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Celeste Anna Kyss

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Traduzione di Mauro Saracino

“Celeste” Autore Anna Kyss Copyright © 2014 Anna Kyss Tutti i diritti riservati Distribuito da Babelcube, Inc. www.babelcube.com Traduzione di Mauro Saracino “Babelcube Books” e “Babelcube” sono marchi registrati Babelcube Inc.

Sommario

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~Verde Acqua~ 1 Mi spingo attraverso le acque turchesi grazie alle ondulazioni della coda. Nessuno mi ha visto. Per fortuna. Lasciare Maluhia da soli è proibito. Il mio cuore corre per il pericolo, lo sforzo, l’eccitazione. Gioisco per il sangue che mi scorre nelle vene, l’adrenalina che mi attraversa il corpo: mi sento viva. Audace. Esultante. Se solo potessi prendere queste sensazioni e metterle da parte per dopo, quando l’apatia tornerà a bussare; per ora posso solo assorbirle. Devo costringermi a sentirle. Il prezzo per l’indifferenza potrebbe essere la mia vita. C’è una barriera corallina davanti a me, una delle poche che rimangono nella nostra parte di mare. Il giallo, rosso e arancione del corallo in perenne crescita contrastano con il blu dell’oceano che li bagna. I tentacoli rosa e bianchi delle anemoni aspettano i loro amici a strisce bianche e arancioni – i pesci pagliaccio. A scuola mi hanno insegnato quella strana parola, clown; un tempo le persone indossavano costumi e si dipingevano il viso per far ridere. Provo a immaginarmelo: un mondo dove i vestiti e le parole erano sufficienti a far sghignazzare la gente. Nel mio mondo tutta la pelle e i linguaggi messi insieme non sarebbero abbastanza per farci sorridere. La mia gente non ride più. Un’anguilla a strisce porpora e bianche fa spuntare la testa dalle rocce, si guarda intorno quindi scatta via. Spaventa un gruppo di pesci, mandandoli verso di me. Un arcobaleno di pinne e scaglie luccicanti mi nuota intorno. Arcobaleno: un’altra di quelle parole curiose sentite a lezione. Provo a immaginare i colori e il cielo ma è troppo difficile. In questo mondo di mille sfumature di blu, la barriera è l’unico posto in cui trovare un arcobaleno. I ricordi mi riportano sempre a questo luogo, nonostante la minaccia di essere

scoperta. Il nome della mia migliore amica era Arcobaleno. Nel nostro mondo sottomarino, la contentezza si dissolve nelle acque, mentre distacco e letargia emergono. Con Arc successe che il sorriso l’abbandonò prima di perdere l’ultimo dente da latte. Quando ricevette le pinne, ecco che non volle più giocare e smise di venire alle nostre nuotate quotidiane. Presto non lasciò più la capsula di famiglia. La tristezza l’aveva devastata e lei compì l’Atto Innominabile. La sofferenza riempie il vuoto lasciato da quell’amicizia, riportandomi alla mente ricordi di altre persone che mancano. Mia madre. Mio padre. Lo scoramento mi trascina giù. Ricacciando indietro le lacrime che minacciano di scappare, mi impongo di scacciare i pensieri negativi dalla mia testa e di aprire gli occhi alle meraviglie della barriera corallina. Questo è il motivo per cui affronto il pericolo di lasciare il complesso di capsule, per vedere l’arcobaleno, stimolare i miei sensi e rinvigorirmi. Non posso seguire il cammino di Arc. Non soccomberò. Una tartaruga di mare mi viene incontro e gira intorno a me, facendosi più vicina a ogni rotazione. Il verde chiazzato del guscio si amalgama con le alghe. Do un colpo di coda, spingendomi più vicina ma il rettile si tuffa in basso e scompare nelle ombre di quel prato sottomarino. Lasciata fluttuare da sola, mi domando come la tartaruga nuoti sopra la Superficie – salendo fino alla Terra – per deporre le uova. Come può una tartaruga, con la pelle fine e le uova tanto fragili, sopravvivere dove la gente non può? Non riesco a resistere a guardare in alto. La luce attraversa la Superficie, dipingendo il mare di sfumature celesti. Desidererei nuotare in su per vedere la Terra che abbiamo perso. Brucio all’idea di sapere cosa giaccia sopra le acque. Potrebbe esserci una cura, troppo tardi forse per aiutare Arc e i miei genitori, ma potrebbe salvare gli altri dallo stesso destino terribile. Nascondo questi sogni proibiti dentro di me, strangolando ogni possibilità e

ingoiando i miei desideri. Ancora una volta ho abbandonato ogni precauzione. Potrei essere rinchiusa solo per aver pensato di arrivare alla Superficie. I pesci della barriera corallina interrompono la loro deliziosa danza e si sparpagliano. Scandaglio le acque per vedere cosa possa aver spaventato quei piccoli gioielli del mare. Qualcosa fluttua verso di me. Mi blocco. All’inizio il manto grigio-nero mi fa venire in mente una foca monaca dalla forma bizzarra. Ma mentre si avvicina riconosco i lunghi arti di un uomo. A differenza della nostra Pelle, che è senza cuciture, il suo costume ha strane tracce di plastica – forse un modo per entrare e uscire. Porta un grosso serbatoio sulla schiena, indossa una maschera sul volto e tiene un lungo tubo tra i denti. Bolle lo seguono in un fiume continuo dietro di lui. Sta respirando attraverso quel tubo? Non ha le branchie? Mi dimentico di nascondermi fino a quando non mi scorge. Il cuore galoppa mentre si avvicina, le mani aperte davanti a lui. Credo stia cercando di mostrarsi inoffensivo. Questo... questo è eccitante. Uno sconosciuto senza branchie che nuota presso la mia barriera. Voglio avvicinarmi e saperne di più. Nuota a un colpo di pinna di distanza. Sono tentata di allungare un braccio a toccare quella lucida tuta nera per vedere se è gommosa come sembra, ma mi trattengo. Sbircio in quella maschera. I suoi occhi castani si spalancano mentre osserva il mio corpo. Fissa ogni cosa che ci rende diversi: le branchie, la coda, la Pelle. Di rimando, rivolgo gli occhi, stupita, al grosso serbatoio, lo strano tubo, la maschera. Riesco a malapena a distogliere lo sguardo. Lui solleva la mano... saluta. Ricordo di aver imparato i vecchi metodi di saluto – un’altra abitudine persa sott’acqua. Le mie dita sventolano in risposta, muovendosi più veloci della mia coda. Chi è questa persona? È troppo diversa per essere di un altro settore. Come può sopravvivere sott’acqua senza branchie? Che venga da...?

Scaccio quel pensiero dalla testa prima che si formi del tutto. Nessuno vive più sulla Superficie, non più. Lentamente allunga la mano verso di me e io rimango immobile, curiosa di sapere cosa farà. Se visitare la barriera corallina non è permesso, allora incontrare qualcuno esterno al settore deve essere proibito. L’adrenalina mi scorre nel corpo. Non mi sono mai sentita tanto viva. Quando mi afferra la mano, fischio dalla sorpresa, ma lo lascio guidarmi sopra la barriera fino a una porzione di fondale sabbioso. Le nostre mani sono così strane insieme, la mia Pelle blu in contrasto con la sua nuda mano abbronzata, libera da ogni copertura. Si piega per raccogliere una lunga conchiglia a spirale che è sul fondo. Usando il guscio, imprime linee sulla sabbia. I movimenti dell’acqua presto fanno svanire il suo lavoro, così l’uomo ricomincia. Fisso quei simboli fino a quando improvvisamente non riesco a dare loro un senso. Lui scrive in uno dei linguaggi perduti! Con cura provo a dare un suono ai segni – no, alle lettere – nella mia mente. J.E.S.S.E. Ma che vuol dire? Punta il dito verso se stesso, quindi alle lettere che stanno svanendo, quindi di nuovo a se stesso. Il suo nome! Non molti a Maluhia sarebbero in grado di leggere nei vecchi linguaggi perduti. Ma sono la mia specialità, è il mio lavoro quello di impararne il più possibile per preservare la conoscenza. Come sono stata fortunata a incontrare questo... scrittore. Indico me stessa, come lui ha appena fatto, e schiocco il mio nome: Chey. Attraverso la foschia della maschera, vedo i suoi occhi muoversi per la confusione. Scuote il capo e mi offre la conchiglia. Forse non capisce la lingua dei Delfini? Mi mordo il labbro e cerco di ricordare come formare il suono del mio nome. Sh... ay. I suoi occhi si spalancano ma annuisce. Che il mio nome suoni strano persino a questo sconosciuto? Controlla qualcosa attaccato al tubo e guarda in alto... verso la Superficie. Prende il guscio e disegna una barca affondata, indicando un punto verso il lato della barriera corallina. So di questa imbarcazione, fu vittima di un incidente nei

tempi in cui eravamo sopra l’acqua e ora riposa sul fondale oceanico. Il mare quasi ripulisce del tutto la sabbia. Jesse allora disegna una persona, indicando se stesso, quindi un’altra, indicando me, al lato del relitto. Vuole che ci incontriamo di nuovo. Ma quando? Incide un cerchio, con delle linee intorno e guarda me. Strizzo gli occhi, inclino la testa da un lato ma non riesco a capire cosa voglia dire, prima che la corrente dell’oceano levighi la sabbia. Attraverso la maschera, vedo rughe formarsi nello stretto spazio degli occhi. Improvvisamente guarda di nuovo verso di me e disegna la Superficie con dei raggi di luce scintillanti. Indica il disegno, quindi imita il gesto di dormire, con gli occhi chiusi e la testa sulle mani; agita le mani verso l’opera in procinto di sparire e quindi ripete i gesti di poco prima – e lo fa altre cinque volte. Sette tempi di sonno. Annuisco in segno di comprensione. Torna a nuotare verso l’alto. Guardo il suo corpo farsi sempre più sottile fino a scomparire del tutto quando raggiunge la Superficie. Un nuovo mondo si spalanca davanti a me, pieno di cose che non avrei mai creduto possibili. Un umano che nuota sopra la Superficie. Un umano che sopravvive senza branchie. Quali altre sorprese stanno per rivelarsi? La Superficie si increspa, cancellando ogni traccia del aggio di Jesse. Non ho pensato ad Arc o ai miei genitori per tutto il tempo in cui sono stata con lui e il costante senso di disperazione è svanito, sostituito da eccitazione... trepidazione... persino felicità. Per la prima volta in tanti mesi ho qualcosa da aspettare, invece che molte cose da temere. Visiterò il relitto della nave, vedrò Jesse, in sette tempi di sonno. Il mio viso è strano – guance piene, il mento tirato – e quando allungo le dita per capire cosa c’è che non va, realizzo che sto sorridendo.

~Ciano~ 2 Lunghe ciocche dei miei capelli nero-inchiostro turbinano intorno a me, danzando come se fossero vive. Scivolo sul mare turchese. Ogni colpo di coda mi manda più vicina a casa. Un fischio risuona dagli abissi. Lo riconoscerei ovunque. Metto il fischietto alle labbra e soffio – a lungo e duramente – attraverso l’involucro di plastica rigida. Haku viene verso di me, fischiando ancora. Mentre il famigliare delfino grigio appare, mi immergo. Tutto il mio corpo ondeggia sinuoso. Lei nuota sotto di me al momento giusto e afferro le pinne mentre si lancia in avanti. Il mio battito cardiaco aumenta con la velocità. Se solo potessi sempre volare attraverso le acque, perché l’euforia mi ricorda che sono viva. Gli umani non eguaglieranno mai la velocità dei delfini, così devo essere contenta del aggio di Haku. È difficile immaginare il tempo ormai andato in cui uomini e delfini non erano compagni. Haku mi aveva raccontato le sue storie di famiglia – di schiavitù e massacri – di tanto tempo fa, prima che ci muovessimo sotto i mari – quando la gente era convinta che gli umani fossero intelligenti, l’unica specie davvero importante. Le Unioni prevengono che questo avvenga di nuovo. Ogni umano è accoppiato a un delfino, compagni nel mondo blu che dividiamo. L’Unione è una cerimonia di impegno: una promessa che ci difenderemo l’un l’altro; un ricordo della coesistenza delle due specie; e la comprensione della nostra uguaglianza. Questo legame per la vita è forte come quello con genitori, fratelli o amanti. Noi riceviamo le pinne laterali intorno all’undicesimo ciclo oceanico e la protesi della coda al quindicesimo. Entrambi i riti sono eccitanti e permettono più libertà, più possibilità rispetto a prima. Niente in confronto al settimo ciclo, comunque – quando scegliamo i nostri partner delfini e ci leghiamo a loro. Le ragazze fanno coppia con le femmine e i ragazzi con i maschi. Dopo pochi minuti da quando Haku mi ha preso, vedo le alte mura ricurve di

Maluhia in lontananza. L’emisfero pieno d’acqua contiene tutte la capsule del nostro settore e ci protegge dai pericoli del mare. Ci avviciniamo a un’entrata laterale del complesso, quasi nascosta dalle alghe rigogliose. Prendo un momento per ricompormi. Non posso essere vista mentre rientro di nascosto a Maluhia. Haku mi rimprovera con gli schiocchi e i fischi della lingua dei delfini. «A cosa stavi pensando?» La coda della mia compagna schiaffeggia l’acqua mentre fischia la sua preoccupazione. «Ti osservano già abbastanza. Lasciare la capsula...» «Lo so», schiocco in risposta, accarezzandole la pelle liscia. «Ma devo correre rischi; devo sentirmi viva... per prevenire l’Atto Innominabile.» «Rischi!» Taglia l’acqua con le pinne frontali. «Dove sei andata?» Distolgo lo sguardo. «La barriera corallina.» Il becco di Haku si strofina contro i miei capelli. «Ti manca ancora Arcobaleno.» Singhiozzo. Haku mi capisce. Mi spinge quindi verso il portello. «Guarda come il turchese si è scurito. Sei in ritardo per le tue lezioni.» «Pungiglioni!» La botola si apre fin troppo lentamente. Dopo essere scivolata attraverso l’apertura rotonda, mi tiro via la coda liberando le gambe e la nascondo in uno dei bidoni di stoccaggio liberi. La mia coda è il mio bene più prezioso; la protesi è celeste, la mia sfumatura preferita di blu e misura la lunghezza del mio corpo. Scaglie luccicanti ricoprono la parte superiore, pinne caudali trasparenti ornano quella inferiore. La coda è anche l’unica prova che ho nuotato in mare aperto. Solo Haku può sapere che ho lasciato il complesso di capsule. Solo lei proteggerà il mio segreto. Ma neanche lei può venire a conoscenza di Jesse. Scalcio più velocemente con le gambe, cercando di spingere il mio corpo verso la capsula d’insegnamento. Non posso permettermi di arrivare tardi quando so che mi stanno già osservando. La Commissione si aspetta molto: puntualità,

conformità e positività. Ma più l’oscurità scende e più è difficile andare incontro alle loro aspettative. Che succederà se sbaglio? La capsula dedicata all’insegnamento è uno dei pochi edifici che vanno a ossigeno. Gli antichi metodi di apprendimento – libri e computer – non sono sopravvissuti all’acqua. L’insegnamento avviene oralmente: attraverso discorsi, discussioni e dibattito. Per questo dobbiamo esprimerci a parole. Mentre entro nella stanza, il professor T. sta già facendo l’appello. «Sequoia, Sole, Sicomoro», legge, aspettando la risposta di ogni studente tra ogni nome. Pungiglioni! Ha già superato la C. Il professor T. alza il capo verso di me e aggrotta le sopracciglia. «Chey – ancora in ritardo? Dovrò fare rapporto.» Un altro negativo. Lo stomaco mi si attorciglia e la bile mi risale in gola mentre affondo nella sedia. Non posso permettermi un altro negativo, non ora che i rapporti si incrociano con gli esami avanzati. Supervisione amplificata. Come farò a incontrare di nuovo Jesse se sono già monitorata così da vicino? Dovrò lavorare sodo per guadagnarmi la benevolenza del professor T. Ingoio le mie preoccupazione e presto attenzione. Il docente sta cominciando la lezione e io primeggio nelle lingue. Forse posso fargli una buona impressione ed evitare il rapporto negativo. «Il nostro test domani riguarderà la transizione al Linguaggio Universale. Chi può ricordare alla classe chi ha suggerito questa transizione?» Cammina avanti e indietro, di fronte a noi. Alzo la mano. «Chey.» Il professor T. annuisce nella mia direzione. «Dicci del linguaggio P.A.» «Nei tempi Prima dell’Acqua, c’erano differenti lingue per ogni gruppo culturale, quasi una per ogni naz... nazione.» Per fortuna ho ricordato quel termine strano. «In tutto c’erano più di seimila lingue vive e moltissime già dimenticate. Le persone trovavano difficile comunicare con gli altri quando

abbandonavano i loro settori – voglio dire, i loro Paesi.» «Molto bene, Chey. Ragazzi, che cambiamenti sono stati fatti D.A.?» Mi fermo per un secondo ma nessuno risponde. Sequoia si lucida la Pelle indaco; Mount’ russa, la testa appoggiata contro la scrivania in acrilico. Sol’ si guarda intorno, verso le pareti ricurve della capsula, lo sguardo vuoto. Per qualcuno è letargia, per altri mancanza di motivazione. In ogni caso, l’assenza di interesse è solo l’inizio di quello che sta per succedere. Questo lo so per via di Arc... e dei miei genitori. «Cambiamenti nel Dopo Acqua?» Il professor T. ripete, irritato. Questa è la mia opportunità. Alzo ancora la mano e l’insegnante mi indica. «Dopo il Disastro, all’inizio dei tempi del Dopo Acqua, è stato deciso di adottare un unico linguaggio per parlare in tutti i settori sopravvissuti. I primi cinque linguaggi vennero votati, basati su sei fattori predeterminati, e il vincitore divenne il Linguaggio Universale.» Il professor T. mi fissa, annuendo alle mie risposte approfondite e accurate. Ogni membro della capsula deve studiare il Linguaggio Universale per cinque interi cicli durante la scuola, ma non tutti condividono il mio interesse per i linguaggi. Se tutto va bene, la mia partecipazione gli farà are la voglia di fare rapporto sul mio ritardo. La lezione continua, con altri test e io rispondo, domanda dopo domanda. Potrei avere il meglio anche senza studiare. Sono specializzata in lingue da circa due cicli. Ogni studente si vede assegnata una specialità arrivato al quindicesimo ciclo. Alcune di esse riguardano il lavoro manuale, come la costruzione di capsule o la ricerca di cibo; altre invece si riferiscono a compiti intellettuali, come la ricerca scientifica. Il Comitato determina le nostre specialità attraverso le segnalazioni degli insegnanti, attitudini naturali e rendimento. Le preferenze personali non sono prese in considerazione. I linguaggi comprendono anche storia, tradizioni, integrazione culturale e la comprensione delle parole di molte specie. La specializzazione in lingue è la più rara. Oltre al Linguaggio Universale, devo imparare anche quello dei nostri

amici animali sottomarini. Il modo di comunicare dei delfini è facile. Ognuno lo impara in gioventù. Ma il Canto delle Balene è un’altra storia, i suoni complessi dei cetacei si intrecciano in racconti complicati, con storie che risalgono addirittura a Prima dell’Acqua. Ho speso molte sere ascoltando le parole poetiche delle canzoni delle Megattere. Io sono anche una delle poche abitanti delle capsule a comprendere la più rara delle lingue, la Canzone dei Giganti. Dopo altre interrogazioni, il professor T. lascia andare la classe con un’ultima raccomandazione di studiare per il test. Mi ferma prima che lasci la stanza. «Chey, tu hai molto potenziale...» «Mi spiace di essere arrivata tardi. Io... io ho perso la cognizione del tempo. Devi... davvero fare rapporto sul mio ritardo?» Lo prego anche con gli occhi. «Oh, Chey, suppongo che potrei tralasciare questa infrazione.» Mi sento sollevata. Le spalle tese e i muscoli contratti si rilassano. Ringrazio il docente, che è sempre stato il mio insegnante preferito. «E Chey», dice prima che me ne vada. «I Giganti verranno dopo sei sonni. Terranno un vero concentro nel Profondo.» I Giganti stanno arrivando? I Giganti stanno arrivando! Mentre studiavo il loro linguaggio complesso e mi allenavo a tradurre le loro armonie, non avevo mai sentito la Canzone dei Giganti cantata dai Giganti stessi. Un sogno si sta avverando.

~Turchese~ 3 Mentre abbandono la capsula della cena, la luce sta svanendo velocemente, il turchese del giorno scurendosi nell’indaco della notte. Mi sono trattenuta sulla mia insalata di alghe, per niente pronta per affrontare la solitudine di casa mia. Le vie di Maluhia sono deserte; quando si avvicina il coprifuoco quasi tutti devono essere nelle loro capsule di residenza per la notte. Ho sentito dire che gli umani una volta avevano interi palazzi per loro, con stanze separate per ogni persona. È difficile immaginare un lusso del genere. Qui, tutti quanti vivono in abitazioni comuni, con solo piccole capsule per dormire come spazio personale. Le famiglie sono le più fortunate; possono ricevere aree per dormire più vaste. Ricordo di aver vissuto in quel modo a un certo punto, riposandomi nella capsula di famiglia resa confortevole da mia madre. Dopo che i miei genitori furono presi, mi mandarono in una residenza per bambini. Ce ne sono così tanti con i famigliari scomparsi. Quando raggiungo l’entrata della residenza per i bambini, entro velocemente e mi registro. La madre dell’abitazione di turno neanche mi saluta. Nuoto silenziosamente di sopra. I piani sono divisi per età e la mia capsula è a quello più alto. Qualche compagno di piano siede nella stanza camune, le nostre capsule per dormire lungo il muro più lontano. Rosa è sdraiata sul divano di plastica, i suoi lunghi capelli sparsi tutti intorno a lei, mentre ‘Fall fa il giro della stanza. Mi ignorano. Gli altri devono essere già addormentati. «Come sta andando il tuo addestramento nella capsula medica?» chiedo a Rosa. Lei impiega molte ore a imparare come guarire le malattie del mare, con la sua specializzazione medica. «Come al solito.» Rosa chiude gli occhi e mi saluta con la sua delicata mano color dell’acqua. Mi avvicino a ‘Fall. «Preso qualche pesce?»

«Qualche mahi.» Quindi nuota verso la sua capsula e il suo corpo sparisce nella piccola camera. Tipico. Anche se viviamo così a stretto contatto, siamo ancora soli del tutto. L’isolamento è peggiore nella residenza dei bambini oppure ha allungato i suoi freddi tentacoli a toccare tutto il complesso di capsule? Apro il mio compartimento ellittico e vengo trasportata dalle calde acque. È così stretto che non posso estendere le braccia, sedermi o muovermi. Come chiudo gli occhi e mi rilasso, la mia mente ritorna allo strano incontro alla barriera. Una persona che vive sulla Superficie. Come è possibile? Il Comitato ne è a conoscenza? Cosa farebbero se sapessero di Jesse? Devo vederlo di nuovo. Non posso rivelare di aver lasciato le acque sicure del complesso di capsule. Non posso fidarmi neanche di Haku su questo. Anche se è leale verso di me, ha anche giurato di onorare le regole del settore. Se solo Arc fosse ancora qui. Non mi sono mai sentita così sola. Stringo i denti mentre la gioia della nuova scoperta svanisce e torna l’isolamento. Non appena i miei occhi si chiudono, i pensieri diventano nebulosi. Un colpo secco sulla capsula mi sveglia di colpo. La botola si apre di scatto e uno dei Custodi riempie l’angusto ovale dell’entrata. «Signorina», clicca il Custode. «Devi accompagnarmi dall’Autorità.» La paura lava via la mia solitudine. In qualche modo devono essere venuti a conoscenza del mio incontro. Questa consapevolezza che porto con me – uomini che vivono sulla Superficie – potrebbe essere pericolosa. Le acque calde non possono scacciare i brividi che provo sotto la Pelle; le scaglie pizzicano e si alzano. «Subito, signorina!» Il fischio acuto del Custode mi fa sobbalzare e urto con il capo contro la parte superiore della capsula. Impazientemente sbatte con la pinna caudale. Lo seguo. Vorrei chiamare Haku in modo da non affrontare la situazione da sola ma non sarebbe giusto coinvolgerla. E poi probabilmente è lontana, in mare

aperto. I delfini lasciano il complesso di capsule ogni notte, preferendo nuotare e socializzare nelle acque scure. La vedrò ancora? Lo sgomento mi brucia il corpo, arrivando al cuore. Braccia e gambe tremano troppo mentre cerco di imitare le lunghe pinnate del Custode. Mi muovo dietro di lui, come un piccolo che impara i movimenti per la prima volta. Andiamo dritti verso le Camere del Comitato, superando le curve costruzioni di Maluhia. La plastica e il silicato sono stati segnati dalla violenza dell’acqua e dalla corrosione salina. Li osservo, incerta se mi sarà mai permesso di vedere ancora questi luoghi. Questo settore è l’unica casa che abbia mai avuto. Il pensiero di essere portata via da tutto questo, da Haku, mi appesantisce il cuore. Il Custode porta con sé un bulbo luminoso per illuminare il percorso. L’acqua ha raggiunto la più scura sfumatura di indaco, e il leggero chiarore brilla sulla sua Pelle color della notte. Tutti gli ufficiali provano a spiccare nel mare. I Custodi indossano Pelli tendenti al nero, i membri del Comitato e altri in posizioni di prestigio scelgono dei dignitosi grigi. Il porpora è riservato all’Autorità. In una delle mie sessioni private di studio, il professor T. mi aveva fatto notare che porpora era il colore dei governanti molto tempo fa, prima delle guerre, persino prima del vecchio governo. Alla fine arriviamo alle Camere del Comitato. È la più maestosa delle capsule, con lo spazio per l’ufficio al piano inferiore e le residenze in quelli superiori. Nuotiamo oltre l’entrata più grande che conduce alla Camera delle riunioni del Comitato e continuiamo, fino alle stanze private dell’Autorità. La porta dell’ufficio si apre e il Custode mi fa segno di entrare. Nuoto attraverso la piccola botola e quindi su, nella stanza piena di ossigeno. Ci sono stata diverse volte: prima per ricevere le condoglianze dopo la morte dei miei genitori, e poi per essere ufficialmente rimproverata per aver infranto le regole. Questa non è la prima volta che arrivo tardi a lezione. Non mi hanno mai sorpreso a lasciare Maluhia, comunque. Mi siedo diligentemente sulla plastica rigida della sedia e aspetto. Una lunga attesa fa sempre parte di un rimprovero ufficiale; dà il tempo di pensare all’infrazione, di riflettere sulla punizione pensata dall’Autorità e di preoccuparsi

sulle conseguenze a lungo termine. L’attesa è un’esperienza terribile. Le infrazioni sono poche nel nostro settore. Per calmarmi mi concentro su lunghi e profondi respiri di aria viziata. Non mi piace respirare con i polmoni. Farlo con le branchie è così automatico e l’ossigeno è abbondante nelle sempre fresche acque dell’oceano. Nelle capsule riempite d’ossigeno, l’aria è satura di odori di altri – sudore, alito pesante – e prendere questo ossigeno riciclato richiede un certo sforzo. Come possono aver scoperto di Jesse? Sono stata molto attenta quando me ne sono andata. Se un’altra persona avesse visto Jesse nuotare fino in Superficie come è possibile che lui o lei non abbia cercato di parlare con me dell’impossibilità della cosa? Quando gli occhi cominciano a chiudersi per la stanchezza e la testa si fa troppo pesante per tenerla sollevata, la porta si apre. L’Autorità entra. Subito mi raddrizzo. L’uomo si siede alla scrivania di plastica gialla, si piega in avanti e mi guarda negli occhi. «Chey, mi dispiace che dobbiamo incontrarci di nuovo.» Cosa sanno? Devo stare attenta. Mi morto il labbro e annuisco, pensando per un attimo. «Mi sono concentrata sugli studi.» «Sì, il professore mi ha detto che sei una delle studentesse più promettenti con cui abbia mai lavorato. Ha anche aggiunto che hai un’affinità naturale con i linguaggi.» «Sto diventando esperta nella canzone delle Megattere e la Canzone dei Giganti. Conosco anche un po’ della lingua delle Orche. Ci sto davvero provando.» Lo fisso con il mio sguardo più sincero. Il fatto è che ci sto davvero provando, ad allontanare il dispiacere, a combattere per non soccombere alla tristezza e a mettere tutta la mia energia nell’apprendimento delle lingue. «Come Autorità del nostro settore e capo del Comitato, sono qui per somministrare un rimprovero ufficiale.» Il mio corpo si tende. Quanto sarà dura? Quale sarà la mia punizione? «Sei stata vista mentre ti allontanavi dalle acque di sicurezza questa mattina e sei

tornata solo nel tardo pomeriggio. La tua protesi è stata ritrovata vicina a un portello. Quindi potrebbe non essere la prima volta che lasci il complesso di capsule senza permesso. La tua compagna non era informata del tuo allontanamento, cosa che ti ha messo ancora di più in pericolo.» Dà un colpetto con l’indice a ogni infrazione letta. Hanno interrogato Haku? Oh, deve essere molto arrabbiata con me. Mi sento in colpa. L’Autorità si alza in piedi. «Per essere onesti, non sono sicuro sulla punizione da infliggere. Sei una grande promessa. Una parte di me ancora spera che tu sia capace di superare gli ostacolo. Ma per ora continui a mettere Maluhia in pericolo.» «Proverò...» «No!» Il suo secco diniego gli fa tremare la chioma bianca come la neve. «Ho già sentito le tue promesse. Il Comitato non tollererà una simile indisciplina.» «Ma...» Mi piego in avanti, mostrando la mia espressione più contrita. Per favore, accorgiti del mio rimorso. «Dopo averci pensato, ho deciso questo: la tua coda è confiscata, in modo da diminuire la tentazione di nuotare in mare aperto; sono previsti appuntamenti giornalieri con il dottor Nuvola; e sei agli arresti capsulari.» Torno al mio posto, scioccata. Non è la punizione peggiore, non mi stanno portando via... non ancora. Ma perdere la coda e la libertà? E sopportare la sofferenza del dottor Nuvola giorno dopo giorno? Ed essere costretta a rimanere nella residenza degli orfani? Come potrò combattere la disperazione ora? Per la prima volta temo che non sopravviverò, che fallirò esattamente come hanno fatto gli altri. Strizzo gli occhi per intrappolare le lacrime. La realtà di tutto quello che perderò comincia a farsi chiara: Jesse, Haku, i Giganti. Combatto per trattenere i singhiozzi, mandando giù lunghi respiri di aria fetida. «Ma stanno arrivando i Giganti», sussurro. «Devo ascoltarli per i miei studi. Non c’è altro modo per imparare davvero il loro Canto.»

L’Autorità ha già cominciato a scuotere il capo ma alle mie ultime parole si ferma, guarda sulla scrivania e chiude gli occhi per qualche minuto. Alla fine dice: «Poiché riguarda la tua specializzazione, farò in modo che il Comitato te lo permetta. Ma sarai scortata dal tuo professore. Andata e ritorno.» Mimo con la bocca i miei ringraziamenti. «E, Chey, noi ci saremo. Il Comitato ti seguirà.» Mentre aspetto di potermene andare, un uomo scende dell’entrata, scuotendosi educatamente gocce d’acqua dalla Pelle grigia prima di mettere piede sul pavimento asciutto. Senza neanche guardarmi, marcia verso la scrivania dell’Autorità e scuote una piccola bottiglia ambrata. «Vuota. Di nuovo. Mi serve questo ciclo...» «Dottore, stia attento!» esclama l’Autorità. L’uomo si volta verso di me e le viscere mi si annodano. Il dottor Nuvola. L’Autorità torna in piedi. «Chey avrà il piacere di unirsi a lei per sessioni quotidiane. È stata messa agli arresti capsulari.» Il dottor Nuvola mi guarda. «Eccellente. Otterremo il meglio dal nostro... tempo insieme.» «Ritorna alla residenza dei bambini.» L’Autorità richiama uno dei Custodi. «Dottore, se vuole attendere, per favore. Abbiamo una questione di cui discutere.» Seguo il Custode fino alla piscina d’ingresso, giù lungo la porta e di nuovo nelle acque di Maluhia. Mentre mi scorta alla capsula, allontano le onde dell’abbattimento. Mi concentro solo sui Giganti che saranno qui in sei tempi di sonno. Di sicuro posso farcela fino ad allora.

~Tonno~ 4 Dopo un solo sonno, la monotonia dell’arresto capsulare erode la mia forza, lavando via l’euforia per l’incontro con Jesse e l’eccitazione per la visita dei Giganti. Sono sdraiata sul divano, da sola, mentre la vita a Maluhia continua senza di me. Il professor T. nuota nella sala comune. Perché è qui? Non ha mai visitato la residenza dei ragazzi prima. Mi tira su e mi guida a un piccolo tavolo. «C’è stato molto tempo per riposare. Dobbiamo tornare a lavoro.» «Lavoro?» «Sono di ritorno da un incontro con il Comitato. Ho affermato che la tua specializzazione è troppo preziosa per essere trascurata, anche mentre sei agli arresti.» «E...?» Vedo una piccola bolla di speranza. «Sono stati d’accordo che delle sessioni private di studio aiuterebbero il settore. Verrò per un’ora ogni pomeriggio, quando si conclude la lezione.» «Farebbe questo...» Non riesco a costringermi a dire le ultime due parole che indugiano nella mia mente: per me? «Un piccolo sacrificio, considerando il tuo talento.» Il professore si guarda intorno. «Ci sono dei limiti in questo spazio.» Le camere piene d’acqua rendono l’esercizio delle lingue più difficoltoso perché dobbiamo comunicare con i clicchi e i fischi dei delfini. «Per risolvere il problema ho pensato di concentrarci sulla storia per le prossime settimane.» Dà un’altra occhiata alla camera. «Il tuo piano di solito rimane vuoto a quest’ora?» «Sempre. I miei compagni ritornano dopo cena, e la madre della residenza starà badando ai pre-pinnati.

«Eccellente. Non vorrei che... la tua concentrazione venisse interrotta durante la lezione.» Il professor T. si rilassa. «Noi abbiamo coperto la vita emersa ma dovremmo esplorare di più la storia antica di Prima dell’Acqua.» Tutti a Maluhia imparano della transizione nei mari, la saggezza dei nostri progenitori. «Ho studiato la transizione e il Disastro.» «Voglio che ci riferiamo a un argomento un po’ differente.» Il professore mi si avvicina. «I governi primordiali.» Ascolto con attenzione. È più difficile decifrare le sfumature nella lingua dei Delfini. «I nostri progenitori vollero replicare il modello di governo popolare dei loro tempi: un corpo di eletti per rappresentare la gente, con un leader supremo, anch’egli scelto dal popolo», clicca il professore. «Ma non abbiamo posizioni elettive...» «Non più. C’erano durante i primi anni, ma si formarono due fazioni: quella i cui obiettivi erano centrati sul tornare in Superficie e quella concentrata a mantenere la vita sott’acqua.» «La Superficie?» Altri avevano sognato di vedere la Terra, proprio come me? «Erano solo sogni distorti.» Il professore si guarda di nuovo intorno. «Chey, la tua specializzazione pesa molto. Devo insegnarti la storia in modo che tu abbia consapevolezza ma questa informazione in particolare non può essere condivisa.» Il professor T. non mi ha mai chiesto di nascondere delle informazioni prima d’ora. L’Autorità ha idea della natura delle nostre sessioni di studio? No, almeno credo. E non sarò io a parlargliene. «Capisco.» «Quando gli Oceanici ottennero la maggioranza nel Comitato, fecero are una decisione che interrompeva le elezioni. E cominciarono a nominare i leader loro stessi.» «E perché il popolo lo ha permesso?» Ma la risposta venne da sola: quando

l’apatia prende il sopravvento, le persone smettono di preoccuparsi. E perdono la loro battaglia. Stiamo seduti in silenzio per un momento, fino a quando un’altra domanda mi sovviene. Ma l’Autorità sceglie il Comitato. Personalmente.» «Come ogni posizione di potere, influenza e controllo crescono con il tempo.» Il professor T. si avvicina di nuovo. «Nel corso della storia, molti governi hanno cominciato con buone intenzioni; non tutti sono finiti allo stesso modo, però.» «Cosa vuol dire, professore?» Si ferma e rimane in silenzio per un lungo momento. «Questa è solo una lezione di storia. Una lezione di storia solo per le tue orecchie.» Il docente sta rischiando molto a condividere con me questa informazione. Forse dovrei rischiare anch’io. «C’è un’area di linguaggi su cui speravo di lavorare. Non mi sento... competente in questo settore.» «Perché? Sei una delle più capaci studentesse con cui abbia mai lavorato. Il Canto dei Giganti è complesso persino per me...» «No, non quello», clicco prima di perdere il coraggio. «Potremmo fare esercizio con l’antica arte dello... scrivere?» Gli occhi del professore si spalancano. «Ti ho spiegato le basi. Conosci i ventisei suoni.» Come posso comunicare il mio bisogno di avere questa conoscenza senza rendere il professor T. sospettoso? «Sa quanto io tenga alle lingue.» Elenco velocemente quelle di cui sono diventata esperta e quelle in cui mi sto ancora esercitando. «Scrivere sembra difficile quanto il Canto dei Giganti.» «Credo che mantenere la tua mente concentrata sia un beneficio», clicca. «Questo sembra essere stato d’aiuto per...» Si blocca ma so cosa stava per aggiungere: aiutare a mantenere la tristezza lontana. Il professor T. scandaglia ancora la stanza. «Concedimi del tempo per pensare a come procedere. E ricorda, queste lezioni devono essere considerate... private.» La sua visita ha interrotto la noia dei miei arresti capsulari. La mia voce interiore

sussurra: imparerò l’arte dello scrivere.

~ ~ ~

Il professor T. torna il pomeriggio successivo. «Vieni, Chey.» «Andiamo da qualche parte?» Che l’insegnante abbia avuto il permesso di farmi lasciare la residenza dei ragazzi? «Solo per cena.» Mi guida lungo le scale, quindi fa un cenno alla madre della residenza che deve essere già stata informata delle direttive. Lei rimane a guardare mentre il professore fa scivolare il portello che conduce alle vie acquatiche di Maluhia. I pasti devono essere consumati nella capsula refettorio. La comunità si riunisce lì tre volte al giorno per mangiare. Questo però non è il momento giusto. «Perché ci stiamo andando così presto? La cena ancora non è stata servita.» «Sono riuscito a organizzare un pasto lo stesso.» Il professor T. ignora la mia altra domanda e la breve nuotata fino al refettorio continua in silenzio. Nuotiamo attraverso l’entrata e saliamo fino alla sala. Lunghi tavoli di plastica con attaccate delle panche sono allineati nella camera. Il docente mi guida davanti, dove ci aspettano due vassoi coperti. Lui li prende e quindi mi conduce a un tavolo verde slavato lontano dall’entrata. Sbircio il pasto e gemo. ato di alghe e tonno: di tutti i cibi quello che preferisco meno. Il professore prende la forchetta di plastica e scrive sull’appiattita massa verde: non ti piace? Quanto è furbo l’insegnante a pensare a questo modo per fare pratica con la scrittura! Oido il tonnno, rispondo.

Odio il tonno, mi corregge. Mentre entra uno specialista nella preparazione del cibo con vassoi fumanti, il professore prende un boccone. Con un sottile colpetto al piede, mi incoraggia a fare lo stesso. Il rischio di quello che ho chiesto al docente comincia a emergere. Scrivere è pericoloso ma perché? Perché il linguaggio scritto dovrebbe essere diverso dagli altri che preserviamo? Quando l’operaio lascia la stanza, il professor T. comincia a tracciare il primo simbolo, emettendo suoni singolari. Li ricordo tutti e vorrei procedere con il lavoro avanzato. L’insegnante sussurra una parola e io la incido nella poltiglia di tonno. Lui imprime le lettere corrette nel suo piatto. Lo facciamo ancora e ancora, fermandoci per prendere un boccone ogni volta che qualcuno entra nella sala. Quando il tempo scade e la comunità comincia a mettersi in fila per la cena, ci concentriamo sugli ultimi bocconi. Grazie, scrivo nelle restanti tracce di cibo. Non dirlo a nessuno, risponde lui negli ultimi rimasugli.

~Cobalto~ 5 Fissando l’ingresso dell’ufficio del dottor Nuvola, cerco il coraggio di entrare. Odio le visite dal dottor Nuvola. L’Autorità le richiede, non a tutti ma solo a quelli considerati “a rischio”. Normalmente dovrei venire a ogni ciclo di lavoro; dover sopportare sessioni quotidiane è davvero troppo. Preferirei nuotare in un covo di meduse. Mi guardo di fianco. Il Custode che mi ha accompagnato è impaziente. Haku ha il permesso di unirsi a me solo per brevi nuotate fino alle capsule ufficio, ma il Custode ci osserva di continuo. Il senso di colpa cresce durante la nostra nuotata silenziosa. Non avrebbero mai dovuto interrogarla; quelli erano solo miei errori. Non oso discutere di niente con l’attenzione del Custode su di noi. L’onnipresente ghigno da delfino di Haku non nasconde la tristezza nei suoi occhi. Nuota avanti e indietro e il suo nervosismo mi rende ancora più riluttante a bussare. Mi faccio indietro ma Haku si fa avanti e mi spinge verso la porta. «Chey, basta tenere il broncio. Devi rispettare questo appuntamento.» «Non capisci.» Quanto vorrei che i miei borbottii possano essere tradotti nella lingua dei delfini. Clicchi e fischi suonano sempre allo stesso modo, non conta il tuo stato d’animo. Haku mi spinge ancora più vicina; la sua forza rende la mia resistenza inutile. «Basta comportarti da invertebrata.» «Stai dicendo che sono una smidollata? Solo perché...» Il portello si spalanca. Il dottor Nuvola mi guarda. «Benvenuta, Chevrolet.» Questa è una delle molte ragioni per cui odio il dottor Nuvola. Insiste a utilizzare il mio nome di battesimo, nonostante le ore che ho speso per condividere il mio disgusto per esso. Tutti gli altri – professori, amici, persino l’Autorità – sono sensibili al mio sconforto per questo strano nome, ma non il dottor Nuvola. Come dovrei condividere i miei sentimenti con lui quando lui non riesce neanche

a rispettare le mie preferenza sul nome? Lancio un ultimo sguardo a Haku prima che il portello si richiuda. Mi trascino attraverso la camera angusta, nuovo fino all’ufficio del dottor Nuvola ed esco dall’acqua. Senza neanche scrollarmi di dosso le ultime gocce d’acqua mi accomodo nella sedia più lontana dalla scrivania. Mentre il silenzio si spande nella stanza, incrocio le braccia. Mi studia per quella che sembra un’eternità. «Perché sei accigliata?» Sospiro e distolgo lo sguardo. Per la millesima volte, vorrei che il dottor Nuvola non avesse il lusso di un ufficio a ossigeno, ma l’Autorità crede che gli psicologi abbiano bisogno di parole parlate. Non deve mai aver avuto il piacere di sedere in questo ufficio, ascoltando il dottore. «Allora, Chevrolet, perché il cipiglio?» «Sa che odio il mio nome. Potrebbe per favore chiamarmi solo Chey?» Mi faccio indietro fino a quando la sedia mi impedisce una fuga ulteriore. Il materiale rigido è scomodo per corpi abituati a essere cullati dalle acque. «Quanti anni avevi quando è cominciato l’odio per il tuo nome? Ricordi di disprezzare il tuo nome prima che i tuoi genitori decidessero di abbandonarti per commettere l’Atto Innominabile?» Questa sessione sta andando di male in peggio più velocemente di quanto un pesce spada sappia nuotare. Mi sbrigo a riportare la conversazione ad argomenti più sicuri dei miei genitori. «Chevrolet è così... diverso. Tutti nel nostro settore hanno un nome che deriva dalla natura: il cielo, il sole, gli alberi, i fiori. A chi importa di un antico pezzo di metallo?» «I pionieri avevano il diritto di chiamare i loro figli con le cose che mancavano loro di più della Superficie. Era stato promesso loro che quei nomi sarebbero stati tramandati attraverso le generazioni in modo che nessuno dimenticasse i loro sacrifici e le meraviglie del mondo perduto.» Ancora una volta in un vicolo cieco. Stringo i denti e provo rilassare i muscoli del viso, maledicendo in silenzio il mio avo. Doveva essergli mancata l’auto. Di sicuro doveva esserci qualcosa di più interessante di un mucchio di metallo! Avrei scelto qualcosa di esotico: Aurora, Violetta, Prato. Se solo avessi avuto

una scelta... Mentre il dottore continua la sua lezione nell’apprezzare le perdite subite dai pionieri per salvarci, perdo l’attenzione, sperando di poter parlare con qualcun altro. Persino una sessione con qualcuno impreparato sarebbe meglio della fredda indifferenza del dottore. Ma il dottor Nuvola si è rifiutato di scegliere un’ombra fino a ora, qualcuno da addestrare in grado di sostituirlo un giorno. Le posizioni d’ombra sono le più prestigiose e le più contese tra le specializzazioni. Un indice di ghiaccio mi corre lungo il collo. Tremo. Non mi sono neanche accorta dell’avvicinamento del dottor Nuvola. Mi inclina il capo, tiene il mento dritto ed esamina le branchie. Tremo di nuovo. Neanche il leggero strato di grasso sotto la mia Pelle a scaglie non smorza la repulsione di quel contatto. Lui sorride, ignaro del mio disagio o soddisfatto di averlo causato. «Vedo che le tue branchie sono ancora intatte. Molto bene.» Deve davvero toccarmi a ogni visita per assicurarsi che le branchie rimangano? La mia nuotata fuori dall’ufficio dovrebbe essere una prova sufficiente che posso respirare sott’acqua. Odio queste visite. Tira fuori sempre gli argomenti sbagliati: il mio nome, i genitore e l’Atto Innominabile... lasciandosi indietro di sentimenti spiacevoli e nessuno ad aiutarmi a superarli. «Il professor T. mi starà aspettando alla residenza dei ragazzi», dico mentre mi sottraggo al suo tocco. «Per la nostra lezione.» «Lezione? Mentre sei agli arresti capsulari?» «Il Comitato lo ha approvato», sospiro. Non avrei dovuto parlare delle lezioni. «Ma io sono nel Comitato! Non è curioso che questo argomento sia stato affrontato mentre non ero presente?» Devo andarmene. Con ogni parola che pronuncio rendo la situazione peggiore. «Haku mi aspetta fuori. Posso andare?» «Ah, Haku. Avrei voluto parlare di lei. Penso che essere lontane durante gli arresti capsulari sia... un bene. Infatti, anche il tempo lontano dalle lezioni

potrebbe essere vantaggioso.» Fisso il dottore. Cosa sta dicendo? Il mio tempo con Haku è stato già limitato. «Visto che questa non è la tua prima violazione, la mia raccomandazione è un tempo di isolamento forzato, in modo da concentrarti sui tuoi errori e sulla strada che vuoi prendere in futuro.» «Non Haku», mormoro, «è tutto ciò che mi rimane.» «Avresti dovuto pensarci prima di lasciare Maluhia. La prossima volta spero rifletterai sulle possibili conseguenze prima di agire.» Il dottor Nuvola si alza in piedi. «Manderò le mie impressioni al Comitato.» Lacrime mi riempiono gli occhi, il segnale per correre verso la piscina d’uscita. Mentre nuoto di nuovo nelle acque le lascio fuoriuscire, gocce salate che si mischiano con i mari salini. L’oceano lava via le mie lacrime o è la vera causa della mia sofferenza?

~Indaco~ 6 Strofino le alghe che cospargono l’interno dell’oblò così posso vedere gli altri membri del settore più chiaramente, in basso. Continuano con la loro routine quotidiana. Metto le mani sulla plastica rovinata e guardo attraverso la lieve trasparenza e desidero di nuotare. Per essere libera di nuovo. Una cosa semplice come nuotare attraverso il complesso di capsule si dà facilmente per scontata... fino a quando la libertà è limitata. Sento i muscoli tesi, le gambe e le braccia mi fanno male. Il corpo, così abituato all’esercizio giornaliero, combatte la prigionia. Come potrò mai tollerare lo stato di arresto? Sono ati solo tre riposi dal mio incontro con l’Autorità. La madre della residenza nuota nell’area comune. «Chey, devo ammettere che il tuo pavimento è immacolato.» «Ho appena completato l’ultimo compito sulla tua lista.» Non solo ho terminato i compiti ma ho anche usato del tempo extra per far brillare la sala... per quanto una capsula fatiscente possa splendere. «Bene, sono contenta di vedere che stai utilizzando al meglio il tuo tempo. Domani dobbiamo ripetere gli incarichi al piano dei pre-pinnati», clicca lei, dirigendosi verso la porta. «P-parlerai all’Autorità del mio duro lavoro?» Non prendo altra acqua nelle branchie fino a quando lei non mi risponde. «Parlare a qualcuno di tale importanza che hai pulito bene? Sciocca ragazza.» Scuote i riccioli grigi e lascia la stanza. Cado al suolo, esausta. Sconfitta. Per tutto il giorno mi sono attaccata alla speranza che l’Autorità conoscesse i miei sforzi, sperando che il mio lavoro potesse alterare la sentenza. L’isolamento

degli arresti capsulari mi spaventa. L’assenza di interazioni sociali, la mancanza di stimoli intellettuali, e l’intrappolamento tra le pareti curve della capsula messi insieme hanno contribuito a togliermi ogni eccitazione ed euforia. Piango la loro perdita; per quanto fossero eggeri quei sentimenti poco familiari, mi riempivano di vita. Ora sono solo... vuota. Mentre la solitudine cresce, sento il suono borbottato del fischio di un delfino. Questi echi lontani rendono la mia più grande perdita, Haku, ancora più penetrante. Da quando siamo compagne, non c’è mai stato un giorno in cui non abbiamo nuotato tra le acque del complesso di capsule insieme o cliccato storie di ciò che avremmo fatto. Quanto mi manca Haku. Il fischio è più acuto e io scalcio fino ad arrivare all’oblò. Haku sbircia dalla finestra. Mette il becco sull’acrilico e io premo il viso dall’altra parte. Solo il sottile strato di plastica ci separa. Un lungo silenzio fino a quando il mio senso di colpa non esce fuori. «Mi dispiace tanto... ma davvero tanto che ti abbiano interrogato. Non intendevo metterti nei guai.» Haku clicca: «Non devi preoccuparti per me. Tu come te la stai cavando?» È difficile capire la preoccupazione di un delfino. La curva del becco dà sempre l’apparenza di un sorriso costante. La loro pelle lucida non rivela tracce di tensione o pensiero. Ma Haku è la mia compagna più vicina, la mia sorella delfino. Mi accorgo di come muova la coda contro l’acqua, dei dolci sbuffi tra le parole. Si preoccupa per me. Mi sforzo di rispondere. «Il cambiamento dalla routine va... bene.» Haku si limita a guardarmi. Sa che sto mentendo. Ma come posso dirle della profondità della mia disperazione quando non può fare nulla per aiutarmi? Perché dovrei far soffrire tutte e due? «Mi manchi», sospiro. Lei si sfrega ancora con il becco contro l’oblò. «Ci manchiamo l’un l’altra.» «E poi i Giganti arriveranno tra tre riposi.» Le lanciò l’unica cosa che la solleverà. Haku sa quanto sogni di udire quel canto.

Funziona. La coda si ferma e preme il becco ancora una volta alla finestra. «Rimani forte.» Annuisco. L’incarico che mi ha assegnato – rimanere forte – sembra facile. Sono solo pochi giorni, dopo tutto. Ma quando la tristezza dentro diventa più profonda dell’oceano stesso, niente è facile. Troppe persone hanno dovuto soccombere alla mancanza di speranza del nostro mondo e hanno compiuto l’Atto Innominabile, strappandosi le branchie, l’unico mezzo per respirare. Si mormora che nei tempi Prima dell’Acqua ci fosse un nome per terminare se stessi. Ora è così comune che non ci è permesso neanche parlarne, figurarsi dare un nome alla cosa. Spesso non è l’Atto Innominabile a uccidere. Le autorità arrivano in tempo con serbatoi d’ossigeno e li portano via. Dove però? Che ne è di loro? Non saperlo è la parte peggiore. Sopravvivere alle persone che ami e domandarsi su quale possa essere stato il loro destino è terribile. Per questo mi batto duramente per scacciare via lo scoramento e la solitudine, in modo da non essere trascinata giù. Giaccio nella mia capsula del sonno, immaginando di ascoltare il Canto dei Giganti. Prego che la mia mente – la mia forza – sopravviva per altri due giorni.

~Acciaio~ 7 Il giorno è finalmente arrivato. Non mi sono arresa alla disperazione. Non mi arrenderò. I Giganti stanno arrivando. Finalmente sentirò il loro canto, sapere questo spinge via l’oscurità. Mi sbrigo a prepararmi, prima facendo scorrere una conchiglia intagliata attraverso i miei capelli intrecciati, quindi strofinando la mia Pelle fino a quando non splende come una perla. Mi schiaccio contro la finestra per vedere la fila dei membri della capsula nuotare verso il portello principale... verso il Profondo. Infine il professor T. si avvicina e mi tuffo giù dalla residenza dei ragazzi. Non voglio sprecare neanche un minuto prezioso di libertà. «Ansiosa?» Il professor T. mi strizza l’occhio. Sa quanto abbia aspettato questo giorno. Deglutisco, la mia eccitazione quasi rovinata dal ricordo che così pochi sono rimasti a conoscere i miei segreti e a preoccuparsi dei miei sogni. Ma forzo gli angoli della bocca in su, sperando che la memoria del sorriso riempia il mio corpo dell’unico sentimento a cui aspiro: la felicità. Il professor T. continua a guardarmi, le scaglie sulla fronte che si sovrappongono mentre si acciglia da sotto la Pelle. «Mi dispiace che il Comitato abbia cambiato decisione. Come stai?» Scuoto il capo. Per favore, non chiedermelo. Continua a fissarmi. «Pronta?» chiede infine. «Cosa stiamo aspettando, professore? Non possiamo perdere le prime parole.» Mi spingo e gioisco alla sensazione di librarmi attraverso le acque di Maluhia. La sensazione della libertà. Il professor T. fa del suo meglio per starmi dietro ma devo fermarmi e aspettarlo di tanto in tanto. Finalmente arriviamo alla parete curva del complesso di capsule, l’ultima in una lunga fila che si snoda lungo la strada principale. Mi metto in coda, impaziente, mentre aspetto che la folla i attraverso il portello

che è troppo piccolo per il numero di persone raccolto. Più di metà della comunità aspetta, desiderosa di ascoltare il concerto. Questi sono membri che si stanno battendo per nuove esperienze, che non hanno perso interesse nel mare circostante, che probabilmente sopravviveranno. È per gli altri membri del settore che dobbiamo preoccuparci. Quando non si curano più di qualcosa di così raro, più prezioso di una perla nera, è un segno sicuro che sono sulla via dell’alienazione, dell’isolamento... del devasto. La fila si è svuotata davanti a me ed è cresciuta alle mie spalle. Finalmente è il mio turno di sgusciare attraverso l’ampio circolo. Nuoto attraverso le acque mentre il professor T. a oltre il portello. Mi a le pinne e me le infilo. Quando mi comunica di essere pronto, mi immergo, scalciando a tutta forza per spingermi giù... giù... giù. Il turchese diventa più profondo e diventa blu scuro. I colorati pesci della barriera corallina scompaiono, rimpiazzati dai loro cugini più grandi nelle tonalità grige e nere del Profondo. Nuotiamo così in basso che la Superficie scompare, così in basso che l’indaco della notte ci circonda anche durante il tempo della veglia. Il mio cuore batte, accelerando per l’eccitazione e per l’ansia di questa novità. Fatta eccezione per quelli specializzati nella ricerca di cibo, raramente ci avventuriamo nel Profondo. Tutti ci alleniamo per poterci immergere. Quando ci viene data la protesi della coda, tutti frequentiamo una lezione sulle tecniche appropriate: la sottile stretta al naso, la spinta dell’aria verso l’esterno... così difficile quando respiriamo con le branchie ma necessaria per tollerare la pressione delle profondità. Ci sono delle ragioni per cui gli umani sono rimasti così vicini alla Superficie e non solo per guardare in alto e sognare di cosa sarebbe potuto essere... o non essere. La pressione del Profondo diventa troppo intensa per essere sopportata per più di brevi lassi di tempo. Me persino questa pressione, così scomoda com’è, ci aiuta a sconfiggere il vuoto disinteresse delle masse. Finalmente arriviamo. Centinaia di residenti di Maluhia fluttuano abbracciati, formando un semi cerchio. Il professor T. mi guida davanti, dove guardo l’oscurità di fronte a me. Combatto per aspettare pazientemente, quando sono

invece impaziente... molto impaziente. «Grazie.» Mi volto verso il professor T. «Se non avessi acconsentito ad accompagnarmi mi sarei persa i Giganti. E non so come avrei potuto fare.» Mi arruffa i capelli, facendo galleggiare ciocche nere davanti al mio viso. «Chey, ne hai ate tante... troppe per qualcuno della tua età.» Mi fissa in silenzio tanto che riesco a sentire solo l’onnipresente suono delle onde. «Vorrei che avessimo mantenuto le più antiche tradizioni.» «Che vuoi dire?» «Nei tempi Prima dell’Acqua», dice, e sembra che sia di fronte alla classe, «i nostri progenitori non permettevano ai bambini di andare senza le famiglie. Se i genitori erano incapaci di sostenere il loro ruolo, allora altri si facevano avanti per prendersi cura dei bambini e creare delle famiglie sostitutive.» Guardo di rimando il professor T. Cosa sta dicendo? Respira lentamente, bolle fuoriescono dalle branchie. «Vorrei che ci fosse ancora quest’usanza. So che nessuno potrebbe prendere il posto di tuo padre, ma mi sarebbe piaciuto... non lasciarti tutta sola.» Mi vede come una figlia? Ricaccio indietro le lacrime. È da troppo tempo che non sento qualcuno dire che ci tiene a me, fatta eccezione per Haku. Nonostante la mia abilità nei linguaggi, non riesco a trovare una risposta. Mi limito ad annuire. La folla si separa mentre l’Autorità si avvicina, la sua Pelle viola spicca persino in queste acque oscure. Il dottor Nuvola e gli altri sei membri del Comitato lo seguono al posto loro designato, davanti. Il pubblico si azzittisce, clicchi e fischi cessano in presenza dell’Autorità. Attraverso le fosche acque vedo le balene avvicinarsi. Non i corpi immensi dei Giganti, ma le forme più compatte delle Megattere, dodici in tutto. Non avevo capito che le Megattere avrebbero dato inizio al concerto oggi. Due tipi diversi di Canti di Balena. Che gioia! Le balene nuotano in avanti fino a trovarsi di fronte all’audience disposta a semi

cerchio. I loro mormorii vibrano tutto intorno a me. Le Megattere, con i loro corpi grigio acciaio e le pance color crema, migrano regolarmente nelle nostre acque, anno dopo anno. La loro canzone viene udita regolarmente mentre risuona nelle acque. Non importa quanto spesso la sento, ogni volta non posso far altro che rabbrividire. Le balene cominciano a riempire il mare con i loro gemiti ossessivi, lunghi muggiti e clicchi ritmici. Gli uncini carnosi delle loro pinne dorsali tremano man mano che la canzone va avanti. Chiudo gli occhi e lascio che la musica mi riempia, le melodie si trasformano istantaneamente in parole: un’altra canzone sulla natura. Le Megattere amano onorare la bellezza dei mari con i loro testi toccanti. Quando la canzone finisce, apro gli occhi per guardare i dodici corpi possenti nuotare... su, su, su, verso la Superficie. Prima che possa battere gli occhi, tre forme enormi si avvicinano dall’indaco del Profondo. I corpi color cobalto si fermano prima di raggiungere il circolo, troppo immensi per avvicinarsi ulteriormente. Mezza fascia caudale è più grande di me. Un cirripede è più grande della mia intera mano. I Giganti sono finalmente arrivati. Non posso che fremere per l’eccitazione. La balena centrale, la più grande, comincia il Cantico. Un lungo e basso lamento si riverbera attraverso le acque. Le altre due intervengono con melodici muggiti, bassi clicchi e grida afflitte. L’orchestra di suoni dei cetacei mi scuote profondamente. Chiudo gli occhi e presto attenzione alle parole. Il mondo era giovane, e nuotavamo liberi, fino a quando gli umani non si sono dimostrati mortali, Amici e familiari, nessuno risparmiato, Sangue innocente di balena versato. Gli oceani sono diventati rossi

i Blu giacevano, decessi. In pochi rimanevano a nuotare in acque macchiate di sangue. E quando il massacro delle balene terminò, La morta umana cominciò. Scagliandosi uno contro l’altro, La sorella uccideva la sorella, Il fratello uccideva il fratello. Veleni, bombe, uccidendo velocemente, il Grande Disastro, finalmente. Dissero addio agli alberi, I fortunati fuggirono nei mari. Dopo anni, nel profondo sopravvissuti, a voi trasmettiamo un lascito: mentre la vostra specie sta morendo, i governanti stanno mentendo. Sopra la Superficie, sulla sabbia asciutta, il veleno non affigge più la Terra. Gli antichi errori abbiamo dimenticato e il nostro consiglio è presto dato: Andate ad esplorare;

C’è una Terra da ripristinare. Tutte e tre le balene sparirono nell’oscurità del Profondo. Le persone fischiarono e applaudirono. Solo il professor T. e io rimanemmo in silenzio, storditi da quelle parole. «Professore...» Mi fermo, cercando di pensare a come porre la domanda. «Ha... ha mai sentito i Giganti cantare prima di oggi?» Scuote il capo. «Vengono così raramente. L’ultima volta che nuotarono nel nostro settore ero solo un ragazzo.» «Hai mai sentito di questa voce? Gente che vive sopra la Superficie?» Mantengo il tono neutro, come se stessi solo commentando la canzone. Il professor T. mi afferra per il gomito e mi spinge lontano dal pubblico. Si fa vicino, così vicino che posso vedere tutte le scaglie della sua Pelle grigio cenere. «Chey, non devi mai parlare di questo Cantico. Le parole dei Giganti sono molto... pericolose. Se l’Autorità lo scopre...» Si morde il labbro e si guarda attorno ancora una volta. «Allora è vero?» Lui sospira. «Non lo so. Ma posso dirti che questo è il tipo di messaggio che l’Autorità vorrebbe mettere... sotto silenzio.» «Silenzio, professore?» L’Autorità sposta l’acqua vicino a noi. Non mi sono neanche accorta del suo avvicinamento. Il professor T. fa are un dito lungo i capelli. Sembra aver problemi a trovare una risposta. «Sì, ci siamo spostati dalla folla per avere il silenzio necessario per... pensare alle parole dei Giganti», clicco velocemente. Gli occhi grigi del professor T. si spalancano in segno di avvertimento. «Sono impaziente di sentire la tua traduzione. La loro canzone è probabilmente molto più interessante dei poemi naturali delle Megattere.»

«In realtà», interviene il professore, «cantavano più o meno dello stesso argomento. È stato interessante sentire le similitudini tra le barriere coralline di tutto il mondo.» «E l’interpretazione dei diversi blu nei quali nuotano», aggiungo strizzando l’occhio al professor T. da dietro le spalle dell’Autorità. «Poeti!» esclama l’Autorità. «Speravo di avere informazioni sugli altri settori.» «Forse quando arrivano i delfini; sono sempre loro i più intellettuali», clicca il professor T. La maggior parte dei membri comincia a tornare indietro al settore, lasciando deserte le acque del Profondo. L’Autorità sembra accorgersene. «Il coprifuoco si avvicina, Chey. Ci incontreremo tra un mese per vedere come procede la tua punizione.» Un mese? Si aspetta che io sia ancora un mese intero agli arresti capsulari? Non può non accorgersi che l’isolamento, la separazione da Haku e la tortura degli appuntamenti con il dottor Nuvola servono solo a demoralizzarmi ancora di più? O forse è proprio quello il punto? L’Autorità sta cercando di spezzarmi? Non posso togliermi dalla mente la canzone dei Giganti: mentre la vostra specie sta morendo, i governanti stanno mentendo. Cosa vuol dire? Mentre il professor T. mi porta di nuovo alla mia prigione, questi pensieri si ripetono ancora e ancora. Riconsegno la pinne e sto per nuotare verso la residenza dei bambini quando il professor T. mi afferra il braccio. Si avvicina e sussurra: «Ricorda di non parlare a nessuno delle Canzoni.» La mia mente corre mentre supero la madre della residenza e nuoto lungo la scale. Apro la capsula, guardo il minuscolo spazio per dormire e prendo una decisione. Ho bisogno di risposte, ora più che mai. Non posso dimenticare quelle parole. Potrebbero essere la cura per la mia gente. Domani fuggirò da Maluhia ancora una volta.

Domani incontrerò Jesse.

~Verde blu~ 8 Come la prima fascia di luce penetra l’acqua, scivolo via dall’entrata della residenza dei ragazzi. La madre della residenza non si è neanche svegliata. Le acque sono ancora così buie che nessuno percorre le strade. Nuoto furiosamente fino al portello laterale isolato. Sono rimasta sveglia fino a tardi per mettere a punto un piano per incontrare Jesse. Fino a questo momento le cose sono andate secondo i programmi. Nessuno mi ha visto lasciare la residenza. Ho appeso il segno di riposo sulla porta della mia capsula e questo dovrebbe darmi tempo fino al pasto di mezzogiorno per tornare. Jesse non mi ha dato un tempo per l’appuntamento. Condividiamo lo stesso metodo per misurare il tempo? Conosce l’azzurro leggero del momento di alzarsi, il turchese di mezzogiorno e l’indaco del tramonto? Ricordo di aver appreso i complicati sistemi di misurazione del tempo di Prima dell’Acqua e i meccanismi per tenerne traccia. Come è strano immaginare gli umani così dipendenti dalla meccanica al punto da aver bisogno di strumenti per tenere traccia di cose così arcaiche come minuti e ore. Adesso noi abbiamo solo le sfumature del mare a guidarci. Un paio di pinne riposa in un ripostiglio lasciato aperto, proprio come speravo. Tengo le pinne color cobalto sulle spalle ma arrivano solo fino a metà braccio invece che al polso, come dovrebbero. Le mie sono ancora confiscate, così sono costretta a mettere queste. Le pinne ano solo a forza attraverso i talloni e il mio alluce si arriccia per la mancanza di spazio. Mi dispiace vedere il ripostiglio vuoto, se avessi avuto una scelta non le avrei rubate. Il furto quasi non esiste nel nostro settore. Con nessuna aspettativa di privacy e pochi oggetti personali, la maggior parte delle cose mancanti viene ritrovata facilmente. A parte questo, nessuno rischierebbe mai un’infrazione... nessuno a parte me, apparentemente. Non riesco a pensare ad altri modi per arrivare al relitto. In pochi rischierebbero una lunga nuotata in mare aperto senza la coda. Attraverso quella quantità

d’acqua sarebbe impossibile solo con le mie gambe nude. Devo vedere Jesse. Ho bisogno di sapere se i Giganti stavano cantando la verità. Ci sono davvero degli umani che vivono sulla Superficie? Una piccola bolla di speranza si spande perché se la Superficie è abitata, allora si apre un’intera gamma di possibilità. Dopo aver scandagliato i dintorni, scivolo dal portello nel verde acqua del mare. Con lunghe bracciate e colpi di gambe mi allontano dalle regole e dai fardelli di casa. Un pesce leone mi a vicino. Guardo le sue strisce bianche e vermiglie, il suo piccolo corpo incorniciato da una criniera di spine. Si mormora che una volta esistesse un animale con le sembianze di questo pesce; persino più grande di Haku e abitava la Terra. Quanto deve essere curiosa la Superficie per ospitare una creatura del genere. Presto Maluhia è lontana e non riesco più a vederla. Ce l’ho fatta: me ne sono andata senza essere catturata. Spero solo che Jesse si faccia vedere. Con la dura punizione assegnata dall’Autorità l’ultima volta, non riesco neanche a immaginare cosa farebbe se scoprisse di questa nuova infrazione. Finalmente, il massiccio scafo della barca affondata incombe su di me. Persino più grande dei Giganti, sorge dalla sua tomba sottomarina e mi riporta alla memoria storie dei tempi Prima dell’Acqua. Come deve essere stato strano guardare giù nelle acque dalla Superficie. Lo scafo antico è corroso, deturpato da buchi e altri segni del tempo. Lunghi ciuffi di alghe si innalzano dal legno, ondeggiando con la corrente. Bande di pesci si muovono freneticamente lì intorno, scambiando il vecchio rottame per la barriera corallina. Mi rilasso su una grossa pietra che sporge dalla sabbia. Jesse non è qui... non ancora. Posso solo sperare che arrivi.

~ ~ ~

Quando il mare raggiunge una tonalità turchese, sto ancora aspettando. Per combattere la noia, muovo la mia pinna verde blu allo stesso ritmo del movimento dei pesci. Ogni anno, il giorno della memoria, possiamo scegliere una nuova Pelle. Progettato per essere una protezione extra per i nostri fragili corpi umani, lo strato di scaglie serve a prevenire abrasioni, graffi e tagli che una volta esistevano sopra la Superficie. Le scaglie protettive sono fatte in molte sfumature: tutte le tonalità blu e verdi del mare. Ma la Pelle non è mai rossa perché il rosso attira i predatori. Gli umani hanno pochi nemici sotto il mare. I settori mantengono una coesistenza pacifica; i membri della comunità non hanno scelta se non vivere in armonia, senza l’antica violenza. I nostri compagni delfini possono proteggerci contro gran parte delle minacce dell’oceano. Solo il predatore rimane un rischio. Il banco di pesci che nuota intorno al relitto saetta via. Ricordando cosa è successo alla barriera corallina, mi volto e guardo verso la Superficie. Una piccola forma scura ondeggia su di me, producendo onde lungo la Superficie. Mentre l’oggetto discende, i dettagli diventano più chiari: gambe che scalciano verso il basso, braccia che spingono attraverso l’acqua, un fiume di bolle che fluttuano dietro. Non posso aspettare ancora e gli nuoto incontro. Mentre si avvicina, vedo gli occhi marroni di Jesse attraverso la plastica della maschera. Ho così tante cose da chiedergli. Dopo aver cominciato con fischi e clicchi posso vedere la sua confusione. Mani sollevate, spallucce, a quanto pare i segni universali per dire non capisco. Non ci avevo pensato. Mi immergo fino a raggiungere la sabbia. L’area intorno alla barca è liscia ma ci sono oggetti sepolti nel terreno. Alla fine, inciampo in una piccola lama, coperta dalle alghe. Jesse si muove più lentamente di me, e per quando raggiunge il fondo ho già cominciato a scrivere le parole che mi servono. Viv... di sopr L’acqua lava via le lettere prima che la mia domanda sia finita. Clicco

rapidamente per la frustrazione. Jesse trova una conchiglia bianca. Mi afferra la mano e mi spinge verso il relitto, verso l’apertura più grande del rottame e quindi sparisce dentro. Quanto è coraggioso per entrare in quel vecchio vascello senza dubbi o esitazioni. Jesse sembra molto diverso dai membri del complesso. È audace, avventuroso e curioso... ogni cosa che vorrei essere per combattere l’oscurità. La testa di Jesse fa capolino dal foro. Squittisco per la sorpresa. Quando mi porge la mano non posso far altro che nuotare nell’apertura dietro di lui. All’interno del relitto, l’acqua è ancora più scura ma ci sono molti fori e brecce che lasciano filtrare piccoli fasci di luce. Jesse allunga una mano – quella che regge il guscio bianco – fino a una tavola di legno sul fianco della barca. Grazie, scrive e le lettere non vengono lavate via. La mia meraviglia per il modo veloce con cui ha risolto il problema della comunicazione sparisce con il significato di quella parola. Mi ringrazia? Perché? La mia confusione deve essere chiara, perché aggiunge: Per l’incontro. Gli strappo la conchiglia dalle mani. Vivi sorpa la Superficce? Scrivere è un’arte così antica che non sono sicura di aver scritto ogni parola accuratamente e ho paura che non capisca. Non prendo un’altra boccata d’acqua con le branchie fino a quando Jesse annuisce. Scrivo velocemente la prossima nella mia lunga lista di domande. Su bacra o su terra? Jesse fissa le parole prima di reclamare il guscio. Lentamente incide una parola sul legno. Entrambe. I Giganti cantavano la verità. Gli umani possono sopravvivere sopra le acque. L’Autorità ne è a conoscenza? Fisso la piccola conchiglia, grata per la comunicazione ma frustrata per i limiti. Forzo la mano contro il legno ancora una volta. Sei solo?

Jesse riprende il guscio. Il suo pollice mi sfiora il dorso della mano. Molti di noi. Guardo meglio nella maschera. I suoi occhi castani mi guardano di rimando. Continua a mordere quella strana cosa mentre le bolle danzano intorno a lui. Non riesco a vedere segni di scherzo. Se sto leggendo correttamente l’antico linguaggio, ha scritto che molti umani vivono sopra la Superficie. L’Autorità deve saperlo. Come può un fatto del genere rimanere sconosciuto a una persona tanto potente? Ma se l’Autorità vuole che questo resti nascosto, allora sono in pericolo. Cosa devo fare per impedire agli altri membri del complesso di apprenderlo? Quale sarà il prezzo per tanta segretezza? Ho commesso un grosso errore. Desideravo così tanto vedere Jesse – per avere risposte – che ho dimenticato di pensare alle conseguenze. Potrei provare a spiegare la mia assenza qualora fossi catturata. Ma se scoprissero quello che ci siamo scritti? Le parole sulla tavola – nel linguaggio che solo in pochi ancora conoscono – sono una chiara prova che sono stata qui. Le graffio, sperando di cancellarle. Lunghe linee attraversano la tavola ma le lettere sono ancora visibili. La loro permanenza, così piacevole fino a pochi momenti fa, è una prova indelebile di ciò che ho appreso. Di sicuro sono state inviate compagnie di ricerca. La mia unica speranza è di allontanarmi abbastanza in modo che nessuno sospetti della mia reale meta. Non posso essere connessa a questa... scrittura sovversiva. Una paura glaciale si spande nel mio corpo, mentre mi affretto a lasciare il relitto. Nuoto verso la prima fascia di luce solo per scoprire che lo spazio è troppo stretto per arci attraverso. Con una capriola nella direzione opposta, arrivo all’altro foro. Nel fare ciò, inciampo in un’enorme ancora di metallo che spunta dalla sabbia. Con la testa colpisco la punta arrugginita e mi sbilancio, scivolando sul terreno. Gli occhi si serrano per la sofferenza. La mia gamba è ingarbugliata nella pesante catena che circonda il pezzo di metallo. Apro gli occhi. Il blu dell’acqua è ora sporco da un rivolo di rosso. Rosso! Porto la mano al capo e stringo i denti per il dolore della ferita aperta. Il sangue si sparge intorno a me, turbinando più lontano a ogni spinta dell’acqua.

Dobbiamo fuggire. Sangue significa pericolo in mare aperto. La mano di Jesse rimuove la pinna e mi libera la gamba. Gentilmente mi accarezza il volto e posso vedere la domanda nei suoi occhi. Stai bene? Lo spingo fuori dal buco, nuoto fuori dal relitto e guardo i dintorni. Nastri rossi mi seguono. Se solo ci fosse un modo per bendare la ferita. Ho inavvertitamente – stupidamente – invitato il più grande pericolo dell’oceano, il mio sangue chiama attraverso le acque quanto il fischio di Haku. Nuoto più lontano dalla barca, ancora osservando i mari. Niente... per il momento. Jesse mi afferra il gomito. Indico la Superficie e provo a spingerlo verso l’alto. Lui è più lento di me con quella bombola pesante e gli arti da sopra la Superficie. Non posso permettere a Jesse di rimanere con me, potrebbe non capire neanche il pericolo. Scuote il capo e mi tocca ancora la ferita. Non mi lascerà ora che sono ferita. Non ho altra scelta che portare il fischietto alle labbra e soffiare. Non volevo coinvolgere Haku; non voglio metterla in pericolo di quanto non sia già, ma è la nostra unica possibilità. Haku può portare Jesse alla Superficie e riportare me al complesso di capsule. Soffio di nuovo – più forte – usando le mie ultime energie. Il mio corpo è pesante e stanco, ma Jesse mi sostiene per i gomiti. Imita il mio modo di osservare ciò che mi circonda, girando anche intorno a me mentre scruta in ogni direzione. Forse anche lui riconosce il pericolo costituito dal mio sangue. Provo a concentrarmi. Dobbiamo fare qualcosa. Perdere tempo ci trasforma solo in bersagli mentre il mio odore si spande nelle acque dalla scia scarlatta. Una grossa esplosione di bolle fuoriesce dal boccaglio di Jesse. Gli occhi si allargano mentre la sua presa si stringe. Mi giro per vedere uno squalo tigre solcare l’acqua, mentre segue la scia di sangue. Istintivamente richiamo un ultimo sprazzo di energia e spingo Jesse lontano da me, usando le mani e i piedi. Lo squalo tigre è quasi su di me. Rimango immobile, esausta, la ferita sempre più dolorosa con il are dei momenti. Tutto comincia a muoversi lentamente: lo squalo grigio ardesia, grande tre volte un delfino, lo scorrere dell’acqua, i movimenti delle altre creature marine.

La bocca si apre mentre si avvicina; riesco a vedere ogni dente. Proprio mentre mi preparo al dolore di quel morso, Haku sfreccia attraverso l’acqua contro il predatore. Nuota intorno a lui e lo colpisce di nuovo. Haku sta rischiando la vita per salvarmi. Una mano mi afferra e mi sento trascinata su... su... su. Haku. Devo proteggere Haku. Il celeste si trasforma in nero.

~Azzurro~ 9 Qualcosa non va. Un calore che non ho mai sentito prima mi investe. Tutto sembra asciutto... la Pelle, le labbra, la gola. Asciutto? Mi costringo ad aprire gli occhi e sobbalzo per la luce accecante prima di chiuderli di nuovo e coprirli con le mani. «È sveglia», dice una voce. Parla il Linguaggio Universale con una strana inflessione. Ma non ci sono più dialetti o variazioni. «Portate gli occhiali da sole.» Che strana parola. Qualcosa viene fatto scivolare sui miei occhi; provo a riaprirli ancora una volta. Una luce abbagliante splende su di me. Questi non sono i raggi che filtrano nell’acqua, non sono le tenui luci del complesso di capsule. No... Questo bagliore bianco e accecante viene dall’alto e mi circonda. Emetto uno squittio, incapace di vedere anche con le coperture che ho sugli occhi. o la mano lungo il pavimento e urlo quando qualcosa incontra la mia mano, pungendomi il palmo con la ferocia di un riccio di mare. «Ehi, stai attenta. Se continui ad accarezzare il legno prenderai più schegge», dice una voce al mio orecchio. Schegge è un’altra parola straniera, ma riconosco legno. I rottami ricoperti di alghe del relitto erano fatti di legno. Di tanto in tanto un pezzo di legno galleggiante veniva trascinato giù dall’acqua. Ma non mi era mai capitato un intero pavimento di questa sostanza. Non dovrebbe durare sott’acqua. I pezzi finalmente si mettono insieme nella mia mente: il pericolo, la nuotata verso l’alto, la luce abbagliante, il rollio.

Sono dove nessun altro del complesso è mai stato. Sono arrivata in Superficie. Lotto per mettermi in piedi e due mani forti mi aiutano a stare seduta. «Dove...» gracchio, incapace di pronunciare le parole con la mia gola asciutta. Le due mani – calde e levigate – mi sostengono. «Portate dell’acqua!» Una bottiglia di plastica viene avvicinata alle mie labbra dischiuse e mando giù lunghi sorsi di quella sostanza deliziosa. Persino l’acqua è diversa, fresca e saporita, anche se in realtà non sa di niente. Ricordo il retrogusto dell’acqua lavorata del complesso. I desalinatori non riescono a togliere il sapore del tutto. Sollevo le palpebre di nuovo e guardo gli occhi marroni del mio salvatore, solo che ora non sono più coperti dalla maschera. Infatti, niente gli copre il volto. Jesse. «Hai perso i sensi per un po’. Abbiamo tutti scommesso su quando saresti tornata in te.» «Dove... come?» Mi lascio andare di nuovo sul pavimento, sconfitta dalla stanchezza. «Mi spiace.» Fa scorrere le mani lungo i suoi riccioli castani. «Il bestione ti ha quasi preso. Se ti avessi lasciata lì...» Si a un dito lungo la gola. Brividi mi percorrono il corpo, pungendo la Pelle. «Haku?» Jesse scuote il capo. «È successa una cosa stranissima. Un delfino è apparso dal nulla e ha caricato lo squalo. Era un grosso squalo tigre. Mai visto niente del genere. I delfini in genere si tengono ben lontani da queste creature malevole.» «Haku ci ha salvati. Era... È...?» non riesco a finire. Il pensiero è troppo terribile. «La conoscevi? Era il delfino con cui facevi coppia?» Annuisco e il gesto mi fa sentire dolore. Il disagio a dalla gola riarsa al capo pulsante. «Il predatore... l’ha presa?» «Oh, no.» Jesse mi afferra le spalle. «Questa è la cosa pazzesca. Il delfino ha

caricato fino a quando non abbiamo raggiunto la Superficie. Dopo che ti abbiamo trascinato fuori, è saettato sott’acqua. Il tuo delfino probabilmente è solo un po’ ammaccato ma se la caverà.» È fuggita. Lascio la testa cadere all’indietro sulle tavole e chiudo gli occhi di nuovo. Haku mi ha salvato e, cosa più importante, è fuggita. Persino la brillante luce del sole non è sufficiente a combattere l’oscurità che minaccia di prendere il sopravvento ancora una volta.

~ ~ ~

«Come se la sta ando la nostra sirena?» Un uomo molto alto è ritto su di me, guardandomi come se avesse catturato qualcosa di esotico. «Non sono una sirena», protesto debolmente. Un sorriso gli si apre sul volto. «Lo so. Ti stavo solo provocando.» Lancia una bottiglietta a Jesse. «Mettile la protezione. La sua pelle bianca come un giglio che non ha mai visto il sole si brucerà se non stiamo attenti.» Bianca come un giglio... di cosa sta parlando? Guardo la Pelle e resto senza fiato perché il manto a scaglie si è rotto in molti punti, rivelando una pelle fragile che non è mai stata esposta del tutto. Jesse mi afferra la mano e allunga il braccio prima di togliere uno strato di Pelle. «Per quanto sia carina, non ti servirà a molto qua sopra.» Lentamente libera tutte e due le braccia dalle scaglie protettive e sparge una lozione dall’odore strano sulla pelle esposta. «Questo ti proteggerà. Riesci a fare il resto da sola?» Mi porge un grande telo bianco prima di appenderne un altro che mi blocca la vista. Per la privacy? Le mie braccia nude rendono questa mia incursione sulla superficie così... permanente. Non sono sicura di essere pronta a spezzare i legami con l’acqua,

con Haku. Ma la Pelle asciutta preme sul mio corpo. Solo le mie braccia sono libere da quella pressione spiacevole. Libera... il pensiero mi ricorda di ciò che mi aspetta a Maluhia: solo restrizioni e limiti. La mia decisione è presa. Comincio dagli alluci, strappando via la copertura scintillante e arrivando fino alle gambe. Esporre così tanto di me mi fa venire voglia di rannicchiarmi e nascondermi. La nostra prima Pelle viene applicata subito dopo la nascita e un nuovo strato si aggiunge a ogni commemorazione della nascita. Nessuno – neanche madre, padre o sposo – vede una persona senza la Pelle. La pelle con cui nasciamo è troppo fragile e porosa per sopravvivere alla costante umidità del mare. Mi sistemo il panno come se fosse un lungo abito bianco. Le braccia e la schiena restano scoperte, ma il lenzuolo mi copre davanti fino ai piedi. Mi tolto ciò che rimane della Pelle dal volto, rivivendo le memorie attraverso le sfumature dei mari: il blu dell’infanzia, quando i miei genitori erano ancora vivi; l’acquamarina del mio tredicesimo ciclo, quando l’amicizia con Arc mi teneva a galla; l’indaco del mio ribelle quindicesimo ciclo quando mi rimaneva solo Haku. Si strappano mentre li allontano dal corpo. Mi scappano le lacrime, alcune scivolano sulle scaglie e altre trovano il modo di penetrare attraverso gli strappi sempre maggiori. Senza l’acqua che le lavi via, non c’è modo di nascondere il mio dolore. Imbarazzo e tristezza lasciano spazio alla curiosità. Sono davvero su una barca, galleggiando sulla Superficie. Dopo un veloce massaggio alle branchie – qui inutili – prendo aria con il naso. Invece della puzzolente aria stagnante della stanze a ossigeno, respiro aria freschissima, infusa con il calore del sole e la familiare salinità degli oceani e... la libertà, se possibile. A tentativi riesco a mettermi in piedi e muovo qualche o. È difficile abituarsi al rollio ma, aggrappandomi agli oggetti lungo il percorso, riesco ad arrivare al bordo dello scafo. L’abituale turchese si spande tutto intorno a me, il blu dell’acqua viene tagliato solo dal bianco delle onde mentre la barca solca il mare. Guardando in alto, sono circondata da un altro blu: l’azzurro profondo del cielo.

Il cielo! Il sole è ancora troppo abbagliante per guardarlo ma mi riempie di un indescrivibile calore. Il sole è così bello che non posso fare altro che alzare le braccia e guardarmi intorno. Grandi teli bianchi sono spinti dalla brezza e la parola arcaica – vele – mi torna in mente. «Contenta?» Jesse si appoggia a un lungo palo di legno, ghignando mentre mi osserva. Contenta? Che strana cosa da chiedere a qualcuno, perché è troppo raro per essere vero. Ma mentre sento i raggi del sole splendere sul mio corpo e guardo il cielo, alzo un dito per toccarmi le labbra e scopro che questa rarità è arrivata quasi inavvertitamente: sto sorridendo. Come posso essere così egoista – sorridendo per il sole e per il cielo – quando Haku potrebbe essere ferita? Devo vederla, assicurarmi che stia bene. Tornare a Maluhia potrebbe essere troppo rischioso con quello che so, ma se devo andare via, devo anche porgere i miei saluti. «Jesse.» Per la prima volta pronuncio il suo nome. È piacevole il modo in cui le lettere si formano sulla mia lingua. «Devo vedere Haku. Puoi aiutarmi?» «Il tuo delfino?» Storce il naso al mio cenno di assenso. Jesse allunga una mano e mi sfiora la fronte. «La ferita è ancora aperta. É troppo rischioso rientrare in acqua.» Porto le dita alla testa. Una benda è tutta intorno al mio capo, ricoprendo la lesione. Quando provo a toccarla mi fa trasalire. «Devo salutarla.» Gli occhi di Jesse si addolciscono mentre combatto ancora le lacrime. Lui mette un dito per lato della mia bocca. «Se ti aiuto pensi che potrai mettere insieme un altro sorriso?» Il calore delle sue dita mi distrae. «Ci proverò.» Forse è una richiesta semplice sulla Superficie. «Domani», mi promette.

~Oceano~ 10 La mia copertura – il lungo lenzuolo svolazzante – gocciola acqua. In basso si bagna ancora nelle pozzanghere sul pavimento della barca, mentre in alto è fradicio per le onde dell’oceano. Lo strizzo meglio che posso. Jesse sembra notare il mio disagio. «Sto andando di sotto a cercare qualcosa per coprirti meglio.» Domani. La parola mi tormenta. Domani vedrò Haku. Faccio a me stessa una promessa e la sussurro al mare. Oggi mi godrò le meraviglie della Superficie. Comincio con l’esplorare la barca. Questa è più piccola del relitto, molto più piccola; è lunga quanto una megattera. Lo scavo è del colore delle nuvole; a volte sembra di librarsi nel cielo. A parte l’uomo con i capelli neri e Jesse, vedo solo un altro individuo. Smette di armeggiare con le vele per salutarmi. «Ciao, amica di Jesse.» Lentamente alzo la mano, mi fermo, quindi saluto a mia volta. I saluti sono rari a Maluhia. «Sono Danny.» Saluto ancora. Le mie preoccupazioni sono superiori all’eccitazione per la barca e per la Superficie. Non ho mai lasciato il mio settore prima. Fino a ora le persone che ho incontrato qui sono state amichevoli e mi hanno aiutata. Jesse mi ha salvato dal predatore. Si sono presi cura di me quando io non potevo farlo. Non mi hanno dato motivi per non fidarmi di loro. Invece l’Autorità mi ha dato ogni ragione per aver paura di lui: gli inganni, le bugie, la mia punizione e qualunque altra pena mi aspetta per aver infranto ancora una volta le regole di Maluhia. Per non parlare della fredda disperazione solitaria delle acque. Forse è venuto il momento di dare una possibilità alla Superficie.

Jesse emerge da una piccola porta che conduce nella stiva. Tiene in mano due lunghi pezzi di tessuto. «Sydney mi ha dato qualche vestito. Prendi quello che ti piace di più e lascia l’altro per domani.» Esito e provo a ricordare la parola vestito. Il tessuto porpora ha disegni bianchi su tutta la superficie, simile a una stella marina, ma con le punte più aperte e arrotondate. L’altro tessuto è più nero del Profondo, ricoperto di qualcosa che somiglia alle alghe. Anche questo ha il disegno della stella marina, ma è rosa. Non riesco a decidere quale scegliere. «Jesse, vai su e aiuta il Capitano, va bene? Finisco io qui.» Una ragazza dai capelli castani lo spinge via. Indossa un lungo pezzo di tessuto che le arriva alle ginocchia. «Probabilmente non avete vestiti sott’acqua. Non preoccuparti; ti aiuterò a capire tutto.» Annuisco. Il Linguaggio Universale lo capisco bene ma le parole sono pronunciate in modo strano. Parole che sono considerate arcaiche sembrano essere di uso comune sulla Superficie. «Mi chiamo Sydney.» Tiene il secondo vestito e sorride. «Questo sarà perfetto. Seguimi. Andiamo di sotto così potrai provarlo.» La seguo nella buia apertura e giù lungo una stretta rampa di scale. Dopo che mi sono abituata alla luce abbagliante del sole, qui è buio quasi quanto il Profondo. «Bene, provalo.» Sydney mi dà le spalle, rivolta alla porta, bloccando così l’accesso a chiunque volesse scendere. Metto l’abito. Ora capisco perché non abbiamo niente del genere sott’acqua. Il lungo pezzo di tessuto si stringe sul corpo ma si allarga alle caviglie. Andare in giro con un materiale del genere non sarebbe agevole nel mare; sarebbe impossibile scalciare abbastanza per nuotare, figurarsi indossare le pinne o la coda. «Oh, carina! A Jesse di sicuro piacerà!» Sydney mi spinge verso una sedia e cerca in una piccola cesta finché non trova un pettine. Lo a tra i miei capelli. «Credo che opteremo per le trecce.» Alzo lo sguardo e vedo uno specchio montato al muro. I capelli castani di Sydney sono uniti in ciocche strette come i tentacoli di un anemone. Ne tocco

uno. «Dread», mi spiega Sydney mentre mi divide i capelli in piccole sezioni. «Posso farli anche a te ma ci vorrà un po’. Meglio aspettare finché non arriviamo a terra.» Terra? Non sono sicura di dove pensavo fossimo diretti ma non avevo mai considerato la possibilità della Terra. Non solo sono arrivata in Superficie ma sto anche per mettere piede sulla Terra? Chiudo gli occhi e immagino tutte le possibilità: annusare i fiori, vedere gli alberi, sperimentare la gloria di un vero arcobaleno. Oh, quanto Arc avrebbe amato tutto questo. Non sembra giusto che io vedrò la gloria della Superficie mentre lei rimane... andata. La tristezza scende di nuovo e devo combattere di nuovo le lacrime. «Scusa se ho tirato troppo forte ma voglio fare delle belle trecce», dice Sydney. Lei parla e sistema i capelli. Mi spiega i nomi delle coperture che indossiamo – abbigliamento – quindi comincia a elencare gli specifichi pezzi di vestiario. Mi limito ad ascoltare. Sono successe troppe cose tutte insieme. Per una volta, rimango seduta, rilassata e assorbo tutte le novità della Superficie. «Sto finendo l’ultima.» Mi a un asciugamano umido sul viso. Apro gli occhi e mi vedo trasformata. L’ultima Pelle è stata tolta e la mia chioma, che è sempre stata selvaggia, è stata domata in piccole file di trecce. Sydney scava ancora una volta nella cassa e torna con una corda di conchiglie. «Consideralo il tuo dono di benvenuto», dice mentre me l’assicura intorno al collo. Nello specchio, guardo ai gusci sotto al mio viso. «A cosa servono?» «A cosa? Non hanno uno scopo se non a essere carine.» Cosa? Nel nostro settore, tutto ha uno scopo. Gli averi sono semplici e funzionali. A

parte il colore della Pelle, niente è mai servito per bellezza e persino la Pelle ha uno scopo utilitaristico. Immaginare un mondo in cui le cose sono create solo per la bellezza. Che piacere deve portare alle persone. «Sei una vera bellezza quando sorridi.» Sydney mi sistema le trecce un’ultima volta. Sbircio nello specchio e mi sorprendo a sorridere. Due sorrisi, spontanei e inaspettati, in un giorno solo. Quanto è raro... e quanto è delizioso! «Dovremmo tornare sul ponte, così non ti perderai il tramonto. È il tuo primo, vero?» Sydney mi guida verso le scale. Mentre le salgo, provo a trovare un posto alla strana parola. Tramonto. Uscendo sul ponte, la definizione cessa di avere importanza perché il sole affonda nell’oceano, dipingendo il cielo di arancione, rosa e porpora. «Un tramonto. Oh, il cielo è così bello!» Avevo sentito di questo fenomeno ma non avevo mai immaginato di vederne uno davvero. Corro verso la ringhiera e guardo nell’acqua. Le parole per descrivere quell’incendio di colori mi sfuggono. Jesse si avvicina e appoggia una mano sulla mia spalla nuda. Mi dimentico del tramonto per un momento e mi concentro sui brividi che mi percorrono la schiena. «Mi ero dimenticato che non ne avevi mai visto uno.» Sposta il palmo al mio braccio e mi viene la pelle d’oca. «Freddo? Avremo uno stufato caldo per cena. Vieni a mangiare.» Vorrei rimanere e ubriacarmi di colori finché posso, non sapendo se ammirerò di nuovo un altro tramonto. Il mio stomaco ha riconosciuto la parola cena e borbotta rumorosamente. Jesse mi conduce su dei grossi cuscini colorati che formano un quadrato sul pavimento della barca. Sydney e gli altri due uomini sono già seduti e mangiano da ciotole fumanti. Al centro del quadrato, la pentola del cibo e qualche piatto rimangono su una tovaglia. Il cibo è ancora molto caldo ed emana un profumo

che fa brontolare il mio stomaco ancora più forte. Mi accomodo su un cuscino verde. «Be’, ciao, piccola sirena,» L’uomo alto ghigna verso di me. «Datele dello stufato. Non avete sentito la sua pancia?» Pulita e riposata, mi sento più forte ora. Affronto il suo sguardo. «Non sono una sirena.» «Non ho altri nomi con cui chiamarti», risponde. I suoi capelli lunghi e neri gli sbattono sugli occhi. Sembra più vecchio di Jesse e Sydney, forse vicino all’età del professore. «Mi chiamo Chey.» Prendo la ciotola di stufato che mi stanno porgendo e soffio sulla prima cucchiaiata. «Interessante. Mi sarei aspettato un Cielo o Luna o Sole.» Mi fa un cenno con il capo. «Sono conosciuto come Capitano.» Conosce il nostro rituale dei nomi? Come? Ha vissuto nell’acqua? Con quello strano dialetto non mi sembra probabile. Il Linguaggio Universale viene insegnato in modo identico in tutti i settori, così che non ci siano difficoltà a comunicare da uno all’altro. Capitano. Cerco di ricordare il significato. «Capitano? Sei il capo di questa barca?» Le domande arrivano da sole ora che mi permetto di porle. «Come sai dei nostri usi sui nomi? Hai vissuto in un settore?» L’uomo tira indietro la testa e scoppia a ridere. «Parla! E io che pensavo il gatto ti avesse preso la lingua. Che ne dici di una risposta per una risposta? No. Non ho mai vissuto nelle vostre capsule. Ora dimmi, cosa significa il tuo nome?» Il mio nome. Doveva proprio chiedermi del nome. Non mi dispiace condividere ciò che so se in cambio ottengo delle risposte ma la faccenda del nome è imbarazzante. Prendo altri bocconi di stufato. Forse il mio nome è normale per la gente della Superficie. Dopo tutto, che tipo di nomi sono Jesse o Sydney? Faccio un respiro profondo e annuncio: «Il mio nome per intero è Chevrolet.»

Il Capitano si piega in due per le risate. «Una macchina? Questo è quello che mancava di più ai tuoi progenitori? Deve essere stato il tuo bis bis bis bisnonno perché una donna non avrebbe mai fatto una scelta del genere.» Sono sorpresa di sentirmi ridacchiare a mia volta. «È stato il mio bis bis bis bisnonno. Se il Comitato glielo avesse permesso, avrebbe portato la sua amata macchina a Maluhia.» Si avvicina e sussurra: «Il mio vero nome è Theodore ma nessuno mi chiama così.» Anche lui ha un nome strano? «Allora... Capitano. Sei il capo di questa barca?» «Non sono il capo, solo uno che sa come veleggiare. Non ci beviamo nessuna di quelle stronzate autoritarie. Sopra l’acqua scoprirai che tutto avviene secondo il modello consensuale. Non significa che andiamo d’accordo su tutto ma cerchiamo di ascoltarci l’un l’altro.» Il Capitano si alza e finisce il contenuto della ciotola. «Prova a divertiti qui sopra, piccola sirena», dice mentre si dirige verso il timone. «Aspetta!» Ho così tante domande, ma lui continua a camminare fino a quando non esce dal mio campo visivo. Mi giro verso Sydney. «Come sapete dei miei usi, quando io non so nulla di voi?» Guarda nella zuppa per un lungo istante. «Il Capitano sa rispondere meglio a questo tipo di domande», dice infine, prima di alzarsi per sparecchiare. L’altro uomo, Danny, la segue. Il mio stomaco non si lascerà ignorare a lungo. Brontola rumorosamente di nuovo. Mi concentro per finire lo stufato, che è molto saporito e insolito. Questi pezzi arancioni galleggiano vicino a dolci quadrati gialli su una base cremosa. Ogni morso mi riempie di nuovi sapori. È così diverso dalla dieta a base di pesce e alghe con cui sopravviviamo nell’acqua. «È uno stufato al curry: patate dolci, ananas e cocco.» Jesse indica ogni ingrediente. «Deve essere diverso da quello a cui sei abituata.» Prendo con il mestolo un ultimo boccone e appoggio la ciotola. «Mi piace questa

diversità.» Mi lascio andare sui cuscini, pensando a quanto io sembri differente. La monotonia di Maluhia – una vita che non cambia mai – mi stava uccidendo. Ripetere le stesse attività, giorno dopo giorno, con i ricordi di chi manca e la minaccia dell’Atto Innominabile. La vita è cambiata il giorno in cui ho incontrato Jesse e in un modo piacevole. Un giorno sopra la Superficie e ho già sorriso. Non solo una volta ma due. A cena, ho addirittura ridacchiato. Ridacchiato. Chi lo avrebbe mai immaginato? Jesse si appoggia a un gomito e mi sorride. «Anche a me piace questa diversità.» Mi strizza l’occhio quindi salta in piedi e si mette a raccogliere i piatti sparsi sul ponte.

~Blu Marina~ 11 «Capitano», chiama Jesse. «Ci stiamo dirigendo verso una zattera.» «Non hai in mente di andartene alla chetichella?» Il Capitano mi guarda dritto negli occhi. «Io... voglio solo salutare la mia Compagna. Devo essere sicura che Haku è al sicuro, dopo tutto ciò che ha rischiato per salvarci.» Il Capitano sospira. «Perdere il delfino è sempre la parte peggiore di lasciare l’oceano.» Fa un cenno di approvazione a Jesse. «Che vuoi dire con sempre la parte peggiore?» Altri hanno lasciato le acque? Il Capitano fa spallucce. «Sembra che sia dura, tutto qui.» «Ma tu hai detto...» «Dovresti muoverti prima che ci allontaniamo troppo dalle tue acque.» Sono combattuta. Voglio delle risposte. Ne ho bisogno. Ma ho bisogno di Haku ancora di più. Non posso rischiare di navigare troppo in là, non senza averla rivista un’ultima volta. Jesse mi aiuta a salire in un piccolo gommone attaccato allo scafo. Il calore del sole ha riscaldato la plastica. Inclinata a una parete, mi aggrappo alle due maniglie laterali mentre la barca viene spinta dal vento. Jesse strattona la fune, avvicinandoci all’acqua. Prima di rilasciare il gommone, il Capitano si sporge dal bordo della barca. «Piccola sirena, non ci scappare sott’acqua. Le vostre autorità non ti permetteranno di tornare. Sai troppo, ora.» Mi accorgo appena dei piccoli schizzi quando l’imbarcazione si scontra con l’acqua. Come fa a sapere tutte quelle cose sul mio mondo? Ho troppe domande e poche risposte. «Come fa a sapere così tanto su Maluhia?»

«Mal... cosa?» Jesse fa spallucce. «Dovresti chiederlo a lui.» «Ma...» «Come la chiami?» Jesse mi guarda mentre il piccolo gommone fa su e giù sulla Superficie. «Ho un fischietto speciale.» Sollevo la piccola scatola dalla catenella intorno al collo. «Riceviamo questo dono nei giorni dell’Assegnazione. Il suono del mio fischietto è unico. Haku lo può sentire da miglia di distanza.» Jesse guarda l’immensità dell’oceano. «E le tue autorità conoscono questa tua chiamata speciale? C’è una possibilità che siano loro a rispondere?» Scuoto il capo. «Ognuno impara i cinque fischi base del linguaggio dei delfini ma sarebbe impossibile ricordare il fischio di ogni membro del complesso.» «Davvero parli con i delfini?» Si avvicina. «Ne ho sentito parlare. E non vedo l’ora di assistere in prima persona.» Non posso distogliere gli occhi dai suoi. Quel marrone è così diverso dai colori dell’oceano. Jesse si precipita all’estremità della barca, quindi si fa are la maglietta sulla testa, lasciando il torace esposto. Sembra scandaloso guardare da parte mia ma non ho mai visto nessuno con solo la propria pelle. Le spalle larghe di Jesse e le sue braccia muscolose sono definite, non come i nostro corpi deboli. Il colore mi fa venire in mente il legno sbiancato dal sale. «Non ci stavo neanche pensando. Il Capitano ci aveva avvertito che gli acquatici erano più... riservati. Non volevo mettere la muta per un tuffo in acqua. Spero sia okay.» Le mie guance si surriscaldano. Mi ha sorpreso a guardarlo... a fissarlo. «Ehi, faresti meglio a mettere altra protezione. Il tuo viso sta bruciando.» Jesse cerca in un contenitore fino a quando non trova un tubetto. Spreme sulle dita del liquido bianco, quindi si avvicina e lentamente mi cosparge le guance brucianti con esso, portando il suo petto – il suo petto nudo – ancora più vicino a

me. I pollici di Jesse scendono fino al mio collo, prima di prendere la catena del fischietto. Prova a farmela are sopra la testa ma quando me ne accorgo sobbalzo e la tengo stretta. «Sicuro che non posso entrare in acqua?» Mi tocco la fronte. La ferita fa ancora male. «Probabilmente conosci la risposta meglio di me.» Scuote il capo. «L’oceano e il sangue non sono una buona combinazione.» So che ha ragione ma mi piacerebbe nuotare con Haku un’ultima volta. Lascio andare il fischietto. Le dita di Jesse ano attraverso i miei capelli mentre mi sfila la catenina. I nostri occhi si incrociano di nuovo mentre se la mette al collo. «Non preoccuparti, starò attento.» Indossando solo i boxer, Jesse si avvicina al bordo del gommone e si tuffa in acqua. Mi sporgo dal bordo e, attraverso le onde, vedo le gambate che lo portano giù. Quanto è strano che ora sono io sopra la Superficie a vedere Jesse che nuota di sotto. Per un lungo momento non succede nulla. Quindi Jesse torna in Superficie. «Be’, ho soffiato nel fischietto. Pensi che verrà?» Annuisco e basta. Deve arrivare. Con la mano destra, si aggrappa alla corda che circonda la punta del gommone. «Sono al sicuro in acqua? Non mi attaccherà, vero?» «I delfini non fanno mai del male agli umani. Non siamo solo compagni ma... anche i nostri cuori sono connessi.» Guardo le acque intorno a me ma restano lisce. La domanda di Jesse si ripete nella mia mente. Verrà? Un’altra risposta arriva, spontanea: verrà... se è ancora viva, se può nuotare, se... Prima che possa completare il pensiero, un affusolato corpo grigio dardeggia

nell’acqua, ruota e infine riempie di schizzi la barca. Haku! Emerge di nuovo, andando su e giù con la coda. Le sue domande fuoriescono in un fiume di clicchi e fischi. Le ignoro tutte. «Haku, sono stata così preoccupata. Sei ferita? Il predatore...» «Lividi e ammaccature, niente che non guarirà», clicca di rimando. «Mi dispiace tantissimo di averti messa in pericolo.» Non riesco neanche a incontrare i suoi occhi. «Ero nel panico. Potevi restare uccisa.» «Tu sei quasi stata uccisa. Chiamarmi è stata la giusta decisione.» Haku si tuffa in acqua di nuovo. Fa il giro della barca ed emerge vicino a Jesse. Lui comincia a mettere tutte e due le mani sulla corda, pronto a issarsi sul gommone. Haku dà un colpetto a Jesse con il becco. Lui sussulta. «Grazie per aver salvato la mia Chey», clicca. Traduco il messaggio, quindi mi sporgo sul lato del gommone per mettere le mani sul capo del delfino. «Haku... sono incappata in cose che l’Autorità non vuole che sappia. Ci sono persone che vivono sopra la Superficie. Umani che vivono sulla... Terra!» Haku resta in silenzio. Nuota fuori dalla mia portata. Tutto quello che è mancato dalla conversazione mi colpisce in un momento. Non ci sono state domande su Jesse. Non c’è stata sorpresa nel sapere di una barca piena di persone sulla Superficie. Haku dovrebbe essere curiosa quanto me di questa strana scoperta, ma non lo è. Come se lo sapesse già. La sento colpirmi le dita mentre accarezzano l’acqua. «Chey, ai delfini è proibito parlare di queste cose. L’Autorità ha minacciato di fermare l’Assegnazione se le voci sulla Superficie fossero rivelate.» «Lo sapevi?»

«Lo sospettavo. Ho sentito le lamentele nelle nostre nuotate notturne. Nessuno voleva tenere all’oscuro i delfini, ma essere cacciati via da Maluhia, separati dai nostri compagni...» «E per tutto il tempo della mia tristezza non hai pensato di dirmi che c’era speranza?» «Era un dilemma impossibile. Prima dell’Assegnazione, i delfini venivano macellati senza pietà. Ci sono ancora racconti di come i mari fossero rossi con il nostro sangue.» Haku colpisce la Superficie con la coda in agitazione. «Dover scegliere tra essere sincera con la tua sorella o proteggere la tua intera famiglia è una scelta che nessuno dovrebbe fare.» «Come hai potuto sacrificare Arc?» I limiti del linguaggio dei delfini mi straziano. Vorrei urlare nei toni arrabbiati del Linguaggio Universale, ma sono limitati ai sempre calmi clicchi dei delfini. «Chey, non tornare nelle acque. Non mi fido dell’Autorità. È capace di tutto per mantenere segreta questa informazione.» Una singola lacrima si fa largo sulla mia guancia. Sembra così diverso ora piangere, con la mia pelle non protetta. «Allora è un addio.» «Ti troverò. Altri delfini mi hanno detto di aver visto umani a Black Rock.» Avrebbe potuto salvare Arc. Mi volto, rifiutandomi di guardarla. «Chey?» Fischia per attirare la mia attenzione. «Ti voglio bene.» «Avresti potuto salvarla!» urlo verso l’oceano, sapendo che Haku non capirà le parole ma sperando che riconosca il significato. Quando finalmente mi giro a guardarle, le acque sono di nuovo placide. Haku mi ha ingannata. L’unico essere che mi era rimasto al mondo mi ha mostrato che la sua lealtà giace altrove. Sono davvero tutta sola.

~Mezzanotte~ 12 «È stato davvero fantastico.» Jesse prova a imitare i clicchi e i fischi del linguaggio dei delfini ma non dice nulla di sensato. I suoi tentativi non riescono a rincuorarmi. Haku se ne andata e potrei non vederla mai più. Mentre una parte di me piange la sua assenza, il veleno aspro della rabbia e del tradimento fluiscono in me. Lei sapeva. Ma non mi ha detto nulla. Jesse si accorge della mia espressione accigliata. «Ehi, cosa è successo?» La diga cede. «Lei sapeva! Lei sapeva che gli uomini vivevano sopra la Superficie, e...» «Certo che sapeva. I delfini vengono su ogni volta per respirare, dopo tutto. Nuotano vicini alle nostre barche di notte.» Non riesco a fermare il mio corpo da tendersi ancora di più. I pugni si chiudono finché le unghie non mordono la pelle nuda. Il gentile rollio della barca non riesce a quietare il mio tumulto interiore. «Ma tu non lo sapevi. Non ti ha detto nulla?» L’espressione di Jesse si addolcisce. Mette un braccio intorno alla mia spalla e stringe un po’. Il contatto pelle a pelle, così raro nel mio mondo, invade i miei sensi. Sento il suo calore, avverto il persistente aroma dell’oceano e vedo le gocce salate che ancora scorrono sulla sue pelle bagnata. Nelle acque, le persone si toccano raramente. I nostri compagni delfini sono spesso gli unici con cui abbiamo contatto fisico. Perché questo? Forse l’apatia ha raggiunto un livello così alto da farci smettere di pensare a queste cose? Perché questo... questo semplice tocco porta con sé così tanto conforto. Appoggio il capo alla spalla di Jesse e lascio andare a quell’abbraccio. «Jesse», chiama il Capitano. «C’è del lavoro da fare. Ti sei rilassato abbastanza per oggi.»

Jesse lentamente si separa da me e si dirige al gommone che è ancora appeso ma vicino alle acque. Lo osservo mentre comincia a portarlo su. Ormai sola, le parole di Haku echeggiano nella mia mente. Ti troverò... umani a Black Rock. Mi riportano alla realtà della situazione. Mi stanno portando via dal mare – da casa mia, da tutto ciò che conosco – e presto metterò piede sulla Terra. Guardo la luce del sole danzare sulla Superficie e seguo le onde che si gonfiano agitate dal vento. L’opportunità di vedere la Terra – vedere sopra la Superficie – è qualcosa che ho sempre sognato. Non posso lasciare che questo viaggio sia rovinato dalla mia negatività. Visualizzo tutte le sensazioni che mi hanno trascinato giù negli ultimi anni e, una a una, le lascio andare nell’oceano. Addio, tristezza. Addio, rabbia. Jesse mi lancia un’occhiata, ignorando i suoi compiti con il gommone. Mi tolgo il fischietto e lo osservo per un lungo momento. Lo lancio nel mare. Addio, tradimento. Quando arrivo al lutto, però – così legato ai miei ricordi di Arc e dei miei genitori – non riesco a sopportare l’idea di lanciarlo via. Invece, mi immagino metterlo via con cura dentro me stessa, lasciandolo vicino ma chiuso. Vicino al mio cuore.

~ ~ ~

La barca scoppia di attività. Jesse è scomparso da diverse ore. Quindi emerge, fradicio ed esausto, e annuncia che la manutenzione del gommone è completa. Danny ha ato il pomeriggio a insegnarmi il linguaggio nautico e io ho fatto pratica con quelle parole, cercando di memorizzarle. Il Capitano mantiene il timone ed esamina le carte. Danny usa la drizza per aggiustare la vela principale. Sydney tiene un telescopio sugli occhi e perlustra i mari. Tutti hanno un lavoro da svolgere. Tutti tranne me. «C’è il galleggiante! A dritta, quasi cinquanta metri», urla Sydney.

«Ah, per fortuna siamo controvento oggi», risponde il Capitano. «Jesse, pronto con l’ancora.» «Vengo ad aiutarti, Jesse», grida Danny. Abbassa le vele e quindi corre verso l’ancora arrugginita. Mentre l’equipaggio si concentra su una certa area del mare, io vado al lato e osservo. Altre domande mi sovvengono. Perché la barca è qui? Qual è lo scopo? Non ho visto nessuno cercare cibo. E avendo osservato il gruppo, posso dire che il viaggio non è neanche per intrattenimento. Voglio chiederlo al Capitano ma mi fermo. Sotto le acque domande del genere sono proibite. Il Comitato considera queste domande una forma di insubordinazione. Invece di risposte, si ricevono conseguenze e supervisioni. Il Capitano sostiene di credere al modello consensuale, ma non posso correre il rischio di farlo arrabbiare. E se mi rimandasse indietro nel mare? Come potrei sopravvivere ora che non ho più la Pelle? Ora che non ho più la mia Compagna? Forse quando arriviamo alla Terra... silenziosamente riguardo la lista crescente delle mie domande. «Molla l’ancora», ordina il Capitano. Jesse e Danny lavorano insieme per lanciare il pesante pezzo di metallo nelle acque e la barca lentamente si ferma. «Ben fatto.» Il Capitano lascia il timone, si sposta al lato dello scafo per guardare nell’acqua. Una grande piattaforma di plastica galleggia sulla Superficie. È abbastanza larga da permettere a tutti noi di sederci sopra. «Ancora vuota», dice Sydney. «Va bene. Speriamo sempre di trovarla vuota.» Il Capitano torna al timone. «Missione completa, stasera festeggiamo!» Danny e Sydney alzano l’ancora e la barca ricomincia a muoversi. Jesse si dirige dal mio lato dell’imbarcazione. «Solo un’altra notte in mare. Saremo a casa domani.» La mia domanda si riversa fuori. «A cosa serve questa piattaforma? Cosa dovrebbe esserci?» Jesse non parla per qualche istante. «... be’, noi in qualche modo...»

«Jesse!» Il Capitano gli lancia un’occhiataccia. «Suppongo che questo debba restare segreto. Mi dispiace.» Jesse fa un cenno verso il Capitano. «Deve essere dura lasciare casa. Mi sento responsabile per la tua ferita.» Tocco il bendaggio e sussulto. La ferita è ancora dolorante anche se sta guarendo. «Non sarei sopravvissuta comunque sott’acqua. Quindi forse non lo sei.» Gli occhi di Jesse si spalancano. «Che succede?» Sussurro: «Commettono l’Atto Innominabile. E poi sono solo... andati.» «Non ti hanno detto cosa succede...» «Jesse, va’ a pulire il ponte. Sai che l’attrezzatura deve essere pronta quando tocchiamo terra al mattino.» Il Capitano lo spinge via sembra gli stia facendo una predica. Non riesco a capire le parole ma il Capitano lo guarda dritto negli occhi e Jesse sembra altrettanto serio. È proibito parlare dell’Atto Innominabile persino sulla Superficie? Velocemente, prima che la sofferenza e i ricordi diventino troppo grandi, li nascondo di nuovo. Immagino di mettere il lutto nel guscio di un’ostrica e poi chiuderla. L’ostrica è una creatura incredibile, capace di proteggersi trasformando i fattori di pericolo. Visualizzo la mia sofferenza e la mia solitudine mentre si trasformano in qualcosa di raro e inaspettato, come una perla. Se solo avessi il potere di un’ostrica. Il lento rollio della barca, i ritmici spruzzi dell’acqua, il caldo mite dell’aria... tutto mi culla in un confortevole stato ipnotico. Abbasso le palpebre – solo per un momento – mentre ricordo la pace del sonno dell’ultima notte. Non posso dire che mi manchi l’isolamento della mia capsula del sonno, dove le pareti mi soffocano e i ricordi mi tormentano.

~ ~ ~

I Giganti circondano lo scafo, muggendo la loro canzone. I loro lamenti e richiami echeggiano nell’acqua e il suono mi raggiunge. Ma la musica si trasforma e i Giganti cantano nel Linguaggio Universale. Le loro canzoni lente e lunghe si trasformano in una melodia veloce, simile a niente che abbia mai studiato. «I Giganti mi hanno seguita!» Mi agito e mi giro sotto il lenzuolo bianco e infine mi trovo sveglia. «Che sogno deve essere stato! Giganti... non ho mai sentito parlare di loro, tranne nei libri.» Sydney è seduta vicino a me, le sue braccia intorno alle ginocchia. «No, i Giganti sono i cetacei più grandi.» Mi metto di fianco a lei. «Devo aver sognato la loro canzone.» Ma la musica del sogno – il ritmo veloce e accattivante – non si è fermato. Mi guardo intorno fino a scorgere il punto dove il Capitano, Danny e Jesse sono raccolti in un piccolo circolo. Il Capitano muove il dito rapidamente su un piccolo oggetto. Cammino verso di lui e sbircio da vicino. Lui velocemente dà un colpetto alle lunghe corde. Jesse tiene un cilindro tra le gambe e lo colpisce: prima con le dita, quindi più forte, con i palmi. Danny tiene un oggetto circolare per mano, li scuote ogni volta che Jesse picchietta il cilindro. Ma ritorno al Capitano, perché è il suo oggetto a cantare, imitando i suoni alti e bassi della canzone delle Balene. «Cos’è?» mormoro, non volendo disturbare la Canzone degli Umani. «Questo strumento è una chitarra.» Il Capitano smette di suonare e me la porge. «Sembra che tu voglia provare. Colpisci le corde, è tutto.» Chi avrebbe immaginato che gli umani potessero fare le loro canzoni? Perché questa usanza è stata abbandonata quando siamo andati sott’acqua? Accarezzo lo... strumento... con riverenza, prima di far correre le dita sulle corde. Provo a are le mani sulle corde più velocemente, quindi più lentamente, ma la melodia non appare mai.

«Smettila di prenderla in giro.» Jesse si volta verso di me. «Devi imparare a suonare. Ci sono accordi e note diversi da memorizzare prima di poter fare della musica.» Il Capitano riprende lo strumento. «Posso insegnarti, se vuoi.» «Qual è lo scopo di questa canzone?» Le balene portano informazioni importanti da lontano. I delfini ci aiutano a comunicare in un luogo senz’aria. A cosa serve la canzone degli Umani? «Lo scopo?» Il Capitano sorride. «Oceanici! Non ha alcuno scopo se non quello di essere bella e aiutarci a are il tempo.» Una parola arcaica mi torna in mente: divertimento. Prima dell’Acqua gli umani spendevano denaro e temo creando modo per divertirsi. La specializzazione di alcuni era interamente finalizzata a divertire le persone. Nella capsula di apprendimento, lo svago sembrava così strano. Ma qui, ascoltando la canzone degli Umani, finalmente capisco. «Be’? Ti andrebbe una lezione?» mi incalza il Capitano. «Io... Io credo che mi limiterò ad ascoltare.» Cominciano a suonare ancora e lascio che la canzone mi avvolga: gli alti e i bassi della melodia, il battito di sottofondo – così simile al mio cuore – e le voci di tutti che cantano. La Canzone degli Umani è bellissima. Danny si alza e afferra Sydney per le mani. La spinge e la fa piroettare al ritmo della canzone. Nella luce luminosa della luna e il chiarore tremolante delle lanterne, lei tira indietro il capo e ride. Jesse appoggia lo strumento e si siede vicino a me. «Ti piace ballare?» «Ballare?» Indica Sydney e il suo compagno. «Stavi guardando Danny e Syd. Pensavo ti pie danzare.» Un’altra parola nuova: danzare. «Noi non... danziamo... nelle acque.»

Lui ghigna verso di me. «Posso essere il tuo primo compagno di ballo?» «Non sono sicura di come...» Jesse mi tira in piedi. «Pensa a quanto mi divertirò mentre dovrò insegnarti.» Divertimento. Una parola così potente, lanciata quasi con noncuranza da queste parti, dove sorrisi e risate sembrano essere parte della vita di tutti i giorni. Jesse mi afferra la mano e comincia a muoversi – i piedi, il corpo, le braccia, al ritmo della musica. All’inizio sono spinta da lui. Quindi guardo e comincio a imitare i suoi movimenti. Il mio corpo esulta in questi movimenti veloci. Incapaci di nuotare, i muscoli erano tesi. Muovermi mi fa sentire bene. Senza preavviso, Jesse mi spinge via e poi mi riavvicina. Sospiro quando la canzone termina, non volendo che si interrompesse. Jesse mi lascia per andare a dire qualcosa all’orecchio del Capitano. Il Capitano guarda Jesse per un momento, quindi fa spallucce e ricomincia a are la mani sulle corde. La canzone rallenta, la melodia si protrae. Jesse mi afferra di nuovo la mano ma questa volta lascia l’altra sulla mia schiena, tenendomi stretta. Ondeggia alla soave melodia. Jesse ancora sa di oceano, di casa e io avvicino il viso a lui, lasciandomi avvolgere da quegli aromi. Le sue labbra si abbassano e si strofinano contro i miei capelli. I nostri movimenti mi ricordano i cavallucci marini, che nuotano all’unisono con i corpi avvolti l’uno all’altro. Mi blocco. Il nuoto sincronizzato dei cavallucci marini è il loro rituale d’accoppiamento. Forse danzare è il rituale d’accoppiamento degli umani? Le mie guance bruciano mentre mi allontano. «Grazie per la lezione.» Jesse fa scorrere il pollice lungo la mia guancia. «È stato un piacere. Il cielo scintilla e luccica. La luna è bassa. Le stelle – troppe per contarle – riempiono ciò che rimane dell’immenso spazio notturno. Ci sono stelle luminose, brillanti, e alcune quasi troppo tenui per vederle. La luna, le stelle, la Canzone degli Umani e la danza... la mia mente risuona con tutte le meraviglie della giornata.

Mi perdo nella notte, guardando le stelle danzare con il sottofondo di musica, risate e scherzi. Delle domande mi tormentano. Perché l’Autorità dovrebbe toglierci la bellezza e la gioia? Perché ci vuole negare la Superficie?

~Tropicale~ 13 La mattina seguente, il Capitano ordina: «Riportiamo l’attrezzatura a riva.» La barca sta tornando a casa... verso la Terra. Finalmente vedrò le meraviglie di cui ho solo sognato. Brividi di eccitazione mi percorrono le braccia, quindi arrivando al resto del corpo. Il Capitano ghigna verso di me. «Piccola sirena, sei pronta per il tuo primo viaggio su un’isola?» Sono pronta – ad annusare un fiore, a infilare gli alluci nella sabbia, a guardare gli alberi – a sperimentare finalmente il perché dei nomi di amici e famigliari. Non posso aspettare di arrivare a Terra. Aspetto sul fronte della barca ma vedo solo l’oceano. Altri dubbi sorgono mentre osservo l’acqua. A lasciare casa, a dire addio al mare... sto facendo la scelta giusta? Ma che altre opzioni ho? L’Autorità non mi lascerebbe tornare alla mia vita normale e in ogni caso la monotonia della routine mi stava prosciugando. Inoltre, non avrei nessuno da cui tornare. Forse dovrei lasciarmi andare a questa nuova esperienza. Forse il cambiamento presenta un’opportunità inaspettata. Sydney urla: «Terra! Siamo a casa!» Un’isola appare, verde e lussureggiante, circondata dal celeste del mare... la mia prima occhiata alla Terra. Ben presto, la Terra si spande fino a dove posso vedere. Mentre ci avviciniamo, riesco a distinguere i dettagli: alti oggetti ondeggianti sorgono dal terreno (alberi); dorate distese di sabbia sono vicino all’acqua (spiaggia); e persone, così tante persone. Il Capitano guida la barca vicino a un molo di legno, mentre Jesse e Danny abbassano l’ancora. Sydney lancia giri di corda intorno ai pali del molo, quindi scende per stringere i nodi.

Il Capitano fa un cenno del capo al resto dell’equipaggio. «Bel viaggio.» «Bel viaggio», gli rispondono diverse voci insieme. «Sei pronta?» Jesse mi prende la mano. «Non preoccuparti. La nostra gente è gentile. Inoltre, ci sarò io ad aiutarti.» Jesse salta sul molo, quindi si riavvicina e mi solleva oltre il bordo. Una volta che siamo al sicuro, provo a muovermi ma inciampo su di lui. Lui mi prende la mano di nuovo e avvolge l’altra intorno al mio fianco. Le persone dell’isola si sono avvicinate al molo, affollandosi di fronte alla piccola struttura di legno. Il Capitano e gli altri hanno superato lo sciame di persone. Mentre Jesse fa un o avanti, esito. Sono meno persone di quelle che vivono nel mio settore, ma sembrano tutte... entusiaste. Il mare di rosa e marrone dei corpi sembra così diverso dai familiari blu delle nostre Pelli. Jesse mi stringe la mano. «Non ti preoccupare», mormora, quindi ci incamminiamo verso la folla. «Bentornato a casa, figliolo.» Una donna, con lunghi capelli striati di grigio, abbraccia Jesse. Mi guarda dall’alto in basso, quindi si allontana. Un uomo magro con indosso solo dei boxer, dà una pacca sulla spalla a Jesse. «Bentornato a casa.» Ben presto mani abbracciano e stringono intorno a me. Alcune persone si avvicinano e cercano di cingermi ma mi stringo a Jesse. «Bentornati a casa», urla una voce femminile. «Bentornati a casa», ripetono altre voci. Jesse a il braccio intorno a me, schiacciandomi contro di lui. «È bello rivedervi tutti! Ma abbiamo bisogno di spazio, Chey è appena arrivata, dopo tutto.» Soriamo il Capitano che è così intento a parlare con la donna dai capelli neri da non accorgersi neanche di noi.

Le domande cominciano non appena lasciamo il molo ma non voglio farle uscire, prima desidero abbandonare la folla, il rumore, il caos. Jesse mi conduce lungo un piccolo percorso che conduce lontano dall’attracco. Il terreno sembra ondeggiare con i miei i iniziali ma Jesse non mi permette di cadere. Il suono delle persone finalmente scema. Respiro l’aroma della Terra: fragrante con un po’ di dolcezza, diverso dal profumo salato dell’oceano nell’aria viziata delle capsule a ossigeno. Le piante crescono ovunque, creando delle pareti viventi intorno a noi. Il suolo scricchiola sotto i miei piedi nudi. Il sole ancora si fa strada attraverso la vegetazione dando all’aria una lucentezza color smeraldo. Jesse pronuncia i nomi delle cose mentre camminiamo. C’è così tanto da ricordare, così tanto da apprendere. Il percorso... sentiero... si snoda attraverso piante inusuali. Mi fermo di fronte a una pianta rosa, sfioro il suo soffice velluto... i petali... annuso il suo profumo, così diverso da quello del mare. «Scusa per prima. Noi consideriamo buona fortuna accoglierci l’un l’altro quando ritorniamo con la barca. Forse siamo troppo entusiasti nel nostro modo di salutare.» Jesse mi lascia andare la mano. Mi manca il suo calore. «Noi non ci... tocchiamo... molto spesso nelle acque. Almeno i membri del complesso non si toccano l’un l’altro ma siamo molto affezionati ai nostri delfini.» «Le persone non si toccano? Wow, avevo sentito che era dura di sotto ma...» Forse lontano dal Capitano, Jesse mi darà le risposte che cerco. «Come lo sai? Come avete avuto informazioni su Maluhia quando noi non sappiamo niente di voi?» «Il Capitano dice che ancora non è il momento...» «Il momento per cosa?» «Non posso.» Guarda lontano. Una rabbia bruciante si impossessa di me. «Perché mi tieni le cose nascoste?»

Pensavo che stessimo diventando amici. «Vorrei...» Guarda lungo il sentiero, non incrociando i miei occhi. «Cosa? Cosa vorresti?» Jesse scuote il capo. «Voglio stare da sola. Dove posso riposare?» «Sydney si è offerta di condividere casa sua. Ha la prima capanna sul percorso.» Cammino ancora più veloce, allontanandomi da Jesse. Inciampo di nuovo ma mantengo l’equilibrio prima di cadere. «Chey!» Non mi fermo. «Voglio solo stare sola.» Per favore, vattene. Le persone troppo amichevoli, la Terra, la mancanza di risposte... tutto è così travolgente che ho bisogno di spazio. «Okay, starò lungo il sentiero se ti serve qualcosa.» Jesse si gira per dirigersi di nuovo verso la spiaggia. Non avrei mai immaginato che mi sarebbe mancato il silenzio di casa. A Maluhia, la mancanza di conversazione porta all’isolamento; qui, dopo giorni di costante interazione, la quiete porta solo pace. Chiudo gli occhi alle domande senza risposta e alla frustrante vaghezza. Sono sulla Terra. Un altro mio sogno realizzato. Le gambe cominciano a pulsare per la camminata. Quando pensavo alla Terra non avevo mai pensato a quanto potesse essere faticoso. Il mio corpo, abituato al galleggiamento in acqua, è dolorante. Presto una piccola capanna appare tra gli alberi: i muri formati da legno tagliato e il tetto creato con foglie sovrapposte. Chi avrebbe detto che una cosa potesse essere così... invitante? La mia frustrazione per la vaghezza di tutti cresce ma continuo a guardare

l’intrigante capanna e i giardini circostanti. Posso perdere tempo a essere arrabbiata o posso usare il tempo per esplorare le meraviglie della Terra. Credo che il fuoco della rabbia serva poco di più della fluidità del lutto. Li ricaccio entrambi e metto piede sul terreno che circonda il cottage. Il piccolo giardino quadrato è un arcobaleno di colore, l’equivalente terrestre della barriera corallina. Crescono alberi, tozzi tronchi marroni con in cima foglie verdi. Piante alte più di me, verdi, rosse e gialle. I fiori crescono ovunque: delicati boccioli rosa, delicate corolle bianche, larghi petali porpora. Fragili viti si arrampicano, mentre il terreno è ricoperto da un letto di petali. Sydney lascia cadere lo zaino. «Carino, vero?» Non riesco a smettere di guardarmi intorno. «Grazie per aver voluto condividere la tua casa con me.» «Ci divertiremo un mondo. E comunque mi sento sola a stare per conto mio.» Sola? Le gente riesce a sentirsi sola anche qui, in questa terra di sole e risate? Forse i nostri mondi non sono così diversi. «Dov’è la tua famiglia?» Sydney non risponde per molto tempo. «I miei genitori sono morti in un incidente quando ero piccola», risponde alla fine. «Non parlo molto dell’accaduto.» Abbiamo perso tutte e due i nostri genitori. Sydney deve capire il significato di lutto e mancanza. «Ti sei dovuta trasferire anche tu in una residenza per bambini?» «Non so cosa sia una residenza per bambini. Il Capitano mi ha preso con sé. Anche lui è tutto solo, così ci siamo uniti per fare una famiglia.» Le differenze tra i nostri mondi tornano a farsi sentire. «Anche il Capitano dorme qui?» Scuote il capo. «Dorme solo sulla barca. Quello scafo è la sua bambina. Quando sono stata grande abbastanza mi sono spostata qui, alla casa dei miei genitori.» Un uccellino vola giù, atterra sull’edera e canta. La Canzone degli Uccelli. Le

voci erano vere: gli uccelli cantano bene quanto le balene. «Sei affamata? Servono un pasto alla comunità vicino alla spiaggia ogni sera.» Non sono pronta a lasciare la solitudine dei giardini. «Ho fame ma... ho bisogno di tempo.» Sydney finisce di armeggiare col la corda di fiori. La lega insieme, si avvicina e mi fa are la collana di fiori sulla testa. «Questa è una vecchia usanza, lasciata dai nostri progenitori.» «Che significa?» I petali mi fanno il solletico al collo e mi riempiono del loro dolce profumo. Sydney mi abbraccia. Ci sediamo insieme, due orfane, una dal mare e una dalla Terra. «Benvenuta. Benvenuta a casa.»

~Nuvola~ 14 Il giorno seguente mi sveglio con Sydney che rumorosamente rovista nelle casse. Ha raccolto due piccoli gruppi di bottiglie di vetro e sta facendo due pile di vestiti. I primi raggi di sole fanno capolino dalla finestra e il leggero chiarore della luce color lavanda si spande nella stanza. «Ti svegli sempre così presto?» chiedo. «Oggi è domenica.» Mi fermo a riflettere, confusa per qualche momento fino a quando non ricordo le parole arcaiche del vocabolario. «Questo è un giorno speciale della... settimana?» «La domenica è molto speciale. Per prima cosa dobbiamo lavarci.» Sydney mi lancia un abito pulito, quindi raccoglie il suo assortimento di bottiglie. «Ho una doccia speciale sul retro. Danny mi ha aiutato a sistemarla.» «Doccia?» Questa volta il significato mi è davvero oscuro. Sydney si avvia verso il giardino, non fermandosi a rispondere. La seguo. Mentre gran parte dell’area è all’aperto, mi conduce in un angoletto circondato da alberi e alte piante tropicali. Gruppi di archi gialli scendono da uno degli alberi e io allungo una mano per esaminarli. «Banane. Dovresti mangiarne una.» Sydney ne raccoglie una dall’albero e la apre. Quindi me la porge. «Digiuniamo non appena il rosa scompare dal cielo.» Guardo Sydney mangiare la sua, quindi mordo la polpa pallida e mastico. Le mie papille gustative si risvegliano. Ci sono così tanti cibi pieni di zucchero nella Superficie. Nelle acque, il cibo è servito per praticità: pesce pieno di proteine, alghe ricche di sostanze nutritive. Il cibo per piacere non è mai considerato. I frutti dolci e i pasti gustosi potrebbero essere la mia parte preferita della Terra. Sydney prepara i suoi piccoli contenitori mentre finisco la mia... banana. «Ho

fatto scambi con Sara per i beni da bagno. Lei fa saponi, shampoo e lozioni con ingredienti dell’isola. Senti questo: papaia e cocco. É il mio preferito.» Mi limito a fissare gli oggetti, non sapendo cosa fare. Non sembrano cibo. Sydney guarda verso di me. «Non avete docce sott’acqua? Non ci avevo pensato...» Gira una manopola e acqua scende da un cerchio di metallo attaccato a un lungo tubo. «Come fate a lavarvi?» Ruota la manopola ancora una volta. «Lavarci? Se la Pelle comincia a sbiadire la lucidiamo con il sale.» Comincio a capire la parola doccia. Avevo iniziato a sentire un odore particolare, ma pensavo fe parte dell’essere sopra l’acqua. Le capsule a ossigeno puzzavano sempre allora perché non la Terra? Sydney sorride. «Se non vuoi spaventare Jesse, ti conviene cominciare ad abituarti alla doccia.» Indica una grossa tinozza di plastica che è agganciata al più alto degli alberi. «Raccogliamo acqua piovana per la doccia. Sii veloce, anch’io me ne devo fare una.» Dopo una breve spiegazione su come usare ogni bottiglia, Sydney torna verso casa. Sistemo l’abito sulla panchina vicina alla doccia e giro la manopola. Acqua calda si infrange sul mio corpo. Dopo tanti giorni all’asciutto, essere bagnata è splendido. Spremo lo... shampoo... e gentilmente lo strofino sulle trecce. L’odore di cocco si fonde con il calore dell’acqua. Il liquido fruttato lava via il sale secco e la sabbia incrostata sulla pelle. Ogni volta che mi volto, sono circondata dall’odore fragrante della vegetazione: gli alberi di banane, le palme giganti, l’edera. La mia prima doccia è fantastica. Riluttante, chiudo l’acqua. Giro il capo e gocce d’acqua scendono dalle trecce. Verso della... lozione... sulle mani e la o su e giù sulle braccia e le gambe, come Sydney mi ha detto di fare. Ora l’aroma di cocco rimane, riempiendo l’aria intorno a me con il mio profumo. «Ti è piaciuto?» mi chiede Sydney quando entro nella capanna.

Sorrido. «Quando la prossima doccia?» «Ogni domenica. Durante la settimana possiamo visitare le cascate ma le docce sono riservate alla domenica.» Raccoglie i suoi vestiti e si dirige verso la porta. «Ci vediamo tra poco.»

~ ~ ~

Dopo la doccia, Sydney mi conduce sul sentiero verso il molo. Il porto di legno e la spiaggia contigua sono vuote questa mattina. «Cocco marcio! Li abbiamo mancati.» Sydney si acciglia. «Non riesco a credere che non ci abbiano aspettate.» Un clacson suona, facendomi sobbalzare, ma Sydney batte le mani. Una cosa rossa arriva dal sentiero più largo. Jesse e Danny sono seduti dietro e il Capitano governa il volante. La strana cosa è che non sono sull’acqua: stanno veleggiando sulla Terra. «La Camaro?» Sydney salta dietro, tra Danny e Jesse. «Qual è l’occasione speciale? Non usiamo mai la spider.» «Be’, ho pensato che fosse giusto portare Chevrolet alla Casa del Sole sulla macchina che le ha dato il nome.» Il Capitano mi fa segno di salire a bordo. Jesse scende dal retro e apre le braccia, come per abbracciarmi. «Sei eccitata?» Lo ignoro e mi siedo vicino al Capitano. Jesse silenziosamente si siede ma riesco a vedere lo sguardo che si scambiano Danny e Sydney. Dopo il tradimento di Haku non mi sento pronta ad avvicinarmi a nessuno... specialmente a qualcuno che mantiene segreti con me. Mentre mi accomodo sul sedile rovinato, il Capitano affonda il piede e la... macchina... parte. Il vento mi sferza i capelli, mandando le trecce in tutte le direzioni. La velocità è inebriante. Riesco a malapena e vedere cosa mi a accanto attraverso il cruscotto spaccato. Un uccello vola davanti a noi ma il

Capitano spinge il piede più a fondo e voliamo persino più veloci. Mi ricordo di quando sfrecciavo nell’acqua sul dorso di Haku. La scintilla di tristezza viene spenta dall’euforia di questo viaggio. Il Capitano sorride verso di me. «Che ne pensi, piccola sirena?» «Grazie.» Il mio nome non sembra più un fardello. Tutti hanno i nomi della natura ma chi ha un nome che porta alla mente l’eccitazione e il brivido del volo? Forse sono più come i miei progenitori di quanto immaginassi. «Una Chevrolet Camaro?» Fisso il nome dell’auto nella mia memoria. «Come fa ad andare dopo tutti questi anni?» «Sammy è genio con queste vecchie meccaniche. Quelle a petrolio non vanno più. Semplicemente non c’è più petrolio. Ma questo modello è a carica solare.» Il Capitano si appoggia al sedile, lasciando che il vento gli scompigli la chioma. Danny si fa avanti. «Eppure mantenere una macchina vecchia di un secolo non è semplice. La guidiamo raramente. Per fortuna ti abbiamo trovata, così abbiamo un’occasione per usarla.» A Danny piacciono le auto. C’era così poca interazione a Maluhia; alla mia età, l’apatia domina tutti i membri del complesso. Qui le persone parlano e condividono di continuo. Posso solo sperare di integrarmi e ricordare cosa piace agli altri. «Dove stiamo andando?» Non riesco a ricordare come il Capitano ha chiamato la nostra destinazione. «La Casa del Sole. Il più sacro dei posti sull’isola.» Il Capitano saluta una persona che cammina lungo la... strada. Sacro, un’altra parola arcaica. Ricordo la definizione: degno di adorazione. L’adorazione è connessa alla religione, che è proibita nel nostro settore. Altre persone appaiono; alcune camminano, altre stanno su degli strani macchinari a due ruote. Tutti vanno avanti verso l’alto. Noi saliamo sempre di più, girando intorno alla... montagna. «Di certo è bello stare in auto per una volta.» Sydney sospira e appoggia la testa

sulla spalla di Danny. «Le mie gambe si lamenteranno nel pellegrinaggio della prossima settimana.» «Pigrona! Forse dovremmo farti scendere così le tue gambe faranno un po’ di esercizio.» Danny pizzica Sydney e lei sghignazza e ride. «Per favore non farlo. Prometto che la smetto di lamentarmi.» Sydney si rannicchia su Danny di nuovo. «Questo è certo. Sai bene che non è permesso lamentarsi nella Casa del Sole», borbotta il Capitano. «Cos’è la Casa del Sole?» La mia curiosità si accende a quello che sembra una sorta di rituale religioso. La doccia, il pellegrinaggio, la santità mi ricordano delle lezioni private con il professor T. che insegnava di antiche religioni. «È il posto più elevato dell’isola», spiega il Capitano. «E scoprirai di più molto presto.» L’auto gira l’angolo e io rimango senza fiato. La stretta strada ruota attorno al lato di un crepaccio e tutta l’isola è visibile da questo punto. Stiamo guidando verso le nuvole. Enormi cuscini bianchi ci circondano da tutte le parti ma continuiamo a salire. «Quanto ci vuole per arrivare a piedi?» chiedo. «Quasi tutto il giorno. Quello è il senso del pellegrinaggio, comunque.» Ammiro lo scenario. A ogni angolo superato, la vista diviene ancora più stupefacente. La Superficie è ancora più sconvolgente di quanto pensassi. La strada termina in una piccola piazzola asfaltata. Lo strato di cemento è vuoto e rovinato; erba cresce tra le fessure. Quando il Capitano ferma l’auto, Jesse salta fuori e apre la porta per me. Lo ignoro e mi stringo oltre il volante per seguire il Capitano dal suo lato. Il Capitano abbaia degli ordini. «Cibo e attrezzatura sono nel bagagliaio. Prima sistemate il campo, poi cominciate a cucinare. Avremo gente affamata molto

presto.» Il Capitano mi guida verso un gruppo di strane piante. Crescono più alte di qualunque corallo abbia mai visto. La più alta quasi raggiunge le mie spalle. La pianta è ricoperta di lunghi aculei, simili alle spine dei ricci di mare. Ci metto il dito e scopro fibre setose invece del pizzico dei ricci. «Cos’è?» «Il nostro sacro silversword. Cresce solo qui, nella Casa del Sole.» «Perché una pianta dovrebbe essere sacra?» «Pazienza, piccola sirena. Le cose si riveleranno nei tempi giusti.» Il Capitano rimane silenzioso per un lungo momento. «Non sono affari miei ma sei arrabbiata con la persona sbagliata. Jesse sta solo seguendo le mie direttive.» «Perché eviti le mie domande?» «Quando verrà il momento.» Ridacchia e si allontana. Mi dirigo verso la vicina ringhiera ma è difficile concentrarsi sulla rabbia quando posso vedere tutto. Le nuvole galleggiano sotto di noi! Non sapevo che le nuvole potessero essere viste di sotto. Ho sempre dato per scontato che fossero in alto, nei cieli azzurri. Le colline e le valli dell’isola sono visibili attraverso la cortina di nubi. Tutto è verde. Ci devono essere così tante sfumature di verde sulla Terra come di blu nei mari. Non vedo l’ora di impararle tutte. Ancora più un basso, i contorni dorati dell’isola si scontrano con il blu dell’oceano. Siamo così in alto, così lontani. Devo strizzare gli occhi per vedere tutti. Girandomi, scorgo una traccia profonda, dipinta di rosso e oro. I pezzi si mettono insieme. L’isola, l’altezza, la traccia... no il cratere. Le lezioni del professor T. sulle meraviglie della Terra si ripetono nella mia testa. «Questo è un... vulcano?» Il Capitano sorride. «Di sicuro sei sveglia, piccola sirena.» «Sono solo brava con le parole», mormoro.

«Gli insegnamenti sott’acqua non devono essere pessimi come temevo.» Mi dà una pacca sulla spalla. «Sarai un’ottima aggiunta alla nostra gente.» «La Casa del Sole è uno dei posti più belli che abbia mai visto. Per questo è sacra?» Jesse si avvicina. Si scambia una lunga occhiata con il Capitano. «Lo scoprirà comunque stasera, quando arrivano gli altri.» Il Capitano si siede contro un grosso masso. Dà un colpetto all’area vicino a lui e mi siedo lì vicino. Jesse si rannicchia vicino a noi. Finalmente avrò le mie risposte. Il Capitano mi lancia un’occhiata dura. «Questa è terra consacrata perché è qui che siamo sopravvissuti.»

~Cielo~ 15 Dove sono sopravvissuti? «Intendi il Disastro?» «Vedi? Sapevo che eri una sveglia.» Il Capitano si appoggia contro la roccia. «Cosa sai del Grande Disastro?» «Il mondo era in guerra, la più grande che sia mai stata vista. Le lezioni di storia parlano di guerre mondiali, ma questo conflitto abbracciò veramente l’intero globo.» «Va’ avanti», mi esorta il Capitano. Sembra interessato a scoprire cosa mi è stato insegnato. «Il vecchio governo e i suoi alleati cominciarono a preoccuparsi. Avevano paura che le nazioni in guerra non avessero limiti. I funzionari governativi consigliarono di costruire un rifugio sottomarino in cui ritirarsi, se necessario. L’oceano fu diviso in settori e un complesso di capsule costruito in ogni settore, con tutte le provviste necessarie alla sopravvivenza. La loro intelligenza e lungimiranza salvarono la nostra gente.» Le parole fuoriescono dalla mia memoria. Ogni membro del complesso doveva imparare la storia dei settori e la saggezza dei nostri progenitori. «Lungimiranza.» Il Capitano scuote il capo. «Hanno solo portato la loro cacocrazia sotto i mari.» «Cacocrazia?» Il Capitano ridacchia. «Probabilmente non dovrei dirlo nella domenica sacra. Siamo nella Casa del Sole.» Altra vaghezza. Mi sposto su domande reali. Forse avrò qualche risposta. «Come ha fatto la tua gente a sopravvivere qui sopra? Pensavo che la Terra fosse avvelenata.» «Un gruppo cominciò a fare piani diversi. Non credevano al governo e non volevano trasferirsi nell’acqua, come pesci.»

Jesse indica un piccolo edificio in lontananza. «La nostra gente cominciò a portare cibo e acqua qui, accumulando le scorte al centro dei visitatori. Avevano immaginato che i bombardamenti si sarebbero concentrati sulle città. Quando suonò l’allarme le persone si ammassarono qui. Cinquanta in tutto.» «Ma... Le città non furono bombardate. La Terra fu avvelenata.» Di sicuro lo devono sapere. Qualcuno appare sulla collina. Fa girare le gambe, dando forza a una curiosa macchina a due ruote. Una fiumana di cavalieri è visibile dietro di lui. «Piccola sirena, il resto del discorso dovrà aspettare. Abbiamo compagnia.» Il Capitano mi lancia una bottiglia di protezione solare, quindi va ad accogliere il nuovo arrivato. Metto un altro po’ di lozione sulla pelle. «Cos’è quell’affare?» «Una bicicletta. Puoi sempre riconoscere gli amanti del rischio nel gruppo. Appaiono sulle colline con le loro biciclette.» «Perché? Le... biciclette... sono pericolose?» «Normalmente no. Ma di sicuro procedono spedite sulle ripide strade del vulcano.» Scuote il capo. «Non andrei mai su quelle curve in bicicletta.» Immagino la velocità. Sembra eccitante. Forse imparerò a portare una bici. Mentre il sole tramonta, avvolgendo il mio corpo con i suoi raggi, penso ancora a come la disperazione non sia stata così brutta da quando Jesse mi ha tirato fuori dall’acqua. È la novità e l’eccitazione a tenerla a bada o è forse la Terra stessa a ricacciare la tristezza? «Allora tu non ami il rischio?» domando. «Non la metterei così», dice Jesse. «Dopo tutto ho affrontato uno squalo tigre per proteggerti. Solo che non sono pazzo abbastanza da guidare una bicicletta in questi tornanti. È una missione suicida.» «Suicida? Non conosco la parola.»

«Significa... togliersi la vita.» Le voci sulla parola per l’Atto Innominabile erano vere. Ha pronunciato quella parola, facilmente come tutte le altre. Il termine proibito – e sconosciuto alla maggior parte degli abitanti dell’acqua – qua fa parte di una conversazione normale. Il mio volto impallidisce ai ricordi che si affollano nella mia mente. Jesse sussulta. Si rende conto della grandezza di ciò che ha detto? «Ehm... e tu? Sei un’amante del rischio?» Un po’ di distrazione è proprio ciò di cui ho bisogno. «Che ne dici?» «Hai voluto incontrarmi. Era permesso dalle tue autorità?» Scuoto la testa. «Faccio del mio meglio per non ascoltare l’Autorità.» «Be’, questa è una risposta alla mia domanda, suppongo.» Jesse sorride. «E la prossima che farai sarà pedalare fino a valle da qui.» «Nelle acque non c’è niente di simile al... divertimento», provo a spiegare. «Facevo cose rischiose ma ne avevo bisogno per combattere l’apatia.» «Ho sentito dire che negli abissi le persone tendono a essere depresse.» Come è possibile che questi isolani sappiano tutto di noi quando noi non sapevamo nulla di loro? «Da chi lo hai sentito?» Gli occhi di Jesse si spalancano. Apre la bocca, quindi la chiude di nuovo. «Be’... il Capitano me l’ha detto.» La donna con i capelli neri che ho incontrato all’approdo si avvicina. «Jesse, i nostri sono tutti a lavoro mentre ti rilassi qui. Ricorda che giorno è.» Salta su e si unisce alla squadra della cucina. La donna rimane, guardandomi dalla testa ai piedi. «Non credo che ci siamo presentati. Mi chiamo Rachel.» «Chey.» Vedendo che il suo guardo rimane fisso, aggiungo: «Chevrolet.» «Hmm. Diverso.» Rachel guarda mentre Jesse accende un fuoco su cui far cuocere il pasto. «Jesse è mio figlio.»

La scia dei pellegrini rallenta e le ultime persone appaiono: madri con infanti e bambini; un’anziana che cammina con un bastone; e un gruppo di ragazzini mano nella mano. «Se vuoi scusarmi, devo prepararmi per la cerimonia di stasera.» Rachel sparisce nella folla. C’è attività tutto intorno a me. Le persone ridono, parlano e si salutano l’un l’altra. Rimango seduta e osservo. I bambini corrono intorno a me, giocando a rincorrersi. Qualcuno porta una sedia per la vecchia signora e l’aiuta ad accomodarsi. Noi abbiamo portato la parola comunità di sotto, ma a vedere questi isolani capisco per la prima volta cosa sia davvero una comunità. La madre di Jesse alza una grossa campana e la colpisce tre volte. Il gruppo cala a terra in un circolo, circondando le silversword. Devono esserci almeno cento persone radunate qui. Jesse si inginocchia sul mio lato destro, mentre il Capitano si siede sul sinistro. Sydney e Danny si accomodano vicini sull’altro lato del circolo. «Sacra domenica.» La madre di Jesse si muove al centro. «Sacra domenica», risponde il circolo, all’unisono. «Ci raduniamo qui per onorare la Casa del Sole, nostra protettrice durante le ore più oscure. Senza questo luogo sacro, tutto sarebbe perso.» Tutti si inclinano avanti fino a quando le labbra non sono a pochi centimetri dal terreno. La mano del Capitano sulla mia nuca mi spinge a fare lo stesso. Al suono della campana, baciano il suolo. Velocemente imito il gesto. Un altro uomo prende posto nel circolo. Indossa uno strano dispositivo, un semicerchio di legno con una corda luccicante a tenerlo insieme. Sull’altro fianco c’è una borsa dalla quale fuoriescono lunghi ramoscelli con delle piume in cima. «Ci raduniamo qui per onorare la Nene. Senza il sacrificio dell’oca, la nostra gente non sarebbe sopravvissuta.» I membri del circolo sollevano le braccia al cielo in un unico movimento fluido. Al suono della campana, le dita imitano delle ali che volano. Faccio come loro. Una donna più giovane, con i capelli scuri su una pelle abbronzata entra nel

circolo. «Ci raduniamo qui per onorare la silversword. Questa rara pianta è un esempio su come sopravvivere, anche quando ci sono pochi della tua specie a rimanere vivi.» Cammina verso Sydney e l’abbraccia. Sydney restituisce il gesto, quindi avvolge le braccia intorno a Danny. Danny la lascia andare e si volta verso la persona al suo fianco. Uno a uno, l’abbraccio si spande. Prima di capire cosa stia accadendo, il Capitano mi soffoca nelle sue braccia pesanti. Mi irrigidisco, non sapendo cosa fare. «Tocca a te, piccola sirena», mi sussurra all’orecchio. Guardo Jesse ed esito per un lungo momento. Ero così arrabbiata con lui, ma ora sono avvolta dal sentimento della comunità. E poi ha cominciato a condividere delle risposte. Lentamente, mi avvicino. Jesse avvolge le braccia intorno a me e stringe prima di voltarsi verso la persona al suo fianco. Sento la connessione are da uno all’altro. Perché non ci abbracciamo più spesso nel mare? Stare vicini potrebbe aiutare a ricacciare la tristezza. La madre di Jesse si fa avanti. «Per tutto il giorno abbiamo digiunato in ricordo dei nostri progenitori. I nostri stomaci brontolano per la fame per ricordare i duri giorni in cui la nostra gente aveva poco cibo. Stasera banchetteremo. Onoriamo i sacrifici degli antenati con i piatti pieni.» Alla menzione del cibo, il mio stomaco rumoreggia. Il mio corpo non è abituato a essere vuoto. Nel complesso, partecipare ai tre pasti quotidiani è obbligatorio. La donna con i capelli scuri è rientrata nel circolo con un vassoio d’argento. Lo a intorno, permettendo a ogni persona di prendere un oggetto. Come si avvicina sento l’aroma dolce dei frutti dell’isola. Quando è il mio turno esito. Ogni varietà di frutti sembra deliziosa. Finalmente scelgo uno spicchio giallo . Quando ciascuno ne ha un pezzo in mano, la madre di Jesse ordina: «Guardate l’abbondanza della nostra isola. Inebriatevi dell’aroma delle nostre terre. E siate gioiosi perché la nostra casa non è più contaminata.» In coro rispondono: «Siamo gioiosi!»

Gioiosi? Conosco cosa significa la parola: sentire una grande felicità. L’idea di coltivare la felicità – non la normale felicità ma una grande felicità – mi stupisce. Per tutto questo tempo sembra che quel sentimento abbia cercato di evitarmi. Forse il vero problema è che non trascorrevo abbastanza tempo a cercarlo? «Propagate la gioia», ordina la folla e io avverto la dolcezza del succo sulle mie labbra. Jesse tiene uno strano frutto arancione – mango – alla mia bocca. Mi guardo intorno senza muovere il capo. Intorno a me, le persone si stanno nutrendo l’un l’altra. «Avvicina l’ananas a me», mormora Jesse. Mordo il mango e il succo mi scende sul mento, mentre Jesse manda giù l’ananas. Il suo labbro superiore mi sfiora la punta del dito, mandando brividi lungo il braccio. Mi guarda negli occhi mentre mi offre altro mango. Quindi Jesse mi pulisce con il pollice l’angolo della bocca dagli ultimi residui di succo. Siamo gli ultimi a finire la condivisione dei frutti. Velocemente mi volto verso il centro del circolo, con le guance in fiamme. Rachel solleva il viso al sole. Con i capelli neri sulle spalle, le poche scie grige brillano alla luce del sole. «È ora di assistere alla vera gloria della Casa del Sole. Fatevi strada verso il bordo.» Tutti si afferrano le mani. La donna con i capelli scuri fa strada verso la cima che domina le nubi. Mano nella mano, gli altri seguono, fino a quando tutti sono sul ciglio. In silenzio, aspettiamo. Il sole comincia ad abbassarsi nel cielo. Presto, l’altro dipinge le bianche nuvole di rosa e porpora, arancione e giallo. Le nubi brillano. Questa vista meravigliosa deve essere ciò che aspettavamo. Il sole si nasconde tra le nuvole che scoppiano di colori mentre il cielo a dal rosa allo scarlatto con il are dei minuti. Il professor T. conosceva la gloria del significato del suo nome? Avrò mai l’opportunità di descriverglielo?

Tutti continuano a guardare, non scambiandosi neanche una risata o un sussurro. Le nuvole continuano a cambiare colore, così so che il sole è ancora nascosto là dietro. Quando l’ultimo dei colori si affievolisce dal porpora scuro al blu della notte, Rachel ordina: «Mangiamo!» Jesse il Capitano mi stringono le mani, quindi mi lasciano andare. Intorno a me, le persone si separano e si dirigono verso il piccolo fuoco. Il cielo è scuro ma c’è abbastanza luce per vedere. Sydney appare alle mie spalle. «Non è era fantastico? I tramonti sono sempre così qui. Vieni, scommetto che sei affamata.» Mi spinge in direzione del cibo. Prendo il piatto che mi viene offerto a ci aggiungo delle cose: altri frutti tropicali, qualcosa chiamato riso e un mestolo di curry. Mentre scelgo, la fila cresce dietro di me. Nelle acque, tutti ricevono simili razioni a ogni pasto. Qualcosa di semplice come una scelta – curry o taro – fa una grande differenza. Domani probabilmente proverò le patate dolci. Porto il piatto vicino a dove è seduta Sydney, a guardare il cratere. «Cosa facciamo ora? Andiamo tutti di sotto?» Mi accomodo vicino a lei, sul terreno roccioso. «Di notte?» ride lei. «No, dormiamo qui stasera così possiamo vedere l’alba domani. Quindi torniamo indietro.» «L’alba è incredibile come il tramonto?» «Qualcuno direbbe che è ancora meglio.» Le persone lavorano insieme per pulire e sistemare i teli. Senza il sole, l’aria è diventata molto fredda... persino più fredda del Profondo. Jesse mi lancia una felpa, dei soffici pantaloni e dei calzini. Quindi stende due sacchi a pelo vicino a Sydney e Danny. «Grazie.» Mi sento già meglio, mentre le dita dei piedi cominciano a riscaldarsi. «È proprio da Sydney vestirti in modo carino senza pensare al freddo», mormora

Jesse, sedendosi vicino a me. Ha detto che ero carina? Non sono sicura su come rispondere. Nel mare l’apatia ci impedisce di curarci di cose del genere. Le nostre relazioni sono con i delfini. Le persone hanno le cerimonie di Unione quando raggiungono l’età adulta ma sono spesso più una necessità che un desiderio. Dopo una pausa imbarazzante, cambio argomento. «Ancora non riesco a capire come questo posto abbia salvato i nostri antenati dal veleno. Un ragazzo magro, non più magro di me, si rannicchia sul suo telo. «Mi chiamo Sammy. Sono stati salvati in modo accidentale, a essere onesti.» Jesse e Sydney si scambiano un’occhiata. Vorrei solo delle informazioni. Gente che vive sulla Terra è un’idea così nuova – qualcosa che non avrei mai ritenuto possibile – ma le persone sono state su quest’isola per molto tempo. «Accidentale?» «Sicuro. Si aspettavano delle bombe ma invece fu rilasciata una nube di tossine.» Sammy mima il veleno spandersi. «Era una cosa progettata in questo modo, fatta per abbassarsi.» «Abbassarsi?» Questa è una nuova informazione. Mi avvicino al materassino di Sammy. «Già, non volevano che si alzasse, dove non avrebbe fatto danni. Così è stata progettata per fluttuare sui livelli più bassi dove viveva la maggior parte della gente.» Jesse si unisce al discorso. «Così molti si rifugiarono nel centro visitatori e capirono che non c’erano bombe. Ma gli altri non tornarono mai così nessuno sapeva se il resto dell’isola fosse sicuro.» «Quando il cibo cominciò a scarseggiare mandarono un volontario per perlustrare l’isola. Non tornò mai. Mandarono il volontario successivo con una lanterna. Superò la linea delle nuvole: il lume rimase lì a brillare, senza mai muoversi.» Sammy scuote il capo. «I diari che tenevano allora sono abbastanza tetri.» Avvolgo le braccia intorno alle ginocchia per combattere il freddo. «Che fece la

gente?» «Razionarono il cibo. Cominciarono a cercare radici e bacche che crescevano sopra la linea delle nuvole. Alcuni costruirono degli archi e cacciarono l’oca Nene. L’acqua era il bene più razionato: la pioggia non cade spesso sopra la linea delle nubi.» Immagino queste persone, affamate e assetate, tremanti di notte e colpite dal sole durante il giorno. Assistere alla bellezza del tramonto procurava loro un po’ di sollievo? Spero di sì. «Fecero un accordo. Ogni tre mesi, un nome veniva sorteggiato. Quella persona sarebbe andata sotto le nuvole.» Sammy si sdraia sul sacco a pelo. «Dopo un anno intero, finalmente qualcuno tornò. Aspettarono altri sei mesi per sicurezza, quindi scesero.» Quanto è incredibile che siano riusciti a sopravvivere. A Maluhia tutti i beni di prima necessità erano garantiti. Ma con il disagio mentale, molti si sono arresi. La forza d’animo necessaria per resistere alla fame, alla sete e il non sapere mai se la Terra sarebbe stata di nuovo sicura... eppure ce l’hanno fatta. Una voce sottile mi sussurra nella testa: Mentre la tua famiglia i tuoi amici no. «Ci sono... altri che sono sopravvissuti?» chiedo. Jesse fa spallucce. «È possibile in altri posti elevati.» Indica la cima. «Nei giorni più assolati è possibile vedere un altro picco nell’isola. Me lo sono sempre chiesto.» Danny e Sydney sono sdraiati sui loro teli. Danny avvicina Sydney e le bacia la fronte. Il mio posto per dormire è stato sistemato vicino a quello di Sydney. Mi sistemo tra le calde coperte. Jesse è sdraiato dall’altra parte. Dormire fuori dalla capsula è ancora una novità per me. Le stelle brillano sopra di me. Lentamente, i sussurri e le chiacchiere svaniscono. Le fiamme del fuoco ancora mandano dita arancioni e rosse nella notte, soffiando e scoppiettando. La voce del Capitano rompe il silenzio. «Una situazione completamente diversa.

Lasciate che ve lo ricordi: la piattaforma era ancora vuota.» «Credo ancora sia un bene. La famiglia appartiene alla famiglia.» Ci metto un po’ a capire che è la voce di Rachel. «Be’, per fortuna non sei tu la nostra autorità.» La voce del Capitano sembra arrabbiata ora. Jesse mi afferra la mano nell’oscurità e la stringe.

~Spuma~ 16 Il sentiero che parte dalla capanna di Sydney termina in una rupe che dà sull’oceano. Un gruppo di delfini nuota con grazia, girando all’unisono nell’aria prima di tornare nelle acque. Mi manca Haku. La sua assenza lascia un vuoto terribile, come se qualcuno mi avesse strappato il cuore dal corpo. Ho pensato al suo tradimento – quando non mi ha parlato della Superficie – ancora e ancora. Anch’io ho tenuto Jesse come segreto da lei. Per proteggerla, ma anche per egoismo personale: volevo vedere Jesse di nuovo. Gli altri che hanno commesso errori mi tormentano: mia madre e mio padre che si sono tolti le branchie e mi hanno abbandonato nel mare. Arc, che sapeva di questa perdita e mi ha lasciato sola lo stesso. Li perdonerei se avessimo una seconda possibilità? Assolutamente. Quando tutti se ne sono andati, Haku mi ha sostenuto... e mi ha amato. Devo trovarla e chiederle scura. Haku mi ha detto che mi avrebbe aspettato a Black Rock. Se solo sapessi dove trovare questo luogo. «Visto qualche balena? Spesso si vedono in questo periodo dell’anno.» Jesse si siede vicino a me. Non sa che conosco il Canto delle Balene. Se è stato sorpreso dal linguaggio dei Delfini rimarrebbe scioccato dalla canzone dei cetacei. «Conosci Black Rock?» chiedo. «Sicuro. È un buon posto per nuotare dopo la ricerca di provviste.» «Vedi...» Ci penso bene prima di decidermi a fidarmi di lui. «Vedi mai delfini nuotare in quelle acque?» Mette una mano sulla mia spalla. «Hai deciso di perdonare la tua Compagna?» Posso solo annuire e sussurrare: «Mi ha promesso che mi avrebbe aspettato a Black Rock.» Il Capitano sta organizzando una ricerca di provviste proprio domani. Vuoi

venire?» «Sì!» Spero solo che Haku sia lì. Qualora non ci fosse non so se riuscirei a perdonarmi per aver lanciato il fischietto – l’unico mio legame con lei – nelle acque.

~ ~ ~

Il Capitano guida un vecchio veicolo arrugginito. Il retro è aperto come la Camaro ma senza sedili mentre quelli davanti sono al chiuso. «Tutti a bordo per la Vecchia Città.» «Il nostro furgone», spiega Danny. «C’è un sacco di spazio per le provviste.» Jesse e Danny saltano sul retro ma Sydney si siede davanti, vicino al Capitano. «Il viaggio è duro sul retro», mi avverte. Provo a scegliere tra il piccolo spazio vicino a Sydney e affrontare il retro. L’odore dell’oceano mi arriva alle narici e la decisione è presa. Non posso stare al chiuso con l’approssimarsi delle onde. Salgo su un pneumatico e sul furgone, vicino a Jesse e Danny. Ci dirigiamo su una strada accidentata, piena di buche e detriti. Il furgone salta per tutto il tragitto. Alla mia sinistra, l’oceano cambia colore: in alcune sezioni il blu è più e in altre più scuro. Gli accenni di celeste mi riportano alla memoria la bellezza della mia casa precedente. L’oceano sembra più potente sopra la Superficie. Le onde si scontrano con la terra, spume bianche che si mischiano con il blu del mare. Non ho più messo piede nelle acque da quando Jesse mi ha salvata. Mi chiamano ora. Desidero nuotare. La conversazione sulla Casa del Sole ancora mi infastidisce. Questa è la prima occasione che ho per parlarne con Jesse. «Quando abbiamo sentito tua madre

dire al Capitano che la famiglia appartiene alla famiglia, cosa voleva dire?» Jesse si scambia un’occhiata con Danny. «Mamma è un po’ protettiva nei miei confronti, tutto qui. Si preoccupa per me.» I ricordi di mia madre che si preoccupa per me tornano. Quanto era nervosa quando andai a nuotare da sola per la prima volta... La sua esitazione nel lasciarmi esplorare il complesso con il mio delfino. Ora non c’è nessuno a preoccuparsi per me, fatta eccezione proprio per Haku. «Una madre che si interessa non è male...» Se solo avessi mia madre. Jesse apre il finestrino che conduce all’abitacolo del furgone. «Capitano, possiamo andare a Black Rock dopo aver fatto provviste?» Il Capitano mi lancia un’occhiata e annuisce. «Non dobbiamo tornare in barca ancora per qualche giorno. Direi che possiamo are la notte lì.» «Quanto spesso andate in barca?» chiedo. «Ogni settimana. Partiamo il giovedì e torniamo sabato», dice Jesse. «A cosa servono queste navigazioni? Catturate il pesce?» Jesse distoglie lo sguardo. Il Capitano volge il capo verso di me. «Se siamo fortunati. A volte però ci limitiamo a pescare piccole sirene.» Dopo un’altra ora di scossoni, cominciano ad apparire i primi edifici; non costruzioni circolari come a Maluhia ma ordinate serie di rettangoli. Le pareti sono incrinate e scrostate e la... città... è abbandonata. Un rumore stridulo risuona dal basso del furgone e il mezzo si ferma di colpo, lanciandomi verso Jesse. «Dannati freni», mormora il Capitano. «Tutto a posto lì dietro?» Jesse mi abbraccia. «Sono a posto.» Quindi mi sorride. Danny salta dal retro del furgone. «Andiamo a fare scorte!»

Il Capitano ci conduce verso un edificio vicino. La porta dondola, precaria, attaccata solo in cima. Entriamo uno per volta. Luci tenui penetrano attraverso larghe finestre, illuminando scaffali e scaffali di... cose. «Cos’è questo posto?» C’è così tanto da guardare. Prendo diversi oggetti, li osservo. Un intero scaffale contiene emisferi di plastica pieni d’acqua. Piccole persone di plastica e immagini sono dentro; quando ne prendo uno per guardare meglio, scintille danzano nell’acqua. «Era un negozio», spiega il Capitano. «Prima del Disastro, la gente usava il denaro per comprare questi oggetti.» Le lezioni del professor T. si ripetono nella mia mente: l’importanza degli oggetti e della valuta nei tempi Prima dell’Acqua, di come le guerre cominciano proprio per la disparità tra le nazioni, dove poche avevano molto e le altre nulla. Raccolgo di nuovo il globo di plastica pieno d’acqua e lo scuoto. Questi oggetti erano davvero così importanti da portare al Disastro? «Veniamo qui una volta al mese per fare scorte», dice Danny. Il Capitano tira fuori una lista e comincia a leggere al gruppo. Jesse e Danny afferrano gli zaini e cominciano a setacciare. Sydney mi spinge verso un’altra direzione. «Dobbiamo trovarti degli abiti. Ci sono ancora dei vestiti laggiù.» La rastrelliera contiene lo stesso tipo di indumenti che Sydney mi ha prestato. Arrivano fino al pavimento, lasciando spalle e braccia scoperte. Gli abiti sono di diversi colori ma hanno tutti lo stesso tema floreale. «Anche i vestiti sono razionati. Puoi sceglierne solo tre perciò decidi con cura. Ne puoi prendere un altro solo quando il vecchio è completamente rovinato.» Mi immagino a combattere contro la stoffa per nuotare nell’acqua. I vestiti della Superficie non mi serviranno quando incontrerò Haku. «C’è altro oltre ai vestiti?» Indico il punto dove c’è Jesse. «Posso scegliere boxer e maglietta?» Sydney ride. «No. Dopo tutti questi anni, i negozi sono a corto di abiti.

Dobbiamo essere davvero attenti. La regola è tre vestiti per ragazza. Le ultime magliette e calzoncini sono per i ragazzi della famiglia.» «E come fate a nuotare con i vestiti?» chiedo finalmente. Sydney sghignazza di nuovo. «Quello è un negozio completamente diverso.» Cosa? «Ce n’è più di uno?» «Ce n’erano a centinaia sull’isola. La maggior parte ormai è vuota ma questa sezione è difficile da raggiungere senza un motore.» Sydney mi aiuta a raccogliere i vestiti, quindi prende le altre cose della lista. Mi spinge verso la porta. «Capitano, porto Chey al negozio sportivo lungo la strada.» Fuori, camminiamo lungo la via verso un altro negozio. L’esterno rosa e giallo è stato corroso dalla salsedine. Sydney apre la doppia porta ed entriamo. Ci sono pareti di scaffali vuoti. Rastrelliere spoglie giacciono abbandonate al centro del locale. Sydney fa strada verso il retro. Una piccola parete piena di pezzi di tessuto rimane. Sembrano grandi abbastanza per coprire solo le mie zone più intime. «Quelli a un pezzo venivano usati un sacco di tempo fa. Ci sono ancora quelli a due pezzi, comunque.» Sydney ne prende uno arancione ricoperto da polvere, e me lo porge. Un due pezzi color grigio verde mi cattura. Ha la stessa sfumatura della mia vecchia Pelle e mi ricorda casa. Non c’è posto per colori così accesi nell’oceano. Le acque sono il reame dei mille blu. Sydney mi mostra un piccolo rettangolo, delle dimensioni della mia capsula per dormire. Sposta una tenda dall’entrata. «Be’, provalo. Sii sicura che ti sta bene. Ti è permesso un solo costume.» Mi sento assolutamente e completamente esposta. Mentre i tessuti grigio verdi coprono le zone importanti, la pancia e le gambe rimangono nude. Quanto mi piacerebbe avere un costume come quello di Jesse che copre il corpo intero.

Almeno sarò capace di nuotare. Posso cercare Haku. Il mio cuore volteggia al pensiero di ritornare nelle acque.

~ ~ ~

Il furgone si muove ancora più avanti sulla strada invasa dalle buche, lasciando la città alle nostre spalle. Siedo nell’abitacolo ora, tra il Capitano e Sydney. Il retro è pieno di scorte, ogni membro della famiglia aveva una lista di necessità e il gruppo ha cercato di trovare più oggetti corrispondenti possibili. Jesse e Danny sono in cima alla pila, controllando che niente si perda. Di tanto in tanto, scorci di oceano sono visibili sulla sinistra, rendendomi ancora più ansiosa di arrivare. Come voltiamo un ultimo angolo, appaiono strutture gigantesche, non quelle carine dei negozi della città ma edifici enormi che fanno sembrare minuscolo il nostro furgone. Il Capitano ci conduce su una piazza dove linee gialle ormai sbiadite segnano il pavimento. Sono distanti una dall’altra come la larghezza del furgone. Come la città, quest’area è completamente abbandonata. Scendo dal mezzo e osservo le lettere intagliate in una tavola di legno: Whaleside. Danny afferra alcuni oggetti dal retro. «Stiamo per preparare l’accampamento.» Sydney pesca il suo zaino e lo segue. Il Capitano lancia a Jesse la protezione solare. «Ci vediamo a cena, piccola sirena.» Riesco a sentire la domanda non pronunciata a parole: tornerai? Jesse mi conduce all’acqua. Si ferma sulla sabbia per togliersi le scarpe e io lo imito. La sabbia affonda sotto i miei i. Il sole l’ha riscaldata e mentre camminiamo verso il mare, i granelli scricchiolano sotto le mie dita. Onde si scontrano contro la spiaggia. Nonostante gli edifici giganteschi alle nostre spalle, ho occhi solo per l’acqua. Mi tolgo il vestito, indossando ancora il

mio due pezzi, e corro verso l’oceano. «Aspettami.» Jesse mi afferra prima che io possa sparire. «Ansiosa? Riesco appena a starti dietro.» Le sue mani mi circondano i fianchi e sono più consapevole che mai dell’assenza della mia Pelle. Lui solleva una mano per mettere una treccia bagnata dietro l’orecchio, ma tiene l’altra al mio fianco. Jesse indossa solo i suoi boxer e piccole gocce d’acqua scorrono sul suo petto. Per un momento, mi dimentico di Haku. Mi dimentico della nostra separazione. Penso solo a Jesse e alla sua vicinanza. Lui appoggia la fronte sulla mia, i suoi occhi marroni fissi nei miei. «Mi piaci, Chey. Per favore, non nuotare via da me.» Ha paura che ritorni nell’oceano. Le sue labbra si appoggiano alle mie e non sono sicura di volere che questo momento si fermi. Un’onda massiccia ci spinge sotto. Emergiamo di nuovo, ancora abbracciati uno all’altra, e ridiamo. «Black Rock è all’estremità di questa spiaggia.» Indica una grossa roccia lavica a strapiombo sull’oceano. «Vuoi nuotare o camminare?» Non ho mai dovuto scegliere prima d’ora. Qui, su questa spiaggia abbandonata, il meglio dei due mondi si scontra. La libertà di fluttuare tra le onde e la gioia di correre sulla terra; le meraviglie dell’oceano e il calore del sole. «Tutti e due», deciso. Possiamo correre lungo la spiaggia, immersi nel sole e quindi tuffarci nelle fredde acque mentre cerco Haku. È da avari volere tutto? «Posso aiutarti a mettere la protezione così non ti bruci?» Annuisco, di nuovo timida. Toccarsi è così comune sopra le acque. Gli abbracci vengono dati liberamente, tanti quanti pesci ci sono nel mare. Non è facile riprendersi dall’isolamento ma ci sto provando.

Jesse mi strofina le spalle con la lozione. Quindi a le mani sulle braccia e sulla schiena. Avverto l’aroma di cocco. Lui a le dita sulle guance e sul naso. Quando mi sembra di aver dimenticato come respirare con i polmoni, chiude la bottiglietta e mi afferra la mano. «E ora?» Sorrido. «Corriamo.» Mano nella mano, corriamo attraverso le piccole onde che lambiscono la spiaggia. L’acqua ci colpisce le caviglie e Black Rock si avvicina. Quando lo strapiombo è su di noi, mi volto e spingo Jesse nel mare. Alla fine gli lascio andare la mano e mi tuffo. Le acque sono ancora basse qui, ma vedo la barriera sul fondo. I pesci colorati nuotano tutto intorno. Mi tuffo in profondità per ammirare i miei preferiti ma soffoco quando provo a respirare. Mi faccio strada fino alla Superficie e tossisco ancora e ancora. Jesse mi abbraccia e mi sostiene mentre continuo a tossire. «Qualcosa non va?» «Le branchie», mormoro. «Non funzionano.» Jesse mi controlla il collo, quindi fa are il dito lungo la pelle sensibile che circonda le branchie. «Non sembrano danneggiate. Forse sono come i motori di Sammy. A volte quando non si usano per un po’ hanno bisogno di manutenzione perché funzionino.» So che non posso tornare nel mio settore ma dover abbandonare l’oceano per sempre? Sarebbe devastante. Ho lavorato così duramente per mantenere intatte le branchie, combattendo la disperazione e i pensieri dell’Atto Innominabile. «Proviamo qualcosa.» Mi trattiene di lato nell’acqua, un lato del collo completamente immerso. Dopo qualche minuto, mi abbassa di più, così che solo l’ovale del mio viso emerge sulla Superficie. «Ora prova a calarti di sotto e respira con le branchie.» Con le braccia di Jesse sotto di me, mi immergo sotto la Superficie. Permetto all’acqua di are nelle branchie e i momenti diventano minuti. Funzionano! Mi rilasso mentre ricomincio a respirare al vecchio modo.

Mantenendo il capo sotto l’acqua, afferro il volto di Jesse e lo porto giù. Premo le mie labbra sulle sue, guardo i suoi occhi spalancarsi per la sorpresa, quindi mi precipito nel mare. Nuoto via da Jesse, lontano dalla spiaggia, nelle acque profonde della laguna. Un trio di tartarughe marine mi circonda. I gusci sono più grandi del mio torace e le pinne lunghe quanto le mie braccia. «Honu», clicco mentre inchino la testa per onorarle. Girano intorno a me altre tre volte prima di nuotare verso il mare aperto. Mi piacerebbe avere il fischietto. L’ho indossato ogni giorno da quando mi è stata assegnata Haku. Il collo mi sembra vuoto. Nell’acqua l’assenza della catenina è ancora più visibile. Chiudo gli occhi e apro le labbra, rilasciando i richiami più disparati che riesco a immaginare. Nessuno però serve ad attirare Haku. Mi guardo intorno ma ci sono solo i pesci della barriera e nessun delfino. Ho dimenticato quanto faccia sentire bene la pressione dell’acqua. Il mio corpo ha bisogno di nuotare – non galleggiare nella piccola laguna – mentre il mio cuore si strugge per Haku. «Ti perdono! Per favore torna da me!» Fischio di nuovo fino a quando le labbra non mi fanno male. L’oceano, pieno di vita, rimane vuoto dell’unico essere che vorrei vedere: la mia compagna, il mio delfino. La mia Haku. Quando l’indaco ha sparso le sue dita oscure attraverso il mare, Jesse viene da me. Mi afferra la mano e mi porta in Superficie. Il cielo è color lavanda, segno che siamo vicini al tramonto. Jesse nuota lentamente con me fino alla sabbia. Mi ha aspettato per tutto il tempo. «Mi dispiace.» Mi abbraccia e mi tiene vicina. Mentre ci dirigiamo verso la spiaggia, non riesco a resistere a sbirciare un’ultima volta. Le onde si schiantano contro la sabbia, ancora e ancora ma il mare rimane vuoto.

~Spruzzi~ 17 Siamo di fronte a uno strano edificio. Ci sono centinaia di finestre: chi avrebbe detto che una costruzione potesse contenerne così tante? Jesse ha preso i nostri zaini e ora è diretto a un bizzarro cilindro di fronte al palazzo. Mi guida dentro questo cilindro. Tocco la parete di vetro davanti a me. Sembra essere un tipo di entrata. «Cos’è?» «Una di quelle porte girevoli.» Jesse spinge contro il vetro e noi giriamo finché l’esterno scompare. All’interno, resto senza fiato. Questo posto non somiglia a niente che abbia visto a Maluhia, al villaggio o alla città abbandonata. Il soffitto è altissimo e lì dondolano prismi luccicanti. Di fronte a me c’è la scalinata più grande che abbia mai visto con gradini scolpiti in una pietra tendente al rosa. «Cos’è questo posto?» «Voglio mostrartelo.» Jesse mi afferra la mano e mi guida sulla scala. Gli scalini rosa si avvolgono in una spirale, come una criocona. Piani numerati appaiono a ogni livello ma Jesse li ignora e sale ancora più in alto. «I piani superiori sono i migliori.» Quando la scalinata finalmente termina, Jesse mi conduce sulla destra. Si ferma di fronte a una porta intatta, lasciata aperta. La placca dice: Suite Esecutiva. «Cosa vuol dire esecutiva?» Lui fa spallucce. «Non ne ho idea. Ma tutti abbiamo una stanza preferita quando ci accampiamo qui. Questa è la mia.» Entriamo. La camera è enorme. Finestre giganti vanno dal pavimento al soffitto. Jesse ne apre una e il profumo dell’oceano fa il suo ingresso. Mentre mi avvicino a lui, l’oceano stesso appare, acque scure che si agitano sotto il rosso e il porpora del cielo.

Un divano di un giallo è posto di fronte a un tavolino di vetro. Sedie di vimini con cuscini gialli e bianchi, sono su ogni lato. Di fianco rispetto al divano c’è un grosso schermo vuoto da cui partono cavi. I materiali sono inusuali: vetro per tavolo, tessuto per divano. Mi siedo e affondo nei soffici cuscini. Non posso fare a meno di esplorare. Un’altra porta rivela un bagno. Una camera intera per toilette? Apro un altro uscio e trovo il più grande letto su cui abbia posato gli occhi. Il materasso è delle dimensioni di tre capsule per dormire. «Cos’è questo posto?» chiedo di nuovo. «Un hotel. Le persone venivano a visitare l’isola e rimanevano in questi edifici. Sono lungo la spiaggia.» «Quante famiglie potevano vivere in questa stanza?» È così strano che ci sia così tanto spazio ma un solo letto. Dormivano a turno? «Una persona. A volte una famiglia intera ma spesso ogni persona stava da sola.» La camera è grande quanto l’intero piano della residenza dei ragazzi. Per una famiglia avere così tanto spazio per dormire, avere il lusso di un divano personale, un tavolo e una stanza da bagno... Non riesco a capire se è uno spreco o una tentazione. «Posso vedere altro?» Jesse mi guida lungo il corridoio. Mentre l’ultima luce svanisce, saltiamo di stanza in stanza. Alcune sono vuote, con tutto l’arredamento andato in rovina. Altre sono state usate ma abbandonate. Anche l’ultima dà sull’oceano. Esco sul balcone che si affaccia sul mare. Riesco a sentire le onde ma è troppo buio per vederle. «Il tuo delfino non è venuto?» Posso solo scuotere il capo. Dove sei, Haku? Jesse cerca nello zaino fino a quando non trova un involucro. «Ho qualcosa per te.»

Guardo il piccolo oggetto. «Cos’è?» «Un dono.» Non ci scambiamo mai doni sott’acqua. I beni di prima necessità sono distribuiti e i lussi limitati. Questo è il mio primo regalo. «Grazie.» Lo afferro con tutte e due le mani. Jesse ride. «Devi aprirlo!» Lentamente apro l’involucro e trovo il fischietto. La catenina di nylon è avvolta intorno al contenitore trasparente. Jesse mi ha regalato il mio fischietto. Mi guarda in silenzio. «Come?» «Ti ho visto lanciarlo nell’oceano e ho pensato che quando ti fosse ata la rabbia lo avresti rivoluto.» Ho pensato a quel momento per tutto il giorno, al tuffo finale del fischietto nell’acqua. «Come lo hai trovato?» «Be’, ho dovuto cercare per un po’ ma per fortuna la scatola lo ha tenuto a galla.» «Grazie», sussurro, sentendo il ritorno di quell’emozione sconosciuta: la speranza. Jesse prende due candele e un piccolo contenitore di cerini dallo zaino. «Conosco un’altra cosa che ti farà sorridere. Ma dobbiamo scendere le scale.» Fa are un fiammifero sulla superficie di pietra della balconata. La scintilla si trasforma in una fiamma dorata. Jesse accende le candele, quindi me ne a una. Fisso la fiamma. Il fuoco è stata una delle scoperte più intriganti della Terra. Ci

hanno spiegato il fuoco nelle capsule d’apprendimento, ovviamente, ma è impossibile descrivere l’odore e il calore provocato anche dalla più piccola delle fiamme, il modo in cui i colori cambiano, ando dall’oro, all’arancione e al rosso. Ci hanno insegnato di come gli umani controllavano il fuoco nei tempi Prima dell’Acqua ma come può qualcuno controllare una cosa così viva? Jesse è sulla porta, in attesa. «Pronta?» Mentre torniamo indietro sulla scalinata, guardo la candela. Il freddo dell’acqua contrasta con il calore della Terra. Il calore del sole, la fiamma del fuoco, la coperta di un abbraccio sono tutte cose che mancano negli abissi. Non posso evitare di domandarmelo: è l’oceano stesso a spegnere le fiamme?

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«Hai trovato il tuo delfino?» mi chiede il Capitano. Jesse scuote il capo. «Chey ha bisogno di sorridere un po’.» Il Capitano ghigna. «Stai pensando quello che sto pensando io?» «Sì. Diamo un colpo alla riserva solare stasera.» Sydney batte le mani mentre Danny e Jesse spariscono dalla stanza. Tavoli ricoperti da tessuto riempirono il centro della camera mentre salottini sono sistemati lungo le pareti. Dopo aver scelto quello più vicino, mi siedo e mi sforzo di mangiare il cibo che il Capitano mi a, anche se non ho molto appetito. «Sono molto dispiaciuto che il tuo delfino non si sia fatto vedere.» il Capitano si siede vicino a me. «Mi fa male vederti così triste.» «Credi che le abbiano fatto del male?» Il mio dispiacere per l’assenza di Haku si è trasformato in preoccupazione. Che l’Autorità le abbia fatto del male per la mia scomparsa?

«Nessuna azione delle tue autorità mi sorprenderebbe a questo punto.» Tocco il fischietto. «Posso provare un’ultima volta?» Il volto del Capitano si addolcisce. «Ehi, non dobbiamo andarcene subito domani. Perché non torni a Black Rock al mattino?» La speranza si propaga per tutto il corpo. «Davvero?» «Solo a una condizione», il Capitano aggiunge. «Dovrai goderti la sorpresa di stasera.»

~ ~ ~

«Tieni gli occhi chiusi.» Jesse mi conduce attraverso l’hotel mentre con le mani mi corpo gli occhi. Mi fa voltare. «Adesso aprili!» Un albero sale verso il soffitto – non una delle palme che crescono sull’isola – ma un albero scuro, largo in basso e appuntito in cima. Invece delle ampie foglie delle palme, questo albero è coperto da centinaia di piccoli aghi. Ancora meglio, brilla con un arcobaleno di piccole luci. L’albero gira, mostrando tutti i suoi tesori: pesci di vetro colorati, stelle di mare scintillanti e tartarughe di metallo. Jesse sorride. «Ti piace?» «Cos’è?» «Prima del Disastro, le persone celebravano le loro vacanze più grandi con questi alberi.» «Come fa a vivere dopo tutto questo tempo?» Sydney ride di gusto. «Gli aghi sono di plastica. Toccali.» «Sammy è riuscito a far partire i pannelli solari qualche anno fa. A volte li accendiamo per occasioni speciali.»

Danny abbraccia Sydney. Restiamo tutti in piedi e a guardare l’albero. «Accendi la musica», ordina il Capitano. Improvvisamente la stanza si riempie con il Canto degli Umani. La musica proviene da tutte le direzioni, con delle voci bellissime che cantano su un tappeto sonoro pieno di strumenti. È stupefacente che la Canzone degli Umani possa essere suonata a richiesta. Ancora più strane sono le parole... «Gioia per il mondo... ... oh, che divertimento è cavalcare una slitta con un cavallo... Oh venite tutti, felici e trionfanti... ...Mentre ci state dentro, siete ancora più contenti. La terra della gioia. La felice terra dei Giocattoli... ... Questa è la stagione per essere allegri, fa la la la la la la la...» Avevano una stagione per essere contenti? La gioia si irradia da ogni canzone e immagino i nostri antenati radunati intorno all’albero mentre cantavano, felici. Così tante parole per esprimere la felicità – contentezza, gioia, divertimento, allegria – mentre le canzoni raccontano la vera storia di ciò che abbiamo perso. La fredda realtà taglia la commozione di queste canzoni: i nostro progenitori, colpiti durante la più felice della stagioni, i bambini nell’acqua, separati dai genitori. Il mio mondo, spogliato da ogni felicità. Peggio di tutto, l’Autorità e il suo Comitato che perpetuano l’assenza di gioia con le loro balle e i loro inganni. Cadono lacrime silenziose – prima solo qualcuna, poi di più – fino a quando, dopo tanti anni, mi permetto di singhiozzare. C’è sempre pericolo a piangere sott’acqua. La disperazione può avere facilmente la meglio nel blu dell’acqua così l’ho sempre tenuta sotto chiave, permettendo la fuga solo a piccoli frammenti controllati. Sydney e Jesse mi abbracciano. Senza un invito, il Capitano e Danny fanno lo

stesso fino a quando non ci troviamo in un abbraccio di gruppo. Il loro calore fa effetto e lentamente le lacrime si fermano. Guardo di nuovo l’albero ma con occhi diversi. Invece di un triste ricordo di cosa è stato, il pino imponente è un esempio di cosa potrebbe essere. La mia determinazione cresce. Non abbandonerò la mia gente. Troverò un modo di portare loro la gioia.

~Blu Oltremare~ 18 I primi raggi del sole fanno capolino dalle finestre aperte, avvolgendo il letto nella loro luce dorata che brilla sul viso di Jesse. Dopo il calore dell’abbraccio di gruppo non potevo sopportare di sparire in una di quelle stanze giganti da sola. Jesse si è offerto di condividere la camera e mi ha tenuta tra le braccia per tutta la notte. La connessione allontana la tristezza. Il chiarore danza sulle sue palpebre, facendo scintillare le lunghe ciglia. Jesse è stato il mio migliore amico da quando mi ha tirata fuori dall’oceano ma mi chiedo se si stia creando qualcosa di più. I tocchi frequenti, le sue labbra sulle mie, le sue parole – mi piaci, Chey – tutto mi spinge a credere che ci sia un legame più grande tra di noi. Sorrido al pensiero ma le onde mi chiamano. I miei due mondi si scontrano ancora una volta. Mentre dorme, la mia curiosità prende il sopravvento. o un dito sulla barba che spunta dal mento. Setosa, come il fanone di una balena. o la mano sui suoi ricci castani. Soffici come niente nelle acque. Mi chiedo se sappia ancora di mare. Mentre mi avvicino per scoprirlo, apre gli occhi. Fischio per la sorpresa. È strano che alcuni istinti rimangano intatti sulla Superficie. Mi avvolge in un enorme abbraccio. «Che bel modo di svegliarsi. Hai dormito bene?» «Meglio di come non abbia mai fatto. I letti sono così confortevoli. Perché non sono venuti tutti a vivere qui con i letti, l’energia solare e tutto il resto?» «È troppo lontano dalla Casa del Sole. Non ce la faremmo mai a piedi.» «La domenica è così importante?»

Si appoggia su un gomito. «Il Disastro è stato provocato dalle lotte per la proprietà. Così cerchiamo di concentrarci sulla famiglia e la domenica ci aiuta a ricordare il nostro proposito.» C’era un proposito sott’acqua? Ognuno compiva il proprio dovere – i giovani imparavano e gli adulti lavoravano – ma non ci si pensava. Forse cominciare ogni giornata con un proposito aiuta. Oggi ho uno scopo: trovare Haku. «Voglio andare nell’oceano da sola oggi. Forse Haku verrà se non ci sono altre persone.» Jesse si morde il labbro inferiore. Impiega molto tempo a rispondere. «Pensi che sia sicuro?» «Haku non mi farebbe mai del male.» Di questo ne sono sicura. «E le autorità? Non potrebbero cercarti?» Jesse fa are le dita sulla piccola cicatrice che mi è rimasta sulla fronte. «Non ho mai sentito di niente del genere.» Ma ci sono molte cose dell’Autorità che ignoro. Penso al mio obiettivo: trovare Haku. «Sono pronta a correre il rischio.» Jesse rimane in silenzio ma l’ombra della preoccupazione gli a sul volto. «Sarò cauta», prometto. «Stai attenta», aggiunge, abbracciandomi un’altra volta.

~ ~ ~

La spiaggia è diversa alla luce del mattino. Il brillante chiarore di ieri pomeriggio è assente. Al suo posto mi accoglie il chiarore roseo del mattino. Affondo nella soffice sabbia asciutta mentre memorizzo la luce di un altro giorno.

L’acqua è quasi immobile. C’è solo la più dolce delle brezze, la più piccola delle onde, ma la superficie dell’oceano non rivela la familiare pinna di Haku. Con cura piego il vestito e lo metto sulla sabbia, quindi cammino verso Black Rock. Salgo l’enorme macigno. I movimenti non sono familiari ma i miei muscoli, forti per il nuoto, mi spingono sempre più in alto. Alla fine arrivo al punto più elevato. Guardo nell’oceano e soffio nel fischietto e quindi mi tuffo... fino a quando non taglio la superficie dell’acqua. Il colore del mattino mi circonda. Soffio ancora e ancora. Sento il fischio familiare che mi risponde. Haku. Tremo per l’eccitazione. Haku. Una striscia d’argento dardeggia nel mare verso di me, sempre più vicina. È qui! Il nostro abbraccio, pinna a braccia, coda a piedi, sembra imbarazzante dopo giorni di abbracci umani. Ma anche il suo è familiare, l’unico tocco che ho conosciuto per anni. Appoggio la fronte sul suo becco. «Sei arrivata.» «Ero preoccupata che non saresti venuta», clicca in risposta. «Mi dispiace.» Il suo fischio tagliente mostra quanto reale sia il suo pentimento. «Dispiace anche a me... per non averti compreso.» Il tempo a velocemente. Storie del mare si mischiano con le avventure della terra. Presto il colore dell’acqua si scurisce fino a diventare la mia sfumatura preferita: il celeste. Haku nuota avanti e indietro: un segno di agitazione per un delfino. «Chey, non sono ritornata al nostro settore. Ho investigato.» Mi fa soffrire immaginare Haku tutta sola mentre io ero circondata da amici. «Su cosa?» «Alcuni sono sopravvissuti... all’Atto Innominabile.» «Sopravvissuti?» Mentre le acque non rallentano mai davvero nell’oceano, ora

sembrano bloccarsi per un momento. Lotto per trovare le parole. «C-cosa vuoi dire?» «Dall’altra parte dell’isola c’è la Terra della Sabbia Nera. Ho visto dei sopravvissuti lì.» Sabbia nera? La sabbia su quest’isola è dorata come i raggi del sole. Vorrei crederle ma la sofferenza della falsa speranza mi ha già straziato abbastanza. «Chi? Quanti?» Lei scuote il capo. «Non riesco ad arrivare abbastanza vicina per esserne sicura.» Un piccolo raggio di speranza si fa largo tra le nuvole. «Mia madre? Mio padre? Arc?» Sono sopravvissuti davvero? «Devi trovare la Terra della Sabbia Nera. Ci incontreremo lì, tra una luna, all’entrata del tunnel che conduce nel mare.» Haku mi abbraccia un’ultima volta prima di sfrecciare via tra le acque.

~Pioggia~ 19 o attraverso le porte dell’hotel. Tutti sono seduti intorno a un tavolo ricoperto da piatti vuoti. Sono concentrati su un gioco di carte. Jesse è il primo a salutarmi. «L’hai trovata?» Annuisco. Sydney corre ad abbracciarmi. «Era contenta di vederti?» Il Capitano mi dà una pacca sulla spalla. «Sono contento che vi siate incontrate. Come se la a il tuo delfino?» Ignoro tutte le domande e chiedo la più importante delle mie. «Sapete dove si trova la Terra della Sabbia Nera?» La chiacchierata amichevole si interrompe. Nessuno mi guarda. L’assenza di una replica è una risposta. Proprio quando stavo costruendo nuove amicizie sono incappata in un altro tradimento. Jesse mi afferra la mano ma la scuoto via. La conversazione notturna alla Casa del Sole mi torna alla memoria: la famiglia appartiene alla famiglia. «Ci sono davvero dei sopravvissuti? Come? Perché non me l’avete detto?» Il Capitano mi spinge dolcemente in una sedia. Si siede vicino a me e mi guarda negli occhi. «Piccola sirena, non stavamo cercando di ingannarti. Non eravamo sicuri che fossi abbastanza forte.» Sydney annuisce. «È triste anche per me. Essere della tua famiglia e tutto il resto...» Il Capitano le lancia un’occhiataccia e lei si ferma. «Noi ci preoccupiamo. Per questo facciamo i volontari per le incursioni con la barca», dice Danny.

Jesse non dice nulla. Non guarda neanche nella mia direzione. L’espressione di Danny – incursioni con la barca – si ripete nella mia mente mentre visualizzo la piattaforma vuota. «La piattaforma è per i... sopravvissuti?» Il Capitano mi stringe le mani. «Quanto sai di quelli che sono spariti?» «Si tolgono le branchie e vengono portati via.» «Sono portati alla piattaforma. Noi navighiamo ogni settimana e in quelle brutte troviamo la tua gente. Facciamo del nostro meglio per salvarli.» Sento il significato implicito di quelle parole. Noi proviamo ma non sempre ce la facciamo. «Li portate nella Terra della Sabbia Nera?» Il Capitano annuisce. «C’è una colonia là.» «Ci voglio andare. Dovete portarmici.» Si ferma. «Non tutti rimangono gli stessi, piccola sirena. Non vorrei scioccarti prima che ti sei ripresa del tutto.» «Ce la portiamo», dice Jesse. «Oggi.» Il Capitano si gratta il mento. «E se...» «Se non vuoi venire va bene, ma io l’accompagno», aggiunge Jesse. «Non sapere è la scelta peggiore. Non puoi zittire le tue preoccupazioni.» L’altro capisce. «Io ci sto», dice Danny. «Chey avrà bisogno di tutto il o se le notizie sono negative.» Sydney mi guarda. «Ci sto anch’io.» «Rachel non ci lascerà prendere la barca senza un incontro della comunità. Sarete fortunati se partirete venerdì», ci avverte il Capitano. «Allora andiamo con il furgone», propone Jesse. «Non torniamo neanche a casa.»

«La strada fino alle Sabbie Nere?» Gli occhi di Danny si spalancano. «Sei impazzito?» Il Capitano resta silenzioso per un lungo momento. «Danny e Sydney, lasciate le scorte qui e riempite il retro del furgone con tutto quello che potrebbe servire alla colonia.» Scuote il capo. «Piccola sirena, questo sarà un viaggio infernale.»

~ ~ ~

In albergo, Jesse mi chiede di seguirlo. Mi conduce sulle scale, fino alla balconata dove ci siamo seduti la notte scorsa. Mi porge una sedia, quindi si siede vicino a me. Sentiamo solo il suono delle onde. Mi chiedo quanto tempo i: è così difficile dirlo senza le sfumature delle acque a suggerirmelo. «Mi dispiace», dice alla fine, guardando in basso. «Perché?» «Ogni persona che tiriamo fuori dall’acqua è così... fragile. La luce del sole impiega del tempo per funzionare. Il Capitano mi ha avvertito che avrei potuto ferirti se ti avessi detto troppo.» Jesse mi guarda negli occhi. «Non volevo perderti.» La sensazione di tradimento, così forte fino a pochi minuti fa, svanisce nell’aria pregna di salsedine. I segreti di questa protezione si differenziano dagli inganni dell’Autorità. La prima viene dalla preoccupazione – forse errata ma sempre preoccupazione – mentre l’altra viene dall’apatia verso gli altri. Mi sembra importante ripetere le parole che ho detto a Haku questa mattina. «Ti perdono.» Ma aggiungo: «Niente più segreti. Devi dirmi tutto.» «Lo farò.» Jesse fa scorrere le dita lungo le trecce. «Qualunque cosa vedrai alla Terra della Sabbia Nera, ci sarò io ad aiutarti.»

~ ~ ~

La strada per la Terra delle Sabbie Nera è piena di svolte senza fine. Stiamo guidando da ore. Il panorama è bellissimo: vedute dell’oceano, cascate, piante lussureggianti in ogni sfumatura di verde. La strada stessa è nauseante: ampie sezioni sono rovinate e, peggio ancora, mancanti. Alla fine il Capitano accosta. «La strada è completamente andata da qui in avanti. Procediamo a piedi.» Ci vuole un momento per prendere gli zaini, pesanti per via delle scorte. Danny fa strada e il Capitano cammina alla fine della fila. Procediamo in silenzio. Dopo una curva, un enorme albero appare. Sembra arrivare fino al cielo con i suoi rami. Invece di avere una solida base, centinaia di piccoli tronchi crescono e si intrecciano dal centro. «Un fico del Banian», spiega il Capitano. «Uno degli ultimi sull’isola.» Perché nessuno è chiamato Banian sott’acqua? Perché i nostri antenati hanno dimenticato di scegliere il più grande degli alberi? Mi chiedo se i Sopravvissuti vengano qui a sedere tra le radici dell’albero e godere dei profumi della foresta. Arc ha mai visto questo Banian? Lo hanno fatto mio padre o mia madre? «Qualcuno dovrebbe prepararla per quello che vedrà», mormora il Capitano. «Lo faccio io», si offre Jesse. «Ci laveremo alle cascate. E vi aspetteremo al ponte.» Il Capitano si assicura lo zaino e si dirige lungo il sentiero. Sydney e Danny lo seguono, mano nella mano. «Cosa c’è di brutto, Jesse?» «Hai qualcuno della tua famiglia che si è... perso?» La domanda mi spiazza: ho ato così tanto tempo a non pensare ad Arc e ai

miei genitori che non ne ho mai parlato sulla Terra. Avere il permesso di parlarne è liberatorio. «Tutti quelli che amavo: i miei genitori e la mia migliore amica. Ero sola, fatta eccezione per Haku.» Esita. «Sai cosa succede quando non si ha abbastanza aria?» Scuoto il capo. «Abbiamo bisogno di ossigeno per respirare. Abbiamo imparato l’importanza di respirare sia con i polmoni che con le branchie.» «Quando il corpo è privo d’aria, anche per poco tempo, ha degli effetti strani sulle persone.» Jesse guarda lontano. «Nessun segreto.» «Le danneggia.» «Tutti?» Combatto l’ondata di sofferenza che mi pervade. «In pochi ce la fanno.» Prende la mano e me la stringe. «Preparati.»

~ ~ ~

La mia ansia cresce mentre camminiamo. Guardo appena le cascate mentre iamo. La speranza può essere mutevole; può sostenerci durante i momenti bui ma essere anche un rischio. Opposta alla speranza c’è la disperazione. Un ponte decrepito giace nel mezzo della foresta. Le assi sono consumate e completamente andate in diversi punti. Qualche riparazione è stata tentata. Nuove tavole di legno giovane coprono quelle scure nelle parti peggiori. Chi ha perso tempo a riparare il ponte? Il Capitano e la sua ciurma? O forse mio padre ci ha lavorato? Era un meccanico nel complesso, responsabile per il mantenimento e la riparazione delle capsule. Non pensavo alla sua specializzazione da anni. Oltre il ponte, la foresta cambia. Gli alberi e la vegetazione rimangono solo su

un lato del ponte, sull’altro ci sono solo lunghi bastoni che arrivano fino al cielo. «Bambù», spiega Jesse. «Siamo entrati nella foresta di bambù.» Il... bambù... ondeggia nel vento, inclinandosi su un lato, quindi sull’altro. Le punte sembrano sussurrare e il suono è ritmico, come il costante rollio delle onde. Il bambù appare fragile per il modo in cui si piega e si curva, ma i gambi sono duri come rocce. Ne afferro uno e mi immagino mentre ne assorbo la forza. Forse posso sembrare delicata a Jesse e agli altri ma posso affrontare qualunque cosa mi aspetti alle Sabbie Nere. Piccole gocce cadono intorno a me la novità della mia prima pioggia mi distrae dalle speranze... e dalle paure. Mentre l’acqua tintinna sulla mia pelle, il mio corpo diventa sempre più sensibile. Sotto l’oceano, l’acqua sembra scomparire mentre qui la più piccola goccia richiede la mia più totale attenzione. Emergo dal bosco di bambù e il mare appare in basso. Le onde si abbattono sulle rocce nere, spruzzando di schiuma bianca tutto intorno. «Come va, piccola sirena?» Il Capitano mi aspetta dalla parte della scogliera. «Sei pronta?» Sono pronta? Ripenso ai sogni, ai desideri dei miei ultimi anni. Per tutto il tempo ho sognato di rivedere mia madre, di rincontrare Arc e ho desiderato sapere cosa fosse accaduto davvero. La paura si fa più forte. Per favore, fa che sia tutto a posto. Per favore fa che tra i sopravvissuti ci siano Arc e i miei genitori. Immagino di nuovo il bambù. Non importa quanto forte soffi il vento, non possono abbattermi. Mi piegherò in caso di dispiacere ma non cadrò. Inspiro profondamente. «Sono pronta.»

~Foschia~ 20 In silenzio, ci dirigiamo lungo il sentiero che discende la rupe scoscesa. Una spiaggia, nera come la notte, è in fondo. Mentre percorriamo lo stretto sentiero, vediamo delle persone, ancora troppo lontane perché siano riconoscibili. Non posso fare a meno di appoggiarmi alla spalla di Jesse per avere una vista migliore. «Se hai bisogno di andartene devi solo dirmelo.» Jesse si volta per guardarmi. «Ti riporto su.» La pioggia rende la roccia levigata scivolosa. Affacciandoci dallo strapiombo c’è solo l’oceano e la nera roccia lavica. Mi concentro sui i. Mentre ci avviciniamo al fondo, le persone si avvicinano. Anche se so che tutti sono ex membri di Maluhia, sembrano molto diversi senza le Pelli. Un uomo anziano si avvicina al Capitano. «Siete venuti via terra a quest’ora? Avete portato... altri?» «Siamo in missione speciale oggi. Abbiamo portato la nostra piccola sirena a vedere la sua gente.» Il capitano mette piede sulla sabbia nera. Cinque o sei mi circondano, guardandomi con curiosità. Scandaglio la spiaggia per individuare segni di mia madre, mio padre o Arc... ma non vedo nulla. «Chey, sei tu?» Una donna si fa avanti. I suoi familiari occhi blu e i lunghi capelli biondi ne rivelano l’identità: Ruscello, la più cara amica di mia madre. È scomparsa un anno prima di lei. «Ruscello?» Allungo una mano per toccarle il viso e provare che è reale. Lei alza un dito e mi sfiora le branchie. «Hai ancora le tue? Come?» Il suo collo porta i segni dell’Atto Innominabile: rossi bordi frastagliati marcano i due lati. Mi guardo intorno e tutti hanno le stesse cicatrici sul collo. Mi volto verso Ruscello. «Dov’è mia madre? Per favore dimmi che è qui.»

Una singola lacrima le scende sulla guancia. «È qui.» Gioia – intensa e nuova – mi riempie. Mia madre. L’ho trovata. Ruscello scuote il capo mentre il mio sorriso si apre. «È qui, ma...» «Mostrami dov’è.» Respiro a fondo. Non sapere è la cosa peggiore, mi ricordo. Avere delle risposte, per quanto dure, è meglio che non sapere. Danny e il Capitano si scambiano uno sguardo, mentre Sydney si volta verso il mare. Jesse si gira verso Ruscello. «Andrò con lei. Immagino sia nell’hotel.» Ruscello annuisce e cammina verso la spiaggia. Il Capitano mormora maledizioni in direzione del mare. Jesse mi prende la mano. Il suo calore doma la fredda paura che mi percorre le braccia. Cos’è successo a mia madre? Le parole di Jesse mi aiutano a concentrarmi. «Il Capitano ha dato vita a questa colonia sulla spiaggia per via del vecchio hotel. Metà ospita quelli che sono stati salvati. L’altra metà serve come... centro di cura.» Ruscello ci conduce nell’hotel, così simile al Whaleside e lungo la hall. Il corridoio sa di capsula medica. Una volta all’anno eravamo costretti a fare esami medici. Dopo una visita, diedi un’occhiata ai nuovi nati: bambini aspettavano la guarigione degli impianti per le branchie, così che potessero essere rilasciati dalle stanze a ossigeno per andare in acqua. Mentre le persone ano di camera in camera, con vassoi di cibo e secchi, non posso fare a meno di chiedermi: perché? Tutti quelli su questa spiaggia una volta sono stati bambini nella nursery. Con il dono di poter respirare sott’acqua, il più grande avanzamento della società, almeno così ci era stato detto. Perché si sono strappati via la parte che li sosteneva? Ci fermiamo di fronte a una porta chiusa. Jesse mi a un braccio intorno al

collo mentre Ruscello apre la porta. Il letto è vuoto. Una sedia è posta vicino alla finestra e una donna è seduta su di essa con il viso rivolto al mare. I capelli sono scuri come i miei ma tagliati a caschetto non lunghi e fluenti come li ricordavo. Mi libero di Jesse e corro alla sedia. «Mamma.» Le afferro le mani. «Sono venuta per te.» Non c’è risposta. Le guardo il viso ma mia madre continua a fissare il mare. Le o le mani sulle guance ma non ottengo risultati. «Mamma.» L’abbraccio. Sembra che il corpo tremi ma lei non parla né si muove. Mi piacerebbe sentire le sue mani sulla schiena e la sua voce. Ma non c’è risposta. Mi rifiuto di piangere. Se comincio potrei non finire mai. Non è chiaro quanto tempo i prima che io sia pronta per le risposte. Abbraccio mia madre un’altra volta. «Tornerò, mamma.» Supero Jesse e Ruscello. Ripercorrendo i miei i torno alla spiaggia dove cerco il Capitano. È seduto su una sedia, a contemplare una pietra nera acuminata che spunta dall’oceano. «Cosa le è successo?» Il corpo mi trema ma respiro... nel disperato tentativo di controllarmi. La pioggia continua a scendere così fine che me ne accorgo appena ma una leggera foschia si forma sulla spiaggia. «Quelli che sono rimasti senz’aria più a lungo rimangono in uno stato vegetativo. Alcuni muoiono, altri non sono sopravvissuti dall’inizio e altri non rispondono.» Il Capitano dà un colpetto alla sedia vicino a lui. Mi accomodo, cingendomi le ginocchia con le braccia. «Starà meglio?» Lui mi stringe la spalla. «No. Sembra uno stato permanente. Per questo abbiamo formato la colonia. La tua gente si prende cura di loro. I Sopravvissuti aiutano quelli che... non ce l’hanno fatta del tutto.» «E mio padre? Qualcuno sa cosa gli è successo?» Ruscello e Jesse finalmente ci raggiungono. Si mettono dietro alla sedia del

Capitano. Questi lancia un’occhiata a Ruscello ma lei scuote il capo e mormora: «Il marito di Plumaria.» Il Capitano impreca di nuovo. «Lasciateci spazio!» La porzione più bassa della spiaggia si svuota lentamente. «Sai di mio padre?» «È una storia molto triste», risponde il Capitano. «Lui... non ce l’ha fatta?» «Oh, ce l’ha fatta, eccome. L’ho preso dalla piattaforma e portato qui. E abbiamo aspettato... per vedere se Plum potesse riprendersi.» La loro generazione non approvava i nomignoli come invece accadeva nella nostra. Mia madre amava il suo nome, Plumaria, ma mio padre insisteva a chiamarla la mia piccola Plum. «Ma lei non si riprese.» «No, non lo fece. Tuo padre era fuori di sé. Mi ha detto di essersi tagliato le branchie per primo e lei lo copiò per non perderlo.» Nessuno mi aveva mai raccontato come era accaduto. Fui convocata dall’Autorità che mi offrì le condoglianze e quindi assegnata alla residenza dei ragazzi. «Tuo padre non è stato al sole abbastanza a lungo da riprendersi. Ha portato il suo senso di colpa alla roccia più alta e si è lanciato. Non ce l’ha fatta, piccola sirena.» La speranza sparisce nel mare e le onde della disperazione si abbattono su di me. Mio padre non si è tolto la vita una volta ma due. Perché non hanno pensato a cosa lasciavano indietro? Me. Tutta sola. Il Capitano si volta verso di me, serio come non l’ho mai visto. «Devi combattere. Sei forte ma devi combattere la tristezza.» «Come posso? Le onde mi stanno trascinando giù.»

«Non hai speso abbastanza tempo sulla spiaggia per imparare ad affrontare le onde. Lascia che la tristezza ti avvolga. E quando si ritira ti alzi e combatti.» «Arginare la disperazione non è mai facile.» Come può non capire? Come può una persona vissuta in questo mondo di sole e felicità capire davvero? Il Capitano mi prende la mano e la stringe. «So che non è facile. Anch’io ho perso qualcuno.» Il Capitano sa cosa vuol dire il lutto? «È stata la prima che abbiamo tirato fuori dall’oceano.» «La prima... era delle acque?» Annuisce. «Galleggiava vicino alla spiaggia su un pezzo di legno. L’ho accudita e curata e ci siamo innamorati.» «Cosa accadde?» Il Capitano si volta verso l’oceano. «Stavamo aspettando il nostro primogenito quando... lei è scomparsa.» «Scomparsa? Dove è andata?» Ma so già la risposta. Anch’io ho sentito il richiamo del mare. Fa un gesto in direzione dell’acqua. «Non aveva più le branchie o la Pelle. L’oceano l’ha presa – li ha presi – e me li ha portati via.» Altre due lacrime mi percorrono le guance. Altre due vite perdute. «Per questo navighi ogni settimana?» Il Capitano annuisce. «Ho fissato la pedana galleggiante sulla vostra sezione. Salvare la tua gente è il modo con cui combatto la disperazione.» Capisce. Il Capitano mi afferra di nuovo la mano e la stringe forte. «Non volevo ingannarti, piccola sirena. Ero solo preoccupato che ti servisse più tempo alla luce del sole prima di affrontare tutto questo. Ho sempre creduto che se Lili

avesse avuto più mesi di luce, allora...» «Perché tutti continuano a parlare del sole?» «Perché è quello che causa la tristezza. Abbiamo visto che c’è qualcosa che prendete dalla luce. Un po’ di mesi sopra l’acqua e la tristezza se ne va.» Il Capitano indica un gruppo di un’età prossima alla mia. Ridono e scherzano l’un l’altro. Membri del complesso che ridono. «L’Autorità lo sa?» Qualcuno con quel potere dovrebbe sapere queste cose. «Oh, certo che lo sa. Rachel gli ha scritto una lettera e l’ho consegnata sulla piattaforma personalmente. Il Capitano sbatte i pugni sulla sedia. «Questa è la parte peggiore del problema.» Visto che non deve combattere la disperazione, perché dovrebbe curarsene. L’importanza della domanda diventa chiara. Perché le acque non hanno lo stesso effetto sull’Autorità?

~Celeste~ 21 La pioggia è finita ma la foschia ancora avvolge la spiaggia. I raggi del sole finalmente spezzano la cortina e guardo la luce danzare sulla mia pelle. Ho trovato una cura. Gli umani non sono fatti per vivere interamente sott’acqua. Persino i nostri amici animali marini – i delfini e le balene – arrivano in Superficie. Avrei potuto accettare l’ignoranza. Se l’Autorità e il Comitato non avessero saputo cosa causava la disperazione, avrei capito. Ma sapere – e permettere che le persone si lascino morire – è imperdonabile. La voce del Capitano echeggia nella mia mente. Devi combattere. Sei forte ma devi combattere la tristezza. La mia voce risponde: Combattere l’ingiustizia che mi ha portato via i genitori. Tornerò sott’acqua. Condividerò la cura e dirò alle persone della Terra. Ho imparato troppo tardi come salvare i miei genitori ma proteggerò gli altri. Anche se questo significa sfidare l’Autorità. Guardo nel cielo, verso il sole, la cura. Il mio cuore si stringe. Colori si dipingono nel cielo: rosso, arancione, giallo, verde, blu, indaco, violetto. Un arcobaleno. I colori brillano, belli come li ho sempre immaginati. Voltandomi per vedere le reazioni degli altri, noto una ragazza che scende dalle rocce nere. Fissa proprio me. La sua pelle rosa pallido non mi sembra familiare ma i suoi capelli rossi mi ricordano... Può mai essere? La ragazza finisce la scalata e grida qualcosa ma è troppo lontana perché possa udirla. Mentre si avvicina, riconosco il colore degli occhi: lo stesso celeste del mare, gli

occhi inusuali della mia migliore amica. Corriamo una verso l’altra. Ci abbracciamo per la prima volta sotto il cielo illuminato dal sole. Dopo tutto questo tempo, Arc è tornata da me.

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