Hugo Bandannas
LUNA PUNK
Abel Books
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Abel Books via Terme di Traiano, 25 00053 Civitavecchia (Roma) ISBN 9788867521050
Indice
Prefazione di Christian Lucidi I Viaggiatori della Luna Il Diavolo probabilmente Gente d’Isernia zènghèera e cèpullara Tutti innocenti quando sognano con l’incubo degli altri Il Donchisciotte Elettrico e gli orfanelli Quando tutto diventa strano, gli strani diventano professionisti Get in the van Nel mezzo di un cazzo, il paradiso può attendere BIOGRAFIA Credits
Prefazione di Christian Lucidi
Hugo Bandannas è fuori! Fuori da ogni cerchia e da ogni coro letterario, lo distingue in particolare la magia della parola . È un mago della parola. È un alchimista, che mescola linguaggi e registri diversi con abilità sorprendente: non sono i protagonisti che dominano la scena ma il suo linguaggio figurativo ed immaginativo. Bandannas domina la scena del crimine. Ed in questo romanzo breve, si avvale della sua assistente detective Erikantola, che lo segue nelle diaboliche e psichedeliche peripezie dell’esistenza on the road dei protagonisti, come un abile regista ed aiuto regista che si preparano a girare le loro sequenze, le studiano e le incolonnano con magistrale maestria dopo aver annusato gli eroi della vita, li sistemano con in-adeguatezza nel loro recinto storico-sociale e poi li pedina con discrezione, animali in uno zoo sotto vetro, non li abbandonano mai. In Luna Punk, Bandannas ed Erikantola registrano un mondo oscuro, isolato, mistico: il mondo dei giostrai e degli zingari. Ragazzi di vita pasoliniani con cui gli autori, grazie alla loro ione sudista si sporcano le mani: Erikantola e Bandannas si lasciano travolgere e coinvolgere dai loro personaggi. Narrano la realtà nella sua crudezza melmosa e fangosa, intricata e inestricabile, non indorano la pillola ma anzi la amplificano all’ennupla, sottoponendo impietosamente il genoma ad un microscopio meticcio e sballato. Con Luna Punk leggere ha ancora un senso. Inutile negarlo: a parte i tanti motivi stantii a favore del polpettone lettura/cultura che potrebbe elencare un'irredimibile professoressa di liceo, un citazionista folle, o un nostalgico poseur... l'atto di leggere un romanzo ha perso molto del suo valore.
L'era digitale ha cambiato la struttura biochimica del cervello, per la maggior parte in meglio. Siamo diventati più veloci, intuitivi, diretti, intolleranti a trame, tramette, metafore letterarie. Quello che la struttura di un romanzo ed i suoi burattini interni potevano mostrarci e farci sentire in settimane di lettura, oggi ci arriva addosso in mille modi digitali più coinvolgenti, potenti, ed eleganti. E se questi modi danneggiano alcuni, non è perché “non hanno mai letto un libro”: sarebbero stati stolti anche all'epoca dei papiri. Chi dice che la lettura rimane importante perché ci permette di riassaporare la lentezza, svaluta la letteratura. Chi dice che è l'unico modo rimasto per fare un viaggio interno che non sia stato troppo strutturato a priori da qualcun altro, non è aggiornato o onesto con se stesso. E chi legge per abitudine, si compri una bara. Bandannas prende il meglio di ciò che la letteratura è stata, lo purifica dalle rimanenze putrefatte, ci aggiunge la propria nigredo, e mette il tutto su uno schermo ad alta definizione che però emana, chissà come, l'inebriante odore della carta di un tempo.
Ai miei sepolcri “C’è una stirpe di uomini che non si adatta, una stirpe che non può fermarsi; così spezzano i cuori di amici e congiunti; e vagano per il mondo a loro piacere.
Percorrono le terre e attraversano i fiumi, e salgono sulle vette dei monti; loro dannazione è il sangue zingaro, e non sanno conoscere il riposo.
Lungo una strada dritta andrebbero lontano; sono forti, leali e coraggiosi; ma sempre si stancano di ciò che li circonda, e cose nuove e strane vogliono conoscere”
A sangue freddo – Truman Capote
I Viaggiatori della Luna
Rosco staccò la presa dalla corrente con fare dimesso. Lo faceva ogni notte. Ma quella sarebbe stata l’ultima e malinconica notte. Quando la giostra levava le tende, significava che la stagione estiva volgeva al termine. Le lucine del Luna Punk non si sarebbero più accese per un po'. Il Circo abbandonava la città.
Si dice che la vita sia un gran giro di giostra. Rosco, giostraio da generazioni, viso lavorato dalla fatica, aveva finito di lucidare il suo Brucomela. Se ne stava
appoggiato alla balaustra. Fumava una paglia riflettendo tra sé su quei vagoni che erano il suo mestiere, l'attrazione che gli dava da vivere.
Le giornate degli zingari dello spettacolo durano anche 15 ore. Il mattino trascorre a sistemare gli autoscontri e a tirare a lucido i labirinti, e nel primo pomeriggio si apre al pubblico e si va avanti almeno fino a mezzanotte.
A 18 anni il padre di Rosco gli aveva regalato il primo autoscontro, poi la giostra ballerina Bluebelle e poi diverse altre. I giovani perpetuano la tradizione di famiglia. E' rarissimo che un ragazzo scelga un altro lavoro, e ci si sposa quasi sempre tra due del mestiere.
All’orizzonte si intravedevano già le prime nubi in arrivo, cariche di pioggia, che avrebbero spazzato via ogni tentazione tiepida di ponentino e lavato le aste degli ombrelloni incrostate di salsedine. Con questi vaghi pensieri Rosco si accese una cancerosa. Considerava il fatto che l’incasso stagionale era stato più magro del precedente e che forse ormai i luna park avevano fatto il loro tempo. Immerso nelle sue divagazioni ad certo punto avvertì una scossa interiore di ansia. L’indeterminatezza del suo futuro prossimo lo rabbuiò. Per la varietà avariata di umanità che frequentava abitualmente o occasionalmente i luna park, Rosco li aveva ribattezzati Luna Punk. Così per ingannare i tempi morti, nei momenti di stanca faceva una sistematica distinzione sociologica tra le varie categorie di luna punkers. Da quando sua figlia Anita, un’adolescente di 16 anni che lo aiutava alla biglietteria, era scomparsa improvvisamente, Rosco non si dava più pace. Si scorticava le meningi in loop sul fatto che probabilmente ci era andato giù troppo duro, con la ragazzina.
Il motivo consisteva nel fatto che non gli andava a genio il suo look emo del cazzo alla Chemical Romance e trovava del tutto inadeguato quel suo sguardo perennemente trasognato, chiuso in un semicerchio labiale never smile, nerettato come il carbone. Però adesso senza di lei Rosco sembrava un fantasma alle prese con gli ingranaggi della sua giostra che aveva preso a girare a vuoto nel verso della sua vita. Ecco perché la fine della stagione delle creme abbronzanti, in cui aveva trovato distrazione osservando bulleggiare i truzzi della zona, brufolosi i-phonati coetanei di Anita, gli appariva ancora più buia e cupa delle nubi in arrivo. Nel giro coatto delle giostre si sparse voce che una gang di disadattati aveva da poco svelato ad Anita la vera storia di sua madre, segreto celatole per molto tempo dal padre. Rosco infatti le aveva nascosto la latitanza materna per sedici lunghi anni; accampando una scusa dietro l’altra: dall'essersi risposata per andare a vivere in Nuova Zelanda con un allevatore di canguri, all'essere deceduta per un arresto cardiaco mentre provava le montagne russe per poi trovare sepoltura nella fossa comune di un cimitero ignoto, secondo le sua volontà. La presunta verità gliela spiattellarono quei balordi, una sera come le altre, mentre le urlavano addosso per coprire il sottofondo techno delle giostre. Come in uno stupro verbale seppe finalmente chi fosse sua madre. Le dissero di lei, Aisha, una zingara. Anita era venuta al mondo per sbaglio, come quasi tutti i bastardi, grazie a una sveltina con Rosco, dentro la stanza degli specchi, quando la giostra era in manutenzione stagionale in qualche paese del sud prossimo alle miracolose gesta di Padre Pio. Zanna, il capobanda della gang, le sbavava sul seno acerbo gridandole dietro tutto questo, peggio di una fucilata alle tempie. Un’iniziazione brutale fatta da teppistelli sghignazzanti e sbronzi, incarogniti come rottweiler repressi e affamati da troppo tempo.
Anita forse si era perduta, aveva vagato in cerca di un senso verso la trincea ferroviaria, o forse si era solo nascosta sotto qualche camion con rimorchio di un giostraio slavo. Dinamismo o immobilismo, è questa la sorte che spetta a colui che vede vacillare le proprie radici, soprattutto se queste affondano sulle sabbie mobili. Anita stava seduta su un divano con gli occhi bistrati di nero, spalancati, il cuore che batteva fortissimo. Il tumulto di una mandria di cavalli al galoppo, bui come la notte e scuri come i suoi pensieri. Quel decerebrato di Zanna le aveva detto di sua madre, serrava i denti come quelli di un mastino con la saliva schiumosa che ribolliva, occhi rossi e voce strascicata. Stava in mezzo a quei cani randagi dei suoi amici, come capobranco: jeans stretti con pacco a vista, gente di borgata, con i capelli imbrattati di gel a tenuta extrastrong, che sembrava impiastrasse anche quei cervelli zeppi di neuroni merdosi. «Tua madre... – risata e sguardo complice con i bastardi – tua madre se l’è scopata Rosco… era una zingara…» Risata collettiva, lazzi isterici e scatarri di birra, lanciati a terra come saette. «Mia madre cosa?» accennò lei trafitta da una scossa di predestinazione. Ad Anita mancò il terreno sotto ai piedi. Le sembrò di essere Alice nel Paese delle mica tanto Meraviglie, sprofondò dietro al bianconiglio, in una voragine profonda, fitta di radici appuntite. Non c’erano meraviglie, il nulla nella sua crudele e luminosa purezza e basta. Quel pozzo artesiano in cui stava precipitando non aveva fine, ma solo tentacoli spinosi che la laceravano mentre precipitava sempre più giù nel baratro. E Zanna più fiutava il suo terrore più si eccitava, smaniava e si accaniva. Con quelle fauci spalancate e gli occhi di un serpente a sonagli le bisbigliò: «Non ci credi principessa?»
Le prese il mento con la mano inanellata di teschi, lei che si era sempre sentita speciale. Anita, la principessa del suo regno a forma di ottovolante, l’avreste dovuta vedere, quando suo padre le metteva la corona in testa, il giorno del compleanno mentre faceva andare la giostra con tutti i bambini festanti... I cani randagi non potevano ricordare, semplicemente perché non c’erano; forse stavano a sguazzare in qualche pozza di fango sulla riviera o a rubacchiare le batterie per le macchinine telecomandate. Il branco non faceva neanche caso ad Anita, ma Zanna sì. La guardava da sempre, con il desiderio insistente e sghembo di chi ha conosciuto fin da piccolo solamente la violenza sciatta di una vita da nomade. L’alcolismo manesco del padre, l’intermittente assenza di una madre e gli abusi dei fratelli maggiori che da piccolo lo truccavano da vamp, mettendo sul piatto Pupa di Ivan Catteneo. «Balla femminuccia, fammi vedere come muovi quel culetto…» e Zanna, che allora non era ancora Zanna, ma Puttanella o Alex, a seconda dell’umore di chi gli rivolgeva la parola o il disprezzo, si faceva le ossa ballando con il trucco che gli colava e le labbra che mordeva a sangue, sangue simile a rossetto. Adesso Zanna aveva 17 anni e i fratelli avevano smesso da tempo di infilarsi nella sua cuccia e tappagli la bocca mentre gli frugavano le mutande e si spingevano in mezzo alle sue gambe magre e tremanti. Era un adolescente perso, un sottoprodotto del suo ato morboso e furioso, che bramava, tampinava, odiava, temeva, adorava, disprezzava quella troia di Anita. E la voleva tutta per sé, l’oggetto mancante del suo ato, il feticcio mai venerato. Era certo che le avrebbe rimesso in testa una corona ma non sapeva se di petali o di spine. L’avrebbe portata via da quella maledetta giostra meccanica, che girava sempre nello stesso verso. Sarebbero scappati lontano da quei litorali pieni di rifiuti. Il film che si era proiettato in testa aveva il morboso sapore di una psicosi maniaco-compulsiva.
Le avrebbe fatto togliere quel look da bimbaminkia del cazzo, l’avrebbe raddrizzata lui, non poteva sopportare l’idea che la sua donna fosse una baldracca come tante, con le calze strappate e i capelli di Bill Kaulitz. Lui voleva una Santa. Anelava ed ambiva alla loro salvezza. Si può forse cambiare, raddrizzare un ato storto? Si lambiccava il cervello, rimuginava tra sé e sé, si domandava: è possibile questo? Mentre fatto di ketamina, speronava le altre auto a scontro con occhi accesi come fari flippati che lampeggiano per sorarti. Anita restava in piedi solo perché Zanna le teneva il mento altrimenti, insaccata, si sarebbe abbattuta a terra. Invece restava lì impietrita, svuotata. Infine, riemerse con respiri lunghi e profondi, riprendendo coscienza e forza, anche se la sua anima era andata k.o. da un pezzo. Allora allontanò la mano di Zanna, movimenti controllati, lenti ed essenziali, da Tai Chi Chuan, e poi scappò via, più veloce che poteva. Dietro di lei restavano in lontananza solo gli schiamazzi e le risate, i versi sguaiati del branco che ritornava ai suoi giri ed ai traffici di spacciatori, imbrigliato nelle reti di trafficanti che non si sporcavano le mani. Lei correva con quel trucco da bambolina gotica, le calze a rete nere e i pizzi svolazzanti. Tutto un tintinnare di catene, ferraglia che si spezzava e lasciava cadere per terra. Finti brillanti e strass di poco conto, che lasciavano dietro di lei una piccola scia luccicante, una sottile bava di lumaca, uno scarabocchio nella notte che lentamente avvolgeva tutto e divorava con i suoi contorni indefinibili la corsa di quella ragazzina disperata, sola. Sola con la sua solitudine. Sola con il suo bagaglio di inesperienze. Sola con i suoi sogni infranti. Rosco affastellava i vari marchingegni della sua giostra, appena smontati dentro bauli di metallo e per farsi compagnia insieme alla sua immancabile MS, pendente dal labbro inferiore, accese la radio sintonizzandosi su una frequenza locale, Radio Argentario, dove la speaker annunciava solennemente la prossima
canzone: Ho ucciso paranoia, ultima frontiera del bondage mesmerico, psicopatologia involutiva di una convivenza ideativa scomoda a perdere della band savoiarda Marlene Kuntz. Partito il pezzo, Rosco imperlò il fumo della sigaretta con qualche lacrima pensando ad Aisha e a quel suo party nomade che invece non aveva mai potuto cominciare insieme a lui. Poi il pensiero si spostò su Anita, sui suoi sedici anni e si convinse che quell’età non doveva essere sprecata né corrotta. Ed era per questo che, nonostante l’ulcera perforante che lo richiamava alla realtà, preferiva lasciarla libera, allo stato brado, nomade come sua madre anche a costo di ritrovarla dentro qualche fosso o in uno scolo, decomposta, come si ritrovano spesso le prostitute con un cattivo oroscopo, ai bordi delle strade. Erano ati dieci anni da quando qualche sedicente lontano consanguineo di Aisha gli aveva fatto recapitare una lettera che annunciava la tragica fine del suo amore perduto. C’era scritto che la sua roulotte era andata a fuoco a causa di una stufetta a gas che lei si metteva vicino al letto per ripararsi dai gelidi inverni sui Pirenei. Rosco preferì tenersi anche stavolta tutto per sé, come era solito fare per le faccende personali, non disse nulla al giro dei giostrai o al chiosco dove andava a bere proprio fuori dal Luna Park. Sapeva della velocità supersonica con cui si diffondevano le chiacchiere. Era un tipo taciturno, ostinato nel suo autismo bonario e, piuttosto che morir vomitando tutto fuori, sarebbe schiattato dentro, implodendo insieme al cancro della sua anima. Sognava Aisha. Mentre bruciava, arsa viva come Giovanna d’Arco, un’eroina del nulla, della miseria o della sua misera libertà a perdere che nessuno le aveva imposto e di una vita che nessuno avrebbe reclamato. Solo l’idea di una Aisha dea pagana e sacrificale riusciva a tenerlo a galla, anche se ogni notte però doveva scacciare via, a suon di fenobarbitale, l’incedere di quella roulotte carbonizzata che vedeva avanzargli davanti, dove restava soltanto il suo muto dolore intorno alla cenere portata via dal vento. Anche Anita stava sognando sua madre, mentre stava sdraiata sulle rotaie della vecchia ferrovia in disuso. Si era innamorata della ruota panoramica, una struttura elegante che aveva la stessa forma della ruota di una bicicletta, fatta di
copertoni, luci colorate e raggi di metallo. Anita non c’era più. Zanna era come una tigre legata ad una catena di un metro con una bistecca sanguinante distante due. Sparita scomparsa dissolta. Rosco non parlava, ma non aveva chiamato gli sbirri, quindi sapeva dov’era il vecchio bastardo, ma non parlava. «Non lo so dov’è Alex, adesso lasciami stare che ho da fare. Le donne sono così». Le prostitute sono così, come quella troia di sua madre che chissà dov’era, tale madre tale figlia, cagna. Zanna si mordeva le unghie a sangue, accartocciava le lattine di birra che tirava sui gatti randagi che schizzavano via veloci, si sballava con tutto quello che gli capitava a tiro, se la faceva con Lauretta una quattordicenne grassoccia e brufolosa che ti prendeva l’uccello in bocca appena le mollavi un manrovescio e, fra le lacrime, faceva un discreto dovere. «Adesso ingoia, da brava» e lui chiudeva gli occhi, per non incrociare i suoi da cagnolino obbediente, per non vedere che non era Anita quella che lo prendeva tutto, per quello che era. Stringi i denti Zanna, i bastardi come te non piangono fottono e si fanno fottere. E basta. Anita è a casa di Tommy Dente. Tommy ha un cane di nome Apostrofo, un bull terrier ottuso e anaffettivo che rubò un paio di anni fa ad una tizia, mentre eggiava in centro. La tizia adesso ha un pechinese infiocchettato infilato in una borsa di Louis Vuitton e probabilmente non si è neanche mai accorta del furto del vecchio cane. È una cocainomane piena di soldi che ogni tanto scivola nei bassifondi. ...Quando capita, Zanna le gira attorno come un invasato, ma non osa toccarla. Annusa soldi, figa e grossi rischi a fare il cretino con quella, e finisce per liquidarla con un po’ di MDMA e con l’augurio di arsi una bella serata. Lei sale sul suo suv grigio argento metallizzato e ritorna nel mondo pulito, ma un
po’ più sporca... Quindi ci sono Tommy, Anita e il cane. Tommy parla solo di Apostrofo, di quanto è bello, della muscolatura, dell’altezza al garrese, della perfezione delle sue feci, solide, sane, belle come lui. Anita lo ascolta come se fosse il ronzio di un elettrodomestico, un rumore bianco che finisce per disperdersi monocorde e ipnotico. Quando Tommy inizia a parlare, Anita pensa alla sua vita, alla coroncina da principessa, alle carezze di suo padre, all’imbarazzo di spiegarle cosa sono le mestruazioni e come si usa un assorbente. Quel momento fece sentire Anita come un fiore a cui strappano i petali e diventa qualcosa di inutile e terribilmente spoglio. Rosco con i Lines in mano, impacciato, e lei piena di carta igienica nelle mutande, gli occhi umidi, la vergogna come un roditore affamato che ti divora le budella. Iniziò ad odiare suo padre allora, in quell’istante, nel momento in cui si sciolse in tutta la sua vulnerabilità e si accorse che non era un mammapapà, ma solo un uomo di mezza età stanco e impotente, con una confezione di assorbenti in mano. Perse suo padre che divenne Rosco e mai più chiamò papà, ma sua madre la perse qualche anno prima, in un cimitero di Vieste, probabilmente, in un soffocante pomeriggio d’agosto. Anita aveva avuto esperienze di viaggio astrale e per 4 anni, ogni volta che tornava virtualmente a Vieste correva ogni giorno al cimitero per parlare con la mamma. La tomba la ritrovava sempre trascurata e questo le sembrò un ulteriore indizio che andava a rafforzare la sua idea che quella non poteva che essere la sua e solo sua mamma. Un pomeriggio particolarmente afoso Anita arrivò un po’ più tardi del solito, accaldata e trafelata e piena di voglia di raccontare alla sua mamma del falò che avevano la notte prima in spiaggia, dove Rosco abbrustoliva salsicce e gliele metteva in un piatto di ceramica intarsiata, facendo finta di essere un maitrê di classe.
Di fronte alla tomba, chinato e scosso dai brividi, trovò un uomo corpulento. «Brutta stronza, puttana dei miei coglioni... vacca cagna... io…» Anita si irrigidì come un animaletto braccato, si mise la mano sulla bocca per non urlare e strizzò gli occhi forte per fermare le lacrime che iniziarono a sgorgarle dagli occhi. Quell’uomo stava insultando la sua mamma, voleva farlo smettere, ma aveva paura. Con che cuore quel ciccione orrendo parlava così, la donna che stava in cielo e che l’aveva partorita, ora sì che sapeva come si nasce, era morta di parto quella creatura e lui… lui… Il grassone, come se qualcosa l’avesse tirato per la giacchetta di pessima fattura, si girò di soprassalto e notò quella ragazzina con le mani contratte sulla bocca e gli occhi sbarrati e pieni di lacrime. «Che cazzo ti piangi? Ti hanno fregato la Barbie luce di stelle, eh... di un po'... a te t’hanno fregato la Barbie e invece a me m’hanno fregato 10 anni di vita… Vieni, vieni qui, non avere paura, chi te tocca, sono appena uscito di prigione e se ti appoggio anche solo la mano sulla spalla e tu strilli e qualcuno mi vede ritorno dietro le sbarre per almeno altri 10...» A questo punto del suo viaggio astrale, Anita voleva tornare a tutti i costi indietro nel suo caldo lettuccio ma era come paralizzata, un terrore muto che le corrodeva anima e corpo, ogni sforzo vanificato. «Vieni, vieni qui che ti insegno un po' di vita, che se oggi ti inculano la Barbie domani non ti inculano il Mio Minipony e dopodomani non ti inculano a te proprio… ecco sì, brava... qui, la vedi questa donna? Bellina eh… la troia… scusa, scusa, sei una brava bambina eh, ti danno fastidio le male parole, non le dici tu eh, angioletto sai quanti santi ho tirato giù dal cielo e che ho fatto alla Madonna, cose che manco Belladonna… vabbè… comunque. Guarda questo bel faccino, la Sbanny… per colpa sua sono finito dentro sai? Ora guarda me… mi riconosci? Eh... troppo piccola… io lavoravo in tv sai? Facevo la trasmissione Rubabaci, era un quiz… quelle cose che andavano di moda molto negli anni 80… Ero famoso, ma poi piano piano la mia stella…shhhhhhhuu – e tracciò una parabola nel cielo accompagnata da un sibilo – si spense quasi completamente e tutto quello che prima mi arrivava aggratis, donne, macchine, droga… puf… sparito, dovevo pagare e pagare caro… così 10 anni fa circa conobbi Teresa, detta Sbanny, faceva la spogliarellista in un night club abusivo, era bellina e
tanto scema… così scema che credeva che l’avrei fatta andare in tv in cambio di… insomma, se stava a dormire con me una sera. Dioooo…scusa ma mi incazzo se ci ripenso, mi incazzo che porca troia sta mignotta… insomma non si spara tanta di quella bamba in quel cazzo di naso che ci resta secca? A casa mia, la puttana. Ed io finisco dentro. Questa cretina crepa e io vado in prigione. Così la giustizia... sgualdrina dei miei coglioni, fica mar…» Anita scivolò via, palla di lardo era troppo occupato ad urlare le peggio oscenità che lei avesse mai sentito, si tappò le orecchie e iniziò a cantare la sigla di Creamy dolce Creamy. Raggiunse l’uscita del cimitero e solo quando salì in sella alla sua graziella rosa e iniziò a pedalare, riuscì a strillare con tutto il fiato che aveva in corpo e finalmente a tornare nel suo corpicino, ridestandosi tutta sudata e umida di orina. Anita non conobbe mai sua madre, ma ne conservava con sé un santino immaginario con su scritto proteggimi ovunque.
Il Diavolo probabilmente
Zanna e la sua gang mescolavano Martini Dry e Coca Zero mentre si alternavano sulle auto a scontro, facendo i crash più improbabili per far colpo sulle ragazzine ancora da zucchero filato. Zanna cercava di distrarsi in ogni modo possibile ma il suo pensiero ossessivo, così come lo era stata la sua infanzia, tornava inesorabilmente su Anita. Dava gas furiosamente alla sua mini auto modello Steve McQueen e le casse sparavano Mommy I go out and kill tonight dei lungocrinuti Misfits. Ed Alex, il terrunciello fomentato dall’hardcore in levare, si schiantò in un frontale micidiale contro una vettura guidata da un padre in giacca e cravatta, appena uscito dal lavoro per portare la sua piccola, seduta al suo fianco, alle giostre. L’impatto fu tremendo: la piccola venne sbalzata fuori ed investita da una miniauto che tentava un improbabile soro, il padre andò a cozzare contro il volante mignon spaccandolo in due e aprendosi la testa, mentre Zanna si incastrò la gamba nel ridotto abitacolo cacciando un urlo da maestro del brivido. Gli astanti rimasero impietriti, statue di spasmi sottolio. Ci vollero i pompieri per rimettere un po' d'ordine. Sirene e lampeggianti sembrarono destare Anita dal suo sogno acido ed interminabile: lei, per una volta fuori dal luna park, sognava cose dentro il luna park. Se la vita è bizzarra i sogni non sono da meno. La ragazza perduta si accorse che si trattava di ben altre luci lampeggianti… Impaurita, oltre la trincea ferroviaria, fu abbagliata da un ovale sottile come un Iphone VI pieno zeppo di lucine come addobbi natalizi. L’ovale compiva dei movimenti sghembi e fascicolanti, contro ogni principio fisico fino allora conosciuto.
Anita si stropicciò gli occhi, impiegando più di un secondo nel chiudere e riaprire le palpebre ma lo scenario dinnanzi non era mutato. La bimbominkia cercò di nascondersi dietro le sterpaglie che circondavano la ferrovia, sferzate dal forte vento alzato dall’astronave. Il portellone si aprì ed una luce mistica e abbacinante squarciò la notte confusa e troppo umana. Ne emerse una sagoma umanoide di sembianze femminee, un arcano maggiore del subconscio collettivo che le fece trattenere il respiro. Si sforzò di mettere a fuoco la navicella e ancora meglio quella sagoma messianica ed aliena. Poi, proprio come al cinema quando finisce il film, tutto tornò buio e da quel giorno Anita si convinse che quella che le aveva fatto visita da un altro pianeta assurdo e remoto era sua madre Aisha. Dall'apparizione miracolistica alla rivoluzione coloristica, l'adolescente conservò sempre con sé questo arcobaleno interiore ed extraterrestre optando, da quel momento in poi, per un sorriso escatologico contro le cattiverie della vita. Intanto tutta la comunità circense del luna punk si era accartocciata intorno al luogo del singolare e tremendo sinistro. Zanna schiumava bava imprecando per il dolore dovuto alla frattura scomposta della sua gamba, rimasta incastrata nel mini abitacolo ma, a parte le sue urla, c’era quello spettrale silenzio che di solito prelude qualche tragedia di maggiori proporzioni. Infatti la madre della bambina deceduta si avventò all’improvviso contro Zanna, che due barellieri stavano caricando sull’ambulanza, e cercò di strozzarlo. Violenza genera sempre violenza, soprattutto negli essere inferiori. A causa corrisponde effetto, come nel primo principio della fisica meccanica e secondo mistero di Fatima, nulla si crea e nulla si distrugge ma tutto si trasforma secondo il terzo principio della termodinamica, circondati da leggi, cavalieri insensati di una burocrazia umana troppo umana. Nel giro di mezz’ora comunque le giostre ricominciarono a girare, il sangue fu
ripulito: the show must go on cantava Freddy Kruger. Per un po' la gang di Zanna rimase orfana del suo capo. Ospedalizzato per la frattura scomposta e alle prese con giudici e avvocati, si vide costretto a rimanere fuori dalle scene anche se nessuno sembrò soffrire di una qualche acuta sindrome luttuosa. Al capannello di persone che assistevano alla macabra scena si aggiunse anche Rosco, che intrattenne i curiosi con il consumato aneddoto, ormai leggenda metropolitana pulp, di quel ragazzo che, molti anni prima, era salito sui calcinculo ed era stato sbalzato via con il seggiolino così lontano da entrare in orbita. ...E gli astronauti una volta usciti dalla stratosfera potevano ancora vederlo volteggiare intorno alla terra contento come una pasqua... La ragazza alla biglietteria si chiamava Sofia. Vendeva entrate per il tunnel dell’orrore, ma pochi sapevano cosa faceva quando suo padre Erminio le dava il cambio turno. Aveva un roulotte dipinta alla maniera degli hippy, tutta peace and love dove, occasionalmente, ospitava dei clienti intrattenendoli al suono di fruste e chitarre acide di quella San Francisco in perenne riverbero da Lsd. Quella notte di luna piena, la chitarra di John Cipollina rimbombava fino all’estremità del Monte Argentario. La potenza del subwoofer, monolite d’arredamento che Sofia aveva posizionato al centro della piccola stanza mobile, era sul punto di rivoltare la roulotte per i decibel sparati a manetta. Rosco, stordito ed infastidito da quel rumore atroce, non riusciva proprio a prender sonno quella notte, sia per i pensieri ma soprattutto perché abitava nel camper adiacente: decise di uscire in ciabatte dirigendosi verso la bomboniera su 4 ruote di Sofia, che oscillava pericolosamente. Sbirciò Sofia dal finestrone, lei che poteva essere sua figlia, lei che gli ricapitolò la serotonina in un istante per quel che vide all’interno.
Sofia era un panzer del sesso, una pantera rivestita di lattice nero fiammeggiante aperta a qualsiasi esperienza davanti… ad un tablet con cam e con un braccobaldo che si insinuava tra le sue acerbe cosce spalancate come un cancello apertura remota faac si divarica all’ingresso di una Bentley. Due sbarbine con vistoso accento nordico agitavano le loro cancerose vicino alla Sala degli Specchi gossippando su amiche con profilo foto facebook imboscate tra tette già da spiumacciare e smalto color black melanzana marcio. La sbarbina più in tiro sbuffava svogliatamente verso quella in tuta color jamaica-cacatoilcazzo: «Hai mai preso della morfina Wendy?» «Ma sei pazza Lucy, quella roba se la faceva mio padre e sai com’è finito… Ho soltanto recuperato delle scatole di Abstral da mia madre, terminata per un cancro terminale, non ho mica ucciso nessuno, calmati eh? Poi invece di cacare il cazzo perché c’hai l’iphone nuovo? Guarda che ti ho vista prima che c’hai la zebrata ed è la cover del 5 non del 4, è stretta, c’ho occhio per queste cose, dove te lo sei inculato lo smartphone eh?» Lucy si struscia sulla spalla di Wendy che rabbrividisce un attimo, quella puttanella ficcanaso... e adesso come glielo racconta che ha staccato pompini per 2 settimane di fila al fidanzato di sua madre… Cristo, un momento di vanità, sfoderi questo cazzo di merdafonino in Cavalli ed è normale che Lucy chieda da dove salti fuori… «Allora… da dove arriva l’ifooooooon five… eh?!» le ciglia cariche di mascara le appesantiscono lo sguardo già in parte affondato dalla morfina. Piccola tossica del cazzo, tu ti fai di morfina e io mi faccio pagare per… per comprarmi quello che mi pare. Non hai notato le unghie, piccola ficcanaso dei miei coglioni? Non è smalto è GEL, GEL!Sono ricostruite con le cartine e guarda che splendore, niente a che vedere con il tuo melanzana oltretomba che hai scavallato al centro commerciale, queste sono un regalo del fratello del fidanzo di mamma, sono stata carina con lui, mi ha detto “Bambolina… c’hai delle manine che sono due farfalline… solo che c’hanno poco colore, le allunghiamo quelle unghiette bambolina che poi zio ti fa fare un bel gioco?!” Zio parlava con una canna incastrata fra i denti e mi carezzava la mano, come si fa ai bambini quando hanno la febbre cioè... non so… era un gesto che vedevo nei cartoni animati, la manina lungo un fianco, il bambino nel letto e un adulto
che gli tocca la fronte e gli carezza la zampetta inerte e ho pensato che cazzo, è gentile, lo zio. M’ha portato da un'estetista, una che fa le unghie in casa una milf oversize con un culo grosso e due zinne come mappamondi incastrate in un reggipetto troppo piccolo che le sparava mezze fuori. Lo zio l’ha salutata infilandole la lingua in bocca e palpandole il culo e ancora con la lingua in bocca alla tizia mi ha indicato con la canna in mano: “Falle il gel alla bambolina… poi ci aggiustiamo noi due” e la puttana si è scostata strusciandosi contro lo zio, mi ha guardato come se fossi merda liquida, cazzooo… lei con le lenti a contatto viola, l’eyeliner che colava, il rossetto sbavato di saliva dello zio… “Cocca come le facciamo le unghie?” Cocca… manco mia madre mi chiama cocca, ma merda non glielo posso dire, è un’amica dello zio ed è un regalo e allora mi tengo, non le mollo un pugno in quella facciona del cazzo e rispondo giudiziosa: “Le voglio lunghe, blu che sfumano nel bianco e con gli strass…” “Fiuuuuuuu…. cocchina, ci vuoi pure la madonna che dice il rosario sopra? Calma, blu e strass, nessuna sfumatura del cazzo che sembri poi un ghiacciolo sciolto e mi fai fare una figura di diarrea in giro, che io c’ho gusto, non sono una emo come voi, che pallide, spolpate come ossa, fate venire da fare il segno della croce altro che, a scongiurarvi come diavoli, ringrazia che sei la nipote di Enzo, se no ti infilavo la faccia nel cesso prima di guardarti negli occhi, brutta zoccoletta ammoscia minchia di un prete.” Mando giù le lacrime in gola e giuro su tutto il presepe che prima o poi gliela farò pagare, ma penso alle unghie col gel che Lucy mi invidierà a morte e così sto lì in silenzio due ore, torva e rabbiosa e prima di andarmene chiedo di usare il bagno. Mi sfilo il tampax che gronda sangue mestruale fertile e apro un cassetto pieno di asciugamani bianchi e lo spalmo lì in mezzo, che non se ne accorga subito, ma presto la puzza e il sangue incrostato finiranno in faccia ad una cliente e poi smollo uno stronzo da competizione nel cesso e non tiro l’acqua, così penserà che è quello il mio regalino e il tampax avrà modo di fiorire, vomito una risata insensata. «Allora, non hai risposto Wendina... a cosa pensi? Ti incanti…eheheheheh bella sta roba sai, sto da dio, mi fai una foto con l’iphone 5 e poi la mettiamo su instagram e su facebook, che il mio prof di mate come minimo gli scoppia il tubo…aspè…» S'è scordata di chiedermi da dove arriva l’iphone e non ha visto le unghie blu con gli strass, un po' mi spiace diocristo, volevo farle invidia, ma almeno non le dico che lo zio si è fatto fare una sega la sera stessa mentre riprendeva con il
suo samsung galaxy s4 che c’ha la fotocamera con più pixel dell’iphone e poi ha detto che prima di andare a dormire ogni sera se lo guarderà, che sono una brava bambina, che però sta cosa di non dirla a suo fratello o a mia madre, che c’abbiamo il nostro segreto piccolo no? Poi avevo già preso in mano un uccello e che cazzo che sarà mai quel muso lungo bambolina… ora esci che zio si pulisce e poi va a nanna e se lo riguarda, su vai bambolina e lavati le mani… ecco almeno anche questo non glielo dico. Prendo l’iphone e Lucy si mette in posa, le tettine piccole spuntano dal corpetto di lamé nero, due montagnole rosa su un costato da cristo in croce, magro e ossuto, è una maledetta lolitina… Sporge le labbra in fuori, si a la lingua sopra il rossetto nero, strizza gli occhi: «Che cazzo sono quelle unghie….ohi?!» «Lu…prendi ancora una pillola che ti fa lo sguardo figo, da troia in calore, al prof piace.» Lucy ride sputando, è così fatta la puttanella. ...e così col cazzo che ti dico perché ho l’iphone e le unghie di gel, ti resta solo l’invidia appiccicata addosso e squagliala con l’ero o quel cazzo che è sta merda. Si viveva di espedienti nel giro del Luna Punk, quando gli affari andavano male e la spia segnava il rosso, bastava scavallare qualche appartamento negli isolati limitrofi et voilà. arono i giorni e Zanna finalmente si rifece vivo. Raccontò al resto del gruppo che era stato scagionato perché dalla perizia risultò che le auto a scontro avevano un difetto di fabbrica ai freni. Zanna tornò profondamente cambiato. Nei giorni di carcere preventivo aveva conosciuto Immondus, leader della band di black metal Godworms e questo oscuro personaggio, finito al gabbio per profanazione di tombe e necrofilia, lo aveva introdotto al bignami dei sacrileghi misteri dell’occulto e del Maligno in persona o di chi ne fa le veci in terra.
Anche se arono soltanto pochi giorni nella stessa cella, evidentemente questi furono sufficienti a trasformare Zanna da un teppistello di periferia qualsiasi a Necroman, nomignolo ispirato al Necronomicon, abbecedario di stregoneria ed esoterismo. Con queste premesse il nuovo Zanna apparve sotto nuove sembianze illuminato da una nuova luce epifanica, dipinto con il tipico corpsepaint dei black metalheads, che gli conferiva un aspetto tanto solenne quanto fuori luogo persino in una Luna Punk.
Gente d’Isernia zènghèera e cèpullara
La vera estasi si raggiunge solo col coma etilico (anonimo bolscevico) Il natale è alle porte ma la fine del mondo è già nella hall (Hugo Bandannas) La tappa successiva del carrozzone nomade fu ad Isernia, città di zingari e cipollari, in occasione della festa di San Pietro delle cipolle. La carovana segue le feste patronali, ricorrenze, sagre, processioni come neanche il più ortodosso dei prelati fa con le stazioni della via crucis. Alcuni gruppi di zingari molisani arrivarono via mare dalle zone della penisola balcanica di lingua greca. Lo storico Masciotta ha scritto che gli Zingari nostrani, detti pure un tempo gizzi o egizi, denunciano l'origine levantina e sono indigeni del tutto da secoli. Ielsi, nei più vetusti diplomi feudali, è detta Gittia, o Terra Giptia in quelli del secolo XV. Fu allora che il Molise conobbe una forte immigrazione di Schiavoni e di Albanesi che fondarono diversi centri e si insediarono nel territorio tra Larino e Foggia Tra questi, S.Giacomo e S.Elia che è un paese di importanza fondamentale per la musica rom italiana per essere stato, fino agli Anni '40, uno dei posti più frequentati dagli zingari di questa etnia. «Fa brutt!» sbottò un sinto indigeno, quando vide Anita in tutto il suo splendore bimbominkia. Messa tutta in tiro per la feste di paese pareva esser tornata in sé, con le dovute precauzioni post trascendenza, dopo il trip intimista ed ufologico. Il commento del paesano non andò giù a Necroman, che si trovava nei paraggi: si infilò il pugno d’acciaio e lo centrò in volto. Il silenzio, carico di spaghetti pathos western, calò sulla scena del crimine. Il molisano cadde a terra come una pera, spruzzando ettolitri di sangue. Pareva un dentifricio appena comprato quando gli si pratica il foro in cima e si spreme il
tubetto dal basso. Immediatamente i suoi compaesani gli fecero circoletto esclamando: «Maronn' iammebell Tunì che mo je fam’ vedè a stu pagliacc’!» inveendo all’indirizzo di Necroman, di nero odio pittato. La vendetta fu presto servita in un tegame di cipolle fritte dorate. La sera stessa infatti, quando le giostre erano tutte illuminate e l’aria dolciastra imbevuta di zucchero filato, Necroman se ne stava appoggiato al video poker quando un colpo secco sparato a distanza gli aprì il costato. Non si scherzava mica con i rom d’Isernia. Fu Anita la prima a soccorrerlo e poi, a ruota, il resto della gang che dopo la trasformazione black si era fatto sempre più diffidente nei suoi confronti. Gli astanti finalmente percepirono le prime parole da Necroman ex Zanna: «Quando si comincia ad essere criminali? Quando si inizia a pensare in maniera criminale, allora non si torna più indietro.» Qualcosa nella mente di Zanna era saltato in aria, un piattello di neuroni deflagrato durante la sua detenzione, una cervello con frattura scomposta. Era evidente ad occhio nudo che la giostra non avrebbe avuto vita facile per la festa di San Pietro delle cipolle. A rivaleggiare erano due famiglie da sempre avversarie storicamente: i Capatuosta, gli indigeni, ed i Fermino, parenti di Zanna e originari di Montesilvano. Non si aspettava altro che una scintilla per attizzare l’incendio, per questo fu facile quanto pretestuoso trovarla nell’antefatto secondo cui Tonino Capatuosta avrebbe apostrofato Anita che era la fidanzata di Zanna, o quel che ne restava adesso di lui. Nonna Filomena intanto preparava i cavatielli, cercando di riportare un po' di serenità con le antiche maniere della indigena cucina tradizionale. Magistrale un
tempo nel preparare la specialità locale, essendo ormai affetta dal morbo di Alzheimer da diversi anni, si dimenticò di salarli. Bastò questa dimenticanza per fomentare gli spiriti già provati in casa Capatuosta. Il padre di Tonino la prese malissimo. Lo considerò un affronto personale ed esasperato dai problemi economici e dalle preoccupazioni che gli dava il figlio delinquente, la punì severamente facendola dormire nel giardino nella cuccia del fido lupacchiotto bastardo Tobia, con 5 gradi di temperatura esterna. La povera Nonna Filomena fece un casino anche con gli ingredienti: mise della segale cornuta al posto della farina. Così che i partecipanti al convivio cominciarono a dare i numeri e con il trascorrere delle ore, furono preda di allucinazioni maligne. L'inoffensiva e stordita anziana diventò, per il resto della tavolata alterata, l’emanazione del Demonio. Il rito fu compiuto: Nonna Mena venne tagliata e sezionata fino ad esser ridotta a tronco, in un mattatoio di sciabole da macellaio, grida isteriche e geriatriche interiora esposte a vista, come vetrine della ri-nascente setta del sepolcro. Un vomito fecale inondò la stanza già satura di vibrazioni demoniache e larve astrali. Data l’efferatezza del delitto e la matrice esoterico diabolica, il caso ebbe un’eco epocale nella zona e fu affidato al Commissario Embolus, veterano del corpo segreto della Polizia Psichica, un apparato deviato della Polizia Postale. La P.P. mise, l’indomani stesso del bagno di sangue, delle cimici all’interno del casale dei Capatuosta, già ripulito e scandagliato dai RIS, intercettando un dialogo sconnesso, ma che gli agenti reputavano essere in un codice cifrato, che rimandava ad altro:
Non è mai davvero notte nella mia città ed è una cosa che non mi piace. Se sei nata tra la natura è così come dici, la natura scandisce i tempi, li regola,
la metropoli li uccide. Dormi con le serrande abbassate? No... mi metterebbe claustrofobia, ma quando vivevo in campagna … Io avevo il terrore di confessarmi perché non ho mai imparato a memoria l’atto di dolore. Oggi va di moda un certo maledettismo da happy hour... Sì, un maledettismo con le Hogan. Ti assicuro che ogni anziana ha il suo smalto viola nel cassetto. Mia nonna ci si è fatta seppellire, infatti.
Tutti innocenti quando sognano con l’incubo degli altri
Ho visto la verità, era un uovo al tegamino, fermo, gelido, univoco, quindi l’ho diviso in due parti con il pugnale tantrico che aveva ucciso il mio Ego (Hugo Bandannas) In realtà il dialogo era tutt'altro che cripto-copto-criptato. Si trattava infatti di amabili divertissement, intercettati dalle autorità, che Zanna e Anita si scambiarono una volta giunti al Pronto Soccorso locale. Non si può dire che fosse al riparo da vibrazioni negative e protetto da un buon oroscopo in quel periodo, Necroman.La trasformazione in paladino del black metal aveva accentuato ed accelerato esponenzialmente le avversità. A volte l’intensità della vita è intermittente, come il segnale televisivo quando l’antenna è scossa, oppure si concentra in poche settimane in maniera esplosiva ed una volta sprecati tutti i bonus si resta ad aspettare invano una telefonata o qualche facezia simile. La Polizia Psichica non mollò la presa, era in cerca di informazioni deviate: altri modi possibili di pensiero neuronale, corticale e virtuale che avrebbero potuto insidiare il Sistema, l’ordine costituito e che avrebbero potuto dare una spiegazione razionale al mattatoio dei Capatuosta. Ed il Luna Punk era una banda di zingari, un bersaglio mobile ma facile da colpire. Nonostante il nomadismo gli giocasse a favore, l’intellighenzia dei servizi psichici correva sicuramente più veloce facendo surf su sottilissime fibre ottiche. Intanto Rosco, sempre più ricurvo e rannicchiato sotto una nube tossica di foschi pensieri, nembo cumuli pesanti che gli oscuravano la normale attività mentale, faceva delle sue idee vaganti uno spezzatino pieno di nervi di cui era costretto a sfamarsi.
Girava la manopola per azionare il Brucomela ma la sua testa era altrove, con la barba incolta e la fissità nello sguardo maniacale del paranoico ossessivo, caso esemplare di dissociazione mente-corpo, rifletteva sull’irrequietezza di Anita, sulla disgraziatissima fine di Aisha e si sforzava di vedere i tratti della ragazza nella madre e viceversa. Le due donne erano accomunate sicuramente da un carattere marchiato a fuoco. Mentre lui si lagnava della privazione di vitalità: era un dente devitalizzato che rimugina ossessivamente sul suo stato di dente sano, ormai andato. Sta di fatto che il dialogo tra i due ragazzi sembrava essere il trend del momento da parte degli apparati psyco-investigativi:
Perché questo nome, Necroman? Cosa ti è successo in carcere? Ho digiunato per giorni interi per purificarmi ed entrare in contatto con il mio spirito guida primigenio. Non sembri più tu da quando sei stato li, parli anche in modo strano, non capisci che ti stai soltanto attirando la malasorte? Sono una mala pianta da quando sono nato, ma adesso almeno ne conosco le radici e l’acqua impura da cui sono state annaffiate. Aspiro ad un pensiero che prima di esser pensato si sia già risolto nella risolutezza dell’azione. Un pensiero a sangue freddo.
Bzzbzbzbzzzzzzzzzzz... bzzzzzzzzz... bzbzbzzzzzzzzzzzbzzzzzzzz... bzzzzzzzzzzzzzzzzzzz...bzzzbzzzzz... interferenze varie e poi, su un altro canale a basse frequenze, il vhf capta un altro cripto-monologo... Mala tempora e Mala vena scambio tecno illogico tendente al disperabile. Caro Signor N.N. non ti ho mai chiesto niente né tu hai chiesto nulla a me. Per
me oltre alla tua vita qui, con me, ne puoi avere altre cento, non me ne frega un cazzo. Ma l'HIV non è ancora una cazzata anche se ora si tende a tenere sotto controllo cronicizzandolo, i farmaci lo tengono a bada: una morte sulla lunga distanza. Silente senza musica (e per me non è normale), brancolo in cerca di parole per essere chiara. Detesto le mezze parole. Gli equivoci. Ma detesto pure gli ultimatum e le forzature. E le intransigenze, ragionevoli o irragionevoli che siano. Ho ritenuto che io e te fossimo diversi. Miracolosamente incrociati per vie traverse in un universo nostro a tinte fortissime che comportasse sincerità quasi esasperata e infinite connessioni. Trovati per caso, ma nulla succede mai a caso. Ed una volta trovati, teniamoci, come scriveva Laforgue. Tutto a grandiosa velocità, montagne russe del percepibile, tutto bruciato consumato, vissuto, come è giusto per due anime futuriste e gospel come siamo noi. E nessuno lo può mettere in discussione. Impossibile narrare nostre le vite fuori da queste mirabolanti frenetiche debordanti connessioni con contatti così iperossidati e fulminanti. La dimensione HIV, poi, ha polverizzato praticamente tutto quel che c’è attorno… Ma le cose attorno ci sono e restano. Ti ho accennato che ho una vita complessa, Signor N.N. Mi hai riempito parti di cervello, cuore, carne annessi e connessi con parole fatte di epidermide e sperma. Non dico che tu non possa capire, non te lo direi se pensassi che non puoi capire. Sono stata amata, scopata, desiderata, forse non sempre capita, ma ho avuto e ho tutto. E di più. Sono colma di vita, drogata, incrostata, invischiata con i flutti umorali e scarti biologici. Ma HIV è una cosa nostra, che non ci è stata regalata se non dai noi stessi. Non sai che fatica si fa ad essere vivi. Ma forse lo sai.
Superficialità è l’unica via possibile quando sei stata immersa per troppo tempo nel profondo. Che le cose andassero oltre ogni umana comprensione, ci sfuggissero di mano. Che si compenetrassero nelle menti, come sarebbe sicuramente accaduto: un ione nella carne. Ma tu molli tutto, ok. Ne prenderò atto, non è una cosa facile ma non mi mancano le palle, come hai potuto subodorare. Ho avuto vicende difficili, complesse, casini di ogni genere come puoi immaginare. Eravamo perfetti, HIV ci ha marchiati. E non saremmo mai morti, se non per nostra volontà. Ora hai deciso che si debba morire senza aver vissuto l'HIV. Se per te è giusto rinnegare HIV, fallo pure. Il gospel è carne, è mente che si contorce, che grida lacera e pure ama se stesso e chi è come lui. La Polizia Psichica decifrò l’interferenza e la datò inspiegabilmente all’anno 2005, come un dialogo tra due sbandati eversori del Sistema ma reputati non pericolosi: tali Rosco Iacovitti e Aisha de Salzaman. È comune a tutti gli orfani avere un surplus di vitalità. Anita aveva ereditato due esistenze: una che guardava in avanti ed una indietro e forse un giorno si sarebbero incontrate, da qualche parte nel tempo e nello spazio. Ma spesso questa intersezione non accade. In senso scientifico l’ipotesi è la seguente: se il nostro impulso ad esplorare è innato, forse la sua origine risiede nel genoma. Infatti esiste una mutazione genetica di cui si parla spesso, quando si affrontano questi temi: è una variante del gene DRD4 che serve a controllare la dopamina, un neurotrasmettitore prodotto dal cervello che ha un ruolo importante nei meccanismi
dell’apprendimento e della ricompensa. La variante, di cui è portatore circa il 20% degli esseri umani, si chiama DRD47R, e diversi studi la associano alla curiosità e all’irrequietezza. Chi reca il gene mutante sarebbe più disposto a correre rischi, a esplorare nuovi luoghi e idee, a provare nuovi cibi, relazioni, droghe, ad approfittare di occasioni sessuali e, in generale, ad accettare con entusiasmo il movimento, il cambiamento e l’avventura. Non a caso, la variante sarebbe anche correlata all’Adhd, il disturbo da deficit di attenzione e iperattività. Anita quel giorno al Pronto Soccorso aveva chiesto aiuto a Zanna perché era l’unica ad aver compreso la sua epifania in un mondo sordido e misero e la maggioranza silenziosa tende a lasciare il mondo così come lo trova. Chiese a Zanna se fosse a conoscenza di qualche legale di fiducia, perché voleva rintracciare le proprie origini con dei documenti certi. Intendeva rivolgersi al Tribunale dei Minori che non era certo la vox populi composta da mille malelingue. Anita era ancora minorenne, dunque impossibilitata a richiedere il proprio certificato di nascita. Considerando poi che suo padre era restio a far luce sul suo ato e, tra l’altro, non era detto che le sarebbe stato d’aiuto per la sua ricerca a ritroso, aveva intenzione di lasciare Rosco fuori dalla sua investigazione. Anche per un senso di pudore e riconoscenza... Ma non sapeva da dove cominciare, non aveva dimestichezza con le fitte trame della burocrazia, e sapeva che Zanna poteva aiutarla. Zanna si ricordò infatti che il suo mentore, Immondus, coinquilino di cella, il suo guru black metal, aveva un avvocato di ferro: a pennello per il caso della giovane compare di giostre. Anche Anita ormai sembrava aver contratto il virus zen, smettendo in un sol colpo i panni emo, i trucchi alla Ziggy Stardust di provincia, le borchie e le calze a rete, optando per un abbigliamento più sobrio e minimal. In un attimo ti ritrovi vecchio – pensava tra sé l’ex bimbaminkia – e quand’è che diventi vecchio?Quando sei consapevole di non poter più ringiovanire cazzo...
Percepiva intorno a sé il mondo desolato. Una desolazione profonda, di cui le cose si imbevono fino all'osso, che la faceva sentire davvero sola. Non sopportava che le cose si ripetessero sempre uguali, con gli uomini, sul lavoro o quando anche solo camminava per strada. Ma sapeva che tutto ciò era ineluttabile. Non aveva l’intenzione di trovarsi per l’ennesima volta davanti a un film già visto. Allo stesso modo non voleva essere per gli altri un film già visto. Ed il Brucomela faceva un altro giro, un’altra corsa, insert coin lampeggiava il display di comando. Ma era pur sempre la stessa canzone, serviva un po' d'olio agli ingranaggi e, una volta ogni tanto, Rosco ci metteva mano come il destino mette mano alle cose dei mortali. La Polizia Psichica sembrava aver perso la sintonizzazione giusta ma riuscì ancora a captare questo sfogo di una mitomane spasimante rivolto a Necroman, prima che il segnale sparisse definitivamente: Ok Zanna o come cavolotifaichiamare ora, al gabbio tu hai vissuto un periodo in cui non capivi nulla, un periodo complicato, delicato e non lo discuto, ma chi ci è andata di mezzo sono stata io. Non credo che tu ti renda conto di come certe cose possano far male: ti rammento che di depresso a questo mondo non sei il solo. Guarda le cose dal mio punto di vista, io ero totalmente lucida, a volte preoccupata e spaventata. Se ti avessero fatto qualcosa di simile? Cercandoti, straziandoti desiderandoti, facendoti credere importante in ogni senso. Non solo come donna, ma come testa (che a mio avviso conta molto di più), con un mare di belle parole di emozioni di sensazioni, facendo credere che stanco della tua routine avevi trovato qualcuno con cui confrontarti che ti capiva ti attaccava etc... insomma condividere desideri emozioni gusti vissuto, ok? Poi questa persona all'improvviso ti tratta come uno sconosciuto, uno che a per la strada, uno con cui non vuoi avere nulla a che fare, ebbene lo ammetto: anche io sono umana e non mi sono mai sentita così svilita, sono una cazzo di debole l'ho sempre detto come premessa. Uno può cambiare idea, siamo liberi, può cambiare la sua direzione fortunatamente ma non può negare l'accaduto, far finta di nulla facendoti credere che tu ti sei fatta un film, io non sogno mai ad occhi aperti e forse è un
mio limite. Io non ho mai preteso di cambiare la tua vita, ho solo chiesto di essere comunque me stessa, io non ho mentito, ma tu o mi hai mentito prima o mi stai mentendo adesso. Epilogo: non puoi prendere una persona, chiunque essa sia, prima idolatrarla e poi buttarla nel cesso a tuo piacimento. Da persone adulte questo non te lo aspetti, ci sono molti altri compromessi per esprimersi, desistono mediazioni, non esiste solo il tutto o il niente... qui nel giro di 24 ore mi hai lasciato il vuoto. Sono stata cancellata dalla faccia della terra, dal tuo mondo talebano come fossi un bersaglio terroristico da annientare. Cancellata dalla rubrica del tuo telefono all’eternità, quasi non fossi mai esistita, ma cazzo io continuo a vivere e se tu mi hai cancellata io esisto comunque! Di conseguenza ho le mie buone ragioni per essere sclerata, non sognavo il principe azzurro ma non mi era mai capitato di essere buttata via così: perché le persone scomode e difficili meglio sfancularle subito, ma anche loro soffrono come tutti o di più e forse a te non interessa, ma a me non fa più piacere soffrire gratis. Tu sei soltanto un porco impenitente e recidivo e tutto il resto viene come corollario che già conosci. Sono andata a zonzo a schiarirmi le idee coatte per il mio vecchio paesello e ho incontrato una texana con cui facevo conversazione in inglese. È una signora sulla sessantina, una granny molto ginnica, ha girato mezzo mondo e poi ha iniziato a soffrire di depressione: lei dice di esserne venuta fuori con il jogging. Ha iniziato a correre come una forsennata e a stare meglio... mi piace un sacco questa tizia, quando abbiamo iniziato queste conversazione la pagavo, poi non ha più voluto soldi perché diceva che la facevo talmente ridere e stare bene che era ok così. Il mio problema è che non parlo bene l'inglese, i don't understand a fuck e lei mi rimproverava il linguaggio scurrile... Sono senza auto e semi relegata in casa. Vorrei andare in piscina, mi sa che mi ficcherò nell'idromassaggio tutto il giorno ascoltando gli Smiths che a te fanno schifo, lo so, ma ho voglia anche di miserabili massaggi sotto forma di note musicali.
Forse la vita mi sta solo tradendo, ma Mozz non lo farebbe mai. Poi Anita si abbandonò all'arcano maggiore Morfeo, arcaico e ristoratore, accanto a Necroman in quel lettino ospedaliero ed entrambi furono rapiti dalla fase REM in sincronicità Junghiana. La porta si apre improvvisamente e Zanna spunta sulla soglia trafelato. Lo guardo e mi abbozza un sorriso, si a la mano fra i capelli e si butta sul divano. Sto leggendo una rivista d’arredamento, ho addosso una tuta bucata e una felpa macchiata di olio rancido, i capelli sono raccolti in una coda di cavallo scompigliata e ho la mia solita espressione di scazzo esistenziale spalmata sul volto. So che muore dalla voglia di raccontarmi la sua ultima stronzata, a me invece piacerebbe proseguire nella lettura della rivista inframmezzando l’impegno intellettuale con una sana masturbazione, ma adesso che ho lui di fronte qualsiasi guizzo erotico si annulla come per incanto. “Anita, è fatta.” Lo sapevo inizia e adesso non lo fermo più. “Allora Anita, cazzo, devi ascoltarmi. Porca puttana da dove inizio... beh insomma sai che ti avevo parlato di quell’idea del rapimento simulato e tu mi avevi risposto mio dio Zanna ma sei marcio dentro che idee del culo ti fai venire in quella testa sbracata... Non ci crederai perché ho evitato di dirtelo, dolcezza, ma ho aperto un sito su internet... no Anita, non ho pagato niente, ma dai cosa vai a controllare l’estratto conto... ma sì troietta, vai a guardare, avanti, non ti fidi? Non ti fidi, ok, mi è costato 1000 dollari ma ti dico che è un affare, li ho già recuperati quei fottutissimi testoni, se mi lasci raccontare. Vuoi sederti? oh... Dunque, mi faccio 'sto sito dove spiego che sono disposto a rapire la gente per finta. Qualche ora di pura e perfetta adrenalina per ricconi fottuti e pieni di grana che non sanno più che farsene di squillo compiacenti, macchine tedesche e cocaina. Io tolgo queste persone dal tedio, sono meglio dello psicoanalista, gli ridò la voglia di vivere, capisci? Cristo santo Anita, lasciami finire, vabbè detto così sembra una cazzata, ma aspetta un secondo. Allora è da un mese che c’è il sito e l’altro ieri improvvisamente bam! mi squilla il cellulare... sì ne ho comprato uno. E piantala di strillare appena apro bocca, se ti dico di fidarti fidati, no? ho recuperato tutto. Te lo giuro! Dunque... suona il cellulare e dall’altra parte uno inizia a dirmi che ha visto su internet il sito e bla
bla bla, la cosa sembra interessante e di andare da lui. Prendo l’indirizzo, salto sulla 4X4 e vado a casa sua a Long Island. Villone vergognoso con ogni ben di dio, servitù ovunque, giardino coiffeurato di fresco, cani altezzosi e fieri, insomma una cosa senza senso... e allora la cameriera (gran culo se devo dirla tutta) mi fa accomodare... aspetto 10 muniti circondato da argenteria, quadri d’autore, mobili che nemmeno su quella rivista per segaioli ci trovi e ad un certo punto la porta della sala si apre e arriva un ciccione sudato e ansimante. Gli stringo la mano umida e molle e lui mi tempesta di domande. Insomma la privacy, dove li mettiamo, come funziona... sì, i rapiti sarebbero lui e la moglie. Mi racconta che fra di loro le cose non vanno, gli propongo il divorzio, in questo paese divorziano tutti, lui è ricco e qualsiasi donna starebbe con lui, lardo puzzolente compreso, ma la palla moscia mi risponde che la moglie è giapponese e il suocero, il riccone che mantiene lui e prole, beh... credo fosse un matrimonio combinato... che cazzo ne so perché un padre insista per far sposare una miliardaria con un sacco di merda come quello? Forse per la green card, non ne ho idea, comunque per una questione di onore il divorzio è fuori discussione e sia lui che la moglie non ne possono più. Solita routine, lavoro opprimente da cui non riescono a staccare e questa storia del rapimento gli sembrava una soluzione ottima. Comunque ho insistito per parlare anche con la moglie, lui l’ha fatta chiamare, congedando la serva con una bella pacca sul culo e così giunge questa muso giallo. La classica cinese... è la stessa cosa cara, non li distingui, sta robetta mingherlina e storta... tailleur chanel, cartier tempestato di diamanti, inchiodata agli anni Ottanta, sembrava tirata fuori da un Vanity Fair di vent’anni fa: capello permanentato, spalline e tacchetto medio... cioè tu pensa, una salma del genere che vuole essere cacciata in mezzo ai topi di una cantina e minacciata di percosse per una settimana... Aspetta tesoruccio... non è che la cosa sia così prevedibile... è ovvio che poi uno potrebbe dire, ok coglione, mi rapini ma io so che è tutta una messinscena etc. etc. Ed è qui che il mio genio mi ha aiutato: dovevo trovare un diversivo per rendere credibile il rapimento, tipo qualcosa che va storto e quello che simula la cosa in realtà è un pazzo e rischi grosso... Qui viene il bello, tieniti forte Anita. Saluto i due sfigati e inizio a pensare ad una variante che renda credibile il sequestro... purtroppo non mi veniva in mente nulla, finché il telefono mi ridesta dal mio sonno inquieto, tre notti fa. Sono le 4 del mattino e dopo una bestemmia rispondo. C’è una ragazza
dall’altra parte ed è la figlia della coppia di folli. Non avevo notato la squinzia, a parte la culona negra e subito penso che sia una presa per il culo. Invece la tipa insiste, dice di avermi visto e che per lei è stato un colpo di fulmine. Beh Anita posso piacere alle donne no? Solo che mi immagino che razza di abominevole scherzo della natura potrebbero aver partorito i due dementi e inizio a sudare freddo. Suona il camlo. Un’altra bestemmia mentre cerco di intrattenere la signorina che è zitta, chiedo chi è e da fuori mi risponde una voce mielosa: “Quella che è al telefono”. Anita... mi sono mancate le gambe, apro e di fronte c’è uno zuccherino esotico con un telefonino appiccicato all’orecchio. Io sono in mutande come un coglione, sento che mi sta per montare un’erezione, ma lei è la figlia di un cliente, non so che diamine fare, la invito ad accomodarsi e intanto corro in camera a mettermi dei pantaloni. Non ridere. Quella era in soprabito di pelle inguinale e stivale kilometrico, capelli sciolti, occhi a mandorla e...” Anita si svegliò con le ultime immagini che si liquefacevano, sempre difficile acchiappare i sogni che svaniscono rapidamente. Stava sul divano con la rivista di moda ed era scivolata in un inesorabile sonno movimentato in cui la raggiungeva a sprazzi la voce di Zanna che giaceva disteso sul letto ospedaliero. Ma non riuscì a opporre resistenza all’intorpidimento delle membra e al dilatarsi della coscienza, già quelle immagini erano parte del sogno e progressivamente si sfocavano come un quadro macchiaiolo nell’oscurità di un museo. «Zanna ho sognato che... non so forse ho sognato che il Termoli se la comprava uno con un turbante in testa, tipo Sandokhan… no… hai presente?» Seppure fossero precipitati quasi simultaneamente nella fase REM, non si svegliarono assieme: Zanna era ancora impigliato nei filamenti di un mondo onirico sgangherato fatto di autoscontri e abbagli di luci al neon, bimbominkia strafatte e ancheggianti, principesse fasulle e veri poliziotti, sbarre e zucchero filato. Al risveglio ci sarebbe solo stata la realtà sporca e metallica di un ospedale fatiscente.
Il Donchisciotte Elettrico e gli orfanelli
Le anime dei morti restano con noi per tre anni, con noi nel senso di non lontanissimo.
Poi vanno molto lontano.
L’epoca degli ego smisurati e tronfi è finita col ‘900, è inutile che vi affannate: i sepolcri sono già tutti prenotati, non vi resta che rassegnarvi alla fossa comune della storia (Hugo Bandannas)
Il vero istinto materno è quello di desiderare un figlio che non sia strettamente consanguineo, partorito cioè direttamente dalla uterina placenta materna. Un figlio che sia altro, alieno dal focolare domestico e dal mondo di genetica tramandata. Primo perché, come avviene nel mondo animale, l'istinto materno e primigenio è quello che ingloba emarginati, abbandonati, orfani anche di specie diverse. Due, perché il gene tramandato col tempo si ammala, si annacqua, comincia ad avere tare, malattie e una decadenza prossima all’abominio incestuoso. Fa aceto. Certe persone, per natura o spirito, hanno davvero bisogno di qualcosa di più per sfamarsi, e questo le costringe al limite della morale ordinaria, fino a oltrearla. Il superamento non è giustificazione dei propri vizi, ma creazione di un nuovo sistema di valori segreto, da iniziati.
Anita aveva un'anima limpida, lo si capiva da come parlava: c’è un ortodossia nella lingua, soprattutto nell’oralità, una purezza che rispecchia l’anima, la rifrange. Questa ortodossia non faceva parte del sistema sintattico dell’avvocato che Nercoman contattò per soccorrere la sua amata compare Anita, chiamando direttamente al suo studio privato, che fungeva all’occorrenza anche come Agenzia Investigativa, la Umbratilis Imago. Nel giro losco della giurisprudenza fai da te era noto come il Donchisciotte elettrico. Anziano, smilzo ed emaciato, grigioderma, lungocrinuto, s-colorito candeggina, filiforme e stecchino, simile ad un punto esclamativo ambulante, con una camminata sciancata e sbilenca, il Donchisciotte elettrico compensava questo insulto naturale all’estetica e alla natura con una abilità informatica che lo posizionava tra i primi cento al mondo. Un veterohacker misantropo ed extralusso, annoverato tra i massoni del Nuovo Paganesimo Black Metal tribale, dedito a sbronze a budget stracciato, preferibilmente con Pernod, sidro e Tavernello, votato al culto dei porno amatoriali con ragazzine emo ema-, cicatrizzate e infibulate. Icastico, iconico iperventilato dal pianoterra in su, ascendente, ascensorato, divino ascetico, elettrostatico, ellittico, convergente al coma etilico, il Donchisciotte Elettrico era un luna punk vivente, sintetizzato in un’unica persona, un guru post cyberera, nemico pubblico numero uno della Polizia Psichica. Quando i tre si incontrarono per definire il piano d’azione e l'attacco al tribunale dei Minori, il rendez-vous fu fissato in un posto angusto: un chiosco mobile situato all’interno del Luna Punk, uno di quelli che vendono panini con salamelle, wurstel e crauti. Appena seduti intorno al tavolino di plastica l’avvocato massone ordinò tre Ceres ed esordì raccontando l’aneddoto della Luna di Lattice perché anche lui aveva dimestichezza con i freaks delle giostre e narrando quella breve storia era certo di metterli a proprio agio, quindi di poterli manipolare. Era bravo l’Elettrico ad affabular storie, gli venivano bene come ciambelle dal buco perfetto: la sua eloquenza dentro e fuori dal foro lo rendeva un comprovato mattatore di vita.
“La incontrai che non era ancora mezzanotte, addobbata sul dorso della strada, fuori dal quel luna park sul quale se ne raccontavano molte. Buttai un occhio alla sua sagoma e, veloce come una sveltina, buttai l'altro all'interno del parco giochi che credevo dimesso. Tagliò in due quel denso e sudato silenzio di fine luglio con un: “50 per me o 50 per le giostre, babe?”. Non ci feci caso. Roteai la testa per cercare sollievo dal torcicollo. Me lo portavo appresso dall'ultima serie di tamponamenti a catena dell'inverno ato sulla Parma - Milano, autostrada infestata da stato di nebbia permanente. La sua Multifilter, macchiata di rossetto scadente, gettata di malavoglia per terra e poi agganciata al suo tacco a punta d'ombrello, mi riportò al presente, tanto da osservare con nitidezza imbarazzante il suo maculato smalto nero sulle unghie, che incorniciavano dita dei piedi perfette come quelle di… beh, in quel momento non ricordavo di chi… lapsus da cortocircuito emotivo. Risposi: “Non si potrebbe fare un giro sulla giostra insieme a te, dolcezza?” “Sono cento – e aggiunse malefica – spero che una delle due scelte non ti risulti letale...” ghignò. Ok, ok, questo è soltanto un incipit come tanti. Vorrei sorvolare su qualsiasi tipo di cliché alla Harmony con sfumatura noir che giri intorno ad una trama da autogrill. Evitare di narrare di come si rimorchia una prostituta fuori da un luna park maledetto e la già sentita manfrina condita di risvolti di doppia personalità alla Psycho, o allo smembramento ed occultamento di cadaveri, vicino alle montagne russe, da parte del giostraio slavo con tre denti d'oro e gamba di legno, in chiave Dalia Nera. Eppure mi è difficile ricordare di quella sera con la luna di lattice, che poteva assomigliare ad un harbre magik al limone, e di quando incontrai quella ragazza, esausto, stufo ed angosciato di un certo polverone esistenziale che adesso neanche ricordo bene, stravaccato sul cancello del luna park come James Dean dentro la sua Porche cabrio.
Lei fatta di caviglie snelle su piedini di smalto piombato e schiavizzate da sandali romani ed un sorriso... due occhi profumati come le vecchie Brooklyn all'amarena. Mi chiese con voce da zucchero filato se avevo da cambiare qualche spicciolo perché voleva tuffarsi nel tunnel of love sola soletta. Al che proferii parola: “In un tunnel ci si finisce sempre in due.” E lei: “E chi ne esce vivo?” “Il tunnel!” Lei sorrise ed aggiunse, leggendo la mia mente come un cartina di tornasole: “Puoi chiamarmi Luna di Lattice, se vuoi.” “Adoro il lattice” aggiunsi trasognato. La giostraia intervenne con il suo accento casertano a mo’ di coito interruptus: “Dieci euri pe lu tunnel del lov, 12 cu lu preservativo.” “Dieci” feci sicuro di me. Ero certo, infatti, che per la durata del tunnel non sarei riuscito a strappare che una bella smucinata. Il trenino partì. Cinque vagoni in croce, vuoti a partire dalla prima carrozza, noi occupavamo l'ultima. Attaccò anche il Boss, con il pezzo ad hoc: Tunnel of love. Non feci in tempo ad afferrarle la mano che cominciammo a prendere velocità. Una velocità tale da impedire battute, lazzi ed approccio incluso. Ai lati sfrecciavano figure indefinite di embrioni messi sottolio avvolti da gelatina, ma poteva anche essere insalata russa. Di sicuro oltreammo i 300 chilometri orari, quando non potei fare a meno di urlare. Non riuscivo più a muovere la testa: ero letteralmente bloccato dalla velocità, una paralisi ipnagogica. Non avevo la benché minima idea della sua presenza accanto, poteva essere stata catapultata chissà dove, magari
mutilata, o con la testa mozzata da qualche ferro sporgente. Mi venne allora in mente la maledizione del luna park: le storie che circolavano di omicidi, casi di sabotaggio, rapimenti di bambini, stupri sopra la ruota panoramica, messe sataniche sotto le macchine a scontro, le puntate di scooby doo. Ero soltanto un'altra vittima di questo mostro meccanico, dai tentacoli freddi e dallo sguardo rosso luciferino come la spia della benzina. Vittima predestinata del tunnel dell'amore. In un unico interminabile flash si susseguirono nell'ordine: i quadri stralunati di Ensor, i fotogrammi di Metropolis, le ultime pagine della Dalia Nera, l'intero album Walk Among Us dei Misfits. E, per ultima, giunse l'immagine della Luna di Lattice: allucinante effige di una bottiglia contenente un potentissimo intruglio a base di stp, emocromo e cadaverina scaduta Cosa lasciava intendere con quel racconto allegorico l’avvocato? Per rendere più chiaro il concetto, dichiarò che era inutile cercare la verità tra documenti e scartoffie verosimilmente contraffatti, per chissà quale fine, molti anni prima. In una parola palesò apertamente ai giovani amanti che neanche da un Tribunale ci si deve aspettare la verità assoluta. I giudici sono uomini e gli uomini sono corruttibili nella buona e nella mala fede, sempre che si ammetta una bona fides di corruttibilità. Zanna e Anita finirono per fare l’amore in quella fredda astanteria del Pronto Soccorso per scaldare le loro anime, ma in fondo sapevano che avrebbero aggiunto gelo al loro freezer interiore, altro vuoto pneumatico per il proprio buco nero esistenziale, carestia di vita alla fame del Biafra insita nei loro sguardi, deserto tantrico a crepaccio karmico. L'irredimibilità esistenziale non è una malattia contagiosa: i volti di chi la contrae o di chi la porta con sé dalla culla, fanno riferimento ad una certa solennità nei tratti somatici ed un senso di predestinazione che fa oscillare l’inconsolabile da una erranza vagabonda e psicotica ad una stasi autistica dal retrogusto ascetico non reversibili. Zanna e Anita a modo loro erano due sconsolati delle proprie vite, fosse stata una cattiva stella o un cavillo burocratico a decidere per loro, sta di fatto che per alcuni la vita è una tavola già sparecchiata prima del pranzo.
Ci sono quelli che inseguono cose che gli portano vantaggi e quelli che rincorrono cose che alla fine si dimostrano vantaggiose per altri, prede e predatori di ogni tempo, eterodiretti e manipolatori, non si fugge da questo manicheismo.
Quando tutto diventa strano, gli strani diventano professionisti
Il Limite… non c’è un modo onesto per spiegarlo perché le sole persone che sanno veramente dov’è, sono quelle che l’hanno superato. (Hunter Thompson) Prima di tutto il cosiddetto Black Circle era qualcosa creato da Euronymous per far credere alla gente che ci fosse qualcosa, ma era una fandonia e non è mai esistito. Dall'altra parte i media credettero alla sua esistenza per un attimo, ma velocemente smisero di parlarne quando capirono che era una voce falsa. (da Lords of Chaos) Cos’altro rimane da fare, se non ululare sulla propria tomba con la luna piena, aspettando il momento opportuno per tuffarsi nella fossa? La bisboccia non arriva mai fino all’alba, ci sarà sempre una fottuta luce del sole a ricordarti che la giostra deve ripartire che lo show deve continuare. Un pensiero sbilenco può bastare a metterti k.o. per tutta la vita, una ideazione che non riconosca i codici unanimemente condivisi e che continua a sibilare come vento tra i salici. Anita si era fatta l’idea di un padre gentiluomo, più che canaglia, che non l’aveva potuta riconoscere per un legittimo motivo: la sua reputazione all’interno di un piccolo paese isolato dal mondo. La partita si era giocata tra legittimità versus illegittimità e, proprio sul finale, anzi nei minuti di recupero, si era finiti sul pareggio. Anita si teneva le iniziali NN tatuate nell’anima di figlia non riconosciuta alla nascita e il padre la sua rispettabilità. La madre era l’unica a tenersi un gomitolo di sentimenti indecifrabili ma sicuramente con sfumature di grigio antracite, una vita s-vissuta all’insegna della
finzione, la scelta di simulare una vita normale in quelle persone, e lei era una di quella, a cui la vita aveva cambiato il corso del suo scorrere. Cos’è la vita se non uno spezzatino di una sindrome ossessivo compulsiva? Uno stato febbricitante generato e non creato dalla stessa sostanza di quella manciata di geni appartenente ai tuoi avi? È davvero tutta qui quella preziosa sostanza immateriale chiamata vita? Una linea brevilinea che collega la nascita con la morte. Che non ti sia concesso guardarti un solo attimo dall’esterno, prega il tuo qualsiasi dio in ogni cazzo di lingua perché sarebbe la fine, l’analisi psicologica ha bloccato il flusso del divenire dell’essere, perché quando l’uomo comincia guardarsi in un depravato specchio voyeur si riflette soltanto la sua imminente fine. Ecco dove siamo giunti, con un recondito desiderio masochista di cercare di prenderle fin dagli albori: il game over sterminatore. Consultando la guida escatologica delle giovani marmotte o un oroscopo dell’anno precedente, ha poca importanza il come, sta di fatto che era inevitabile l’estinzione, era inevitabile il postulato secondo cui è più importante assecondare il proprio istinto, finché non si conosce l’ingrediente X con cui è stato cucinato. Puoi superare te stesso, puoi anche andare oltre il tuo DNA di umano, ma di sicuro non puoi più tornare indietro e improvvisare una segnaletica che diventi accettabile e decodificabile socialmente. Il problema sorge quando sei parte di un ingranaggio di cui non conosci i meccanismi, quando non riesci a dare un verso all’avverso, e non puoi sintonizzarti su frequenze più alte per ripulirti da negatività psichiche che, se non vengono prese in tempo, finiscono per logorarti e renderti uno zombie da sottoscala. Necroman, a sua insaputa, aveva firmato il patto con l’avvocato del diavolo, il Donchisciotte Elettrico. Aveva così finito per vendere la sua anima ancora pura seppure ribelle al black circle, in cambio di uno status sociale che gli conferisse rispettabilità e incutesse timore agli occhi di Anita e al giro dei compari del luna park. Il black metal ed il neo paganesimo sono sempre andati a braccetto per almeno
un ragione fondamentale: l’avversità alle religioni millenaristiche. Entrambi auspicano il ritorno a divinità pagane, rifiutando una Chiesa con il corollario di dottrine dogmatiche e strutturate a piramide. In effetti, il fenomeno è rimasto per diversi decenni taciuto: componente sovversiva di una subcultura underground che mai ha visto la luce del sole, una controcultura che mette sulla stessa ara sacrificale satanismo, tarocchi, comi massonici, cappucci, i Venom ed il Signore degli Anelli.
Get in the van
Io sono il padre, la madre è me e la madre è il padre. In origine nasciamo nel desiderio e ci riproduciamo nel desiderio. Quindi siamo collegati in un tutt'uno come il nastro di Moebius e io finisco per invidiare, odiare e amare me stesso" (Dal film Moebius, Kim Ki Duk) Nonostante il pessimo oroscopo che pendeva sur les tetes des deux jeux amantes come una spada di Damocle, Zanna prese a caricare il vecchio furgoncino Ford del padre sul quale, nella sua precedente incarnazione, aveva attaccato adesivi di band hardcore seminali quali Black Flag e Germs, con lo stretto necessario per il viaggio. Si erano dati appuntamento con Anita, protetti da una notte stellata, vicino al distributore di pop-corn. Insieme levarono le tende, destinazione nowhere, alla ricerca di qualche informazione su sua madre Aisha. La strada scorreva dritta ed ipnotica, un corridoio claustrofobico come il videogame Doom, a 4 corsie più quella d’emergenza, la malasorte intanto intonava “…l’auto veloce correva, non lo sapevi che c’era la morte quel giorno che t’aspettava.” Un insidioso colpo di sonno indotto da una modesta dose di fenobarbitale mise fuori gioco Necro. Il Ford cominciò a vivere di vita propria e speronò un Tir per inerzia: lo spettacolo pirotecnico era da togliere il fiato. Un trailer splatter si impadronì della scena, qualcosa che avrebbe sbiancato anche il non più nero e non più vivo Micheal Jackson. Il giorno dopo, la cronaca nera parlò di un morto ed un ferito grave, poche righe in cui un quotidiano locale liquidava la carambola fatale. L’autista del Tir, un sudtirolese di 65 anni alla soglia della pensione, fu l’unico a poter raccontare
l’incidente. Anita restò secca sul colpo con il famoso ictus conigli: vertebre cervicali spezzate all’istante. Zanna invece fracassò il parabrezza perdendo metà della materia grigia contenuta nella sua ex scatola cranica, ed essendo il contenuto già dimezzato geneticamente, i conti sono presto fatti. Alla fine della fiera l’unica domanda di nicciana memoria che si pone è: non sarà che a ricercare ostinatamente le proprie radici si finisce per procedere all’indietro come gamberi? Anita bruciò fino a squagliare la sua giovinezza nella sua ossessione, la sua scelta consapevole fu un'identità spremuta nella spasmodica ricerca di una madre che l’aveva abbandonata. Come si autodetermina una persona è cosa ignota, sicuramente è la risultante di un'alchimia da bilancino tra fattori genetici, predisposizione naturale, contesto, carattere e idealismo ed una buona dose di mala o buona sorte. Nercroman si era sacrificato per assecondare il sogno di Anita, visto che la sua possibilità di sognare era intorno allo zero. Le persone si autodeterminano anche con il prezzo del sacrificio che mettono in gioco, più si è disposti a rischiare più ci si determina, si aderisce al patto esistenziale. Del tutto secondari sono i risultati che ottengono, nel caso specifico ritrovare o meno sua madre Aisha non era tanto importante quanto l’input di mettersi alla sua ricerca. Zanna fu messo in istituto, padiglione VIDI, Veterani da Incidenti Danni Irreversibili, per il resto dei suoi giorni, coccolato da una melliflua badante ucraina di mezza età. Un giorno fu programmata l’uscita di Zanna per qualche ora e la badante pensò bene di portarlo al Luna Punk, sperando in un miracoloso risveglio anche se la scienza medica lo aveva già condannato ad una vita da vegetale.
Katiuscia comprò dello zucchero filato che imboccò a Zanna con devozione materna, asciugandogli la bava agli angoli della bocca, poi giunsero davanti al Brucomela dove solitamente c’era Anita alla biglietteria, ma ormai Rosco doveva sbrigarsela da solo e dividersi tra la manutenzione, l’avviamento, l’amministrazione e soprattutto elaborare il recente lutto di sua figlia. Rosco non riuscì a trattenere le lacrime alla vista di quel che restava di Zanna, lo strinse forte ed in lui vide il futuro possibile di una seconda chance che la vita non ti concede. Anita e Zanna non c’erano più, ma la giostra girava ancora in un instancabile moto perpetuo a cui bastava oliare gli ingranaggi ogni tanto, mentre una vita spezzata non si sarebbe più aggiustata. Katiuscia spingeva la carrozzina mentre l’umanità del Luna Punk si preparava alla prossima stagione di vacanzieri zucchero filato-eggini-gettoni-odore nauseabondi di abbronzanti al cocco -tshirt fluorescenti-shorts a righe-tatuaggi di geishe multicolore sopra la riga del perizoma. I giostrai sono condannati e benedetti a dimenticare in fretta: è l’imprinting tatuato nel loro DNA, il cerchio si chiude in fretta e a forza di fissare i movimenti ripetitivi delle giostre si diventa disumani, un altro giro e un'altra corsa. Per chi resta indietro o si guarda troppo alle spalle non c’è futuro da uomini ma solo da gamberi.
Nel mezzo di un cazzo, il paradiso può attendere
Ma cosa è questa? Leva questa musica di chiesa! (Prostituta rumena all’ascolto di ortodossia I dei CC) Sono riuscito a dispiacere localmente ed anche in maniera obsoleta (cit. rivist. di Guy The Bore)
Come è statisticamente impossibile che una prostituta si innamori del suo cliente, così è altrettanto improbabile che l’amore non sia generatore di danni di ogni genere a volte estremi e fatali. L’amore danneggia più di un frontale in contromano contro un pick-up modificato in spazzaneve. Eppure Anita e Aisha si saranno unite in qualche dimensione altra, su qualche piattaforma intersecante derive astrali e lì si saranno finalmente dette l'indicibile: pensieri formulati, elaborati per anni e tenuti sotto chiave in qualche scantinato della coscienza, frasi formate da tasti di una macchina da scrivere inceppata, sotto una ammaliante luna blu, una rivelazione, un'estasi, un'ebbrezza indeterminata che gela i polsi anche ai morti e, nonostante tutto, quei pensieri forse saranno ormai evaporati come lo champagne del 1982 vinto alla lotteria del mundialito. L’istinto le farà annusare, l’assurdo invece le lascerà mute, afasiche, i loro reconditi desideri avviluppatisi inestricabilmente come l’edera intorno alle loro vite. Rimasti là, impigliati come aquiloni che librati in volo si agganciano su secolari salici piangenti. La comunicazione termina quando l’urgenza del dire sparisce. I doppi di Anita e Aisha avevano confabulato dentro i loro rispettivi catini di coscienza spuria, lorda.
Anita aveva sparato a salve ogni cartuccia dell'illusione di sapere: per lei sua madre restava, a seconda del suo karma istantaneo, una puttana, una santa, un'aliena, una criminale, talvolta persino una madre. Per Aisha invece la figlia, avuta avventurosamente con Rosco e poi abbandonata, era stata sempre il suo cancro tenuto a bada da una massiccia chemio-quotidianità e da industriali dosi di alcoolici che l'aiutavano ad ingoiare l'amaro calice. Non si era mai messa alla ricerca di sua figlia Anita, e sapeva in cuor suo che nessuna giustificazione plausibile e nessuna quantità di alcool le avrebbero permesso di gestire un vis-a-vis definitivo. Essere contromano nella lunga strada degli istinti primordiali comporta aberrazione, significa porsi al di la della specie vivente, vegetali inclusi: abbandoni, suicidi, omicidi sono la triade suprema che abita le anime alla deriva, anime danneggiate che hanno poi trovato la metempsicosi di corpi predestinati. Il divenire di questi non più esseri li pone in territori non più noti, analizzabili, curabili e quindi non più salvabili. Le anime che non si salvano si incontrano fra loro, procreano stirpi irredimibili che non si salveranno e così via. Finché il ramo dell’albero genealogico maledetto verrà potato e la loro dannazione terminerà in un cul-de-sac genico/genetico. Una ruota di giostra del Luna Punk si confonde con le melliflue insolenti note di Blue Moon del Re Elvis, mentre rotola nel cielo, verso il paradiso. Ma il paradiso rimane fermo, non sembra accorgersi di niente, è già saturo d'indifferenza.
BIOGRAFIA
Classe 1974. Rock star decaduta prima dell’ascesa bruciatosi in gioventù a colpi di punk provinciale sulle coste tirreniche.
Come autore ha pubblicato L'ORA BLU DI Hugo Bandannas (raccolta di vizi e nafandezze liriche) editor ilmiolibro.it 2009 LA MORTE SI SCONTA CHATTANDO (arduino sacco editore 2010) http://ilmiolibro.kataweb.it/schedalibro.asp?id=207920 RACCONTI CIALTRONI PER CERVELLI A SONAGLI - www.editricezona.it (uscita aprile-maggio 2011) DIARIO DI BORDO DI UN CLANDESTINO BALORDO (2012) abelbooks - ebook
come giornalista e gonzo musicista myspace.com/hugobandannasband wordpress.deadskyline fanzine www.blackmilkmag.com singer and sunglasses of Port of Souls guitar player and buzzing vocalist and guitar of tHe Hazardous Waste: Ep El coche boogalero:http://www.soundclick.com/bands/default.cfm? bandID=1263100
the last of post mortem symbolist poet buzz and voice for electro scazz duo "messa in piaga"
Credits
Abelbooks, Malavena Promoting, Christian Lucidi, Emro Produzioni, Greco family, Lavinia Garofalo Gargiulo, Eli Sabetta, Nina Agolini, Tribunale dei minori di Roma, Csoa Ex Mattatoio di Cv Beach
Illustrazione di sca Schifano aka Basita