CINZIA RANDAZZO
LETTURA ERMENEUTICA E FILOSOFICO-TEOLOGICA DI GV 1,1 NEL COMMENTO DI ORIGENE AL VANGELO DI GIOVANNI (LIBRO I,16,90II,3,33)
Ai miei genitori e a Paolo
INDICE
INTRODUZIONE
1. “Nel principio era il Logos”
1.1. Il principio è distinto dal Logos
1.1.1. Molteplici significati del termine principio 1.1.2. Il principio è sapienza immanente
1.1.3. Il Logos è sapienza
a. Il Logos demiurgo
b. Il Logos è molteplice
1.1.4. Il Logos è parola del Padre
1.1.5. Il Logos è ipostasi
1.2. “Il Logos era presso Dio”
1.2.1. L'esistenza del Logos presso Dio
1.2.2. Il Logos immagine archetipa di Dio
1.3. “Il Logos era Dio”: la natura divina del Logos
CONCLUSIONE
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
INTRODUZIONE
Origene, nativo di Alessandria fra il 183-185 d.C., fu allievo di Clemente alessandrino. Insieme a Clemente alessandrino fu uno dei più grandi esponenti della scuola alessandrina. Questa rielaborava il messaggio cristiano, servendosi dei metodi espressivi propri della filosofia di origine platonica. Infatti Origene visse in un periodo in cui era dilagante la filosofia medioplatonica e neoplatonica che ebbe come massimo rappresentante Plotino.
Origene subí l'influsso di queste filosofie nelle sue opere intese a produrre una riflessione razionale nei riguardi del messaggio evangelico.
Tra le molte opere che egli scrisse facciamo qui riferimento al Commento al vangelo di Giovanni. Questo commento è stato scritto dopo il 235 su richiesta dell'amico Ambrosio che Origene aveva convertito al cristianesimo, in quanto egli era uno gnostico valentiniano. L'opera fu scritta da Origene per contrastare le interpretazioni gnostiche relative al quarto vangelo.
All'epoca di Origene infatti lo gnosticismo era al massimo grado della sua estensione e costituiva una minaccia per la chiesa. Il Commento al vangelo di Giovanni di Origene era composto di 32 libri, dei quali ne sono rimasti solo nove integri, più alcuni scarsi frammenti degli altri.
Nel libro primo, composto di un'ampia prefazione e di 15 capitoli, è racchiusa l'esegesi di Gv 1,1 che è l'oggetto del nostro lavoro. Questa esegesi è così ripartita: in un primo momento Origene si sofferma sui vari significati della parola “principio” e poi sceglie tra questi quello più appropriato al termine “principio” in Gv 1,1, per poi are al significato del termine Logos e della relazione che sussiste tra il “principio” e il Logos sempre in Gv 1,1.
Il libro II, costituito di 37 capitoli, contiene nei capitoli 1-3 la prosecuzione del commento a Gv 1,1. Origene, nel commentare Gv 1,1, si servirà di una propria esegesi che vedremo nel corso della trattazione.
L'intento, quindi, di questo nostro lavoro è quello di presentare i tratti peculiari della esegesi di Origene; tratti che, come vedremo, danno adito ad una vera e propria progressione concettuale del pensiero dell'autore sulla verità del Logos. Per riuscire in questo nostro intento, ci siamo proposti di confrontarci con la filosofia medioplatonica e neoplatonica, delle quali l'autore è stato fortemente impregnato.
Concludendo, questa lettura filosofico-teologica del primo libro del commento di Origene al vangelo di Giovanni, è un ulteriore contributo per la ricerca scientifica, dal momento che la più recente e completa edizione critica sul commento a Giovanni di Origene¹ si limita a darne alcune spiegazioni solo dal punto di vista filologico e biblico, mentre addirittura un recente lavoro sul commento a Giovanni di Origene, si sofferma limitatamente ed esclusivamente al libro 32, riducendo la portata teologica del vasto commentario di Origene a Giovanni solo all'episodio della lavanda dei piedi e ai discorsi dell'ultima cena.²
1. “Nel principio era il Logos”
1.1. Il principio è distinto dal Logos
1.1.1.
Molteplici significati del termine principio
Origene inizia il suo Commento a Giovanni 1,1 affermando che il termine “principio” ha molteplici significati non solo per i Greci ma anche per la Scrittura, considerata nella sua totalità:
"Il significato della denominazione “principio”(ἀρχή) non è molteplice soltanto per i Greci, perché se uno raccogliesse tutti i i della Scrittura in cui questo termine ricorre e volesse determinare con una ricerca accurata in quale senso è usato in ogni singolo o delle Scritture, troverebbe anche nel linguaggio divino una molteplicità di significati”.³
Qui Origene parte dai testi della Scrittura così come sono e quindi dal loro senso letterale per desumere dai diversi libri che compongono la Bibbia i plurimi significati in ordine al termine “principio”:
“C'è infatti, (in un primo senso, il “principio”) di un aggio da un luogo a un altro; e questo è (il principio) di un cammino, di una distanza. È ciò che è indicato dalle parole: “Principio di una retta via è operare giustamente” (Pv 16,7)”.⁴
Origene partendo, come abbiamo detto, dal significato letterale del termine “principio” dà quindi a questo termine anche un significato morale. Origene compie questo aggio del termine “principio” perché intende il termine “principio” come l'inizio di una retta via che si identifica per lui con l'inizio e con il conseguente proseguimento di una vita vissuta da parte dell'uomo secondo giustizia: “Siccome infatti la “retta via è lunghissima, si deve intendere che nella prima parte c'è l'aspetto pratico, indicato appunto con l'espressione 'operare giustamente'”.⁵
Giunto a questo punto, Origene non si ferma al significato morale del termine “principio” di Gv 1,1 ma dà al termine anche il significato anagogicocontemplativo perché, per Origene, colui che si comporta bene secondo giustizia perviene al compimento della retta via, cioè all'apocatastasi. Coloro che vi sono giunti contemplano Dio faccia a faccia, mentre ora, durante la vita terrena, lo contemplano come in uno specchio:
“nella parte successiva invece c'è l'aspetto contemplativo. Con questo aspetto, io credo, coincide anche la parte finale (della “retta via”), nella “apocatastasi”, così chiamata perché in essa non rimane alcun nemico, se sono vere le parole: “Deve infatti regnare finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi” (Sal 8,7). L'ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte” (1Cor 15,25-26).
Origene sviluppa questa dottrina dell'apocatastasi servendosi dei seguenti i biblici di Sal 8,7 e di 1Cor 15,25-26.
Il suo metodo ermeneutico è fondato su un suo proprio criterio esegetico, che è quello di leggere la Scrittura con la Scrittura in modo da rendere ragione della dottrina apocatastatica, alla luce di una visione unitaria di tutta la Scrittura. Allo stesso modo Origene cita 1Cor 13,12 mentre parafrasa Mt 11,27; Lc 10,22; 1Cor 8,2; Ef 3,5 e Gv 10,30. Collegando alla citazione di 1Cor 13,12 le successive parafrasi, Origene mira a penetrare meglio il senso del termine “principio” nel suo aspetto anagogico-contemplativo:
“Allora quelli che sono giunti a Dio per il tramite del Logos che è presso di lui, avranno una attività unica: conoscere a fondo Dio, in modo da diventare, conformati in tal modo nella conoscenza di Dio, tutti quanti esattamente un (solo) Figlio, nel modo in cui ora soltanto il Figlio conosce il Padre (Mt 11,27). Se infatti uno cercasse di sapere con precisione quando conosceranno il Padre coloro ai quali lo rivela il Figlio che lo conosce (Mt 11,27), e considerasse come
chi vede adesso vede “in uno specchio, in immagine”(1Cor 13,12) e ancora non ha conosciuto come bisogna conoscere (1Cor 8,2), non sbaglierebbe affermando che nessuno, sia pure apostolo o profeta, (Ef 3,5), ha conosciuto il Padre, ma soltanto (lo conoscerà) quando diventeranno una cosa sola, come il Figlio e il Padre sono una cosa sola (Gv 10,30).⁷
Origene afferma poi che il termine principio di Gv 1,1 si può intendere pure nel senso di origine e per dimostrarlo si avvale della citazione di Gen 1,1; Gb 3,8; Gb 40,19; Rm 8,20; Fil 1,23. Origene spiega che il termine principio assume il senso di origine in relazione non solo “al cielo e alla terra” che Dio creò all'origine del tempo, ma anche in relazione al mostro marino che addiviene il prototipo dell'origine del mondo materiale e dei corpi:
“Principio” (si può intendere) però anche (nel senso) di 'origine' (γένϵσις), come si può desumere dalle parole: “In principio Dio creò il cielo e la terra” (Gen 1,1). Questo significato però è espresso più chiaramente, io penso, in Giobbe: “Questo è il principio della creazione materiale del Signore, fatto per essere trastullo dei suoi angeli” (Gb 40,19). (Nel primo caso) uno potrebbe pensare infatti che, tra le cose che sono all'origine del mondo “nel principio”, sono stati fatti “il cielo e la terra”. Più felice (l'espressione nel secondo o), in quanto fa riferimento a ciò che viene in secondo luogo: molti cioè essendo gli esseri divenuti in corpi, primo è stato colui che è chiamato “il dragone” e altrove ha il nome di “grande mostro marino” (Gb 3,8), che Dio ha soggiogato. Occorre chiedersi se, mentre i santi vivevano una vita affatto immateriale e incorporea, colui che è chiamato dragone sia divenuto degno, per essere caduto dalla sua vita pura, di essere incatenato prima di tutti alla materia e nel corpo, in modo che per questo il Signore, esprimendosi tra il turbine e le nubi, può dire: “Questo è il principio della creazione materiale, fatto per essere trastullo dei suoi angeli” (Gb 40,19). È certamente possibile che il dragone sia non il principio in senso generale della creazione materiale del Signore, ma piuttosto il principio dei molti esseri che sono in un corpo, (...). L'anima del sole infatti è anch'essa in un corpo, come pure tutta quanta quella creazione di cui l'apostolo dice: “Tutta quanta la creazione fino ad oggi geme nelle doglie del parto” (Rm 8,22). A questa si riferiscono forse anche quelle parole: “La creazione fu sottoposta alla vanità, contro il suo volere, ma per volere di colui che l'ha sottomessa nella speranza” (Rm 8,20), perché
vanità siano appunto i corpi e il compiere ciò che si riferisce al corpo, il che è necessario a chi (è ancora) nel corpo, (mentre la speranza è quella di essere un giorno liberati) (...) chi compie contro voglia le azioni del corpo, fa questo per la speranza, come se dicessimo che Paolo vuole “rimanere nella carne” (Fil 1,23) contro voglia ma per la speranza. Non è senza una ragione se colui che, in assoluto, preferiva “partire per essere con Cristo” (Fil 1,23), desiderava rimanere nella carne, per l'utilità degli altri, per il progresso nelle cose sperate non soltanto suo ma anche di quelli che da lui ricevevano benefici per la salvezza”.⁸
Origene aggiunge al senso di principio come origine anche il significato di inizio di una via, e per spiegare che il termine principio contiene anche il significato di origine, in relazione all'inizio di una via, cita il testo biblico di Pv 8,22. Origene in seguito dà al termine principio un significato spirituale e, riferendosi alle parole di Gv 1,1 “Nel principio era il Logos”, afferma che Dio è il principio di tutti i viventi, in quanto Dio è il principio del Figlio:
“In questo senso di 'principio' come 'origine' potremo prendere anche le parole messe nei Proverbi in bocca alla Sapienza: “Dio mi creò principio delle sue vie, in vista delle sue opere” (Pv 8,22). Queste parole si possono peraltro ricondurre anche al primo significato di “principio” come inizio di una via, perché è detto: “Dio mi creò principio delle sue vie”. Non direbbe un'assurdità chi affermasse che Dio è principio di tutti quanti gli esseri, perché verrebbe chiaramente a dire che egli è principio del Figlio in quanto è Padre, (...) principio degli esseri in quanto è Dio. (Costui) confermerà la sua affermazione per mezzo di quelle parole: “Nel principio era il Logos” (Gv 1,1), intendendo per Logos il Figlio, che è detto essere nel principio, in ragione del suo essere nel Padre”.
Restando sempre nell'ambito del senso letterale riguardo al termine principio Origene, in seguito, dà a questo termine un terzo significato:
“In un terzo significato, “principio” si può intendere nel senso di “causa da cui” (materiale) (το ἐξ οὗ), ad esempio, di materia soggiacente (ὑποκϵιμένη ὕλη), che
è principio di tutte le cose per coloro che credono la materia increata”.¹
Origene, per spiegare che questo significato di principio non è confacente ai cristiani, fa riferimento al libro dei Maccabei 7,28 e al Pastore di Erma, per i quali Dio ha creato tutte le cose dal nulla, non a partire dalla materia increata come reputavano gli gnostici e i seguaci di Platone: “Questo non vale certo per noi, convinti come siamo che Dio ha creato gli esseri dal nulla (ἐξ οὐκ ὄντων), come c'insegna la madre dei sette martiri nel libro dei Maccabei (7,28) e l'angelo della penitenza nel Pastore (di Erma)”.¹¹
Per Origene il termine principio assume inoltre il senso letterale di causa formale. Egli spiega questo senso, riferito al termine “principio” di Gv 1,1 confrontandolo con Col 1,15 e con Gen 1,27 che egli parafrasa, per rendere chiaro il significato di causa applicato alla parola “principio” di Gv 1,1. Da qui Origene a a considerare il significato profondo del senso di causa applicato al Verbo, che è il “principio” secondo l'idea del Padre. Il Verbo, generato secondo l'idea del Padre, è non solo l'immagine del Padre, ma è la causa formale secondo cui gli uomini sono stati creati. In tal modo Origene a dal significato letterale del termine principio, preso nel suo senso di causa formale, al suo senso cristologico:
“Principio si può prendere, inoltre, in senso di causa secondo cui [formale] (τό καθ′ό), per esempio, di “secondo l'idea” [esemplare] (τό κατά τό ϵἶδος). Così, se il primogenito di ogni creatura è l'immagine di Dio invisibile, il suo principio è il Padre. Analogamente, Cristo è a sua volta principio di quelli che sono a immagine di Dio. 105. Ché se gli uomini sono a immagine, e se l'immagine è secondo il Padre, per Cristo è principio, cioè causa formale, il Padre; per gli uomini, invece, la causa formale [dell'essere a immagine] è Cristo, perché essi sono fatti a immagine non secondo colui al quale l'immagine appartiene (= cioé il Padre), ma secondo l'immagine stessa (= cioè Cristo). L'espressione: “Nel principio era il Logos” si può invece applicare all'esemplare stesso”.¹²
Origene non si ferma al significato di causa formale del termine “principio”, ma dichiara che il termine “principio” di Gv 1,1 può avere il senso letterale di apprendere qualcosa:
“Principio si può intendere inoltre (nel senso di primi elementi) di una cosa che si apprende, per cui chiamiamo 'principio' della grammatica le lettere dell'alfabeto. In questo senso, l'apostolo dice: “Voi che dovreste essere ormai dei maestri a motivo del tempo, avete di nuovo bisogno che qualcuno v'insegni i primi elementi degli oracoli di Dio” (Eb 5,12). Il principio, nel senso di apprendere qualcosa, è duplice: nella natura stessa (della cosa che si apprende); nella relazione (che questa cosa ha) con noi”.¹³
Per rendere ragione di questo significato letterale egli cita Eb 5,12. Poi, in considerazione del duplice significato che egli dà al termine principio nel senso di apprendere qualcosa, traspone questo duplice significato alla natura divina e umana di Cristo. Origene parafrasa 1Cor 2,2; Gv 1,14; Col 1,15 mentre cita 1Cor 1,24 e 1Cor 15,45 per dichiarare, avvalendosi di questi testi scritturistici, che l'umanità di Cristo è principio di conoscenza per noi mentre la sua divinità è principio di conoscenza per natura, in quanto Cristo è potenza e sapienza di Dio:
“Cosí, se parliamo di Cristo, principio per natura è la divinità, relativamente a noi, che a causa della sua grandezza non possiamo incominciare direttamente dalla verità che lo riguarda, (principio di conoscenza) è la sua umanità, per cui Gesù Cristo e lui crocifisso (1Cor 2,2) è annunciato a quelli che sono ancora bambini. Cosicché si può dire, in questo senso, che principio di conoscenza per natura è Cristo in quanto è “sapienza” e “potenza di Dio” (1Cor 1,24); relativamente a noi, invece, è il “il Logos di Dio (che) si è fatto carne”, per abitare in mezzo a noi (Gv 1,14), che soltanto in questo modo lo possiamo dapprima accogliere. È forse per questo che egli è non soltanto primogenito di ogni creatura (Col 1,15), ma anche Adamo, che tradotto significa “uomo”. E che egli sia Adamo lo dice Paolo: “L'ultimo Adamo divenne spirito vivificante” (1Cor 15,45)”.¹⁴
Dal confronto di questi testi emerge che l'esegesi di Origene sul termine “principio” è cristologica, in quanto il Verbo per natura è principio di conoscenza come sapienza del Padre, mentre invece per noi uomini è principio di conoscenza il Verbo fattosi carne, perché nella carne lo possiamo accogliere.
Restando sempre nell'ambito dell'esegesi sul termine “principio”, Origene aggiunge che questo termine si può anche intendere “come inizio di una attività, in cui c'è anche una fine che tien dietro al principio”.¹⁵ Diversamente dagli altri significati del termine “principio”, qui Origene, confrontandosi con Pv 8,22, si pone la domanda se anche in relazione al termine principio di questo testo è accettabile una simile spiegazione: “Vedi un po' se la Sapienza, che è principio delle vie di Dio (Pv 8,22), si possa intendere come principio in questo senso”.¹ Avendo a disposizione un ventaglio di significati riguardo al termine “principio” Origene, fra tutti questi, ne sceglie uno che possa dare il senso più appropriato all'espressione di Gv 1,1 “Nel principio era il Logos”:
“Avendo per ora a disposizione questi numerosi significati del termine 'principio', cerchiamo in quale di essi vadano intese le parole: “Nel principio era il Logos”. Va escluso, è chiaro, quello di aggio da un luogo a un altro, come pure quello di cammino e di distanza. Non meno chiaramente da escludersi, quello di origine”.¹⁷
Origene sceglie come senso adeguato al termine principio di Gv 1,1 quello di causa agente: “É possibile, tuttavia, accoglierlo nel senso di “ciò da cui (τό ὑφ ′οὗ), cioè di agente (το ποιοῦν), se è vero che “Dio comandò e furono creati” (Sal 148,5)”.¹⁸ Origene cita il Sal 148,5 per testimoniare che anche per la Sacra Scrittura questo è il significato convenevole in ordine al termine principio in Gv 1,1. In questo modo Origene, fra tutti i significati letterali del termine principio, sceglie quello di “causa agente” per darne un'interpretazione cristologica in ordine al primo stico di Gv 1,1:
“Cristo infatti è in un certo senso creatore, perché è per mezzo di lui che il Padre
dice: “Sia fatta la luce” (Gen 1,3) e “Sia fatto un firmamento” (Gen 1,6). Cristo però è creatore, inteso come principio, in quanto è Sapienza; e si chiama principio proprio per il fatto che è Sapienza. Dice infatti la Sapienza nei Proverbi di Salomone: “Dio mi creò principio delle sie vie, in vista delle sue opere” (Pv 8,22)”.¹
Origene quindi denomina col termine “principio” Cristo preesistente il quale, essendo sapienza del Padre, è il principio di tutte le cose in quanto per mezzo di lui sono state fatte tutte le cose. Egli cita Gen 1,3 e Gen 1,6 per spiegare l'attività mediatrice del Logos. Inoltre cita Pv 8,22 per dichiarare che Cristo è principio dell'attività creatrice di Dio.
1.1.2.
Il principio è sapienza immanente
Origene, sempre in relazione al prologo di Giovanni, identifica il principio con la sapienza immanente nel seno del Padre:
“Dice infatti la Sapienza nei Proverbi di Salomone: “Dio mi creò principio delle sue vie, in vista delle sue opere” (Pv 8,22). Cosicché “il Logos era nel principio”, cioé nella Sapienza, intendendo per Sapienza il sussistere (συστασι) della contemplazione relativa a tutte le cose e dei concetti (νοήματα); (...) di ciò che è contemplato”.²
Origene cita Pv 8,22 per affermare che la sapienza è la conoscenza ipostatizzata di Dio in cui sono racchiusi tutti i pensieri e i concetti del Padre, tutto ciò che è fonte di contemplazione per gli esseri che vengono dopo di lui. In tal modo Origene dà al termine sapienza di Pv 8,22 un senso intellettuale-spirituale dal momento che la sapienza è la somma dei concetti che sono insiti nella mente del Padre.
Più avanti Origene infatti afferma che nella sapienza erano presenti, cioé sussistevano le ragioni delle cose future: “Tutte le cose sono state fatte secondo le ragioni delle cose future che Dio aveva già da prima manifestato nella Sapienza. “Egli infatti ha fatto tutto nella Sapienza” (Sal 103,24)”.²¹
Egli spiega inoltre che nella sapienza sono contenuti la struttura (πλάσις), le forme (ϵἶδη) e le sostanze di tutte le cose: “Dio avendo creato, per così dire, una Sapienza vivente, le affidò il compito di trasmettere (...) sia la struttura (πλάσις) sia le forme (ϵἶδη) e, come io ritengo, anche le sostanze (οὐσίας)”.²² Origene cita anche il Sal 103,24 per riaffermare che nella sapienza di Dio sono contenute le sostanze, le forme e le strutture di tutte le cose che verranno create. La citazione
sia di Pv 8,22 che di Sal 103,24 ricorre nel Commento a Giovanni di Origene in I,243, dove appunto la sapienza assume i connotati di essereun'ipostasi incorporea dotata di “teoremi multiformi”, nei quali vengono contenute le ragioni di tutti gli esseri. Per tale motivo la sapienza è trascendente ad ogni creatura, perché, a partire dai multiformi concetti insiti nella sapienza stessa, sono state fatte tutte le cose. A riprova di questo Origene cita Pv 8,22 e Sal 103,24:
“La Sapienza non ha infatti il suo esistere in semplici rappresentazioni (φαντασίαι) del Dio e Padre dell'universo, [simili] per analogia ai pensieri umani [che si fondano] su rappresentazioni incerte (φαντάσματα). Chi è in grado di concepire come vivente e, per così dire, animata, un'ipostasi incorporea [composta] di teoremi multiformi (θϵωρήματα ποικίλα) che contengono le ragioni di tutti gli esseri, conoscerà questa Sapienza di Dio trascendente ogni creatura, quella Sapienza che a buon diritto dice di sé: “Dio mi creò principio delle sue vie, in vista delle sue opere” (Pv 8,22). In virtù di questa creazione, tutta la creazione poté sussistere, dotata di una capacità di accogliere la divina Sapienza secondo la quale è stata creata. Infatti, secondo la parola del profeta David, Dio ha fatto tutte le cose nella Sapienza (Sal 103,24)”.²³
Pertanto in Origene si riflette la concezione medioplatonica e poi plotiniana non solo dei concetti che stanno nella mente di Dio, ma anche delle idee esemplari sussistenti nella sapienza. Infatti per Plotino il nous, che è l'intelletto, comprende nella sua totalità tutte le idee:
“Nella sua totalità l'Intelligenza è la totalità delle forme; ma la forma singola è l'Intelligenza in quanto singola, come la scienza nella sua totalità è tutti i suoi teoremi, ma ciascun teorema è parte della scienza intera, non come se fosse separato nello spazio, ma in quanto è valido solo nel tutto”.²⁴
Per Plotino queste idee, che sussistono ipostaticamente nell'intelletto, hanno la funzione di contemplare l'Uno che è l'assolutamente trascendente.²⁵ Anche per il
medioplatonico Alcinoo le idee sono i pensieri di Dio (νοήματα).² Similmente Attico presenta la dottrina, caratteristica del medio-platonismo, delle idee come pensieri di Dio:
“I pensieri di Dio sono anteriori alle cose: essi sono i modelli incorporei e intelligibili delle cose che nascono, sono sempre identici e nello stesso stato, esistono in massimo grado e in modo primario, e per ciascuna delle altre cose sono concause della sua identità, basata sulla sua somiglianza ai modelli”.²⁷
Le idee, sempre per Attico, non sono contenute nell'intelligenza del Dio demiurgo, ma sono delle entità autonome che sussistono al di fuori di essa: “ed essi (i seguaci di Attico) presentano le idee come inerti, simili alle forme dei fabbricanti di bambini, esistenti in modo autonomo e situate al di fuori dell'intelligenza”.²⁸
Origene, inserendosi nell'ambito della tradizione alessandrina, si avvale, nella sua esegesi di Pv 8,22 e di Sal 103,24, dei concetti propri della filosofia medioplatonica e neoplatonica per spiegare l'identità della sapienza immanente nella mente del Padre. Fra i concetti e le sostanze contenute nella mente del Padre è situato il Logos:
“Poiché ci siamo proposti di vedere chiaramente l'espressione “In principio era il Logos”, e poiché abbiamo documentato con testimonianze tratte dal libro dei Proverbi (8,22) che “principio” è detta la Sapienza; e poiché questa Sapienza è concepita anteriore al Logos che la manifesta, si deve intendere che il Logos è sempre “nel principio”, vale a dire nella Sapienza”.²
1.1.3. Il Logos è sapienza
Origene denomina il Logos sapienza: “Cristo (...), inteso come principio, in quanto è Sapienza; e si chiama principio proprio per il fatto che è Sapienza”.³ Origene, come si vede, identifica il Logos con la Sapienza e col principio perché il Verbo è nella mente del Padre che è Sapienza. Quindi la Sapienza, per Origene, è anteriore al Logos e equivalente al “principio”, nella quale sussiste il Logos:
“e poiché questa Sapienza è concepita anteriore al Logos che la manifesta, si deve intendere che il Logos è sempre “nel principio”, vale a dire nella Sapienza. E se è nella Sapienza, che è il principio, nulla vieta che egli sia “presso Dio” (...) cioè nella Sapienza (...) anche Cristo, in quanto è Logos, si dovrà pensare come avente il suo esistere “nel principio”, cioè nella Sapienza”.³¹
Più avanti Origene precisa che il Logos è denominato sapienza, perché “tutte le cose sono fatte secondo la Sapienza, cioé secondo i tipi (derivanti) dal complesso (sussistente) dei concetti che sono in lui, (nel Logos)”.³² Origene dà al termine sapienza un senso intellettuale, ponendosi in linea con la scuola alessandrina. Infatti egli qui si richiama ai medioplatonici e a Plotino in quanto egli identifica le idee che sono nella sapienza del Padre col Logos. Questo viene ad essere non solo colui nel quale sono presenti e raccolti i pensieri e le idee del Padre, ma anche colui nel quale sono raccolti gli archetipi della creazione, in quanto il Logos contempla i pensieri che sono insiti nella mente del Padre. Infatti per il medioplatonico Plutarco il demiurgo è colui che contempla le idee sussistenti nell'essere vivente intelligibile.³³ Egli si colloca sulla falsariga del Timeo platonico dove il nous del demiurgo contempla le idee:
“E tutte le altre cose, fino alla generazione del tempo, erano state eseguite a somiglianza di ciò che Egli imitava; ma, siccome il cosmo non comprendeva ancora in sé tutti quanti i viventi che dovevano essere generati, in questo che
mancava era ancora dissomigliante dal modello. Ora, questo che mancava Egli lo compì modellandolo sulla natura del modello”.³⁴
Sulla stessa linea del Timeo platonico si colloca Plotino, il quale afferma che l'intelletto contempla gli intelligibili come se stesso, in quanto costituiscono la sua essenza:
“se nella contemplazione ci sono le cose contemplate, allora: o queste sono soltanto la loro impronta, e in questo caso egli non possiede le cose stesse; oppure possiede le cose stesse, e in questo caso egli non le vede né possiede se stesso perché si sia frazionato, ma l'Intelligenza contemplava e possedeva se stessa prima di dividersi. In questo caso, la contemplazione dev'essere identica alla realtà contemplata, e l'Intelligenza all'oggetto intelligibile: se non fosse così, non ci sarebbe verità; e chi afferrasse l'ente, ne avrebbe solo una traccia, la quale è cosa diversa dall'essere; e nemmeno questa è verità. La verità cioè non deve essere verità di altra cosa; ma ciò che essa dice tale deve essere. Sono così una cosa sola l'Intelligenza e l'oggetto dell'Intelligenza; e questo oggetto è l'Essere, il primo Essere; e la prima Intelligenza ha in sé gli esseri, o meglio, è identica agli esseri (...). Se il pensiero dell'Intelligenza è l'oggetto pensato, se l'oggetto pensato è Lei stessa, l'Intelligenza penserà se stessa”.³⁵
Quindi Origene dà al termine sapienza un significato prima intellettuale e poi cristologico. Per spiegare ciò Origene si avvale del metodo della comparazione. Come una casa è stata costruita secondo i tipi architettonici che fungono da principi della casa, così tutte le cose sono state fatte secondo le ragioni e i typoi derivanti dai concetti che sussistevano nel Logos, che è nella mente del Padre:
“Allo stesso modo infatti che una casa, una nave sono fabbricate secondo i tipi architettonici, sicché si può dire che principio della casa e della nave sono i tipi e le ragioni che sono nell'artefice, così, io penso, tutte le cose sono state fatte secondo le ragioni delle cose future che Dio aveva già da prima manifestato nella Sapienza”.³
Pertanto per Origene il Logos che è nel principio, in quanto sapienza del Padre, contempla, sulla falsariga del nous plotiniano, gli archetipi delle cose e i concetti che sono nella sapienza del Padre. Quindi la Sapienza per Origene non è solo la conoscenza ipostatizzata che il Padre ha di se stesso, la contemplazione del contenuto del proprio pensiero, ma è anche il Logos perché nel Logos è racchiuso tutto ciò che il Logos stesso ha contemplato dal Padre, in quanto partecipe del Padre. Nel Logos, che è sapienza del Padre, quindi sono racchiusi gli archetipi della creazione, ai quali il Logos rivolge lo sguardo per modellare gli esseri.
a. Il Logos demiurgo
La funzione del Logos per Origene è quindi non solo, come abbiamo visto, quella di contemplare gli archetipi posti nella mente del Padre, ma anche quella di comunicare agli esseri ciò che il Logos ha contemplato:
“Cristo però è creatore, inteso come principio, in quanto è Sapienza; e si chiama principio proprio per il fatto che è Sapienza. Dice infatti la (Sapienza nei Proverbi di Salomone: “Dio mi creò principio delle sue vie, in vista delle sue opere”) (Pv 8,22). Cosicché “il Logos era nel principio”, cioé nella Sapienza, intendendo per Sapienza il sussistere (σύστασιν) della contemplazione relativa a tutte le cose e dei concetti (νοήματων); per Logos, invece, la comunicazione agli esseri dotati di logos di ciò che è contemplato”.³⁷
Il termine sapienza per Origene ha dunque un duplice significato in rapporto al Logos: da una parte la sapienza è identificata col Logos che contempla le idee del Padre e che sono in lui contenute, e dall'altra il Logos è denominato sapienza in relazione alla sua attività demiurgica, in quanto trasmette agli esseri inferiori la struttura, la forma delle sue idee archetipe. È cosí presente in Origene la concezione medioplatonica della funzione demiurgica del Logos; funzione attraverso la quale il Logos forma gli esseri viventi secondo le idee contemplate nella mente del Padre, trapiantando in ciascuno i principi seminali.
Per il medioplatonico Numenio infatti il demiurgo è colui che imprime le forme nella materia plasmandola secondo le idee poste nella mente divina.³⁸ Anche Alcinoo afferma che l'universo è stato fabbricato dal demiurgo che, volgendo lo sguardo ai modelli archetipi, ha reso l'universo simile a questi.³
Origene prosegue nel suo commento affermando che
“Dio avendo creato, per così dire, una Sapienza vivente, le affidò il compito di trasmettere, dagli archetipi che essa conteneva, agli esseri e alla materia, sia la struttura (πλάσις) sia le forme (ϵιδη) e, come io ritengo, anche le sostanze (οὐσίαι)”.⁴
Origene qui si richiama alla concezione medioplatonica delle idee sussistenti nella mente di Dio e, in quanto pensieri di Dio, idee archetipe, sulla base delle quali il secondo dio demiurgo forgia la materia. Per Origene quindi Cristo viene denominato sapienza perché è colui che, in qualità di mediatore, trasmette, volgendo lo sguardo agli archetipi che sono le idee e i pensieri del Padre, la struttura, le forme e le sostanze, contenuti negli archetipi, agli esseri e alla materia. Pertanto Origene si avvale, nella sua tecnica esegetica di stampo alessandrino, del testo biblico di Pv 8,22 per dare un'interpretazione intellettuale e cristologica al termine sapienza-principio in funzione dell'attività mediatrice del Logos: la sapienza viene ad essere il principio perché nel Logos sono racchiusi i concetti e i modelli archetipi del Padre, ma la sapienza viene anche ad essere il principio della creazione perché questi concetti e archetipi, contenuti nel Logos, vengono trasmessi mediante la sua stessa attività demiurgica alle creature. Da ciò si evince che Origene dà al termine principio di Gv 1,1 un'interpretazione intellettuale-cristologica, in relazione all'attività demiurgica del Verbo preesistente.
b. Il Logos è molteplice
Origene afferma che il Logos, diversamente dal Padre che è un'unità semplice, “diviene molte cose” perché Dio l'ha posto come primizia delle creature. Di Lui infatti le creature hanno bisogno per poter essere liberate dalle loro limitatezze di ordine materiale:
“Dio, quindi, è assolutamente uno e semplice; il Salvatore nostro invece, siccome Dio l'ha posto come propiziazione e primizia di ogni creatura (Rm 3,25), a causa di questi molti (beni), diventa molte cose e forse tutte le cose, per cui ha bisogno di lui ogni creatura che può esser liberata (Rm 8,21). Per questo, egli diventa luce degli uomini, allorché questi, accecati dal male morale, hanno bisogno di quella luce che brilla nelle tenebre e non è afferrata dalle tenebre (Gv 1,5), mentre non sarebbe forse divenuto luce degli uomini, se questi non si fossero venuti a trovare nelle tenebre”.⁴¹
Per rendere possibile la partecipazione degli esseri al Logos, di cui hanno bisogno, il Logos per Origene diviene molteplice. Anche per questa concezione egli si richiama a Plotino, per il quale il nous diviene molteplice perché molteplici sono gli intelligibili, dai quali “derivano il Numero e la Quantità, e la Qualità è il carattere proprio di ciascuno di essi. Da questa, come da principi, procedono le altre cose”.⁴²
Più avanti lo stesso Origene afferma che questa molteplicità è collegata a “tutti quegli aspetti che possono essere accolti da parte di coloro i quali, in ragione della loro perfezione, sono in grado di accogliere gli aspetti più belli di lui!”.⁴³
Riguardo alle ϵπινοιαι, ovvero ai numerosi aspetti per i quali il Logos si manifesta agli uomini, Origene precisa che questi sono attribuiti al Logos dagli
uomini, a seconda della loro preparazione volta a comprendere la realtà divina del Logos che nella sua sostanza (ὑποκϵιμένον) rimane identica a se stessa: “Nessuno però si scandalizzi per il fatto che noi facciamo distinzione tra questi aspetti (ἐπινοίαι) del Salvatore, ritenendo che noi introduciamo tale distinzione anche nella sostanza”.⁴⁴ Pertanto Origene vuole farci capire, - rifacendosi alla distinzione in tutto ciò che esiste, di origine stoica, tra un substrato (ὑποκϵιμένον) che rimane identico a se stesso e le qualità che sono accidentali, che questi aspetti, sebbene affondano le loro radici nella natura del Logos, non ne intaccano la sostanza che è unica e identica a se stessa: le qualità (ἐπινοίαι) sono attribuiti al Logos dalla mente umana che è incapace per debolezza a cogliere la inesauribile ricchezza della realtà divina e, in quanto tali, sono distinte dalla sua natura. A tal riguardo Origene dichiara che possiamo conoscere i tanti aspetti che fanno parte del Logos partendo dai tanti nomi con cui lo si designa e poi spiegare il senso profondo di questi nomi, servendosi di argomentazioni probanti. La tecnica esegetica di Origene dunque parte dal significato letterale immediato di questi nomi e mira a provare come queste denominazioni si applicano al Verbo, dando conseguentemente a queste il relativo significato spirituale-cristologico:
“Occorre, quindi, dire questo: come per ciascuno dei nomi suddetti bisogna definire il concetto di colui che li porta, partendo dal significato della denominazione, e poi spiegare con argomenti probanti in che modo questo nome si applica al Figlio di Dio, la stessa cosa si deve fare anche a proposito del fatto che egli è chiamato “Logos”. Che arbitrio è mai quello di non fermarsi al significato letterale di ciascuno dei vari nomi, cercando al contrario in che modo si deve interpretare, ad esempio, che egli è “porta”, o “vite” o “via”, mentre non si deve fare altrettanto unicamente per quanto riguarda l'appellativo di “Logos”? Per poter quindi accettare, in modo più atto a confutare (costoro), quanto diremo sul modo in cui il Figlio di Dio è Logos, è necessario incominciare dai nomi di Cristo che abbiamo prima elencati(...). Del resto, una volta che ci siamo addentrati nella teologia del Salvatore, a mano a mano che con tutte le nostre forze noi indaghiamo e veniamo a conoscere ciò che lo concerne, noi lo comprenderemo necessariamente in modo più completo non soltanto in quanto è Logos ma anche sotto gli altri (aspetti)”.⁴⁵
A tal proposito ci soffermiamo su un nome che Origene attribuisce al Verbo, come esempio di tutti gli altri nomi ai quali Origene dà oltre che un significato letterale anche un significato spirituale. Origene afferma che Cristo ha detto di essere “luce del mondo”. Origene non spiega subito il significato profondo di queste parole “luce del mondo”, ma si ferma in un primo momento al loro significato letterale, esaminando le altre denominazioni del Verbo che, secondo il senso comune, si avvicinano: “Orbene, egli ha detto di essere “luce del mondo”. Occorre, quindi, esaminare anche le altre (denominazioni) che a questa si avvicinano e anzi, secondo l'opinione di alcuni, con questa s'identificano (...)”.⁴ In un secondo momento Origene invece spiega che la luce del mondo applicata al Verbo non ha lo stesso senso della luce sensibile. Essa non è simile a quella dei luminari che Mosé dice creati nel quarto giorno, perché è la luce del mondo intelligibile con la quale il Salvatore illumina coloro che sono dotati di ragione:
“Ora, luce sensibile del mondo è senza dubbio il sole e, in via subordinata, si potrà applicare, senza alcuna improprietà, questa denominazione anche alla luna e alle stelle. Ma poiché questi luminari, che Mosé dice creati nel quarto giorno, sono luce sensibile, in quanto illuminano ciò che è sulla terra, essi non sono luce vera. Il Salvatore, invece, illumina gli esseri dotati di logos (λογικοί) e di “parte dominante” (…) perché il loro intelletto possa vedere quelle che sono le realtà proprie della sua capacità visiva: egli è quindi luce del mondo intelligibile, voglio dire, delle anime dotate di logos che sono nel mondo sensibile (...)”.⁴⁷
Servendosi della stessa tecnica esegetica Origene cita altri esempi. Un altro aspetto che per Origene è presente nella natura del Logos, in quanto è uno dei tanti beni contenuti nel Logos, è il concetto di “vita”. Origene aggiunge che
“Giovanni, pertanto, parlando del Logos, ha aggiunto: 'Ciò che è stato fatto (γέγονϵν) in lui era vita” (Gv 1,4). La vita, quindi, è stata fatta nel Logos. Ora, il Logos non è diverso e distinto da Cristo, il Logos che è Dio, che è presso il Padre e per mezzo del quale tutto fu fatto; e la vita non è diversa e distinta dal Figlio di Dio, perché questi dice: “Io sono la via, la verità e la vita” (Gv 14,6). E pertanto, come la vita è stata fatta nel Logos, cosí il Logos era nel principio”.⁴⁸
Origene cita in un primo momento Gv 1,4 per dare al termine vita un significato letterale: infatti nel Logos, mediatore della creazione, sono state fatte tutte le cose viventi. In un secondo momento egli cita Gv 14,6 per dare al termine vita un senso cristologico, perché la vita viene identificata con il Verbo. Per Origene quindi la vita è uno degli aspetti più importanti del Logos, perché il Logos non soltanto dà l'esistenza materiale a tutti gli esseri della creazione (significato letterale di Gv 1,4) ma dà anche la salvezza a tutti gli esseri della creazione, per cui il termine vita ha un senso soteriologico (senso spirituale-cristologico di Gv 14,6) in rapporto a Cristo.
1.1.4. Il Logos è parola del Padre
Origene si avvale della categoria di origine platonica di Logos per affermare che il Figlio di Dio è la parola del Padre. Origene si rivolge, come del resto aveva fatto Ireneo⁴ contro gli gnostici valentiniani, i quali si limitavano a spiegare la generazione del Logos dal Padre in analogia all'atto della pronunzia delle parole che escono dalla bocca dell'uomo:
“Orbene, cos'è mai il Figlio di Dio, indicato con il nome di “Logos”? È giusto che rivolgiamo questa domanda a coloro i quali si servono esclusivamente di questa denominazione, rifiutando le numerose altre, oppure esigendone un'accurata spiegazione quando qualcuno gliele propone, mentre si accostano con sicurezza a quella di “Logos”, come se fosse evidente. Soprattutto perché, in connessione con questa denominazione, essi si servono di quelle parole: “Il mio cuore ha eruttato una Parola (Logos) buona” (Sal 44,2) e credono che il Figlio di Dio sia l'atto di pronunziare (πρόφορα) da parte del Padre, che termina, per così dire, nelle sillabe”.⁵
Origene si ferma ad esaminare il o di Sal 44,2, o che, secondo lui, è inteso dai “molti” nel suo semplice senso letterale immediato, senza scorgervi in questo o il senso profondo della Parola divina. Infatti Origene rimprovera loro di ritenere che l'attributo di logos (parola), come il termine cuore, siano solo una parte di Dio similmente come lo è nel nostro corpo:
“Occorre però non lasciar are senza esame il o del Salmo 44,2: “Il mio cuore ha eruttato una parola buona, io dico le mie opere al re”, che spessissimo è citato dai “molti”, come se fosse (da loro) compreso. Supponiamo infatti che sia il Padre a dire (queste parole); come dev'essere dunque il suo “cuore”, perché possa venirne fuori, in conformità, la “Parola buona”? Se infatti, secondo costoro, l'attributo di “Logos” (Parola) non ha bisogno di spiegazione, non ne ha bisogno neanche il termine “cuore”: e questo è il colmo dell'assurdità, ritenere
cioé che esso sia una parte di Dio, analogamente a quello che è nel nostro corpo”.⁵¹
Origene ricorda a questi simpliciores, cioè a coloro che si attengono alla lettera del testo, che quando il testo biblico menziona le parti corporee della persona di Dio, il testo biblico, per Origene, non si riferisce al loro senso immediato letterale, ma al loro senso spirituale e cristologico sebbene parta dal senso letterale. Cosí per Origene come colui che erutta manda fuori l'aria che era dentro di lui, allo stesso modo il Padre emette i teoremi della verità nel Logos, il quale ne riceve l'impronta e per tale motivo il Logos viene denominato immagine di Dio invisibile. Origene quindi ribadisce ai “molti” che l'esegesi spirituale-cristologica di Sal 44,2 è fondata sul presupposto della loro stessa esegesi letterale, per i quali è il Padre in persona che ha detto le già citate parole del Salmo:
“Bisogna ricordare a costoro che quando si parla di mano, di braccio, di dito di Dio, noi non fissiamo il nostro pensiero sulla pura lettera, ma cerchiamo in che modo queste cose si possano intendere in modo corretto e degno di Dio; allo stesso modo, per “cuore” di Dio si deve intendere la sua potenza di pensare e predisporre riguardo a tutte le cose, e per “Logos” l'annunziatore di ciò che in essa è contenuto. Ma chi, se non il Salvatore, annunzia i disegni del Padre alle creature che ne sono degne, soggiornando anche presso di loro? Ma forse anche l'espressione “ha eruttato” è usata non invano: in luogo di questa infatti se ne potevano usare infinite altre: “il mio cuore ha emesso, ha detto (...) una buona parola”. Come l'eruttare è il venir fuori di aria nascosta in colui che erutta e, per cosí dire, manda in su aria che è dentro, allo stesso modo il Padre, non contenendo i teoremi della verità, li erutta e ne crea l'impronta (τυπος) nel Logos, che per questo è chiamato “immagine di Dio invisibile”. Questo, se si accetta il presupposto dei “molti” che sia il Padre a dire le parole: “Il mio cuore ha eruttato una buona parola”.⁵²
1.1.5. Il Logos è ipostasi
Origene cita Sal 44,2, come abbiamo visto precedentemente, per darne una interpretazione spirituale-cristologica anche nei confronti della “Parola eruttata dal Padre”, Parola che per l'esegesi di Origene viene a coincidere col Figlio che è un'ipostasi. Origene polemizza con l'esegesi dei simpliciores che, fermandosi al senso letterale, negano l'ipostasi del Figlio:
“In questo modo, se noi li incalziamo con domande stringenti, vengono a negargli un'ipostasi (ὑπόστασις), né riescono a spiegare come egli abbia una sostanza, non diciamo ancora determinata, ma una sostanza come che sia. Che una parola pronunziata sia un figlio è infatti impossibile a chiunque capirlo. Ci annunzino pure costoro come Logos che è Dio una parola siffatta vivente per se stessa, sia che la si intenda come non distinta dal Padre (e allora non sarebbe neppure Figlio, in quanto non ha una sua esistenza) e sia che la si intenda come distinta dal Padre e dotata di una sua sostanza”.⁵³
Origene, ricollegandosi a quanto abbiamo detto (nel secondo sottoparagrafo del secondo paragrafo) che il Logos (Verbo) è sapienza, dichiara che il Verbo esiste nella sapienza di Dio: il suo esistere non è semplice rappresentazione di Dio Padre, ma ipostasi incorporea vivente e animata, “composta di teoremi” pluriformi che contengono le ragioni di tutti gli esseri. Il Logos per Origene ha sussistenza propria perché è la Sapienza di Dio trascendente ogni creatura, che ha una propria individualità in quanto è vivente e animata, non analogabile ai pensieri umani che si basano su rappresentazioni incerte:
“Non bisogna però are sotto silenzio neppure che egli è, ed è quindi giustamente chiamato, “Sapienza di Dio”. La Sapienza non ha infatti il suo esistere in semplici rappresentazioni (φαντασίαι) del Dio e Padre dell'universo, (simili) per analogia ai pensieri umani (che si fondano) su rappresentazioni incerte (φαντάσματα). Chi è in grado di concepire come vivente e, per così dire,
animata, un'ipostasi incorporea (composta) di teoremi multiformi (θϵωρήματα ποικίλα) che contengono le ragioni di tutti gli esseri, conoscerà questa Sapienza di Dio trascendente ogni creatura, quella Sapienza che a buon diritto dice di sé: “Dio mi creò principio delle sue vie, in vista delle sue opere” (Pv 8,22)”.⁵⁴
Origene cita Pv 8,22 per affermare che la Sapienza era già un'ipostasi distinta dal Padre. Per far risaltare maggiormente il carattere individuale, congenito e relativo al termine sapienza, Origene parafrasa la profezia di Davide (Sal 103,24), secondo la quale Dio ha fatto tutte le cose nella Sapienza. A tal proposito Origene, prendendo il testo biblico così com'è sia di Pv 8,22 che di Sal 103,24 riguardo al termine sapienza, ne dà poi un'interpretazione cristologica:
(...) secondo la parola del profeta David, Dio ha fatto tutte le cose nella Sapienza (Sal 103,24). Molte però sono bensì create per una partecipazione alla Sapienza, ma non s'impadroniscono per conto loro di colei in cui sono create. Soltanto pochissime, invece, comprendono non soltanto la Sapienza che è relativa a loro ma anche quella che è relativa a molte altre creature, vale a dire Cristo che è tutta la Sapienza”.⁵⁵
Più avanti Origene metterà in risalto che il Logos (il Verbo), essendo nella sapienza del Padre, ha una propria personalità divina:
“(...) il Logos è sempre “nel principio”, vale a dire nella Sapienza. E se è nella Sapienza, che è il principio, nulla vieta che egli sia “presso Dio” e che egli sia Dio; e nulla vieta che egli non sia “presso Dio” puramente e semplicemente ma rimanendo nel suo principio, cioè nella Sapienza (...)”.⁵
Per Origene il Logos ha una propria individualità “circoscritta”, dotata di potenza. Origene cita l'espressione “Questo dice il Signore delle potenze” che si trova di frequente nei testi biblici e anche in 1Cor 1,24 che egli cita, per
affermare che col nome di potenze si indicano gli esseri divini dotati di logos.
Da questa lettura relativa a ICor 1,24 Origene a a darne un'interpretazione cristologica, affermando che il migliore di questi esseri divini è Cristo denominato pertanto non solo sapienza di Dio, ma anche potenza di Dio:
“E allo scopo ancora di assumere il Logos come dotato di una propria individualità circoscritta (πϵρίγραφη), quasi fosse vita per sé stesso, si deve parlare non solo di potenza ma anche di potenze, dal momento che spesso si trova (l'espressione): “Questo dice il Signore delle potenze”. Si dà il nome di potenze a certi esseri divini, viventi e dotati di logos, tra i quali il più eccelso e il migliore era Cristo, chiamato non soltanto “sapienza” ma anche “potenza” di Dio (1Cor 1,24)”.⁵⁷
Quindi Cristo possiede la sua esistenza distinta da quella del Padre nel principio, cioè nella sapienza:
“(...) in virtù delle nostre considerazioni precedenti, anche Cristo, in quanto è Logos, si dovrà pensare come avente il suo esistere “nel principio”, cioè nella Sapienza (...) per ora basterà così intorno al versetto: “In principio era il Logos”.⁵⁸
1.2. “Il Logos era presso Dio”
1.2.1. L'esistenza del Logos presso Dio
Origene nel libro II paragrafo1, nel commentare il secondo stico di Gv.1,1, intende spiegare in che modo il “Logos era presso Dio”(Gv 1,1). Origene afferma la coeternità del Logos con il Padre. Egli lo desume dalle due espressioni che compongono il versetto di Gv 1,1: “Nel principio era il Logos” e “egli era presso Dio”. Il Verbo “era” attesta che il Figlio era da sempre insieme al Padre prima ancora che venisse creato il tempo. Origene spiega all'amico Ambrosio che prima degli eoni, che secondo il pensiero gnostico costituivano il pleroma, il Logos esisteva presso il Padre:
“Egli non viene “presso Dio”, quasi che prima non ci fosse; di lui è detto: “Egli era presso Dio” e non “venne presso Dio”, perché egli è eternamente con il Padre. In entrambe le espressioni: “nel principio era” e “egli era presso Dio”, è usato lo stesso verbo “era”, perché egli non può essere separato dal principio né staccato dal Padre; e perché non viene “nel principio” dal non essere nel principio, né viene “presso Dio” dal non essere presso Dio. Prima di ogni tempo ed “eone” “nel principio era il Logos” e “il Logos era presso Dio”.⁵
Origene analizza Gv 1,1 così com'è e, ponendo una particolare attenzione al linguaggio giovanneo, ricerca il significato letterale del verbo “era”, giungendo alla conclusione che la voce verbale “era” è indice dell'eternità del Verbo. Egli confuta al tempo stesso l'interpretazione gnostica e in particolare quella di Eracleone, secondo il quale prima di ogni eone non poteva esistere il Logos. Nella sua analisi dell'espressione “Il Logos era presso Dio” Origene impiega anche un altro dei canoni esegetici fissato da Aristarco: quello di spiegare Omero con Omero. Origene se ne serve per spiegare il senso dell'espressione “Il Logos era presso Dio” in ordine alla totalità della Scrittura, per dimostrare l'unità della Sacra Scrittura contro il dualismo dell'interpretazione gnostica. A tale proposito Origene cita i i dei profeti ai quali il Logos è apparso, quali Os 1,1; Is 2,1; Ger 14,1, confrontandoli a vicenda per desumere da questi i in che modo il Logos era presso Dio. Il Logos per Origene “venne” a Osea il cui “nome (...) significa infatti “salvato”-, il figlio di Beeri, che vuol dire “pozzi”: ciascun
redento infatti è figlio di una sorgente che sgorga dalle profondità, (figlio) cioè della Sapienza di Dio”. A proposito della citazione di Os 1,1 Origene in un primo momento parte dalla lettura letterale di questo o, in quanto l'incontro tra Osea e il Logos (“Parola del Signore”) avvenne sul piano della storia, mentre in un secondo momento Origene dà a questo o un senso spiritualemistico, perché l'incontro sarebbe avvenuto tra il Logos e Osea da lui redento: colui quindi che è stato redento dal Logos come Osea, figlio di una sorgente che ripone le sue fondamenta nella Sapienza di Dio.
Origene ha dato al o di Os 1,1 anche un'interpretazione morale, dal momento che per lui l'appellativo di “figlio” è correlato a colui che compie nobili azioni: “Nessuna meraviglia che il santo sia “figlio di pozzi”, perché l'appellativo di “figlio” gli è spesso attribuito in virtù delle sue nobili azioni”. ¹ Anche al o di 1Ts 5,5 Origene dà un senso morale-cristologico, perché chi è “figlio della luce” (1Ts 5,5), cioè del Logos, è colui che ha una condotta integra, “in quanto le sue azioni risplendono davanti agli uomini” (Mt 5,16). Il testo di Mt 5,16 è preso nel suo senso letterale per mostrare il senso morale del precedente o. Il o di Fil 4,7 è citato da Origene in senso letterale per affermare che la pace è insita nella vita del Logos presso Dio. Al testo di Lc 7,35 Origene dà un senso morale, perché colui che è “figlio della sapienza” è colui che ha tratto da questa dei buoni insegnamenti, che sono stati alla base di una prassi di vita esemplare: “figlio della sapienza per il vantaggio che sa trarre dalla sapienza: “Alla sapienza, dice infatti (Gesù), è stata data ragione da tutti i suoi figli “(Lc 7,35)”. ² Origene legge poi Rm 11,33 in senso letterale per dichiarare che la sapienza e la scienza sono collocati nella vita divina del Padre. ³ Poi Origene continua affermando che il Logos venne a Isaia e a Geremia. ⁴ Origene quindi spiegando l'espressione di Gv 1,1 “Il Logos era presso Dio” in relazione alla totalità della Sacra Scrittura, avverte la differenza che esiste tra “era” e “venne” e ne desume che il Logos, venendo presso i profeti, sia colui che “li illumina con la luce della conoscenza (spirituale) (...) e li rende capaci di vedere, quasi fossero davanti agli occhi, cose che prima non comprendevano”. ⁵ Restando fedele alla lettera del testo di Gv 1,1, Origene afferma che Giovanni ha collocato l'espressione il “Logos era Dio” dopo quella del “Il Logos era presso Dio”, perché “si potesse comprendere che l'esser il Logos divenuto Dio deriva dall'essere presso Dio”. Rifacendosi poi a un altro dei criteri esegetici, quello di prestare attenzione alla persona che parla e, in questo caso al testo di Gv 1,1, dichiara che la divinità del Logos è strettamente collegata al fatto che il “Logos
era presso Dio”. Conseguentemente Origene, restando fedele al testo di Gv 1,1 e a tale citato criterio esegetico, afferma che Giovanni in 1,1 mette l'articolo davanti a θϵός, quando questo termine si riferisce a Dio creatore, mentre lo omette quando il termine Dio si riferisce al Logos. Allo stesso modo Giovanni pone l'articolo davanti a Logos quando questo è inteso come “la fonte del Logos che è in ciascun essere dotato di logos”, ⁷ mentre Giovanni omette l'articolo al titolo di Logos quando questo “è in ciascun (essere dotato di logos)”. ⁸ Origene, partendo da tali considerazioni, confuta le eresie modalista e adozionista le quali, secondo Origene
“negano al Figlio una individualità (ἰδιότητα) distinta da quella del Padre, pur ammettendo che sia Dio colui che, a parer loro, soltanto di nome è chiamato “Figlio”; oppure negano al Figlio la divinità, salvandone la individualità (ἰδιότητα) e la sostanza (individualmente) circoscritta (...) concepita come distinta da quella del Padre (...)”.
1.2.2. Il Logos immagine archetipa di Dio
Origene, attenendosi alla lettera del testo di Gv 1,1, afferma che il vero Dio è ὁ θϵός mentre il “logos che era presso Dio” e che da Dio ha ricevuto la sua divinità è θϵός, Dio, e non il Dio. Il Logos a sua volta divinizza altri esseri che sono dopo di lui. Origene spiega questo appoggiandosi al Sal 49,1. Egli, partendo dal testo di Gv 1,1 e, analizzandolo, a a spiegare il testo servendosi anche della citazione di Sal 49,1, al fine che Gv 1,1 si possa comprendere sulla base dell'unità di tutta la Scrittura:
“Tra questi, di gran lunga il più angusto è il “primogenito di ogni creatura” (Col 1,15), in quanto, in virtù dell'esser “presso Dio”, per primo trasse a sé la divinità, divenuto poi ministro di divinizzazione per gli altri dei che sono dopo di lui (e dei quali Dio è Dio, secondo quanto dice la Scrittura: “Il Dio degli dei parlò e convocò la terra”) (Sal 49,1), attingendo da Dio e comunicando loro abbondantemente, secondo la sua bontà, perché fossero divinizzati. Vero Dio è dunque “il Dio “(ο θϵος); coloro invece che sono dei, in quanto prendono forma da lui, sono come immagini di un prototipo (...). E l'immagine archetipa delle varie immagini è “il Logos che era presso Dio”.⁷
Origene pertanto non si ferma alla lettera del testo di Gv 1,1, interpretandolo solo alla luce dell'unità della Scrittura, ma comprende il testo di Gv 1,1 secondo quella che è l'esegesi di tipo alessandrino, affermando che il Logos è anche immagine archetipa del prototipo che è Dio.
Origene si richiama alla speculazione plotiniana del nous che è immagine dell'Uno:
“Noi diciamo che l'Intelligenza è immagine dell'Uno (...). Era necessario infatti
che l'Intelligenza, perfetta com'è, generasse e che tale potenza non rimanesse sterile. Ma nemmeno in questo caso era possibile che il generato fosse superiore, ma doveva essere inferiore, essendo immagine di Lei”.⁷¹
Per Plotino il nous è l'immagine archetipa dell'Uno. Il nous per Plotino esiste in quanto contempla l'Uno.⁷² Origene, avvalendosi di questi concetti plotiniani, fonda la sua esegesi spirituale di tipo alessandrino, sempre su Gv 1,1, affermando che “il Verbo (logos) non rimarrebbe Dio se non perseverasse nella contemplazione perenne della profondità del Padre”.⁷³
1.3. “Il Logos era Dio”: la natura divina del Logos
Origene, collegandosi a quanto ha detto precedentemente, parte anche per questa sua seconda argomentazione, dalla lettera del testo biblico di Gv 1,1 e dà a questo testo il significato profondo di comprensione intellettuale, affermando che vi è un solo Dio Padre, mentre tutti gli altri dei divengono come tali per partecipazione:
“Ora però può accadere che alcuni siano urtati da quanto abbiamo detto, che cioè vi è un solo vero Dio, il Padre, e dopo questo Dio vero numerosi altri, divenuti tali per partecipazione; costoro infatti temono che la gloria di colui che supera ogni creatura sia equiparata a quella di tutti gli altri che ricevono l'appellativo di “dei”.⁷⁴
È questo un secondo livello di lettura di comprensione intellettuale fondato sull'idea della partecipazione che egli riprende da Plotino. Infatti Plotino afferma che gli esseri che derivano dall'Uno partecipano dell'Uno non in modo uguale alla sua natura, perché l'Uno permane invariato.⁷⁵ Pertanto questi esseri che sono derivati dall'Uno sono inferiori per natura all'Uno dal quale provengono.⁷
Origene applica questo secondo livello di lettura al Logos, dando così un'interpretazione cristologica: per Origene il Logos è Dio per partecipazione. Il Logos, in quanto immagine di Dio, non è Dio come il Padre, ma è derivato da Dio. Poiché è derivato da Dio, il Logos essendo partecipe della natura del Padre, non ha una natura uguale a quella di Dio Padre, bensí è al Padre subordinato. Questo Logos a sua volta rende partecipi di se stesso gli esseri che sono dotati di logos:
“E pertanto alla distinzione già fatta in precedenza, secondo cui abbiamo detto
che il Logos che è Dio è ministro della divinità per gli altri dei, dobbiamo aggiungerne un'altra. Il Logos che è in ciascun essere dotato di logos ha, rispetto al Logos che è Dio e che è “nel principio presso Dio”, lo stesso rapporto (λόγον) che il Logos che è Dio ha nei confronti di Dio. Il Padre, il Dio vero, il Dio in sé (...), sta alla sua immagine e alle immagini dell'immagine (ed è anche per questo che gli uomini non sono detti “immagini”(di Dio), ma “secondo l'immagine”) come il Logos in sé (...) sta al logos che è in ciascun essere dotato di logos. L'uno e l'altro sono sorgenti: di divinità il Padre, di logos il Figlio”.⁷⁷
Anche se non l'ha detto esplicitamente, per Origene, coloro che partecipano del Logos sono esseri inferiori per natura allo stesso logos, alla medesima stregua del Logos che a sua volta è inferiore per natura al Padre perché a Lui partecipe:
“E come ci sono molti dei, ma “per noi c'è un solo Dio, il Padre” (1Cor 8,5-6); e come ci sono “molti signori”, ma per noi “un solo Signore Gesù Cristo”(1Cor 8,5-6), cosí ci sono molti logoi, ma noi preghiamo che in noi si trovi il Logos che è “nel principio” e “presso Dio”, il Logos che è Dio. Perché chi non accoglie questo Logos, che è “nel principio presso Dio”, o aderirà a lui in quanto si è fatto carne oppure parteciperà a lui per il tramite di coloro che partecipano a qualche aspetto di questo Logos, oppure infine, privato perfino di partecipare a chi ne partecipa, verrà a trovarsi in un logos totalmente estraneo al Logos e (logos) di nome”.⁷⁸
Origene cita 1Cor 8,5-6 per mostrare che, anche secondo l'unità della Scrittura, per i cristiani c'è un solo Dio Padre e un solo Signore Gesù Cristo. Origene vede una differenza tra la partecipazione in senso ontologico e quella in senso morale.
Per Origene ogni uomo è costituito di un'anima che ha la sua facoltà razionale nella quale è riposto, ontologicamente parlando, il Logos. Pertanto tutti gli esseri indistintamente, in virtù di questa loro facoltà intellettiva che è la parte predominante dell'anima, hanno una iniziale partecipazione al Logos. Però esistono anche esseri che, oltre ad avere questa iniziale inclinazione, scelgono di
loro iniziativa di accogliere il Logos per pervenire alla divinità del Padre.
Origene cita a tal proposito le figure di Osea, di Isaia e di Geremia che si sono resi degni che il Logos abitasse in loro:
“alcuni partecipano al Logos stesso che è “nel principio”, “presso Dio” e Dio egli stesso, come per esempio Osea, Isaia e Geremia e chiunque altro si è reso degno che “il Logos (Parola) del Signore” o “il Logos” venisse a lui; altri invece, non conoscendo “altro che Gesù Cristo e lui crocifisso” (1Cor 2,2) e ritenendo che il Logos fatto carne sia tutto il Logos, conoscono Cristo soltanto secondo la carne (2Cor 5,16): di tal genere è la moltitudine di quelli che sono ritenuti i fedeli”.⁷
Per Origene ci sono pure coloro che, per propria iniziativa, scelgono di non partecipare al Logos: essi, sebbene vengano chiamati dei, non lo sono affatto. Ci sono inoltre coloro che invece partecipano al Logos “divenuto carne”, i quali conoscono Gesù Cristo nei suoi aspetti umani: a loro è precluso l'accesso alla contemplazione del Padre; attività contemplativa possibile solo a coloro che partecipano al Dio-Logos immanente ed eterno nel seno del Padre.⁸ Origene afferma poi che ci sono altre due categorie: gli uni che a loro insaputa partecipano del Logos, gli altri che non vi partecipano affatto. I primi professano alcune dottrine filosofiche greche e, tra costoro, gli adoratori degli astri. Tra i secondi Origene pone coloro che negano la provvidenza, includendo fra essi gli idolatri.⁸¹ In ordine alla prima categoria Origene fa riferimento ad Albino, secondo il quale gli astri erano considerati come esseri divini e intelligibili.⁸² Questo motivo è presente sulla falsariga del medioplatonico Albino in Plotino⁸³: egli afferma che gli astri, come il sole, in quanto esseri animati sono divini.
Origene cita alla lettera Deut 4,19 per comprenderlo in senso intellettualespirituale: il sole, la luna e le stelle sono stati creati da Dio per coloro che non erano capaci di elevarsi alla natura divina, e quindi sono stati dati quali mezzi per pervenire alla conoscenza del Padre. Gli elementi, che fanno parte della volta
celeste, sono considerati da Origene propedeutici alla salita dell'uomo verso la conoscenza del Padre. Egli, sempre in ordine al primo gruppo, fa riferimento anche a coloro che seguono il proprio logos, senza credere nel Dio preesistente che è il Logos.
Questi sono i seguaci delle più antiche e illustri scuole filosofiche, i quali ravvisavano nella ragione il criterio-guida della loro condotta virtuosa, che li conduce alla contemplazione della Verità. Qui Origene si riferisce a Socrate, a Eraclito e ad altri simili che, vivendo secondo il logos, per Giustino erano considerati cristiani perché partecipavano, a loro insaputa, al Logos il quale aveva instillato a loro parti della sua verità.⁸⁴ Origene poi a a considerare la seconda categoria di coloro che “credono a logoi corrotti e atei, negatori della provvidenza divina (...), e a coloro che si danno al culto degli idoli inanimati e morti”.⁸⁵ A tal proposito sembra che Origene si rifaccia alla polemica dell'anonimo autore dell'A Diogneto che taccia come idolatri i pagani, i quali, identificando le divinità con gli idoli manufatti, tributavano loro un particolare culto.⁸ Qui evidentemente Origene fa riferimento ad Epicuro e forse anche ad Aristotele che negavano la provvidenza di Dio e l'esistenza di un Logos creatore.
1 C. BLANC, Origène. Commentaire sur Saint Jean, voll. 5, Paris 1966-1992.
2 M. MARITANO-E. DAL COVOLO (a cura di), Commento a Giovanni. Lettura origeniana, Roma 2006.
3 Ed. crit. C. BLANC, Origène. Commentaire sur saint Jean, Paris 1966, p. 56. Trad. di E. CORSINI, Commento al vangelo di Giovanni, Torino 2001, p. 143.
4 ORIGENE, Commento al vangelo di Giovanni I, 16,90-91. Ed. crit. C. BLANC, Origène. Commentaire sur saint Jean, p. 106. Trad. di E. CORSINI,
Ibidem, p. 143.
5 ORIGENE, Commento al vangelo di Giovanni I, 16,91. Ed. crit. C. BLANC, Ibidem, p. 106. Trad. di E. CORSINI, Ibidem, p. 143.
6 Ed. crit. C. BLANC, Origène. Commentaire sur saint Jean, pp. 106-108. Trad. di E. CORSINI, Ibidem, p. 143. Trad. di E. CORSINI, Ibidem, pp. 143-144.
7 ORIGENE, Commento a Giovanni I, 16,92-93. Ed. crit. C. BLANC, Ibidem, p. 108. Trad. di E. CORSINI, Ibidem, p. 144.
8 ORIGENE, Commento al vangelo di Giovanni I, 17,95-100. Ed. crit. C. BLANC, Ibidem, pp. 108-112. Trad. di E. CORSINI, Ibidem, pp. 145-147.
9 ORIGENE, Commento al vangelo di Giovanni I, 17,101-102. Ed. crit. C. BLANC, Ibidem, pp. 112-114. Trad. di E. CORSINI, Ibidem, pp. 147-148.
10 ORIGENE, Commento al vangelo di Giovanni I, 17,103. Ed. crit. C. BLANC, Ibidem, p. 114. Trad. di E. CORSINI, Ibidem, p. 148.
11 ORIGENE, Commento al vangelo di Giovanni I, 17,103 Ed. crit. C. BLANC, Ibidem, p. 114. Trad. di E. CORSINI, Ibidem, p. 148.
12 ORIGENE, Commento al vangelo di Giovanni I, 17,104-105. Ed. crit. C.
BLANC, Ibidem, pp. 114-116. Trad. di E. CORSINI, Ibidem, pp. 149-150.
13 ORIGENE, Commento al vangelo di Giovanni I, 18,106-107. Ed. crit. C. BLANC, Ibidem, p. 116. Trad. di E. CORSINI, Ibidem, p. 150.
14 ORIGENE, Commento al vangelo di Giovanni I, 18,107-108. Ed. crit. C. BLANC, Ibidem, p. 116. Trad. di E. CORSINI, Ibidem, p. 150.
15 ORIGENE, Commento al vangelo di Giovanni I, 18,108. Ed. crit. C. BLANC, Ibidem, p. 118. Trad. di E. CORSINI, Ibidem, p. 151.
16 ORIGENE, Commento al vangelo di Giovanni I, 18,108. Ed. crit. C. BLANC, Ibidem, p. 118. Trad. di E. CORSINI, Ibidem, p. 151.
17 ORIGENE, Commento al vangelo di Giovanni I, 19,109. Ed. crit. C. BLANC, Ibidem, p. 118. Trad. di E. CORSINI, Ibidem, p. 151.
18 ORIGENE, Commento al vangelo di Giovanni I, 19,110. Ed. crit. C. BLANC, Ibidem, p. 118. Trad. di E. CORSINI, Ibidem, p. 151.
19 ORIGENE, Commento al vangelo di Giovanni I, 19,111. Ed. crit. C. BLANC, Ibidem, p. 118. Trad. di E. CORSINI, Ibidem, p. 151.
20 ORIGENE, Commento al vangelo di Giovanni I, 19,111. Ed. crit. C. BLANC,
Ibidem, pp. 118-120. Trad. di E. CORSINI, Ibidem, p. 151.
21 ORIGENE, Commento al vangelo di Giovanni I, 19,114. Ed. crit. C. BLANC, Ibidem, p. 120. Trad. di E. CORSINI, Ibidem, p. 153.
22 ORIGENE, Commento al vangelo di Giovanni I, 19,115. Ed. crit. C. BLANC, Ibidem, p. 122. Trad. di E. CORSINI, Ibidem, p. 153.
23 ORIGENE, Commento al vangelo di Giovanni I, 34,243-244. Ed. crit. C. BLANC, Ibidem, p. 180. Trad. di E. CORSINI, Ibidem, pp. 185-186.
24 PLOTINO, Enneade V,9,8. Ed. crit. P. Henry et H.-R. Schwyzer, Plotini Opera, vol. II, Paris 1959, pp. 421-422. Trad. di G. FAGGIN, Plotino. Enneadi, Milano 2004, p. 941.
25 PLOTINO, Enneade V,8,4-6. Ed. crit. P. Henry et H.-R. Schwyzer, Plotini Opera, vol. II, pp. 384-392.
26 ALCINOO, Didascalo 163,14-17.30-42. Ed. crit. P. LOUIS-J. WHITTAKER, Epitome doctrinae Platonicae (Albinus Smyrnaeus sec. II ). Enseignement des doctrines de Platon. Alcinoos, Paris 1990.
27 ATTICO, frammento 9. Ed. crit. E. DES PLACES, Atticus. Fragments, Paris 1977. Trad. di S. LILLA, Introduzione al Medio-platonismo, Roma 1992, p. 60.
28 ATTICO, frammento 28. Ed. crit. E. DES PLACES, Atticus. Fragments, Paris 1977. Trad. di S. LILLA, Introduzione al Medio-platonismo, Roma 1992, p. 60.
29 ORIGENE, Commento al vangelo di Giovanni I, 39,289. Ed. crit. C. BLANC, Ibidem, pp. 204-206. Trad. di E. CORSINI, Ibidem, pp. 198-199.
30 ORIGENE, Commento al vangelo di Giovanni I, 19,111. Ed. crit. C. BLANC, Ibidem, p. 118. Trad. di E. CORSINI, Ibidem, p. 151.
31 ORIGENE, Commento al vangelo di Giovanni I, 39,289-292. Ed. crit. C. BLANC, Ibidem, p. 206. Trad. di E. CORSINI, Ibidem, pp. 198-199.
32 ORIGENE, Commento al vangelo di Giovanni I, 19,113. Ed. crit. C. BLANC, Ibidem, p. 120. Trad. di E. CORSINI, Ibidem, p. 153.
33 PLUTARCO, Iside e Osiride 373A-B. Ed. crit. Ch. FROIDEFOND, Plutarque. Oeuvres morales. Isis et Osiris, Paris 1988, p. 226.
34 PLATONE, Timeo 39e. Ed. crit. I. BURNET, Platonis Opera, t. IV, Oxonii 1962, p. 39. Trad. di G. REALE, Platone. Tutti gli scritti, Milano 2000, p. 1368.
35 PLOTINO, Enneade V,3,5-6. Ed. crit. P. HENRY ET H.-R. SCHWYZER, Plotini Opera, pp. 304-308. Trad. di G. FAGGIN, Plotino. Enneadi, pp. 827-829.
36 ORIGENE, Commento al vangelo di Giovanni I, 19,114. Ed. crit. C. BLANC, Ibidem, p. 120. Trad. di E. CORSINI, Ibidem, p. 153.
37 ORIGENE, Commento al vangelo di Giovanni I, 19,111. Ed. crit. C. BLANC, Ibidem, pp. 118-120. Trad. di E. CORSINI, Ibidem, p. 151.
38 NUMENIO, frammento 16. Ed. crit. E. DES PLACES, Numénius. Fragments, Paris 1973, p. 57.
39 ALCINOO, Didascalo 167,8-15. Ed. crit. P. LOUIS, Epitome doctrinae Platonicae (Albinus Smyrnaeus sec. II). Enseignement des doctrines de Platon. Alcinoos, p. Trad. di S. LILLA, Introduzione al medioplatonismo, pp. 32;29.
40 ORIGENE, Commento al vangelo di Giovanni I, 19,115. Ed. crit. C. BLANC, Ibidem, p. 122. Trad. di E. CORSINI, Ibidem, p. 153.
41 ORIGENE, Commento al vangelo di Giovanni I, 20,119-120. Ed. crit. C. BLANC, Ibidem, pp. 122-124. Trad. di E. CORSINI, Ibidem, pp. 154-155.
42 PLOTINO, Enneade, V,1,4. Ed. crit. P. HENRY ET H.-R. SCHWYZER, Plotini Opera, vol. II, pp. 266-270. Trad. di G. FAGGIN, Plotino. Enneadi, p. 801.
43 ORIGENE, Commento al vangelo di Giovanni I, 20,124. Ed. crit. C. BLANC, Ibidem, p. 124. Trad. di E. CORSINI, Ibidem, p. 155.
44 ORIGENE, Commento al vangelo di Giovanni I, 28,200. Ed. crit. C. BLANC, Ibidem, p. 159. Trad. di E. CORSINI, Ibidem, p. 173.
45 ORIGENE, Commento al vangelo di Giovanni I, 24,153-157. Ed. crit. C. BLANC, Ibidem, p. 159. Trad. di E. CORSINI, Ibidem, pp. 161-162.
46 ORIGENE, Commento al vangelo di Giovanni I, 25, 158. Ed. crit. C. BLANC, Ibidem, p. 138. Trad. di E. CORSINI, Ibidem, p. 162.
47 ORIGENE, Commento al vangelo di Giovanni I, 25,160-161. Ed. crit. C. BLANC, Ibidem, p. 140. Trad. di E. CORSINI, Ibidem, p. 162.
48 ORIGENE, Commento al vangelo di Giovanni I, 19,112. Ed. crit. C. BLANC, Ibidem, p. 120. Trad. di E. CORSINI, Ibidem, pp. 152-153.
49 IRENEO, Contro le eresie II,13,8-9. Ed. crit. A. ROUSSEAU-L. DOUTRELEAU, Irénée de Lyon. Contre les hérésies, Paris 1982, pp. 122-126.
50 ORIGENE, Commento al vangelo di Giovanni I, 24,151. Ed. crit. C. BLANC, Ibidem, p. 136. Trad. di E. CORSINI, Ibidem, p. 160.
51 ORIGENE, Commento al vangelo di Giovanni I, 38,280-281. Ed. crit. C. BLANC, Ibidem, p. 200. Trad. di E. CORSINI, Ibidem, pp. 196-197.
52 ORIGENE, Commento al vangelo di Giovanni I, 38,282-283. Ed. crit. C. BLANC, Ibidem, pp. 200-202. Trad. di E. CORSINI, Ibidem, p. 197.
53 ORIGENE, Commento al vangelo di Giovanni I, 24,151-152. Ed. crit. C. BLANC, Ibidem, pp. 136-138. Trad. di E. CORSINI, Ibidem, pp. 160-161.
54 ORIGENE, Commento a Giovanni I, 34,243-244. Ed. crit. C. BLANC, Ibidem, p. 180. Trad. di E. CORSINI, Ibidem, p. 185.
55 ORIGENE, Commento a Giovanni I, 34,244-245. Ed. crit. C. BLANC, Ibidem, pp. 180-182. Trad. di E. CORSINI, Ibidem, p. 186.
56 ORIGENE, Commento al vangelo di Giovanni I, 39,289. Ed. crit. C. BLANC, Ibidem, pp. 180-182. Trad. di E. CORSINI, Ibidem, pp. 198-199.
57 ORIGENE, Commento al vangelo di Giovanni I, 39,291. Ed. crit. C. BLANC, Ibidem, p. 206. Trad. di E. CORSINI, Ibidem, p. 199.
58 ORIGENE, Commento al vangelo di Giovanni I, 39,292. Ed. crit. C. BLANC, Ibidem, p. 206. Trad. di E. CORSINI, Ibidem, p. 199.
59 ORIGENE, Commento al vangelo di Giovanni II,1,8-9. Ed. crit. C. BLANC, Ibidem, p. 212. Trad. di E. CORSINI, Ibidem, p. 203.
60 ORIGENE, Commento al vangelo di Giovanni II,1,4. Ed. crit. C. BLANC, Ibidem, p. 210. Trad. di E. CORSINI, Ibidem, p. 202.
61 ORIGENE, Commento al vangelo di Giovanni II,1,5. Ed. crit. C. BLANC, Ibidem, p. 210. Trad. di E. CORSINI, Ibidem, p. 202.
62 ORIGENE, Commento al vangelo di Giovanni II,1,5. Ed. crit. C. BLANC, Ibidem, p. 210. Trad. di E. CORSINI, Ibidem, p. 202.
63 ORIGENE, Commento al vangelo di Giovanni II,1,6. Ed. crit. C. BLANC, Ibidem, pp. 210-212.
64 ORIGENE, Commento al vangelo di Giovanni II,1,7. Ed. crit. C. BLANC, Ibidem, p. 212.
65 ORIGENE, Commento al vangelo di Giovanni II,1,10. Ed. crit. C. BLANC, Ibidem, p. 214. Trad. di E. CORSINI, Ibidem, p. 204.
66 ORIGENE, Commento al vangelo di Giovanni II,1,12. Ed. crit. C. BLANC, Ibidem, p. 214. Trad. di E. CORSINI, Ibidem, p. 204.
67 ORIGENE, Commento al vangelo di Giovanni II,1,15. Ed. crit. C. BLANC, Ibidem, p. 216. Trad. di E. CORSINI, Ibidem, p. 204.
68 ORIGENE, Commento al vangelo di Giovanni II,1,15. Ed. crit. C. BLANC, Ibidem, p. 216. Trad. di E. CORSINI, Ibidem, p. 204.
69 ORIGENE, Commento al vangelo di Giovanni II,1,16. Ed. crit. C. BLANC, Ibidem, p. 216. Trad. di E. CORSINI, Ibidem, p. 205.
70 ORIGENE, Commento al vangelo di Giovanni II, 2,17-18. Ed. crit. C. BLANC, Ibidem, p. 218. Trad. di E. CORSINI, Ibidem, p. 205.
71 PLOTINO, Enneadi V,1,7,1.38-41. Ed. crit. P. HENRY ET H.-R. SCHWYZER, Plotini Opera, vol. II, pp. 277-279. Trad. di G. FAGGIN, Plotino. Enneadi, pp. 805;807.
72 PLOTINO, Enneadi III,8,8. Ed. crit. P. HENRY ET H.-R. SCHWYZER, Plotini Opera, vol. I, pp. 404-406.
73 ORIGENE, Commento al vangelo di Giovanni II, 2,18. Ed. crit. C. BLANC, Ibidem, p. 218. Trad. di E. CORSINI, Ibidem, p. 206.
74 ORIGENE, Commento al vangelo di Giovanni II, 3,19. Ed. crit. C. BLANC, Ibidem, p. 218. Trad. di E. CORSINI, Ibidem, p. 206.
75 PLOTINO, Enneade V,5,5-6.V,5,13. Ed. crit. P. HENRY ET H.-R. SCHWYZER, Plotini Opera, vol. II, pp. 346-348.
76 PLOTINO, Enneade V,5, 7-8. Ed. crit. P. HENRY ET H.-R. SCHWYZER, Plotini Opera, vol. II, pp. 349-351.
77 ORIGENE, Commento al vangelo di Giovanni II, 3, 19-20. Ed. crit. C. BLANC, Ibidem, pp. 218-220. Trad. di E. CORSINI, Ibidem, pp. 206-207.
78 ORIGENE, Commento al vangelo di Giovanni II, 3, 21-22. Ed. crit. C. BLANC, Ibidem, p. 220. Trad. di E. CORSINI, Ibidem, p. 207.
79 ORIGENE, Commento al vangelo di Giovanni II, 3, 28-29. Ed. crit. C. BLANC, Ibidem, p. 224. Trad. di E. CORSINI, Ibidem, pp. 208-209.
80 ORIGENE, Commento al vangelo di Giovanni II, 3, 23. Ed. crit. C. BLANC, Ibidem, p. 222.
81 ORIGENE, Commento al vangelo di Giovanni II, 3, 30-33. Ed. crit. C. BLANC, Ibidem, pp. 224-228.
82 ALBINO, Prologo V. Ed. crit. R. Burkhard, Der Platoniker Albinos und sein sogennanter Prologos: Prolegomena, Ðberlieferungsgeschichte, kritische Edition und Ðbersetzung, Wiesbaden 1999. Vedi il seguente sito internet: http://metaopaclaurenziana. ifnet.it/PrintBibliografia.htm?record=353012417129
83 PLOTINO, Enneade V,1,2. Ed. crit. P. HENRY ET H.-R. SCHWYZER,
Plotini Opera, vol. II, pp. 261-265.
84 GIUSTINO, Apologia I,46. Ed. crit. M. MARCOVICH, Iustini Martyris. Apologiae pro christianis, Berlin-New-York, p. 97. GIUSTINO, Apologia 2,10. Ed. crit. M. MARCOVICH, Iustini Martyris. Apologiae pro christianis, BerlinNew-York, pp. 151-152.
85 ORIGENE, Commento al vangelo di Giovanni II,3,31.32. Ed. crit. C. BLANC, Ibidem, p. 226. Trad. di E. CORSINI, Ibidem, p. 209.
86 A Diogneto 2,1-10. Ed. crit. F. XAVER FUNK-K. BIHLMEYER-M. WHITTAKER, Die Apostolischen Väter. Griechisch-deutsche Parallelausgabe, Tübingen 1992, pp. 306-308.
CONCLUSIONE
Da questo studio abbiamo potuto puntualizzare l'articolazione della dottrina esegetica di Origene riguardo al testo di Gv 1,1.
In un primo paragrafo, partendo da una lettura attenta del commento origeniano a Giovanni 1,1, abbiamo potuto vedere che Origene ha dato molteplici significati al termine principio: partendo da un'interpretazione letterale del termine principio con i conseguenti significati di aggio, origine, causa materiale, causa formale, apprendere qualcosa, a al significato morale di principio di una retta via e in ultimo luogo, in linea con la tradizione alessandrina, al significato intellettuale e poi spirituale-cristologico. Abbiamo anche osservato che Origene dà al termine “principio” di Gv 1,1 un senso intellettuale prima e poi cristologico.
Prima intellettuale perché egli identifica il principio con la sapienza concepita come la conoscenza ipostatizzata dei pensieri che il Padre ha di se stesso. Poi cristologico perché egli afferma che Cristo è sapienza del Padre in quanto in Lui sono contenuti le forme, le sostanze e le strutture degli archetipi della creazione. Nel suo senso intellettuale-cristologico il termine sapienza per Origene ha due versanti: Cristo è sapienza in un primo tempo perché contempla i modelli archetipi della creazione che sono nel Padre e, in un secondo tempo, perché comunica a tutti gli esseri della creazione ciò che ha contemplato.
Nel terzo e quarto sottoparagrafo abbiamo rilevato come Origene, rifacendosi al processo intellettuale della emissione della parola dal pensiero di origine platonica, affermi che nel Logos il Padre ha emesso “i teoremi della verità”. In tal modo egli fa al testo di Sal 44,2 un'esegesi di tipo intellettuale e cristologica. Ma Origene contrasta anche l'interpretazione gnostica che è di tipo letterale riguardo alla emissione della Parola: “credono che il Figlio di Dio sia l'atto di pronunziare (πρόφορα) da parte del Padre, che termina, per cosí dire, nelle
sillabe”.⁸⁷ Pertanto per Origene la ipostasi vivente del Verbo ha una sua individualità esistente ben “circoscritta”.
Nel terzo paragrafo abbiamo evidenziato che l'esistenza del Logos presso Dio è per Origene, in polemica contro gli gnostici, di ordine eterno. Egli lo dimostra partendo da un'esegesi di tipo letterale del verbo “era” in Gv 1,1 e di alcuni testi profetici e neotestamentari, ai quali però dà anche un significato morale e spirituale. Il Logos per Origene, in quanto è presso Dio, ne diviene immagine archetipa. Egli, come abbiamo visto, si pone in linea con la concezione neoplatonica di Plotino.
Partendo da queste premesse di derivazione neoplatonica, Origene dà alla sua esegesi di tipo alessandrino in Gv 1,1 il senso spirituale-cristologico: il Logos è l'archetipo della creazione perché contempla i più profondi recessi del Padre.
Nel quarto ed ultimo paragrafo abbiamo rilevato che Origene, rifacendosi all'idea platonica della partecipazione in quanto il demiurgo è immagine di Dio e quindi partecipe del Padre, afferma che il Logos, in quanto immagine di Dio, è un essere divino che è derivato dal Padre e per ciò stesso ciò che è derivato (il Logos) è inferiore all'essere da cui proviene (il Padre). Al contempo egli afferma che il logos a sua volta è fonte di partecipazione per gli esseri che sono dotati di logos, i quali vengono ad essere denominati immagini del prototipo perché esseri inferiori allo stesso Logos.
Origene distingue coloro che partecipano in senso ontologico al Logos e quelli che partecipano in senso morale. Tra i primi egli colloca coloro che a loro insaputa, come Socrate e altri saggi greci, seguono la scintilla divina che il Logos ha seminato nella parte razionale dell'anima, mentre tra i secondi colloca coloro che deliberatamente accolgono il Logos sia in senso carnale che in senso spirituale. Quanti accolgono il Logos in senso carnale sono coloro che, attenendosi alla lettera della Scrittura, seguono il Cristo storico partecipando all'umanità del Verbo, mentre quanti accolgono il Logos in senso spirituale sono
coloro che, partendo da una lettura spirituale del vangelo, si rendono partecipi del Logos preesistente, pervenendo alla conoscenza divina del Padre. In aggiunta a questi Origene individual coloro che di loro iniziativa non partecipano al Logos, e coloro che, infatuati dai miti della natura, seguono pratiche idolatriche.
87 ORIGENE, Commento al vangelo di Giovanni I, 24,151. Ed. crit. C. BLANC, Ibidem, p. 136. Trad. di E. CORSINI, Ibidem, p. 160.
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CASAGLIA M.-GUIDELLI Ch.-LINGUITI A.- MORIANI F. (a cura di), Plotino. Enneadi, voll. I-II, UTET, Torino 1997.
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XAVER FUNK F.-K. BIHLMEYER-M. WHITTAKER, Die Apostolischen Väter. Griechisch-deutsche Parallelausgabe, Tübingen 1992.
Lettura ermeneutica e filosofico-teologica di GV 1,1 nel commento di Origene al Vangelo di Giovanni (libro I,16,90-II,3,33) ISBN 9788891170156 © Tutti i diritti riservati all’Autore
Finito di stampare nel mese di Maggio 2011 per conto di Youcanprint Edizioni