Rinnegare Dare 4a5s5e

Denying Dare

Figli Della Luna, Libre 4

Amber Kell

Titolo originale: Rinnegare Dare Amber Kell Copyright 2010 by Amber Kell This Edition: July 2015 Smashwords edition

Cover design: Meredith Russell Traduttore: Ernesto Pavan

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Contenuto

Capitolo Uno Capitolo Due Capitolo Tre Capitolo Quattro Caccia al Compagno (Campione) Sull’autrice

Dedica

Un ringraziamento speciale ai miei fans italiani per il suggerimento.

Capitolo Uno

"Allora, da quant’è che sei innamorato del mio migliore amico?" Dare Moon lasciò cadere la bottiglia con cui stava giocherellando. Per fortuna, la costosa vodka pregiata atterrò sul tappetino di gomma, che impedì si frantumasse sul pavimento di cemento. "Di che stai parlando?" chiese d'un fiato, cercando di quietare il suo cuore in tumulto. "Dirò a Silver di limitare il tuo consumo di alcolici." Non avrebbe mai ammesso di essere attratto da qualcuno. Soprattutto quando l'uomo in questione non mostrava alcun interesse nei suoi confronti. Anthony Carrow si strinse con grazia nelle spalle mentre sorseggiava il suo cocktail alla frutta. "A Silver importa poco del mio tasso alcolico. Non bevo poi molto." Sbatté le ciglia dei suoi magnifici occhi color ambra all'indirizzo di Dare. "Ma parliamo di Steven. Se non sei innamorato di lui, allora perché continui a fissarlo come se volessi saltargli addosso come un gatto col topo?" Sospirando, Dare lanciò uno sguardo dall'altra parte della stanza, dove il licantropo dai capelli scuri oggetto della loro discussione era in cerca di qualcuno con cui terminare la serata - qualcuno che non era lui. "Non c'è niente tra me e Steven. L’unica cosa che posso fare è fissarlo. Ha messo bene in chiaro che non vuole una tigre mannara." Il che gli aveva spezzato il cuore. Non poteva cambiare la sua natura, nemmeno se avesse voluto farlo, ma era altrettanto impotente nei confronti dell’attrazione che provava per il bel lupo mannaro. La sua sofferenza parve non sortire alcun effetto su Anthony. "Per quanto io gli voglia bene, Steven è un cretino. Negli ultimi tre mesi, nessuno di quei bei fusti con cui è andato a letto è riuscito a sfiorargli il cuore. L'unica ragione per cui è fissato con l'idea di avere un compagno lupo è il fatto che i suoi genitori adottivi siano umani. Desidera appartenere a un branco." Dare ricacciò indietro le lacrime, voltando la testa per evitare che l'acuto compagno dell'alfa se ne accorgesse. "Io non posso offrirgli un branco. Le tigri mannare si incontrano solo per accoppiarsi."

"Dare, che cazzo. Posso darglielo io un branco, se lo vuole. Quello di cui ha davvero bisogno è un compagno per la vita. E, perlomeno stando a quanto dice Silver, è mio dovere provvedere al bene della collettività. Beh, credo proprio che in questo caso esso coincida con la felicità del suo favoloso barista." Gli occhi dell’aitante biondo furono attraversati da scariche di fulmini, presagio di una tempesta in arrivo – e trattandosi di Anthony, non sarebbe stato un semplice temporale. Merda. Era difficile far perdere la calma al dolce compagno dell'alfa, ma quando accadeva, Anthony scatenava una forza inarrestabile. Dare guardò nervosamente le bottiglie sugli scaffali. Si augurò di non dover spiegare a Silver il motivo di una loro eventuale distruzione. Prima che lui potesse aggiungere qualcosa, Anthony scese dallo sgabello e attraversò a grandi i l'affollata pista da ballo. Il potere che controllava grazie al legame magico con il suo compagno gli permise di raggiungere Steven direttamente, le persone attorno a lui si allontanavano dal suo percorso in modo del tutto naturale, come se non fossero nemmeno presenti. In piedi sulle punte, Dare osservò l'uomo minuto avvicinarsi all'amico. Con la coda dell’occhio, scorse Anthony tirar fuori qualcosa di tasca, ma ormai era troppo tardi per accertarsi di cosa si trattasse.

A ogni o la rabbia di Anthony non faceva che aumentare. Come faceva Steven a non accorgersi di ciò che aveva proprio davanti agli occhi? Ogni fine settimana, l'amico di Anthony veniva al club e rimorchiava un licantropo diverso. Tutti i lunedì, si lamentava con lui del fatto che il ragazzo della volta prima non fosse ‘quello giusto’. Eppure ignorava completamente quel tenero uomo dai capelli neri e gli stupefacenti occhi verdi. Beh, era ora di smetterla. Anthony era stufo. "Steven," gridò per sovrastare il rumore della folla. Steven voltò la testa scura verso di lui, distraendosi dal belloccio mannaro con cui stava parlando. Anthony non aveva idea di cosa Steven credesse di avere in comune con quel cosino striminzito sul cui mento stava crescendo la parodia di una barba. Quel ragazzino doveva essere almeno dieci anni troppo giovane e in difetto di almeno trenta punti di quoziente intellettivo.

"Sì?" chiese Steven. "Devo darti una cosa." Steven scrutò il suo corpo, in cerca di un regalo. "Che cosa?" Anthony tirò fuori di tasca una busta. Con un’agile mossa, la aprì, rovesciandone il contenuto in una mano. "Questo." Trasse un respiro profondo e soffiò la polvere verde sulla camicia di seta blu e i pantaloni di cuoio marrone di Steven. "Merda." Steven cercò di ripulirsi, ma la polvere si era appiccicata alla seta – esattamente come Anthony aveva pianificato quando gli aveva consigliato di indossare quella camicia. "Che cazzo hai fatto?" Steven fulminò Anthony con lo sguardo. I suoi occhi blu scintillavano di rabbia. "Goditi la serata." Dopo aver rifilato al suo amico un ampio sorriso, Anthony girò sui tacchi degli stivali e si allontanò a grandi i, lasciandosi inghiottire dalla folla.

Steven vide il suo migliore amico che si allontanava dopo avergli rovinato i vestiti. Che diamine sta succedendo? Se i membri dei Figli della Luna potevano essere tratti in inganno nel credere che il suo migliore amico fosse una personcina a modo, Steven sapeva benissimo che dietro quel sorriso innocente si celava in realtà uno spietato burattinaio. Se Anthony pensava di sapere cosa fosse meglio per te, non ti restava altra scelta che quella di incassare il colpo con grazia o scappare come se avessi avuto il diavolo alle calcagna. "Amico, che cazzo. Come mai il compagno dell'alfa ce l’ha con te?" Il ragazzino lo guardò con aria sospettosa, come se Steven fosse ormai con un piede nella fossa e lui non volesse rimanere invischiato nella faccenda.

Un tremendo ruggito attirò la sua attenzione verso il bancone del bar. Dare, il barista carino dagli occhi verdi, sembrava pronto a trasformarsi. Steven si guardò intorno, cercando di capire cosa avesse scatenato l’ira di quell'uomo così tranquillo. Di solito se ne teneva alla larga, perché Dare esercitava su di lui un'attrazione incredibile e Steven era in cerca di un licantropo. Ma ciò nonostante, qualcosa lo attirava verso di lui con la stessa forza con cui una gomma da masticare si appiccica alla suola di una scarpa nuova. Il legame fra loro due era più forte di qualunque sentimento avesse mai provato per i tanti uomini con cui era andato a letto. Cercò con lo sguardo l'individuo che stava infastidendo il bell'uomo, pronto a dargliene di santa ragione. Poteva anche non volere Dare per se stesso, ma non avrebbe lasciato che qualcuno lo importunasse. Poi sentì l'odore. L'erba gatta. Quel piccolo bastardo di Anthony l'aveva polverizzata e gliel’aveva soffiata addosso. Ne era ricoperto. Merda! Ebbe a malapena il tempo di imprecare prima di finire con la schiena a terra, abbattuto da duecento chili di tigre bianca siberiana. Per fortuna, l'animale ricadde su di lui con le zampe divaricate, evitando di schiacciarlo con tutto il suo peso. Dopo averlo buttato a terra, la fiera emise un verso colmo di soddisfazione provocando una ventata d'aria che allontanò i capelli dal viso di Steven. Guardando in quegli stupendi occhi verdi, l’uomo si rese conto che il dolce barista aveva ceduto completamente il controllo alla belva. Cristo santissimo. Avrebbe dato una lezione a Anthony, ma con la dovuta attenzione. Steven non voleva certo essere fatto a pezzi da Silver. "Ehi, Dare," disse, mantenendo un tono di voce calmo e rilassato, nella speranza di arrivare all'uomo nascosto dentro la bestia. "Ti ricordi di me? Sono Steven. Sono tuo amico." Non era del tutto vero. Steven cercava di evitarlo, ma solo perché era una tentazione fortissima. Lui voleva un lupo, non una tigre. Non importava quanto quest'ultima potesse essere affascinante, gentile e sexy. Sono fottuto.

Una lingua calda e umida ò lungo il suo collo, lasciando dietro di sé una striscia di pelle arrossata. "Ahia," protestò Steven. Ma nonostante la situazione, non era minimamente spaventato. Il suo commento gli fece guadagnare un altro verso compiaciuto da parte della bestia. "Dare, lasciami stare. Bravo micio. Ricordati che ti piaccio. Mangiarmi sarebbe una cosa cattiva." Sperava con tutto il cuore che il grande felino capisse le sue parole. In caso contrario, non avrebbe avuto grandi speranze. Vide con la coda dell'occhio Ben che si avvicinava alla tigre bianca con fare lento e cauto. Il giovane aveva la fronte imperlata di sudore mentre li raggiungeva. Dare ringhiò e si accovacciò sul corpo di Steven, come un predatore pronto a difendere il corpo della sua preda. "Indietro, Ben," sibilò Steven. "Non mi farà del male." Sapeva, dentro di sé, che il barista non gli avrebbe torto un capello. Due paia di mani si allungarono per afferrare Ben e allontanarlo dal pericolo; erano quelle di Dillon e Thomas, i suoi compagni. Steven sapeva che il giovane si sarebbe preso una bella lavata di capo una volta tornato al suo appartamento. La sua sicurezza era molto importante per gli altri due. Sapendo che il giovane era al sicuro, Steven riportò la sua attenzione sulla tigre che lo stava tenendo fermo. Una nuova leccata gli inumidì l'altro lato del collo, mandandogli un brivido di dolore lungo la spina dorsale. La tigre aveva la lingua penzoloni e un’espressione inebetita. "Ascolta, amico. Anthony ha uno strano senso dell'umorismo. Non aveva secondi fini," disse Steven. Mio. La parola gli apparve nella mente, pronunciata da una voce non sua. "No. Voglio un lupo," protestò. Ma quell'obiezione suonava falsa persino alle sue orecchie. Quando era da solo, la notte, sognava l'intrigante tigre mannara, ma

non lo avrebbe mai ammesso. Sebbene il suo istinto lo spingesse verso Dare, forse sarebbe ancora riuscito a trovare un compagno licantropo. Peggio per te. "Cosa vuoi dire?" Steven temeva di sapere fin troppo bene cosa la tigre mannara intendesse dire. Dare aveva deciso di farlo suo. Ma non poteva. Vero? La fiera cambiò posizione e prese il braccio di Steven fra le sue ampie fauci. Con una gentilezza che cozzava con l'enorme quantità di denti affilati, la tigre lo trascinò attraverso la pista da ballo e verso gli ascensori. Gli spettatori si fecero da parte. Nessuno di loro mosse un dito per aiutare Steven. Anzi, la maggior parte sembrava divertirsi. Teste di cazzo. Quel maledettissimo felino lo stava portando nella sua tana e nessuno sembrava intenzionato a impedirglielo. Steven sapeva che dipendeva dal fatto che fosse stato Anthony in persona a soffiargli addosso l'erba gatta: nessuno avrebbe osato interferire con i piani del compagno di Silver senza essere certo del consenso di quest'ultimo. Steven piantò i talloni e cercò di rallentare quell'imbarazzante eggiata. Sfortunatamente, si trovava in una posizione che non gli forniva il minimo appoggio su cui fare leva per contrastare la forza del felino e non voleva rischiare che la tigre decidesse di aver bisogno di una presa più energica e gli affondasse i denti nel braccio. "Terzo piano?" La voce di Anthony, calda e limpida, raggiunse il suo orecchio. Il tono calmo, come se stessero discutendo del tempo. "Brutto stronzo. Tirami fuori da questa situazione," farfugliò Steven, guardando il suo ex migliore amico. "E perché dovrei?" chiese Anthony. Steven sobbalzò per l’urto alla schiena quando percorsero il corridoio per raggiungere l'ascensore. Vide Anthony premere un pulsante prima di fare un

o indietro e lasciarlo alla mercé del grande felino. "Divertitevi." Il saluto di Anthony fu l’ultima immagine che Steven focalizzò prima che le porte dell'ascensore si chiudessero. Se fosse riuscito a sopravvivere, avrebbe riempito di botte il suo migliore amico alla prima occasione. Sospirando, Steven si lasciò andare. A volte Anthony si comportava da stronzetto, ma non avrebbe mai abbandonato il suo migliore amico se il pericolo fosse stato reale. "Dimmi, che cosa hai intenzione di fare? Vuoi portarmi nella tua tana?" Quelle parole gli valsero una nuova, dolorosa leccata. "Se vuoi andare avanti così, preferirei che lo fi in forma umana." Che fosse dannato se quel pensiero non glielo fece venire più duro del marmo. Un altro sbuffo lo spinse a guardare l'enorme fiera. Accidenti, Dare era davvero bellissimo, qualunque forma assumesse. Mesi di frustrazione svanirono quando Steven accarezzò la pelliccia morbida. "Lasciami alzare e ti seguirò come un agnellino." Il felino inclinò la testa come se stesse soppesando l'offerta di Steven. "Te lo prometto." L’uomo sbatté le palpebre, cercando di assumere un'aria innocente, ma proprio in quel momento il camlo dell'ascensore suonò e le porte si aprirono. Le fauci della belva si chio sul suo stivale destro e lo trascinarono lungo il corridoio. "Merda. Avevo appena comprato questi stivali." Per non parlare dell'effetto che l'attrito con la moquette avrebbe avuto sulla sua pelle. La tigre si fermò davanti all'appartamento numero 341 e lasciò andare il suo piede. Dare si alzò sulle zampe posteriori e toccò un pannello accanto alla porta. Nel momento in cui fu libero di muoversi, Steven si alzò in piedi e si ritrovò faccia a faccia con il grosso animale. La tigre appiattì le orecchie.

"Mi sto solo alzando. Niente di più." Non era così stupido da pensare di poter correre più veloce di un grande felino. Il pannello si aprì, scoprendo lo schermo di un computer. La tigre premette una delle grosse zampe contro il vetro. Lo schermo lampeggiò per qualche istante e su di esso apparvero le parole lettura in corso; poi si udì un 'clic' e la porta dell'appartamento si aprì. "Astuto. Una cosa del genere sarebbe utile a casa mia." L’appartamento era dotato di uno sportellino per cani di taglia extralarge, ma se in futuro avesse voluto ospitare tigri e simili, avrebbe fatto meglio ad apportare qualche modifica. Come mai gli era venuta in mente una cosa del genere? Dare entrò per primo. Steven lo seguì e chiuse la porta. Il nervosismo turbinava nel suo stomaco come uno sciame di farfalle impazzite. Dare si mise seduto al centro del salotto e lo fissò con la testa inclinata, come un cane in cerca di approvazione. Steven si guardò attorno e rimase sorpreso dai colori della stanza e dalla collezione di oggetti in vetro soffiato che la decoravano. Il barista aveva gusti raffinati. Il problema, adesso, era convincere l'uomo dei suoi sogni erotici a riassumere la forma umana. La maggior parte dei mannari aveva bisogno di un fattore esterno per questo. La luna piena, una forte emozione o determinate droghe potevano essere dei fattori scatenanti a seconda della persona coinvolta e dei suoi desideri. Chiaramente, ciò che aveva innescato la trasformazione di Dare era stato l'erba gatta. Forse vedere Steven senza vestiti avrebbe sortito l'effetto opposto. Tenendo d'occhio la fiera per cogliere eventuali segni di nervosismo o rabbia, Steven cominciò a sbottonarsi lentamente la camicia. Se la sfilò dalle spalle e lasciò che cadesse a terra. Seduto sulle zampe posteriori, il felino si leccò i baffi. Nella speranza che fosse un segno di gradimento per lo spettacolo, da non ricondursi alla prospettiva di mangiarselo per cena, Steven si tolse gli stivali e i calzini. "Adesso mi tolgo il resto. Non mordere niente," ordinò.

In risposta ebbe un altro verso. Poteva significare assenso, o forse la bestia stava ridendo di lui. Steven decise di concentrarsi sull'uomo dentro la fiera. Si mosse con fare più sensuale e sinuoso possibile, sperando di far riemergere la forma umana del giovane. Sapeva di essere ben lontano dalla grazia felina del barista, ma non era neppure un pezzo di legno. Sebbene fino a poco prima avesse avuto qualcosa in comune con un bel tronco. Concentrato com'era nello sfilarsi i pantaloni di cuoio aderenti nella maniera più sexy possibile, Steven rimase di sasso quando sentì un dito calloso scivolargli lungo il braccio. "Cazzo, sei l'uomo più sexy che io abbia mai visto," disse Dare, la voce arrochita per lo sforzo della trasformazione. Steven riuscì a malapena a finire di togliersi i pantaloni prima che un paio di mani calde lo afferrasse e lo strattonasse contro il barista nudo e voglioso. La bocca di Steven fu travolta da un bacio così carnale che lo fece diventare duro in un battito di ciglia. Chi avrebbe mai detto che i mutaforma felini fossero così ionali? Il contatto tra la loro pelle avvolse Steven in una vampata di desiderio così intensa da bruciare ogni traccia di pensiero razionale. I ricordi delle esperienze ate si sciolsero, fondendosi al calore del tocco della tigre mannara. Steven non avrebbe considerato mai più l'accoppiarsi furioso con un altro licantropo un’alternativa accettabile. Sapeva che, dopo aver ceduto a Dare, la sua vita non sarebbe mai stata più come prima. Cazzo. Si divincolò. "Aspetta un attimo." Dare gli balzò addosso. Steven inciampò sugli stivali e cadde a terra. Un corpo nudo e caldo scivolò sopra il suo, inchiodandolo alla moquette. "Ti ho preso." Negli occhi di Dare brillava una luce verde, che rivelò a Steven che l'altro non aveva il controllo totale della sua fiera. Ma che fosse dannato se il pensiero di essere una preda non gli aveva provocato un'erezione quasi dolorosa.

Fece per allungare una mano e accarezzare i capelli della tigre mannara, ma se la ritrovò inchiodata alla moquette. Aveva immaginato diverse volte di trovarsi fra le braccia di Dare, ma sempre nella posizione dominante. Era abituato a comandare, a decidere lui come e quando. Dare sfregò il naso contro quello di Steven prima di fare lo stesso con la sua guancia destra e poi quella sinistra, un gesto d’affetto tipicamente felino. L'attrito con l'ombra di barba di Dare seminò dei brividi lungo la spina dorsale di Steven. Tutto il suo corpo si contrasse, incluse le dita dei piedi. Se fosse stato anch'egli un felino, si sarebbe messo a fare le fusa. "Merda." Quelle effusioni furono quasi sufficienti a farlo venire. Non sarebbe riuscito a resistere a lungo. "La prima volta durerò poco, ti avverto." "L'importante è che ce ne siano altre." La voce del barista, profonda e ruvida, fu come una carezza lungo il dorso di Steven. Dare gli rivolse un sorriso d'intesa, poi afferrò entrambi i loro membri nella sua grande mano, masturbandoli fino a quando Steven non dimenticò anche come si faceva a parlare, come si articolavano le frasi e, infine, dell'esistenza di un linguaggio che non fosse composto unicamente da gemiti, lamenti e sospiri di soddisfazione. La visuale della stanza divenne sfocata mentre Steven veniva con tale intensità da riversare la sua stessa anima nella mano della tigre mannara. Dare lo seguì quasi subito, godendo a sua volta prima di lasciarglisi cadere addosso. Il peso di Dare lo schiacciò contro la moquette e, per la prima volta, Steven non si curò del disagio e del sudore. Era abituato, dopo aver fatto sesso, ad allontanare il suo partner licantropo per poi telefonare a Anthony e lamentarsi della mancanza di emozione in ciò che avevano fatto. Questa volta, invece, attirò Dare a sé, felice di potergli stare vicino anche se non riusciva a respirare. Cazzo, era pesante. "Merda, Steven," esclamò Dare, levandoglisi di dosso. "Non volevo schiacciarti." "Tranquillo, tesoro." Steven ò le dita fra i magnifici capelli scuri dell'altro. Erano morbidissimi e lunghi fino alle spalle. "Come mai non sono bianchi?" La sua mente, ancora stordita dall'orgasmo migliore della sua vita, si soffermava su quei piccoli dettagli. La maggior parte dei mutaforma condivideva il colore della propria forma animale. Chi diventava una tigre arancione aveva i capelli rossi.

Era per questo che riteneva bizzarro il fatto che quelli di Dare non fossero bianchi. La tigre mannara fece spallucce. "A volte la magia funziona in modo strano. Vuoi fare una doccia?" Steve annuì. "Mi piacerebbe molto. Dopo vuoi che me ne vada o preferisci che mangiamo qualcosa insieme?" Dare si era incamminato verso quella che Steven immaginò essere la direzione del bagno. Quando udì le sue parole, voltò la testa di scatto. Steven si ritrovò a guardare negli occhi un uomo infuriato. Era chiaro che il suo amante riusciva a malapena a trattenersi nelle sembianze umane. Gli occhi della tigre brillavano al punto da illuminare la stanza a giorno. "Andare dove?" ringhiò. Steven sollevò le mani in un gesto di conciliazione. "Era solo una domanda. Non volevo importi la mia presenza." Dare contrasse i muscoli delle spalle, come per costringere la sua tigre a rimanere al proprio posto. Il suo corpo massiccio tremò per lo sforzo. Dare riuscì a parlare solo dopo qualche istante. "Mi dispiace. La mia tigre vuole davvero che tu rimanga. Mi piacerebbe che trascorressi qui la notte, se la cosa non ti crea problemi." "Certo che no. Ne sarei felice." Steven sperò che le sue parole suonassero più noncuranti di quanto non fosse lui stesso. L’uomo non si era mai fermato a dormire con uno dei suoi ragazzi. Ma doveva essere riuscito a sembrare abbastanza sincero, perché Dare si rilassò visibilmente. Percorsero un bel vestibolo dipinto di verde che ricordò a Steven una foresta pluviale, per poi entrare nel bagno più carino che lui avesse mai visto. Non era lussuoso e dal gusto tipicamente maschile come il resto dell'appartamento. Al contrario, aveva un che di effeminato. La stanza era dominata da una vasca da bagno vecchio stile, con i piedini a forma di zampa di animale e il rubinetto a colonna smaltato di azzurro, decorato con fiori dipinti.

Guardò sorpreso Dare, che arrossì. "Era così quando mi sono trasferito in questa casa. Mi è sembrato carino." "Lo è," lo rassicurò Steven. "Lo è." Quando Dare si voltò per aprire il rubinetto, Steven si concesse di sorridere. Era così dolce che avrebbe potuto mangiarselo con un cucchiaino. Il suo membro pareva condividere quell'opinione. "L'acqua è pronta." Dare prese due asciugamani dallo splendido armadietto di legno intarsiato che si trovava nell'angolo. S’infilò nella vasca, lasciando aperta la tendina a mo' d’invito per Steven. Senza esitazioni, Steven seguì l'uomo dal bel sedere. "Immagino che mi toccherà ringraziare Anthony invece di prenderlo a calci," pensò ad alta voce mentre il bell'uomo si lavava con movenze da far venire l'acquolina in bocca. Dare scoppiò a ridere. "Non avresti potuto farlo comunque, non senza rimetterci la pelle." Anche Steven rise. "Vero. Una volta gli ho dato una pacca sulla schiena e per poco Silver non mi ha strappato il braccio." Dare emise un basso ringhio e i suoi occhi ripresero a mandare scintille. "Sarà meglio che non ti faccia del male." "Shhh. Tranquillo, piccino. Va tutto bene." Steven accarezzò la schiena di Dare per tranquillizzarlo, abbracciandolo in modo da avere gioco più facile. I due uomini erano quasi alti uguali, il che rendeva facile per Steven coccolarlo e baciarlo con dolcezza. "Rilassati, dolcezza. Sono a posto." Era quello ciò con cui Anthony era costretto ad avere a che fare ogni giorno? Per un attimo, Steven provò una punta di comprensione per il suo amico. Dare scosse la testa. "Cazzo, scusami. Non so cosa mi è preso oggi. Forse l'effetto dell'erba gatta non è ancora svanito del tutto. Di solito si limita a rincretinirmi un po'. Questa volta mi ha trasformato in uno stronzo geloso." Ma persino mentre pronunciava quelle parole, Dare si strinse a lui ancora di più. I due rimasero immobili sotto il getto dell’acqua calda, nella speranza che questa

potesse lavar via i loro timori. Steven scacciò la sua paura per cercare di rassicurare il barista tremante. "Su, tesoro, finiamo di lavarci e torniamo a letto." Il tono confortante di quelle parole lo preoccupava un po'. Sembrava che fossero amanti di lunga data. Scosse la testa e si arrese all'inevitabile. La bella tigre mannara era sua e lui doveva adeguarsi alla situazione. Quando si sciacquarono, lo fecero con affetto, non con desiderio. Fra sorrisi e carezze, si asciugarono e si incamminarono verso la camera da letto.

Dare si svegliò al caldo, rilassato e fra le braccia dell'uomo dei suoi sogni. Sospirando, si sfregò contro il corpo dell'altro uomo, rimpiangendo per la prima volta di non essere il genere di felino che faceva le fusa. "Buongiorno, bel micetto." Una mano forte accarezzò la sua, strappandogli un sospiro. "Buongiorno, uomo lupo." Dare gli offrì la bocca per un bacio "Ho un alito tremendo la mattina." "Anch'io, dunque si cancellano a vicenda." Dare si attaccò alle labbra di Steven, come un uomo in procinto di annegare a un salvagente. Se quella doveva essere la loro prima e unica volta, doveva approfittarne. Non nutriva alcuna speranza che il lupo pensasse a un loro possibile futuro insieme. Tuttavia, Dare era fermamente intenzionato a godersi il tempo che avrebbero trascorso in compagnia l’uno dell’altro, per quanto potesse essere breve. Le loro due erezioni si sfregarono l'una contro l'altra, gocciolando copiosamente. "Oh, sì. Questo mi piace." La mano di Steven afferrò il sedere di Dare, schiacciandoselo addosso. "Bravo, proprio così." Non ci volle molto prima che un grido seguisse l’altro, e godessero insieme e abbracciati. "Mm." Dare leccò il collo di Steven prima di lasciargli il suo marchio, troppo in

alto per essere nascosto da qualunque colletto. "Mi stai marchiando, piccolo?" chiese Steven, gli occhi che brillavano di contentezza. Dare scattò all'indietro. "Oddio. Non volevo." Almeno, non intenzionalmente. Il suo subconscio era pienamente a favore dell'idea. Voleva lasciargli il suo odore, il suo segno, qualunque cosa potesse indicare che il bel lupo mannaro apparteneva a qualcuno. Steven rise. "Va tutto bene. Non mi vergogno di aver fatto sesso con te." Aver fatto sesso. Dare distolse lo sguardo per non far vedere all'altro quanto fosse vicino alle lacrime. "Meglio che mi lavi i denti e mi vesta. Devo andare a lavorare." Scese dal letto e si diresse verso la porta del bagno. Non voleva che l'uomo con cui aveva diviso il letto capisse che quella che per Steven non era stata che l’ennesima scopata, per lui era stato un atto d’amore. "Ho fatto qualcosa di male?" chiese Steven. Dare scosse la testa senza rallentare il o. "N-no. È che devo andare." "Ma se lavori di notte." Dare udì Steven scendere dal letto e incamminarsi verso di lui.

Merda. Sembrava che non gliene riuscisse una giusta quel giorno. Prima aveva detto qualcosa che aveva urtato i sentimenti di Dare; ora la tigre mannara era arrabbiata con lui perché si era preoccupato. Sentiva le emozioni di Dare come se fossero le sue, e questo lo lasciava sbalordito. Diamine, chi avrebbe mai detto che i felini fossero così difficili da gestire? Steven entrò in bagno con una certa cautela, non sapendo come sarebbe stato

accolto. Dare si stava lavando i denti, la luce del mattino che sottolineava le splendide forme del suo corpo. Beh, se c’era una cosa che mettesse d’accordo entrambi, quella era il desiderio di contatto. Steven gli si mise dietro le spalle e gli avvolse le braccia attorno al corpo. "Mi dispiace se ti ho ferito, piccolo. È che non amo il pensiero che tu ti metta nei guai. Diamine, l'ultima volta Anthony si è fatto sparare, e lui è quasi indistruttibile." "Mi dispiace che tu non creda che io sappia difendermi," ribatté Dare in tono fermo. "No, no, non è così, piccolo." Steven accarezzò il petto di Dare fino a quando il giovane non gli si sciolse fra le braccia come il gattino che era. Steven lo cullò. "Non voglio che qualcuno ti faccia del male, tutto qui. Perché non posso venire anch'io? Sono un investigatore." Steven si occupava di indagini per conto di aziende e privati, rintracciando informazioni su individui specifici tramite il computer. Dare scosse la testa. "Silver vuole mantenere la faccenda circoscritta ai membri del branco." Steven sussultò come se lo avessero colpito. "Ma tu non sei membro!" esclamò. "Non sono un lupo mannaro, ma faccio parte del branco. Anthony mi ha nominato durante l'ultima luna piena." Steven avvertì il morso della gelosia. Anthony, che non aveva una goccia di sangue mannaro, e Dare, una fottutissima tigre, avevano il diritto di dirsi membri del branco, mentre lui ne era escluso. "Mi dispiace di non valere abbastanza per far parte del vostro piccolo circolo." Dare spalancò gli occhi. "Non volevo dire questo! Devi solo fare richiesta. Sono certo che Silver ti accetterebbe se sapesse del tuo interesse. Ma ormai è ato parecchio tempo e tu non hai mai detto nulla; tutti pensavamo che non ti interessasse entrare a fare parte dei Figli della Luna. Anthony è tuo amico e sei un mutaforma; di sicuro, se glielo chiedessi, ti farebbe membro." Steven si morse il labbro. Non aveva mai accennato alla cosa con Silver perché

continuava a sperare di entrare a far parte del branco per accoppiamento, com'era successo a Dillon e Ben. Aveva anche provato a uscire con membri di altri branchi, ma alla fine era sempre tornato dai Figli della Luna, e non solo perché il vice-capo era il suo più vecchio amico. Avvertiva un'attrazione inesplicabile per quel branco. Si chiese se non si fosse ingannato per tutto quel tempo, se il motivo della sua attrazione non fosse stato il branco in sé, ma Dare. Era davvero possibile che un lupo diventasse il compagno di una tigre? I due terminarono di fare la doccia nel completo silenzio. Dare prestò dei vestiti a Steven. Questi non disse nulla, ma indossare gli abiti di Dare gli procurava un piacere segreto. Sapeva che qualunque licantropo gli fosse ato vicino sarebbe riuscito a distinguere l'odore della tigre che emanava da capo a piedi. Era al settimo cielo, come una ragazzina che indossava il giubbotto del fidanzato. Non condivise nulla di tutto ciò con la tigre mannara mentre seguiva Dare fuori dall'appartamento e nell'ascensore. "La cabina ha un aspetto diverso standoci dentro in piedi," scherzò, godendosi il rossore che apparve sulle guance di Dare. "Scusami." Steven fece spallucce. "Ne parlerò con Anthony. In fondo è stata colpa sua." Dare sorrise. "Vero. Ma alla fine sono rimasto contento, per cui non essere troppo duro con lui." Mentre si sporgeva per baciare quelle labbra rosse, Steven pensò che era d'accordo. "Sarò generoso con quello stronzetto, perché anch’io sono molto contento." Diede un altro bacio al felino, poi si staccò da lui mentre le porte dell'ascensore si aprivano. Era primo pomeriggio e il bar era quasi vuoto. Dare si rivolse a Steven. "Ci vediamo dopo. Ho promesso a Dillon e Parker che ci saremmo trovati a casa di Parker." Steven ringhiò. "Non ti lascerò certo andare a trovare un mannaro single in casa

sua." "Che problemi hai?" La confusione dipinta sul viso di Dare gli fece capire che la tigre mannara non avesse idea che Steven lo stesse reclamando per sé. Parker era uno dei pochi mannari che viveva per conto proprio e non con il resto del branco. Aveva ereditato la casa di sua madre e si rifiutava di lasciarla e di andare a vivere assieme agli altri. Girava voce che avesse ricevuto un permesso speciale da Silver e che fosse stato costretto a sottoporsi a un particolare addestramento per dimostrare che poteva difendersi anche da solo. Steven non avrebbe lasciato per nulla al mondo che il suo compagno entrasse da solo nella tana di quello scapolo. Compagno? Merda. Schiacciato dal peso di quella rivelazione, Steven puntò il dito verso un tavolo libero. "Aspettami lì." Il suo micetto gli lanciò un'occhiataccia in risposta, ma fece come gli aveva ordinato. Ottimo. La loro relazione sarebbe partita con il piede giusto se Dare avesse capito subito chi comandava. Senza degnarlo di un'altra occhiata, Steven si incamminò verso l'ufficio di Silver. Bussò alla porta e attese il permesso di entrare per aprirla. L'ampio ufficio di Silver era occupato da un'enorme scrivania, una piccola tavola rotonda e una quantità di sedie utilizzate durante le riunioni improvvisate con lo staff e gli altri membri del branco. Quando Silver sollevò lo sguardo, gli lanciò un mezzo sorriso. La sua espressione più cordiale nei confronti di chiunque non fosse Anthony. "Anthony è in ufficio," lo informò. "Non sono venuto per parlare con lui. Cercavo te," disse Steven. "Oh." Silver si strinse nelle spalle. "Se è per quella faccenda dell'erba gatta, ne ho già parlato con Anthony."

Steven rise. "E sono certo che si sia pentito dei suoi peccati e abbia implorato il tuo perdono in ginocchio." L'alfa tutto d'un pezzo arrossì suo malgrado. " In effetti, si è messo in ginocchio e ha fatto qualcosa che mi ha fatto scordare persino il mio nome, ma ho provato a rimproverarlo. Davvero." Steven scosse la testa e cambiò argomento. "Va tutto bene. È inutile cercare di dar lezioni a Anthony; lo so per esperienza. E poi, alla fine ho tratto un guadagno dalla sua bravata." "Tu e Dare?" Silver inarcò entrambe le sopracciglia, suscitando un'ondata di trepidazione nel petto di Steven. "Che c'è? Non credi che staremmo bene insieme?" "Merda. Mi sei appena costato un anello di diamanti. Ho scommesso con Anthony che non ti saresti mai messo con un felino." Silver trasse un sospiro esagerato. Dalla luce che lesse nei suoi occhi, Steven capì che l’alfa non era davvero dispiaciuto. Scosse la testa sconsolato. "Dovresti saperlo che non conviene mai scommettere contro Anthony." Silver sorrise imbarazzato. "Già, ma questa era una scommessa che contavo di perdere. A volte Anthony indossa maglioni a dolcevita che nascondono il suo collare. Avevo bisogno di fargli indossare qualcosa che anche un semplice umano potesse riconoscere. Lasciargli il mio odore addosso non serve a nulla se gli altri non possono percepirlo." Steven dovette appoggiarsi alla scrivania per avere un sostegno mentre il suo corpo era squassato dalle risate e gli occhi gli si riempivano di lacrime. "Povero te. È così difficile avere un compagno tanto bello." "Non dirmelo. Stargli dietro è un'impresa, ma ne vale la pena. Vuoi vedere l'anello?" Gli occhi di Silver si illuminarono mentre pronunciava quelle parole. Sembrava un bambino ansioso di mostrare il regalo che aveva ricevuto a Natale. Era uno spettacolo così dolce da far venire il diabete a chi lo guardava.

"Certo," disse Steven. Dopotutto, se voleva entrare nelle grazie dell'alfa, non era il caso di farlo arrabbiare. Sarebbe valsa la pena ammirare il nuovo giocattolino del suo migliore amico. Silver aprì un cassetto della scrivania e porse a Steven una scatoletta di cuoio nero. Steven la aprì e rimase senza fiato. Non amava molto i gioielli, ma sapeva che il suo amico avrebbe adorato quello che c'era lì dentro. La scatola conteneva un anello d’oro massiccio per uomo, sormontato da un'enorme gemma squadrata color ambra, circondata a sua volta da un doppio pavé di diamanti. Steven era pronto a scommettere che, tenendo l'anello di fronte al viso di Anthony, chiunque avrebbe potuto ravvisare la somiglianza con i suoi occhi. "Non avevo mai visto un diamante giallo prima d'ora," disse. Silver sorrise. "Sono molto rari. Proprio come Anthony." Avrebbe rovinato tutto se si fosse messo a vomitare? Chi avrebbe mai detto che il grosso alfa, nel profondo, fosse un tenerone. Steven si trattenne saggiamente dal commentare. "È bellissimo. Sono certo che lo adorerà." Alla fine non riuscì a resistere. "Sai, potresti limitarti a fargli pipì tutto attorno. I mannari capirebbero che lo stai rivendicando come tuo e gli umani sarebbero disgustati al punto da lasciar perdere." Silver rise e scosse la testa. "Non so perché, ma credo che Anthony non ne sarebbe felice." Steven sorrise mentre immaginava la scena. Sarebbe stato meglio per Silver non seguire il suo consiglio, altrimenti chissà cosa avrebbe fatto Anthony per fargliela pagare. Silver si accigliò guardando l'anello prima di riporlo nel cassetto. "Sarà meglio per lui che gli piaccia. Ho dovuto mettermi a contrattare con le talpe mannare per strappare un prezzo che non mi obbligasse a vendere la baracca." "Sai che Anthony ti amerebbe anche senza un anello." Steven non voleva che Silver cadesse nella trappola in cui cadevano molti degli uomini il cui amante era un uomo molto attraente. Per quanto Anthony adorasse ricevere doni, non sarebbe stato un problema se il suo amante fosse stato troppo povero per fargliene. Steven era certo che il suo amico amasse Silver indipendentemente dai gioielli.

"Lo so." Silver sospirò. "Ma voglio che i suoi genitori sappiano che ho i mezzi per prendermi cura di lui. Suo padre non sembrava convinto della solidità del nostro legame. Perlomeno l'anello dirà a tutti che il mio uomo è amato e apprezzato, nonché di tenersi lontani da lui." L'alfa si strinse nelle spalle. "Ma basta parlare di me. Come mai sei venuto qui?" Steven trasse un respiro profondo. "Vorrei unirmi al branco." Fu immediatamente sottoposto allo scrutinio di due occhi sospettosi. "Perché proprio ora? Non hai mai dimostrato alcun interesse nel branco. A meno che non ci sia altro dietro la storia di un certo grande felino che ti ha trascinato fuori dal bar." "Dare è il mio compagno." Steven pronunciò la frase tutto d'un fiato. Mentre confessava la verità, la paura gli annodò la gola. Rinunciare al suo sogno di avere per compagno un lupo era quasi doloroso, ma non avrebbe scambiato la sua tigre mannara con nessuno al mondo. "Ne sei certo? Se davvero fosse il tuo compagno, avresti dovuto accorgertene prima," insinuò Silver, fissando Steven con i suoi occhi penetranti. Steven arrossì per la vergogna. "In un certo senso, è così. È solo che volevo un lupo." "Ah. Beh, non posso dire di non conoscere la sensazione. La mia vita sarebbe molto più semplice se Anthony fosse un licantropo. Meno interessante, ma più semplice di sicuro. Dare sa che lo hai evitato per tutto questo tempo per via della sua natura? Si è detto d'accordo a diventare il tuo compagno?" "Lo farà," disse Steven. Il tono della sua voce tradiva una nota di minaccia. "È meglio per lui che lo faccia. Ma non sono qui per questo. Volevo aiutarvi a rintracciare quel gruppo di mutanti." Silver si alzò in piedi. "Ti concederò di entrare a far parte del branco per un tempo limitato, in modo che tu possa aiutare gli altri. Un aiuto ci farebbe davvero comodo. Ma fino a quando Dare non ti accetterà pienamente, non posso fare di più, a meno che tu non desideri entrare nel branco come lupo non affiliato." "Che significa?" Steven non conosceva perfettamente le regole della società dei

licantropi e, quando doveva trattare con lupi che erano cresciuti all'interno di un branco, quelle lacune tendevano a emergere. "Vorrebbe dire unirsi al branco senza avere alcun legame tranne quello dell'amicizia. Il rapporto che hai con Anthony è sufficiente affinché tu possa entrarci come lupo solitario," spiegò Silver. Steven scosse la testa. "Aspetterò fino a quando Dare non mi avrà accettato. Se mi unissi al branco in quel modo, potrebbe pensare che io non lo voglia, e ho già combinato abbastanza guai." "Allora benvenuto come membro temporaneo." Silver gli tese la mano. Steven la strinse e inclinò la testa di lato in segno di sottomissione. "Sai che dovrai fare lo stesso con Anthony, vero?" lo sfotté Silver. Steven lasciò andare la mano di quello che ora era il suo alfa. "Merda." Si voltò e uscì dall'ufficio con o pesante. Dare era seduto dove lui lo aveva lasciato, intento a sorseggiare una Coca-Cola da un bicchiere di vetro. Alcuni membri del club erano seduti con lui e chiacchieravano del più e del meno. Steven non ci badò. L'unica cosa che notò era che fossero seduti dannatamente vicini al suo uomo. "Vieni, tesoro. Ti accompagno a casa di Parker." Dare rivolse un cenno di commiato agli altri uomini e, dopo aver lasciato il bicchiere appoggiato sul bancone del bar, lasciò che Steven lo accompagnasse fuori.

Capitolo Due

Parker viveva in una bella casa. Guardandosi intorno, Dare osservò incuriosito la moquette color cioccolata e le pareti azzurro cielo. Sembrava la dimora del padrone di un ranch, con stanze ampie e accoglienti. Dare capiva la ragione per cui Parker non voleva rinunciarvi per andare a vivere in uno degli appartamenti di proprietà del branco. "Gattino curioso," gli mormorò all'orecchio Steven. Da quando erano entrati nella casa di Parker, aveva cominciato a comportarsi in modo stranamente protettivo. Si teneva sempre vicino a Dare e ogni qualvolta si trovavano assieme agli altri uomini, Steven si frapponeva fra loro e la tigre mannara. Se Dare non avesse saputo la verità, avrebbe definito quell’atteggiamento possessivo. Ma probabilmente si stava solo illudendo. I quattro erano seduti attorno al tavolo della sala da pranzo di Parker. Steven trascinò la sedia di Dare il più vicino possibile alla sua, arrivando quasi a metterselo in grembo. "Abbiamo indagato sul principale di Cindy?" chiese Dillon. Cindy era un'umana che era stata rapita da un gruppo di licantropi mutanti, i quali si erano sottoposti a un esperimento misterioso che ne aveva acuito i sensi lupini. Una trasformazione che, tuttavia, li aveva bloccati in una forma a metà strada fra quella umana e quella lupina, rendendoli incapaci di nascondere la loro vera natura. Il vampiro Alesandro aveva ucciso l'unico che avevano incontrato, per cui non era stato possibile interrogarlo. Nessuno conosceva le abilità di quella nuova specie; per questo era fondamentale approfondire la conoscenza del nemico. L'obiettivo del momento era individuare la loro base, cosicché fosse possibile catturare alcuni di loro per interrogarli. Era possibile che non tutti fossero ostili al branco di Silver, ma fino a quando non ne fossero stati sicuri, tutti i branchi locali si sarebbero tenuti sulla difensiva, intensificando le misure di sicurezza attorno alle dimore e alle attività di loro proprietà. "Si chiama Richard Hale e puzza di corruzione," disse Dillon, con una smorfia che deformò i tratti del suo viso attraente. "Ho assegnato Sheila e Farro alla sorveglianza della sua azienda."

Steven si accigliò. "Non credo di conoscere Farro." "Non viene spesso al club. Sua moglie è morta qualche anno fa e lui non si è mai ripreso. Trascorre la maggior parte del tempo con suo figlio," spiegò Dillon. Questa volta fu Dare a mostrare una curiosità felina. "Non credevo che i licantropi potessero sopravvivere alla perdita del loro compagno." "Quella donna non era la sua compagna, era sua moglie. Farro è bisessuale, ma sapeva che il suo compagno sarebbe stato un uomo. Voleva un figlio, per cui ha sposato una donna umana. Il legame tra loro non era altrettanto profondo, ma lui l'amava. Quando se n'è andata, lo ha lasciato solo a occuparsi del loro figlio di cinque anni." "Che tristezza." Gli occhi di Dare rilucevano per le lacrime. "Shhh. Va tutto bene, piccolo." Steve gli accarezzò la testa per consolarlo. Dare resistette all'impulso di strusciarglisi addosso come una gatta in calore. Qualcosa, nel contatto con il licantropo, lo toccava nel profondo, rilassando ogni fibra del suo corpo. Gli altri due lupi lo guardarono incuriositi. "Avete qualcosa da dirci?" chiese Dillon. "Dare è il mio compagno," rispose Steven. Dare si divincolò dalla sua presa. "Che vuol dire che sono il tuo compagno? Pensavo i lupi fossero in grado di percepire il proprio compagno. Se fosse vero, lo avresti saputo mesi fa." Vide Steven deglutire e comprese la verità. L'altro uomo sapeva benissimo cosa c'era fra loro mentre faceva il dongiovanni. Lo stomaco di Dare si rivoltò. "Devo chiamare Ben," disse Dillon, alzandosi di scatto. "Io ho bisogno di qualcosa di fresco." Parker seguì l'altro licantropo con quella che a Dare parve una fretta inopportuna. Bastardo.

"Lo sapevi." Dare balzò in piedi con grazia felina. Steven lo guardò con aria preoccupata. "Ti ho sbavato dietro per chissà quanto tempo mentre tu ti facevi qualunque cosa avesse la coda, sapendo che eravamo compagni. Figlio di puttana!" "No, non è andata così." Steven gli afferrò il braccio. Dare snudò le zanne, ma il licantropo mantenne la presa. "Pensavo che tu potessi essere il mio compagno, ma non ne ero sicuro. Non mi sono mai avvicinato abbastanza per appurarlo." "Perché non appartenevo alla specie giusta," ringhiò Dare. Il pensiero che il suo compagno avesse potuto pensare che lui non fosse abbastanza fu come una pugnalata. Avere un compagno che non voleva appartenergli era una tortura indicibile. Non c'era mutaforma che non sognasse di trovare la propria metà. Purtroppo, Steven era la dimostrazione del fatto che non sempre tutto finiva in bellezza. Steven annuì, confermando la terribile affermazione di Dare. "Non voglio che ci siano segreti fra noi. Volevo un compagno lupo, non posso negarlo. Ma non ho fatto sesso con tutti i licantropi che ho rimorchiato. A volte siamo semplicemente andati a mangiare un boccone per vedere se c'era affinità. Ora che sono certo che il mio compagno sei tu, non rinuncerò a te." Scosse leggermente il braccio di Dare. "Mai. Tu. Sei. Mio. E ucciderò chiunque cerchi di portarti via da me." Dare osservò attentamente il viso di Steven. Nei suoi occhi vi era un bisogno sincero. Dare non poteva biasimarlo per aver desiderato un compagno della sua stessa specie, ma era dura mandare giù il fatto di essere stato scelto perché Steven non poteva fare altrimenti. Se non fossero stati compagni predestinati, il licantropo non avrebbe accettato di rivederlo. Poteva aggrapparsi al suo dolore e rendere le vite di entrambi un inferno, o accettare l'errore del suo compagno e accontentarsi di ciò che aveva. L'ansia che vide apparire sul viso di Steven convinse Dare di non avere altra scelta. "Va bene." Steven sorrise. "Sarai mio?" Dare annuì. Il groppo alla gola rendeva impossibile fare altro. La gioia sul volto del suo compagno contribuì a fargli dimenticare il risentimento. Steven lo prese fra le braccia e lo strinse forte prima di dargli un bacio da fare

tremare le ginocchia. "Vieni, piccolo. Andiamo a caccia."

Erano seduti in macchina di fronte alla sede principale della compagnia edile, a guardare il flusso di persone in entrata e in uscita. Sheila e Farro erano andati a riposare un'ora prima. Com'era tipico per una piccola compagnia edile, gli uffici erano situati in un edificio giallastro di due piani, con il nome dell'azienda dipinto sulla facciata e per il resto completamente disadorno. Il parco macchine dove erano custoditi i costosi macchinari era circondato da una rete metallica. A quell'ora della notte non c'era movimento. "Forse dovremmo mandare Cindy a spiare per conto nostro," disse Steven mentre osservava le guardie che controllavano un'auto in entrata. "Come no. Sono certo che Alesandro scoppierà di gioia quando il suo compagno andrà su tutte le furie perché stiamo mettendo sua sorella in pericolo," rispose sarcastico Dare. "Mm, vero. I vampiri sono tipi irritabili." Dare scrutò l'espressione del suo compagno prima di chiedergli, "Lo faresti davvero?" "Che cosa?" Steven cambiò posizione sul sedile, continuando a tenere d'occhio l'edificio. "Mettere in pericolo quella ragazza per ottenere informazioni." Dare non sapeva cosa pensare di quel lato spietato del suo compagno. Steven annuì. "Non ne sarei felice, ma se dovessi scegliere fra traumatizzare una ragazza per scoprire chi sta cercando di sterminare il branco e lasciare che quei mutanti ci distruggano, la getterei fra le braccia del nemico." Pur apprezzando la sincerità, Dare provò disagio di fronte alla risposta di Steven. Comprendeva il bisogno di proteggere il branco, ma aveva conosciuto Cindy e non riusciva a immaginarsi a suo agio nel rimandarla da quei mostri che l'avevano sequestrata e picchiata. Fra lui e Steven scese il silenzio. Era una sensazione pesante, priva della leggerezza dei momenti che l'avevano preceduto. Fu Steven a rompere quel

momento di eme. "Ti ho fatto preoccupare," disse a bassa voce. "Già." "Perché?" La sorpresa nel suo tono di voce non alleviò la tensione di Dare. "Perché credo che sia sbagliato dare una fragile femmina umana in pasto a un branco di lupi mutanti che potrebbero spezzarle il collo come un ramoscello. Cindy è una bravissima ragazza e non merita una sorte del genere." Steven ringhiò. "Quando si tratta della sicurezza del mio compagno, sarei disposto a sacrificare il mondo intero. Quei maledetti mutanti potrebbero fare irruzione nel club e ferirti. Non mi importa quanto quella ragazza sia buona e bella: se devo scegliere fra lei e te, non ho esitazioni." Dare non avrebbe dovuto sentirsi lusingato. Era davvero sbagliato. Per fortuna, un'auto rossa che entrambi sapevano appartenere all'imprenditore Richard Salen attraversò in quel momento i cancelli del cortile, distraendoli dalla loro discussione. "Eccoci qua," esclamò Steven, uscendo dal parcheggio e mettendosi a seguire l'auto da una certa distanza. "Vediamo dove va quel tizio." Dare sospirò. Mettendo da parte i suoi dubbi sulla mancanza di comione di Steven, fissò lo sguardo sulla macchina che stavano seguendo. Steven guidava con abilità, zigzagando dentro e fuori dal traffico, mantenendo una distanza sufficiente dall'auto inseguita da evitare che fossero individuati. Quando la macchina lasciò la strada principale per dirigersi verso una zona malfamata della città, Dare sorrise per l'eccitazione. Non aveva mai partecipato a un inseguimento. Il piacere della caccia lo faceva contorcere sul sedile. "Dove pensi che stia andando?" chiese. "Spero a incontrare quei bastardi." Steven gli lanciò una rapida occhiata. "In tal caso, chiameremo i rinforzi. Tu rimarrai lontano dal pericolo." "Non ho intenzione di stare in disparte mentre tu affronti quelle cose," mormorò Dare in tono cupo. "Non sarò un lupo, ma nemmeno un vigliacco. Ti farò da spalla."

"Dolcezza, tu sei un barista, non un soldato," obiettò Steven. "E in quanto tuo compagno, è compito mio proteggerti." Dare levò gli occhi al cielo. "Sono una tigre bianca. Ho più probabilità di tirarti fuori vivo da lì di chiunque altro. Per me sarebbe molto più facile affrontare quei mutanti." "Lo so, ma questo non significa che la cosa debba farmi felice." Steven si incupì. "Non voglio tenerti nella bambagia. Ma nemmeno desidero che ti butti in mezzo a una banda di mutanti psicopatici. La tua forma animale è potente, ma se fossero in numero sufficiente potrebbero abbatterti, così come succede in natura. Sono creature senza scrupoli. Sono arrivati a rapire e malmenare una ragazzina pur di avvicinarsi a Silver." "Lo so," ringhiò Dare. "Ho presente quanto sono pericolosi. Un motivo in più per non lasciarti andare da solo." Non avrebbe abbandonato il suo compagno in una situazione del genere. Non si dissero nient’altro mentre pedinavano l'auto lungo una serie di stretti vicoli. Rischiarono di perdere Salen quando l’uomo fece svoltare il mezzo in modo particolarmente pericoloso. Il fatto di dover mantenere una certa distanza rendeva complicato seguire la loro rotta. Alla fine, l'auto si fermò di fronte a un magazzino dall'aria abbandonata. Le finestre dei piani superiori erano rotte e la facciata era di un grigio spento, come se la struttura avesse perso da molti anni la propria anima. Salen scese dalla macchina e si incamminò verso l'ingresso, senza curarsi di guardarsi alle spalle. I casi erano due: o era sicuro che nessuno lo stesse seguendo, oppure non temeva di essere colto sul fatto. Steven si slacciò la cintura. "Dobbiamo scoprire cosa sta succedendo là dentro. Tu stai qui. Se dovessero catturarmi, chiama Parker e Dillon. Non entrare senza rinforzi." Afferrò il mento di Dare e gli fece voltare la testa. "Guardami. Non muoverti senza gli altri. Voglio che tu me lo prometta." Dare avvertì gli occhi mutare e le zanne allungarsi. "Non ti prometto nulla. Se dovessero prenderti chiamerei gli altri, ma poi verrei a proteggere ciò che è mio. Non ti lascio solo." "Sapevo che sarebbe stato difficile." Steven tirò fuori di tasca il cellulare. Premette alcuni pulsanti e parlò: "Parker, sono Steven. Abbiamo seguito Salen fino a un magazzino in Brenne Street. Pensiamo che sia venuto a incontrarsi con

i mutanti. Sto per entrare a verificare con i miei occhi. Dare è in macchina. Vorrei che mandassi un paio di uomini di rinforzo. Non posso contare sul fatto che Dare se ne stia al suo posto." Ascoltò la risposta e scoppiò a ridere. "Già, ha detto proprio così." Parlò ancora un po' e mise giù. "Parker e Dillon stanno per arrivare." Dare annuì. "Aspetterò il più possibile." Steven scoppiò a ridere. "Il mio gattino curioso." Il lupo si chinò a baciarlo sulla guancia. "Fai il bravo, micetto. Torno subito."

Steven si guardò attorno mentre si avvicinava alla struttura. Anche nel caso in cui il capo di Cindy non dovesse incontrare i mutanti, c’erano pochi buoni motivi perché un uomo d'affari si assentasse nel bel mezzo di un giorno lavorativo per raggiungere un magazzino abbandonato. Osservò attentamente l'edificio, in cerca di una posizione favorevole da cui poter osservare e ascoltare quanto stava accadendo. In alto c'erano alcune finestre rotte che avrebbero potuto fare al caso suo. Doveva solo raggiungerle senza fare baccano. Il suo sguardo fu attratto da una botte di legno appoggiata alla parete a qualche metro di distanza dalla porta. Sembrava vecchia, ma ancora robusta; poteva reggere il suo peso. Decise di correre il rischio. Saltò sul barile e lo usò come trampolino per raggiungere il tetto. Atterrò in silenzio, quasi come un felino, pensò come un sorriso. Per la prima volta si chiese se il legame con un lupo disgustasse Dare. Forse avrebbe preferito uno della sua specie? Dovette trattenere un ringhio al pensiero del suo compagno fra le braccia di un altro. Sarebbero stati problemi suoi. Se il suo uomo voleva un altro felino, avrebbe dovuto arrangiarsi. Nessun altro avrebbe toccato la sua tigre mannara. Si mosse con o felpato lungo il tetto metallico, avvicinandosi a una delle tante finestre rotte e accovacciandosi sul cornicione. Richard Salen era in piedi al centro della stanza, circondato da una dozzina di mutanti. Steven trattenne un ringhio alla loro vista, mentre il suo lupo si ribellava di fronte a quello sfregio nei confronti della natura. Era la prima volta che si trovava davanti a quell'orrore. Il suo stomaco si rivoltò ferocemente, minacciando di svuotarsi del suo contenuto. Alesandro e Calvin avevano cercato di descrivergli le creature, ma a conti fatti le loro parole non erano state sufficienti a descrivere gli abomini che si trovavano all'interno del magazzino. Vestiti solo di jeans, i loro corpi erano ricoperti da una peluria sporca e appiccicaticcia. Dai volti umanoidi spuntavano musi allungati, dalle cui bocche facevano capolino denti simili a quelli dei cinghiali. I piedi nudi, troppo deformi per indossare scarpe, somigliavano a zampe artigliate. Cazzo, quanti ce n'erano? Cindy aveva detto di averne visti solo due o tre. Sotto

di lui ce n'erano almeno una dozzina. Erano tutti, o solo la punta dell'iceberg? Ce n'erano forse altre dozzine nascosti da qualche parte? Steven si avvicinò ancora di più al bordo della finestra e fece in tempo a vedere il mutante più massiccio porgere una ventiquattrore a Salen. "Questa è l'ultima parte," disse il mannaro. Aveva una voce talmente profonda che Steven fu costretto a concentrarsi al massimo per distinguere le parole. "Fa' in modo che il veleno arrivi all'alfa. Con Silver abbiamo fallito; ormai il suo branco sarà all’erta. Uccidi Madros e accertati che la colpa ricada sui Figli della Luna. Avremo meno da fare se lasciamo che si ammazzino fra loro." Il sorriso crudele della creatura era qualcosa di terrificante. Merda, quegli esseri erano più astuti di quanto non sembrasse. I Figli della Luna adesso avevano un compito in più da svolgere. Oltre a individuare il quartier generale dei mutanti, dovevano mettere in guardia gli altri alfa. Steven avrebbe lasciato quell'ultima incombenza a Silver e Anthony. Quei due erano tra i pochi in grado di far comunicare tra loro i vari branchi. Il gruppo lasciò il magazzino. Steven rimase in silenzio e immobile, non volendo attirare l'attenzione. Sperò che il suo compagno avrebbe fatto lo stesso. arono diversi minuti prima che smettesse di udire alcun suono. Raddrizzò lentamente la schiena e trattenne un grido di dolore quando un crampo gli risalì lungo la coscia. Udì un debole fischio provenire sotto di lui, simile a quello di una persona che chiamava il suo cane. "Qui, bello. Qui," disse la voce di Dare. Steven lo avrebbe ucciso. Camminò in silenzio lungo il tetto fino ad arrivare all'altra estremità e vide Dare proprio sotto di lui. Senza pensarci, saltò. Dare emise un verso sommesso quando il suo corpo urtò l'asfalto. Come cuscinetto non era male, pensò Steven mentre udiva l'aria abbandonare i polmoni del compagno. "Ciao, tesoro. Mi hai chiamato?" chiese con una faccia da schiaffi. Invece di ringhiargli contro, come avrebbe fatto un lupo di fronte a un simile affronto, Dare sorrise deliziato. "Proprio così." Il suo micione lo prese fra le braccia, facendolo sentire amato e al sicuro. In quell'istante, i mutanti avrebbero potuto conquistare il mondo e a lui non sarebbe importato di nulla, purché la sua

tigre mannara fosse rimasta al sicuro. "Ti adoro," riuscì a dire nonostante l'emozione che minacciava di soffocarlo. Dare sorrise radioso. "Leviamoci di torno. Dobbiamo andare a parlare con Silver," aggiunse Steven. "Sei tu quello sopra," osservò il suo compagno, accompagnando quelle parole con un altro sorriso mozzafiato. Steven trattenne un sospiro. Avrebbe dovuto essere più mascolino e non sospirare come una ragazzina ogni volta che il suo compagno gli sorrideva. Il fatto che la tigre mannara fosse un bell'uomo non era in discussione; Steven era stato uno sciocco a desiderare che fosse diverso da ciò che era. "Così pare," confermò. Stampò un bacio sulle labbra del suo compagno prima di alzarsi e aiutarlo a fare altrettanto. "Vieni, bellissimo. Andiamo dall'alfa."

Capitolo Tre

Silver scagliò il bicchiere dall'altra parte della stanza. L’oggetto si frantumò con un rumore soddisfacente quando colpì il muro. "Quando lo faccio io mi dai dell'irascibile," commentò Anthony, seduto sul divano a sorseggiare una bevanda rossa e fruttata. Dare vide l'alfa are dalla furia cieca al divertimento nello spazio di un secondo. "Questo perché so che ti fa arrabbiare sentirlo," commentò sorridendo l'alfa. "E sei molto bello quando ti arrabbi." L'alfa si chinò per dare al suo compagno un bacio talmente ardente che Dare avrebbe giurato di sentirne il calore da dove si trovava. Parker si schiarì la voce. La coppia alfa si separò. "Scusate," disse Anthony, arrossendo. Silver gli accarezzò i capelli biondi scintillanti. "Non chiedere mai scusa per l'amore che provi per me, dolcezza." "Possiamo concentrarci sul problema?" chiese Parker con una certa impazienza. Nonostante quel tono di voce, il licantropo fece attenzione a guardare altrove, evitando di sfidare l'autorità dell'alfa. Era impaziente, ma non stupido. "Silver e io andremo a parlare con gli altri alfa," annunciò Anthony. "Io andrò a parlare con gli altri alfa," precisò Silver. "Tu starai ben lontano da loro." Anthony si alzò, i suoi occhi mandavano lampi. "Siamo o non siamo compagni?" In un attimo si scatenò un fuggi-fuggi generale. Dillon, Parker, Dare e Steven lasciarono l’ufficio di corsa, sbattendo la porta. Parker trasse un respiro profondo. "Merda. Odio quando fa quella cosa con gli occhi."

Dare annuì. "Voglio un gran bene a Anthony, ma a volte mi fa una paura del diavolo." "Vado a prendere da bere per tutti." Dare andò al bar, preparò con rapidità delle bevande analcoliche per tutti e le portò al tavolo. Gli uomini chiacchierarono nell'attesa che i loro capi prendessero una decisione. "Allora, cosa credete che combineranno Alesandro e Calvin?" chiese Dare. "Ho sentito dire che sono tornati insieme," rivelò Dillon con un sorriso. "Calvin si lascerà trasformare? Non riesco a immaginare come sarebbe essere un vampiro," disse Dare. Sembrava decisamente interessato. "E non lo saprai mai," ringhiò Steven. Non doveva trovare la faccenda interessante, proprio per niente. "Credo che aspetteranno fino a quando Cindy non avrà finito la scuola e non sarà andata a vivere da sola. Ho sentito Alesandro dire a Anthony che vogliono cementare la loro relazione prima di fare ulteriori i avanti," aggiunse Parker prima di bere un goccio della sua bibita. "Buona idea," affermò Dare, guardando Steven con la coda dell'occhio. "Due persone dovrebbero conoscersi a fondo prima di prendere decisioni irreversibili." Steven aprì bocca per dire qualcosa, ma fu interrotto dall'ingresso della coppia alfa. Anthony aveva il broncio e Silver sfoggiava sulla gola quello che sembrava proprio il segno di un morso. "Anthony e io andremo ad avvisare gli altri alfa. Parker, tu e Dillon piantonerete la casa di quell'imprenditore per tutta la notte. Tenete d'occhio eventuali visitatori. Dare e Steven, voglio che torniate al magazzino e cerchiate indizi. Se quello è il loro luogo d'incontro abituale, devono vivere nei dintorni. Non deve essere facile per loro muoversi, dato il loro aspetto." Tutti e quattro annuirono e si allontanarono per svolgere i compiti loro assegnati. Dare si unì a Steven, sperando con tutto il cuore di trovare un modo per fermare quelle creature.

Il magazzino era vuoto come la prima volta. Steven seguì il bel sedere del suo compagno all'interno. Nel momento stesso in cui attraversò la soglia, il suo naso fu aggredito da un odore osceno. Un basso ruggito provenne dalla sua destra. Lanciò un'occhiata al compagno e vide che gli occhi di Dare si erano trasformati: la pupilla si era allungata e l'iride scintillava. "Mantieni la calma, bellezza," mormorò. "Non ho vestiti di ricambio con me." "Lo so." La voce di Dare era più profonda di come Steven l'avesse mai udita. Era chiaro che il suo compagno faticava a bloccare la trasformazione, innescata senza dubbio dal lezzo dei mutanti ancora presente nell'aria. Steven percorse il magazzino con lo sguardo. Lo spesso strato di polvere che ricopriva il pavimento evidenziava solo una serie di impronte. Con cautela, Steven si aprì ai vari stimoli sensoriali, trasformando i suoi occhi per beneficiare della vista acuta del lupo. Inalò a fondo e starnutì. Gli occhi gli lacrimarono a causa della polvere e del fetore combinato di feci di roditori e muffa e del puzzo lasciato dalle creature. Era un lezzo osceno e innaturale, che sovrastava tutti gli altri odori. "Impossibile perdere una pista del genere," disse Dare. "Seguiamola. Silver ha detto che non possono essere troppo lontani dal magazzino," ricordò Steven. "Non sono sicuro che sia una buona idea. E se ci trovassero loro per primi?" Dare scrutò negli angoli più remoti del magazzino, come se si aspettasse che la struttura gli rivelasse i suoi segreti. "Vorrà dire che staremo attenti." Non avrebbe lasciato che nessuno toccasse il suo compagno. "Chiamerò gli altri e farò loro sapere dove siamo diretti." "Va bene." Dare attese che Steven avesse fatto la telefonata prima di mettersi con lui sulle tracce dei licantropi mutanti. L'odore li condusse dall'altro lato dell'edificio, oltre un gruppo di magazzini abbandonati che dall’esterno apparivano vuoti rispecchiando la desolazione al

loro interno, quindi lungo il corso del fiume, che attraversarono in un punto dove l’argine era particolarmente alto e ampio. Steven cominciò a provare un disagio crescente e si chiese come mai i mutanti, che avevano tenuto nascosto il percorso per tanto tempo, avessero lasciato dietro di loro tracce così palesi che portavano dritte verso il loro nascondiglio. Il naso di Dare ebbe un sussulto. Per un attimo, Steven ebbe l'impressione di vedere un'ombra di baffi felini sul suo volto. "Cosa c’è che non va, bel micio?" "C'è qualcosa che non mi piace." Steven si immobilizzò sul posto. L'istinto dei felini faceva spesso centro. "Che cos'è?" Si trattava forse della stessa cosa che turbava i pensieri di Steven? Non riuscì ad aggiungere altro, perché qualcosa gli trafisse il braccio. La sua vista divenne sfocata. Allungò una mano verso il suo amante, e mentre sbatteva le palpebre nel tentativo di vederci meglio, un dardo d'argento si conficcò nel braccio di Dare. "No," mormorò Steven. Sapeva che, anche se lo avessero catturato e sottoposto a tortura, non sarebbe morto. Era forte. L'idea che quelle stesse persone potessero tormentare il suo delicato compagno gli provocava un dolore più grande di qualunque altro avesse mai provato. Dare era una tigre mannara, ma aveva un animo gentile. Steven sbatté di nuovo le palpebre, cercando di capire cosa stava succedendo, ma i suoi muscoli rimasero paralizzati e un istante dopo la sua vista si oscurò.

Steve riprese conoscenza in un mare di dolore. La schiena gli bruciava come se fosse avvolta dalle fiamme. Strinse i denti per trattenere il grido di dolore che minacciava di erompere. Non avrebbe dato a quella gente la soddisfazione di vederlo implorare o piangere. Le sue braccia, stirate e immobilizzate sopra la testa da fredde catene metalliche, dolevano per il fatto di essere costrette a sostenere tutto il peso del corpo. Le punte delle sue scarpe arrivavano a malapena a toccare il terreno. Quella posizione gli impediva di far leva e serviva chiaramente a renderlo impotente. E a giudicare dal modo in cui le catene erano state avvolte attorno ai suoi polsi, trasformarsi per sfuggire alla loro presa sarebbe stato impossibile. Sapendo che stava solo ritardando l'inevitabile, Steven aprì gli occhi. Fu lieto di vedere la sua vista schiarirsi dopo un solo istante. Un grosso mutante gli si mise davanti. Era una bestia talmente alta che Steven riuscì a incrociarne lo sguardo, sebbene fosse sospeso a mezz'aria. Gli occhi della fiera erano gialli e sottili, e l’odio di cui erano colmi fece sudare freddo Steven. Dentro di sé, egli pregò che il suo amante fosse riuscito a scappare, anche se intimamente sapeva che era una speranza vana. Se Dare fosse fuggito, Steven a quell'ora sarebbe stato già libero. Il suo amante non gli avrebbe fatto subire le torture dei mutanti. Lo sapeva per istinto. La sua unica speranza era che Dillon e Farro scoprissero dove si trovavano e venissero a salvarli prima che fosse troppo tardi. "Finalmente ti sei deciso a svegliarti." La voce del mutante era talmente bassa da far vibrare il petto di Steven. Le parole erano a malapena distinguibili. Quando la creatura si avvicinò, Steven la osservò provando una sorta di fascinazione perversa. Cosa può aver creato questi esseri? Sapeva che il suo disgusto era ben visibile, ma non cercò di nasconderlo. Non c'era motivo di essere gentili. Quelle creature erano orribili tanto nel loro intimo quanto nell'aspetto fisico. Crudeli, perverse, partorite da un film dell'orrore; erano un crimine contro la natura. Dato che i mutanti avevano cercato di uccidere Anthony per arrivare a Silver e pianificavano di uccidere gli altri alfa, dubitava che lo avrebbero liberato

scusandosi per l’errore. "Dov'è Dare?" chiese. "Chi?" Il mutante inclinò la testa per guardare Steven. "L'uomo che mi accompagnava." Ormai era troppo tardi per correggersi. E poi, era ansioso di sapere cosa ne era stato del suo compagno. E se lo avessero ucciso? E se il suo bel compagno fosse morto prima che lui potesse fare ammenda per tutte le notti trascorse con altri uomini? "Vuoi dire il non-lupo? È nell'altra stanza a far compagnia ai miei amici. Si può sapere che diavolo è?" Steven era sconvolto, anche se cercò di nasconderlo. La maggior parte dei mutaforma era in grado di riconoscere all'istante i grandi felini. Forse la mutazione subita da quelle creature aveva portato loro più svantaggi che altro. Steven si chiese se sarebbero riusciti a riconoscere l'odore della tigre mannara anche nel caso lo avessero già sentito in precedenza. Una nuova frustata riportò la sua attenzione sul carceriere. "Mi ascolti adesso?" ringhiò il mutante. "Non importa cosa sia quell'altro; lo ammazzeremo comunque." Steven dovette fare appello a tutta la sua volontà per strozzare l'urlo che minacciava di esplodere. Le frustate gli facevano male, ma quella minaccia era mille volte più terribile. Incapace di trattenersi, ringhiò ferocemente. "Ooh. Non ti piace quello che ho detto, eh? Non sapevo che voi due foste così vicini." La voce e lo sguardo del licantropo trasudavano odio e disprezzo. "Una coppia di froci. Mi farà piacere uccidervi, razza di pervertiti. Qual è l'alfa a cui mostri il ventre? Presto gli unici alfa saremo noi; voialtri avrete la scelta fra convertirvi e morire." Un'occhiata all'oscena mutazione della creatura spinse Steven a credere che avrebbe scelto la seconda opzione. Meglio morto che tramutarsi in un essere come quello - spietato, crudele e contro natura. Steven tacque, tenendo d'occhio l'uomo e aspettando un'opportunità per aggredirlo. Il suo tentativo di divincolarsi dalle catene sortì l’unico effetto di far

ridere la creatura. "Chi sei? Cosa vuoi?" Il suo carceriere rise - un suono basso e sgradevole. "Facile: sono l'ultima cosa che vedrai e voglio che tu muoia." Gli lanciò un'occhiata pensierosa. "Non voglio perdere tempo a convertire un frocio. Non ti voglio nel mio branco. Meglio che ti uccida subito, prima che tu recuperi abbastanza forza da diventare un problema." Steven ringhiò. Se fosse uscito vivo da quella faccenda, ammazzare quel figlio di puttana sarebbe stata la sua priorità. "Cosa vuoi?" Il sogghigno malefico del suo aguzzino lo ferì nel profondo. "Credevi davvero che avrei rivelato i miei piani come il cattivo di un vecchio film di spionaggio? No, lupacchiotto, da te non voglio nulla. Non sei nessuno. Il tuo unico ruolo è morire per la mia causa. Ora dimmi chi è il tuo alfa, così saprò dove spedire il cadavere. Ti prometto che in cambio ti ucciderò in fretta." Steven vide la sua morte negli occhi della creatura. Non ne sarebbe uscito vivo. Il suo unico rimpianto era di non aver mai detto a Dare quanto lo amasse davvero. Per quanto il suo compagno fosse umorale, almeno Anthony sapeva di essere adorato. Fu sopraffatto dal senso di colpa. Un licantropo migliore non avrebbe mai lasciato che il suo compagno fosse catturato. Un altro colpo di frusta lo fece sussultare. "Sei il lupo più distratto che abbia mai incontrato." L'aguzzino sottolineò ogni parola con una frustata, fino a che Steven non si ritrovò ad ansimare. Sentì la camicia inzupparsi di sangue. Era un mutaforma, per cui le ferite sarebbero guarite prima che lui morisse dissanguato, ma andando avanti così, avrebbe potuto ritrovarsi a desiderare la morte. Ancora una volta, il suo pensiero corse a Dare. Sperò che il suo dolce, gentile uomo svenisse prima della fine della tortura. Rimpianse di non aver completato l'accoppiamento. Se il legame fosse stato rinsaldato, avrebbe potuto leggere la mente della sua tigre e comunicare telepaticamente con lui. La cosa peggiore del terminare la sua vita in quel buco era che sarebbe morto senza conoscere la sorte del suo compagno. Un ruggito riecheggiò nella struttura e l'aria si riempì del suono delle urla.

"Che diavolo..." L'aguzzino si voltò verso l'ingresso proprio nel momento in cui un'enorme tigre entrò correndo nella stanza. La sua pelliccia era così imbrattata di sangue che se Steven non avesse saputo che Dare fosse una tigre bianca, non se ne sarebbe mai reso conto vedendolo. Il mutante si voltò verso la fonte del rumore, ma ormai era troppo tardi. Il gorgoglio della gola lacerata, il suono del collo che si spezzava, e la sua esistenza ebbe termine. Quando fu tutto finito, la tigre si stiracchiò e si leccò le labbra. Lo sguardo dei suoi occhi verdi si posò su Steven. L’uomo rimase immobile. Non c'era traccia di umanità nell'espressione del volto di Dare. Il suo bel compagno aveva ceduto al suo lato animale. "Ciao, Dare," lo salutò Steven, col tono di una mamma che parlava al suo bambino piccolo. "È ora di tornare da me. Forza, piccolo. Torna umano." Era pericoloso per un mutaforma mantenere troppo a lungo la forma animale. Soprattutto in mancanza di un compagno a cui fare riferimento, un mutaforma che aveva ceduto alla sua bestia rischiava di rimanere intrappolato per sempre nella forma animale, a meno che qualcuno non lo aiutasse a tornare normale. Steven sperò che il loro legame fosse abbastanza forte. La tigre prese a camminare in cerchio attorno a Steven, come se stesse cercando di decidere cosa fare di quel bel bocconcino. "Non mi vuoi mangiare davvero. Ricordati, sono il tuo compagno." Forse, se lui avesse continuato a parlare, Dare avrebbe ritrovato la sua umanità. Persino nello stato in cui era, la sua bella tigre mannara avrebbe dovuto essere in grado di riconoscerlo. Era terrorizzato dall’idea che Dare rimanesse così per sempre. Il loro legame non era ancora abbastanza forte perché lui potesse costringerlo a ritrasformarsi, ma se fosse riuscito a riportarlo al branco, magari Silver ci sarebbe riuscito. Era terribile pensare che Steven, da solo, non fosse in grado di strappare Dare alla presa della follia animalesca. Se fosse stato un buon compagno, ci sarebbe riuscito. Quella era la punizione per aver rifiutato il magnifico uomo mandatogli dagli dei e aver cercato di sostituirlo con un lupo. Il cuore di Steven minacciò di balzargli fuori dal petto quando la possente creatura si alzò sulle zampe posteriori. Zampe grandi, i cui cuscinetti erano delle dimensioni di piattini da tè, gli si appoggiarono sulle spalle. Per un attimo, si

ritrovò faccia a faccia con una tigre mangia uomini. Dare odorava di sangue e di morte, ma era sempre la cosa più bella che Steven avesse mai visto. Poi, nel tempo di un respiro, la tigre divenne uomo, la pelliccia si ritrasse nella pelle e le pupille allungate assunsero la rotondità di quelle umane. "Compagno," bisbigliò Dare, ancora stordito dalla metamorfosi. "Compagno," gli fece eco Steven con voce rotta. "Puoi tirarmi giù di qui?" Dare spostò lo sguardo sull'uncino a cui erano attaccate le catene di Steven. Flettendo i muscoli, la tigre mannara lo sollevò, facendo scivolare gli anelli via dal gancio. Dopo qualche tentativo, riuscirono a spezzare le catene che gli tenevano legati i polsi. Il corpo di Steven fu invaso dallo stupore e dal sollievo mentre l’uomo stringeva il compagno con le braccia ora libere. "Credevo di averti perso," mormorò. "Non succederà mai," ribatté Dare, stringendolo forte. "Tornerò sempre da te." Si guardò attorno mentre lo lasciava andare. "Faremmo meglio a cercare degli indizi. È per questo che siamo arrivati fin qui." "C'è un camice là." Steven indicò l'indumento, appoggiato allo schienale di una sedia. "La mia nudità ti distrae, eh?" "Come sempre." Nonostante la sua faccia e il suo corpo fossero imbrattati di sangue, Dare rimaneva l’essere più bello che Steven avesse mai visto. "È meglio che ci vestiamo, o non troveremo niente." Ricevette per risposta un sorriso smagliante. Poi l'uomo s’infilò il camice e prese a ispezionare il magazzino insieme al compagno. Il luogo però si rivelò privo di indizi come quello in cui avevano colpito Anthony. "Forse abbiamo sbagliato tutto," suggerì Dare. "Può darsi. Tu cosa ne pensi?"

"Questa gente è astuta. Non troveremo nulla qui. Questo è semplicemente il luogo in cui ci hanno attirato per catturarci. Non vivono qui; ci hanno solo ricavato una sala per le torture. Dobbiamo seguire il flusso del denaro, tenere d'occhio il vecchio capo di Cindy e scoprire in che modo è collegato ai mutanti. Solo così scopriremo qualcosa." Steven perquisì il corpo del mutante, senza sorprendersi quando non trovò nulla nelle tasche, nemmeno un documento. "Credo che tu abbia ragione. Torniamo alla casa del branco e facciamo rapporto a Silver."

Capitolo Quattro

Questa volta Silver lanciò il bicchiere contro la porta, frantumandolo. "Devi proprio smetterla di fare così," disse Anthony, seduto sul divano. L'alfa ringhiò. "Non ti permettere, sai," esclamò Anthony mentre balzava in piedi. I presenti nella stanza rimasero di sasso. Dare, seduto accanto a Steven, fissò i membri della coppia alfa guardarsi male a vicenda. Dopo un istante, Silver attirò a sé il suo bel compagno e gli sfregò la guancia contro il collo. "Mi dispiace, dolcezza. È che questa faccenda mi fa infuriare." "Lo so. Quel povero bicchiere ne ha pagato il prezzo. Almeno gli altri alfa sono stati gentili." Silver scoppiò a ridere. "Erano troppo storditi dalla tua presenza per pensare anche solo di discutere." Silver si rivolse agli altri mannari. Dillon, Parker, Dare e Steven stavano fissando lui e Anthony con gli occhi spalancati. "Avreste dovuto vedere le loro facce quando Anthony è entrato nella stanza. Pendevano dalle sue labbra, e vi giuro che sono tutti etero. Pensavo che Moira, l'alfa del Branco dell'Arenaria, sarebbe annegata nella sua stessa bava." Anthony arrossì. "È stata molto gentile." "Come no. Ho sentito dire che ha staccato la testa all'ultimo che l'ha contraddetta." Anthony fece spallucce e sorrise. "Io non l'ho fatto, anche se tu ci sei andato terribilmente vicino." Silver mostrò i canini. "Se tu non avessi messo subito in chiaro che ti piacciono gli uomini, credo che ti sarebbe saltata addosso in un istante. A ogni modo, tuttora non abbiamo idea di dove vivano i mutanti o di come pensino di prendere il controllo dei branchi. Madros ha promesso di fare attenzione e di controllare

tutto ciò che mangia per evitare il veleno. Quella gente deve avere delle talpe, per cui dobbiamo cercare coloro i quali potrebbero trarre vantaggio dallo scioglimento del branco." "Non ho avuto l'impressione che gli altri alfa fossero coinvolti," osservò Anthony. Silver annuì per confermare le sue parole. "E ora che facciamo?" chiese Parker. Silver sospirò. "Teniamo gli occhi aperti. Facciamo in modo che i membri del branco rimangano vicini gli uni agli altri. Parker, preferirei che tu venissi a vivere con tutti gli altri." "No." Silver lo fulminò con lo sguardo. "È una sfida?" Parker distolse lo sguardo e inclinò la testa in segno di sottomissione. "Nossignore. Ma non voglio lasciare casa mia. Sento che il mio compagno sta per avvicinarsi e casa mia è attrezzata per accoglierlo." Silver inarcò un sopracciglio. "Vuol dire che è un Dom in attesa del giusto sub. Preferirebbe evitare che il resto del branco metta il becco nelle sue faccende," spiegò Anthony. "Non saremo certo noi a giudicarlo," obiettò Silver. Dare notò la sua espressione confusa. "Che diamine, al club viene gente di ogni tipo. Vi ricordate di Lyle? Veniva tenendo il suo sub al guinzaglio per il pene. Se vuoi farlo anche tu, ben venga." Parker si schiarì la voce. Era rosso come un peperone. "Preferirei che le mie relazioni rimanessero private. E non credo che al mio compagno piacerebbe essere tenuto al guinzaglio." "Lo hai già conosciuto?" chiese Anthony con gli occhi che brillavano. Il compagno dell'alfa adorava vedere i membri del suo branco accoppiati. Ricordando il modo in cui Anthony era ‘intervenuto’ per quanto riguardava lui e Steven, Dare sperò che Parker sapesse a cosa stava andando incontro.

"No. Ma ho fatto dei sogni. So che manca poco." Silver sospirò. "Va bene, faremo come vuoi tu. Tieni gli occhi aperti e, se dovessi accorgerti che il pericolo è in agguato, fa' le valigie e vieni qui subito." Parker annuì. "Non so quando ci troveremo, ma i sogni si fanno sempre più intensi." Gli altri membri del branco annuirono in segno di rispetto. "I licantropi sognano sempre i loro futuri compagni?" chiese Anthony. "No. Questo è il segno di un accoppiamento ripetuto. Significa che i due sono stati compagni in un'altra vita e stanno per ritrovarsi in questa," spiegò Silver, deponendo un tenero bacio sulla guancia del compagno. "Accade spesso?" domandò Anthony, inclinando la testa per ricevere un altro bacio. "No." Silver sorrise a Parker. "Il legame sarà forte. Congratulazioni, Parker." "Grazie." L'espressione sul viso del mannaro fece sperare a Dare che questi incontrasse presto il suo compagno. "Nel frattempo, voglio che tutti pensino a una lista delle diverse fazioni che potrebbero avere interesse nel fallimento della comunità dei mannari. Ci scambieremo le opinioni domani. Se dovesse accadere qualcosa prima di allora, chiamate Anthony o me. Dare, hai avuto una buona idea quando hai pensato di rintracciare il flusso di denaro. Ordinerò ai nostri esperti informatici di mettersi al lavoro." I mannari annuirono prima di uscire dalla stanza. Dare si rivolse a Steven. "Ti unirai al branco?" Steven smise di camminare e si voltò verso di lui, l’aria palesemente stupita. "Credevo fossimo compagni." Dare annuì, ma abbassò lo sguardo.

Steven gli mise una mano sotto il mento, facendogli alzare la testa in modo da poterlo guardare negli occhi. "Mi dispiace di essere stato restio finora, mio bel micetto. D'ora in avanti non farò più il difficile. Saremo compagni per la vita. So che le cose non andranno sempre bene fra di noi, ma mi piacerebbe che fimo un tentativo." Dare sorrise alla vista dell'amore che irradiava il suo compagno. "Vieni a vivere con me e unisciti al branco. So che Anthony ti accoglierebbe." Steven sbuffò. "Vuoi dire Silver." Dare sorrise. "E io che pensavo fossi il migliore amico di Anthony," disse in tono scherzoso. "Vero. Ne so abbastanza su di lui da poterlo costringere a farmi entrare senza alcun problema. Tuttavia, non mi unirò al branco a meno che tu non faccia parte dell'offerta." Dare sperò che il suo sguardo trasmettesse l'amore che provava nei confronti di Steven. "Allora è meglio che diamo il via ai negoziati. Credo che la mia camera da letto sarebbe il posto migliore per discutere del futuro." Steven fece un sorrisetto malizioso. "Già, credo proprio che tu abbia ragione." I due si diressero verso l'ascensore, i i sincronizzati. La porta dell'appartamento di Dare si era a malapena chiusa che già Steven lo aveva sbattuto contro la sua superficie. "Quando ci hanno catturato, riuscivo solo a pensare al fatto di non averti mai detto quanto ti amo," disse. Quelle parole incendiarono l'animo di Dare quanto i baci che seguirono. Non avrebbe mai pensato che Steven avrebbe detto proprio ciò che lui aveva sempre sognato da quando l'aveva visto per la prima volta. "Mi ami?" Gli occhi blu di Steven non avevano la consueta luce ironica. "Sei tutto per me. Quando quella creatura mi ha detto che ti avrebbero ucciso, una parte di me è

morta." Il cuore di Dare prese a battere più forte. Non riusciva a credere che l'uomo dei suoi sogni stesse dicendo esattamente ciò che lui voleva sentire. Sperando di essere ancora sveglio, Dare si diede un pizzicotto. "Ahia." Steven rise. "Perché l'hai fatto?" Dare sorrise timidamente. "Speravo che non fosse solo un sogno." "Non è un sogno, bellezza. È realtà. So di essermi comportato da idiota in ato, ma ora basta. Voglio solo che tu sia il mio compagno e che trascorriamo il resto della vita insieme. Voglio vivere in questo appartamento e litigare per la colazione e lamentarmi di come funziona il branco e andare a caccia di mutanti. Non voglio tornare a casa mia, da solo, e sentire la tua mancanza quando mi sveglio la mattina." Steven accarezzò con dolcezza la guancia di Dare, come per controllare che fosse vero. "Prima, quando stavo per morire, l'unica cosa a cui riuscivo a pensare eri tu." Dare cercò di allontanare le lacrime. Dannazione, stava diventando una ragazzina. "Anche a me piacerebbero tutte quelle cose." "Perfetto." Prima che potesse aggiungere altro, Steven lo baciò. Quel bacio non conteneva lo stesso ardore, la stessa smania di controllo degli altri. Era un atto gentile, di condivisione e di amore. Fu tenero e dolce e gli fece venir voglia di scaraventare Steven a terra e scoparlo selvaggiamente. Nella stanza si udì un basso ringhio. Dare impiegò qualche attimo a capire di essere lui stesso a produrlo. Steven si staccò per guardarlo in faccia. "Che figata." Dare scoppiò a ridere. "Di solito non faccio il verso dei cani. Immagino che tu

mi abbia influenzato." Il licantropo intrappolò la testa di Dare fra le mani, costringendolo a incontrare il suo sguardo. "Non mi importa quante creature ci daranno la caccia. Non ti lascerò andare mai più. Non esiste un licantropo più adatto a me di te e io sono stato un idiota a pensare che ci fosse." "Lo so," ribatté Dare, abbracciando stretto Steven. "Il mio cuore si incrinava un po' di più ogni volta che ti portavi a casa uno di quegli altri uomini. Stavo per rinunciare e mettermi a cercare qualcun altro quando Anthony ha commesso il misfatto." Fu il turno di Steven di mettersi a ringhiare. Il licantropo strinse la sua presa sulla tigre mannara. "Sono lieto del fatto che tu abbia resistito alla tentazione. Non avrei mai voluto dover far fuori un uomo innocente per aver toccato ciò che mi apparteneva." Dare fece un gran sorriso. "Non sono ancora tuo. Non mi ha rivendicato nella maniera appropriata." "Fidati di me, dolcezza. Quando avrò finito con te, sarai ufficialmente mio." Il petto della tigre mannara fu percorso da un basso ringhio. "Pensavo che tu non fi le fusa." "Non l'ho fatto," rispose indignato Dare. "Non sono un gatto domestico." "Certo che no," disse Steven, sorridendo. "Non so come mi sia venuto in mente."

Steven ò una mano fra i capelli del suo compagno. Il suo amore per la dolce tigre era tale da fargli dolere il cuore. I motivi che aveva addotto per giustificare il fatto di averlo ignorato perdevano di significato di fronte agli aspetti positivi del legame fra loro. Quella frazione di secondo in cui aveva pensato che Dare fosse morto era stata il momento peggiore della sua vita. Solo allora si era reso conto che il bell'uomo fra le sue braccia era quello giusto per lui. Lupo o no, Dare era suo. Per la prima volta, capì l'intensità con cui Silver metteva sempre in chiaro il fatto che il suo compagno gli appartenesse. Forse non era poi una cosa tanto stupida. Steven sapeva che non sarebbe stato possibile etichettare Dare come Silver aveva fatto con Anthony, ma avrebbe dovuto farsi venire in mente qualcosa. "Che ne pensi dei tatuaggi?" chiese fra un bacio apionato e l'altro. Il suo membro era duro come il granito e bramoso di affondare nel corpo del suo compagno. Non avevano mai discusso dei ruoli che avrebbero dovuto ricoprire, ma Steven avrebbe accettato qualunque posizione pur di congiungere il proprio corpo con quello di Dare. Di solito era lui quello attivo, ma era pronto a rivedere la sua preferenza in nome dell'amore per la tigre mannara. "Tatuaggi?" Dare lo guardò fisso negli occhi. "Sto per fotterti e tu vuoi parlare di tatuaggi?" "Non voglio parlarne. Mi chiedevo solo se ti sarebbe piaciuto fartene uno." "Cosa vorresti che mi fi tatuare? 'Proprietà di Steven'?" Il pensiero lo tentò per una frazione di secondo, ma Steven cambiò rapidamente idea quando intercettò lo sguardo del compagno. "Beh? L'hai detto tu." "Stavo scherzando. Sei stato tu a cominciare parlando di tatuaggi." Steven si rese conto di stare arrossendo. "Volevo qualcosa che simboleggiasse il fatto che stiamo assieme."

Gli occhi verde mare di Dare si spalancarono per la sorpresa. "Non credi che il nostro legame sia abbastanza speciale?" Si divincolò dall'abbraccio di Steven e prese a camminare avanti e indietro nel salottino, chiaramente irrequieto. "No! No, non volevo dire questo." Steven lo afferrò e lo tenne stretto. Sapeva che la colpa di quel fraintendimento era sua. Se non avesse cercato di negare il loro legame, il suo compagno avrebbe avuto più fiducia in lui. "Vorrei qualcosa che fe capire agli altri che apparteniamo l'uno all'altro. Credevo che un anello non ti sarebbe piaciuto." "Allora hai pensato a un tatuaggio," concluse per lui Dare. Un ampio sorriso percorse il suo volto. "Che carino che sei." "Non sono 'carino'," ringhiò Steven. Di questo era sicuro. Nessuno gli aveva mai rivolto un'accusa del genere prima di allora e di sicuro non voleva che Dare spargesse la voce. "È tutta una questione di praticità. Avere il mio marchio su di te mi risparmierà la fatica di far fuori le tue groupies." "Groupies?" Dare lo guardò come se fosse stato lui quello con uno stuolo di ammiratori al seguito. "Già. Sai, tutti quelli che fanno i cascamorti con te ogni sera," precisò Steven. La tigre mannara scoppiò a ridere. "Si chiamano clienti." "Fidati di me, la metà di loro non sa neppure cosa sta bevendo." Aveva visto come i membri più giovani del club guardavano Dare. Se qualcuno di loro avesse osato troppo, se la sarebbe vista brutta. Forse all'inizio Steven non aveva voluto marchiare la tigre, ma il suo lupo non avrebbe tollerato che qualcun altro toccasse il suo barista. Il solo pensiero gli faceva prudere le zanne. Dare lo stava ancora guardando con aria divertita. "Se ti farà sentire meglio, puoi farmi tatuare. Cosa avevi in mente?" La parola ‘occupato’ su una guancia era un'idea tentatrice, ma Steven resistette. Non voleva che la sua tigre pensasse che non stava prendendo sul serio la faccenda. Voleva un marchio permanente sul suo amante più di quanto volesse continuare a respirare. "Che ne dici di una zampa di lupo sul collo, sopra il

colletto? Voglio che tutti sappiano che sei impegnato." "Non saprei, Steven. Se decidessi di cambiare lavoro, potrei doverla coprire. Che ne dici se me la fi fare sul braccio? Potrei indossare magliette senza maniche quando sono dietro al bancone." Quella stupida idea di Silver riguardo a un anello cominciava ad avere senso. "Va bene. Non voglio limitare le tue possibilità di lavoro. Avresti voluto fare altro?" "No," rispose allegramente Dare, "ma non si sa mai cosa ti riserva il futuro." "Se dovessi trovare un lavoro che ti richiedesse di coprire il tatuaggio, penseremo a qualcos’altro." "Va bene. Anch'io voglio che ti faccia un tatuaggio sul braccio. Una zampa di tigre." Steven annuì. Era una richiesta giusta. "Siamo d'accordo. Credo che per sigillare il patto dovremmo scopare." "Non basta una stretta di mano?" chiese Dare, sbattendo le folte ciglia scure. Steven sorrise. "Sono ate di moda." "Ah. Lo terrò presente." Steven afferrò la tigre mannara e schiacciò i loro corpi l'uno contro l'altro, finché furono talmente stretti che nemmeno un foglio di carta sarebbe riuscito a intrufolarsi fra loro. "Solo con me. Al di fuori dell'accoppiamento non vale." "Lo terrò presente." Dare mordicchiò il labbro di Steven. "Ti voglio." La sua voce era bassa e colma di ione, molto diversa dal solito. "Eccellente. Anch'io ti voglio." Anzi, Steven riusciva a malapena a seguire la conversazione, il membro duro che premeva contro la cerniera dei pantaloni. Per fortuna si era messo le mutande quella mattina, altrimenti essa avrebbe lasciato il segno su una parte molto sensibile del suo corpo. "Andiamo a fare quello che fanno due compagni, allora," mormorò Dare contro

le sue labbra. La sensazione del respiro della tigre contro la pelle era estremamente erotica. Ruggendo, Steven si sottrasse all'abbraccio del compagno, gli afferrò la mano e lo trascinò lungo il corridoio. "Hai fretta?" chiese Dare, ridacchiando. "Sì. Se non ti penetro subito mi scoppierà l'uccello." Il corpo della tigre fu squassato dalle risate mentre Dare lo seguiva obbediente. "Che tragedia." "Già." Raggiungere la camera da letto di Dare fu una prova di autocontrollo. Alla fine, con la pazienza ormai al limite, Steven sollevò di peso il compagno e lo buttò sul letto. Si spogliò rapidamente e si voltò verso il suo amante ancora vestito. "Non sapevo fosse una gara." "Ora lo sai." Steven si dedicò a spogliare Dare. Per la camera risuonò il rumore del tessuto strappato. "Ops." Si buttò i pantaloni della tigre alle spalle. "Ehi, mi piacevano quei pantaloni," protestò Dare. "Te ne comprerò un altro paio." Non gli importava del prezzo. Vedere quel corpo muscoloso nudo il prima possibile valeva qualunque spesa. Percorse il corpo di Dare con uno sguardo affamato. "Sei bellissimo," disse meravigliato. La bellezza del suo compagno non si fermava alla superficie. "Sono stato un idiota." "Vero," confermò Dare con un sorrisetto malizioso. Steven riuscì a malapena a strillare prima di trovarsi inchiodato dal suo bel compagno sorridente. "Vuoi stare sopra o sotto?" "Di solito sono io quello attivo, ma sono pronto a diventare versatile." Che

diamine, era disposto a diventare qualunque cosa pur di infilarsi nel sedere di Dare o di farsi scopare da lui. Il bisogno di unirsi al suo compagno lo stava facendo a pezzi e il suo lupo ringhiava di protesta per l'attesa.

Dare non riusciva a smettere di sorridere. Vero, aveva ato la giornata a fare a pezzi licantropi mutanti, un ricordo difficile da dimenticare. Ma ora era a casa sua, con il suo compagno. Una casa che sperava avrebbero condiviso per molti anni. "Difficile scegliere," stuzzicò il suo disperato compagno. Sentiva l'erezione di Steven contro il ventre e il suo battito accelerato. Abbassando la testa, tracciò con la lingua una scia di saliva dallo sterno fino all'orecchio di Steven, assaporando il gusto e l'odore dell'uomo. "La pianti?" brontolò Steven. "No." Dare ripeté il gesto dall'altro lato. "Hai la lingua ruvida anche quando non sei tigre," protestò il suo compagno. Dare premette il naso contro l'incavo del suo collo. Le sue narici furono invase dall'aroma di sudore e liquido pre-seminale. "Non odori di mio." "Stronzo." Ridendo, Dare mordicchiò il collo di Steven, godendosi l'accelerata del suo battito cardiaco. "Adesso ti prenderò, e tutti sapranno che sei mio." Per la prima volta, si sentì invadere dal desiderio di possesso. Quando aveva iniziato a spiare Steven dal bancone del bar, si era trattato di una semplice attrazione. Ora Steven era suo e Dare avrebbe sfidato chiunque a portarglielo via. Non si rese conto del verso che stava facendo fin quando le carezze del suo compagno lo riportarono alla realtà. "Tranquillo, amore mio, sto bene. Sono qui con te." Dare sbatté le palpebre per rimettere a fuoco la vista. Non si era reso conto di aver lasciato che la sua tigre prendesse il sopravvento. "Scusa. Stavo pensando che oggi ti ho quasi perso." Le dita di Steven affondarono dolorosamente nella sua carne. "Lo so. Non ho idea di cosa avrei fatto se ti fosse successo qualcosa."

Dare si sporse per catturare la bocca del compagno in un bacio possessivo. Premendo il suo corpo contro quello di Steven, gli infilò la lingua in bocca e ne assaggiò la complessità dei sapori. Accidenti, era buonissimo. Nessuno gli aveva mai dato la sensazione di essere così giusto per lui. Frugò nel cassetto in cerca del tubetto di lubrificante. Le sue mani faticarono a trovare la coordinazione mentre lottava per aprire il tappo. Furono coperte da quelle, calde, di Steven. "Tranquillo, piccolo. Non devi essere nervoso. Abbiamo tutto il tempo del mondo." Dare non voleva impiegare tutto il tempo del mondo. Voleva che lo fero subito. Erano compagni. Non avrebbe dovuto essere sempre tutto perfetto fra loro? "Ti preoccupi troppo." Il tono divertito della voce di Steven attrasse la sua attenzione. "Non devi sentirti responsabile di tutto. Siamo una coppia e lo saremo sempre." Dare fu rassicurato dalle parole del compagno. Trasse un respiro profondo, si unse le dita e si prese il suo tempo nell'accarezzare il buchetto di Steven. "Scopami! Subito!" "Con calma." Non riuscì a trattenere un sorriso. L'uomo che si contorceva sotto di lui era tutto ciò che aveva sempre desiderato. I suoi sogni più erotici non erano nemmeno lontanamente all'altezza della realtà. "Subito." Wow, quella voce gutturale era così sexy. Infilò prima un dito, poi un altro, allargando il suo amante fino a quando non fu certo che Steven fosse pronto ad accoglierlo. Allineò il membro all’apertura e scivolò nel paradiso. "Aaah." La sensazione del corpo del licantropo che lo prendeva in sé toccò qualcosa dentro di lui. Si sentì a casa. Quell'uomo era casa sua. Non si era mai sentito così vicino a un amante prima di allora e sapeva che nessun altro lo avrebbe mai più fatto sentire così. Per lui, l'uomo sotto di lui era suo. "Fammi vedere che sono tuo." Gli occhi blu di Steven gli lanciarono un’occhiata di bisogno.

Dare avvicinò il volto e inalò l'aroma del suo compagno. Ringhiando cominciò a spingersi dentro e fuori dall'uomo che stava rapidamente diventando tutto il suo mondo. "Più forte," gemette Steven. Dare gli mordicchiò le labbra prima di infilare dentro la lingua, mimando con la bocca i movimenti del resto del suo corpo. I versi acuti di Steven contro le sue labbra erano incredibilmente sexy, perché Dare sapeva che l’uomo lo voleva con la stessa intensità con cui lui desiderava il licantropo. "Ti marchierò, ti scoperò e ti farò mio," disse, catturando lo sguardo del compagno. "Fallo," lo incitò Steven. "Rendimi tuo." Ruggendo, Dare afferrò l'amante per i fianchi e lo penetrò con foga. La consapevolezza di non potergli fare del male gli dava la possibilità di darci dentro più di quanto avrebbe potuto fare con un essere umano. Quando sentì che Steven era prossimo all'orgasmo, leccò un punto sul collo del suo compagno prima di affondare le zanne e marchiarlo come suo. La sua metà tigre fu compiaciuta di vedere il grosso segno lasciato dal morso sulla pelle liscia. L'aria si riempì dell’odore di sperma quando Steven godette dopo essere stato marchiato. "Sei mio", esclamò Dare, guardando nei magnifici occhi blu dell’amante. "Lo sono sempre stato," ribatté Steven. In quel momento capì il motivo per cui Steven desiderava un segno più duraturo. "Mi farò fare quel tatuaggio, purché te ne faccia uno anche tu." "D'accordo." Steven gli rivolse un sorriso sghembo, lo sguardo semiaddormentato e colmo di piacere. "Perfetto." Dare si accoccolò accanto al suo compagno. Presto avrebbero dovuto alzarsi per fare la doccia e chiedere a Silver quale sarebbe stata la prossima mossa. Ma per il momento, Dare era felice di starsene a letto con la persona più importante del suo mondo.

FINE

Caccia al Compagno

(Campione)

Con una spettacolare capriola aerea, Joriah Epron atterrò alle spalle del suo avversario, gli sferrò un calcio nell'incavo del ginocchio e lo mandò a terra. “L'incontro è concluso.” La voce profonda dell'istruttore rimbombò per tutta l'arena. “Una buona mossa, mio principe.” Jory rivolse un lieve inchino all'avversario a terra prima di aiutarlo ad alzarsi. Il suo sguardo percorse la folla. Era divertente guardare in faccia i soldati, le cui espressioni andavano dal rispetto alla meraviglia. Non capiva perché fossero così stupiti dato che sconfiggeva uno di loro praticamente tutti i giorni; anche se erano tutti più alti e più forti di lui, nessuno era dotato della sua velocità. Al di fuori dell'arena era conosciuto come l'elegante principe Joriah, ultimo figlio dell’Alto Re Galattico, ma al suo interno era un combattente come tutti gli altri. I suoi uomini non lo trattavano con alcun riguardo e i membri della sua guardia d'onore portavano con orgoglio il suo stemma: tre draghi intrecciati l'uno con l'altro. Era un simbolo che aveva sognato da piccolo, e che aveva insistito per adottare fin dalla tenera età di sette anni. Come al solito, suo padre aveva soddisfatto il suo capriccio e da quel momento in poi i suoi uomini avevano sfoggiato quell'emblema. Fortunatamente, quando gli scontri non si risolvevano bene, il sangue mezzo talivviano che gli scorreva nelle vene faceva sì che la maggior parte delle sue ferite guarissenel giro di pochi minuti; questo gli aveva fatto acquisire, tra la sua gente, la temibile nomea di uomo benedetto dagli dei. Per lui però era un semplice modo per evitare di zoppicare dopo averle prese. Salutò gli uomini e andò a farsi una doccia. Dopo essersi lavato e aver indossato abiti più consoni al suo status , lasciò l’ala dell’arena. Per poco non andò a sbattere contro il suo ragazzo mentre entrava nel salone principale. “Perché perdi tempo ad addestrarti come un fante qualsiasi?” La voce di Peter era colma di disapprovazione. “Potresti fare molto di più. Per te stesso e per

noi.” Per la prima volta, Joriah guardò il suo amante con occhio critico. Negli ultimi mesi, l’affetto che nutriva per il bell'uomo dai capelli scuri era lentamente scemato. Era giunto il momento di affrontare la realtà: Peter non era altro che un cretino, egoista e arrogante. “Per esempio?” Peter sorrise e quel gesto non gli fece l’effetto di un tempo. Da quando aveva smesso di trovare affascinante il sorriso del suo ragazzo? “Potresti cominciare assumendoti le tue responsabilità di comando e diventando il braccio destro di tuo fratello. Lo sai che tuo padre ti adora; se solo glielo chiedessi, ti darebbe un posto nel governo.” Jory scrollò le spalle con fare disgustato. La sola idea di rimanere invischiato a vita nei giochi della politica gli faceva venire voglia di tagliarsi i polsi: peccato solo che sarebbero guariti immediatamente. A ventitré anni, era ancora incerto su cosa volesse fare da grande e non nutriva l’urgente bisogno di scoprirlo. “Detrius se la cava benissimo con l'aiuto degli altri miei fratelli. Non ha bisogno di me, e a me non interessa la politica.” “Tu non hai ambizioni, Joriah. i le giornate giocando con le spade e andando dal tuo sarto.” Jory evitò di menzionare di aver destinato una consistente fetta dei fondi del padre nella costruzione di ospedali nelle città più povere, o di essere a capo di un complesso sistema di corsari che metteva i bastoni fra le ruote al commercio di schiavi di suo zio. “Non sono un politico,” disse in tono mite, “e mi piace avere un aspetto decoroso. Cosa ne pensi di questa camicia?” Sollevò una manica in modo che Peter potesse toccare il tessuto. Nel corso degli anni, Jory aveva imparato che la gente si aspettava un certo comportamento dalle persone attraenti, e che raramente le persone guardavano oltre la superficie.

Una lezione che aveva messo a buon frutto. Dopotutto, una persona che trascorreva la mattina chiusa nella bottega del suo sarto non era certo il tipo da are i pomeriggi a pianificare l'assalto alle navi schiaviste dello zio, oppure la liberazione di una certa colonia planetaria che aveva avuto la sventura di essere presa di mira dal suo secondo cugino Leon. Peter alzò gli occhi al cielo, come faceva sempre quando Jory si metteva a parlare di vestiti. “Un bell'abito non basta a celare i vizi dell'animo,” osservò alle loro spalle una voce colma di disapprovazione. Jory si voltò e vide che si trattava del capitano delle guardie di suo padre. “Capitano Transen,” lo salutò. Avvertì una fitta di senso di colpa quando si rese conto di essere felice che qualcuno avesse interrotto la conversazione fra lui e Peter. Da quando parlare con il suo amato era diventato un obbligo anziché un piacevole atempo? “Cosa posso fare per voi?” I freddi occhi grigi dell'uomo lo esaminarono. Non c'era traccia di approvazione o disapprovazione in quello sguardo, solo freddezza. Jory per poco non si mise a tremare come un ragazzino colto sul fatto. “Vostro padre gradirebbe la vostra presenza, mio principe.” Jory sospirò. Per evitare suo padre erano necessari una buona dose di fortuna e ottime scuse. Purtroppo, in quel momento la fortuna non era dalla sua parte. Il giovane sfoderò allora il suo sorriso migliore rammentando quello che sua madre gli soleva dire: “Prova prima con le buone maniere. Se non funzionano, a ai calci nelle palle.” Le perle di saggezza della donna gli erano sempre fonte di grande insegnamento; a volte gli mancava tanto da farlo stare male. Purtroppo però le talivviane erano costrette ad abbandonare le proprie famiglie una volta evolutesi in divinità. “Che cosa desidera mio padre?” Era raro che il re si servisse del capitano delle guardie come messaggero, e d’altronde, Joriah aveva l'abitudine di sfoderare il suo fascino sui corrieri ufficiali per far sì che dimenticassero di averlo visto. Transen era immune a certi

trucchetti, e forse proprio per questo il re gli aveva assegnato un compito molto al di sotto della sua posizione. “Seguitemi. Il re vuole riferirvi la notizia di persona.” “Potrebbe essere l'occasione di convincerlo ad assegnarti una posizione più in vista,” suggerì Peter a bassa voce. Il suo ragazzo era sempre stato così viscido, o aveva semplicemente iniziato a mostrare la sua vera natura? Disgustato, Jory lo degnò appena di uno sguardo prima di seguire il capitano. Quella relazione era da considerarsi conclusa. Erano a metà strada quando il militare prese di nuovo la parola. “Meritereste molto meglio di lui, mio principe.” Per poco Jory non inciampò nei suoi stessi piedi. Aveva sempre creduto che il capitano non approvasse le sue relazioni con gli uomini: forse allora erano sempre stati gli individui che sceglieva e non il loro sesso a incontrare la disapprovazione dell'uomo. “Lo so. Avete ragione. Per quanto il sesso sia fantastico, non vale la pena di essere manipolati in quel modo.” Per la prima volta da che lo conosceva, Jory vide l’uomo ridere di cuore, non con un sogghigno o un sorriso stentato ma con una vera e larga risata. Con una mano gli colpì con forza le spalle, facendolo barcollare in avanti. “Con questo ho avuto la conferma che siete diventato un uomo,” esclamò il capitano Transen. L'orgoglio che trapelava dalle sue parole scaldò il cuore di Jory. Era davvero raro che quell'uomo esternasse la propria approvazione. Quando raggiunsero la sala da pranzo, il giovane principe sentì puntati addosso gli guardi di tutti i presenti, ma li ignorò con la grazia che lo distingueva e raggiunse la tavolata reale. “Figlio mio.” L’Alto Re Galattico Rufeus Eprion lo salutò dal suo seggio a capotavola. Era circondato, entrambi i lati, dalla consueta folla di sicofanti, mentre sul tavolo di fronte a lui era esposta un'incredibile quantità di cibo:dolci di ogni genere, uova cucinate nei modi più diversi, fino ad assaggi delle carni più

prelibate. Dall’alto del suo metro e ottanta, il re torreggiava sugli altri presenti in sala. Ma la sua imponenza non derivava tanto dal fisico possente quanto dal carisma che esercitava sui suoi uomini: erano sempre pronti a seguirlo dappertutto, con le facce sorridenti e i cuori pieni di orgoglio. “Lasciateci soli. Devo parlare con mio figlio.” La sua voce profonda riecheggiò per tutta la sala, mentre i suoi occhi color giada erano fissi sul volto di Jory. Il principe rimase immobile sotto quello sguardo inquisitorio, mentre i nobili si allontanavano alla chetichella. Aveva sempre l'impressione che quegli occhi avessero il potere di schiacciarlo. Snello, alto a malapena un metro e settantacinque, Jory somigliava molto alla madre e, diversamente dai suoi fratellastri e sorellastre, aveva ereditato poco dei tratti paterni. Accanto a loro dava l’impressione di essere l'unico cerbiatto in una famiglia piena di draghi, che avrebbero potuto farlo a pezzi anche con le mani legate dietro la schiena. “Era così importante da dover mandare il capitano a cercarmi?” Era sicuro che il padre avesse qualcosa in mente, ma non intendeva giocare secondo le sue regole. “Siediti e mangia qualcosa,” disse il re, accennando all'abbondanza che aveva di fronte. Inquieto, Jory prese un panino da mordicchiare e si sedette sul seggio imbottito davanti a quello di suo padre. Meglio guardare il nemico negli occhi, anche se gli sarebbe toccato farlo dal basso verso l’alto. Maledetti geni! imprecò tra sé. Joriah attese, sorseggiando il caffè nella tazza che un servo gli aveva gentilmente appoggiato accanto. Non dovette aspettare a lungo. “Intendo mandarti a Dragait. Laggiù sta per aver inizio il festival dell'accoppiamento. Sarà una buona occasione per formare delle alleanze.”

Jory sbatté la tazza sul tavolo. “Non potete semplicemente mandarmi a cercare marito, padre. Ho delle responsabilità.” Doveva esserci una qualche scusa per cui non poteva allontanarsi. Magari una guerra da combattere da qualche parte. Si fermò un attimo a riflettere. Suo padre aveva forse detto Dragait? Lui adorava i draghi: erano anni che sognava di vedere una di quelle bestie volanti, ma non aveva mai avuto l'opportunità di viaggiare fino al loro mondo. Normalmente, l'idea di andare su un pianeta di mutaforma draconici lo avrebbe reso entusiasta, ma in quel momento gli procurò solo dei brividi lungo la spina dorsale. Lo sguardo degli occhi verdi del re si fece gelido. “Io posso fare ciò che voglio. Hai dimenticato che sono il capofamiglia?” Jory si sfregò gli occhi con i palmi delle mani, cercando di allontanare il mal di testa in arrivo. Forse, se si fosse impegnato abbastanza, sarebbe riuscito a tornare indietro nel tempo ed evitare quell'incontro. Possedeva altri poteri; perché non gli era toccato in sorte anche quello? Si sarebbe accontentato anche di poter volare via da lì. Persa ogni speranza, alzò la testa e vide il padre gongolare. “Pensavo aveste deciso che non sono politicamente utilizzabile.” “Ah.” Il re si sfregò le mani con fare avido. “Questo era prima che venissi a sapere del festival. Vi partecipano parecchi nobili ogni anno per trovare marito, e la maggior parte sono aristocratici dragaitani. Gli uomini drago sarebbero potenti alleati, se riuscissi a farti sposare da uno di loro.” “Non sono un'esca luccicante da usare per accalappiare il miglior partito. Non posso semplicemente andare avanti a vivere come ho sempre fatto?” Il re scoppiò a ridere. “Joriah, anche se non trovassi qualcuno con cui sposarti, mi aspetto di meglio da te. Tua madre voleva che tu fossi felice e non credo tu possa esserlo nei confini ristretti di questo regno. Voglio che tu impari a camminare da solo. Devi trovare il tuo posto nell'universo, figlio mio, e se per fare in modo che ciò accada mi toccherà buttarti fuori dal nido e spedirti su un pianeta pieno zeppo di draghi, così sia.” Jory si riempì il piatto di cibo mentre cercava nella sua testa una via di fuga. Chi avrebbe mai detto che suo padre sarebbe riuscito a trasformare l'omosessualità del figlio in uno strumento politico? Infilzò una spessa fetta di prosciutto e si

concentrò al per cercare altre opzioni, senza però riuscirci. “Il mio posto nell'universo sarebbe tirato a lucido e sposato con un ricco bastardo titolato a cui dovrei portare le pantofole e massaggiare i piedi pelosi? Perdonatemi, padre, se l'idea non mi entusiasma.” Jory non era certo il tipo da mandarla a dire, come dimostrò fulminando il padre con lo sguardo mentre si infilava in bocca una forchettata di uova. Il re si sporse in avanti, appoggiando il mento sul palmo dell’elegante mano. Le gemme degli anelli di cui erano ornate le dita lampeggiarono. “Figlio mio, detesto dovertelo dire – dato che fai di tutto per negarlo – ma sei già un uomo molto, molto affascinante. Devi ringraziare tua madre per questo, gli dei benedicano la sua anima. Sai a quante donne di sangue reale ho negato un matrimonio politico con te?” Colto da uno dei suoi famosi scatti d'ira, l’uomo sbatté il palmo della mano sul tavolo. “Ho sempre avuto a cuore il tuo interesse.” Jory sospirò. “Lo so, padre.” Era vero: mentre i suoi fratelli erano stati messi in riga e sistemati con matrimoni di convenienza, a lui quel destino era stato risparmiato. Per qualche strana ragione, suo padre gli voleva più bene degli altri. “Ma ho solo ventitré anni. Non sono ancora pronto a sistemarmi, e poi c'è la questione di Peter.” Cavolo, detta così suonava davvero una scusa pretestuosa. Il re allungò una mano per afferrargli il polso. “Voglio che tu sia felice e trovi qualcuno da amare come io ho amato tua madre. Sei ancora giovane, è vero, ma è giunto il momento che tu vada in cerca della tua metà. Ho notato come, negli ultimi tempi, tu sia sempre insoddisfatto. Peter non è quello giusto per te. So che nel tuo cuore non lo ami davvero, e credo che tu abbia bisogno di qualcosa ‒ o qualcuno ‒ di nuovo. Senza contare che ho sentito delle voci secondo cui Detrius vorrebbe sbarazzarsi di te.” “Detrius?” Jory era confuso. “Perché dovrebbe volermi morto?” Anche se lui e il fratello maggiore non avevano grandi rapporti - un distacco dovuto ai venti anni di differenza - credeva che l'altro gli volesse bene, o che perlomeno non lo odiasse. Come aveva fatto a rimanere all'oscuro del cambiamento nell'animo di suo fratello? “Ci sono persone secondo cui saresti un sovrano migliore di lui dopo la mia dipartita.”

Jory scoppiò a ridere. “In primo luogo, tu vivrai ancora molto a lungo. In secondo luogo, sarei un re terribile. Odio la politica.” Avrebbe preferito apportare cambiamenti da dietro le quinte. Suo padre sorrise. “Lo so, piccolo mio, ma non tutti la pensano così. La gente vede i tuoi poteri, il tuo aspetto e il tuo carattere dolce e pensa di poterti manipolare per raggiungere il potere. So che sei più forte di quanto gli altri credano, ma tuo fratello ha sentito le voci e, nonostante ci siano cinque persone fra te e il trono, non ha smesso di complottare. Se tu dovessi andare su un altro pianeta, le voci si quieterebbero, perché vorrebbe dire che ti stabiliresti altrove per iniziare una nuova vita. Ecco perché intendo esiliarti.” “E-esiliarmi?” La voce di Jory si incrinò assieme al suo cuore. Ne aveva combinate tante in vita sua, ma aveva sempre contato sull'amore incondizionato di suo padre. Il pensiero di essere espulso non solo dal regno, ma dal suo pianeta natio, gli faceva più male di quanto avrebbe creduto possibile. “Vuoi dire che mi manderai a vivere su quel terribile pianeta pieno di draghi?” “Non dire scemenze,” ringhiò il re. “Farò in modo che tu goda di vitto, alloggio e fondi sufficienti ad acquistare un pianeta o due se dovessi averne bisogno.” Avvicinò il volto al suo e ne incrociò lo sguardo. “Non deludermi, Jory. Ci sono indizi concreti che tuo fratello ti voglia morto. Se avessi un compagno, avresti anche la sua protezione. Detrius potrebbe riuscire a mettere alcune persone contro di te, giacché non tutti approvano le tue scelte, ma io ti proteggerò per quanto è in mio potere.” “Che importa a Detrius se preferisco gli uomini? Dovrebbe esserne felice. Rende ancora meno probabile che io possa piazzare i miei eredi sul trono, nell'eventualità che davvero tentassi un colpo di stato. Senza contare poi che i suoi due figli vengono prima di me in linea di successione. Pensa che farei asse anche loro?” Il re si rabbuiò ulteriormente. “Non si può ragionare con gli intolleranti. Forse è geloso di te, perché sa che ho amato solo tua madre e che mi sei molto caro. Gli altri tuoi fratelli e sorelle non sono una minaccia per lui: hanno le loro famiglie e sono contenti dei ruoli che occupano nella gerarchia di corte. Ma tu sei affascinante, intelligente, e hai l'amore del popolo. Se non ti mando via, figlio mio, ho paura che non vivrai più di una settimana.”

Jory annuì mentre il cibo gli si rivoltava nello stomaco. Non c'era via d'uscita. Non poteva andare contro la volontà dell'uomo che gli sedeva di fronte con lo sguardo colmo di tristezza e di amore. “Molto bene, padre. Se credete sia meglio così, partirò domani mattina. Ma se non dovessi trovare nessuno...” Il re rise. “Il festival dura un mese. Se non ci fossero prospettive, cercheremo altrove. Ti vedrò sposato prima di morire, Joriah. Voglio andarmene sapendo che c'è qualcuno a prendersi cura di te.” Jory cacciò indietro le lacrime. Era in momenti come quello che gli tornava alla mente quanto suo padre fosse anziano. Aveva sempre considerato il re come una forza irresistibile, ma in fin dei conti tutti invecchiavano. E morivano. Il re gli tese la mano e sorrise quando lui la strinse. “Voglio che tu mi prometta che, quando avrai trovato un compagno stabile, firmerai un contratto di riproduzione. Vuoi ancora dei figli, vero?” Jory annuì. Uno dei suoi sogni più grandi era quello di avere una famiglia propria. “Ho giurato sul letto di ascensione di mia madre che non avrei lasciato estinguere la nostra linea di sangue. Immagino vi riferiate a una creazione in laboratorio.” “Naturalmente. So che non ami le donne.” L’uomo fece un sorriso sornione. “Non è che non le ami,” protestò Jory. “Non mi interessano dal punto di vista sessuale, ecco tutto.” “Un argomento sul quale non ci troveremo mai d'accordo.” Il re scoppiò a ridere. Ora che aveva ottenuto ciò che voleva, aveva ritrovato il buonumore. Mentre finiva di fare colazione, Jory considerò che fare quel viaggio non sarebbe stato poi così tremendo. La sua destinazione era un punto d'incontro per uomini attratti da altri uomini e nel peggiore dei casi avrebbe finito col prendere parte a un’orgia molto affollata. Abbassò lo sguardo per evitare che suo padre notasse la sua espressione e disse: “Beh, padre, immagino che il vostro segretario abbia già steso il mio piano di viaggio, per cui è meglio che io vada a fare le valigie.” Il re annuì. “Cali ha usato il cognome da nubile di tua madre per le prenotazioni.

Ho pensato che non avresti voluto rendere nota a tutti la tua identità.” “Avete fatto bene. Meno gente sa che sono vostro figlio e maggiori saranno le mie possibilità di trovare un compagno sincero.” “Sono d'accordo. Prima o poi, figlio mio, la tua bellezza svanirà, ma il denaro non ha una data di scadenza. Se per farti avere il compagno perfetto dovessero bastare i soldi, fammelo sapere e ti darò tutto ciò di cui avrai bisogno.” L'anziano si sporse in avanti e la sua espressione amorevole si tramutò nella maschera di ghiaccio del sovrano della galassia. “Ma ricordati una cosa: chiunque dovesse farti del male ne risponderà a me.” Jory deglutì d'impulso. A volte dimenticava che gli sguardi colmi d'amore di suo padre celavano uno dei bastardi più spietati dell'universo. “Sì, padre. Ma voglio essere chiaro con voi: non voglio nessun 'compagno perfetto' da comprare con il denaro.” I due terminarono di fare colazione in una perfetta coincidenza di opinioni. Dopo aver terminato il pasto, Jory andò a prepararsi per il viaggio e suo padre a svolgere l'attività mattutina prediletta di un terrificante sovrano galattico.

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Sull’autrice

Amber Kell è una sognatrice che scrive storie nella propria testa da che ha memoria. Vive a Seattle con il marito, due figli, tre gatti e un cane molto stupido. Per saperne di più sulle sue opere e i suoi lavori in corso, date un'occhiata al suo blog: http://amberkell.wordpress.com. I suoi fan possono anche scriverle all'indirizzo [email protected] Blog: http://amberkell.wordpress.com Twitter: http://twitter.com/amberkell