Anna Molari
L’arrogante
Ambientato in un centro per minori extracomunitari, L’arrogante vede come protagonista Nina, un’educatrice che si trova coinvolta nelle indagini relative al cruento omicidio del direttore della struttura, uomo il cui destino sarà segnato dal proprio carattere. Il contributo di Nina sarà decisivo per la risoluzione del caso, affidato al giovane commissario schi.
Capitolo 1
Quella mattina Nina si svegliò di soprassalto, come se un pugno l’avesse colpita al petto tirandola via con forza da quel sonno profondo, facendola ritrovare in mezzo al letto senza la coperta, sudata ma con la pelle d'oca, un misto di caldo e brividi, con quella confusione che accompagna sempre le prime luci dell'alba, quando tutto per qualche attimo sembra strano e indescrivibile.
Non le era mai successo di sentire dentro di sé quell’ansia che solitamente rimane così intensa solo dopo un brutto sogno, ma Nina non ricordava assolutamente di aver fatto alcun incubo.
La ragazza rimase ancora qualche minuto a letto a fissare il soffitto e a cercare di dare una risposta al suo anomalo stato d'animo.
Nina poté concedersi solo poco tempo per cercare di capire dove fosse e del perché di tutta quella confusione in testa, quando, ad un tratto, la sveglia cominciò a suonare con quello squillo fastidioso che, mai come quella mattina, avrebbe voluto far smettere.
Velocemente, dopo la solita doccia e il solito caffè, si vestì e, presa la bicicletta, si diresse al lavoro, come ogni giorno da circa due anni.
Nina faceva l'educatrice in un centro per minori. Adorava quel ruolo, aveva faticato tanto per laurearsi e quando le era stata offerta la possibilità di dimostrare al mondo quello che aveva imparato, da subito lo aveva accettato con entusiasmo ed energia mettendo tutta se stessa in ogni cosa che c’era da fare.
Costruito agli inizi degli anni ‘70, l'istituto dove lavorava era esternamente brutto e povero di colori, ma già dal suo ingresso la visione cambiava in maniera estrema, assurdo per chi non conosce questi ambienti, ma tanto logico per chi ci lavora da anni. L’estetica è la prima carta che ogni impresa che esercita nel sociale, gioca al momento dell’arrivo di visitatori e medici, tutto deve sembrare estremamente accogliente e familiare, solo così scatta il tanto ambito “sì” fate al caso nostro.
Nel centro vi erano molte piante e fiori, pareti con quadri moderni, poltrone, tavoli e scaffali ricolmi di libri mai letti, che però rendevano intellettualmente all’altezza il luogo. Il fatto che al suo interno risiedessero ragazzini extracomunitari, “trascinati” lì da assistenti sociali, assieme ad una cartellina personale fatta di poche pagine era molto relativo per i proprietari della struttura.
Quei fogli, che accompagnavano obbligatoriamente l’arrivo dei bambini, sintetizzavano in poche righe tutto il loro ato. Tuttavia, soltanto i minori potevano essere accettati. Infatti, raggiunta la maggiore età, la società li riteneva pronti ad affrontare il mondo senza più l'aiuto di nessuno e non permetteva loro di vivere all’interno di queste strutture perché dichiarati forti e adulti.
Nina era sempre stata contraria a questo principio, che riteneva superficiale. In cuor suo, la ragazza sperava che un giorno, la vita di quei poveri ragazzi sarebbe stata tutelata fino al massimo del loro bisogno e ben oltre. Sapeva però che la lotta per aiutare queste giovani creature, dichiarate ormai uomini, sarebbe stata molto dura e difficile.
Nella maggior parte dei casi, questi ragazzi erano figli abbandonati o scappati da casa e trovati a chiedere l'elemosina lungo il ciglio della strada o a dormire sulle panchine delle stazioni ferroviarie. Una volta portati al centro, venivano subito lavati, per toglier loro di dosso ogni sporcizia e poter quindi in maniera elegante
e ripulita far nuovamente parte di quel mondo definito civile, basato su inutili profumi e semplice senso estetico.
Ad ogni nuovo ingresso, Nina veniva ragguagliata dagli assistenti sul come agire, visto che, a sentir loro, questi piccoli erano tutti violenti e aggressivi.
Nina li ascoltava con attenzione e pazienza, sapendo già, che la realtà di questi ragazzi, era solo disperazione e solitudine.
Lei sapeva cosa fare, quindi annuiva agli assistenti, prendeva le cartelle, le portava in ufficio e poi, da zero, cominciava con ogni bimbo un percorso di conoscenza e aiuto. Per ogni volta che Nina agiva con amore e pazienza, ne usciva vincitrice e con un affetto in più nel cuore.
Quel giorno, appena arrivata al centro, dopo aver parcheggiato la bici al solito posto, Nina si accorse che all'ingresso c'erano tante persone, almeno una decina, che in maniera concitata parlavano tra loro, cosa molto strana visto l'orario. Nell'avvicinarsi, vide con sorpresa due volanti della polizia parcheggiate vicino al centro. Mentre la sua testa cercava di capire il perché di tutto ciò, fu scossa dal rumore infernale della sirena di un’ambulanza che si fermò davanti all'ingresso. Da essa scesero tre ragazzotti con una barella seguiti da un uomo con il camice bianco.
Che diavolo sta succedendo?
Aumentando i i e sempre più confusa da tutto quello che vedeva, Nina arrivò al portone del centro. In quell'attimo venne travolta da un ciclone di mille parole provenienti da volti più o meno conosciuti, che cercavano, senza riuscirci, di
dirle quello che sapevano.
Nina non volle più sentire discorsi inutili che non capiva e, con forza, facendosi spazio tra questa barriera umana, riuscì ad entrare.
In quel momento, tutti i ragazzini che erano lì la raggiunsero di corsa, abbracciandola e piangendo.
Ditemi cosa sta succedendo, non vi capisco.
Alzando lo sguardo per cercare spiegazioni dal più grande di tutti, Nina fu colpita da una scritta sulla parete centrale dietro le spalle del ragazzo: MORIRAI.
Oh mio Dio!
Solo questo riuscì a pronunciare, prima di accorgersi di altri uomini in divisa e altri in camice, fermi davanti all'ingresso del corridoio che portava agli uffici, lo stesso che ogni giorno lei percorreva per andare nella sua stanza per posare la borsa che avrebbe ripreso alla sera prima di andare a casa.
Il forte rumore creato dall'agitazione che impregnava la stanza, le bloccò la mente per un attimo, ma il singhiozzare di uno dei piccoli residenti le diede la forza di staccarsene. La ragazza corse verso il corridoio attraversandone la porta nonostante il muro invalicabile creato dai poliziotti messi lì per fare da guardia, ma da guardia a cosa? Era quello che voleva sapere con tutta se stessa.
Nina riuscì ad arrivare fino in fondo a spintoni senza ascoltare le voci che le intimavano di fermarsi. Man mano che si avvicinava al luogo dove risiedeva ogni risposta, un forte odore di rancido le si faceva sempre più vicino, entrandole su per le narici e penetrandole il cervello. Quando i suoi occhi e la sua testa giunsero a destinazione, quello che le si parò davanti, fu una scena agghiacciante, che mai un essere umano, crede di poter vedere nella propria vita, ma solo in una sala di un cinema.
Oltre a un enorme disordine, fatto di sedie a terra e fogli caduti, Nina, notò subito, che in tutto quel caos, c'erano anche dei vestiti buttati in un angolo, una giacca e dei pantaloni arrotolati attorno a dei mocassini, ma la cosa che ancor più la lasciò sgomenta, fu il vedere su ogni parete, disegni molto infantili, fiori, nuvole, case, disgustosamente fatte con il sangue.
Incredula ai suoi occhi, Nina, cercò inutilmente di capire, ma voltando il suo sguardo verso la scrivania, ebbe tristemente la risposta a tutte le domande che si era posta fino a quel momento in quel maledetto mattino.
Sul tavolo, sdraiato supino e completamente nudo, vi era il grasso direttore con la schiena squarciata da un tagliacarte e con un manico di scopa che lo penetrava analmente.
L'immagine di quell'uomo le fece mancare il respiro. Era immerso nel suo stesso sangue, con il viso rivolto verso la porta, gli occhi aperti, sgranati, come se fino alla fine avesse voluto guardare il suo boia e la bocca che mostrava i denti digrignati dal dolore e dal non essere riuscito a urlare aiuto.
Nina sentì la testa girare come una trottola e il cuore cominciò a battere quasi
volesse esplodere. Prima ancora di prendere atto dell'orrore al quale stava assistendo, venne trascinata via a forza da un poliziotto, ritrovandosi nuovamente all'ingresso assieme a tutti i suoi ragazzini piangenti.
Nell’esatto istante in cui la sua mente stava elaborando ciò che aveva tristemente visto, impallidì nel pensare che il suo direttore fosse stato scuoiato come un maiale, ucciso togliendogli anche la dignità di uomo, lasciandogli dei calzini bianchi ai piedi, l'unica parte non lesa vergognosamente.
Quel pensiero durò poco, l'odore acido del sangue le era ormai entrato nelle narici e, prima di perdere i sensi, Nina ebbe la sensazione di sentire il rumore di i veloci che salivano le scale dell'ingresso. Cercando ancora per un secondo di combattere contro se stessa, le sembrò di vedere la figura di un uomo avvicinarsi e prenderla per le braccia, farla sedere su una poltrona accompagnando questo breve cammino, con una frase a voce bassa ma rassicurante:
Stia tranquilla signorina, non appena starà meglio parleremo assieme di quello che è successo.
Nina annuì e, prima di chiudere gli occhi, vide quest'ombra che si dirigeva con o sostenuto assieme ad altre, verso l'ufficio del direttore, anzi del fu direttore.
Pervasa di nuovo da un senso di malessere, come al mattino appena sveglia, si lasciò cadere sulla poltrona e attese con calma un risveglio più tranquillo.
Capitolo 2
Nina si riprese dopo pochi minuti, che a lei parvero ore, si guardò attorno convinta ancora di aver sognato. Il rumore di voci molto forti e il pianto di alcuni bambini la riportarono purtroppo di colpo alla realtà.
I colleghi che dovevano essere di turno con lei quel giorno c'erano tutti, agitati e increduli.
Appena i bambini si accorsero del suo risveglio, le si precipitarono di nuovo addosso, ma questa volta furono trascinati via dai poliziotti e fatti entrare nelle loro stanze.
Nina, si sedette a un tavolo, perché capì che era sbagliato e inutile mettersi in mezzo a quella situazione, chiunque avesse avuto bisogno di lei, avrebbe saputo cosa fare. Decise intanto di rimanere tranquilla, convinta che presto avrebbe capito.
Attese poco, non più di mezz'ora e da quel corridoio tra tanta gente, venne fuori la sagoma che aveva visto prima di svenire. Prima di presentarsi, l’uomo le chiese gentilmente: vuole bicchiere d'acqua?
No grazie.
Forse è meglio un caffè signorina, si fidi di me, deve essere lucida e come lei
tutte le persone che lavorano e abitano qui, presenti e assenti.
Nina dedusse che seguire il consiglio di quello sconosciuto sarebbe stata la cosa migliore che avrebbe fatto in tutta la giornata. Si alzò e assieme si diressero verso la macchinetta del caffè.
Sono il commissario schi, lei è l'educatrice, mi ha detto un suo collega.
Sì... devo preoccuparmi?
No, - l'uomo nel rispondere sorrise e Nina poté notare dei denti bianchissimi e una bocca particolarmente grande.
Non è mia intenzione spaventarla, parleremo con tutti voi, ma lei è l'educatrice… chi meglio di lei potrebbe conoscere il direttore dell'istituto? Professionalmente parlando ovviamente.
L’ultima frase impedì a Nina di giustificarsi inutilmente sul rapporto tra lei e il suo capo.
Dopo un lungo respiro iniziò a parlare.
Mi dica quello che vuol sapere, se potrò aiutarla, lo farò.
Beviamoci questo caffè insieme intanto, le domande, gliele farò con più calma dopo.
Nina osservò attentamente il commissario, bastarono quei pochi attimi del caffè per trascinarla in un'altra dimensione, in una realtà dove in maniera discreta riuscì a osservare il suo interlocutore.
Era sicuramente un uomo di non più di quarant'anni, moro, alto con un bel fisico, due occhi molto neri e penetranti e, nonostante in servizio, riuscì a notarne l'eleganza.
I due si osservarono più volte, come se in quel giorno non fosse accaduto niente di grave, e quei cinque minuti, aiutarono entrambi a star meglio. Ad un tratto, una voce che incitava il commissario a ritornare sul luogo del delitto, fermò quell'incanto.
Che succede? Cosa altro avete trovato?
Il commissario corse verso l'ufficio e, poco dopo, si rese conto che dietro di lui c'era Nina, che con coraggio, riaffrontò, quell'angoscia.
Signorina non può stare qui.
Mi chiamo Nina, e chi meglio di un’educatrice può conoscere il direttore, professionalmente parlando ovviamente.
La ragazza accompagnò la frase, anche lei, con uno splendido sorriso, che il commissario notò perfettamente e che gli creò in un sol attimo un inaspettato turbamento. Egli riuscì comunque a capire che da quell'esatto istante lui e quella sconosciuta sarebbero stati molto vicini, che avrebbe avuto bisogno di lei e dei suoi meravigliosi occhi.
Fu proprio da lì, che il commissario schi, si sentì catapultato assieme a Nina in un'altra realtà che conosceva benissimo, la realtà degli omicidi e dei rapimenti, quella delle tragedie, una realtà che viveva da anni, astratta ma tanto reale, lontana da tutti e dal mondo, che si dissolveva nel nulla, a caso risolto. Tuttavia, mai come quella volta, il commissario capì che la risposta a tutto quel dramma l'avrebbe avuta solo con l'aiuto di quella donna, risoluta e caparbia, forte e anche impertinente nella sua determinazione, ma soprattutto bella. Quella fu l'unica cosa che per un attimo lo turbò.
Nina si rese conto che il suo aiuto avrebbe potuto offrire tante risposte ai mille interrogativi che da quella mattina ognuno si stava ponendo.
Allora, mi dica, che cosa avete trovato?
Un poliziotto, con una pinza gli mostrò un profilattico non usato e lo ripose in un sacchetto per la scientifica. Stranamente, nel cestino da dove l’aveva estratto, ce n’era un’intera confezione aperta e i profilattici al suo interno erano tutti inutilizzati.
Mi sa che aveva tanta voglia di fare, il direttore… ma poi si è dovuto arrendere.
Ci fu una risatina da parte di alcuni per quella sciocca battuta, ma Nina e il
commissario rimasero seri a riflettere sull’anomalia dell'evento, davanti al corpo di un giovane uomo che, chissà per quale errore, era stato punito in maniera così sadica. Essi furono travolti da un silenzio e da una volontà ancora più forte di prima di riuscire a capire.
Commissario…
Sì, Nina?
Guardi sotto la scrivania…
Nell’inchinarsi,il poliziotto con le pinze in mano scorse un cleanex, lo prese e prima di riporlo nel sacchetto per le analisi, si accorse che era stato usato.
Guardi commissario, sembra essere sperma…
Allora, prima di essere ucciso, il giovane e grasso direttore, era riuscito a divertirsi. Almeno prima di morire ce l'aveva fatta. Questo fu il pensiero che accumunò tutte le menti presenti in quell'ufficio.
Portate tutto ad analizzare, controllate se c'e' dna o altro sperma sui vestiti e sui mobili e poi procedete per le impronte. Il nostro povero amico prima di essere ucciso è stato in piacevole compagnia, sentite se ha una donna e interrogate poi tutti i dipendenti del centro.
Mentre il commissario impartiva i suoi ordini, il medico legale, faceva gli ultimi accertamenti e dopo un paio d'ore, analizzando temperatura e colore della pelle, dedusse che il grasso direttore era stato ucciso a fine nottata, proprio quando tutti i ragazzini dormivano e l'operatore di turno, era nella sua camera a concludere il suo sonno in attesa della maledetta sveglia.
Capitolo 3
La notizia dell'avvenuta morte era corsa veloce nel quartiere e, in poche ore, si era formata una gran folla di gente, curiosa di sapere e bramosa nel chiedere.
Erano arrivati anche abitanti della zona che non conoscevano neanche l'esistenza di quell'istituto, nonostante fosse lì da anni, svegliati alle prime luci dell'alba da un via vai di sirene. Si erano tutti affrettati a correre verso il luogo dove stava avvenendo il dramma, senza neanche immaginare l'entità dello stesso.
Erano fuori nel parcheggio in attesa di risposte, ma l'unica cosa che ottennero, fu un allontanamento da parte dei poliziotti, che sedarono, momentaneamente, la loro curiosità con un “saprete presto ogni cosa e, se avremo bisogno di voi, saprete anche prima”.
L'intero parcheggio, in poco tempo, fu chiuso con del nastro e vennero apposti dei cartelli che ne vietarono l'ingresso.
Arrivarono altri poliziotti e l'ambulanza che Nina aveva visto a inizio mattinata, andò via, senza alcun malato sopra.
La scientifica, procedeva con calma e accuratezza in quell’ufficio, cercando, di non commettere errori e non perdere di vista niente. Tutto quanto doveva essere analizzato il prima possibile.
Mentre i poliziotti del RIS cercavano di trovare degli elementi che fornissero risposte a quella tragedia, nel salone del centro furono riuniti tutti i dipendenti assieme ai ragazzi, che nel frattempo erano riusciti a riavere un po' di tranquillità e a mettere da parte la paura. Assieme a loro c’era Nina, che, con ansia, attese buona parte del giorno per poter sapere come stavano procedendo le prime indagini.
Il commissario schi, prima di sparire nel profondo del suo lavoro disse solamente:
non andate via, dovete ancora rispondere ad alcune domande... state tranquilli, ogni cosa si risolverà.
Una frase veloce, prima di girare le spalle e di dirigersi nuovamente verso quell’inferno.
Alla fine del pomeriggio, il medico legale se ne andò e con lui tutti i poliziotti. Nel frattempo arrivò la vera ambulanza che avrebbe portato via quel corpo nudo e seviziato. Al centro giunse anche voce che i familiari del direttore si trovavano già in questura e che la madre, saputa la tragica notizia, aveva avuto un malore ed era stata portata in ospedale.
Quando una calma apparente tornò nell'istituto, il commissario iniziò le sue indagini, le prime, quelle che possono farti scoprire tutto o niente. Ovviamente, il primo a essere interrogato fu l'operatore che, quella notte, malauguratamente, si trovava a lavorare al centro.
A testa china, come se in parte si sentisse in colpa, si avviò assieme al
commissario verso una stanza che rimaneva spesso vuota, nessuno avrebbe immaginato che un giorno sarebbe stata così utile.
Faccia venire anche me commissario, la prego…
Nina…
La prego…
Il commissario la guardò ancora un attimo e poi, non completamente certo del perché la volesse vicino, accettò.
Entrarono tutti e tre, in quella stanza fredda, dove solitamente venivano riposte scartoffie e vecchi documenti.
Mi dica, ha sentito qualcosa? Urlare? Rumori? Cosa ricorda?
Il commissario era davanti all'operatore, ma non perdeva mai di vista Nina, che si trovava al suo fianco e cercava di capire il più possibile.
Come ogni sera, dopo il turno del pomeriggio, ho salutato il cuoco del centro che, finito di pulire la cucina, si tratteneva sempre cinque minuti a fumare una sigaretta e a fare una chiacchierata con me. Dopo aver chiuso il portone d’ingresso, ho innescato l'allarme e sono andato a prendermi un tè, poi ho fatto il giro di tutte le camere, per vedere se i bambini stavano bene.
Partendo dai più piccoli, mi sono accertato che anche gli ultimi fossero tranquillamente nelle loro stanze a dormire o a fare i compiti, a quel punto, sono andato a letto anch’io. Ero molto stanco ieri, infatti, mi sono addormentato con la tv accesa, non mi sono accorto di niente fino a stamattina verso le sette, quando dopo il suono della sveglia, sono uscito dalla camera e mi sono reso conto che dall'ufficio del direttore c'era la luce accesa. Nell'avvicinarmi, ho provato più volte a chiamarlo, la cosa mi sembrava molto anomala, mi chiesi cosa ci fe il direttore a quell'ora da noi...
L’operatore smise di parlare e cominciò a piangere...
Nina, gli pose una mano sulla spalla e il commissario schi con voce rassicurante lo incitò a continuare, chiedendogli di proseguire il suo racconto.
L’ho chiamato più volte, non volevo essere troppo indiscreto.
Indiscreto? Cosa intende dire? Perché mai si sarebbe sentito indiscreto? Era una strana ora… il direttore avrebbe capito la sua indiscrezione? O no?
Certo... indiscreto nel senso che io sono il guardiano, lavoro soprattutto la notte e devo badare ai ragazzi. Se però, ho bisogno di parlare con "lui", devo rivolgermi al ragioniere che, di fatto, è anche il suo segretario ed è in grado di dirmi se il direttore ha voglia di ricevermi in ufficio.
Ah... capisco, continui la prego, cosa è successo dopo che è entrato nel corridoio?
Beh, quello che voi avete visto, io l'ho visto per primo. Il direttore nudo e pieno di sangue...sono corso quindi verso la porta d'ingresso e mi sono precipitato in strada e ho cominciato a gridare aiuto. Sentendomi urlare, tutti i ragazzi mi hanno raggiunto immediatamente,purtroppo non sono in grado di dirle di più.
Nina abbracciò quell'uomo che ricominciò a piangere, farfugliando, tra un singhiozzo e un altro, che la troppa rabbia con il mondo porta solo male.
Il commissario schi ascoltò le ultime frasi e le trovò anomale, ma, soprattutto, non riuscì a non notare l'espressione seria e accigliata che Nina aveva ora in volto.
Nina…
Mi dica commissario…
Ho colto in lei un po’ di disagio quando il suo collega ha fatto quell’affermazione sul nostro amico direttore.
Conoscevo bene il direttore, anche se i miei rapporti lavorativi per ciò che riguardava l’organizzazione del centro, li avevo solo con il ragioniere. La caratteristica che lo contraddistingueva, era il suo timbro di voce, sempre troppo alto…
Il commissario capì perfettamente ed evitò ulteriori domande, comprendendo
l’imbarazzo che si era creato tra lui e Nina in quel momento.
La lasciò andar via dalla stanza, sapendo con certezza che avrebbe ottenuto ulteriori chiarimenti in seguito.
Nina e l’operatore si avviarono quindi verso il salone dove c'erano tutti gli altri, ansiosi di chiedere.
L'operatore continuava a piangere e alcuni ragazzini gli si strinsero attorno.
Nel frattempo, tutti dipendenti del centro che avevano ricoperto il turno del pomeriggio del giorno precedente a quella drammatica notte, erano stati convocati all’istituto per sentirne le loro ragioni: il cuoco, la ragazza delle pulizie e il ragioniere.
Il commissario decise di farli entrare tutti assieme nella stanza per poter vedere i volti di ognuno di loro al momento delle risposte. Voleva carpire la verità dai loro occhi, andando oltre quello che avrebbe potuto sentire.
Ovviamente, tra loro c’era anche Nina, che era stata di turno fino a poche ore prima dell’omicidio. Questo gli creò un’inspiegabile fastidio allo stomaco.
Dover interrogare quella ragazza, che fino ad allora gli era stata accanto, lo rendeva stranamente irrequieto.
Pensare, anche solo per un attimo, che lei avrebbe potuto sapere, gli fece venire un’enorme voglia di scappare da quel centro e di indagare su qualche rapina, lontana migliaia chilometri da lì.
La prima ad essere interrogata fu l’operatrice, che si occupava delle pulizie. Era una ragazzotta alta e robusta, sicuramente molto giovane, ma già affaticata dal peso del lavoro che faceva ormai da anni. La ragazza come ogni giorno,aveva visto entrare in ufficio il direttore assieme al ragioniere nel primo pomeriggio. Poco dopo, su suo ordine, era andata a pulire la loro stanza, solite mansioni: spolverare le scrivanie, svuotare i cestini e spazzare. Come sempre accadeva da quando lavorava lì, li aveva trovati entrambi chini sul computer a scrivere, continuando il loro lavoro senza guardarla. Nell’uscire, li aveva salutati e il grazie ottenuto fu solo quello del ragioniere, seguito da un educato sorriso.
Alla fine del proprio turno, dopo le 18, era andata a cambiarsi. ando davanti al corridoio maledetto, aveva notato il ragioniere andar via con l’educatrice, ma, a differenza delle altre volte, non aveva visto uscire il direttore dall’ ufficio. Era una cosa strana perché di solito era il ragioniere a rimanere al lavoro fino a tardi. La cosa ancora più strana però, che stupì la donna, fu sentire il direttore fischiettare allegramente.
Perché le sembrò strano il fischiettio del suo capo?
Il nostro direttore, e’ sempre stato serio e accigliato, a parer mio, non deve aver avuto una vita serena.
La ragazza, nell’affermare ciò, diventò rossa e, avvicinandosi a Nina, le prese la mano,come intimorita per aver detto quella frase.
Non abbia paura, nessuno la sta giudicando, vogliamo solo sapere perché un ragazzo così giovane, avesse potuto avere un nemico così arrabbiato con lui fino al punto di ucciderlo e solo voi potete aiutarci.
Il commissario guardò Nina, sperando di cogliere già delle risposte dal suo sguardo. Aveva ancora tre dipendenti da ascoltare e tra loro c’era anche lei.
La ragazza continuò il suo racconto, riportando alla luce un ricordo di tre anni prima: il giorno in cui il direttore, appena assunto, venne presentato a tutti i dipendenti.
Commissario, già da quella volta, colsi nei suoi occhi uno strano senso di onnipotenza.
Era seduto vicino al presidente della ditta e, mentre venivamo messi al corrente della sua bravura e importanza, “lui” guardava solo i nostri superiori, evitando accuratamente di volgere il viso verso di noi, i suoi futuri dipendenti.
La cosa che però mi fece rabbrividire, fu che, a fine presentazione, dopo che i responsabili avevano lasciato il centro, il direttore ci cercò. Volle parlare con tutti: operatori delle pulizie, manutentori e sorveglianti. Ci portò nel suo ufficio e, in una sola frase, ci disse che non avrebbe mai voluto essere disturbato da noi, per nessun motivo. A suo dire, non contavamo nulla e, se avessimo avuto qualcosa da dirgli, avremmo dovuto chiedere sempre al ragioniere e all’educatrice. Sarebbero stati loro i nostri soli punti di collegamento con “lui”.
In quanto manovalanza, il cervello ci serviva a poco e “lui” non voleva perdere neanche un attimo del suo tempo con gente di così basso livello.
Il commissario rimase perplesso nel sentire quelle affermazioni, come pure Nina e il ragioniere.
Il secondo ad essere interrogato fu il cuoco. Con voce molto tesa, cercò, balbettando, di rispondere alle domande del commissario.
Quel pomeriggio, il direttore rese noto che avrebbe cenato al centro.
In che senso “rese noto”? Non venne personalmente a parlarle?
No, lui con me non parlava mai, sono solo un cuoco, anzi, una volta mi definì “un lavapiatti”, però le mie lasagne, le ha sempre apprezzate.
Con quella breve frase si stemperarono gli animi e tutto, per qualche secondo, sembrò proseguire in maniera più tranquilla.
Continui, la prego.
Dunque, stavo dicendo, “lui” aveva deciso che avrebbe cenato al centro, non nel refettorio, ma nel suo ufficio e quella sera, mi ordinò di fare la pizza e di fargli avere anche del gelato. Chiese inoltre se nel frigorifero, avevamo ancora della cola. Non era la prima volta, negli ultimi tre mesi che “lui” si fermava oltre l’orario di lavoro e che si faceva preparare la pizza per mangiarla in ufficio. All’ora di cena, si degnò di venire in cucina e, presa la pizza, dopo aver commentato che era scarsa e cotta male, uscì bestemmiando e sbattendo la
porta, lasciandomi, come al solito, una forte amarezza nello stomaco, assieme a una voglia tremenda che quella “poca” pizza gli fosse andata per traverso.
Il commissario cominciava a capire che, forse, il caro direttore, aveva qualche nemico in quel centro, anche se, il coraggio di ucciderlo era stato di uno solo. L’esserci riuscito, non faceva comunque di lui un assassino per quelle persone, ma un eroe. Pensiero cinico, ma realistico. Nonostante si stesse parlando di un morto, era impossibile non notare il loro atteggiamento negativo nei confronti di quest’uomo, provocato da egli stesso, a causa dell’atteggiamento così prepotente che aveva mantenuto nel corso di quegli anni di servizio.
Il cuoco terminò la sua versione dei fatti dicendo che, verso le venti, si era fermato a fumare una sigaretta con il sorvegliante notturno, che era appena arrivato. Prima di andare via, i due avevano sentito provenire dall’ufficio del direttore il suono di una radio e avevano commentato i suoi soliti atteggiamenti sgradevoli e il suo innato senso di superiorità che lo faceva sempre sentire migliore degli altri. Una cosa totalmente ingiustificabile, visto che egli non faceva praticamente nulla di professionalmente costruttivo in quella struttura, a parte creare discordia e disagio.
Il cuoco, sentito il clacson della macchina della figlia e salutato il collega era uscito dal centro, ben lieto di aver finito il turno, senza aver dovuto avere a che fare ancora con “lui”.
Il commissario, momentaneamente, soddisfatto dalle due testimonianze, fece uscire dalla stanza, i due operatori, trattenendo però, Nina ed il ragioniere.
Ragazzi, ora voglio sapere da voi, come si comportava, quest’uomo, nei confronti di tutti, bambini compresi.
Nina e il ragioniere, si guardarono più volte negli occhi, coscienti, che la loro versione, sarebbe stata molto più importante delle altre e, vincendo un forte imbarazzo, iniziarono a parlare.
Commissario…
Mi dica ragioniere, mi aiuti a capire meglio, la prego.
Il nostro direttore, era un ragazzo particolare, che viveva una vita complicata, nonostante avesse soldi e potere. Doveva ogni giorno, dimostrare a suo padre, uomo tra i più importanti della città, quanto valesse e, ogni volta, era una sconfitta. Non aveva mai ricevuto un complimento dalla sua famiglia, ma solo rimproveri. In questi tre anni di lavoro insieme, ho avuto il dispiacere di assistere a forti discussioni telefoniche tra il direttore e suo padre. Ogni volta, egli ne usciva sempre più scoraggiato, cercando, subito dopo, un motivo per litigare con chiunque dei dipendenti. Io dovevo spesso adempiere a delle mansioni che competevano a lui, ma non mi dispiaceva, lo capivo, comprendevo il suo rammarico verso la vita . Mi piace il mio lavoro e sentirmi utile, mi gratifica e mi fa vivere meglio.
Riuscire ad alleviare un peso ad una persona che nascondeva con la rabbia una disperazione così grande, mi faceva sentire indispensabile. Il direttore, però ha sempre commentato negativamente questo mio modo quasi stacanovista di lavorare, non lo capiva o faceva finta di non capire. Sosteneva ogni volta, con molto sarcasmo, che la vita è una sola e farsi valere con autorità, senza mai abbassare la guardia, riuscire ad avere potere eliminando i tanti coglioni che ci stanno accanto, vale molto più di un sudato lavoro e può rendere l’uomo invincibile. Ma, per riuscire ad arrivare alla vetta, bisogna avere…
le palle?
Si, mi scusi commissario, questo purtroppo era il linguaggio usato da lui, ma a me faceva solo molta tristezza. L’ho sempre considerato un uomo solo, a combattere una guerra contro delle ombre che gli facevano da muraglia nei confronti del mondo, ma l’unica sua lotta in realtà era contro se stesso.
Nina, parli lei ora.
Nina, attese un attimo, come se cercasse nella memoria qualcosa che scagionasse il povero direttore morto a causa di errori fatti in vita.
Poi con voce bassa iniziò a raccontare:
Quando sono stata assunta, fu il ragioniere a farmi il colloquio, lesse con attenzione il mio curriculum e solo dopo aver fatto una telefonata al direttore, mi accompagnò da “lui”.
Appena entrai nell’ufficio, mi resi subito conto, del poco interesse che aveva verso di me, anzi, verso di noi. Mentre il ragioniere, cercava di parlargli dei miei studi, “lui” continuava a non guardarci, leggeva il giornale e fumava, gettando a terra la cenere. Quel primo nostro incontro mi lasciò stupita, ma, non ebbi modo, in tutti questi anni, di averci avuto molto a che fare. Per ogni situazione o problema, il direttore, mi faceva sempre contattare dal ragioniere, e di questo non mi sono mai dispiaciuta.
Devo aggiungere però, che mi ha dato sempre molto spazio ed autonomia nel lavoro,credo perché in fondo si fidasse di me e della mia professionalità ma, oltre ad un educato saluto reciproco, non ricordo di avergli parlato per più di cinque minuti.
Quella sera, lei e il ragioniere, siete usciti insieme dal centro?
Si
Risposero entrambi, ma il colloquio si interruppe quando un poliziotto, dopo aver bussato alla porta, esortò il commissario ad ascoltare quello che alcuni ragazzi volevano dirgli.
Erano tutti nel salone centrale, i più piccoli seduti silenziosi sui divani e, alcuni dei più adulti, non vedevano l’ora di esternare la loro parte di verità, in tutto quel caos che dal mattino si era creato.
Nina, rimase bloccata e muta, nel sentire la versione di questi ragazzini, non più impauriti, ma volenterosi di raccontare quello che sapevano e che avevano sempre tenuto nascosto, rimase esterrefatta dall’agitazione che ognuno di loro aveva in corpo e che non riusciva più a nascondere.
Vennero fatti entrare nella stanza cinque dei ragazzi più adulti del centro e da quel momento iniziò una nuova storia.
Quel ciccione è sempre stato stronzo nei nostri confronti. Non voleva avere a che fare con noi e, più volte, ci ha offesi definendoci “feccia”.Hanno fatto bene ad ammazzarlo, non meritava di vivere, insultava le nostre madri, chiamandole “zoccole” e noi dei “falliti che prima poi ci saremo drogati o avremmo fatto la fine che fanno i barboni”.
Nina, non riusciva a credere a quello che sentiva. Ferma immobile davanti a loro si sentì piccola e indifesa come una formica, ma soprattutto colpevole di non
essersi accorta di tutto quel male.
Lei, l’educatrice di quel centro, era stata sconfitta dalla forza della prevaricazione del giovane direttore.
Ragazzi ma cosa dite? Quando succedeva tutto questo? Io ero con voi ogni santissimo giorno, come ho fatto a non rendermi conto di tutto ciò? E perché non avete mai avuto il coraggio di dirmelo?
Nina, “lui” ci insultava di nascosto, minacciando sempre che, se te ne avessimo parlato, avrebbe trovato il modo di mandarci via da qui con l’aiuto dei suoi amici assistenti.
In un attimo, il commissario vide sul volto della ragazza la disperazione causata da un fallimento. Il non aver colto il dolore di questi piccoli, fu per lei come l’aver perso anni di duro lavoro, anni inutili dove la sua presenza non aveva impedito a queste creature di subire ulteriori ingiustizie dalla vita.
Ragioniere, lei che ne pensa di tutto ciò?
Il commissario schi ora più di prima voleva sapere.
Il ragioniere, arrossendo, riuscì ad ammettere di essere a conoscenza solo della poca simpatia che il direttore provava verso quei ragazzi, ma non era affatto al corrente dell’odio che aveva nei loro confronti. In quegli anni, lo aveva sempre rincuorato il pensiero che l’anima di queste piccole creature fosse talmente forte
da permettere loro di superare ogni antipatia, soprattutto quella di un direttore frustrato. Un’anima che li avrebbe resi vincitori nella vita, quell’anima che al direttore mancava.
Mentre il commissario ascoltava le testimonianze dei piccoli e il racconto del ragioniere, Nina a testa china, uscì dalla stanza e, ando davanti a quel corridoio, si sentì vuota dentro, come se tutto quello che era accaduto di brutto fino a quel momento, fosse dipeso solo da lei, da un suo non essere riuscita a vedere oltre i muri.
Nina non riusciva ad accettare il fatto di non aver capito quanto dolore ci fosse lì dentro. Il dolore di quei ragazzini, ma anche la sofferenza camuffata in semplice rabbia, di quel grasso direttore, che lo rendeva prepotente con tutti, ma anche così debole con il resto del mondo. Accompagnato ogni giorno dalla paura di essere giudicato per la sua incapacità, riusciva però a nasconderla attraverso l’aggressività e l’ira che gli creavano dentro solamente solitudine e rancore.
Verso sera, tutti i RIS andarono via e Nina si ritrovò sola all’ingresso. I ragazzini erano a cena, ma lei sentiva un groppo allo stomaco che non l’avrebbe fatta mangiare. Assieme ad un poliziotto, rimasto al centro fino a tardi, vide il commissario schi avviarsi verso l’uscita.
Nina, non se ne faccia una colpa, il suo lavoro è difficile almeno quanto il mio. Mi lasci dire un’ultima cosa: il direttore la temeva perché era a conoscenza della giustizia che risiedeva nel suo cuore, altrimenti per quale motivo avrebbe impedito ai ragazzi di parlarle? Sapeva della sua risolutezza e dell’importanza che lei dava al ruolo di educatrice ma, soprattutto, conosceva l’amore che lei aveva verso questi bambini e la ione che metteva ogni giorno per questo istituto. Non ci pensi più per oggi e vada a casa, domani tornerò al centro per parlare ancora con gli altri ragazzi e con voi dipendenti.
Buonanotte Nina
Nina, nel salutare il commissario, rivide il suo sorriso e, per un po’, si sentì alleggerita da tutta quella triste giornata ormai quasi finita.
Prese la bicicletta e, mentre usciva dal parcheggio, pensò tra sé e sé che un giorno così brutto non l’avrebbe più ato. Si sbagliava e l’avrebbe scoperto molto presto.
Capitolo 4
Il giorno successivo fu una giornata piovosa e stranamente fredda, come se Dio, avesse voluto far sapere al mondo il suo dolore per quello che era successo in un piccolo istituto di periferia.
Nina si trovava in cucina a preparare del caffè per riprendersi dalla notte insonne, quando le squillò il cellulare, era il numero dell’istituto.
Stupita rispose: Pronto
Ciao Nina, vieni presto qui da noi, ho bisogno di parlarti.
Nina non fece in tempo a chiedere il motivo di quella strana e troppo mattiniera richiesta, che il ragazzo del centro, riattaccò il telefono.
In quel momento, confusa e agitata, non avrebbe mai immaginato che, proprio quella mattina, sarebbe stata ulteriormente investita da notizie che le avrebbero congelato il cuore. Tuttavia aveva colto appieno la sensazione che una nuova valanga di brutture era in arrivo.
Arrivata al centro, si recò subito in camera del ragazzo, ansiosa di conoscere il perché della telefonata.
Egli risiedeva nella camera tre. Lo trovò ancora in pigiama, sdraiato a letto e con grandi occhiaie in volto, come se, anche lui come lei, non fosse riuscito a dormire.
Appena la vide, le corse incontro e l’abbracciò. Era un ragazzino esile di origini albanesi, molto timido e silenzioso, ma quella mattina, la voglia di parlare, sopperì a tutte quelle volte che silenziosamente guardava i suoi amici giocare o discutere.
Nina, il direttore era cattivo con noi, ci diceva che nella vita non saremmo mai andati da nessuna parte.
Ora lo so e mi spiace molto non essermi mai accorta delle sue offese nei vostri confronti. Se avete bisogno di me, per parlarne ancora, lo sai, io sono vicino a voi,e stavolta vi giuro, non sbaglierò.
Nina, non volevo parlarti solo di questo.
Nina si rese conto in quell’attimo dell’agitazione del ragazzo, anche se riuscì a capirne il perché solo quando egli cominciò a raccontarle la sua cruda verità.
Nina, il direttore, non odiava tutti, un posto nel suo cuore per uno di noi c’era, te lo assicuro.
Cosa mi stai dicendo, non riesco a capire.
A testa bassa e con un filo di voce il ragazzo cominciò il suo racconto:
da circa tre mesi, ogni giorno, il mio compagno di stanza mi raccontava che per lui, il direttore provava rispetto e ammirazione. Lo definiva “un grande”, uno che nella vita avrebbe solo vinto, al contrario di noi altri, inutili al mondo e a noi stessi. Un giorno mi disse, ridendo, che il direttore si era innamorato di lui, perché, oltre ad essere uno con le palle, era anche bellissimo. Così mi disse e, l’idea di farlo eccitare, anche solo guardandolo, lo faceva impazzire dalla gioia. Averlo in pugno era la cosa più bella che gli fosse mai capitata. Mi raccontò che lo aveva chiamato in ufficio con una scusa banale e, dopo avergli detto per l’ennesima volta che lui era l’unico che meritava di stare qui al centro, con una mano gli aveva accarezzato la guancia.
Nina era allibita, ma il ragazzino non aveva ancora finito.
Prese poi le sue mani e, arrossendo, gli confidò che adorava i suoi occhi grandi e verdi e il suo fisico era perfetto come quello di un dio greco. Infine, lo abbracciò e, senza dargli il tempo di capire, gli sussurrò all’orecchio che era pazzo di lui, anche se lo conosceva da poco tempo.
Il ragazzo non poté non sentirsi imbarazzato mentre raccontava questa amara storia,, sapeva che tutto ciò era sbagliato, anche se il suo compagno di stanza ci aveva sempre riso sopra.
Nina rabbrividì, ma volle ancora ascoltare.
L’amore che il direttore provava per lui era testimoniato dal fatto che il portafoglio del mio compagno di stanza, era sempre pieno di soldi. La sera era
l’unico tra noi che poteva restare sveglio fino a tardi, a far cosa non lo so. So solamente, che si vantava di tutto quello che riusciva a portargli via, compresi la pizza e il gelato che spesso gli chiedeva minacciandolo di sputtanarlo. Era questo che da tempo egli mi raccontava e che io non sono mai riuscito a dirti.
Poi scoppiò a piangere per la certezza di aver tradito un amico.
Il direttore gli dava dei soldi? E come li spendeva? Non gli ho mai visto comprare niente che potesse crearmi dubbi.
Il ragazzino ormai piangeva e non volle più aggiungere altro. Nina, lo abbracciò ma rimase col pensiero che ora, più che mai, avrebbe dovuto scoprire la verità che per troppo tempo era stata ottimamente nascosta.
Nell’attesa che rientrasse il commissario, tutti i bambini cominciarono a fare colazione, tutti fuorché lui, “l’amore” del direttore e, in quel momento, Nina si rese conto che quel ragazzo non era assieme agli altri.
Nina chiese al cuoco se sapeva dove fosse e lui le rispose che, come ogni mattina, prima di andare a scuola, il ragazzo si era recato al bar in piazza.
“Il principino” da un po’ di tempo fa colazione solo con cornetto e cappuccino, ironizzò il cuoco, senza sapere che di ironico, c’era veramente poco.
Nina corse al bar della piazza e, attraverso la vetrina, senza farsi notare, lo vide assieme ad altri molto più grandi di lui, che ridendo e dandogli pacche sulla
spalla, si facevano pagare tramezzini, succhi e caffè.
La sceneggiata di questo gruppo di idioti approfittatori, durò poco, giusto il tempo di prendere in giro un ragazzino e farsi comprare sigarette e giornalini.
Uscito dal bar il ragazzo si diresse verso la fermata del bus, ne aspettò l’arrivo e vi salì per recarsi a scuola. Almeno, questo era quello che sperava Nina con tutto il suo cuore.
La ragazza rientrò quindi al centro e notò immediatamente che parte dei ragazzi erano usciti. Mentre l’operatrice delle pulizie stava sbrigando le sue solite faccende, il ragioniere si stava avviando in ufficio, con in mano l’immancabile caffè d’orzo.
Nina attraversò il corridoio, stupita dal fatto che all’ingresso non fossero stati apposti i sigilli per le indagini e, aumentando sempre di più il o riuscì a raggiungere il ragioniere.
Ma come fai a lavorare qui dentro con tutto questo sangue ancora sulle pareti?
I RIS hanno finalmente concluso, oggi verranno gli imbianchini per cancellare ogni segno, qui e all’ingresso.
Già… ”morirai”, quasi non ricordavo più quella scritta.
Il ragioniere non badò ai discorsi di Nina, abbassò la testa e cominciò il lavoro. Lei, per un attimo avrebbe voluto svelargli quello che le era stato confidato, ma capì subito che le spese della ditta e tutta la burocrazia che avvolgeva il centro, ora per lui erano molto più importanti. A cosa serviva sapere che c’era qualcuno che ricattava il direttore? Ora era morto e le buste paga andavano comunque preparate. Da buon ragioniere, questo era solo quello che in quel momento poteva e voleva fare.
Gliene parlerò stasera a fine turno, pensò Nina e, uscita dal corridoio, si rincuorò nel vedere che all’ingresso c’era ad attenderla il suo amato commissario con il suo splendido sorriso e un caffè
E’ per lei Nina, sono sicuro che stanotte non avrà dormito, questo l’aiuterà, prima di ricominciare a farle domande, la voglio piena di energia e positiva, come l’ho conosciuta ieri.
Ieri, era ato solo un giorno, e a Nina sembrava ormai un secolo, da quando era “precipitata” in quel baratro.
Guardando il commissario, decise velocemente che non era ancora il caso di raccontargli quello che aveva saputo. Non era giusto, ma prima voleva cercare di capirne di più.
Buongiorno commissario schi, grazie per il caffè, lei e’ sempre molto gentile con me.
“Come potrei non esserlo” pensò.
Nina, sono arrivato presto al centro perché vorrei parlare solo con lei. Ho bisogno di avere alcune informazioni su tutti i dipendenti.
Nina accettò, consapevole del fatto che quel giorno, con il commissario, non sarebbe stata del tutto onesta.
Si avviarono entrambi verso la solita stanza, chio la porta alle loro spalle e si sedettero, questa volta però, l’uno vicino all’altra, quasi a sfiorarsi le gambe.
Nina, mi dica, quanti sono i dipendenti che lavorano qui al centro?
Dunque, esclusi quelli con i quali ha già parlato, rimangono: un operatore che mi aiuta in po’ in tutto, l’aiuto cuoco, un altro addetto alle pulizie, un manutentore che spesso fa anche da autista e infine un animatore che mi sostituisce quando sono assente e mi da una mano ad organizzare feste al centro. Diciamo che in tutto siamo in dieci.
Prima di continuare la discussione con Nina, il commissario schi pensò che la miglior cosa da fare sarebbe stata sentire tutti all’interno del centro per dare un tono meno formale all’interrogatorio e facilitare l’inizio delle indagini, si scusò con Nina e con una telefonata veloce,chiese ad un suo agente di convocare tutti i dipendenti il più presto possibile all’istituto.
Un giorno era già ato, la voglia di sapere incalzava sempre di più ma, soprattutto si dovevano accelerare i tempi per capire al più presto tutto quello che di più torbido aleggiava intorno a quel piccolo centro per minori.
Mi dica Nina, che rapporto avevano questi altri lavoratori con la vittima?
Non vorrei farmi condizionare dalle mie opinioni e darle una versione distorta.
Nina, pensi che davanti a lei ora ci sia un amico al quale vorrebbe raccontare le sue sensazioni, quelle che, magari da tempo, sta tenendo dentro di sé. Giuro che qualsiasi cosa mi dirà, non uscirà da questa stanza.
Ma allora perché vuole sapere? E perché proprio da me?
Dalla prima volta che l’ho vista, ho percepito che lei è una persona sincera. Sono certo, che qualsiasi cosa lei sappia, per me sarà di grande aiuto.
Dopo quelle parole, Nina si sentì falsa, ma la decisione di non svelare ancora quello che le era stato confidato quella mattina, era troppo forte. Così si limitò a raccontare l’idea che si era fatta durante quei due anni di servizio al centro, dei colleghi e del direttore.
Fin da primi giorni di lavoro, con dispiacere, ho colto, un’aria di tensione. I colleghi, parlavano tutti a voce molto bassa, come se non dovessero mai farsi sentire. Li sentivo spesso, bisbigliare in fondo ai corridoi e, il malessere che avevano dentro, lo mostravano nelle continue liti che avevano tra di loro, liti che non avevano mai un senso ma, erano dettate da stress e rammarico.
Quando al mattino si udiva il rumore dei tacchi dei mocassini del direttore
provenire dall’ingresso, qualsiasi cosa stessero facendo veniva interrotta.
Si fermavano tutti ad aspettare il suo arrivo, pronti a salutarlo con riverenza e devozione.
Ovviamente, il direttore al loro educato saluto non rispondeva mai. Al contrario, si limitava a trovare subito qualcosa di sbagliato in qualcuno di loro e, finita la breve predica, concludeva con un “lo rifaccia e la licenzio”
Davvero? Era sempre così irato?
Sempre.
E mai nessuno di voi si è ribellato a queste ingiustizie?
Si, una volta ricordo un’animata discussione tra il direttore e l’autista.
Mi racconti…
A causa di un ritardo su una fornitura di alimenti, il direttore, volle personalmente andare dalla ditta fornitrice per capirne il motivo. Non volendo usare la sua macchina e, soprattutto, non volendo faticare, obbligò l’autista ad accompagnarlo con il pulmino del centro. Il problema era che il turno dell’operatore era finito e lui doveva partire con la sua fidanzata per una breve vacanza organizzata da tempo. Lei lo stava aspettando a casa. Il direttore,
com’era solito fare, lo insultò dandogli dello scansafatiche e del fallito. Ricordo ancora le parole: “ chi si da troppo alle donne e’ solo un debole ed un sottomesso a loro” alludendo pesantemente ad una probabile omosessualità del ragazzo.
A quel punto, rosso in viso dalla rabbia, senza dire neanche una parola, l’autista spinse al muro il direttore e l’arrivo immediato del ragioniere, evitò il peggio.
Finalmente qualcuno reagì, credo che questo ragazzo sarà il primo che vorrò sentire, che turni fa abitualmente?
In genere è presente al centro al mattino, ma ora che mi ci fa pensare, oggi non c’era.
Ah…
Il commissario provò una sensazione di fastidio generata da un qualcosa che ancora non riusciva a comprendere totalmente. Questo ribelle, che finalmente era riuscito a farsi valere contro le ingiustizie di un capo fallito, non avrebbe dovuto sbagliare cascando in una vendetta così macabra.
Il direttore da lui meritava altri pugni, questa sarebbe stata la vera giustizia. Rimane il fatto che, proprio il giorno dopo il delitto, l’autista non era presente al centro. Troppo semplice però dedurre che fosse lui il colpevole, sarebbe stato un po’ come cascare nel luogo comune dove “l’assassino è sempre il maggiordomo”, anche se spesso la verità è davanti ai nostri occhi. schi, dopo questa breve riflessione, continuò dicendo:
Lo faremo chiamare a casa, sicuramente avrà tante cose da raccontarci.
Il commissario aveva ascoltato attentamente Nina, rendendosi sempre più conto che l’odio poteva essere una valida discriminante che gli avrebbe consentito di individuare un sospetto. Tre anni di soprusi subiti e l’unica soluzione trovata da uno dei dieci dipendenti del centro sarebbe dunque stata uccidere il prepotente? Ma non sarebbe bastato rigargli con una chiave la macchina?
Il lavoro al centro era duro e lo stress creato da questo giovane direttore era molto alto. La mente umana non ha barriere. Sembra che tutto sia sotto controllo, nella piena sicurezza che l’essere tolleranti possa far resistere a discriminazioni e ingiustizie. Poi ad un tratto, la debolezza che risiede in ogni essere umano, fa perdere la capacità di farlo ragionare provocando conseguenze a volte drammatiche. schi percepiva tutto ciò anche dall’aria che si respirava lì dentro, era sempre più confuso e, come all’inizio di ogni indagine, erano poche le cose che tornavano.
Il commissario ringraziò Nina, confermandole che tutto quello che gli aveva confidato sarebbe rimasto tra loro due e si affrettò infine a tornare in questura in attesa di sentire gli alibi di ognuno, incluso quello della ragazza, purtroppo.
Capitolo 5
Nonostante fosse molto stanca a causa della nottata insonne, Nina volle comunque rimanere al centro, aspettando che il ragazzo che l’aveva turbata, tornasse da scuola.
Come ogni giorno, stette con i bambini più piccoli, rispose alle telefonate fatte dagli assistenti e aiutò i pochi ragazzi rimasti al centro a fare compiti, finché, all’ora di pranzo, lo vide rientrare.
Il ragazzo salutò tutti, lei compresa e assieme ad altri più adulti, si diresse in camera per fare una doccia prima che fosse servito il pranzo.
I bambini più piccoli, quelli che ancora non andavano a scuola, aiutavano a preparare la sala da pranzo e cantando e ridendo, sembravano finalmente vivere una vita gioiosa, così come Nina se l’era immaginata prima di quel giorno.
Durante il pranzo, Nina stava abitualmente nel refettorio aiutando il cuoco nelle piccole faccende e imboccando i bimbi più piccoli.
Quel giorno si rese conto che il suo sguardo era rivolto solo verso quel ragazzo. Nonostante egli vivesse lì da tre mesi, per la prima volta Nina ne colse i modi molto smaliziati ed adulti.
Notò la sua postura nello stare seduto, gambe aperte e schiena non ritta, come se
fosse su di una sdraio in spiaggia. A parte la minestra che lo obbligava all’uso del cucchiaio, utilizzava poco le posate. Mise la cotoletta in mezzo a due fette di pane e, sporcando di briciole e carne la tovaglia, la mangiò voracemente. Parlava mentre masticava, facendo palesemente vedere ogni pezzo di cibo tra i denti e nella bocca e, per ogni battuta fatta, rideva sguaiatamente fino a far intravedere la sua gola.
Nina da lontano non riusciva a sentirne i discorsi, così si avvicinò a quel tavolo di giovani uomini e con un “come va?” rimase dietro di loro senza far notare troppo la propria presenza.
Il ragazzo non usava parole volgari, ma parlava tanto servendosi spesso di allusioni per descrivere un concetto. Era molto ironico e faceva ridere gli altri commensali che, in silenzio, ascoltavano i suoi racconti, tra risate e espressioni di ammirazione e stupore. Discuteva di quello che aveva fatto a scuola e delle dritte sulla vita che alcuni nuovi compagni più grandi gli avevano dato.
Raccontava di ragazze belle e disponibili conosciute in piazza e delle grandi cosce dell’insegnante di matematica. Descriveva la bruttezza di un’alunna al primo banco, con i suoi occhiali su quel naso aquilino. La sua narrazione finì improvvisamente con un rutto che fece “sobbalzare” dalle sedie i ragazzi, tra risate e schiamazzi.
Per la prima volta dopo tre mesi, Nina si accorse della precoce maturità del ragazzo, ma soprattutto della sua voce ormai adulta, che lo distingueva nettamente dalle voci ancora stridule e bambinesche di tutti gli altri. Era stupita da quel ragazzo così giovane, non ancora maggiorenne, con una personalità da uomo, che traspariva in ogni cosa che faceva o diceva.
Cominciò a guardargli anche il fisico, e fu allora che quasi arrossendo, si
accorse, della veloce crescita del fanciullo.
Aveva una schiena grande e delle spalle da nuotatore.
Il maglione era molto stretto, si potevano intravedere i muscoli delle braccia, decisamente troppo sviluppati per essere solo un adolescente.
Al contrario degli altri ragazzi, nei capelli aveva molto gel e il brillantino che portava all’orecchio, lasciava intendere ulteriori differenze caratteriali rispetto al resto del gruppo.
L’immaginare il direttore, uomo adulto e di un certo potere,innamorato di quel ragazzo, non le sembrò più così strano.
Finito il pranzo, uno dopo l’altro tutti si allontanarono dalla sala e in quel momento, Nina si accorse del jeans troppo stretto, che faceva vedere in maniera perfetta i glutei del ragazzo.
E’ mai possibile che io non mi sia accorta della differenza tra lui e tutti questi ragazzini?
Nina li guardò andare via tutti e rimase in silenzio nel refettorio, finché non fu riportata alla realtà dalla voce del cuoco che le chiese se aveva voglia di mangiare della frutta. Lei rifiutò e, ringraziando, si avviò verso il salone centrale.
Nel pomeriggio, solitamente tutti i bambini andavano a riposare, mentre i più grandi si ritrovavano nelle camere a giocare a carte o a fare i compiti.
Quel giorno Nina, decise che non sarebbe stata con loro, ma si sarebbe accuratamente letta tutta la scheda personale del ragazzo, che le era stata consegnata in occasione del suo arrivo al centro.
Aveva un ricordo decisamente amaro di quello che a voce le era stato detto dagli assistenti sociali. Erano bastate poche parole per impedirle di leggere quel documento. Ma quel giorno lo dovette fare e, la conferma di quel che le era rimasto nella mente fu come una doccia ghiacciata.
Il ragazzo era stato allontanato dalla famiglia, perché troppo violento. Aveva picchiato più volte la madre e, quando il patrigno lo trovò a spegnere una sigaretta sul braccio della sorellastra più piccola, lo cacciò di casa, minacciandolo che se fosse tornato lo avrebbe ucciso.
Per un certo periodo si occuparono di lui i servizi sociali del luogo, visse due anni in un istituto di una città albanese. Era sempre irrequieto e nervoso, spesso litigava con gli altri ragazzi, finché un giorno scappò dal centro e, assieme ad uomini molto più grandi di lui, con un gommone sbarcò in Italia. Fu trovato dai carabinieri a mendicare ad un semaforo, in pieno inverno, con una tuta da ginnastica sporca e un paio di ciabatte ai piedi.
La sua vita, ricominciò all’interno di una casa famiglia, sembrava che tutto si fosse risolto, finché un giorno, a causa di un tentativo di violenza sessuale su una ragazzina molto piccola, i servizi sociali assieme ad un giudice, decisero di farlo internare in un carcere minorile.
Rimase agli arresti per circa due anni. Scontata la pena e mobilitati psicologi ed assistenti, fu inserito per qualche mese in un centro di pronta accoglienza, dove venne seguito o o. Infine, dichiarato di nuovo sano e in grado di poter vivere in mezzo agli altri, venne portato all’istituto di Nina. Questo era ciò che assistenti e giudici sapevano con certezza. Su tutto il resto si dovettero attenere alla versione spontanea del ragazzo.
Mio Dio, non ho mai avuto il coraggio di leggere tutto questo, ma avrei dovuto farlo, forse non sarebbe accaduto nulla e mi sarei accorta in tempo di ogni cosa.
Povero direttore, stronzo si, ma non al punto di meritare di morire.
Nina, per un attimo fermò i pensieri e si rese conto, che stava giudicando senza prove un povero ragazzo, basandosi solo su cose dette e scritte su di una cartellina polverosa.
Non poteva essere così facile. Pensare che quel ragazzo fosse il colpevole di quella tragedia solo a causa degli sbagli commessi in ato.
L’unica certezza di Nina era che quell’adolescente doveva aver sofferto tanto nella vita. Mai nessuno, oltre a giudicarlo aveva cercato di capirne il dolore.
Non devo cascare anche io in questo banale errore.
Decise allora che era arrivato il momento di parlargli, messi al loro posto tutti i fogli, si avviò verso la stanza del ragazzo ma all’ingresso incontrò il ragioniere
con la fidanzata.
La ragazza era molto simile a lui, silenziosa, magra e con il viso sempre pallido.
Nina, dopo essere ati in questura dal commissario per le ultime domande, io e la mia ragazza abbiamo deciso, di andare a trovare la famiglia del direttore per portare loro le nostre condoglianze.
Non credo che rientrerò al centro, ci vediamo domani mattina.
Già, la famiglia. Con tutto quello che era successo, il pensiero della sofferenza dei genitori della vittima era come svanito nel nulla.
Porti loro anche le mie condoglianze e domani appena ritorna al centro, le devo assolutamente parlare.
Cosa è successo Nina? Qualche problema con i ragazzi?
Non si preoccupi, ne parleremo domani o magari non ce ne sarà più bisogno.
Dopo averli salutati con un sorriso, Nina guardò uscire la coppia mano nella mano e dirigersi verso il parcheggio ancora recintato con il nastro adesivo.
La ragazza fece un respiro profondo e si avviò con un forte senso di ansia verso la camera dell’ ’assassino’.
Capitolo 6
La camera del ragazzo era la numero tre. Quel breve tratto di strada sembrò interminabile per Nina, o almeno avrebbe voluto che fosse stato tale.
Arrivata alla porta, senti la musica dello stereo molto alta, bussò più volte e, non ottenendo risposta, entrò lo stesso.
Il ragazzo era mezzo svestito, indossava solamente una maglietta e degli slip. Se ne stava sdraiato sul letto a leggere un “Topolino” e, nel vedere Nina, arrossì coprendosi velocemente con una coperta.
Scusa, ma non sentivi? La radio era decisamente troppo alta, così sono entrata lo stesso.
Hai ragione Nina, non accadrà più, cercherò di tenere il volume più basso.
Il ragazzo si infilò velocemente i jeans e si affrettò a spegnere la radio.
Nina, notò che la camera era molto in disordine, libri aperti sulla scrivania e penne sul pavimento assieme a molte paia di scarpe e pantaloni sulla poltrona.
Sbirciando velocemente in bagno, Nina poté costatare quanto era sporco,
sebbene la prima regola che lei impartiva a quei ragazzi appena arrivati al centro, era quella di tenere in ordine e puliti i propri spazi.
Distolto il pensiero dalle pulizie, Nina, dovette farsi coraggio e chiedere spiegazioni al ragazzo.
Ascolta, ho bisogno di farti una domanda, lo so che ci conosciamo da poco, ma ho bisogno di sapere.
Sono qui, tutto per te Nina, dimmi tutto...
C’era molta malizia in quella frase. Quel mezzo sorriso e l’ammiccamento degli occhi di quel ragazzo, crearono in Nina uno strano fastidio.
Era una donna e, anche se si trattava solo di un ragazzino, quel suo modo audace di risponderle, le fece intuire la volontà di metterla a disagio. In quella breve frase, riuscì a percepire che quell’adolescente albanese non era per niente un ingenuo e avrebbe avuto la capacità di far cadere in tentazione chiunque.
Nina aspettò un attimo e poi con freddezza uscì da quella trappola riaprendo il discorso con una domanda diretta.
Dimmi, tu e il direttore eravate amici?
Perché mi stai chiedendo questo? Lui ora è morto, cosa importa tutto ciò?
Rispondimi, lui provava simpatia per te?
Il ragazzo si irrigidì, girò lo sguardo verso la finestra come se non volesse essere guardato in viso e, cambiando tono di voce disse:
perché ti interessa Nina? Se lui provava simpatia erano solo fatti suoi.
Perché non me lo hai mai detto?
Cosa ti dovevo dire?
Il ragazzo si alzò dal letto e avvicinandosi a Nina le urlò:
cosa sarebbe cambiato, lui era una merda e, il fatto che con me fosse diverso non cambia la situazione.
Nina si rese conto dell’agitazione del ragazzo, le sue guance erano diventate rosse e una vena nel collo gli si era improvvisamente ingrossata.
Fece dunque qualche o indietro, ma non voleva rinunciare a sapere, quindi continuò con le domande.
Lui ti rispettava e non ti sgridava mai, anzi, so che ti faceva anche dei regali, ma tu in cambio cosa gli davi?
Il ragazzo a quel punto si buttò contro Nina e schiacciandola con le spalle al muro avvicinò la sua bocca al suo orecchio sussurrandole con tono maligno:
il direttore era un frocio e io lo accontentavo, permettendogli di toccarmelo. Dopo che mi vedeva nudo o che me lo prendeva in bocca, era più felice e per qualche ora non terrorizzava i ragazzini.
Nina, cercava inutilmente di divincolarsi da quella parete ma lui con una forza impressionante, la teneva attaccata al muro, spingendo le sue gambe contro quelle della ragazza.
Ti facevi toccare per il bene dei tuoi amici? È questo che vorresti farmi credere?
Certo, lo facevo solo per loro. Io non sono come lui. A me piacciono le donne e tu, cara educatrice, hai sbagliato a venire in camera mia da sola, sono certo che a te farebbe molto piacere fare un giro sulla mia giostra.
Dopo questa frase, il ragazzo con un colpo allargò le cosce di Nina e con una mano cominciò a toccargliele, usando l’altra per chiuderle la bocca.
Tu mi piaci e ti voglio scopare, non come con quel frocio che quella notte pretendeva di più da me, così ho dovuto ucciderlo. Pensa, voleva che lo guardassi nudo e dopo avermi toccato pretendeva di fare sesso con me. Ho fatto
del bene a tutti squartandolo come un porco.
Nina, aveva ormai gli occhi chiusi rassegnata dal fatto di non poter nemmeno urlare, quando all’improvviso, si sentì liberata da quel peso e, aprendo subito gli occhi, vide il commissario schi che teneva per le braccia il ragazzo e, dopo averla rassicurata con un sorriso, lo scaraventò addosso ad un poliziotto che si affrettò a mettergli le manette ai polsi.
Portatelo in questura, vi raggiungerò presto.
Trascinato via dal centro tra lo stupore di tutti, il ragazzo della camera tre fu portato via velocemente da una volante che sembrava lo stesse aspettando quieta al parcheggio.
ata all’istante la paura, Nina si sentì debole e si appoggiò sul letto. Il commissario la strinse a sé e, con il viso che quasi sfiorava il suo, la tranquillizzò dicendole che era tutto ato.
schi chiuse per pochi minuti la porta della camera, lasciando al di fuori tutti i ragazzi che in quel momento, più che mai, avrebbero voluto sapere.
Quindi, soli in quel silenzio, i due si guardarono negli occhi, Nina appoggiò il suo naso a quello del commissario e, cercando di parlare, si accorse che le sue labbra erano ad un centimetro da quelle di schi. La ragazza riuscì a sentirne il respiro, che man mano che avano i secondi, accelerava.
Entrambi si guardarono la bocca così vicina per la prima volta e Nina sentì che il cuore le stava esplodendo.
In quell’attimo le si bloccò il fiato e fu allora che si divincolò dalla forte e dolce presa del commissario.
L’imbarazzo di entrambi aveva ormai invaso la stanza, ma con coraggio Nina, prima di andare via, riuscì a dire che le sembrava assurdo che quel ragazzino fosse potuto arrivare a tanto.
La ragazza salutò il commissario che, silenzioso e immobile, la guardò allontanarsi tra la folla di bambini curiosi, rammaricandosi di non aver posato le sue labbra su quelle della splendida Nina.
Capitolo 7
Quella notte il commissario si addormentò molto tardi. Continuò a girarsi nel letto, guardando la sveglia ogni dieci minuti.
Il suo pensiero era fermo a quello che era successo nel pomeriggio in quella camera, nella mente aveva impresse quelle labbra rosse e grandi, che facevano da contorno alla bocca semichiusa di Nina. Gli sembrava ancora di vederla mentre cercava di trattenere il respiro per non fargli scoprire la voglia immensa di baciarlo.
Era questo che schi aveva avvertito in Nina, mentre le teneva strette le braccia e guardava i suoi occhi.
Pensare a tutto ciò, creava in lui una forte emozione unita ad una voglia incredibile di chiudere il caso e di portare Nina lontano da lì. La immaginò nel suo letto, accanto a lui, che con la mano gli accarezzava la guancia e, a voce bassa, gli dichiarava tutta la sua ione.
Con la fantasia portò i suoi pensieri fino ai sogni e mentre vedeva nella sua mente le due bocche finalmente baciarsi, si addormentò agitato.
Non avendo messo la sveglia, contando di andare al commissariato nel pomeriggio per iniziare l’interrogatorio, venne svegliato dalla telefonata di un suo agente.
Commissario schi, scusi il disturbo, sono state fatte le prime analisi dello sperma trovato sul cleanex in ufficio e risulta essere quello del ragazzo.
Cercando di scacciare velocemente il sonno, il commissario rispose che sarebbe arrivato subito in questura,per sottoporre il ragazzo ad interrogatorio.
L’agente continuò, dicendogli:
anche le impronte sul corpo e sui vestiti della vittima sono del ragazzo, inutile dirle che corrispondono anche quelle sui mobili.
Chiaro… ora bisogna solo capire il perché e se ci sono attenuanti. Aspettatemi ci metterò un attimo ad arrivare da voi.
Mentre si preparava, il commissario non riusciva a non pensare a Nina e a come sarebbe rimasta male nel sapere della conferma di una più che probabile colpa del ragazzino.
Prima di uscire di casa, schi telefonò agli agenti ordinando di andare subito al centro per indagare sul ragazzo, mettendone sotto sequestro la camera e parlando con tutti gli amici. Sceso poi in strada, si stupì nel vedere Nina che lo aspettava davanti al portone.
Mi scusi commissario, ho telefonato in questura per sapere dove abitava e facendomi are per una lontana cugina tornata al paese, ho convinto un suo agente a darmi l’indirizzo.
Non si preoccupi Nina, avevo bisogno di parlarle, ma soprattutto di vederla. Andiamo al bar qui vicino, le offro la colazione e facciamo quattro chiacchiere.
I due s’incamminarono stando molto vicini l’una all’altro. Coinvolti entrambi in ambigue sensazioni che non provavano da anni.
Quel giorno faceva molto caldo e, appena seduti al tavolo, Nina si tolse il golf rimanendo in maglietta, facendo distrarre ulteriormente il commissario schi che, mai come in quei giorni, aveva provato emozioni così forti, al punto di non rendersi più conto di dove fosse.
A me basta un caffè, grazie.
E lei?
Scusi, cosa desidera signore?
Riportato alla realtà dal cameriere, ordinò anche lui un semplice caffè e poi cominciò a raccontare a Nina le ultime novità sul ragazzo. schi non poté non notare la tristezza che si manifestava sempre più sul volto della ragazza man mano che egli le parlava.
A fine racconto, dopo il terzo caffè, Nina chiese un’ unica cosa al commissario: la prego, prima di mandare i suoi agenti, faccia parlare me con i ragazzi, non vorrei si spaventassero ancora di più, questi giorni sono stati molto duri per loro.
L’insistenza della ragazza, ma soprattutto i suoi occhi, convinsero il commissario schi ad accettare la proposta di Nina. Il commissario la salutò rispondendole che glielo avrebbe permesso soltanto per un paio d’ore, perché dopo, avrebbe mandato i suoi agenti.
Nina aveva poco tempo, quindi corse al centro e entrando trafelata, vide subito alcuni ragazzi con lo zaino che si apprestavano ad andare a scuola e, accanto a loro, notò anche il ragioniere che, con le solite pratiche sotto il braccio e il caffè d’orzo in mano, la salutò e poi le chiese spiegazioni.
Mi è stato detto che, il ragazzo della camera tre è stato arrestato. Nina, ti prego, raccontami tu meglio i fatti. Sono molto confuso e i piccoli, a parte piangere, non sono riusciti a dirmi altro.
Ragioniere, ho poco tempo, le dico solo che per tre mesi non siamo riusciti ad intuire quello che succedeva ogni giorno qui al centro.
Si riferisce al ragazzo della camera tre? Beh, fortunatamente adesso l’abbiamo capito…
Nina guardò con perplessità il ragioniere. Ora mi lasci andare, tra meno di due ore, la polizia, verrà nuovamente da noi e ho ancora molto da fare... In quel momento Nina non aveva nessuna voglia di dare ulteriori spiegazioni al suo collega.
Da parte sua, il ragioniere, provato da tutta la faccenda, non prestò molta
attenzione all’atteggiamento di Nina, si era sempre fidato di lei e la lasciò andare, dirigendosi come ogni giorno, verso il suo ufficio, ancora sporco di sangue.
La ragazza si avviò verso la camera maledetta, dove negli ultimi mesi aveva dormito un ragazzo definito ormai “quello della tre”.
Che tristezza riassumere l’identità di un essere umano in un solo numero. Nina era cosciente del fatto che se non fosse riuscita a scoprire qualcosa che avrebbe scagionato il ragazzo, di lui sarebbe rimasto solo un numero per tutto il resto della sua vita.
Entrare in quella stanza le mise subito un senso di agitazione, riportandola al giorno prima, schiacciata al muro da un ragazzo arrabbiato ma soprattutto confuso dalla vita.
Si rivide impaurita per soli pochi attimi, minacciata e obbligata a tacere da una mano che quasi le “strappava” le labbra.
Cercò di scacciare subito quei pensieri e cominciò velocemente a cercare, aveva poco tempo e lo sapeva.
Non era sicura di come avrebbe fatto a scagionare quel ragazzo, ma voleva riuscirci, era certa che, se si fosse impegnata, avrebbe ottenuto una risposta.
Nella camera tre apparentemente normale come tutte le altre, Nina trovò molto
denaro, vestiti firmati, che non aveva mai notato addosso al ragazzo, profilattici e giornalini porno.
Arrivata a quel punto, Nina si sentì sconfitta.
La vita del ragazzo della camera tre era davvero sopra le righe e l’aver potuto uccidere un uomo, a questo punto poteva essere plausibile.
Rammaricata, guardò prima di uscire dalla stanza, il letto completamente in disordine e, per poter dare solo un po’ di dignità a quel luogo, si avvicinò per riordinarlo o almeno per renderlo uguale a quello del compagno di stanza.
Questo per Nina significò solamente un volere fino alla fine combattere contro la diversità, ormai non più celata, del ragazzino. Come se delle lenzuola rimboccate sarebbero state sufficienti a ripulire la reputazione del ragazzo.
Che sciocca che sono, tra poco ritornerà il commissario e io sono qui a cercare di dare decoro ad una stanza.
Le lenzuola erano pulite e raffiguravano l’immagine di “Spiderman”. Questo la fece sorridere, ma un attimo dopo, avendo messo la mano sotto il materasso, si accorse che c’era qualcosa. Tirò via le coperte incurante del lavoro inutile dell’averle posizionate nel modo giusto, alzò il materasso e vide un diario.
Frettolosamente lo prese, si sedette sulla poltrona e lo aprì. Ogni pagina era scritta in albanese, Nina notò che alla fine di ogni riga vi erano dei disegni. Si
trattava prevalentemente di simboli fallici e tutto ciò arrivata a quel punto, non la stupì assolutamente.
Tuttavia, l’ultima pagina la fece impallidire. Un disegno che rappresentava la sagoma di un impiccato riempiva tutto il foglio.
Sapendo di avere ancora pochi minuti prima dell’arrivo della polizia, Nina corse nel salone dove trovò il compagno di stanza del ragazzo indiziato.
Vieni con me, ho bisogno del tuo aiuto.
Lui la guardò stupito ma senza replicare la seguì.
Entrarono nella stanza “dell’inquisizione”, quella che fino a quel momento era servita al commissario per gli interrogatori.
Traducimi quello che c’è scritto.
Il ragazzino, mise gli occhiali, si sedette e cominciò a leggere. Più la sua lettura andava avanti e più sul suo volto si potevano scorgere espressioni di stupore.
Dimmi ti prego.
Nina, ti traduco letteralmente ciò che leggo, perché non riesco a capirne totalmente il significato.
E così incominciò il dramma di quella lettura:
“anche oggi quel maiale ha voluto fare l’amore con me.
Così lo definisce ogni volta che mi scopa – amore - come se io fossi il suo fidanzato. Però paga i miei silenzi con minacce e soldi.
Anche questo pezzo di merda, come quel farabutto del mio patrigno, mi vuole come fossi un giocattolo. Perché si diverte con me e non mi lascia libero di vivere una vita come tutti gli altri ragazzi? Mi odio, anche questa volta non riesco a ribellarmi a lui, sono un vigliacco, non valgo niente e loro lo hanno capito perfettamente. Merito tutto questo, non sono un uomo e devo essere trattato in maniera così indegna”.
Nina, cosa vuol dire tutto quel che ho letto?
La ragazza era scioccata dalle frasi del diario e dal modo così perfettamente chiaro e pulito di descrivere sevizie del genere.
Quello era il linguaggio di un ragazzo cresciuto troppo in fretta. Obbligato a diventare adulto prima del tempo per potersi difendere da tutte le violenze subite.
La cosa che più colpì Nina, fu il sentirsi in colpa per tutto quello che quei due pedofili avevano imposto al ragazzo. La vergogna del non riuscire a ribellarsi a loro, lo faceva sentire piccolo e inutile.
Ecco il perché di tutta quella boria e di quella presunzione, era solo un modo molto bambinesco per nascondere la vergogna di sentirsi il vero colpevole di quegli orrendi abusi.
Nina aveva capito finalmente. In quel momento si accorse che dietro di lei si era appena materializzato il commissario assieme a due agenti. Era il momento giusto per mostrare orgogliosamente a schi quello che aveva scoperto.
Nina, questo diario sarà molto utile per le indagini, ma non penso possa bastare per ora. Ci sono troppe prove a carico del ragazzo, compreso il fatto che ha dichiarato di essere lui il colpevole.
Possibile che non capisc commissario? Il ragazzo si è dichiarato colpevole solo per convincersi di essere in grado di ribellarsi ai soprusi subiti. Lui si è sempre sentito un debole, fin da quando il patrigno lo violentava.
Dire a voi di essere riuscito ad uccidere il suo stupratore è solo una rivalsa verso se stesso e verso tutti i ragazzi che vivono qui. Finalmente, per merito di altri, lui è riuscito ad essere un eroe.
Il commissario schi la ascoltò, ma si limitò poi a ripetere quello che Nina aveva già sentito con fastidio.
Non si preoccupi Nina, indagheremo a lungo e fino all’impossibile, se il ragazzo è innocente lo scopriremo.
A Nina non bastarono quelle ultime parole e, avvilita, sbatté la porta avviandosi verso il salone, delusa per la prima volta dalla superficialità del commissario schi.
Capitolo 8
Le ore avano all’interno del centro e Nina si ritrovò a stare insolitamente immobile, seduta ad una scrivania senza fare nulla, immersa nei suoi pensieri e sempre più cosciente del fatto che gli avvenimenti di quegli ultimi giorni l’avevano spossata e avvilita.
Perché quella mattina si era recata al lavoro? Perché non era fuggita lontano da tutto quel dolore lasciandosi alle spalle un mondo che, mai come in quel momento, le era sembrato così sporco?
Fino a quel momento aveva sempre pensato che quella laurea che aveva faticosamente conquistato le avrebbe dato l’opportunità di realizzare ciò che da anni aveva sempre voluto: aiutare quelle creature indifese ad affrontare la vita. Ora invece si ritrovava lì, nel salone centrale di un istituto dove per due anni aveva lavorato con devozione e grande ione, piena di dubbi e rimorsi. Si sentiva inutile, poiché si era resa conto che non era riuscita a comprendere il dolore di tutti, in particolare di quel ragazzo.
Nina non riusciva a perdonarsi il fatto che, pur conoscendo la prepotenza del direttore, non aveva percepito il male che questa persona aveva causato ai ragazzi durante la sua permanenza. Avrebbe dovuto ribellarsi, far sapere ai superiori o ai servizi sociali, che la presenza quotidiana di una persona del genere all’interno del centro, non avrebbe mai potuto aiutare quei ragazzi perseguitati da una vita ingiusta.
Ogni giorno, abusava del suo potere per vedere i suoi dipendenti prostrarsi a lui, creando in loro solo rabbia e tensione. Di conseguenza, era più che logico che sia per godimento personale sia per semplice frustrazione, egli non avrebbe agito
diversamente con quelle creature.
Tutto ciò adesso era tristemente molto chiaro a Nina e, il suo mai essersi ribellata ai soprusi di quell’uomo aveva impedito che lei potesse cambiare le cose.
All’improvviso presa da un forte sconforto, Nina decise di andare via da quel posto dove ormai non aveva più nessun senso restare.
Il commissario e i suoi uomini stavano interrogando nuovamente tutti, compresi i ragazzi, che di quella orrenda storia non erano più solo delle comparse.
Arrivata quindi al portone centrale, vide una ragazza che soggiornava al centro da oltre cinque anni.
Era entrata nell’istituto poco più che bambina, trovata alla stazione a dormire su una panchina.
Non aveva i genitori ed era stata portata in Italia dagli zii, che in seguito la obbligarono elemosinare nelle piazze con un bicchiere in mano.
Era all’ingresso a testa china e, con un fazzoletto, si asciugava le lacrime. Accortasi di Nina, si pulì velocemente gli occhi e, salutandola, cercò di sfuggirle entrando nel centro. Nina la bloccò prendendola per un braccio.
Dispiace a tutti quello che è successo, ti capisco.
Le ragazza le si buttò al collo e, singhiozzando, le disse che non poteva essere lui il colpevole. Lui la amava e le aveva promesso che, prima o poi, sarebbero andati via insieme.
Lo so cara, so che è innocente.
Mentre Nina cercava di rassicurare la piccola, si rese conto che doveva smetterla di condannarsi in maniera così patetica. Il direttore era un farabutto ma nessuno dei suoi colleghi aveva mai fatto niente per far sì che le cose cambiassero. In fondo, il ragazzo della camera tre si trovava al centro da soli tre mesi. Nina non aveva avuto molto tempo per conoscerne il carattere e cogliere la drammaticità della sua situazione. In quel periodo, come del resto aveva sempre fatto, la ragazza non aveva fatto altro che lavorare sodo, senza mai risparmiarsi per tutte le piccole anime che abitavano lì.
Adesso era il momento di agire. Il dado non era tratto e nessuno più doveva soffrire, questa era la cosa che Nina aveva chiara in testa. Decise allora di rientrare, non era ancora il momento di andare a casa, ma voleva riparlare con il commissario. Fin dall’inizio lei, era stata indispensabile a lui e ora voleva esserne ripagata.
Arrivata alla solita stanza, trovò schi che parlava con un agente, quando la vide egli ordinò al poliziotto di uscire e, richiudendo la porta, la fece accomodare.
I ragazzi sono molto sconvolti, mi spiace Nina, ma il mio lavoro spesso non tiene conto della sensibilità del prossimo. Dobbiamo capire cosa realmente perseguitava la mente del ragazzo.
O chi perseguitava realmente il ragazzo.
Nina, io comunque mi vorrei scusare con lei, ricominciamo dall’inizio e sono sicuro che assieme riusciremo a capire.
I due sorrisero e si strinsero la mano, ma tutto finì con lo squillare del cellulare di schi: Dica
Commissario, ci sono novità dalla scientifica. È stata trovata della saliva sulla bocca della vittima, dalla sua analisi, abbiamo scoperto che non è del ragazzo.
Non è del ragazzo?
Già, e non solo… la testa della vittima è stata forzatamente girata, infatti alcuni capelli sono stati strappati ed è stato rinvenuto un frammento di unghia sul cuoio capelluto. Anche questa non del indiziato.
La ringrazio.
schi riattaccò e velocemente raccontò a Nina la nuova buona notizia.
Quella notte dunque, il direttore non ha incontrato solo il ragazzino…
Chi può essere andato da lui ad un’ora così tarda?
Appoggiando le sue labbra sulle labbra di un morto?
Se morto era già.
Ma chi?
Nina sgranò gli occhi e…
Il sorvegliante notturno, solo lui è presente al centro durante la notte, ragazzi a parte.
Nina e il commissario guardarono entrambi l’orologio e, stupiti dell’ora, si accorsero che la giornata stava finendo proprio nel momento in cui iniziava il turno dell’operatore di notte.
Avviatisi all’ingresso, lo videro entrare, timbrare velocemente il cartellino e, subito dopo, dirigersi verso la sua stanza per depositare il suo zaino, salutando educatamente gli ultimi agenti rimasti a parlare con gli altri dipendenti.
Incurante di tutto, l’operatore di notte si recò poi verso lo spogliatoio per mettere la divisa, senza accorgersi di essere seguito silenziosamente da Nina e
schi.
Accesa la luce e giratosi per infilare la giacca nell’armadietto, li vide e sussultò.
Cosa succede Nina? Perché non mi hai chiamato? Mi avete fatto paura.
Prese la parola il commissario, perché Nina era rimasta stranamente ammutolita.
Ci scusi, ma le volevamo parlare, anzi, le vorrei parlare è importante.
Perché “di nuovo”? Ho già detto tutto quello che sapevo in quella mattina e mi hanno chiesto di tornare in questura per ulteriori domande. Cosa volete ancora da me? Da quel giorno, da parte di tutti, colleghi, parenti e conoscenti, sono stato bombardato di domande, che mi hanno fatto sentire colpevole e addirittura finocchio!
Stia tranquillo...
No, non voglio star tranquillo. Durante le notti successive all’omicidio nelle quali sono stato di turno, i ragazzini hanno cominciato a guardarmi con aria impaurita. Quando andavo da loro in camera la sera, molti fingevano di dormire, come intimoriti da quello che avrei potuto far loro.
Nina, lo ascoltava e non riusciva a parlare. Non poteva essere possibile, non voleva credere nemmeno a questo. Quell’uomo era sempre stato molto gentile
con lei, sempre carino anche durante quelle volte in cui si era trattenuta oltre l’orario e l’aveva incontrato.
È vero però che il direttore lo trattava spesso male definendolo “un uomo inutile” e rinfacciandogli che aveva avuto la fortuna di avere un lavoro soltanto grazie a lui. Di questo Nina era consapevole, purtroppo, anzi, le era capitato spesso di assistere a scene dove il direttore insultava pesantemente questo debole.
Si calmi, le chiedo solo di raccontarmi nuovamente quello che è successo quella notte.
Ti prego, fallo per me, siamo qui solo per scagionarti da ogni possibile accusa…
Nina, era riuscita a rompere il suo silenzio. Voleva sapere e, stavolta, doveva aiutare.
Si sedettero tutti e tre su una panca nello spogliatoio e l’uomo cominciò a raccontare nuovamente quella storia che per lui era diventata ormai un calvario.
L’operatore iniziò a parlare guardando solo Nina, come se schi non fosse presente con loro nella stanza.
Ciò non infastidì assolutamente il commissario che comprendeva perfettamente la sua angoscia. Doveva nuovamente difendersi e avrebbe pagato oro per non essere stato in quel centro quella notte.
Dunque… cercherò di essere conciso e chiaro in modo che questa sia l’ultima volta che mi si chiede cosa è avvenuto: la sera precedente al delitto, sono entrato e ho fatto la mia solita chiacchierata con l’operatore che stava smontando dal turno. Erano circa le venti. Fumata una sigaretta, ho accompagnato il collega alla porta d’ingresso e, dopo averlo salutato, ho inserito il codice dell’allarme e mi sono avviato verso la mia camera.
Prima di andare a dormire, mi sono assicurato che tutti i ragazzi fossero nelle loro camere.
C’era anche lui? Il ragazzo della camera tre?
Si, c’era anche lui, era a letto che leggeva un libro di scuola.
Vada avanti.
Sono rientrato in camera, anzi no, prima sono andato a prendere un té e poi…
Non si preoccupi dei dettagli, mi dica cosa ha visto o se ha sentito rumori anomali quando si è svegliato il mattino dopo…
L’operatore, ora più calmo, proseguì:
al mattino, appena sveglio, mi sono avviato verso l’ingresso e, in quel momento mi sono accorto che la luce dell’ufficio del direttore era accesa. Sapevo che non dovevo andare ma, la curiosità era troppa, non era mai successo, il direttore al lavoro così presto o intrattenuto al centro tutta la notte.
Nina si permise di interrompere il collega con una breve frase:
non era da lui in effetti, il direttore aveva sempre lavorato il minimo cercando di ottenere sempre il massimo.
Poi, ammiccando, gli fece capire di proseguire.
L’operatore quindi continuò: entrai in quella stanza e vidi il direttore nudo immerso in una pozza di sangue. Aveva un bastone infilato nell’ano come la bandierina che gli scalatori mettono in cima al monte appena raggiungono la vetta. Mi spaventai e corsi in strada per cercare aiuto, in un orario in cui nemmeno un cane mi avrebbe potuto aiutare.
Ci fu qualche secondo di silenzio, poi, improvvisamente, a Nina venne in mente un particolare al quale, né l’uomo né tantomeno lei e schi, avevano pensato la prima volta che lo avevano sentito.
Senza porsi nessuna remora nel chiedere l’autorizzazione a schi, Nina domandò:
quando sei corso in strada per chiedere aiuto, , hai ovviamente disinnescato
l’allarme alla porta?
L’operatore impallidì, in effetti, a questo, quella mattina quando raccontò cosa era avvenuto non aveva pensato.
Con quella domanda in attesa di una risposta, per lei ormai certa, Nina si sentì come alleggerita da un peso e si accorse con la coda dell’occhio che il commissario la stava guardando felicemente sorpreso e allo stesso modo un pochino rammaricato dal fatto di non aver notato lui per primo questo importante dettaglio.
L’allarme era disattivato, è vero Nina, la paura mi ha fatto distrarre al punto di non averci pensato e, neanche in questi giorni ho ragionato sul fatto, che sciocco!
Non si rammarichi, le sarebbe venuto in mente all’interrogatorio in questura, la paura a volte neutralizza i pensieri e chi più di lei quella notte non ne ha avuta.
Il direttore forse?
Il commissario guardò per un attimo Nina, ormai sollevata da quel particolare che aveva cambiato le cose e, dopo averle sorriso si rivolse al testimone.
Mi dica allora, chi, oltre a lei conosceva il codice dell’allarme?
Dunque… a parte me, ovviamente il direttore e…
Ascoltando il silenzio del collega prima della sentenza finale, a Nina si aprì una finestra nella memorie riguardanti quei due anni in cui aveva lavorato al centro e, aggiunse a conclusione della frase:
il ragioniere…
cavolo!!! E’ vero Nina, anche quel giovane così silenzioso lo sapeva!
A quel punto, schi chiese: mi spiega il perché? Il turno del ragioniere, come pure quello degli altri dipendenti, avrebbe dovuto finire all’inizio del suo, o sbaglio?
Ha ragione commissario, così è stato per tanto tempo ma qualche tempo fa, il ragioniere mi fermò all’ingresso e mi spiegò, nel suo modo sempre molto educato che, a causa di pratiche da chiudere, l’orario di lavoro non gli bastava più. se potevo quindi dirgli il codice d’allarme, così sarebbe potuto uscire dal centro senza disturbarmi. Tutto ciò lo so, lo faceva per far felice quel dittatore del suo capo.
E il direttore ne era a conoscenza?
Oh caspita, a questo non so rispondere, non mi sono fatto scrupoli, dando per scontato che egli sapesse, ma in fondo, pur di far lavorare i suoi dipendenti oltre l’estremo, penso che a “lui” non importasse.
Il commissario schi ringraziò l’operatore prese Nina per mano e con o veloce uscì dallo spogliatoio.
Dove stiamo andando? Cosa si fa adesso?
Nina dammi solo questi ultimi minuti, se non ho capito male il soggetto, sono sicuro che potremo finalmente dare una svolta al caso e la soluzione é a pochi i da noi ormai.
Quasi correndo, attraversando un nugolo di agenti incuranti, si diressero entrambi verso il corridoio dove sapevano chi avrebbero trovato, nonostante l’ora tarda.
Capitolo 9
I due entrarono insieme in quel lugubre corridoio, le uniche luci erano quelle dell’ufficio dell’ex direttore in fondo. Quel bagliore fioco, rendeva tutto più macabro e man mano che Nina assieme al suo commissario, si avvicinava a quella stanza, sentiva lo stomaco che le si stringeva fino a diventare piccolo come quello di una pulce. Arrivati alla porta, coscienti di tutto, trovarono il ragioniere seduto alla sua scrivania, con il suo amato caffè d’orzo che lo accompagnava in ogni pratica da eseguire.
Salve Nina… ah commissario c’è anche lei ancora al centro?
Ragioniere è tardi, cosa fai ancora qui?
Sai come sono Nina,tutto deve essere perfetto, lavoro finito, buste paga compilate e altro. Ma tu non puoi capire, sei un’educatrice. Per te basta un sorriso e il lavoro è eseguito qui al centro.
Nina, girò il viso verso le pareti e vide che quei disegni fatti col sangue erano ancora impressi sul muro. Notò però che la scrivania del direttore era pulita e in ordine.
Sai la novità Nina? Quasi sicuramente, da domani i grandi capi ci manderanno un nuovo direttore. Mi spiace di non essere riuscito a convincere gli agenti a farci ridipingere le pareti dell’ufficio e anche quella dell’ingresso, sai che benvenuto per il nostro nuovo capo la parola “morirai”. Meno male che è a conoscenza di ogni cosa.
Sia Nina che il commissario, si accorsero che quella sera, per la prima volta, il ragioniere era in uno strano stato confusionario, parlava molto lentamente e non li guardava in viso, come stesse recitando un copione allo specchio.
Chissà cara Nina, questo direttore come sarà… Biondo o moro? Alto o piccolino? Grasso come il nostro ex o minuto?
Cominciò a sorridere mentre, appoggiandosi il viso sulle mani parlava quasi sognando.
Ragioniere, la notte dell’omicidio lei è tornato in ufficio, cosa doveva fare? Aveva dimenticato qualcosa?
Il ragioniere, per niente turbato da quella domanda così tendenzialmente allusiva, proseguì cominciando a guardare il suo computer e picchiettando la matita sul tavolo.
Sì, sono tornato commissario, non l’ho mai detto perché era un segreto tra me e lui, ma ora che lo avete scoperto…
Il ragioniere diventò rosso in viso, imbarazzato come un adolescente al primo appuntamento. Nina e schi erano ormai increduli ma coscienti di quello che in due anni, l’educatrice non aveva capito e il commissario non aveva mai preso in considerazione. Erano ati pochi giorni, ma ora, la vita di tre persone si era rivelata completamente diversa da come loro avevano sempre fatto capire agli altri.
Ragioniere mi spieghi, sono curioso di conoscere questo segreto. Eravate tanto amici, mi sembra di intuire, oltre che colleghi?
È vero, io ero un amico per lui, lo sapevo capire, lo ascoltavo quando era arrabbiato e lo aiutavo nel lavoro.
Nina replicò: di questo me ne sono sempre accorta, ma ragioniere quella sera, come mai sei rientrato? Perché non hai aspettato il mattino dopo? Siamo usciti insieme dal turno, mi ricordo bene e tu mi avevi parlato di una cena con la famiglia della tua ragazza...
Il ragioniere abbassò lo sguardo…
Voglio bene alla mia ragazza, davvero tanto, ma lei non ha bisogno del mio aiuto come lui.
A lui mancavo sempre, senza di me non viveva. Appena mi allontanavo dal centro, mi cercava anche per stupidaggini, a volte. Senza di me non era completo, ero diventato la metà del suo io.
S’intuiva ora, dal racconto dell’uomo, che la sua remissività era sempre andata di pari o con la stima che nutriva nei confronti di un essere abbietto come il direttore, uno che godeva del potere datogli solo perché si sentiva il più forte, quello importante, ma che in fondo cercava sempre un povero ragioniere per andare avanti nel suo lavoro e, soprattutto, nella vita.
Mi spieghi meglio ragioniere, ho capito che il nostro “caro” direttore senza di lei si sentiva perso. Quella notte l’aveva chiamata per qualche inutile motivo com’era solito fare?
No, quella sera, avevo bisogno io di lui. In realtà era la prima volta che rientravo al centro in un orario così tardo, ma sapevo che l’avrei incontrato, mi aveva accennato che si sarebbe fermato lì già nel pomeriggio.
Abbassando la testa e ridacchiando continuò:
era da tre anni che anche io avevo bisogno di lui, la nostra era un’esigenza reciproca, lo sentivamo entrambi dentro di noi, ma io non ho mai avuto il coraggio di dirglielo, fino a quella notte.
Il ragioniere parlava ormai come se realmente fosse stato solo in quella stanza o forse, semplicemente come se finalmente stesse riuscendo a liberarsi da un peso enorme.
Ragioniere, quella notte è riuscito a confessargli il suo “amore”?
Commissario… mi mette in imbarazzo.
Il ragioniere, smise di parlare per sorseggiare un po’ di caffè riprendendo poi il suo discorso:
alla macchinetta è ottimo questo orzo, ma a “lui” piaceva il caffè normale e anche amaro, diceva che la mia era una bevanda da checca. Inutile avergli spiegato in questi anni che avendo piccoli problemi ai nervi, assumere caffeina era controindicato per le mie gocce.
Nina pensò stavolta senza farsene un cruccio, che ormai tutto era diventato una macabra comica:
il ragioniere suo collega da anni, soffriva di nervi?
Ma dove ho lavorato in questi due anni senza rendermi mai conto di quante cose anomale mi erano attorno?
Il commissario proseguì col suo interrogatorio: allora ci spieghi, cosa accadde al suo arrivo in ufficio?
Comprai delle pizze, volevo cenare con lui e mentre mi stavo avviando verso la stanza, sentii che non era solo. La porta era semiaperta e riuscii a intravvedere quello che stava succedendo all’interno.
E Nina: Il direttore era con il ragazzino?
Già Nina, proprio così. Erano insieme, “lui”, completamente svestito, indossava solo dei calzini bianchi che lo rendevano ancora più ridicolo. Era inginocchiato davanti al pene del ragazzo che si trovava di schiena a torso nudo e con i jeans
abbassati.
Mio dio! Esclamò Nina. Perché non sei andato dal sorvegliante? Dovevi fermare quella sciagura!
Nina si calmi, il perché credo sia ormai ovvio, lo faccia finire… disse il commissario prendendo per mano la ragazza.
Ho aspettato che tra i due si concludesse l’idillio, nascosto dietro la porta. Riuscivo a sentire i gemiti e i commenti del capo. Adulava quel ragazzino, ed esaltava il suo corpo e il suo fallo, poi lo insultava dandogli della “puttana” e minacciando che prima o poi lo avrebbe rimandato nel suo sudicio paese.
Entrato appieno nella storia il ragioniere si fece più cupo.
Ad un certo punto ho sentito la voce del ragazzo alterarsi come se qualcosa avesse rovinato l’incantesimo.
Il commissario e Nina erano sempre più coscienti della confusione mentale che regnava ormai era sovrana nella testa dell’uomo che avevano di fronte. Rovinato l’incantesimo? Semmai, finito un dramma, quella sarebbe dovuta essere la frase più appropriata.
Il ragioniere continuò:
dopo essersi risollevati i pantaloni, il ragazzino uscì di corsa, fortunatamente non mi vide, ero riuscito a nascondermi nel buio. Non ho aspettato più e incurante della nudità del direttore sono entrato.
Nina chiese: cosa ti ha detto appena ti ha visto?
Ricordi il suo carattere Nina? Sanguigno. Prima stupendosi mi ha chiesto cosa ci fi lì, poi ricordandosi di essere a culo nudo, forse vergognandosi, ha cominciato ad insultarmi, a voce bassa però. E quel tono così sommesso, contornato da quelle sporche parole, mi ha creato internamente una confusione emozionale, non so spiegarti meglio, come se mille farfalle mi stessero volando nello stomaco.
Ok, ragioniere, prosegua credo di aver capito cosa sta cercando di dirci, ma non è questo ora l’importante.
Dunque… l’ho lasciato sfogare, lo capivo, avevo invaso un suo spazio un suo momento importante.
Nina era ormai pallida in viso. Si stava manifestando davanti a lei chiaramente, la pazzia di un uomo che per anni aveva sempre considerato educato, ligio al proprio lavoro ma, soprattutto, sano. L’esatto opposto di quello che invece pensava del suo superiore.
Dopo aver finito di prendere insulti, mi sono fatto coraggio e gli ho detto il motivo per il quale ero tornato al centro: lo so che mi vuoi, lo so che in questi anni mi hai sempre cercato, perché nelle ore di lavoro non ti bastavo più. Pensavi che non avrei mai preso in considerazione il tuo affetto e allora hai
sfogato le tue voglie sul quel giovane ragazzo. Invece ti sbagliavi e sono venuto qui per dirti questo.
In quell’attimo il viso del ragioniere si rabbuiò. Nella sua mente, aveva voltato pagina per cominciare un nuovo capitolo, l’epilogo della sua storia, che gli aveva anche ricordato le sensazioni provate dopo la confessione del suo amore.
Cambiando decisamente tono di voce il ragioniere, pesantemente alterato, proseguì il suo racconto: da stronzo che è sempre stato, lui mi rispose dicendo che “un viscido”, sì, usò proprio quella parola, un viscido uomo come me, non avrebbe mai attirato la sua attenzione. “Lui” era “lui” e meritava il meglio, carne giovane e bella, non ragionieri malati di lavoro e grigi in viso. Aggiunse poi, che con uno come me, non sarebbe riuscito neanche ad eccitarsi e che, piuttosto che avere un rapporto sessuale con il sottoscritto, si sarebbe fatto impalare. E così, io ho soddisfatto il suo desiderio.
Sia Nina che il commissario a occhi sgranati ascoltavano silenziosi questo assurdo racconto.
L’uomo proseguì la storia: appena si girò verso la scrivania per prendere l’orologio, io intravidi una scopa dietro il mobile, così, come aveva chiesto, ho voluto accontentarlo fino all’ultimo. Non so perché poi l’ho ucciso con il tagliacarte, sapevo che “lui” voleva solo me, ma in quel momento…
E il commissario: ragioniere, in seguito, prima di uscire ha voluto dare l’ultimo bacio a quell’uomo disteso sulla scrivania, almeno quello lo ha preteso e lo ha ottenuto…
Già, caro commissario. Non potevo lasciare l’ufficio senza fare quello che da tre anni “lui” aveva sempre desiderato ma che non era mai riuscito a confessarmi.
Ovviamente prima di lasciare il centro, ho voluto fare sapere anche a quel ragazzino, che se avesse solo pensato nuovamente a “lui” io l’avrei ucciso.
Il ragioniere abbassò quindi il viso sorridendo ironicamente.
Era ormai chiaro cosa volessero dire quei disegni fatti con il sangue della vittima e la scritta “morirai” lasciata all’ingresso. Si trattava di un avvertimento rivolto al giovane ragazzo albanese. Una vita, fortunatamente, era stata salvata. Strano il destino, davanti a Nina e al commissario c’erano ora due persone, una convinta dell’amore di un direttore pedofilo e l’altra, irata dal rifiuto dello stesso.
Sai Nina, proseguì il ragioniere, ho sempre avuto un’idea precisa della gente…
Dimmi.
Al mondo ci sono persone, che vivono parte della loro vita immersi nella merda, poi, chissà perché, arriva qualcuno che li fa uscire in parte da questo loro stato, magari dando loro un po’ di potere e forza. Quanto basta a non farli rendere conto che, da quella merda, hanno tirato fuori solo la testa. A quel punto, invece di essere contenti di questo cambiamento, queste persone si sfogano con prepotenza, riversando contro gli altri frustrazioni e rancori. Tutto ciò fino a quando non accade che le stesse persone che hanno dato loro questa opportunità, li ributtano con un calcio nuovamente nella merda nella quale vivevano.
In conclusione ragioniere, cosa vuole dirci? Esclamò il commissario.
Io avevo messo il mio cuore nelle mani di quell’uomo, ma lui, da solito “arrogante”, l’ha considerato non all’altezza, così ho agito a nome di tutte quelle persone che prima o poi l’avrebbero fatto tornare al suo posto e, con “un calcio”, l’ho finalmente riportato alle sue insignificanti origini.
Ormai compresa la fine della storia, Nina e il commissario si guardarono solo un attimo, increduli di avere, con una sola domanda, scatenato una tale reazione. I due non si erano però accorti che il ragioniere, fiero di quello che aveva fatto, ma ormai stanco, aveva puntato alla sua gola un tagliacarte.
Fu questione di attimi, ma bastarono ai due per prendere atto della ulteriore tragedia che si sarebbe potuta verificare in quell’ufficio.
Il commissario si avventò senza paura sul ragioniere e, mentre incitava i suoi agenti a raggiungerlo, Nina, riuscì a togliere dalla mano dell’uomo l’arma che l’avrebbe fatto diventare un’altra vittima.
Il ragioniere, ormai esausto, fu portato via velocemente dalla polizia, mentre la gente che si trovava nelle vicinanze, cercava ancora di capire cos’era successo.
Trascinato tra un piccolo gruppo di persone ancora incredule, il ragioniere continuò ad urlare che quello che aveva fatto, glielo aveva chiesto “lui”, che il loro amore non sarebbe stato capito e che avrebbero solo sofferto non potendo stare insieme.
Nina e il commissario si ritrovarono soli a guardare dalla finestra dell’ufficio la volante allontanarsi dal parcheggio. Si sentivano entrambi finalmente sollevati da tutto il male che per giorni aveva regnato sovrano in quel centro.
schi, si girò verso la ragazza e disse:
Nina, assieme ce l’abbiamo fatta. E’ stata dura ma il suo aiuto è stato veramente importante.
schi notò che la ragazza continuava a guardare le macchine come persa nel vuoto, senza prestargli attenzione.
Nina, a cosa sta pensando?
Sa… nella mia prossima vita, dopo tutto quello che è accaduto, credo che farò…
Il commissario? La interruppe schi.
no… il meccanico!
E con un sorriso si avviarono entrambi alla macchinetta del caffè per gustare assieme quel momento di pace meritatamente ritrovata.