Teresa Di Gaetano
La Sabbia delle Streghe
Alla ricerca dei ricordi
Romanzo fantasy
Youcanprint Self – Publishing
Titolo | La sabbia delle streghe, Alla ricerca dei ricordi
Autore |Teresa Di Gaetano
ISBN | 9788891155245
Prima edizione digitale: 2014
© Tutti i diritti riservati all’Autore
Youcanprint Self-Publishing
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Là dove la foresta sfiora il cielo,
quello è il paese che fa per me.
Louis L’Amour
Dedico questo romanzo ad Adriana, Silvia e Gabriele,
i miei nipotini, affinché crescano amando la lettura
e, più in generale, le storie... come sono cresciuta io!
E ad Anna, piccola donna del domani.
Prima parte
Capitolo Primo
“La Nebulosa di Havelock”
«Padron Kandahar, siamo ancora molto lontani dal castello di Primrose?» chiese con voce querula Aalborg, il servo, estraendo la borraccia da una delle sacche.
«Sì» rispose il padrone con uno sguardo benevolo, «ma speriamo di fare in tempo: la mia adorata figlia, Milmay, sta troppo male e solo la principessa può aiutarla.»
Aalborg, incurante della risposta, bevve con avidità l’ultimo sorso d’acqua rimasto. Insoddisfatto dal sapore ferroso, fece una smorfia di disgusto.
Poi, capovolse la borraccia per vedere se ne fosse rimasta qualche altra goccia. Per alcuni istanti, il tappo penzolò nel vuoto come un pendolo, e la catenina si arrotolò su se stessa. Con impazienza cercò di srotolarla, mentre guardava l’interno: era completamente vuota.
Allora, con un gesto infastidito, la lasciò cadere a terra.
Proseguì a camminare, incespicando dietro al suo padrone.
Partiti da alcuni giorni da Duverger, luogo poco lontano dal GranRegno, Kandahar e Aalborg stavano attraversando Il deserto della solitudine.
«Padrone, e se…» interruppe il fluire dei suoi pensieri, laconico.
«Non pensarlo nemmeno! Riusciremo a trovarla. La mia preoccupazione è un’altra, invece» ammise Kandahar, ma la frase rimase a metà poiché un inatteso brivido gli percorse la schiena.
«Guardate lassù, nel cielo!» gridò sbalordito il servo, indicando un fascio di luce.
«È la Nebulosa di Havelock[1], cattiva consigliera. Appare tutte le volte che accade qualcosa di spiacevole» spiegò allarmato Kandahar.
Il fascio luminoso scomparve, lasciando nel cielo solo una pallida luminescenza.
«Che potenza!» esclamò sbalordito Aalborg, mettendosi le mani sulla testa.
«Sbrighiamoci» lo esortò Kandahar.
I due ripresero il cammino. Avevano portato solo un cavallo, che trasportava sulla groppa le provviste; la sua andatura claudicante scandiva un ritmo lento, all’unisono con i loro i.
Ad un tratto, Kandahar guardò l’orizzonte, preoccupato. Un vento tiepido accarezzava i granelli di sabbia e li sollevava come impalpabili grumi. I rami, carichi di gemme di rugiada, brillavano e la brezza li scuoteva con dolcezza.
Kandahar si avvicinò a un ramo. «Osserva.»
Il servo si arrestò di colpo e raggiunse il padrone. Obbedì all’ordine, cercando di capire cosa ci fosse di tanto strano, ma non ci riuscì. Così lo scrutò perplesso e attese che parlasse.
«Le gemme di rugiada sugli alberi… Se scaviamo non le troveremo, ritornano sul ramo: non c’è rigenerazione né abbondanza. Vuol dire solo una cosa: qualcuno morirà presto. Qualcuno di molto importante…» Scosse il ramo e le gocce caddero senza bagnare il suolo.
«Vedi? Questa è la conferma» continuò Kandahar, poi si inginocchiò per osservare più da vicino il punto dove erano scomparse.
Rivolse quindi lo sguardo verso l’orizzonte.
«Ah» esclamò il servo per nulla preoccupato, «credete sia qualcuno che conosciamo?»
Kandahar scosse la testa in segno di risposta.
«Potrebbe trattarsi di un sovrano del GranRegno» ipotizzò senza tanta convinzione.
«Primrose?» azzardò il servo.
Il padrone si soffermò a fissarlo per alcuni istanti, poi mormorò: «Spero proprio di no.»
Si rialzò e con le mani scostò la sabbia dalle sue vesti regali.
Ripresero di nuovo il cammino, in silenzio. Aalborg teneva le redini del cavallo, stando indietro di qualche o rispetto a Kandahar, e di tanto in tanto si fermava per asciugarsi il sudore dalla fronte. Avanzava a fatica, in cuor suo desiderava salire in groppa al cavallo.
Guardò di sbieco il padrone, indeciso sul da farsi, infine, con voce querula, propose: «Padron Kandahar, possiamo riposarci un po’?»
«Mi dispiace: non possiamo fermarci, mio buon servo. Dobbiamo cercare di raggiungere il più in fretta possibile il castello di Primrose. »
Aalborg si arrestò alquanto deluso. Kandahar si volse verso di lui; notando la sua frustrazione, ribadì: «Vieni, sali sulle mie spalle. Ti porterò io.»
Immerse nell’orizzonte sabbioso, le sagome scure si fo in una: il servo era salito sulle spalle del padrone che, con o malfermo, aveva ripreso a camminare.
“Stai tranquilla, figlia mia, tuo padre ti salverà”, pensò ansioso Kandahar, sospirando.
***
Era ormai trascorso molto tempo da quando avevo appreso di essere Primrose. Vivevo nel castello, ma senza ricordare nulla, assieme a mia madre[2].
Guardavo l’orizzonte per cercare di rammentare il mio ato, ma un vuoto incolmabile riempiva l’anima.
Alcune immagini erano impresse nella mia mente, ma per me erano soltanto frammenti di pensieri senza alcun senso: vedevo volteggiare nel cielo la mia sagoma e quella di Chidley[3]. Incedevamo per mano con le tuniche svolazzanti e poi una piattaforma bianca e lucente, la piattaforma di Lex[4], si apriva davanti ai nostri occhi e ci accoglieva con le sue piccole vie variopinte. L’immagine svaniva di colpo e lasciava il posto all’orizzonte lambito dalla monotona luce.
Forse fu proprio quest’ansia di conoscere la verità che mi spinse a cercare i miei
ricordi. Non ero sicura infatti che vivere così, fra le quattro mura della camera, a lungo andare mi sarebbe piaciuto e mi sarebbe stato d’aiuto.
Nonostante il tempo trascorso, la stanza per me rimaneva sconosciuta. Pensai che avrei dovuto cercare altrove i miei ricordi, nei luoghi e nelle persone che Primrose aveva incontrato prima di perdere la memoria. In una parola: viaggiando.
Quel pomeriggio mi avvicinai lentamente allo specchio e cercai nella figura riflessa qualche indizio della mia vita ata. Non c’era nulla, a parte una ragazzina riccamente abbigliata, che mostrava un volto da adolescente, carico di struggimento.
Volevo disfarmi dei miei boccoli dorati e anche degli abiti principeschi. Sfilai il primo nastrino della acconciatura e, mentre aprivo rapidamente l’armadio alla ricerca della tunica del viaggio precedente, la ciocca che avevo liberato cadde sul petto.
Mentre mi perdevo dentro l’armadio, sentii bussare alla porta. Mi voltai e, dopo aver dato il permesso di entrare, riconobbi sull’uscio Chidley, sorridente.
«Oh,sono così triste! Sto cercando di ricordare chi ero e cosa facevo, ma è tutto inutile!» sbottai sconfitta.
Lui annuì rassicurante. «Hai bisogno di tempo. È importante che riacquisti i tuoi ricordi: senza non potresti mai governare.» Quindi mi fissò con grande attenzione. «Vieni con me, nel mio castello. Forse lì ne troverai alcuni.»
Le nostre immagini si riflettevano allo specchio: mentre il mio viso era corrucciato, quello del principe si mostrava sereno.
«Chidley, come ero?» domandai.
«Come sei ora» rispose.
Si avvicinò e il suo abbraccio mi avvolse completamente.
«Non capisco» mormorai avvilita, sprofondando tra le sue braccia.
«Perché non ricordi, è semplice. Forse non sei del tutto libera» aggiunse pensieroso, adagiando il mento sul mio capo.
«Ozark è stato sconfitto» protestai con debolezza.
«Lo so. Ma era un mago potente, probabilmente…» Non continuò la frase, qualche pensiero lo aveva turbato.
Ci sedemmo sul letto, ancora abbracciati.
Mi abbandonai alla sua dolce stretta, mentre mi riempiva il volto, le mani e il collo di baci, finché i nostri corpi si unirono in uno solo e la meravigliosa “scintilla” che si chiama amore, ci strinse sempre più l’uno all’altra.
«Rimarrò per sempre con te» mi sussurrò all’orecchio parecchi minuti dopo, mentre si alzava dal letto. «Lo sono già stato, e il mio spirito ti accompagna. Non voglio vederti soffrire. Se avrai bisogno di tempo per cercare i tuoi ricordi, io non te lo impedirò.»
Mi cinse la vita e mi baciò teneramente il collo ancora una volta, prima di staccarsi. Poi scostò con amorevole cura una delle ciocche ribelli, caduta su una gota. «I tuoi pensieri, le tue preoccupazioni sono anche le mie» ribadì a fior di labbra e mi baciò con tenerezza la fronte.
Stava per aprire la porta, quando compresi tutto. «Mi hai protetto durante il viaggio, non è vero?»
Lui sorrise dolcemente. «Volevo che arrivassi presto a me. Sarai al sicuro da ogni male, finché sarò al tuo fianco» sussurrò.
Vidi una luce accendersi nei suoi occhi, poi la porta si richiuse alle sue spalle.
Trovai dentro l’armadio la mia vecchia tunica e la infilai: finalmente mi riconoscevo.
L’indomani partii.
Mia madre mi strinse a sé e mi raccomandò: «Figliola, sii forte. Abbi fede. Forse, quando ricorderai, proverai dolore ma è necessario per raggiungere la felicità.»
Chidley mi prese per mano. «È giunto il momento. Dobbiamo andare, Primrose.»
Mentre ci allontanavamo, ripensai al viso di mia madre.
«Avrò fede, mamma» bisbigliai mestamente, senza che però lei riuscisse a udirmi.
Quel giorno la mia anima si riempì di infinita tristezza. Mille pensieri si affollavano nella mente, mentre il castello scompariva alle nostre spalle, inghiottito dall’orizzonte.
Avrei affrontato molte disavventure prima di farvi ritorno ma, ovviamente, non potevo ancora immaginarlo.
Ricordando questo, contemplai ancora l’immagine della piattaforma di Lex, mentre le nostre sagome si dissolvevano nella lucentezza dell’orizzonte. In quel bagliore, i nostri corpi diventavano uno: un’ombra informe e scura.
Capitolo Secondo
“Il viaggio”
«Signor Lunn, Mister Riapath, state bene?» chiamò a gran voce Baka, un ragazzino di tredici anni. «Dove siete? Sally è con voi?»
Non ci fu alcuna risposta. Allora guardò tristemente l’orizzonte: i rottami dell’aereo da poco precipitato si ergevano ovunque. Le nuvole di fumo impregnavano l’aria e gli impedivano una visuale più approfondita.
«Tutto bene» udì la voce del signor Lunn, da lontano. «Ma non so dov’è Riapath, né mia figlia Sally.»
L’uomo agitò la mano e Baka si volse in quella direzione. Lo vide ricoperto di polvere con il braccio alzato, mentre gli faceva segno di avvicinarsi. Gli corse incontro, contento.
«Oh! Per fortuna state bene, ma Sally e Mister Riapath dove sono?» chiese il ragazzino ancora una volta.
«Non lo so. Anzi, credevo fossero con te» rispose il signor Lunn, piuttosto preoccupato per sua figlia.
Si guardarono attorno, ma videro soltanto i rottami del velivolo precipitato, sparpagliati nella pianura dove erano atterrati d’emergenza. Il fumo grigio si levava verso il cielo e chiunque avrebbe potuto notare da lontano l’incidente.
«Sally!» chiamò l’uomo con voce stridula. La sua invocazione sembrò più una pretesa che un richiamo, ma non ottenne ugualmente risposta.
Ripeté il nome della figlia con ancora più ostinazione. Di nuovo nulla; udì solo il crepitare del fuoco. Poi, alla sua sinistra sbucò all’improvviso il capo di una ragazzina.
«Guardi! Qualcosa si muove, laggiù!» strillò Baka, indicando con veemenza la direzione.
«Sto bene» li assicurò Sally. Tossì forte e si scrollò la polvere di dosso.
«Oh! Ringraziando il cielo, sei salva!» Il padre sospirò, sollevato. «Ma… Riapath?» domandò l’anziano signore.
Sally scosse la testa.
Il signor Lunn batté le mani. «Ecco fatto! Abbiamo perso il capo della nostra spedizione!» esclamò esasperato.
«E adesso cosa facciamo?» chiese Baka afflitto.
«Forse è meglio che ci allontaniamo da qui» consigliò Sally preoccupata.
«Mi rendo conto che la situazione è difficile, ma adesso dobbiamo pensare al nostro viaggio» disse il signor Lunn rivolto ai ragazzi.
Colpì con un pugno l’aria densa di fumo e di polvere. «Tutta colpa del Capitano Morris!»
«Aspettiamo un altro po’» suggerì la ragazza, bloccando il pugno del padre tra le mani. «Nessuno ha sbagliato: quella tempesta di sabbia avrebbe distrutto qualsiasi cosa.»
«Ma ci è andato contro!» protestò irritato il signor Lunn.
Sally si strinse nelle spalle: il padre aveva ragione ad essere arrabbiato, ma ora l’unica cosa che potevano fare era attendere.
«Forse qualcuno dei eggeri è rimasto in vita e sta cercando aiuto da qualche parte. Ad esempio, mister Riapath» mormorò Baka.
Si guardarono attorno allibiti, ma tutto lasciava presupporre che fossero completamente soli.
«Anche questo è un problema: capire dove siamo finiti» sostenne l’uomo trasecolando.
«Non sarà poi così difficile» ammise Sally.
Gettò uno sguardo incredulo sulla figlia. «Che vuoi dire?»
«Ero nella cabina di pilotaggio. Ricordo le coordinate di atterraggio d’emergenza, il Capitano Morris le ha riferite alla Torre di Controllo prima che l’aereo precipitasse. Potrei fare qualche calcolo con il mio roetter[5] per cercare di stabilire dove siamo» spiegò tutto d’un fiato la ragazza.
Il signor Lunn sorrise: «Figlia mia, ci affidiamo a te allora.» Le mise una mano sulla spalla per confermare la sua fiducia.
«L’unico consiglio che posso dare per ora è allontanarsi da questo posto. E al più presto.» Non appena ebbe finito di pronunciare queste parole, sobbalzarono a causa di un’esplosione.
Si coprirono la testa per il rumore assordante e si allontanarono di corsa.
Si sedettero a terra, poco distante. Il signor Lunn si lisciò i baffi e si accese un sigaro già consumato a metà, poi infilò sul capo il cilindro rovinato che era riuscito a salvare in tempo. Baka si mise a giocare con un sassolino e rimase a osservare da lontano i resti del velivolo con rammarico, mentre Sally tracciava per terra una mappa approssimativa, basandosi sui calcoli che ricordava.
***
Finalmente io e Chidley, dopo parecchio tempo, giungemmo nel suo regno[6].
Il viaggio era stato piacevole, anche se più volte avevo chiesto al mio sposo di raccontarmi gli eventi ati. Chidley non si sottraeva alle mie richieste, ma sembrava volesse nascondere qualcosa riguardo al nostro primo incontro.
Fleur, la mia nutrice, mi aveva raccontato della prigionia che avevo subìto a causa del padre di Chidley, re Melville: probabilmente era questo il rammarico del mio compagno, il ricordo che gli procurava più dolore.
Chi era Primrose nella vita ata? Che cosa faceva? Chi conosceva? Chi aveva incontrato lungo il suo cammino? E chi, infine, le aveva negato, anche solo per un breve periodo di tempo, la libertà?
Re Melville ci attendeva nella Sala grande, seduto sulla scranna regale. Il suo aspetto burbero mi mise addosso una certa soggezione, soprattutto quando mi salutò con un breve accenno della mano. Inchinai timorosa il capo per ricambiare.
Lady Vivien, la madre del mio amato, sedeva accanto a lui. Con un cenno mi chiese di avvicinarmi e così feci.
«Salute a voi, principessa» disse la regina, «e salute anche a vostra madre.»
«Grazie» risposi a fior di labbra.
«Spero che il soggiorno in questa terra vi sia di giovamento. Conosciamo il male che vi affligge e ci uniamo alla vostra sofferenza. Pregheremo affinché la guarigione giunga il prima possibile.»
Accanto a lei c’era Dallek, il consigliere di corte. Mentre Lady Vivien mi salutava, lui sorrideva beffardo.
«Lo spero vivamente anch’io» ammisi afflitta.
Dopo queste parole, Re Melville alzò un sopracciglio in segno di disappunto.
«Vogliate scusarci» intervenne subito Chidley, «ma Primrose è stanca per il lungo viaggio. Vorrei che si ristorasse e, dopo, visitasse con noi la bella città di Kirkwood.»
Il padre guardò il figlio in modo truce, e in tono alquanto scorbutico disse: «Consideratevi congedati. Il viaggio tra i due Regni è impervio, andate pure a ristorare le membra stanche.»
Dopo aver pranzato, il mio principe mi fece visitare Kirkwood.
Attraversata dal fiume Canon e nata dalla fusione di due città, Kirk nella sponda occidentale del fiume e Wood nella sponda orientale, Kirkwood si stagliava nella parte sud-ovest del centro urbano, tra i resti del dominio coloniale dei Galway, una popolazione indigena del luogo.
Gli abitanti della città, al nostro incedere, si inchinavano con devoto ossequio. Il principe rideva vedendomi così meravigliata da tale devozione.
«Qui tutti ci amano» fu l’unico commento del mio sposo. «Sei l’Imperatrice di due grandi Regni, Rose. Non dimenticartelo, non dimenticare il tuo dovere di sovrana. Mai!»
***
Un giorno, di punto in bianco, mentre eggiavamo nel giardino del suo castello, gli chiesi: «Vorrei vedere il luogo in cui mi hanno tenuta prigioniera.»
Chidley si fermò di colpo, rabbuiato.
«Non è possibile.» Il tono della sua voce sembrava non ammettere repliche ma, conscia del mio potere su di lui, insistetti.
«Hai detto tu stesso che visitando il tuo castello avrei avuto più occasioni di ricordare. Quale migliore posto se non il luogo del nostro primo incontro?»
Mi rivolse uno sguardo amareggiato, mentre il suo viso assumeva una smorfia di autentico dolore. Tacitamente mi stava invitando a desistere.
«Chidley» protestai risoluta, «sono la tua sposa: ho il diritto di sapere.»
«Primrose, non credo sia opportuno che tu ritorni nelle segrete del mio Castello.»
«C’è forse qualcosa che dovrei sapere e che ti ostini a tenermi nascosto?»
«No» obiettò tentennando. «È solo che… non è un bel ricordo, tutto qui. Non per me, almeno.»
«Lo capisco, ma forse rivedere quel luogo mi farà ricordare qualcosa del mio ato, non credi?»
Rimase in silenzio. Trovavo scostante il suo modo di opporsi al mio desiderio.
Si fermò di colpo. «Non puoi!»
«Lo chiederò a tuo padre, allora» conclusi risoluta.
Stavo per andarmene offesa, quando mi afferrò per un polso. «No, non rivolgerti
a lui. Te ne prego» mi supplicò.
Lo guardai torva per alcuni interminabili istanti. «Dammi le chiavi delle celle: la troverò da sola.» Gli tesi la mano.
Chinò il capo, sconfitto, dopo lo rialzò e disse affranto: «E va bene. Ti porterò nel luogo dove sei stata prigioniera.»
Raggiungemmo le segrete del Castello dopo aver superato diversi corridoi tortuosi e rampe di scale scoscese. Quando giunsi alla cella, il mio principe indugiò prima di aprire la porta.
Non lo sollecitai. In cuor mio desideravo solo che parlasse, che mi raccontasse per filo e per segno che cosa era realmente accaduto, ma lui non lo fece. Fra noi regnò un silenzio incontrastato, rotto solo dall’acqua che sgocciolava dal tetto.
C’era talmente tanta umidità lì dentro che l’acqua cadeva ovunque. I muri irregolari delle celle davano l’aspetto di caverne più che di prigioni.
Chidley spinse la malandata porta con un semplice calcio. Entrai intimorita e sgomenta. C’erano delle catene appese a un muro e, alla parte opposta, una lastra di pietra mal levigata che doveva fungere da letto o da sedia per il prigioniero.
Nessuna fenditura esterna permetteva alla luce del sole di entrare. Mi guardai attorno sconsolata.
«Sono stata parecchio tempo qui dentro?» gli domandai con voce strozzata. Era troppo penoso ammettere quanto avesse ragione: quel posto era davvero orrendo.
«Sì» asserì inespressivo, «molto tempo.»
La fiaccola che avevamo portato illuminava la cella in modo spettrale.
Mi sedetti sulla pietra mal levigata. «Allora, racconta… come ci siamo conosciuti?»
Mi raggiunse, infilò la fiaccola in una crepa sul muro e si sedette accanto a me.
«Per caso» replicò laconico.
Attesi qualche altra parola, nel frattempo mi guardai in giro, dispiaciuta. «Non vuoi dirmi altro?» gli chiesi corrugando la fronte.
«Ovviamente non vuoi ricordare, vuoi che ti racconti tutto io» rispose polemico.
Mi sfiorai la fronte con una mano e un lieve dolore mi scosse. Qualcosa stava finalmente riaffiorando. Vidi con nitidezza il volto di un giovane.
«C’era… un soldato, giusto?» sussurrai.
Chidley si corrucciò. «Bene, stai ricordando. Sì, era Albrow.»
«E?» lo incitai ancora.
Chidley sospirò prima di parlare. «Si era innamorato di te» mormorò.
«Cosa? Non capisco» esclamai stupita.
«Mio padre ti ha resa prigioniera? Ti ha rinchiuso in questa cella? Be’, c’era una guardia che ti sorvegliava e che ti portava il cibo.» Prese un profondo respiro. «Si era innamorato di te. È così che ho scoperto della tua esistenza.»
«Ma non mi avevi mai visto prima di allora?»
«No. Mio padre duellò con tuo padre...» qui gli si strozzò la voce in gola, «e lo uccise. Quando sei scesa in battaglia per proteggere il tuo regno, indossavi un’armatura tutta d’oro, come quella dei guerrieri più valorosi del Regno. Eri totalmente coperta. Ha scoperto solo dopo che eri una donna e che eri la figlia di re Lanfranco, quando ti tolsero l’armatura, assieme agli altri soldati. Eri svenuta. Tua madre seppe che eri stata fatta prigioniera, così issò sulle Torri del Castello le bandiere bianche della resa, sperando nella magnanimità di mio padre, ma lui era tronfio: non solo aveva ucciso il suo rivale e aveva conquistato il vostro regno, ma aveva nelle sue mani la figlia del re, la principessa. Non ti avrebbe mai restituita a tua madre, anche perché temeva che tu, un giorno, avresti trovato degli alleati per metterti contro di lui, iniziando così una rivolta senza precedenti nella storia del GranRegno.»
Tacque alquanto a disagio.
«Fleur mi aveva raccontato che mio padre era morto prima che il tuo attaccasse il nostro regno.»
«Mio padre ha ucciso il tuo in duello. Probabilmente a Fleur, persona a te vicina, non fu riferito per non allarmarti. Mi spiace, Rose, te l’avevo detto che non era un bel ricordo.»
Mi doleva doverlo ammettere, ma aveva ragione.
«Come mai sono scesa in guerra?»
«Non so cosa sia accaduto nel tuo castello[7] né cosa ti abbia spinto a combattere, dato che non sai nemmeno tenere in mano una spada. Da quello che mi hai raccontato, so solo che è stato per difendere il tuo regno.»
«E poi cos’è accaduto, dopo che mi avete catturata?»
«Avevi battuto la testa, sei rimasta incosciente per un po’ di tempo e hai trascorso quel tempo qui dentro» aggiunse seccato.
«E tu non eri in battaglia?»
«Io e Nassau combattevamo nell’altro fronte. Quando sei caduta nelle nostre mani, avevamo vinto, Rose. Avevo una gioia immensa nel cuore. Mio padre mi aveva sempre inculcato l’idea che voi eravate i nostri più acerrimi nemici, che lo avevate privato del suo regno. In realtà, non sapevo che tutte quelle fandonie erano solo dettate dalla sua brama di allargare il proprio dominio.»
«Oh» fu il mio unico commento. «E poi?»
«Albrow si è innamorato di te. Ho iniziato a osservarlo. Aveva un’aria così beata quando dalla cucina ava alle segrete del Castello. Mi sono insospettito, così un giorno gli ho dato un colpo in testa, l’ho legato e l’ho chiuso in una cella, quindi ho indossato la sua armatura e sono sceso nella tua.»
Lo guardai stupita.
«Appena ti ho vista, mi sono subito innamorato. Non credevo che l’amore potesse giungere così rapido.»
«E io cosa ho fatto?» Arrossii.
Lui ridacchiò. «Tu mi detestavi. Per te è stato un po’ più difficile innamorarti di me.»
Restammo in silenzio, entrambi imbarazzati. Guardai la parete di fronte con il viso in fiamme dalla vergogna.
«Ma io amavo Albrow?»
Non so perché feci questa domanda, forse un po’ scontata, ma vidi Chidley irrigidirsi.
«Sì» rispose dispiaciuto.
«Che fine ha fatto?»
«L’ho mandato in esilio, in un altro regno. Non ho mai sopportato l’idea del vostro amore. Era l’unico modo per averti mia. Mi spiace, Rose.» Mi guardò rattristato.
Abbassai lo sguardo. «Ne ho sofferto molto, non è vero?»
«Sì, per questo all’inizio mi hai odiato con tutta te stessa, e per me era inaccettabile. Sono stato io la causa di molte delle tue sofferenze… ecco perché non volevo che lo ricordassi.» Chinò il capo, mostrando un sincero dispiacere.
Posai la mia mano sulla sua per rincuorarlo. «Allora, quando mi sono innamorata di te?»
«Quando ho combattuto contro Athelston.»
«Scusa la domanda: chi è?»
«Un giovane che ti desiderava» rispose vago.
«Ma se ero chiusa qui dentro, come ha fatto a vedermi?»
«Sei stata portata al Mercato delle Schiave per essere venduta. Ti volevano comprare in tanti, ma lui prevalse.»
Compresi quello che non voleva dirmi palesemente. «Tuo padre non mi ha mai accettata?»
«È un po’ complicato da spiegare. Vedi, lui non sapeva che avevo mandato in esilio Albrow e che avevo preso il suo posto per incontrarti. Quando scendevo nella tua cella, indossavo l’armatura che mi copriva il volto. Quindi, lui era convinto che Albrow continuasse a svolgere il suo compito. Di solito, gli schiavi di guerra vengono venduti, essendo proprietà di chi li ha trovati. Viene considerato di buon auspicio. Così sei stata condotta al Mercato delle Schiave: se ti avesse comprata un ricco signore, saresti stata costretta a fare la schiava per sempre e… qualcos’altro. Se invece due compratori avessero combattuto per averti, il vincitore avrebbe avuto il potere di liberarti dalla condizione di schiavitù. È per questo motivo che mi sono battuto in duello con lui.» Mi guardò negli occhi. «Credo che solo allora tu abbia capito finalmente che eravamo nati per stare insieme, per sempre.»
Avvicinò il viso e cercò di baciarmi, ma io glielo impedii.
«Dunque, hai duellato contro Athelston e hai vinto.»
«Sì, ti ho liberata dalla schiavitù, ti ho conquistata e ti ho sposata, restituendoti così il regno.»
Credevo che il racconto di Chidley mi avrebbe aiutato a ricordare, invece nessun ricordo riaffiorò a parte il viso del soldato Albrow.
Quella notte feci fatica ad addormentarmi. Ritornavo con la memoria alla visione avuta quando ero stata prigioniera di Ozark: accanto a me, una fanciulla incatenata ed emaciata, che si dimenava e che mi urlava di fuggire.
Vedevo le sue labbra contorcersi in un grido disperato; guardava verso l’altro muro, come se cercasse qualcuno. Chi era, dunque, quella giovane donna in catene? Chi voleva salvare? Da che cosa, soprattutto?[8]
Una notte, stanca, guardai dalla finestra per cercare le risposte a tutte le mie domande. L’orizzonte appariva come un’infinita distesa colorata. Quell’immagine mi lasciò indifferente ma, allo stesso tempo, fu come se la vedessi per la prima volta.
Chidley dormiva placidamente. Aprii la porta e uscii dalla camera. Tutto era immerso nel silenzio. Camminai lungo il corridoio buio e scesi per le scale. Non volevo deludere il mio sposo, ma lì non mi sentivo più a mio agio; dovevo cercare da sola i miei ricordi, lontano da quel luogo.
Quindi, andarsene era l’unica soluzione.
La notte seguente partii, lasciando il Castello, Chidley, i bei giardini. La prima destinazione fu naturalmente la città di Kirkwood. Indossai un mantello blu sopra la casacca bianca, per nascondermi da occhi indiscreti; il cappuccio avrebbe in qualche modo celato il mio volto e i miei lunghi capelli dorati, raccolti in una treccia. Più tardi venni a sapere che l’unico ad avermi visto uscire di nascosto dal castello era Dallek, il Consigliere del re. Allora, quel particolare mi era sfuggito. In realtà, era più importante di quanto pensassi.
Capitolo Terzo
“Umbribel, una delle quattro streghe”
Un vento tiepido faceva delicatamente scuotere i rami, carichi di gemme di rugiada, nel deserto della solitudine. Cadevano a terra brillando alla luce del sole e tracciavano delle piccole scie immaginarie nell’aria, dalle sfumature argentee, mentre un limpido suono accompagnava la loro caduta.
«Padron Kandahar, guardate laggiù» disse Aalborg, rompendo il silenzio e indicando una sagoma poco lontana. «Ma cos’è? Una tenda colorata o un miraggio?»
«No, mio buon servo. Anch’io la vedo e leggo anche una scritta: Vieni, la zingarella Agam ti leggerà il futuro.»
I due uomini entrarono dentro la tenda. Dall’oscurità balenò una tenue luce, e videro delle labbra sorridenti. A poco a poco distinsero un tavolino rotondo coperto da una tovaglia, con sopra un mazzo di carte. Due mani le presero per mescolarle. A quel punto riuscirono a distinguere il volto e l’aspetto di chi avevano di fronte. Era una donnina minuta e dalla carnagione molto scura; i neri e ricci capelli sbucavano da un fazzoletto variopinto e annodato dietro la nuca. Gli occhi neri spiccavano sul volto magro, e i denti, bianchi come perle, davano luminosità al viso.
«Chi siete?» chiese.
«Il mio nome è Kandahar, e questo è il mio servo, Aalborg. Sto cercando la principessa Primrose. Dove posso trovarla? Solo lei può salvare mia figlia, Milmay.»
«Hai visto poco fa un segno, un cattivo auspicio» aggiunse Agam nervosa, mescolando le carte del mazzo.
«La Nebulosa di Havelock» sussurrò Aalborg spaventato, curvo in un angolo della tenda per non farsi notare troppo.
«Se vuoi sapere dove si trova Primrose» continuò con disappunto la chiaroveggente, «portami una goccia del sangue del drago.»
«E dove posso trovarla?»
«Il tuo zelo ti porterà sulla giusta strada. Più chiedi e più risposte avrai» replicò la sibilla.
Kandahar uscì dalla tenda, perplesso.
“Ecco: ho cercato una scorciatoia, e adesso la strada si biforca. Quale via scegliere? Cercare Primrose senza sapere dove, oppure il sangue del drago per sapere subito dov’è?”, pensò ansioso Kandahar.
Ripresero il cammino. Kandahar era sempre più preoccupato e teneva il capo chino, seguito dal suo servo.
Sospirò, guardando l’orizzonte sabbioso: il deserto della solitudine sembrava infinito.
Ad un tratto si fermò. Aalborg lo raggiunse, dopo esser rimasto indietro solo di qualche o.
«Ci sono delle orme» disse Kandahar, chinatosi sulla sabbia.
«Sì. Qualcuno è già ato da queste parti. Non è poi così deserto questo deserto» commentò ironicamente il servo.
Alzarono lo sguardo: c’era qualcosa che si muoveva all’orizzonte.
«E credo proprio che non se ne sia ancora andato» aggiunse Kandahar, alzandosi di scatto.
In breve, raggiunsero la cima della duna e lo stupore precedette le parole: un gruppo di bambini giocava vicino a un salice piangente.
Alcuni dormivano, altri ridevano rincorrendosi, altri ancora prendevano la sabbia e la facevano scorrere tra le dita. Li osservarono senza farsi vedere.
«Guarda, Aalborg, sono evanescenti: forse vengono da quel pianeta chiamato Terra. Devono essere entrati per caso, con la fantasia, oppure per volere di qualcuno. Ma di chi sono quelle piccole orme? Chi è in grado di lasciarle deve appartenere a questo regno.»
«Sono mie» fece con voce squillante un bambino alle loro spalle, interrompendolo.
Si voltarono spaventati per la sorpresa. Un bimbo dai boccoli dorati e dagli occhi azzurri li stava fissando con fare curioso.
«Ciao, come ti chiami?» domandò Kandahar sorridente.
«Ian» rispose risoluto.
«Come sei entrato qui? E dove sono i tuoi genitori?»
«Hai un segno sul viso» disse il bimbo.
Kandahar si sfiorò il volto; sulla guancia aveva una piccola cicatrice.
«Hai visto la Nebulosa di Havelock. Non dovevi guardarla! Non è per le genti di un altro regno, come te» specificò il bambino mostrando il broncio. Poi aggiunse
triste: «Non so come sono entrato qui.»
Aalborg e Kandahar si esaminarono perplessi per un istante, poi Aalborg prese la parola.
«Chi sono i tuoi genitori, piccino?»
Ian lo guardò: la voce querula del servo lo fece sorridere. Poi, tornato serio, volse lo sguardo verso l’orizzonte sabbioso, prima di rispondere: «Il mio papà è uno dei cavalieri delle Quattro virtù, si chiama Axel ed è sovrano del regno Corallo di avorio. La mia mamma, invece, si chiama Primrose. Mia madre mi ha nascosto sulla Terra, per proteggermi. Un nuovo Male affligge il GranRegno. I miei genitori moriranno. Almeno… è quello che la zingarella Agam mi ha raccontato poco fa.»
Aalborg guardò il suo padrone, sbigottito. Entrambi non riuscivano a capire di cosa Ian stesse parlando. Il bambino volse ancora lo sguardo verso il cielo. «Ma qui, qualcosa mi chiama. Forse l’amore per i miei genitori.» Li scrutò serio. «È il mio dovere di principe» concluse sottovoce. «Voglio andare da Amabel» gemette poi con tristezza.
Aalborg rivolse al padrone uno sguardo interrogativo, come per chiedergli chi fosse.
Allora Kandahar spiegò al servo: «Amabel è una delle quattro streghe. Sta nella foresta di Muravej[9]. Intona con soave voce canti per i morti. Ha una tonalità celestiale! Lì è possibile vedere chi non c’è più. Sono avvolti in bende bianchissime, posti in sarcofagi aperti, e fiori di loto e di pesco cadono profumati
su di loro. Questa strega ha il dono di dare la pace.»
Aalborg non aveva compreso che una piccola parte del discorso.
«Sei solo?» chiese Kandahar rivolto al piccino.
Ian indugiò con lo sguardo a terra. «Quei bambini» disse indicandoli, «sono i figli dei sovrani degli altri regni. Loro non lasciano orme, perché non hanno avuto la profezia di Agam, come me.»
Kandahar si sedette sul terreno con il volto preoccupato, mentre Aalborg lo guardava stupito.
«Ora comincio a capire qualcosa: questo bambino viene dal futuro, e forse il GranRegno verrà distrutto» commentò ad alta voce il principe di Duverger. Poi, si rivolse di nuovo a Ian: «Cosa vuoi che diciamo a tua madre? Se la incontreremo, naturalmente...»
Ian, con un guizzo vivace, puntò lo sguardo sull’anziano e, dopo un istante di sgomento, proferì: «Ci sono Loris e Naska con me.» Sorrise mesto.
«Loris e Naska?» ripeté incredulo Kandahar.
Annuì. «Le mie sorelle gemelle.» I suoi occhi azzurri ora luccicavano umidi: stava piangendo.
«Portatemi da Amabel. Voglio andare da lei…» ripeté singhiozzando. Poi, lentamente, si dissolse.
«È scomparso!» sbottò Aalborg spaventato, mentre Kandahar continuava a rimanere seduto.
«L’hai sentito quell’angelo?»
«Sì. Il suo pianto era straziante» ammise serio Aalborg.
«Perché Agam gli ha rivelato ogni cosa?»
«Forse perché comunque l’avrebbe scoperto, padrone. L’avete sentito, no? È entrato qui per caso. Deve sentirsi molto solo.»
«Ha detto, però, che le sue sorelle sono con lui. Come si chiamano?»
«Loris e Naska.»
I due si guardarono afflitti. Videro i capelli biondi di Ian svolazzare nel deserto assieme alla sua minuta figura. Saltellava. I rami carichi di rugiada venivano scossi da un leggero vento e producevano una soave musica.
«Più resta qui, più sarà difficile per lui tornare sulla Terra» affermò Kandahar.
«Forse vuole proprio questo.»
Ripresero il viaggio, questa volta in silenzio.
***
Avevo già superato la città di Kirkwood da un po’ di giorni e le Latomie, le Dodici antiche Cave di Pietra, dove gli abitanti estraevano materiale per costruire le case, le strade e le mura difensive della città. Avevo portato con me solo una semplice sacca, come per il viaggio precedente. Nulla di più, solo lo stretto indispensabile.
Le parole del racconto di Chidley, dentro la cella, mi risuonavano ancora nella mente. Una frase in particolare aveva destato il mio interesse: quando mi aveva detto che, nonostante non sapessi in alcun modo combattere con le armi, ero ugualmente scesa in guerra. Non riuscivo a spiegarmi per quale arcana ragione mi fossi gettata in combattimento. Volevo proteggere il mio regno, ma non sarebbe stato più semplice assoldare un cavaliere? Cosa mi aveva spinta fino a tanto?
Sospirai a quelle nuove domande che si insinuavano nei miei pensieri.
Cercare i ricordi è davvero difficile. Non sapevo né quale strada prendere né da
dove iniziare la mia ricerca. Mi addentrai nella foresta Polvere di Colori e, a un tratto, ebbi come l’impressione di girare nello stesso punto. Rivedevo sempre una grande quercia con accanto due esili alberi. Ogni volta, pur essendo sempre gli stessi, sembravano in una posizione diversa.
Alzai lo sguardo.
Una fitta pioggerellina inzuppò il mio volto, i capelli, la tunica e il mantello. Sgranati gli occhi, trattenni a stento un grido: davanti a me c’erano delle gambe di legno che sorreggevano un corpo esile, anch’esso di legno.
«Chi sei?» chiesi a quell’essere.
«Sono Umbribel.»
«Una delle quattro streghe» commentai.
«Perché, principessa, sei nel regno Colori di pietra e non nel tuo?»
«Viaggio alla ricerca dei ricordi» risposi con semplicità.
«Porti con te la piramide?» chiese Umbribel.
«Certamente» ammisi con candore.
«Fammela vedere.»
La estrassi dalla sacca e gliela mostrai. A quel punto la strega disse: «Ti farò dono di un Cuore di Vetro, perché questo è il mio compito. È stato raccolto dalle lacrime del cielo.»
«Raccogli la pioggia?»
«E la trasformo in Cuori di vetro, poi li spargo nel GranRegno. Chiunque li trovi, ha la fortuna.»
«Perché mai me ne fai dono?»
«Ricordare è un dolore, a volte. Devi essere forte. Ti imbatterai nel ato, e qualcuno proverà a impedirti di proseguire.»
«Ozark?»
Umbribel rimase in silenzio. Sicuramente era per colpa di Ozark che non riuscivo più a ricordare nulla.
Mi regalò un Cuore di vetro. Lo vidi cadere tra le mie mani, come se fosse un fiocco di neve.
«Adesso la buona sorte è con te» mi salutò.
Misi dentro la sacca il Cuore e la Piramide, e mi allontanai.
Ero sempre senza meta, ma qualcosa mi costringeva a indugiare ancora in quel posto ed io, ignara, gli stavo andando incontro: una forza invisibile che molto presto avrei scoperto.
Capitolo Quarto
“Si va in scena!”
«Cosa stai facendo, Sally?» chiese con curiosità il signor Lunn, tirando una boccata di fumo dal mezzo sigaro.
«Se i miei calcoli sono esatti, papà, siamo precipitati vicino alla città di Nehring[10].»
La ragazza aprì il roetterche aveva in mano: dopo aver pigiato alcuni tasti, si materializzarono dei segni nell’aria; una sorta di mappa tridimensionale.
«Sono un genio!» commentò rivolta a se stessa. «Il capitano Morris aveva deciso di atterrare per emergenza proprio qui.»
«Oh! Per essere atterrati, lo siamo, soltanto in maniera un po’ brusca» considerò a sua volta il signor Lunn con grande disappunto. «E comunque dobbiamo ammetterlo: ormai è trascorso troppo tempo, e l’attesa è vana. O se ne sono già andati via o noi siamo gli unici a essere rimasti in vita.»
«Secondo me, sono andati tutti via» rispose Baka al ragionare del signor Lunn.
«Muoviamoci, allora» li esortò quest’ultimo.
Il volto di Sally si rannuvolò per alcuni istanti. Si alzò per avvicinarsi a loro.
«Tranquilla, Sally. Non ti preoccupare, troveremo Primrose. Il mio sesto senso dice che è qui, da qualche parte. Ne sono sicuro» sentenziò il signor Lunn, accarezzandosi i lunghi baffi.
«Puoi sapere con il tuo roetter dove si trova la principessa?» chiese Baka.
Sally digitò ancora sui piccoli tasti, e i raggi azzurrini tracciarono una mappa dalle coordinate blu con un puntino rosso pulsante.
«Sì, possiamo saperlo. Guardate! È nella foresta Polvere di colori[11] e, dai miei calcoli, risulta che è stata prima a Kirkwood[12]» disse con voce sommessa.
«Kirkwood?» ripeté stralunato il signor Lunn. «Ma non dovrebbe essere nel suo regno, a governare?»
«A quanto sembra è in viaggio. Questo renderà ancora più difficile la nostra ricerca.» Sally sospirò tristemente.
«E quindi cosa possiamo fare?» domandò con sgomento Baka.
«Incamminiamoci verso la foresta, seguiremo i suoi spostamenti dal roetter di Sally. Siamo molto lontani? Come credi che viaggi?»
«Il puntino rosso si muove lentamente, quindi a piedi. La mia vera preoccupazione è che abbia con sé la piramide. Possiamo far ben poco se la utilizza!»
«Già» ammise Baka, guardando sconsolato i rottami dell’aereo.
Quando, a un tratto, vide brillare qualcosa. Si avvicinò e si mise a cercare. Un poco alla volta tolse i detriti più leggeri.
«Guardate, un Cuore di vetro[13]!» disse esultante mostrandolo, mentre i due lo osservavano allibiti. «L’ho visto e l’ho trovato io: sarò fortunato. Ah! Ah! Ah!»
«Attento a non farlo cadere» fece acida Sally.
“Lo avrei voluto trovare io”, pensò, chiudendo il roetter di scatto.
«Andiamo» concluse in tono aspro il signor Lunn. «I giovani» brontolò, «hanno sempre la fortuna dalla loro!»
Si incamminarono.
La ragazza non riusciva a nascondere il suo disappunto, mentre il signor Lunn procedeva con una mano in tasca, e con l’altra si appoggiava a un ombrello nero che fungeva da bastone.
«Dobbiamo trovare al più presto Primrose» disse ancora il vecchio, scuotendo l’ombrello come per ammonire i due ragazzi. «La nostra missione è della massima segretezza, quindi, mi raccomando, se qualcuno vi fa delle domande, non dite nulla.»
«Ma papà» protestò Sally con rammarico, «Valjavec[14] non ha detto che non possiamo parlarne.»
«Be’, chi è il più anziano fra noi due? Io! Bene. Prendo ufficialmente il comando della nostra spedizione, dato che Riapath[15] è scomparso, o forse ci ha abbandonati. Ad ogni modo, sappiamo che nuovi nemici si profilano all’orizzonte e, di certo, mineranno la forza della nostra amata principessa. Ragion per cui, non dobbiamo assolutamente, e lo ribadisco, assolutamente, spargere la voce del motivo della nostra venuta.»
Il signor Lunn pronunciò l’ultima parola con voce strozzata, dopo aver enfatizzato tutto il discorso precedente.
Sally mise il broncio.
«E non mi guardare così» la rimproverò.
«Uffa! D’accordo!» sbuffò infine la ragazza.
«Giovanotto?» pretese conferma anche da Baka.
Il ragazzetto annuì divertito.
«Bene, procediamo allora. In marcia: un, due, un, due…» gracchiò l’anziano.
***
La foresta Polvere di colori sembrava infinita ed io, stanca e imbronciata, mi sedetti sotto un albero. Forse avevo sbagliato a fare di testa mia? Avevo guardato a lungo il Cuore di vetro regalatomi da Umbribel e, non so come, avevo pensato a Chidley.
“Mi starà proteggendo? Oppure sarà preoccupato perché questa mattina non mi ha trovato accanto a sé? Forse non dovevo andarmene così, senza avvertirlo”, pensai incerta.
A un tratto, una musica attirò la mia attenzione. Sembrava provenire dalle mie spalle. Indugiai un po’ prima di dirigermi in quella direzione, poi mi decisi e mi feci strada tra i frondosi rami. Si distingueva ben poco, ma non fu difficile scoprire cosa ci fosse: un palco in legno mi stava di fronte, completamente vuoto. E un organetto emetteva, a intervalli regolari, la stessa musica che avevo sentito prima. Sembrava lo stesso meccanismo di un carillon; nessuno, però, girava la manovella. Chi aveva dato la carica?
«È l’uomo invisibile» rispose alle mie spalle una voce maschile.
Mi voltai e vidi in faccia il mio interlocutore: era un uomo sulla trentina, dai capelli castani e il volto un po’ allungato. Indossava una camicia multicolore e un paio di pantaloni azzurri, aderenti, a zampa di elefante. Provai subito un’innata simpatia per lui.
«Oh! Guarda un po’ che bella ragazza!» esclamò, venendomi più vicino e girandomi intorno.
Arrossii per il complimento.
«Come ti chiami?»
«Primrose» risposi ridacchiando. «E tu?»
«Ajmer. Sono un attore. Hai mai visto una rappresentazione della mia compagnia teatrale?»
Scossi la testa in tutta risposta: non ne avevo mai viste, almeno, non lo ricordavo.
«Cosa fai, da sola, nella foresta Polvere di colori?»
«Viaggio.»
«Viaggi?» ripeté incredulo. «Sei forse un’attrice come me?»
Scossi di nuovo la testa, in segno di diniego. Mi sentivo così strana: un delicato tepore mi avvolgeva, come in un sogno. Il suo sguardo e la sua voce mi stordivano piacevolmente.
«Oh, ma adesso ricordo. Certo, Primrose! Come ho fatto a non pensarci? Sei la principessa del regno La sabbia delle streghe. Dove vai tutta sola?»
Le forze mi vennero meno. Non riuscivo a rispondergli.
«Vieni con me, sali sul palco. Sarai libera da ogni affanno» mi tese la mano.
Volevo afferrarla ma il suo volto ora appariva deformato. Caddi a terra, probabilmente svenuta. Nel frattempo, udii una voce che mi sussurrava di rimanere desta. Una strana, invisibile forza mi obbligava ad arrendermi a lei, alla sua estrema dolcezza.
“Oh, Chidley! Dove sei? Perché mi sento così debole?”, pensai tristemente, chiudendo gli occhi.
Tutto attorno a me divenne oscuro, e l’oblio mi avvolse.
Iniziai a sognare, almeno così credetti, perché mi ritrovai distesa sul pavimento di una casa di legno. Non c’erano mobili o altri ornamenti.
Ero sola in quella abitazione? Guardai attorno ma non scorsi null’altro che una finestra dalla quale entrava una luce abbagliante. Mi diressi verso quel fascio luminoso, molto lentamente. Il rumore dei miei i si percepiva impercettibilmente. Poi mi voltai, perché udii un suono alle mie spalle. Giunta alla finestra, vidi un’immensa prateria carezzata dal vento; solo un albero solitario si piegava al suo aggio. Pensai che doveva essere la prateria del vento[16], anche se non c’erano i pini del vento.
All’improvviso, mentre posavo lo sguardo sul triste oscillare dell’unico albero della pianura verdeggiante, il paesaggio scomparve e, al suo posto, vidi una marea di visi angosciati che si accalcavano numerosi contro il vetro della finestra, come se tutti volessero entrare. Con le mani spingevano, gridavano, e le loro labbra erano distorte in smorfie di indicibile dolore. Indietreggiai di qualche o: cosa avrei fatto se fossero riusciti a entrare? L’idea mi spaventò, così presi a urlare terrorizzata: «Andate via! Via!»
Ma loro continuavano ad accalcarsi alla finestra come per cercare una via di salvezza dalla loro triste sorte. Cercai con lo sguardo la porta, ma non c’era: la finestra era l’unico mezzo di comunicazione con il mondo esterno.
«Qui sei al sicuro» sentii una voce pronunciare dal nulla.
«Chi siete? Cosa volete?»
Nessuno rispose.
La voce sibilò una parola a me sconosciuta.
«Fatevi vedere!» ordinai perentoria.
«Non c’è più luce» rispose la voce, che sembrava provenire da un corpo emaciato, tanto era stridula e sibilante.
«Non c’è più luce» ripeté con grande insistenza.
In effetti, eravamo avvolti dalla penombra. Tutta quella gente ammassata alla finestra impediva alla luce di entrare. Solo io ero scarsamente illuminata, e la stanza appariva semibuia.
«Venite vicino a me, così potrò scorgere il vostro volto» lo esortai, deglutendo a fatica.
«No» riecheggiò nella stanza.
«Ditemi almeno chi siete.»
«Skolick.»
«E cosa fate qui?» domandai incalzante.
«Davvero tu non sai chi sono?» mi chiese stupito.
«No, non so chi voi siate» ammisi, mentre mi guardavo attorno cercando di scorgerlo.
«Uh!» riecheggiò nella stanza lungamente. «Non siete Primrose?» chiese Skolick.
«Sì…»
«Son colui che vaga nelle Terre di Greenhalg[17]. Porto con me myrdal[18].»
«Uno Spettro?»
«Sì, uno dei Quattro» mormorò con un sibilo e attese che parlassi, ma io non dissi altro, così lui proseguì: «Non sai chi sono i Quattro Spettri delle Terre di Arkin[19]?»
«Invero non ho memoria del mio ato» risposi con semplicità.
«La leggenda narra di Quattro Spiriti dimenticati in questa valle, la valle di Arkin. Vagavamo senza una meta, e un giorno incontrammo per caso il generale Bornek. Capitanava un plotone di trecento soldati. Non avrebbero dovuto vederci, invece il caso volle che ci scorgessero lungo la pianura di Lowenthal[20], vicino a una cascata. Il generale perse la vita e così i suoi soldati, ma tra loro c’era una giovane donna, Carlyn: una maga molto, molto potente. Per punirci, legò ognuno di noi a una Terra da custodire con le lame delle nostre spade magiche. Io vago nelle Terre di Greenhalg; gli altri tre nelle altre Terre.»
La mia domanda sopraggiunse spontanea: «E come mai ti sto vedendo?»
«Tu non mi vedi, puoi solo sentirmi» specificò secco lo Spettro.
«Qual è il vostro compito?»
«Io e miei fratelli stiamo cercando quella maga per vendicarci.»
Fece cadere accanto a me una piccola pietra color blu cobalto, ben levigata e a forma ellissoidale.
«Questa è una pietra estratta da myrdal, la mia spada. Se dovessi incontrare questa maga, getta a terra tre volte la pietra, così potrò portare a termine la mia vendetta.»
«Credo che il gesto di riscatto operato dalla maga sia stato opportuno» replicai
esprimendo la mia opinione. «Quegli uomini non vi avevano recato alcun danno e voi li avete ingiustamente uccisi. Perché cerchi vendetta, quando la libertà ben vi fu negata?»
«Non capisci, principessa? Nessuno deve essere privato della libertà! Noi siamo Spettri del Male, non del Bene. Questo compito per noi è un vero tormento!»
Avrei voluto aggiungere qualcos’altro ma, all’improvviso, il buio nascose alla mia vista qualsiasi visione. Proseguii a camminare in silenzio per un po’ di tempo. Non ricordai più nulla di quello che accadde dopo, ma molti interrogativi, più tardi, avrebbero albergato nella mia mente. Perché lo Spettro si era rivolto a me nel sogno? Perché dovevo portare il peso di una vendetta che ritenevo ingiusta? Dunque, nelle Quattro Terre c’erano degli spiriti malvagi che cospiravano alle spalle di noi sovrani? E se dalla loro ribellione fosse sorta una guerra?
«Carlyn dove sei?» farfugliai. «Le porte del Male vogliono aprirsi, mi sento così debole...»
Capitolo Quinto
“Una recita senza storia”
Aalborg e Kandahar camminavano per le grandi vie della città La sabbia delle streghe. Vi erano giunti da qualche tempo. Procedevano circospetti. Era una splendida giornata di sole: la gente stava per strada e non si curava affatto dei due stranieri che procedevano incerti. Soltanto un tizio con il mantello marrone scuro si accorse di loro e si avvicinò.
«Cosa ci fai qui, principe di Duverger?» lo chiamò l’uomo, sottovoce.
«Chi sei tu, che ti rivolgi con questo tono sapendo chi sono?» rispose Kandahar accigliato.
«Godwiv» rispose secco l’altro.
«L’uomo che tutti conoscono» aggiunse Kandahar sbalordito.
«Cosa cerchi qui? Uno spirito maligno ti segue» mormorò cauto Godwiv.
«Sì, in effetti ho visto la Nebulosa di Havelock» ammise con candore Kandahar.
«Havelock» ripeté Godwiv sempre sottovoce. «Venite con me!»
Lo seguirono, allontanandosi così dalla gente, e in breve si ritrovarono vicino a un bugigattolo.
«Devi cercare Keizch, il principe di Ashtor: solo lui potrà liberarti dal maleficio della nebulosa, con la potenza del Sacro calice di Arros. Questa che state vedendo è la casa di Banks. Vi aiuterà» disse infine Godwiv e fece per andarsene, ma Kandahar lo fermò, prendendolo per un braccio.
«Agam mi ha chiesto di portarle il sangue del drago.»
Godwiv sbuffò, voltandosi verso di lui seccato. «Perché ti sei fermato lungo il cammino a parlare con quella sibilla?»
«Non ne ho potuto fare a meno.»
«È il desiderio» continuò sottovoce Godwiv, guardandolo dritto negli occhi, «che ti spinge a sbagliare. Adesso dovrai cercare il sangue del drago e la tua meta si allontanerà. Come farai, principe di una terra lontana, ad arrivarci? E come tornerai?»
«Non… non lo so» balbettò confuso Kandahar. «Aiutami, ti prego. Milmay sta molto male. Solo Primrose la può salvare.»
Godwiv rimase in silenzio e meditò sulle parole del principe. Rispose solo poco dopo, sospirando.
«Cerca il sangue del drago. Agam si ricorda di chi le ha parlato. Se non avrà quello che ha chiesto, non potrai fare più ritorno a Duverger.»
Godwiv indugiò prima di andarsene e lo guardò perplesso. «Cosa ha turbato tanto la tua coscienza?» gli chiese.
«Ho incontrato nel deserto della solitudine Ian, figlio di Axel e Primrose. Ho capito dai suoi discorsi che Agam gli ha profetizzato la morte dei suoi genitori, tutto questo solo per salvare il GranRegno. Voleva andare da Amabel.»
«Ian… il principe generato per la salvezza di questo regno» disse ancora a bassa voce Godwiv. «Adesso capisco. Kandahar, ti ha detto qualcosa in particolare?»
«Che le sue sorelle gemelle sono con lui.»
«Sì, sembra una, ma in realtà sono due. La leggenda delle due principesse…» continuò tra sé Godwiv.
Lo guardò per alcuni istanti, poi affermò solerte: «Banks ti aiuterà a trovare il sangue del drago. Non raccontare ad alcuno ciò che hai visto.»
Fece per andarsene, ma il principe lo riafferrò ancora per un braccio.
«Dove vai?»
«Non credo ti riguardi. E comunque cerco Ian.»
«Perché?»
«So perché è giunto fino a noi e devo dirgli alcune cose, affinché la profezia di Agam non si avveri del tutto.»
«Senti, dona questo al bambino.» Gli diede un medaglione con al centro una pietra di colore blu, incastonata tra smeraldi.
Godwiv guardò l’oggetto e gli comunicò in tono di rimprovero: «È il suo destino, non puoi interferire! Se gli doni un nyrd[21], si sentirà sempre in diritto…»
«Ascolta» disse il vecchio principe interrompendolo, «anch’io sto lottando contro il destino avverso, eppure guardami, lo faccio per mia figlia, il bene più prezioso che ho. Potrei perdere il Regno senza provare dolore, ma non potrei mai sopportare la scomparsa di mia figlia. Porta questo medaglione al piccino, fa’ che se lo leghi alla cintola, se avrà bisogno di aiuto…»
«Stolto» dichiarò sottovoce Godwiv dimentico di ogni rispetto, e lasciò cadere
l’amuleto a terra. «È un rinnegato, un ramingo! Non può ricevere alcun dono magico. Suo padre ha violato un patto con un mago, non lo comprendi? Sarà lui la salvezza del GranRegno, non deve ricevere nulla!»
Detto questo, se ne andò senza più voltarsi indietro.
Questa volta Kandahar non lo fermò; vide solo il suo nyrd per terra, sulla sabbia.
«Padrone» balbettò con la sua voce stridula Aalborg, «siamo forse nei guai?»
«Quella maga è più potente di quanto immaginassi» farfugliò Kandahar, incurante delle parole del servo.
«Padrone?»
«No, Aalborg» rispose Kandahar, voltandosi cupo.
Alzato lo sguardo, si rasserenò: un anziano gli stava andando incontro.
«Deve essere Banks.»
Banks si avvicinò a loro e, anche se non ce n’era bisogno, si presentò. Notò l’amuleto a terra, mentre Aalborg si premurava di raccoglierlo.
«Godwiv mi ha già parlato di voi. Venite con me, nella mia casa, così potrò aiutarvi» si affrettò a dire il vecchio ma, non appena pronunciò queste parole, ebbe un sussulto.
Kandahar si volse verso quello che Banks stava fissando, ma non riuscì a scorgere altro che un lembo di mantello blu scuro svanire rapidamente nel nulla[22].
«Chi c’è là?» domandò Kandahar sospettoso, rivolgendosi a Banks. «Siamo forse stati seguiti?»
«Non so» ipotizzò turbato il vecchio. «Da quando sono iniziati i disordini in città, ci si può imbattere in gente davvero bizzarra.»
E li condusse nella sua casa.
***
Al mio risveglio, vidi tutto confuso. Per un po’ le immagini e le parole pronunciate dallo Spettro in sogno mi echeggiarono nella mente. Ben presto scorsi il volto di Ajmer: mi stava guardando. Alzai molto lentamente la testa: ero tra le sue braccia, sdraiata a terra. Al collo avevo una collana, la stessa che portava lui. La mano destra dove c’era myrdal, la pietra blu della spada, era fasciata perché sanguinava e mi faceva molto male.
«Dove siamo?»
«Sul palco.»
Era vero.
«Cosa è accaduto?» domandai incalzante.
«Siamo in scena» rispose con semplicità, tenendo il suo volto vicino al mio.
«Ma io non volevo salire sul palco» protestai.
Ajmer mi guardò con comione.
«Perché mai? Noi recitiamo sempre. Laggiù, principessa, ci sono le quinte e dietro i camerini. Gli attori si stanno preparando. Presto, molto presto, dovremo dire le nostre battute.»
«Che cosa mi hai fatto?» chiesi allarmata.
«Sei in scena, principessa. Devi recitare, ora. E anche se non sai le battute, dovrai parlare. Perché noi mettiamo in atto la nostra rappresentazione, ma senza storia. Dobbiamo parlare, se non vogliamo morire.»
Cercai di svincolarmi dalla sua stretta, ma era più forte di me. Mi sentivo debole, tuttavia era ancora una volta la sua dolcezza a disarmarmi. Provai una fitta alla mano: il dolore era terribile. Singhiozzai.
«Come fai a sostenere un ruolo, se non hai una storia sulla quale basarti?» gli chiesi con disappunto.
«Questa scena è la nostra prigione dorata: posso essere quello che voglio, in qualunque momento. Tanto, tutti mi crederanno… sono un venditore di bugie, di falsità. La mia vera identità è la forma che dà chi mi guarda.»
«Ma non c’è nessuno!» esclamai arrabbiata.
«Gli spettatori ci sono. Gli applausi sono la nostra gioia e ci permettono di indossare le diverse maschere che desiderano.»
«Ajmer, lasciami andare, ti prego!»
«Non puoi più uscire. Quando dimenticherai, farai parte di questo palcoscenico, e lo scricchiolio del legno del palco sarà musica per le tue orecchie.»
«È il successo ciò di cui parli?» cominciai a capire i suoi strani discorsi. Ormai lo consideravo un folle.
«Sì. È la brama della celebrità. Siamo costretti, ma non dirlo a nessuno. Siamo prigionieri di questo incanto» canticchiò Ajmer.
«Chi vi ha imprigionato?»
Ajmer si guardò attorno, circospetto. Aveva i capelli irti e le basette folte. Continuavo a fissarlo e a provare quella piacevolissima sensazione di debolezza.
«Lo so cosa cerchi, Primrose: i tuoi ricordi. Li hai perduti perché non trovi il Vero Amore» disse sommessamente, scandendo le parole.
«Il geranio bianco» aggiunsi con un sussulto. «Che cosa ne hai fatto?»
«Sì, quel fiore…» disse lasciando la frase spezzata.
«Ajmer, voglio aiutarti. Sai come possiamo andarcene dal palco? Fuggiamo da questa prigione, così saremo liberi!» Le mie parole risuonarono più come una implorazione che come una proposta.
«Si esce dalla scena alla fine della rappresentazione ma, non essendoci una storia, non ha né un inizio né una fine. Siamo prigionieri. Possiamo solo imprigionare altre persone: è il nostro destino.»
«Il destino si può cambiare, Ajmer.»
«E perché? Io sono felice e lo sei anche tu perché ci sono anche io.»
«No. Tu stai recitando il ruolo di Chidley. Ecco come fai a confondermi: emuli la sua dolcezza, il suo amore. Io… appartengo a lui!» contestai risoluta.
Chiusi gli occhi e ripetei in un soffio: «Fuggiamo. Non posso più stare qui. La tua dolcezza mi distrugge. Morirò!» Sentivo davvero che la mia vita si stava affievolendo, mentre il palmo della mano mi bruciava.
Persi i sensi. Percepii solo la ruvida guancia di lui posarsi sulla mia.
«Portami con te, Primrose. Voglio stare con te, bella principessa» bisbigliò.
La sua voce sfocata, come in sogno, raggiunse il mio cuore.
«Ti porto con me, Ajmer. Lontano da questa prigione, dal mondo che ti incatena» sussurrai.
E le sue labbra si posarono sulle mie. Percepii il dolce calore come un’esplosione, mentre mi si espandeva dentro. Una luce accecante ci avvolse.
“Dove sei, Chidley? Ti sento così lontano, mi manchi”, pensai mesta, e una lacrima mi scese lungo la guancia.
Capitolo Sesto
“Siamo liberi!”
Baka avanzava con o allegro, mentre il signor Lunn e Sally procedevano davanti a lui con i volti seri; stavano attraversando una pianura dai ciottoli colorati.
«Sally, vorresti cortesemente dire dove siamo giunti? Grazie!» chiese il padre alla figlia.
«Dovremmo essere a Wuchow[23] fra pochi minuti» rispose la ragazza, tenendo il roetter aperto in mano. «È un villaggio attraversato dal fiume Emery. La gente raccoglie le pietre di questa pianura, che si chiama Fulke, per farne polvere bianca; poi, viene trasportata al castello di carta. È uno degli elementi per far funzionare una delle sfere poste sulle torri del castello; sfera che serve a distribuire le storie dell’Occhio del Sole nel GranRegno» comunicò Sally, come sempre orgogliosa di sfoggiare la sua cultura.
«L’Occhio del Sole» ripeté il signor Lunn. «L’ho visto una sola volta, da piccolo. Mio padre mi portò al castello, quando non eravamo ancora così disagiati. Ricordo che, da bambino, ne rimasi impressionato!»
«È così che hai conosciuto Primrose?» chiese la ragazza stupita.
«Certo» ammise l’anziano, premendo il cilindro sulla testa e agitando l’ombrello, usato come appoggio. «Sono stato al suo castello, quando tu non eri ancora nata. Il re Lanfranco era ancora in vita, e la regina era davvero molto bella. Anche Primrose era bellissima.» Il signor Lunn assunse un’espressione da beota.
«Perché il re Lanfranco è morto?»
«I due regni, Colori di pietra e La sabbia delle streghe, purtroppo entrarono in guerra. Il primo, re Melville, bramava il trono del secondo. Ma mentre lui aveva un valoroso guerriero al suo seguito, Nassau, il re Lanfranco, invece, aveva solo sua figlia, Primrose, che scese in guerra. E fu purtroppo sconfitto.»
«Chissà perché» continuò Sally incurante delle parole del padre, «adesso lei è in viaggio. Credi che qualcuno avrebbe dovuto dirle che abbiamo noi il suo…»
«Ssst…» intervenne subito il signor Lunn, tappandole la bocca. «La nostra è una missione segreta. Anzi, che dico, segretissima. Nessuno deve sapere il motivo per il quale siamo qui! Chiaro?»
Sally, con la bocca ancora tappata dalla mano del padre, annuì. Stava per aggiungere qualcos’altro ma all’improvviso Baka sbottò:
«Chi è?»
Una ragazza era apparsa nella pianura. Aveva lunghi capelli biondi e occhi
celesti. Indossava una tunica bianca come l’avorio e aveva in mano un bastone e un fazzoletto. Il fazzoletto svolazzava dolcemente, come la tunica. La giovane donna muoveva il bastone e creava nell’aria il rumore del mare, danzando leggiadra.
«Una fata?» suggerì trasognato Baka.
«Sì. È dama Myitkyina con il suo bastone della pioggia. Colei che produce il suono soave dell’infrangersi delle onde. Mantiene le pietre della pianura bianche. Fra poco saremo a Wuchow» spiegò Sally, sempre informata su tutto.
«Andiamo da Karla, una mia vecchia amica» propose il signor Lunn, indicando il fiume Emery.
***
Mi svegliai di colpo. Un forte vento soffiava e mi sollevava in ogni direzione i capelli, la tunica e il mantello. Dove ero finita? Mi levai sul busto: mi trovavo in una prateria, un’immensa pianura verdeggiante con qualche masso bianco sparso qua e là. I fiorellini, rade macchie colorate sull’erba, si abbassavano miti al aggio del vento. Le loro corolle gialle, viola, rossastre e bianche si chinavano dolcemente.
«Ajmer!» chiamai a gran voce.
Mi guardai attorno, alzandomi in piedi, e lo scorsi più in là, disteso con le gambe
e le braccia aperte. Gli corsi vicino e lo scossi per risvegliarlo.
Ci mise un po’, prima di aprire gli occhi. «Dove siamo?» chiese, stropicciandoseli.
«Fuori dalla scena» risposi ridendo.
Si guardò attorno, andosi una mano sul petto.
«È impossibile… sono libero? Dobbiamo fuggire, allora!» Scattò rapido in piedi.
«Perché?» gli chiesi.
«Zahedi, il mago che mi ha imprigionato… se scoprirà che sono libero, verrà a cercarmi» rispose angosciato.
«Non fin quando sarai con me» lo rassicurai con enfasi.
Mi guardò sgomento.
«Primrose, sei solo una ragazzina… non puoi proteggermi! Al massimo, posso farlo io.»
«Sono la principessa del regno la sabbia delle streghe» replicai sicura di me. «Porto la piramide di vetro. Fin quando starai al mio fianco, nessuno potrà farti del male.»
«Mi ha imprigionato Zahedi, sono il suo schiavo, mi darà di nuovo il potere di imprigionare le persone nella sua rappresentazione: è il mio destino. Per te è pericoloso stare con me!» gridò disperato.
«Perché ti ha reso prigioniero?»
Tacque.
«Non vuoi dirmelo?» insistetti.
«Ho rubato una formula magica dall’antica biblioteca di Murray[24]. Era conservata in uno dei Sette tomi antichi[25], l’Antico Tomo degli incantesimi[26]. In realtà gli appartiene. Io l’ho nascosta, però» rispose.
«E allora perché non gliela restituisci in cambio della tua libertà?»
«Ma cosa credi, che ci si possa parlare così, a quattr’occhi? E poi mi avrebbe restituito la libertà non appena avessi imprigionato alcune persone. Tu eri l’ultima. Ma cosa è accaduto? Come siamo fuggiti?» Si guardò turbato le mani, alla ricerca di una risposta.
«Deve essere stata la piramide di vetro» ammisi incerta. «Nessuno può contrastare il suo potere.»
Udendo la parola “piramide di vetro”, gli occhi di Ajmer brillarono.
«E così porti con te la piramide.»
«Sì. Ajmer, io ti proteggerò. Se questo è il tuo problema, lo risolveremo insieme» dissi risoluta.
«È troppo pericoloso per te» ammise tristemente, rimettendosi a sedere. «Ho provato tante volte a ribellarmi al suo volere, ma non ci sono riuscito. Sono sicuro che Zahedi sarà già sulle mie tracce. Eppure, se ti avessi imprigionata, sarei stato libero per sempre!» ribadì a pugni stretti.
«Ma non saresti stato felice. Ajmer, te lo prometto, ti libererò.»
Si gettò tra le mie braccia. Strinsi il suo volto al mio petto: stava piangendo.
«Non avere paura» gli sussurrai.
«Oh, Primrose, è incredibile il tuo candore!» singhiozzò. «Volevo farti del male per me stesso. Invece tu, bella principessa, hai del bene da regalarmi… quel che
io non sono stato capace di fare.»
Capitolo Settimo
“Dolce Ajmer”
Era sera. Banks, Kandahar e Aalborg stavano cenando attorno a un falò, mentre il principe aggiornava Banks riguardo agli ultimi avvenimenti.
«Cercate il sangue del drago?» chiese l’anziano, dopo aver ascoltato attentamente il suo racconto. «Purtroppo è molto lontano da qui. Bisogna oltreare città, monti, colline, paesi, villaggi, dato che la dracena giace nello spazio. Per raggiungerla occorre andare nell’’Occhio del Sole, quindi proprio al centro del GranRegno, e, soprattutto, quando questi non è manifesto.»
«È lì che si trova?» domandò speranzoso Kandahar.
«Una volta giunti, dovrete gettarvi dentro. Se la vostra fede sarà grande, lo troverete, altrimenti vagherete nell’oblio» rispose Banks sibillino.
Quando Aalborg udì queste ultime parole, strabuzzò gli occhi.
«Perché può essere importante per Agam averlo?»
«E chi lo sa» ribatté l’anziano, alzando le spalle e allargando le piccole braccia.
«Quella veggente vuole sempre qualcosa in cambio. Il sangue del drago, la clorofilla della dracena, permette di curare qualsiasi malattia.»
Gli occhi di Kandahar brillarono.
«Qualsiasi malattia? Vuol dire che se portassi una goccia a mia figlia, lei guarirebbe?»
«No. Purtroppo ha effetto solo nel GranRegno. Duverger non fa parte di questo mondo.»
«E Primrose, allora, come può guarirla?»
«Chi vi ha detto che è in grado di farlo?» fece incalzante Banks.
«Chabod. Lo conoscete?»
Banks, incerto, fece di no con il capo.
«È uno stregone della brughiera di Erfurt. Mi ha detto che nel GranRegno la principessa Primrose può salvare mia figlia Milmay. Ma ha anche aggiunto che avrei dovuto far presto, perché il male avanza, ogni giorno che a.»
«Chabod…» ripeté Banks, sfiorandosi la barba. «Adesso che ci penso, ricordo vagamente qualcosa. È forse lo stregone buono, che pose sulla torre Oscura l’orologio di Touchard?»
«Sì» rispose Kandahar.
«Se non fosse stato per lui, la città di Seyfarth[27] sarebbe stata completamente rasa al suolo!»
Aalborg, che se ne stava in disparte, corrugò la fronte: tutti quei discorsi non gli interessavano affatto. Ingurgitò un boccone con avidità e prese un’altra porzione dal piatto di portata, in fretta per non essere visto dal suo padrone.
«Ad ogni modo» continuò Banks, «mi preoccupa molto di più la Nebulosa di Havelock. Dovreste andare lì, per cancellare lo spirito maligno che vi perseguita. Il principe Ashtor, il detentore del Sacro calice di Arros, è l’unico in grado di contrastare il potere negativo della nebulosa.»
«Mia figlia è molto più importante della mia sorte» ribadì Kandahar, spostando un legnetto crepitante nel fuoco.
«Non capisci? Non farete mai ritorno nella vostra terra. Ogni offesa ad Agam è grave. Voi lo sapete, Godwiv ve l’ha detto, no?»
«Purtroppo non lo sapevo» ammise Kandahar. «A me interessa solo salvare Milmay!»
«Primrose saprà come sconfiggere il male che l’affligge.»
Kandahar sospirò, guardando perplesso le stoviglie ormai sporche e abbandonate accanto a lui.
«Lo spero» aggiunse con un filo di voce.
***
Io e Ajmer camminavamo ormai da qualche ora. Ero fin troppo decisa ad andare da Zahedi per renderlo di nuovo libero. Ma lui non voleva. Non capivo il perché. Ero sicurissima che, qualunque cosa mi fosse accaduta, Chidley mi avrebbe protetto con il suo spirito.
Meditavo sull’accaduto e incominciavo a vederci chiaro. Ajmer non si era liberato per merito mio, ma per qualcos’altro: forse si era innamorato di me. Questo aveva permesso alla porta della prigione di socchiudersi, giacché aveva indugiato, prima di chiuderla definitivamente. Voleva essere salvo ma, allo stesso tempo, immedesimandosi nella parte di Chidley, aveva sperimentato il sentimento dell’amore. Già, ma come mai anch’io ero libera? Davvero la piramide di vetro aveva un potere taumaturgico?
Avanzavamo uno di fianco all’altra, in silenzio. Non gli avevo ancora svelato i miei pensieri. Chi era questo ladro di formule magiche e perché aveva rubato, rischiando di rimanere prigioniero per sempre?
Incedevamo nel vento; i nostri vestiti si muovevano con impeto.
Avevo di nuovo paura che Ajmer potesse interpretare Chidley, e che mi rendesse accondiscendente e a lui favorevole.
“Com’è minuta la mia figura accanto alla sua, lunga ed esile!”, considerai osservandolo.
«Primrose, perché stai cercando i tuoi ricordi?» mi chiese con un guizzo.
«Non riesco a governare senza conoscere il mio ato.»
«È stato facile per te sconfiggere Ozark.»
«Ozark era legato alla tristezza. Forse, un tempo, è stato un sentimento che ho provato anche io. È stato difficile catturare Kodiak e Nuninak» ammisi ridendo.
«Hai intenzione di parlare con Zahedi? Che cosa farai per ridarmi la libertà?»
«Perché hai rubato quella formula? A cosa ti serviva?» domandai.
«È sua, di diritto» rispose evasivo.
«Beh, allora perché gliel’hai sottratta?»
«Non sono disposto a restituirla. Sappi solo questo.»
«Volevi ricattarlo per avere in cambio qualcosa?» insinuai.
«È impossibile scendere a patti con Zahedi.»
«Infatti, ricattare è diverso da patteggiare.»
Ci fermammo, l’uno di fronte all’altra. Qualcosa lo aveva convinto a desistere dal suo intento di non raccontarmi nulla.
«Quando i mercenari di Ankara trafugarono i Sette tomi antichi, li copiarono in altri sette volumi…»
«Quindi ci sono quattordici Tomi Antichi» lo interruppi.
«Non è esatto: una copia non può mai considerarsi fedele all’originale.»
«E allora?» insistetti.
«Loro nascosero gli originali e usarono le copie facendo credere che i tomi autentici fossero arsi nel rogo che appiccarono alle porte della città.»
«Ma… a che scopo? Ricopiare tutto per darlo alle fiamme?» domandai incredula.
«Un rito propiziatorio» scandì ben bene Ajmer.
Lo guardai, senza comprendere appieno il suo discorso.
«Non conosci la città di Murray[28]?»
Feci di no con il capo.
«Due colonne e un cancello, è così che si presentano le porte della città, chiuse con il sigillo degli Spiriti degli abissi. Si tratta di un catenaccio lungo parecchi metri e di un lucchetto abbastanza grande da fare entrare tutt’e due le mani nella fessura. Le mani entrano giunte, come in preghiera. Il catenaccio crea l’illusione che il cancello si possa aprire facilmente, ma non è così. Per chi ha rubato, anche la più piccola delle cose, non c’è alcuna possibilità di entrare in città. A meno che…»
Si fermò indugiando e io, con lo sguardo, lo incitai a proseguire.
«A meno che non si compia un rito propiziatorio. Se avessero bruciato I Sette Antichi Tomi avrebbero avuto libero accesso alla città per un breve lasso di tempo.»
«Ah! Ecco spiegato il mistero. Un rito purificatore, insomma. E che nesso ha con Zahedi?»
«I tomi appartenevano al regno di Thumb[29]. Una volta trafugati, ricopiati e svolta la purificazione, nascosero i volumi originali da qualche parte nel GranRegno.»
«Così avrebbero avuto un momentaneo libero accesso» conclusi logica.
«Esatto. Ruppero il sigillo. E... andata!»
«Saccheggiarono così la città» completai il racconto di Ajmer.
Improvvisamente mi apparvero le immagini delle case in fiamme; i volti delle donne, dei bambini, dei vecchi e dei contadini contriti dal dolore. Provai un enorme turbamento.
«Solo che a Thumb…»
«…aveva momentaneamente dimora Zahedi?» ipotizzai rattristata.
«Giusto.»
«Lui nascose la sua formula in uno dei Tomi, quello degli Incantesimi per l’esattezza» gettai lì, senza pensarci su.
«Sì, e ora è mia…»
«Ma è più importante della tua libertà?» gli chiesi, mentre riprendevamo a camminare.
«Sì» mi rispose con voce fioca.
«E ora i Sette Tomi Antichi che fine hanno fatto?» domandai con curiosità.
Ajmer alzò le spalle, come per dire “non ha molta importanza”. A questo suo gesto seguirono le seguenti parole: «So che Amalch, un antico condottiero, dopo estenuanti ricerche è riuscito a ritrovarli. Tutti, tranne uno: il libro degli Incantesimi[30].»
«Proprio quello dal quale hai rubato la formula?» incalzai incredula.
«Esattamente. Li portò nella Biblioteca di Murray e poi la dea luna Kathleen rimise il Sigillo degli Abissi al suo posto.»
«E i mercenari, che fine fecero?»
«Uhm, furono presi e pubblicamente giustiziati.»
Il racconto di Ajmer mi aveva davvero incuriosita, però non gli posi altre domande.
Avanzai di qualche o in avanti rispetto a lui. Mi raggiunse poco dopo.
«Vorrei stare per sempre con te» ammise, fermandomi e prendendomi le spalle.
«Potrai stare con me, fin quando lo desidererai» gli accordai sorridente. «Ma non rendermi la tua prigioniera, dolce Ajmer. Nessuno nasce schiavo di nessuno.»
Mi abbracciò, stringendomi forte a sé.
«È un male indicibile quello che provo in questo momento, Primrose!»
Ricambiai l’abbraccio e mi misi a piangere.
“Lo so, Ajmer. So quello che stai provando. Vorrei che non soffrissi più”, pensai, mentre calde lacrime mi scivolavano sulle guance.
In realtà, non sapevo esattamente che tipo di dolore stesse provando Ajmer. La mia unica preoccupazione era: che cosa avrei detto, una volta al cospetto di Zahedi, per liberarlo? Non lo sapevo, ma ero più che mai risoluta a trovarlo.
Capitolo Ottavo
“I VediTutto”
Baka, Sally e il signor Lunn, giunti da qualche tempo nel villaggio Wuchow[31], e ospiti di Karla, stavano per finire di pranzare.
«Lunn, devo ammettere che tua figlia è diventata davvero una graziosa ragazza. Quanti anni ha?» chiese la donna.
«Tredici» rispose secco. «Perché? Dimostra forse più della sua età?»
«No, Lunn caro. È che a questa età, il o dal diventare una donna a tutti gli effetti è breve» sorrise sorniona.
«Sì, lo so bene. Per mia fortuna ha preso il carattere vivace di mia moglie e il suo temperamento. Ma ancora ne ha di strada da fare. E anche molta» aggiunse scostante.
«I presupposti sono buoni, però. Ma dimmi, come mai siete qui, a Wuchow?» chiese con curiosità Karla.
«Stiamo cercando Primrose. Le dobbiamo consegnare una cosa.»
«Certo, caro Lunn» continuò lei frivola, mettendo le mani sui larghi fianchi come per sottolineare le sue buone intenzioni, «io non farò ulteriori domande al riguardo, ma compiere un viaggio così lungo per cercare la principessa… deve essere qualcosa di molto importante, o sbaglio?»
«Già» concluse seccato il singor Lunn.
Poi posò la forchetta sul tavolo e cercò di cambiare discorso: «Mi complimento con te, Karla, sei davvero un’ottima cuoca. Come sempre, del resto!»
Le lusinghe, però, non la fecero desistere. Infatti, mentre teneva in mano un calice di vino rosso, enunciò ambigua: «Grazie. Sono convinta che, da dove vieni tu, non si fanno più certi piatti…»
Il signor Lunn si spazientì e sbottò: «Vuoi sempre sapere di più di quello che devi sapere?»
«Sei aspro nei miei confronti. Ho un amico che viene dal futuro e non dovrei chiedere nulla?!»
«No, non dovresti» commentò acido il vecchio. «E ora, se mi vuoi scusare, vorrei andare a riposare.»
Si alzò di scatto, ma Karla lo trattenne per un braccio, con aria supplichevole.
«Lunn, ti prego, mio marito è in guai seri. Lavora sulla pianura Fulke per raccogliere le pietre che diventeranno polvere bianca, ma il padrone della pianura lo vuole cacciare. Non potresti intervenire, di ritorno dal tuo viaggio, in mio favore?»
«Non posso, Karla. Io, Sally, Baka e mister Riapath abbiamo preso a noleggio quell’antiquato veicolo guidato da quel capitano da strapazzo…»
«Morris, papà» intervenne imbarazzata Sally, con un finto colpo di tosse, per correggerlo.
«Sì, giusto, capitano Morris. E… cosa diavolo stavo dicendo?»
«Che abbiamo preso a noleggio un piccolo aereo» gli ricordò la figlia.
«E solo per trovare Primrose. Viaggiavano con noi altri dieci eggeri e sono tutti scomparsi. Non chiedermi altro. Siamo stati mandati…»
La donna lo guardò eccitata, in attesa che completasse la frase.
“Da Valjavec” avrebbe voluto aggiungere il vecchio, ma le voltò le spalle, turbato.
Dopo qualche istante, poco convinto, dichiarò: «E va bene. Al ritorno dal mio viaggio, parlerò al padrone. Ma non chiedermi altro.»
«Grazie» mormorò lei.
«E adesso, se vuoi scusarmi…» Si alzò da tavola e si allontanò, lasciando gli altri commensali perplessi.
***
Io e Ajmer, nel frattempo, procedevamo allegramente per la brughiera. Avanzavo saltellando, mentre lui rimaneva di qualche o indietro.
La giornata era splendida, e farfalle variopinte si inseguivano nell’aria afosa. Era già tempo di mettere qualcosa sotto i denti, così mi fermai e lo pregai di fare una sosta. Mi guardò perplesso: evidentemente disapprovava la mia decisione. Secondo lui, un minuto di indugio poteva permettere al mago Zahedi di raggiungerci. Ma gli feci notare che era proprio da lui che stavamo andando, ragion per cui potevamo fermarci presso l’altura. Presi dalla sacca il cibo e mangiammo. Poi, d’un tratto, Ajmer si sdraiò, asserendo di volersi riposare.
Mentre lui si addormentava, rimasi a guardare il paesaggio. L’orizzonte appariva colorato. All'improvviso, qualcosa attirò la mia attenzione: una nube colorata vagava bassa sull’altopiano. Mi alzai, volgendomi verso quella direzione, e iniziai a seguirla, incantata dal fascio di luce cangiante che emanava. Ben presto fui abbastanza lontana da non distinguere più Ajmer.
«Dove vai, principessa Primrose?» esordirono delle voci alle mie spalle.
Mi voltai sorpresa: un mostro con due teste e infiniti occhi mi stava fissando.
Trattenni a stento un gridolino.
«Siamo i VediTutto o Panoptai. Coro di filosofi.»
«I VediTutto» ripetei sbigottita.
«Perché viaggi con quel ragazzo?» mi domandarono. «È pericoloso attardarsi con uno schiavo di Zahedi. Sta’ molto attenta.»
«Ajmer ha bisogno di aiuto. E io lo aiuterò» ammisi candidamente.
«Ajmer» ripeterono sgomenti. «I tuoi ricordi stanno viaggiando con te» dissero. «È necessario che ricordi il ato per regnare sul GranRegno. Ma sii sollecita. Grandi eventi si abbatteranno sul GranRegno. Non potrai impedire che accadano, e Chidley avrà bisogno del tuo aiuto. Quale grande re può regnare senza la sua consorte?»
La voce era diventata spaventosa, il cielo d’un tratto grigio.
«Cercheranno di tenervi lontani. La vostra unione è fondamentale. Disgiunti, i vostri poteri sono deboli. Il nemico vi attende al varco e approfitterà di un momento in cui siete divisi per attaccarvi!»
Rimase in silenzio, poi il mostro riprese a parlare in una lingua che riuscivo a capire, sebbene non la conoscessi.
«La tua anima, che vaga in un mondo a parte, esisteva prima di prendere dimora nel tuo corpo» dissero all’unisono le diverse voci dell’essere, «scoprendo le forme in natura, compare il debole ricordo di dove abitava. Ecco come è nato in te il desiderio di far ritorno.»
Mi allontanai, spaventata e turbata. Qualcuno, in futuro, avrebbe cercato di separare me e Chidley per renderci deboli. Un piano di Ozark? Se era come avevano predetto i VediTutto, voleva dire solo una cosa: avevo dei poteri. E per ora erano bloccati o non sapevo usarli.
Mentre ritornavo da Ajmer, scorsi una figura in lontananza[32]. Indossava un mantello blu scuro, simile al mio. Il cappuccio impediva di scorgere i lineamenti del suo viso e così anche i capelli. Il forte vento scuoteva con impeto il suo mantello, facendo comunque rimanere celato ogni tratto distintivo. Strinsi gli occhi, nella speranza di studiare meglio quella persona, ma invano. L’unica cosa che notai fu il suo appoggiarsi a un lungo bastone di legno, alla cui estremità c’era una sfera incastonata nei ramoscelli del bastone. Questa sfera emanava una calda luce rossastra. Avrei voluto raggiungerla ma, non appena presi quella direzione, l’immagine svanì e mi ritrovai a correre da sola, nel vento.
Turbata, mi posi tante domande sulla natura di quella sagoma: era forse Zahedi, già sulle nostre tracce? Perché era fuggita vedendomi?
Al mio ritorno, Ajmer era ormai desto e mi guardava torvo. Sembrava molto arrabbiato.
«Perché ti sei allontanata?»
«Una nuvola di colori» risposi vaga ma sempre più turbata. «L’ho seguita e…»
«Vedi di non allontanarti più da me! D’accordo?» inveì aspro.
«Sì, va bene.» Promisi ma, in segreto nel mio cuore, qualcosa non mi convinceva. Avvertivo una certa inquietudine. In poche parole: non mi sentivo più tanto al sicuro.
Riprendemmo il nostro cammino. Mentre Ajmer avanzava di qualche o, rimanevo indietro pensierosa, con tutti questi interrogativi in testa che non trovavano risposte plausibili.
Capitolo Nono
“PietreColorate: una tribù colta”
Kandahar e Aalborg erano giunti, ormai da qualche tempo, alla città del Sol Levante. Alloggiavano in una camera di albergo. Mentre Kandahar era seduto sul letto, pensieroso, Aalborg prendeva posto su una sedia, vicino alla finestra.
«Mio buon servitore, la notte è lunga e io sono inquieto» mormorò Kandahar, andosi una mano tra i capelli brizzolati.
«Cosa vi rattrista, padrone?»
«Quello a cui abbiamo assistito.»
«Vi riferite ai tumulti in città? Ma cosa sta accadendo?» chiese il servo, sbirciando fuori dalla finestra.
«La rivoluzione, Aalborg, la rivoluzione. Mentre la principessa Primrose cerca egoisticamente i suoi ricordi, qui si soffre» spiegò aspro, mettendosi in piedi.
«Chi si ribella, padron Kandahar?»
«Le donne! Non hai sentito, ieri sera, quella ragazza gridare sulla montagna? È lei che capeggia questi moti. Mi sembra che si chiami Kurumi[33]. Ma cosa pensa di fare? Non può opporsi alla legge del suo popolo! Se nasce una primogenita femmina, deve essere abbandonata nella grotta delle lacrime. Invece no, lei si ribella, vuole abolire questa legge, addirittura senza usare la forza, e hai visto come va in giro vestita? Uno straccetto che nemmeno le copre il seno. E porta la fiaccola dalla Luce Verde, simbolo di libertà e di uguaglianza: una rivoluzionaria! Nessuno, prima di lei, si è mai opposto a questa legge.»
Tacque per alcuni istanti, mentre Aalborg lo guardava inebetito.
«Vuole opporsi alla legge del suo popolo» continuò Kandahar imperterrito e sempre più nervoso, «perché i suoi genitori sono morti linciati dalla folla: erano il valoroso guerriero Nassau, amico del principe Chidley, e sua moglie, Eriko. Nassau ha cercato la moglie nella grotta delle lacrime. Ha liberato tutte le donne. E per questo motivo è stato punito. È stato ucciso selvaggiamente. Non appena Kurumi ha saputo la verità sui suoi genitori, si è ribellata. Sta incitando le donne della città a prendere il comando. Ha liberato le altre fanciulle prigioniere nella grotta delle lacrime, proprio come fece suo padre: tale padre, tale figlia.»
Poi si avvicinò alla finestra per guardare le lingue di fuoco che lampeggiavano in città. Tutt’intorno si udivano soltanto grida, esplosioni, e gli abitanti fuggivano dalle case lasciandole disabitate.
«Bruceranno ogni cosa. Kurumi morirà, insieme a tutte le altre. Stolte!» commentò sfiduciato, stringendo forte l’elsa della sua spada.
«E voi che cosa volete fare?» chiese pensoso Aalborg.
«Dobbiamo partire al più presto, domani all’alba. Non possiamo restare qui ed essere coinvolti in questa assurda storia. Abbiamo già la cattiva sorte che ci insegue.»
«Padrone, può darsi che non sia un caso. Può darsi che stiamo assistendo a questa rivoluzione proprio per rimanerne coinvolti.»
Si voltò verso il servo, che lo stava osservando con occhi sgranati e pieni di paura.
«Aalborg, temo che tu abbia ragione, non riusciremo a salvare Milmay e, forse, nemmeno noi ritorneremo a casa. Quanto tempo abbiamo a nostra disposizione? Poco. E dobbiamo combattere anche contro la cattiva sorte.»
Kandahar si accasciò su una seggiola vicina al letto.
«Se solo avessimo la fortuna di incontrare la principessa!» esclamò esasperato. «Ma come possiamo fare? Sono disperato, disperato!» Kandahar si mise a piagnucolare, infilando le mani tra i capelli.
«Non vi allarmate, mio signore, troveremo una soluzione» cercò di rincuorarlo il servo.
***
Io e Ajmer ci stavamo dirigendo verso Bosshère[34], cittadina a pochi chilometri da Ronsard, antico villaggio rurale. Durante il nostro cammino, eravamo rimasti in silenzio per la maggior parte del tempo. Continuavo ad avere uno strano presentimento, inesprimibile a parole. Poco dopo, mi sentii seguita e anche osservata. Per scoprire chi ci stesse inseguendo, mi fermai di colpo. Ajmer non si accorse del mio gesto, e continuò a camminare per un bel pezzo prima di arrestarsi. Qualcuno ci stava forse pedinando? Pensai subito a Zahedi.
«Chi è là?» domandai.
Degli omini dal viso dipinto ci circondarono. Avevano delle penne in testa e uno straccetto copriva a malapena la loro pelle scura. Uno di loro, dopo una lunga e ansiosa attesa, uscì da dove si era nascosto per avvicinarsi al nostro cospetto. L’omino mi arrivava alla cintola ma mostrava un corpo allenato e muscoloso.
«Sono Nojogard, capo della tribù PietreColorate.»
«Io Primrose. E lui, invece, Ajmer» risposi con diplomazia.
«Non siamo come i Rihadh, la tribù del regno Luna di vetro, che ha origini guerriere. Siamo pacifici, come quella delle PenneBruciate» disse il vecchio capo. «Vorremmo ospitarvi nel nostro villaggio.»
«Stiamo andando a Uralsk, da Zahedi» annunciai risoluta. «E non possiamo fermarci.»
L’omino guardò a lungo me, poi Ajmer. Sorrise ironicamente e disse: «Credo che sia già sulle vostre tracce. È uno stregone molto potente.»
Non appena Nojogard pronunciò queste parole, mi ritornò in mente la sinistra figura scorta nella prateria: l’uomo dal mantello blu e dal bastone con la sfera luminosa.
“Doveva essere sicuramente lui”, pensai rattristata perché avrei voluto tanto parlargli.
«A noi non può far nulla. La nostra tribù è protetta dal GrandeScudoD’Oro, un dono del principe Chidley» concluse il capo tribù.
Dunque era come pensavo, Chidley era sempre con me!
Accettai con grande entusiasmo l’invito, nonostante Ajmer non volesse rimanere in quella tribù. Si opponeva con tutte le sue forze e non capivo il perché; io, invece, ero ben lieta di essere accolta. Mi ricordavo, infatti, della piacevole accoglienza di PennaQuarta.
Capitolo Decimo
“Il primo ricordo”
Dopo essere rimasti alcuni giorni a Wuchow, ospiti di Karla, Sally, Baka e il signor Lunn ripresero il loro viaggio.
«Ci vorrebbe un loyen[35], camminare è faticoso!» si lagnò Baka, sbadigliando. «Anzi, che dico, troppo faticoso!»
«Qui purtroppo ci sono solo cavalli: la tecnologia del futuro non esiste» osservò stancamente Sally. «È già una grande fortuna avere con noi il roetter per sapere dove si trova Primrose.»
«Be’, la signora Karla voleva darcene un paio: perché abbiamo rifiutato?» domandò seccato Baka.
«È presto detto: come le sfamiamo altre due bocche? Noi possiamo essere ospitati, ma gli animali non sono nelle condizioni di percorrere lunghi tragitti senza riposarsi» rimbeccò irritato come sempre il signor Lunn.
«E poi che te ne fai di un cavallo? Tu ti spaventi come un allocco» aggiunse Sally.
«Sì, lo so, infatti ho detto che due sarebbero bastati: io sarei salito con te.»
«Baka, non hai tutti i torti, però non li ho accettati per principio. A proposito, Sally, dov’è in questo momento la nostra amata principessa?» domandò il signor Lunn.
«Presso la tribù PietreColorate. A quanto sembra, si è fermata lì. Il puntino pulsa in maniera costante» rispose la ragazza e guardò in faccia suo padre, dritto negli occhi.
«Speriamo si fermi lì per qualche giorno, così potremo raggiungerla» commentò a sua volta l’anziano, trascinando i piedi. «Qual è la prossima tappa?» chiese poi alla figlia, lisciandosi i baffi.
«Fra qualche ora giungeremo a Poliakov, antico paese vicino al mar Wenchow. Lì dimora dama Uyeda, la fata del vento. E incontreremo qualcuno di nostra conoscenza.»
Il padre la interruppe dicendo: «Sì, sì, conosco Noa, la Sacerdotessa del Tempio di Ayon. Potremmo sostare per qualche tempo presso di lei…»
«Non intendevo questo. C’è il capitano Morris.»
«Il capitano Morris?» ripeté l’uomo trasecolando. «Come fai a…?» ma lasciò la frase a metà, perché Sally scuoteva il roetter.
«Quando eravamo da Karla per riposarci, ho fatto delle ricerche con il roetter. Ed è a Poliakov.»
«Bene, almeno gliene potrò dire quattro: non deve venire con noi. Quell’uomo… io…» ma si trattenne; Baka lo osservava. Lui vide il suo naso pieno di lentiggini arricciarsi per la disapprovazione.
Cambiò diplomaticamente discorso ma ripensò alla richiesta della sua amica. «Karla, Karla… è stata eccessiva questa volta: voleva aiutare suo marito» continuò stizzito.
«Non le avrete mica parlato della nostra missione?» domandò Baka, mettendo le mani dietro la nuca e camminando svogliato.
«No, ma quella donna è molto furba e capisce più di quello che dovrebbe comprendere.»
«Cosa credi abbia capito, ad esempio?»
«Non ne sono certo, ma forse ha intuito che portiamo il diadema.»
«Cosa accadrà quando la principessa indosserà la corona?» chiese Baka.
«Ricorderà e tornerà finalmente a regnare. Fossi in te, Baka, non sarei tanto fiducioso, però.»
«In che senso?»
«Credi che non sappiano che siamo qui?» alluse il signor Lunn, guardando in modo sinistro il ragazzo.
«Vuole dire che cercheranno di fermarci?»
«Certo!» rispose il vecchio, scuotendo il bastone con vigore. «Ma ti assicuro che ci difenderemo, bello mio!»
«E come? Non abbiamo armi né poteri magici. Il roetter di Sally a malapena ci dice dove trovare le persone. Nello schianto si è quasi rotto.»
Sally, come prova, mostrò al padre la crepa nell’apparecchio.
«Non possiamo sapere con precisione tutto. Devo fare i calcoli prima io, dando delle coordinate provvisorie» ammise la ragazza dispiaciuta.
«Be’» fece ottimista il signor Lunn, «un modo lo troveremo» e posò lo sguardo sulla figlia, che si strinse nelle spalle: suo padre era il solito ciarlatano.
***
Nel frattempo, io e Ajmer eravamo ospiti della tribù PietreColorate. Ajmer era inquieto e nervoso. Non volendo starmi vicino, si ritirò con aria cupa nella tenda che ci avrebbe ospitato.
«Che cosa gli prende?» chiesi a voce alta.
«È uno schiavo – e rimarcò questa parola – di Zahedi, anche se, a volte, da schiavi si diventa padroni. Può darsi che l’effetto del GrandeScudoD’oro gli dia fastidio. Chi lo sa. Mi spiace per il tuo amico, ma si sentirà male fino a quando starà qui. Lo scudo emana luce e rischiara l’oscurità, di cui egli fa parte» mi rispose Nojogard, il capo tribù.
Avanzammo tra le tende colorate. Sembravano realizzate con un impalpabile tessuto; gruppi di persone si affacciavano al nostro aggio. Le tende si muovevano spinte da un vento leggero, lasciando intravedere i frugali ambienti che racchiudevano. Leggiadre come meduse variopinte, sembrava respirassero placidamente.
«Questa è la nostra tribù» disse il grande capo. «Vi dimoriamo grazie al principe Chidley. Ha salvato la nostra popolazione dal dominio dei maghi cattivi come Zahedi, Ozark e Zanon.»
«Come mai vi perseguitano?» chiesi incuriosita.
«Abbiamo l’oryza, ovvero le dieci gemme dei Sette veggenti, dette anche le pietre della filosofia, una scienza che riguarda il discorso della sapienza» disse
mostrando ciò di cui stava parlando.
Una pietra a forma di rombo tridimensionale fluttuava nell’aria tersa della giornata; era color porpora ed emanava una calda luce dello stesso colore. Attorno ruotavano in orbita delle schegge nere: le dieci gemme.
«A che cosa vi servono?» domandai curiosa.
«Oh, a noi non servono a nulla. Siamo semplicemente dei Custodi. Ma i maghi malvagi possono utilizzarle per distruggere le città, le genti. Basta rubarne una sola e il potere si rafforza; immagina cosa significhi possederle tutte! Ogni pietra ha un suo caratteristico potere. Ce ne fecero dono i Sette veggenti di Aston.»
«Quindi, Ozark deve avere preso una di queste pietre per imprigionare le genti del mio regno» commentai ad alta voce. «Ma se non avete origini guerriere, come le proteggete? Perché siete indicati a custodirle? E chi sono i Sette veggenti di Aston? »
«Una domanda alla volta. Noi siamo i Sacri custodi dell’oryza perché non la possiamo utilizzare. Infatti, la storia del nostro popolo si fonda solo nei libri, si basa sulla sapienza. Noi, però, li leggiamo dalla fine all’inizio: dobbiamo sapere prima quello che accadrà, e dopo quello che è accaduto.»
Rimasi turbata e continuai incalzante: «Come mai?»
«Non possiamo conoscere il futuro, ci è negato prevederlo. Abbiamo, dunque,
questa grande paura. Ragion per cui, dobbiamo sapere prima quello che accadrà in una storia, e poi quello che è accaduto.»
Fece silenzio, quindi riprese, fissando a lungo la catenina che portavo al collo.
«Per quanto riguarda i Sette veggenti di Aston, sono sorpreso: non sapete chi sono?» chiese senza nascondere lo stupore.
Feci di no col capo e aggiunsi: «Sono in viaggio per liberare Ajmer dalla schiavitù di Zahedi, ma, in realtà, tutto è iniziato perché sto cercando i miei ricordi.»
Tacque per alcuni istanti, perplesso. Poi prese la parola, dicendo: «Principessa, non ricordate davvero il vostro ato? Questo è grave!»
«Lo so» ammisi scoraggiata.
«Davvero grave» ribadì e sospirò. «Ebbene, si tratta dei Sette re della dinastia degli Ulh.»
Ci guardammo a lungo silenziosi. Lui cercava sul mio viso una qualche approvazione, un cenno di assenso; io semplicemente che continuasse con le sue delucidazioni. Doveva aver subito compreso il mio totale smarrimento, perché riprese a raccontare con voce calma e pacata: «Erano i re che governarono per qualche tempo il regno Corallo di avorio, prima che si insediasse re Trinkous, padre di Axel, uno dei cavalieri della coppa delle quattro virtù.»
Il nome del principe mi suonava vagamente familiare, infatti l’avevo già sentito.
«Sotto il dominio dei Sette veggenti, il regno prosperò nella ricchezza e nell’agiatezza. Fu come un’età dell’oro per quel regno» continuò imperterrito. «Ma una guerra pose fine alla loro stirpe. Infatti, vennero barbaramente trucidati.»
«Perché?»
«È una lunga storia. Desiderate davvero conoscerla?»
In tutta risposta annuii.
«Un certo Toland, primo ministro di palazzo, cospirò alle loro spalle.»
«Cioè, mi stai dicendo che sette uomini furono sconfitti da un solo uomo?» lo interruppi incredula.
«Sì e no. Toland capeggiò i gruppi di dissidenti che si andarono formando nelle varie città, all’insaputa dei sovrani.»
«Ma non erano veggenti?» obiettai scettica.
«Sì. Difatti, avevano ricevuto la profezia della loro caduta, ma non riuscirono a opporsi all’insurrezione. Quando nessuno ubbidisce più ai tuoi comandi, perché non condivide le tue idee, cosa si deve fare?»
«Soccombere?» azzardai.
Nojogard annuì.
«Combatterono fino alla fine, ma vincere in sette contro un intero popolo è un po’ difficile, no?»
«Già. Ma perché il popolo si ribellò al loro governo?» «Volevano l’oryza, cioè Toland la voleva.»
«Ah! E come mai non riuscì a prenderne possesso?»
«Innanzitutto, l’avevano data a noi per proteggerla e ci avevano eletto Sacri custodi, donandoci un particolare potere. E in secondo luogo, era intervenuto re Trinkous a nostra difesa. Toland riparò a Bainton[36] e trovò protezione alla reggia di re Ollier[37]. Non poté essere condannato e per anni visse in esilio in questo regno. Si diede allo studio della magia oscura e scomparve, appena centenario, in un viaggio verso Anshen[38]. Credo che cercasse ancora di sottrarci le gemme. Nella sua copiosa libreria sono stati rinvenuti numerosi saggi, scritti di suo pugno, sulle direzioni dell’oryza.»
«Direzioni?»
«Sì. L’oryza può essere trovata da chiunque lo desideri, ma l’accesso a ciascuna delle porte è difficile da trovare.»
Quanti eventi brulicavano dentro la mia mente!
Dopo il racconto del vecchio capo tribù, provai rammarico a non ricordare. Nojogard mi vide pensierosa, con il volto abbassato, e aggiunse sempre con voce pacata: «Non dovete, mia principessa, preoccuparvi più di tanto. Sono certo che un modo per riavere i vostri ricordi ci sarà.»
Alzai lo sguardo, per un attimo rincuorata dalle sue parole.
«Lo spero» replicai, ma sinceramente non ero per nulla convinta di quella frase, pronunciata solo per circostanza.
Lui si incupì: un’ombra oscura ò veloce sul suo volto. Ma poco dopo si schiarì, come se si fosse ricordato di qualcosa di importante.
«Adesso che ci penso, uno dei Sette veggenti mi profetizzò la vostra venuta e accennò anche alla vostra ricerca.»
Ci guardammo con stupore.
«E dunque?» chiesi ansiosa.
«Il GrandeScudod’Oro, dono del principe Chidley, di cui vi parlavo, ci protegge. Se dovesse sparire, moriremmo. Noi non possiamo toccare l’oryza, però voi sì, Primrose. Il Veggente mi disse che un vostro ricordo è nascosto in una delle dieci gemme. Se sceglierete una pietra, quella giusta, allora potrete riacquistare il ricordo. Però non è obbligatorio. Potete anche proseguire il viaggio, senza sceglierla.»
«Come mai contengono un mio ricordo?»
«Perché è stato nascosto lì.»
«Da chi?»
Udii un solo nome, quello che sospettavo: «Ozark!» rispose lui.
“Ozark…”, pensai entrando nella mia tenda, ovviamente turbata. “Credevo di averlo sconfitto. Invece, quel mago aveva pensato proprio a tutto. Sapeva che quando sarei giunta al suo cospetto, lo avrei distrutto con poco. E così aveva anticipato gli eventi. E ora cosa potevo fare? Scegliere la pietra della filosofia o continuare il viaggio, sperando di trovare un’altra soluzione?”
Ajmer era raggomitolato in un angolo. Sembrava soffrire molto. Tremava assiderato.
«Ajmer» lo chiamai ma non mi rispose; probabilmente si era addormentato, stremato dalla sofferenza.
Allora non ebbi più alcun dubbio. “Dobbiamo partire, e anche subito”, pensai. “Devo salvarlo da Zahedi. Dopo penserò ai miei ricordi e al regno. Del resto, per ora, governa mia madre.”
Capitolo Undicesimo
“Le dieci gemme dei Sette Veggenti”
«Non ha corso inutilmente» iniziò il suo racconto Kandahar, «nelle strade giacevano corpi senza vita. Ma lei ha continuato a correre e, finalmente, l’ha accesa. Sì, ha la fiaccola sulla collina e ha dimostrato, con il coraggio e con la determinazione, un gran valore. La città è stata liberata da quella legge[39]. È stata Kurumi.»
Mathiez lo ascoltava, dietro al bancone delle bibite, intento a lucidare i bicchieri, mentre Aalborg sonnecchiava in un angolo del locale.
«E come siete riusciti a fuggire, allora?» domandò incuriosito Mathiez, avvolto nella penombra.
«È stato molto difficile. Siamo rimasti giorni interi chiusi nella stanza dell’albergo. Non potevamo uscire; se lo avessimo fatto, ci avrebbero sicuramente uccisi. Il mio servo ed io non speravamo più che quella rivoluzione finisse. Invece, un giorno è venuto l’oste e ci ha detto che la città era stata espugnata e la rivoluzione conclusa.»
«Oh, son vecchio, ormai, per questi racconti. Se solo Primrose avesse governato il suo regno! Non ci sarebbe stato tutto questo spargimento di sangue» asserì Mathiez dandosi un colpetto sul torace.
«Già. La nostra principessina è in viaggio, caro Mathiez. Sta cercando i suoi ricordi e si è dimenticata del popolo» ribadì in tono canzonatorio il principe di Duverger.
«Ciò che dite, Kandahar, è ingiusto: Primrose si è sempre presa cura di noi! Ma non può governare senza i suoi ricordi. Li sta cercando per una giusta causa.»
«Se è come affermate, allora perché ha atteso tanto per cercarli e non è partita subito?»
Mathiez alzò le spalle e in tutta risposta disse: «Non ne ho proprio idea. Forse sperava che le sarebbero ritornati vivendo nel castello insieme a sua madre. Evidentemente, ha compreso solo dopo che era necessario cercarli. E comunque non bisogna dimenticarsi che la regina Arabella è una degna sostituta, anche se non può curare ogni cosa da sola dopo che ha donato i suoi poteri alla figlia.»
«Appunto, ne valeva la pena? Dopotutto la principessina è giovane. Quale esperienza può avere per governare un regno talmente grande?»
Mathiez posò il bicchiere che stava lucidando sullo scaffale e ne prese subito un altro. Kandahar notò così le sue imponenti spalle e ne rimase alquanto sorpreso. Infine, replicò: «Voi non siete di questi parti, perché altrimenti sapreste che in questo regno c’è un destino che lega i sovrani alla loro terra. In poche parole: è il suo dovere. Lei non può sottrarsi, e nemmeno la sua discendenza.»
«Ah!» Fu l’unico commento che riuscì a esprimere Kandahar. «E ditemi,
Mathiez, voi che l’avete conosciuta: chi è Primrose?» Il suo tono di voce aveva un che di sarcastico.
«Anche se ve lo dicessi, voi non capireste quale essere splendido cela quella ragazza!» concluse l’imponente locandiere e non aggiunse altro.
***
Ero nella tenda insieme ad Ajmer. Si contorceva per il dolore ed emetteva gemiti. Attesi che si addormentasse di nuovo e scivolai fuori.
Era già buio e una luna lucente e tonda risplendeva alta nel cielo. Le chiome degli alberi frusciavano per il vento tiepido; qualche foglia si staccava dai rami per cadere ai miei piedi o per volarmi attorno in un turbinio frenetico.
Avanzai con o lento nella semioscurità. L’oryza aveva attirato la mia attenzione, dopo aver udito quel racconto. E, in breve, vi fui proprio davanti. Mi aveva molto incuriosito soprattutto il movimento delle pietre. Se erano veramente un bene per quella tribù e per tutto il regno, e se bastava distruggere il GrandeScudoD’oro per ottenerle, allora erano perennemente in pericolo. C’era poi quella storia che mi aveva raccontato Nojogard sulle “direzioni” della Sacra pietra.
Riflettei, dunque, su quanto mi aveva riferito il vecchio capo.
“Ci sono delle porte che permettono l’accesso da ogni parte del GranRegno
all’oryza. Il difficile è aprirle. Per quale motivo io ed Ajmer siamo riusciti a trovarla?”
Rimasi alcuni istanti a guardarle incantata. Forse, erano molto più di un semplice monumento da custodire. Osservai il movimento delle dieci gemme e pensai che girassero fin troppo lentamente. Come se sapessi già cosa fare, sollevai il braccio in avanti, quello destro, e, con il palmo della mano rivolto verso le dieci gemme, attesi in completo silenzio.
Davanti ai miei occhi, scaturita dalla mia mano, si formò una luce giallognola, simile al bagliore del sole, e prese la forma di una sfera. La sfera luminescente si staccò dal palmo della mia mano e fluttuò alcuni secondi in aria, tra me e l’oryza.
Percorse la traiettoria rettilinea che andava da me alla pietra romboidale. Sostò davanti all’enorme amuleto e venne inglobata all’interno. Il talismano risplendette di luce abbacinante, ma io potevo guardarla senza rimanere accecata. Dopo questo bagliore, ritornò il buio. D’un tratto, le dieci gemme cambiarono la loro traiettoria, dapprima fermandosi, poi girando al contrario e molto più velocemente. Era forse quello il potere del quale mi avevano parlato i VediTutto? Sentivo, in cuor mio, di aver fatto un’azione giusta.
L’indomani mi venne incontro il Capo della tribù, Nojogard, mentre indugiavo pensosa tra le felci selvatiche. Mi chiamò a gran voce e pieno di entusiasmo. A quanto sembrava, li avevo liberati dal gran male di cui soffriva la loro tribù: leggere i libri al contrario per paura del futuro.
«È un prodigio!» esclamarono tutti contenti.
«Non dovete più temere il futuro» dissi alla folla che si era radunata per sentirmi parlare. «È vero, è pieno di insidie e di pericoli, ma è simile al presente. Come lo è il ato. Fa parte della vita. Tutti voi vivrete, sia pur in modo diverso, chi più e chi meno, il vostro futuro. La paura, come la gioia, è parte integrante degli esseri viventi.»
Con quel mio gesto avevo ristabilito un equilibrio perduto da anni. Quelle creature vivevano nell’angoscia di non sapere se ci fosse un domani, divenendo così facile preda dei nemici.
Prima che io e Ajmer lasciassimo la tribù, il Capo volle parlarmi in disparte. Mi diede in dono un pugnale, scolpito dai suoi antenati, e mi disse: «Potrebbe servire per proteggervi, Primrose.»
Non aggiunse altro mentre lo prendevo. Quando lo ebbi tra le mani, mi apparve molto più piccolo; la lama era di ferro, e sul manico erano incastonate delle pietre colorate. Una di queste mi ricordò il dono dello spettro in sogno: la pietra di myrdal. Mi misi a cercarla nella tasca della casacca, ma non la trovai. Forse l’avevo lasciata dentro la sacca e mi ripromisi che l’avrei cercata lì, più tardi.
Nojogard notò la mia apprensione poiché non amavo usare le armi, e si affrettò a specificare: «È un packel[40], ferisce solo quando si desidera ferire. La ferita non dura che qualche minuto, giusto il tempo di poter fuggire.»
«Ah, adesso capisco perché me ne hai fatto dono» risposi frettolosamente, ma continuai a pensare alla pietra di myrdal.
Quando fummo sulla strada maestra, Ajmer respirò a pieni polmoni.
«Oh! Non mi sono mai sentito meglio in vita mia. Finalmente siamo fuori da quel postaccio! Ehi, Primrose, che ti prende?» fece guardandomi di sottecchi. «Hai fatto la tua opera buona per quella popolazione, dovresti sentirti contenta: stai riacquistando i tuoi prodigiosi poteri. Anche se non ti serviranno a nulla contro Zahedi.»
«Stavo solo pensando, Ajmer» ribattei sconsolata.
«Oh. So cosa pensi» disse in tono furbo. «Al tuo bel principino. Non temere, è al castello e ti attende ansioso.»
Lo guardai torva e lui ridacchiò forte.
«O forse no, aspetta... ti sei finalmente innamorata di me? Fuggiamo insieme allora!» fece per abbracciarmi.
«Ajmer! Se continui, ti riporto alla tribù PietreColorate» dissi arrabbiata, svincolandomi dalla sua stretta.
Mi guardò perplesso, prima di riprendere la parola.
«Cosa c’è che non va, allora?»
Mi fermai e mi sedetti sopra un masso.
«Non lo so, mi sento piuttosto depressa. Credi sia normale?»
«Dipende da quello che ti rattrista» disse logico Ajmer.
Lo scrutai: non potevo certo rivelare di aver avuto un brutto presagio riguardo a lui.
Così rimasi in silenzio, mentre allargava le braccia e sorrideva, felice di non essere più sotto l’effetto del GrandeScudoD’Oro.
«Sei piena di misteri, oggi» fece ironico. Si sgranchì le gambe e venne a sedersi accanto a me, mentre con grande disappunto scuotevo la testa.
«Ajmer!»
«Cosa c’è?»
«Mi stai nascondendo qualcosa?»
«Nulla che tu già non sappia.»
«Temo quello che so» gli risposi angustiata. «Oh, ma andiamo, è tutto inutile. Parlare con te è come parlare con il vento» spasimai infine.
Mi alzai arrabbiata e ripresi a camminare.
«Sai, Primrose» mi corse dietro ridendo. «Sei ancora più carina quando ti arrabbi.»
I miei timori, purtroppo, erano fondati. Non avrei tardato molto per avere conferma di quello che avevo già percepito.
Capitolo Dodicesimo
“Prigioniera”
Da parecchio tempo oramai, Sally, Baka e il signor Lunn erano giunti a Poliakov[41], un vecchio paese vicino al mare Wenchow. Ospiti di Noa, l’antica sacerdotessa, soggiornavano al Tempio di Ayon[42].
Un pomeriggio, caldo e assolato, seguendo le indicazioni del roetter di Sally, ritrovarono il capitano Morris. Stava seduto vicino a un pescatore intento a riparare la sua rete, e fissava il mare, imperturbabile, fumando la sua pipa mentre alcune barche, ancorate al molo, dondolavano placidamente.
«Lieto di rivedervi. Immagino che ce l’abbiate con me» disse senza neanche squadrarli, tra una boccata e l’altra di fumo.
Lunn strinse il pugno e si trattenne dal confermare ciò che il capitano aveva affermato. Sally intervenne subito per impedire al padre di dire qualche sciocchezza.
«E voi? Perché siete qui?» domandò.
Il capitano Morris ebbe un fremito e, per un attimo, Sally temette che anche lui sbottasse, invece la sua voce mantenne a fatica un tono pacato.
«Potrei dire la stessa cosa di voi! So che soggiornate al tempio, da Noa, quindi nel lusso[43]. Io sono ospite di quest’umile uomo, invece. Ebbene? Che volete dunque? Portate quel diadema alla principessa e lasciatemi solo.»
Sally guardò il roetter. «Stiamo solo perdendo tempo: Primrose è di nuovo in viaggio» proferì sconfitta.
«Già, è come pensavo» ammise il capitano, dopo aver soffiato dalle narici una nuvoletta di fumo grigio.
«Cosa?» chiese Sally stupita.
«Non l’avete saputo? La principessa vi sta cercando.»
Si guardarono sbigottiti.
«Sì» aggiunse il capitano Morris, incurante della loro reazione. «È in viaggio perché sta cercando i suoi ricordi, ma lei non sa che voi siete giunti dal futuro, in missione…» e qui tacque, sottolineando quest’ultima parola con enfasi. Tossì, poi riprese a parlare: «Per portarle il diadema che le farà ricordare ogni cosa.»
Seguì un lungo silenzio. Le onde sbattevano sulle chiglie delle barche che, poco distanti da loro, oscillavano placidamente come culle.
«Non la troverete mai, è inutile. È prigioniera di Zahedi.» Si dondolò un poco, come preso improvvisamente dall’ansia.
Sally ripeté: «Zahedi?» La ragazza si sedette a terra, sul molo di legno.
«Chi è?» domandò Baka.
«Zahedi è uno stregone malvagio, Chidley non è mai riuscito a sconfiggerlo. Vive a Uralsk[44]. Imprigiona le persone con il koyre, un gioiello simile a una catena, una sorta di collana o braccialetto» spiegò Sally, sempre informata su tutto.
«È terribile, non c’è via di scampo» continuò il padre. «Spero solo che Godwiv l’aiuti, oppure che accorra almeno uno dei quattro cavalieri. Ma Chidley dov’è?»
Il capitano Morris venne scosso da un altro fremito: «Nel suo castello a regnare. So, però, che il principe Axel è partito per andare in suo soccorso. La IV scissione ormai è prossima, ne sono certo. Ci saranno conseguenze per le genti di questi paesi.»
«Ma perché Chidley non interviene? Perché rimane nel suo castello senza far nulla?» protestò a denti stretti il signor Lunn.
Il capitano Morris lo fissò per alcuni istanti prima di rispondergli: «Re Melville non glielo permette.»
«Cosa?» dissero all’unisono Baka e Sally.
«Già» borbottò il capitano. «Il sovrano serba un antico rancore per la nostra principessa: i nemici, a volte, non sono poi così lontano da noi» commentò solerte.
«E quindi?» chiese Sally.
Il capitano Morris fece spallucce.
«E quindi niente, piccola cara. La principessa dovrà sbrigarsela da sola» riprese a fumare tenendo lo sguardo fisso verso l’orizzonte.
La luce del sole tremolava sul pelo dell’acqua e il riverbero si rifletteva sui volti dei presenti.
«Capitano, volete unirvi a noi per aiutare Primrose a ricordare?» disse Sally rompendo il silenzio che li avvolgeva, e lanciò un’occhiataccia al padre per zittirlo.
«Il diadema… quello no, non lo voglio portare io alla principessa. Sei stata prescelta tu, Sally Lunn, per questo ruolo.» E qui si interruppe; aveva gli occhi spalancati e funesti.
Il signor Lunn, spazientito, si intromise: «Sì, sarà mia figlia a incoronare la
principessa, facendola diventare regina, ma non permetterò che accada nulla di male a Sally. Sono partito con l’intento di aiutarla a compiere la sua missione!»
«Cosa non farebbe un padre per la propria figlia» considerò il capitano Morris senza alcun interesse. Poi scosse la testa. «Non vi accompagnerò in questa assurda ricerca. Mi spiace» aggiunse con rammarico e abbassò lo sguardo.
Sally si alzò e se ne andò via arrabbiata, senza nemmeno tentare di convincerlo a desistere dal suo intento.
«Sally!» la chiamò a gran voce il padre.
Lei, giunta sull’altura, disse gridando: «Noi dobbiamo provarci!» Il signor Lunn capì che la figlia stava piangendo quando udì queste parole: «Non ritorneremo indietro fin quando Primrose non sarà regina, come è destino che sia!»
Mentre Baka la seguiva dispiaciuto, lui la vide fuggire via, portando una mano sul viso per asciugare le gote rigate dalle lacrime.
***
«Da dove vieni, Ajmer?» chiesi con un filo di voce. Stavamo seduti attorno a un falò che si stava lentamente spegnendo.
«Dall’Est. La brughiera era la mia casa. Lì il cielo è sempre grigio e le nuvole
sono d’argento, brillano per un insolito sole che splende, ma… chissà dov’è. Un giorno mi sono detto: devo cercarlo per vederlo almeno una volta!»
«E l’hai visto?»
Ajmer scosse la testa in segno di diniego.
«No. Eppure, da qualche parte so che splende, anche per me. Sai, lì nella brughiera è difficile sognare. Il vento spazza via ogni speranza, ogni illusione, ma non la mia.» Tacque. Prese un legnetto da terra e lo sbatté con insistenza, puntando l’estremità sul terreno. «Già. Se si nasce in un posto e non in un altro, vuol dire che un motivo ci sarà, no?» fece allargando un amaro sorriso.
Quindi, mi puntò gli occhi addosso e io avvertii un forte disagio.
«È proprio così, come dici tu: non scegliamo dove nascere, eppure un posto c’è stato assegnato prima di venire alla luce» cercai di rincuorarlo, ma parve non ascoltarmi e continuò il suo monologo.
«Il ruolo che recitiamo ogni giorno ce lo impongono gli altri. Non siamo liberi, e i nostri sogni verranno prima o poi spazzati via dal vento. Il vento della brughiera a inesorabile su ogni cosa e non resta che stare a guardare. Sentire gli abiti e i capelli alzarsi al suo aggio, come una sorta di perenne inchino all’ineluttabile destino. Ho detto no a quella vita scontata. Ho guardato la gente. Siamo dei nomadi, Primrose, anche se ci fermiamo in un posto. Siamo avidi vagabondi alla ricerca di una nuova meta da seguire.»
Tacque per alcuni istanti. Quindi, riprese a dire: «Non ho mai visto, prima di te, uno sguardo così bello. Eppure l’ho cercato tanto negli occhi della mia gente. Credo, Primrose, che su di te si sia posata la grazia dell’amore perenne. La bellezza di questo tramonto che ci abbraccia con la sua luce, non può descrivere la pace che provo guardandoti!»
Chinai la testa per raccogliere un po’ di fiato in gola, e lo esortai: «Adesso ascoltami, Ajmer. La brughiera ti attende; anche se è un posto grigio, devi fare ritorno. Non puoi essere schiavo di Zahedi: non può darti la felicità che tanto ansiosamente cerchi.»
«Non so cosa farmene della libertà proprio ora che ti ho conosciuta! Plasmami, Primrose, come ti piacerebbe che io fossi!»
Si inginocchiò ai miei piedi, mentre io continuavo a tacere.
«È il mistero dell’amore quello che sto provando… Nella brughiera c’è solo il vento freddo; lì ero condannato a guardare un orizzonte uguale ogni giorno. E poi, quale libertà sarebbe desiderabile? Il mio padrone, Zahedi, invece è sempre con me. Mi ha dato un potere, degli ordini da eseguire.»
«Ajmer, tutto ciò che danneggia gli altri, non porta mai a nulla di buono. Ti sei nutrito solo di egoismo.»
Si alzò in piedi e mi squadrò serio. Eravamo uno di fronte all’altra ora. Vidi che aveva al collo la catena. Non lo dava a vedere, ma doveva pesare molto.
«Ajmer, non posso darti quello che cerchi. La felicità si costruisce facendo il bene agli altri. Da’ anche a me la tua catena. Dividiamola, insieme sarà più leggera. Non ti lascerò solo.»
Feci per afferrarla con la destra, ma lui mi fermò con un gesto repentino. Prese la mia mano tra le sue. La sua presa era ferrea: non potevo liberarmi facilmente.
«Ho sperato tante volte di sentirmelo dire» disse sottovoce, socchiudendo gli occhi. «Oh! È stupendo, Primrose, l’amore che hai per gli altri!»
Alzò gli occhi al cielo.
«Ora capisco cosa vuol dire non essere soli…»
E mi abbracciò. La ferita sul suo collo era proprio davanti ai miei occhi. Tenne lo sguardo rivolto verso il cielo, come in estasi. Una splendida sensazione ci avvolse, un piacevole calore lungo tutto il corpo. Volevo abbandonarmi a quella stretta, e cercai di cingerlo con le braccia; dapprima esitai qualche istante, poi lo feci con fiducia. Rimanemmo avvinghiati l’uno all’altra per un po’ di tempo. Qualcosa, però, turbò quella quiete apparente e un’insolita tristezza mi sconvolse. Purtroppo sapevo che sarebbe riaccaduto. Cercai di svincolarmi, inutilmente. Lui mi guardò fisso negli occhi prima di dire: «Mi spiace, Primrose, devo portarti via con me, nelle tenebre.»
Ajmer mi stava imprigionando di nuovo: Zahedi ci aveva raggiunto.
Capitolo Tredicesimo
“Incontro di nuovo Fleur”
Kandahar e Aalborg, giunti a Hindi[45], furono ospiti per qualche tempo di Rajkot. Lo avevano incontrato per caso, camminando per le strade della città in cerca di un posto dove dormire.
«Da dove venite?» domandò Rajkot, servendo loro una tazza di tè fumante. Si muoveva un po’ ciondolando nei suoi buffi e ampi piedi, ma era comunque rapidissimo nei movimenti.
«Da Duverger. Sono Kandahar, principe di questo regno. E lui è Aalborg, il mio fedele servo. Siamo in viaggio da parecchi giorni.»
«Duverger?» ripetè Rajkot. «Non fa parte del GranRegno. Cosa vi ha spinti a giungere da queste parti?»
«Sto cercando Primrose. Mia figlia, Milmay, è ammalata e Chabod, uno stregone buono, mi ha detto che solo la principessa può salvarla.»
Rajkot si aggiustò gli occhialini rotondi che gli erano scivolati sulla punta del naso adunco.
L’umile stanza dove si trovavano sapeva di muffa e di stantio, ma Kandahar avvertiva anche altri odori: puzza di urina, di tabacco e di cuoio. Evidentemente, l’orinatoio doveva essere in quella stanza. A conferma, infatti, notò un vaso di porcellana azzurra accanto a una parete divorata dalla muffa. Su una mensola giaceva una lunga pipa spenta. L’odore di cuoio proveniva, invece, da alcune borse; sembravano, data la forma e la grandezza, adeguate a conservare delle cartine geografiche.
«Oh! Primrose, la divina combattente della luce, la nostra regina. Andate, dunque, al suo castello?» domandò il vecchio saggio senza scomporsi, notando con disappunto che Kandahar si soffermava a osservare gli oggetti della stanza, mostrandosi palesemente insofferente.
«Sì, ma so che per ora non è lì: è in viaggio. Cerca i suoi ricordi.»
Rajkot rise, mostrando la chiostra di denti gialli. Alcuni erano spezzati, altri non c’erano proprio.
«Be’, non è una novità che la principessa sia in viaggio. Quando riacquisterà i suoi ricordi per regnare, scoprirà che conosce tantissima gente. È un suo dono: aiutare il prossimo. Ma di cosa soffre vostra figlia, se non sono indiscreto?»
«Sta seduta su una poltroncina di velluto rosso e guarda con occhi sognanti il muro antistante. Chabod, che l’ha visitata, dice che probabilmente vede lo spazio. È come se si fosse formato un vuoto nella sua vita… forse temporale. Abbiamo provato tanti incantesimi, ma rimane lì, ferma e imibile.»
Kandahar sorseggiò il tè che gli era stato offerto. Prima, però, soffiò un poco
sulla bevanda per farla raffreddare, anche se provava un po’ di sconcerto a soggiornare in quel luogo davvero inospitale e sporco.
«È terribile! Mi spiace, davvero. Ma c’è una causa?» chiese Rajkot spazientito dall’evidente disgusto del suo ospite. Lui era così abituato alla vita frugale e povera, da non capire davvero il raccapriccio di Kandahar.
«Sospetto sia una maledizione.»
«Una maledizione?» ripeté Rajkot arricciando il naso adunco. «E chi mai avrebbe potuto lanciarla? Verso una bambina, addirittura, che non ha alcuna colpa?»
«Non saprei. Io e mia moglie sospettiamo che sia stata Aaliyah[46]. Credo una Strega Nera, una delle Tredici[47]. Alcuni anni fa, giunse presso il mio castello, in una notte senza stelle a popolarla, ma con la luna piena. La notte ideale perché appaia una di queste streghe. Faceva molto freddo. Lei chiese ospitalità per un giorno nel nostro castello, ma mia moglie si oppose: sentiva provenire, da quella splendida donna, la magia nera. Così l’ascoltai e le negai il ricovero. Non mostrò il suo disappunto e ci fece dono di una strana polverina luccicante: sembrava polvere di diamanti.»
«È polvere di stelle, in realtà» lo interruppe Rajkot. «Le Tredici Streghe Nere usano sovente la luce delle stelle imprigionata in queste pietruzze luccicanti.»
Kandahar, che si vide interrotto, alzò un sopracciglio in segno di disapprovazione, poi, sbuffando, riprese il suo narrare.
«Mi disse che serviva per rendere più belle le chiome della mia signora e della mia figliola. Mia moglie voleva gettarla nel fiume. Io, ahimè, non la ascoltai e conservai l’involucro con cura da qualche parte, in un posto sicuro. Purtroppo Milmay non è diversa da altri bambini e così, un po’ per gioco, (stava appunto giocando a una caccia al tesoro) e un po’ perché attratta dalla brillantezza della polvere, se ne cosparse. Non ho assistito all’accaduto, ma la servitù, in particolare una serva che ha visto tutto, mi ha detto che la bambina per alcuni istanti è apparsa bella e illuminata da questa polvere di diamanti. E poi… è caduta in catalessi.»
«Oh, mi spiace!» esclamò Rajkot. «Una maledizione crudele e per giunta lanciata da una delle Tredici Streghe Nere. Sono certo che Primrose saprà aiutarvi.»
Si alzò rapido e si piantò ben bene sui larghi piedi. Kandahar si accorse così che il fragile omino era totalmente curvo.
Rajkot sospirò pensoso, mentre si appoggiava alla spalliera della sedia. «Qui non va meglio, purtroppo. Giungono molte voci dalle altre città. Sembra che qua e là sorgano fermenti e rivoluzioni. Non tutti vedono di buon occhio la monarchia, ma è l’unico modo che abbiamo per sconfiggere il Male. I nostri sovrani più volte si sono dimostrati avidi di territorio, questo sì, ma anche validi guerrieri.»
Si avvicinò alla ruota del tornio, che giaceva in un angolo, nascosta nella semioscurità della stanza, e prese un pugnale di modesta fattura.
«Questa che vedete è una piccola spada per proteggermi dalla Rivoluzione» disse mostrando fiero il pugnale ai suoi due ospiti. «La IV scissione è vicina e i
popoli insorgeranno contro Primrose: il regno è debole, e la principessa accetterà la sua sconfitta. Il regno spetta a Handlin, la fanciulla trasformata in lago da Zanon, un potente mago cattivo.»
Tacque per alcuni istanti che parvero interminabili, quindi, mentre Kandahar posava lo sguardo sul muro divorato dalla muffa, Rajkot annunciò con tono davvero ospitale: «Potete fermarvi qui per tutto il tempo che volete.»
«Grazie ma credo che ripartiremo domani stesso.» Volse lo sguardo verso il servo. Non aveva visto che, nel frattempo, si era avvicinato a una libreria e, come se snocciolasse i grani di un rosario, leggeva a voce bassa i titoli dei libri.
Quella sera a Hindi, Kandahar si sentiva stanco e frustrato. Quanto era lungo il viaggio che aveva intrapreso e quanto poco tempo aveva a disposizione! Eppure, voleva credere che sarebbe riuscito a salvare sua figlia. Sbuffò sotto le coperte e rimase in ascolto del sibilo del vento. I vetri della finestra tremolavano e un ramo sbatteva con prepotenza sulla lastra trasparente; velato dalla misera tenda, formava un’ombra bizzarra. La osservò per alcuni istanti. Sembrava la figura di un uomo, del tutto vestito di nero, che si piegava avanti e indietro, come se si allontanasse per poi avvicinarsi di nuovo, spiandolo. Presto ci sarebbe stato un temporale. Già radi lampi silenziosi squarciavano il cielo, illuminandolo a tratti di luce azzurrognola, ma questo Kandahar non poteva saperlo. Stremato dalle fatiche del cammino, si abbandonò a un sonno profondo. Una piccola lacrima scivolò dal suo occhio, mentre le foglie accartocciate si rincorrevano in cerchio nel piccolo giardino antistante la casa.
***
La Rivoluzione, evento che avrebbe preceduto la IV scissione, era già iniziata. Ad Akyab[48] un gruppo di ribelli era insorto, il popolo reclamava la libertà e
l’indipendenza, ma tutte queste cose le avrei apprese successivamente. Per ora quello non era altro che un semplice fermento, sedato dall’esercito di Lord Osthoff. E già le legioni partivano per riparare i confini da altre violente sommosse.
Prima di risvegliarmi, feci un brutto sogno. Vidi Chidley; la sua immagine era sfocata. Sul volto aleggiava un velo di tristezza. Provai a incedere verso di lui e gli parlai per consolarlo. La mia voce uscì dalle labbra come un soffio. Lui mi si gettò addosso e nascose il suo viso sul mio petto, piangendo come un bambino. Lo abbracciai ma, all’improvviso, svanì: al suo posto c’era Ajmer.
Mi svegliai di colpo.
Ero a terra e, prima di capire dove fossi, impiegai un po’ di tempo. Non ricordavo granché di quello che mi era accaduto. Avevo solo un gran mal di testa. Quando mi resi conto di dove fossi finita, mi tornò alla mente tutto quanto. Ero di nuovo nella foresta Polvere di colori, sul palco del teatro ambulante della compagnia di Ajmer. Ma lui non c’era. Lo cercai con lo sguardo, invano. Rimasi alcuni minuti sola, poi, da dietro le quinte, venne fuori qualcuno. Avevo molta paura, così non mi voltai subito. Aspettai che giungesse davanti ai miei occhi, poi, improvvisamente, udii una voce che mi confortò: «Perché giungi qui, principessa Primrose? Cosa ti ha reso prigioniera? Quale inganno è riuscito a prevalere sulla tua arguta mente?»
«Fleur!» esclamai riconoscendola e gettandole le braccia al collo.
Ma lei non mi abbracciò e rimase immobile, con lo sguardo fisso e vitreo.
«Sei diventata cieca?» le domandai guardandole gli occhi opachi, appannati da una strana e lattiginosa pellicola trasparente.
«Giammai. Anzi, sono rinsavita di più. Ma tu come mai sei qui, e non al tuo castello? Cosa cerchi nel ato che già non sai? Perché indugi nelle terre del tuo principe, e non nelle tue?»
«Sto cercando i miei ricordi. Non posso governare, altrimenti. Mia madre sta governando al mio posto.»
«Oh, tu sì, principessa, che sei cieca. Guarda!» disse, indicandomi un angolo del palco.
Giaceva, distesa e inerte, una donna.
«È morta, Primrose. Tua madre è morta per salvarti da Zahedi!»
«Ti sbagli, Fleur, non è morta!» obiettai incominciando a piangere.
«Oh, sì, Primrose. È bello stare qui, non credi? Quando mi hanno imprigionata mi ribellavo. Adesso non saprei vivere in un altro posto» ammise la vecchia Fleur.
E vidi che al collo portava la stessa collana di Ajmer.
«Cosa ti hanno fatto?» domandai sempre più allarmata.
«Perché pensi a me? Io sto bene, molto bene. Continui ad aiutare gli altri, come sempre, Primrose? Chidley è con te, ma qui non potrà liberarti. Io sono morta, Rose cara. Non sono riuscita a recitare le battute. E ora appartengo al Regno Medio. Mi hanno mandato solo per comunicarti queste brutte notizie. Proprio io, la tua cara nutrice. Solleva il faccino… uno dei cavalieri delle quattro virtù, Axel, è in viaggio per salvarti, Rose. Sta’ molto attenta. Ajmer ha preso tutto ciò che possedevi: la piramide di vetro, il cuore, il pugnale. Sei disarmata ormai, e i tuoi poteri non hanno influenza qui. Dovrai cercare la forza in te stessa.»
«Fleur, cosa ti è accaduto nella città del Sombrero? Perché sei scomparsa?»
«È una lunga storia, Rose. Non posso raccontarti altro, a parte che Mathiez e Teresita mi hanno impedito di continuare il viaggio. Mi hanno imbavagliata e rinchiusa in una stanza. Mi hanno liberata solo quando non hanno avuto più bisogno di me. Ho vagato alla tua ricerca. Per caso sono finita qui, su questo palco. Ajmer mi ha imprigionata. Mi ha ingannata. Poi, ho scoperto che dopotutto si stava bene ma, ormai, è troppo tardi. Non ho recitato in tempo le battute e sono ata al Regno Medio. E con me c’è anche tua madre… non potrai vederla mai più. Non te la faranno più vedere… mai più…» pronunciò infine sottovoce.
Svenni angosciata, con quelle ultime, terribili parole che rimbombavano nelle mie orecchie.
Capitolo Quattordicesimo
“Addio per sempre, Chidley”
Sally, in un angolino del Tempio, stava facendo come sempre i suoi calcoli, digitando i tasti del roetter, di tanto in tanto, per trovare le coordinate di qualche luogo. Teneva la schiena appoggiata a una colonna e le gambe rivolte verso la scalinata di una delle quattro uscite.
Il signor Lunn, nel frattempo, conversava con la sacerdotessa.
Noa stava davanti alla piscina con il suo lungo bastone dorato, decorato da gemme rosse incastonate sulla estremità superiore. L’acqua era di un azzurro intenso e un lieve vento la faceva sollevare in sinuose onde che si increspavano e raggiungevano i bordi marmorei della vasca.
Baka, invece, sonnecchiava in un altro angolo della grande sala, anche lui vicino a una delle quattro entrate. Stava appoggiato con la schiena a una delle colonne bianche del Tempio, la testa ciondoloni, e russava forte.
«E così hai deciso di partire, Noa. Dove andrai e, soprattutto, chi custodirà il Tempio?»
«Ho intenzione di trasferirmi. La profezia è chiara: nascerà un nuovo Regno.
Credo che qui prenderà il mio posto un’altra sacerdotessa[49], anche se eranno diversi anni prima che il Tempio di Ayon verrà riaperto» rispose subito la donna in tono solenne, mentre si esercitava con la magia.
Fece uscire dall’acqua una sfera, che ruotò sospesa sopra la piscina per alcuni istanti.
«I fedeli accorrono numerosi, invocano l’aiuto degli dèi» continuò lei, «ma la guerra tra il regno Colori di pietra e la sabbia delle streghe è imminente e inevitabile. Ed io vorrei dimorare nel nuovo regno, fondare un nuovo Tempio[50].»
Fece fluttuare la sfera in aria, mentre il signor Lunn rimaneva seduto su una poltrona di marmo, proprio di fronte a lei, e giocherellava impacciato con l’ombrello nero.
«Chi prenderà il comando del nuovo Regno?» chiese il vecchio, privo di interesse.
«Handlin[51], la fanciulla trasformata in lago da Zanon, l’oscuro signore di Havelock. È partita dai paesi dell’est una guarnigione per liberarla[52]. A simili malefici, però, occorrono anni per essere sciolti.» La sacerdotessa, a questo punto, fece roteare la sfera in aria e la avvicinò all’anziano.
«Perché Valjavec ha scelto tua figlia per incoronare la regina?» chiese Noa, cambiando così discorso.
«Non lo so» rispose con indolenza il signor Lunn. «Sally è una ragazza tenace, anche troppo. Forse sarà per questo motivo.»
Guardò la sfera: stillava brillanti gocce d’acqua.
«Il fatto che siamo qui, per volere di Valjavec, dimostra la follia della nostra missione» commentò sarcastico il vecchio.
«Bene» ammise la sacerdotessa, «qualcuno doveva pur portare il diadema alla principessa.»
«Sally Lunn» completò la frase lui.
Noa lo guardò con i suoi grandi occhi verdi; i capelli neri e lucenti erano sospinti da un vento impetuoso, perché la maga stava dividendo le Sacre Acque in due parti uguali.
«Cosa vedi nel futuro di mia figlia? Cosa scorgi nella sfera che hai estratto dalle Sacre Acque?»
La sacerdotessa richiamò a sé il globo d’acqua.
«Sarà qualcun altro a porre il diadema sul capo della principessa, ma Primrose non ricorderà tutto, purtroppo!»
«Cosa?» esclamò l’uomo alzandosi in piedi.
«Sì, per colpa di un nemico molto più forte di lei: Shadow[53]. Ma non ti preoccupare, Primrose sa lottare come una valorosa guerriera.»
«La principessa dovrà affrontare il Demone Bianco?»
«Esattamente.»
Qualcuno entrò, interrompendo la loro conversazione.
Il signor Lunn si volse ed esclamò sbigottito: «Capitano Morris!»
«So che l’ora è inopportuna, ma dovevo assolutamente parlarvi» disse quello senza preamboli. «Ho deciso… di accompagnarvi nella vostra missione.»
Attese impacciato la risposta del vecchio, che tardava ad arrivare.
Il signor Lunn alzò un sopracciglio: l’idea non gli andava per niente a genio. «Siamo già in troppi.»
«So che ce l’avete con me per l’atterraggio, ma vi assicuro che ho fatto il possibile» cercò di giustificarsi il Capitano.
Sally, esultante, si avvicinò a lui percorrendo il breve porticato e disse, prendendolo per mano: «Capitano, siete il benvenuto! Partiremo domani.»
«Domani» ripeté incredulo. Voltò le spalle e se ne andò, salutandoli con un breve cenno della mano.
«Io non ti capisco!» le gridò subito il padre.
«Papà, ti assicuro che non ci darà fastidio.»
«Non darà fastidio? Non lo darà a te, figliola mia. Io non lo posso sopportare!» urlò esasperato.
Sally si dispiacque della reazione del padre e lo guardò con ansia, sperando che cambiasse subito idea.
«No, no, no. E non mi guardare, signorinella, con quegli occhi supplichevoli.»
«Ma papà…»
«No.»
Sally fece una smorfia con la bocca e concluse sprezzante: «Va bene. Sei davvero cocciuto. Tornatene a casa, allora. Porterò io il diadema alla principessa.»
Il signor Lunn si risedette sconvolto sulla poltrona e disse indispettito: «Mia figlia che si ribella al mio volere. Dov’è finito il rispetto per un padre?»
Noa lo guardò accigliata.
«Vuole che me ne vada? Me ne andrò, allora! Noa, riportami subito nel futuro.»
Noa, seccata dall’improvviso sbalzo di umore dell’anziano signore, congiunse le mani e, recitata una formula magica, fece tornare il signor Lunn da dove era venuto, lasciando Sally a bocca aperta.
«Se ne è andato davvero!» esclamò la ragazza pentita. «Non volevo…»
«Non ti preoccupare, cara. Lunn, comunque, non sarebbe stato in grado di aiutarti.»
«Ho sentito i vostri discorsi. Sei certa che non riuscirò a incoronare la regina?»
Noa annuì.
«Mi spiace, Sally, le mie profezie non sbagliano mai, purtroppo» aggiunse con una nota di rammarico.
Sally si guardò attorno sconsolata e, con un filo di voce, mormorò: «Sarà il Capitano Morris, allora?»
Noa scosse la testa in segno di diniego.
Sally vagò con lo sguardo tra le colonne bianche della sala, in cerca di una risposta immediata alla sua domanda. Lo sguardo si posò incredulo sul corpo addormentato di Baka, il quale russava forte.
Non seppe pronunciare il suo nome e, allibita, lo indicò alla sacerdotessa.
Quella rispose: «Eh sì, sarà proprio Baka.»
«Ma come farà?» chiese Sally interdetta.
«Verranno giorni bui, ma Baka sarà l’unico che conserverà lo spirito d’animo giusto.»
«Quel pelandrone?»
Noa scoppiò in una sonora risata. La sfera d’acqua fluttuava ora sopra il suo bastone.
«Non tutto ciò che sembra è realmente come è!» disse la sacerdotessa sibillina, smettendo di ridere. E fece dileguare nel nulla la sfera.
«Già» commentò Sally sarcastica. «Dunque, se uno come lui diventa un eroe, io che so fare i calcoli, so usare il roetter, invece sono una testa calda.»
La ragazzina sbuffò strabuzzando gli occhi, prima di concludere: «Oh, bene, ho scoperto di essere una poco di buono. Incoraggiante!»
«No, non vederla così» la rassicurò Noa, avvicinandosi. «Baka ha bisogno di te. Della tua intelligenza.»
«Certo, l’eroe non può cavarsela da solo, ma si prenderà lo stesso tutto il merito!» fece Sally ancora più sarcastica, accomodandosi dove era stato seduto suo padre. «Adesso sì che mi sento meglio. Sarò la degna spalla di un eroe: l’insulso Baka.» Pronunciò quest’ultima frase con ironia teatrale.
«Sally, non è come credi! Baka è un ragazzo retto.»
Baka russò più forte, e Sally scoppiò in una sonora risata.
«Be’, devo ammettere che il nostro eroe ha tanti piani che gli ano per la testa. Ci starà dormendo sopra, come un buon capitano di spedizione fa!»
Noa posò lo sguardo su Baka. Un’ombra le velò il viso di tristezza e, a fior di labbra, disse mesta, voltandosi per ritirarsi nelle sue stanze: «Vorrei che te ne potessi accorgere...»
***
Mi svegliai di colpo: ero ancora sul palco. Portavo il braccialetto al polso e la collana al collo. Ajmer mi aveva imprigionata, questa volta in maniera definitiva. Ajmer si presentò al mio cospetto poco dopo.
Mi guardava calmo. Portava un pugnale con sé, quello che mi aveva regalato Nojogard, il packel. Rimase alcuni istanti in silenzio prima di rivolgermi la parola. Poi, indicandomi il bracciale e la collana, disse con voce rauca: «Lo capisci cosa vuol dire?»
«Sì» risposi incredula.
«È la fine. Non è triste? Non credi che sia ingiusto che una tale amabile principessa debba soccombere al volere di Zahedi?»
«Un cavaliere è in viaggio per salvarmi!» gridai disperata.
«Axel, il coraggioso. Viene con il suo nero destriero. Si avvicina velocemente, il vento accompagna i suoi i. Sta entrando nella foresta Polvere di colori. Umbribel gli darà un altro cuore di vetro per salvarti.»
Deglutii a fatica. La collana e il bracciale cominciavano a pesare e sentivo bruciare la pelle. Ero come immobilizzata. Avrei voluto gridare per il dolore, ma nessun suono fuoriusciva dalle mie labbra.
Lui si chinò su di me e mi carezzò dolcemente il viso: «Oh, Primrose! Se i comandi non mi venissero da Zahedi, ti direi di lasciare la via del bene per venire dalla parte del mio padrone. Ma, purtroppo, non è così. Saresti comunque un pericolo. L’amuleto che porti con te…» E qui si interruppe: un pensiero, invisibile, attraversò la sua mente.
Il viso serio, perso nel vuoto, era ancora una volta riflesso nei miei occhi. Non avevo paura: una placida calma, quella che mi donava quando mi era vicino, mi intorpidiva. E sentivo bruciare la pelle attorno al collo e al polso.
“Eppure ci sarà un modo per fuggire”, pensai, mentre gli occhi si chiudevano e riecheggiava la frase di Fleur: non te la faranno più vedere.
«L’abbandono.» Farfugliai questa parola senza senso.
«Primrose, sai chi devo raggiungere con questo mio gesto? Colui al quale hai donato i tuoi poteri.»
Mi ridestai sgomenta dal torpore e urlai disperata: «Chidley? No, no, no!»
Rapido come un rapace, si scagliò su di me brandendo il pugnale, ma una lancia partita da poco lontano colpì la sua arma sfilandogliela così dalle mani. Udii lo stridio delle lame, poi spalancai gli occhi. I miei capelli venivano sballottati dal vento: ero sul cavallo di Axel, mi teneva tra le braccia. Era riuscito a farmi fuggire.
Mi portò lontano da lì, velocemente. Mi stupii che Ajmer non avesse fatto nulla per raggiungerci.
Rimase lì, sul palco di legno, il pugnale a terra, inerte.
Ci sedemmo su di una altura, poco lontano. Respiravo affannosamente: la collana stringeva, mi sentivo soffocare e bruciare la pelle. Volevo strapparmela dal collo, in fretta. Tentai con le mani, ma non era possibile toglierla in alcun modo.
Axel attese che mi calmassi. Poi mi porse dell’acqua e io bevvi con avidità.
«Bisogna togliere queste catene, principessa. Tenete, ho un Cuore di vetro per voi: usatelo e sarete salva!»
Lo guardai e dissi: «Quale giovamento può darmi la libertà? Zahedi continuerà a cercarmi ancora, una volta tolte queste catene. E le genti ne soffriranno.»
Axel mi guardò stupito, mentre io ansimavo.
«Dimmi, mio coraggioso Axel, qualcuno verrà danneggiato se uso questo cuore per salvarmi?»
Lui, sempre più sorpreso, con il Cuore in mano, posò il suo sguardo su di me.
«Sì, mia regina. Qualcuno ne rimarrà leso. Ma è più importante la vostra salvezza che non quella della persona comune. In Voi c’è il destino delle genti. Adesso prendetelo e usatelo subito. Ora!»
Mi alzai in piedi e dichiarai risoluta con voce rotta dall’emozione: «Non sono qui per fuggire dal nemico. Andrò incontro al mio destino.»
«Mia regina!» protestò, alzandosi a sua volta in piedi.
«Devo sconfiggerlo, Axel. Comprendimi. Il GranRegno non avrà pace fin quando ci sarà Zahedi.» Lo guardai con dolcezza.
Abbassò lo sguardo e si inchinò.
«In Voi, mia regina, regna la saggezza. Che le vostre parole siano pegno di protezione del GranRegno.»
Con questo augurio si rimise in sella.
Si allontanò rapido e io mi voltai verso la foresta.
«Ajmer sa che posso sconfiggere Zahedi» mormorai incamminandomi verso il palco.
***
«Vuole uccidermi» disse a fior di labbra Chidley, mentre era nel suo castello e guardava il paesaggio fuori dalla finestra. «Zahedi… è tutto un piano di Ozark. Sapeva che Primrose l’avrebbe sconfitto. E adesso è tornato. Il suo allievo, Zahedi, è pronto a prendere l’eredità del maestro. Non posso fare nulla. I miei poteri… se li ho è grazie a Primrose, forgiati dall’amore. Se lei viene…» Ebbe un fremito. «No, ma cosa fa? Gli va incontro? Primrose, no, no… non farlo!» gridò cadendo in ginocchio. «È la fine per me!»
Capitolo Quindicesimo
“Sono salva!”
Kandahar si svegliò di colpo: la luce del sole filtrava dalla grigia tendina e proiettava i suoi raggi sul pavimento, dove giaceva.
Il servo si era alzato da poco e si stava lavando il viso meticolosamente.
Dopo, fecero colazione con Rajkot. Una colazione molto frugale: latte caldo di pecora, un pezzo di pane rappreso e marmellata di mirtilli neri.
«Questa notte, qui a Hindi, c’è stata una tempesta. Il raccolto ha subìto dei danni e i pescatori sicuramente non avranno preso nulla» disse laconico Rajkot, spalmando un po’ di marmellata su una fetta di pane.
«Dimmi, come si chiama il principe di Ashtor?» chiese brusco Kandahar, cambiando così discorso.
Rajkot lo guardò alcuni istanti, prima di rispondere. Poi disse con flebile voce: «Keizch. È il principe di Ashtor. Colui che porta il Linforth, l’antico calice di Arros. Ma da chi ne avete sentito parlare? E poi perché lo state cercando? Invero, anch’io lo cerco.»
«Da Godwiv. Purtroppo devo affrontare Zanon. Qualcuno mi dovrà aiutare, no? Godwiv mi ha detto di cercare questo principe.» Fece vedere la cicatrice.
«Havelock!» esclamò sbalordito Rajkot.
«Sì, Havelock» ripeté con disappunto Kandahar. E si rimise a mangiare.
«È difficile trovarlo. Questo principe è nel regno indipendente di Ashtor[54].»
«Ah, c’è anche un regno indipendente nel GranRegno?» commentò con sarcasmo Kandahar.
Rajkot annuì e aggiunse: «Sì, uno Stato che non ha sovranità. Lui si è dichiarato principe con un colpo di Stato, perché ha intrapreso un viaggio nelle Terre di Mur[55] e ha trovato il Calice magico. Ha dei poteri incredibili. I sovrani del GranRegno non possono contrastare il suo potere, per questo motivo sono suoi alleati e non gli dichiarano mai guerra.»
Rajkot guardò il servo per un istante, poi aggiunse ancora: «Ma per ora è in viaggio nelle Terre di Nus[56]. Sta cercando il Binaker[57]. Dicono che dia enormi poteri.»
«Un altro introvabile!» gridò quasi. «E poi come lo convinco ad aiutarmi?»
Rajkot si alzò e prese da una delle borse di cuoio, che Kandahar aveva notato il
primo giorno entrando in quella modesta dimora, una cartina. La aprì sul tavolo, proprio dove stavano mangiando.
«Questa è la mappa del regno La sabbia delle streghe, ma non di tutto il GranRegno, solo…»
«… della sabbia» aggiunse Kandahar.
«Esatto!»
«È un regno immenso» commentò a sua volta Aalborg, con voce querula.
«Già. Hindi è qui» indicò il punto sulla carta geografica. «Il castello di Primrose, invece, quaggiù» continuò Rajkot, tracciando una traiettoria immaginaria.
«Ce n’è di strada da fare!» Kandahar annuì, guardandolo di sbieco. «Non siamo che all’inizio.» Sospirò e si risedette sulla seggiola, affranto, pulendosi le mani sulla misera tovaglia.
«Però una scorciatoia la conosco. Perché non prendete per il o di Bengeston[58]? Arriverete di sicuro prima.»
Kandahar rimase perplesso, mentre il servo lo guardava con fare curioso. Tutti e tre, infine, scrutarono di nuovo la mappa.
«Siamo soli in questa ricerca. Conosco il o di Bengeston e so che si può anche rimanere lì, fermi per giorni interi. È un luogo dove regna la pioggia e si cammina su acque melmose… una zona paludosa. Si dice che vi dimori Keira[59]» disse Kandahar.
Rajkot lo guardò attraverso i suoi occhialini rotondi. Notò che il principe portava al dito un prezioso anello d’oro, con su inciso un leone nell’atto di alzare le zampe superiori: sicuramente lo stemma di casa Duverger. Si leccò le labbra con avidità: avrebbe voluto prenderlo.
«Tuttavia, non abbiamo altra scelta.» Kandahar scrutò la cartina sconsolato. «Percorrere i villaggi, le città… il viaggio è interminabile. Ho saputo che la principessa è nel regno Colori di pietra. Anche se giungiamo al suo castello, non la troveremo.»
«Sì, ma dovrà pur far ritorno» disse Rajkot, sfregandosi le mani nervoso. «Avrà sicuramente con sé la piramide, e l’Occhio del Sole si manifesterà.»
«Questo è vero. Ma mia figlia sta davvero male e io ho poco tempo. Ho troppo poco tempo» piagnucolò, portando la mano con l’anello sulla fronte. Chinò il capo, quindi, sconfitto.
Aalborg notò che Rajkot guardava con desiderio l’anello del suo padrone e si indispettì; lo fissò allora con disappunto.
«E sia! Aalborg, prenderemo il o di Bengeston. Non abbiamo altra scelta»
concluse il principe di Duverger.
«Se mi permettete, vorrei venire con voi» disse Rajkot aggiustandosi gli occhialini un po’ impacciato, mentre Aalborg faceva di no col capo.
«Per me va bene, ma per quale ragione?»
«L’ho detto, no? Voi state cercando il principe Keizch e anch’io. Ho una cosa da portargli.»
«Che cosa?»
Rajkot mostrò loro l’oggetto in questione.
«Una mappa!» dissero all’unisono.
«Sì, del regno di Thumb. Ci sono voluti infiniti viaggi e anni di lavoro e di ricerche cartografiche. Non esiste al mondo una mappa così dettagliata di quei luoghi. L’ho disegnata io stesso, di mio pugno.»
«E a cosa può servirgli?» chiese Kandahar.
«Per trovare Gernet, l’anello delle dieci fate[60].»
«Altro potere… ma non ha già il Linforth, l’antico calice di Arros?»
Rajkot si voltò e chiuse la dispensa della sala con un leggero tremolio dei vetri.
«Sì, ma ci sono fermenti di Rivoluzione e io sto partecipando ai moti: vorrei che tutto il GranRegno fosse governato da Primrose.»
«Ma non avete detto che il regno si disgregherà ulteriormente?»
«In effetti, ci sono due Rivoluzioni in corso. Una organizzata da chi non vuole la monarchia, un’altra invece da quelli che cercano l’assolutismo a favore di un solo sovrano, e questa è alimentata dai moti.»
«Ci sono già stati dei moti?»
«Uno solo. Capeggiato da Keizch, il principe di Ashtor. Vuole sposare la bella principessa Primrose ed essere sovrano di tutto il GranRegno!»
«Ambizioso. Partire da uno Stato indipendente per poi creare un regno talmente vasto che nemmeno si conosce per intero.»
«Ecco perché è nata la Rivoluzione contro i monarchi» disse tutto curvo Rajkot. «Sarebbe bello che Primrose fosse regina incontrastata di tutto il GranRegno.»
«Zanon glielo impedirà. E non solo: anche gli altri sovrani cospirano nel silenzio» tuonò Kandahar in modo burbero.
«Non fin quando c’è il Linforth, l’antico calice di Arros. Non si può distruggere, sopravvivrà nel tempo. E nessuno è riuscito mai a farlo scomparire o a nasconderlo.»
«Però si può sottrarre» intuì Kandahar con furbizia.
«Certo, si può rubare» ammise candidamente Rajkot.
«Quindi c’è una Rivoluzione per togliere il trono ai sovrani e dei moti per darlo per intero a un solo monarca. Quali sono le legioni che combattono?»
«La Nera è a favore della monarchia. La Rossa è contraria.»
Kandahar si alzò e andò verso la finestra con le mani dietro la schiena. «Nord e Sud del GranRegno. Le lotte intestine, i focolai, i fermenti… come farà Primrose a combattere, se una battaglia è già iniziata ai confini del suo regno?»
«Non lo so. Lei è scesa in guerra quando re Melville ha attaccato il suo regno. Ha perso ed è stata fatta prigioniera. E poi nessuno, nemmeno il re Melville, si sarebbe mai aspettato che suo figlio, Chidley, si sarebbe innamorato della ragazza e che, quindi, i regni si sarebbero comunque congiunti senza ricorrere alle armi.»
«Ah, è così che Chidley e Primrose si sono conosciuti?»
«Sì, nelle segrete del castello.»
«Ovvio che Keizch la desideri per sé: è sovrana di ben due regni. Ed è, a quanto pare, la principessa più bella del GranRegno.»
Tacque per alcuni istanti. Il sole feriva i suoi occhi, segno che era tarda mattina.
“Sento già di amarla anch’io”, pensò Kandahar tristemente. “Cos’è questo soffio delicato che mi raggiunge? È pura poesia, l’amore!”
Respirò affannosamente.
«Padrone? Vi sentite bene?» chiese Aalborg con aria preoccupata, avvicinandosi.
«Sì» rispose alquanto turbato.
“Sento l’anima espandersi e decollare da infinite vette. La vedo. Avanza con delicatezza verso di me con le sue vesti bianche, il vento le è amico e incede tra petali di rosa; l’acqua altro non è che una cristallina superficie dove posa delicatamente i suoi piedini.
Avanza nel caldo sole, in un giorno pieno di luce. Io sono soltanto un uomo, nulla di più! E la luce che l’avvolge si riflette sui suoi capelli, sul bel viso, sugli occhi. Io sono un mendico, un cencioso mendico della sua grazia e beltà!”, ponderò con dolore Kandahar.
«Ancora una volta sono soggiogato dal sogno di una visione celestiale. E il mondo, perché continua a esistere in questo tempo rarefatto dalle nuvole?» si chiese ad alta voce Kandahar.
«Padrone?» gorgogliò Aalborg sempre più preoccupato.
Lui lo guardò stupito e rispose imbarazzato: «Siamo niente, Aalborg, in confronto alla principessa. Suvvia, incamminiamoci. Prenderemo il o di Bengeston, così arriveremo prima.»
«E io verrò con voi» annunciò Rajkot determinato.
***
Avanzavo lentamente. Il vento sollevava i miei capelli con dolcezza. Ero certa che, una volta giunta sul palco, Ajmer mi avrebbe colpita di nuovo con il packel. Ma sapevo anche altre cose sul mio nemico. Più che altro le intuivo. Ajmer era lì, fermo, a pochi i da me, sul palco. Sollevava il suo sguardo senza astio.
«Non sei libera se scappi dal palco. Ti ho fatta mia.»
«Il bracciale e la collana. L’avevo intuito: ecco perché non mi hai inseguito quando Axel mi ha salvata. Non ti fermi davanti a nulla, Ajmer, non è vero?»
«Eh già. Ma perché hai rinunciato a rompere le catene con il Cuore?»
«Sarebbe stato a un caro prezzo! E io non voglio che nessuno del mio popolo soffra ancora per causa di Zahedi» sottolineai con autorità regale.
«Invero, Primrose, non contano le singole persone ma la moltitudine. Stai mettendo a repentaglio la vita di tanti, infatti.»
«Il mio popolo non sarà mai libero se fuggirò di fronte al male di Zahedi» continuai imperterrita.
Mi guardò stupito.
«E credi di sconfiggerlo? Come? Sei già sua prigioniera, la mano che racchiude i tuoi poteri è imprigionata: ha pensato a tutto.»
«Portami da lui» dissi sicura di me.
Salii sul palco. Lo guardai dritto negli occhi. Non sapevo come avrei sconfitto Zahedi, ma dovevo tentare. Per la mia gente.
Rimase in attesa per qualche secondo, poi corse rapidamente verso la mia traiettoria. Non credevo l’avrebbe fatto, per un attimo ci avevo sperato. Invece mi colpì. Bastò un solo colpo e caddi a terra. La vista mi si annebbiò. Dapprima vidi sfocato, poi più nulla. Non sentii dolore ma percepii quello che da lontano provò Chidley. Il suo “no” riecheggiò nella mia mente, come un’eco che si perdeva in lontananza.
Al mio risveglio provai molto freddo. Un vento gelido spazzava le poche nubi nel cielo grigio e sollevava ciuffi di erba; la verde pianura era tutta arruffata.
Mi guardai attorno e capii che ero nella brughiera; nella brughiera di Ajmer. Poco più avanti, una sinistra figura si levava su di un’altura, posta come uno scoglio sul quel mare verdeggiante: era Ajmer, non mi fu difficile riconoscerlo.
Indossava una tuta verde-chiaro, con pantaloni a zampa di elefante. I suoi capelli erano agitati dal vento e sul volto aveva delle macchie verdastre.
«Sei tu, Primrose?» tuonò con voce imperiosa.
Mi avvicinai: i suoi occhi erano totalmente bianchi, senza pupille.
«Sei tu, Primrose?» ripeté.
Volevo rispondere ma mi mancava la voce; un freddo terrore latente mi impediva di parlare.
Portava in mano una sfera gialla, luminescente. Me la mostrò con impavida veemenza.
«Ecco, io ho il potere! Il tuo potere! Vuoi che ti mostri come usarlo? Vuoi che ti mostri la sua potenza?» continuò a gridare mentre i lampi squarciavano il cielo divenuto ormai nero.
Mi guardai angosciata le mani: quella destra si era inscurita, diventando verde. Lo fissai a lungo; non potevo urlare, anche se avrei voluto farlo. Ero terrorizzata.
Feci di no col capo, mentre calde lacrime scivolavano già lungo le guance.
Ajmer rise di gusto.
«Cerchi una risposta? Non te l’ha detto Ajmer? Ho pensato a tutto. Non puoi parlarmi e io mi sono reso cieco per non vederti!» Riprese a ridere.
Mi guardai attorno. Ajmer aveva ragione: Zahedi aveva pensato a tutto.
“Un momento... ma se lui ha ripetuto le stesse parole di Ajmer, questo vuol dire solo una cosa: chi ho di fronte altri non è che il vero Zahedi. Dunque… è stato sempre con me!”, meditai sgomenta.
«Prima di spedirti nel RegnoMedio, ti racconto una leggenda: la leggenda di Primrose. Tu non lo ricordi. Non l’hai voluto ricordare, ma in quella gemma c’era la triste reminiscenza di quella notte, quando tu e tua madre giungeste presso la mia dimora. Tua madre cercava una cura, sì, una cura per guarirti, e io in cambio le chiesi una delle cose più preziose che avesse…»
“Il geranio bianco, il VeroAmore. Ecco come l’ho perduto!”, pensai afflitta.
«Proprio così, dolce Primrose. È da allora che possiedo quel che un giorno avresti perduto per sempre. La fonte di magia che alimenta i vostri due regni!»
«Chidley!»
«Esattamente, Primrose. Comprendi, ora, molte delle cose che ti dissero durante il tuo primo viaggio. Hai perso, Rose! E il male ha vinto, ancora una volta! Ozark ha pensato proprio a tutto. Sapeva che l’avresti sconfitto con poco e che comunque doveva in qualche modo osteggiarti, anche da scomparso. Ha mandato me per riprendersi il suo regno. Tuo figlio Ian è l’unico che può liberarti. Ma il piccino ha già preso la strada del non ritorno.»
«Mio figlio?» lo guardai stupita.
«Sì, il principe ramingo. Colui che rimarrà senza regno. Non la parola, ma il silenzio e la solitudine lo accompagneranno. Colui il quale tutti scacceranno. Ha il volto di un essere celestiale e l’infinita tristezza del mondo sulle spalle. Avrebbe dovuto spezzare quella catena che porti al polso e che tiene prigionieri i tuoi poteri in questa sfera di cristallo.»
Riguardai la mano, afflitta. “Rimarrò prigioniera di questo bracciale fin quando mio figlio non verrà a liberarmi. Ma…”
«Adesso entra nel Regno Medio, straniera, e non fare più ritorno. Hai voluto accettare questa sfida, disarmata e sola. Sei stata stolta, Primrose!»
Si voltò. Una delicata e fitta pioggerella incominciò a scendere. Mi bagnò i capelli, il volto, gli abiti, si confuse con le mie lacrime; e io lì, inerme, muta, sgomenta. Mi sfiorai la gola.
Ecco che cosa sarebbe rimasto del mio Regno: una fredda brughiera, la desolazione della solitudine.
“Zahedi”, pensai.
Lui si voltò di scatto: poteva udire il mio pensiero. «Non adesso, Rose, ormai è troppo tardi. Tuo figlio Ian non potrà salvarti. Ho fatto in modo che la profezia non si avveri.»
E sorrise amaro.
Volevo fuggire e mi voltai, ma la mia corsa ebbe una brusca fermata. Un’altra volta il pugnale mi colpì. E questa volta sentii il dolore. La ferita bruciava, mentre la vista si affievoliva.
“Forse Chidley aveva ragione: sono stata una sciocca a sentirmi invincibile. Dopotutto, qualcuno doveva perdere in questo combattimento e io sto perdendo. Chissà se è la prima volta, oppure ho subìto altre sconfitte in ato. Forse, quando re Melville mi fece prigioniera”, ragionai.
Mi apparve dal nulla l’immagine del padre di Chidley. Io indossavo una scintillante armatura d’oro. Mi ricopriva, rendendomi irriconoscibile: un cavaliere asessuato. Re Melville teneva il mio braccio, poi toglieva l’elmo. Una luce abbagliante mi attorniava, come di una particolare grazia ricevuta; ero perdente e, allo stesso tempo, vincente. Il fato si era compiuto. Poi non vidi più nulla. Il buio inghiottì quel tenue ricordo, quell’unica immagine fievole, cancellata da Ozark e riemersa grazie al dolore provocato da Zahedi.
***
«Rose, Rose» mi sentii chiamare a gran voce. Percepii il volto bagnato, inondato di lacrime. Qualcuno mi scosse energicamente dal torpore in cui ero immersa.
«Rose!» continuò a chiamare.
Aprii gli occhi. Ero ricoperta di cenci e di lividi. Un muro bianco e sporco era a pochi i da me. Attorno c’era solo paglia: ero madida di sudore. Sentivo delle forti fitte all’addome. Avevo la nausea. Guardai chi mi stava chiamando: era una giovane donna.
«Chi sei?» le chiesi con voce soffocata.
«Loris e Naska sono nate.»
Sentii dei rimbombi, come degli spari in lontananza e mi sedetti.
«Dove sono?»
«La IV scissione è iniziata. Si sta combattendo la guerra qui fuori. Ma voi e le bambine siete salve.»
«No, io ero con Zahedi. Stavo entrando nel Regno Medio.»
Mi guardò stupita.
«Siete svenuta dopo il parto. Avete sofferto davvero molto, evidentemente!»
«No, ti dico che ero di fronte a Zahedi. Mi ha sconfitta.»
«Fa parte del vostro ato, mia regina. Voi lo avete sconfitto, non ricordate? Zanon si appresta a conquistare il GranRegno.»
«E… come ho sconfitto Zahedi?»
Mi voltai dall’altra parte. Un’altra voce mi chiamava. Mi alzai dolorante. Percorsi un breve tragitto, appoggiandomi al muro sporco del casolare. Vidi due bambine dentro un cesto. Posai alcuni istanti lo sguardo su di loro. Poi, rimasi sbalordita levando gli occhi: le due bambine erano già grandi. Indossavano degli abiti rosa ed erano identiche come due gocce d’acqua.
«Mamma, l’amuleto!» dicevano all’unisono.
Mi guardai il petto: portavo un medaglione d’oro. Al centro c’era una grande gemma scarlatta. Un rubino.
Ero sporca di sangue; porsi la mano a loro e le osservai mentre ridevano e correvano su un prato verdeggiante. Le margherite accarezzavano i loro delicati piedini, e i loro capelli danzavano nel vento.
«Guarda» riecheggiò nell’aria.
Un bambino mi venne incontro. Portava la stessa collana e il braccialetto che prima mi aveva messo al collo Ajmer.
«Son venuto, eccomi. Lui si era preso quanto di più caro avessi: te!» Mi porse la sua delicata manina.
La presi tra le mie.
«Ian» sussurrai, inginocchiandomi.
«Devi salvare il GranRegno. Distruggerà ogni cosa. Ha commesso un grave errore cercando di uccidermi, perché ti ho potuta salvare.»
Lo guardai stupita.
«Portami via da qui» continuò piagnucolando. «Ci sono le ombre nere di Zahedi. Mi inseguono… non voglio… loro sanno…» balbettò confusamente Ian.
Guardai le principesse gemelle; con grazia si dondolavano sui rami intrecciati degli alberi.
«Voi cosa ci fate qui?» chiesi, ma non mi risposero. Ridevano.
«Tu lo sai. Se non prendono il tuo amuleto, non puoi essere sconfitta. È riuscito solo a scalfirti, ma non può distruggerlo.»
«L’amuleto?»
«Andiamo, mamma. Prendi la mia mano. Non possiamo indugiare ancora.»
Presi la mano del bambino. Le catene caddero annerite per terra.
«Vieni a salvarmi. Fa’ presto. Io resterò con Loris e Naska.»
«Ian, Ian, Ian!» gridai ma caddi a terra priva di sensi; qualcosa o qualcuno mi aveva colpita alle spalle di nuovo.
Dove iniziava il sogno e dove finiva la realtà di quanto avevo visto? Non lo sapevo. Ma di certo Ian mi aveva liberata, come la profezia aveva predetto.
Seconda parte
Capitolo Primo
“Un nuovo cavaliere”
«Io resterò con Loris e Naska.»
Mi svegliai di colpo, con in testa la vocina di Ian e quella frase che riecheggiava. Avevo come la sensazione di essere uscita fuori dall’acqua: mi sentivo confusa e con i pensieri appannati.
Sul palco stava piovendo a dirotto. Mi guardai la mano destra: il braccialetto non c’era più. E così anche la collana. Ero finalmente libera?
Ajmer era di fronte a me. Teneva il pugnale, che aveva brandito fino a un attimo prima, ancora in alto. Rivolsi, allora, lo sguardo verso la foresta. C’erano dei fanciulli, tutti vestiti di bianco e avvolti da una candida luce, che intonavano un triste canto: le anime che erano morte per mano di Ajmer.
In quel momento compresi. Non ero ancora tornata dall’Aldilà, ero soltanto un’anima vagabonda.
Mi alzai barcollante e vidi il mio corpo inerme sul palco, immerso in una pozza di sangue scarlatto; usciva a fiotti dalla ferita sul petto.
«Fra poco tornerai, Primrose. Tuo figlio Ian è riuscito a liberarti, ma a caro prezzo: ha dato la sua vita per te» mormorò qualcuno alle mie spalle.
Mi voltai sobbalzando verso quella voce. «Godwiv! Perché sono qui?» gli chiesi accorata.
«In realtà, lo sai» disse a fior di labbra. Lui non era madido così come lo ero io.
«Primrose, sai bene che cosa può sconfiggere Zahedi» incalzò Godwiv.
Mi sfiorai il labbro con le dita, continuavo a non capire.
«Non è riuscito, Rose. Il pugnale non uccide se non c’è la ferma intenzione di farlo.»
Guardai stupita Ajmer. Il suo volto era cupo.
«Vuoi dire che… non voleva davvero uccidermi, perché è innamorato di me?»
«Esattamente. In realtà avevi già vinto.»
Godwiv mi tese la mano. Io cercai di afferrarla invano.
«Rose, devo dirti alcune cose. Kandahar, principe di Duverger, ti sta cercando. Sua figlia Milmay sta molto male, solo tu puoi salvarla. Lo incontrerai lungo il tuo cammino. Dovrai aiutarlo per il bene del tuo popolo. Devi salvare quella bambina, è molto importante. Un giorno saprai il perché.»
«Kandahar» ripetei quel nome per memorizzarlo.
Godwiv annuì. Poi, continuò: «Grandi fermenti animeranno i popoli insorti. Tua madre è morta e anche Chidley non c’è più. Il tuo regno, La sabbia delle streghe, non ha al momento alcun sovrano che lo governi ed è in balìa delle rivoluzioni. E nel regno Colori di Pietra qualcuno cospira alle tue spalle. L’odio che nutre re Melville, a causa della morte del figlio, è di gran lunga aumentato, alimentato dal consigliere del re, Dallek. E infine un nuovo nemico si appresta a disgregare ancora di più il GranRegno: Rusdie.»
Lo guardai sgomenta: Chidley, il mio amato Chidley, era morto per mano di Zahedi? Mi afferrai con le mani la testa, in preda alla più devastante disperazione. Iniziai a singhiozzare, a strapparmi i capelli: il dolore era troppo lancinante da sopportare.
Mi sentivo come se mi avessero strappato il cuore a mani nude, mentre ero viva. Cominciai a dimenarmi, a gridare con ferocia, e ansimai spossata. Godwiv taceva inerme e imperturbabile, il viso imibile, come pietrificato.
«Primrose, ascolta: devi andare avanti. Per il bene del tuo popolo» mormorò, cercando di assumere un tono di voce fermo e sicuro. In realtà nemmeno lui credeva a quelle parole.
Lo guardai sperando di trovare nel suo volto un minimo di comione, invece lo vidi totalmente distaccato.
«Non capisci!» gridai disperata. «Tu non mi capisci!» scandii le singole parole per accentuare il mio rimprovero. «Prima mia madre, poi il mio sposo e adesso mio figlio Ian. Perché mai?» urlai, gettandomi a terra gemente.
«Vuoi che Zahedi continui a mietere vittime? Devi combattere, Primrose. Fallo per le tue genti!» mi esortò Godwiv.
Smisi di piangere, anche se le lacrime scivolavano ancora sul mio viso, e lo fissai torva.
«Cosa devo fare?» mormorai sfiancata.
Lui rimase in silenzio.
«Cosa devo fare?» ripetei più forte.
«Una legione è partita da Akyab[61], con a capo il comandante Ostoff, per liberare Handlin, sorella di Bloch; la fanciulla trasformata in lago dal mago cattivo Zanon. La quarta scissione è ormai prossima e tu...» qui tacque per alcuni istanti prima di riprendere a parlare, «tu non puoi farci niente. Deve esserci una quinta strega. Prima di risvegliarti, incontrerai Urania. Poni lei nel quinto regno, così da formare una nuova coalizione. La quarta scissione vedrà il regno
disgregarsi in un nuovo reame: Cristallo d’oro.»
Tacque per alcuni istanti che sembrarono interminabili. Poi proseguì con voce velata dalla malinconia: «Rose, la spada della dinastia degli Hun deve tornare a Ochan, il guerriero senza spada, privato del suo diritto da Yohn. Incontrerai Salu, quando salverai Ian ad Athadar, e ti suggerirà cosa dire a Chan Lu. Affrettati!»
Si avvicinò e mi baciò in fronte.
«Ho freddo» affermai piena di paura e tremai scossa da fremiti.
«È quello che si prova quando l’anima e il corpo si ricongiungono. Adesso va’, torna alla vita come era stato predetto. Molte insidie ti aspettano al tuo ritorno. Non sa che sei libera. Lui crede di aver ucciso Ian, tuo figlio, perché la profezia della salvezza non si avverasse. Invece è stato proprio l’evitarla che ti ha salvato. Tu puoi sottrarlo alla morte. Vai ad Athadar… Quella che provi è solo paura, Rose.»
«La paura, sì… la paura di essere sconfitti.»
Mi volsi di scatto; vicino a me c’era Urania. Non potevo udirla ma il suo volto mi implorava di farla uscire.
«È la forza del suo amore per Nuninak che la rende implorante e forte al mio cospetto» sentenziai.
Mi inginocchiai e, col palmo destro rivolto verso la sua immagine, le dissi: «Sei libera, torna nel GranRegno.»
Poi, mi sdraiai e chiusi gli occhi. Una volta riaperti, non udii più il pianto delle anime. Solo la voce del piccolo Ian rimbombava ancora nella mia mente: «Io resterò con Loris e Naska.»
Ajmer mi guardò stupito.
«Come hai fatto?»
Sentii una forte fitta al petto. Non ero più bagnata.
«Perché hai indugiato?» dissi, prima che tutte le parole di Godwiv riaffiorassero.
Gettò il pugnale insanguinato a terra. «Sei libera!?»
«Ian mi ha salvata.»
«Il principe ramingo.»
«Zahedi» Gli tesi la mano mentre mi alzavo. «Sei libero anche tu!» ordinai con estrema tenerezza.
Si voltò di scatto. «Non voglio arrendermi!»
«Non hai perso se i dalla mia parte» lo incalzai risoluta.
Mi avvicinai e rimanemmo così alcuni istanti, fermi. Lui guardava un punto lontano del palco; io le sue spalle, i capelli e la camicia. Non esitai che alcuni istanti. Poi infilai delicatamente la mia mano destra nella sua: «L’amore che nutri per me ti ha salvato.»
Dalla mano emanò una luce abbagliante, che lo invase con dolcezza, facendolo risplendere.
«Ajmer, da oggi ti chiamerai Aziz, che vuol dire splendido, e sarai il quinto cavaliere. Avrai il potere della Coppa che con te è diventata delle cinque virtù. Sarai Aziz il Buono, perché il Male era il tuo padrone e tu l’hai sconfitto.»
Così dicendo, gli porsi la Coppa che nel frattempo era apparsa, molto più grande di come la ricordassi. Era piena d’acqua. Gliela porsi, lui la prese tra le mani e mandò giù un lungo sorso.
Quando si volse verso di me, rinnovato dal potere, notai le sue lacrime.
Urania avanzò.
«E tu, Urania, sarai Halisabel, l’eletta, la quinta strega del GranRegno, colei che dimorerà nel regno Cristallo d’oro. Avrai il dono di purificare con le tue fiamme le anime dal Male, perché hai visto la purificazione di Aziz. A te spetta la foresta di Boas, gli alberi dalle foglie di fiamme e dalle radici di cenere bianca.»
«Sì, mia regina» acconsentì Halisabel, inchinandosi con devoto ossequio.
Scesi in fretta dal palco. Dovevo ripartire subito per salvare mio figlio. La mia ansia, però, si spingeva oltre: Kandahar mi stava a cuore. Perché salvare sua figlia sarebbe stato per me tanto importante?
Mentre correvo, vidi per l’ultima volta la cara immagine di Chidley. Mi salutava da lontano. La figura si dissolse e la sua voce mi giunse nitida, come un monito a non mollare: «Combatti, Rose, non ti arrendere mai!» mi sussurrò.
“Sì, Chidley, combatterò per te e per tutte le genti!”, pensai mesta.
Mi avviai rapida verso la foresta, asciugandomi le lacrime che avevano ripreso a scorrere. Adesso ero sola, nessuno mi avrebbe difesa contro le forze oscure del Male.
Capitolo Secondo
“Macek”
Dopo aver attraversato Ipswich e Obok, una città e un paesino del regno Colori di pietra, giunsi a Foochow. Dovevo far presto o Ian non sarebbe potuto uscire dal RegnoMedio. Con i poteri riacquistati, mi sentivo di nuovo forte. La gente del villaggio nel quale giunsi grazie all’aiuto di Axel, che con il suo cavallo mi aveva condotto lì, si mostrò sbalordita: non avevano mai visto la Principessa del GranRegno e fu Axel che ordinò loro di inchinarsi. Io, con prontezza, glielo impedii. Mi ritornarono in mente le parole di Godwiv, quando mi aveva detto che sarei dovuta essere umile.
Axel mi guardò stupito ma assecondò il mio volere.
Una vecchina ultracentenaria mi venne incontro. Le rughe erano talmente profonde che a stento si distinguevano gli occhi, le palpebre, il naso e la bocca: era un mucchietto di pelle raggrinzita. Come avevo già intuito, era la saggia del villaggio.
«Sono Maeve. Cosa porti con te, petalo di rosa?» domandò con voce rauca.
Mi guardai attorno e non mi ci volle molto per capire, osservando gli indumenti, che il popolo soffriva la fame; le poche figure che mi apparvero, infatti, erano cenciose e magre, esili fino all’inverosimile. Sembrava vivessero di stenti. Nella piazza, proprio al centro, notai un misero alberello. Quando mi avvicinai, la
vecchia mi venne dietro.
«Zahedi» mormorai sfiorando l’albero. «Deve essere stato qui. E voi non siete come sembrate. È Balikpapan, l’albero di Laszlo.»
Staccai un ramoscello e subito l’albero rinverdì.
«Rami di Balikpapan, li estraete tutti da questa unica pianta, durante la corsa dei Bianchi, quando gli uomini che scendono dalla montagna indossano solo dei calzoni bianchi. Corrono lungo le vie di questo villaggio con le fiaccole accese sul fuoco del monte Heubek, un vulcano.»
La vecchia ringiovanì e divenne una splendida ragazza. Axel si stupì del prodigio: merito della mia mano destra, della consapevolezza del potere acquisito. Un altro ricordo del ato era riaffiorato.
«Le fiaccole che non si spengono mai, nemmeno con la potenza del vento» sussurrai. «Sì, senza di esse non potete vivere. Quest’anno gli uomini non sono scesi per colpa di Zahedi.»
Si udì un urlo in lontananza. La vallata ben presto venne raggiunta da una miriade di persone con fiaccole accese.
«Adesso giungono. Vogliono incendiare il villaggio. Non hanno potuto condurre la loro corsa e sono furiosi.»
Mi guardai attorno per un attimo, sgomenta, non sapendo cosa fare. Axel sguainò la spada, pronto a combattere.
«Presto! Correte a nascondervi!» gridai alla popolazione. Tutti obbedirono e, in un baleno, la piazza si svuotò.
Quei corpi erano più rapidi di quanto ricordassi: adesso si distinguevano nitidi con le fiaccole accese.
Si spingevano a migliaia verso l’esiguo villaggio.
«L’albero, non deve essere distrutto. Axel! Axel! Riponi la spada. Non servirà a niente, non possiamo combatterli, non possiamo» intimai spaventata.
Con un rapido gesto, un Bianco scagliò una fiaccola sul tetto di una costruzione, urlando. Alzai la mano destra e, altrettanto repentinamente, la feci spegnere.
«Perché hai fatto questo?» chiese un giovane, uno dei Bianchi, mentre ancora correva.
«Chi sei?» gli domandai in tutta risposta.
«Macek. E tu chi sei?» rispose impertinente.
Axel stava già sguainando la spada per colpirlo a causa della sua impudenza, ma con un cenno della mano lo fermai.
«Macek» ripetei incredula. «Sei Macek, il ragazzo vagabondo?»
«Primrose!» esclamò inchinandosi, mentre teneva la fiaccola alzata. Tutti si inchinarono al mio cospetto con le fiaccole alzate.
«Cara principessa, quale motivo vi ha spinto a giungere fin qui?» continuò Macek.
«Sono in viaggio, alla ricerca dei miei ricordi.»
«Mi rendeste voi capo dei Bianchi a beneficio di questa popolazione. Quest’anno abbiamo dovuto ardere nelle fiamme del vulcano senza poter portare ristoro.»
«Zahedi ha impedito che accadesse. Sapeva che vi avrei liberati e che voi avreste comunque distrutto il villaggio. Cosa si cela in questo luogo per destare tanto interesse in un mago malvagio?»
«È nelle piccole cose, voi che riponete fiducia nel custodire il nias: un bracciale dai grandi poteri magici.»
«E le fiamme di Heubek,» continuai, «ne tengono vivi i poteri.»
«Il villaggio non ha svelato al mago dove si trovava» intervenne Maeve, uscendo da un’abitazione, ancora timorosa di essere attaccata. «Il Balikpapan ci ha protetti. Siamo stati fedeli al patto, come voi, nostra principessa.»
«Da quanto tempo eravate prigionieri di Zahedi?»
«Abbiamo sopportato con pazienza, mia regina, l’aspetto che ci aveva imposto. E mentre gli altri non si sono potuti cibare e adornare di splendidi ornamenti, io ho subìto il martirio della vecchiaia.»
«La vostra ricchezza interiore, però, vi ha tenuto in vita e fermi nei propositi.»
«L’avete detto, mia regina. I fregi della vostra anima son come l’oro: vi proteggeranno dal male. E mentre i mendicanti, i falsi, che qui venivano a chiedere asilo, ci guardavano disgustati perché non erano abituati alle cose brutte del mondo, noi ci vedevamo sempre belli e riccamente adornati.»
Annuii soddisfatta.
«E grande è stata la vostra ricompensa» conclusi sorridendo.
«Poiché avete vissuto di stenti, il bracciale ben vi fu donato. Prosperità e gioia regneranno. La corsa sia fatta e la rabbia scompaia, giacché non ci fu offesa da parte del popolo di Foochow.»
I Bianchi si rimisero a correre. Solo Macek indugiò accanto a me con la fiaccola accesa. Aveva gli occhi pieni di lacrime.
«Vi ringrazio del dono che mi avete fatto. Ero un vagabondo e adesso sono un Bianco.»
«Ricordami, Macek, il nostro primo incontro.»
«Accadde in tempi ati. Ero nella strada di Otokar, e eggiavo. Voi avevate bisogno di un rifugio e io vi ospitai nella mia umile dimora. Poi mi faceste diventare Bianco. E io portai la luce della salvezza in questo villaggio, assieme ai miei compagni. Mi avete fatto diventare Capo dei Bianchi.»
«Cosa fai dopo la corsa dei Bianchi?» gli domandai.
«Vivo alle pendici del monte Townshed con i miei compagni. Lì c’è Phukett, una città che è stata abbandonata millenni or sono dalle genti che l’abitavano. Lavoriamo i rami raccolti da questa popolazione. Diventano bacchette, bastoni magici dei maghi, delle fate e delle streghe.»
Rigirai tra le mani il bastone che avevo preso.
«E le sai usare?»
«Non bene come vorrei» ammise con un lieve rammarico.
«Hai mai incontrato un uomo che ti abbia chiesto di forgiarne una per una donna?» domandai.
«Probabilmente. Lo conoscete?»
“Ajmer”, considerai. Zahedi aveva pensato proprio a tutto.
«E tu gliel’hai fatta?» incalzai dispiaciuta.
«Certamente: è il mio lavoro.»
“Questa non ci voleva! Una bacchetta di Balikpapan non ha prezzo! Ha poteri immensi. Difficile sconfiggere un mago che abbia un simile strumento, a maggior ragione se è Ajmer o Zahedi, come dir si voglia.”
«Ascolta: c’è la probabilità che tu abbia contribuito alla disgrazia che ha seminato Zahedi, avendo costruito quella bacchetta.»
«Mia regina, forgio strumenti magici per qualsiasi mago; non sono strumenti malvagi fin quando non se ne fa cattivo uso!»
«Lo so, Macek. Il guaio è che forse si trova nelle mani di quella donna. E se ha raggiunto il suo obiettivo in questo posto, puoi immaginare altrove...»
«Invero, mia regina, credo che avrà colpito i punti strategici, e non a caso. Guardate un po’. Se ha voluto distruggere l’albero di Balikpapan per impedire la formazione di nuove bacchette o bastoni, questo è stato un buon stratagemma. Se voi non ci aveste fermati, avremmo sicuramente distrutto il villaggio e l’albero.»
Macek aveva ragione.
«Allora, quale pensi sia stata la sua mossa seguente?»
«Pontianak. Lì c’è il wuhan, il guscio della tartaruga gigante.»
«È probabile» ammisi.
«Sì. Lì dimorano le anime dei maghi, delle maghe, delle streghe e delle fate. Tutelano gli yerkes, cioè i loro allievi. Se viene distrutta, gli allievi non hanno più possibilità di apprendere le arti magiche dai loro maestri.»
«Insomma, Zahedi voleva distruggere l’intero mondo della magia. Ma perché mai?»
«Sono vostri alleati e protettori. Le quattro streghe fondatrici del GranRegno non possono attaccare nessuno, gli altri invece sono completamente al servizio dei
sovrani. Possono ribellarsi come lui ai vostri ordini, ma per natura sono di vostro aiuto.»
«Puoi venire con me a Pontianak?» gli chiesi senza preamboli.
«È un onore servirvi, mia regina. Accompagnerò i vostri i con infinita gioia.» Sorrise felice.
Congedai Axel e rimasi per tutta la notte al villaggio, stringendo a me la bacchetta di legno informe.
«È shiva e tu lo sai» mi sussurrò una voce interiore, delicatamente. «La grande shiva, perché con animo umile e candido è stata tratta dall’albero.»
Senza dubbio era proprio la bacchetta shiva, quella che avrei portato una volta salita al trono con il diadema. Il mio pensiero, però, correva al piccolo Ian e alla sua sorte. Se non l’avessi salvato in tempo, un giorno non avrebbe potuto ricostruire il GranRegno. Un principe senza poteri. Come avrebbe fatto Ian a ricostruire quel che un giorno sarebbe andato perduto? Chi avrebbe regnato? Sfiorai il ventre e compresi che una nuova vita si agitava già al suo interno.
Capitolo Terzo
“Un sogno premonitore”
Avanzavo nella luce di una calda giornata a piccoli i, vestita di bianco. Un bambino dai capelli color dell’oro gettava a terra petali di rose rosse. Camminavo su un pavimento colorato, immersa nella calma e nella pace, con i capelli lunghi e sciolti. Un soave profumo invadeva la stanza. La finestra era aperta e la tenda bianca ondeggiava placidamente. Ian correva tra quei petali, spensierato. Con lui c’erano anche Loris e Naska, sorridenti, abbigliate in vesti di tessuto simile alla seta, colore rosa pallido. Si rincorrevano e mi venivano accanto. C’era anche una bambina dai capelli corvini: il suo abito era bianco ed era seduta su una sedia. Fissava ossessivamente un muro candido. Aveva gli occhi verdi, trasognati, e sembrava assente. Mi avvicinavo lentamente, ma lei continuava a fissare il muro, in silenzio, con insistenza.
Quando le posai una mano sulla piccola spalla, lei si voltò e mi guardò con occhi sempre trasognati e il viso pallidissimo. Per un attimo il suo volto angelico sembrò far da cornice a quel meraviglioso sogno, poi, di colpo, si tramutò in un essere mostruoso. La sua voce, ancora infantile, mi invase: «Non voglio, aiutami!»
Mi svegliai di soprassalto, angosciata.
Era giorno inoltrato. I pantaloni di Macek erano diventati neri. Osservai i suoi capelli biondi, raccolti nel codino, il suo profilo non perfetto ma piacevole a guardarsi. Il corpo magro era ricurvo, serrato, come se provasse una grande sofferenza.
«Cosa c’è, Macek?» gli chiesi, rimanendo distesa.
«Avete fatto un sogno, un incubo per il quale avete provato dolore. E questo mi fa star male!»
«Percepisci i miei sentimenti?»
«Sì» ammise, asciugandosi una lacrima.
«Cosa altro sai di me?» chiesi curiosa.
«La bambina nel sogno non è vostra figlia. Si chiama Milmay. Suo padre Kandahar sta cercando un rimedio per guarirla. Sta cercando voi.»
«Milmay» ripetei tra me. Era la stessa bambina di cui mi aveva parlato Godwiv.
«Perché è importante che la salvi? Forse tu lo sai?»
«È della stirpe di Haym. Un giorno porterà il vostro diadema in testa e shiva» continuò indicando la bacchetta che stringevo tra le mani.
«È la mia erede?»
Macek annuì.
«È come me, dunque?»
Annuì di nuovo.
«Loris e Naska?»
«Non possono regnare, non potranno farlo. Un’antica profezia parla di una fanciulla venuta da un altro regno, che governerà sul GranRegno che Ian ricostruirà. Rimarranno delle principesse e avranno tutti gli onori dovuti.»
Lo guardai stupita e interrogativa allo stesso tempo. «C’è forse qualcos’altro che dovrei sapere?»
«Sì. Loris, Naska e Ian sono solo tre dei figli che sapete di avere? Ne avrete altri quattro.»
«Davvero?» feci stupita.
«Veblen e Lacroix, i due principi gemelli. Poi ci sarà Hoyle, un’altra principessa,
e, infine, Owen un principe.»
Rimasi sbalordita. «E nessuno di loro regnerà?»
«Nessuno nel GranRegno. Avranno delle sorti diverse» concluse Macek sedendosi accanto a me.
«Sette principi» conclusi.
«La stirpe si ramificherà con quella degli Unwin di Hoskins, un regno vicino alla futura principessa Milmay. È importante che salvi quella bambina, affinché un giorno il regno torni alla tua stirpe. Forse i figli dei tuoi figli torneranno a regnare sul GranRegno.»
«Ma perché?» protestai.
«È per via di quell’Antica Profezia. Quando la figlia di Milmay incontrerà il figlio di Ian e genereranno Beryl, una nuova principessa, allora il potere tornerà di nuovo alla tua stirpe. A meno che...»
«A meno che...» lo imbeccai.
«A meno che Milmay non riesca a spezzare questa profezia.»
Rimanemmo in silenzio. Dunque, sarebbe stato il figlio di Ian a portare nel GranRegno una nuova principessa.
«Lo vedi, mia regina, il sole è alto in cielo. Dobbiamo prendere il cammino. Vi proteggerò sempre. Maeve ci ha fatto dono di questo pony. Ci condurrà a Pontianak, la città che custodisce le anime dei maghi.»
Ben presto riprendemmo il cammino.
Mi sembrava assurdo e deludente che una fanciulla di un altro regno assumesse il comando del GranRegno, spodestando i miei figli.
Macek colse la mia inquietudine e si affrettò a tranquillizzarmi: «Non fatevene pensiero. I vostri figli, maestà, devono rimanere nascosti agli occhi del nemico. È meglio che nessuno sappia della loro esistenza. Sarà giusto che tocchi a Ian l’onore di riprendere il regno perché a lui sarà negato molto. E poi è l’unico principe di cui si conoscerà l’esistenza e che verrà perseguitato. È importante che almeno un erede sia visibile, per non perdere gli altri.»
«Macek, perché i tuoi pantaloni sono diventati neri?» gli domandai, cambiando così discorso.
«Sono così quando finisce la corsa dei Bianchi.»
Eravamo in groppa al pony, e già sentivo l’aria afosa diventare sempre più soffocante. Abbracciai Macek per non cadere e lui rallentò il trotto del pony.
«Facciamo una sosta» lo pregai, un po’ madida di sudore.
Ci fermammo su un’altura. Macek guardò con calma l’orizzonte; sembrava cercasse qualche cosa.
«È Bowra» disse, indicando una nuvola biancastra sopra di noi. «La invocano i maghi di Pontianak, per portare argento e oro nei fondali di questa terra. Molto ricercata dai Mirkin, i pirati delle praterie.»
«A cosa servono questo argento e questo oro?»
«Si forgiano le spade di Bowra, quelle che usano i cavalieri delle quattro virtù e tutti quelli che combattono dalla parte del bene: spade luminescenti. La più famosa è la spada di Shanas. Non l’hanno vista che in pochi a questo mondo.»
“Quindi”, pensai, “anche Aziz avrà una spada come questa, forgiata dalla nuvola d’argento.”
Si sedette al mio fianco. «Staremo qui per qualche tempo. Non ho dormito molto, la scorsa notte.»
Si addormentò e mi lasciò sola a guardare l’orizzonte. Era strano scorgere una nuvola di Bowra da quelle parti. Voleva dire che qualche mago l’aveva invocata. Ma per quale ragione? Osservai Macek: era caduto in un sonno profondo. Come se fosse avvolto in una luce eterea, appariva splendido.
Strinsi la bacchetta informe tra le mani e la puntai contro la nuvola che scomparve, dileguandosi. Macek continuava imperterrito a dormire, tenendo però gli occhi aperti.
Un vento tiepido spirò leggero. Ripensai alla tristezza della brughiera di Ajmer, al mio amato Chidley, e piansi calde lacrime.
Macek si destò di soprassalto.
«Ajmer e Chidley vi amano, mia regina. Quel che avete sofferto è ingiusto.»
«No, se è servito per il bene del GranRegno. Sai, Macek, quel che mi fa più soffrire è il pensiero che tanta gente stia male e che io non possa aiutare tutti» confidai con voce strozzata, rotta dalla improvvisa sensazione di impotenza che mi aveva invasa.
Ripartimmo a sera inoltrata. Macek aveva portato con sé un po’ della fiamma del vulcano per illuminare i nostri i. Tutto ci appariva pieno di luce, come se fosse giorno. Non avevo paura, però sapevo che, prima o poi, qualcuno avrebbe anteposto il suo volere alle nostre ragioni. Quindi, mi strinsi forte al mio amico.
“Cos’è quel freddo che ci fa star male? È forse la paura dell’abbandono? Ancora una volta, Macek, rimani al mio fianco. Ho bisogno di te, del tuo calore, della tua anima per non sentirmi sola. E tu lo sai”, pensai mestamente e lui annuì, come se mi avesse udito.
Capitolo Quarto
“Pontianak, la città dei maghi”
Durante il cammino, io e Macek non parlammo. Il tragitto fu molto lungo e guardammo il monotono paesaggio scorrere davanti ai nostri occhi.
Andare nella terra da sempre appartenuta ai maghi non era un’impresa facile: c’era la probabilità di scontrarsi con quelli cattivi. Qui, infatti, erano sicuramente stati addestrati Ozark, Zahedi e, chissà, forse anche Zanon. Da sempre, infatti, il bene e il male lottavano in questo territorio. Sembrava non ci fosse possibilità di trovare un accordo di pace. Maghi, stregoni, streghe e fate dimoravano nel regno Corallo d’avorio.
Attraversammo fiumi, cascate, laghi dalle acque verdi, paludi e infinite praterie. Forse per un mago tutto questo sarebbe stato più che semplice; in verità avevo con me la piramide di vetro ma non volevo coinvolgere Macek in questa magia. Dovevo far presto, salvare Ian prima che rimanesse imprigionato per sempre nel Regno Medio e prima che la mia stirpe si fosse estinta.
Arrivammo a Pontianak dopo alcuni mesi di viaggio. Eravamo molto stanchi, e rimanemmo stupiti: al villaggio non c’era nessuno, solo un vecchino seduto su di una sedia a dondolo che fumava con aria indolente una lunga pipa.
Si dondolava guardando l’orizzonte.
«Cerchiamo la tartaruga delle anime magiche» gli dissi senza preamboli.
«Oh, sì certo» commentò il vecchio con apatia.
Scesi dal pony per guardarlo in faccia.
«È accaduto qualcosa?»
«Oh, sì certo» ripeté, continuando a guardare senza interesse davanti a sé.
Indossava delle graziose babbucce azzurre, ricoperte di pietre preziose. La tunica, leggermente più scura del colore delle babbucce, portava le stesse gemme.
«Zahedi ha forse distrutto la tartaruga?» azzardai.
A quel nome si volse e mi fissò con sguardo incuriosito.
«Ci siamo già visti? Io ti conosco» disse accantonando la pipa.
«Sono Primrose, la principessa. E lui è Macek, uno dei Bianchi.»
«Però» commentò studiandomi. «Sei proprio bella!»
Guardò Macek con diffidenza.
«Certo, lui lo conosco. Mi ha fatto una buona bacchetta. Cosa vuoi, Macek?»
«Nulla, Kroll. La mia regina ti ha posto una domanda» rispose stizzoso.
«Oh, certo» proferì guardandomi. «Primrose, che bella figliuola!»
Macek fece un colpo di tosse per ricordargli di portarmi rispetto.
Lui si schiarì la voce e brontolò: «Non mi interrompere! Primrose, Zahedi ha effettivamente distrutto il guscio di tartaruga sul quale rimangono attaccate le anime dei saggi maestri della magia. Purtroppo, era troppo forte per noi e non siamo riusciti a sconfiggerlo. Del resto, non ci è riuscito nemmeno Chidley.» Tossì. «Il principe Chidley» si corresse.
«Mia regina, non credete che ci sia un significato recondito in questo gesto?» intervenne il Bianco.
«Spiegati, Macek.» Lo esortai rattristata: il fatto che il vecchio avesse pronunciato il nome di Chidley, mi faceva star male.
«Il percorso logico che ha seguito: ha prima impedito la formazione di nuove bacchette e poi ha distrutto la tartaruga.»
Kroll, l’anziano che ci stava di fronte, ci guardava sempre più incuriosito.
«Ha distrutto il Balikpapan?»
«Non ci è riuscito, sono arrivata appena in tempo.»
Kroll allargò le braccia e disse «Invece, qui ci è riuscito eccome.»
«E adesso?» feci sconsolata.
«Esiste un rimedio?» chiese afflitto Macek.
Il vecchio scosse la testa.
«Non è compito mio, mi spiace. L’unico modo è ricostruire un’altra tartaruga. Ma i maghi, i saggi maghi che insegnano le arti, sono scomparsi. Gli allievi non avranno da chi apprendere le arti magiche.»
«Non è rimasto nessuno?»
«Soltanto io e non posso insegnare a tutti: fate, maghe e maghi, streghe e stregoni.»
«Ma la vostra principessa non ha fatto nulla per proteggervi?» chiesi senza speranza.
«Saya? È finita in quella sorta di teatro. Ha recitato. Hanno recitato tutti. Ma, alla fine, è ovvio non si riesce a parlare per delle ore e, soprattutto, a trovare le parole per continuare un dialogo.»
«Saya?» chiesi corrugando la fronte. «Chi è?»
Per un istante, Kroll guardò stupito Macek, come per chiedere conferma della mia domanda, poi rispose: «È la moglie del principe Axel. Davvero non la ricordate?»
Scossi la testa in segno di diniego.
«Ah. Cioè, non sapete che Axel e Saya sono i regnanti del regno Corallo d’avorio? Hanno avuto anche una figlia, Polya, ma ha fatto la stessa fine della madre: imprigionata e uccisa da Zahedi.»
Era un bel guaio. Anche quel regno era rimasto senza sovrani e il territorio della
magia era distrutto. Rimasi stupita e turbata dalle parole del vecchio.
«Perché ha lasciato in vita solo te?» dissi a un tratto, incominciando a intuire il pericolo.
«Primrose, sapevo che saresti arrivata fin qui. Ed è per questo che sono rimasto a guardia della città» bofonchiò il vecchio; il suo volto divenne torvo e spettrale.
«Macek!» gridai, traendolo indietro.
Kroll rise di gusto e aggiunse: «Non puoi fare nulla. Hai perso, Rose.»
Presi dalla sacca la bacchetta e gliela puntai contro, come una spada.
«E questa? Cosa mi dici, ora?»
Il vecchio si contorse in una smorfia di indicibile dolore e cadde a terra, sfinito.
«Shiva...» mormorò con un filo di voce, strangolato dal potere della bacchetta.
Feci un gesto repentino e lo scagliai oltre il casolare. Cadde a terra gemendo.
«Perché me l’hai puntata contro?» protestò con rabbia, soffocato dalla stretta. «Aiutami!»
Alzai la bacchetta in cielo e invocai gli spiriti dei maghi, a gran voce. Il cielo divenne scuro e i lampi lo squarciarono. Si levò un forte vento. Un vortice apparve sopra la mia testa e mi risucchiò.
Al mio risveglio ero a Begon, un luogo a me sconosciuto, dove in ato erano state condotte le anime magiche.
Mi vennero incontro due fanciulle, due fate, una dai capelli neri, l’altra dai capelli biondi. La prima si chiamava Shan, l’altra Jael.
«Primrose!» urlarono all’unisono.
Le guardai stupita.
«Finalmente sei giunta qui. Zahedi ci ha imprigionati tutti. Ha distrutto la tartaruga, e le anime dei nostri maestri sono andate perdute.»
«Chi siete?»
Si guardarono sorridenti e risposero: «Shan e Jael, le tue fate.»
«Le mie fate?»
Si guardarono ancora, ridacchiando. Poi Shan mi indicò qualcosa sul petto. Chinai lo sguardo e vidi che al collo portavo un amuleto. Lo presi tra le mani: era un grosso gioiello d’oro, un ciondolo rotondo con al centro una grande pietra rossa, incorniciato da dodici pietre colorate.
«Non sai nulla? Non eri forse partita alla ricerca dei tuoi ricordi?» fece ironica Jael.
Annuii e risposi pungente: «Invero ho avuto un incontro con Zahedi in persona. Non ho avuto il tempo di cercare i miei ricordi. Mio figlio, Ian, è in pericolo. Devo andare ad Athadar per salvarlo. Sono arrivata in questa città perché prima sono ata dal villaggio Fuchow. Zahedi aveva sabotato la corsa dei Bianchi e gli abitanti non potevano raccogliere i rami di Balikpapan per forgiare le bacchette e i bastoni dei maghi.»
Erano sempre più stupite del mio narrare.
«Oh, Principessa, ci dispiace non averti potuto proteggere! È nostro compito salvaguardare il kyarya, l’antico gioiello che portate dentro di voi, e che non solo vi tiene in vita, ma serve a tenere integra la popolazione che vi diede i natali. Sarà stato questo l’obiettivo di Zahedi e lo sarà di tutti gli altri nemici che incontrerete durante il vostro cammino: distruggerlo. Il gioiello vi tiene in vita» spiegò preoccupata Shan.
«Appare quando siete debole, oppure alla nostra presenza, quando congiungiamo le mani. Ecco perché Zahedi ci ha imprigionate!» aggiunse Jael.
«Ma non l’ha distrutto. Ajmer-Zahedi si è innamorato di me!»
Shan scosse la sua piccola testa.
«È in arrivo un altro malvagio, mia principessa.»
«Prima devo salvare il regno della magia» dissi con determinazione.
«Certo. Ma come farete? I sacri maestri delle arti magiche non hanno più dimora nella tartaruga. E senza di loro, gli allievi non potranno apprendere la magia.»
«Ma dove sono finiti?»
«A Bershadsky» disse Jael.
«E dove si trova?»
«Dovete tornare nel Regno Medio, mia principessa, per trovarlo. È un luogo inaccessibile. Per questo le loro anime venivano depositate sul guscio della tartaruga: per rimanere in stretto contatto con il GranRegno.»
«Zahedi... è stato paziente. Ha intessuto la sua trama nel silenzio. Dove ero?» feci incollerita. «Dove ero quando il mio popolo soffriva?»
«Non spetta a voi proteggere tutto il GranRegno. Toccava al sovrano del regno Corallo di avorio. È stato un incapace» sostenne Jael sbuffando.
«Come poteva? Occorreva stabilire delle coalizioni, delle alleanze» spiegai risoluta, incrociando le braccia al petto. «Non posso giudicare l’operato del principe Axel e della principessa Saya da questo mondo. Chidley è morto e io sono qui…» Ad un tratto, mi giunse una brillante idea. «Certo!»
Shan e Jael si guardarono.
«Ho la piramide di vetro e shiva!» esclamai.
La alzai, verso il cielo nero. Si sprigionò una luce blu e, in breve, fummo di nuovo a Pontianak.
«Siamo tornate a Pontianak, come mai?» domandò Jael.
Mi guardai attorno. Macek giaceva a terra, e accanto a lui c’era un giovane che cercava di rianimarlo. Era chino sulla sua magra sagoma. Invece Kroll giaceva poco più in là. La caduta gli aveva fatto sbattere la testa e adesso un rivolo di sangue gli colava giù dalla fronte, per fermarsi sotto il collo e intaccare la sua tunica azzurrina. Mi avvicinai a quel giovane. Gli sfiorai una spalla delicatamente, ed egli si volse con le lacrime agli occhi: era Axel.
«Perché siete qui? Non vi avevo forse ordinato di andare via?»
Mi guardò con fare esitante. Poi prese la mia mano tra le sue.
«Primrose, quale collera ha scatenato una simile tempesta? Le querce, le case di questo villaggio… sono andate quasi tutte distrutte!»
«Ho usato shiva e sono finita a Begon. Shan e Jael, le mie due fatine, sono venute con me» gliele presentai, ma guardò con fare perplesso.
«Mia principessa, non vedo nulla di ciò che mi indicate» disse.
«Sì, Primrose, nessuno può vederci. E voi, solo a volte» sorrise Jael.
«Non importa.»
«Saya, la mia amata. Ajmer l’ha imprigionata e uccisa. Adesso non ho più le autorità di un principe, sono un semplice cavaliere.»
«Anche Chidley è morto» mi sfiorai il ventre con grande rammarico.
Alzai lo sguardo verso di lui.
«Perché non mi prendi con te?» gli chiesi.
Si levò in piedi, meravigliato.
«Uniremo così i due regni: La sabbia delle streghe e Corallo di Avorio.»
«Non abbiamo le forze per combattere Zahedi.»
«L’ho già sconfitto. Adesso lui è un cavaliere delle cinque virtù. Occorrerà semplicemente ricostruire il regno.»
Mi cinse le spalle con le mani e fissò a lungo i miei occhi.
«Non posso. Ho giurato a Burdach di non congiungermi ad alcuna sposa prima delle Nove stagioni.»
«Estate» enunciai. «Perché faceste un simile giuramento, mio cavaliere?»
«Perché sono un vile!» Riprese a piangere. «Ho chiesto di vivere al mago, per questo ho fatto questo giuramento. Non sapevo che faceva parte del piano di Zahedi: ha pensato a tutto. Quel che mi dispiace è che la terra feconda dove lui
nacque, è proprio la mia. Andrebbe distrutta!»
Mi sedetti, affranta anch’io. Dovevo salvare il regno, mio figlio che non avrebbe mai regnato, ero già incinta delle due gemelle e dovevo salvare la mia erede, Milmay. Non potevo ricostruire il GranRegno senza l’aiuto di un principe a cui donare i miei poteri. E così questi due regni rimanevano senza sovrano.
I moti erano tesi a difendere la nostra monarchia, mentre la Rivoluzione sarebbe poi sfociata nella IV scissione, cioè la divisione del mio regno e di quello di Chidley nel V regno della sabbia delle streghe. Contro la Rivoluzione non avrei potuto fare nulla.
«Ci deve essere una soluzione. Dobbiamo pur trovarla» gli dissi addolorata.
«L’unica è infrangere il giuramento.»
Lo guardai con stupore. Esitò, poi posò delicatamente le sue labbra sulle mie.
Capitolo Quinto
“Una lacrima dai suoi occhi”
Rimanemmo lì solo qualche giorno. Dopo aver ricostruito con la magia il villaggio e dopo averlo ripopolato, ricreai con la bacchetta, che nel frattempo Macek mi aveva insegnato a usare, un’altra trasparente tartaruga volante. Kroll fu fatto prigioniero e messo dentro una enorme clessidra piena di sabbia colorata. Non c’erano più le anime degli avi, ma riuscii lo stesso a dare loro un insegnante. Lasciai Macek, avvezzo alla magia, a insegnare le arti magiche, investendolo così di un nuovo ruolo. E partii immediatamente con Axel alla volta di Maravall. Lì mi attendeva Prévélakis, uno dei Tredici Stregoni bianchi, l’unico in grado di predirmi le cose future e di dirmi come recarmi da viva nel Regno Medio, il regno dei morti, per salvare Ian.
Trovammo il corpo dello Stregone disteso sull’acqua del fiume che tagliava perfettamente in due la città. Aveva gli occhi chiusi e una barba lunga e bianchissima come i capelli. Indossava una veste blu e delle ciabatte dello stesso colore. Axel gli rivolse alcune domande in una strana lingua che io non compresi; più tardi seppi che era Sanlohiu, un’antica lingua parlata in quella città solo da pochissime persone, fra queste Prévélakis.
Non sentivo se lo Stregone rispondesse al principe, ma quest’ultimo si volse e mi chiese di inchinarmi.
Feci quanto mi aveva detto e mi lasciai apporre la sacra Aura, un antico medaglione che mi avrebbe permesso di tradurre la lingua dello Stregone. Invero, quando egli mi parlò, rimasero comunque oscure alcune sue parole.
Cionondimeno mi chinai vicino al suo corpo galleggiante e incominciai a parlare in Sanlohiu.
Qui riporterò le frasi tradotte.
«Salute a te, principessa Primrose. Giungete al mio cospetto ma portate con voi magia malvagia.»
Mi guardai attorno e non compresi quello che voleva dirmi.
Riprese: «Il vostro combattimento con Zahedi ha lasciato il segno. Quale nemico foste costretta ad affrontare, mia regina, per trovare quel che cercate! I ricordi vi appartengono già per regnare.»
La mia immagine si rifletteva su quella sua, placidamente distesa. Anche se teneva gli occhi chiusi, mi incuteva un po’ di timore: era come se riuscisse a leggermi dentro.
«Li troverai nella grotta di Newoc, al termine del tuo viaggio. Quel che tu vuoi sapere è che cosa fare per salvare il figlio che ti ha salvato la vita.»
Dal suo corpo uscivano delle bollicine. Risalendo in superficie, formavano dei cristalli.
«È bene che tu raccolga queste gemme di cristallo, serviranno a purificare il tuo
corpo dal veleno di Zahedi. Hai ancora dentro il suo male. La collera ti fece distruggere un villaggio.»
Raccolsi quei semi di cristallo e ne ingurgitai parecchi. Mi bruciarono la lingua, poi una piacevole sensazione mi invase.
«Oh, così è la lingua che avete pungente e arguta. Bene! La purificazione è avvenuta. L’umiltà a volte è un vostro pregio. Sì, dovete chiedere agli Stiliti.»
«Chi sono?» Mi stupii della voce che uscì dalla mia bocca: era sottile e infantile.
«Dei monaci eremiti. Vivono sul monte Haym, le loro case sono delle colonne. Si stabiliscono lì per vivere al sole e alle intemperie senza cibarsi di nulla o bere. Hanno vita breve, infatti.»
Alzai gli occhi al cielo: la folta chioma di un albero copriva le nostre teste. Axel rimaneva in disparte e in silenzio.
«Balikpapan» chiarì il vecchio. «Mi sono permesso di portare un ramo nella mia umile dimora. Dove ero rimasto?»
«Devo cercare gli Stiliti, Prévélakis.»
«Sì, loro ti diranno come potrai accedere al Regno Medio senza morire. Potrai raggiungere e salvare Ian. Ma per farlo rivivere, serve il suo corpicino. Manda il
cuor coraggioso di Axel a prenderlo. Quando congiungerai lo spirito con il corpo, egli ti verrà dato indietro.»
«E Milmay?»
«Oh, la nuova principessa. È così, Primrose, una degna sostituta per il GranRegno. È stata colpita per impedire che diventi regina. Godwiv ti diede buoni consigli al riguardo.»
«Ti ringrazio per tutto.»
Mi congedai, ma in cuor mio non ero ancora soddisfatta. Cercavo qualcosa, non so che cosa. Allora, prima che me ne andassi, lui aggiunse: «Sei la benvenuta nel mio mondo. Vuoi vedere cosa provo?»
Esitai. Forse era proprio quello che desideravo. Lo osservai per alcuni interminabili istanti, in silenzio, e senza rispondere mi immersi nell’acqua. Era molto gelata e alta. Il fiume scorreva inesorabile e limpido.
«Vuoi delle gemme, non è vero?»
«Le raccoglierà Axel, gli serviranno lungo la via del ritorno… per proteggerlo da eventuali attacchi. Non c’è più Saya, non ha molto potere. E un giuramento lo lega a un mago, servo del nemico.»
Mi distesi in acqua e chiusi gli occhi. La sensazione era piacevolissima. Mi sentivo come cullata. Non vedevo nulla, soltanto buio. Ad un tratto, Prévélakis riprese a parlare.
«Libera la mente dai fallaci desideri. Abbandonati alla corrente, permetti che i tuoi pensieri scorrano sul letto del fiume, dimentica il tempo, dimentica che c’è qualcuno che ti guarda. Vedrai una luce.»
Rimasi lungamente in attesa. Poi, all’improvviso, vidi la luce, una splendida luce in fondo.
«Adesso avvicinati, raggiungila.»
Mi sforzai di raggiungerla, mentre dentro di me cresceva una sensazione piacevole. Non appena la raggiunsi, udii una voce: «È l’essenziale quel che ti serve. E la pace interiore. L’equilibrio. Non hai più dubbi, adesso.»
Era il fiume a parlarmi; la sua voce era femminile.
Mi avvicinai a quella fonte di luce con la rapidità di una cerva. Tesi la mia mano destra e la sfiorai. Mi tuffai e acquisii tutti i miei sensi. Immersa in quella atmosfera di pace, varcai la soglia andando oltre la luminosità.
Mi ritrovai in una umile stanza.
Avanzai di qualche o. C’era l’essenziale: una sedia, un tavolo, una cucina, una porta. Mi diressi verso quella porta e l’aprii. Un vento tiepido mi avvolse e, così, mi ritrovai in una pianura verdeggiante puntellata da teneri fiorellini colorati; gruppi di farfalle si rincorrevano festose nell’aria.
«È Aykroyd[62]» disse Prévélakis. Lo vidi incedere verso di me con aria sorridente.
Sfiorai la corolla di un fiore che delicatamente si sfaldò. I petali inseguirono il vento in un piccolo vortice variopinto.
«Sei nata qui, Primrose.»
Lo vidi poggiare a terra il suo grosso bastone.
«Rivedrai un giorno il luogo che ti diede i natali, mia piccina.» Si avvicinò, accarezzandomi la testa. «Candidi pensieri albergano nella tua mente.»
Poi si volse verso la stanza e disse: «Credo che Axel abbia raccolto sufficienti gemme per il suo viaggio. Ritorna indietro, adesso.»
Annuii beata.
«Ho provato questa sensazione quando sono nata? Mi sento ubriaca di felicità. Percepisco la dolcezza del cuore.»
«È il dolce sentire, che ti è stato ridonato.»
Presi un ultimo fiore e lo lanciai nel vento, che non esitò a prenderselo.
«Anche se il principe Axel posò sulle tue le sue labbra, tu rimani il fiore più candido» disse Prévélakis avvicinandosi e parlandomi all’orecchio.
«Chidley» sussurrai.
Un sussulto lo scosse.
«Sì» disse, rimettendosi in piedi perché ero diventata ormai una bambina.
«È un ricordo» dissi esterrefatta.
«Sì.»
«Quando ero una bambina, ho incontrato...»
Tacqui. Sfiorai con la mano la testa: era arruffata e ricca di boccoli dorati.
«Un viandante, adesso ricordo… quel viandante è venuto a chiedere a casa un bicchiere d’acqua.»
Mi misi a ridere.
«E ti fece dono di questo» continuò porgendomi il geranio bianco.
«Il VeroAmore» dissi sottovoce e con enfasi.
Mi sorrise.
«Perché sei Prévélakis, ora?»
«Zahedi non è invincibile» disse chinandosi e prendendo le mie piccole mani dentro le sue, grandi e nodose. «La mia fine era stata predetta, ma voglio continuare a proteggerti. Ti prego, non farmi uscire dal Regno Medio. Anche se sarai tentata di farlo.»
Piagnucolò.
Lo guardai stupita, e baciò con tenerezza le mie mani.
«Chidley!» esclamai afflitta.
«Son qui, son io, nella mia umile dimora. Adesso devi andare, Rose.»
Aprì le sue mani e liberò le mie come se avesse racchiuso una farfalla. Chinai il capo e versai una lacrima.
«Non sei più mia, dolce Rose. E il dolore sarebbe grande per tutti e due, ma soprattutto per te che devi continuare a regnare. Così ho chiesto che fosse dato tutto a me. Non voglio vederti soffrire. Hanno mantenuto la promessa, per fortuna. Ogni tanto avrai un piccolo dolore, ma erà con il tempo. È una ferita grande da guarire.»
«Chi? Chi ha mantenuto la promessa?» domandai, volgendogli i miei occhi.
«Non posso dirtelo, mi spiace» sussurrò appena.
Gli occhi mi si riempirono di lacrime.
«Mia mamma è morta» dissi con voce straziante.
«Lo so, piccola cara. Ma anche questo dolore ho chiesto che ti fosse tolto. Adagerai i tuoi piedini in un letto di soffici foglie dorate, quando mi raggiungerai.»
Chinai di nuovo il capo.
«Va’, ora. Loris e Naska saranno due belle principesse.»
«Chidley, io…» balbettai torcendomi le mani.
Ma già la luce mi inghiottiva. Ebbi appena il tempo di tendere la mano verso di lui, che già Axel si era tuffato per farmi ritornare indietro.
Tossii e Axel mi strinse a sé.
«Dobbiamo andare.»
«Lo so» feci tra un colpo di tosse e l’altro.
Tenne il mio capo tra le sue braccia.
Uscimmo dall’acqua ma non eravamo bagnati. Gettai un ultimo sguardo al vecchio e vidi una lacrima scendere sulla sua gota.
«Un gioiello» proferì Prévélakis. «Portalo agli Stiliti.»
Lo presi immediatamente.
Axel, prima di andarsene, mi salutò abbracciandomi.
«Ti ha fatto delle rivelazioni importanti?»
Annuii e, con tristezza, mi scostai dal suo abbraccio.
«Addio, Axel. Grazie di tutto. Porta il corpo di Ian dove ti ha detto Prévélakis. Quando sarò di nuovo nel Regno Medio e riavrò il suo spirito, potrà congiungersi daccapo.»
«Sì.» Mi baciò sulla fronte.
Lo vidi andarsene con il suo cavallo. Nubi di polvere inghiottirono la sua cara sagoma. Non l’avrei più rivisto per molto tempo. Mi incamminai verso Arkwright, alla volta degli Stiliti.
Capitolo Sesto
“Ian e Polya sono salvi”
Giunsi ad Arkwright in breve tempo. Pur non essendo del posto, non mi fu difficile trovare gli Stiliti. Dopo aver attraversato una foresta, giunsi nel luogo dove si trovavano. C’erano tante colonne bianche, rivolte verso il mare. Erano molto alte. Sulle cime si stagliavano degli uomini molto magri e abbigliati con una semplice tunica bianca. Non parlavano e contemplavano il mare e l’orizzonte. Mi accostai a una delle colonne e chiamai a gran voce uno di loro. Ci volle un po’ di tempo prima che si chinasse e mi desse ascolto.
«Vorrei sapere l’accesso per il Regno Medio» dissi senza preamboli.
Evidentemente non mi aveva riconosciuta, perché rispose: «Non è di voi regno.»
«Devo salvare mio figlio Ian. Prévélakis ha detto che mi sarei dovuta rivolgere a voi.»
Non mi diede ascolto e rimasi con il naso all’insù per un bel po’. Forse fu perché mi vide ostinata e decisa a turbare la loro quiete: ero, infatti, l’unica che non aveva una colonna a sua disposizione dove trascorrere la giornata.
«Andatevene!» urlò sgarbatamente.
La pazienza è l’arma dei forti. Quei monaci eremiti non potevano perderla, pertanto la sua colonna scese fino ad arrivare alla mia “umile” altezza: era stato scacciato dall’ordine.
Arrossì quando fu al mio cospetto, perché aveva perso il posto.
«Scusate. Sono Huldrych.»
Salii sulla colonna e lo guardai dritto negli occhi.
«Mi dispiace avere disturbato la vostra serenità, ma è urgente. Vorrei sapere come arrivare da viva nel Regno Medio. Lo spirito di mio figlio aleggia ingiustamente lì.»
«La porta è tra queste colonne. Ma voi chi siete?»
«Sono Primrose, la principessa del Regno La sabbia delle streghe e Colori di pietra.»
Mi osservò.
«Qui siamo in quattro!» fece ridendo. «Primrose, cara principessa, non posso più mostrarvi la via per entrare: sono stato cacciato. Tutto quello che so è che si
trova fra queste colonne.»
Posai la mano destra sulla colonna, la quale risalì subito in alto.
«Come avete fatto?»
«Vi ho giustificato davanti al Consiglio, donando loro il gioiello di Prévélakis.»
«Una lacrima di Amore vero perduto!» Ebbe un capogiro per lo stupore. «Quale privilegio, mia regina!»
Lo invitai a mostrarmi la via.
«Non potete vederla.»
Si rannicchiò, abbracciandosi le gambe. «Sto morendo» mormorò con voce fioca.
«Come faccio a vederla?» domandai arrossendo. Il mio interlocutore era di un candore incredibile: emanava un profumo delizioso.
Mi tese la mano e la presi.
«Vieni dentro di me. È questo l’unico modo.»
Mi abbracciò e penetrai dentro di lui. Mi avvolse di luce bianca. Il corpo precipitò da quella altezza e giunsi a terra, senza farmi male. Mentre lui rimaneva disteso, mi alzai e guardai stupita attorno: ero di nuovo nel Regno Medio. Rabbrividii all’idea. Lui mi prese per il braccio, come per farmi riprendere dato che rimanevo sgomenta senza far nulla, e disse sottovoce: «Dovete liberare un’altra anima, altrimenti non uscirete viva da qui.»
Mi indicò a quel punto due belle donne e aggiunse, sempre sottovoce: «Sono delle Guardiane. Sanno già perché siete qui. Dovete far presto.»
Ripiombò in un sonno profondo. Le due ragazze si avvicinarono e lo presero, trascinandolo via.
«Cosa fate?» gridai dispiaciuta.
«È morto integro, come tutti gli stiliti del resto: purificano le anime non limpide.»
Dunque Huldrych aveva compiuto il suo dovere di monaco, e adesso toccava a me: dovevo cavarmela da sola.
Vidi, ad un tratto, un fanciullo dai capelli neri come la notte, che avanzava leggero con o d’angelo e indossava una camicia infuocata. Si avvicinò e mi
prese il braccio, come per dire “Seguimi!”.
Esitai prima di assecondarlo: il suo viso mi ricordava qualcuno che già conoscevo.
Indugiai prima di dare un nome a quel volto, per l’incertezza.
«Disko!» esclamai, infine, entusiasta.
«Presto, Primrose. Stanno portando Ian nel Regno Piccolo» disse il ragazzo in tutta risposta.
Avanzammo con o aggraziato. Mi sembrava quasi di volare, non avvertivo la sensazione del camminare. Una piacevole percezione di pace mi avvolgeva e, allo stesso tempo, mi faceva piangere. Forte come una roccia, giungeva la commozione: Disko inteneriva la mia anima fino al pianto.
«Eccolo!» affermò, indicando il mio angelo biondo.
Aveva la testa reclinata in avanti ed era inginocchiato; con le manine giunte pregava e piangeva.
«Cosa sta accadendo?» gli chiesi scossa da un fremito.
«Le anime lo stanno portando via» rispose lasciandomi il braccio e allontanandosi da me. Prima, però, gettò un ultimo sguardo sulla mia persona a mo’ di saluto. «Di’ loro cosa vogliono sentire» aggiunse ormai lontano.
Avanzai di qualche o: non riuscivo a vedere le anime. Ian continuava a stare con la testa chinata in avanti e sussultava tra le lacrime.
«Ian» gridai affranta.
Dopo un po’, volse verso di me il bel visino addolorato.
«Quale angelica visione vi porta al nostro cospetto?» chiese una voce alle mie spalle.
Supposi che si trattasse di una delle guardiane e così, a fior di labbra, risposi senza esitare: «Disko.»
Rimanemmo in silenzio alcuni istanti, poi, la stessa voce che avevo udito prima, riprese a parlare.
«E Disko giustifica questa anima?»
«S-s-sì» balbettai tremante dalla paura.
Ci fu di nuovo silenzio. Il cuore mi batteva all’impazzata: temevo per l’incolumità del mio piccino.
«È tuo figlio. Devi liberare un’altra anima se vuoi che torniate entrambi in vita.» Non aggiunse altro ed io volsi lo sguardo verso la folla che si era accalcata alla mia destra. Tutti tendevano la mano verso di me. Mi sentii smarrita. Ad un tratto, vidi un uomo magro staccarsi dalla folla e avvicinarsi. Mi salutò solennemente, prima di presentarsi: si chiamava Salu. Sulla spalla portava una bisaccia. Sussurrò parole che non compresi subito. Mi disse: «Andrai da Chan Lu per la spada di Ochan?»
Tentennai nel rispondergli. Poi, ricordandomi delle parole di Godwiv, feci cenno di sì col capo.
Lui aveva il volto deformato dalla sofferenza più cupa che potessi immaginare; mi pregò di riferire, non appena avessi incontrato Chan Lu, tali parole:
«Digli che sono morto, che mi sono fatto carico di tutti i suoi errori e che per questo motivo erro senza una meta nel Regno Medio.» Gli occhi si riempirono di lacrime: evidentemente si era pentito di aver protetto l’amico.
Una guardiana gli intimò di arretrare di un o per ricongiungersi alla folla. Lui gettò un ultimo sguardo; sembrava dispiaciuto che non fosse venuto nessuno a salvare la sua anima, e si infilò nella moltitudine facendo perdere così le sue tracce. Non distinsi più il suo volto in mezzo alla folla. Però non dovetti cercare a lungo quale anima portare via da quel luogo. La protezione di Axel era stata di grande aiuto, il suo intervento prezioso. Mi ricordai delle parole di Macek, che Polya e Saya, rispettivamente la figlia e la moglie di Axel, erano state uccise dal mago Zahedi. Quale occasione migliore per ricambiare la lealtà del principe e anche per stabilire una preziosa coalizione fra i due regni, se non salvare la
piccola principessa Polya? Scrutai la folla e infine la scorsi: il viso angelico di una fanciulla appena adolescente.
Porsi la mano a Polya, che la prese subito tra le sue.
«Bene!» esclamò conclusiva la voce.
Poi non udii più nulla per un po’ di tempo, finché non riecheggiò un’altra voce femminile.
«Il tuo animo brama altre cose, però» disse corrucciata.
Ripresi a piangere. Distinsi tra la folla il volto di mia madre, di Fleur e del mio amato Chidley; mi ricordai delle parole di Prévélakis e mi sentii svenire.
«Sì» ammisi tra le lacrime, a stento. «Disko, aiutami, ti prego!» gridai invocando il suo nome, ma la tristezza e la commozione erano tali che non riuscii a rimanere in piedi e svenni. Caddi a terra perdendo completamente i sensi.
«Rose, Rose!» udii una voce chiamarmi.
Mi svegliai di colpo.
«Ricorda cosa ti ho detto» continuò la voce.
«Chidley, dove sei?»
«Sono qui.» Mi prese per mano e io mi alzai per guardarlo negli occhi almeno un’ultima volta. Incominciai a lacrimare: il pensiero che non l’avrei più visto mi faceva star male.
«Coraggio!» disse il principe, indicandomi una superficie d’acqua. «Ti ricordi?»
Feci di no col capo, mentre le lacrime continuavano a scivolarmi lungo le guance.
«È Handlin, la fanciulla trasformata in lago da Zanon.»
Lo guardai perplessa.
«Il nuovo regno è vicino. Un nuovo cavaliere e una nuova strega sono stati già posti a guardia del regno, grazie a te!» asserì Chidley sfiorando con le sue labbra la mia fronte.
«Ian ti sta aspettando, vai ora!» Mi congedò prima che potessi supplicarlo di rimanere ancora un altro po’.
«Come faremo a ritornare nel GranRegno?» domandai, ma già Chidley era scomparso.
Mi si avvicinarono le due Guardiane e mi risposero dandomi una pietra colorata. «Lanciala in alto.»
Feci quanto mi avevano suggerito, e in breve io, Ian e Polya ci ritrovammo adagiati sulla sabbia bagnata. Attorno a noi non c’era null’altro.
«E ora?» chiese Polya con la sua vocina mite.
Alzai lo sguardo e, all’orizzonte, vidi stagliarsi un ponte.
«Per di là» comunicai indicando loro il aggio.
Dopo una buona mezz’ora di cammino, giungemmo sul ponte, lo attraversammo e ci ritrovammo di fronte a delle porte adornate da statue raffiguranti delle divinità. Spinsi una scultura a caso, quella che rappresentava una divinità in assetto da caccia, e una delle numerose porte si dischiuse. Vedemmo Axel accanto al corpo privo di vita di Ian.
«Il mio papà!» sussurrò Polya.
«Sono lì» aggiunse, indicando, il piccolino. Era nel deserto della solitudine, e due bimbe uguali ma evanescenti gli stavano vicine. «Loris e Naska» sussurrò
Ian tra le lacrime.
«Presto!» lo esortai e guardai Polya per cercare un’intesa. La ragazza comprese al volo quello che volevo fare e, insieme, spingemmo l’anima di Ian verso il suo corpicino esanime. Pochi istanti e vidi che il piccino sbatteva le palpebre, ritornato in vita.
Axel lo abbracciò, mentre lui, entusiasta, diceva: «Ho visto la mia mamma, l’ho vista! Sono stato esaudito!»
Io e Polya ci allontanammo per cercare il corpo della ragazzina. Spinsi quindi un’altra statua, questa volta la divinità che stava raccogliendo l’uva. Fu difficile scorgere il corpo privo di vita di Polya: Zahedi aveva accatastato tutti i corpi delle sue vittime in una montagna, vicino al palco che, silenzioso e placido, adesso bruciava, forse per volere di Aziz. Lo riconobbi per un braccialetto che portava a una caviglia.
«Sei pronta?» dissi, preparandomi per spingerla.
Lei annuì e io la spinsi. Prima, però, la ammonii: «Corri subito al castello, appena ti svegli. Chiedi ad Aziz di scortarti fino a lì!»
Mi guardò per alcuni istanti dubbiosa: forse non credeva alle buone qualità del nuovo cavaliere. Poi si voltò e attese la mia spinta, che arrivò all’istante.
Rimasi sola e cercai un’altra porta, ma non feci in tempo. Sentii due braccia
spingermi in un angolo. Chiusi gli occhi per timore di guardare in faccia chi mi stava riportando indietro, e li riaprii solo quando si fermarono: erano le due Guardiane che, veloci come il vento, mi avevano allontanato dalla porta.
«Lasciatemi!» gridai, cercando in tutti i modi di svincolarmi dalla loro stretta.
«Non puoi usare la porta, perché non sei morta» ingiunse una delle due. La sua pelle era di un azzurro iridescente; il copricapo che portava e che copriva a malapena i lunghi capelli, dello stesso colore della pelle, era rimasto saldamente attaccato alla testa, come se vi fe parte. La corsa non l’aveva spostato di un millimetro.
«Devi tornare da dove sei venuta» aggiunse, non appena vide che mi ero calmata.
Huldrych si avvicinò con o leggero e lo guardai stupita.
«Credevo fossi morto.»
Lui sorrise e, in tutta risposta, disse: «Quando tornerete, mia principessa.» Si incurvò con devoto ossequio. Gli feci cenno con la mano di alzarsi, ma lui si inchinò ancor di più, fino a inginocchiarsi al mio cospetto. Tenendo lo sguardo fisso a terra, enunciò: «Né di simile splendida luce ho giammai visto anima. Primrose, voi siete pura!»
Tremò visibilmente mentre aggiungeva: «Non posso rivolgere il mio sguardo su
di voi, dolce principessa. Permettetemi voi tutto ciò.»
Mi chinai e con le mani gli sollevai delicatamente il volto, ma egli chiuse gli occhi di scatto.
«Non ci riesco!» piagnucolò.
«Fate presto!» sollecitarono le due Guardiane all’unisono, con voce cupa.
«Devi sforzarti, Huldrych. Altrimenti non farò più ritorno.»
Lo aiutai a rialzarsi e lui mi cinse la vita con le sue braccia possenti.
«Adesso ritorneremo alla luce. Io, solo per portarvi in vita, mia regina» mormorò commosso il monaco.
Lo strinsi forte, mentre la sua voce si dileguava e una luce ci avvolgeva.
Ci ritrovammo distesi per terra, abbracciati. Mi levai a sedere, lui no. Rimase disteso, privo di sensi. Era morto.
«Grazie!» gli sussurrai all’orecchio, anche se sapevo che non mi avrebbe potuto sentire.
Ripresi subito il viaggio. Allontanandomi, volsi un’ultima volta lo sguardo verso i monaci eremiti, verso gli stiliti. Era uno splendido spettacolo scorgere al tramonto tutti quegli uomini sulle bianche colonne, con indosso una modesta veste candida: sembravano delle statue. Cadevano da lì uno alla volta e, subito, la colonna veniva occupata da un altro. Cadevano come ombre nere sul prato e, poco dopo, i loro corpi si dileguavano nel nulla.
La notte sopraggiunse presto e il manto blu, ricco di luccicanti stelline, guidò il mio lento cammino. Non tirava un alito di vento sulla pianura che mi accingevo a percorrere. Tuttavia, di tanto in tanto, le chiome degli alberi venivano scosse da una leggera brezza che sospingeva anche gruppi di foglie secche, appena cadute a terra. Mi stavo dirigendo verso Kina, città del mio regno. C’era Chan Lu che sicuramente mi attendeva, maestro di arti marziali, detentore della spada della dinastia degli Hun.
Capitolo Settimo
“La spada di Ochan”
Dopo un lungo peregrinare giunsi a Kina, presso la casa di Chan Lu. Lo trovai disteso, sotto una scrosciante cascata, a torso nudo. Evidentemente era in meditazione. Subito mi accorsi che non era solo, come speravo: accanto a lui c’erano una fanciulla, dai lunghi capelli corvini e dalla esile figura, e un fanciullo, coetaneo della ragazza, anche lui con capelli neri e una costituzione gracile. Non faticai a comprendere che dovevano essere degli allievi, perché stavano imitando il loro maestro. La donna, fasciata da un telo bianco all’altezza del torace, per coprire i seni, stringeva gli occhi: non riusciva a eseguire l’esercizio. Il ragazzo, invece, li teneva ben serrati anche se, di tanto in tanto, alzava un sopracciglio, il destro. Sembrava quasi compiacersi della sua concentrazione.
«Bentornata dal regno dei non viventi, piccola sciocca principessa. So perché giungete qui. Cercate Kandahar; quello stupido principe non è più nel vostro regno» ruppe il silenzio Chan Lu.
Lo vidi scendere agilmente dalla roccia sulla quale stava appollaiato. Si avvicinò sgocciolando e, invece di attendere una mia risposta, mi schiaffeggiò per ben tre volte. Poi, con un gesto repentino, mi strappò le vesti di dosso.
«Come mi aspettavo: le gemelle sono già nel vostro grembo. Avete una gran bella faccia tosta a presentarvi al mio cospetto. Non siete più principessa di un bel niente, qui. E quando l’amuleto sarà distrutto da Rusdie, finalmente anche voi non esisterete più.»
Rimase in silenzio e mi guardò appagato. Io lo fissai, umiliata.
«Il sangue reale scorre agitato nelle vostre vene, come quella volta che avete preso in mano le redini della situazione e avete combattuto al posto di vostro padre.»
Invano, cercai di coprirmi con alcuni lembi del mio vestito.
«Sapete ancora combattere, oppure senza i vostri ricordi la paura vi dilania?» chiese con sarcasmo.
Finalmente mi decisi a parlare, punta sul vivo da tutte le sue illazioni.
«Non so perché mi rivolgete queste crude parole, ma vi assicuro che troverete clemenza quando ritornerò sul trono.»
«Il trono di vostro padre non vi appartiene!» gridò feroce e le sue pupille si iniettarono di sangue.
Ci volle qualche istante prima che ritornasse calmo. Respirò a fatica, soffiando forte dalle narici.
«Il tuo regno è finito, Rose. Ricordare, ormai, ti servirà a ben poco.»
Mi abbracciò. Faceva ribrezzo sentire quella pelle nuda, scarna e avvizzita, contro il mio corpo.
«Le umiliazioni e l’orgoglio ti trafiggono l’anima» sentenziò, liberandosi dell’abbraccio ma rimanendo comunque accostato. «Io ti odio, Primrose, come molti altri. Hai abbandonato il tuo regno, e solo per te stessa.»
«Questo non è vero, Chan Lu. Ho intrapreso il mio viaggio solo per il mio popolo!» sbottai incredula e mi resi conto che anche io stavo urlando ostile.
Mi rise in faccia.
«Sei perduta. E tu lo sai.»
«Zahedi sembrava invincibile, ma non lo era.»
«Zahedi» mi riprese con tono minaccioso, «ha vinto mille volte. Non puoi governare il tuo regno senza un principe. Questo mondo è a soqquadro. Ogni reame in balìa delle sue leggi.»
Mi sputò in faccia, senza mostrare alcun ritegno. Lo guardai torva.
«Così mi piaci: arrabbiati pure e dài adito alle tue stolte ed egoistiche emozioni.
So già cosa vorresti fare. Il potere della tua mano destra ti fa sentire forte e coraggiosa, ma non è così. Ozark era un principe di questo regno e ha abusato del suo potere. E così è diventato un mago potente e malvagio.»
«Ozark è stato sconfitto» enunciai autoritaria.
«Ma non il Male.» Mi riabbracciò come per compatirmi. «Non cesserà mai questa lotta tra il Bene e il Male» continuò con voce fioca. «Vince chi resiste di più e il Male è più lungimirante. Cionondimeno…»
Mi accarezzò le spalle e mi guardò il volto.
«Il viaggio ha temprato il tuo caratterino indomabile» aggiunse. «Ora vattene. L’uomo che cerchi per la tua quotidiana opera di bene è al centro dell’Occhio del Sole. Quello stolto è alla ricerca del sangue del drago. Scettico ed egocentrico, non crede che una semplice fanciulla possa in qualche modo salvare sua figlia.»
Giocherellò con le ciocche dei miei capelli.
«Non credi sia un po’ interessata la tua voglia di salvare la futura regina del GranRegno?» domandò allontanandosi per ritornare al suo esercizio. I due fanciulli avevano assistito alla scena in silenzio, ma un senso di appagamento invadeva i loro giovanissimi volti.
Mentre mi voltava le spalle, gli dissi: «Aspetta, anch’io ho qualcosa da dirti.»
Si voltò e corrugò la fronte prima di aggiungere: «Vuoi qualche altro insulto? Non ti è bastato essere sconfitta da un mago qualunque che non sa nemmeno usare bene la magia, ma che la usa per fare del male e, quindi, a fin di bene per tutti quelli che non ti sopportano?»
«Salu è morto» mormorai indecisa.
Rimase senza fiato. L’avevo ferito.
«L’ho visto nel Regno Medio. Portava la bisaccia dei tuoi errori, come un peso insostenibile. Adesso erra senza meta.»
«Non è vero» protestò Chan Lu, ritornando sui suoi i. «Te la faccio pagare, te la faccio pagare!» mi minacciò.
«Vuoi dare ancora sfogo alle tue stolte ed egoistiche emozioni?» ripetei i suoi insulti.
Tacque indispettito; gli allievi erano sbalorditi.
«Hai insegnato loro cose non buone» continuai senza scompormi. «Vince chi sta dalla parte del giusto, e il male non è certo da quel lato. Rusdie non distruggerà il mio amuleto.»
Ammutolì, stupito.
«E come credi di sconfiggerla?»
«Non verrò certo a raccontarlo a te. Ti consiglio di non accrescere sentimenti negativi verso chi ti è vicino.» Indicai i due allievi.
Sbuffò e fece una smorfia.
«L’odio è un sentimento» spiegò risentito.
«Non c’è arte marziale che non sappia dominare il potere della mia mano. Adesso ti do una dimostrazione e tu mi dirai se non ho ragione. Poi ho anche shiva, la piramide di vetro e un Cuore di vetro…»
«Ferma! Cosa vuoi fare? Non vorrai uccidermi?» indietreggiò.
«Allora di’ a Rusdie che non avrà il mio amuleto. E dammi degli altri abiti, visto che hai strappato i miei.»
Con disappunto se ne andò per prendere qualcosa da mettermi addosso. Ritornò con una tunica di raso rosso, con un grande drago stampato che partiva dalla spalla per arrivare al petto. Dopo che me la infilai rapidamente, mi intrufolai in casa mentre dicevo ironicamente: «Bene, Chan Lu. Starò qui qualche giorno. I tuoi allievi non me ne vorranno, spero, se avrò l’ardire di rimanere» e presi posto, sedendomi a un tavolino basso. Dalla finestrella si scorgeva la cascata che c’era in giardino.
«Fa’ quel che ti pare» rispose sprezzante.
«Lo accetterò come un invito» conclusi, mentre i due ragazzi, che avevano lasciato la loro postazione per seguirmi, ridacchiavano alle spalle del maestro. Risate subito soffocate dallo sguardo truce dell’uomo, che li invitò al contegno.
Con il potere della mia mano, alzai un vassoio che stava sopra una mensola lì vicino, e presi un po’ di cibo. La moglie di Chan Lu, Shi An, venne in quella sorta di salottino e, non appena mi vide intenta a mangiare, gettò un urlo. Temevo svenisse per la sorpresa, invece disse: «Primrose!»
La salutai sorridendole, mentre guardava interrogativa il marito, come per chiedergli come mai fossi lì. La risposta non tardò ad arrivare e Chan Lu ribadì sgarbatamente: «Si ferma qui, da noi.»
Lei mi guardò sorridendo. «Vogliate scusare mio marito.»
«È già perdonato, ma lo sarà ancora di più quando mi avrete fatto dono della spada della dinastia degli Hun.»
Chan Lu trasecolò.
«Giammai!» gridò. Si appropinquò per colpirmi ma la moglie lo fermò appena in tempo.
«Ne riparleremo…» fece finta di scusarsi.
«Non serve a me, ma ad Ochan. Il guerriero senza spada, privato del suo diritto da Yohn.»
«Questo è troppo!» insorse Chan Lu. Ancora una volta, cercò di scagliarsi su di me e, ancora una volta, la moglie lo trattenne.
«Me la pagherete!» bofonchiò.
«È per questo motivo che mi odiate, Chan Lu. Sapevate che sarei venuta a render giustizia a chi fu commessa ingiustizia tanto tempo fa.»
Tacque, scosso dai tremori. Avevo azzeccato i suoi pensieri.
«Non ha diritto ad avere quella spada» protestò adirato.
«Appartiene alla sua famiglia!» gridai senza alcun rispetto per i presenti.
«L’ha perduta! È un codardo!»
«No, se duellerete con lui» proposi.
«Cosa? Tutto qui? Allora ha già perso.»
«Ne siete proprio sicuro?» dissi guardandolo di sbieco. «È stabilito. Dopodomani, all’alba, vi affronterete con lui. Se vince, avrà la spada; se perde, no.»
«Se perde, lo uccido. Ha mandato voi per chiederla, questo mostra quanto sia codardo.»
«Non mi ha mandato lui, sono io che ho deciso di interpormi per fargliela riavere.»
«Tutto questo non ha alcun senso.» Scosse la testa. «Uno stupido come lui, che se ne farà?»
«E voi?» lo incalzai seccata. «Cosa ve ne fate? È appesa lì, in bella mostra. Lui può combattere!» dissi di nuovo urlando e alzandomi in piedi. «E lo può fare per questa gente» conclusi con voce più bassa.
«Nessun nemico minaccia i nostri confini!» protestò imperterrito.
«Gli Assfhth giungeranno dai monti fra sette giorni. E non c’è alcun esercito che possa salvare la città. Solo un guerriero valoroso come lui può proteggervi.»
«Ci sono io!» sbraitò esasperato.
«Voi morireste» gli dissi rimettendomi a sedere.
Ansimava, non voleva credermi ed era ostinato a perseguire le sue idee. «Come potete dirlo?»
«Siete come un fragile fuscello. Un ramo rinsecchito. La vostra vita non ha più valore per questo popolo: è con la paura che vi fate rispettare. E non è così che si ottengono l’amore e la fedeltà di un popolo, ma con il valore e la generosità. Non esitereste a fuggire con la vostra famiglia per mettervi in salvo. Siete codardo, come tutti del resto.»
La moglie era sconvolta dalle mie rivelazioni e nessuno osava parlare. «Dài a Ochan la spada. Ascolta la tua principessa.»
Chan Lu aveva i capelli, i pochi capelli bianchi, spettinati e irti.
«Non avete ancora dato una buona lezione ai vostri allievi» sentenziai con fermezza.
Guardò a terra sconfitto e poi proferì: «E sia.»
Prese la spada appesa al muro e me la porse sgarbatamente.
«Vi prego di lasciare la mia casa» concluse risoluto, indicando l’uscio.
Non obiettai mentre Shi An tentava di dissuaderlo.
Mi alzai e pronunciai parole sibilline: «Questa notte la luna sarà tonda in cielo. Il guerriero senza spada ne avrà di nuovo una e potrà combattere per il suo popolo. Così è deciso; quando gli invasori giungeranno, la spada della dinastia degli Hun brillerà e la sua luce accecherà i nemici. Ne rimarrà uno solo in vita per dire a tutti di quale gloria si fregia Ochan, guerriero senza macchia, oltraggiato dalle ingiustizie degli eventi.»
Uscii dalla casa senza nemmeno voltarmi, mentre dalla finestra Shi An mi seguiva con lo sguardo, mostrando un volto preoccupato e mesto.
Capitolo Ottavo
“Incontro Rusdie”
Lasciai la casa di Chan Lu alla svelta. Trovai riparo in un fienile lì vicino, appena in tempo perché era scoppiato all’improvviso un forte acquazzone. La pioggia batteva sul tetto, e per un po’ pensai di avere avuto una pessima idea a cercare ricovero proprio in quell’angusto posto. Poi mi creai con un po’ di paglia un giaciglio e mi distesi nella speranza di addormentarmi. Il duro dialogo avuto con Chan Lu mi aveva sì spossato, ma non tanto da farmi prendere sonno. Mi girai e rigirai parecchie volte prima di incominciare a sentirmi intorpidita. Infine, il sonno mi colse con dolcezza, mentre gli ultimi suoni, rumori e voci mi giungevano ovattati. L’ultima cosa che udii fu il grido di un contadino che chiamava la figlioletta non ancora rincasata. Mi addormentai, quindi, con il nome della bimba che rimbombava nelle mie orecchie. Fugacemente pensai a Milmay, alla mia piccola erede, e, non appena chiusi gli occhi, tutto sprofondò nel silenzio.
Ero in mezzo a un prato verdeggiante. Non tirava un alito di vento ma c’era buio, come se fosse notte. Le stelle luccicavano in cielo. La luna, tonda e lucente, era nascosta da una nube. Qualche albero si ergeva isolato e, con le proprie fronde, proiettava infelici ombre sul terreno. Io ero sola. Avevo al dito un anello. Mi osservai a lungo la mano per rimirarne lo splendore. Poi una voce risucchiò per qualche istante il mesto silenzio nel quale ero immersa. Non capivo da dove provenisse, mentre una sagoma oscura si avvicinava. Il mio anello risplendeva di luce propria, non so per quale ragione. Mi sedetti sopra un masso e attesi che la sagoma si presentasse al mio cospetto.
«Ho atteso tanto» disse con ansia, «questo incontro.»
La voce sembrava femminile e maschile insieme, come se fossero due persone a parlare.
«Venite, Primrose. Venite con me. Seguitemi.»
La luna, ormai senza più nubi a coprirla, rischiarò il mio volto di pallida luce. Un’aura celeste aleggiava sul mio capo.
«Chi siete?» chiesi con dolcezza.
Quell’essere non si degnò di rispondermi e si allontanò veloce.
Lo seguii e raggiunsi uno degli alberi.
«Abbiamo tante cose da dirci» proseguì la voce.
«Chi sei?» gli chiesi di nuovo con insistenza.
Non avevo paura ma nemmeno mi sentivo al sicuro.
«Sei proprio certa che sia stato un bene aver aiutato Ochan?»
Annuii, sempre con grande mitezza nell’anima. Quella sagoma prese la mia mano destra, quella con l’anello, e disse: «Cosa ti aspetti da questo uomo? E cosa da questo popolo?»
«Quello che è giusto per loro: la salvezza.»
«Non sempre il male opera in maniera negativa.»
«Cosa vuoi dire?»
La sinistra figura alitò una nube grigia, che rapidamente si disperse nell’aria.
«Ochan fu privato ingiustamente della spada, ma in tutti questi anni il suo animo è diventato terreno fertile» spiegò lo spettro.
Sussultai perché compresi subito ciò che mi voleva dire.
«La vendetta» sillabai incerta.
«Esatto. Ecco perché venne espropriato del suo diritto. La città doveva cadere, perché è da qui che giungerà la tua rovina.»
Rimasi alquanto stupita della rivelazione che mi fece.
«Sarà proprio colui a cui hai fatto del bene a toglierti l’amuleto» aggiunse la sagoma nera, sempre con la sua doppia voce.
Un corvo volò alto nel cielo per poi posarsi sul ramo dell’albero ai piedi del quale mi trovavo. Gracchiò e impose la sua presenza come un cattivo presagio.
«È così, Primrose» rimarcò sottovoce.
«Kina… è da qui che giungerà la mia rovina. Tutto questo doveva accadere.»
Dovetti stupire l’oscura presenza, perché lasciò immediatamente la mia mano.
Ingiunsi decisa, però: «Anche se Ochan sarà dimentico del mio beneficio, io, Primrose, principessa del regno La sabbia delle streghe, so bene a cosa andrò incontro.»
«Stupida!» sibilò quella doppia voce.
Mi volsi verso l’ombra che mi stava a fianco e, in tono solenne, replicai: «Io lo so chi sei tu: Rusdie!»
La mia rivelazione riecheggiò per alcuni istanti, come un’eco che si disperde in lontananza. Poi si levò un forte vento che fece svolazzare i miei capelli e il mio abito.
«Vuoi il mio amuleto?» continuai imperterrita e per nulla spaventata. «Vieni a prenderlo, allora. Perché agisci sulla mia coscienza? È limpida, non lo vedi, forse? Il mio dovere è proteggere i popoli di questo regno e vi ho adempiuto. Tutto il resto non conta.»
L’anima nera cadde a terra ricoprendo con il suo scuro mantello il selciato, proprio come un’ombra proiettata sul terreno. Prima di dissolversi nel nulla, pronunciò ancora un’ultima frase: «Non sai con chi hai a che fare! Ma un uomo, con le tue parole, comunque l’hai distrutto.»
Mi apparve Chan Lu. Era seduto davanti alla sua lussuosa abitazione. Abbracciava la fotografia di Salu. Provai una forte fitta al cuore e incominciai a piangere.
«Hai ragione» ammisi piena di sconforto.
Le mie lacrime rigavano il viso brillando alla tenue luce della luna.
«Hai ancora voglia di continuare a combattere?» chiese quella voce.
«Sì» risposi asciugandomi le gote con il dorso della mano. «Chan Lu avrà grande consolazione, quando raggiungerà Salu.»
«Cosa?» strillarono all’unisono le due voci.
«Non vivrà a lungo, purtroppo. Non tanto da poter vedere gli Assfhth giungere in città e il valoroso guerriero sconfiggerli, ma almeno toglierà il peso del suo cattivo agire a chi ama veramente.»
Un forte vento mi risucchiò in un vortice nel quale precipitai.
Mi svegliai di colpo. Era già mattino da un bel pezzo. Scrollai di dosso la paglia che si era attaccata alla tunica e alla pelle. Poi, uscii dal fienile. Respirai a pieni polmoni l’aria che sapeva di pioggia. Mi sgranchii e ripensai al dialogo del giorno precedente.
Chan Lu mi aveva fatto delle importanti rivelazioni: Kandahar, l’uomo che stavo cercando e che, a sua volta, stava cercando me per guarire la figlia, era arrivato già al mio castello. Con la piramide sarebbe stato semplice raggiungerlo ma, quando indugiai esaminando la mia sacca, il mio sguardo si posò sul Cuore di vetro regalatomi dalla strega Umbribel. A cosa poteva ormai servirmi? Ian era salvo, Zahedi era stato sconfitto. Lo presi tra le mani e supposi che sarebbe potuto tornarmi utile in seguito.
«Forse nella battaglia contro Rusdie?» pensai ad alta voce, rigirandolo tra le mani. «E se fosse utile ora?»
«Devi romperlo, se vuoi usarlo» disse una vocina esile alle mie spalle.
Mi voltai e vidi una giovane donna con accanto una bimba.
«Romperlo?» ripetei incredula.
Quella annuì e aggiunse: «Gettalo a terra!» Accompagnò la sua spiegazione con un gesto che mimava il lancio dell’oggetto.
«Ah!» esclamai sorpresa e titubante. «Non so se voglio usarlo adesso» ammisi il mio dubbio.
«Ti indica la strada del percorso» rispose lei, mentre la piccina si avvinghiava più stretta alla sua gamba. Chissà perché aveva tanta paura.
«Che vuoi dire?» le chiesi non avendo capito le sue parole.
«Gettalo!» mi esortò. La sua voce aveva un che di stentato: il suono era fortemente gutturale. Forse era sordomuta.
«Ma io…» obiettai rigirandolo tra le mani.
Lei continuava ad annuire, come per dirmi che stava dando il consiglio giusto.
Così feci come mi aveva detto: gettai ai miei piedi il Cuore di vetro.
«Brava!» esclamò e accompagnò la parola congiungendo le mani in preghiera e inchinandosi ripetutamente.
«Ora ascolta cosa ti dice…» mi indicò l’orecchio.
Guardai i frammenti del cuore rotto e rimasi sorpresa: c’era un biglietto. Lo raccolsi, lo aprii e lessi:
Vai a Labrousse, troverai Elkana, un tempo principessa di Szelt, un regno vicino a Duverger, paese del principe Kandahar. Ti darà in dono qualcosa di molto importante…
Alzai gli occhi, ma la donna e la piccina erano svanite nel nulla. Dunque, la prossima tappa era la città di Labrousse. Mi avvicinai a un contadino per chiedergli dove si trovasse e lui mi rispose che si poteva raggiungere con una settimana e un paio di giorni di cammino. Mi predisposi per partire non appena avessi consegnato di persona la spada a Ochan, quindi l’indomani.
Capitolo Nono
“Elkana e il Libro delle Memorie”
Portai la spada a Ochan un pomeriggio, sul tardi. Non avevo annunziato la mia venuta, perciò trovai a casa soltanto sua moglie, Chada. La scorsi intenta a ricamare nel giardino antistante, seduta su una sedia a dondolo di legno. Mi guardò a lungo prima di rispondere al mio saluto. Forse non dava molta confidenza agli sconosciuti.
«Chi cercate?» domandò subito, probabilmente per allontanarmi il prima possibile.
«Ochan» risposi senza aggiungere altro.
«Mio marito non c’è» replicò con la voce un po’ alterata. «Andate via!»
Una bassa staccionata in legno delimitava il giardino e separava me dalla mia giovane interlocutrice.
Le mostrai la spada e aggiunsi: «Sono Primrose e porto in dono a Ochan la spada che ingiustamente gli fu sottratta.»
Chada si alzò incredula dalla sedia e si avvicinò dubbiosa al mio cospetto.
«La principessa?» rimarcò strizzando gli occhi per verificare se quella che stava avendo non fosse una allucinazione.
Annuii, continuando a porgerle la spada: anch’io desideravo andarmene via in fretta da quel posto; lo sguardo irritato di quella donna mi infastidiva.
Lei la prese e la rigirò tra le mani.
«Sì, è proprio l’originale, quella della dinastia degli Hun» commentò. «Cosa volete in cambio?»
Aggrottai le sopracciglia: non volevo nulla, però dovevo spiegare il motivo del mio regalo.
Quindi risposi stancamente: «Gli Assfhth giungeranno in città fra qualche giorno. Chiedo a vostro marito di radunare degli uomini e di porre fine alla guerriglia contro i popoli invasori.»
«Cioè di combattere?»
«Esattamente!»
Chada mi guardò a lungo prima di dirmi: «Se volete entrare, mio marito sarà qui fra qualche ora, così potrete parlarne voi stessa.»
La sua ipocrita gentilezza sembrava più una formalità dovuta alle circostanze, così mi congedai dicendole: «Riferite voi il mio messaggio a vostro marito.»
Lei tacque e chinò la testa, mostrando una breve riverenza prima di congedarmi. La ricambiai con un cenno e con questa benedizione: «Che la mano di Ochan sia guidata verso la vittoria!»
Mi allontanai subito, lasciando Chada vicino alla staccionata mentre stringeva il mio dono.
Partii per Labrousse il mattino dopo. Volevo seguire il suggerimento del Cuore di vetro e cercare Elkana. Una volta giunta lì, non faticai a trovare la sua casa: le indicazioni di altri viandanti erano state davvero preziose.
La trovai seduta a terra, nella stanza di un edificio di periferia. C’erano altre donne, somiglianti a lei. Erano le sette gemelle. Carnagione scura, raggrinzita dalla troppa esposizione al sole, lunghe orecchie; le mani affusolate di alcune scorrevano sugli arcolai e filavano fibre tessili di colore celeste.
Altre erano intente a far bollire un po’ di riso bianco, che poi ricoprivano con delle larghe foglie verdi; c’era anche chi intrecciava rami di Ollana, un’antica pianta del luogo, adatta per costruire ceste che avrebbero dovuto contenere una polvere biancastra, simile al sale, ma dal sapore e dall’odore repellente. Sembrava che questo preparato terapeutico guarisse una rara malattia del GranRegno.
E poi c’era chi annotava con meticolosità su antichi libri dalle pagine giallastre, storie mai raccontate. Le due scrivane mi guardarono a lungo, poi una di esse si avvicinò. Mi sedetti proprio come loro, a terra, ma a gambe incrociate. Elkana mi sfiorò la fronte e, nella sua lingua, che compresi poco dopo, mi salutò con queste parole: «Pace a te, principessa di sabbia. Grandi tribolazioni hai attraversato per venire qui, ma sei giunta con animo limpido.»
Quindi, con l’inchiostro rosso mi disegnò sulla fronte uno strano simbolo: una sorta di cerchio con dentro un rombo e una lettera dell’alfabeto Shipam, la lingua con la quale si esprimeva.
Parlò ancora: «Sia data a te l’arte di scrivere le storie. Un giorno narrerai quel che fu del tuo regno. Grandi eventi si abbatteranno sulla tua stirpe. Racconterà il resto colei che ci incontrerà una volta[63].»
Poi pronunziò una preghiera. Ripetei il ritornello, nel frattempo contemplai i suoi occhi tristi.
«Rechi più di un grande dolore, principessa. Ma qui non ci sono balsami per stemperarlo.» All’improvviso, scomparve dalla mia vista.
«Non sono venuta per cercare consolazione» risposi nella sua lingua. «Ma per avere notizie di Kandahar.»
Elkana, adesso, era nell’ombra e fumava una lunga pipa in un angolo. L’aria sapeva di tiepido aroma. Non mi importava di non distinguere chiaramente i
connotati del suo viso, giacché le sue sorelle erano la proiezione della sua immagine per ben sei volte. La scrivana si mise in piedi: era bassissima. E, salita su di un tozzo sgabello, prese un libro[64] da uno scaffale impolverato.
Me lo porse e io accettai titubante il dono.
«È il libro delle memorie, qui è contenuta la storia del popolo che precedette la tua venuta, e del popolo che verrà.»
«ato e futuro» commentai confusa.
La vecchia annuì col capo e aggiunse: «Manca solo la tua storia.»
«Il presente» completai la sua frase.
«Già. Il popolo che verrà, la sua storia, si intreccerà con la tua» concluse con voce rauca.
«Dunque, dovrò annotare quel che mi è accaduto» mormorai guardando il volume, perplessa.
«Be’, sì. Il simbolo che ti ho impresso sulla fronte ti darà il ricordo degli avvenimenti ati, ma limitati al tuo viaggio attraverso il deserto della solitudine.[65]»
«Quindi, da quando Ozark mi ha imprigionato? E il resto dei miei ricordi?»
Elkana scese dallo sgabello e disse, sedendosi: «Non posso aiutarti. Non sei forse in viaggio per cercarli?» insinuò.
«Sì» ammisi delusa.
La donna sorrise e ritornò subito al suo posto. Scriveva, con una piuma d’oca, dei geroglifici piuttosto complessi.
«Cosa sai dirmi, saggia Elkana, di Kandahar?»
«Quell’uomo ha il cuore di ghiaccio. Non sarà difficile per te trovarlo, ma forse lo sarà avere la sua attenzione.»
Rimasi in silenzio. L’odore della pipa un poco mi inebriava.
«Di quale male soffre Milmay? Come posso curarla?»
«Vai a Duverger e lo scoprirai» rispose aspramente.
Chinai lo sguardo verso la copertina del libro.
«Chi è Kandahar?»
«Un principe. Vive a Duverger con sua figlia Milmay e la moglie Sharni. Tieni.» Una delle sorelle, quella che filava, mi porse una boccetta con la polvere bianca che le altre avevano preparato fino a un attimo prima.
«Polvere miracolosa. Guarisce chi è ammalato ma punisce chi è stolto.»
Guardai la boccetta che brillò alla luce del sole.
«Non puoi rimanere oltre» disse in tono sgarbato Elkana, «ti ho già detto troppo.»
«Aspetta, saggia Elkana, dimmi… con lui viaggia un servo?»
«Sì» asserì turbata, tra una boccata di fumo e l’altra.
D’un tratto, mi investì una forte luce. Mi ritrovai a terra ed Elkana era su di me, con un volto orrendo e deformato.
«Cosa guardi?» irruppe annusando il mio odore. Era disgustosa. «Hai capito
ogni cosa?» chiese con voce terribile e doppia.
Le sorelle ridevano e quella con la penna in mano commentò: «Sei in gamba, davvero in gamba!» Mi mostrò la chiostra sdentata. Solo in quel momento mi accorsi che era lei Elkana e che erano otto, non sette.
L’ottava Elkana si dileguò nel nulla.
«Sai il nostro segreto, no?»
«Sì: siete sette, ma in realtà una sola. Sono proiezioni di quello che è il tuo essere.»
«Esattamente.»
«Puoi congiungerti?»
«No, Divento debole. Ma quello che ti ho detto su Kandahar è vero.»
«È come se fosse contro di me» conclusi.
«Nel suo animo si insidia lo scetticismo. È importante, come hai visto, non credere a tutto ciò che si vede; occorre distinguere la verità.»
«Sì» ammisi, guardandola senza interesse. «Ti saluto, saggia Elkana.»
Vidi il suo sguardo smarrito.
«Non dimenticare il libro» aggiunse e lo designò con il lungo indice, sul quale brillava un bell’anello.
Riprese a scrivere con parsimonia.
«Domani non ci sarà più quello che hai vissuto. Che avventura stupenda la vita: non puoi tornare indietro, ma andare solo avanti. Gli errori e le cose giuste che hai fatto si mescolano e rendono la trama della tua esistenza alquanto interessante.»
«I miei ricordi» farfugliai.
«Esattamente. I tuoi ricordi. Sai, a volte, il ato non è poi così spiacevole come sembra. Siamo noi, nel presente, che non riusciamo ad assaporare quel che ci viene donato. Ma quello che assaporiamo del ricordo è sì dolce e caro, nonostante tutto! Non c’è tempo che non abbia amarezza o lietezza. Non risparmia nessuno, il tempo.»
«Sì» mormorai piano.
«Adesso va’ pure, Rose.» Elkana mi salutò e si mise a dipingere una tela in un altro angolo della stanza. Solo allora mi accorsi che i muri erano metà gialli e metà rossi e che una tenda copriva l’accesso a un’altra stanza.
«Chissà, la vera me potrebbe essere là» disse lei indicandola.
Mi alzai ed entrai in quella stanza. C’erano un letto, una brocca, un bacile in terracotta e una sgangherata sedia in paglia. Sopra il letto c’erano un’altra Elkana distesa e una che piangeva.
«Son tutto questo e molto di più» disse quella tra le lacrime.
«Alla fine ti ritrovi?»
Quella mi guardò sgomenta.
«Sì» rispose.
Guardai alla parete un suo ritratto.
«Mi dipingo sempre perché voglio trovare il senso della mia esistenza.»
Rise nervosamente, poi non pianse più. «Pace a te, principessa della sabbia.»
«Pace a te, principessa delle nuvole» dissi congedandomi da lei.
Mi sorrise. Poi disse a voce bassa: «Una nube bianca, quel dì, ti condusse sul Prato del Vento.»
«Sì, ricordo» annii sorniona.
La vidi in un altro angolo della stanza che sorseggiava una bevanda calda.
«Adesso va’.»
Prima di andarmene da quella casa, udii una sonora risata. Elkana era rimasta sempre tale e quale: giocherellona e dispettosa, e la sentii dire: «Stai vivendo un altro ato e delle altre storie.»
Dalla finestra, la scorsi mentre iniziava a scrivere su un nuovo libro.
«Ciao, Elkana.» La salutai ma parve non udirmi, assorta com’era nella sua nuova occupazione.
Solo quando svoltai l’angolo, mi apparve e mi chiese a bruciapelo: «Scriverai la tua storia, non è vero?»
Io le sorrisi. «Certamente. Sul libro che mi hai regalato.»
«Addio, Rose.» Finalmente scomparve nel nulla.
Qualche tempo dopo, l’avrebbe incontrata Roselyn, mia nipote, che avrebbe come me narrato le vicende di questo regno.
Capitolo decimo
“Shadow, il Demone bianco”
Mi rimisi in viaggio, ma senza una meta ben precisa. Durante il tragitto mi fermai a Camlost, un villaggio vicino a un bel mare azzurro. Rimasi lì qualche giorno, ospite di Aranel, una graziosa fanciulla che viveva in quel luogo. Avevo incontrato Aranel fuori città: portava i sandali e la pelle era sporca di granelli di sabbia. Una tunica bianca e trasparente faceva intravedere il suo esile corpo.
«Benvenuta nella nostra terra» mi aveva detto, accogliendomi sorridente.
Aveva i capelli crespi e neri, e la carnagione scura. Le guance erano decorate da linee verdi e gialle. Tutto il suo popolo mostrava i medesimi segni e, nonostante non appartenessi a quella città, mi vennero imposti. Continuavo a portare l’abito regalatomi da Chan Lu, e i capelli alzati raccolti in un chignon.
Notai degli insoliti disegni, che decoravano le pareti di ogni abitazione.
«Cosa sono?» chiesi con curiosità.
«Servono per tenere lontani gli Spiritelli» rispose Aranel, sempre sorridente.
«Perché? Spiriti maligni si aggirano in quest’oasi di pace?» domandai, sorpresa da quella rivelazione.
«Guarda!» mi indicò un ometto dai capelli rossi. «È uno di loro! Detestano questi disegni.»
L’ometto in abito blu fece una smorfia e corse via, nascondendosi dietro un cespuglio.
«Oh! È proprio brutto» commentai. «Ma perché infestano le vostre case?» chiesi, mentre mi conduceva alla pensione dove avrei dovuto alloggiare.
«Non saprei» rispose lei senza alcun interesse. «I disegni ci proteggono, non ti preoccupare.»
La seguii e, dopo aver preso una pedana in legno, raggiungemmo la baia. In un’insenatura, su un’altura proprio a picco sul mare, si ergeva la costruzione.
La schiuma delle onde lambiva le dune e il color blu cobalto brillava alla luce del sole.
Entrammo nell’edificio. Io un po’ imbarazzata. Un’inconsueta ombra precedeva il nostro incedere. Se da fuori, l’edificio sembrava piccolo, dentro era una città, colma di variopinte abitazioni.
«Questo è il villaggio vero e proprio; quello di fuori serve solo per proteggerci dagli Spiritelli malvagi» spiegò.
La seguii nel più completo silenzio. Ci accolse Acheb, un ragazzo con un cappellino multicolore, con un filo di barba sul mento e un paio di occhiali rotondi. Indossava una camicetta trasparente, con farfalle stampate, e un paio di pantaloni blu, a zampa di elefante. Sotto il cappello sbucava una fantasiosa cascata di trecce e codini.
«Che bella ragazza! Rimane qui da noi?» disse avvicinandosi a me e ad Aranel. Senza aggiungere altro, si accostò al mio viso per sfiorarlo.
«Hai la pelle chiara e un viso dolce. Non sei di qui» sentenziò contemplando i tratti somatici e il colore della pelle.
Gli sorrisi e, in tutta risposta, dichiarai: «No. Mi chiamo Primrose.»
Abbassò gli occhiali fino alla punta del naso, così potei scorgere meglio i suoi occhi scuri come una notte senza stelle.
«La principessa?» bisbigliò quasi sotto shock.
Gli sorrisi di nuovo e lui si allontanò rapidamente.
«Quali eventi buoni ci portate dal vostro castello?» domandò mettendosi a sedere a un tavolino, sopra un tappeto multicolore. «Accomodatevi.» Mi fece posto accanto a sé.
Accettai l’invito. «Nulla di buono, purtroppo!»
Aranel mi porse un bicchiere d’acqua fresca, che bevvi subito.
«La temperatura qui è abbastanza alta. Perché siete in viaggio?»
«Cerco Kandahar, lo conoscete?»
I due si guardarono, come per intendersi.
«Certo! È stato qui, qualche tempo fa. Ha comprato qualche chincaglieria dal mio bazar.» Mi indicò dei pannelli, che prima non avevo notato, sui quali erano disposti bigiotteria, specchi e ninnoli di ogni sorta. Me ne piacque uno, in particolare.
«Quanto costa?» gli chiesi.
Prima che mi potesse dire il prezzo, nella mia mano destra spuntarono due monete d’oro.
«Per la miseria!» esclamò saltando in aria. «Sono troppe!»
Avidamente le prese e mi porse il portacipria che avevo indicato.
«Non vuoi comprare qualche altra cosa?»
Rimasi così stupita da quello strano aggeggio che non gli risposi subito. «No… oh, sì! Mi piacciono quegli orecchini» e gli diedi altre due monete d’oro.
«Se vuoi, c’è dell’altra mercanzia nel magazzino!»
«No, va bene così» ribattei indossando gli orecchini.
«Vieni da Kina? Quel vestito lo fanno solo da quelle parti» considerò Aranel, sedendosi accanto a me.
«Sì. Sai, Acheb? Credo che tu mi abbia venduto un roetter.»
«E che cos’è?»
Mi toccai la fronte: un ricordo stava per riaffiorare, un ricordo lontanissimo.
«Credo si trovi soltanto nel futuro. Serve a molte cose ma, soprattutto, per intercettare le persone.»
«Credevo fosse un portacipria. Comunque, me l’ha dato una ragazzina. Si chiamava Sally Lunn. Guarda, c’è scritto sulla stoffa.»
Incuriosita, l’annusai: odorava di bruciatura.
«Un incidente…» mormorai. «Lo hai rubato, non è vero?» chiesi delusa.
Abbassò lo sguardo e poi si giustificò: «Era a terra.»
«Sì, le è caduto, lo vedo dalle cuciture. Ma non hai fatto nulla per restituirglielo.»
«Il mio è il bazar degli oggetti smarriti» ammise stringendosi nelle spalle.
Lo annusai di nuovo.
«Raccogli quel che è perduto. E ancora una volta, ti prego, dimmi com’è Kandahar.»
Si guardò attorno, come per controllare che nessuno lo sentisse, e riprese: «In realtà non l’ho mai visto. Non so che faccia abbia.» Rise di gusto, sguaiatamente.
Mi distesi a terra: ero troppo stanca a causa del viaggio. O forse c’era qualcosa nell’acqua che mi dava sonnolenza. Incominciai a sudare, mentre il tetto della casa mi girava attorno.
«Cosa hai messo nell’acqua, Aranel?» chiesi disperata, ma il sonno mi vinse.
Ancora una volta, il mondo onirico mi avvolse.
Il Circo era arrivato in quella città che non conoscevo. C’era la musica delle giostre, e le scimmie si arrampicavano sul trampolino. Gli elefanti barrivano e i cavalli nitrivano. Ajmer era vestito come un fantino, elegantissimo e tenebroso. Si avvicinava a me e mi rivolgeva parole incomprensibili. Io mi sedevo su uno sgabello ed ero al centro della scena. Un riflettore mi illuminava e il pubblico mi applaudiva.
Un ragazzo mi si avvicinò, porgendomi la barra del trapezio.
Venni trascinata in alto, malgrado non volessi. Lassù la gente sembrava piccola e insignificante. Invece di mettermi a sedere sulla barra, mi abbandonai felice. Approdai sulla rete e risi da sola fino alle lacrime.
Ajmer mi raggiunse. «Sei pazza? Hai rovinato lo spettacolo! Non vedi? Se ne sono andati tutti. E anch’io ora me ne andrò.»
«Ajmer… io… scusami!»
Mi porse la mano per farmi rialzare, ma non riuscivo a smettere di ridere. Caddi per il troppo ridere dalla rete e mi ritrovai a terra, vestita con una tuta bianca e attillata.
«E il grande tendone se ne va» canticchiò Ajmer con voce da tenore. Ora anche lui rideva.
Rimasi distesa e vidi un gattino bianco e nero. Lo seguii. Intanto, mentre sognavo tutte queste assurdità, Acheb e Aranel mi guardavano e parlavano.
«Credi che abbiamo esagerato?» domandò Aranel sfiorandogli la mano.
«No!» rispose ridendo Acheb. «Rusdie ci ha pagato bene, molto bene.»
«Sì» ammise ridacchiando e si avvicinò per carpirgli un bacio.
«Adesso portiamola via. Quando si sveglierà, non ricorderà di averci incontrati, per cui è meglio che ci allontaniamo dalla città al più presto.»
Aranel e Acheb mi caricarono su di un carretto e, insieme, mi trasportarono ad Alyon. Facemmo un lungo viaggio e, per tutto il tempo, rimasi addormentata e continuai a sognare.
Il gattino del sogno mi saltò in braccio e mi spostai in una stanza buia.
«Cosa c’è lì?» domandai.
Non c’era luce e soffiava un vento gelido.
Avanzavo lentamente tra le rocce di un’insenatura. Ero su uno scoglio a picco sul mare. La schiuma bagnava la costa frastagliata. Mi abbandonai nel vuoto e caddi in acqua. Un’onda mi trasportò a riva e lì incontrai un ragazzo. Aveva i capelli neri, una camicia blu e un paio di pantaloni azzurri.
«Ciao!»
Lo guardai incuriosita. «Chi sei?»
«Qualcuno che forse conosci» insinuò malizioso, sedendosi sulla sabbia.
«Shadow» risposi stringendo gli occhi: c’era troppo sole.
Divenne cupo e inquieto.
«Ti manda Rusdie» dissi rattristata. «Non è vero?»
Corrugò la fronte e sorrise.
«Perché?» domandai piagnucolando.
«È la dura legge del più forte. E Rusdie lo è.»
«Lei non sta facendo un gioco onesto.»
«Lo sai cosa porto, no?»
Gemetti in tutta risposta.
«Non credo ci siano altre domande, allora!»
Gettai lo sguardo a terra. Come aveva fatto Rusdie a vincermi, non lo sapevo, ma avevo perso.
«Vattene!» gridai ribellandomi.
«Non è così semplice.»
Mi sedetti sconfitta sulla sabbia.
«Ammettilo! Hai perso.»
Lo guardai di sbieco. Aveva ragione.
«Può darsi che non tutto sia perduto.»
Si chinò verso di me.
«Cosa intendi fare?»
«Non so» scrutai il cielo terso. Adesso l’acqua non bagnava più la riva. C’erano dei grattacieli di fronte a noi. Le luci della città sfavillavano, così come le finestre, che apparivano luminescenti nella notte.
«È la tua fine» sussurrò soddisfatto.
«Non credevo che fosse così bello» ammisi osservando l’orizzonte che si tingeva di rosso.
«Questa è la città, la Terra. Dove sei vissuta. Abitavi in uno di quei palazzi e non sapevi di essere una principessa» disse Shadow sfiorandomi il braccio. Un treno
si mosse lento e udii il suo fischio sulla strada ferrata.
«È così bello! Chesterfield aveva ragione. Gli uomini non apprezzano le meraviglie della natura, sono dimentichi di questi attimi» commentai.
Volsi lo sguardo verso di lui.
«Hai perso!» ripeté ridendo.
Mi distesi. Era già trascorso un po’ di tempo da quando avevo appreso di essere incinta delle gemelle. Mi rincuorarono le profezie di Macek quando mi aveva detto che sarebbero nati altri eredi. I sette principi del GranRegno.
«Ma dove siamo?» mormorai stanca.
«In un tuo sogno. Quando ti sveglierai, sarà tutto diverso.»
Rimasi distesa. «Ma non mi voglio svegliare» risposi.
«Cosa?» fece quello, stupito. «Non puoi farlo, non puoi farlo! Prima o poi ti dovrai svegliare.»
Mi levai molto velocemente e mi diressi verso un palazzo. La porta a vetri e il
citofono erano rotti. Bussai forte a una porta. Mi aprì un uomo grasso in canottiera e pantaloncini. Fumava una sigaretta. Arrivò dopo aver trascinato le sue larghe e consunte ciabatte.
Entrai trafelata nell’appartamento, senza presentarmi né dire nulla, e corsi in cucina.
«Cosa cerca? Posso esserle utile?»
«Le medicine, dove tenete le medicine?» chiesi angosciata.
Le pareti squallide della cucina giravano. Lo stipetto che avevo aperto era rimasto spalancato e mostrava delle misere stoviglie incrostate dal calcare.
«Eccole!» mi indicò uno stipetto rosso.
Lo aprii e cercai con frenesia; trovai dei sonniferi e ne ingoiai due con dell’acqua.
«Non serve a nulla» dichiarò Shadow da dietro le spalle, con la sua bella voce. «I sonniferi non serviranno a scacciarmi.»
«Che dici, le prendiamo la bacchetta e la piramide di vetro?» domandava Acheb, nel frattempo, ad Aranel.
«Perché no?» rispose quella, sorridendo. «Lasciamola in quell’angolo.»
Ridendo, mi abbandonarono lungo la strada di Alyon. Più tardi avrei appreso come ci ero arrivata e cosa avevo perso. Intanto la mia lotta contro Shadow continuava. Le pillole cominciavano a sortire il loro effetto, così mi addormentai, da addormentata.
Al mio risveglio ero nuda, vicino a una cascata. L’acqua mi bagnava. Vidi Chan Lu. Avanzava con il suo abito colorato.
«Così, dunque, hai trovato l’accesso al mondo dei sogni. Sei in gamba» proferì risentito, puntandomi una spada. «Non potrai sfuggire a Shadow... Ma dove hai appreso l’arte di dominare i sogni?»
«Non so» risposi con semplicità.
«Oh, è molto strano. Se non sei stata tu, allora vuol dire che sono state…» e mi guardò la pancia. «Le gemelle!»
Mi sedetti sullo scoglio.
«Loris e Naska mi hanno protetta» farfugliai felice. Ma già la mia immagine veniva risucchiata nel vortice del buio: mi stavo risvegliando.
Shadow continuava a ridere, come per dirmi: “È tutto inutile!”
E io compresi che, purtroppo, aveva ragione.
Capitolo Undicesimo
“Il principe Bloch”
Mi svegliai di colpo e il risveglio fu assai penoso. Avevo la testa ferita e dolorante. E prima di capire dove mi trovassi, faticai parecchio.
«È finita. Adesso, con Shadow, nessuno mi starà accanto. Il demone bianco… Rusdie ha giocato una buona carta.»
Mi misi in piedi e constatai che Acheb e Aranel avevano rubato il mio bell’abito, per farmene indossare uno misero. Avevo i capelli arruffati e lo sguardo affranto. L’unica cosa che Acheb mi aveva lasciato, erano gli orecchini e quel portacipria appartenuto a Sally Lunn.
«Quei due si sono presi quasi tutto quello che avevo!» commentai a voce alta.
Lo aprii sconsolata e, piangendo, ripensai alle parole di Chan Lu. “Il potere di dominare i sogni” poteva essere un modo per sconfiggere Shadow?
Ad un tratto, il roetter si accese. Delle linee blu si proiettarono nell’aria con irregolarità. Osservai a lungo e vidi tre punti luminosi vagare per quelle linee.
Pigiai un altro pulsante e sulla superficie mi apparve il volto di una ragazzina.
«Salve, mi chiamo Sally Lunn. Lasciate un messaggio dopo il segnale acustico.»
Udii un lungo bip e iniziai con voce sofferente a parlare.
«Sally, sono la principessa Primrose. È accaduta una cosa terribile: Shadow è dentro di me. Aiutami, ti prego!»
La possibilità di incidere il messaggio si concluse e il roetter si spense bruscamente, forse perché rotto.
Ero piena di ecchimosi per colpa di Shadow: stavo malissimo, fisicamente ma, soprattutto, moralmente.
Non potevo fare nulla: era come se quello spirito maligno mi divorasse a poco a poco. Ansimavo e tremavo.
“La mia corsa si è arrestata. Chi l’avrebbe detto che sarebbe finita proprio così!”, pensai mestamente.
Una lacrima mi cadde dall’occhio destro. Sfiorai il ventre e dissi: «Ce la devo fare a tutti i costi. Per le mie figlie!»
Provai a fatica ad alzarmi e poco dopo, barcollante, percorsi le vie della città. Al mio sopraggiungere, tutti mi stavano lontano e mi evitavano.
Caddi a terra e nessuno si appropinquò per aiutarmi in alcun modo. Mi rialzai e ripresi il cammino con grande fatica. Dove avo tutto seccava o moriva. Non sapevo quanto tempo sarei sopravvissuta a Shadow, ma lui aveva tutto il tempo per distruggermi senza che potessi impedirlo. Implorai l’aiuto di Godwiv e subito apparve.
«Cosa vuoi da me?» mi rimproverò bruscamente.
«Aiutami, Shadow è dentro di me. Per favore! Insegnami cosa devo fare!»
Sbuffò arrabbiato.
«Non posso contaminarmi con quel demonio. Lo capisci? La mia reputazione!»
Godwiv era irriconoscibile.
«Aiutami!» lo supplicai.
Mi porse un liquido verdognolo.
«Gli darai fastidio e ne trarrai un po’ di sollievo. Ma sta’ attenta, è difficilissimo sconfiggerlo.»
Bevvi avidamente e lo supplicai ancora: «Cosa devo fare? Cosa devo fare?» mi lamentai stanca.
Mi guardò disgustato.
«Ti posso solo somministrare degli unguenti. Dovrai sopportare con pazienza.»
«I sogni. Lui si nutre della mia vita.»
«Cosa vuoi che faccia?» mi domandò con voce arrabbiata. Non l’avevo mai visto così.
«Il pugnale. Trafiggimi col pugnale. Dormirò a lungo per la ferita e potrò affrontarlo!»
«Non posso!» protestò indignato. «Ti odio, Primrose. Non avresti dovuto chiamarmi.» Scomparve nel nulla.
«Non andare!» ma parlavo con il vento. L’unguento stava dando i suoi benefici e già mi sentivo un pochino meglio.
Mi sedetti all’ombra di un albero. Sentivo molto caldo e un incontenibile peso al cuore.
“È solo una piccola tregua per me e una sofferenza per lui”, meditai contenta. “Rusdie, ti sconfiggerò, dovessi cercarti per tutto il GranRegno! Te lo prometto!”
Il roetter incominciò a vibrare e una voce, prima dell’immagine sfocata, mi giunse: «Primrose, ti parliamo dal futuro. Abbiamo intercettato la tua richiesta di aiuto. Sono la tua pronipote, puoi sentirmi?» Era la voce di una bimbetta.
Il roetter si spense, lasciando le mie speranze sospese. Lo richiusi augurandomi di ricevere un’altra chiamata. Avevo udito bene? Mia nipote mi stava chiamando da un’epoca lontanissima.
Poco dopo si accese di nuovo una lucina.
Lo aprii. Era una donna dai capelli biondi, raccolti in uno chignon. L’immagine era sfocata e mossa da una interferenza.
«Devi andare a Cyriatan.»
«E quanto dista?»
«Alcuni giorni di viaggio» rispose dopo molto tempo la voce e, quindi, mi riapparve l’immagine della donna. «Dov’è Sally? È con voi? Vi ha consegnato il
diadema?»
«Quale diadema? Perché doveva darmelo?» domandai angosciata. La comunicazione, così ostacolata, mi metteva l’ansia.
«È partita dal futuro una spedizione, per raggiungervi; tra questi c’erano Sally Lunn e Baka, un ragazzino. Voi non ricordate nulla del vostro ato. La corona vi permetterà di farlo. Ma dovrete entrare nella grotta di Newoc.»
«Sally Lunn, Baka» ripetei quei nomi, incredula.
L’immagine della donna svaniva e riappariva a intervalli regolari.
«Non ho incontrato nessuno!» ammisi confusa.
«Come avete trovato il roetter?» chiese quella. Il segnale era davvero molto debole.
«L’aveva Acheb.» Cominciai a comprendere qualcosa.
La donna mostrò rammarico.
«Sally non si separava mai dal suo roetter. Deve esserle accaduto qualcosa di
grave» commentò dispiaciuta.
Poi l’immagine svanì e il segnale si perse. Provai a digitare i piccoli tasti a caso, nella speranza di ristabilire un contatto, ma invano.
Dunque, per ricordare avrei dovuto indossare il diadema. E dei ragazzini del futuro me lo stavano portando. Già, ma dov’erano? Come li avrei incontrati? Per quella ragazza il roetter doveva essere di vitale importanza per ritrovarmi. E ora che non l’aveva più con sé, doveva essere davvero disperata.
Non solo dovevo sconfiggere Shadow, ma mi toccava anche trovare Sally Lunn e Baka. Forse la piramide mi sarebbe stata d’aiuto se solo Aranel e Acheb non me l’avessero rubata. La cosa migliore da fare era riuscire prima a sconfiggere Shadow, il Demone Bianco; poi, avrei dovuto trovare quei ragazzini.
Giunsi a Cyriatan in pochi giorni. Il paese si ergeva tra le colline verdeggianti. Trovai ristoro in una locanda. Nel frattempo avevo bevuto gran parte dell’unguento datomi da Godwiv. Una volta in camera, mi distesi sul letto e sperai di addormentarmi. Rimasi sveglia tutta la notte; soltanto verso le prime ore del mattino feci un sogno.
Tutto era buio e l’aria era pulita e gelida. Avanzavo e cercavo il mio assalitore. Arrivò da poco lontano una luce blu, calda e intensa. La raggiunsi e indugiai sorpresa. Davanti a me c’era il principe Bloch, uno dei Cinque Cavalieri delle Cinque virtù.
«So quale male ti affligge, principessa. Anch’io, una volta, sono stato attaccato da Shadow.»
«Come posso sconfiggerlo?» domandai accorata.
«Si nutre della realtà, ma è debole in sogno.» Chinai il volto e mi avvicinai. «È un piano di Rusdie, perfetto come solo lei sa fare. Devi toglierti l’amuleto per sconfiggerlo, oppure…»
Volsi lo sguardo verso di lui: mi scrutava con comione.
«Ho perso le mie fatine, nessuno mi sta vicino. È terribile averlo dentro» gridai disperata.
«Prendi questo!» Mi porse un flaconcino con una bevanda rossastra.
«Il sangue del drago!» esclamai.
«Ti farà dormire fino a quando non l’avrai sconfitto. Sarò al tuo fianco, per quello che potrò.»
«E Milmay? Rusdie continuerà ancora a fare del male alla gente. Devo affrontarla!»
«No, se ti addormenti nel sonno. Se bevi questa pozione ora che dormi, potrai avanzare e, nel frattempo, lottare contro il male che si agita dentro di te.»
«Una doppia vita, un sogno nel sogno» ammisi.
«Purtroppo, mia regina, rimarrai doppia per qualche tempo! Anche se sconfiggerai il nemico, ti addormenterai nel sonno tutte le volte che sarai senza forze.»
«Cosa devo fare, allora?»
«Bere il sangue del drago, ora.»
Me lo porse e io lo presi dalle sue mani.
«Non c’è angolo dei tuoi sogni che tu non padroneggi, ma…» Qui si fermò per qualche istante prima di riprendere a parlare: «Hai pensato a Rusdie, a come sconfiggerla?»
«No. Non ancora! Ma perché vuole distruggere il GranRegno?»
Il principe si mise a eggiare, mentre io continuavo a rimanere inginocchiata al suo cospetto. Era come se riflettesse se dirmi la verità o meno. Così attese a lungo prima di rivelarmi: «Credo che si voglia vendicare.»
«Ma perché?» insistetti.
«Perché l’ho rifiutata come sposa» ammise incrociando le mani in preghiera. Deglutì nervoso.
«E perché mai?» incalzai, anche se in cuor mio lo sapevo già.
«Non l’amavo, ecco tutto!» fu la risposta esplicita del principe. Adesso mi fissava con i suoi occhi blu come il cobalto. «Primrose, credo che troverai maggiori risposte quando finalmente ricorderai.»
Mi porse la mano e io la presi tra le mie: un invito ad alzarmi.
«Dei ragazzini, Sally Lunn e Baka, mi stanno portando il diadema. Una donna dal futuro mi ha detto che ricorderò grazie al diadema e se entrerò nella grotta di Newoc» lo informai.
Il principe Bloch annuì e aggiunse: «Non sai altro?»
«Null’altro!» confessai sconfortata. «Non so dove siano né come faranno a trovarmi.»
Il principe rimase sovrappensiero. Anche questa volta sembrava conoscere molte più cose di quanto io non sapessi, ed era indeciso se rivelarmele. Se Godwiv mi aveva fatto bere quell’intruglio per poterlo incontrare, significava che il mio destino, un giorno, si sarebbe incrociato con questo principe.
«Vorrei dire tante cose, Primrose... ma non posso! Non mi è permesso, mi dispiace tanto! Ma farò di tutto per proteggerti.» Sul suo viso apparve il rammarico.
Lo vidi scomparire e, al suo posto, uno spirito celeste mi avvolse di accecante luce blu, dandomi per pochi istanti un po’ di pace.
Capitolo Dodicesimo
“Il volto di Rusdie”
Shadow mi guardava con insistenza. Ero ancora nel sogno. Avevo già bevuto il sangue del drago, la clorofilla della dracena, come mi aveva ordinato il principe Bloch.
«E così hai scelto di essere doppia, non è vero?»
Mi giunsero le sue parole arrabbiate. La voce era terribile e crudele. Mi prese per i capelli e li tirò forte.
«Quando ti sveglierai, io sarò di nuovo il tuo padrone e piegherò il tuo volere. Non puoi sconfiggermi, Rose, sei troppo debole per farlo!»
«È quello che credi» obiettai cercando di reagire. «Non domerai lo spirito di una principessa, e non di una come me» conclusi risoluta.
«Il principe Bloch può fare ben poca cosa fin quando sarò dentro di te.»
«Il sangue del drago che ho preso in sogno ti fa star male, non è vero?»
Tacque e digrignò i denti.
«C’è più di una persona a volere che i nel Regno Medio.»
«Sì, e tra queste la tua signora, Rusdie. Non è vero? Forse perché sei il suo sposo e a lei non va di stare con te. Non è questo il motivo?»
Shadow lasciò andare i mie lunghi capelli biondi.
Mi alzai e desiderai avere una spada. Appena lo pensai, l’arma apparve lucente nelle mie mani.
Si ritrasse indietro e anche lui, dal nulla, fece materializzare una spada.
«Vuoi duellare? Non puoi sconfiggermi.»
Con un repentino colpo, lo ferii al braccio.
Il duello incominciò. Avevo visto giusto: Shadow era debole nel sogno e, a stento, riusciva a schivare i miei attacchi.
Quando scivolò a terra e gli puntai la spada alla gola, ansimò esausto.
«Non farlo, ti prego!»
«Allora, vattene da me!» gridai adirata.
Il volto si fece scuro e dichiarò con voce cupa: «No. Giammai!»
«Torna da dove sei venuto.»
Scomparve e io tirai un sospiro di sollievo: finalmente avevo scacciato da me il Demone bianco.
Mi svegliai di colpo e mi ritrovai nella via dove avevo incontrato il principe Bloch.
Era lì, nello stesso punto, e mi fissava con comione.
«Non hai ancora sconfitto Shadow. È solo una piccola tregua. Dovrai combattere per lungo tempo» disse e si dissolse.
Quando aprii gli occhi era già sera: avevo dormito tutto il giorno, e la notte si era riempita di stelle. Stavo un po’ meglio ma provavo nostalgia. Mi mancavano
molte cose, e la consapevolezza di non avere del tutto sconfitto il Demone bianco mi faceva gemere di rimpianto.
Mi apparve allora Shan, una delle mie fatine. Con le sue ali volteggiava nella stanza.
«Mia principessa, il Demone bianco tiene lontana Joel, ma io posso proteggervi.»
Mi cosparse di polvere luccicante, che aveva estratto dal suo abitino rosa.
«Adesso devo lasciarvi, siete molto debole. Volevo dirvi solo una cosa. In sogno siete più forte del Demone bianco e potete allontanarlo, ma può sfruttare a suo vantaggio il vostro potere.»
«E come?»
«Con l’inganno, ecco come. I sogni sono delle proiezioni di cose ed eventi che non esistono, che abbiamo vissuto o che vorremmo vivere. Non hanno molto significato anche se spesso incontriamo persone che conosciamo.»
«Quindi?»
«Se la vostra immagine è falsata, perché è quello che sta facendo Rusdie, allora il Demone bianco vi può appartenere.»
«È terribile! Vuoi dire che Rusdie…»
«Sì, vi fa sembrare tutto ciò che non siete, ecco perché non riuscite ad allontanarlo. Voi avete ragione, dovrebbe stare con Rusdie, ma se Rusdie fa credere che voi siete lei, allora… Dovete riprendere la vostra identità e non è facile. Vi ha fatto altri terribili incantesimi, e così la vostra lotta è ad armi impari. Gli unici modi per tenerla lontana sono due: recitare ogni giorno le formule magiche di Zahedi e godere della protezione di un principe.»
«Il principe Bloch mi ha detto che mi proteggerà per quello che può.»
«Lo so, ma serve solo per tenere lontano il Demone. In realtà, c’è qualcuno più forte che giungerà in vostro aiuto. Non è un principe, ma verrà per soccorrervi. Solo così potrete sconfiggere il Demone bianco.»
«Non posso attendere l’aiuto di nessuno» ammisi sconsolata.
Prima di andarsene, la fatina annuì sibillina. «Molti altri eventi vi raggiungeranno da lontano per modificare il corso delle vicende che state affrontando.»
Mi toccai il ventre.
«Le gemelle vi proteggono con i loro amuleti» concluse.
Scomparve e rimasi sola.
Mi voltai e mi accorsi solo allora che non mi ero ancora svegliata. La porta della stanza dove dormivo non c’era più e il corridoio appariva senza via d’uscita.
Udii alle mie spalle la doppia voce di Rusdie.
«Sei abile con la spada» commentò la maga.
Apparve una bella fanciulla dai capelli neri e dalla vita sottile.
«Noi… noi…» balbettai con poco fiato. «Ci siamo già viste.»
Lei sorrise e mimò un o di danza.
«Sì» fece con la sua doppia voce. «Hai capito chi sono?»
«Teresita, fiore di RosaBianca» risposi debolmente.
«Sì» ammiccò. «Ci siamo incontrate a La Mascarilla.»
«Ecco perché Mathiez ti rimproverava: sapeva che eri malvagia, non è vero?»
«No, forse l’aveva sospettato, ma con i miei poteri non poteva certo scoprirlo.»
«Non sei sua sorella, allora.»
«No. Adesso per lui sono solo una ballerina del locale, senza alcun legame di sangue.»
«Lo hai ingannato!»
Fece un inquietante sorriso. «A te non è sfuggito.»
«Cosa vuoi?» intimai nervosa.
«Il tuo amuleto e… non farti arrivare da Milmay: deve morire anche lei.»
«Così governerai sul mio Regno» dedussi arrabbiata.
«Una cosa del genere» concluse mettendosi le mani ai fianchi. «Ho intenzione di conquistare anche gli altri regni confinanti col GranRegno. Quello sciocco di
Kandahar crede davvero di avere trovato il Sangue del drago. In realtà, gli ho dato acqua sporca. Agam se ne accorgerà e lui sarà punito. La Nebulosa di Havelock farà il resto per quei due malcapitati.»
Udite queste parole, una grande rabbia mi avvampò in petto, ma cercai di contenermi, così rimasi ammutolita, in ascolto dei piani della mia avversaria.
«Beh, questa volta ho vinto io. Tutti credono che sei malvagia, Rose: con il demone bianco addosso non potrai avere l’aiuto di nessuno. Inoltre non possiedi più la piramide: ti ho sconfitta!»
La vidi scendere dalle scale della locanda.
«Avrai qualche piano per mettermi in difficoltà, no?» domandò ironica.
Apparve il principe Bloch e lei arrestò la sua discesa. Era furente in volto.
«Siamo congiunti, Rusdie» enunciò risoluto il principe.
«Tu?» risalì in fretta le scale per piazzarsi di fronte a noi. Il principe mi teneva per mano.
Rusdie mi guardò interrogativa, poi il viso si rasserenò. «Poco importa.» Riprese a scendere.
«Rusdie, perché stai facendo le scale? Non ci sono uscite! Ricorda che, quando crei i sogni, devi prevedere una via di fuga per te stessa» comunicai con tranquillità.
Rimase sbalordita: nel suo sogno non aveva previsto varchi.
«Sai, Rose, quando ti avrò sconfitto potrò ritenermi soddisfatta: non ti sentirò più parlare.»
Scossi la testa e creai con l’immaginazione una porta al mio fianco.
«Andiamocene» esortai Bloch, e ci incamminammo verso l’uscio.
Rusdie rimase intrappolata, non riusciva più ad avanzare.
«Me la pagherai!» sentii gridare dalle scale, dove era rimasta. Lei non poteva utilizzare la mia porta, perché nel sogno nel quale aveva progettato di rinchiudermi, non erano previste uscite per nessuno.
Finalmente mi svegliai.
Era già giorno inoltrato. Mi ritrovai a terra, nella stanza della locanda. Mi alzai dolorante e, prima di rendermi conto che l’incubo era finito, faticai alquanto.
Il tempo e le energie perdute nel sogno di Rusdie avevano permesso al Demonio bianco di riprendere a farmi male.
Uscii costernata dalla locanda. Dovevo andare da Zahedi e chiedergli le formule per allontanarlo. Mi misi in cammino verso il regno Colori di Pietra. Sarei riuscita a trovare, una volta sconfitto il Demone bianco, Sally Lunn e Baka? Non lo sapevo, ma di certo dovevo provare.
Se non fosse intervenuto il principe Bloch, non sarei mai riuscita a sconfiggere Rusdie. Invece, Godwiv mi aveva aiutato facendomelo incontrare grazie alla pozione. Rusdie sarebbe rimasta prigioniera nel sogno, per sempre.
Capitolo Tredicesimo
“Athel, l’uomo dell’abbondanza”
Giunsi in breve tempo a Mukavov, un paesino arroccato su una montagna. La gente si allontanava al mio aggio e io piangevo lacrime che nessuno poteva vedere. Dovevo far presto e trovare di nuovo Zahedi. Mentre salivo e pervenivo presso una grande costruzione, un ante mi urtò. Ci guardammo per un istante e notai che aveva una lunga cicatrice sulla guancia sinistra. Mi sorrise appena, avvolto nel suo scuro mantello.
«Porti grande dolore, femmina!» affermò senza rispetto e sputando a terra.
«Perché parli così alla tua regina?» feci imperiosa.
«Vedo che Shadow fa il suo effetto. L’orgoglio, mia regina, è peccato!» mi spinse a terra e caddi come un ramoscello. Le pietre mi ferirono alle mani e alle braccia.
«Va’ da un’altra parte con i tuoi mali, danneggi il paese!» borbottò, guardandomi dritto negli occhi.
Rise di gusto, allontanandosi. Non dimenticai più quel volto truce e nemmeno quella cicatrice.
Mi alzai e, con o lento, mi diressi verso la dimora dei monaci.
«Oh, Santo Cielo! Cosa vi hanno fatto, Primrose?» esclamò un monaco aprendo il portone.
Entrai senza indugio e mi sedetti con lui al tavolo squadrato dove solevano desinare i monaci. Mi portò immediatamente da mangiare.
«Principessina, qui tutto è a soqquadro. Da quando Rusdie ha preso il potere, le cose vanno sempre peggio. Ma vedo che quel che portate è un grosso fardello» commentò senza preamboli.
«E per di più sono doppia! Sono però riuscita a sconfiggere Rusdie. Grazie all’aiuto del principe Bloch, l’ho imprigionata in un sogno» aggiunsi mangiando un po’ di minestra calda.
«Davvero?» fece alquanto stupito il monaco. «Comunque le città sono del tutto in rivolta. Sta iniziando la quarta scissione.»
«Lo so» ammisi a malincuore. «Ho creato un nuovo Cavaliere e una nuova strega affinché proteggano il nuovo regno.»
«Voi avete fatto tutto questo?» domandò il monaco sempre più stupito, versandomi da bere in un calice di bronzo.
«Certamente. Era il mio dovere di principessa. Adesso sto cercando una ragazza, si chiama Sally Lunn. Viaggia con lei anche un ragazzino di nome Baka. Li avete visti, per caso?»
Il monaco ci pensò un po’ su, quindi mi rispose: «Ah! Sì, hanno chiesto ospitalità, ma non ci hanno detto dove fossero diretti. So solo che vi stavano cercando. Sono ati di qui proprio tre giorni fa.»
«Maledizione!» sbottai a voce alta, schiantando il pugno sul tavolo.
Il monaco trasalì. Poi prese la mano che avevo battuto e disse biascicando: «Cos’altro posso fare per voi?»
«Ho bisogno di un cavallo veloce e di provviste. Mi servono pozioni soporifere. Di giorno devo dormire, di notte combattere.»
Mi guardò esterrefatto. «Grandi eventi vi attendono, mia regina» disse il monaco mentre bevevo avidamente. «L’acqua porti sollievo ai vostri dolori» mi benedisse, e io rimasi incredula del lieve sollievo che provai.
«C’è un uomo, qui in paese. Si chiama Athel. Andate da lui. Troverete ciò che chiedete al vostro ritorno.»
Feci quanto mi aveva consigliato, così, a pomeriggio inoltrato, fui davanti alla casa di Athel. Apparve una donnina ad aprirmi; era curva nonostante la giovane
età. Entrai nell’angusta abitazione e trovai un uomo nudo, coperto solo da un cencioso panno grigio. Era disteso a terra e ricoperto di sporcizia.
«Che cosa vuoi?» chiese seccato con gli occhi ben serrati.
«Shad…»
«Sì, percepisco la tua sventura. Che cosa vedi attorno a te?»
Stetti in silenzio, poi replicai: «È una stanza piccola, buia. Tu sei disteso a terra, sporco. Indossi un grigio panno e basta. Hai la barba lunga, bianca. Tieni gli occhi chiusi. Dalla feritoia entra appena la luce per rischiararci.»
«Uhm» commentò e rimase muto.
«E allora? Come puoi aiutarmi?» feci lacrimevole.
«Vuoi smetterla di piangere, stupida? Stai proprio male! Di’, credi che io sia felice così? Che Esmeralda, la ragazzina piegata in due, sia felice così?»
Attesi a lungo prima di rispondere: «No.»
«Stai proprio male. Non posso aiutarti.»
«Ti prego!» lo supplicai.
«Non posso fare nulla. Quella che vedi è la tua prospettiva. Devi trovare… ma chi ti ha fatto bere il sangue del drago? Sei doppia!»
Rimanemmo ancora in silenzio. Esmeralda ci guardava da un angolo, spaventatissima.
Lui incominciò a gridare ogni sorta di imprecazione. Temetti di svenire, tanto faceva paura. Mi avviai verso la porta, allora, pronta a lasciare quella casa, quando udii: «Perché sei venuta, stupida?»
Fu allora che capii che era inutile andarsene. Lui rimaneva nella sua posizione distesa, perché temevo, quindi, che mi potesse fare del male?
«Bene! Almeno la paura e il coraggio li hai. Quel demone bianco non è riuscito a lederteli» commentò sarcastico. «Cosa vedi?» richiese ansimando.
«Le stesse cose di prima» ribattei afflitta.
«La stanza è buia!» gridò forte lui, così forte e così esasperato che sembrava avesse addosso lui il demone bianco. «Ma c’è della luce» aggiunse calando di un tono.
Guardai l’esile raggio che filtrava dalla finestra.
«Chinati su di me» ordinò perentorio.
Feci quanto mi chiedeva.
«Mi vedi, Rose? Toccami e dimmi se c’è qualcosa, anche la più piccola, che può ispirarti.»
Sfiorai il volto e il corpo in modo impercettibile. Non mi faceva pena ma ribrezzo. Glielo dissi e lui commentò aspro: «Sei grave!»
«Perché rimani disteso?» gli chiesi sconsolata.
«Tu perché non ti siedi? Cambia prospettiva. Perché hai scelto di guardarmi così?»
«Che cosa vuoi dire?»
«Guarda dall’angolo di Esmeralda e dimmi cosa vedi.»
«Vedrò le stesse cose» protestai con impazienza.
«Certo! Non puoi vedere cose diverse: Shadow non te lo permette. Ma è il punto da cui guardi che determina la visione di un oggetto.»
Finalmente compresi cosa voleva dirmi.
«Già, dipende da quanto desiderio ho io di vedere quell’oggetto.»
Mi collocai vicino a Esmeralda e continuai con voce piena di dolore: «È vero. Di alcune cose ho una prospettiva maggiore, di altre minore.»
«Così è nelle persone, dentro di esse.»
Mi avvicinai. Gli presi il volto tra le mani. Lui teneva ancora gli occhi chiusi; sulle guance, lacrime di sangue incrostato.
«Sei felice così? Non cerchi nulla per te stesso?»
Accanto a lui c’era una pietra d’oro.
La presi e lui gemette triste.
«Sì» ripeté fioco.
Gli aprii l’occhio destro.
«Prendi tutto quello che desideri, Rose.»
Con la pietra estrassi dal suo occhio decine di gemme preziose. Quando ebbi finito, lo lasciai dolcemente a terra.
«Ho preso quel che desideravo, ma adesso cosa me ne faccio?»
«Lo hai fatto perché vuoi guarire dal male che ti si agita dentro. Può darsi che possa portare buone cose.»
Rimase inerme e in silenzio. La gracile mano di Esmeralda mi sfiorò: dovevo andarmene, Athel si era addormentato.
«Non deve ritrovarti al suo risveglio.»
«Morirà?» Mi sentivo in colpa per aver preso tutte quelle pietruzze preziose.
«Non deve trovarti» ripeté lei.
«Non mi dai nulla?»
Esmeralda si guardò attorno. «Quel che hai preso non ti basta?»
Guardai le pietre preziose.
«Portano quello che desideri.»
«La guarigione?»
Lei non rispose più; mi spinse fuori dalla porta e sorrise beffarda. Avrei capito solo dopo il significato di quell’incontro.
Mi diressi al convento e il monaco guardò quello che avevo preso.
«Ti ha dato tutto questo? Quando ci sono andato io, ho preso solo una caraffa di rame.»
«E tu cosa ne hai fatto?»
«È quella con cui ti ho dato da bere. Credi che sia diverso il sapore di un’acqua
rispetto a un’altra, messa in un altro contenitore?»
«Fai gli stessi enigmi di Athel. L’acqua era più brillante, in effetti. Credo che il fatto che tu abbia condiviso con me il dono, abbia reso speciale quell’acqua.»
Sorrise. «Nonostante Shadow cerchi di contaminare il tuo cuore nobile, vedo che fatica a riuscirci.»
In tutta risposta gli sorrisi e salii a cavallo.
«Segui il sentiero e troverai la strada giusta in breve.»
Lo salutai e lasciai quel paese con rammarico. Non sapevo che, dalla vetta, l’uomo con la cicatrice mi stava scrutando. Più tardi avrei scoperto che si trattava di Jokin, il fato. Intanto osservava me, piccolo punto che si muoveva veloce. Sazia di niente e alla ricerca di tutto: i miei ricordi.
Capitolo Quattordicesimo
“La fine di Shadow”
Era come mi aveva detto il monaco e, dopo tre giorni a cavallo, trovai una bella sorpresa: Macek.
Mi venne incontro allargando le braccia e anch’io gli corsi incontro.
«Cosa fai qui?» domandai con gioia.
«Ho bisogno di parlarvi, mia regina.» Era il tono di chi aveva una grande notizia.
In effetti, mi confidò: «Il regno della magia è stato ricostituito. La legione dei maghi si muove con voi, mia principessa. Sanno cosa vi è accaduto.»
Non espressi alcun parere e lui fece una faccia talmente preoccupata che temevo si fosse offeso.
«Cosa vuoi che me ne importi? Tutto è perduto!» sbottai, pensando che non avrei mai ritrovato né Kandahar né tantomeno Sally Lunn, avendo perso la piramide.
«Tutto è perduto? Dov’è la principessa che non si arrende mai e che combatte con coraggio? Voi non dovete arrendervi neanche se…»
Mi alzai all’improvviso e poi caddi a terra, svenuta.
Le pietre di Athel si sparpagliarono a terra, e le vidi brillare alla tenue luce di quel pomeriggio assolato. Lì, in quella regione, era estate già da un bel pezzo.
«Desidero ardentemente la tua presenza. Ma ormai sei distante da me» sussurrai con gli occhi sbarrati nel vuoto. «Il male ci divide!»
Shadow mi apparve davanti. Mi guardò sprezzante. Sembrava quasi Ajmer.
«Cerchi amore, Rose? E dimmi, quelle pietre te lo danno?»
«Sei tu che le volevi!»
«Certo! Sto dando vita ai tuoi più reconditi desideri.»
«Ti stai perdendo!»
«Sì, è vero, perdo parte di me per colpa tua.»
Mi sedetti sopra un masso.
«Cosa fai? Non mi affronti a duello?»
Il vento carezzava la mia chioma. Ero vestita di bianco.
Guardai oltre il prato verde. Cercavo il principe Bloch, volevo vedere il suo mantello svolazzare nell’aria, poi il suo incedere deciso, il suo sorriso, la sua mano alzarsi e farmi cenno di avvicinarmi.
«È un sogno mio, questo. I tuoi desideri, giacché li hai appagati nella realtà, non ti serviranno.»
Lo guardai stupita.
Qualcuno mi stava sollevando da terra.
«Mi manca il dono della tua presenza» mormorai nel dormiveglia. «Il dono del tuo amore. Quello che puoi darmi tu, non può darmelo nessuna grazia. Mio dolce principe Chidley…»
Lui osservava i miei capelli levarsi in alto e seguire la traiettoria del vento, turbato. Il bell’abito bianco era lucente. Rimanevo in silenzio al cospetto di Shadow.
«Cosa cerco ancora se tutto è perduto? Quel tuo mondo candido che mi apparteneva e di cui ho assaggiato il sapore, adesso è debole» continuai a sussurrare nella realtà, ma il vento offuscò le mie parole.
Shadow era turbato.
«Che cosa è l’Amore, mio candido giglio profumato, che in te ho invano sperato?» pronunciò la voce del principe Chidley.
Mi alzai per andargli incontro, ma trovai, seduta su una sedia, Milmay, la bambina che avrei dovuto salvare, con gli occhi persi nel vuoto.
«Ricordati di me» disse versando calde lacrime. «Chi mi verrà a salvare se non tu, principessa?»
Corsi verso di lei. Ero disperata: in cuor mio volevo aiutarla, ma non sapevo come. La mia corsa rallentò e un coro celeste di bambini si levò nell’aria.
Incedevo in quella musica, dimentica di chi mi stesse facendo male.
«Sì, è così, è così che devi fare…» sostenne la bambina, rimanendo seduta e
continuando a fissare il vuoto.
Ma più mi avvicinavo, più la sua immagine si allontanava.
«Sì, è così. È così che devo fare!» ripetei.
Mi fermai: non c’era più strada da percorrere, solo uno strapiombo, nulla di più.
«Cosa cerchi, Rose?» bisbigliò una voce carezzevole.
Mi volsi. Di fronte a me c’era qualcuno che non stentai a riconoscere.
«Chidley» sussurrai. E il vento disperse il suo nome.
Lui mi sorrise tristemente. «Non posso aiutarti, mi spiace per quello che ti sta accadendo. Vorrei poterlo fare, vorrei poterlo fare!» pianse disperato. «Quest’assurdo male che porti dentro. Oh, proprio a te doveva capitare, piccola, fragile creatura!»
La sua immagine svanì.
«C’è qualcosa di unico nel tuo modo di guardare» commentò a braccia conserte Shadow. Era agitato, glielo leggevo negli occhi.
«Riuscirò a vincerti.»
Raccolsi un po’ di coraggio, le ultime forze che mi erano rimaste, quindi desiderai avere una spada. La vidi per terra, lucente. L’elsa era abbellita dalle pietre di Athel e la lama brillava al sole cocente di quel tardo pomeriggio. La afferrai e cercai di trafiggerlo. Lui non si spostò questa volta, quasi cercasse la morte. Cadde prima a terra, sbattendo le ginocchia, poi carponi: finalmente l’avevo sconfitto. Forse le pietre preziose di Athel erano magiche e avevano compiuto l’insperata vittoria.
Quando rinvenni dal sonno, Macek non c’era più. Se ne era andato. Avevo sconfitto i miei due nemici, adesso mi premeva trovare al più presto il principe Kandahar e Sally Lunn. Ma prima dovevo anche ritrovare la piramide. Quel giorno, la cosa più saggia che potessi fare era andare nel Castello del mio amato Chidley.
Lì avrei potuto prendere la piramide del suo Castello. Incanalando le storie, le piramidi di ciascun Castello dovevano per forza avere poteri simili. Del resto, Chidley mi era apparso in sogno, quindi un motivo ci doveva pur essere. Così salii in groppa al cavallo che mi aveva donato il monaco, e mi diressi al Castello di Chidley.
Capitolo Quindicesimo
“Al cospetto di re Melville”
Giunsi al castello di Chidley a sera inoltrata, dopo aver percorso foreste e pianure a cavallo. Pensai che il modo più opportuno per farmi dare in prestito la piramide, fosse quello di chiederla espressamente al re. Così domandai udienza al re Melville.
Lo trovai seduto a tavola, intento a mangiare con alcuni commensali. Non appena mi vide, ordinò alle sue guardie di condurmi nella Sala grande. Rimasi parecchio tempo lì, da sola, ad attenderlo. Dalla finestra osservai la luna piena, che si stagliava nel cielo blu. Ero più che mai decisa a reclamare la piramide, ma altre parole mi uscirono di bocca quella sera, perché pensavo che ci fossero ben altre priorità alle quali anteporre il mio volere.
Il re arrivò nella Sala reale con o strascicato. Era come se fosse annoiato dalla mia semplice presenza. «E così ti ripresenti al mio cospetto» incominciò, prendendo posto sulla scranna mentre ancora masticava un boccone.
«Sono qui per chiedere un’alleanza» replicai in fretta.
«No, tu sei qui per rivendicare questo regno e il tuo» controbatté severo.
Tacqui. Il padre di Chidley corrugò la fronte, ingoiò l’ultimo pezzettino che aveva in bocca e, quindi, prese a borbottare.
«Vediamo se posso essere chiaro: No!» rise di gusto.
«Ho diritto a riavere il mio regno. Mia madre ha governato senza alcun re al suo fianco.»
«Primrose, la legge del GranRegno è chiara: non si può governare senza un consorte. Tua madre ha potuto sostituirti perché eri coniugata con mio figlio. Ma ora Chidley non c’è più. Grazie a te, è morto.» Pronunciò con voce strozzata quell’ultima parola.
Si guardò con vezzo le unghie e iniziò a ripulirle dal cibo che era rimasto attaccato.
«Eh, erano anni che aspettavo questo momento: tu sconfitta al mio cospetto.» Serrò deciso la mascella e guardò in un punto lontano della sala. «La vittoria ha un sapore molto dolce» commentò ironico.
«Ho sconfitto Zahedi. Nemmeno Chidley era riuscito in questa impresa!» protestai.
«Ti sbagli: lui ha sconfitto te, togliendoti Chidley, e quindi il regno. E tu cosa hai fatto? Lo hai reso Cavaliere delle virtù, lo hai investito di onorificenze. Lo hai ricompensato.» La sua bocca fece una smorfia di disgusto.
«Era necessario al nuovo regno» mi giustificai.
Lui si alzò in piedi adirato e urlò: «Si indicono le gare per scegliere i nuovi cavalieri. La Coppa delle virtù non è al tuo servizio, perché tu possa stabilire quello che vuoi. E poi occorre avere il consenso del Consiglio degli Anziani. Ma tu no, hai fatto tutto di testa tua, e ora ecco il risultato: privata dei tuoi regni. E poi, perché hai cooperato alla divisione dei regni Colori di pietra e La sabbia delle streghe?»
Incollò il suo viso al mio per minacciarmi.
«Va’ via, Primrose. Ormai non interessa più a nessuno la tua sorte. Anzi, ti dirò, potrei anche ucciderti.»
Mi afferrò per il colletto dell’abito e per un po’ rimasi a mezz’aria, sospesa.
«Non puoi farlo! Porto in grembo le tue legittime eredi!» Pronunciai queste parole digrignando i denti, conscia che avrebbero subito sortito effetto su di lui.
Infatti, lasciò la presa e mi guardò stupito.
«Sei incinta?»
Annuii in tutta risposta. Sconvolto, si sedette sulla scranna, ma era solo per appoggiarsi; la sorpresa l’aveva lasciato letteralmente di stucco.
«Porto in grembo le principesse gemelle, Loris e Naska» aggiunsi fiera.
Lui si toccò la barba, perplesso.
«Comunque, non riavrai più il tuo regno. Adesso è mio!» borbottò con voce cupa. Aggrottò le sopracciglia in attesa che parlassi, ma io continuavo a tacere.
«Vattene!» urlò all’improvviso, esasperato.
Scossi la testa: «Perché, perché mi odiate così tanto?»
Lui fece una smorfia e un gesto seccato con la mano, come per scacciarmi dalla sua vista.
Insistetti: «Perché?»
«Hai rovinato la mia vita!» scandì. «Fuori!»
«Ma cosa ho fatto?»
Si alzò repentinamente dalla scranna per avvicinare di nuovo il suo viso al mio.
«Lasciami le bambine e cercherò di non odiarti più.»
Lo scrutai perplessa, sconvolta dalla proposta. «Si tratta di qualcosa che è accaduto in ato?» dedussi.
«Sì» rispose secco ed evasivo.
«Capisco. Ed è qualcosa a cui posso rimediare lasciandovi le mie bambine?»
«In realtà, non c’è nulla che possa riparare al torto subìto. È una buona offerta quella che ora ti propongo, Primrose. Lasciare a me le nipoti e scomparire dalla mia vista per sempre.»
Guardai il pavimento, come per pensarci un po’ su, ma avevo già deciso.
«No» risposi risoluta.
Lui mise le mani dietro la schiena e iniziò a eggiare su e giù per la stanza.
«Bene. Allora non abbiamo più null’altro da dirci.»
Si piantò sui piedi con le gambe leggermente divaricate, per darsi più importanza. Quindi, andomi accanto senza sfiorarmi, andò via dalla Sala.
Stavo per uscire da palazzo, quando lady Vivien mi seguì per un tratto e mi fermò, afferrandomi per il polso.
«Rose, non andare, cara. Rimani qui, al castello. Chidley ne sarebbe stato felice.»
«Non credo di essere gradita al re» le risposi risentita.
«Melville è scorbutico con chiunque. Non preoccuparti.»
«Afferma che gli abbia fatto un torto» protestai quasi in lacrime.
Lady Vivien si morse il labbro, incerta sul da farsi.
«In effetti, qualcosa è accaduto ma riguarda il ato, e lui purtroppo non riesce proprio a dimenticare. Vedi, il fatto è che... oh! Non so se posso dirtelo...»
«Parlate! In nome di vostro figlio, ditemi la verità!»
«Ebbene, re Melville ti odia perché tu... tu non sei...»
«Io non sono?» la imbeccai spazientita da tutto quel mistero.
«Di nobili origini!»
«Cosa? Non capisco!»
«Tu non discendi da una famiglia reale. La regina Arabella e il re Lanfranco ti adottarono quando eri piccina. In realtà, sei nata ad Aykroyd. Sei di origini umili» disse tutto d’un fiato la regina, portandosi una mano al petto.
Mi sedetti sul sedile del giardino del Castello.
«Mi spiace, Rose, ma re Melville non ha mai accettato che non fossi di sangue reale» aggiunse poco dopo lady Vivien.
«Come sono diventata una principessa, allora?»
La regina scosse la testa in segno di risposta. «Una maga ti donò l’amuleto che ti tiene in vita. La tua storia, purtroppo, non la conosco. So solo che mio marito fece delle indagini sul tuo conto, mentre eri prigioniera al nostro Castello. E scoprì questa verità.»
Ero confusa, quella notizia mi aveva lasciato senza parole, non sapevo di fatti cosa dirle. Lei mi prese allora la mano e mi esortò: «Rimani, Primrose. Ti darò una stanza lontana da quelle reali, così potrai vivere a Palazzo senza incontrarlo. Ti farò portare dai servi i pasti; a determinati orari, potrai eggiare per il Castello e per il giardino. Non saprà mai che ti ho ospitata. Ma rimani. Dove andrai? Non hai più un regno né una casa né parenti: sei sola al mondo!»
In effetti, non sapevo dove altro andare.
«Tieni!» aggiunse porgendomi la piramide di vetro. «L’abbiamo trovata. Credo che ti appartenga.»
La presi immediatamente e meditai su quanto stavo per dirle: «Credete che dovrei fare come mi ha chiesto sua maestà: lasciare qui le mie figlie?»
Mi sorrise. «Noi saremo dei genitori per loro.»
«Ma non capite?» insorsi in tono di sfida. «Non saranno mai mie eredi!»
«Cosa dici?» domandò la madre del mio sposo, preoccupata.
«È così, la profezia parla chiaro: Milmay sarà la mia erede. Milmay di Duverger.»
«Duverger? Ma non è un regno del GranRegno.»
«Lo so. Kandahar mi sta cercando. Sua figlia è stata colpita da una maledizione, lanciata da una delle Tredici. L’unica che può salvarla sono io.» Ripresi a piangere. Ero stanca del viaggio e la lotta con il Demone bianco mi aveva letteralmente indebolita. Mi appoggiai al muro. Lady Vivien temette che sarei svenuta, così si avvicinò per sostenermi.
«Non ce la faccio più» ammisi affranta.
«Non sempre i doveri di un sovrano corrispondono ai desideri. Primrose, la tua incessante lotta contro il Male non è personale. Anche noi ci stiamo battendo sul fronte occidentale del GranRegno per impedire che avvenga la quarta scissione. La Rivoluzione è già in atto. Ma hai dato il ben servito alle genti dei nostri regni. Con Aziz a capo, hai rimesso nelle mani della magia un grande potere: quello della sovranità.»
Mi volsi orgogliosa verso di lei. «Handlin ha diritto a un pezzo di regno, essendo legittima figlia di re Ollier. Anche se non si è congiunta ad alcun principe.»
«Hai soverchiato le leggi del nostro regno! Non si può governare senza essere congiunta a un cavaliere delle Quattro virtù. Anche se mio marito è stato magnanimo con te, non è detto che lo sia il Consiglio degli Anziani. Verrai giudicata in Tribunale per abuso dei tuoi poteri. Sii ragionevole, Primrose: non sei riuscita a essere una buona sovrana.»
«A voi preme questa ulteriore disgregazione del GranRegno, perché verrà fondata sull’inimicizia dei nostri regni. Vedrete sgretolare il vostro
miseramente.»
«Anche il tuo regno si sgretolerà, il regno che non possiedi più e che ora è legittimamente nostro!»
«No, non è legittimo! Ho combattuto i miei nemici scendendo in battaglia. Voi, invece, inviando sempre gli altri.»
«Sei troppo giovane per capire, e forse il Consiglio degli Anziani avrà un occhio di riguardo per te, per la tua inesperienza.»
«Non capite. Il regno La sabbia delle streghe appartiene a me, alle mie figlie, alla mia famiglia. Non potete appropriarvene senza prima sconfiggermi!»
«Sei già sconfitta, Primrose! Sei doppia! Nessuno seguirà la voce di una principessa che urla cose vane al vento. Non avresti dovuto accelerare i tempi della disgregazione. È stata una mossa che ha rovinato non solo te, ma anche la tua progenie.»
Mi morsi il labbro. Non riuscivo a trattenere il mio sdegno e il mio disappunto. Lady Vivien era cocciuta almeno quanto suo marito.
«Non ritengo di aver sbagliato» affermai risoluta.
«Be’, vuoi di nuovo il tuo regno? Allora, cercati un’altra alleanza. Cioè un altro
principe. Non sei più niente, Primrose. Sei finita!»
E se ne andò. Sarebbero state queste le ultime parole di mia madre? Oppure, era stata dura perché suo figlio era morto a causa mia? Scivolai lungo la parete con la schiena e mi abbandonai al pianto. L’unico principe che mi poteva aiutare era Axel, ma lui non poteva congiungersi ad alcuna principessa dovendo tenere fede a un giuramento fatto a un mago. L’unico modo era infrangere anche quella promessa e chiedergli di unirsi lo stesso a me. Così mi alzai. Pensai che tutto ciò che avevo fatto, il viaggio e la lotta che avevo intrapreso per salvare il mio regno dai maghi cattivi, non dovesse essere vano, non in quel momento di grande disperazione. L’unica cosa positiva era avere di nuovo con me la piramide di vetro: mi sarebbe tornata utile per cercare Kandahar e Sally.
Capitolo Sedicesimo
“Incontro Kandahar”
La prima cosa che feci fu cercare subito Kandahar. Non rimaneva molto tempo, ormai. L’unico modo per trovarlo alla svelta era usare la piramide. Conscia che in poco tempo ci sarebbe stato l’Occhio del sole, mi avvidi che non c’era altra soluzione. Quando usai la piramide, era già apparso il primo raggio. Desiderai trovare Kandahar, e la piramide mi ci portò.
Caddi dentro uno stagno poco lontano, mentre il cielo imbruniva e degli uomini discutevano attorno a un falò. Mi nascosi dietro un cespuglio per ascoltare i loro discorsi, ma bisbigliavano e non udii che qualche monosillabo. Quindi, decisi di uscire allo scoperto.
La mia apparizione destò ovviamente stupore.
Erano tre uomini, uno anziano con un turbante colorato che gli ricopriva la testa quasi canuta, e due smilzi: uno dalla carnagione scurissima, l’altro chiara.
Quello dalla carnagione chiara, superato lo stupore, mi chiamò: «Primrose!» Evidentemente mi conosceva.
«Kandahar?» lo appellai a caso.
L’uomo anziano dal turbante colorato in testa, posò il piatto dal quale stava mangiando. Era incredulo.
«Ti stavo cercando…» disse a fior di labbra.
Mi volsi verso quell’uomo. «Così sei tu Kandahar?»
Annuì e replicò: «Sono io, Primrose. Ho sentito parlare tanto di te, non credevo fossi così giovane! E… magra.»
Aggiunse quest’ultima parola con un soffio di voce.
«Sono in viaggio da parecchi mesi, ormai disperavo di incontrarti» continuò.
«Sì, so tutto. Godwiv mi ha parlato di Milmay e non solo di lei… ma dove siamo?»
«A Weinberg, nel regno Colori di pietra. Abbiamo superato da qualche giorno il castello di Chidley. Le città sono in disordine: i moti e la Rivoluzione sono iniziati.»
«So anche questo» dissi risoluta. «E voi chi siete?» fissai gli altri.
«Rajkot, madame» proferì inchinandosi uno dei tre. «Vengo da Hindi, terra di La sabbia delle streghe.»
«E lui?» guardai il secondo uomo.
«È il mio servo. Si chiama Aalborg.»
«La piramide può portare solo tre persone e può arrivare fino alla Piattaforma di Lex. Dopo di che, dovrete condurmi voi a Duverger.»
«Oh, non è molto distante dalla piattaforma. Ci vorranno meno di tre giorni.»
«Ma lui, perché viaggia con voi?» indicai l’altro.
«Porto una mappa del regno di Thumb. Ci sono voluti infiniti viaggi e anni di lavoro e di ricerche cartografiche. Non esiste al mondo una mappa così dettagliata. L’ho disegnata io!»
«E a cosa può servire? A chi?» chiesi.
«Per trovare Gernet, l’anello delle dieci fate. Serve al principe Keizch» rispose lapidario quello. «Comunque, continuerò il viaggio da solo se dovete per forza ritornare a Duverger.»
«Come salverai mia figlia?» mi domandò Kandahar.
Gran bella domanda. Avevo combattuto contro Shadow, ero doppia, avevo vinto Rusdie, mi apprestavo a sconfiggere Zanon… che voleva di più?
«Non lo so» risposi candidamente.
«Non lo sai? È tutto qui?» gridò Kandahar esasperato. «Ho percorso decine e decine di chilometri per raggiungerti e tu mi dici che non lo sai?»
Mi sedetti sfiancata.
«Proprio così. Nella tua terra non ho poteri, e non so perché devo essere io a salvarla.»
Lui si sedette al mio fianco. «Ma che cosa stai insinuando? Che ho cercato una persona inutile?» sbraitò.
«Ebbene sì» ammisi sconfitta; le parole di lady Vivien continuavano a bruciarmi. «Anch’io sono in viaggio da parecchio tempo. Le mie terre sono in balìa della Rivoluzione, due regni senza sovrani. Ho combattuto Zahedi, Rusdie e Shadow, il Demone bianco. Adesso sono doppia e non ho più la forza di fare un solo o!»
Kandahar camminò nervoso per il prato. «Non verrò con te a Duverger, non ora che mi sto liberando dallo spirito maligno che mi perseguita!»
«Hai visto la Nebulosa di Havelock?» chiesi stupita.
«A quanto pare, non sei l’unica perseguitata dalla malasorte» asserì lui con ironia.
«Dovete andare fino al regno Luna di vetro…»
Mi interruppe seccato: «È lì che stiamo andando, infatti. Ho finalmente portato il sangue del drago a quella strega di Agam e ora sto andando proprio lì.»
Mi alzai. Gli posi una mano sulla spalla. «Ora capisco…»
«No, tu non capisci niente. Non capisci il dolore di un padre che vede la propria figlia distrutta da un male incurabile.»
«Io ho perso mia madre, mio marito e quasi mio figlio Ian, e mi dici che non capisco? Troverò un modo per salvarla, ma devi avere pazienza. Fra poco si manifesterà l’Occhio del sole. Dobbiamo usare la piramide» lo esortai conciliante.
Il servo guardò di sbieco il suo padrone.
«È stato Shadow a ridurti così? Magra, con questo pancione?»
«Sì. Sono magra perché mi ha distrutto, ma le gemelle stanno bene, almeno credo; non è facile viaggiare in queste condizioni.»
«Lo capisco» disse Kandahar asciugandosi gli occhi.
«Beh, allora facciamo questo tentativo.»
Così ci avviammo verso il regno di Duverger.
Capitolo Diciassettesimo
“I miei ricordi”
Giungemmo a Duverger, dopo ben tre giorni di cammino. Trovai la piccola Milmay nella sua stanza. Era seduta su una poltroncina di velluto rosso. Fissava un punto indefinito della stanza. Aveva gli occhi trasognati, ma io riuscivo a vedere quello che la bambina guardava: lo spazio nella parete. Era proprio come mi era apparsa in sogno.
Le sfiorai la spalla, poi, con un gesto repentino, l’afferrai per le ascelle e mi diressi, correndo, verso il muro.
Kandahar si meravigliò del mio gesto, e anche la bambina si scosse. Per la prima volta, dopo tanto tempo, ebbe una reazione, anche se appena percettibile.
Corsi fino alla parete e mi gettai con lei in quello spazio. Quello che vidi dopo fu un prato verde e qualche fiorellino sparso, mentre un forte vento faceva piegare l’erba. Poi un cappello e dei lunghi capelli neri: Milmay. Era vestita di bianco e teneva il cappello affinché non le volasse via. Mi vide arrivare dall’alto, in picchiata.
«Un angelo!» strillò, mordicchiandosi le labbra.
Caddi ai suoi piedi e, assieme, riprendemmo a volare nello spazio.
«Primrose, sei venuta a salvarmi!»
«Quella lì eri tu?»
«Sì, era un pomeriggio d’estate. Lola, il mio cane, correva per i prati e io la inseguivo. Aveva visto un leprotto…»
Tacque, mentre continuavamo a levitare nello spazio.
«È stato Zanon a ridurmi così. Un giorno è venuta una donna, Aaliyah. Era una forestiera e aveva chiesto ricovero. I miei genitori non l’hanno ospitata e lei ci ha regalato quella strana polverina. Era così bella! Brillava in aria, come tanti diamantini. Poi non ricordo più nulla. Non so cosa sia accaduto.»
«Piccola, non ci pensare, è tutto finito!»
L’abbracciai e lei mi strinse forte.
Atterrammo sul prato. C’erano le immagini frammentate del ato di Milmay: lei seduta su quella sedia di velluto rosso, come se fosse una bambola. I capelli al vento, il cappello che veniva sballottato dalle raffiche d’aria.
Al nostro risveglio, ci ritrovammo abbracciate e distese a terra. Kandahar ci scuoteva preoccupato.
«È salva!» esclamò incredulo.
Milmay si guardò attorno e abbracciò il padre. Io rimasi seduta.
«Cosa le hai fatto? Come ci sei riuscita?» mi domandò lui.
Non risposi: avevo agito d’istinto, senza una spiegazione plausibile. Regalai alla piccina un medaglione con lo stemma della mia Casa reale e parlai a lungo con lei. Poi ripresi da sola il mio viaggio per andare alla piattaforma di Lex. Lì avrei usato di nuovo la piramide di vetro per trovare Sally Lunn e Baka.
Dopo tre giorni di cammino, arrivai. Usai la piramide e chiesi di incontrare i due ragazzi. Quando mi trovai nel mio Regno, La sabbia delle streghe, ebbi una sorpresa.
Avvistai un ragazzino lentigginoso, e non una ragazza, come mi aspettavo. Stringeva forte tra le braccia un pacchetto.
«Baka!» lo chiamai senza indugio. Il ragazzetto si voltò e sbatté due volte le palpebre: non capiva chi fossi.
«Sono Primrose. So che tu e Sally mi stavate cercando» spiegai per rincuorarlo.
Lui cadde in ginocchio, sfinito e abbattuto, mettendosi subito a piangere. Mi avvicinai, allora, per consolarlo.
«Cos’è successo? Dov’è Sally?» chiesi.
Ma le mie parole lo fecero piangere di più. Compresi che doveva esserle accaduto qualcosa di grave.
Infatti, Baka sussultò tra le lacrime annunciando: «È morta! Sally Lunn è morta, morta!»
Con una carezza sulla testa cercai di nuovo di rincuorarlo. Il secondo raggio era già apparso.
«Coraggio! Ma sei arrivato da solo, qui?»
«Sì» rispose singhiozzando. «Sono morti tutti. Io sono fuggito. Come un codardo!» si lamentò il ragazzo.
«Fammi capire, cos’è accaduto?»
Baka si mise a sedere per terra, sempre stringendo tra le braccia quello strano involucro.
«È una lunga storia.» Sussultò tra un singhiozzo e l’altro. «Ci hanno attaccati e... ehi, un momento!» si alzò in piedi di scatto.
Lo guardai stupita. «Cosa c’è?»
«Come faccio a fidarmi di te? Chi mi dice che non sei Rusdie?»
«Ah, è lei che vi ha attaccati. Bene, c’è solo un modo per scoprirlo. Poni il diadema che porti sulla mia testa. Entrerò in quella grotta, la grotta di Newoc. Se non uscirò viva da quella spelonca, allora avrai fatto bene a non fidarti.»
Era confuso. In effetti, non sapevo come dimostrargli che ero realmente io Primrose. Ma non avevamo molto tempo a disposizione. La piramide di vetro doveva tornare al suo posto prima dei dieci raggi, e due erano già stati emanati.
Baka si guardò attorno, indeciso sul da farsi. Poi, determinato, aprì il pacchetto. La mia bellissima corona apparve in tutto il suo splendore: al centro del diadema c’era una grande pietra bianca, incastonata tra le gemme. Mi inginocchiai per raggiungere l’altezza del ragazzino e lui me la pose sul capo.
Prima di addentrarmi nella grotta, gli diedi la piramide e gli chiesi di riportarla al suo posto. Gli descrissi dove si trovava, nel giardino del mio Castello, e lui annuì serio, ancora con le lacrime agli occhi.
Quindi, entrai da sola nella grotta di Newoc.
Personaggi
(in ordine di comparsa nei capitoli)
Prima Parte
Primo Capitolo:
Kandahar, principe di Duverger, un regno poco lontano dal GranRegno; è partito con il suo servo per salvare sua figlia Milmay dalla maledizione di una delle Tredici Streghe Nere.
Aalborg, fedele servo di Kandahar.
Milmay, figlia di Kandahar.
Primrose, protagonista della storia, principessa di due immensi regni: La sabbia delle streghe e Colori di pietra; in questo libro viaggia attraverso il GranRegno per ritrovare i suoi ricordi.
Chidley, principe del regno Colori di Pietra e primo consorte di Primrose.
Arabella, madre di Primrose, sovrana del regno La sabbia delle streghe.
Ozark, mago malvagio sconfitto nel primo libro della saga
Secondo Capitolo:
Rudolph Lunn, anziano signore che proviene dal futuro, in viaggio per portare il diadema a Primrose per ridarle i suoi ricordi.
Mister Riapath, capo della spedizione per portare il diadema alla principessa. In realtà non comparirà mai sulla scena, viene semplicemente nominato.
Baka, ragazzino che fa parte della spedizione per portare il diadema alla principessa.
Sally Lunn, figlia del signor Lunn, anche lei in viaggio con il padre e con Baka per portare il diadema a Primrose.
Capitano Morris, pilota del piccolo velivolo che trasporta Baka, il signor Lunn, Sally Lunn e Riapath.
Fleur, nutrice di Primrose
Re Melville, padre di Chidley e sovrano del regno Colori di pietra.
Lady Vivien, madre di Chidley e sovrana del regno Colori di pietra.
Dallek, il consigliere di corte del regno Colori di pietra.
Albrow, soldato che sorvegliava Primrose quando era prigioniera di re Melville.
Re Lanfranco, padre di Primrose e sovrano del regno La sabbia delle streghe. Morì in duello contro re Melville.
Nassau, il più valoroso guerriero del GranRegno.
Athelston, giovane che si batté contro Chidley per Primrose.
Terzo Capitolo:
la zingarella Agam, sibilla.
Ian, figlio di Primrose e di uno dei Cavalieri delle Quattro virtù, Axel; nascerà in un futuro prossimo.
Amabel, una delle Quattro Streghe; si trova nel Regno Luna di vetro.
Loris e Naska, figlie gemelle di Primrose e Chidley, sorellastre di Ian.
Umbribel, una delle Quattro Streghe; si trova nel Regno Colori di pietra.
Quarto Capitolo:
Valjavec, colui che ha inviato il signor Lunn, sua figlia Sally e Baka a cercare la principessa per portarle il diadema.
Ajmer, attore ambulante che imprigiona le persone con il koyre, una collana o un braccialetto, nella sua rappresentazione teatrale senza storia.
Skolick, uno dei Quattro Spettri delle Terre di Arkin.
Carlyn, una maga molto, molto potente; per punire i Quattro Spettri delle Terre di Arkin li legò ognuno a una Terra da custodire con le lame delle loro spade magiche.
Quinto Capitolo:
Godwiv, l’uomo che tutti conoscono.
Keizch il principe di Ashtor, colui che possiede il sacro calice di Arros in grado di togliere la Nebulosa di Havelock.
Banks, era una delle guide di Primrose nel suo precedente viaggio.
Sesto Capitolo:
dama Myitkyina, fata.
Karla, vecchia amica del signor Lunn.
Zahedi, mago malvagio.
Settimo Capitolo:
Chabod, stregone della brughiera di Erfurt.
Ottavo Capitolo:
I VediTutto o Panoptai, coro di filosofi, mostro con due teste e infiniti occhi.
Nono Capitolo:
Kurumi, figlia di Nassau e di Eriko.
Nojogard, capo della tribù PietreColorate.
Decimo Capitolo:
Uyeda, la fata del vento.
Noa, la sacerdotessa del tempio di Ayon.
Re Trinkous, padre di Axel, uno dei cavalieri della coppa delle quattro virtù.
Toland, primo ministro di palazzo al tempo dei I Sette veggenti di Aston.
Re Ollier, sovrano del Regno Luna di vetro; padre di Bloch, uno dei quattro cavalieri della coppa delle quattro virtù.
Undicesimo Capitolo:
Mathiez, locandiere de La Mascarilla ne la città del Sombrero.
Noa, sacerdotessa al Tempio di Ayon, che si trova nel Regno Colori di pietra.
Dodicesimo Capitolo:
Rajkot, cartografo della città di Hindi, cittadina che si trova nel Regno La sabbia delle streghe.
Aaliyah, una delle Tredici Streghe Nere.
Handlin, fanciulla trasformata in lago, sorella di Bloch.
Zanon, potente mago cattivo, oscuro signore di Havelock.
Lord Osthoff, generale
Axel, uno dei Cinque Cavalieri delle Cinque virtù.
Teresita, o fiore di RosaBianca, finta sorella di Mathiez.
Seconda Parte
Primo Capitolo:
Urania, principessa delle fiamme
Ochan, guerriero
Salu, amico di Chan-Lu
Chan Lu, maestro di arti marziali a Kina, città del regno La sabbia delle streghe.
Aziz, quinto cavaliere dei Cavalieri delle Cinque virtù.
Secondo Capitolo:
Maeve, saggia del villaggio di Foochow.
Macek, capo dei Bianchi.
Quarto Capitolo:
Kroll, mago cattivo della città di Pontianak, nel Regno Corallo di Avorio.
Dihel, uno dei cinque cavalieri dei Cavalieri delle cinque virtù.
Quinto Capitolo:
Prèvélakis, uno Stregone Bianco.
Settimo Capitolo:
Shi An, moglie di Chan Lu.
Ottavo Capitolo:
Rusdie, maga malvagia.
Elkana, principessa di Szelt, un regno vicino Duverger.
Nono Capitolo:
Chada, moglie di Ochan.
Decimo Capitolo:
Shadow, Demone Bianco.
Aranel, ragazza.
Acheb, ragazzo.
Undicesimo Capitolo:
Bloch, uno dei Cinque cavalieri delle Cinque virtù.
Tredicesimo Capitolo:
Athel, l’uomo dell’abbondanza.
Esmeralda, ragazza che vive con Athel.
Ringraziamenti
Vorrei ringraziare le scrittrici Connie Furnari e Alessandra Paoloni che hanno revisionato il testo, dedicandovi il loro tempo. Le vostre correzioni e i vostri consigli hanno indubbiamente reso più bello questo secondo volume della saga.
Un caro saluto e ringraziamento va anche ai fan della pagina Facebook di La sabbia delle streghe. Grazie che mi seguite e che vi siete apionati come me alla saga. Il vostro o mi sprona ad andare avanti.
E per concludere, come sempre, grazie di cuore a Chiara Boz per la bellissima copertina del libro.
Teresa
Informazioni e link utili
Informazioni:
Prima di leggere questo testo è consigliabile leggere il volumetto “La sabbia delle streghe – La leggenda di Primrose”, essendo questo il secondo volume della trilogia dedicata alla principessa Primrose.
Volete leggere un altro libro della saga? È già uscito “La sabbia delle streghe – Yinger e l’Antico Tomo” (agosto 2013). Il volume consta di ben 305 pagine. Ecco dove si può acquistare:
· su Amazon in formato e-book, costa solo 0,97 cent (http://www.amazon.it/La-sabbia-delle-stregheebook/dp/B00DXN1PCI/ref=sr_1_1? ie=UTF8&qid=1375343143&sr=81&keywords=la+sabbia+delle+streghe );
· su Youcanprint in formato cartaceo, costa solo 15€ (http://www.youcanprint.it/youcanprint-libreria/narrativa/sabbia-streghedigaetano.html )
Link utili:
Vuoi scoprire tutto sul mondo della scrittrice? Visita il suo diario personale: “Il diario di Teresa”
http://ildiarioditeresa.wordpress.com/
Vuoi scoprire tutto sul mondo de La sabbia delle streghe? Visita, allora, il blog ufficiale della saga e iscriviti alla pagina fan su Facebook:
Il blog: http://lacrimedicristallo.blogspot.it/
La pagina fan: https://www.facebook.com/pages/La-sabbia-dellestreghe/527478860611125
Tutti questi link sono facilmente rintracciabili in internet. Basta digitare: Il diario di Teresa e La sabbia delle streghe e li troverete subito!
Indice
Prima Parte
Capitolo 1° - La Nebulosa di Havelock
Capitolo 2° - Il viaggio
Capitolo 3° - Umbribel, una delle quattro streghe
Capitolo 4° - Si va in scena!
Capitolo 5° - Una recita senza storia
Capitolo 6° - Siamo liberi!
Capitolo 7° - Dolce Ajmer
Capitolo 8° - I VediTutto
Capitolo 9° - PietreColorate: una tribù colta
Capitolo 10° - Il primo ricordo
Capitolo 11° - Le dieci gemme dei Sette Veggenti
Capitolo 12° - Prigioniera
Capitolo 13° - Incontro di nuovo Fleur
Capitolo 14° - Addio per sempre, Chidley
Capitolo 15° - Sono salva!
Seconda Parte
Capitolo 1° - Un nuovo cavaliere
Capitolo 2° - Macek
Capitolo 3° - Un sogno premonitore
Capitolo 4° - Pontianak, la città dei maghi
Capitolo 5° - Una lacrima dai suoi occhi
Capitolo 6° - Ian e Polya sono salvi
Capitolo 7° - La spada di Ochan
Capitolo 8° - Incontro Rusdie
Capitolo 9° - Elkana e il Libro delle Memorie
Capitolo 10° - Shadow, il Demone bianco
Capitolo 11° - Il principe Bloch
Capitolo 12° - Il volto di Rusdie
Capitolo 13° - Athel, l’uomo dell’abbondanza
Capitolo 14° - La fine di Shadow
Capitolo 15° - Al cospetto di re Melville
Capitolo 16° - Incontro Kandahar
Capitolo 17° - I miei ricordi
Personaggi
Ringraziamenti
Informazioni e link utili
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[1] Havelock è una città che si trova nel regno Luna di vetro. Vi dimora Zanon, il creatore delle nebulose dal cattivo auspicio.
[2] Ricordiamo che la madre di Primrose è la regina Arabella; il padre, Lanfranco, è morto nello scontro a duello con il padre di Chidley, re Melville, che fece prigioniera e quindi schiava Primrose.
[3] La visione di Primrose è da ricondursi al ricordo della celebrazione delle nozze con il principe Chidley.
[4] La piattaforma di Lex è una piattaforma che collega con le sue vie colorate il GranRegno ad altri regni.
[5] Computer palmare a forma di portacipria
[6] Ricordiamo che il Regno dove governa Chidley si chiama Colori di pietra.
[7] Primrose scende in guerra perché Luijsaja, una maga, le ha fatto un incantesimo su ordine di nonna Noewle che li ha voluti far incontrare per ricongiungere pacificamente i due Regni: La sabbia delle streghe e Colori di Pietra.
[8] La fanciulla che vede Primrose è Saya, moglie di Axel, uno dei Quattro Cavalieri. Ha a cuore l’incolumità della figlia Polya. Primrose sarà legata ad Axel ed è per questo che sente così vicina la sua sposa.
[9] Si trova nel regno Luna di vetro.
[10] Nel regno Colori di pietra
[11] È nel regno Colori di Pietra.
[12] Si ricorda che questa città fa parte del regno Colori di pietra ed è quella più vicina al Castello.
[13] Il Cuore di vetro è un portafortuna. Li crea e distribuisce la strega Umbribel. Vedi capitolo terzo, prima parte.
[14] Colui che ha inviato il signor Lunn, sua figlia Sally e Baka a cercare la principessa.
[15] Capo della spedizione
[16] Si trova nella città La sabbia delle streghe
[17] Le Terre di Greenhalg si trovano nel regno Corallo di avorio; secondo la mappatura, sono contrapposte alle Terre di Kronus del regno Luna di vetro.
[18] È la spada con il potere della Terra; le altre tre sono: belshawa potere dell’Acqua, lindblom potere dell’Aria, elkind del Fuoco.
[19] Le Terre di Arkin si trovano nel regno Colori di pietra, contrapposte alle Terre di Durgerfd nel regno La sabbia delle streghe
[20] Secondo la mappa, si trova nelle vicinanze delle Terre di Arkin.
[21] È un amuleto dotato di poteri magici. Dà poteri magici a chi ne è privo.
[22] Quello che hanno visto Banks e Kandahar è il mantello di Naska, una delle figlie gemelle di Primrose, venuta dal futuro, quindi adulta. Diventata sacerdotessa nel Tempio di Ayon, sta viaggiando nel tempo. Si scoprirà negli altri libri della saga perché sta facendo questo viaggio.
[23] Si trova nel regno Colori di pietra.
[24] Murray è una città del regno Corallo d’Avorio.
[25] I Sette tomi antichi appartenevano in realtà al regno di Thumb. Trafugati dai mercenari di Ankara, sono stati recuperati da Amlach, un antico condottiero, e segretamente riportati nella Biblioteca della città di Murray. Primrose, non avendo memoria, non sa che quello che Ajmer le sta dicendo è di notevole importanza.
[26] L’Antico Tomo degli incantesimi è il Tomo che Yinger dovrà portare nella città di Akyab per la salvezza della stessa (vedi libro della saga “Yinger e l’Antico Tomo”).
[27] Città del regno Luna di vetro.
[28] Si trova nel regno Corallo D’Avorio
[29] Si trova nel regno Corallo d’avorio
[30] Il libro in questione è l’Antico Tomo, quello che Yinger deve portare nella città di Akyab. È in possesso quindi di nonna Aduial.
[31] Si trova nel regno Colori di pietra
[32] Primrose non lo sa, ma quella che sta vedendo è sua figlia gemella Naska. Diventata Sacerdotessa del Tempio di Ayon, Naska sta viaggiando nel tempo.
[33] Ricordiamo che Kurumi era figlia di Nassau e di Eriko
[34] Si trova nel regno Colori di pietra
[35] Pattino volante, dotato di manubrio
[36] Città del Regno Luna di vetro.
[37] Sovrano del Regno Luna di vetro; padre di Bloch, uno dei quattro cavalieri della coppa delle quattro virtù
[38] Città del Regno Colori di pietra
[39] Ricordiamo che la legge della città del Sol Levante prevedeva l’uccisione del primogenito, qualora non fosse stato maschio, e l’abbandono della consorte nella grotta delle lacrime. Quindi, Kurumi col suo gesto di ribellione riesce a liberare la città da questa legge. Accendere la fiaccola sulla collina, la fiaccola della vittoria, significava per quella città conquistarla.
[40] Pugnale magico in grado di ferire solo se si desidera farlo e in ogni caso la ferita si rimargina poco dopo che è stata inferta.
[41] Poliakov è una città che appartiene al regno Colori di Pietra. È una città marittima, quindi è bagnata dal Mar Wenchow.
[42] Il tempio di Ayon è il famoso tempio dove sono custodite le sacre Acque. Si tratta di una piccola distesa d’acqua contenuta in una larga vasca marmorea. Queste acque sono magiche, in grado di guarire qualsiasi malattia ed esaudire ogni desiderio, ma tutto questo solo grazie alle sacerdotesse. Solo loro sono, infatti, in grado di saper usare i poteri magici dell’acqua sacra, perché istruite nell’Antico Segreto. Quando giungono al tempio Baka, Sally Lunn e suo padre, a sua guardia e custodia c’è la sacerdotessa Noa.
[43] Il Capitano Morris si riferisce a Il tesoro del Tempio. Praticamente, la sacerdotessa in cambio degli incantesimi riceve puntualmente in dono oro, gioielli, e qualsiasi oggetto prezioso e di valore. E questi costituiscono Il tesoro del Tempio.
[44] Si trova nel regno Colori di pietra.
[45] Cittadina rurale del regno La sabbia delle streghe.
[46] Aaliyah è una delle Tredici Streghe Nere.
[47] Le tredici Streghe Nere sono una congrega di tredici streghe senza fissa dimora. Infatti, è possibile trovarle in qualsiasi Regno. A parte incantesimi potentissimi di magia nera, sono specializzate nelle maledizioni, difficili da sciogliere. Quando la notte è buia, quando non ci sono le stelle e la luna è alta e tonda in cielo, si dice che una Strega Nera appaia per portare la sua maledizione. E’ utile sapere che sono molto belle e portano sempre a compimento il loro intento.
[48] Città del il Regno La sabbia delle streghe
[49] Sarà Naska la figlia gemella di Primrose e Chidley.
[50] Fonderà il tempio di Shapiro nel Regno Cristallo d’oro.
[51] È la sorella di Bloch, uno dei Cavalieri della Coppa delle Quattro virtù. Narra la leggenda che fu chiesta in sposa da Zanon, oscuro signore di Havelock, per pagare il dazio delle Terre di Kock conquistate dall’allora principe di Delfust, Frank, zio della fanciulla, ma appartenenti ad Havelock. Handlin si oppose al volere del mago e così fu trasformata in lago. Inutile il tentativo di salvare la sorella da parte di Bloch (altre notizie si trovano nel 7° libro della saga “Handlin e il regno Cristallo d’oro”): lei è rimasta per sempre prigioniera del maleficio.
[52] Il generale Diller.
[53] È il Demone Bianco.
[54] Si trova nel Regno Corallo D’Avorio.
[55] Si trovano nel Regno Luna di vetro. Si tratta di una vastissima zona di pianura, priva di complessi montuosi e con scarsissima vegetazione: solo qualche cespuglio e qualche sporadico albero.
[56] Si trovano nel Regno Corallo di avorio. Si tratta di una vasta zona rocciosa, costituita da gruppi montuosi e da caverne ricche di leggende. Anche qui la vegetazione è scarsa: solo qualche sterpaglia, per lo più incolta. Nelle caverne si nascondono i leggendari Tre Draghi: quello Rosso, quello Azzurro e quello Verde, protetti da tre bellissime fanciulle, le Guardiane dei Draghi. È infatti difficile, se non impossibile, sia trovarli sia catturarli perché queste tre fanciulle sono delle guerriere, pronte a dare la loro vita per proteggere questi tre draghi.
sono delle guerriere, pronte a dare la loro vita per proteggere questi tre draghi. C’è da aggiungere che non esistono in altri luoghi del Gran Regno altri Draghi. In pratica sono rimasti gli ultimi tre. Per la leggenda si rimanda al volume della saga che li riguarda: La sabbia delle streghe – Il Binaker, dente di Drago rosso e altre leggende.
[57] Il dente di Drago rosso
[58] Zona paludosa del Regno La sabbia delle streghe. Si trova a 30 km da Hindi e percorre in diagonale il GranRegno, permettendo di accorciare notevolmente le distanze.
[59] Keira è una delle tredici Streghe Nere. Non lascia are nessuno.
[60] Le dieci fate sono quelle del Regno Colori di pietra. Una già è stata incontrata dalla compagnia del signor Lunn: Dama Myitkyina, la fata del vento.
[61] Si trova nel regno La sabbia delle streghe
[62] Si trova nel regno La sabbia delle streghe
[63] Cioè Roselyn, figlia del principe Seth e di Loris, una delle due figlie gemelle di Primrose.
[64] In particolare, il libro in questione è questo e il primo volume e il terzo
[64] In particolare, il libro in questione è questo e il primo volume e il terzo volume della saga, perché è la principessa che scrive la storia, quindi che la racconta. Dei fatti narrati prima e dopo la principessa si rimette ad altri narratori. Sappiamo che i fatti dopo Primrose sono narrati da Roselyn, figlia di Loris, una delle due gemelle, e del principe Seth. Invece, quelli che precedono la narrazione della principessa sono di Noewle, la nonna di Primrose.
[65] Elkana si riferisce al primo libro della saga.