se non siamo tutte unite il Sithus[25] non funziona. Questo vuol dire che le altre non possono fare le loro magie.»
«Perché vuoi cambiare la tua natura?»
«Quello che fanno le Streghe Nere non mi piace. Quando c’è una luna come questa, noi andiamo nelle case della gente e lanciamo le nostre maledizioni. In pratica, ci serviamo dei nostri poteri solo per fare del male. Io, invece, voglio aiutare la gente. So che posso farlo.»
Ci fu silenzio, prima che Nereis riprendesse a parlare. «So che Milmay, la regina di questo regno, ne fu vittima da bambina. Per fortuna Primrose la liberò e così non ci furono ulteriori conseguenze per questo regno.»
«Tu sai chi colpiranno prima le Dodici.»
«Sono uscita dalla Congrega. Sono una Rinnegata. Ma la magia oscura rimane, purtroppo. Dovrei far cancellare il sigillo che ho impresso sul braccio sinistro. E vorrei cambiare nome, e diventare una maga Guaritrice, ma per far questo devo andare a studiare magia a Pontianak[26].»
«Ah! Quindi, quando si decide di non far parte più della Congrega ci si può allontanare dalla Magia oscura.»
«Non è così semplice, Rosehan. Io sono fuggita e mi sono rifugiata a Tara, però aspettavo te. Con la mia sfera di cristallo, avevo previsto il tuo arrivo. Ma non volevo svelarti la mia natura, per non metterti in pericolo in alcun modo.»
«Beh come vedi ho un talento particolare per mettermi nei guai. Ho addosso una maledizione e devo portare questo pesante fardello sulle spalle. Quello che mi colpisce di più è la natura della spada. Sembra che sia dotata di propria volontà.»
«Sì, la spada di Shanas si fonde proprio con l’animo del possessore. Immagina che potenza sprigionerà quando sarà nelle mani di Aegnor.»
«Oh! Vorrei proprio incontrarlo. Se potessi… un momento… ho l’amuleto elfico. Credi possa essermi di aiuto?»
«Certo. Potresti servirtene, ma non volevi incontrare gli altri tre possessori delle spille di Tara?»
«Sì, è vero. Li sto cercando. Nessuno però fino adesso ha saputo aggiungere di più alle notizie che sono già in mio possesso.»
«È un simbolo che hanno solo…» ma qui si fermò, Fuinuir la bloccò come di consueto.
«Perché interrompi sempre tutto?» protestò Rosehan con grande disappunto.
«Non devi sapere nulla di più. Te l’ho già detto» replicò arrabbiato.
«Non è giusto! Dimmi solo qualcosa, ti prometto che se mi tortureranno manterrò il silenzio.»
«Va’ a dormire!» le intimò brusco il mago.
La luna si rifletteva pallidamente sul viso della giovane. Il suo amuleto ne traeva forza, ne era certa.
Fuinuir se ne andò poco dopo, lasciandola da sola con i suoi pensieri, perché aveva addormentato Nereis, affinché non parlassero più.
Poi, a un tratto Rosehan pensò: “Vorrei trovare il terzo possessore della spilla di Tara!” e così ordinò all’amuleto di assecondare il suo desiderio.
La seconda pietra blu si illuminò per metà dato che già aveva usato la prima metà per ritornare nella città del Sol Levante da Akyab insieme ad Agheon; la prima ormai era già spenta per i suoi due desideri precedenti. Le rimanevano solo tre sfere da poter utilizzare. Poi l’Eyurwen avrebbe completamente smesso di funzionare.
Si ritrovò in un luogo circondato da tante case e piccole strade polverose che serpeggiavano nell’intricato reticolo urbano percorse da molte persone. Si voltò di scatto e si ritrovò davanti a un grande portone. Entrò titubante.
All’ingresso trovò un banchetto e, seduto dietro di esso, un ragazzo sulla ventina (almeno così ipotizzò Rosehan), magro d’aspetto, alto, dai capelli castano scuri mossi, con degli splendidi occhi verde oliva. Aveva un naso dritto e un viso regolare e un po’ fanciullesco, non portava la barba e aveva due splendide labbra. Lo sguardo era magnetico e straordinariamente bello. Rosehan arrossì per questo. Si fissarono per alcuni istanti con intensità.
Poi la ragazza si fece coraggio, si avvicinò al banchetto e rivolse la parola a quel giovane così misterioso e affascinante.
«Salve» lo salutò timida.
Gettò un’occhiata al di là dell’arco che stava alle spalle del ragazzo per capire dove fosse finita e intravide degli scaffali con numerosi tomi. Sembrava una biblioteca.
«Desideri?» chiese quello alquanto seccato.
L’uomo, che stava seduto su una sedia di legno, scriveva meticolosamente con la stilo su un grande libro.
«Cercavo il possessore della spilla di Tara» dichiarò a bruciapelo Rosehan.
L’altro adagiò la penna sul piccolo scrittoio e fissò con grande curiosità l’interlocutrice lentigginosa.
«E cosa vuoi dal possessore della cosiddetta spilla di Tara?»
Rosehan si fissò imbarazzata i piedini: invero, nemmeno lei sapeva con precisione perché stesse cercando gli altri Cinque guerrieri di Tara.
Il ragazzo fece un irresistibile sorriso sghembo. Posò una foglio di carta piegato in quattro nel portafogli.
«Beh... come vedi qui non c’è nessuno con quel simbolo. Arrivederci.»
E riprese a scrivere sul voluminoso tomo. Ma Rosehan non si scoraggiò, nonostante si fosse dimostrato così scostante.
«È impossibile! L’antico Eyurwen non può essersi sbagliato» protestò risoluta.
Il ragazzo sospirò seccato e alzò gli occhi spazientito al cielo.
«Cosa non hai capito della parola “arrivederci”?» sbottò per nulla preoccupato di palesare il suo disappunto.
Chiuse con un colpo secco il tomo, poi preso il calamaio di ottone, il pennino, la spugna per assorbire l’inchiostro sulla carta e altri scomposti fogli, si dileguò inforcando l’arco. Lei lo seguì imperterrita. Lo vide adagiare su un grande tavolo quello che si era portato dietro e riprendere a scrivere con cura sul libro.
«Per me è importante trovare quella persona. Anch’io la possiedo e vorrei... vorrei capire il perché, dato che ho questo simbolo tatuato sulla nuca dalla nascita e non so davvero il motivo!»
Ma il giovane continuò a scrivere, fingendo di non averla sentita.
Rosehan, allora, si accostò a lui e sbirciò con curiosità per vedere cosa stesse annotando. Il bibliotecario, però, prontamente coprì con le braccia i suoi scritti per non farle vedere nulla. Si alzò di scatto dalla sedia e con impeto le ordinò: «Ti ho detto di andartene. Ed anche subito. Non lo vedi che sto lavorando? Non ho tempo da perdere con una sciocca ragazzina!»
«Io… io ti lascerò in pace soltanto quando mi dirai dove posso trovare il Guerriero di Tara» ribatté sicura di sé Rosehan.
Il ragazzo trasse un respiro profondo, come per calmarsi, poi rispose cercando di modulare la voce: «Sono io. Cosa vuoi?»
«Ah! Beh... questo cambia molte cose. Salve! Mi chiamo Rosehan» disse schiarendosi in viso e tendendogli la mano, ma il giovane non fece altrettanto.
Capitolo quindicesimo
Lepang e il terzo simbolo di Tara
Per nulla scoraggiata, Rosehan scostò i suoi bei capelli rossi e mostrò allo sconosciuto il suo simbolo.
Quegli lo guardò appena e con aria di sufficienza. Lei si ricoprì la nuca di nuovo e si voltò.
«Ebbene?» gli domandò con curiosità.
Lo vide che si era di nuovo seduto e che compilava con degli strani geroglifici la pagina bianca del libro che era spalancato sul tavolo.
Mise seccata le mani sui fianchi e lo fissò furiosa.
«Si dà il caso che quando una persona si presenta e porge la mano, l’altra ricambi dicendo il proprio nome e dando a sua volta la mano.»
«Non mi interessa» rispose lui mentre scriveva meticoloso. «E poi non amo il contatto fisico. Affatto.»
E le lanciò un’occhiata eloquente.
“Maledizione!” pensò stizzita Rosehan, punta sul vivo, “ha degli occhi stupendi! Non riesco a non rimanerne incantata.”
«Potrei vedere il tuo simbolo, allora?»
«E perché? Perché tu mi hai fatto vedere il tuo? Scusami, ma non ho tempo per giocare con le ragazzine.»
Rosehan, allora, senza tanti complimenti si avvicinò al ragazzo e gli scostò la bella capigliatura castano scuro dal collo.
«Ehi! Che diavolo combini?» protestò quello, prendendole le mani per toglierle dal suo collo. Lei, allora, si attaccò di più alla folta e setosa chioma del giovane. Nel tentativo di liberarsi dalla presa lui però la spinse a terra cadendo a sua volta proprio sopra di lei.
Rimasero per un istante fermi, mano nella mano, lui sopra e lei sotto, a fissarsi increduli e arrossendo. E non andò meglio dopo, perché l’unica cosa che riuscì a fare il ragazzo fu aprirsi in un dolce e splendido sorriso.
Rosehan si sarebbe voluta sotterrare per la vergogna. Il candore di quel ragazzo la disarmava.
«Certo che sei proprio testarda. Non ascolti proprio nessuno» commentò con un pizzico di sarcasmo, cercando di alzarsi, ma non ci riuscì, lei involontariamente lo teneva avvinghiato a sé con le gambe intrecciate dietro la sua schiena.
«Vuoi forse rimanere qui sul pavimento tutta la serata?» le domandò ridacchiando, perché ora la situazione gli sembrava davvero divertente.
Anche Rosehan si mise a ridere, però non rideva per la situazione, ma per il nervoso. Era tutto così... eccitante e bello, sarebbe voluta rimanere avvinghiata a lui per sempre. Lui era così seducente con le guance delicatamente arrossate, il sorriso sghembo e magnetico, gli splendidi occhi verde oliva che la fissavano con quella piacevole insistenza che in realtà indicava un falso rimprovero.
Un finto colpo di tosse proveniente dalla direzione dell’arco, ruppe il momento idilliaco di Rosehan.
In piedi e a pochi i da loro caduti a terra c’era una ragazza dai capelli neri, minuta e ben proporzionata.
«Ciao Lepang. Ero ata solo per vedere come stavi, ma vedo che sei molto impegnato» disse in tono collerico con le lacrime agli occhi.
«Bianca... Non è come pensi...» rispose pronto il giovane e riuscì a mettersi in piedi con un rapido movimento.
La ragazza che aveva chiamato Bianca, intanto, era fuggita via e lui la inseguì fuori dalla Biblioteca, forse per spiegarsi e consolarla.
Rosehan rimase a terra e... delusa. Sbuffò imbronciata. Per avere avuto quella reazione doveva essere per forza la sua fidanzata. Considerò che era un vera ingiustizia che un bel giovane come quello fosse alla mercé di una ragazza tanto insulsa. Che rabbia! Si alzò furiosa da terra e poi, sempre arrabbiata, si sedette sulla sedia dove era stato seduto il ragazzo. Lo sguardo le cadde senza volerlo sul libro. Le annotazioni erano davvero curiose: sembravano dei complicati calcoli scientifici. Chissà cos’erano...
Lepang apparve pochi minuti dopo. Rosehan se ne accorse perché vide sul foglio scritto l’ombra del ragazzo.
«Non eri contenta se non sbirciavi, non è vero?» la rimproverò con durezza.
Scattò in piedi, colta in flagrante, e cercò in modo impacciato di giustificarsi: «Non è come pensi. E poi non è che ci abbia capito un granché.»
«Cosa vuoi, ancora? Perché non te ne sei andata?»
«Stavamo parlando del simbolo, non ricordi?» annaspò.
Lepang sospirò seccato. Alzò le sopracciglia e corrugò la bella fronte.
«Se te lo faccio vedere, poi mi lasci in pace?»
Rosehan lo guardò dubbiosa.
«Cosa vuol dire quella espressione sul tuo viso?»
La ragazza iniziò a eggiare su e giù per la grande sala.
«Allora?» domandò preoccupato il bibliotecario.
«Ehm... vediamolo!»
Lepang scostò il colletto della camicia e un po’ i capelli e mostrò il simbolo che aveva tatuato sulla nuca.
«Potresti chinarti? Non riesco a scorgerlo...»
«Questa poi!» protestò debolmente, ma fece quanto gli aveva chiesto Rosehan e si inginocchiò.
Lei si avvicinò, ma uno strano dolorino allo stomaco la prese forte: Lepang la scombussolava tutta! Avrebbe voluto chinarsi verso quel collo e baciarlo con tenerezza, approfittare del fatto che fosse inginocchiato per stringerlo forte a sé,
ma si trattenne.
«Allora?»
«Ci sono due serpenti che si intrecciano senza mai toccare le proprie code. Che vuol dire? Lo sai?» fu rapida a chiedergli.
Lepang si ricoprì il collo con il colletto della camicia e i capelli. La guardò con aria di sfida.
«Beh il serpente è portatore di vita, incarna la forza vitale che scorre sulla terra. I due corpi si intrecciano perché trae potere dal sottosuolo e dal suolo.»
«Sì… ma cosa vuol dire?»
«Tante cose. Però so cosa cerchi: la frase in codice. Beh… quando due serpenti sono così uniti indicano solo una cosa: la reincarnazione dell’anima del portatore della spilla.»
« Quindi... tu… ti reincarnerai?»
«Non direttamente. Nel senso… come te lo spiego: se io e te siamo vicini in battaglia e io vengo ferito a morte, la mia anima entra nel tuo corpo per sopravvivere.»
«Anche se porto la spilla di Tara?» chiese preoccupata Rosehan.
«No, questo davvero non lo so con precisione. Credo di sì però» rispose incerto il ragazzo sedendosi e incrociando le braccia al petto. «Sei soddisfatta, ora?»
«Quindi... tu... tu... sei immortale?»
«Eh... già!»
«Quante volte ti sei reincarnato già?»
«Vuoi sapere quanti anni ho?»
Rosehan alquanto impressionata della rivelazione annuì con fermezza.
«Che io ricordi cent’anni, però è probabile che sia vissuto più lungo e che nel corso dei secoli abbia cambiato qualche volta sesso.»
«E il corpo che possiedi, come l’hai avuto?» domandò sempre più sconcertata Rosehan.
«Doveva essere vicino al mio precedente corpo. È una cosa che avviene automaticamente, senza la mia volontà. Io ricordo poco e niente dei miei aggi corporali. I miei ricordi si sfocano, purtroppo.»
«Quindi, se non c’è nessuno accanto a te, tu non puoi reincarnarti» intuì turbata Rosehan.
«Sì. È l’unico modo per morire. Non può uccidermi nessuna lancia, nessun filtro o veleno, nessuna spada o pugnale. Nemmeno gli incantesimi della morte hanno effetto su di me» ammise atono Lepang.
«Sorprendente! Convivi con l’anima di chi ti fa da contenitore?»
«No. Muore poche ore dopo il mio aggio.»
«Oh. Sei davvero molto fortunato» commentò ad alta voce Rosehan.
Lepang alzò le spalle.
«Sì... per certi aspetti sì. Ho fatto nella mia lunga vita i più disparati lavori, ho conosciuto tantissime persone, ho viaggiato, letto, studiato. Però a volte sono stanco perché nulla mi sorprende più, purtroppo. Il giovane di questo corpo era un apprendista bibliotecario e io sto svolgendo il suo mestiere, ma era fidanzato e devo stare con una ragazza della quale non mi importa proprio nulla» ammise triste Lepang.
«Non puoi dirle la verità?»
«E cosa le dico? Che il suo fidanzato è morto per darmi la vita? Mi odierebbe e io le spezzerei il cuore. E non voglio!»
Rosehan si rabbuiò, e chinò il capo afflitta.
«Tu però sei diversa dalle altre ragazze che ho conosciuto.»
Sollevò il capo smarrita per la rivelazione.
«Me lo stai dicendo in positivo o in negativo?»
Lepang la osservò e poi chiese: «Perché ti interessa sapere la mia opinione. Non ci conosciamo nemmeno!»
«Non sono famosa per avere un bel carattere» dichiarò apertamente la ragazza.
«Sì... l’ho notato. Hai qualcosa... non so... mi ricordi qualcuno... Non so come spiegartelo: ho l’impressione di vederti per la prima volta, ma anche di conoscerti da sempre. E questo mi dà sicurezza, fiducia in un certo qual senso.»
A quelle parole Rosehan sorrise felice.
«Cosa stai scrivendo su quel tomo?»
«Ah. Beh... sono dei calcoli matematici per descrivere dove sono situate Le porte dimensionali[27]. Permettono di viaggiare velocemente da una parte all’altra del GranRegno. Non si sa come trovarle. Il mio progetto, ambizioso, è quello di redigere delle mappe per permettere a tutti di utilizzarle.»
«Ah. Ho capito» mentì Rosehan per nulla interessata alla confessione di Lepang.
Lui rivelò il suo splendido sorriso sghembo, una simpatica fossetta affiorò sulla guancia e Rosehan arrossì timida.
Avrebbe voluto abbracciarlo e baciarlo. Non sapeva perché ma provava una forte attrazione per quello splendido giovane.
«Voglio farti vedere una cosa. Guarda.»
Si alzò e tirò leggermente un tomo da dove era posizionato sullo scaffale della libreria. In breve, i due scaffali si aprirono rivelando una porta segreta.
«Cos’è? A cosa serve?»
«È una porta magica, in grado di collegare l’Abbazia di Newergy del regno
Corallo D’Avorio al castello dello stesso regno. Inoltre, collega tutte le biblioteche del GranRegno.»
«Un aggio segreto, insomma.»
«Esattamente...»
«Scusa la domanda: ma qui dove siamo?»
Lepang la guardò stupito. «A Kina, naturalmente.»
«Oh! E i bibliotecari sanno di questa porta?»
«Certo! Ce ne serviamo per lo scambio di eventuali volumi.»
«Ah. Ecco come ha fatto Quing He a raggiungerci così velocemente...» pensò a voce alta Rosehan.
«Cosa? Chi è Quing He?»
«Nessuno. C’è, dunque, una porta magica in ogni Biblioteca?»
«Sì, ma...»
«Ma cosa?»
«Esiste una Chiave magica in grado di sigillare tutte queste porte. Il ragazzo al quale ho preso il corpo a quanto pare era l’Antico custode, cioè era legato a quella Chiave. Il suo destino era unito a essa. Devo trovarla a tutti i costi.»
Rosehan guardò perplessa il medaglione elfico. Aveva a disposizione soltanto tre sfere azzurre, e poi sarebbe ritornato al popolo degli elfi per sempre. Lei voleva utilizzarlo per scoprire almeno l’ultimo possessore della spilla di Tara.
«Vieni con me, può darsi che lungo il cammino troverai la Chiave magica» gli propose.
Lepang la guardò turbato.
«Come faccio? Dovrei lasciare tutto, i miei studi, il mio dovere di sposo.»
Rosehan strabuzzò gli occhi.
«Sposo?»
Lepang la guardò stupito e di sbieco.
«Sì... fra un mese io e Bianca dovremmo sposarci.»
«Ma hai detto che non ami quella donna!» gridò stizzita Rosehan.
«Curioso. Sembri dispiaciuta. Perché?»
«Ehm... non credi che sia ingiusto ingannare quella povera fanciulla?»
«Uhm... poco fa mi consigliavi di spezzarle il cuore e ora come mai sei interessata al destino di Bianca?» insinuò Lepang malizioso mentre un ciuffo ribelle gli ricadeva sulla bella fronte.
«Sei stato tu a mettere avanti i suoi sentimenti, io sto solo seguendo il tuo suggerimento.»
Lepang scoppiò in una risata argentina.
«Rosehan, ti sconsiglio di innamorarti di me. Sono un po’ vecchio per te.»
«Per quella lì invece no, non è vero?» fece sprezzante la ragazza, mettendo le mani sui fianchi.
Lepang diventò di colpo serio.
«Beh... è il mio destino: devo per forza vivere la vita degli altri, non posso sottrarmi. Ma questo tu non puoi capirlo. Comunque, verrò con te, può darsi che tu abbia ragione: solo cercando la troverò.»
E così fecero ritorno alla locanda dove c’erano gli altri compagni di viaggio.
Tutti furono sbalorditi nel vedere il nuovo arrivato e soprattutto si stupirono delle spiegazioni che addusse Rosehan; anche se sapevano dell’amuleto elfico, non si meravigliarono che la priorità di Rosehan non fosse più quella di trovare il guerriero Aegnor, data la maledizione subita. Comunque accolsero di buon grado il nuovo arrivato e ripresero solerti il viaggio. La loro destinazione successiva sarebbe stata la città di Hindi.
Capitolo sedicesimo
Una cura contro la maledizione
Il mago Elros giunse nelle stanze della locanda dove avevano alloggiato a Kina Rosehan e i suoi compagni di viaggio. Se l’era fatte indicare dal locandiere Xiwàn. E le aveva trovate, per sua sfortuna, completamente vuote. C’erano solo la moglie e la figlia del proprietario della locanda, intente a spazzare e rifare i letti, per preparare le camere per i prossimi avventori.
Riscese giù dabbasso e interrogò il locandiere.
«In quanti erano? Si sono fermati a lungo qui?»
«In locanda sono arrivati in quattro, poi all’improvviso sono diventati sei. Stava con loro anche un certo Quing He. Quindi... in sei... se lo consideriamo.»
«Sì... capisco. Quanto tempo sono rimasti in questa locanda?»
«Beh... poco. Molto spesso stavano fuori tutto il giorno e rientravano di sera molto tardi. Non so dove andassero, non sono curioso, non mi faccio gli affari degli altri io.»
«Lo immagino» commentò sarcastico il vecchio mago. «E vi hanno detto dove sarebbero andati, una volta lasciate le stanze?»
«Perché mi ponete tutte queste domande, signore? Sono forse dei ricercati?»
Elros scosse la testa in segno di diniego.
«No. State tranquillo. A me interessa avere notizie della ragazza. Tutto qui.»
«Quale ragazza? Quella coi capelli rossi o quella coi capelli neri?»
«Ah. Perché c’erano due ragazze?» il vecchio mago non si ricordava più il colore dei capelli di Rosehan, l’aveva vista solo una volta e di sfuggita all’Abbazia, quindi non sapeva che dire.
«Beh. Voi parlatemi di tutte e due.»
Xiwàn sgranò incredulo gli occhi.
«Non per farmi gli affari vostri signore, però non credo siate più in un’età in cui potreste donare felicità a una fanciulla.»
Elros lo guardò torvo.
«Prego? Non mi sembra di aver afferrato bene il senso delle vostre parole.»
«Ho detto che siete un po’ vecchio per cercare i piaceri della carne.»
«I piaceri della carne?» rimarcò incredulo il vecchio Elros «Ma per chi mi avete preso? Per un mascalzone? Sono un mago rispettabilissimo! Sto cercando la ragazza perché devo dirle alcune cose importanti, non mi sognerei mai di insidiare una giovane fanciulla!» strillò stizzito, mentre gli altri avventori lo guardavano allibiti.
«Vi conviene abbassare il tono della voce, però» gli consigliò saccente Xiwàn.
Elros digrignò i denti furioso. L’avrebbe volentieri trasformato in un lurido sorcio, se le regole del suo Ordine gliel’avessero permesso. Si limitò, quindi, a sorridere forzatamente.
«Comunque, di grazia, sapete indicarmi dove erano dirette quelle due fanciulle?» Chiese in finto tono pacato.
Xiwàn alzò le spalle e allargò le braccia come per dire “e che ne so!”
Allora, Elros estrasse dalla sacca un sacchettino pieno di monete d’oro e lo posò sul bancone, spingendolo molto lentamente verso la mano del locandiere, che ora lo fissava voluttuoso.
«Credo che queste vi schiariranno in qualche modo la memoria.»
All’uomo brillarono gli occhi per l’eccitazione e disse: «Beh... ora che ci penso, mi ricordo vagamente qualcosa, però non credo che possa interessarle.»
Un bieco modo per chiedergli altra grana. Elros sospirò ed estrasse dalla saccoccia di cuoio che portava alla cintola un altro sacchettino di monete d’oro.
«Sì... qualcosa mi sta tornando alla mente, però...» e lasciò la frase a mezz’aria.
Il mago, spazientito, prese il suo bastone e dimentico di ogni rispetto glielo diede con forza sulla testa dicendo con disprezzo: «Lurido e lercio essere, ti conviene parlare se non vuoi trascorrere il resto dei tuoi miseri giorni a strisciare nella terra come un verme.»
Xiwàn terrorizzato dalle minacce del vecchio, annuì impaurito e disse quasi piagnucolando: «Ho sentito il giovane con la fascetta in testa e i capelli biondi come il grano che diceva alla ragazza coi capelli neri che erano diretti a Hindi. Non so altro, lo giuro. Risparmiatemi, vi prego!»
Il viso raggrinzito di Elros si rasserenò.
«Molto bene Xiwàn. Grazie per l’informazione.»
Si riprese i sacchettini con le monete d’oro, mentre il locandiere li vedeva scomparire nel suo consunto vestito con rammarico.
«Non mi lasciate proprio niente?» ebbe l’ardire di chiedergli con un filino di voce.
Elros lo guardò in tralice.
«Ringraziami piuttosto per non averti trasformato in un sorcio o in un verme. E prega che la tua informazione sia corretta, perché se scopro che mi hai mentito, giuro che torno qui e sarò tutt’altro che amichevole nei tuoi confronti.»
Xiwàn mimò con le mani il rapido gesto “ho capito benissimo l’antifona, potete andare pure se volete!”
Quindi, Elros si voltò in direzione della porta mentre gli altri avventori lo osservavano sbalorditi.
«I piaceri della carne. Alla mia età. Ce ne vuole di coraggio» bofonchiò uscendo fuori dalla pensione. «Gente stupida e insulsa.»
Si rimise lo sdrucito cappello a punta in testa, si poggiò al suo bastone e s’incamminò verso la città di Hindi sospirando affranto.
***
Mentre attraversavano una pianura verdeggiante, puntellata da qualche rado fiorellino, si udiva un gran cicaleccio. Nessuno stava in silenzio. Solo Rosehan era persa nei suoi pensieri. Sembrava terribilmente assorta a osservare l’amuleto donato dagli elfi. E sospirava. Era come un’anima in pena.
Christian la osservò con grande insistenza.
«A cosa stai pensando?»
«A nulla di particolare» rispose lei laconica, lanciando un’occhiata fugace alle spalle di Lepang.
«Perché non usi queste ultime tre sfere per raggiungere il guerriero Aegnor e consegnargli la spada, invece di cercare di sapere dove si trova l’ultimo possessore della famosa spilla?»
«Come hai indovinato la mia perplessità?»
«Forse perché sono un sensitivo?» scherzò, non sapendo di averci azzeccato in pieno.
«Non posso. Prima devo assolutamente sapere chi sono e per saperlo devo trovare tutti i possessori della spilla di Tara.»
«D’accordo. Cercali pure. Ma io non credo che daranno una risposta alle tue numerose domande. Hai già sprecato inutilmente due sfere, perché una l’hai usata a metà per raggiungermi ne Il deserto della solitudine, una intera ti è servita per trovare Agheon, e un’altra metà per cercare Lepang. Almeno conserva le ultime tre per il viaggio di ritorno. Credo che dovresti intraprendere un viaggio a parte per scoprire le tue origini. Secondo me è la maledizione di Erchamon che ti svia dalla retta via.»
Rosehan si fermò di colpo e Christian fece altrettanto. Lei lo guardò torva e con ostinazione.
«Che c’è?»
«Cosa intendi per mie origini? Io sono nata e cresciuta a Noormit. Mia madre è Calime e mio padre Degon. Non ho bisogno di sapere da dove provengo, dato che già lo so e anche con estrema sicurezza.»
«Scusami, mi devo essere espresso male. Volevo dire... scoprirai a tempo debito la verità sul tuo conto... sul tuo simbolo... Del resto, mi sembra di averti sentito dire che anche i tuoi genitori hanno cercato in qualche modo una spiegazione al tatuaggio che hai sulla nuca... E non l’hanno trovata nonostante abbiano fatto delle ricerche.»
«Sarà…» commentò ora tranquillizzata. «Io, però, voglio perseguire nel mio obiettivo. E poi non è vero quanto affermi. Non è la maledizione. Il Guaritore mi dà quella pozione che la inganna.»
«Ehi... perché siete rimasti così indietro?» li chiamò a gran voce Nereis, alzando
il braccio per esortarli a raggiungerli.
Rosehan e Christian ripresero il loro cammino, in silenzio.
Christian però lo ruppe quasi subito, domandandole: «Rosehan, è una mia impressione o da quando sei tornata dalla Biblioteca di Kina insieme a quel Lepang, non sei più la stessa?»
Lei si sentì punta sul vivo.
«Che vuoi insinuare?»
«Oh. Nulla in particolare, però mi sembra che in qualche modo tu non sia più la stessa persona di quella che ho conosciuto davanti alle mura fortificate della città di Umyon.»
«Sciocchezze! Hai forse mangiato qualche fungo allucinogeno?» sbuffò la ragazza.
«Non scherzare. Io sono davvero in pensiero per te» ribadì serio il principe.
«Sono la Rosehan di sempre. Stai tranquillo!» lo rassicurò la ragazza, ma Christian non parve affatto convinto della sua affermazione.
Raggiunsero gli altri e per tutto il pomeriggio Rosehan cercò di scherzare con Nereis, perché in realtà Christian aveva visto giusto: era l’amore che provava nei confronti di Lepang che la faceva sentire strana. Da un lato si sentiva scoppiare il cuore di felicità e senza motivo, dall’altro percepiva una strana sensazione allo stomaco: era come se un nugolo di farfalle le volasse dentro, scombussolandola. Dall’altro ancora era triste perché non sapeva come raggiungerlo. Lepang era vissuto a lungo, aveva moltissima esperienza, non lo stupiva più nessuna cosa, quindi come avrebbe potuto farlo innamorare di lei? Si sarebbe accontentata anche solo di un piccolo pezzo del suo cuore. Già... ma come? Per sfuggire allo sguardo indagatore di Christian, Rosehan finse quindi di essere allegra e spensierata per tutto il pomeriggio.
Si fermarono poi in uno spiazzale di rocce e ciottoli. Agheon e Lepang si prodigarono per accendere il falò, Quing e Nereis andarono alla ricerca di cibo per tutti, Christian, invece, si recò giù al fiume per riempire le loro borracce d’acqua. Rosehan rimase pensosa a fissare i due nuovi arrivati intenti a sfregare su una tavoletta di legno un bastoncino.
«Ho scoperto come guarirti dalla maledizione di Erchamon!» interruppe all’improvviso il fluire dei suoi pensieri Fuinuir.
Rosehan lo guardò incredula e stupita.
«E come?» chiese lei senza trasporto.
«Oh. Grazie per l’interessamento Fuinuir» gli fece eco in tono ironico il Viandante delle Tenebre.
«Uhm» mormorò spazientita la ragazza.
«Va bene. Te lo dico subito. Scusa, ma quello lì chi è?»
«Lepang. Un nuovo compagno di viaggio» rispose Rosehan facendo un sorriso forzato.
Fuinuir si turbò alquanto.
«Ah. Beh... Basta che trovi Gernet, l’anello delle Dieci Fate, e che naturalmente lo indossi. Per sempre. Cioè non potrai più toglierlo, per nessuna ragione.»
«Gernet» ripeté per tenerlo a mente la ragazza.
«Sì... Gernet» confermò Fuinuir.
«E dove posso trovarlo?»
«A Hindi dovreste cercare Keduhu. È il nipote di Rajkot, un antico cartografo. Troverete diverse mappe. E tra queste quella del regno di Thumb. Anche se credo che l’abbia il principe di Ashtor. Ti saprò fornire al più presto ulteriori dettagli, fate delle ricerche anche voi.» E scomparve così come era apparso.
Agheon e Lepang esultarono felici, dandosi pacche fraterne sulle spalle per congratularsi l’uno con l’altro: finalmente il fuoco si era !
Rosehan per solidarietà batté le mani e si rallegrò con loro. Poco dopo ritornarono Nereis e Quing. Avevano tra le mani dei coniglietti morti. Rosehan impallidì vedendoli.
«Tranquilla! Non li abbiamo uccisi, erano già morti quando li abbiamo trovati» le mentì Nereis per convincerla a mangiarli, ma lei si rifiutò. Non si sarebbe mai cibata di un essere vivente, preferiva di gran lunga morire di fame, pur di non danneggiare alcun animale. Christian ritornò all’accampamento carico come un somaro e con tutte le borracce piene d’acqua legate al collo. Intuendo che Rosehan non avrebbe mangiato alcuna cacciagione, le aveva preso delle erbe commestibili. Rosehan gli sorrise contenta: dopotutto Christian aveva un cuore d’oro!
Chissà... forse inconsapevolmente i poteri di sensitivo Sindarin stavano riaffiorando in lui? La ragazza se lo chiese quella notte, distesa sull’erba insieme ai suoi compagni di viaggio, mentre fissava la tenue e biancastra luce lunare. E si addormentò serena.
Capitolo diciassettesimo
Le voci degli Spiriti dei morti
Rosehan si destò di soprassalto, a sveglierla fu lo scricchiolio di un legnetto calpestato da qualcuno nel silenzio della notte. Ma notò che c’era ancora la semioscurità. Si guardò attorno e solo per un istante non riuscì a capire dove fosse. Poi, scorse la schiena di Christian tutta curva vicino a un grande masso, il ragazzo era rannicchiato e dormiva placidamente, e si tranquillizzò.
Udì di nuovo lo scricchiolio, questa volta un po’ più forte. Qualcuno si stava forse avvicinando a loro di soppiatto? Si alzò e sfoderò decisa la spada di Shanas. Ma l’arma non era infuocata, quindi voleva dire che non c’era alcun pericolo. Si voltò di scatto e vide Lepang in piedi che la fissava con insistenza.
«Oh. Mi hai spaventata. Per un attimo ho creduto che qualcuno volesse attaccarci.»
Lui non replicò. Rimase a guardarla in silenzio.
«Non dici nulla?» gli domandò preoccupata la ragazza.
«Non sapevo possedessi la famosa spada di Shanas» si risolse a dire finalmente il ragazzo.
«Oh. Non è mia, la devo portare ad Aegnor. È per questo che sono in viaggio con Nereis, Christian, Quing e Agheon.»
«Davvero?» chiese incredulo Lepang.
«Non mi credi?»
Le si avvicinò cosicché lei poté scorgerlo in viso: aveva un’espressione alquanto minacciosa.
«Che ti succede?» gli domandò con ansia Rosehan.
Lepang allungò la mano verso di lei e accompagnò il gesto con queste parole: «Dammela!»
La ragazza indietreggiò spaventata. Perché gliela stava chiedendo?
«No» rispose risoluta.
Il ragazzo si morse il labbro per il disappunto, appariva piuttosto corrucciato.
«Non hai sentito quello che ti ho detto? Dammela e subito!»
La sua voce aveva un che di autoritario. Si alzò un vento forte che fece sollevare con impeto i loro capelli e gli abiti. Sul viso di Lepang era dipinto un ghigno malefico.
«Non puoi sottrarti al mio volere» proferì con enfasi.
Rosehan si strinse più forte alla spada. Sentiva una strana e incredibile debolezza, le tremavano le ginocchia.
«Rosehan dai la spada a Lepang» udì la voce di Agheon alle sue spalle.
Si voltò di scatto e lo guardò stupefatta.
«Neanche per sogno!» gridò disperata, aggrappandosi alla spada, mentre il vento soffiava con veemenza.
«Fossi in te gliela darei» consigliò in tono solenne Nereis in piedi accanto a lei.
Istintivamente si spostò un po’ di lato cercando di proteggere l’arma.
«Ma... cosa avete? Sapete che per me è importante.»
«Se la dai a Lepang lui la porterà ovunque vuoi tu» disse suadente Christian.
«Anche tu?» rimarcò sgomenta, fissandolo.
«Sì» sibilò Quing. «Lepang è il più adatto a portare la spada di Shanas al guerriero Aegnor. Dagliela!»
Rosehan indietreggiò, ma era circondata da tutti i suoi compagni di viaggio. Davanti c’era Lepang, alla sua destra Agheon e Christian, alla sinistra invece Nereis e Quing. Avanzavano verso di lei con i volti minacciosi. Lepang era splendido con il suo sguardo tenebroso e attraente.
«Dammela!» insistette il giovane.
“Non è possibile. Deve essere un incubo. Non è la realtà questa!” pensò Rosehan iniziando a correre ed entrando nel bosco lì vicino.
Corse ansiosa e senza meta, saltando come un cerbiatto le grandi radici degli alberi e calpestando foglie secche e rami. La luna illuminava in modo spettrale la foresta. Mentre avanzava spedita, i rami spogli di alcuni alberi le graffiarono il viso e le braccia, ma lei non se ne curò, continuò a correre senza voltarsi indietro.
A un certo punto però inciampò e cadde terra. Le apparve allora Fuinuir. La sua figura sembrava tre volte più grande.
Il mago intuì che qualcosa non quadrava, perché Rosehan lo stava fissando spaventata. Un senso di inquietudine lo prese.
«Rosehan che hai fatto? Non hai preso la mia pozione?» tuonò arrabbiato.
«Fuinuir aiutami, ti prego! I miei compagni di viaggio vogliono sottrarmi la spada. Aiutami, ti prego!» supplicò la ragazza ancora a terra: la caviglia le doleva troppo per alzarsi.
«Non sono realmente loro. Sono le voci degli Spiriti dei morti, la maledizione di Erchamon.»
«Com’è possibile? Sto sognando? E perché Lepang sembra il loro capo?»
Fuinuir si avvicinò alla ragazza per aiutarla ad alzarsi, e le porse il suo enorme braccio.
«No, è la realtà. Le voci degli Spiriti dei morti prendono le sembianze dei sentimenti che provi per le persone che conosci, che siano di odio, d’amore, di fiducia, di amicizia. Nutri forse qualcosa per quel ragazzo?»
Rosehan si alzò, ma le veniva difficile restare in piedi, così il Viandante delle Tenebre la sorresse con fermezza per le braccia.
«Tutto bene?»
«Sì»
«Allora? Che sentimenti ti legano a quel ragazzo?»
Ma Rosehan rimase in silenzio a fissarlo incerta se dirgli o meno la verità.
Fuinuir la scosse con rabbia.
«Rosehan! Dimmelo subito! Non posso aiutarti se non mi dici che tipo di sentimenti provi per Lepang.»
«Credo di essermene innamorata» ammise lei a malincuore.
«Cristo! Ma ti rendi conto? Ti cacci sempre nei guai!»
Rosehan si appoggiò affranta al tronco dell’albero vicino.
«Cosa posso fare? Come puoi aiutarmi?» singhiozzò.
«Devi colpirlo con la spada.»
«Cosa? Ma... mi hai detto che è realmente lui, solo posseduto dalle voci. Come posso ferirlo? E poi è disarmato!»
«Non hai altra scelta. Colpiscilo di striscio, dovrebbe bastare. Le voci degli Spiriti dei morti non si introducono in corpi danneggiati. Eccoli, Rosehan... combatti!» e con queste ultime parole scomparve nel nulla.
Lepang e gli altri avanzavano con fiducia, ormai l’avevano raggiunta.
«Dammi la spada» ordinò imperioso il ragazzo con i capelli sollevati da un inconsueto vento.
«Vieni a prendertela, allora.» E gli fece cenno con la mano di avvicinarsi.
«Mi credi così stupido? Lasciala per terra e poi allontanati, se non vuoi che ti colpisca.»
Rosehan si mise in assetto di combattimento: fece scivolare di lato la gamba sinistra, piegò la destra leggermente in avanti, e allineò il filo della lama ai suoi occhi.
«Coraggio!» lo sfidò. «O hai forse paura?»
Lepang si leccò le labbra con voluttà, i suoi occhi erano diventati completamente rossi, e così anche agli altri. Allargò le braccia e chiese spavaldo: «Credi davvero di farcela? Cinque contro uno, poi?»
Rosehan sorrise beffarda: «Non ho paura: uno, dieci... sono qui, fatti avanti!»
Lepang iniziò ad avanzare con lentezza, mentre a lei tremavano le gambe. Per un attimo, ma solo per un attimo, aveva sperato che Lepang rinsavisse chissà per quale prodigio, ma si dovette ricredere.
Una nube oscurò per alcuni istanti la luna. Rosehan alzò lo sguardo al cielo. Non capiva il perché, ma si ricordò di quando aveva assunto i poteri di Fuinuir all’Abbazia di Newergy stando sopra quella runa. Abbassò lo sguardo proprio mentre la luna ritornava a illuminare la tetra foresta. Ormai Lepang era a un solo o da lei.
“Devo vincerlo” pensò deglutendo a fatica, “non posso permettergli di portarmi via la spada. Ma non voglio farlo, non voglio ferirlo.”
Lepang allungò la mano sicuro del suo gesto, ma la ritirò sgomento appena in tempo: negli occhi di Rosehan ardeva una strano fuoco azzurrino e anche la spada era avvolta da questo fuoco.
«Tu!» esclamò il ragazzo.
«Perdonami Lepang» disse tra le lacrime Rosehan e con un rapido gesto della mano, lo ferì di striscio al braccio.
Lepang continuò a fissarla atterrito. Era come se avesse scorto nella ragazza qualcosa di cui Rosehan non si era accorta. Cadde in ginocchio. La Voce dello Spirito dei morti abbandonò il suo corpo. Sembrava una fitta nebbiolina grigia piena di tanti luccichii. Le altre Voci, non essendoci più il loro Capo, fecero lo stesso: lasciarono i corpi dei suoi compagni di viaggio, che si accasciarono privi di sensi per terra.
La luce azzurrina che avvolgeva la spada, si spense. E così gli occhi di Rosehan: non brillarono più di quella strana luce azzurrognola.
Sembrava dunque che tutto fosse tornato alla normalità.
Rosehan rinfoderò la spada e si precipitò verso il corpo esamine del ragazzo. Ma Fuinuir si interpose.
«Non lo toccare» la redarguì severo.
«Ma io...»
«Sei una stupida Rosehan. Lasciatelo dire! Hai rischiato di morire. Lo sai chi è Lepang, non è vero?»
La ragazza annuì tra le lacrime.
«Se questo ragazzo muore, prende il tuo corpo, la tua vita. È questo quello che vuoi? Rischiare la tua vita per uno sciocco sentimento come l’amore?»
Rosehan non gli rispose. Fissò le spalle del ragazzo con malinconia.
«Ringrazia che non sei stata costretta a ucciderlo, allora. Questo perché hai sempre preso la mia pozione per ingannare l’anatema. Ma la prossima volta non posso assicurarti che sarà di nuovo così semplice. Lo capisci?»
«Ma... io...»
«Ma io che cosa? Sei un’irresponsabile, ecco cosa sei!» le lanciò la bottiglietta con la pozione. «Prendila e non fare storie.»
Afferrò al volo la boccetta e l’aprì per berne un sorso, mentre si asciugava con il dorso della mano le lacrime.
«Scusami Fuinuir, non accadrà più.»
«Le scuse non servono. Fra qualche istante potrai avvicinarti a lui e ai tuoi amici. Non ti dimenticare più di prendere la pozione. Intesi?»
Rosehan annuì con fermezza. Finalmente iniziava a vederlo nella sua normale grandezza.
«Non lo fare mai più» la minacciò il Viandante delle Tenebre, andandosene.
Rosehan si slanciò verso il corpo disteso di Lepang. Lo sorresse tra le braccia, sperando che si svegliasse.
Il ragazzo aprì gli occhi poco dopo. Se li stropicciò con le mani, domandando dove fosse. Nello stesso momento, anche gli altri si destarono ed erano tutti alquanto straniti dal luogo in cui giacevano. Non si ricordavano nulla dell’accaduto e Rosehan non spiegò loro nulla.
Poi Lepang, messosi a sedere, si sfiorò il braccio e notò che stava sanguinando.
«Devo essere caduto... forse...» pensò ad alta voce, mentre Rosehan lo fissava con ardore, anche se lui non se ne accorse intento com’era a tamponare il sangue della ferita con un lembo strappato dalla sua camicia.
«Forse è meglio se torniamo al nostro accampamento» propose Nereis.
E così, dopo essersi alzati, si incamminarono. Solo Rosehan e Lepang rimasero indietro. Rosehan per la caduta doveva essersi slogata la caviglia e quindi zoppicava un pochino, mentre Lepang teneva il pezzo di stoffa poggiato sul braccio ferito e prestava la sua attenzione solo a quello.
«Mi hai colpito. Non l’avrei creduto» dichiarò il ragazzo, quando furono rimasti soli.
«Lo ricordi?» domandò stupita.
«Ricordo una strana luce azzurrina. Era nei tuoi occhi e la spada ne era completamente avvolta, come se fosse un fuoco. E ricordo che mi hai colpito con la spada di Shanas.»
Lepang si arrestò di colpo e si volse in direzione della ragazza che era qualche o indietro rispetto a lui.
«Ma perché?»
«Perché cosa?» fece finta di non capire Rosehan.
«Perché mi hai ferito? Volevo farti del male?» incalzò il ragazzo.
«Qualcosa di simile» rispose ambigua.
Lepang la fissò sbalordito.
«Non è... che...»
«Non è, che cosa?»
«Ero posseduto da qualche spirito e volevo importunarti?»
Rosehan si crucciò a quella domanda.
«Perché, se non fossi stato posseduto un pensierino su di me non l’avresti fatto?»
Lepang scoppiò in una sonora e risata.
«Rosehan, sei testarda come un mulo. Ti ho già sconsigliato caldamente di innamorarti di me. Non sono il tipo giusto.»
Rosehan arrossì tutta e si vergognò per essersi lasciata sfuggire una simile e così evidente esternazione di affetto nei confronti di Lepang. Non sapeva né capiva come, ma le metteva addosso una certa soggezione. Forse perché appunto ne era innamorata.
«Non è così» si affrettò a chiarire. «È solo che dopotutto sono una bella ragazza... no?»
Ma la sua domanda incerta rimase senza alcuna conferma e questo la umiliò ancora di più.
Riprese a camminare zoppicando con il volto furente.
A un tratto Lepang le afferrò con prontezza il polso, fermandola.
«Non è come pensi.»
«Cosa?»
Il ragazzo gli puntò i suoi begli occhi verde oliva in faccia.
«Non si ama qualcuno solo perché esteriormente ci ispira qualcosa di grazioso» continuò imperterrito Lepang.
«Ah no?» chiese dubbiosa Rosehan, ma in imbarazzo perché aveva compreso che quel “grazioso” era riferito a lei.
Lepang sorrise con dolcezza.
«No. L’Amore tra due persone è ben altra cosa. Comprendo che forse il ragazzo del cui corpo mi sono impossessato possa piacerti, però io non sono lui. Tu sei innamorata di un’immagine, di una figura che per te è cara, forse perché familiare, ma non di come sono realmente. Non sai nulla di me.»
Rosehan lo guardò furente.
«Sei troppo giovane per capire cos’è l’amore. Un giorno ti innamori di uno e quello dopo di un altro. Non sei costante, perché sei giovane e inesperta» rincarò la dose.
«Non è affatto così» sbottò Rosehan cercando di liberarsi dalla stretta. «Sì... è vero... sono attratta da te. Sei un bel giovane e credo che qualsiasi ragazzina della mia età possa innamorarsi di un tipo come te. Però...» e lasciò la frase a metà.
«Però?» la imbeccò lui.
«Io... io... io... non so cosa mi stia accadendo. È troppo difficile da spiegare a parole. Quando ho baciato Christian, nonostante provassi qualcosa per lui, io... io... non ho provato le stesse splendide sensazioni che provo quando sono con te.»
Lepang si incupì di colpo. Le lasciò con sgarbo il polso e aggiunse: «Be’ vedi di fartele are. Non sono affatto interessato a te. Te l’ho già detto una volta. Il mio simbolo tatuato sulla nuca comporta delle responsabilità. Mi tocca vivere la vita del corpo di chi mi ospita. Non c’è spazio per altre distrazioni. Fine della discussione!»
E se ne andò, lasciandola da sola nella foresta con i suoi mesti pensieri.
Rosehan cadde in ginocchio disperata e in lacrime. Non capiva il perché, ma quelle ultime parole l’avevano ferita più di mille pugnali conficcati nel petto.
Lepang era solo una irraggiungibile chimera, ecco cos’era. Non poteva aspirare al suo cuore e questo la gettò nello sconforto più profondo.
Capitolo diciottesimo
Rosehan Nera
Ripresero il loro viaggio che già il sole era alto in cielo. Doveva essere mezzogiorno inoltrato quando arono per un piccolo villaggio rurale, un centro abitato di pochissime anime. Le case tutte di legno avevano i tetti in paglia e gli uomini erano intenti a coltivare le terre antistanti le loro modeste abitazioni. Con ogni probabilità, coltivare quei terreni era la loro unica fonte di sostentamento, perché erano tutti abbigliati in modo misero. Le donne dovevano invece occuparsi dei lavori femminili, come cucinare, lavare, badare alla casa e ai figli. Ma tutto questo non lo dedussero soltanto. Ne ebbero conferma perché si fermarono per qualche ora presso un contadino, Daniel, dall’aria provata dalla fame. Viveva con la sua numerosa famiglia in una casa estremamente povera. L’uomo, nonostante ciò, si mostrò non solo amichevole e cordiale nei loro confronti, ma anche generoso. Donò loro dei cavalli che aveva nella stalla.
«Le cose qui vanno male» ammise rattristato. «Molto male. Per colpa della guerra nessuno compra più i frutti delle nostre coltivazioni e noi paradossalmente stiamo morendo di fame anche se ci cibiamo dei nostri raccolti. La nostra terra non produce più come un tempo. E questo solo perché Erchamon ha scagliato la sua ira sul nostro territorio. Tutti noi speriamo solo in una cosa: che questo mago perisca per essere di nuovo liberi non solo di commercializzare le nostre merci, ma affinché la nostra terra torni di nuovo produttiva.»
Rosehan e gli altri ascoltarono la triste storia di Daniel. Poi ripresero il viaggio che grazie all’inaspettato dono dei cavalli e alla scelta di fare poche soste poté procedere più in fretta.
In questo modo superarono diversi paesi e villaggi.
Rosehan iniziò a pensare un po’ di meno al bel Lepang, o perlomeno così le sembrava, perché di nuovo in lei si insinuò il desiderio di ritornare nel suo tranquillo villaggio, a Noormit, rivedere e riabbracciare i suoi amati genitori, ma soprattutto pensare che nulla fosse accaduto. Almeno, avrebbe voluto. Perché ora e con un po’ di insistenza si era insinuato in lei anche un nuovo pensiero, che le dava forza. Lei era la portatrice della spada. L’Eletta, come l’avevano definita in molti, quindi l’unica che potesse difendere la spada di Shanas. E questo ora stava diventando un dovere sacro, un dovere da proteggere con il proprio onore.
Continuarono a cavalcare senza mai fermarsi lungo valli e colline, vicino a laghi e fiumi e, quando giunsero nei pressi di una cascata, decisero all’unanimità di fare una sosta.
Come di consueto, si divisero i compiti: Nereis insieme a Lepang andò a cercare della frutta nel bosco, Quing e Christian si prodigarono ad accendere un fuoco, ma con scarsi risultati perché non facevano altro che litigare, mentre Rosehan si occupò di riempire le boracce di acqua alla cascata e Agheon andò a caccia per il bosco.
Con le borracce legate al collo e in mano, Rosehan si diresse verso la radura. Era uno splendido spettacolo da vedersi: una grande massa d’acqua cadeva da un’altura in una pozza larga dai colori verdi e cangianti alla luce del sole. Tutto intorno: alberi lussureggianti e l’insistente canto degli uccelli, che ogni tanto spiccavano il volo da un ramo per raggiungerne un altro.
Non sapeva il perché, ma Rosehan grazie a questa bella visione si sentì alquanto
rinfrancata nello spirito.
Posò le borracce su un’altura di pietra e si sedette su un masso.
Per lei era davvero molto bello sentire lo scrosciare dell’acqua che cadeva dall’alto per tuffarsi in quella conca circolare.
Inspirò soddisfatta l’aria frizzantina e per stiracchiarsi stese le braccia e le mani in avanti chiudendo beatamente gli occhi.
A un tratto, si sentì afferrata con decisione per le mani. Spalancò gli occhi e si guardò attorno stranita, ma non c’era nessuno! Si guardò le mani perplessa: non si era sbagliata: qualcuno gliele aveva strette, perché l’aveva fatto con una certa energia.
Ma a parte l’acqua che scendeva a fiotti dalla montagna e che incontrando la resistenza delle pietre appariva arruffata e schiumosa nel piccolo laghetto, non scorse altro.
Poi udì una risata argentina. Si voltò di scatto, preoccupata che qualcuno potesse colpirla alle spalle, ma non c’era nessuno dietro di lei.
Si avvicinò al laghetto disturbato dalla tormenta della cascata e si mise a osservare il suo riflesso.
Era strano, ma la sua immagine non si rifletteva con nitidezza. Soprattutto i suoi abiti: apparivano molto più scuri, quasi neri.
Sfiorò con il dito la superficie dell’acqua e così si formarono alcuni anelli concentrici, ma la sua immagine stranamente non si scompose.
«Chi sei?» domandò a quella figura riflessa.
«Io sono te» rispose l’immagine.
Quindi, canticchiò: «Lalalalalalala.»
«È una stregoneria? Perché posso parlarti?»
L’immagine sorrise e pian piano uscì dall’acqua. Rosehan la fissò esterrefatta: era una ragazza identica a lei, solo abbigliata completamente di nero. La gemella fluttuò alcuni istanti nell’aria, poi adagiò i suoi piedini su una roccia sporgente lì vicino.
«Eccomi qui!» dichiarò sorridente la Rosehan Nera.
«Ti ripeto la domanda: tu chi diavolo sei?»
«Mi sembra di averti risposto: sono te.»
«Non puoi essere me! Come fai a essere me, se io sono qua?»
Rosehan Nera sorrise: «No, la domanda che dovresti porti è un’altra.»
«Per esempio?» domandò stizzita Rosehan, tutto quel mistero la stava davvero innervosendo.
«Perché continui a viaggiare? Adesso che hai imparato a destreggiarti con la spada perché non abbandoni tutto e tutti e diventi una leggendaria guerriera? Le genti del GranRegno ti adoreranno, e il tuo nome sarà legato per sempre alla leggenda» disse Rosehan Nera.
L’altra Rosehan si pose a sedere sopra una pietra, lì vicino e pensierosa ammise: «Non posso abbandonare i miei genitori. Loro mi hanno dato la vita. Sarei un’ingrata a non ricordarmene!»
«Non puoi o non vuoi? Guarda cosa sei riuscita a diventare grazie a questo viaggio: hai scoperto un lato nascosto di te, un lato sopito: sei una guerriera di Tara. E i guerrieri secondo te cosa fanno?»
«Combattono?» completò incerta la frase.
«Esatto! Metti la spada di Shanas al servizio dei popoli e tutti ti adoreranno.
Viaggerai sempre per il GranRegno e il tuo nome sarà scritto in tutte le leggende...»
«Dimentichi le mie umili origini: nessuna contadina si è mai fregiata di onore e di fama. Sono una semplice ragazza e probabilmente semplice rimarrò per tutta la vita» concluse Rosehan sospirando.
Abbassò affranta lo sguardo, ma solo per alcuni istanti. Dopo fu costretta ad alzarlo: la Rosehan Nera le stava puntando la sua spada alla gola, una spada di Shanas Nera, avvolta da fiamme dello stesso colore.
«Affrontami, se hai il coraggio!» la sfidò.
«Che diavoleria è mai questa?» sbottò alzandosi di scatto e mettendosi subito in posizione di combattimento, proprio come le aveva insegnato il Maestro Obichi.
«Coraggio! Attaccami!» la sfidò suadente la Rosehan Nera.
Ma la spada di Shanas non emetteva alcuna fiamma, non segnalava pericolo. Del resto, Rosehan notò che nemmeno Fuinuir era apparso per proteggerla.
Quindi, si risolse a dire: «Non posso. Farei solo del male a me stessa.»
Ma quella parve non aver sentito questa frase e sferrò il primo attacco senza tanti complimenti, ridendo sguaiatamente.
Rosehan, già a terra per quel primo colpo inferto, cercò di dire conciliante: «Invece di combattere, non potremmo parlare?»
Ansimò però per la paura perché la Rosehan Nera con la sua spada le aveva infilzato un lembo della gonnellina.
Annusò l’aria compiaciuta. «Hai paura, piccola sciocca e presuntuosa ragazzina, non è vero? Non lo sai che la paura aiuta i nemici a sconfiggerti?»
A Rosehan balenarono come un fulmine a ciel sereno le parole del Maestro Obichi: «Non devi considerare la paura come una nemica, ma come la tua sola forza per reagire, per combattere. Supera il dolore e appoggiati alla paura.»
L’altra fendette un nuovo colpo, ma questa volta Rosehan riuscì a schivarlo, rotolando su un lato. Mancava poco e l’avrebbe presa in pieno petto. La spada di Shanas, allora e finalmente, iniziò a infiammarsi e così anche gli occhi di Rosehan.
Con destro-sinistro-destro e affondo riuscì a sfilare la spada dalle mani dell’avversaria, che dopo un breve volo andò a conficcarsi poco lontano dal punto in cui stavano duellando.
Ma Rosehan Nera non si scoraggiò: con un semplice balzo riuscì a recuperarla con grande facilità.
«Forse ti ho sottovalutata» ammise a malincuore.
«Non abbastanza» dichiarò baldanzosa Rosehan, facendo roteare la spada in aria e formando un cerchio di fuoco.
«Ti arrendi, oppure vuoi essere sconfitta un’altra volta?»
«Non mi arrenderò mai. Mai! Hai capito?»
Quindi con un “aaaaah” si scagliò contro la spada di Rosehan.
Le due lame si incrociarono, formando una X. L’una faceva forza contro il braccio dell’altra, i volti contratti per l’enorme sforzo, le due forze sembravano eguagliarsi.
Poi, Rosehan cercò di raccogliere tutte le sue energie e di farle confluire nel braccio, quindi, con un calcio ben assestato alla pancia, scagliò la Rosehan Nera lontano da sé. Quella andò a sbattere su una pietra e dalla testa le colò un rivolo di sangue. Mentre era ancora inerme, Rosehan non esitò a puntarle la spada sotto la gola.
«Uccidimi!» la implorò con voce soffocata.
Ma Rosehan non poteva farlo: quella ragazza era identica a lei, se l’avesse uccisa avrebbe fatto solo male a se stessa.
Rinfoderò la spada e disse: «Chiunque tu sia, ti lascio andare libera.»
«No, adesso che mi hai sconfitta con valore, ti svelerò il mio vero volto.»
Capitolo diciannovesimo
Nalemi
Una luce abbagliante l’avvolse e Rosehan fu costretta a coprirsi gli occhi per non rimanere accecata. Quando tolse le mani, vide una fanciulla distesa. Era molto magra d’aspetto, e aveva dei folti capelli castani ondulati e gli occhi color cobalto. Le sorrise con dolcezza.
«Ciao! Io sono Nalemi.»
«Io...»
Nalemi la interruppe con voce rauca: «So chi sei. Rosehan. So perché viaggi. So tutto di te.»
«Come fai?»
«... a sapere tutto? Mi sono trasformata nella tua parte opposta e quando avviene questo eredito tutti i ricordi.»
Rosehan la guardò senza capire i suoi discorsi. Nalemi rispose con un semplice e
mite sorriso.
«Non hai sentito quando ti ho toccato le mani?»
«Ah. Sì... certo! È così che fai la tua magia.»
La ragazza sorrise e aggiunse: «Non è proprio una magia, ma un dono che ho fin da quando ero piccola. Credo che questo sia dovuto al fatto che ho uno strano tatuaggio sulla nuca come il tuo.»
Rosehan rimase sbalordita da quella rivelazione, e chiese accorata: «Tu... tu... sei la penultima persona che possiede la cosiddetta spilla di Tara?»
Nalemi rise cercando di porsi a sedere.
«Ebbene sì...»
«Perdonami, io non volevo farti del male. Ma tu mi hai costretta.»
«Lo so. L’incantesimo non si conclude se la persona alla quale ho preso l’identità opposta non mi sconfigge o contrasta in qualche modo. È, diciamo, la prassi.»
«Ma perché l’hai fatto?»
«Quelli che possiedono il mio simbolo sono delle persone sagge. Ho percepito i tuoi pensieri, i tuoi sentimenti contrastanti e volevo aiutarti a far luce su te stessa e sull’importante missione che devi portare a termine per il bene di tutto il GranRegno.»
«Capisco. O almeno, credo.»
«Rosehan io mi sono comportata come la parte più nascosta del tuo subconscio. Questi e altri pensieri li tieni soffocati. Ed è stato un bene farteli conoscere, farti scoprire questa parte oscura e tenebrosa di te.»
«In effetti, Nalemi, ho imparato molte cose non solo da questo duello, ma anche dalle parole che ci siamo scambiate. Ho capito che il dono che ho ricevuto, la missione di portare la spada di Shanas al guerriero Aegnor, va al di là di un semplice viaggio. È una sfida continua, perché ogni giorno mi devo confrontare con me stessa, con la mia natura e le mie convinzioni. E mi capita spesso di doverle ribaltare, non solo per garantire il successo della mia missione, ma anche e soprattutto perché finalmente sento il peso della responsabilità della sorte di tutti gli abitanti del GranRegno.»
«Rosehan, quello che dici non è solo molto saggio, ma ti fa onore. Stai davvero maturando.»
Lei le sorrise e le porse la mano per aiutarla ad alzarsi.
«Come mai sei qui, in questa foresta?»
«Sto cercando Il labirinto di Kydas, la fonte del mio potere.»
Rosehan la fissò in silenzio. Attese che lei si spiegasse meglio, cosa che non tardò a fare.
«Sulla nuca ho tatuato Il labirinto di Kydas. Questo labirinto simboleggia la strada che porta al centro di me stessa. È come uno Spazio Sacro, un percorso magico, in grado di farmi sviluppare un grande potere interiore.»
«La saggezza di cui mi parlavi poco fa?»
«Esatto. Traggo potere sia dalla Terra che dal Cosmo, perché il labirinto è fonte di magia sacra.»
«E perché devi cercarlo, dato che comunque questo simbolo è tatuato sulla tua nuca?»
Nalemi per risponderle sollevò i suoi folti capelli castani e Rosehan comprese il motivo: il tatuaggio stava scomparendo. Glielo voleva sfiorare, però pensando che la ragazza potesse trarre potere dal contatto, evitò.
«Tranquilla. Puoi toccarmi. Mi trasformo solo quando i palmi delle mie mani toccano con fermezza quelli della persona in cui mi devo trasformare» dichiarò abbassando la chioma e voltandosi verso di lei.
«È molto chiaro il tuo tatuaggio. Perché?»
«Credo che dipenda dal fatto che qualcuno ha preso Il labirinto di Kydas senza averne diritto, ma questo sta prosciugando piano piano i miei prodigiosi poteri.»
«E chi mai potrebbe compiere una simile azione?» domandò esterrefatta Rosehan.
«Solo uno Stregone» rispose secca Nalemi.
«E questo labirinto dov’è?»
«In un luogo segreto» rispose l’altra evasiva.
«Be’ se qualcuno se ne è impossessato non è poi più così segreto questo posto» commentò sarcastica Rosehan.
Ma questo mal dispose la sua interlocutrice.
«Non ti consiglio di fare troppe domande su di me. Meno saprai, più sarà facile per te mantenere un segreto. Ricordalo!»
Rosehan si sentì punta sul vivo da quella affermazione. Le ricordava tanto l’atteggiamento scostante di Fuinuir, ma non sapeva perché. Cionondimeno, evitò di porle ulteriori domande e le propose, cambiando discorso: «Perché non ti unisci a noi, alla mia missione? Ho ritrovato anche Agheon e Lepang, due guerrieri di Tara come noi, perché tutti e quattro possediamo la cosiddetta spilla di Tara. Chissà magari durante il viaggio troverai il tuo famoso labirinto.»
«No» fu l’unica risposta della ragazza.
«Perché?»
«Devo trovarlo da sola»
«Oh. Ma nessuno ti impedirà di cercarlo mentre siamo in viaggio.»
«Sei stupida forse?» inveì aspra. «Quel Lepang che viaggia con voi per me è un pericolo.»
Rosehan inarcò un sopracciglio: non sapeva se sentirsi gelosa oppure preoccupata.
«Se tocco i palmi di quel ragazzo, non solo muoio perché avrà più di mille anni e non posso sopportare il peso dei suoi numerosi ricordi, ma perdo i miei poteri perché se li prende.»
«Perché?»
«Ah... non te l’ha detto, vedo. Lepang non solo si reincarna in chi ha vicino, ma prende l’energia di chi muore nelle sue vicinanze. Quelli come lui li chiamavano...»
Ma Nalemi smise di parlare. Fuinuir l’aveva bloccata con prontezza.
«Perché l’hai interrotta? Mi stava dicendo delle cose davvero interessanti.»
«Non devi sapere. Non devi indagare su nessuno. Il tuo compito è quello di portare la spada di Shanas al guerriero Aegnor. Non devi fare altro, capito?»
«Questa rivelazione, dunque, riguarda te? Non è vero?»
«No!» urlò quasi il mago. «Tieniti alla larga da tutto ciò che può intaccare in qualche modo il tuo cammino. Appena potrà muoversi, Nalemi non ricorderà nulla e tu te ne ritornerai al tuo accampamento. Chiaro? Altrimenti ti cancello la memoria!»
E se ne andò furioso.
Pochi istanti dopo Nalemi poté muoversi. Non riusciva però a capire cosa fosse accaduto. Di certo, qualcosa di insolito. Rosehan invece ne approfittò per proporle di unirsi di nuovo a loro, ma lei rifiutò.
Così Rosehan tornò all’accampamento.
«Ehi... dove eri finita?» domandò seccato Christian. «È da un’ora che ti chiamo e non rispondi nemmeno. Abbiamo già finito di mangiare da un pezzo!»
La ragazza notò le stoviglie sporche abbandonate vicino a un grande masso.
«Ah. E non potevate aspettarmi?»
Si guardarono tutti di sottecchi come indecisi su chi dovesse rispondere cosa, poi intervenne Agheon, il più diplomatico del gruppo.
«Pensavamo che non ti andasse di venire a mangiare perché ho portato della cacciagione. In ogni modo, se vuoi c’è della frutta.»
«Grazie» biascicò infastidita.
Si sedette furente per terra e preso un frutto iniziò a mangiarlo.
Quella sera tutti chiacchieravano attorno al falò. Rosehan prese come sempre la pozione. Però le accadde qualcosa di insolito: il suo simbolo le bruciò. Fu solo per poco tempo, però le bastò per sentire dolore e imprecare:
«Accidenti a Erchamon. Me la pagherà!»
«Stai tranquilla» le suggerì Nereis, abbracciandosi le ginocchia. «Rosehan... ti ricordi? Una volta mi hai chiesto informazioni su Il Viandante delle Tenebre.»
«Davvero?» domandò impacciata e guardandosi attorno, dato che aveva paura che Fuinuir irrompesse. «Secondo te, quanti anni ha Fuinuir?»
«Non ne ho idea. Ma sai perché si chiama così?»
Il fuoco crepitava e scoppiettava con allegria, mentre la legna si sfaldava diventando prima carbone e poi cenere. Il falò era alle loro spalle. Nel frattempo gli altri chiacchieravano animatamente per conto loro.
Dopo una piccola pausa di silenzio, Rosehan rispose: «No.»
«Sono anche detti Uccisori delle Tenebre, questo perché scacciano la magia oscura, come la mia per esempio.»
«Quindi, pensi che Fuinuir sarebbe in grado di sconfiggere Erchamon?»
«Non saprei. Mi sembra strano però che abbia inviato te per la spada di Shanas.»
«Non capisco...»
«Lui aiuta le persone con la sua magia. È un mago molto potente, però non può intervenire nelle sorti di un essere vivente. È saggio, ma ha anche una doppia natura: buona e cattiva. Usa il male è vero, ma a fin di bene. Credo che sia importante che la battaglia sia vinta. Maghi cattivi come Erchamon non meritano di vivere. È davvero molto crudele.»
Agheon le diede una pacca amichevole sulla spalla, come per invitarla a unirsi alle loro chiacchiere.
Nereis gli sorrise e mormorò un «fra un po’ arrivo». Il giovane uomo allora fece cenno con la testa, come per assentire.
«Dove eravamo rimaste?»
Rosehan pensò che non fosse opportuno continuare a parlare di Fuinuir, sarebbe potuto intervenire e rimproverarla duramente. Quindi scelse di cambiare discorso.
«Sai, Nereis? Credo di essere un pochino cambiata da quando vi ho conosciuto. Mi sento una nuova Rosehan. Credo nell’amicizia e nell’amore, cose che prima esulavano dalla mia mente. E poi grazie al Maestro Obichi ho imparato ad ascoltare. Quando ero presso la cascata questa mattina il rumore dell’acqua e il cinguettare degli uccellini, il loro battere le ali per muoversi da un ramo all’altro... be’ mi hanno comunicato un forte senso di serenità. Ho anche capito e
imparato che l’unione fa la forza. Che abbiamo bisogno degli altri per capire chi siamo, dove andiamo...»
Nereis le sorrise pacata.
«Hai ragione: anch’io penso che questo viaggio ci stia cambiando un po’ tutti, questo perché ognuno di noi dà con la propria presenza un pezzettino di sé all’altro. Si impara moltissimo dagli altri.»
Rosehan alzò gli occhi al cielo: era blu, puntellato di luccicanti stelline. La luna era nascosta da una nube, ma era solo uno spicchio lucente.
«Non credevo di poter cambiare così tanto!» ammise guardando le stelle e abbracciandosi le gambe.
«Purtroppo la meta è ancora lontana, ma noi la raggiungeremo» aggiunse Nereis alzandosi per unirsi agli altri.
Lo sguardo di Rosehan cadde sul dolce viso di Lepang intento a discorrere con Christian.
«Già» farfugliò malinconica, ma Nereis non doveva averla sentita, perché rideva e scherzava insieme agli altri.
Capitolo ventesimo
Uno strano ato
Il mago Elros era giunto da qualche ora nella foresta dove Rosehan si era scontrata con Le voci degli Spiriti dei morti. Posò la mano sul tronco dell’albero e cercò di ricostruire con la magia quanto era accaduto. Le immagini apparvero nella sua mente susseguendosi con rapidità.
“Uhm... la ragazza dai capelli rossi ha una terribile maledizione addosso. Per fortuna Il Viandante delle Tenebre le dà quella pozione per ingannarla, altrimenti la ragazza non riuscirebbe a proseguire il suo cammino. Quella coi capelli neri, invece, ha una strana aura. È oscura, come se la magia nera l’avvolgesse. Purtroppo, non ricordo quale delle due ragazze sia quella che devo cercare” pensò il vecchio stregone, continuando ad appoggiare la mano sul tronco.
Volse lo sguardo in alto per scrutare il cielo. Appariva limpido con qualche nuvoletta bianca che si rincorreva qua e là mossa dal capriccioso vento. Visto il sole alto, doveva essere per forza mezzogiorno, considerò.
Un vento forte e insolito cercò in qualche modo di strappargli dalla testa il suo cappello a punta e quindi Elros fu costretto a tenerlo forte con entrambe le mani. Ma quella corrente gli sollevò anche la barba e i lunghi capelli bianchi, così per alcuni istanti non riuscì a scorgere nulla davanti a sé. Si staccò quindi dall’albero e percorse qualche metro brancolando nel buio, ma inciampò su una pietra e cadde a terra. Per fortuna mise le mani in avanti attutendo la rovinosa caduta. Cercò di rimettersi in piedi e a fatica ci riuscì, ma quando scrutò i palmi rimase alquanto colpito di quello che vide: non c’era solo terra, ma anche sangue secco.
Lo annusò per cercare di capire di chi fosse. Poi, lo assaggiò un poco, leccandolo. Disgustato, fece una brutta smorfia.
«Oh perbacco, ma questo è il sangue di... un immortale!» esclamò ad alta voce.
L’insolito vento cessò all’istante.
«Karen sei tu?» domandò incerto Elros. «Sei tu che me l’hai fatto trovare questo sangue?»
Ma non ricevette alcuna risposta.
«Se sei tu, dammi un segno almeno della tua presenza.»
Attese in silenzio, mentre si guardava attorno circospetto.
Poi, da un ramo lì vicino un grande volatile spiccò il volo, si scagliò sul cappello del vecchio, facendoglielo cadere a terra, per andarsi ad appollaiare su un altro ramo.
Elros lo guardò con stupore. Quindi, capì: era Karen che cercava di dirgli qualcosa da lontano.
«Riguarda la piccola Rosehan, non è vero?» incalzò con le sue domande il vecchio scrutando i rami timoroso. «Questo sangue... riguarda la piccina, non è vero?»
Il volatile emise uno strano e prolungato verso.
Lo Stregone si pulì le mani con un fazzoletto lindo, mentre diceva: «Capisco cosa vuoi dirmi: la vita di Rosehan è in pericolo. Stai tranquilla! Io la proteggerò, a costo della mia stessa vita.»
Raccolse il cappello a punta da terra, lo scotolò per far cadere la poca terra che l’aveva ricoperto e, quindi, stringendo forte con le mani il suo lungo bastone ricurvo, riprese il cammino solerte.
***
Nel frattempo, all’accampamento tutti dormivano, tranne Rosehan. Un pensiero, quella sera, l’aveva perseguitata: chi aveva ricevuto in custodia la spada di Shanas prima di lei? Forse... questo... l’avrebbe aiutata a scoprire chi era realmente e perché aveva tatuato sulla nuca quello strano simbolo.
“Nalemi mi stava facendo un’importante rivelazione. Ne sono sicura. Altrimenti, Fuinuir non l’avrebbe di certo bloccata” pensò con le mani intrecciate dietro la nuca, mentre era distesa. “Quindi, non sbaglio pensando di poter scoprire il significato segreto del mio simbolo cercando gli altri possessori della cosiddetta spilla di Tara. Però mi assilla un’altra curiosa domanda: perché Fuinuir non
vuole che sappia nulla sul mio simbolo?”
Si pose su un fianco. Da quella postazione, Rosehan poté vedere che tutti dormivano placidamente nei posti che si erano scelti.
“Uhm... è tutto così difficile all’apparenza. Anche se credo che invece sia qualcosa di ovvio. Secondo me la soluzione a tutti questi misteri è proprio sotto il mio naso, solo che per una strana ragione mi sfugge.”
Prese quindi il ciondolo regalatole dagli elfi, l’Antico Eyurwen, e lo osservò con cura: due sfere si erano annerite per l’uso, ne aveva a disposizione soltanto tre, che poteva utilizzare due volte.
“L’ultima che possedeva la spilla di Tara l’ho trovata senza dover far ricorso all’amuleto. E se chiedessi di conoscere chi possedeva prima di me la spada? La regina degli elfi, Uentha, quando mi ha fatto dono del medaglione mi ha detto che la spada ha una sua memoria. Forse, accostandola al ciondolo degli elfi e desiderando conoscere chi mi ha preceduto verrò esaudita.”
Si pose a sedere sull’erba. Sfoderò la spada. Anche se era buio, la lama sembrava brillare di luce propria. Le pose vicino e desiderò conoscere il nome del suo antico possessore.
Per alcuni istanti non accadde nulla. Rosehan rimase seduta lì dov’era, sull’erba. Poi si voltò perché qualcuno l’aveva afferrata per una spalla: sembrava la mano di un vecchio perché era rugosa e nodosa. In effetti, quando la ragazza cercò di vedere a chi appartenesse scorse appena il viso di un anziano signore. Ma il volto e i lineamenti erano trasfigurati, come in sogno. I tratti non si
distinguevano con precisione. Rosehan si corrucciò e chiese a quella immagine sfocata: «Chi sei? Ti conosco?»
Ma l’immagine scomparve senza fornire risposta. Pensò di aver avuto un’allucinazione, in realtà Rosehan non sapeva che era il mago Elros che aveva cercato con la telepatia di mettersi in contatto con lei.
Sbatté due volte le palpebre. Si sentiva confusa. Si guardò attorno e comprese che l’amuleto aveva finalmente funzionato: era seduta dentro quello che sembrava un cortile di pietra, perché il pavimento era ricoperto di sampietrini e a pochi i da lei si ergeva una sontuosa fontana da cui zampillava dell’acqua particolarmente cristallina e lucente.
Si alzò e si diresse verso di essa. La sua immagine si riflesse con colori brillanti e luminosi. Voleva sfiorarla con un dito, ma qualcuno alle sue spalle la fermò.
«È proibito toccare le Acque sacre del Tempio di Ayon.» Udì una voce melodiosa.
Si voltò di scatto e rimase sorpresa nel vedere una ragazza alle sue spalle.
«Chi sei?» chiese con fermezza Rosehan.
«Be’ questa è una domanda che dovrei porti io dato che sei piombata a casa mia senza essere invitata.»
La sua interlocutrice aveva una particolare pelle diafana e degli occhi di un colore grigio intenso, che ricordavano senza ombra di dubbio quello del mare in tempesta.
«Io sono Rosehan. Sto... cercando... chi ha posseduto la spada di Shanas prima di me. Sei tu, forse?»
La giovane donna con la quale Rosehan stava parlando sussultò. Portò la delicata e affusolata mano bianca vicino alla bocca, come per nascondere il suo turbamento. Invano. Rosehan aveva compreso di aver fatto centro con la sua domanda.
«Ditemi, perché l’avevate voi? Come l’avete usata? E perché poi non è stata più vostra?» incalzò.
«Un momento, Rosehan. Credo ci sia un piccolo equivoco: io non ho mai posseduto quella spada» si premurò di chiarire la donna. «Forse mio padre potrebbe darti qualche spiegazione al riguardo.»
Rosehan rimase interdetta da quella inaspettata rivelazione.
L’altra lo comprese e, forse per metterla un po’ più a suo agio, decise di presentarsi: «Mi chiamo Karen. Seguimi, ti porterò al cospetto di mio padre. Mi ha raccontato spesso delle leggende riguardo a questa valorosa spada. Ne conosce parecchie. Di lui ti puoi fidare.»
Rosehan la fissò alcuni istanti un po’ crucciata: lei non voleva ascoltare storielle sulle spada, voleva conoscere il precedente possessore!
E così domandò apertamente: «Ma lui l’ha posseduta la spada di Shanas?»
A Karen tremarono un pochino le labbra. Si sforzò di sorridere e rispose: «Sì, ma non deve saperlo nessuno.»
Soddisfatta della risposta, Rosehan seguì la ragazza che attraverso corridoi di pietra tortuosi la condusse al cospetto del padre.
L’uomo sedeva su una ricca seggiola di legno intarsiato. Davanti a lui un leggio e sopra di esso un enorme Tomo. Sembrava assorto nella lettura di quel libro, quando Karen la condusse nella sua stanza. In realtà, l’uomo si era appisolato e stava facendo un sonnellino ristoratore.
«Padre! C’è qui... una ragazza... Mi ha detto che si chiama Rosehan...» esordì con la sua soave voce la figlia.
L’uomo si destò di soprassalto.
«Chi diamine... che c’è? Perché hai disturbato il mio studio, figliuola?» chiese con la voce ancora impastata di sonno.
«Questa ragazza voleva conoscere il possessore della spada di Shanas che l’ha
preceduta...»
Il padre di Karen si alzò di scatto dalla seggiola per irrompere quasi con rabbia e rivolgendosi a Rosehan disse: «Con quale diavoleria di magia sei qui? Piccola impudente! Ti hanno chiesto di cercarmi loro?»
Rosehan che non si aspettava una simile reazione, balbettò confusa: «Ecco... io non... non so dove sono... ho chiesto all’Antico Eyurwen di condurmi... da voi...» e per confermare quanto aveva detto, mostrò loro l’amuleto elfico con le due sfere e mezzo annerite.
L’uomo non esitò un solo istante e lo sfiorò con tanta devozione come se avesse visto uno scrigno d’oro.
«Perbacco! È vero! È il vero Eyurwen. Chi te l’ha dato?»
«Uentha, la regina degli elfi della città Emerdyl Delle Acque.»
«Ogni sfera rappresenta l’enorme potere delle Cinque città elfiche del GranRegno. Ma perdona la domanda perché la regina degli elfi ti ha fregiato di un simile e prezioso dono?»
Rosehan non ci pensò su nemmeno un istante e rispose con prontezza: «Be’... mi ha detto che mia madre Calime e mio padre Degon salvarono il popolo di Emerdyl delle Acque dalle grinfie del mago cattivo Zanon. Altro non so...»
Padre e figlia si guardarono interrogativi per qualche minuto, ma a Rosehan quel silenzio sembrò durare un’eternità.
«Hai detto mago cattivo Zanon?» domandò quindi l’uomo dubbioso.
«È quello che mi ha riferito la regina Uentha» ammise Rosehan con estrema semplicità.
«Oh!» esclamò stupito l’uomo accasciandosi sulla seggiola, come se avesse ricevuto una rivelazione straordinaria. «Questo, dunque, vuol dire che vieni dal futuro, perché il mago cattivo come dici tu sta affliggendo ancora le popolazioni del GranRegno.»
«Sì. Ho chiesto all’ Eyurwen di condurmi dal precedente possessore della spada di Shanas per cercare di saperne di più...»
«Ma non è solo questo, quello che ti preme sapere. Giusto?» alluse il padrone di casa.
«Be’... forse è un po’ sciocco da dirsi. Credo che possa aiutarmi a capire chi sono, qual è la mia vera natura. Fuinuir, l’Uccisore delle Tenebre, non vuole che io sappia più di quello che so. Eppure, proprio lui mi ha affidato la valorosa spada di Shanas per portarla al guerriero Aegnor, come del resto recita la profezia...»
«Hai la spada per una profezia?» domandò incredulo l’uomo.
«Uhm... sì... mi sembra che sia la profezia di Duinuihir.»
Il viso già pallido e scarno dell’uomo, sbiancò ulteriormente.
«Ebbene Rosehan, credo che tu debba seguire il consiglio del tuo mentore. Non cercare di scoprire di più sul tuo ato. Potrebbe compromettere la tua importante missione.»
«Ma... io...» protestò debolmente la ragazza.
L’uomo fece un gesto perentorio con la mano invitandola all’ubbidienza.
«Se un mago di grande esperienza come Fuinuir ti ha dato questo consiglio, tu devi seguirlo. E anche senza protestare. In ogni modo posso dirti qualcosa che credo non comprometterà la tua missione. Io sono Elros, uno stregone, e ho posseduto la spada di Shanas prima di te. In realtà, mi fu data per uno scopo ben preciso: aumentarne i suoi prodigiosi poteri.»
Il mago si alzò dalla seggiola e iniziò a eggiare su e giù per la stanza con le mani intrecciate dietro la schiena.
«Purtroppo, nonostante gli studi intrapresi, non sono riuscito nello scopo» continuò imperterrito il racconto. «Credo che questo dipenda dal fatto che la spada di Shanas non può essere distrutta o modificata. Ha già i suoi poteri, perché è stata forgiata con il fuoco del Drago D’Oro dai nani delle caverne di
Deblan milioni e milioni di anni or sono.»
Tacque per alcuni istanti e fissò a lungo il viso dell’adorata figlia, preoccupato.
«Quindi, non l’avete usata per combattere?» concluse logica Rosehan, interrompendo così il fluire dei suoi pensieri.
«Io no, ma in ato sì. È stata nelle mani di valorosissimi guerrieri. Prima di me l’aveva infatti Riban, un famoso e leggendario guerriero... Fu lui che me la diede affinché ne aumentassi il potere.»
Elros si sedette di nuovo e con la sua mano affusolata voltò una pagina del grande Tomo che aveva posto sopra il leggio. Per lui la conversazione poteva ritenersi conclusa. Ma per Rosehan no. Non si sentiva soddisfatta di quello che l’uomo le aveva rivelato. Voleva saperne di più sulla spada, voleva approfondire la discussione. Karen dovette scorgere tutti questi pensieri nel suo viso, perché con delicatezza le afferrò il braccio. Un invito a desistere nel porre ulteriori domande. Rosehan la guardò corrucciata.
«Hai già appreso abbastanza. Segui il consiglio di mio padre: non cercare altro nel ato, potrebbe essere rischioso per te» le suggerì socchiudendo gli occhi grigi e riducendoli a due fessure.
Rosehan deglutì e sebbene insoddisfatta, concluse a malincuore: «Dunque, non potrò mai sapere perché porto questo simbolo impresso sulla nuca e perché sono l’Eletta e una dei Cinque guerrieri di Tara.»
La mano di Karen divenne particolarmente fredda. Rosehan poté percepire sulla sua pelle quell’evidente cambio termico.
«Non venire più qui» sussurrò appena Karen, anche se sembrava più un gemito disperato che non un pacato invito ad andarsene.
Rosehan rivolse i suoi occhi verso quelli della giovane e si stupì: erano ricolmi di lacrime.
Si turbò e, preso l’amuleto tra le mani, desiderò far ritorno all’accampamento. Vide Elros e la figlia scomparire in un fascio di luce accecante, che la costrinse a chiudere gli occhi.
Quando li riaprì, era seduta al suo solito posto sull’erba e già si vedevano comparire nel cielo le prime luci dell’alba.
Capitolo ventunesimo
La trasformazione di Nereis
Fecero colazione, ma mentre Rosehan se ne stava in disparte a sorseggiare il suo latte caldo di capra con il viso mesto, gli altri chiacchieravano animatamente tra di loro. Christian si accorse del turbamento della ragazza, così si alzò da dove era seduto e prese posto accanto a lei.
«Sbaglio o sei pensierosa questa mattina?»
Rosehan non sapeva se mentire o essere sincera con il ragazzo, alla fine optò per la seconda soluzione.
«Questa notte ho usato una sfera dell’amuleto degli elfi per cercare il guerriero che ha impugnato prima di me la spada di Shanas.»
Christian, allora, sbottò in tono di rimprovero: «Perché stai sprecando il dono degli elfi? Potrebbe servirti per sconfiggere Erchamon. Non ci hai pensato?»
Rosehan che non si aspettava una simile reazione, guardò rabbiosa di fronte a sé, ostinandosi a non guardarlo.
«Per te è facile sputare sentenze. Sai chi sei e non ci sono segreti nel tuo ato. Ma io voglio scoprire la verità sul mio conto, su questo mio simbolo.»
«E quando l’avrai scoperta? Cosa te ne farai della verità?» inveì aspro il principe.
«Tornerò più felice nel mio villaggio, a Noormit. Non pensi che scoprire qualcosa sul mio simbolo possa aiutarmi a essere più serena per il mio futuro?»
Christian non le rispose, si chiuse in un ostinato silenzio.
«Be’... io sono convinta di sì. Mi sono accadute tante di quelle cose fuori dall’ordinario, permetti che questo mi abbia un tantino incuriosita? Da semplice ragazza quale ero, sono quasi diventata una guerriera. E le sorti della Grande Battaglia che si combatte tra il regno Luna di vetro e Colori di pietra dipendono da me, soltanto da me.»
Christian continuò a restare chiuso nel suo silenzio. Allora, Rosehan sbuffò: «Credi sia poca la responsabilità che poggia sulle mie fragili spalle? All’improvviso potrei impazzire e non volerla portare più la spada al guerriero Aegnor. Significherebbe la vittoria di Erchamon e la sua totale egemonia sul GranRegno, non credi? Invece no, devo rimanere salda nei miei propositi, perché la mia missione è solo questa: portare la spada al guerriero figlio di Kamen. E basta. Insomma, sono importante, Christian! Non credi?»
«Io penso solo che gli elfi ti abbiano fatto un dono e che tu lo stia palesemente sprecando per il tuo tornaconto personale. Non hai usato una sola di quelle sfere per gli altri, ma solo per scoprire cosa si nasconde dietro a quel tuo
stramaledettissimo tatuaggio che hai sulla nuca. E se poi scoprire la verità sul tuo simbolo non dovesse piacerti? Hai davvero perso la tua meta, Rosehan. Mi dispiace fartelo notare: me sei solo una grandissima egoista!»
Detto questo se ne andò, lasciandola sola con i suoi pensieri. Le parole di Christian l’avevano colpita e ripensandoci a freddo il suo discorso non faceva una grinza: aveva usato la magia dell’amuleto solo per se stessa. E basta.
Chinò il capo affranta, ma notò che per terra oltre alla sua ombra ce ce n’era proiettata un’altra. Per un attimo sperò che fosse quella di Lepang, che il ragazzo vedendola rattristata e pensierosa si fosse avvicinato a lei per consolarla, ma quando alzò lo sguardo di scatto si rese conto di essersi ingannata e il suo sguardo da luminoso divenne serio. Di fronte a lei c’era Nalemi.
«Ciao!» la salutò.
Rosehan vagò con lo sguardo altrove per nascondere il dispiacere provocatole dalle parole che Christian le aveva rivolto pochi istanti prima.
«Ho cambiato idea. Vorrei unirmi a voi, nella vostra importante missione. Penso che con la mia saggezza potrei darvi una mano.»
A quelle parole, Rosehan la fissò stupita: «Davvero? Vuoi unirti a noi?»
Nalemi annuì con fermezza.
«Alle cascate eri così convinta di non voler venire, soprattutto per via di Lepang» insinuò aspra.
«Cercherò di stargli lontana. Non credo sia poi così difficile. Del resto, la trasformazione avverrebbe solo se afferrassi con decisione le sue mani. Non con un semplice contatto fisico.»
Rosehan si alzò e dichiarò: «Bene. Allora, vieni con me che ti presento agli altri membri della compagnia.»
Per tutta risposta, Nalemi sorrise come al suo solito con estrema dolcezza.
Rosehan presentò la nuova arrivata a tutti e lei dopo le presentazioni si unì a loro per fare colazione.
Quando ebbero tutti terminato, Lepang, Agheon, Quing e Christian sistemarono per bene le selle sui cavalli e caricarono su ciascuno di essi i pochi bagagli che avevano portato con loro.
Intanto che i ragazzi erano intenti a fare ciò, Nereis cercava di spegnere il fuoco del falò, mentre Rosehan e Nalemi sistemavano la frutta raccolta e rimasta dentro un cesto.
«La tua amica...» alluse Nalemi indicando Nereis con il mento, «lo sai che cos’è vero?»
«Certo che lo so: è una Strega Nera.»
«E non hai paura?»
«Di cosa?» chiese con ingenuità Rosehan.
«La sua aura magica è oscura, la sua natura è malvagia. Potrebbe scagliarvi una maledizione in qualsiasi momento.»
Rosehan fece un gesto esplicito con la mano, come per dire “ci sono abituata” e aggiunse: «Nereis è diversa. Lei vuole cambiare, vuole diventare buona.»
Nalemi socchiuse gli occhi riducendoli quasi a due fessure, mentre li puntava sulla Strega Nera.
Quindi si risolse a dire: «Uhm... sì... è come affermi tu. Dentro di lei si sta combattendo una grande battaglia...»
Non appena Nalemi ebbe terminato di pronunciare questa frase, Rosehan la zittì perentoria.
«Cosa c’è?» protestò crucciata quella.
«Ho sentito uno strano odore. Sembra profumo, ma secondo me non appartiene a quei fiorellini del prato» rispose sottovoce indicandoli.
«Ah no?» rimarcò incredula Nalemi.
«No. Credo che ci sia qualcuno...»
«Credi bene. Guarda! Delle ragazze hanno accerchiato Nereis.»
Rosehan che era di spalle, si voltò e vide l’amica attorniata da dodici bellissime fanciulle.
«Ti stavamo cercando Nereis. È da un bel pezzo che non presenzi alle nostre riunioni. Dicono che te ne sei andata dalla Congrega, dicono che ti vuoi ribellare all’ Ordine...» parlò una delle Dodici ragazze che indossava al collo uno strano medaglione di forma quadrata tempestato di gemme colorate.
Nereis si mise sulla difensiva, con le mani arcuate ad artiglio.
«Zalmeja, qual buon vento» esordì ironica, «credevo che non vi ricordaste più di una vecchia e cara amica.»
«Risparmia il tuo sarcasmo, Nereis. Sei una traditrice e sai bene quale destino tocchi a chi tradisce il nostro Ordine» proferì Zalmeja.
«Fammi indovinare: la morte?» continuò nel suo tono ironico.
«Oh. Almeno una regola della nostra Congrega la conosci» riprese la Strega Nera, cogliendo il sarcasmo della rivale.
«Invero, le Regole le conosco tutte. È per questo che non mi piace stare con voi e non voglio più essere una di voi» sottolineò in tono dispregiativo quest’ultima parola.
«No, no, no, Nereis. Non è l’atteggiamento giusto da tenere. Se conosci le regole, saprai anche benissimo che un patto eterno di sangue ci lega, che non può essere in alcun modo spezzato. Ora vorrei essere buona con te: o ti decidi a seguirci di tua sponte, oppure ò il Sithus[28] contro di te per indurti a obbedirmi. A te la scelta, cara!»
Nereis si morse il labbro. Non era difficile scegliere, però sapeva che entrambe comportavano fare del male ai suoi compagni di viaggio. E lei non voleva questo. Non voleva fare del male a nessuno dei suoi amici.
«Allora, ti decidi o no?»
Nel frattempo, Rosehan e Nalemi che si erano avvicinate avevano capito cosa stava accadendo grazie ai loro discorsi.
Intervenne, allora, Rosehan: «Nereis non verrà mai con voi. È una nostra amica e
non vuole far più parte della Congrega delle Tredici Streghe Nere. Spero che il messaggio sia chiaro!»
Zalmeja e le altre Undici Streghe si voltarono nella sua direzione. Rosehan si sentì un tantino osservata.
«E questa sciocca ragazzina chi è?»
Rosehan non poté resistere al richiamo della spada, così la sfoderò: era completamente infuocata, segno che erano tutti in pericolo.
«Ah. Capisco chi sei. Hai la spada di Shanas, sei l’Eletta dunque. Mi spiace però doverti deludere, piccola cara, ma quella spada non ha alcun effetto su di noi, sul nostro immenso potere.»
«Be’... questo è da vedersi. En garde.» Dichiarò risoluta Rosehan già in assetto di combattimento.
Zalmeja scoppiò in una sonora risata.
«Patetica!» commentò divertita. «Lori colpiscila, così starà finalmente buona e zitta.»
La Strega che si chiamava Lori non si fece ripetere l’ordine due volte. Indietreggiò con le mani chiuse a coppa, come se dovesse raccogliere una grande
quantità d’aria, invece non fu affatto così. Le mani le si infiammarono e formarono un’enorme sfera di fuoco. Nereis, intuendo la magia della Strega, corse veloce verso Rosehan, così veloce che lei non realizzò quanto stava accadendo. E quando l’altra scagliò la sfera di fuoco, Nereis la protesse con il suo corpo, facendo da scudo.
A quegli schiamazzi accorsero anche gli altri e rimasero stupiti di quello che videro: le ragazze, la sfera di fuoco, Nereis che proteggeva con il suo corpo Rosehan. Non capirono bene perché stesse accadendo tutto questo, però compresero che dovevano essere tutt’altro che loro amiche o alleate quelle ragazze.
Christian non aspettò un solo secondo e incoccò una freccia. Partì rapidissima, ma una delle Streghe ne deviò il corso con un rapido cenno della mano cosicché la freccia fendette inutilmente l’aria densa di fumo, a causa della sfera di fuoco con cui la Strega aveva colpito gli alberi nei dintorni, incendiandoli. Quing, allora, estrasse dalla sua calzatura una daga e iniziò a scagliarsi contro una delle Dodici.
In breve, tutti e sette si misero a combattere contro le Streghe Nere, chi ne fronteggiava due per volta, chi soltanto una. Rosehan sferrava degli incredibili colpi con la spada di Shanas. L’elemento dal quale traeva forza la sua arma era appunto il fuoco e l’incendio appiccato dalla Strega non l’aveva che avvantaggiata notevolmente.
Combattevano tutti, tranne Zalmeja. Con un balzo era salita sopra il ramo di un albero che ancora non aveva preso fuoco e osservava compiaciuta la scena dall’alto.
Due Streghe che combattevano contro Christian dissero: «È un sensitivo
Sindarin. Creiamo con la magia una lancia Daruk, così a dalla nostra parte...»
La compagna annuì e mentre l’altra creava con la magia una lancia di quel tipo, Rosehan gridò con la spada in mano e correndo per proteggere Christian: «Nooooo!»
«Rosehan che hai? Ho il mio arco, non ho bisogno di essere protetto da te.»
Lei lo strattonò, fino a spingerlo lontano dal luogo del combattimento, mentre Christian protestava: «Ehi ma che fai? Sei impazzita, forse?»
«Nasconditi dietro questo cespuglio e non farti trovare dalle Streghe. Capito?»
E si allontanò di corsa per ritornare nel campo di battaglia.
«Non scherzava questa mattina quando diceva che sarebbe impazzita» sbuffò il ragazzo spazientito. «Non sono un codardo, non ho alcuna intenzione di nascondermi.»
E si diresse di nuovo verso il luogo dove si stava svolgendo il combattimento.
«Rosehan, non possiamo farcela. Sono troppo forti per noi. Ritiriamoci!» gridò Nereis mentre lanciava anatemi contro una Strega che con grande abilità li evitava.
«Non è quello che mi ha insegnato il Maestro Obichi» dichiarò risoluta la guerriera di Tara fendendo colpi con la sua spada infuocata contro due Streghe.
«Be’ allora dovrai farti venire un’idea alla svelta, perché Lepang è stato già ferito» aggiunse alle sue spalle Agheon.
“Lepang?” Il cuore di Rosehan iniziò a pulsare forte nel petto, sembrava quasi volesse uscirle fuori. Il suo amatissimo Lepang era stato ferito? Iniziò a menare colpi con ancora più forza, con più energia: sembrava come posseduta. Non sapeva che dall’altra parte del campo, Christian era già stato catturato da due Streghe.
Zalmeja scese dal ramo dell’albero e ordinò solenne: «Fermi tutti! Abbiamo il ragazzo. Se non volete che la sua ira si scagli contro di voi, consegnateci Nereis e porremo fine a questa battaglia.»
Zalmeja teneva un braccio sotto il collo di Christian per farlo stare fermo, anche se lui si dimenava come un pazzo. Vicino al suo collo la Strega teneva puntata la lancia di Daruk.
Tutti smisero di combattere e fissarono la bella strega con Christian suo prigioniero.
«Oh. No, Christian!» gemette angosciata Rosehan.
«Che succede? Perché? Cosa...?» le chiese confusa Nereis sottovoce, avvicinandosi.
«Fuinuir mi ha detto che Christian è un Sindarin. Se lo colpisce una lancia Daruk diventa cattivo per sempre» rispose sottovoce Rosehan.
«Ma perché non me l’hai detto non appena l’hai saputo? Dobbiamo salvarlo, allora. Mi consegnerò alle Streghe. Continuate il viaggio senza di me.»
Rosehan si sentì davvero disperata nell’anima. Se non avessero ceduto al ricatto della Strega Nera avrebbero perduto per sempre Christian e se avessero accettato avrebbero perso Nereis. Cosa poteva fare? Non voleva perdere nessuno dei suoi due compagni di viaggio. Ormai erano diventati degli amici per lei.
“Pensa, Rosehan, pensa in fretta a qualcosa.”
Si guardò attorno alla ricerca della soluzione a quel problema, ma non riusciva a trovarla.
Le vennero allora in mente le parole del Maestro Obichi pronunciate durante il duro addestramento: “Se sei in difficoltà, usa la testa non la forza. Sii astuta. Pensa a una mossa inaspettata e soprattutto in fretta. Richiama il tuo spirito di sopravvivenza. Potrebbero essere per te le ultime ore di vita. Usa la paura che hai dentro per sconfiggermi.”
“La soluzione” pensò, “sta nella testa, non nella forza. Pensa a una mossa
inaspettata... pensa a una mossa inaspettata...”
Ritornò a guardarsi in giro per alcuni istanti confusa, poi, all’improvviso le balenò un’idea.
Si mise a correre veloce in direzione di Agheon e gridò: «Agheon lancia Nalemi contro Nereis.»
«Perché?»
«Fai come ti dico. Nalemi sai cosa devi fare, non è vero?»
Nalemi comprese al volo le sue intenzioni. Agheon afferrò la ragazza e fece come Rosehan le aveva detto: la scagliò contro Nereis.
Nereis per proteggersi da quel corpo che le stava arrivando addosso mise le mani in avanti. Nalemi gliele afferrò con forza, poi le due fanciulle caddero a terra prive di sensi.
Zalmeja ridacchiò: «Cos’è questa ridicola esibizione?»
Ebbe appena il tempo di fare questo commento sarcastico, che una forte luce avvolse Nalemi trasformandola in Nereis. Era perfettamente identica a lei, soltanto vestita di una tunica bianchissima e in mano recava un bastone alla cui estremità brillava una bellissima luce azzurrina scaturita da una grande pietra
azzurra incastonata tra i ramoscelli del bastone.
Zalmeja indietreggiò spaventata e sussurrando: «No, non può essere...»
La Nereis Bianca avanzò decisa verso la Strega e ordinò perentoria: «Consegnami il ragazzo e risparmierò il Sithus.»
Zalmeja non se lo fece ripetere due volte, mollò Christian con tale forza che il ragazzo andò a sbattere la testa contro le pietre e perse completamente i sensi.
Nereis Bianca sorrise, puntò il bastone contro la lancia Daruk e la distrusse spezzandola in mille frammenti che volteggiarono nell’aria per alcuni istanti.
«Andatevene, prima che distrugga per sempre la vostra Congrega» dichiarò in tono pacato.
«Ci incontreremo di nuovo, Nereis. Contaci! Non l’avrai vinta» ebbe l’ardire di protestare Zalmeja.
Nereis Bianca sorrise con serenità e rispose così alla provocazione della Strega: «Ti aspetterò. Non ti temo.»
Le Dodici Streghe Nere si dileguarono nel nulla, mentre la vera Nereis osservava la scena come pietrificata per terra dove era rimasta dopo la caduta: non capiva chi fosse quella ragazza così simile a lei. Guardò interrogativa Rosehan che
esultava raggiante abbracciando Agheon.
Rosehan vedendola perplessa, si avvicinò per spiegarle che Nalemi era in grado di trasformarsi nella parte opposta delle persone. Quindi, la invitò a parlare con il suo alter ego.
Nereis si alzò titubante e guardò incantata la sua gemella che la fissava sorridente.
«Sei me?» domandò incredula.
«Sì. Sono te» rispose con semplicità quella.
«Non capisco... cosa vuol dire... tutto questo?»
«Sono il tuo opposto e la parte più nascosta del tuo Io che hai soffocato per diventare malvagia.» Il viso sereno di Nereis Bianca si oscurò di colpo.
«Un giorno sarò come te?» chiese speranzosa Nereis.
L’altra riprese a sorridere placidamente.
«Può darsi. Il tuo desiderio è grande Nereis e sei sulla retta via, ma ancora non
hai sconfitto la battaglia che si agita dentro di te. La Magia Oscura ha ottenebrato il tuo cuore, rendendolo prigioniero di convinzioni che esulano dalla tua vera natura, dal tuo vero modo di essere. In realtà, tu sei buona dentro. Sono i delitti di cui ti sei macchiata nel ato che ti tormentano.»
Tacque per alcuni istanti.
Dall’occhio di Nereis sgorgò una lacrima, che non si curò di asciugare. La lasciò percorre silenziosa la guancia e scomparire sotto il mento.
«Purtroppo, non ho un rimedio. Ma sono certa che troverai un modo per redimerti.»
«Lo spero tanto» mormorò Nereis, mentre la sua interlocutrice si ritrasformava.
Una luce l’avvolse e Nereis Bianca scomparve per lasciare il posto a Nalemi, la quale si accasciò per terra priva di forze: la trasformazione in Nereis, essendo dotata di grandi poteri magici, l’aveva decisamente spossata.
L’aiutò ad alzarsi, sorreggendola dalle braccia. Nalemi però sembrava un po’ sconcertata perché sul viso aveva dipinto il disgusto.
«Non chiedermi di trasformarmi più in te. Hai capito?» dichiarò in segno di rimprovero. «Non potrei sostenere un’altra volta una simile trasformazione. Possiedi poteri magici troppo forti. Non posso sopportarli!»
«Tranquilla! Non credo riaccadrà più. Rosehan ha avuto un’idea geniale però. Dobbiamo ammetterlo. Zalmeja non si sarebbe arresa tanto facilmente, se non fosse stata al tuo cospetto. Mi spieghi però una cosa...»
Nalemi tossì forte, poi rispose: «Chiedimi tutto.»
«Potevi distruggere il Sithus, perché non l’hai fatto?»
«Siete protette da I Tredici Stregoni Bianchi. Ne sarebbe sorta un’autentica guerra tra te e loro e non credo ne saresti risultata vincitrice, nonostante i tuoi immensi poteri.»
«Capisco. Una scelta saggia che io non avrei mai preso.»
«Lo so. La saggezza fa parte dei miei poteri e della mia indole di Guerriera di Tara.»
«Possiedi lo stesso simbolo di Rosehan?»
«Possiedo il simbolo tatuato sulla nuca, come la nostra Rosehan, ma il mio rappresenta Il labirinto di Kydas.»
«Capisco. Siete delle creature straordinare, voi Guerrieri di Tara. Davvero...»
Nalemi per tutta risposta le sorrise.
«Aiutiamo Rosehan e Agheon a soccorrere Quing, Christian e Lepang. Da soli non ce la possono fare.»
E così si diressero verso di loro, nel frattempo la foresta aveva smesso di bruciare e tutto attorno rimanevano solo mucchi di cenere e tronchi che ancora emanavano dei filini di fumo denso e grigio.
Capitolo ventiduesimo
L’incantatore di serpenti
Giunsero nella città di Hindi[29] dopo un paio di settimane di galoppo. Rosehan aveva riferito ai suoi compagni di viaggio che per poter guarire completamente dalla maledizione di Erchamon e non dovere più così dipendere dalla pozione di Fuinuir, avrebbe dovuto indossare Gernet, l’anello delle dieci fate. E per trovarlo, avrebbero dovuto cercare il nipote di Rajkot, un certo Keduhu.
Hindi era una città molto povera e polverosa, ma sembrava anche molto affollata, infatti fecero fatica ad avanzare per le strette e tortuose vie del centro storico. La gente aveva la pelle particolarmente scura e indossava delle tuniche coloratissime, ma logore e sporche. I bambini correvano per le strade polverose a piedi scalzi, mentre le donne portavano con loro degli enormi cesti costruiti con la corteccia, cesti che con grande abilità riuscivano a tenere sotto il braccio.
Domandarono dove si trovasse Keduhu a un vecchino seduto davanti a una malandata porta su una sgangherata sedia di legno e paglia.
Quegli mostrò un sorriso sdendato prima di rispondere con la sua voce tremante: «Abita nella casa tutta bianca con la cupola al posto del tetto. La trovate svoltando l’angolo a destra in quella stradina» disse indicandola, quindi aggiunse: «Dovete proseguire dritto fino in fondo. Non vi potete sbagliare. Non spaventatevi, però!»
«Perché?» chiese con curiosità Rosehan.
«È un incantatore di serpenti.»
«Ah.»
«Velenosi» specificò con enfasi l’anziano.
«Ah. Interessante» commentò Rosehan per nulla entusiasta di quella notizia.
Fecero quanto aveva loro detto il vecchio: svoltarono l’angolo a destra e poi percorsero fino alla fine la via. Dopo la sua informazione, non fu per loro difficile riconoscerlo: di fronte alla porta d’ingresso della casa bianca con la cupola, un uomo suonava il suo pungi. Era molto magro, aveva il torso nudo, indossava un solo panno bianco a ricoprirgli le parti intime e al collo portava una collana di conchiglie. Sedeva per terra con le gambe incrociate, era scalzo, aveva gli occhi chiusi e davanti a sé un grande vaso dai colori variopinti e sgargianti da cui sbucava un enorme cobra che rimaneva eretto, come ipnotizzato dalla musica.
Rosehan diede una gomitata a Quing per spingerlo a parlare con quell’uomo. Lui la guardò di sbieco: anche a lui i serpenti incutevano timore. Così cercò di obiettare: «Perché dovrei parlargli io? L’anello serve a te.»
Rosehan continuò a spingerlo verso l’incantatore con decisione, incurante delle sue ultime parole.
«E smettila di spingermi! Non ho alcuna intenzione di parlargli, capito?» protestò puntando i piedi per terra.
L’incantatore dovette sentirli perché alzò un sopracciglio in chiaro segno di disappunto, tenendo però gli occhi saldamente chiusi.
«Coraggio, Quing... parlagli... Tu sei il più anziano del gruppo. Mostrati adulto e coraggioso. Soprattutto... non metterla troppo sul personale...» lo incitò Rosehan, mentre Nereis e Nalemi soffocavano a stento delle risatine.
«Uhm... è facile per te darmi dell’adulto in una circostanza così pericolosa: quel cobra sembra quasi un’anaconda tanto è grosso! Il Maestro Obichi non ti ha insegnato a essere coraggiosa? Perché non metti in pratica i suoi preziosi insegnamenti? È una buona occasione... questa...» si difese Quing spingendo a sua volta la ragazza verso l’incantatore.
«Che diavolo fai?» strillò Christian. «Non lo vedi che Rosehan è una fragile e indifesa fanciulla? Metteresti in pericolo la sua vita per salvaguardare la tua?»
Quing non ci pensò un attimo e ripose: «Sì, perché no?»
«Aaaah!» sbraitò seccato Christian, spingendo indietro Rosehan.
«Un momento» intervenne Agheon conciliante, «gli parlerò io.»
Quando ebbe finito di dire ciò, l’uomo non era più alla porta, sembrava essersi volatilizzato nel nulla.
«Ma dove è andato?» domandò Rosehan dispiaciuta.
«Credo sia rientrato nella sua casa» rispose Nereis tornando seria. «Non siete stati molto cortesi con i vostri commenti.»
«Ah, no? Perché non gli hai parlato tu, allora?» chiese saccente Rosehan.
«Nereis ha ragione: non dovevate fare quei commenti ad alta voce. L’avete sicuramente indisposto» prese le sue difese Nalemi.
Rosehan le guardò corrucciata: facevano tanto le sagge, eppure nessuna delle due si era mossa in sua difesa.
«Sta ritornando» si udì a un tratto la voce di Lepang, l’unico che non si era scomposto e aveva osservato la scena stando appoggiato con le spalle al muro della casa antistante e con le braccia conserte.
Tutti si volsero a guardare l’entrata della casa con la cupola e, in effetti, era come aveva detto Lepang: l’uomo stava venendo verso di loro, tutto trafelato.
«Cosa posso fare per voi?» chiese una volta giunto al loro cospetto.
Quing diede una gomitata a Rosehan per invitarla a parlare.
«Eh... be’... stiamo cercando Keduhu, il nipote del famoso cartografo Rajkot» rispose lei impacciata.
«Sono io, cosa volete?»
«Sto cercando notizie su Gernet, l’anello delle Dieci fate.»
«Capisco. Be’... è evidente: io non ce l’ho. Però posso senz’altro dirvi che ce l’ha il principe Keizch. Lo trovò grazie alla mappa di mio zio.»
«Quindi, dobbiamo trovare questo principe» concluse logica Rosehan.
«Mi sa di sì.»
«E dove possiamo trovarlo?»
Keduhu li squadrò ben bene, prima di rispondere: «Non credo che vi farà piacere saperlo, ma il principe Keizch si trova nel Regno indipendente di Ashtor, nel regno Corallo D’Avorio.»
«Cosa?!» esclamarono tutti all’unisono, tranne Lepang che flemmatico continuava a rimanere appoggiato con le spalle al muro e le braccia conserte al petto.
«Eh... sì... è di quelle parti... Lontano da qui.»
«Già» fu l’unica cosa che riuscì a dire Rosehan sconsolata.
«Be’... spero di esservi stato utile in qualche modo» concluse l’uomo. «Vi auguro buon viaggio» e si congedò da loro, ritornando dentro la sua casa bianca dal tetto a cupola.
«Avete sentito? Dobbiamo ritornare a Corallo D’Avorio per incontrare questo principe» disse Rosehan in tono lamentoso.
Nereis la guardò dispiaciuta: comprese che quella deviazione nel loro viaggio sarebbe stata un problema per la buona riuscita della missione: portare la spada di Shanas al guerriero Aegnor a Weengran, lungo il fiume Athineild, ai confini tra il regno Colori di pietra e Luna di vetro, dove si stava combattendo la Grande Battaglia.
«La nostra meta così si allontana!» sbuffò Rosehan quasi piagnucolando.
Christian si rattristò: gli doleva vederla così afflitta.
«Non hai altra scelta, Rosehan. Devi prima contrastare la maledizione di Erchamon» disse Agheon.
«Ma io... io... avevo promesso che avrei aiutato Christian... io...» Le parole le morirono sulle labbra.
«Non preoccuparti per me, Rosehan. Per ora l’unica cosa importante è salvare i popoli del GranRegno. E quindi devi liberarti da questa terribile maledizione» proruppe Christian.
Rosehan lo fissò sconfortata, mentre lui annuiva con fermezza: «Stai tranquilla. Noi resteremo al tuo fianco e ti aiuteremo a qualsiasi costo. Non ti lasceremo sola.»
Quindi, tutti e sette si incamminarono verso l’entrata della città dove avevano lasciato i loro cavalli. E, senza esitazione, ripartirono immediatamente in direzione del regno Corallo D’Avorio.
Rosehan, che cavalcava con Christian, lo stringeva forte dalla vita per reggersi.
A un tratto però iniziò ad avvertire una leggera sonnolenza. Sbadigliò e desiderò dormire, così chiuse gli occhi mentre nelle orecchie iniziava a sentire delle voci che la chiamavano con grande insistenza. Sembrava un’antica nenia, più che un insistente borbottare.
Christian si accorse che qualcosa di strano stava accadendo, perché percepì l’abbraccio della ragazza allentarsi piano piano.
Ordinò al cavallo di fermarsi e quello, dopo aver sollevato le zampe anteriori in aria, scalciandole per qualche istante, le posò per terra e con un lungo nitrito si arrestò.
Scese da cavallo, mentre Rosehan che si era abbandonata al sonno, scivolava leggera via dalla sella e piombava a terra.
Christian intuendo che qualcosa non andava, chiamò a gran voce gli altri, che si fermarono anche loro poco dopo.
Tutti si radunarono attorno a Rosehan che dormiva beatamente, incurante di quello che stava avvenendo.
Fuinuir apparve subito loro nelle vesti di Mago Guaritore e si fiondò sul corpo privo di sensi della ragazza.
Si chinò su di lei e iniziò a schiaffeggiarle con delicatezza il viso.
«È la maledizione di Erchamon!» gridò esasperato Il Viandante delle Tenebre. «Nereis tieni lontano Lepang. Ti prego!»
Poi, rivolto verso la ragazza: «Rosehan, mi senti? Mi senti? Usa il diadema che ti
ho donato...»
Nereis chiese a Lepang di allontarsi da dove Rosehan era distesa. Il ragazzo si crucciò, ma non si oppose.
«Posso aiutarti?» domandò Nalemi rivolta al Mago Guaritore.
Fuinuir la guardò e nei suoi occhi baluginò una luce azzurrina.
«Purtroppo, non possiamo fare niente. Questa è la seconda fase dell’anatema di Erchamon. Rosehan dormirà fin quando non riuscirà a trovare un modo per uscire da sola dal mondo dei sogni. E l’unica maniera per farlo è chiedere aiuto al suo diadema.»
Il Guaritore guardò di nuovo il pallido visino di Rosehan puntellato dalla miriade di efelidi. Sembrava piombata in un sonno profondo.
«Io lo so chi sei» disse a bruciapelo Nalemi.
«Non ne dubito» ammise Fuinuir.
«Perché non vuoi che Rosehan sappia la verità sul suo tatuaggio?»
«Credo che tu già conosca la risposta.»
«Temi che le potrebbero cancellare con la polvere del corno di un unicorno il tatuaggio che ha sulla nuca e farle perdere così tutti i suoi prodigiosi poteri, se la torturassero e scoprissero chi è in realtà?»
«S-ì. Tu, Lepang e Agheon sapete già qual è la vostra natura che è la stessa sua, solo che voi non siete bersaglio di un nemico come Erchamon alla stessa stregua di lei. È troppo giovane. Non resisterebbe alle torture. Al primo graffio, rivelerebbe chi è realmente e potrebbe ritorcersi su di lei questa cosa. Se il suo nemico sapesse quello che è, non esiterebbe un solo istante a toglierle il potere, cancellando quel tatuaggio con la polvere del corno di un unicorno. Per questo vorrei che non le diceste nulla.»
Agheon e Nalemi ascoltarono le parole del Guaritore in silenzio, ma lo approvavano.
Christian non comprese tutto il discorso del mago, ma si vide costretto a obiettare: «Il Maestro Obichi l’ha addestrata. Rosehan è cambiata. È diversa. È forte, non è la ragazzina indisciplinata che ho conosciuto all’inizio.»
«Lascia perdere Christian, non puoi capire» disse Nalemi.
«No, no, lascialo parlare. Tu credi che Rosehan con l’allenamento si sia rafforzata, in realtà, ma non dovete dirglielo per nessun motivo, il suo spirito di guerriera è rimasto sopito» dichiarò il Mago.
Christian lo guardò allora stupito e questo incoraggiò il Guaritore a continuare con la sua spiegazione: «Il Maestro Obichi non ve l’ha detto e non l’ha detto nemmeno a lei per non scoraggiarla, ma è così: lo spirito di guerriera non è emerso, nonostante gli estenuanti esercizi che le ha fatto fare.»
«Ma come potete affermarlo con questa certezza?» obiettò scettico Christian.
«Semplice. Rosehan non percepisce uno dei rumori essenziali legati alla spada: quello metallico. Non riesce a percepire il sibilo delle frecce nell’aria o di una lancia o di una spada o di un qualsiasi altro oggetto metallico. È come se fosse “sorda” a questi rumori così fondamentali per una guerriera.»
«Non posso crederci» farfugliò sbalordito Christian.
«Devi crederci. Se te lo dico io.»
«Manterremo questi segreti» promisero turbati un po’ tutti.
«Lo spero proprio. Christian, ho un favore da chiederti, quando Rosehan si sarà svegliata. Mi prometti che lo farai? Che farai quanto ti sto chiedendo? È per il suo bene...»
Christian si riscosse dal suo stupore e promise che avrebbe fatto ciò che il Guaritore gli avrebbe chiesto.
Nel frattempo, Rosehan stava sognando, ma non se ne rendeva conto. Credeva di essere nella realtà. Si trovava da sola in una palude. Gli stivaletti erano tutti inzaccherati di fango e anche i suoi calzoni. La spada di Shanas che portava dentro il fodero che le aveva regalato Felagund, le pesava sulle spalle come non mai. Apparve la tenue immagine di sua madre, Calime.
«Mamma!» esultò Rosehan, cercando di correrle incontro, ma il fango glielo impediva. «Non ci riesco!»
«Come i nemici che non vogliono che tu continui il tuo cammino. Devi sforzarti di vincere te stessa. Non pensare di avere dei pesi alle estremità. Immagina di essere leggera, come una nuvola. Avanti. Se cadi, ricomincia da capo.» Riecheggiarono nell’aria la parole del Maestro Obichi.
Calime le sorrise pacata.
«Piccola cara, non preoccuparti: io e tuo padre stiamo bene. Vogliamo soltanto che tu torni a casa, a Noormit. Dai la spada a Lepang, lui la porterà ovunque tu vorrai.»
Rosehan istintivamente voltò di scatto la testa verso destra e vide il suo amato Lepang. Indossava una tunica nera fermata in vita da una grossa cintura rossa. Il volto imbronciato, lo sguardo tenebroso. Rosehan non riusciva a resistere al suo fascino. Lui ammiccò un sorrisetto compiaciuto.
«Fai come ti suggerisce tua madre: dai a me la spada e tornatene tranquilla nel tuo villaggio.»
Il ragazzo poi le si avvicinò con rapidità e le cinse con le braccia gli acerbi fianchi. Iniziò a baciarle il collo. Rosehan si sentì ebbra di felicità e senza rendersene conto si avvinghiò a lui. Il cuore le batteva forte nel petto. Posò il viso nell’incavo del collo del ragazzo e rimase lì, immobile, a catturare con la guancia il piacevole calore del suo corpo. Poté anche avvertire il suo odore. La pelle di Lepang sapeva di sandalo, e questo dolce profumo la inebriò tutta.
Sollevò il capo per perdersi nei meravigliosi occhi verde oliva del giovane. Lo guardò estasiata. Quanto desiderava sfiorare con le labbra la sua bocca! Lui gli fece uno dei suoi irresistibili sorrisi sghembi, dischiuse le labbra e con impeto le adagiò sulle sue.
Fu un bacio rapido, almeno per Rosehan, perché quando Lepang si staccò da lei, provò un immenso dolore. Sul viso del ragazzo, invece, era stampato un sorriso malizioso. Teneva già in mano il fodero con dentro la spada di Shanas.
«Adesso sì che sei ragionevole» ammise soddisfatto.
Rosehan si ridestò dal torpore che le aveva dato il bacio del giovane.
«Come scusa?»
«Rosehan, mi senti? Mi senti? Usa il diadema che ti ho donato...» udì la voce di Fuinuir provenire come da una pozza d’acqua.
Una luce accecante la illuminò tutta.
«Lepang! Lepang! Lepang! Dove sei?» lo chiamò disperata, guardandosi attorno.
Ma tutto quello che vide fu solo buio.
«Rosehan, mi senti? Mi senti? Usa il diadema che ti ho donato...» udì di nuovo la voce di Fuinuir giungere ovattata.
«Io...» e riecheggiò nell’aria inutilmente.
Percepì i piedi bagnarsi e l’acqua rapidamente salire. Annaspò perché ormai l’acqua la stava completamente ricoprendo.
«Aiuto! Aiuto! Aiuto!» gridò come se qualcuno potesse sentirla.
“Ti prego, diadema... aiutami!” pensò disperata, quando l’acqua l’aveva quasi del tutto ricoperta.
Si svegliò di soprassalto, ansimando. Le ci volle un po’ per capire dove si trovasse.
Tutto attorno era semi buio, la luna illuminava in modo spettrale i corpi degli altri distesi e intenti a dormire sul prato.
Rosehan rimase alcuni istanti a osservarli. Non capì perché, ma si mise a contarli. Forse per controllare che ci fossero proprio tutti. Notò che ne mancava uno, ma nella semioscurità era difficile comprendere chi mancasse all’appello.
Si pose a sedere e scorse qualcuno, un’ombra che frugava nel suo fagotto. Per lei non fu difficile capire chi fosse, perché aveva preso in mano il medaglione degli elfi che aveva iniziato a illuminare di luce lunare tutt’intorno.
«Christian!» lo chiamò sottovoce per non svegliare gli altri. «Cosa intendi fare?»
«Ehm... nulla. Volevo solo parlarti» mentì senza pudore il ragazzo.
Rosehan allora si alzò e tutti e due si diressero vicino al fiume che scorreva da quelle parti.
«Cosa volevi dirmi?» domandò sospettosa la ragazza.
Christian non le rispose, rimase in silenzio.
«Allora?» incalzò spazientita.
«Abbandona questo ciondolo» rispose a bruciapelo il ragazzo, tenendo stretto tra le mani il medaglione e facendolo penzolare nell’aria.
«E perché scusa?»
«Ti ricordi cosa ti ho detto prima che ci attaccassero le Streghe Nere?»
«Che sono un’egoista?»
«Esatto. Credo che dovresti staccartene. Ti svia dalla tua missione.»
«La regina Uentha me l’ha dato.»
«So chi te ne ha fatto dono, ma tu lo stai sprecando e anche palesemente» iniziò a scaldarsi Christian.
«Perché ti sta tanto a cuore il potere di questo talismano? Forse perché lo vorresti tu, tutto per te?» insinuò rabbiosa Rosehan, cercando di strapparglielo dalle mani.
Ma Christian fu più veloce di lei e con un gesto repentino lo scagliò lontano, nelle acque del fiume, dove il ciondolo si inabissò.
«Ma sei idiota?» sbottò gridando Rosehan e scagliandosi contro di lui.
I due si affrontarono corpo a corpo, ma Christian ebbe la meglio, le fu subito sopra, con poche mosse, anche se Rosehan continuava a dimenarsi e a gridare «Lasciami! Lasciami ti ho detto!»
«Avrei dovuto farlo prima, solo che non ne avevo il coraggio.»
«Bastardo! La pagherai e anche cara. Ora ti infilzo con la mia spada...»
«Ehi... ehi... ehi... cos’è tutto questo baccano?» intervenne Nereis a dividerli.
«Oh. Nereis, per fortuna sei arrivata. Aiutami! Questo stupido ha gettato l’amuleto degli elfi nel fiume» disse Rosehan con il volto in fiamme per la rabbia.
«La distogliava dal nostro viaggio. Non ti basta la maledizione di Erchamon?» gridò ancora più forte il ragazzo.
Entrambi avevano i volti paonazzi.
Nereis guardò Rosehan prima di affermare: «Christian ha ragione, purtroppo. Il tuo unico obiettivo deve essere quello di portare la spada ad Aegnor. Dopo penserai al resto...»
«Ma lo è il mio unico obiettivo. Soltanto che voglio sapere perché ho questo simbolo impresso sulla nuca, voglio scoprire la verità» replicò ancora distesa a terra Rosehan, con sopra Christian seduto a cavalcioni.
«Ragiona: prima giungeremo a Weengran, prima farai ritorno a casa e potrai riabbracciare di nuovo i tuoi genitori. E poi è questa la gratitudine che provi verso Il Viandante delle Tenebre? Ti ha salvata un’altra volta dalle voci degli Spiriti dei morti.»
Christian lasciò andare Rosehan. Si alzò, bofonchiando: «Finalmente qualcuno le dice come stanno in realtà le cose.»
Rosehan iniziò a singhiozzare e tra le lacrime ammise: «Mi spiace. Avete ragione. Ho sbagliato a non pensare più ai miei genitori per pensare solo a me stessa. Comunque, l’amuleto poteva servirmi ancora.»
«Basta! Ormai non puoi averlo più!» la rimproverò con rabbia Christian. «Dimenticalo!»
«Ora basta Christian. Potevi parlarne con me. Avrei preso io il ciondolo, invece di sprecare così quel prezioso dono» mentì Nereis.
In realtà, lei sapeva che Christian l’aveva gettato nel fiume, perché glielo aveva espressamente chiesto Fuinuir.
«Ormai è andato perduto!» ribadì sconsolata Rosehan, rimettendosi in piedi e asciugandosi con il dorso delle mani le poche lacrime che le erano cadute.
«Già» ammise Nereis, «adesso cerchiamo di dormire e di dimenticare l’accaduto. Va bene?»
I due ragazzini tacquero, guardandosi ancora in cagnesco.
«Va bene?» ripeté Nereis con un tono che non ammetteva repliche.
«Va bene» biascicò Rosehan.
«Bene.» Si risolse a dire anche Christian.
E tutti e tre si diressero all’accampamento.
Capitolo ventitreesimo
La Chiave di Aveyon
Quella notte, sul selciato, si udirono rumori di zoccoli e il nitrire insistente dei cavalli. Darek, un ragazzino, stava nascosto dietro un tronco. Aspettava con ansia che i Soldati di Re Erothu se ne andassero. Aveva preso in prestito, come sosteneva lui, l’Antica chiave della città di Aveyon[30]. L’aveva sfilata a uno dei due soldati di guardia alla porta della Sala reale del Castello, mentre quello era intento a schiacciare un sonnellino. Poi, l’aveva messa dentro una sacca marrone, perché era grande e brillava, così nessuno al Castello, vedendolo are per i corridoi, si sarebbe accorto che l’aveva rubata.
Ma ora era stato dato l’allarme e tutta la guardia reale gli stava dando la caccia senza tregua. Attese il momento più opportuno per sgaiattolare via dal suo nascondiglio dietro al tronco. Indugiò alcuni istanti, che gli parvero interminabili. Poi prese la rincorsa e saltò oltre il ponticello che univa le due sponde del fiume che scorreva proprio lì vicino. Si appiattì a terra e attese, mentre il cuore gli batteva forte in petto. Si mise in ascolto: i soldati a cavallo si erano quasi tutti allontanati, non scorgendolo. Soltanto uno notò qualcosa di insolito e indugiò fissando a lungo l’oscurità.
«Chi va là?» intimò il soldato.
Ma gli rispose solo l’insistente gracidare delle rane di uno stagno lì vicino. Essendo notte, non si vedeva proprio nulla, le fiaccole illuminavano a mala pena il selciato.
«Stai tranquillo che ti prenderemo» minacciò il soldato, andandosene.
“Via libera” pensò Darek alzandosi molto lentamente.
Attraversò svelto un altro ponte di legno. Quindi, riprese a correre e fu così fuori dal villaggio di Chelerin.
Intanto, al Castello, re Erothu era su tutte le furie.
«Vi siete lasciati scappare quel ragazzino! Come avete fatto?» inveì aspro contro il genereale delle Guardie reali.
«Sire, abbiamo setacciato tutta la zona. Sembra che si sia volatilizzato.»
«Dirama un mandato di cattura nei Regni vicini. Che gli diano la caccia! Quella Chiave è troppo importante per il mio Regno!»
«Ma...» cercò di obiettare il generale.
«Nessun ma. Voglio la testa di quel ragazzino. Adesso!» urlò a squarciagola il sovrano.
«Come desiderate maestà» si risolse a dire quello facendo un breve inchino e congendadosi da lui.
Re Erothu, dopo che il Generale si fu allontanato, si mise a pensare a suo nipote Christian.
“Chissà dov’è quel bricconcello. Per ora ci sono io che faccio le sue veci, ma il Regno ha bisogno di lui, del resto è il legittimo erede al trono, essendo il diretto discendente della dinastia dei Drowallack.”
Lady Annael, la moglie, gli si fece vicino.
«Sei in pensiero per Christian?» domandò come se avesse indovinato i suoi pensieri.
«Certamente. Quel ragazzo è fuggito da corte e chissà con quali fantasticherie in testa.»
«Vi ha sentiti parlare. Vi avrà giudicati male» ammise lady Annael.
«E che cosa avrei dovuto fare, secondo te? Farlo assistere alla nostra riunione? È uno stupido ragazzino, ecco cos’è. Uno sciocco. Lo sa che per il bene di questo Regno deve sposare lady Kiera. È un matrimonio di convenienza, è vero. Ma necessario se vogliamo assicurarci il dominio anche nel Regno Corallo D’Avorio.»
«Non puoi pretendere che a sedici anni comprenda quali siano le migliori scelte per il nostro Regno.»
«Ah no? E perché? Mio fratello prima di morire ha eletto me tutore del ragazzo e reggente della sua corona fino a quando Christian non prenderà le redini del governo. E questo avverrà solo quando avrà sposato una principessa, secondo le leggi del GranRegno.»
Il Re si sedette affranto sulla scranna regale, mentre la moglie lo guardava assorta.
«È da quando era bambino che dà problemi e noie questo ragazzo. Mi domando: perché? Perché è così terribilmente ribelle?»
Ma la moglie non aggiunse altro. Lo fissò ancora con l’aria compita.
Il Sovrano sbuffò.
«Annael, hai sentito? È stata rubata poco fa la Chiave della città di Aveyon. Sospetto che siano stati proprio quelli del Regno Corallo D’Avorio a sottrarcela. Anche se io volevo unire i due Regni in modo pacifico congiungendo in matrimonio Christian e lady Kiera, secondo me vogliono attaccare battaglia. È proprio vero quello che diceva mio fratello Ettelen: non si ridisegnano i confini senza delle guerre» cambiò discorso il Re.
La Regina lo fissò incredula: «Tu credi?»
«Sì. È stato quel garzone, quel Darek a rubarla. Il più insospettabile degli abitanti del Castello. Darek portava in cucina gli ortaggi e la cacciagione. Non faceva altro. Come ho potuto essere così sprovveduto? Quel ragazzo non mi è piaciuto fin da quando ha messo piede nel mio Castello...»
«E cosa pensi di fare, ora? Aveyon appartiene a noi, è nostra! Non puoi permettere che quelli di Corallo D’Avorio ce la portino via.»
«No, non lo permetterò infatti. Ho ordinato al Generale di diramare un ordine di cattura per quel furfantello. Vedrai sarà preso e non sarò affatto clemente con lui.»
Lady Annael si diresse verso la finestra e rimase in silenzio a fissare l’oscurità.
«Cosa ti preoccupa ancora?» gli domandò il marito.
«La Grande Battaglia che si sta combattendo ai confini del nostro Regno e quello Colori di pietra. Le genti sono prostrate. Non ce la fanno più...»
«Il guerriero Aegnor, figlio di Kamen, è uno dei più valorosi strateghi del nostro Regno. Vedrai che sederà le rivolte. E vincerà il terribile mago Erchamon.»
«Non senza la spada di Shanas. Te lo ricordi cosa recita la profezia di Duinuhir?»
«Certamente! Fuinuir ci ha assicurato che avrebbe trovato la spada e colui che l’avrebbe portata al guerriero. Dobbiamo solo avere un pochino di fiducia ne Il Viandante delle Tenebre. E attendere.»
«Gli uomini di Aegnor non reggeranno ancora per molto ai confini. Quel mago è spietato. Se dovesse giungere al Castello, se dovesse colpire il cuore di Luna di vetro, come pensi di fronteggiarlo?» obiettò la regina.
«Tu prega che ciò non accada. Ancora i confini non sono caduti per mano sua. Abbiamo la speranza dalla nostra. E non solo: il valore di un guerriero nato da una stirpe di valorosi cavalieri. Devi solo avere un po’ più di fiducia. Tutto qui.»
«Ma...»
«Niente ma. Vinceremo la Grande Battaglia. Anche se...»
«Anche se?» lo imbeccò lady Annael.
«La profezia di Duinuhir è rimasta oscura anche per gli indovini. Nemmeno loro sono riusciti a interpretarla tanto è criptica. Non hanno capito molte delle parole pronunziate dallo sciamano, durante il rito. Soprattutto quando ha detto:
“Quando colui che è stato maledetto brandirà la spada di fuoco, e sarà trafitto con la spada delle lacrime da colui che reca nel cuore un immenso dolore, il Male si dissolverà.”
La spada con la goccia di cristallo, una lacrima di vero drago, l’abbiamo affidata ad Aegnor. Manca sul campo di battaglia solo quella di Shanas, la spada di fuoco. Ma chi è il maledetto? E chi è colui che reca nel cuore un immenso dolore?»
«Forse è legato alla leggenda della lacrima del drago» ipotizzò la Regina.
Il consorte la fissò con curiosità. «Credi che siccome è una lacrima di drago, nata da un grande dolore, il suo potere può funzionare solo con chi ne rechi uno simile?»
«Sì. Credo sia così.»
«Quindi, se la dovesse brandire una persona che non soffre, perderemmo la Grande Battaglia?»
«Temo di sì.»
Si udì un lieve bussare alla grande porta della sala. Il Re ordinò di entrare, continuando a guardare la moglie tra l’assorto e il preoccupato. Entrò un messo, un giovane sulla ventina. Si inginocchiò con devozione al cospetto di re Erothu e per parlare attese un cenno del sovrano che non tardò ad arrivare.
«Mio signore, abbiamo finalmente notizie del principe Christian. È stato visto viaggiare con altre persone e una di queste possiede la spada di Shanas. È stato
avvistato a Tara e anche nel regno La sabbia delle streghe in varie città» disse tutto trafelato.
«E ora? Sapete dove si trova?» Chiese il re con affanno.
«L’ultima volta è stato avvistato a Hindi, sembra che con lui viaggi anche una Strega Nera, una delle Tredici. È ricercata perché ha disertato la sua Congrega.»
«Una Rinnegata o una Fuggitiva?»
«Fuggitiva, sire.»
«Uhm… puoi andare...»
Il messo si congedò da loro alzandosi in fretta, perché fino ad allora era rimasto chinato. E se ne andò, chiudendosi la grande porta della sala alle spalle.
«È andato a Tara! Ma non si rende conto del male sta facendo? E perché poi sta viaggiando con una Strega Nera che potrebbe lanciargli una maledizione?»
«Un momento, caro... pensi anche tu quello che sto pensando io?»
Re Erothu fissò la consorte con curiosità. «No. Tu cosa stai pensando?»
«La profezia recita: “Quando colui che è stato maledetto brandirà la spada di fuoco, e sarà trafitto con la spada delle lacrime da colui che reca nel cuore un immenso dolore, il Male si dissolverà”. Ma non comprendi? Può darsi che sia Christian il maledetto. Christian sta viaggiando con il possessore della spada di Shanas e insieme a una delle Tredici Streghe. Può darsi che sarà lui a risollevare le sorti della guerra!»
«Lo spero proprio. Spero proprio che sia così come tu affermi Annael. Per il bene di questa Terra.»
La Regina gli si avvicinò e gli posò una mano sulla spalla.
«Può darsi che sia finalmente giunto il momento per nostro nipote di mostrare il suo valore e il suo coraggio.»
«Di certo, io non glielo impedirò. Anzi, sarebbe un bene se il popolo sapesse che il suo futuro Re ha combattuto con valore per salvare il Regno. Ne guadagnerebbe in credibilità e le genti lo seguirebbero con fedeltà e amore.»
Entrambi i sovrani si fermarono a guardare il manto blu ricoperto da tante stelline luccicanti e lo spicchio di luna giallastra che pallidamente illuminava l’orizzonte.
Capitolo ventiquattresimo
Il sogno di un amore impossibile
Rosehan e i suoi compagni di viaggio, dopo aver attraversato foreste, città, villaggi e piccoli paesi, erano giunti ai confini del regno La sabbia delle streghe e Corallo D’Avorio. Ma la loro meta era ancora lontana. Si accamparono vicino al ruscello di Capo Timburroth. Mentre Agheon e Christian cercavano di sistemare alla meglio delle tende improvvisate con quello che avevano con loro, Quing e Nalemi accendevano il fuoco. Rosehan sarebbe voluta andare con Nereis e Lepang a cercare cibo, ma Lepang si oppose. E così sconsolata andò al ruscello per riempire le borracce d’acqua.
Nereis e Lepang si addentrarono nel bosco lì vicino.
«Dove stai andando? Dobbiamo solo cercare del cibo, non appartarci» disse corrucciata la Strega.
«Lo so. Ma devo assolutamente parlarti e non voglio che nessuno ascolti i nostri discorsi, nemmeno per sbaglio.»
«E cosa c’è di tanto importante che devi dirmi?»
Lepang si guardò circospetto attorno per accertarsi che nessuno li avesse seguiti.
«Allora?» incalzò lei.
«Si tratta di Rosehan» rispose quando fu sicuro che fossero rimasti davvero soli.
«Cosa c’è che non va?»
«Credo che sia meglio che tu ti sieda. Devo dirti delle cose importanti.»
Nereis scorse una grande pietra ai piedi di un albero e si sedette.
«Dimmi tutto. Ti ascolto» lo esortò accomodandosi.
Lepang rimase in piedi, di fronte a lei.
«Rosehan è innamorata di me. E anch’io.»
«Cosa?» sbottò sbalordita Nereis. «Be’ credo che lei ne sarà felice. Non c’è più bella cosa nel vedere corrisposti i propri sentimenti.»
«Ma non lo capisci? Non possiamo stare insieme!»
«Perché?»
«Io sono un immortale. Mentre lei non lo è.»
«Continuo a non capire il perché e soprattutto cosa c’entro io? Ne dovresti parlare con lei, non con me.»
Una ciocca ribelle sbatteva scomposta sulla bella fronte del ragazzo. Lepang sembrava una creatura celestiale tanto emanava splendore.
«Gliel’ho già detto che non deve innamorarsi di me, più di una volta. Nella foresta dove ha sentito per la prima volta le voci dei morti e noi l’abbiamo attaccata per sottrarle la spada le ho addirittura fatto intendere che non provo nulla per lei, proprio per allontanarla da me. Ma... lei sembra non resistere al mio fascino e alla mia bellezza. È molto attratta da me.»
«Al di là dei miei gusti personali − sei un bel ragazzo, non c’è che dire − continuo a non capire: perché non potete stare insieme? Rosehan non vivrà in eterno è vero, ma per la sua natura sarà molto longeva. A questo non ci hai pensato?»
Lepang strinse il pugno finché non gli si sbiancarono le nocche.
«Se dovessi morire vicino a lei, mi impossesserei del suo corpo. Uccidendola. E non voglio.»
Nereis rimase sconvolta da quella rivelazione.
«Non lo sapevo» ammise dispiaciuta.
«Mi reincarno nel corpo di chi mi è più prossimo. È così che vivo per sempre» continuò imperterrito il ragazzo, iniziando a piangere.
«Quindi... tu pensi...» intuì la Strega turbatissima.
«Sì... che Rosehan per amore non si allontanerebbe da me e si lascerebbe morire per farmi vivere. E io non voglio! Quando è entrata nella mia Biblioteca ho provato una strana sensazione nell’anima. Una sensazione che non avevo mai provato in tutta la mia lunghissima vita. È stato come se ci fosse un’enorme esplosione dentro di me, come se tutto il mondo che conoscevo si fosse frantumato in pochi istanti e che non si basasse più sulle verità, sulle convinzioni o supposizioni, delle quali sono sempre vissuto. Tutto ha il sapore dell’inaspettato e della sorpresa accanto a lei, quella sorpresa che per colpa della mia eternità mi è sempre stata negata. È come nascere di nuovo, ma dentro se stessi. Rosehan ha questo e altri poteri su di me...»
Nereis era sempre più sconvolta dalle parole del giovane.
«E... quindi... io... cosa... posso fare?» domandò angosciata, comprendendo la gravità della situazione: il ragazzo nella sua vita eterna non si era mai innamorato di nessuno prima di allora e stava quindi sperimentando questo sentimento mai provato fino ad allora.
«Trasformati in me e dille che tra noi non ci potrà mai essere nulla, perché in realtà sono innamorato perdutamente di un’altra. Io non ci riesco!» singhiozzò il giovane.
Nereis si alzò in piedi di scatto e gli prese la mano.
«Mi stai chiedendo di spezzarle il cuore? Lepang, pensaci. Davvero vuoi perderla per sempre per non farla morire? Non è meglio vivere una vita insieme fino a quando vi sarà possibile, che non viverla affatto?»
«Ma non capisci?» protestò serrando i pugni al petto. «Come potrei vivere il resto della mia vita senza di lei?»
Nereis chinò il capo afflitta. Rimasero in silenzio. Si udiva solo il singhiozzare insistente di Lepang, che affranto si inginocchiò: «Ti prego! Allontanala da me! Da quando l’ho vista dentro brucio dal desiderio di farla mia... Oh. Come vorrei che fosse lei eterna, le cederei ben volentieri il mio corpo per farla continuare a vivere. Le lascerei ben volentieri le mie pene e le sofferenze della mia assenza, perché io non potrei mai provare dolore più grande di questo: vivere senza di lei, vivere ogni giorno la sua assenza, dopo che è stata mia!»
Una lacrima sgorgò dall’occhio della bella Strega, Lepang si era aggrappato alla sua mano, la stava implorando prostrato in ginocchio: doveva essere proprio disperato.
«Va bene» sussurrò infine Nereis. «Farò quello che mi hai chiesto. La
allontanerò per sempre da te. Ma tu saprai resisterle? Il viaggio è ancora lungo e potresti essere tentato di...»
Lepang scattò subito in piedi, poi con la manica della camicia si asciugò le lacrime.
«Se lei mi starà lontana, non sarà difficile per me continuare a essere scostante e freddo nei suoi confronti. Lei non lo sa che l’amo. Crede che non ricambi i suoi sentimenti. Poi, dopo quello che le dirai tu, si convincerà che questo amore è impossibile e sarà lei stessa a volermi stare lontana, a non volerne più sapere niente di me.»
Nereis fissò i suoi begli occhi verde oliva.
«Lepang, prima che faccia quanto mi hai chiesto, permettimi di dirti che stai sbagliando. Mi sembra di capire che è la prima volta che ti innamori. Potrebbe non capitarti più e provare rimpianto e amarezza per qualcosa che non hai vissuto. Credimi: è meglio vivere una vita accanto a lei, che mille vite senza di lei.»
Lepang chinò il capo come sconfitto.
«So che i rimorsi mi perseguiteranno per sempre. Ma sapendo che lei vivrà tranquilla tutta la sua lunga esistenza al riparo dal mio male, posso sentirmi felice anch’io. L’avrò salvata da me.»
«Forse lei non desidera essere salvata da te. Forse...»
Ma Lepang la zittì, posandole un dito sulla bocca.
«Sssst. Adesso basta. Hai detto che lo farai. Mantieni la tua promessa. Non ti curare di altro. Prendiamo qualcosa da mangiare e torniamo all’accampamento, ora. Altrimenti si preoccuperanno tutti e ci verranno a cercare.»
E fecero quanto aveva detto Lepang.
Nel frattempo, Rosehan, ignara di tutto, aveva già riempito le borracce ed era tornata all’accampamento. Le aveva gettate di malagrazia sul terreno e sbuffando e aveva guardato con malinconia il bosco dove erano scomparsi Nereis e Lepang per cercare qualcosa da mangiare.
“Ancora non sono tornati. Ma dove saranno finiti?” pensò angustiata.
Non si era accorta che Christian le ava una mano davanti perché l’aveva vista fissare imbambolata la foresta.
«Sì... grazie Christian. Ora ti aiuto» udì dire con sarcasmo dal ragazzo.
Finalmente si destò dal suo torpore.
«Oh. Christian! Cosa c’è?»
«Io e Agheon stiamo cercando di sistemare le tende, ci aiuti per favore?»
«Sì. Certamente.»
Così Rosehan si alzò. Stava dando una mano, quando la voce di Lepang la distolse dal suo buon proposito. Si voltò nella sua direzione e la tenda si afflosciò sulla testa di Agheon e Christian che erano dentro per fissarla con dei paletti di legno.
«Rosehan?» domandò incerto Christian, ma ovviamente la sua domanda rimase a mezz’aria, senza risposta perché Rosehan si era prodigata ad andare incontro a Nereis e Lepang con la scusa di aiutarli a trasportare il cibo che avevano trovato.
La Strega e il ragazzo si lanciarono un’occhiata d’intesa, quindi il giovane, mentre Nereis si allontanava, rivolse la parola a Rosehan, la quale arrossì tutta.
«Dopo cena vorrei parlati. Ho una cosa importante da dirti. Ci vediamo al ruscello, se per te va bene.»
Voleva esultare per la gioia, ma conoscendo il carattere scostante di Lepang, si trattenne e si limitò ad annuire con fermezza.
Un appuntamento con Lepang? E chi se la sarebbe fatta scappare un’occasione
simile?
Rosehan cenò con l’animo allegro, ma mangiò poco perché le si era chiuso lo stomaco.
Non appena ebbe terminato si congedò dagli altri compagni di viaggio con una scusa. Tutti la guardarono in modo strano, dato che era sera inoltrata ed era davvero insolito che lei desiderasse fare una eggiata da sola.
Si sedette sopra un masso largo e piatto vicino al ruscello e attese con impazienza l’arrivo del suo amato Lepang.
Arrivò poco dopo e lei tutta imbarazzata, non sapendo cosa dire e da dove cominciare, sorrise impacciata.
Lepang le chiese con gentilezza se poteva prendere posto accanto a lei e Rosehan non se lo fece ripetere due volte, gli fece tanto di quello spazio che lei si sedette proprio in punta.
C’era un piacevole e tiepido vento che li attorniava, che faceva sollevare con delicatezza i loro capelli.
«A-allora cosa dovevi dirmi?»
«Rosehan credo che quello che sto per dirti non ti farà piacere, però sono
costretto lo stesso a farlo.»
La ragazza si incupì e curvò la schiena.
«Dimmi tutto» disse, infatti, amareggiata.
«Te l’ho detto già in ato, però mi sento in dovere di ribadirlo. So che provi dei sentimenti verso di me, ma – e qui Nereis-Lepang tacque perché le venne un nodo alla gola – vedi... non provo niente per te e vorrei che te ne rendessi finalmente conto. E soprattutto che mi lasciassi stare.»
A Rosehan iniziò a sgorgare una lacrima. Si alzò di scatto. Voleva fuggire via da quel luogo. Si sentiva ferita, di una ferita mortale. Ora il suo cuore stava sanguinando come non mai per la pugnalata inferta dal ragazzo. Ma non scappò. Attese che lui parlasse ancora, cosa che non tardò a fare.
«Io sono innamorato di Eryn, la Sacerdotessa del Tempio di Ayon» aggiunse.
«Non capisco. Non mi avevi detto che sei costretto a sposare Bianca, perché devi vivere la vita del corpo che ospiti?»
«Sì questo è vero. Ma nella mia lunga vita ho viaggiato tanto come ti ho detto in Biblioteca quando ci siamo incontrati la prima volta. E in uno dei miei numerosi viaggi ho conosciuto la Sacerdotessa del Tempio di Ayon ed è lei l’unica donna che amo» rispose con un tono di voce più basso.
Lepang attese che Rosehan dicesse qualcos’altro, ma la ragazza rimase in silenzio. Nereis si preoccupò, pensò di non essere stata efficace con la sua menzogna, così rincarò la dose: «Non so immaginare una vita senza di lei. Ho visto paesaggi, panorami mozzafiato, conosciuto Re e Regine e tante persone, ma per me lei è e rimane l’unico punto di riferimento nella mia vita.»
Rosehan continuava a tacere.
Nereis-Lepang stava aggiungendo qualcos’altro, ma lei lo interruppe: «Non sei lui, non è vero?»
Nereis rimase colpita del fatto che Rosehan l’avesse capito, cercò di svicolare dicendo: «Cosa vai pensando, certo che sono io! Sono Lepang in persona.»
«Non puoi essere Nalemi, non potrebbe sopportare il peso dei suoi ricordi. Quindi, sei Nereis non è vero?»
La Strega vedendosi scoperta riprese le sue sembianze normali.
«Rosehan ascoltami...»
«Perché ci sei tu al posto suo?» domandò la ragazza rimanendo voltata.
«Mi ha chiesto Lepang di parlarti. Ha capito che ti sei innamorata e lui non vuole saperne di te.»
Rosehan si voltò di scatto e afferrò l’amica per il colletto.
«Siete entrambi in combutta contro di me! Cosa c’è sotto? Parla Strega! Ti sei innamorata e lo vuoi tenere tutto per te. Ah?» gridò Rosehan con disprezzo.
Era fuori di sé. La gelosia era esplosa dentro di lei come un vulcano in eruzione. Era fin troppo chiaro per lei: Lepang e Nereis si erano innamorati l’uno dell’altra e la volevano fuori dalla loro storia. Nei suoi occhi lampeggiò una strana luce azzurrina luminescente.
«Calmati. Non è come pensi. Tra me e Lepang non c’è nulla. Te lo posso assicurare. Però è vero. Oggi nel bosco ci siamo parlati e mi ha chiesto di dirti di stare alla larga da lui. Non ti sopporta.»
«Non ti credo!» sbottò arrabbiata Rosehan, l’idea che Nereis fosse stata la depositaria dello sfogo del suo amato Lepang, continuava a renderla gelosa.
La Strega si alzò in piedi per dire spazientita: «Fa’ come credi. Ti ho avvertita: sta’ lontana da lui, se non vuoi che ti faccia del male.»
Rosehan la guardò sbalordita.
«Vu-vu-vuole uccidermi tanto mi odia?»
Sentì il mondo crollarle addosso. Si accasciò sopra la pietra, affranta.
Nereis colse al balzo l’occasione che si era presentata per incalzare: «Sì, non puoi immaginare dove può arrivare il suo odio nei tuoi confronti. Meglio che lo dimentichi. Te lo dico per il tuo bene e quello della missione che hai da portare a termine.»
La Strega si voltò per andarsene. Voleva aggiungere un “mi spiace”, pensava di essere stata troppo dura con lei, ma si avvide che era il solo modo efficace per convincerla che fosse meglio stare alla larga da Lepang.
Se ne andò in fretta, lasciando Rosehan da sola e in lacrime, mentre il cuore le si stringeva nel petto. Le era dispiaciuto aver mentito all’amica. Rosehan non meritava di soffrire così, ma ormai aveva appoggiato la folle idea di Lepang di tenerla lontana da lui, aveva promesso e non poteva più tirarsi indietro.
Lepang aveva osservato tutta la scena rimanendo nascosto dietro a un albero. Aveva sentito tutti i discorsi, fin dall’inizio. E adesso osservava la sua amata in lacrime e disperata.
Si inginocchiò a terra e congiungendo le mani disse sottovoce: «Spirti degli dei, vi prego, alleviate il suo dolore.»
Ma perché ora si sentiva dentro disperato anche lui? Dov’era la pace che pensava avrebbe ricavato da quella scelta così dolorosa e difficile di tenerla lontana da sé? Che Nereis avesse ragione? Meglio una vita con lei, che mille senza di lei?
Un indicibile dolore lo prese al petto, come se un ariete l’avesse colpito e atterrato.
Rivolse lo sguardo verso il ruscello: Rosehan era scomparsa.
Capitolo venticinquesimo
Lepang ti amo...
La cercò con lo sguardo disperato: dov’era finita? Pensò che forse si era rassegnata e che era ritornata all’accampamento, così fece ritorno anche lui. Non sapeva che Rosehan si era messa a correre a perdifiato senza una meta e si era addentrata nel bosco, che con furia si strappava i vestiti e i capelli, mentre piangeva e le lacrime le annebbiavano la vista.
Corse senza curarsi dei rovi che le ferivano la pelle con le loro spine, dei sassi nei quali a tratti inciampava, delle radici dei grandi alberi che intralciavano il suo cammino.
“Se Lepang non sarà mai mio, allora io non sarò più di nessun altro.” Pensò con dolore la ragazza, mentre correva. “Per me una vita senza di lui non è degna di essere vissuta... Io... io... io... non posso, non posso credere che ci sarà qualcun altro che potrà sostituire la tua assenza mio amato Lepang.”
Svoltò nei pressi di una grande quercia.
«Perché?» gridò squarciando l’oscurità e i rumori della foresta.
Lepang si destò di soprassalto. Una tristezza indicibile si insinuò nella sua
anima.
Come una ferita sulla pelle che non si rimargina, il cuore di Rosehan sanguinava per il dolore.
La sua corsa si arrestò di colpo. Si ritrovò sopra un’altura. Sotto uno strapiombo che sembrava non avere fondo.
Rosehan si voltò. Tremava per la paura e per il freddo. Rimanendo voltata mise le punte dei piedi sul bordo dell’altura. Alzò gli occhi al manto blu del cielo che appariva luccicante, come se al posto delle stelle ci fossero stati una miriade di brillanti. Diede una leggera spinta.
«Lepang ti amo...» sussurrò al vento.
E si abbandonò con dolcezza al vuoto.
Lepang gemette disperato dal suo giaciglio. Si alzò di scatto come se una strana e invisibile forza lo avesse spinto.
«Aiuto!» gridò disperato. «Aiutatemi, vi prego!»
Gli altri si svegliarono e uscirono dalle loro tende non comprendendo che cosa stesse accadendo.
Lepang vedendo tutti attorno a lui comprese che Rosehan non era tornata all’accampamento e che quindi doveva esserle accaduto qualcosa, qualcosa di molto brutto.
«Rosehan» disse con voce strozzata. «No, Rosehan...»
Senza sapere perché, si mise a correre verso la foresta, sotto lo sguardo sbigottito degli altri. Solo Nereis intuì quello che aveva compreso il ragazzo. Cercò di tranquillizzare gli altri dicendo loro di tornare a dormire, che sarebbe andata lei insieme a Lepang a cercare Rosehan. Quing non se lo fece ripetere due volte e si ritirò subito nella sua tenda. Agheon le chiese se sul serio non avessero bisogno del loro aiuto e lei lo spinse con fermezza dentro la tenda insieme a Christian.
«Tranquilli. Torniamo subito.»
Quando si fu accertata che proprio tutti erano tornati a dormire, la Strega si trasportò con la magia dove era Rosehan. Il corpo della ragazza penzolava sopra un ramo secco del dirupo. A quanto sembrava aveva attutito la caduta, anche se aveva perso i sensi convinta di stare per morire.
“Lepang meriterebbe proprio di sapere che è morta. È stato troppo cattivo” pensò afflitta la Strega riportadola in salvo sopra l’altura. “E io mi sento responsabile di aver cooperato a questa sua delusione...”
Da lontano si udì la voce disperata di Lepang che chiamava la ragazza.
«È meglio rivestirla. E soprattutto che li lasci soli. Credo che abbiano molte cose da dirsi.»
Nereis fece una magia per rimettere gli abiti a Rosehan, poi si dileguò nel nulla.
Lepang la trovò priva di sensi, poco dopo. Si fiondò su di lei per vedere se respirava, se era viva. Quando posò l’orecchio sul suo petto e si accertò che respirava seppure debolemente ancora, tirò un respiro di sollievo. Se la strinse forte tra le braccia e le baciò con tenerezza la fronte.
Rosehan pian piano riprese i sensi. Al suo risveglio vide i begli occhi verdi di Lepang fissarla.
«Mi hai salvata» farfugliò in modo confuso.
«No. Non sono stato io» disse in tono duro per nascondere la sua felicità nel vedere che stava bene. «Christian mi ha chiesto di cercarti, dato che non ti vedeva tornare.»
Rosehan rimase delusa dalle sue parole, ma cercò di porsi a sedere. Lepang l’aiutò.
«Nereis mi ha detto tutto stasera. È vero? È vero che mi odi? Perché se è così, allora mi odio anch’io!»
Lepang nascose il suo stupore di fronte a quella affermazione ed emulò un’espressione seria.
«Ancora la stessa storia? Ti ho già detto di non innamorarti di me. Non provo nulla per te. Nereis ti ha detto il giusto. Gliel’ho chiesto io di dirti di starmi lontana» fece il duro, ma dentro il cuore gli tremava per quella forzatura a dover mentire.
«Lepang io... io non posso vivere senza di te. Tu sei così misterioso e affascinante. Io mi sento attratta da te.»
«Dovrai fartene una ragione. Non posso aiutarti, mi spiace» ribadì mettendosi in piedi, mentre nell’anima si agitava una tempesta di sentimenti e ioni per lei.
Rosehan avvertì una forte fitta alla schiena e se la toccò emettendo un flebile gemito soffocato.
«Che diavolo hai fatto?» domandò corrucciato il ragazzo.
«Volevo morire» ammise.
Lepang allora comprese tutto: il suo rifiuto l’aveva gettata nel più nero sconforto. Ecco quel dolore che aveva avvertito vicino al ruscello: lui non sapeva né come né perché Rosehan fosse legata a lui in modo indissolubile, ma le loro anime erano strettamente connesse da un filo invisibile.
Dunque, non era stato un caso se si erano incontrati. E nemmeno quella piacevole e strana sensazione di conoscerla da sempre.
Lepang le tese la mano per aiutarla ad alzarsi.
«Posso assicurarti che non ne valgo la pena» disse brusco.
«Per me sì»
Lepang sbuffò insofferente, anche se in realtà non lo era.
«Va bene! Ho capito... devo starti lontana e soprattutto non amarti» disse afflittissima la ragazza.
«Ecco, dato che finalmente l’hai capito, mi aspetto che lo faccia, che mi stia lontana. A meno che...»
«A meno che?» domandò preoccupata Rosehan cercando invano di tenersi in piedi. Barcollò ma trovò un saldo appiglio tra le braccia del ragazzo, che pronto l’afferrò stringendole l’esile vita. Una tenerezza infinita gli pervase il cuore: Rosehan era così fragile e delicata, anche se i suoi occhi erano fieri e mostravano una certa forza interiore che probabilmente lui non aveva.
«... a meno che non prosegua da solo il mio viaggio. Credo che sia la soluzione migliore per tutti e due.» Completò la frase con un tono di voce più basso.
«No» lo supplicò lei disperata, «prometto che starò al mio posto. Non ti darò più fastidio. Però... ecco... ora mi dovresti dare una mano, credo di non poter camminare fino all’accampamento.»
Lepang sfoggiò uno dei suoi irresistibili sorrisi sghembi.
«Dai» disse conciliante, «sali sulle mie spalle. Ti porto io.»
Rosehan ricambiò il sorriso. Lepang si mise in ginocchio voltato di spalle, lei allacciò le esili braccia al suo collo, lui afferrò le sue gambe e, quando l’acerbo corpo di Rosehan ebbe aderito perfettamente alla sua schiena, si alzò sollevandola da terra.
Nei loro cuori i due ragazzi erano felici, anche se nessuno dei due lo sapeva.
Nel frattempo, il mago Elros era giunto nella foresta dove c’era stato lo scontro con le Tredici Streghe. Come sempre, gli bastò posare l’ossuta e affusolata mano sul tronco dell’albero per vedere con la magia cosa era accaduto in quel luogo.
“Sono molto distanti da qui” pensò afflitto. “Deve essere la ragazza dai capelli rossi, perché ha usato una strana magia elfica e ho potuto vederla quando è andata nel ato. Qualcosa si agita nel cuore di questa ragazza. Sta cercando di scoprire la verità sul suo conto e la verità ormai non è poi così lontana.”
Si calcò meglio il cappello a punta sulla testa. Puntò il suo bastone magico di legno per terra e riprese solerte il cammino.
Capitolo ventiseiesimo
Grandi verità, segreti svelati
Rosehan e i suoi compagni di viaggio erano arrivati già da qualche tempo ad Ashtor, stato indipendente del regno di Corallo D’Avorio, per cercare il principe Kezich e l’anello delle dieci fate, Gernet.
Non fu difficile per loro trovarlo, ma per avere una sua udienza dovettero attendere ben tre giorni in una locanda. Infine il pricinpe si decise a riceverli nel suo Palazzo.
Non ci andarono tutti, ma solo Rosehan, Christian e Nereis. Quing rimase insieme agli altri in locanda.
Il principe Kezich era un uomo molto avanti con l’età, anche se si era conservato bene. Infatti, nonostante la barba e i capelli bianchi, sul viso non aveva rughe. Nemmeno di espressione. E aveva anche uno sguardo abbastanza vivace e acuto per uno della sua età. Lo trovarono seduto su una grande sedia in legno dall’ampio schienale dorato, quasi sicuramente il suo trono.
Si alzò prontamente in piedi, non appena li vide, per andargli incontro.
«Principe Christian, quale onore ricevervi alla mia corte» esordì abbracciandolo
con calore.
«Sire...» lo salutò Christian.
Nereis e Rosehan lo salutarono facendo un breve inchino con la testa.
«Principe Christian, qual buon vento vi porta dunque dalle mie parti? A cosa devo la vostra visita?» disse dandogli un’amichevole pacca sulle spalle.
«Io e le mie compagne di viaggio cerchiamo Gernet.»
«Oh. L’anello delle dieci fate. Capisco. Però saprete anche che è mio e, quindi, non posso darvelo.»
«Sono disposto a darvi in cambio due delle città del mio Regno e anche alcuni villaggi limitorfi se me lo darete.»
Il Re ritornò a sedersi sulla sua grande sedia, sollevando il sontuoso e pesante abito dorato che indossava per accomodarsi meglio.
«E vostro zio... lo sa che siete qui? Che state negoziando con me? Mi risulta che ancora non avete preso le redini del governo di Luna di Vetro. E che quindi non potete regnare.»
«Presto convolerò a nozze con lady Kiera» mentì Christian, «e i due Regni, Corallo D’Avorio e Luna di vetro, saranno congiunti. Vi conviene questa alleanza. Potrebbe esservi proprizia.»
«Voi lo sapete che il mio Stato è indipendente e i miei sudditi obbediscono solo alle mie leggi. E che non sono interessato ad allargare i miei confini» ribatté pronto il principe.
«Vi garantisco immunità nei due Regni» insistette per nulla scoraggiato il ragazzo.
Kezich lo fissò privo di interesse.
Piuttosto domandò: «Per quale ragione volete quell’anello?»
«Il Mago Erchamon mi ha scagliato una maledizione» intervenne Rosehan, nonostante non fosse stata interpellata. «Sto portando la spada di Shanas al guerriero Aegnor di Kamen ai confini dei due Regni, Luna di vetro e Colori di pietra, affinché vinca la Grande Battaglia.»
Christian si batté la mano sulla fronte, come per dire “ma che diavolo fa? Doveva lasciare parlare me!”.
Invece, Kezich fu di tutt’altro avviso, provò interesse per quella aperta rivelazione.
«Ti sei scontrata con Erchamon e... sei sopravvissuta?»
«Sì sire. In un agguato che mi ha teso in una foresta» continuò risoluta la ragazza.
«Interessante. Vuol dire allora che sei dotata di un qualche potere straordinario. Be’ se stanno realmente così le cose, allora voglio sfidarti a duello. Amo le sfide e i combattimenti. Se mi vinci, ti darò l’anello.»
Rosehan esultò contenta.
«Ma... se perdi... mi consegnerai la tua spada» concluse quello con un sorrisetto compiaciuto.
Rosehan si rabbuiò.
«Come? Perché?» chiese impacciata.
«Non vorrai andartene senza darmi nulla in cambio e soprattutto dopo avermi disturbato.»
Il principe Kezich si alzò dal trono per dirigersi verso la finestra. Volse le spalle così ai suoi interlocutori.
Rosehan taceva, Christian voleva intervenire, ma Nereis gli fece cenno con la testa, come per dirgli: “no, è lei che deve decidere”. Così non proferì parola.
Il sovrano si volse verso di loro e alzò un sopracciglio.
«Allora? Sto attendendo una tua risposta...»
Rosehan si fece coraggio e rispose: «Accetto!»
«Bene. Duelleremo domani. Chi scegli per assisterti al duello?»
«Christian» rispose Rosehan senza pensarci su.
«Perfetto. Io scelgo invece il generale Rotterdam. Con quale arma vuoi sfidarmi ragazza: spada, arco, pugnale, arma da fuoco? Sono imbattibile con qualsiasi arma tu decida di combattermi, per questo ti darò il vantaggio di sceglierla.»
«Per me va bene la spada.»
«Sai che non potrai usare quella di Shanas essendo pegno per il nostro combattimento. Ti invito a ripensarci, quindi.»
«Per me va bene la spada» ribadì risoluta Rosehan. «Anche se non combatterò
con la mia.»
Kezich alzò di nuovo il sopracciglio.
«Tua? Mi era sembrato di capire che dovevi portarla al guerriero Aegnor.»
Rosehan chinò il capo, nemmeno lei sapeva perché avesse detto che la spada era sua. Le era uscito spontaneo dalla bocca.
Kezich fece un sorrisetto sornione.
«Bene. Comunque sia, domani a mezzodì, nel cortile del mio Castello, si svolgerà il duello. Se non ti presenti, avrò vinto io e la spada sarà comunque mia. Sia ben chiaro!»
Christian voleva intervenire di nuovo, ma questa volta fu Rosehan a bloccarlo.
«E sia!» proferì, anche se vide negli occhi dei suoi compagni di viaggio la più completa disapprovazione.
Infatti, una volta fuori dal Palazzo, Christian non esitò a esternare la sua contrarietà: «Ma che diavolo combini? Eravamo rimasti che avrei parlato solo io? Perché hai preso la parola?»
«La maledizione di Erchamon ce l’ho io addosso. Permetti che decida io come avere l’anello?»
«Ma lo comprendi? Se perdi la spada, la Grande Battaglia sarà persa ed Erchamon governerà incontrastato sul GranRegno. È questo quello che vuoi? Vuoi far vincere il male sul bene per il tuo tornaconto personale?»
«Christian» lo rimproverò aspra Nereis.
«No, Nereis. Lasciami parlare. Lasciami dire come stanno le cose. Rosehan tu non lo vincerai mai in duello!»
«Christian! Non dirle niente!»
Si fermarono di colpo nella stretta via che stavano percorrendo.
«E tu che ne sai?» sbottò risentita Rosehan.
Poi si ricordò della natura di Christian, e cioè che era un sensitivo Sindarin, e il fiato le si mozzò.
«Dopo che ce ne siamo andati da Hindi, tu sei svenuta perché Le voci degli spiriti dei morti ti avevano attaccata e il Guaritore ci ha detto che il tuo spirito di guerriera è rimasto sopito.»
«Cosa? Fuinuir vi ha detto questo?»
«Il Maestro Obichi ha notato che sei sorda ai rumori metallici» spiegò Nereis, «e non è un buon segno. Vuol dire che il tuo spirito guerriero non è emerso, nonostante il duro allenamento.»
«N-non sono una guerriera a tutti gli effetti?» ribadì affranta Rosehan.
«Temo proprio di no» ammise Nereis.
«Io... io... io...» balbettò confusa Rosehan avvertendo una leggera vertigine, «credevo di saper combattere. Il Maestro Obichi mi ha detto che ero pronta... Perché? Perché mi avete tenuto nascosta questa verità?»
Christian vedendola così scoraggiata, si pentì di averle rivelato ogni cosa.
«Vedi... ecco... il Guaritore ci aveva chiesto di non dirti nulla» rispose impacciato il giovane principe.
«E tu hai pensato bene di dirmelo solo ora? Il giorno prima di un duello? Un duello che prevede un’alta posta in gioco?» inveì aspra Rosehan.
«Ehi» sbottò il ragazzo alzando la voce e con il viso paonazzo, «eravamo rimasti
d’accordo che avrei negoziato solo io, non che saresti intervenuta tu, raccontando poi tutto al principe Kezich. E ora la colpa è mia? Se non sai stare zitta, che cosa ci posso fare?»
«Calmatevi, ragazzi. Non litigate. Una soluzione al tuo problema la torveremo...» cercò di mettere una parola buona la Strega.
«E come? Non ho speranza di vincerlo! Non lo hai sentito cosa ha detto? Qualsiasi arma maneggi è invincibile!»
«Non se usi i tuoi poteri di Viandante delle Tenebre» si lasciò sfuggire Nereis.
Tacquero tutti e tre. Rosehan la guardò senza capire.
Nereis ricambiò lo sguardo in evidente imbarazzo.
«C-cosa? Ho capito... bene?»
«Rosehan, tu, Agheon, Lepang e Nalemi siete degli Uccisori delle tenebre.»
«Cosa?» gridò la ragazza esterrefatta.
Nereis annuì e, fattasi coraggio, continuò imperterrita la sua spiegazione: «È
questo il segreto legato al tuo simbolo e che Fuinuir non voleva dirti. Lo faceva solo per proteggerti. Temeva che se qualcuno ti avesse catturata e torturata tu l’avresti svelato, perché il tuo tatuaggio può essere cancellato con la polvere di corno di unicorno. E se perdi il tuo tatuaggio, perdi anche i tuoi immensi poteri.»
Rosehan continuava a guardarla senza credere a quello che stava sentendo con le sue orecchie.
«Tu... tu... menti!» disse tra le lacrime e con il volto disgustato. «Non posso essere come Fuinuir.»
«So che la verità fa male, ma credimi è così: sei una Viandante delle Tenebre. Ti ricordi quando hai raccontato che hai affrontato Quing all’Abbazia di Newergy su quella runa? Non è stato Fuinuir a infonderti il suo potere, ma quel potere veniva da te stessa...»
«La luce azzurrina luminiscente» farfugliò Rosehan.
«Esatto. Questo perché l’Abbazia di Newergy era la sede del vostro Ordine.»
«Vuoi dire che i maghi-monaci che ci stavano non erano altro che dei Viandanti delle Tenebre?»
«Sì... per colpa di questa pratica di cancellare i tatuaggi con la polvere di corno di unicorno il vostro Ordine si è quasi estinto. Cercando tra i libri non avresti scoperto molto, anzi quasi nulla. Sono stati bruciati la maggior parte dei libri in
cui si parla di voi per farne perdere appunto la memoria. Christian ha buttato il ciondolo elfico perché gliel’ha chiesto l’Uccisore delle Tenebre. Se avessi cercato ancora con il potere delle sfere delle città degli elfi saresti giunta a lui e avresti compreso tutto.»
Rosehan era sconvolta da tutte quelle rivelazioni. Si sarebbe aspettata di tutto, ma non quello, e cioè che era come Fuinuir. Né più né meno. Non riusciva a crederci. Non voleva crederci.
«Per ora non hai coscienza dei tuoi poteri perché un Uccisore delle Tenebre li acquisisce all’età di vent’anni. Non prima» concluse Nereis, per nulla preoccupata dal volto turbato della ragazza. «Però potresti richiamarli durante il combattimento contro il principe Kezich e vincerlo!»
Rosehan scosse la testa in segno di diniego.
«No... non ò il mio potere.»
«Che vuoi dire?» domandò preoccupata la Strega.
«Non sarebbe giusto. Non è un duello di magia, dove tutto è lecito. Ci sconteremo con delle semplici spade. Il Maestro Obichi mi ha insegnato a essere leale durante la lotta, perché un vero guerriero non usa trucchi o espedienti, ma combatte con coraggio e lealtà. Affronterò la sfida. E che vinca il migliore.»
E Rosehan riprese a camminare, assorta in mille pensieri lasciando indietro la
Strega e Christian.
«Christian è stato un piacere conoscerti. Anche se il nostro viaggio si ferma qui, noi ci abbiamo provato. Rosehan non ce la potrà mai fare.»
«È quello che penso anch’io Nereis.»
E si diressero solerti anche loro verso la locanda dove alloggiavano.
Capitolo ventisettesimo
La fine di una maledizione?
Quella notte Rosehan non riuscì a prendere sonno. Si girava e rigirava nel letto, madida di sudore. Soffriva. Soffriva per il rifiuto del suo amato Lepang, provava dolore per la sua natura. Si alzò affranta verso la finestra per guardare il panorama. L’orizzonte era lambito da una splendida luna opalescente. Si rammaricò di non udire più il canto soave degli elfi, le comunicava un senso di pace. Iniziò a lacrimare un poco. Nereis e Nalemi dormivano placidamente nei loro letti. Si diresse verso la porta, l’aprì e uscì dalla stanza. Si ritrovò nella sala da pranzo della locanda. Il locandiere stava ancora asciugando dei bicchieri e qualche avventore sorseggiava della birra al bancone, nessuno fece caso a lei che camminava in veste da notte e scalza. Si diresse fuori la porta della locanda. I suoi piedi nudi sfiorarono l’erba umida di rugiada. Un leggero vento le fece ondeggiare i capelli, la veste da notte appiccicata alla pelle per il sudore. Un brivido di freddo le corse lungo la schiena. Poggiò la mano sul tronco di un albero lì vicino comer per trovare un sostegno.
“Domani dovrò affrontare in duello il principe Kezich, ma sono sorda ai rumori metallici. Cosa posso fare per sentirli? Cosa farebbe un sordo al posto mio?” pensò Rosehan mentre cercava la risposta guardandosi attorno.
Anche il tronco era intriso di umidità e al tatto sembrava bagnato.
«L’acqua» sussurrò appena.
«Sì, l’acqua» rispose una voce alle sue spalle che riconobbe subito: era Fuinuir. «Nereis ti ha detto tutto, non è vero? Ma tu mi disprezzi e disprezzi ora te stessa.»
Rosehan annuì voltandosi perché il Viandante delle Tenebre era alle sue spalle. Fluttuava come al solito nell’aria, avvolto nel suo tetro mantello.
«Che cosa sei? Che cosa sono?»
«Credi che sia un mostro e pensi di esserlo anche tu. In realtà, non è poi tanto falso quello che pensi. Abbiamo un potere straordinario, ma questo potere non ci rende felici, perché è immenso e difficile da controllare. Eppure... una semplice polverina di corno di unicorno può distruggerci.»
Rosehan socchiuse gli occhi rendendoli due fessure.
«Non puoi sentire i rumori metallici, ma puoi percepirli sulla tua pelle. Il tuo senso del tatto è molto elevato. Devi usare l’acqua per sentirli. Ottima osservazione.»
Fuinuir se ne stava andando, quando Rosehan lo richiamò.
«Cosa c’è?» chiese brusco.
«Domani perderò, non è vero?»
«No se farai le scelte giuste.»
«Tutto dipende da me, allora.»
«Sì. Se perderai la spada le genti del GranRegno perderanno ogni speranza. Si arrenderanno al Male di Erchamon e lui regnerà incontrastato. Ma se vincerai sarai libera dalla maledizione. Lo sai che questo Stato non dista poi molto da dove si sta combattendo la Grande Battaglia?»
«Ne sono consapevole.»
«Bene. Allora, buona fortuna. Non vincere per te stessa, ma per le sorti del GranRegno.»
Fuinuir se ne andò, lasciandola sola con tutti i suoi pensieri.
L’indomani e a mezzodì Rosehan era nel cortile del Castello del principe Kezich. Erano già uno di fronte all’altra. I premi in palio, l’anello e la spada, erano poggiati su dei cuscini di raso rosso ed erano sorretti rispettivamente dal generale Rotterdarm e da Christian. Era una giornata serena. Il sole si ergeva alto nel cielo sgombro di nuvole.
«Credevo non saresti venuta.»
«Perché?»
«La spada ti è cara. Perderla potrebbe essere compromettente per te.»
«Avete detto che se non mi fossi presentata, l’avreste comunque pretesa come trofeo per la vostra vittoria. Non ho avuto molta scelta, non credete?»
Il principe Kezich sorrise sornione.
«Ah. È per questo che sei venuta, non perché sei coraggiosa. Ti ho sopravvalutata, allora» sentenziò soddisfatto.
Rosehan non si innervosì per quella affermazione pungente, piuttosto lo invitò a combattere.
Il principe non se lo fece ripetere due volte e così le lame si incrociarono formando una X. Rosehan sperava di sferrare subito il colpo segreto che gli aveva insegnato il maestro Obichi, ma si avvide che il principe Kezich era più furbo di quanto lei pensasse. E poi destro, sinistro, destro… e di nuovo le lame si incrociarono. Nel cortile si udiva il rumore dei due metalli e il loro leggero ansimare.
«Non so come tu abbia fronteggiato Erchamon, ma con me non potrai mai farcela, ragazzina.»
«Questo è ancora da vedere!»
Si staccarono e girarono attorno senza toccarsi con le lame, poi di nuovo destro, sinistro, destro, sinistro… si sentivano le lame che si incontravano e paravano i colpi, ma nessuno dei due cedeva.
«Ammetto però che te la cavi bene con la spada.»
«Grazie!»
«Non ringraziarmi, ancora non mi hai vinto.»
Le lame si staccarono, Rosehan ruotò la spada nell’aria, formando un cerchio.
“Fuinuir ha detto che non sento, ma percepisco al tatto. Quindi, devo chiudere gli occhi per distinguere il suono del metallo della sua spada.”
Chiuse gli occhi, davanti a lei solo le palpebre rosse per la luce.
Indietreggiò quando avvertì che si stava avvicinando, ma perse l’equilibrio e cadde a terra di schiena. La spada le scivolò dalle mani, poco lontano.
Il principe ne approfittò per puntarle la lama sul collo.
«Mi sembra evidente che ho vinto e che tu hai perso.»
Rosehan avvertì una strana energia provenirle da dentro, come una calamita attira il ferro a sé, attirò nella sua mano l’impugnatura della spada da poco persa e se la ritrovò in mano. La sollevò e scostò dal suo collo la spada del principe, il quale non aspettandosi di poter essere respinto con tanta forza indietreggiò barcollando di qualche o.
Rosehan continuava a tenere ben serrati gli occhi.
Il principe Kezich caricò di nuovo.
«Acqua» evocò la ragazza.
L’arma del principe Kezich si bagnò come colpita da tante goccioline di acqua che le arrivarono in pieno viso suggerendole la precisa direzione della spada. La impugnava con la mano sinistra.
“La percepisco” pensò soddisfatta.
Con un colpo rapido e secco al polso del suo avversario, lo disarmò ferendolo.
Riaprì gli occhi: Kezich si teneva la mano sanguinante sconvolto.
«Come hai fatto? Eri a terra. Avevi perso la spada. Ti avevo in pugno.»
«Il Maestro Obichi mi ha insegnato che non bisogna mai sottovalutare il proprio nemico, anzi bisogna sopravvalutarlo per lasciare che sveli le sue carte e quindi i suoi punti deboli. Avete impugnato la spada all’inizio con la destra, poi per far prima con la sinistra perché vi sentivate al sicuro, ma la vostra sinistra è debole per colpa di una vecchia ferita al polso subita in qualche battaglia. Ho notato la cicatrice. Devono avervi colpito il tendine, non è vero?»
Al principe Kezich tremarono le labbra: «Come hai fatto a...»
«... a capire che il vostro braccio è debole? Semplice intuizione. Mio padre Degon mi ha insegnato che quando qualcuno ha una cicatrice che lascia il segno, non si tratta quasi mai di una ferita superficiale, ma profonda.»
Rosehan sorrise: aveva messo in pratica tutti gli insegnamenti del Maestro Obichi. E non solo.
«Astuta, non posso negarlo» ammise porgendole la mano in segno di pace, «ma era quello che cercavo. Non volevo che si spargesse sangue, solo capire la tua bravura e devo ammettere che lo sei. Sei molto brava. Ti sei meritata la vittoria dell’anello.»
Il generale Rotterdam le porse il cuscino con sopra l’anello delle dieci fate. Era un gioiello bellissimo, tutto dorato, sembrava un Drago attorcigliato. A una estremità c’era la punta della coda, che sembrava d’oro bianco tempestata di
diamantini, all’altra estremità invece c’era la testa, anch’essa tempestata di diamanti ma con al posto dell’occhio un rubino rosso.
Rosehan lo sfiorò incerta.
«Bello, non è vero?»
«Sì»
«Ci sono tante leggende legate a Gernet, una di queste vuole che sia legato al Binaker, il dente di Drago rosso delle Terre di Nus[31]»
«Davvero?»
«Sì. Adesso però è tuo.»
Rosehan lo prese tra le mani. Lo girò e rigirò incredula: finalmente avrebbe sconfitto la maledizione di Erchamon. Non poteva crederci!
Lo indossò. Il cielo si rannuvolò e divenne grigio. Lei fu invasa da una splendida luce che la fece brillare tutta. Iniziò a volare e a fluttuare nell’aria per alcuni istanti. Un impetuoso vento le fece scuotere i rossi capelli e i vestiti, con forza.
Poi tutto si calmò. Il vento cessò, il cielo si sgombrò dalle nuvole e tornò sereno. Fu adagiata a terra. La maledizione era stata sconfitta: era libera!
Quando giunsero in locanda lei e Christian raccontarono agli altri cosa era accaduto, e tutti si rallegrarono con Rosehan per la sua vittoria.
Ormai mancava solo qualche città prima di raggiungere Weengran, il luogo in cui si stava combattendo la Grande Battaglia, e consegnare così la spada di Shanas al guerriero Aegnor, figlio di Kamen.
Ma quella sera Rosehan non riuscì a unirsi ai festeggiamenti degli altri. Si sentiva triste e malinconica. Il suo pensiero correva all’amato Lepang. In cuor suo non riusciva a darsi pace per non poter stare al suo fianco. Soprattutto ora che sapeva chi era realmente. Senza contare che una volta consegnata la spada, si sarebbero dovuti salutare perché ognuno avrebbe preso strade diverse. E questo la gettava nello sconforto più tetro. Tornare a Noormit, il suo villaggio d’origine, per lei ormai aveva perso di significato. Cosa avrebbe fatto una volta a casa? Sarebbe tornata alla vita di sempre, ma la vita di sempre dopo tutto quello che le era accaduto le sarebbe bastata?
Forse no... non più.
Rimase a fissare mesta il suo riflesso sul vetro della finestra della locanda, incurante delle chiacchiere e degli schiamazzi dei suoi compagni di viaggio.
E si sentì per la prima volta sola.
Capitolo ventottesimo
Una strada per Aveyon
Il mago Elros giunse presso il fiume in cui Christian, su suggerimento di Fuinuir, aveva gettato l’antico Eyurwen, l’amuleto donato a Rosehan dalla regina degli elfi, Uentha.
Il medaglione era rimasto impigliato a una sporgenza rocciosa sul fondo.
Il mago con una magia lo fece uscire dall’acqua avvertendo l’aura magica dell’amuleto.
Il ciondolo fluttò gocciolante alcuni istanti davanti ai suoi occhi.
«Eyurwen» farfugliò il vecchio mago con rammarico «Sì... me lo ricordo. Uhm...»
Lo afferrò con le sue dita magre e affusolate e lo rigirò più volte tra le mani.
“La ragazza l’ha usato” pensò annusandolo, sapeva di bruciato. “Uhm... sì... è stato usato. Vorrei sapere da chi.”
Elros fissò lo scorrere lento e monotono dell’acqua nel letto del fiume.
“Rosehan ha trovato molte risposte alle sue domande. Credo sia inutile cercare di raggiungerla, ormai è vicina alla sua meta e non ha più molta importanza quello che le dovevo dire. L’aspetterò a Noormit, al suo villaggio, a casa sua” pensò Elros con tristezza. “Reca con sé un grande dolore. Lo sento.”
Puntò il bastone per terra e si diresse verso il villaggio di Rosehan con il suo incerto o e stringendo tra le mani l’amuleto.
Rosehan e i suoi compagni di viaggio avevano attraversato un paio di città nel frattempo e avevano deciso di fermarsi a pranzare in una locanda. Era sera ed erano ancora indecisi se pernottare lì. Stavano discutendo animatamente di questo quando si avvicinò un ragazzino avvolto da un mantello marrone e con una grande sacca posata sulla spalla.
«Salve, miei signori. Mi scuso se disturbo il vostro desinare, ma ho notato questa splendida fanciulla» disse rivolto a Rosehan. «Deduco sia una principessa, dato che porta sul capo una splendida e regale tiara.»
Tutti lo fissarono sbalorditi: non capivano dove quel ragazzino volesse andare a parare.
Quegli vedendoli straniti si schiarì la voce con un finto colpetto di tosse e spiegò: «Mi chiamo Darek, mylady, e credo proprio che ho qualcosa che vi possa interessare. E anche molto.»
Rosehan sbattè due volte le palpebre, prima di presentarsi e presentare anche gli altri indicando ciascuno quando ne pronunciava il nome: «Mi chiamo Rosehan, lui è Christian, Nereis, Quing He, Agheon, Lepang e Nalemi.»
Darek sorrise.
«Mia signora. Ho con me un tesoro che potrebbe interessarle. Mi accontento di dieci monete d'oro» disse il ragazzo toccando la sacca per far vedere che era piena.
Rosehan guardò i presenti sempre più sbigottita, prima di rispondere: «Non credo ci sia niente che mi possa in qualche modo interessare.»
«Ho con me l'Antica Chiave d'oro, quella che apre la Grande porta di Aveyon.»
A quelle parole Christian sussultò. Per tutto il viaggio, infatti, non aveva pensato ai suoi zii intenti a sedare qualsiasi focolaio di piccola rivolta. Così disse con prontezza: «La comprerò io!»
«Mio signore» disse ossequioso Darek, «non credo abbiate sufficiente denaro per pagarmi.»
«E da cosa deducete che invece lady Rosehan ne abbia?»
«Beh porta un diadema in testa. Soltanto le principesse lo portano.»
«Questo è vero, però vedi il fatto è che non sono una principessa, ma una semplice con…» qui Christian le tappò la bocca con la mano.
«Lady Rosehan è senz’altro disposta a comprare la Chiave per dieci monete.» Christian prese un sacchettino pieno di monete d’oro, lo aprì e gliene diede dieci. Ma Darek, vedendo che era pieno di monete, osò chiederne cinque in più.
«È una chiave magica. Deve valere molto se avete sborsato così su due piedi ben dieci monete d’oro. Se me ne darete altre cinque, vi assicuro che nessuno saprà che l’avete con voi.»
“Bene” pensò Christian, “mio zio ne sarà felice.”
Gli diede altre cinque monete e il misterioso ragazzo si dileguò rapido nel nulla.
Rosehan lo guardò con disapprovazione. E non solo lei. Se avevano quel denaro era perché avevano trovato delle case disabitate in cui qualcuno l’aveva lasciato, forse per la fretta della minaccia della guerra imminente.
«Che c’è?» sbottò seccato.
«Perché l’hai comprata? Ci potrebbe essere una pietra lì dentro» inveì acida Nereis.
Christian aprì il sacco per sbirciare dentro. Poi disse:
«Tranquilli: la chiave c’è. Ed è molto importante. Andiamo in stanza, vi spiegherò il perché.»
«Non abbiamo ancora deciso di rimanere» protestò Rosehan.
«Be’... allora cerchiamo un luogo appartato, lontano da occhi indiscreti.»
Ma tutti lo fissavano rabbiosi e con le braccia conserte, come per chiedergli conto e ragione del suo avventato acquisto proprio lì.
«Fidatevi! So che cosa ho fatto.»
«Va bene. Diamogli la possibilità di spiegarci. Rimarremo qui per questa notte» si convinse Rosehan.
Si fecero dare delle stanze. Salirono solerti e silenziosi le scale ed entrarono in una delle camere. Nereis si appoggiò con le braccia conserte al muro, Nalemi, invece, si sedette sul letto, Rosehan prese posto su di una sedia attorno al tavolo e così fecero gli altri.
«Questa è la Chiave di Aveyon!» iniziò a raccontare Christian senza preamboli.
«Questo ce l’ha detto anche quel ragazzino. Non dici nulla di nuovo» replicò pungente Rosehan
«Aveyon è una città elfica da secoli contesa dal mio regno Luna di Vetro e quello Corallo D’Avorio perché la città sorge proprio ai confini dei due regni. In pratica, i regnanti di Corallo D’Avorio affermano di avere diritto di sovranità su questa città. Di contro, noi affermiamo il contrario e cioè che la città ricade nei nostri confini e quindi deve sottostare alla nostra sovranità. Però...» e lasciò la frase a mezz’aria per dare enfasi al suo discorso.
«Però?» lo imbeccò seccata Rosehan: tutto quel mistero la stava innervosendo.
«Noi ora possediamo la Chiave della grande porta. Quindi...»
«Insomma... quindi?» sbuffò impaziente Nereis, la magia emanata dalla Chiave le dava fastidio.
Christian la fulminò con una eloquente occhiataccia.
«Quindi» concluse aspro, «siamo noi ora i proprietari della città.»
Rosehan mise le mani ai fianchi: «E con questo?»
Christian la guardò preoccupato e rimarcò incredulo: «E con questo? Ma non lo capisci? Possiamo governare sulla città.»
«Christian il viaggio non ti ha proprio cambiato. Eri tonto e tonto sei rimasto: non possiamo tenerla. Dobbiamo restituirla al popolo elfico.»
«Ma perché?» protestò afflitto il giovane principe.
«È semplice. Agheon vuoi spiegarglielo tu, dato che da solo non ci arriva...»
«Uhm... sì Rosehan ha ragione: dobbiamo restituirla e anche al più presto. Quel ragazzino è stato furbo. Se l’è rivenduta perché deve averla trafugata da qualche parte. Così se lo prendono, non lo troveranno in possesso della Chiave e non potranno incolparlo e condannarlo.»
«E da cosa deduci tutto questo?»
«Be’ hai detto tu che è una città contesa da due Regni. Credi che qualcuno si sarebbe lasciato sfuggire così facilmente la Chiave, sapendo che ci si può dichiarare padroni della città attraverso di essa?» continuò Lepang.
«Capito, tonto?» rimarcò Rosehan.
«Ci manca solo di avere alle calcagna anche le guardie reali» disse con la sua voce querula Quing.
«Appunto» sottolineò Rosehan.
Christian si sentì come schiacciato dall’evidenza dei fatti.
«E quindi cosa proponete?» domandò a malincuore.
Calò su di loro un silenzio di piombo.
Christian rincarò la dose: «Siamo ormai a poche settimane di viaggio da Weengran. Dovremmo abbandonare proprio ora la missione per tornare indietro ad Aveyon e restituire la Chiave agli elfi?»
«No! Che cianci!» sbottò indispettita Rosehan.
Agheon proruppe: «Io avrei un’idea. Se siete d’accordo ve la espongo.»
Tutti annuirono all’unanimità.
«È semplice: dividiamoci in due gruppi. Io, Nalemi e Christian porteremo la Chiave ad Aveyon e voi altri continuerete il viaggio verso Weengran. Per Rosehan è importante liberare i suoi genitori, basterà che faccia sfiorare la spada al guerriero e poi potrà tornare tranquilla nel suo villaggio. Siamo ormai nel Regno di Christian e chi meglio di lui si sa muovere qui? Viaggeremo veloci e
per le giuste strade.»
«Mi sembra una buona idea, Agheon» intervenne Lepang, «e consentimi di dire che vorrei aggiungermi alla vostra compagnia. A Rosehan per terminare il viaggio basterà il o di Nereis e di Quing. Io non potrei esserle di aiuto in alcun modo.»
Rosehan udendo quelle parole si sentì morire: le veniva già difficile separarsi alla fine della spedizione da Lepang, figuriamoci con tutto quell’anticipo. Non lo poteva sopportare. Non poteva sopportare l’idea di non vederlo più.
«No, Lepang. Tu andrai con loro, potresti proteggerla dato che non ci siamo io e il principe Christian. Non sappiamo cosa troverà Rosehan in quella città. Qualcuno potrebbe cercare di ucciderla. Non dimentichiamo che Erchamon e le Streghe Nere sanno che è Rosehan a portare la spada» disse Agheon.
Tutti si fissarono reciprocamente.
«Sì quella di Agheon è una buona idea» espresse il suo parere Nereis. «Non possiamo tornare indietro. Le maledizioni di Erchamon già ci hanno bloccato tanto durante il cammino. Non avremmo viaggiato nel regno La sabbia delle streghe se Erchamon non avesse spedito lì Christian. E questo ci ha fatto perdere settimane e settimane di viaggio. Il mago avrà sicuramente guadagnato un grande vantaggio su di noi.»
«Anch’io approvo» aggiunse Quing.
«Anche per me va bene» disse Nalemi.
«Rosehan?» domandò Agheon per chiederle conferma.
«Sì... credo che non ci sia altra soluzione.»
«Bene! Mi sembra che siamo tutti d’accordo. Allora, domani all’alba partiremo.
Si divisero nelle stanze e andarono a riposare. Rosehan però si addormentò a fatica. Iniziò a fare un sogno strano: vedeva Fuinuir e, accanto a lui, una fanciulla dall’aspetto delicato, fragile. La fanciulla indossava un mantello celeste e aveva i capelli lunghi e biondi, la pelle diafana. Fuinuir la teneva per mano, mentre una luce lunare l’avvolgeva regalando al suo viso un che di sereno e di pacifico.
«Questa è colei che…» disse Fuinuir, ma non riuscì a udire altro perché si risvegliò di soprassalto.
Andò alla finestra per osservare il panorama, mentre le altre dormivano. Sentì allora bruciarle il tatuaggio.
“Com’era bella! Perché ho desiderato esserci io al suo posto?” pensò tristemente Rosehan.
Gli apparve Fuinuir.
«Hai visto Karen, l’Incantatrice.»
«L’Incantatrice?» rimarcò sottovoce Rosehan per non svegliare le altre.
«Sì… è davvero bella, non è vero?»
«Fa parte di me?»
«Sì. E così fra un po’ porterai finalmente la spada ad Aegnor. Come ti senti?»
«Strana. Credevo che sarei stata felice, ma adesso che ho conosciuto Christian, Nereis, Nalemi, Quing… e anche gli altri... credo che senza di loro non sarei mai e poi mai arrivata alla meta. E nemmeno senza di te, senza il tuo aiuto, sai? All’inizio ti odiavo e anche molto. Ora non più.»
Tacque. La luce della luna le illuminava tenuemente il piccolo viso pieno di efelidi.
«I miei genitori mi mancano, ma adesso che ho conosciuto la spada di Shanas, che l’ho portata con me per tutto questo tempo non vorrei più separarmene.»
«Dovrai farlo, per il bene del popolo. Per il bene delle sorti della guerra.»
«Lo so… sai, quando la regina Uentha mi ha fatto dono dell’amuleto ricordo di averle detto una cosa…»
«Cosa?»
«Che ho avuto una visione. Ho visto i guerrieri che hanno impugnato questa spada. Sembra quasi che il ato, le ate gesta alimentino le fiamme di questa spada.»
«Sì… l’anima di chi la porta si fonde con la spada.»
«È così che ho sconfitto quei due mezzi demoni. Sapevo come combatterli perché in un certo qual modo ho rivisto le mosse dei guerrieri che l’hanno tenuta in mano, non è vero?»
«La spada di Shanas è una spada particolare. Le fiamme l’alimentano, e in particolar modo quelle del guerriero che la porta con sé. Ho visto che le tue fiamme sono particolarmente forti. È questo, oltre al simbolo, che ti rende a tutti gli effetti l’Eletta.»
«Avrei voluto combattere al fianco della famosa principessa Primrose. Invece…»
«Ma hai combattuto per proteggere te stessa e i tuoi amici, una cosa che in ato non avresti mai fatto.»
«Lo so» ammise la ragazza senza dispiacersi. «E pensare che credevo che tutto il mio mondo fosse Noormit: pianure verdeggianti e animali. Invece, la vita è ben altra cosa!»
«Hai ancora molto da imparare, Rosehan. Non mettere fretta alla tua voglia di crescere. E per imparare devi avere l’umiltà di ascoltare.»
«Una volta ritornata nel mio villaggio, cosa farò? La vita mi sembrerà vuota senza di loro» ammise a malincuore, ma già Fuinuir se ne era andato e l’aveva lasciata sola con la sua affermazione.
«Già…» prese un profondo respiro e si rimise a letto.
Capitolo ventinovesimo
Un sogno premonitore
Agheon sellò il cavallo, stringendo il più possibile le cinghie sotto l’addome dell’animale.
«Aveyon è lontana da qui solo tre settimane a cavallo. Dobbiamo fare in fretta ed evitare di are per le città per eludere le Guardie reali» disse rivolto ai suoi compagni di viaggio, mentre Rosehan, Quing, Lepang e Nereis li guardavano prepararsi per la partenza.
«Vi auguriamo un buon viaggio» aggiunse Nalemi, una volta salita a cavallo. «Rosehan, non ti arrendere mai e di fronte alle difficoltà sii forte.»
«Lo terrò a mente, Nalemi» rispose sforzandosi di sorridere.
«Stai tranquilla! Verremo senz’altro a trovarti a Noormit quando tutto sarà finito.»
«Vi aspetto, allora. È una promessa, non dimenticatevela.»
«Se qualcosa dovesse andare storto, ognuno di voi si senta in diritto di portare la spada di Shanas al guerriero Aegnor» consigliò Agheon rivolgendosi a Nereis, a Quing o a Lepang dall’alto della sua cavalcatura.
«Non temere. Non abbandoneremo il GranRegno in balia di quel mago malvagio» dichiarò risoluta Nereis.
«Bene! Ci si rivede, allora» concluse Agheon vedendo che anche Christian era montato cavallo e portava con sé la grande sacca marrone contenente la Chiave.
Incitarono i cavalli al galoppo e in breve scomparvero nel polveroso orizzonte.
«Dobbiamo metterci in viaggio anche noi» disse risoluto Lepang. «Non possiamo perdere altro tempo prezioso.»
Poche ore dopo si misero in viaggio con i loro cavalli.
Cavalcarono parecchi giorni senza sosta. E giunsero a Senyn, un villaggio vicino al luogo in cui si stava combattendo la Grande Battaglia.
Il villaggio era completamente distrutto. Non c’era anima viva in giro. Case bruciate e corpi privi di vita che la morte aveva colto all’improvviso in posizioni assurde.
Rosehan si turbò e Nereis colse il suo turbamento sul viso.
«Che c’è?» le chiese.
«Ho un brutto presentimento, Nereis.»
«Credi che ormai sia troppo tardi?»
Rosehan scese da cavallo per avvicinarsi al corpo privo di vita di un bambino con in mano una spada di legno.
«Sì» disse sfiorando l’elsa della spada giocattolo. «Erchamon è un mostro: ha ucciso delle anime innocenti. E tutto per che cosa? Per che cosa ha distrutto i sogni di questi poveri bambini?» sbottò rabbiosa tra le lacrime.
«Non saranno morti invano» disse Lepang per rincuorarla, anche se capiva che Rosehan non avrebbe tratto consolazione da quelle parole.
Videro un vecchino che zoppicando si trascinava sui suoi larghi piedi. Qualcuno, dunque, era rimasto in vita!
«Sì... hai ragione Lepang: non saranno morti invano. La città è prostrata, ma non del tutto vinta» ammise Rosehan asciugandosi le lacrime con il dorso della mano.
«Ci accamperemo questa sera qui. Fra poco sarà buio e non possiamo continuare. Ci sono tante case deserte, non sarà difficile per noi trovare un riparo» proferì Nereis.
«Sì... anche perché sta iniziando a piovere» aggiunse Quing mentre cadevano rapide le prime gocce.
«Svelti! Entriamo in quel casolare» li esortò la Strega.
E corsero tenendo dalle briglie i loro cavalli, poi li legarono alla svelta alla staccionata di legno che delimitava l’abitazione.
Entrarono appena in tempo per non essere colti da un violento temporale. I fulmini e i lampi squarciavano il cielo grigio e nuvoloso. Mentre i tuoni rombavano.
Per loro fortuna in quel casolare non c’erano corpi privi di vita. Forse i padroni erano riusciti a trovare scampo, prima di essere attaccati.
Nereis si prodigò a cercare qualcosa da mettere sotto i denti nella malandata dispensa. L’aiutò Quing.
Lepang e Rosehan rimasero da soli in quella sorta di cucina.
Lepang appoggiato con le spalle al muro e le braccia conserte in un angolino
della stanza con gli occhi chiusi sorrideva beffardo nella penombra.
«Perché sorridi?» domandò Rosehan.
«È buffo. Più cerco di starti lontano, più ti ritrovo attorno a me. Dovrei evitare di evitarti. Forse potremmo finalmente non stare più insieme» e si ò una mano tra i setosi e ricciuti capelli castani.
Rosehan gli si fece vicino.
«Avresti preferito che io e Quing fossimo andati a cercare qualcosa da mangiare, e rimanere da solo con Nereis?»
Lepang spalancò gli occhi: Rosehan era a un o da lui e questo creava una grande tempesta dentro la sua anima. Avrebbe voluto afferrarla, stringerla forte a sé e baciarla. Ma non poteva.
«Non dire idiozie. Non provo niente per quella Strega, anche se è molto avvenente.» La punzecchiò di proposito.
Rosehan gli dedicò uno degli sguardi più belli e innocenti che potesse permettersi data la sua giovane età. Lui si sentì disarmato, ma non lo diede a vedere.
«Ti piace molto, non è vero?»
«Chi scusa?»
«Nereis. È per lei che mi respingi, non è vero?»
Lepang non sapeva se sentirsi ebbro di felicità perché la sua amata gli stava così vicino che sarebbe bastato chinare leggermente il capo per baciarla, oppure triste perché stava per ferirla. Di proposito.
«Credi quello che vuoi. Non mi interessa» disse scostante.
Rosehan indietreggiò di un o con il viso affranto.
«Piuttosto, domani saremo sul campo di battaglia. Sei pronta a consegnare la spada?»
La pioggia cadeva fitta e incessante. Picchiettava con insistenza sui vetri di quella casa e inesorabile bagnava ogni cosa.
Rosehan si voltò di scatto.
«Sì. Sono pronta. Anche se...»
«Anche se cosa?»
«Non avrei mai creduto che ci sarebbe stata tutta questa desolazione dove si combatte una guerra. Tutto è morte. È distruzione.»
Chinò il capo affranta. A Lepang venne l’irresistibile desiderio di posare le sue mani sulle sue fragili spalle per rincuorarla, ma non lo fece. Rimase lì, con le spalle poggiate al muro e le braccia conserte.
«Questa notte non voglio dormire. Voglio restare sola con i miei pensieri.»
Lepang percepiva il turbamento della ragazza. Non sapeva né come né perché ma sentiva dentro la sua anima ogni moto di quella di Rosehan. Gli tremò il cuore per questo motivo.
Li interruppero Quing e Nereis che entrarono con qualche pietanza stretta tra le braccia.
Cenarono e poi tutti presero posto in qualche stanza per dormire. Solo Rosehan rimase desta con i suoi pensieri.
Ricordò quando aveva incontrato ognuno di loro: Christian, Nereis, Quing, Agheon, Lepang e Nalemi. Gli apparvero le loro immagini in un susseguirsi di emozioni e sentimenti contrastanti.
Poi con il rumore della pioggia si assopì con dolcezza, cullata dallo sciabordio dell’acqua che cadeva nelle pozzanghere.
Sognò di nuovo l’Incantatrice. Immersa in un’aura di luce lunare, la bella maga le chiese di avvicinarsi con un semplice cenno della mano a un pozzo che era al suo fianco.
«Benvenuta Rosehan di Degon.»
Rosehan chinò il capo per ricambiare il saluto.
«Giungi nella foresta di Isardil attraverso i tuoi sogni. Ma un viaggio ben più lungo hai affrontato. Irto di grandi ostacoli.» L’Incantatrice si soffermò a guardare il dito di Rosehan ornato da Gernet. «E non tutti gli ostacoli sei riuscita a superare, vedo.»
Rosehan si sentiva strana: una inconsueta pace la invadeva.
«Sì... è così... è come voi dite» farfugliò intorpidita.
L’Incantatrice le mostrò cosa c’era ai suoi piedi: una coppa, una spada, una lancia e una pietra completamente nera.
«Questi che vedi furono i doni legati alla cosiddetta spilla di Tara» continuò imperterrita quella con voce suadente.
«Lo so»
La maga le sorrise con pacatezza.
«Quella è la Coppa delle Cinque virtù, quella è la spada con La goccia di cristallo, quella è la lancia che brandì Emerald, mentre quella è la cosiddetta pietra del destino. Esatto?»
«Esatto» ammise Karen. «È importante che tu sappia che sei legata a questi altri doni.»
«Perché?» domandò con curiosità la ragazza.
La maga non rispose e fece apparire dal nulla uno specchio.
«Guarda. Dimmi cosa vedi?»
Rosehan si avvicinò incerta allo specchio che rimandava perfettamente la sua immagine riflessa.
«Io... io... vedo me stessa.»
«Tutti conoscono il tuo segreto potere, ma non posso rivelartelo. Non ora, almeno.»
«Sono un Uccisore delle Tenebre. Che altro dovrei sapere?»
«No. Non soltanto. Sei molto di più. Tu nascondi un altro grande potere» sussurrò l’Incantatrice.
Si svegliò di soprassalto, mentre un cane randagio le leccava con voluttà il viso. Era fuori dal casolare, sul pianerottolo. Come aveva fatto a uscire? Non se lo ricordava.
Aprì la porta per rientrare e trovò già tutti alzati.
«Oggi è il gran giorno: la spada di Shanas finalmente sarà nelle mani del guerriero Aegnor» squittì quasi Quing svolazzando con la sua tunica. «Come ti senti?»
«Bene!» rispose lanciando uno sguardo rapido a Lepang, sapeva che terminato quel viaggio non l’avrebbe più visto, le loro strade si sarebbero divise per sempre.
«Non vedo l’ora!» aggiunse mal celando il suo dispiacere.
Terminata una breve e fugace colazione, si rimisero subito in viaggio.
Galopparono verso Weengran.
Capitolo trentesimo
La Grande Battaglia
Quando giunsero all’accampamento militare, trovarono tutti i soldati feriti. Il campo era diventato una sorta di lazzaretto. Cercarono senza esitazione Aegnor chiedendo a un soldato che stava poggiato su una gruccia con il piede fasciato e con un occhio bendato dove si trovasse.
Quegli indicò una grande tenda poco più in là. Si fiondarono all’interno e rimasero sbigottiti: c’erano tanti letti tutti allineati e sopra di essi dei corpi di soldati che tutto sembravano tranne che vivi.
Rosehan si preoccupò.
«Che cosa significa questo?» sbottò esasperata.
«Proviamo a chiedere a quel soldato lì in piedi vicino al letto, quello con gli occhiali, forse saprà darci maggiori informazioni» propose Nereis.
Si avvicinarono a quell’unico soldato che sembrava mostrare segni di vita, dato che era in piedi con una strana valigetta marrone in mano.
Quando gli rivolsero la parola, scoprirono che era un medico e che stava curando da solo i feriti di guerra.
Gli chiesero dove si trovasse il Generale Aegnor e lui indicò una brandina lì vicino, aggiungendo: «Non lo fate affaticare troppo però. Sta... morendo...»
«Cosa?» dissero all’unisono sgomenti tutti e quattro.
«Erchamon l’ha ferito a morte durante un sanguinoso combattimento, ieri sera. Non ho potuto fare altro per lui. Purtroppo è finita.»
Si allontanò con la sua borsetta per curare gli altri feriti.
Rosehan insieme ai suoi compagni di viaggio si precipitò sul corpo esanime del guerriero.
Respirava a fatica ed emetteva un lieve lamento.
«Aegnor, sono Rosehan di Degon. Ti ho portato la spada di Shanas per sconfiggere Erchamon, come recita la profezia.»
Per tutta risposta quello emise un forte gemito, prima di dire con voce sofferente: «Non possiamo sconfiggerlo. È troppo potente. La profezia non si avvererà mai. Sei giunta troppo tardi.»
Rosehan non si scoraggiò. Non sapeva cosa la rendesse così ostinata, nonostante l’evidenza dei fatti: il guerriero Aegnor non poteva più combattere. Posò la spada sul letto. Prese la mano del cavaliere per fargli sfiorare l’elsa. Una potente luce pervase subito Rosehan: comprese che era riuscita a liberare così i suoi genitori dall’incantesimo di Fuinuir che li teneva prigionieri.
«Non puoi arrenderti. Hai la spada. Combatti e sconfiggi quel perfido mago» lo esortò Rosehan.
«Mi spiace» singhiozzò lui, «non posso aiutarvi. La città è caduta e così anche le città prima di questa. Abbiamo perso, purtroppo.»
«Non puoi arrenderti!» sbottò Rosehan: sembrava come posseduta, tanto era irragionevole la sua richiesta. Era fin troppo evidente che Aegnor ormai aveva le ore contate.
Nereis le posò una mano sulla spalla e con la testa la invitò a non insistere oltre.
Rosehan non poteva crederci: aveva intrapreso tutto quel viaggio inutilmente, dunque?
Aegnor farfugliò qualcosa che nessuno riuscì a sentire. La ripetè con fatica: «Combatti tu al posto mio. Indossa la mia armatura. Salva le genti del GranRegno.»
«No, io non posso farlo. Ho già portato questo pesante fardello sulle spalle. La spada è destinata a te, come recita la profezia di Duinuhir.»
«No, la profezia non cita il mio nome. Ed è oscura per tutti» ammise parlando con grande fatica e sofferenza Aegnor. «Gli indovini non sono riusciti a interpretarla. Nessuno si accorgerà che sei una donna. La mia fuglida armatura d’oro ti proteggerà. Coraggio Rosehan, combatti! In nome delle genti del GranRegno liberali da questo Grande male!»
Rosehan guardò titubante l’armatura del guerriero che era ai piedi del suo letto. Non voleva combattere, anche se il Maestro Obichi l’aveva addestrata, il suo spirito di guerriera era comunque rimasto sopito e quindi si sentiva insicura.
«Cosa ti prende?» le domandò Nereis intuendo quello che stava pensando.
«Nereis... io... io... non posso combattere. Ti ricordi cosa mi avete detto tu e Christian prima che duellassi con il principe Kezich?»
«Non devi pensare al fatto che il tuo spirito di guerriera sia sopito. Dopotutto, sei riuscita lo stesso non solo a batterti, ma anche a sconfiggerlo.»
«Lo so, Nereis. Però... ecco... vedi... la posta in gioco era alta, se perdevo, perdevo la spada e con essa non solo la speranza di liberare i miei genitori, ma anche di sconfiggere Erchamon. Ma ora che siamo qui, io cosa posso fare? Come posso vincerlo se non c’è riuscito nemmeno un valoroso cavaliere come Aegnor? Non sono nessuno per riuscirci. Mi spiace!»
«Capisco cosa stai provando, Rosehan. Però devi farti forza e prendere una decisione su cosa potrebbe essere meglio per queste genti. L’addestramento che hai ricevuto ti ha preparata a qualsiasi situazione. Il Maestro Obichi ha comunque visto delle grandi potenzialità in te e se un uomo della sua esperienza le ha ravvisate, allora vuol dire che ha fatto bene a insegnarti quello che sapeva.»
Rosehan guardò di nuovo titubante l’armatura del guerriero e Aegnor stesso. Poi cercò l’approvazione dei suoi compagni di viaggio, che non tardò ad arrivare anche se Quing ebbe qualcosa da ridire.
«È una follia» disse infatti, ma tutti lo guardarono torvi e Nereis gli diede una gomitata. «Be’... ecco... ma noi siamo stati già folli a venire fin qui, per questo è bene continuare a esserlo. Gettiamoci nella mischia, gente!»
«Sì, giusto. E noi non ti lasceremo sola. Ti aiuteremo» aggiunse Nereis.
Mentre Rosehan indossava l’armatura di Aegnor, gli altri si fecero dare delle spade.
Quando scesero in battaglia, trovarono attorno a loro ovunque morte e distruzione. Erchamon stava sopra un ammasso di corpi e rideva in modo sguaiato.
Vedendo però arrivare il guerriero dall’armatura dorata, smise di ridere e lo apostrofò così: «Il cavaliere Aegnor. Credevo che fossi morto. Evidentemente la mia lezione di ieri sera non ti è bastata.»
«E invece... eccomi qui, pronto a combatterti.»
Il mago si avvicinò a lei e le tolse con un rapido gesto dell’unica mano l’elmo.
«La ragazzetta del bosco. Ora giochi a far la guerriera?» domandò in tono ironico. «Come puoi vedere tu stessa sei arrivata troppo tardi. Tutto è perduto.»
«Non ancora» gridò lei lanciandosi per trafiggerlo con la valorosa spada di Shanas. Ma quello strisciando con la sua nube la schivò con una velocità impressionante.
«Ahà... mancato!» sibilò con la sua vocetta stridula. «Cosa credi di fare? La profezia di Duinuihir non si avvererà mai...» e rise ancora di gusto.
Rosehan cercò di colpirlo di nuovo, ma invano. Sembrava che il mago prevedesse ogni sua mossa e che la schivasse senza problemi.
«E sai perché non si avvererà mai?» continuò imperterrito il mago.
«Non lo so e non mi interessa. Combatti invece di evitarmi.»
La faccia di Erchamon assunse un’espressione terrificante.
«Non mi provocare, stupida ragazzetta. Nel bosco ti ho lasciata vincere, ma non ti concederò una seconda possibilità.»
Detto ciò, il mago richiamò con la sua unica mano una sfera di energia. Sembrava che dentro la sfera ci fossero le scariche elettriche di più di mille fulmini.
Stava per lanciargliela addosso, quando Nereis la protesse con il suo bastone. Creò con la magia una sorta di scudo invisibile e la sfera elettrica si dissolse nell’aria bruciando gli alberi circostanti.
«Ti fai proteggere dai tuoi amichetti vedo. Forse perché sei una codarda e non coraggiosa come vuoi far credere. Non fa niente. So come farle del male.»
Estrasse dal suo scuro mantello un medaglione. Rosehan e Nereis lo riconobbero subito: era il Sithus, il vitale amuleto delle Tredici Streghe Nere, che rapide comparvero sul campo di battaglia.
«Anch’io ho portato i rinforzi. Sei contenta ragazzetta?» disse ridendo in modo sguaito il mago. «Zalmeja si prenderà cura della tua amica, mentre noi parliamo.»
E lanciò il medaglione alla Strega che aveva nominato, la quale lo afferrò subito con prontezza dicendo: «Piegherò il tuo volere cara Nereis. Ti avevo dato la possibilità di ritornare nella nostra Congrega, ma vedo che sei stata cocciuta.»
Mentre le Dodici si stringevano le mani disponendosi a cerchio ed evocando all’unisono un antico e potente incantesimo, Rosehan guardava sbigottita la scena e Nereis imprecava: «Maledizione!»
Il ciondolo fluttuava al centro ed emava una luce dai colori cangianti.
«Rosehan, stanno piegando la mia volontà al loro volere. Sappi che se mi ordineranno di combattere contro di te, dovrai uccidermi. Non pensarci su. Non sarò più io ad agire, ma il loro volere» l’avvertì la Strega.
«Sei sicura che non possiamo impedirlo?» domandò angosciata la ragazza.
Nereis ci pensò, quindi disse: «Sì... forse un modo c’è. Di’ a Lepang ti rompere il cerchio. Basterà che afferri le mani di due delle Streghe inserendosi nel cerchio.»
«Bene!»
Rosehan ordinò a Lepang quanto suggerito da Nereis e il ragazzo iniziò a correre in direzione delle Dodici.
Erchamon, intuendo quello che stava per fare, gli scagliò contro la sua sfera di luce elettrica.
«Noooo!» gridò disperata Rosehan e corse svelta nella sua direzione per proteggerlo con il suo corpo.
Ma per poco non ci riuscì, perché la sfera lo colpì in pieno petto scagliandolo con ferocia lontano dal campo di battaglia e facendogli sbattere la testa e la schiena su un tronco di un albero lì vicino, mentre a lei si bruciacchiavano un po’ i capelli e Nereis scompariva nel nulla con le sorelle di sangue.
«Lepang!» urlò in lacrime Rosehan.
«Te l’ho detto: non metterti contro di me» sibilò con la sua vocetta stridula Erchamon.
«Maledetto!» strepitò Rosehan caricando con la spada che ormai era ricoperta dalle fiamme. Anche gli occhi di Rosehan erano infiammati per la rabbia e la collera.
Si scagliò contro il mago, ma ancora una volta fendette l’aria. Allora, continuò a colpirlo più e più volte. Ma invano: quello schivava tutti i suoi colpi con una rapidità impressionante.
“È così veloce! Cosa posso fare?” pensò Rosehan disperata. “Forse l’unico modo è cercare di distrarlo. Sì... ma come?”
«Non puoi sconfiggermi. Non può vincermi nessuno. Nemmeno la tua stupida spada.»
Rosehan inciampò e cadde a terra. Erchamon ne approfittò per prenderle di
mano la spada e poi gliela puntò con prontezza al collo.
«Bene. Cominciavo ad annoiarmi. Un ultimo desiderio prima di morire per mano mia?»
Rosehan lo guardò rabbiosa, mentre ansimava per la fatica.
«Niente? Non vuoi altro? La morte ti basta.»
Rimasero in silenzio a guardarsi.
«Bene. Addio, allora!»
Stava per infilzarla, quando Rosehan richiamò a sé la spada di un guerriero che era morto lì vicino proprio come era avvenuto nel Castello del principe Kezich e senza alcuna esitazione trafisse il mago.
Sull’immondo viso di Erchamon si dipinse lo stupore più assoluto.
«Come... come... hai fatto?»
«Una mossa imprevedibile, non è vero? Sono una Viandante delle Tenebre. Uccido l’Oscurità di cui tu sei forgiato» e sorrise amara.
Erchamon abbandonò a terra la spada di Shanas e con la spada ancora infilzata nel suo petto barcollante percorse qualche o. Guardò stupito l’elsa. E si strappò l’arma dalla carne.
«La spada con la goccia di cristallo... era questa la spada che dovevo temere, non quella di Shanas» proferì stramazzando a terra con le mani insanguinate.
Gettò un urlo spaventoso, mentre la terra tremava tutta. Il cielo di colpo si ingrigì e iniziò a piovere.
Rosehan si accostò lentamente al corpo agonizzante del mago.
«No, non può finire così. Non ora» mormorò Erchamon disperato.
Mille raggi lo trafissero. Rosehan indietreggiò spaventata: cosa stava accadendo? Perché quella luce?
I fasci di luce si trasformarono pian pianino in tanti luccichii brillanti come diamanti. E al posto del mago apparve un ragazzo dai capelli mielati mossi lunghi fino al collo. Magro d’aspetto, indossava un paio di pantaloni marroni e una casacca dello stesso colore, solo di una gradazione più chiara. I lineamenti del suo viso erano gentili e delicati: il naso dritto, la fronte spaziosa, la mandibola in sintonia con il resto del volto. Una leggera peluria gli adornava poi il labbro superiore. La camicia era leggermente aperta e faceva intravvedere una muscolatura ben scolpita. Inoltre, Rosehan notò osservandolo che portava al collo uno strano amuleto.
Dopo poco, il ragazzo aprì gli occhi e vide il delicato visino di Rosehan.
«Ma tu chi sei?» gli chiese lei, perdendosi nei suoi meravigliosi occhi verdeazzurro.
Lui cercò di alzarsi puntando i gomiti sul terreno.
«Mi chiamo Raffael. Sono una mago. Ti ringrazio: mi hai liberato da una terribile maledizione.»
«Quale maledizione? Cosa intendi dire?»
«Non ricordo chi sia stato a lanciarmela, però mi ha trasformato nell’essere spregevole che pochi istanti fa avevi davanti.»
«Tu ed Erchamon eravate la stessa persona?» domandò allibita Rosehan.
«Sì, è così. Credevo che la profezia non si sarebbe avverata, ma a quanto pare mi sbagliavo.»
«Perché pensavi questo?»
Raffael raccolse la spada che si era estratto dal petto.
«La misteriosa profezia di Duinuhir recitava: “Quando colui che è stato maledetto brandirà la spada di fuoco, e sarà trafitto con la spada delle lacrime da colui che reca nel cuore un immenso dolore, il Male si dissolverà”. Questa è la spada con la goccia di cristallo, un vera lacrima di Drago. Era l’unica che potesse spezzare il mio incantesimo e sconfiggermi. È stata proprio una fortuna che fosse vicino al punto in cui stavamo combattendo. Avevo visto un soldato brandirla, però l’ho ucciso insieme alla speranza di essere trafitto.»
«Aspetta. Non capisco: dentro di te sapevi che quello che stavi facendo era sbagliato?»
«Certamente. Ma ero come imprigionato, non potevo oppormi. È stato così per molto tempo.»
«Quindi... in cuor tuo desideravi che vincessi?»
«E che fermassi la mia furia omicida? Sì... Quando ho ucciso Aegnor la mia ultima speranza è andata perduta... Dentro stavo male perché volevo ritornare me stesso e non fare più del male alle persone che mi stavano attorno.»
Raffael cercò di mettersi in piedi.
«Finalmente ora tutto è finito. Non so davvero come ringraziarti. Posso sapere almeno il tuo nome?»
Rosehan si aprì in uno splendido sorriso, quel ragazzo era davvero molto affascinante: «Certamente. Mi chiamo Rosehan e sono di Noormit un villaggio nel regno Corallo D’Avorio.»
«Oh. Be’... allora grazie Rosehan» disse stringendo la sua mano tra le sue grandi e forti.
La ragazza arrossì.
Si salutarono, ma Raffael prima di andarsene aggiunse: «Ah. Non preoccuparti per quel ragazzo. Non è morto. L’ho solo ferito.»
Quindi se ne andò.
Rosehan si sedette sul campo, mentre la pioggia continuava a cadere fitta.
Quing che fino ad allora era rimasto nascosto e non era intervenuto perché aveva paura di morire per mano di Erchamon, si avvicinò quatto e la guardò interrogativo.
«Sì, Quing... ora puoi prendere la spada di Shanas e riportarla a Tara, lì dove deve stare» biascicò Rosehan.
Lui non se lo fece ripetere due volte, afferrò la spada e corse via lontano da lei e dal campo.
Rosehan sorrise.
Dopotutto quella sua era stata proprio una gran bella avventura.
Si alzò guardandosi attorno.
“Be’... penso proprio che ora posso finalmente ritornare a Noormit.”
Capitolo trentunesimo
Si torna a casa, nuove rivelazioni
Rosehan dopo parecchi mesi fece ritorno a Noormit. Il viaggio di ritorno fu per lei in un certo senso più breve e anche più piacevole di quello di andata perché l’accompagnò soltanto Lepang. Quing se ne era andato via da solo con la spada di Shanas, mentre Nereis era scomparsa con le Dodici Streghe Nere. E nonostante l’avessero attesa per alcuni giorni, non aveva più dato sue notizie.
A un incrocio però Rosehan e Lepang si separarono, perché il ragazzo doveva cercare la Chiave che chiudeva le porte segrete delle Biblioteche.
Rosehan giunse nella sua tranquilla casetta in un pomeriggio molto assolato. Le venne incontro abbaiando la fedele cagnolina, seguita dal pigro gatto Feo che per salutarla si strusciò amorevolmente sulle sue gambe.
«Mamma! Sono tornata» annunciò la ragazza piena di gioia.
La porta cigolando un poco si aprì suonando però anche festosamente per i tanti camlini appesi sopra di essa e Rosehan si illuminò tutta: proprio sulla soglia sua madre Calime le stava sorridendo.
«Piccola cara!» esclamò esultando e allargando le braccia per accogliere la figlia
in un caldo e forte abbraccio.
Rosehan non se lo fece ripetere due volte, con una piccola rincorsa si tuffò tra le sue braccia.
«Tu e papà mi siete mancati tantissimo!»
«Lo so. Anche tu» ammise la donna accarezzandole la testa con la sua grassoccia mano.
«Ma fatti vedere! Come sei cresciuta! È trascorso più di un anno dall’ultima volta che ci siamo viste. Ti ricordi? Quando quel mago ti ha dato quella importante missione da compiere...»
«Eh... sì... per fortuna tutto si è concluso per il meglio. Almeno... quasi tutto...»
Calime allentò la stretta e Rosehan entrò in casa. Ma rimase interdetta da quello che vide. Proprio dove tanto tempo prima era stato seduto Fuinuir, ora c’era un altro mago.
«Eh... no... cosa vuole dire questa storia?»
«Tranquilla, piccola. Non sono qui per affidarti una missione anch’io, ma per dirti delle cose che è necessario tu sappia.»
Rosehan guardò turbata la madre che, a sua volta, annuì con fermezza, come per asserire “ascoltalo”.
«Siediti, non rimanere in piedi. Così presterai attenzione ancora meglio.»
Rosehan posò le mani sulla spalliera della sedia.
«Devo preoccuparmi? Sono delle cattive notizie?»
Il mago abbozzò un breve sorriso.
«Be’... spero proprio di no.»
Rosehan tirò un sospiro di sollievo e si sedette sulla seggiola di fronte a lui.
«Il mio nome è Elros» esordì lo Stregone. «Forse questo non ti dirà nulla, anzi ne sono certo perché non l’hai mai sentito pronunciare in questa casa.»
«In realtà, non mi suona del tutto nuovo» ammise alquanto incerta.
«Uhm... sì... capisco a cosa ti riferisci» bofonchiò il vecchio. «Ci siamo intravisti
all’Abbazia di Newergy, se la memoria non mi inganna. E non solo...»
Rosehan lo guardò per un istante smarrita, poi una luce le brillò negli occhi: adesso ricordava, era stato quando Fuinuir le aveva detto di fuggire dall’Abbazia. Questo catturò il suo interesse.
«Ci siamo incontrati anche nel ato. Ricordi? Sei venuta a chiedermi informazioni sul possessore della spada di Shanas e ti ho detto che ero io, che io avevo posseduto la spada prima di te.»
Rosehan ci pensò un po’ su. Questo particolare non lo ricordava.
«Non importa, comunque. L’importante è che adesso ti sveli tutta la verità. Vedi, tua madre Calime mi ha dato il permesso di rivelartela. Non lo fa lei non perché non ne abbia il coraggio, ma perché ritiene che sia più giusto così.»
Tacque per alcuni istanti, mentre Rosehan scrutava con cura il suo rugoso viso.
Diede un finto colpetto di tosse, prima di dichiarare: «Forse sarà dura per te accettare questa verità, però diciamo ormai il pericolo è scampato e, quindi, puoi sapere tutto quello che riguarda le tue origini.»
«Le mie che?» domandò sorpresa la ragazza.
«Hai capito bene: le tue origini. Non pensare che sia semplice dirti quello che sto
per rivelarti, però... lo farò lo stesso. Rosehan, Calime e Degon non sono i tuoi veri genitori.»
Rosehan rimase senza parole.
Il mago Elros la fissò imperturbabile per alcuni istanti, quindi riprese incurante della reazione della ragazza: «La tua vera madre si chiama Karen ed è un’Incantatrice.»
Lei continuò a guardarlo sbigottita, anche se ora finalmente iniziava a ricordarsi dove aveva visto Elros. Era stato quando aveva chiesto all’amuleto degli elfi di portarla dal ato possessore della spada. Era quell’uomo seduto a sonnecchiare di fronte al grande Tomo. E la ragazza dunque era la sua vera madre? Non poteva crederci! Non ora, non in quel momento in cui tutto sembrava così assurdo e improbabile.
«... cioè... mia figlia. Io sono tuo nonno, Rosehan. Il tuo vero nonno» continuò imperterrito Elros, per niente stupito dalla sua reazione.
«Ma cos’è? Uno scherzo? Mi state prendendo in giro forse?» sbottò disgustata Rosehan.
Intervenne allora Calime che fino a quel momento era rimasta zitta: «Mi spiace, piccina, ma quello che questo gentile signore ti sta dicendo è la verità. Più di sedici anni fa bussò a questa porta una bella donna dai modi cortesi. Si chiamava Alison ed era la tua nutrice. Tu eri dentro una cesta e fosti affidata alle mie cure e a quelle di mio marito.»
Rosehan guardò incredula la madre.
«Ma perché? Perché tutto questo?»
«Sei nata in un periodo in cui gli Uccisori delle Tenebre venivano perseguitati e tua madre per proteggerti ha pensato bene di nasconderti in questo villaggio e presso questi amorevoli signori» spiegò Elros. «Nessuno avrebbe mai sospettato che avessero come figlia una Viandante delle Tenebre. E Alison stessa, la tua nutrice, non rivelò loro la tua natura.»
Calime annuì per confermare quanto il vecchio mago aveva affermato.
«Sì... Alison non mi svelò nemmeno il vero nome di tua madre, affinchè mantenessimo una vita tranquilla e priva di preoccupazioni» aggiunse.
«Non so che dire... non me l’aspettavo...» fu l’unica cosa che riuscì a dire Rosehan.
Tacquero però tutti e tre per qualche istante. Poi la ragazza incalzò con le sue domande: «E mio padre? Chi è il mio vero padre?»
Elros sbattè le palpebre due volte.
«L’hai sempre avuto accanto durante la tua missione» rispose sibillino il vecchio.
«Chi?»
«Fuinuir.»
Nel sentire quel nome, Rosehan si alzò in piedi di scatto e la sedia cadde rovinosamente a terra.
«Fuinuir è... è... mio padre?»
«Già. Hai ereditato il suo potere e non solo, anche quello di tua madre.»
«È per questo che sono una Viandante delle Tenebre?»
«Sì» rispose secco il mago.
«Oh. Allora è per questo che mi proteggeva sempre!»
«Eh... be’... sì...»
«Ma... mia madre dov’è? È viva?»
«Tua madre è gravemente ammalata, per questo non ti ha potuta aiutare. Non posso però svelarti dove si trova, perché la sua malattia è contagiosa e lei non vuole che ti ammali anche tu. Essendo per metà anche un’Incantatrice, potresti contrarla.»
«Ma potrò vederla almeno quando sarà guarita?»
«La degenza è molto lunga, però siamo fiduciosi che guarirà. Quindi... sì... perché no?»
«Rosehan... se desidererai ricongiungerti alla tua vera famiglia io e tuo padre non te lo impediremo. Siamo felici di averti allevato e l’unica cosa che desideriamo è che tu sia felice» dichiarò Calime.
La ragazza le si avvicinò per abbracciarla.
«Oh mamma! Grazie!»
Il mago Elros sorrise soddisfatto.
«Ti ho inseguita per tutto il GranRegno per dirti la verità, ma a quanto sembra c’è stato un destino avverso e non sono riuscito a raggiungerti. Nell’ultima tappa, quando ho recuperato questo dal fiume – ed estrasse il medaglione degli
elfi – ho pensato che forse era meglio aspettarti qui, aspettare il tuo ritorno a Noormit dove sei sempre vissuta.»
Gli occhi di Rosehan nel vedere l’Antico Eyurwen si illuminarono.
«Credevo fosse andato perduto!»
«E perché? Nulla è mai perduto. Tieni, conservalo con cura. Potrebbe servirti ancora, magari chissà in un lontano futuro.»
L’afferrò e dopo se lo mise al collo.
Tutto quello che le aveva raccontato il mago l’aveva lasciata sorpresa, tramortita, confusa. Non si sentiva arrabbiata, però nemmeno felice. Lepang le mancava e anche tanto.
Una volta salita nella sua stanza, si sedette vicino alla finestra per guardare il paesaggio che si stendeva di fronte ai suoi occhi.
Il sole stava ormai tramontando. L’orizzonte si tingeva di un tenue color rossastro. Elros non si trattenne di più. Voleva far ritorno alla sua casa, dato che era già stato via parecchi mesi per cercarla. Nel salutarla, le fece delle raccomandazioni e la invitò a raggiungerlo a casa sua, dopo essersi riposata dal lungo viaggio intrapreso. Rosehan accettò con gioia il suo invito.
A un tratto qualcuno bussò alla porta della sua camera.
«Rosehan, c’è un ragazzo che chiede di te» le disse la madre.
Le incominciò a battere il cuore con forza nel petto: sembrava volesse uscirle dal torace. Lepang... il suo amato Lepang era venuto dunque a cercarla? Si fiondò dabasso, pronta ad accoglierlo, ma si bloccò all’istante sull’ultimo gradino quando vide suo padre parlare con un giovanotto alto, magro e... biondiccio.
Sentendola arrivare, il ragazzo si voltò verso di lei, si illuminò e le sorrise con dolcezza.
«Raffael» disse, ma il nome le morì sulle labbra.
«Ciao Rosehan, sono qui per farti una visitina.»
«E non solo» aggiunse Calime spingendola verso di lui. «Raffael poco fa ha fatto una richiesta a tuo padre e a me che ovviamente abbiamo accettato.»
«Quale richiesta?» fece la finta tonta.
«Ho chiesto la tua mano. Se tu non hai nulla in contrario, naturalmente.»
«N-no affatto» si sforzò di sorridere.
«Bene! Questo mi rende davvero felice.»
Raffael era un bel ragazzo, Rosehan non poteva negare l’evidenza dei fatti, per questo non rifiutò la sua proposta di matrimonio. Del resto, non poteva nemmeno aspettare tutta la vita che Lepang si decidesse a dichiararsi, ammesso che provasse qualcosa per lei. Anche se in cuor suo avrebbe voluto aspettarlo tutta la vita.
Quella sera cenarono insieme e Raffael dormì nella stanza che un tempo era stata di Ferlong, quando l’aiutante di Degon soleva fermarsi a dormire da loro per qualche occasione.
Rosehan si distese sul letto: quante emozioni quella giornata!
Le rivelazioni del mago e la proposta inattesa di Raffael l’avevano lasciata spossata, per questo si addormentò quasi subito.
Capitolo trentaduesimo
Lettere
Erano ormai trascorsi due anni da quando Rosehan si era sposata con il mago Raffael. Dalla loro unione era nato un figlio, Bryant. Il piccolo ora aveva solo un anno e aveva sulla nuca il tatuaggio dei Viandanti delle Tenebre. Calime e Degon si erano trasferiti a vivere nel villaggio e avevano lasciato la loro casa agli sposi. Raffael amava quel posto così tranquillo, quel piacevole clima mite, e non se ne era voluto più andare. Si occupava lui dei raccolti aiutato da altri uomini, mentre Rosehan si dedicava alle varie faccende domestiche.
Quel giorno era in cucina e stava preparando il pranzo, mentre il piccolo Bryant giocava con il gatto Feo e la cagnolina. Se ne stava seduto a terra e tirava loro la coda o i baffi, ma con poca forza vista la sua tenera età, cosicchè quelli non reagivano. La cagnolina, anzi, lo leccava con affetto e lui rideva contento perché la sua lingua lo solleticava.
Qualcuno bussò alla porta. Rosehan andò ad aprire e vide un messo che le porgeva delle lettere. Le prese tra le mani, richiuse la porta, si sedette al tavolo della cucina e aprì la prima. La scriveva la cara Nalemi.
Carissima Rosehan,
come stai? Ho appreso la notizia del tuo matrimonio soltanto ora. Se l’avessi saputo prima ti avrei fatto gli auguri per tempo. Mi spiace che non abbiamo
portato insieme a termine la tua importante missione e che per colpa della Chiave di Aveyon ci siamo dovute dividere. Ma ora che sono ritornata nella mia terra, posso finalmente tirare un sospiro di sollievo. Non so se lo sai, ma poco prima che giungessimo alla città elfica, le Tredici Streghe Nere ci hanno attaccato ed è accaduta una cosa terribile: una delle Dodici ha colpito Christian con una lancia Daruk. Il veleno di questa arma lo ha reso malvagio...
«Christian! No!» gemette Rosehan dispiaciuta interrompendo la lettura.
... io e Agheon non siamo riusciti a proteggerlo, purtroppo. Nonostante ci abbiamo provato. Tutto sarebbe più semplice se ti dicessi che è accaduto solo questo. Invece non è così. Christian ha scagliato la sua ira contro Aveyon e... l’ha completamente distrutta, radendola al suolo. Ha sposato lady Kiera ed è diventato il nuovo sovrano di Luna di vetro. Il mio timore però è che possa scagliare la sua ira su qualunque altro Regno, diffondendo la sua malvagità ovunque. Andrebbe fermato.
Rosehan ho visto tanta gente morire e mi sono sentita impotente di fronte a tutto questo male. Così ho fatto una promessa a me stessa. Ho promesso di diventare una Cacciatrice di Taglie[32]. Voglio stanarle queste Streghe Nere, voglio avere il potere di punirle. Non mi interessa se dovrò scontrarmi con I Tredici Stregoni Bianchi. Sono disposta a tutto. E così ho fatto richiesta di diventare un Cacciatore. All’inizio mi sono dovuta scontrare contro i pregiudizi degli addestratori e dei maestri maghi, ma alla fine l’ho spuntata. Sono stata accettata e ora sono una Cacciatrice a tutti gli effetti, naturalmente dopo aver seguito un rigido addestramento. Sarà il mio personale obiettivo, la mia missione: distruggere la Congrega delle Tredici Streghe Nere.
Poi, sono riuscita a liberare il mio labirinto e a riavere i miei prodigiosi poteri. Erano state le Streghe Nere a occuparlo.
Spero tanto che un giorno ci ricontreremo. Io sono sempre in viaggio, chissà che non i per Noormit. Lo spero tanto...
Nalemi
Rosehan rimase stupita delle rivelazioni dell’amica, indugiò un pochino prima di aprire l’altra missiva. Una ridda di pensieri contrastanti si insinuarono nella sua mente ma poi il nome apposto sulla lettera successiva la convinse ad aprirla: era di Nereis.
Rosehan,
scusa se il giorno della Grande Battaglia sono scomparsa e non ho fatto nulla per rintracciarti per farti avere mie notizie. Io sto bene, sappi solo questo. Dopo tre giorni estenuanti di lotta, sono riuscita a liberarmi dal giogo delle mie sorelle di sangue. Ho cancellato il tatuaggio dal braccio e mi sono liberata della Congrega. Poi ho viaggiato molto e sono giunta a Pontianak, la città dei maghi. Mi sono iscritta all’Accademia e per ora sto studiando per diventare una maga, una Strega bianca a tutti gli effetti. Spero di riuscirci. Scusa se non mi attardo a scriverti di più, ma non ho mai amato scrivere. Spero comprenderai...
Nereis
“E così Nereis è riuscita a realizzare il suo sogno: diventare buona” pensò Roshean con la missiva in mano. “Be’... sono felice per lei, almeno sta cercando di inseguire i suoi desideri.”
Prese l’altra lettera. Era di Quing. Oh... almeno si era degnato di scriverle! L’aprì e iniziò a leggerla.
Ciao Rosehan,
sono felice di comunicarti che la spada di Shanas è stata posta nella sua teca, qui nella Biblioteca e il Re mi ha insignito di grandi onori per il ritrovamento. E finalmente la mia figura di bibliotecario a lungo discreditata dalle genti di questo luogo è stata ripristinata. Lo sai? Non sono più solo. Due aiutanti sono venuti a prestare il loro servizio all’Abbazia. Però se ti ricordi la cosiddetta spilla di Tara è completa solo se c’è il GrandeScudoD’Oro e la Testa di Drago D’Oro. Quindi ho potuto esultare a metà. Adesso il Re ha convocato un valoroso guerriero, un certo Elson, per cercare i pezzi mancanti della spilla. Ma essendo ormai in una posizione privilegiata (il Re mi ha ammesso più a volte a corte, se continuo di questo o diventerò Consigliere del Re... speriamo!), ho suggerito al Re il tuo nome...
«Cosa? Che diavolo mi combina quel pazzo?» sbottò infastidita Rosehan.
... non so se terrà in considerazione il mio suggerimento. Ti ho infatti scritto per avvertirti. Se giunge presso la tua casa un messo del Re per convocarti a palazzo, sarà perché allora il Re avrà accettato il mio consiglio...
«Quing! Ringrazia che non sei qui, perché ti staccherei la testa dal collo» ringhiò rabbiosa Rosehan, ma si avvide di essere stata troppo esagerata, perché Bryant scoppiò in lacrime.
«Scusami, piccino!» cercò di tranquillizzare il figlio prendendolo tra le braccia e
cullandolo. «La mamma era un pochino nervosa, ma non è accaduto nulla.»
Bryant la fissò con i suoi grandi occhioni verde-azzurri ancora pieni di lacrime, ma smise di piangere e afferrò con le paffute manine una ciocca dei suoi rossi capelli.
Rosehan con in braccio il figlio, riprese a leggere la lettera di Quing.
... quindi... tieniti pronta per un altro viaggio...
Quing He
“Ma che vada al diavolo! Non lo sa che sono moglie e madre e che non posso partire?” pensò con rabbia Rosehan. “Glielo dirò nella lettera di risposta.”
Prese l’altra missiva. Gliela scriveva Agheon, ma già dopo aver letto quella di Nalemi immaginava un po’ cosa ci fosse scritto.
Rosehan, mia cara amica,
che destino crudele il mio! Ho dovuto eseguire dei terribili ordini per servire Christian, un Re malvagio e privo di scrupoli. Dopo che è stato colpito da una lancia Daruk è diventato perfido ed ha sterminato il popolo degli elfi, distruggendo per sempre Aveyon. Devo prestare ancora i miei servigi, purtroppo non ho visto volare nel cielo l’aquila che mi indicava la fine del mio mandato.
Sono disperato, costernato. Chi meglio di te sa che la nostra natura non è per niente incline a fare del male? E invece mi sono macchiato di terribili ed efferati delitti. La mia è una richiesta d’aiuto Rosehan. Vieni qui a Luna di vetro, libera il Regno da questo grande male che ora l’affligge. Impugna di nuovo la valorosa spada di Shanas e combatti per queste genti. Loro aspettano un salvatore e solo tu puoi salvarli.
Ti prego, aiutami!
Agheon
Rosehan si turbò leggendo le parole di Agheon, riusciva a capire l’inquietudine e anche lo strazio dell’amico.
Posò il bimbo di nuovo a terra vicino a Feo e alla cagnolina che nel frattempo si erano appisolati, ma che grazie alla manina irruenta del piccolo Bryant si svegliarono di colpo spaventati.
Rosehan guardò il figlio con le braccia conserte: era davvero dispiaciuta per la triste sorte di Agheon. Cosa avrebbe dovuto fare? Partire per aiutarlo? O fingere di non aver ricevuto la missiva e ignorare del tutto la sua richiesta di aiuto?
Si riaccostò al tavolo. Le mancava ormai l’ultima epistola. L’aprì costernata e tutto si sarebbe aspettata, tranne che leggere quelle nuove e inaspettate parole:
Mia amatissima Rosehan,
ho fatto di tutto per evitarti, e ora proprio io ti cerco. Però volevo dirti quello che ti ho tenuto nascosto per tutto questo lungo tempo. Non so il perché. Forse mero egoismo? Però voglio farti sapere la mia verità, perché è di questo che si tratta.
Io ti amo Rosehan.
Ti ho amata dal primo momento che ti ho vista entrare nella mia Biblioteca. Credevo che evitandoti, sarei riuscito a dimenticarti. Ma mi sbagliavo. La lontananza non ha fatto altro che acuire i miei sentimenti nei tuoi confronti, amplificandoli e spandendoli all’infinito.
Ti amo come l’alba incendia il cielo la mattina, come il vento soffia tra i frondosi rami di un’antica quercia, come l’erba si avvinghia alla terra.
Dopo che ci siamo lasciati a quell’incrocio ho compreso che la mia vita senza di te non ha significato.
Ormai sono diventato l’ombra di me stesso. Non mangio più. Non dormo più. Penso solo a te, al tuo delizioso visino, ai tuoi splendidi occhi... alla tua tenera fragilità che vorrei proteggere con tutto me stesso.
Perdonami se ti ho tenuta lontano da me, pur sapendo che mi amavi. Non volevo farti correre alcun pericolo perché, tu lo sai, la mia vicinanza può essere una minaccia per la tua vita.
Eppure so che la mia esistenza potrebbe assumere un senso solo se tu fossi accanto a me.
Perdona il mio egoismo, ma non posso vivere senza la tua presenza.
Le nostre sono due anime simili, lo so. Lo sento. Solo tu puoi liberarmi dal dolore che mi attanaglia.
Ho bisogno di aria, di respirare, di respirare il tuo dolce profumo, di percipire il delicato tremito del tuo esile corpo contro il mio. Il tocco gentile delle tue mani sul mio viso, i miei capelli, di sfiorare con le mie le tue labbra.
Rosehan... sono alla tua mercè. Fai di me ciò che più desideri, ma ti prego non ridere dei miei sentimenti. Sono sinceri. Puri. Desidero soltanto vivere tutta la mia vita con te. Ti seguirò anche nella morte. Sì... rinuncerò alla mia immortalità per te. Soltanto per te.
Tuo Lepang
Rosehan guardò sconvolta la lettera. Iniziò a tremare. Il suo Lepang, il suo amato Lepang in realtà l’amava? Non poteva crederci.
“Ma... quando ha scritto questa lettera?” pensò, cercando con ansia la data. Le mani le si erano ghiacciate per l’emozione e tremavano. La lettera era solo di qualche giorno prima che si sposasse con Raffael.
«No» gemette con dolore. «Ma perché l’ho ricevuta solo ora?»
Si sedette affranta sulla sedia. E iniziò a singhiozzare scoraggiata.
“L’ho perduto, per sempre” pensò disperandosi ancora di più.
Bryant continuava a giocare sereno con Feo, incurante delle lacrime della madre.
Rosehan posò le bianche mani sulle lettere aperte. Al suo dito brillava Gernet accanto all’anello nuziale.
“Cosa posso fare? Tutto è perduto...”
Si mise a giocherellare nervosamente con l’anello nuziale. Lo sfilò dal dito.
“Ho sposato Raffael solo per non rimanere sola, perché ho compreso che un forte senso di gratitudine nei miei confronti lo spingeva a desiderarmi al suo fianco, avendolo liberato da quella terribile maledizione che lo costringeva a essere il cattivo mago Erchamon.”
Si diresse verso la finestra, scostò un poco la tendina e guardò il giardino ben curato antistante la casa.
“Lepang giunge tardi. Mi spiace per lui. Sono una donna sposata e non posso tradire la fiducia che mio marito ripone nei miei confronti” pensò riprendendo a piangere. “Devo essergli fedele. L’ho promesso.”
Si volse verso il figlioletto che giocava con il gatto, sorridendo di tanto in tanto.
“Lo devo a mio figlio. Sono sempre cresciuta in una splendida e unita famiglia. Vorrei che anche Bryant crescesse con questo valore.”
Si voltò di scatto.
“Ma che diavolo sto farneticando? Io amo solo Lepang. Non ho smesso di amarlo un solo giorno...”
Guardò l’unico anello che le era rimasto al dito: Gernet. E le balenò un’idea.
“Se me lo togliessi, mi porterebbe indietro nel tempo? Forse mi condurrebbe da lui...”
Esitò alcuni istanti, le sue dita lo spingevano un po’ su, poi un po’ giù. Era davvero combattuta.
“Non posso” pensò voltandosi di nuovo e dirigendosi verso il tavolo della cucina
dove c’erano le lettere aperte.
L’ultima, quella di Lepang, giaceva ancora in bella vista.
“Desidero soltanto vivere tutta la mia vita con te. Ti seguirò anche nella morte. Sì... rinuncerò alla mia immortalità per te. Soltanto per te.” Rilesse.
L’anello nuziale dorato brillava sul tavolo.
“Perdonami, Raffael” pensò tra le lacrime.
Iniziò a sfilare lentamente dal dito Gernet.
Le avventure di Rosehan continuano nel libro della saga: Il Binaker, dente di Drago rosse e altre leggende.
Personaggi
(in ordine di apparizione)
Capitolo primo
§ Rosehan: protagonista della storia. È una ragazza semplice che ama molto la natura.
§ Degon: padre di Rosehan.
§ Calime: madre di Rosehan.
§ Felagund: detto anche Stregone delle Caverne perché vive in una spelonca.
§ Ferlong: ragazzo che aiuta nei campi il padre di Rosehan.
§ Alison: nutrice di Rosehan; la diede in adozione appena nata.
§ Fuinuir: l’Uccisore delle Tenebre, detto anche “Viandante delle Tenebre” o anche “Cacciatore delle Tenebre”.
§ Karen: la vera madre di Rosehan; è un’ Incantatrice.
§ Aegnor figlio di Kamen: guerriero al quale Rosehan deve portare la fulgida spada di Shanas.
§ Aerandir: mago eremita delle colline di Clamtan.
Capitolo terzo
§ Christian: ragazzo arciere che Rosehan incontra a Umyon. Principe del Regno Luna di vetro. È della stirpe dei Drowallack.
§ Re Erothu e lady Annael: sovrani del regno Luna di vetro. Zii di Christian.
Capitolo quarto
§ Quing He: abitante della città di Kina, lavora nella Biblioteca di Tara.
§ Nereis: ragazza conosciuta a Tara.
Capitolo quinto
§ Elros di Malwen: vecchio mago che cerca Rosehan.
§ Dewery: consigliere di Re Erothu.
§ Misya e Lynn: principesse gemelle. Misya è destinata a diventare Sacerdotessa del famoso Tempio di Ayon.
Capitolo sesto
§ Ylenia: figlia di Darshall, figlio a sua volta del Cavaliere Bloch e di Nyasa.
§ Zalmeja: una delle Tredici Streghe Nere.
Capitolo settimo
§ Lady Kiera: principessa del Regno Corallo D’Avorio, futura sposa di Christian.
Capitolo ottavo
§ Erchamon: mago malvagio che ha causato la Grande Battaglia.
Capitolo nono
§ Uentha: regina degli elfi del popolo Emerdyl delle Acque, dona a Rosehan un amuleto magico, l’antico Eyurwen, che possiede il potere delle Cinque città elfiche del GranRegno.
Capitolo decimo
§ I Nugh: soldati al servizio della potente maga Carlyn; volano sopra degli immensi dragoni neri e combattono con le lance Daruk, molto pericolose per i sensitivi Sindarin come Christian.
§ Lady Kiera: principessa, promessa sposa di Christian.
Capitolo undicesimo
§ Agheon: Quarto possessore della famosa spilla di Tara.
§ Carlyn: potente maga.
Capitolo dodicesimo
§ Maestro Obichi: maestro di spada di Rosehan; le insegna a usare la spada di Shanas nella città del Sol Levante.
Capitolo quattordicesimo
§ Xiwàn: locandiere di Kina.
Capitolo quindicesimo
§ Lepang: uno dei possessori della cosiddetta spilla di Tara. La sua caratteristica è che è immortale e si rincarna nel corpo che trova vicino a sé prima di morire. Inoltre, assorbe l’energia se qualcuno muore nelle sue vicinanze.
Capitolo sedicesimo
§ Keduhu: nipote di Rajkot, antico cartografo. Vive a Hindi ed è un Incantatore di serprenti.
Capitolo diciannovesimo
§ Nalemi: uno dei possessori della cosiddetta spilla di Tara. Si trasforma nell’opposto delle persone al semplice contatto delle mani.
Capitolo ventitreesimo
§ Darek: garzone tuttofare al Castello di re Erothu. Ruba la famosa Chiave di Aveyon.
Capitolo ventiquattresimo
§ Eryn: attuale Sacerdotessa del Tempio di Ayon.
Capitolo ventiseiesimo
§ Il principe Kezich: è principe dello Stato indipendente di Ashtor, nel Regno Corallo D’Avorio.
Capitolo trentesimo
§ Raffael: mago. Rosehan lo salva dalla terribile maledizione che lo costringeva a essere il mago cattivo Erchamon.
Ringraziamenti e... qualche curiosità sul libro
Questo libro della saga è nato per caso. Il personaggio di Rosehan l’ho creato perché ho partecipato ad un GDR (un gioco di ruolo) in un Forum fantasy. La storia vera e propria invece, cioè la trama qui narrata, l’ho ideata grazie al corso di “Sceneggiatura e scrittura creativa” al quale ho partecipato nel 2010.
In un’esercitazione, durante il corso, mi hanno chiesto di inventare una storia a impronta. Ricordandomi del personaggio che avevo creato per il Forum, e letteralmente improvvisando, ho costruito tutta questa storia.
Ho iniziato però a scriverla poi, solo durante lo stage presso la Casa editrice ospitante, stage previsto dal suddetto corso. Fin da subito, chissà... forse perché già avevo costruito la trama grazie all’esercitazione, mi è venuto semplicissimo scriverla.
“Rosehan e la spada di Shanas” è un libro della saga che è nato davvero da una forte ispirazione. Sotto una “buona stella”, insomma. E di questo naturalmente sono felice.
Mentre lo scrivevo, ascoltavo la canzone “In punta di piedi” di Nathalie. Forse è inusuale, in genere si ringraziano per lo più le persone, ma sento davvero di dovere molto a questa canzone in quando “musa ispiratrice”. Nella fase di correzione e riscrittura del romanzo invece, Muse ispiratrici sono state le bellissime canzoni della talentuosa Birdy e della elegante Lana Del Rey. In particolar modo, le canzoni: “Wings”, “Words As Weapons”, “Not About Angels” e “Light Me Up” (Birdy), “Summertime sadness” (Lana Del Rey).
Il romanzo, come avrete notato, è dedicato alla talentuosa Chiara Boz, una straordinaria grafica. Chiara è un’artista con l’A maiuscola. Ha “vestito” con le sue splendide realizzazioni grafiche i libri della saga “La sabbia delle streghe”, regalando senza ombra di dubbio grande prestigio alle edizioni dei miei libri.
Grazie Chiara per tutto, per aver dato forma alle mie idee e desideri realizzando queste splendide opere d’arte. Rosehan non poteva avere una cover più bella! Grazie di cuore!
Infine, volevo anche ringraziare la scrittrice Miriam Mastrovito per aver riveduto con cura il testo e la grafica Alessia Coppola per aver disegnato la cartina del GranRegno.
La saga ovviamente continua in altri libri. Questa non è altro che una delle tante storie che vi fanno parte. Spero che vi sia piaciuta e che abbia accresciuto in voi lettori il desiderio di leggerne ancora.
Amo questa saga fantasy, non lo nascondo. E vorrei riuscire a trasmettere il mio stesso amore ed entusiasmo anche a voi. Scrivo con grande ione. Adoro raccontare storie, perché fin da bambina ero dotata di un’immaginazione sfrenata. Questa immaginazione andava assolutamente raccontata su fogli di carta, affinché la custodissero nel tempo e non andasse perduta... per sempre... e invano...
Teresa
Scopri anche gli altri libri della saga
Sei curioso di scoprire le altre storie della saga fantasy “La sabbia delle streghe”? Ecco allora i libri pubblicati finora (ordinati secondo la numerazione prevista del piano dell’intera opera):
1) La sabbia delle streghe, La leggenda di Primrose*
Primo libro della saga e primo libro della trilogia dedicata alla principessa Primrose. Lo trovi soltanto in formato cartaceo presso la Butterfly edizioni.
Pagg.: 100
Prezzo: 11€ (Maggio 2011)
2) La sabbia delle streghe, Alla ricerca dei ricordi*
Secondo libro della saga e secondo libro della trilogia dedicata alla principessa Primrose. Lo trovi solo in formato cartaceo presso la youcanprint.
Pagg.: 280
Prezzo: 13€ (Dicembre 2013)
9) La sabbia delle streghe, Yinger e l’Antico Tomo*
Nono libro della saga. Lo trovi presso la youcanprint in formato cartaceo.
Pagg.: 305
Prezzo: 15€ (Agosto 2013)
* Tutte queste cover sono state realizzate da Chiara Boz
Link utili
Vuoi scoprire tutto sul mondo della scrittrice? Visita allora il suo diario personale, il blog “Il diario di Teresa”
http://ildiarioditeresa.wordpress.com/
oppure iscriviti alla pagina fan su Facebook che si intitola “My world of Teresa Di Gaetano scrittrice” per essere sempre aggiornato su tutte le novità del mondo della scrittura della scrittrice:
https://www.facebook.com/myworldofteresadigaetanoscrittrice
Il blog ufficiale della saga invece è:
http://lacrimedicristallo.blogspot.it/
(diventa follower e iscriviti alla newsletter del blog per rimanere aggiornato in tempo reale su tutte le novità della saga)
Tutti questi link sono facilmente rintracciabili in internet. Basta digitare: Il diario di Teresa e La sabbia delle streghe e li troverete subito!
Piano dell’intera opera
Ho notato che alcuni lettori si sono sentiti un po’ confusi riguardo i volumi della saga, questo perché magari i romanzi non stanno uscendo in base alla numerazione prevista nel piano dell’intera opera, ma in ordine del tutto casuale.
Per questo motivo vorrei riportare qui l’elenco dei titoli previsti della mia serie di libri, sperando così di ovviare a questo piccolo inconveniente.
La leggenda di Primrose (edito)
Alla ricerca dei ricordi (edito)
Primrose
Milmay la nuova regina
Handlin e il Regno Cristallo D’Oro
Hoyle e i Sette vasi azzurri di Kurshdt
La leggenda dei Quattro Spettri delle Terre di Arkin
Rosehan e la spada di Shanas (edito)
Yinger e l’Antico Tomo (edito)
Il Tesoro del Tempio di Ayon
Le Tredici Streghe Nere
Il Binaker, dente di Drago rosso e altre leggende
Una piccola news per tutti gli apionati della saga e del fantasy...
Volevo rendervi anche partecipi che da questa saga fantasy, ne nascerà (spero in un non troppo lontano futuro) una nuova che si intitolerà:
I Sette Regni di Duverger
_______________________________ [1] I fatti narrati in questa storia s’intendono svolgersi alcuni anni dopo la IV scissione. Quindi, il GranRegno è suddiviso in cinque regni: La sabbia delle
scissione. Quindi, il GranRegno è suddiviso in cinque regni: La sabbia delle streghe, Cristallo d’Oro, Colori di pietra, Luna di vetro, Corallo d’Avorio.
[2] Rosehan e i suoi genitori, Calime e Degon, vivono poco lontano dal villaggio Noormit, nel regno Corallo d’Avorio.
[3] Felagund è lo Stregone delle Caverne, cioè lo stregone del villaggio. Cura tutti e tiene gli Annali del villaggio. Gli Annali del villaggio sono i racconti della vita del villaggio. Li annota nel Grande Libro, contemporaneamente ad altri quattro scrivani, uno in ogni Regno, quindi in diversi villaggi.
[4] Il villaggio è Noormit nel regno Corallo d’Avorio
[5] Piccola lancia solitaria. Usata contro gli spiriti maligni. Propiziatorio di buona fortuna.
[6] Città dove si combatte la Grande Battaglia, a confine tra i due regni, Colori di pietra e Luna di vetro.
[7] Queste colline si trovano nel regno Corallo d’Avorio, a pochi km da Noormit, villaggio dove vive Rosehan.
[8] Si trova nel Regno Colori di pietra
[9] Tara si trova nel regno Corallo d’Avorio
[9] Tara si trova nel regno Corallo d’Avorio
[10] L’ha abbandonata Aalborg, servo di Kandahar, principe di Duverger. Vedi libro della saga “Alla ricerca dei ricordi”, primo capitolo.
[11] Felagund
[12] Città nel regno Corallo d’Avorio
[13] Regnanti del regno Luna di vetro
[14] Si trova nel Regno La sabbia delle streghe
[15] Corallo d’Avorio
[16] L’Occhio del Sole è la fonte di vita degli abitanti del GranRegno. Si manifesta senza alcuna periodicità e dopo che sono apparsi dieci raggi (vedi gli altri libri della saga).
[17] I Sindarin sono un particolare quanto raro genere di sensitivi. Ne nasce uno ogni cento anni. Sono di natura benigna, però se colpiti da una lancia Daruk diventano in modo irreversibile malvagi e, quindi, molto pericolosi. Percepiscono il pericolo prima ancora che accada, però questo loro potere è latente. Occorre un adeguato addestramento.
[18] I Cuori di vetro sono realizzati dalla strega Umbribel, una delle Cinque Streghe fondamentali del GranRegno. Questa strega raccoglie la pioggia, che poi trasforma in Cuori di vetro che sparge per tutto il GranRegno. Chiunque li trovi, avrà fortuna. In pratica sono dei portafortuna. (Vedi pag.35 del libro della saga “Alla ricerca dei ricordi).
[19] Si trova nel Regno Corallo D’Avorio. È una città elfica, una delle cinque. Un’altra città elfica è Aveyon, si trova al confine tra il Regno Corallo d’Avorio e Luna di vetro. Da anni contesa tra i due regni proprio perché è situata al confine.
[20] Le Cinque Streghe si trovano ognuna in uno dei Cinque regni del GranRegno e sono: Christabel (si trova nel regno La sabbia delle streghe), Umbribel (si trova nel regno Colori di pietra), Amabel (nel regno Luna di vetro), Isabel (nel regno Corallo D’Avorio) e Halisabel (nel regno Cristallo D’Oro). Ognuna ha dei particolari poteri. Si consultino gli altri libri della saga, dove se ne parla diffusamente per saperne di più.
[21] Si trova nel regno La sabbia delle streghe
[22] Ricordiamo che è principe del regno Luna di vetro
[23] È un Regno a parte, che dista dal GranRegno solo tre giorni di cammino. Naturalmente dopo aver superato la famosa Piattaforma di Lex. Vedi libro della saga “Milmay la nuova regina”.
[24] Vedi secondo libro della saga, La sabbia delle streghe – Alla ricerca dei ricordi
ricordi
[25] È un medaglione quadrato, fonte del potere delle Tredici Streghe Nere. Si alimenta con i Shin delle streghe, cioè la loro aurea magica.
[26] La città dei maghi. Vi si trova una delle più prestigiose accademie della magia. La città si trova nel Regno Corallo D’Avorio.
[27] Si parla de Le porte dimensionali nel libro della saga “Yinger e l’Antico Tomo” a pag. 275, 276, 277 in poi.
[28] È il ciondolo che porta al collo Zalmeja. Da questo dipendono tutti i poteri magici delle Streghe Nere. Per saperne di più, consultate il volume della saga Yinger e l’Antico Tomo.
[29] Cittadina rurale del regno La sabbia delle streghe
[30] Città elfica ai confini del Regno Corallo D’Avorio e Luna di Vetro
[31] Nel Regno Corallo D’Avorio
[32] I Cacciatori di taglie sono dieci Incantatori che si intendono di magia nera per combattere contro Le Tredici Streghe Nere. Vedi libro della saga “Yinger e l’Antico Tomo”.
Indice
Capitolo primo Capitolo secondo Capitolo terzo Capitolo quarto Capitolo quinto Capitolo sesto Capitolo settimo Capitolo ottavo Capitolo nono Capitolo decimo Capitolo undicesimo Capitolo dodicesimo Capitolo tredicesimo Capitolo quattordicesimo Capitolo quindicesimo Capitolo sedicesimo Capitolo diciassettesimo Capitolo diciottesimo
Capitolo diciannovesimo Capitolo ventesimo Capitolo ventunesimo Capitolo ventiduesimo Capitolo ventitreesimo Capitolo ventiquattresimo Capitolo venticinquesimo Capitolo ventiseiesimo Capitolo ventisettesimo Capitolo ventottesimo Capitolo ventinovesimo Capitolo trentesimo Capitolo trentunesimo Capitolo trentaduesimo Personaggi Ringraziamenti e... qualche curiosità sul libro Scopri anche gli altri libri della saga Link utili Piano dell’intera opera