Rolando Leanza
Democrazia avanzata
Democrazia avanzata
Rolando Leanza
Block Notes 1.0
Note per una proposta di riforma costituzionale
URBI ET ORBI
2013 © Autopubblicazione Prima edizione digitale: Dicembre 2013 Revisione digitalizzata: Aprile 2014 Tutti i diritti riservati trattati dall’autore. Quest’opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore. È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata e-mail:
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ISBN 9788868852047
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ISBN: 9788868852047
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Indice dei contenuti
Presentazione Premessa
PARTE PRIMA
I - CAPITOLO II - CAPITOLO III - CAPITOLO IV - CAPITOLO
PARTE SECONDA
V - CAPITOLO VI - CAPITOLO VII - CAPITOLO VIII - CAPITOLO IX - CAPITOLO X - CAPITOLO
PARTE TERZA
XI - CAPITOLO XII - CAPITOLO XIII - CAPITOLO XIV - CAPITOLO XV - CAPITOLO XVI - CAPITOLO XVII - CAPITOLO XVIII - CAPITOLO
Alla mia famiglia: Maria mia moglie, Don Giuseppe e Rocco i miei figli. Rolando
Presentazione
Mi è capitato spesso, come forse fanno in tanti, di elucubrare sugli accadimenti di tutti i giorni e magari di prendere qualche appunto: così è nata l'idea di questo libro. Da tanto, ormai, è opinione comune che la politica vada cambiata, che debba essere modificato soprattutto l'approccio ai problemi concreti della vita: i parlamenti e i governi che si sono succeduti ormai da tempo immemore - è sbagliato pensare che gli errori appartengano solo agli ultimi venti anni continuano a usare una modalità superata e controproducente. Alla luce di tutto ciò, l’idea di dire la mia non è poi tanto peregrina. Gli appunti sono diventati tanti e la decisione di metterli insieme per contribuire a formulare proposte da discutere è stata immediata: non mi considero uno scrittore, il che ha rappresentato un ostacolo da superare, insieme alla paura di non essere compreso o di essere accolto con sarcasmo. La situazione della maggior parte dei cittadini, però, è ormai così drammatica che considero accettabile anche un pubblico ludibrio, se avrò la capacità di provocare un’alzata di scudi contro la presunta impossibilità di cambiare in meglio la vita di tutti.
Premessa
L’idea di non trattare gli argomenti come un saggio, se non in piccola parte, è stata dettata dalla preferenza per una formula che possa essere accolta come un abbozzo di norma non definitiva, in maniera da far comprendere le concatenazioni che una scelta normativa implica rispetto a un’altra. Per quanto attiene alla forma redazionale, in un primo momento era sembrato logico attenersi a uno schema tipo ricerca - analisi - proposta. Nel corso dell’esposizione è stato privilegiato un linguaggio che nel contempo ponesse il focus sul fenomeno, ne commentasse l'aspetto negativo contestualmente alla visione prospettica dell’idea di soluzione da proporre per poi, in un secondo momento, riprendere l’argomento per illustrare e motivare l’ipotesi proponente. La proposta del metodo diretto per l’esercizio della democrazia nel terzo millennio, che consente di legiferare ordinariamente e permette al popolo di modificare legalmente le Costituzioni Nazionali moderne è sembrata l'unica forma di rivoluzione popolare perseguibile senza l'uso della forza né della violenza. Si tratta di una riforma diversa dalle opinioni correnti, che evidenzia le ragioni etiche delegittimanti le costituzioni democratiche moderne - qualora prive di strumenti popolari diretti di modifica globale e integrale. Tutti i popoli necessitano di strumenti giuridici diretti atti a definire gli obiettivi politici strategici per la soddisfazione dei bisogni degli individui e delle loro comunità secondo le proprie aspirazioni. Le scelte politiche inique provocano la crisi sociale con conseguente disaffezione popolare alla partecipazione elettorale e svalutazione della mediazione politica. Occorre riscoprire lo spirito della democrazia con le varie categorie dei valori e del bene e per una nuova legittimazione etica e sociale delle costituzioni democratiche. La risposta alla crisi istituzionale è la chiamata diretta del popolo a decidere,
lasciandogli acquisire l’indipendenza e la responsabilità, così da attuare la piena Democrazia Diretta. Occorre riconoscere al popolo il diritto ad esercitare il potere legislativo quale fonte primaria assoluta e diretta sovra costituzionale e quindi non limitabile da alcuno o da alcunché, integrando gli strumenti politici e quelli pertinenti al mandato parlamentare con la democrazia diretta, assegnando ai Referendum il ruolo legislativo primario attraverso la diversificazione delle materie, il raggiungimento del quorum, il meccanismo dei diritti delle maggioranze e delle minoranze, dei voti e votanti, attraverso il suffragio universale e il diritto di voto a tutti i minori. Spunti di proposte di revisioni costituzionali e legislative sono offerti al pubblico confronto per l’esercizio della mediazione politica, che va filtrata attraverso le scelte popolari. Viene, cioè, esplicitato il concetto dell’autore sulla cosiddetta mediazione politica: essa è giudicata necessaria e doverosa dalla stragrande maggioranza dei commentatori, i quali, però, tendono a valutare come scarsa la capacità del cittadino nel giudicare ciò che è meglio fare. Nello specifico le ipotesi riguardano un totale ridisegno dello Stato attraverso alcuni aggi ben determinati: - totale separazione tra loro dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario; - elezione diretta di Presidente della Repubblica, e del Capo del Governo: il primo quale responsabile del potere legislativo e del Parlamento e l’altro del potere esecutivo del Governo; - riduzione degli organi elettivi in percentuale alla popolazione; - Senato con meno di 100 senatori, quale organo inquisitorio e di controllo costituzionale, ma soprattutto organo di gestione e controllo del potere giudiziario; - sostituzione di Regioni, Province e Comuni con due livelli amministrativi intermedi in proporzione al numero degli abitanti; - assegnazione allo Stato dell'oro della Banca d’Italia e di tutte le proprietà pubbliche;
- invio di una lettera al Presidente Napolitano per sollecitare, con un messaggio alle Camere, l'esercizio della democrazia diretta sull'esempio della Svizzera. Le ipotesi normative esposte si intendono a integrazione delle norme esistenti e sono relative alle modifiche e alle sostituzioni da elaborare in relazione alle norme che non sono oggetto di commento. In ultima sintesi, la presente opera costituisce una lunga lista a mo’ di schema per un’elaborata esposizione da realizzare su un tema importante come le riforme e i progetti di legge relativi ad alcune materie, che l’autore realizzerebbe se fosse un “dictator” ispirato alla repubblica di romana memoria.
PARTE PRIMA
LA POSTA IN GIOCO
I - CAPITOLO
IL CENTRO DELLA QUESTIONE
1. Perché si continua a fare le stesse cose.
Negli ultimi anni, di fronte alla spaventosa crisi che, in misura diversa, tutto il mondo sta vivendo, anche il dibattito politico, trasferitosi sull’etere, ha assunto l'aspetto di un "reality":ognuno "spara" diagnosi e terapie economiche e sociologiche in modo talmente netto e contrapposto a tutti gli altri che non si è in grado di capire nulla da moltissimo tempo. Gli italiani, però, accusati di non leggere né giornali né libri, ascoltano curiosi, ma non si fanno condizionare più di tanto, perché, avendo nel sangue la “real-politik” sanno enucleare sempre e immediatamente il nocciolo delle questioni non trascurando mai di fare la seguente considerazione: “ Cosa me ne viene di utile?” C’è un aspetto, però, che tutti indistintamente e con sicurezza affermano di conoscere: ciò che il cittadino vuole dalla politica e dalle istituzioni, perché possa raggiungere quel benessere e quella felicità personale e della propria famiglia che consentirebbe di guardare al futuro e affermare con orgoglio e soddisfazione: “ Ce l’ho fatta”. Se tutti gli addetti ai lavori della politica, “ socialmente utili a loro stessi ed estremamente dannosi per il cittadino”, sapessero cosa il cittadino pensa e vuole e fossero disposti a offrirglielo, sarebbe un miracolo se il risultato di tale operazione fosse pari a zero. Invece il risultato di tutto l’impegno dei politici è stato che lo standard life è stato ampiamente compromesso ed è tornato indietro di venticinque anni, bruciando un capitale umano, sociale e di futuro pregiudicato irreparabilmente. Di fronte a tutti i saccenti, presunti conoscitori dei bisogni dell’uomo,
l'osservazione più semplice per un individuo che vive e lavora per la propria famiglia e il benessere dei propri figli è: “chi meglio del cittadino comune sa quello di cui ha bisogno?” E non sarebbe meglio chiedergli ciò che vuole in relazione ai suoi bisogni e desideri? Certamente è più semplice chiedere all’interessato e far decidere direttamente allo stesso, piuttosto che sostituirsi a esso per svolgere un esercizio d’interpretazione, semmai fosse questa l’intenzione. Con il sistema in vigore, in cui, attraverso il referendum, si può solo abolire una legge, indirettamente si è deciso di introdurre in Italia il divorzio, l’aborto ed altro. Se è possibile decidere indirettamente, perché non farlo in maniera diretta e non solo una tantum, ma regolarmente e in via ordinaria e senza limiti? Perché non rendere sistematica la prassi della richiesta di parere popolare, istituzionalizzando un metodo di consultazione che guidi le strategie della politica mediante i referendum? Sta alla politica rispondere. Se continuerà a fare come al solito cioè a non fare nulla, come dovrebbe reagire il popolo, quanto ancora potrebbe continuare a sopportare e subire sempre e comunque? Anche in altre epoche, il popolo ha reagito alla sordità delle classi governanti, ricorrendo all’ultimo mezzo che nessuno si augura si debba adottare, cioè la forza della violenza. Nessuno può sopportare di non riuscire a dare ai propri figli di che sfamarsi né rassegnarsi al fatto che non avranno alcun futuro. Se qualche ardimentoso ritiene che questa sia un’immagine di altri tempi, è meglio che accetti il consiglio di cominciare a correre e scappare presso altri lidi perché, non c’è più un posto sicuro per lui. Ormai nessuno più disconosce la crisi, le cui conseguenze nefaste incutono sgomento e, soprattutto, una irrazionale paura di cosa possa riservare il futuro, maggiormente aggravata dal recente insolito e inatteso evento delle dimissioni di Papa Benedetto. La crisi di tale proporzione ha portato l’intero genere umano sull’orlo di un baratro irreversibile poiché anche nelle nazioni finora solide e con percentuali di crescita a due cifre, le cose inizieranno a volgere al peggio. Fra non molto non si avranno più mercati dove collocare le merci e allora la crisi sarà globale, totale e incontrastabile. Soprattutto nei momenti più gravi si deve comprendere che occorre intervenire con rapidità e bene. Bisogna approfittare di questo momento
difficile vissuto da tutti perché ognuno si convinca che si deve cambiare per il meglio e per il bene dell’intera comunità e con il contributo personale di ciascuno. Anche il grande Albert Einstein, ne "Il mondo come io lo vedo" del 1931, affermava: "Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose. La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi. La creatività nasce dall'angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. È nella crisi che sorgono l'inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera sé stesso senza essere “superato”. Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e difficoltà, violenta il suo stesso talento e dà più valore ai problemi che alle soluzioni. La vera crisi, è la crisi dell'incompetenza. L'inconveniente delle persone e delle nazioni è la pigrizia nel cercare soluzioni e vie di uscita. Senza crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è una routine, una lenta agonia. Senza crisi non c'è merito. È nella crisi che emerge il meglio di ognuno, perché senza crisi tutti i venti sono solo lievi brezze. Parlare di crisi significa incrementarla, e tacere nella crisi è esaltare il conformismo. Invece, lavoriamo duro. Finiamola una volta per tutte con l'unica crisi pericolosa, che è la tragedia di non voler lottare per superarla." La crisi è dunque la molla che fa decidere tutti all’unisono di agire, senza optare per una rivolta che comporterebbe una distruzione dell’esistente prima di cambiare le cose. Già è accaduto con la rivoluzione se di fine ‘700. L’opportunità di una crisi fornisce l’occasione buona per cambiare le cose, si può cambiare anche tutto nei limiti della legalità e dell’ordine dato dalle leggi in vigore. In quest’ottica anche una battuta udita in un episodio del serial “RIS Roma”, fatta recitare dal personaggio Daniele Ghirelli, è efficace perché definisce e sintetizza un pensiero di sapore metafisico abbastanza diffuso: “Senza ordine nulla può esistere. Senza caos nulla può evolvere”. Dopo aver detto di come la crisi può essere un’opportunità, si deve constatare un’assurdità inspiegabile. Uno dei più grandi pregi del popolo italiano è sempre stato che, in tutti i momenti di crisi e di difficoltà, esso ha trovato dentro il proprio animo la forza di superare le difficoltà e di conquistare una nuova posizione che l’ha collocato in una situazione migliore e più propizia rispetto a
quella che deteneva prima del momento della crisi. Questa caratteristica preziosa sembra mancare all’uomo politico italiano degli ultimi decenni, per cui avviene l’assurdo che proprio tale caratteristica utile per raggiungere gli obiettivi che tutti sperano, sia quella disattesa e non impiegata per trovare le migliori soluzioni ai problemi.
2. Enucleare il nocciolo della questione.
È necessario domandarsi cosa impedisca di cambiare quel che tutti vorrebbero modificare e quali siano gli strumenti per emendare le norme preposte a migliorare le leggi senza ricorrere, come nel ato, a rivoluzioni, seppur non violente. Molti, se non tutti, affermano che è necessario aggiornare in più punti, tra i quali l’organizzazione istituzionale dello Stato, la giustizia, l’assetto parlamentare e quello istituzionale locale, la legge delle leggi: la Costituzione. Oltre al contenuto, probabilmente occorre ancor prima aggiornare le norme che regolamentano le procedure di revisione costituzionale, perché in se stesse costituiscono un impedimento a una modifica agevole e partecipata. Di fronte a meccanismi giuridici di revisione costituzionale così complicati e resi impraticabili senza l’uso di mezzi coercitivi, occorre prendere atto che va modificato il meccanismo giuridico, poiché inefficiente. È diventato essenziale e prioritario dotare la Costituzione di meccanismi di modifica agevoli e di contenuti sostanziali, dotandola di una procedura di aggiornamento continuo e permanente decisa direttamente dal popolo. Attuare la nuova politica, in cui è il popolo che sceglie la strategia da applicare e la mediazione politica attua la tattica per raggiungere gli obiettivi strategici, non esclude l’elaborazione di ipotesi strategiche dei politici da sottoporre al referendum popolare. La fonte del potere è nel popolo; pertanto, si dia a esso tutto il potere diretto e senza restrizioni in modo da sfatare l’aforisma attribuito a Mark Twain che di nuovo circola negli ultimi tempi: “Se votare servisse a qualcosa, non ce lo farebbero fare”.
3. Sconfiggere l’astensionismo e la disaffezione.
Occorre riconoscere al popolo il diritto a esercitare il potere legislativo quale fonte primaria assoluta e diretta sovra costituzionale e quindi non limitabile da alcuno o da alcunché, integrando gli strumenti politici e quelli propri del mandato parlamentare con la democrazia diretta. Rendendo al popolo un effettivo e reale - nonché pieno - potere legislativo, quale fonte primaria assoluta e diretta sovra costituzionale di una democrazia diretta, la mediazione politica dei rappresentanti parlamentari sarebbe rimodulata e troverebbe nuova efficienza ed efficacia. L’attività generale senza vincolo di mandato acquisirebbe nuovo significato e l’impegno parlamentare troverebbe un importante compito proprio nel vincolo di mandato, avendo come effetti una più proficua redazione e il coordinamento delle decisioni adottate dal popolo tramite i referendum. Inserendo al primo posto la volontà popolare nella gerarchia dei poteri statali quale fonte primaria del diritto e dei poteri, le norme costituzionali diverrebbero di esclusiva pertinenza del popolo e per tutte le altre leggi ordinarie e straordinarie il consenso popolare potrebbe essere sempre decisivo per apportare agevolmente le modifiche ritenute necessarie. Il popolo, quindi, svolgerebbe direttamente una funzione legislativa insieme al Parlamento ma rispetto a esso sarebbe preminente, mentre il legislatore parlamentare dovrebbe avere il compito di elaborare proposte diverse e alternative da sottoporre al consenso popolare. Anche il suffragio universale avrebbe nuovo significato perché l’universalità significa che nessuno è escluso. Tutti i cittadini hanno diritto al voto, anche se minori di età. Una siffatta chiamata del popolo a decidere direttamente sulle strategie politiche da elaborare e attuare senz’altro contribuirebbe a limitare e forse annullare del tutto la disaffezione popolare alle consultazioni elettorali. Il popolo troverebbe in se stesso la forza e la volontà di partecipare attivamente alla vita politica e lo farebbe gratuitamente e con sentito impulso, perché si renderebbe conto che l’impegno da profondere sarebbe fruttifero. Forse è proprio ciò che non vogliono i politici odierni. Se, invece, tutto ciò non dovesse vedere la luce, sarebbe logica conseguenza chiedersi:
“La rappresentanza politica può divenire tirannica?” Ci si dovrebbe chiedere, allora, come comportarsi se anche la rappresentanza politica democratica può assumere una forma tirannica per cui: “l'uomo non sia mai costretto, in supremo ricorso, alla rivolta contro la tirannia e l'oppressione”.(Citazione dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo: Preambolo).
4. Revisionismo costituzionale agevole.
La necessità di revisionare le norme costituzionali è ormai riconosciuta da tutti, salvo decidere quali e quante norme siano da modificare. Orbene, molte sono le proposte e le ipotesi di modifiche costituzionali che campeggiano nelle menti degli “opinion leader”; ma la cosa che il cittadino normale, che vive sulla propria pelle la crisi economica e soprattutto quella politica, si chiede ogni volta è: “Cui prodest?”A chi giovano tutte le leggi che s’inventano i politici? Invero la cosa più necessaria, si è detto, è quella di adottare un modello che contempli meccanismi di modifica e revisione costituzionale con modalità più agevoli, contenuti sostanziali e un aggiornamento continuo e permanente. Un modello che preveda anche una costante e continua adattabilità modulare che possa interpretare nel migliore dei modi la necessità di mutamento dello Stato in un contesto europeo che anch’esso, con un’approssimazione successiva costante e continua, è e sarà sempre più in trasformazione e mai in modo esaustivo e finale, al fine di conseguire una sempre più diffusa integrazione comunitaria per una concreta e completa unione politica, economica, giuridica, legislativa e sociale. Nessuno vorrebbe svegliarsi una mattina e scoprire che il popolo, di propria autorità, con una forma di democrazia diretta non controllata, non disciplinata e in forza di minoranze più attive, ha deciso che i politici debbano essere sostituiti tutti in una volta, o peggio, che dei politici non c’è più bisogno: ci si ritroverebbe in una nuova era rivoluzionaria con la ghigliottina in piazza.
5. Lobby e Rappresentanza.
Le lobby e i potentati economici e politici che storicamente, come classe dominante, hanno da sempre detenuto il potere - specialmente dopo la rivoluzione se che aveva tentato di eliminarli dalla scena - hanno favorito la cooptazione dei nuovi ricchi al circolo riservato di chi esercita il potere. Nello stesso tempo, alle classi medie e ai borghesi è stato consentito di avere un piccolo benessere e una forma di partecipazione alla vita decisionale della comunità mediante una forma democratica che non consente alla base popolare di assumere le decisioni dirette sulle politiche, soprattutto su quelle atte all’ordinamento giuridico e socio economico. I potenti in pratica, hanno ceduto a una rappresentanza democratica il potere formale che è sempre stato limitato nei fatti e, comunque, le richieste della base democratica sono state continuamente filtrate con la teoria della mediazione politica. Infatti, vigendo il criterio di selezionare le scelte con decisioni “multilevel”, la base non ha la possibilità di sintesi decisionale. È stato concesso soltanto un benessere più diffuso alle classi borghesi, e a quelle impiegatizie medie ed operaie di livello medio–alto, a condizione che la retribuzione sia riutilizzata per acquisire beni e servizi cosicché serva ad aumentare gli utili dei potentati economici. In pratica l’espressione gattopardesca secondo cui “tutto debba cambiare perché nulla cambi” è la sintesi perfetta del fatto che i potenti di sempre continuano a essere potenti e qualche nuovo potente deve essere assimilato affinché concorra a riaffermare e perpetuare un tale stato di cose; altrimenti sarà screditato con ogni mezzo e doverosamente messo da parte volente o nolente. Quello italiano tra i popoli è certamente il più raffinato e smaliziato frutto di uno smisurato patrimonio genetico culturale prodotto da una plurisecolare società avanzata e da una bimillenaria cultura cristiana. Quest’ultima è stata anche la base fondamentale di un pensiero razionale, la sola capace di far evolvere il pensiero scientifico al livello attuale di conoscenza e senza la quale la scienza stessa non avrebbe potuto evolvere fino al punto in cui è adesso. Forte di questa esperienza, il cittadino italiano sa di dover contare soprattutto su se stesso per
garantirsi un futuro migliore. Ha la capacità di sapersi gestire sempre e dovunque e di proiettare la sua visione di vita e ricerca del benessere verso il futuro proprio e dei propri figli e per questo ha il maggior patrimonio personale e di risparmio al mondo. Ebbene, un tale risparmio è continuamente setacciato ed eroso dalle politiche sovranazionali, che spingono l’amministrazione della cosa pubblica a produrre sempre più debiti per poi farli pagare al risparmio accumulato dal cittadino italiano. Quest'ultimo non si fida delle quote societarie ed azionarie, sa bene che sono servite solo per drenare i suoi risparmi a favore di speculatori senza scrupoli. Anche la storia del capitalismo italiano è carico di esempi che riaffermano questa tendenza, perché esso si è sviluppato prevalentemente in un ambito familiare, mentre le compagnie azionarie diffuse non hanno retto nel tempo. Ora non ci sono più le risorse per garantire un modesto benessere diffuso per i più. Per l’ingordigia di pochi il tacito accordo con i potenti è saltato e andrà sempre peggio. La storia insegna che occorre ritrovare al più presto un equilibrio e se il suo ripristino non sarà gestito politicamente secondo regole precise, è facile che si rigeneri spontaneamente, ma spesso a scapito di qualcuno. Finora storicamente le classi più povere, dalla notte dei tempi, sono state sempre quelle che hanno subito e pagato a favore delle classi potenti e ricche, che dopo ogni crisi sono risultate sempre più ricche. SALVO CHE. Salvo che, alla fine, qualcosa cambi davvero e per sempre.
6. Mediazione politica.
La mediazione politica oggigiorno s’identifica con la rappresentanza senza vincolo di mandato. Significa che i cittadini eleggono i parlamentari e questi possono fare ciò che vogliono infischiandosene degli elettori e cercando di arraffare il massimo possibile fino a quando non sarà loro impedito. Orbene, con un nuovo ordinamento, basato sulla democrazia diretta, il mandato parlamentare e la mediazione politica devono essere esercitati principalmente come elaborazione di proposte, elaborate e coordinate con le leggi preesistenti,
predisponendo un progetto organico con soluzioni multiple, anche con più di una ipotesi, da sottoporre al consenso degli elettori. In sostanza è la decisione elettorale che deve predominare e il parlamento sarebbe tenuto a facilitare la scelta dell’elettore. Infatti, il parlamentare deve svolgere il suo lavoro legislativo nei limiti del consenso ricevuto e secondo le prerogative di legge e del mandato ricevuto, attuando così la nuova politica dove il popolo sceglie la strategia da applicare, mentre la mediazione politica indica la tattica per raggiungere gli obiettivi strategici decisi dal popolo e poi elabora le ipotesi strategiche da sottoporre al referendum popolare. Nella sua attività il parlamentare non deve e non può dimenticare che tutta la sua attività e tutto il suo impegno devono tendere a essere coerenti con i compiti della carica ricoperta e del mandato ricevuto, ma devono soprattutto tendere a ricercare "il bene" che sta alla base di tutte le attività della comunità rappresentata. La consapevolezza del ruolo deve essere ancor più cosciente poiché, come rappresentante politico, egli è un privilegiato, avendo prerogative e benefici notevoli, che possono diventare non sopportabili dal popolo qualora egli si renda protagonista di episodi di malgoverno o altro.
II - CAPITOLO
IL BENE
7. Importanza dell’equilibrio.
Corre l’obbligo di proporre un intermezzo di riflessione sull’equilibrio e sul perché è indispensabile rispettare le regole in una convivenza civile. Nell’accezione generale, per rispettare la legge nella lettera e nello spirito è essenziale che essa sia non solo giusta, ma anche compresa come tale, giacché la legge è al servizio del cittadino affinché la convivenza scorra senza conflitti tra le persone e, qualora avvenga un conflitto, le regole servono per dipanarlo. In pratica è necessario che tra il vincolo della regola e la sua giustezza ci sia un equilibrio tale da far comprendere alla persona che deve osservarla che detta regola è a suo favore e non a suo danno perché ingiusta. Solo così il cittadino decide spontaneamente e liberamente di aderire al tipo di vita legato alla società e alla comunità in cui si trova, accettando e rispettando le regole di convivenza civile. Solo così si comprende come l’uomo tenda alla felicità in un ambiente sociale in cui ognuno occupa un posto che ogni individuo contribuisce a trovare, definire e costruire accettando di vivere al meglio in quel determinato ambito. Se si sta nel posto giusto, si favorisce quell’equilibrio naturale che consente di conseguire uno stato di appagamento in un quadro di relazioni sociali e personali appropriate, che rendono manifesto tutto l’equilibrio del creato. L’equilibrio è la cosa più fantastica che si può ammirare e osservare in un cielo pieno di stelle, pianeti, satelliti lunari, comete; appese nel cielo, si muovono senza motori, non si scontrano tra di loro, ma si attraggono e si respingono come in una coreografia spettacolare. Essi percorrono l’immensità dei cieli infiniti in un equilibrio perfetto.
Quale importanza ha l’equilibrio? Qual è il suo fine intrinseco? A che serve, quale utilità deriva dall’equilibrio? A ben riflettere l’equilibrio è il risultato della pratica applicazione di rigide e precise leggi matematiche nella chimica, nella fisica e nella metafisica, che governano le relazioni e le dinamiche delle varie parti dell’universo, sia nell’immensamente grande sia nello smisuratamente piccolo. Non si tratta di regole insignificanti più o meno compatibili tra loro secondo la necessità parziale o locale. Esse invece, sono necessarie e indispensabili a costituire un unico, composto di elementi che vivono la propria dinamica in funzione di un risultato comunitario, un’entità unica in cui l’equilibrio è l’essenza stessa dell’armonia senza la quale l’intero universo, non solo lo spazio infinito ma anche le cose, gli esseri viventi e le persone fin nel profondo dell’animo, non può manifestare la sua magnificenza. L’attenta osservazione del creato mostra che l’equilibrio si realizza nel movimento degli astri e dell’atomo, dei pianeti e dei nuclei, delle lune e degli elettroni. Il movimento si realizza nello spazio e nel tempo e produce emissioni di vibrazioni sonore e luminose. Si distingue sensibilmente l’armonia dello spartito musicale con battute sonore e luminose delle note, alternati dagli spazi vuoti e dai silenzi. Tutto genera una melodia armoniosa di un’orchestra immensa e smisurata che è necessaria a riempire il cuore dell’uomo che va alla ricerca della felicità, che, come si dice, vuole toccare il cielo con un dito. La figura del cielo non è che la visibile rappresentazione dell’Ente supremo; e l’uomo è alla costante ricerca sua e della sua benevolenza perché Egli ci riconosca come i suoi figli, poiché noi possiamo riconoscerci fratelli gli uni degli altri. La vita di ogni persona deve permanere in equilibrio; anzi, sia le persone e le sue relazioni sociali che le cose devono stare in equilibrio con sé e tra di loro per sprigionare l’armonia di sé in un “unicum continuum”. L’equilibrio è una condizione di vita necessaria e indispensabile. È necessario all’uomo e alla sua vita e lo è senza sofismi religiosi, ma questo non significa che non si debba credere in un ente supremo, che per l’autore risiede nella tradizione cattolica del Dio Creatore manifestatosi con Gesù per mezzo dello Spirito Santo. L’equilibrio è perfezione, quella perfezione che fa sentire l’animo ricolmo di una certezza e di una sicurezza che danno all’uomo la consapevolezza della propria dimensione imperfetta, pur consentendogli una stabilità mentale e una fermezza della cognizione del proprio stato che gli fanno vivere la vita fino in fondo. L’equilibrio è la garanzia di un futuro pieno di speranza, innanzitutto perché il futuro ci sarà, è assicurato che ci sia. La garanzia del futuro assicura
all’uomo che, sebbene egli sappia che in qualsiasi momento potrebbe venir meno, le sue aspirazioni, i suoi sogni possono essere comunque conseguiti e realizzati. Orbene, ogni azione che provocasse anche la più piccola alterazione all’equilibrio andrebbe corretta, perché essa porterebbe il caos e il caos non lo si può governare. Ogni alterazione dell’equilibrio va compensato per ripristinare il benefico equilibrio stesso: non per nulla ad ogni azione corrisponde un’altra azione uguale e contraria. Una tale compensazione è necessaria e indispensabile e tutto nella vita di una persona, nella quotidianità sociale deve - e sottolineare "deve" è d’obbligo - riequilibrarsi. C’è, però, una considerazione da fare, perché riequilibrare non significa ritornare allo statu quo ante . Ritrovare l’equilibrio significa che una nuova situazione si viene a determinare assorbendo la variazione verificatasi in una nuova azione riequilibrante andando a trovare un ulteriore equilibrio e una nuova situazione. L’azione necessaria al ripristino dell’equilibrio, però, costa un prezzo più o meno pesante, senz’altro doloroso e di solito la variazione o il danno provocato dall’alterazione non consente il ripristino nella identica situazione preesistente. Si pensi, ad esempio, al danno in un incidente in cui muoia una persona: l’equilibrio da ristabilire esige una riparazione che può essere fatta in molti modi, ma la persona deceduta non può tornare al suo posto, e il colpevole, da quel momento in poi, non è più la stessa persona. La dimensione dell’equilibrio in fondo serve per far capire che nessuno può esimersi dal vivere la propria vita in modo adeguato secondo canoni appropriati. Nessuno può esimersi dal fare la cosa giusta perché è doveroso farla. Tutto ciò fa comprendere l’essenza della libertà che non è fare quel che la persona vorrebbe, soddisfacendo il principio utilitaristico di quel che conviene sul momento, vivere il presente qui ed ora non pensando alle persone che ci circondano, non pensando al futuro, confidando il meno possibile in ciò che ci aspetterà domani, condensato nella locuzione “carpe diem” . Invece è saggio e doveroso usare la libertà, che ci è stata resa disponibile, per accettare liberamente di compiere quel che le note del famoso spartito della vita ci suggeriscono di realizzare. Le conseguenze di questo fare o non fare implicano che l’uomo stesso liberamente decida di come comportarsi e determineranno il futuro: la felicità di toccare il cielo con un dito o rinunciarvi. La dimensione dell’equilibrio, quindi, va coniugata con l’armonia tra gli esseri viventi in uno stato di godimento della
bellezza in cui si è immersi. Il tutto è chiaramente definibile e denominabile con il termine: “IL BENE”
8. Bene comune
La comunità politica – insegna il Concilio Vaticano secondo – esiste in funzione di quel bene comune, nel quale essa trova significato e piena giustificazione e dal quale ricava il suo ordinamento giuridico, originario e proprio (Gaudium et Spes, 74). In breve si può affermare inequivocabilmente che una nazione, un’organizzazione internazionale, un’aggregazione comunitaria anche sovranazionale, ma anche una famiglia nascano, si costituiscano, s’istituzionalizzino, si organizzino e si strutturino in ogni elemento singolo o in gruppi d’insieme omogenei impegnando anche notevoli risorse umane e non, per svolgere attività e conseguire risultati al solo fine di realizzare il soddisfacimento dei bisogni della comunità stessa indicati genericamente come “bene comune”. Se i risultati non sono quelli sperati o si vuole mistificare che i risultati ottenuti sono quelli utili e possibili, si genera un conflitto in cui qualcuno si attribuisce meriti ed altri sconfessano gli stessi. A quel punto è necessario valutare i frutti prodotti dall’albero per avere la cognizione certa e inconfutabile di quale albero si tratti. Se i frutti di un sistema politico, quindi, sono un’assoluta mancanza di risultati positivi per il bene comune secondo le necessità di chi ha soprattutto l’urgenza di soddisfare i bisogni primari del lavoro, di una soglia minimale di benessere (c.d. “mettere insieme il pranzo con la cena”), è evidente che il sistema è inefficace e pertanto ingiusto. Se ciò accade in una circostanza, in un periodo limitato, in situazioni particolari di crisi, si può senz’altro affermare che l’errore è possibile ed è umano. Il fallimento è riconoscibile qualora un sistema politico ingiusto si protragga costantemente e per periodi temporali di alcuni decenni. Ancora peggio se non riesce a soddisfare i bisogni dei componenti la comunità e soprattutto dei bisogni primari per una larghissima parte di quella comunità e se offre come
contropartita, sistematicamente, l’assenza di strumenti idonei ed efficaci a modificare il sistema politico. Allora è possibile definire senza ombra di dubbio che un tale sistema di rappresentanza politica ha fallito gravemente la sua missione ed è certamente ingiusto, moralmente colpevole, eticamente responsabile dell’oppressione che il popolo patisce ed è fondamentalmente tirannico. Quando una rappresentanza politica diventa tirannica, nei fatti a nessun popolo è chiesto di sottostare ivamente ad essa tanto che anche la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo nel Preambolo spera che in conseguenza di un abuso: “l'uomo non sia mai costretto, in supremo ricorso, alla rivolta contro la tirannia e l'oppressione”.
9. Società e comunità.
Secondo un’accezione diffusa si usano i termini società e comunità in una maniera alquanto indifferenziata come fossero dei meri sinonimi. Con il termine comunità si rappresenta un insieme, matematicamente inteso, di elementi e componenti che hanno un’identità comune per aspetti diversi quali quelli etnici, culturali, storici, religiosi, di origine territoriale, di organizzazione politica, di sentimenti familiari e di appartenenza per nascita e censo. Un tale contesto fa pensare alla polis greca antica che si avvicina al concetto moderno della nazionalità, anche se nell’attuale diritto esso non è ben definito. Con il termine "società" s’intende un insieme che ha la sua base costitutiva intrinseca nel diritto e in una serie di elementi culturali, antropologici e storici. Tutti questi fattori ci riportano alla civiltà romana della res publica, una società governata soprattutto dalle sue classi tanto quanto la comunità è controllata dalle sue etnie maggioritarie. Il romano aveva l’orgoglio e il diritto di rivendicare la sua condizione: civis romanus sum, ovvero sono cittadino romano, locuzione che indicava l'appartenenza all’Impero Romano, sottintendendo la titolarità di tutti i diritti e i doveri connessi a tale stato.
Riconoscersi nella società di appartenenza, rivendicare la propria cittadinanza in comune costituisce in pratica la determinazione della definizione sintetica di "sangue e suolo" che va a costruire uno stato giuridico, che va ad unire i contenuti giuridico – sociali dello ius sanguinis con lo ius soli. Tutto ciò però non significa privilegiare un aspetto a danno dell’altro perché si è consapevoli che "in medio stat virtus", per cui i due aspetti vanno concatenati e coordinati insieme.
10. Il bene individuale.
Il bene individuale, inteso della singola persona indipendentemente dalla sua allocazione sociale tipo famiglia gruppo, tribù, consiste nel complesso di beni materiali, immateriali, rapporti interpersonali e quant’altro si può definire bene, anche estremamente soggettivo, di cui ogni persona cerca di possedere, conservare e usufruire per il proprio personale ed esclusivo soddisfacimento.
11. Il bene collettivo.
Con l’espressione “bene collettivo”, secondo una prima e vasta accezione, è intesa la somma, come quantità complessiva, dei beni dei soggetti individuali. Il termine “collettivo” è appropriato per riferirsi a una complessiva quantità di beni ai quali sono cointeressati alcuni individui o gruppi di soggetti che abbiano una natura esclusivamente privatistica.
12. Il bene comune e comunitario.
Le espressioni “bene comune” e “bene comunitario”, quest’ultimo usato un po’
meno, si prestano a equivoci: il più delle volte con la prima si compie una vasta estensione concettuale che ingloba sia il concetto di “comune” che quello di “comunitario”. Volendo fare attenzione ad esprimere concetti più aderenti all’etimologia, ma soprattutto ai valori attribuiti ai termini, si possono fare le seguenti considerazioni. Il termine “comune” è appropriato per riferirsi a un interesse, o un insieme di interessi, il cui risultato è perseguito da alcuni o gruppi di soggetti che abbiano una natura pubblicistica e non esclusivamente privatistica e individuale. Questi interessi possono essere comuni per una sola o più circostanze o per un periodo senza vincolo di gruppo precostituito e stabile o per gruppi a composizione variabile ed occasionale. In questo ambito è essenziale la cointeressenza di un gruppo, di un tempo, di un ambito, di un obiettivo, di una modalità, di una motivazione. Il più delle volte, inoltre, è insita la componente della disponibilità, in quanto il bene in argomento è esistente in natura e può essere usufruito gratuitamente come l’aria che si respira. Volendo avvalorare il concetto con un esempio, è corretto affermare che l’acqua è un bene comune in quanto utile e indispensabile alla vita e alla sopravvivenza dell’intero genere umano. In questa fattispecie, affermare che l’acqua, essendo un bene comune è anche un bene pubblico, è senz’altro corretto. L'uso del termine “comunitario” è appropriato per riferirsi ad un’entità non solo indivisibile ma che comporta uno svolgimento in comunione della vita dei componenti la comunità, i cui beni materiali, spirituali e di vita sono messi in comune e usati dalla comunità nel suo insieme, cioè un “insieme” come entità unica indipendentemente dal singolo, per accrescere il benessere e un miglior modo di essere nella e per la comunità. Volendo usare lo stesso esempio dell’acqua si può affermare che l’acqua è un bene comune e pubblico che diviene comunitario nel momento in cui una data aggregazione umana provvede alla sua captazione, al suo accumulo, alla sua distribuzione e al suo riciclo e trattamento a vantaggio di quella specifica comunità. Inoltre, anche in questa fattispecie il bene in se stesso rimane pubblico nel senso della proprietà lata di bene destinato all’uso dell’uomo, ma ciò non significa che la gestione della risorsa, dalla captazione alla sua distribuzione debba rimanere esclusivamente un’attività solamente pubblica.
13. Quale ricerca del bene.
Ad un primo esame immediato verrebbe da dire che è logico, saggio e opportuno che ogni persona ricerchi un bene che per ognuno può essere diverso dall’altro, e che il bene di uno può essere in concorrenza con quello dell’altro, che anzi il bene dell’uno esclude che lo stesso bene possa appartenere all’altro. In quest’alternanza d’interessi, per quanti hanno un pensiero logico reale meno ispirato da sentimenti spirituali, può essere di sostegno alla razionalità la teoria dell'“Equilibrio di Nash”. John Nash nel 1994 ricevette il premio Nobel per l’economia perché da matematico elaborò la teoria della nozione di “equilibro ” che porta il suo nome: essa è usata nell’analisi delle situazioni del conflitto individuandovi una razionalità, un comportamento, che non può essere incrementato unilateralmente anche conoscendo a priori le azioni dell’avversario. Parafrasando, se si è alla ricerca del solo bene personale, ma la ricerca viene compiuta in armonia, cioè non in conflitto o non a danno di quello comunitario, il vantaggio è reciproco perché porta a incrementare certamente sia il bene personale sia il bene comunitario. In questa logica, che è matematicamente dimostrata e accettata, parrebbe inverosimile che nessuno dei soggetti titolari dei mandati di rappresentanza parlamentare, che poi consiste nella delega dei cittadini a governare, senta l’impellente necessità di realizzare i cambiamenti necessari. Se così non fosse è logico e verosimile pensare che essi siano in mala fede e cerchino solo di rastrellare quel poco o tanto per tirare a campare. Oppure che siano consapevoli di appartenere o far agio alla classe dominante per godere singolarmente dei benefici che questa concederebbe. L’intero ragionare sul bene fa presupporre e porta a considerare che nella società post industriale e all’inizio del terzo millennio, in fondo, la strada maestra è stata smarrita. Non si intravede all’orizzonte neanche un miraggio di ciò di cui si ha bisogno. In realtà, nessuno sa veramente quale sia la strada da intraprendere; forse perché non è la strada il problema, ma la meta, che non si conosce. La
causa è la mancanza di progetti: sono inesistenti gli obiettivi, che possono sussistere solo se ispirati da valori ed ideali sui quali fondarli. In sostanza, sono questi ultimi che mancano oggigiorno nella società. Manca un modello politico culturale ispirato a valori riconosciuti e condivisi che possano determinare un progetto di gestione dell’economia, della finanza, delle istituzioni nuove, che indichi soprattutto quanto e in che modo ridistribuire la ricchezza per gestire un benessere il più diffuso possibile, basato soprattutto sulla dignità di un lavoro per tutti.
III - CAPITOLO
LA DEMOCRAZIA
14. La democrazia diretta negli Stati moderni.
La democrazia diretta non è un pensiero politico estemporaneo e ideologico, improvvisato e demagogico: negli Stati moderni esiste in certune nazioni. Le forme di democrazia diretta applicate non sono per nulla irrilevanti come si potrebbe immaginare, ma, ove adottate, sono senz’altro corpose e coesistono in maniera egregia miste ad un sistema rappresentativo. Negli Stati moderni lo strumento essenziale della democrazia diretta è il referendum, ossia la consultazione popolare in cui i cittadini sono chiamati a decidere su una questione dichiarandosi favorevoli o contrari. In letteratura vi sono molte forme di referendum e le più sperimentate sono state la abrogativa, la confermativa e la consultiva. Nella Confederazione Elvetica c’è l’esempio più diffuso perché la sua costituzione, che viene spesso modificata e aggiornata senza tanti problemi, contempla una democrazia avanzata che integra in maniera armonica la forma della democrazia diretta con quella rappresentativa. Il cittadino svizzero ha il potere di disporre della propria vita politica. Egli, infatti, può sia formulare proprie proposte di legge, sia abrogare quelle approvate dal Parlamento. L’aspetto migliore di una siffatta democrazia avanzata, che possiede la piena consapevolezza della democrazia diretta, è racchiuso nella definizione di Murray Bookchin che mette in evidenza come la democrazia diretta voglia conciliare
l’unità nella diversità. In letteratura molte sono le opinioni contrarie, ma tentare una forma di democrazia avanzata che garantisca una forma permanente di democrazia diretta, può essere corretta in ogni momento dagli stessi cittadini qualora non funzionasse.
15. Le crisi storiche nelle democrazie.
Le crisi nelle democrazie hanno origini lontane. Si sono sommati numerosi eventi con conseguenze tragiche e continui ricorsi storici. Si sono avute contrapposizioni imperialistiche e spinte irredentiste all’inizio del Ventesimo secolo, irrisolte nell’800, poi sfociate nella Grande Guerra del '15-'18. A seguito dei disastri provocati dalla guerra, ancor prima che terminasse, il Comunismo ha preso il potere in Russia. Le nazioni sconfitte, specialmente la Germania, hanno conosciuto una grave crisi economica. Nel disagio e nella confusione post bellica si sono alimentate le aspirazioni irredentiste di alcuni territori europei. Il capitalismo mal governato, congiunto alle speculazioni finanziarie americane ha dato luogo alla crisi economica del ’29. La paura dell’espansionismo comunista e la fame delle popolazioni hanno provocato un forte malessere, delegittimando le istituzioni dell’epoca, che non sono state in grado di dare sicurezza e benessere, con la conseguenza di permettere la nascita del nazifascismo in Europa e lo scoppio della seconda Guerra mondiale. Non bisogna dimenticare che un’altra crisi non solo economica ha provocato la rivoluzione se e che molti imperatori romani sono stati eliminati per motivi analoghi. Ora sembra essere ricominciato il giro di danza con una crisi economica e una dilagante delegittimazione della classe politica cui si sta rispondendo con un diffuso sentimento d’impotenza, con una coscienza di pericolo incombente per se stessi e il futuro dei propri figli. A fronte di ciò la risposta è un populismo dilagante che non può non provocare una reazione popolare che può essere anche di natura violenta, destinata a degenerare se non si avranno risposte adeguate.
Le crisi del ato hanno provocato gravi e luttuosi eventi che le nazioni hanno voluto scongiurare per sempre con un’affermazione di principio come la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo.
16. Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.
La Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo ha il grande merito di definire certi valori di riferimento valevoli per ogni cultura o tradizione. Nel Preambolo così recita: Considerando che il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti eguali e inalienabili costituisce il fondamento della libertà, della pace e della giustizia nel mondo; Considerando che il non riconoscimento e il disprezzo dei diritti dell'uomo hanno condotto ad atti di barbarie che offendono la coscienza dell'umanità e che l'avvento di un mondo in cui gli esseri umani saranno liberi di parlare e di credere, liberati dal terrore e dalla miseria, è stato proclamato come l'aspirazione più alta dell'uomo; Considerando che i diritti dell'uomo siano protetti da un regime di diritto per cui l'uomo non sia mai costretto, in supremo ricorso, alla rivolta contro la tirannia e l'oppressione; Considerando che è indispensabile promuovere lo sviluppo di rapporti amichevoli tra le Nazioni; Considerando che nella Carta dei popoli le Nazioni Unite hanno proclamato di nuovo la loro fede nei diritti fondamentali dell'uomo, nella dignità e nel valore della persona umana, nell'uguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne, e che si sono dichiarati decisi a favorire il progresso sociale e a instaurare le migliori condizioni di vita nella libertà più grande; Considerando che gli Stati-Membri si sono impegnati ad assicurare, in cooperazione con l'Organizzazione delle Nazioni Unite, il rispetto universale ed effettivo dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali;
Considerando che una concezione comune di questi diritti di libertà è della massima importanza per assolvere pienamente a tale impegno; L'Assemblea generale proclama la presente Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo come l'ideale comune da raggiungere da tutti i popoli e da tutte le nazioni affinché tutti gli individui e tutti gli organi della società, tenendo sempre presente allo spirito tale dichiarazione, si sforzino, attraverso l'insegnamento e l'educazione, di sviluppare il rispetto di tali diritti e libertà e di assicurarne, attraverso misure progressive di ordine nazionale e internazionale, il riconoscimento e la applicazione universale ed effettiva, sia fra le popolazioni degli Stati-Membri stessi, sia fra quelle dei territori riposti sotto la loro giurisdizione. All’Art. 2 invita la persona a "valersi di tutti i diritti e di tutte le libertà proclamate nella dichiarazione" anche in presenza di "qualunque altra limitazione di sovranità". La medesima dichiarazione tutela il diritto della persona alla partecipazione anche diretta alle decisioni della politica, in quanto la volontà popolare è il fondamento dell’autorità e dei poteri politici come si rileva all’art. 21 ai punti: 1) Ogni persona ha diritto di partecipare alla direzione degli affari pubblici del suo paese, sia direttamente, sia attraverso rappresentanti liberamente eletti; 2) La volontà del popolo è il fondamento dell'autorità dei poteri pubblici ...
17. Legittimità nelle democrazie.
La riflessione filosofica politica sul fondamento del potere nel pensiero giuridico e politico introduce il concetto di legittimità della norma giuridica, un precetto che regola la vita della comunità. Il precetto sussiste quando viene sancita, in forma scritta ovvero in forma orale o consuetudinaria, una norma o regola che gli individui, componenti una determinata comunità o gruppo, sono tenuti a rispettare, ad applicare o a non violare. Il precetto può essere di natura morale o giuridica.
Il Precetto giuridico, è originata dalla legge, infatti è inteso come norma giuridicamente considerata in senso stretto, deve avere la caratteristica della legalità in quanto conforme agli statuti costituzionali che stabiliscono chi sono coloro che sono chiamati dal popolo a governare e legiferare in una legittimità democratica e impersonale di una moderna società civile. Esso è ritenuto pertanto legale quando è deciso dal soggetto abilitato a farlo da una prescrizione di altro soggetto di grado superiore, e l’oggetto della prescrizione rispetta le altre norme legislative e non è contrario alle norme costituzionali. Il precetto morale, ha la sua origine dal divino e comunque è insito nell’animus dell’uomo, dal quale egli trova l’ispirazione per le sue azioni.
18. Legittimità morale e sociale.
La legittimità, ancorché legale, deve avere intrinsecamente in se stessa, nell’essenza del concetto, una conformità al valore morale. Infatti, non è ritenibile legittima un’autorità che adotti provvedimenti non destinati a promuovere il bene comunitario. Invero il sentimento generale ritiene pienamente legittima una disposizione di legge o di regolamento che persegua nella norma scritta, nello spirito e nei fatti ottenibili e conseguiti, la moralità dello sviluppo del bene della comunità e dei soggetti facenti parte di essa. Legittimità morale - Si ha il precetto morale quando la norma corrispondente è ispirata da un’origine divina o comunque insita nello spirito dell’animo umano. Ad esempio la prescrizione “non uccidere” risiede nella persona e fa parte dell'essenza vitale in essa depositata da un ente supremo; è scritta nei dieci comandamenti dati da Dio a Mosè sul monte Sinai. In fondo i dieci comandamenti non sono altro che la codifica scritta delle prescrizioni insite nell’umana coscienza ivi deposte. Legittimità legale – È di tipo razionale, fondata nella convinzione di giustezza di un comportamento che corrisponde ad una regola prescritta di
un ordinamento statuito quale ad esempio può essere una costituzione. Tale convinzione poggia nel profondo dell’animo umano; ad esempio si può citare il Giusto Giuseppe che secondo la legge prescritta vuol ripudiare la sposa Maria rimasta incinta dello Spirito Santo, e per questo è definito “giusto”. Se non la ripudia, è dovuto alla sua risposta di fede a un invito a rispettare un ordine superiore alla prescrizione di legge. In questo caso si trova un esempio di non rispetto di una regola ritenuta giusta di per sé, ma che diventa immorale nel caso specifico in quanto rispettare una regola di un soggetto di grado superiore, autorizza la violazione della regola impartita da parte del soggetto di grado inferiore.
19. Rispetto della legge.
Il rispetto della legge è sempre e comunque un valore da tutelare: tutti devono rispettare la legge in quanto determina le delimitazioni dell’azione individuale nel contesto sociale per avere una convivenza pacifica e condivisa. Obbedienza alla legge positiva. - Un’autorità può perdere la legittimità morale qualora tradisca il bene comune e comunitario ripetutamente e in forme perniciose al bene stesso. In questo caso il principio di obbedienza alla legge positiva si va a scontrare con la coscienza della persona che non può accettare ivamente una sottomissione incontestabile a leggi positive immorali ripetute nel tempo che mettano in grave pericolo la sopravvivenza del bene comune e comunitario, del bene collettivo, personale e della propria discendenza. L’obiezione di coscienza nell’ipotesi che non sia utilizzabile in quanto può riguardare solo prescrizioni che incidono unicamente sulle attività personali e non quelle di natura comunitaria. Allora, si porrebbe la necessità di sottrarre con ogni mezzo i responsabili di tali immoralità all’esercizio dell’autorità a suo tempo concessa e nello stesso tempo rimuovere le norme immorali. Il periodo storico che si sta vivendo, in cui la delegittimazione morale e sociale
dei rappresentanti parlamentari è in continuo aumento, pone l’interrogativo: quando il popolo, attraverso forme di protesta chiare, non ottiene le riforme necessarie e i rappresentanti parlamentari continuano ad ignorare le richieste popolari, il popolo stesso cosa può fare per rientrare in possesso del proprio potere? L’uso della forza, anche se non coincide sempre con la violenza, non la può escludere a priori. D’altronde il potere in precedenza era detenuto da altri soggetti quali l’Aristocrazia, gli Oligopoli industriali bancari o lobby di potere, gli Oligarchi, gli Oligarchi statali, i Gran commis e bojardi statali, ecc, ai quali attraverso azioni rivoluzionarie, quasi sempre violente e il più delle volte luttuose, è stato espropriato il potere, almeno quello formale.
20. Cause di delegittimazione.
La grave crisi riscontrata in quest’epoca fa sorgere inevitabilmente l’esigenza di porsi una domanda fondamentale: Le istituzioni politiche, giudiziarie, amministrative, sociali, religiose ecc. possono essere delegittimate? Quando i comportamenti personali dei rappresentanti delle predette istituzioni non corrispondono più agli ideali insiti nelle funzioni attribuite a ciascuno, tali rappresentanti divengono personalmente non più credibili. Quando, inoltre, i successivi rappresentanti perdono anch’essi la personale credibilità senza che il sistema di governo riesca ad invertire la realtà delle cose, a perdere tale credibilità non è più la persona rappresentante ma la stessa istituzione, poiché il meccanismo di sistema non è più regolabile per adattarsi via via alle nuove situazioni. Se, allora, oltre alle persone individualmente considerate, a perdere di credibilità sono una dopo l’altra tutte le istituzioni, si può affermare che, nella sua essenza, sia lo Stato a perdere la sua credibilità e quindi anche la costituzione di uno Stato possa perdere la legittimità? Come già accennato nel primo capitolo, nel momento in cui le norme costituzionali statali non rispondono più in tutto o in parte alla realtà è indispensabile cambiare le norme costituzionali. Il più delle volte esse prevedono regole per le modifiche attraverso un processo tale da rendere, però, di fatto impossibile modificarle, sia per le limitazioni degli
argomenti che per i tempi biblici di approvazione. All’inizio della seconda decade del ventunesimo secolo, i cambiamenti sociali ed economici profondi sono all'ordine del giorno: tale impossibilità di fatto a modificare adeguatamente la costituzione in maniera celere ed appropriata alle esigenze e alla realtà che mutano ogni giorno, produce l’unico effetto che una tale costituzione statale non è utile e non serve al cittadino e quindi, se il servizio che deve svolgere non è assolto, la sua legittimità non esiste più. La situazione si aggrava ancor più quando, come detto in precedenza, si prevede una limitazione propria dell’esercizio reale del potere popolare che viene declassato a potere di secondo livello subordinato alla Costituzione e a norme regolamentari di modo che il servizio che deve assolvere una costituzione diviene inservibile. In questa situazione anche un noto scioglilingua rappresenta emblematicamente una realtà concreta: Se la serva che ti serve è una serva che non serve, a che serve che ti serva di una serva che non serve? Ti servi d'altra serva che serve e la serva che non serve vada e serva chi si serve di una serva che non serve.
21. Costituzione democratica illegittima.
La democrazia, con definizione sintetica, è la forma di gestione di uno Stato che si basa sulla sovranità popolare le cui norme che regolano l’attività sono sancite da una legge speciale denominata Costituzione o Carta Costituzionale. Il
fondamento essenziale sul quale poggia la Costituzione di uno Stato democratico è quello che tutto il potere poggia sulla volontà popolare nell’istituire, revocare, modificare le norme con le quali lo Stato stesso deve essere governato. Nella diversità delle norme adottate si possono avere altrettante definizioni di democrazia: indiretta, rappresentativa, diretta, totalitaria, deliberativa ecc. In tutte le forme di democrazia, però, la relativa Costituzione deve contemplare una norma che, nel modo più pieno e concreto, rispondendo alla conformità del valore morale che legittima una norma giuridica, consenta alla volontà popolare, con la modalità di espressione del relativo consenso liberamente manifestato, di decidere di are da una forma democratica ad un’altra e senza esclusione e o limitazione alcuna. Qualora una carta costituzionale non contemplasse una tale norma, ovvero la contenesse con meccanismi giuridici di difficile o di inefficace attuazione, o che limitassero le materie e le modalità di espressione della volontà popolare, potrebbe essere definita legittima? Come può definirsi legittima la norma che non contempli la facoltà di chi detiene il potere nominale senza detenere un reale e concreto potere effettivo che di fatto non riconoscesse al popolo il potere legislativo sovra costituzionale? Storicamente, per ottenere una costituzione qualsiasi o una di tipo democratico i popoli hanno dovuto far ricorso alle rivoluzioni violente e non è stato certo un bene, ma un male necessario come difesa legittima. Quando però ci si trova davanti a meccanismi di revisioni costituzionali che non prevedono procedure di revisione totalmente integrali, ma limitate nelle materie e nelle modalità per poter avere le riforme, a cosa bisogna ricorrere? La violenza sarebbe l’unica strada percorribile? Fino a quando si abà della pazienza del popolo? Prima o poi il popolo vorrà assumere il potere di decidere e conservare tale facoltà da esercitare tutti i giorni e per sempre, non accettando più limitazioni di alcun genere al suo potere democratico assoluto e diretto che abbia un valore sovra costituzionale, regolando il vincolo del mandato parlamentare - e le materie ad esso riservate alla sua decisione diretta. La concreta mancanza nei fatti correnti dell’espressione del potere primario della volontà popolare in una democrazia che si fonda per definizione sul potere del popolo, di per sé costituisce l’immoralità della norma. Se la fonte del potere è il popolo e tutti gli altri poteri derivano da essa, nessun altro potere può limitare la fonte: al più è la fonte stessa a regolamentare - ma
non a limitare - le sue prerogative. Ciò pone un quesito alle democrazie moderne. Sono da ritenersi illegittime le norme costituzionali e le relative procedure attuate per la loro approvazione da una democrazia, qualora abbiano escluso o limitato, in diritto o in fatti, il potere primario del popolo, anche nel caso di ratifica popolare? Quando una qualsiasi norma è definibile come immorale c’è forse qualcuno che la può definire legittima? Quando una norma illegittima non può essere rimossa ordinariamente, chi o cosa può farlo? L’eventuale pronuncia di illegittimità è necessaria? Chi dovrebbe dichiararla? Chi può rivendicarla? O invece sono da ritenersi illegittime ipse iure?
22. La crisi dei poteri.
Da qualche decennio si va determinando una crisi politica istituzionale la cui gravità diventa sempre più grande, con incrementi marginali quotidiani, in quanto gli effetti sono aggravati e dilatati a dismisura a causa della più seria crisi economica finanziaria di sempre. La perdita di legittimità morale e di quella legale è sotto gli occhi di tutti. Lotte senza esclusione di colpi fra i tre poteri dello Stato nella democrazia italiana (il Legislativo, l'Esecutivo e il Giudiziario) si vanno accentuando. I poteri dello Stato democratico sono alla disintegrazione totale. La sola cosa che conta e che viene perseguita, in una foga spasmodica e senza più un minimo di ricerca di valori etici, consiste nell’affannosa rincorsa del consenso mediatico e dell’assoluta tendenza alla sopraffazione dell’altro che non si assoggetta alla propria ideologia o che è d’impedimento al conseguimento del proprio interesse personale o della propria tribù. Ciò che la fa da padrone è l’uso strumentale di ogni potere o influenza o capacità di sopraffazione per il soddisfacimento del proprio piacere in ogni ambito. Predomina una furia consumistica di ogni persona, oggetto od evento che capiti davanti, come se tutto debba essere preso e gettato senza averlo neanche assaporato, perché nel frattempo ci si pone davanti un altro elemento che deve essere anch’esso consumato e sprecato sull’altare dell’egoismo e dell’edonismo più sfrenato. Ciò spinge all’esaltazione drogata di una soddisfazione che non soddisfa e che porta all’impazzimento totale di una parossistica ubriacatura di
onnipotenza prima di stramazzare a terra privi di vita. A quel punto chi cede di schianto non esiste più né per sé né per gli altri, poiché un altro ha occupato il suo posto prima di fare spazio ad un altro ancora, in un’alternanza senza fine. Storie già vissute e metabolizzate attraverso racconti mitici quali il diluvio universale, la distruzione di Sodoma e Gomorra e di tante civiltà antiche e più moderne. Una fine totale, nel mondo globalizzato, potrebbe essere imminente: ma interessa a qualcuno? Tutti asseriscono di voler fare quel che serve per la situazione e s’impegnano ad elaborare diagnosi e cure, una dopo l’altra sempre diverse e sempre più uguali alle precedenti. Nessuno, però, afferma in via assoluta che la soluzione proposta da un altro potrebbe essere più efficace. La prima cosa da sperimentare è che “ Io devo” fare un o indietro per consentire di compiere un o avanti alla proposta di un altro.
23. Ripristinare la legittimità.
Quando si verifica un’evenienza delegittimante, ci si pone la domanda circa le modifiche alle regole della vita dei cittadini, quali norme possono essere cambiate e soprattutto da chi possono essere decise. Volendo tentare di dare una risposta valida e risolutiva a questi quesiti occorre un consistente grado di creatività, poiché finora scarse soluzioni di natura contenutistica sono state adottate, da singole parti politiche, in maniera non condivisa, e, quelle, poche che lo sono state, sono risultate inadeguate, peggiorative e del tutto inefficaci. La situazione allora suggerirebbe di ripartire dall’origine, impostando il lavoro innanzitutto sul metodo di approccio al problema, ricominciando quindi dalla fonte del potere. Chi e quali cambiamenti apportare alle norme che regolano la vita delle persone e delle istituzioni può essere deciso solo e soltanto dalla fonte del potere. Se la fonte primaria e originaria del potere in una democrazia appartiene al popolo, allora è il popolo l’unico che può provvedere legittimamente e in pieno a
decidere le norme che regolano la sua vita.
IV - CAPITOLO
GUERRE CIVILI MODERNE
24. Differenze da marcare.
Tra la fine del diciottesimo e la metà del ventesimo secolo si è assistito alla costituzione degli Stati Nazionali in larga parte del mondo. L’avvento degli Stati Nazionali si è consolidato con la diffusione abbastanza generalizzata dell’organizzazione statale su base più o meno democratica. Ha fatto seguito il riconoscimento di un ruolo sempre più equilibrante dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) specie dopo la caduta del muro di Berlino agli inizi dell’ultimo decennio del secondo millennio. Tali eventi hanno portato la convinzione diffusa nella stragrande maggioranza del mondo e dei suoi popoli che li attendesse un’epoca di stabilità diffusa e di pace internazionale, con qualche eccezione per alcuni focolai non ancora spenti, ma che presto potevano essere contenuti. A ciò ha fatto seguito la globalizzazione per avere un unico campo di battaglia nel quale eliminare le singolarità per avere un “ unicum” dove affermare la forza dei detentori del potere reale. Eccezion fatta per i manovratori globali, nessuno immaginava né poteva umanamente prevedere che si accendessero i riflettori della storia su situazioni di criticità che sarebbero state provocate e lungamente combattute con effetti dannosi e tragici sia per le conseguenze economiche e finanziarie, sia soprattutto per gli assetti giuridici dei popoli riguardo la legittimità dell’organizzazione politica e degli assetti istituzionali statali. La sorpresa è stata che tra i popoli, tra i componenti di una medesima comunità nazionale, tra gli elementi di una medesima comunità famigliare s’instaurasse un conflitto di natura particolare basato sulle differenze di valori e convinzioni in materia di etica, religione, giustizia, organizzazione sociale, gestione economica
e finanziaria, di partecipazione democratica ecc.
25. Impossibilità della presa di potere democratico.
Il problema riguardante il conflitto dei valori di riferimento si materializza nel momento in cui in una comunità essi non sono più generalizzati e non appartengono più a tutti i componenti la comunità, indipendentemente dai comportamenti tenuti. Ad esempio, nell’opera di Manzoni , I Promessi sposi, i Bravi minacciano Don Abbondio, ma manifestano in ogni caso un sentimento generalizzato di rispetto verso la religione, patrimonio che hanno anch’essi in comune con il sacerdote minacciato. Nell’attuale epoca, invece, nei valori di riferimento avviene l’esplosione di posizioni che non sono più patrimonio comune, ma i comportamenti rispecchiano convinzioni proprie non più legate ad un ente superiore. Si ispirano, invece, a valori definiti laici che non dipendono da alcuno. Come se ciò non bastasse, anche all’interno di grandi religioni come quella cristiana si è diffuso il c.d. “pensiero religioso secondo me”, accomunando alla dottrina cristiana sentimenti personali e di altre credenze religiose fuse in un sincretismo di totale confusione di idee, che provoca prese di posizioni sulle verità dottrinali riconosciute personalmente ingiuste e che devono essere cambiate per adeguarle ai tempi moderni. Ciò ha portato ogni individuo a voler marcare con forza e intransigenza la propria differenza, la propria diversità per affermare la propria supremazia nella convinzione che i propri valori di riferimenti fossero i migliori, i soli giusti, i soli degni di essere difesi, ma soprattutto i soli da essere imposti sugli altri che non condividono le medesime convinzioni. La differenziazione dei valori generalizzati di riferimento ha significato che la condivisione dei valori sostanziali fosse patrimonio di minoranze e a volte di minoranze esigue. In una tale situazione si è insinuata in tutti la larva della presa del potere tout court di comunista memoria, ma che comunque ha fatto breccia nella mente e nella forma di pensiero come atteggiamento ordinario nella gestione del comportamento quotidiano. Il programma comunista originario, infatti, prevedeva uno sviluppo a tappe:
- crescente e progressiva lotta di classe; - direzione del Partito comunista nel guidare le lotte rivoluzionarie; - presa del potere con la forza; - dittatura del proletariato; - soppressione della borghesia. La mentalità che si è formata nel tempo, derivata da un tale pensiero, è stata la seguente: la classe predominante è quella della minoranza attiva che alza la voce ovunque e comunque asserire che è la sola ad avere ragione e, quindi, la sola degna e titolata ad assumere con ogni mezzo il potere di guidare il gregge. Per costoro è giusto che il pensiero della minoranza sia imposto alla plebe che non capisce e che non può capire, perché ignorante e quindi priva di diritto a dissentire e che se lo fa deve essere schiacciata e soppressa. La differenza sostanziale rispetto al pensiero comunista, che assegnava alla classe operaia il potere, è che della nuova classe dominante non fa parte quella operaia, bensì soggetti che si sono arricchiti con la cosa pubblica e che detengono un notevole potere economico, giuridico, informativo e parassitario.
26. Consenso limitato a leggi di parte.
La latente legittimità dell’esercizio della forza per la presa del potere e la convinzione esasperata della giustezza dei propri valori hanno avuto come conseguenza che nel momento in cui una parte politica, anche con maggioranze relative minime e risicate, abbia raggiunto il potere governativo e legislativo, ha adottato leggi, e non solo, che garantissero e tutelassero il più possibile le aspettative e i “ desiderata” della propria parte politica. Tali decisioni, però, sono state adottate in contrasto con un’altra larga parte politica contraria alle decisioni scelte, e un’altra importante porzione di popolo anche se non contraria, certamente non favorevole. In larga parte del mondo più o meno civilizzato, si è assistito negli ultimi due decenni alla presa del potere di una parte politica contro un’altra parte politica
della medesima comunità nazionale. Provvedimenti adottati, senza tener conto della sensibilità di altre componenti delle comunità amministrate, sono stati ritenuti lesivi e gravemente dannosi per la parte soccombente, che ha cercato di organizzarsi per combattere con ogni mezzo la parte avversa. Si è assistito ad attacchi e contrattacchi sempre più grandi e senza esclusioni di colpi, ma soprattutto, in molti casi, si sono verificati catastrofici eccidi anche di massa che hanno fatto inorridire i più, ma che hanno anche garantito a multinazionali spregiudicate enormi introiti e guadagni. Nello stesso tempo, se gli eccidi con scorrimento di sangue costituiscono gli aspetti più appariscenti e scioccanti, le guerre economiche e finanziarie scatenatesi sono certamente di molto peggiori e non giustificabili neanche un po’, perché provocate da soggetti dichiaratamente definiti civili.
27. Reazione contro leggi non condivise.
Si può esaurientemente affermare che le modifiche a leggi e regole su valori e convinzioni in materia etica, religiosa, giudiziaria, sociale, economica e finanziaria, di esercizio democratico ecc., per l’esperienza recente, se sono adottate con maggioranze relative, semplici e risicate ancorché legittime, non possano essere legittimate dalla stragrande maggioranza della popolazione. Un consenso limitato non può garantire una legittimazione ampia come espressione di un consenso che ne manifesti la moralità intrinseca, che è l’unica che possa assicurare quella legittimazione diffusa e soprattutto condivisa che può assegnare ad una legge il rispetto dovuto perché quando è giusta è al servizio dei cittadini. Una legge, una norma che sia valutata immorale e ingiusta dai cittadini, se poi sia giudicata anche pregiudizievole per i valori fondanti la coscienza dell’individuo, è indifendibile. In questo caso non ci sono leggi e regole che possano fermare la collera di tutti quegli individui che trovano la forza nell’unione delle coscienze per combattere una guerra di sopravvivenza.
28. Guerre civili senza fine.
Nel momento in cui la sopravvivenza dell’individuo è messa in gioco ed è in pericolo non ci sono più remore alla prudenza, alla pace, alla conservazione dello status quo, perché tutto sembra perduto e compromesso, soprattutto riguardo la tutela del futuro proprio e dei propri figli. Di fronte a scenari simili, qualcuno potrebbe pensare forse che si possa combattere in maniera soft? La storia ci ha insegnato che in guerra e in amore tutto è lecito perché: ”à la guerre comme à la guerre”. Scatenare una guerra senza esclusione di colpi significa che non vi sono più remore a provocare una guerra civile che sarà combattuta con ogni mezzo, con ogni arma legittima o illegittima, con l’esercizio di ogni potere disponibile legale e illegale, da quello giudiziario al finanziario, economico, mediatico ecc. La cosa più grave non è che, a causa di qualche episodio marginale e insignificante, si potrebbe scatenare una guerra civile le cui motivazioni sono quelle in argomento, relativamente ai valori fondanti la cultura e la credenza personali. Il timore maggiore non risiede nell’ipotesi che si potrebbe provocare una guerra civile, perché è certo che c’è o ci sarà. A ben osservare il fenomeno, non è l’aspetto peggiore, perché la peculiarità più pregiudizievole e dannosa risiede nella specificità che una guerra civile o di civiltà di tale portata sarà senza fine. Non ci sarà un momento in cui la parola “fine” potrà essere pronunciata veramente. Se non viene trovata una soluzione, accettata da tutte le parti in maniera piena, convinta e soddisfacente, il rischio più grave consiste nella durata infinita di un conflitto senza esclusione di colpi che si protrarrebbe all’infinito. Il conflitto andrebbe a coinvolgere tutto, l’essenza stessa della persona: il bene e il male, la vita e la morte, la libertà e la sopraffazione, fino alla soluzione finale della distruzione totale di una parte e anche dell’altra, senza né vincitori né vinti.
29. Elementi di un consenso.
Alcune frasi d’illustri personaggi come i Kennedy possono aiutare nel tentare di elaborare una strategia utile a conservare e a migliorare la convivenza civile tra i popoli, tra i concittadini e tra i familiari, anche se appare impresa ardua, specie se si commentano letteralmente le parole di Gesù: “Pensate che io sia venuto a portare pace nel mondo? No, ve lo assicuro, non la pace ma la divisione. D'ora in poi, se in famiglia ci sono cinque persone, si divideranno fino a mettersi tre contro gli altri due e due contro gli altri tre padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera”. Alcuni elementi fondamentali sono da considerare e per meglio illustrarli sarà più illuminante riportare alla memoria alcune parole dei Kennedy. John Fitzgerald Kennedy (1917 – 1963), 35° presidente degli Stati Uniti. Non concentriamoci solo sulle nostre differenze, ma pensiamo anche ai nostri interessi comuni e a come superare tali differenze. E se le nostre divergenze non possono essere risolte oggi, almeno possiamo cercare di rendere il mondo un luogo sicuro per le diversità. Perché, in fin dei conti, il nostro più elementare legame è che tutti noi abitiamo questo piccolo pianeta, respiriamo la stessa aria, ci preoccupiamo per il futuro dei nostri figli, e siamo tutti mortali. (Dal discorso all’American University, 10 giugno 1963) L’avversario non è chi è diverso da noi ed ha valori di riferimento diversi dai nostri, ma è un sistema alla cui guida non sembra vi sia qualcuno specificatamente, ma che appare come un ingranaggio di poteri e interessi a favore di pochi. È così reale l’immagine mentale di tali poteri da far prendere forma alla parola dell’"Apostolo delle Genti", S. Paolo, nella lettera agli Efesini 6,12. “La nostra battaglia, infatti, non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti”. L’avversario sembra possedere poteri invisibili alimentando nell’uomo ataviche fobie e paure immateriali non più controllabili, alle quali è disposto a credere. Nessuno, però, potrebbe dargli torto quando ci si trova impotenti davanti a difficoltà insormontabili che nessuno vorrebbe creare, ma alle quali nessuno può sottrarsi.A ben pensarci non potrebbe essere questa la
causa per la quale il Presidente J. Kennedy è stato eliminato da forze occulte che dominano il mondo? È lui stesso che ha messo in guardia da attività di cospirazione, di sovversione, d’intimidazione, di sistema e di azioni segrete. Siamo di fronte, in tutto il mondo, ad una cospirazione monolitica e spietata, basata soprattutto su mezzi segreti per espandere la sua sfera d'influenza, sull'infiltrazione anziché sull'invasione, sulla sovversione anziché sulle elezioni, sull'intimidazione anziché sulla libera scelta. È un sistema che ha reclutato ampie risorse umane e materiali nella costruzione di una macchina affiatata, altamente efficiente, che combina operazioni militari, diplomatiche, di intelligence, economiche, scientifiche e politiche. Le sue azioni non vengono diffuse, ma tenute segrete. I suoi errori non vengono messi in evidenza, ma vengono nascosti. I suoi dissidenti non sono elogiati, ma ridotti al silenzio. Nessuna spesa viene contestata. Nessun segreto viene rivelato. Ecco perché il legislatore ateniese Solone decretò che evitare le controversie fosse un crimine per ogni cittadino. ... Sono convinto che con il vostro aiuto l'uomo diventerà ciò che per cui è nato: un essere libero e indipendente. John Fitzgerald Kennedy (1917 – 1963), 35° presidente degli Stati Uniti.… (dal discorso presso l'Hotel Waldorf-Astoria di New York, 27 aprile 1961) La visione preveggente del futuro necessaria a guidare l’azione politica poggia sulla saggezza del trovare un punto di mediazione scaturente dal confronto tra le opinioni diverse, per costruire un futuro condiviso e pacifico. “Il futuro … apparterrà a coloro che capiscono che la saggezza può solo emergere dallo scontro tra punti di vista contrastanti, dall’apionata espressione di convinzioni profonde e contrarie. (Robert F. Kennedy –Berkeley – Candidato alle primarie per la Presidenza degli USA 1968. … – 22 ottobre 1966, University of California) Tutti gli uomini anelano ogni giorno a ricercare la felicità e una serenità gioiosa nella propria vita e in quella dei propri figli, garantite da un buon lavoro sicuro e redditizio. Quando le vicissitudini della vita ostacolano una tale aspirazione, l’uomo reagisce anche con veemenza contro tali eventi e non sopporta quanti non capiscono che egli deve avere ciò che gli spetta in ogni ambito. Nello stesso tempo, però, egli non è così sollecito e oltremodo favorevole nel dare agli altri ciò che è preteso e viene rivendicato per se stessi.
Possiamo capire l’apprensione di quegli americani bianchi che sentono minacciata la loro persona e la loro proprietà. Tuttavia si chiede loro soltanto di consentire ad altri ciò che essi esigono per se stessi, una pari opportunità di partecipare alla vita americana. L’intera esperienza della nostra nazione mostra come ogni qual volta è emersa una minoranza, coloro che erano arrivati prima abbiano temuto di vedere danneggiato il loro modo di vivere e come ogni volta si siano sbagliati. Ciò che ogni gruppo è riuscito a realizzare ha avuto l’effetto di ampliare le prospettive di tutti. (Robert F. Kennedy –Berkeley – Candidato alle primarie per la Presidenza degli USA 1968).
30. Modalità per le decisioni divisive.
Una volta accettato che la ricerca di un consenso comune è indispensabile per la convivenza civile, occorre ricercare le modalità migliori da adottare per costruire un tale consenso condiviso e partecipato. Le implicazioni di tale ricerca senz’altro riguardano: - l’individuazione degli ambiti e delle metodologie, nonché la delimitazione delle materie oggetto delle controversie e degli attori da mettere in campo; - la costruzione del consenso le sue modalità di espressione e della sua legittima manifestazione e formazione; - la determinazione più giusta e rappresentativa della platea degli aventi diritto al voto, dei votanti e dell’espressione dei voti e del loro conteggio; - la determinazione e gestione delle maggioranze e dei quorum da richiedere in relazione alle materie in contraddizione. Occorre costruire un accordo condiviso facendo un o alla volta, avanzando per approssimazione successiva perché possano maturare i tempi per conseguire il risultato perseguito del consenso, se non unanime almeno ampio e che non possa far pensare a coloro che hanno un'opinione diversa di aver subito un abuso ed una violenza.
In questo percorso graduale e protratto nel tempo occorre però fare attenzione al miglioramento pre-catastrofe. Molto spesso in situazioni di crisi che prolungano lungamente gli effetti delle stesse, si hanno momenti di miglioramento seguiti da altri di peggioramento. Durante uno di questi periodi di miglioramento, un po’ più lungo e consistente del consueto, potrebbe sembrare che la crisi corrente possa aver imboccato la sua fase finale. Ciò potrebbe alimentare la speranza che ormai ci si rivolga già verso il miglioramento, e potrebbe far pensare che tutto si stia volgendo in direzione di un futuro roseo e che le richieste di cambiamento possano anche rimanere inevase, a maggior ragione se non ci si mette mai d’accordo sulle soluzioni da adottare. Orbene in tali condizioni e in un’illusoria valutazione che i problemi possano attendere, si accelererebbe la causa scatenante di un’insensata e violenta reazione all’immobilismo, che andrebbe oltre il lecito e oltre ogni intenzione di buon senso e potrebbe provocare danni non facilmente riparabili a motivo di una catastrofe totale.
31. Società col doppio binario.
Nell’infinita contrapposizione tra sistemi di vita diversi, governati da inconciliabili organizzazioni sociali in opposizione, a volte viene da pensare se mai sarebbe possibile convivere in una comunità sociale dove ogni cittadino sceglie di vivere nell’ordinamento giuridico, etico ed economico-finanziario più rispondente ai suoi ideali. È possibile ipotizzare una società ove vige un doppio ordinamento? Ognuno potrebbe decidere preventivamente, senza possibilità di ripensamenti successivi, di appartenere a uno dei due ordinamenti e sarebbe vincolato e sottomesso all’ordinamento scelto e vivrebbe vicino a un altro che potrebbe avere degli elementi in comune, ma molti altri diversi. Bisognerebbe farne esperienza per esaminare i comportamenti e i pregi e i difetti del sistema. In particolare, andrebbe osservato qual è il riscontro percentuale nel rispetto normativo e legislativo dell’ordinamento scelto. Questo dovrebbe accertare il limite del rispetto delle regole ritenute giuste dall’appartenente alla comunità normata da leggi condivise ed accettate spontaneamente di buon grado. Forse ci sarebbe da aspettarsi una cocente delusione perché l’uomo trova una
piacevole sensazione nel non rispettare le regole, anche quelle che egli si dà. L’idea è nata pensando al matrimonio, che molti vorrebbero indissolubile. Che cosa accadrebbe se al momento del matrimonio si potesse scegliere tra un legame indissolubile e un altro che può essere interrotto? Anzi, che cosa accadrebbe se nella seconda possibilità si potesse addirittura scegliere per quanti anni o mesi il legame matrimoniale debba durare e se, decorso il periodo, esso, ipse iure, decadesse e cessasse anche senza implicazioni economiche tra i coniugi se non per i figli?
32. Fine di una civiltà.
La curiosità su una siffatta società col doppio binario stuzzica la fantasia ancor più in considerazione del fatto che le popolazioni europee occidentali sono ancor più soggette alle invasioni di disperati che provengono dalle aree nord africane e medio orientali. Questa invasione di decine di migliaia d’immigrati per ora fa paura e fantasiose politiche di contenimento dell’immigrazione sembra che debbano essere adottate per tutelarsi. Ma non è così. In un tempo ormai non lontano, anzi forse imminente, il continente europeo sarà letteralmente invaso da decine di milioni di persone provenienti dalle aree africane, medio orientali ed orientali. Avverandosi un’invasione tale, la civiltà occidentale, come ora è conosciuta, in un lasso di tempo brevissimo sarà spazzata via e rimpiazzata da una civilizzazione multietnica e multi religiosa ed esoterica: si troveranno in conflitto tra di loro in un territorio terzo per loro da sottomettere e conquistare provocando una situazione peggiore di quanto hanno fatto registrare le invasioni barbariche dell’Europa romana e post imperiale. Questa non sarà la fine di un’epoca: sarà la fine di tutto senza eccezione alcuna, e se qualcuno pensa che si possa fare qualcosa per evitarlo sbaglia, perché ad essa non c’è rimedio.
PARTE SECONDA
LA RISPOSTA ALLA CRISI
V - CAPITOLO
RICERCA DI UNA RISPOSTA
33. Il carattere nazionale.
Ogni persona ha il suo carattere che ne costituisce l'impronta genetica, che ne racchiude le qualità e che la distingue da un’altra. Il carattere è il complesso delle qualifiche specifiche che costituiscono e determinano un individuo e lo mettono in relazione con l’esterno, consentendogli di interagire con gli altri individui, facendosi riconoscere e determinare nell’ambito delle attività sociali proprio attraverso le specificità del suo carattere. Come le persone, anche le comunità e soprattutto le nazioni possono essere riconosciute aventi un proprio carattere comunitario o nazionale, venutosi a formare e a determinare nel corso dei tempi dalle impronte genetiche trasmesse, che si sono caratterizzate più ampiamente nella popolazione residente fino ad assurgere a elemento qualificante dell’identità nazionale. Per quanto attiene la nazione italiana, essa è riconoscibile per la sua forte componente individualistica, sia nel suo insieme sia nei suoi singoli cittadini. La caratteristica tutta italiana, di un individualismo unico ed esasperato che porta a far sì che un italiano scelga per sé qualcosa che altri non scelgono, o veda ciò che altri non vedono, si trasforma, quando adeguatamente tutelato e apprezzato, in rilevante risorsa, specie davanti a problemi di natura varia e diversa per implicazioni per le quali è indispensabile e risolutivo immaginare soluzioni estemporanee e creative. Infatti, ogni italiano sulla maggior parte degli argomenti ha una sua personale opinione, unica ed originale e vorrebbe che anche tutti gli altri riconoscessero che la sua idea e la sua soluzione sono le più condivisibili, anzi, che fossero
accettate come uniche risposte da dare al quesito in discussione. Tutti i giorni si assiste a discussioni calcistiche, dove ogni italiano che si rispetti è l’allenatore perfetto, quello che ha ogni possibile e migliore soluzione per la formazione della squadra di calcio, per come disporre i giocatori in campo, per come essi dovrebbero comportarsi sul terreno di gioco, e per come sarebbero tenuti a sputare l’anima per ripagare il pubblico di tutto il denaro che prendono per un’ora e mezza d’impegno la settimana. Ciò è tanto più vero se si pensa che l’Italia è l’unica nazione dove sono stampati giornali quotidiani esclusivamente sportivi. Questa caratteristica indubbiamente costituisce un problema a se stante, ma quando adeguatamente gestita, è, in molti altri casi, una grande risorsa e non un problema, divenendo una grande qualità positiva invidiata da tanti che non riescono a capacitarsi di come un popolo così pieno di difetti e di egoismo riesca ad essere così capace nell’ottenere risultati positivi e il più delle volte anche fantastici in ogni campo in cui si impegni. Si guardi, infatti, al famoso italian style che domina nella moda, nell’alimentazione, nelle produzioni di pregio. Ogni italiano nella sua individualità sa come vestirsi e avere uno stile proprio anche con un abbigliamento semplice e modesto ma è indubbio che tutto ciò risalta e rispecchia una personalità che ha comunque un’impronta propria. Questa sembra sia la ragione per la quale in Italia il collettivismo comunista non ha attecchito e mai potrà. Questa capacità di tale originalità e buon gusto non s’insegna né s’impara, ma si acquisisce per approssimazione successiva lentamente per imitazione affinando e maturando in ambiente idoneo le naturali predisposizioni personali. Solo così si consegue un’esperienza diretta a fianco di una persona che ha già fatto un percorso di crescita e sviluppo che sarà ulteriormente incrementato nella generazione seguente. Tutto viene da lontano, da una cultura millenaria. Si pensi alle tradizioni della Magna Grecia, o a quelle etrusca, romana, medievali, comunali e rinascimentali, senza dimenticare le bimillenarie origini cristiane. Soprattutto queste origini sono state la ragione fondamentale del progresso anche tecnologico della cultura occidentale, poiché il pensiero filosofico e teologico cristiano hanno consentito lo sviluppo di una civiltà e una cultura ed un progresso scientifico che altre popolazioni del mondo non sono state in grado di produrre.
34. Ricerca di una risposta.
In Italia, nel ventennio a cavallo tra il XX e XXI secolo, sono state numerose le soluzioni adottate per porre rimedio allo stato di crisi sociale e politica, ma senza centrare gli obiettivi. Si è assistito a diverse soluzioni di modifiche costituzionali, istituzionali, di leggi in vari campi, tentativi successivi non andati a buon fine, sia per gli obiettivi mancati che per tentativi con leggi approvate. Tali soluzioni hanno soltanto prodotto contrapposizioni inconciliabili di posizioni ideologiche che hanno rafforzato sentimenti di divisione tra gruppi di cittadini contro altri tornando a rivivere rivalità insanabili tra fazioni che non sono mai mancate storicamente. Basta ricordare: 1) gli Orazi e i Curiazi; 2) le guerre civili tra nobili e plebei e tra fazioni nell’era repubblicana romana e nella successiva epoca imperiale; 3) le rivalità comunali, e nei medesimi Comuni tra gruppi e partiti contrapposti quali Guelfi e Ghibellini, Capuleti e Montecchi; 4) tutte le altre divisioni nelle epoche successive e nelle moderne con fascisti e comunisti, nord e sud d’Italia, tra cristiani e laici, tra i condomini e tra i familiari e tra le caste sociali degli ultimi anni. L’elenco è molto lungo ed è inutile stare a compilare una lista. La sola cosa da fare è quella di individuare una soluzione che possa essere praticata per venire incontro alle necessità di tutti i cittadini.
35. Chi può elaborare una risposta.
Il fatto certo e incontrovertibile che tutti hanno compreso e che tutti vorrebbero trovasse immediata applicazione è che occorre approvare una riforma e, a ben valutare, essa dovrebbe riguardare soprattutto gli assetti istituzionali e soprattutto
quello del Parlamento. Una domanda, però, è logico porsi: Perché finora il Parlamento non è stato in grado di approvare, ma neanche proporre una bozza concreta di riforma sensata ed accettabile? A ben osservare ciò che tutti pensano e mandano a dire ai parlamentari è che nessuno degli stessi è in grado e non ha la minima intenzione di auto riformarsi e di auto limitarsi né di auto eliminarsi. Infatti, il motto di andreottiana memoria: “Meglio tirare a campare che tirare le cuoia” è senza dubbio largamente condivisibile. Questo pensiero è tanto reale quanto vero ed incombente da far porre la domanda sulla legittimità dei soggetti che sono tenuti a compiere il loro dovere di riformare andando contro natura. Cosa si può fare? Forse, però, è più corretto chiedersi “ CHI” deve farlo?
36. Il parlamento può elaborare una risposta?
Le costituzioni in genere e quella italiana nello specifico assegnano al parlamento nazionale il compito di modificare le norme costituzionali con procedura, modalità e quorum predeterminati. Occorre tener conto, però, che la Costituzione italiana è stata redatta unitamente a un sistema parlamentare proporzionale mentre oggigiorno, tra premi di maggioranza, vari sistemi a doppio turno e sbarramenti percentuali, non si può affermare che una tale rappresentanza possa legittimamente espletare funzioni costituenti come la realtà richiederebbe. Un’inabilità intrinseca è, di fatto, subentrata a carico delle rappresentanze parlamentari impedendo eticamente ad esse di provvedere alle riforme costituzionali di grande rilievo. La mancanza di un equilibrio concernente il peso proporzionale tra le forze politiche è eticamente motivo delegittimante, venendo meno una raffigurazione proporzionale dei desideri politici degli elettori. Non solo, anche se un tale equilibrio proporzionale vi fosse, la rappresentanza politica moderna ha dimostrato ampiamente di non rappresentare gli indirizzi politici ed etici delle popolazioni, anzi hanno chiaramente fatto constatare che, una volta ricevuto il voto favorevole, la rappresentanza politica ha soltanto provveduto a gestire il mandato per favorire gli interessi propri o dei propri clientes.
Altro elemento da tener conto è quello che nella moderna società, che viaggia ormai molto velocemente, gli adeguamenti costituzionali devono anch’essi cambiare rapidamente secondo le necessità che si manifestano, fermo naturalmente quanto concerne i valori fondanti la società stessa. Per questo motivo, occorre che tali adeguamenti siano adottati rapidamente, devono essere frutto di un ampio e congruo consenso elettorale, ma soprattutto essere generati da una sostanziale e numerosa partecipazione che non può non essere popolare e quindi espletata con modalità di democrazia diretta con la partecipazione di tutti i cittadini. Solo così la costituzione potrà essere cambiata agevolmente e rapidamente ogni qualvolta ce n’è bisogno, senza aspettare le calende greche o affrontare conflitti nazionali. Dato e accertato che i parlamentari non possono elaborare una proposta sensata di riforma dello Stato al cui primo e più importante punto vi sia la riforma del Parlamento, occorre per prima cosa individuare il soggetto idoneo e preposto naturalmente che abbia il possesso di alcune qualità: 1) idoneo intrinsecamente, per capacità e giudizio; 2) in possesso della legittimità morale, perché la riforma deve tendere a perseguire il bene della comunità nazionale; 3) in possesso della potestà propria e primaria, in quanto non derivata e non concessa da alcuno; 4) in possesso di un consenso che raggiunga la massima espressione della partecipazione democratica. La ricerca del soggetto, però, non esaurisce l’analisi della questione: occorre accompagnare al soggetto anche quale tipo di risposta dare alla crisi in argomento. Si è sempre parlato di singoli provvedimenti, tipo riduzione dei parlamentari, legge elettorale, abolizione del bicameralismo perfetto, abolizione delle province, abolire il finanziamento pubblico ai partiti. Affrontare i problemi con questa modalità, nella migliore ipotesi oggi potrebbe anche funzionare, anche se non è credibile, ma i problemi potrebbero ripresentarsi anche a breve termine e certamente si ripresenteranno a medio e a lungo termine.
La cosa più sensata sarebbe quella di individuare, come si esponeva, unitamente al soggetto, la modalità secondo la quale elaborare un metodo che possa gestire la riforma in maniera permanente e continuata, ossia che garantisca un riformismo continuo nel tempo, affrontando i problemi che si presenteranno, adattando tutte le istituzioni ogni volta, ma rimanendo sempre saldi su un binario che eviti le deviazioni di un riformismo tout court. È indispensabile, perché le grandi riforme nella storia sono state sempre ottenute soprattutto attraverso sollevamenti popolari che, anche nell’era attuale, non sono finiti. Se si permetterà che le situazioni permangano ferme e inamovibili, occorrerà più consapevolezza per rimuoverle e più ci si ostinerà a rimanere fermi, più forza – che alla fine può sfociare in violenza – ci si dovrà aspettare.
37. La risposta è nel metodo
Si è detto che la risposta ai problemi del paese non può essere soltanto quella di dare singole risposte o una serie di alternative da scegliere che possono rivelarsi partigiane, o non giuste, o non risolutive, o non rispondenti a ciò che il popolo si aspetta. Nella ricerca di una risposta da dare alla crisi politica e sociale che vive il popolo, la cosa più semplice, e certamente la prima da praticare, è quella di darsi un metodo per conseguire un risultato positivo che garantisca il giusto ottenimento dell’obiettivo dato. Il metodo più semplice, di certo, è quello per cui il soggetto che ha un problema deve essere lui stesso a scegliere una soluzione che corrisponda al suo bisogno. Queste considerazioni sono utili per cercare la strada più appropriata e più rispondente al carattere degli italiani in relazione alle capacità proprie e naturali dei medesimi cittadini. Affermare che gli italiani hanno una capacità e un desiderio di autodeterminarsi nelle scelte fondamentali della propria vita sociale e politica è senz’altro non priva di fondamento.
38. Decidere in prima persona.
Il metodo è il solo a garantire che possano essere adottate le soluzioni più idonee, modificabili nel tempo di pari o con le modifiche delle situazioni e dei bisogni delle popolazioni. Il poter decidere in prima persona e in via diretta è la soluzione migliore per tutti che senza dubbio non scontenterebbe la maggioranza dei cittadini, in quanto sarebbe una scelta fatta direttamente dagli stessi. Dare il potere al popolo soddisfa due elementi di principio: l’autodeterminazione e l’auto appagamento. Inoltre, servirebbe a limitare la burocrazia. Il potere è del popolo e nessuno può limitarlo, neanche il popolo stesso. Quando i rappresentanti popolari non adottano soluzioni gradite, se il potere è del popolo sta a lui a decidere. Sarebbe una cosa ovvia che nessuna decisione possa essere adottata senza che sia il popolo stesso a partecipare alla sua definizione e formulazione. Se è il popolo ad adottare le decisioni che dovrebbero far fronte alle necessità ed ai problemi dei medesimi, la decisione non può essere insoddisfacente, le decisioni in pratica non possono essere contro il popolo. La burocrazia e le sue liturgie, attualmente garantite da tutele costituzionali adottate ed accresciute in un recente ato, limitano ed ostacolano il più delle volte l’azione amministrativa del governo e della legislazione riformista. I centri di potere in ombra, alimentando la parte negativa dell’azione burocratica, possono essere resi inermi da un’azione vigorosa e potente che può essere compiuta soltanto dal potere enormemente più forte del popolo e della sua democrazia diretta. Tali elementi di principio in pratica vanno a costituire un vero e proprio principio giuridico denominabile, parafrasando un detto romano: “Nec sine…, nec adversus…”, intendendo che nessuna decisione legislativa può essere adottata senza il consenso favorevole e la partecipazione, in questo caso del popolo, nemmeno se sia promossa contro la volontà o a danno del popolo stesso. Decidere in prima persona da parte del popolo è molto più importante soprattutto per un altro elemento che sarà sempre più rilevante nella vita delle genti
dell’Europa. Infatti, basare la vita politica su un agevole ed acclarato ricorso metodologico alla democrazia diretta potrà costituire il fondamento essenziale e irrinunciabile sul quale poggiare il processo politico dell’unione dei popoli, soprattutto quelli europei, in uno stato unico federato o confederato. La base popolare è la condizione “sine qua non”:un tale processo unitario non potrà realizzarsi né potrà sussistere e svilupparsi a livello popolare anche se si realizzasse a freddo, come si suol dire, per le decisioni calate dall’alto senza consenso popolare diffuso. Questa è la sola strada praticabile e percorribile per uno Stato che voglia governare con giustizia e sapienza il popolo sia nell’amministrazione di un singolo Stato, sia in una governance di una comunità di più Stati riuniti. Si deve decidere se sussistono i presupposti nelle società democratiche occidentali per are da una democrazia assistita dalle oligarchie dominanti come l’attuale ad una democrazia matura e adulta che può fare a meno dell’assistenza, certamente interessata, di tutte le oligarchie sulla scena politica mondiale. I popoli devono prendere coscienza se, dal punto di vista della democrazia, siano divenuti adulti o meno. Occorre che essi analizzino il proprio processo di acquisizione del livello raggiunto della democrazia come si fa in una famiglia con i figli. Infatti, il compito dei genitori è di amare i figli e dedicare e spendere la propria vita per essi, per farli crescere in salute e intelletto in un ambiente sereno, educandoli alla responsabilità e alla vita. Questa educazione implica che la vita si svolga in un certo modo, che vi siano regole da rispettare non perché qualcuno è il padrone e l’altro è lo schiavo che deve obbedire. Le regole servono a gestire la vita. Al bambino s’insegna a non toccare il fuoco perché può riportare un danno, non ci si deve mettere in situazioni di pericolo perché è possibile subire un danno, sia lieve, sia mortale. Le regole esistono perché delimitano la libertà personale qualora invada la libertà altrui. Il concetto di libertà non consiste nel fare ciò che si vorrebbe, perché sarebbe libertinaggio, ma consiste nell’accettare nella propria vita la consapevolezza dell'esistenza che ci è stata data e che la persona stessa non può
decidere della nascita né della morte, ma può solo influire sul corso degli avvenimenti in modo positivo o negativo. Un risultato positivo si consegue se la persona, bambino o adulto, accetta nella propria vita i valori che gli sono stati trasmessi dai genitori e conforma ad essi la gestione della propria esistenza. Vivere consiste nel fatto che il bambino deve rispettare le regole che stabiliscono i genitori perché osservandole diventi adulto sia in età sia in responsabilità e consapevolezza, mentre vivere da adulto, significa agire nell’osservanza delle norme che egli stesso s’impone per conseguire gli obiettivi che si è dato da raggiungere. Un adulto è tale se decide spontaneamente e liberamente di aderire alla vita datagli da vivere, accettando la convivenza nella società e comunità in cui si trova rispettando le regole della coesistenza civile. L’uomo è stato creato per raggiungere la felicità in un contesto sociale in cui ognuno ha il posto assegnatogli e che egli stesso contribuisce a trovare, definire e costruire accettando di vivere al meglio in quel determinato ambito. Un popolo può diventare adulto in democrazia se trova la necessaria capacità e determinazione nel prendere coscienza che può autodeterminarsi e gestire con consapevolezza e sapienza la propria vita democratica e sociale, rifiutando padrini e populismi, ma cercando sempre il bene individuale e comunitario. Orbene, tutti sono consapevoli e concordi nell'affermare che la Costituzione deve essere cambiata ed adattata. Ogni gruppo politico, o anche sottogruppo, desidera però i cambiamenti che non sono condivisi da altri gruppi. Il tutto senza che alcuno possa realmente affermare quale volontà o interesse riscuota la propria proposta nell’ampia maggioranza dei cittadini. Non ci si è messi d’accordo finora e non s’intravede quale consenso possa ottenere una proposta partigiana. Ne consegue, quindi, che qualsiasi modifica costituzionale che oggi sia necessario stabilire è opportuno che sia tutto devoluto direttamente alle decisioni popolari e che questo sia il percorso da intraprendere e sviluppare sino a raggiungere tutti gli obiettivi che il popolo vuole ottenere e il cui processo di modifica costituzionale, comunque, deve rimanere sempre aperto.
VI - CAPITOLO
IL POTERE
39. Fonte del Potere.
In merito alla fonte del potere democratico, ai principi di sovranità, partecipazione, rappresentanza, uguaglianza, libertà, giustizia, separazione dei poteri legislativo, esecutivo, giudiziario, ecc., vi sono in letteratura e dottrina innumerevoli saggi e studi di firme autorevoli sia antichi che di epoca moderna e anche recentissime pubblicazioni risalenti a quest'ultimo decennio, per cui le seguenti osservazioni spicciole vogliono essere un tentativo di fare il punto tra avventori al bar o tra eggeri sui bus cittadini. Nelle costituzioni nazionali moderne, la fonte del potere non risiede nella divinità, né nel diritto naturale ed ereditario del Re, ma in modo essenziale, assoluto e primario nel popolo e nella sua volontà. Ciò significa e determina la sovranità popolare in quanto colloca nell’intera comunità dei cittadini la causa prima della legittimazione dell’autorità e del potere politico. Disquisizioni filosofico-politiche differenziano il governo del popolo denominato democrazia dalla fonte della sovranità. Orbene, la questione sembra maledettamente simile al “Nodo di Gordio” per indicare un problema d’intricatissima soluzione. Occorre, però, ricordare come il nodo è stato sciolto da Alessandro Magno: un netto taglio violento. Infatti, finora soltanto la forza prepotente delle classi dominanti ha mantenuto irrisolto il problema, per cui esse continuano a governare sul popolo in spregio dello stesso. Per questo motivo la soluzione per i nostri giorni non può non essere quella del taglio netto più o meno violento. Tali condizioni hanno permesso e permettono tuttora che il potere della
democrazia si fondi sul popolo, ma non sia del popolo. Infatti, il principio è largamente disatteso nei fatti, in quanto il potere popolare è sostanzialmente limitato all’elezione dei rappresentanti popolari senza vincolo di mandato e a qualche forma di decisione popolare diretta che si differenza tra le nazioni, con una sostanziale eccezione della Confederazione Elvetica, che ha forme di partecipazione diretta avanzate nei referendum popolari. Esaminando questa limitazione, si constata che essa, nella maggior parte dei casi, è stata decisa dai rappresentanti del popolo e non dal popolo direttamente. In tale contesto si possono individuare due circostanze riguardanti la legittimità etico-giuridica della norma: 1 - Il popolo, nella maggior parte dei casi, non ha deciso direttamente, il più delle volte vi è stata una ratifica popolare della costituzione. In genere si tratta di ratifica in blocco senza poter scegliere tra soluzioni diverse. 2 - Se è stato fatto decidere al popolo di limitare o quasi annullare il diritto indisponibile del popolo a detenere l’intera fonte del potere, quale valore morale e legittimo ha la decisione? Se si considera il termine “fonte”, esso sta ad indicare il luogo, dove nasce l’acqua ovvero in senso figurato il punto di origine di qualcosa. Pertanto, se la fonte del potere repubblicano è il popolo, esso è l’unico soggetto di diritto che determina tutti gli altri soggetti di diritto che saranno di secondo livello e quindi subordinati al primo. Se quindi è il popolo la sola fonte primaria del potere, allora nelle costituzioni che sono state approvate soltanto dai rappresentanti e non direttamente dal popolo certamente un deficit di legittimità è rilevabile. Volendo considerare che il popolo abbia approvato una costituzione che limitasse o sopprimesse in tutto o in parte il suo potere, potremmo ritenere legittimo una tale approvazione? Invero dovremmo asserire che, in tal caso, il popolo non può decidere di limitare o rinunciare al suo potere in quanto trattasi di un diritto indisponibile, alla pari di tutti i diritti indisponibili riconosciuti in diritto dall’intera comunità umana. Molti soggetti non sono favorevoli a che gli Stati adottino la democrazia diretta e concedono che essa è praticabile solo in realtà molto piccole. Se si vuol veramente indagare sui soggetti che sono avversi alla democrazia diretta, essi possono esserlo fondamentalmente per due motivi: o per pregiudizio, o per
interesse. Il pregiudizio si registra nei confronti della pluralità dei cittadini giudicati ignoranti, pecoroni e populisti e quindi non idonei a esprimere una volontà e una scelta che definisca un indirizzo politico. Dar credito a questa idea fa sorgere il dilemma su chi debba stabilire chi è idoneo e chi non lo è. La questione sa tanto di razzismo e/o di classismo. La democrazia, invece, fonda la sua sostanza sulla moltitudine delle persone che nella totalità dei suoi componenti trova la mediazione del soddisfacimento più o meno completo degli interessi della comunità a favore dei singoli componenti di essa. L'interesse è la seconda ipotesi che alcuni o gruppi consociati hanno nel far prevalere il proprio tornaconto, o quello della propria cerchia o tribù o gruppo di appartenenza. In questa ipotesi di salvaguardia dell'interesse personale o di categoria che presuppone il tenere soggiogati gli altri, che non possono tutelare i propri interessi né soddisfare i propri bisogni, appare eticamente giustificato che la maggioranza dei cittadini si riapproprino la capacità di essere loro a soggiogare la minoranza che vorrebbe tenerli schiacciati e soggiogati nel bisogno.
40. Chi ha delegato il potere ai rappresentanti?
La fonte del potere del popolo non è rinunciabile né cedibile. La gestione e l’esercizio del potere vengono a definirsi politici quando i singoli cittadini, mediante un contratto, un reciproco accordo per salvaguardare l’autoconservazione volontariamente cedono parte significativa di libertà e potere incondizionato al soggetto comunitario denominato Stato, come brillantemente esposto da Thomas Hobbes nel Leviatano. Un conto è la fonte del potere del popolo e altro è la gestione del potere delegato ai rappresentanti del popolo stesso in uno Stato moderno. La differenza sostanziale e veramente importante è che il soggetto primario delega le cessioni di sovranità unitamente alle modalità di gestione ed esercizio, ma conservando sempre e comunque il diritto e la facoltà di modifica e di revoca dei termini di gestione oltre a quello di integrare e/o rettificare e indirizzare in ogni momento
le decisioni adottate o da adottare dagli organi delegati. L’esercizio del potere svolto dal popolo nella forma piena e matura e quindi avanzata deve essere praticato sia direttamente sia indirettamente in un equilibrio che non faccia prevalere una delle due. Se tutto il potere risiede nel popolo, tutto deve essere deciso dal popolo, anche ciò che esso vuole delegare ai rappresentanti politici e alla rappresentanza parlamentare con o senza obbligo di mandato. Ammesso che abbia deciso qualcosa in ato, deve poter decidere di cambiarlo e se non lo può fare, allora, c’è un problema. A tale problema solo il popolo ha il diritto di porre rimedio e decidere di prendersi ciò che ritiene che gli spetti. Il potere del popolo di decidere direttamente sempre e comunque deve rimanere inalterato. Qualora sussista una norma contraria sostanzialmente al diritto di autodeterminarsi del popolo essa è immorale e quindi non legittimata e le forze e i soggetti che vi si oppongono, certamente, hanno una natura tirannica. Tutti quelli che si adoperano per abbattere tali forze compiono un atto di giustizia perché tutte le tirannie devono essere abbattute con ogni mezzo. A ben riflettere, il taglio brutale del nodo gordiano pose fine a un antico ordinamento, in quanto nessun impegno politico e diplomatico avrebbero potuto fare altrettanto. Pertanto, viene da chiedersi se un’azione del genere è l’unica che produca i frutti voluti. Si è in quest’epoca alla soglia di una siffatta conquista o nessuno è ancora pronto e dovranno are ancora molti anni prima che la soluzione si realizzi? Se ci si soffermasse a riflettere solo un po’ su cosa sarebbe stata una conquista della democrazia diretta nelle rivoluzioni arabe ultime, ci si renderebbe conto che il futuro non può non are per una siffatta rivoluzione democratica, altrimenti tutto sarebbe solamente un regime più o meno tirannico, ma che all’occorrenza potrebbe sempre diventare una tirannia oppressiva.
41. Quali conseguenze.
Nella situazione odierna il potere formale appartiene al popolo, ma a ben considerare il potere sostanziale e reale di incidere nella politica non risiede nella sua disponibilità diretta né indiretta. Il popolo si è totalmente convinto di non avere alcun potere, soprattutto quello di cambiare le cose e sperare in un futuro
migliore per sé e i propri cari. In definitiva, si trova in una situazione di grave necessità senza via di scampo. Quando ci si trova in situazioni del genere, non si può far altro che caricare l’ostacolo con tutta la forza di cui si è capaci per abbatterlo o morire su di esso. A questo punto, sorge spontanea una domanda da porre ai politici perché sia chiaro a tutti: se essi abbiano messo in conto una reazione disperata che può spazzare tutto e a quel punto chiedersi se una dimostrazione di forza che possa implicare anche una possibile violenza non controllabile possa essere definita violenza giustificata.
42. La violenza è legittima?
La legalità è una caratteristica del diritto per cui un’azione è legale, quindi deve essere osservata, se ata da una norma di legge in vigore, mentre la legittimità invece è la peculiarità della norma di legge che corrisponde ai valori morali della comunità che l’ha emanata. Sulla legittimità della violenza ci si può fare qualche domanda sulla falsariga di quelle estrapolate dal pensiero di Massimo Fini (fonte: www.ilfattoquotidiano.it 17.11.2012). La violenza è sempre illegittima? È lecita quella che si oppone a un’altra violenza. Nel diritto penale di uno Stato si chiama “legittima difesa”? Nel mondo politico si considera legittima la violenza popolare quando si esercita contro un regime repressivo, dispotico, dittatoriale? Tutte le principali rivoluzioni democratiche sono nate su bagni di sangue. È lecita una violenza popolare contro un regime democratico? In linea teorica no. In democrazia, ogni cinque anni, tu vai a votare chi pensi rappresenti meglio le tue idee e i tuoi interessi. Se non ti soddisfa, alla successiva tornata voterai qualcun altro. Che bisogno c'è della violenza?
In ogni caso occorre formulare una considerazione in merito al fatto che se si volessero veramente cambiare le aspettative future bisognerebbe tener presente che in questa situazione ci si trova nella medesima circostanza in cui si sono trovati Spartacus e gli schiavi che si liberarono nel primo secolo. Se l’esperienza è la somma delle fregature e il saggio è colui che fa esperienza con le fregature subite dagli altri, allora possiamo capire il motto latino Historia est magistra vitae. Allora la conoscenza degli eventi storici applicata ai fatti dati deve far comprendere in maniera veramente profonda che combattere una guerra del genere sperando di vincere equivale a dire che Spartacus sarebbe stato vittorioso soltanto se avesse sterminato tutti i romani, altrimenti tutti i rivoltosi sarebbero finiti in croce com’è storicamente avvenuto. Di fronte alla disperazione che una persona o una nazione non hanno il futuro auspicato, sebbene abbiano la forza della ragione dalla loro parte, si può comprendere come soltanto la forza della violenza può aver ragione della situazione. Infatti, se la violenza è certamente sempre e comunque illegale non sempre può essere definita illegittima. …A buon intenditore poche parole.
VII - CAPITOLO
IL POPOLO DECIDE
43. La sovranità
A ben riflettere, riguardo la democrazia e il suo valore, è tutta una questione di sovranità. L’espressione abusata che la sovranità appartiene al popolo ormai si usa solo per far ridere, mentre vi sarebbero ragioni molto appropriate e legittime per dare all’espressione un valore proprio di notevole significato e rilevanza. La persona deve ritenersi sovrana quando si rende conto che nessun altro essere la può considerare, a prescindere, inadeguata e incapace nell’assumersi le sue personali responsabilità di partecipazione attiva alla vita politica. Infatti, l’eventuale inadeguatezza non è predeterminabile, non esiste alcuno strumento o mezzo di qualsiasi tipo che possa prestabilire che una persona sia capace e un’altra no. Un altro elemento potrebbe essere preso in considerazione e si contrapporrebbe alla sovranità della persona e dell’individuo: la sovranità del gruppo sulla sovranità del singolo. In questo caso, però, il pericolo sarebbe anche più spaventoso perché tutti conoscono le implicazioni veramente negative di un branco. Un branco di animali è molto pericoloso per un individuo che fosse assalito senza alcuna remora, anche da elementi che presi singolarmente sono molto mansueti. Ancora più pericoloso sarebbe un branco umano, perché avrebbe la forza aggregante degli animali, gli strumenti di morte degli umani e l’acquiescenza della coscienza morale, che implica che ogni atto compiuto dal branco ha una sua giustificazione morale intrinseca.
44. Quale atteggiamento tenere?
A questo punto si pone un interrogativo: quale atteggiamento, quale condotta deve tenere un cittadino, una comunità nazionale per vedere affermata la propria sovranità in tutti i suoi aspetti, per godere appieno i suoi diritti ed essere direttamente responsabile dei suoi obblighi? Per dare una risposta, si può parafrasare un noto o sull’armatura da indossare nel combattimento senza sosta. Occorre attingere la forza nella potenza del diritto naturale che governa la vita dell’uomo. È necessario rivestirsi dell’armatura costituita dalla piena consapevolezza che l’uomo ha in sé la coscienza razionale e la consapevolezza di saper resistere alle insidie del nemico che vuole definirlo incapace per poterlo dominare. Deve armarsi contro le forze immateriali della sopraffazione, dell’ingiustizia, delle lobby economiche e finanziarie, dell’indifferenza e dell’incompetenza, oltre a quelle dell’invidia, dell’odio e del potere. Restare fermi e decisi dopo aver superato ogni prova e difficoltà, rivelando sempre la verità e sostenendo in ogni circostanza la giustizia, avendo come compagno inseparabile lo zelo per propagare un messaggio di speranza per tempi migliori. Nel combattimento occorre imbracciare lo scudo della fede per il rispetto del diritto: della persona, dei popoli, di chi pensa diversamente da noi, dell’essere fratelli perché figli di un unico padre, dei coinquilini di un’unica casa su questo mondo chiamato Terra, dove ognuno alita la vita vivendo e sperando per la salvezza e la prosperità della propria discendenza.
45. Potere del popolo esercitato direttamente.
Il potere è del popolo solo se lo vuole e deve poterlo esercitare direttamente senza limite, senza tutele e senza classi dominanti. La democrazia diretta deve potersi esprimere soprattutto per le materie da delegare ai rappresentanti. Tutto deve tornare al popolo perché possa decidere cosa delegare ai rappresentanti parlamentari. Si può determinare che il potere appartiene realmente al popolo solo quando è lui stesso che attribuisce e revoca in maniera diretta anche i vincoli o meno dei mandati parlamentari. Se il potere di autodeterminarsi del popolo non è totalmente e realmente esercitato dallo stesso come potere primario ed assoluto con valenza superiore a qualsiasi altra norma, il potere del popolo in toto è monco e gravemente limitato e quindi inefficace e inutile. La mancanza di forme di autodeterminazione diretta, piena e sostanziosamente vasta costituisce una limitazione grave al potere popolare. La rappresentanza senza mandato e l’assenza di consultazione referendaria propositiva costituiscono una limitazione grave al potere popolare. La mancanza di espressione di decisione popolare su tematiche gravi, importanti, di modifica rilevante delle norme legislative inerenti l’etica della convivenza sociale e la morale dei comportamenti personali sia pubblici che privati costituisce una limitazione grave al potere popolare. Metodo è la parola chiave: - 1 democrazia diretta; - 2 valvola di sfogo per il riequilibrio tra i poteri contro tutti gli impedimenti delle ideologie. La modalità (tattica) di espressione del consenso elettorale popolare può essere oggetto di regolamentazione sotto tutti gli aspetti, ma la natura del potere del popolo che si esercita con l’espressione elettorale diretta (strategia) totale e completa non è limitabile in nessuna misura. Tutti i politici che cercano di soddisfare gli interessi di parte e che ostacolano in tutti i modi l’esercizio del reale potere del popolo devono essere estromessi.
Nessuno può continuare a comprimere sino all’esasperazione le aspirazioni legittime di un popolo e poi recriminare quando reagisce con ogni mezzo e in ultima istanza legittimando anche il ricorso alla forza, che può anche diventare violenta. Nessuno può rimanere indifferente di fronte a quanti agiscono per i propri interessi e limitano le richieste popolari con la motivazione che non si può acconsentire al populismo. Se una pentola bolle e rimane chiusa da inefficienze politiche per un senso di ostracismo al populismo, senza la valvola di sfogo di un popolo che decide della propria vita prendendo le decisioni in prima persona, che cosa può fare se non scoppiare?
46. Espressione della Democrazia diretta.
Negli stati moderni la forma di democrazia diretta più usata è quella quasi unica del referendum, che consiste in una consultazione popolare indetta, come in Italia, per abrogare in tutto o in parte una legge specifica adottata dal parlamento. La forma del referendum confermativo, invece, è molto meno usata nel mondo e in particolare in Italia tale modalità viene usata per confermare o no una modifica alla Costituzione che è stata dal parlamento approvata con una maggioranza inferiore ai due terzi, per cui è richiesta la conferma popolare. La modalità largamente in uso in molti paesi è il Referendum ampiamente introdotto nelle costituzioni nazionali che, sebbene usato precipuamente per abrogare una legge, può essere senz’altro impiegato per una scelta popolare che voglia dare o negare un consenso a un provvedimento sottoposto alla volontà popolare. Il termine referendum oggigiorno viene usato correntemente per riferirsi a tutta la procedura prevista per la consultazione popolare. Si può, altresì, fare delle distinzioni qualora il referendum diventi una consultazione ricorrente e consapevole. Come proposta da sottoporre alla scelta popolare per un nuovo ordinamento, è
possibile affermare che la democrazia di un popolo che sia veramente diretta altrimenti non lo è o lo è in piccola parte - non deve escludere alcuna materia né modalità dalla facoltà di scelta del popolo medesimo. In caso di assenza totale di esclusioni, si può dunque parlare di una democrazia avanzata e pienamente matura con un alto grado di partecipazione popolare consapevole. In nessuna forma di democrazia, ancor meno in quella diretta, è possibile che ci si possa esprimere senza alcuna regolamentazione preventiva. Per questo è necessario determinare a priori le regole inerenti tutta la procedura dell’espressione del voto: i quorum, gli aventi diritto la voto, le norme di validità ecc. Queste regolamentazioni, anche se prodrome all’espressione del voto popolare, possono essere sottoposte in un secondo momento alla decisione popolare.
47. Potere primario
Il diritto non si auto genera: esso deriva da una fonte che origina una determinata legge. Ad esempio, il diritto che regola le attività di un imprenditore è originato dalla fonte della costituzione che stabilisce la libertà d’impresa e norme correlate, per cui la costituzione è una fonte primaria delle leggi. Anche la costituzione, però, deriva da un’altra fonte, perché non si è generata da sola e quindi ha un ente di grado superiore che l’ha generata. Infatti, pur essendo una fonte primaria, essa stessa ha una sua fonte. Orbene, la fonte delle fonti giuridiche, come tutti sanno, risiede nel popolo e nella sua volontà di darsi regole di convivenza civile per regolare le attività tra i cittadini al fine di evitare i conflitti tra di loro e risolvere bonariamente le controversie che possono insorgere perché ognuno tende a salvaguardare i propri interessi. Valore sovra costituzionale. La considerazione fondamentale, da imprimersi nelle menti a caratteri cubitali, è che se la volontà popolare è all’origine e al disopra di ogni espressione giuridica, chi può obbligare il popolo a fare o non fare il suo volere? Chi può dire al
popolo questa legge la puoi deliberare e questa no? Chi potrà mai dire al popolo che la democrazia diretta non la può esercitare? Anche qualora sembrasse che il popolo sbagli a decidere su un qualcosa non sarebbe un errore, perché il popolo stesso l’avrebbe deciso, tutto al più si potrà affermare che il risultato ottenuto non sarà stato quello auspicato. Si pensi a quante decisioni prende l’uomo che poi non producono gli effetti sperati. In quel caso il popolo potrà modificare la sua decisione. In ultima analisi, bisogna affermare che una disposizione approvata legalmente, con i dovuti quorum di condenso, dalla consultazione elettorale diretta non può essere soggetta a nessun’altra restrizione nemmeno alla Corte Costituzionale, perché essendo fonte primaria assoluta di diritto, non può essere soggetta ad altro diritto di livello inferiore. Non solo tutto ciò è sacrosanto, ma è lo stesso popolo che deve stabilire le metodologie, i quorum, le maggioranze e tutto il complesso delle regole, delle forme e dei contenuti che stabiliscono le modalità di espressione del consenso popolare. Se non si parte dalla base con solide fondamenta, il castello sovrastante di tutto il diritto non può reggere all’infinito. Anzi la tensione è verso il ristabilimento dell’equilibrio assorbenti le spinte generate dalle nuove esigenze che diventano più impellenti perché trascurate. Comunità sovranazionali. Tutto ciò non solo è ampiamente valido per le singole nazioni, ma soprattutto per le comunità sovranazionali, specie per quella europea, che è nata come negozio mercantile e si è ampliato come un mega supermercato senza tener conto della comunità dei cittadini. Non è più possibile continuare a tenere soggiogate le comunità dei cittadini alle politiche determinate dagli interessi delle lobby e dei comitati che non rispondono direttamente alle popolazioni. È ora di porre fine anche in Europa alle decisioni verticistiche non ate nè condivise dal consenso popolare diretto. Ciò non è più tollerabile senza rischiare che prima o poi le popolazioni per svincolarsi decidano di rompere anche i legami delle varie unità nazionali, aspirando sempre più all’autodeterminazione indipendentista. Toccare un tale argomento non può esimere dal precisare che, proprio in merito ai diritti della persona, la libertà di ognuno è fondata sul diritto inalienabile dell’uomo a decidere autonomamente del proprio futuro. Fondamentale per la
libertà è determinare come e dove vivere e con chi convivere ed essere solidale, farsi prossimo in un luogo, in un tempo, con una motivazione e spirito nel sentire l’altro nella propria vita. Aspirazioni separatiste. Molti popoli, che vivendo da tempo in ambiti di diffusa democrazia, ritengono sia giunto il momento esperire dinamiche sociali che spingono verso l’autonomia e/o l’indipendenza. Rivendicare l’autodeterminazione ad avere una propria individualità comunitaria è divenuta urgente anche perché ritengono oggettivamente di poterla raggiungibile pacificamente. In questa prospettiva è importante e indifferibile per le nazioni e le comunità di Stati dotarsi di norme con più articolati criteri in merito alla specificità delle metodologie inerenti l’autodeterminazione, al fine di evitare che vuoti legislativi favoriscano la sopraffazione di minoranze agguerrite. In un contesto vissuto anche con le difficoltà economiche ampiamente diffuse nei popoli, quelli europei in primis, una prossima deflagrazione è ritenuta più che probabile, per cui è indubbio considerare probabile una potenziale controversia con il tradizionale pensiero della sovranità di uno Stato unitario. Le spinte autonomiste, soprattutto quelle indipendentiste, per ottenere un risultato positivo, devono essere adeguate e governate con sapienza per contemperarle con il principio dell’integrità territoriali degli Stati nazionali unitari. L’adeguamento, se si vuole raggiungere l’obiettivo, non può prescindere che vada conseguito con il neo formulato principio suesposto: Nec sine nec adversus. Questa opinione appare di grande rilevanza in quanto nessun processo autonomista o indipendentista può concretizzarsi pacificamente senza il consenso delle popolazioni dalle quali ci si vuol separare né se si procedesse alla separazione a danno delle stesse. Modalità e procedure separatiste. Non si tratta, quindi, di riconoscere e regolamentare il diritto all’autodeterminazione internazionalmente accettato concettualmente in linea teorica, ma poi quando si tratta del proprio giardino le cose cambiano. Occorre, per questo motivo, determinare procedure accettate da tutti che garantiscano pacificamente l’esercizio dell’autode-terminazione. Sono le modalità a dover essere accettate da tutti, perché solo così tutti si faranno garanti dell’autodeterminazione per sé e per gli altri. Se sono più che garantiti le
opinioni di tutti le cose potrebbero essere più facili qualora si rispettasse il principio dell’opzione minoritaria ( vedi paragrafo 77) e quello del: Nec sine nec adversus. Autonomie subnazionali. Adottare i suddetti criteri significa che in uno Stato unitario tutte le entità di base, che poi costituiscono l’unità nazionale, devono godere del medesimo grado di autonomia senza diversificazioni ed eccezioni. Non solo il grado di autonomia deve essere uguale per tutte le entità ma l’autonomia stessa deve essere la più ampia e la più reale e concreta possibile. Analogamente all’interno della comunità internazionale deve essere accettato e garantito il diritto di ogni porzione di comunità nazionale a godere innanzitutto dell’autonomia predetta e successivamente se quel popolo, che gode appieno della sua autonomia, ritiene di voler essere indipendente perché sono più le cose che dividono da quelle che le uniscono con la restante comunità, solo allora, è possibile aspirare all’indipendenza. Questa non significa, però, che l’indipendenza si possa trasformare in una immediata aggregazione con un altro Stato senza esperire prima un congruo periodo di gestione indipendente senza altri vincoli, mentre l’aggregazione può avvenire solo successivamente, come si dice: a bocce ferme. Strategy Il ragionamento sull’aggregazione e disaggregazione suggerisce di considerare che la crisi nella Comunità Europea sia stata aggravata dalla mancanza di ordinarie normative utili in tal senso, e ciò appare grave. Essa è nata male e continua a peggiorare. È nata come un mercato e continua a sussistere come quei coniugi che vivono sotto uno stesso tetto ma che vorrebbero ammazzarsi l’un l’altro. Si consideri come nella Comunità Europea non esista un protocollo di exit strategy da essa, di gestione delle politiche di solidarietà ordinaria degli Stati in difficoltà. Non sono contemplate protocolli per la temporanea sospensione dell’appartenenza comunitaria. Non sono previsti percorsi ordinari e prestabiliti di aggregazione e disaggregazione per approssimazione successiva e graduale. Non sono ipotizzate normative di ingressi comunitari ordinarie per una appartenenza a più livelli,che determinino diversità di obblighi ma anche di diritti. Se poi si volesse disquisire sulla disarmonicità delle leggi specie quelle fiscali, energetiche, sul lavoro ecc. si aprirebbe un baratro, ma soprattutto non è possibile avere nella stessa comunità paradisi fiscali dove ci si registra per
eludere i doveri di cittadinanza nel paese di origine. In una stessa famiglia i componenti non possono rispondere a diritti e dovere diversi per ognuno. Nella Comunità Europea c’è molto da fare e se i governanti comunitari ritengono che quel che c’è da fare lo decidono da soli è un grosso errore. Nessuno è più disposto a che siano solo in pochi, una oligarchia di burocrati, a determinare la vita delle persone e della comunità europea. La Democrazia diretta non può attendere neanche in Europa.
VIII - CAPITOLO
REFERENDUM
48. Referendum
La democrazia diretta si esercita attraverso la consultazione popolare conosciuta con il termine Referendum. Per il Referendum è possibile tentare una catalogazione anche molto personalizzata se vogliamo, ma utile per ragionarci sopra: Tipo di Referendum: così denominato per quanto riguarda la forma e la modalità della consultazione popolare; Specie di Referendum: così denominato in relazione alla specificità del risultato che attiene agli effetti che produce. Categoria di Referendum: così denominato riguardo alla qualità dell’oggetto pertinente il contenuto e la sua sostanza; Genere di Referendum: così denominato per quanto riguarda l’organo proponente che genera la proposta referendaria. Grado di Referendum: così denominato per quanto riguarda la delimitazione territoriale interessata.
49. Tipi di Referendum
I referendum per quanto attiene alla forma e la modalità della consultazione popolare possono essere diversificati per una tipologia di seguito elencata in via non esaustiva: Referendum con risposta monosillabica. In questo caso viene proposto al popolo una domanda più o meno articolata cui si deve rispondere solo con un SI o un NO. Referendum con risposte multiple concatenate. In questo caso viene proposto al popolo un quesito articolato al quale oltre a rispondere con un SI o un NO, in caso, si può scegliere una sola risposta entro una gamma di risposte previste. Referendum con risposte preferenziali. In questo caso viene proposto al popolo un referendum come al precedente punto 2 con la differenza che le risposte prestabilite possono essere tra loro collegate e parzialmente includenti e prevede in una pluralità di risposte predeterminate, la possibilità di scelta multipla fino a tre assegnando alle tre risposte uno, tre e cinque punti in ordine decrescente della preferita. 1. Alla risposta maggiormente votata che costituisce la scelta principale e che idealmente corrisponde all’animus dell’elettore, si assegnano cinque punti. 2. Alla risposta che non costituisce la scelta principale e che in parte appena sufficiente si avvicina alla scelta principale si assegnano tre punti. 3. Alla risposta che costituisce la scelta di riserva alla quale si attribuisce una preferenza su tutte le altre reputate totalmente insufficienti, si assegna un solo punto. Il metodo di espressione del voto deve prevedere sulla scheda elettorale per ogni risposta prestabilita un riquadro per ogni punteggio di cinque, tre e uno da contrassegnare per quella che si sceglie. Ciò andrà a determinare il valore complessivo delle singole risposte di modo che la scelta referendaria sarà quella che avrà ottenuto il punteggio maggiore anche tenendo conto delle risposte parzialmente includenti.
Referendum d’indirizzo. Il Referendum d’indirizzo consiste nel proporre una consultazione per l’approvazione di una proposta di legge predisposta alla quale l’elettore può dare un consenso favorevole o contrario alla totalità della proposta ovvero esprimere il suo voto con esclusioni. In questo caso l’elettore può esprimere un consenso favorevole a tutta la proposta di legge con esclusione di uno o più articoli della medesima ovvero al contrario esprimere un consenso negativo all’intera proposta legislativa con, altresì, un consenso favorevole ad uno o più articoli. Un tale sistema di votazione comporta che l’articolato legislativo deve essere catalogato in capitoli, articoli e commi ognuno dei quali deve essere votato singolarmente o globalmente. Sono ammissibili articoli e commi alternativi che comportano l’esclusione della parte non votata. Il Referendum d’indirizzo comporta che la proposta di legge sottoposta alla consultazione popolare va sempre sottoposta di nuovo al Parlamento che rielabora il dispositivo legislativo secondo le indicazioni popolari. Nella fattispecie si determina un obbligo specifico di mandato parlamentare sottoponibile al controllo di legittimità della corte costituzionale ovvero del Referendum confermativo. Altri modelli possono essere elaborati. Una volta deciso di adottare la forma della democrazia diretta con lo strumento dei referendum in un sistema integrato con la democrazia rappresentativa con o senza vincolo di mandato, si potranno elaborare tutti i modelli di referendum che si adatteranno al modello scelto.
50. Specie di Referendum.
Le specie di Referendum sono ampiamente trattate in letteratura e si vuole che siano solo applicate. I referendum per quanto attiene alla specificità del risultato che afferisce agli effetti che produce possono essere distinti per specie: Referendum deliberativo.
È previsto per decidere su una determinata questione che non è stata ancora assunta da alcun organo. Questa forma sarebbe la migliore se fosse usata senza una proposta predefinita alla quale si debba rispondere con un sì o un no, mentre sarebbe senz’altro una vera partecipazione popolare se una tale consultazione fosse utilizzata con scelte a risposte multiple nell’ambito di un disegno legislativo organico composto a mosaico per scegliere in ambiti particolareggiati dissimili al fine di poter comporre una precisa figura giuridica veramente decisa dal popolo. Referendum consultivo. È usato per compiere un’indagine su cosa pensa il popolo su una determinata questione ed è utile ai politici per giustificare alcune scelte che intendono fare anche se spesso, quando il popolo non è in linea con il pensiero dei politici, essi fanno come vogliono, perché accusano il popolo di essere ignorante e di non riuscire a comprende la situazione. In particolare, un tale modo di comportarsi dei politici mostra un problema di metodologia - applicabile anche nel caso sorto nel ato in campo archeologico, nelle ricerche storiche e documentali e in altri campi, quando una corrente di studiosi elaborava una tesi e poi andava alla ricerca degli elementi che potessero confermarla. In seguito, invece, si è affermata giustamente la corrente di pensiero che vedeva al primo posto la ricerca degli elementi e, dopo averli trovati e messi insieme, seguiva l'elaborazione di un’ipotesi che concordava con gli elementi scoperti. Referendum abrogativo. È utilizzato per deliberare l'abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge, e quindi serve soltanto per cancellare una o più norme esistenti. Referendum confermativo. Consiste nel convalidare una scelta già fatta dalla politica, la quale, però, a volte ha deciso con un quorum favorevole insufficiente numericamente per cui la norma costituzionale prevede l’obbligo della conferma popolare, che spesso non viene ottenuta perché la norma di modifica costituzionale proposta dal Parlamento era molto di parte e non poteva corrispondere ad un consenso popolare più diffuso. Referendum approvativo.
È simile al confermativo ma è utilizzato in situazioni particolari quando è previsto da norme costituzionali alquanto macchinose che le persone comuni fanno fatica a comprendere.
51. Categoria di Referendum.
È la ripartizione riferita alla Categoria Di Referendum così denominata per quel che attiene alla qualità della materia pertinente il contenuto e la sua sostanza. Le materie che un parlamento può trattare sono le più diverse perché riguardano tutta la vita della popolazione governata. Per questo motivo le relative decisioni non possono essere adottate con le medesime maggioranze. Infatti, ad esempio le norme costituzionali e le regole democratiche devono essere condivise da una più ampia maggioranza. Ora si ritiene che vi siano molti altri campi in cui le maggioranze devono essere più ampie devono quindi avere un consenso più vasto da parte del popolo su argomenti più ideologici e morali. Pertanto, non è peregrino suddividere l’argomento in più sezioni che comunque non saranno complete. Esse possono essere catalogate in relazione alla materia del contenuto e grossolanamente raggruppabile in: Materie fondamentali ed etiche. Materie essenziali e/o straordinarie. Materie ordinarie.
52. Categoria delle materie fondamentali ed etiche.
Le materie fondamentali ed etiche possono essere suddivise in sottoinsiemi giuridici. Referendum sui diritti inalienabili.
I principi inalienabili attualmente sono contenuti all'interno dei primi articoli della Costituzione italiana ovvero sono quelli concernenti i diritti inviolabili dell'uomo la cui disponibilità è sottratta al titolare del diritto stesso, in quanto non è possibile rinunciarci. Sinteticamente si può elencarne alcuni: 1. I diritti della personalità, come il diritto al nome, all'immagine, alla riservatezza; 2. I diritti di stato relativi alle qualità delle persone che indicano la loro posizione della società; si pensi allo status di padre, di figlio, di coniuge e così via; 3. I diritti patrimoniali che scaturiscono da rapporti familiari, come il diritto agli alimenti. Etc. 4. Inoltre, altri diritti riguardanti le libertà civili sono già attualmente garantiti dalla Costituzione italiana: - art. 13: libertà personale; - art. 14: inviolabilità del domicilio; - art. 15: libertà e segretezza della corrispondenza; - art. 16: libertà di circolazione; - art. 17: libertà di riunione; - art. 18: libertà di associazione; - art. 19: libertà di religione; - art. 21: libertà di manifestazione del proprio pensiero. Sembrerebbe che i diritti inalienabili, in quanto indisponibili, non debbano essere trattati, ma tali diritti possono essere ampliati, regolamentati e soprattutto possono essere specificate le modalità nel garantirli: vanno quindi considerati perché possono anche essere ristretti nelle modalità di esercizio, la qual cosa si
potrà fare solo mediante un adeguato consenso popolare ampio espresso attraverso un referendum i cui quesiti devono essere certamente articolati adeguatamente e non semplicistiche né confusi. Referendum sulle materie identitarie statuali. Le materie identitarie statuali sono inerenti alle scelte sulla natura e forma dello Stato. Alcuni esempi: Repubblica, Monarchia, Principato, Principato non ereditario, Repubblica federale, Confederazione ecc. Referendum sulle materie etiche. Materie etiche sono quelle che interagiscono con la coscienza dell’uomo in quanto i principi morali della persona nel suo ambito religioso, sociale, culturale e metafisico determinano una gamma di valori che egli è propenso a sostenere eticamente in ambito sociale e politico. Si possono proporre alcune materie quali esempio: la natura della famiglia e del matrimonio, tutela dei minori, l’aborto, l’eutanasia, l’uomo in stato di necessità, il prigioniero, il rifugiato; tutela della salute, della natura, dell’ambiente fisico culturale e metafisico ecc. Referendum sulle materie costituzionali. È indubbio che dopo oltre mezzo secolo alcune messe a punto del funzionamento organizzativo della Repubblica vadano adattate ai tempi. Ad esempio: oggi le Regioni sono diventate molto più importanti e ciò impone alcuni cambiamenti pur nel pieno rispetto dell'unità nazionale. Il Parlamento è attualmente diviso in due Camere che fanno le stesse cose. Molti sostengono che la Costituzione italiana vada cambiata ma lasciando intatta la sua prima parte; ma è proprio così? O non sarebbe tutto da rivedere a cominciare dal primo rigo che recita: “L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”. Non sarebbe meglio sostituire i vocaboli “sul lavoro” con quelli “sulla persona”. In fondo il lavoro in Italia non è mai stato garantito a tutti né è immaginabile come si sarebbe potuto assicurare.
53. Categoria delle materie essenziali e/o straordinarie.
Le materie essenziali e/o straordinarie possono essere suddivise in sottoinsiemi. Referendum sui mandati parlamentari. La materia sui mandati parlamentari deve essere determinata direttamente dalla consultazione elettorale che concede e revoca gli ambiti e i confini del mandato della rappresentanza parlamentare. Referendum su materie extraordinarie e di sistema. Le materie extra l’ordinaria gestione dello Stato quali quelle inerenti: l’ordinamento delle materie costituzionali demandate alle leggi ordinarie; l'organizzazione propria dello Stato, quali le leggi elettorali, i regolamenti parlamentari e ministeriali; la gestione e la destinazione delle risorse; le deleghe agli enti territoriali; l’organizzazione delle politiche strutturali nella nazione e delle sue risorse economiche, finanziarie, fiscali, energetiche, industriali, commerciali, turistiche, ecc. il c.d. Sistema Paese. Referendum sulle sovranità e identitarie. Esse sono inerenti all’ordinamento delle materie la cessione o la riappropriazione della sovranità nazionale, locale ecc. e connessi le materie identitarie territoriali e di appartenenza.
54. Categoria delle materie ordinarie.
Le materie ordinarie riguardano tutti gli ambiti non specificati e non regolamentati nelle altre materie e/o sono gestite o regolate direttamente dal governo. Riguardano inoltre le materie sulle attività lavorative, retributive, pensionistiche, contributive assicurative socio sanitarie ecc.
55. Genere di Referendum.
Come in Italia, anche in molti altri paesi i proponenti ci sono sia l’iniziativa popolare sia la petizione, che sono in uso diffusamente, anche se per alcuni è distinta l’ammissibilità della sola abrogazione ovvero anche la proposizione legislativa. I Referendum possono essere delimitati territorialmente per le consultazioni locali e quindi sono riferibili soltanto alle popolazioni interessate. La consultazione popolare debitamente regolamentata può essere indetta su proposta da tutta una serie di soggetti e che si può catalogare quale “Genere di Referendum”. Referendum d’iniziativa istituzionale Il Referendum d’iniziativa istituzionale può essere indetto tramite la richiesta di: 1) Legge del Parlamento. 2) Camera del Parlamento. 3) Governo. 4) Regione o corrispondente Dipartimento nel nuovo ordinamento. 5) Provincia o corrispondente Distretto nel nuovo ordinamento. 6) Comune o corrispondente entità nel nuovo ordinamento. Referendum d’iniziativa parlamentare Il Referendum d’iniziativa parlamentare può essere indetto dalla richiesta di: 1) Parlamentari nazionali ed eurocomunitari. 2) Consiglieri dei Parlamenti regionali. Referendum d’iniziativa popolare Il Referendum d’iniziativa popolare può essere indetto su richiesta dei cittadini elettori costantemente residenti sul territorio nazionale da almeno cinque anni di
almeno l’1% del numero dei cittadini italiani residenti sul territorio italiano individuati nell’ultimo censimento. Referendum d’iniziativa sociale Il Referendum d’iniziativa sociale può essere indetto, nei limiti prescritti, per richiesta di: 1) Organismi d’interesse sociale riconosciuti dallo Stato ed inseriti nell’apposita lista. 2) Organizzazioni non governative di tutela sociale dei cittadini quali sindacati ed autorità di tutela riconosciuti e controllati dallo Stato. Referendum d’iniziativa mista Il Referendum d’iniziativa mista può essere indetto dalla richiesta del 50% previsto per l’iniziativa parlamentare e 50% d’iniziativa popolare.
56. Grado di Referendum.
Il Grado di Referendum è così denominato per quanto riguarda la delimitazione territoriale interessata dalla consultazione popolare quale: sovranazionale, nazionale, regionale, provinciale, comunale o, nel nuovo ordinamento dipartimentale, distrettuale o municipale.
57. Limiti e condizioni.
Possono essere istituiti per i referendum limiti e condizioni riguardanti le approvazioni dei quorum per la validità del risultato della consultazione con valenza costituzionale, legislativo ordinario e loro successiva modifica e per i referendum a domande multiple con risposte multiple e per opzioni.
Tutto però deve, in questi casi, tornare al popolo perché possa decidere cosa delegare ai rappresentanti parlamentari.
58. Effetti referendari.
Gli Effetti referendari secondo la quantità di consenso costituiscono vincoli di natura sovra costituzionale, costituzionale, d’indirizzo quadro o di legge specifica. Ciò comporta che la materia venga disciplinata in maniera specifica secondo le opzioni referendarie che si adotteranno, per cui formulare ipotesi astratte diventa un esercizio quasi inutile. In ogni caso un principio deve essere salvaguardato e chiaro: le norme, non solo in senso letterale, in precedenza introdotte o cassate mediante referendum, possono essere modificate soltanto da altro referendum che consegua un quorum superiore al primo del dieci per cento almeno.
IX - CAPITOLO
QUORUM VOTI E VOTANTI
59. De quorum.
L’espressione verbale quorum deriva dal latino come tantissimi termini della lingua italiana e non solo, specie degli ambiti naturalistico, scientifico e soprattutto giuridico, in quanto la civiltà giuridica del mondo occidentale ed oltre si rifà al diritto romano. Infatti, il termine latino quorum in italiano significa dei quali, terminologia gergale che vuole sottintendere una frase molto più espositiva tipo: “dei quali è assolutamente necessario l’espressione di un consenso favorevole o la indispensabile presenza alla riunione ad esempio di un consiglio, di un’assemblea o di un più generico consesso”. Solitamente è necessario prestabilire il quorum: ciò consente di evitare che, per cause le più disparate quali disaffezioni o disinformazione, gli aventi diritto sottovalutino la partecipazione ad esprimere una decisione rinunciandovi, consentendo indirettamente a una minoranza di elettori di adottare decisioni importanti e vincolanti per l’intera comunità. Pertanto, il quorum consiste nella norma prestabilita che impone una quantità numerica o percentuale minima di aventi diritto a partecipare a un’elezione o votazione perché la riunione o la scelta della decisione da assumere possa essere giuridicamente valida.
60. Tipi di quorum.
Nell’uso corrente, sia in materia elettorale sia in ambito decisionale o deliberativo, si sono affermate due principali tipizzazioni di quorum oltre ad un terzo previsto nei modelli giurisprudenziali ma non correntemente usato. Essi sono il quorum funzionale, il quorum strutturale, il quorum per opzione.
61. Quorum funzionale o deliberativo.
Il quorum funzionale o deliberativo consiste nella percentuale di voti o nel numero che esprime il consenso favorevole minimo, ottenuti da candidato o attribuiti a una proposta perché il candidato risulti eletto o la proposta risulti essere assunta: tale quorum è dunque indispensabile con riferimento alla decisione, alla deliberazione dell’organo.
62. Quorum strutturale o costitutivo.
Il quorum strutturale o costitutivocorrisponde essenzialmente al numero legale necessario perché una riunione o una votazione sia ritenuta legalmente valida. Infatti, stabilisce la percentuale o il numero minimo di soggetti aventi diritto che devono intervenire a una riunione o partecipare a una votazione indipendentemente dal fatto di prendere parte o meno all’espressione del voto sulla decisione da assumere. In sostanza il quorum strutturale è riferito esclusivamente al numero minimo degli aventi diritto al voto che effettivamente sono presenti alla riunione di un consiglio o un’assemblea e in pratica serve a determinare se il tal consesso o la tale assemblea sono regolarmente costituiti e legalmente validi e quindi idonei a produrre effetti per le decisioni o le deliberazioni che sono assunte.
63. Quorum per opzione.
Il modello alternativo ai due principali quorum è quello denominato quorum per opzione (dal latino per-option quorum). Si ha il quorum per opzione quando, anziché porre un vincolo sul numero minimo di votanti o di presenti alla riunione, il limite è posto sul raggiungimento del valore numerico o percentuale minima di una delle due scelte dei voti favorevoli o contrari perché si possa definire raggiunto il quorum prescritto. Una tale normativa è dettata dal fatto che con il quorum per opzione si cerca di evitare che chi possa averne interesse usi il boicottaggio con l’assenza o l’astensione per volgere indirettamente e in maniera impropria a suo favore il risultato della votazione. Norme per determinare gli aventi diritto al voto dovranno essere specificatamente precisate sul sistema che sarà adottato.
64. Determinazione dei quorum.
Determinare un rapporto tra maggioranza dei voti ottenuti, voti validi, votanti e diritto al voto è estremamente importante, ma può essere determinato e applicato con saggezza soltanto dopo aver compiuto la scelta del sistema che si vuole adottare. Infatti, una scelta opportuna può vanificare ad hoc l’impianto generale del sistema, perché può provocare una totale mancanza di funzionalità del sistema.
65. La popolazione legale.
La legge attualmente stabilisce che la popolazione legale di un Comune italiano è determinata dalla popolazione residente risultante dall'ultimo censimento generale ed è ufficializzata con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale di un apposito decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri.
66. I Voti.
Nel nuovo ordinamento, avendo il Referendum acquisito una notevole importanza, è fondamentale definire nel dettaglio tutta la materia inerente gli aventi diritto al voto, i votanti e i voti validi.
67. Voti validi.
Come voti validi correttamente valutati devono ritenersi esclusivamente i voti espressi che sono idonei a produrre effetto e quindi solo quelli che esprimono validamente il parere dell’elettore sia a favore o contro la proposta. Norme che in qualche caso prevedano, specie per le schede bianche, una modalità indiretta di comprenderle in una qualsiasi ripartizione sono certamente surrettizie e al di fuori di ogni buon senso.
68. I votanti.
Tutti quelli che partecipano a una votazione democratica esprimendo in modo palese o segreto un proprio parere sono definiti votanti. Pertanto, il termine votanti è riferito esclusivamente al numero degli aventi diritto al voto che effettivamente esprimono il proprio parere o comunque lo
facciano sia esprimendo un voto favorevole, o contrario, o con scheda bianca, o scheda nulla; mentre chi non partecipa o si astiene pur risultando presente alle votazioni, deve ritenersi non votante in quanto rifiuta di esprimere una qualsiasi espressione di decisione.
69. Aventi diritto al voto.
Solo coloro che hanno tutti i requisiti prescritti per esprimere il proprio parere sono i soggetti che, legalmente aventi diritto, posso esprimere un tale voto nelle forme e nei modi previsti. Coloro che, invece, si trovano in una situazione limitativa, per cui non riescono materialmente ad esprimere il proprio voto, sono sempre soggetti aventi diritto al voto impediti ad esprimerlo personalmente per un qualsiasi motivo anche indipendente dalla loro volontà. Norme per determinare gli aventi diritto al voto dovranno essere specificatamente precisate in relazione al sistema che sarà adottato.
70. Suffragio universale.
Il termine “suffragio” sta ad indicare l’espressione della propria volontà nelle procedure elettive o nell’ambito di assemblee deliberative e quindi che il soggetto è titolare del diritto relativo. Mentre con il termine universale in questo caso s’intende riferirsi a tutta l’umanità. Nel corso della storia il suffragio elettorale ha riguardato ambiti delimitati così detti ristretti, ad esempio nel caso di diritto di voto limitato a particolari categorie di cittadini distinti per insiemi di appartenenza di classe, grado di istruzione, censo, sesso, età, buona condotta.
71. Motivazione per una esclusione.
Il suffragio universale finora è stato escluso sempre per la persona minorenne in quanto priva di capacità giuridica: per la minore età non è ritenuta idonea a esercitare il diritto di voto. Se si considera che il minore non può votare perché priva del diritto per incapacità della persona ad esprimersi, s’incorre in errore, in quanto il minore può adempiere tanti altri compiti anche importanti, come l’alienazione d’immobili e la gestione del patrimonio che, in alcuni casi, può essere anche ingente, compiti che adempie mediante l’esercizio della potestà genitoriale esercitata dai genitori o, in assenza, dal tutore. Se l’impedimento, quindi, deriva dall’incapacità per la minore età, è da ritenersi un falso impedimento.
72. Suffragio universale ai minorenni.
Assodato che le esclusioni per incapacità per la minore età possono essere rimosse, è necessario fare delle valutazioni sull’opportunità. È possibile farsi aiutare da un esempio comparativo. Il voto di quattro persone single è equiparabile al voto di una famiglia composta di madre, padre e due figli minori? Non è per nulla credibile che i primi esprimano quattro voti e i secondi due. Neanche se si considerasse che i single organizzino la propria vita e il proprio futuro e la loro partecipazione alla vita della comunità sociale soltanto in relazione alla propria persona. La famiglia, invece, è tutta dedicata ad un presente impegnativo, pieno di sacrificio, di dedizione, di solidarietà nella famiglia stessa e nella società, tutto proiettato a un futuro pieno di speranza, di ione, d’impegno alla ricerca costante e continua di un benessere per se stessa e il futuro dei propri figli. Questa famiglia non può dedicarsi ai piaceri della vita, ma è sommersa da un impegno quotidiano nel cercare di "farsi piacere" dai propri figli, soddisfacendo i
loro bisogni, che non possono definirsi in senso stretto piaceri. La famiglia non è in grado di trovare il tempo da dedicare alla ricerca del potere nella società, nel lavoro, nella carriera. Essa è impegnata in maniera costante per poter sfamare i propri figli, per riuscire a farli studiare possibilmente sino alla laurea con un corso di studi che li prepari seriamente ad una professione che abbia un reale e proficuo sbocco lavorativo e perpetui lo spirito della famiglia e dell’amore per la propria progenie. La famiglia non si sogna proprio la corsa al possesso smodato di beni, perché cerca di fare tutto per i figli e di mettere da parte qualche risparmio per assicurare il futuro sempre in pericolo dei figli, per le malattie sempre in agguato, per l’assistenza ai nonni che l'età avanzata spesso rende non più autosufficienti e che solo la famiglia riesce a tutelare. Con il massimo rispetto per tutti ed anche per il single, questo non deve preoccuparsi di curare e proteggere la famiglia, in particolare i membri che non hanno un lavoro, trovandosi spesso a compiere miracoli veri e propri. Se c’è qualcuno che ha più diritto di esprimere il proprio consenso elettorale è certamente la famiglia, e le cose andrebbero senz’altro meglio e sarebbe la cosa giusta da fare se si desse il diritto di voto al minore. Molti asseriscono che la famiglia vada meglio tutelata e difesa e non solo. Altri addirittura vorrebbero allargare il concetto di famiglia per far cadere in questa categoria ulteriori soggetti con relazioni attualmente considerati tali solo in poche società In ogni caso i più pensano di dare alla famiglia protezioni ed agevolazioni perché riconoscono nell’istituto famigliare il solo idoneo e veramente capace a garantire ai suoi componenti il miglior benessere con un costo contenuto e foriero di tenuta del tessuto comunitario. Sebbene questi siano gli intendimenti, non si riesce di ottenere i risultati che si dichiara di voler perseguire, salvo che tale intenzione sia solo apparente. La strada per raggiungere eventualmente l’obiettivo però esiste ed è quella di riconoscere il suffragio universale totale anche al minore.
73. Voto ai minori per equilibrio della responsabilità.
La concessione del voto attivo a tutte le persone, minorenni compresi, va oltre a tutte le motivazioni in precedenza esposte.
Ammetterli al voto va a costituire un elemento molto importante di equilibrio delle forze in campo nella competizione elettorale, soprattutto in presenza di un sistema politico che si vuol basare anche sulla democrazia diretta. Un siffatto sistema andrebbe a determinare un’ampia partecipazione democratica e una partecipazione responsabile e attiva, perché non c’è nulla di più importante per l’uomo della difesa, dell’educazione e della felicità dei propri figli. Una specie di spada di Damocle pende sulla testa della persona, con figli e coniuge e anche con genitori anziani e malati, la quale sa di dover essere sempre attento a non sbagliare, a non correre pericoli inutili, perché i propri figli potrebbero pagarne le conseguenze. Un genitore è continuamente attento e vigile per non commettere errori anche banali, perché anche un errore solo può essere di troppo. Dal momento in cui una persona viene a sapere che avrà un figlio, inizia il balletto dei timori che mette in guardia nei confronti di qualsiasi banalità che possa mettere a rischio la mamma e il bambino. Il timore non cessa mai né quando un figlio è piccolo né quando è grande, né quando si è fatto una sua famiglia, né quando va per la sua strada. Un figlio è sempre "il proprio figlio" e per un genitore è sempre in balia dei pericoli del mondo. Perciò un padre di famiglia e una mamma sono meno propensi alle avventure di ogni genere e ciò si manifesta anche nelle elezioni politiche, nella scelta di dare sempre e comunque un consenso a politiche equilibrate e di buon senso. Questo timore ancestrale e continuo contribuirebbe a mantenere quell’equilibrio fondamentale e necessario per vivere in un paese sicuro e pieno di opportunità positive, di possibilità di vita per sé e la propria famiglia.
74. Espressione del Suffragio universale ai minorenni.
Alle elezioni di ogni ordine e grado devono partecipare tutti i cittadini mediante il suffragio universale. L’espressione formale del voto dei cittadini minorenni, parimenti per gli inabili e
gli interdetti, sarà resa da un genitore esercente la potestà genitoriale o dal tutore legale. Il minore che ha compiuto il quattordicesimo anno d’età può accompagnare nella cabina elettorale il genitore o il tutore. Il minore che ha compiuto il sedicesimo anno di età, accompagnato al seggio dal genitore che espleta le formalità di rito per essere ammesso al voto, può entrare nella cabina elettorale da solo per esprimere il voto, previa richiesta orale fatta al Presidente del seggio e previo consenso genitoriale. In ogni caso il genitore ha facoltà di entrare in cabina comunque e per ogni evenienza. Le liste elettorali dei cittadini ammessi al voto per i minori devono contenere le generalità dei genitori o dei tutori che devono esprimere il voto con la normale esibizione della tessera elettorale personalmente intestata al minore. La scelta del genitore che esprime il voto per il minore è lasciata alla decisione della coppia dei genitori; tale scelta si manifesta mediante l’esibizione della tessera elettorale da parte del genitore. Per i genitori non più conviventi il diritto ad esprimere il voto per il minore è assegnato al genitore presso cui il figlio è legalmente residente. L’altro genitore può sostituire il primo in caso di assenza o impedimento, previa autorizzazione del Comune di residenza del minore.
X - CAPITOLO
MAGGIORANZE
75. Principio di maggioranza.
L’uomo assume continuamente decisioni di ogni tipo. Quando la persona singola o istituzioni giuridiche, amministrate da organi monocratici, devono prendere una decisione non ci sono problemi. Il singolo può decidere in un senso o in senso contrario o anche non decidere. Invece, quando si tratta di prendere una decisione da parte di un’istituzione governata da organi collegiali, la decisione dei singoli componenti il gruppo decisionale concorre a formulare la decisione da adottare che è unica e vincola tutti i componenti andando a costituire la decisione dell’istituzione rappresentata dai singoli. Nel corso della storia, per rendere valida la decisione di un’istituzione attraverso l’espressione del parere dei singoli appartenenti al collegio, si è affermato il così detto principio di maggioranza, o principio maggioritario. Nel processo decisionale di qualsiasi organo collegiale o assemblea di qualsiasi natura, la scelta o l'assunzione di una decisione avvengono mediante la formazione di un consenso favorevole espresso da una pluralità di soggetti aventi diritto ad esprimerlo. Quando la pluralità dei consensi favorevoli su un’opzione raggiunge la quantità numerica minima prestabilita per l’approvazione o accettazione, si determina l'approvazione o accettazione dell’opzione in discussione. Questo processo è identificato come adozione delle decisioni con la formazione del consenso favorevole degli aventi il diritto ad esprimerlo mediante il principio di maggioranza: è un principio basilare della democrazia. Il processo di espressione del consenso per l’esercizio del principio democratico
deve essere postulato preventivamente e regolamentato da norme e criteri certi con fattispecie esattamente prestabilite. I criteri relativi adottati, che regolano l’espressione del consenso positivo o negativo, devono specificare con esattezza quali siano le condizioni minime da raggiungere perché si ottenga il consenso della maggioranza prevista per considerare legalmente approvata o assunta la decisione in discussione. Ordinariamente vi sono diverse forme di maggioranza, come vi sono diverse modalità di costituzione numerica del gruppo avente il diritto a partecipare alla decisione sia per quanto riguarda il numero minimo di votanti sugli aventi diritto, il cosiddetto quorum, sia per quanto riguarda anche il raggiungimento di un consenso favorevole minimo rispetto ai votanti aventi diritto. Secondo il criterio adottato delle norme che regolano la formazione del consenso, in dottrina, si possono avere diversi tipi di maggioranza: relativa, semplice, assoluta o qualificata.
76. Le maggioranze.
Nel parlare corrente, non escluso l’intrattenimento giornalistico, si riscontra l’uso improprio dei termini legati ai significati dei vari tipi di maggioranze, per cui è opportuno fare alcune precisazioni perché tutti possano comprendere correttamente di cosa si sta discutendo. In questo discorrere corrente senza badare tanto ai contenuti giuridici, che sono quelli che definiscono le terminologie, si definisce la maggioranza in vario modo: Con il termine maggioranza s’intende il conseguimento di un generico consenso quantitativamente maggiore di un dissenso quantitativamente inferiore, indipendentemente da altri fattori che possono essere in relazione. Con l’espressione maggioranza ampia s’intende quando il generico consenso supera abbondantemente la totalità dei consensi avversi e qualora sia stata conseguita con il consenso favorevole di più parti in campo; essa viene definita anche condivisa.
Andando oltre il comune parlare, il principio di maggioranza ha un’esatta catalogazione giuridica di cui è bene rinfrescare la memoria.
77. Le minoranze.
Nella democrazia, in particolare in una democrazia definibile adulta ovvero avanzata, sottintendendo nel concetto la democrazia che governa sulla base del principio maggioritario, si può dare questa definizione soltanto qualora, unitamente a tutti gli altri criteri e condizioni consueti, soddisfi anche e soprattutto un principio di tutela dell’opinione della minoranza non marginale o di nicchia, anche se non sia sopraffatta comunque quest’ultima categoria. Quando sono in gioco valori etici e fondamentali, sui principi inalienabili, costituzionali, istituzionali, essenziali e straordinari, il principio di maggioranza in democrazia non può essere applicato “ tout court” senza che sia valutata e rispettata l’opinione di dissenso espressa da una consistente parte di cittadini. Nella presente fattispecie deve essere predefinita una regolamentazione che stabilisca il livello che deve raggiungere il dissenso per essere tutelato, di modo che, qualora il consenso favorevole maggioritario e un eventuale relativo quorum siano raggiunti, non si possano produrre effetti nell’ipotesi, o opzione, che il dissenso raggiunga una soglia minima che va prevista nei casi siano in gioco quei valori anzidetti. A mo’ di esempio esplicativo, si può dire che nel caso in cui con il referendum si dovesse decidere il aggio da uno Stato repubblicano ad uno Stato Monarchico e la monarchia avesse ottenuto la maggioranza assoluta dei consensi, ma il consenso per lo Stato repubblicano avesse ottenuto almeno il 25%, la proposta verrebbe considerata respinta.
78. Maggioranza relativa.
La maggioranza relativa consiste nel raggiungimento di un consenso, relativo alla proposta votata, superiore a quelli ottenuti da ciascun altro consenso espresso nella stessa votazione, ma non necessariamente più del totale degli altri voti espressi.
79. Maggioranza o Maggioranza semplice.
La maggioranza o maggioranza semplice consiste nel raggiungimento del consenso sulla proposta votata superiore alla metà del numero totale di votanti, che quindi deve essere maggiore di un quorum funzionale prestabilito maggiore della metà dei votanti e quindi non deve adempiere condizioni supplementari per avere validità (ossia se la maggioranza supera la metà del numero di votanti).
80. Maggioranza assoluta.
La maggioranza assoluta consiste nel raggiungimento del consenso sulla proposta votata superiore alla metà degli aventi diritto al voto, che quindi deve essere maggiore del 50% di tutti coloro che hanno il diritto di esprimere il voto e quindi partecipare alla votazione.
81. Maggioranza qualificata.
La maggioranza qualificata consiste nel conseguire un consenso sulla proposta votata superiore a quello della maggioranza semplice e per una cifra prestabilita che per consuetudine può essere di tre quinti, due terzi, tre quarti, quattro quinti. In questo caso la proposta deve ottenere il consenso favorevole dei tre quinti, o due terzi, o tre quarti, o quattro quinti del numero dei partecipanti al voto che quindi deve essere almeno del 60%, o 66,66%, o del 75%, o dell’80% dei voti
validi espressi.
82. Maggioranza assoluta qualificata.
La maggioranza assoluta qualificata consiste nel conseguire un consenso sulla proposta votata della maggioranza assoluta ma con il raggiungimento del consenso per una quota percentuale prestabilita ben superiore al 50% rispetto agli aventi diritto al voto che per consuetudine può essere di tre quinti, due terzi, tre quarti, quattro quinti. In questo caso la proposta deve ottenere il consenso favorevole dei tre quinti, o due terzi, o tre quarti, o quattro quinti del numero degli aventi diritto al voto che quindi deve essere almeno del 60%, o 66,66p%, o del 75%, o dell’80% dei componenti il consesso.
83. Maggioranze e quorum nei referendum.
Nei referendum per l’esercizio della democrazia diretta del popolo al fine di ponderare le decisioni è indispensabile prevedere maggioranze e quorum in relazione alle materie specifiche oggetto della scelta da operare in quanto per ogni materia il grado di sensibilità delle persone è certamente diverso e quindi secondo la diversa incidenza occorre un più ampio consenso. Materie fondamentali ed etiche: Conseguimento della maggioranza assoluta qualificata dei tre quinti. Materie essenziali e/o straordinarie: Conseguimento della maggioranza assoluta. Materie ordinarie:
Conseguimento della maggioranza semplice con un quorum di partecipanti dei due terzi. Referendum deliberativo: Conseguimento della maggioranza prescritta per le specifiche materie o se non previsto con la maggioranza semplice con un quorum di partecipanti superiore al 50%. Referendum consultivo: Conseguimento della maggioranza semplice con un quorum di partecipanti superiore al 50%. Referendum abrogativo di leggi del parlamento: Conseguimento della maggioranza semplice con un quorum di partecipanti superiore al 50%. Referendum modificanti leggi introdotte con referendum: Conseguimento della maggioranza con la quale la norma è stata istituita maggiorata del dieci per cento. Referendum approvativo: Conseguimento della maggioranza semplice con un quorum di partecipanti superiore al 50%. Referendum confermativo: Conseguimento della maggioranza semplice con un quorum di partecipanti dei due terzi.
84. Maggioranze e quorum per assemblee collegiali.
Nelle assemblee parlamentari e negli organi collegiali per approvare una legge,
assumere provvedimenti o qualsiasi deliberazione e per tutta la pubblica amministrazione, è necessario che la decisione sia adottata con la maggioranza assoluta o altra superiore maggioranza e quorum. Occorre diversificare i quorum e le maggioranze necessarie per determinare l’adozione delle decisioni tra gli organi rappresentativi collegiali con le assemblee di base quali quelle relative ai referendum. La ragione è determinata dal fatto che un organo collegiale che assume decisioni per tutti non può moralmente farlo con un voto favorevole limitato ad una maggioranza relativa che molte volte è largamente inferiore alla metà degli aventi diritto al voto. Per quanto riguarda i quorum e le maggioranze da osservare per gli organi collegiali appaiono moralmente accettabili quelli di seguito indicati: Materie fondamentali ed etiche: Conseguimento della maggioranza assoluta qualificata dei tre quarti. Materie essenziali e/o straordinarie: Conseguimento della maggioranza assoluta qualificata dei due terzi. Materie ordinarie urgenti: Conseguimento della maggioranza assoluta con un quorum di partecipanti dei tre quinti.
PARTE TERZA
SPUNTI DI PROPOSTE
XI - CAPITOLO
LO STATO
85. Separazioni dei poteri.
L’occasione delle riforme costituzionali potrebbe tornare utile per ridefinire la separazione dei poteri: legislativo, esecutivo e giudiziario. Una separazione che sia netta, così come formulata e sancita in prima battuta nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 in Francia. Ciò non per mera reminiscenza storica, ma per l’esigenza indispensabile di separare i poteri precedentemente detenuti da un soggetto unico che li gestiva in modo da garantire le prerogative elargitegli, a suo dire, dal divino. Invece, svincolare i poteri dalla persona consente l’affermazione dell’equilibrio di gestione dei tre poteri e la relativa spersonalizzazione della responsabilità. In quest’ambito esiste un aspetto che genera continue aspettative deluse, nel senso che importanti modifiche legislative e grandi riforme costituzionali e legislative si pongono continuamente a carico di tutti i governi, e quindi a carico del Capo del Governo e della sua costituzione e gestione. Sembrerebbe grandemente positivo e foriero di consistenti risultati fare in modo che il Presidente della Repubblica fosse non più una funzione terza e assumesse, oltre alla funzione di Capo dello Stato, anche quella di Capo del Parlamento e titolare della funzione di promozione del potere legislativo, in modo da sottrarlo in tutti i sensi al Capo del Governo, al quale fosse attribuito solo il potere esecutivo rafforzando i suoi poteri di gestione governativa. In un ambito riformatore in tal senso dei poteri dello Stato, si potrebbe anche ridefinire il potere giudiziario, al quale si dovrebbe sottrarre il potere di giudicare tout court la classe politica con una diversa procedura di inquisizione
della stessa. In questa soluzione il Presidente della Repubblica verrebbe ad assumere una forte funzione di proposizione legislativa con la mediazione politica del parlamento e una grande carica di mediazione nel proporre al popolo soluzioni legislative da sottoporre alla democrazia diretta per il consenso popolare. In tal guisa, nel processo di approvazione e promulgazione di una legge, si potrebbe applicare il nuovo principio giuridico già teorizzato “ Necsine…, nec adversus…” incentrato sul Presidente della Repubblica, sia per promuovere personalmente, sia per essere favorevole alle leggi da promulgare. Per un tale principio si vuol intendere che nessuna decisione legislativa può essere adottata senza il consenso favorevole del Presidente, tantomeno se la decisione è promossa contro la volontà o la persona del Presidente stesso. I tre poteri: legislativo, esecutivo e giudiziario, sono autonomi e subordinati al potere primario del popolo che genera la carta costituzionale e quindi nessun potere subordinato può privare il soggetto titolare del potere primario dei diritti o attenuarli artificiosamente.
86. Motivazioni per uno Stato presidenziale.
Nell’epoca Berlusconiana, in Italia, molto spesso si è parlato di presidenzialismo, ma se si va più a ritroso nel tempo il pensiero che l’Italia avesse la necessità di eleggere un capo che fosse responsabile della politica, almeno nei cittadini, incontrava sempre più consenso, perché tutti erano stufi di cambiare governo ogni anno, soprattutto allorquando c’era bisogno di un governo ‘balneare’, come all’epoca si chiamava un governo che durava per i soli mesi estivi. Poi è subentrata l’epoca berlusconiana ma, a detta di molti, in Italia ormai si vive già in uno Stato simil presidenziale con l'avvento di Giorgio Napolitano. Ai tanti contrari ad una soluzione presidenziale e che avversano il Silvio nazionale, si può porre un quesito con un esempio comparativo. Se in Italia ci fosse stata l’elezione diretta del Presidente della Repubblica, con la sua discesa in campo Silvio Berlusconi sarebbe stato eletto in tale carica
nell’ormai lontano 1994; ammesso che fosse stato rieletto anche quattro anni dopo, tutto sarebbe già finito e l’Italia avrebbe potuto avere anche altri due o tre Presidenti. I governi non sarebbero mai caduti, la legge elettorale avrebbe potuto essere indifferentemente con o senza il premio di maggioranza, o con i collegi uninominali o misti, o con un sistema proporzionale integrale. La cosa fondamentale è che sicuramente si sarebbe potuto conseguire il bene degli italiani e dell’Italia. Se qualcuno cerca di chi è la colpa … a buon intenditore poche parole. Il non optare per uno Stato presidenziale neanche ora significa soprattutto che nessuno è in grado di guidare la nazione e che ognuno continua a fare i propri comodi e interessi, tanto seguitano a pagare sempre gli stessi delle classi inferiori meno abbienti. Inferiori però solo per quanto attiene il benessere che non otterranno mai con i sistemi politici amministrativi odierni. Pertanto, volendo ipotizzare una proposta presidenziale, si potrebbe optare per un’idea originale che andrebbe incontro alle esigenze dei più riottosi: la proposta non di un cavallo - magari di razza - solo alla guida. ma di una biga tirata da due cavalli. Cioè lo Stato potrebbe essere guidato da un Presidente della Repubblica capo dello Stato stesso e della politica parlamentare e del potere legislativo eletto unitamente ad un Capo del Governo responsabile del potere esecutivo.
87. Motivazioni per una coppia presidenziale.
L’idea fondamentale è quella di separare radicalmente il potere esecutivo nell’attività del Governo dalle incombenze relative alle proposte legislative governative. Si tratta di distinguere la funzione anche propositiva del potere legislativo di competenza del Parlamento che nella fattispecie può essere guidata direttamente in tutti i sensi dal Presidente della Repubblica mentre tutta l’attività esecutiva di attuazione delle leggi sarà di competenza dell’attività governativa che potrà essere maggiormente impegnata e molto più creativa nel ricercare la migliore interpretazione delle leggi in vigore. Oggigiorno il Governo, anziché occuparsi della gestione e amministrazione ordinaria della cosa pubblica, pensa sempre di proporre nuove leggi e magari con decreti urgenti per assolvere più agevolmente alla sua funzione. Così facendo non si rende conto che sta
espletando una funzione legislativa con tutte le lungaggini di questa, venendo meno alla funzione propria di governare. La cosa più ovvia sarebbe quella di lasciare completamente in mano del Presidente e del Parlamento gli indirizzi strategici della politica e quindi dell’opera legislativa, mentre il governo dovrebbe occuparsi esclusivamente di elaborare le tattiche, cioè attuazione concreta delle norme legislative nella gestione governativa delle attività ordinarie. Potere legislativo e potere esecutivo contro strategia e tattica se separati nella gestione possono essere sempre chiari e di per sé risulteranno efficaci e forieri di risultati migliori.
88. Organi dello Stato (ipotesi di studio).
Nell’ipotesi di studio lo Stato della Repubblica Italiana verrebbe ad avere i seguenti organi monocratici e collegiali: 1. Presidente della Repubblica. 2. Capo del Governo 3. Vice Presidente della Repubblica. 4. Senato della Repubblica componente la prima Camera del Parlamento. 5. Deputazione Parlamentare della Repubblica componente la seconda Camera del Parlamento (Camera dei Deputati).
89. Presidente della Repubblica.
Il Presidente della Repubblica è il Capo dello Stato e sovrintende all’esercizio del potere legislativo esercitato attraverso il parlamento da lui presieduto
personalmente quando riunito in seduta congiunta delle Camere e negli altri casi previsti, indirettamente mediante i Presidenti delegati delle Camere. Egli ha facoltà di sottoporre al Parlamento le proposte di legge di propria iniziativa e quelle presentategli dal Governo. Il Presidente della Repubblica può presiedere per gli affari gravi e straordinari il Consiglio dei Ministri su sua richiesta. Presiede, coadiuvato dal Vice Presidente, il Consiglio Superiore della difesa e della sicurezza. Il Presidente della Repubblica dirige le strategie degli Affari Esteri di concerto con il Capo del Governo e anche con questi può presenziare ai consessi internazionali anche per gli Affari Esteri. Promulga tutte le leggi approvate dal Parlamento. Si può essere eletti Presidente della Repubblica complessivamente solo per due mandati anche consecutivamente.
90. Vice Presidente della Repubblica.
La vice presidenza della Repubblica costituisce un organo funzionale senza un titolare esclusivo ordinario, ma tali funzioni sono espletate ordinariamente dalla persona che ricopre la carica di Capo del Governo. Il Vice Presidente sostituisce il Presidente della Repubblica in caso di necessità, assenza, impedimento e/o inabilità. La sostituzione permanente è regolamentata specificatamente.
91. Elezione presidenza repubblica, governo e durata.
La coppia presidenziale formata dal Presidente della Repubblica e il Capo del Governo-Vice Presidente della Repubblica è eletta congiuntamente e
direttamente dagli elettori a suffragio universale e resta in carica per quattro anni. Alle cariche di Presidente della Repubblica o di Vice Presidente-Capo del Governo può essere eletto chi è stato eletto e sia stato Senatore almeno per un intero mandato o deputato per due mandati. Alla Carica di Presidente e di Vice Presidente-Capo del Governo si può essere eletti per tre mandati complessivi anche consecutivamente considerando il cumulo di mandati tra le due cariche. In via transitoria nella prima elezione dei predetti, del Presidente e del suo Vice e Capo del Governo, potrà essere eletto chi ha ricoperto la carica di Senatore o Deputato nel vecchio ordinamento per almeno milleduecento giorni anche non continuativi.
92. Sostituzioni permanenti
In caso d’inabilità permanente del Presidente della Repubblica il Vice Presidente della Repubblica e Capo del Governo assume la carica del Presidente della Repubblica lasciando la carica di Vice Presidente della Repubblica-Capo del Governo. In caso d’inabilità permanente, o di subentro di cui al comma precedente, del Vice Presidente e Capo del Governo, si procede alla sostituzione permanente come segue: la funzione di Vice Presidente è assunta da chi ricopre la carica il Presidente Delegato del Senato pro tempore, mentre la carica di Capo del Governo è assunta da chi ricopre la carica il Vice Capo del Governo. Le predette sostituzioni sono espletate sino al termine naturale del mandato dei titolari originari.
93. Ineleggibilità.
Chiunque voglia candidarsi a qualsiasi carica di natura pubblica elettiva è ineleggibile ed incandidabile qualora abbia svolto una funzione incompatibile e/o sia titolare d’interessi in conflitto e non sia intercorso un periodo di almeno cinquecento giorni dalla data di cessazione, ufficialmente accettata e/o ratificata, alla data della candidatura della consultazione elettorale e/o dell’elezione. È demandata ad una regolamentazione specifica la normativa dettagliata per la materia. Altre fattispecie d’ineleggibilità, quali ad esempio le persone condannate e gli amministratori di aziende fallite e/o di enti pubblici dissestati, sono demandati alla legge ordinaria.
94. Quantificazione dei rappresentanti.
La rappresentanza politica elettiva in Italia è distribuita principalmente su quattro livelli: comunale, provinciale, regionale, nazionale oltre a quello comunitario europeo. Nell’esame del rapporto tra territorio, popolazione e organi rappresentativi si riscontra una grande disomogeneità tra piccole entità, medie e grandi realtà. A tal fine si possono esaminare i dati di seguito elencati: Popolazione ripartita per Regioni e Province.
Regione
Popolazione
Province
media x Prov.
Lombardia
9.794.525
12
816.210
Campania
5.769.750
5
1.153.950
Lazio
5.557.276
5
1.111.455
Sicilia
4.999.932
9
555.548
Veneto
4.881.756
7
697.394
Emilia-Romagna
4.377.487
9
486.387
Piemonte
4.374.052
8
546.757
Puglia
4.050.803
6
675.134
Toscana
3.692.828
10
369.283
Calabria
1.958.238
5
391.648
Sardegna
1.640.379
8
205.047
Liguria
1.565.127
4
391.282
Marche
1.545.155
5
309.031
Abruzzo
1.312.507
4
328.127
Friuli-V G
1.221.860
4
305.465
Trentino A.A
1.039.934
2
519.967
Umbria
886.239
2
443.120
Basilicata
576.194
2
288.097
Molise
313.341
2
156.671
Valle d'Aosta
127.844
1
127.844
Ripartizione della popolazione per scaglioni.
Da
A
Comuni
Abitanti
%
1.000.000
3.000.000
2
4.018.401
6,74
750.000
1.000.000
2
1.881.395
3,16
250.000
750.000
8
3.165.678
5,31
150.000
250.000
15
2.725.657
4,57
100.000
150.000
18
2.110.106
3,54
80.000
100.000
23
2.044.732
3,43
75.000
80.000
4
313.192
0,53
50.000
75.000
75
4.426.490
7,43
35.000
50.000
98
4.026.943
6,76
25.000
35.000
131
3.891.495
6,53
15.000
25.000
334
6.392.171
10,73
10.000
15.000
469
5.738.988
9,63
5.000
10.000
1.200
8.478.836
14,23
3.000
5.000
1.148
4.450.862
7,47
1.000
3.000
2.623
4.846.170
8,13
500
1.000
1.112
827.927
1,39
0
500
829
247.695
0,42
>25000
376
28.604.089
48,00
<25000
7.715
30.982.649
52,00
Tot.
59.586.738
È evidente che non esiste rapporto equilibrato se in n. 376 Comuni vi è il 48% della popolazione mentre il restante 52% risiede in 7.715 Comuni senza contare quanti hanno la residenza in paese e vivono per lavoro in città più popolose. Sarebbe molto più logico ridurre la quantità dei Comuni con popolazione inferiore a 25.000 abitanti a circa 1700/2000. Una proposta potrebbe essere quella di limitare i livelli amministrativi riducendoli da quattro (nazionale, regionale, provinciale, locale) a tre (nazionale, intermedio, locale). Per essere più accettabile si potrebbe lasciare i riferimenti attuali (Regione, Provincia, Comune) ai fini antropologici e culturali e aggregare i territori e le popolazioni in entità amministrative nuove del tipo gestione unificata. Per un lasso di tempo iniziale si potrebbe ripartire proporzionalmente la rappresentanza politica tra le attuali entità territoriali, ma che avrebbero una comunione amministrativa con un unico organismo legale. Le attuali realtà amministrative piccole potrebbero essere comunque rappresentate da entità private con finalità pubbliche per tutelare l’aggregazione culturale e il patrocinio e il sostegno degli interessi del cittadino nei luoghi di residenza. Sarebbe opportuno, quindi, determinare in relazione alla popolazione la quantificazione dei rappresentanti da eleggere negli organi legislativi nazionali e di quelli amministrativi intermedi e locali. e stabilire per la rappresentanza politica elettiva una proporzione con la popolazione legale negli organi a ogni livello: 1) Nazionale: Un rappresentante per ogni 100.000= abitanti, così ripartiti: Un Presidente della Repubblica, un Capo del Governo, Senato il 20% con un massimo di 100 e un minimo di uno per ogni dipartimento, un Presidente emerito, e i rappresentanti restanti per la Camera fino ad un massimo di 600. ( N.B. nell’ipotesi che i Consigli Regionali siano soppressi). 2) Intermedio: Un rappresentante per ogni 12.000= abitanti, con un minimo di venti rappresentanti complessivi per assemblea. Ipotizzando un centinaio di enti intermedi si avrebbero circa 5000 consiglieri con una media di 50 unità per ogni consiglio ivi comprendendo anche i componenti degli organi esecutivi.
3) Locale: Un rappresentante per ogni 1.200= abitanti, con un minimo di quindici rappresentanti complessivi per assemblea. Ipotizzando una determinazione di n.2000/2200 enti locali si avrebbero circa 50.000 consiglieri con una media di 22/25 unità per ogni consiglio ivi comprendendo anche i componenti degli organi esecutivi.
95. Elezioni primarie e elezione nei partiti.
Per tutte le cariche degli organi dello Stato sono ammesse sul territorio nazionale le elezioni primarie pubbliche regolamentate da specifica legge statale per l'assegnazione da parte dei partiti delle candidature alle liste elettorali. Le elezioni primarie si devono tenere nel periodo compreso tra i centoventi e i duecento giorni prima del giorno in cui si svolgeranno le elezioni. Le elezioni primarie negli ambiti locali saranno svolte per tutti i partiti contemporaneamente e con seggio congiunto e spoglio come nelle elezioni normali coordinato ed organizzato dall’amministrazione locale pubblica. Sono ammessi al voto tutti i cittadini titolari del diritto al voto attivo. Le elezioni primarie potrebbero essere utilizzate anche per le elezioni riguardanti gli organi dei partiti che devono essere costituiti e gestiti secondo una normativa unica e pubblica che deve essere a sua volta normata.
XII - CAPITOLO
IL PARLAMENTO
96. Composizione del Senato.
Previo rispetto della determinazione quantitativa generale dei rappresentanti, il Senato è composto da un numero di Senatori pari a quello dei Dipartimenti maggiorati di ulteriori Senatori quanti sono i centri urbani che superano due milioni di abitanti. Il numero complessivo dei Senatori non può essere superiore al numero della popolazione legale diviso per 600 mila. Un ulteriore singolo componente del Senato sarà l’ultimo Presidente della Repubblica che, alla scadenza del mandato presidenziale, diventerà Presidente Emerito con seggio al Senato fino a che il successivo Presidente non diventerà Emerito. Il Senato è presieduto da un Presidente Delegato per gli affari correnti eletto dai Senatori coadiuvati da Vice Presidenti. Essi restano in carica per un periodo pari alla metà della durata prevista della legislatura e per un periodo non inferiore a un biennio. Non può essere eletto Presidente del Senato né Vice Presidente né Presidente o Vice Presidente di Commissione del Senato chi sia stato eletto al Senato per la prima volta. Una mozione di sfiducia al Presidente del Senato può essere richiesta da un quinto dei Senatori e votata entro quindici giorni dal Senato, che può approvarla con la maggioranza assoluta. Analogamente la norma è applicabile per la vice presidenza.
Chi ricopre la carica di Senatore non può ricoprire incarichi né essere nominato in nessuna carica del Governo.
97. Senato funzioni e poteri
Nel nuovo ordinamento il Senato della Repubblica svolge anche funzioni di controllo, vigilanza, inquisizione, principalmente nei seguenti ambiti: Legittimità costituzionale su leggi, norme, regolamenti e qualsiasi altra disposizione, previa espressione del parere della Corte Costituzionale; 1. attività di proposizione, verifica e controllo di tutti gli altri consigli, commissioni di natura pubblica o d’interesse pubblico ecc comunque denominati che svolgano attività di vigilanza e controllo; 2. su tutti gli organi, istituzioni, e consessi pubblici e di soggetti privati che hanno, beneficiano di finanziamenti pubblici di qualsiasi natura; 3. sul corretto svolgimento del potere esecutivo del governo nazionale e locale. Il Senato promuove indagini inquisitive, conoscitive e coordina, vigila, controlla: 1. il Consiglio Superiore della Magistratura, che deve essere composto solo da magistrati e ne approva le deliberazioni che saranno rese esecutive o meno dal Senato; 2. le autority di ogni genere, la CONSOB, gli organismi di controllo sui conflitti degli interessi, ineleggibilità, incandidabilità, inquisizione e arrestabilità di politici e titolari di organi statali e parlamentari. Il Senato opera, specie per le attività di controllo, prevalentemente per mezzo delle sue commissioni salvo facoltà di trattare gli argomenti nell’assemblea plenaria. Il Senato approva o respinge con o senza modifiche le leggi già approvate dalla Camera dei Deputati aventi per oggetto materie:
1. fondamentali ed etiche specie per le modifiche costituzionali e relative proposte da sottoporre a referendum. 2. essenziali e straordinarie specie per le modifiche dei così detti codici e regolamenti speciali e di sistema.
98. Requisiti di candidabilità al Senato
Può essere candidato ed eleggibile al Senato esclusivamente chi, alla data di scioglimento del Senato: 1. abbia ricoperto la carica di Deputato per almeno duemila giorni (pari a circa 66,6 mesi o circa 5,5 anni) anche non continuamente; 2. abbia compiuto l’età di 33 anni; 3. sia cittadino italiano e di nazionalità italiana. 4. In via transitoria sia già stato precedentemente membro del Parlamento; o sia stato, nel precedente ordinamento, eletto al Consiglio Regionale o sia stato Sindaco in un Comune capoluogo di Provincia; Non vi sono limiti di ricandidabilità a Senatore in merito al numero di legislature in cui sia stato rieletto.
99. Deputazione parlamentare funzioni e poteri.
Nel nuovo ordinamento la Deputazione Parlamentare della Repubblica approva le leggi dello Stato, dei decreti del Governo. Le proposte di legge sulle materie fondamentali ed etiche e su quelle essenziali e straordinarie dovranno essere sottoposte all’approvazione del Senato e/o del referendum. La Camera dei Deputati è presieduta per gli affari correnti da un Presidente
Delegato coadiuvati da Vice Presidenti eletti dai Deputati. Essi restano in carica per un periodo pari alla metà della durata prevista della legislatura e per un periodo non inferiore a un biennio. La legge precedentemente approvata dalla Camera dei Deputati ed approvata dal Senato con modifiche è rinviata alla Camera dei Deputati che può approvarla senza modifiche o annullarla, ma non può più modificarla. Con la elezione diretta del Presidente della Repubblica e del Capo del Governo non esiste giù l’esigenza del voto di fiducia alla costituzione del Governo. Ciò non toglie la possibilità di approvare, da parte del Parlamento, la legge del bilancio, o comunque denominata. Essa, tuttavia, dovrebbe essere approvata senza modifiche o soltanto con suggerimenti al Governo che, qualora non recepiti, il Parlamento avrebbe la facoltà di non approvare la legge e pretendere l’elaborazione di una nuova proposta.
100. Composizione della Deputazione parlamentare.
La Deputazione parlamentare è composta di un Deputato per ogni 100.000= abitanti legali italiani, nella ipotesi che siano abolite le attuali Regioni. Il totale della rappresentanza degli italiani residenti permanentemente all’estero non può superare il tre per cento del totale dei componenti assegnati alla popolazione legale. Chi sia stato eletto alla Camera dei Deputati per la prima volta non può essere eletto Presidente né Vice Presidente della Camera dei Deputati né Presidente o Vice Presidente di Commissione.
101. Requisiti di candidabilità a Deputato.
Può essere candidato ed eleggibile a Deputato esclusivamente chi, alla data di scioglimento della Camera dei Deputati:
1. abbia ricoperto la carica al Consiglio del Dipartimento per almeno duemila giorni (pari a circa 66,6 mesi o circa 5,5 anni) anche non continuamente; 2. abbia compiuto l’età di 21 anni; 3. non abbia ricoperto la carica di Deputato per un periodo superiore a cinquemila giorni (pari a circa 116,7 mesi o 13,7 anni) anche non continuamente. Un Deputato che raggiunge il limite predetto di gg. 5.000= durante la legislatura decade al 31 dicembre dell’anno in cui raggiunge il limite; 4. sia cittadino italiano e di nazionalità italiana. 5. In via transitoria sia già stato precedentemente membro del Parlamento; nel precedente ordinamento sia stato eletto al Consiglio Regionale o sia stato Sindaco in un Comune capoluogo di Provincia; Una mozione di sfiducia al Presidente della Camera dei Deputati può essere richiesta da una quinto dei Deputati e votata entro quindici giorni dalla Camera dei Deputati, che può approvarla con la maggioranza assoluta. Analogamente la norma è applicabile per la vice presidenza.
102. Proposizione e promulgazione di una legge.
La proposta di legge viene presentata alla Camera dei Deputati che provvede a calendarizzare la sua discussione. I decreti del Governo sono calendarizzati con iter specifico prioritario, nonché urgente per i decreti esecutivi. Senatori o Deputati possono presentare proposte di legge alla Camera dei Deputati. Esse saranno calendarizzate per l’esame nei tempi e nei modi previsti. Le proposte di legge presentate dal Presidente della Repubblica, dal Governo, da Senatori o Deputati in numero almeno pari al venti per cento dei componenti la Camera di appartenenza vengono calendarizzate per l’esame con il percorso preferenziale.
Le leggi ordinarie sono approvate dalla sola Camera dei Deputati. Di esse per quelle che hanno il consenso del Presidente della Repubblica e del Governo l’approvazione è demandata alla commissione relativa, salvo che questa non ritenga di rinviarla all’assemblea. Le leggi delle materie fondamentali ed etiche e quelle delle materie essenziali e straordinarie dopo essere state approvate, con i quorum e maggioranze specifiche, dalla Camera dei Deputati vanno poi sottoposte per essere approvate anche al Senato prima di essere promulgate dal Presidente della Repubblica. Esse possono essere sottoposte alla decisione del popolo che può approvarle direttamente, modificarle o cassarle a mezzo del referendum in varia modalità. La proposta di legge approvata dal Senato con modifiche è inviata al Presidente della Repubblica per l’approvazione. Qualora egli lo ritenga opportuno, può non approvare la legge e rinviarla con le proprie osservazioni alla Camera dei Deputati per il riesame con un nuovo iter.
XIII - CAPITOLO
GOVERNO E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
103. Il Consiglio dei Ministri.
Il Consiglio dei Ministri dibatte gli argomenti delle materie inerenti il potere esecutivo del Governo ed esprime a maggioranza assoluta un giudizio favorevole o contrario; la conseguente decisione, contenente i pareri del Consiglio, con atto monocratico dal Capo del Governo viene deliberata con la forma del decreto che può essere anche immediatamente esecutivo. Il Consiglio dei Ministri può formulare proposte di legge e di decreti legislativi da sottoporre al Presidente della Repubblica per l’eventuale presentazione delle proposte al Parlamento.
104. Decreto esecutivo.
Il Consiglio dei Ministri può emanare decreti esecutivi, con validità limitata nel tempo, per le materie ordinarie esclusivamente sull’esecuzione di norme di legge o di gestione amministrativa. Tale decreto, emanato dal Presidente del Consiglio dei Ministri ha la validità di centoventi giorni decorsi i quali decade. Decade in ogni caso alla data dell’ultimo giorno dell’anno. La Deputazione Parlamentare, entro i termini della validità del decreto esecutivo può, senza modifiche, trasformarla in legge ed essa avrà una validità univoca con il decreto dalla data di entrata in vigore dello stesso ovvero può elaborare una nuova normativa di legge che seguirà il suo iter normale di approvazione.
105. Capo del Governo.
Il Capo del Governo dirige e determina la politica governativa dell’amministrazione statale secondo le leggi in vigore; presidente il Consiglio dei Ministri e ne adotta le decisioni collegiali e i Ministri rispondono direttamente a lui. Svolge, altresì, le funzioni di Vice Presidente della Repubblica. Coadiuva il Presidente della Repubblica nella direzione strategica degli Affari Esteri e ne coordina, vigila e sovraintende l’ordinaria politica. Di concerto con il Presidente della Repubblica, nomina i Ministri. Assegna le deleghe ministeriali e revoca i ministri e gli altri incarichi di governo, nomina e revoca i vice ministri e i sottosegretari e previo parere del ministro competente nomina e revoca il Segretario generale, o qualifica equipollente, di ogni ministero.
106. Ministri.
Alcuni ministeri hanno una specifica attribuzione oltre all’ordinaria funzione. Il Ministro degli Affari Esteri dirige il relativo ministero, conduce gli affari esteri con la politica dettata dalla presidenza della Repubblica e svolge la funzione di Vice Presidente del Consiglio dei Ministri sostituendo il Capo del Governo in caso di assenza o impedimento temporaneo breve. Il Ministro della Giustizia dirige il relativo ministero nell’ambito dei compiti spettanti: svolge tale attività rispondendo al Governo stesso mentre in relazione all’attività strategica della giustizia, della sua governance, dei controlli, delle ispezioni e della gestione della pubblica accusa è subordinato direttamente al Senato. Il Ministro degli Interni dirige il relativo ministero e nell’ambito dei compiti
spettanti svolge tale attività rispondendo al Governo stesso, mentre in merito alle attività strategiche della sicurezza nazionale e dei servizi d’intelligence è subordinato direttamente al Senato. Gli incarichi ad interim dei predetti ministeri non possono essere assunti né dal Capo del Governo né da altri ministri. In caso di necessità temporanea ed urgenza i suddetti ministeri saranno affidati dal Presidente della Repubblica con relativo decreto esecutivo urgente al Senatore che ricopre la carica di Presidente della commissione senatoriale relativa agli esteri, alla giustizia o agli interni.
107. Preamboli nelle leggi.
In ogni legge al primo posto del dispositivo deve essere reso comprensibile un preambolo che deve costituire la norma generale strategica che specifichi l’obiettivo che la legge si prefigge di raggiungere. La normativa ordinaria tattica che seguirà nel testo del dispositivo legislativo dovrà contenere le modalità e i criteri per attuare il progetto generale del programma indicato nel preambolo. La parte di normativa ordinaria è subordinata all’oggetto del preambolo che consiste nella ragione della legge e pertanto quando fosse difforme e/o in contrasto può essere dichiarata illegittima dal Senato nei modi e nei termini che dovranno essere stabiliti. Si potrebbe anche ipotizzare che i preamboli delle leggi siano assegnati al Senato o al Presidente mentre siano riservate alla Camera l’elaborazione e l’approvazione delle norme esecutive delle normative. Una considerazione, comunque, è opportuno fare in merito alle spese di gestione degli organi istituzionali che godono della relativa autonomia, disponendo direttamente anche delle spese e dei compensi dei loro componenti. Tali spese devono essere prestabilite da norme legislative generali adottate dal Parlamento come per tutte le altre decisioni e non più dall’organo medesimo seppur autonomo.
108. Proprietà pubbliche.
Tutti i valori, i beni acquisiti con denaro della collettività e proprietà di enti ed istituzioni pubbliche, sono di proprietà della comunità dei cittadini e pertanto l’unico proprietario deve essere lo Stato che può gestire e conservare tale patrimonio mediante le amministrazioni pubbliche locali. Le amministrazioni locali, affinché siano loro assegnate e riconfermate periodicamente la gestione e la tutela del patrimonio statale dovranno presentare, e se approvato attuare, un progetto di valorizzazione del patrimonio di cui chiedono l’assegnazione. Il patrimonio artistico, architettonico e paesaggistico e dei beni tutelati della relativa sovraintendenza possono essere destinati a specifica utilizzazione, patrocinio o di uso di logo da parte di privati anche esteri previo loro finanziamento delle opere di restauro e conservazione.
109. Perseguibilità degli amministratori.
Gli amministratori che provocano o comunque conseguano deficit nei bilanci delle amministrazioni e aziende pubbliche, che deliberano o fanno spese non coperte da entrate certe o extra bilancio, non iscrivono in bilancio uscite certe o adottano escamotage elusivi per non rendere note spese o iscrivono entrate non realistiche o improprie, devono incorrere ipse iure nell’interdizione dai pubblici uffici in perpetuo e devono rispondere penalmente e civilmente con il proprio patrimonio.
110. Obbligo di maggioranza.
Tutti gli organi collegiali d’istituzioni pubbliche, le assemblee parlamentari e relative commissioni devono adottare le decisioni con l’obbligo della maggioranza assoluta. Le deliberazioni che comportano una spesa, anche se le spese sono iscritte nel bilancio di previsione devono essere adottate con la maggioranza assoluta. Inoltre, nel caso siano previsti pareri obbligatori di soggetti tecnici, e la
deliberazione non recepisce favorevolmente i pareri che sono contrari, l’atto deve essere deliberato con la maggioranza assoluta dei tre quinti e deve essere specificata la motivazione che giustifichi la decisione in fatto e in diritto. Nelle assemblee, riferite ad esempio a elezioni nazionali e locali o referendum, o di soggetti appartenenti che non siano rappresentanti di una più vasta pertinenza come lo sono i parlamentari, le deliberazioni possono essere adottate con la maggioranza semplice salvo il quorum se previsto.
XIV - CAPITOLO
L’AMMINISTRAZIONE LOCALE
111. Motivazioni per eliminare le Regioni.
Bisogna riconoscere ed accettare che l’inizio dello sperpero del denaro pubblico ha una data certa: tutto è iniziato nel 1970, anno in cui sono stati eletti i primi consigli delle neocostituite amministrazioni regionali ordinarie, senza contare che quelle a statuto speciale avevano già iniziato da qualche tempo il gioco nazionale della spartizione consensuale delle risorse pubbliche tra i potentati di tutte le parti sulla piazza. Realizzare il tanto sbandierato decentramento amministrativo dell’organizzazione statale è stato come dare le chiavi del barattolo della marmellata ai figli adolescenti quando i genitori vanno in vacanza. La necessità dell’epoca - si era alla fine degli Anni ‘60 - che rispecchiava ancora lo spirito dei padri costituenti, era quella di portare lo Stato il più vicino possibile alla vita dei cittadini. Gli organi statali, essendo tutti localizzati nella capitale, non riuscivano a dialogare con i cittadini che erano lontani e si sentivano abbandonati. L’attività dei politici, infatti, nelle sedi di origine era divenuta quella di un centro per l’impiego, per l’assistenza e per il disbrigo di pratiche di ogni genere: amministrative, pensionistiche, di tutela e tutto ciò faceva sentire il cittadino, qualunque fosse il partito in cui militava, veramente garantito, perché oltre ad avere un Santo in paradiso, l’aveva anche in terra. Con l’avvento delle Regioni nel 1970, è avvenuto che lo Stato a livello nazionale portava avanti una politica e l’amministrazione locale ne portava avanti un’altra anche in concorrenza con lo Stato centrale con uno “standard life” creato “ad hoc” per ogni realtà, a volte per ogni città, “tanto a pagare ci pensava Pantalone”. Questo tipo di decentramento, aggravato poi con la riforma del titolo
V della Costituzione alla fine degli Anni ’90, ha realizzato una disparità di trattamento tra le città anche nella stessa regione e con il tempo si sono creati cittadini di serie A, B, C, D ecc. a non finire. Le regioni non sono state capaci di avvicinare l’amministrazione statale ai cittadini perché hanno creato una nuova amministrazione statale a livello sub nazionale che ha permesso anche di avere sedi di rappresentanza all’estero, tanto per mandare in vacanza pagata i rappresentanti regionali e i relativi dirigenti e funzionari con mogli, amanti e figli al seguito. Non si è capito che lo Stato non era lontano dai cittadini perché svolgeva l’attività fisicamente a Roma. Occorreva, invece, che la politica svolta fosse vicina ai cittadini e poteva restare anche a Roma o altrove, ma “compatire” cioè “patire con” e “partecipare con” o “essere insieme” ai cittadini nel momento del bisogno. Il bisogno era ed è quello di assistere il cittadino facendogli godere tutti i diritti di cui è veramente titolare, perché è di questo che si tratta. I cittadini normali non godono i diritti inalienabili di cui sono titolari in base alla Costituzione, alla dichiarazione ONU sui diritti universali dell’uomo, per la dignità della persona stessa che acquisisce sin dal suo inizio il diritto sacrosanto a una vita, serena e soddisfacente, e alla ricerca del suo benessere e della felicità sia individuale sia comunitaria. Al contrario, i cittadini, per vedersi riconosciuti i diritti di cui sono titolari, hanno sempre avuto bisogno di sottomettersi a qualcuno anche pagando qualcosa e non solo denaro, ma soprattutto dignità, con una magistratura che ha fatto lo stesso mestiere degli altri soggetti titolari di potere. Il vero disastro in Italia sono state le Regioni. Ciò fa sorgere un dilemma: come mai sono state raccolte tante firme per referendum inutili e mai per abolire le Regioni? Non sarebbe ora che si provasse a richiedere un tale referendum? Le Regioni vanno abolite senza limitarsi alle Province: occorre ripensare come rimodulare tutta l’amministrazione decentrata anche perché i paesi e i piccoli centri cittadini sono troppo minuti e molte delle attuali province sono anch’esse di dimensioni troppo limitate sia per estensione territoriale sia per quantità di abitanti. Pertanto, la nuova dimensione dell’amministrazione decentrata deve avere solo due livelli con una rimodulazione in conformità a uno standard di popolazione minima per ogni livello oltre che per l’estensione territoriale. Gli eventuali conflitti tra città per l’accaparramento della titolarità dell’amministrazione locale devono essere risolti non sulla base della quantità della popolazione residente: la prevalenza deve essere assegnata in base ai fattori storici e culturali delle popolazioni. È logico assegnare tale precedenza in considerazione proprio delle
tradizioni e della cultura del paese. Ciò non è assolutamente peregrino, perché anche negli USA, ad esempio, la città più importante in ogni senso non è la capitale federale né la capitale dello Stato di New York. Anche per quanto riguarda le funzioni, esse andrebbero tutte riassegnate, tenendo conto che lo standard deve essere unico e definito nelle sue politiche strategiche a livello statale, perché l’unità nazionale è unica e indivisibile. Occorre, inoltre, non creare altra disparità nella gestione diretta che deve essere limitata alla sola gestione tattica dei servizi in applicazione di leggi nazionali. Perciò l’amministrazione decentrata a livello locale deve essere nuovamente ridefinita seconde funzioni e competenze riassegnate dall’ordinamento nazionale al livello intermedio e di base rimanendo chiaramente fermo che funzioni di competenza del livello intermedio non possono essere da questo delegate al livello di base. Con un tale riassetto sorgerebbe un problema con le Regioni e le Province a statuto speciale. Problema agevolmente risolvibile se si smettesse di confondere l’autonomia con l’indipendenza. L’autonomia è la qualità di gestione della propria vitalità ed intraprendenza secondo canoni autodeterminati, ma il cui diritto all’autonomia è riconosciuto, determinato, circoscritto, garantito e tutelato da altro soggetto giuridico. L’indipendenza, invece, è la qualità del soggetto in argomento che di per sé stabilisce di non avere sudditanza di alcun genere nei confronti di chiunque e si auto afferma e si proclama libero e non soggetto alle decisioni altrui e che può anche decidere di accettare condizioni determinate da altri soggetti. Quando un soggetto indipendente viene attaccato per essere sottomesso, si difende con le proprie forze per salvaguardare la sua indipendenza. Volendo anche salvaguardare l’autonomia dei territori a statuto speciale, i problemi che sorgono si possono risolvere abolendo le regioni, riaffermando le autonomie locali, chiarendo ciò che è autonomia e ciò che è indipendenza. Non solo ma bisognerebbe riconoscere a tutte le istituzioni intermedie i medesimi diritti in merito all’autonomia; anzi occorre specificare che per tutte le realtà deve essere stabilito che l’autonomia decentralizzata è una soltanto ed è quella assegnata e regolamentata ad esempio agli ipotizzati Dipartimenti. La stessa chiarezza dovrebbe essere proposta per tante altre realtà: la più importante
sarebbe quella giudiziaria. Il potere giudiziario è un potere autonomo e non indipendente perché deve applicare e far rispettare la legge promulgata dal legislatore. Proprio nella dinamica dell’esercizio del potere che deve stabilire se un cittadino ha violato la legge e deve essere sanzionato, viene da chiedersi cosa c’entri con la magistratura, che è l’organo giudicante, l’organo deputato alla pubblica accusa che deve esercitare la funzione di individuare le persone che hanno violato la legge per cui tali soggetti devono essere accusati davanti alla magistratura per essere da questa giudicate. Come può un organo attualmente connesso con l’organo giudicante, che deve essere autonomo nel giudizio, provvedere alla pubblica accusa che è una funzione connessa con la gestione e quindi il governo della comunità?
112. Denominazioni geografiche e antropologiche.
Le denominazioni Regioni, Province, Comuni riferite all’amministrazione decentrata e locale devono restare in vigore solo per quanto attiene l’identificazione territoriale urbanistica e antropologica. Esse sono comunque di esclusiva pertinenza delle amministrazioni titolari e dello Stato e per l’eventuale loro uso da parte dei privati è necessaria specifica autorizzazione salvo i diritti esclusivi anche economici ad essi riservabili e riservati. L’amministrazione pubblica decentrata è totalmente da rifondare. Il territorio regionale potrà determinare una delimitazione per un coordinamento amministrativo con le conferenze dei servizi tra dipartimenti.
113. Amministrazione pubblica locale.
L’amministrazione locale statale di nuova concezione dovrà essere rinnovata nella propria articolazione. La migliore ripartizione appare più giustificata qualora fosse suddivisa su due livelli subordinati all’ambito statale nazionale e
tenuto conto che quest'ultimo fa parte di un contesto comunitario europeo. I due livelli potrebbero essere denominati: Unità Dipartimentale Amministrativa c.d. Dipartimento; Unità Distrettuale Amministrativa c.d. Distretto.
114. Unità Dipartimentale Amministrativa.
Unità Dipartimentale Amministrativa c.d. Dipartimento è l’ente amministrativo decentrato intermedio. Il Dipartimento si compone di territori omogenei storicamente appartenenti alle ex Province che abbiano una popolazione legale non inferiore a 600.000 unità. Un centro urbano o un territorio omogeneo e continuo che comprenda una grande e/o illustre città, che complessivamente abbiano una popolazione legale di non meno di 750.000 unità, costituisce un ente a sé stante e viene denominato Dipartimento Metropolitano o Metropoli. La Metropoli assomma le funzioni proprie del Dipartimento e del Distretto e può costituire al suo interno Municipi, costituiti fino ad un massimo di 200.000 unità con funzioni consultive e può delegare ad essi funzioni non superiori né diverse da quelle attribuite al Distretto. Il Dipartimento costituisce l’unica entità dell’espressione costituzionale dell’autonomia locale.
115. Unità Distrettuale Amministrativa.
Ogni Unità Dipartimentale Amministrativa (c.d. Dipartimento), è suddivisa in più Unità Distrettuali Amministrative (c.d. Distretti), ognuna delle quali è composta di territori omogenei storicamente appartenenti agli attuali Comuni
che abbiano una popolazione legale non inferiore a 25.000 unità, sono fatte salve alcune entità storiche geografiche le cui unicità siano inscindibili e accertate con apposito provvedimento legislativo. Gli attuali Comuni, ai quali sarà garantita la rappresentanza politica su base territoriale con una specifica ripartizione dei consiglieri da eleggere, che non raggiungeranno il limite minimo della popolazione per costituire un Distretto nel nuovo ordinamento sono raggruppati nel nuovo entein cui saranno individuati ambiti comunitari omogenei e contigui per territorio, aggregazione antropologica e culturale ecc. L’attuale Comune che sarà raggruppato può essere costituito, in entità associativa di comunità privatistica con finalità pubblica, con specificità legale e giuridica che sarà regolata dalla legge. Avrà il potere di rappresentanza di fronte all’Amministrazione pubblica concorrendo all’elezione del rappresentante legale denominato: “master civium” ovvero “Borgomastro”. Tali comunità possono assumere denominazione diversa traendole anche dalla cultura locale che genericamente si indica a mo’ di esempio in: Municipio, Quartiere, Borgo, Villa, Contrada, ecc. o conservare i nomi correnti dei piccoli centri urbani e paesi. Le elezioni per le amministrazioni locali possono contemplare le procedure di elezione degli organi locali di partito per la garanzia di democraticità abbinando ad ogni candidato per l’amministrazione un rappresentante di partito che riceverebbe automaticamente i medesimi voti del primo.
XV - CAPITOLO
ELEZIONI E VOTAZIONI
116. Votazioni per corrispondenza.
Va istituito il diritto di votare per corrispondenza nei limiti e negli ambiti specificati dalla legge. L’elettore che vuole usufruire del diritto di votare per corrispondenza deve farne richiesta scritta con ricevuta attestante il recepimento anche con posta elettronica certificata (PEC) all’autorità preposta nel termine di venti giorni prima dalle elezioni. Il ritiro delle schede elettorali cartacee presso le autorità competenti deve avvenire dal quindicesimo al settimo giorno prima delle elezioni. È consentito il delle schede elettorali dal WEB. La riconsegna delle schede votate deve avvenire entro il quinto giorno prima delle elezioni; della riconsegna si deve rilasciare debita ricevuta. Coloro i quali, dopo aver richiesto di votare per corrispondenza, non esercitino più il diritto, devono ottenere dall’autorità competente una dichiarazione specifica che li autorizza a votare presso il seggio elettorale principale, previo pagamento del diritto di segreteria se prescritto.
117. Votazioni con mezzi elettronici.
Votazioni con mezzi elettronici sono consentite se è contestualmente effettuata la stampa della scheda cartacea che sarà scrutinata in seguito con le migliori garanzie d’imparzialità.
La scheda cartacea stampata dopo l’espressione del voto dell’elettore deve rimanere integra per l’eventuale controllo dell’autorità competente, che potrà disporre la sua distruzione a tempo debito. Una norma specifica deve stabilire il controllo delle schede qualora sia stato conseguito un differenziale minimo predeterminato, decisivo nell’attribuzione della vittoria elettorale ad un candidato o a un partito.
118. Cittadini all’estero.
I residenti abitualmente sul territorio nazionale che si trovano temporaneamente all’estero possono, nei tempi e modi stabiliti, votare per corrispondenza o presso le ambasciate, le sedi consolari o le strutture in cui siano stati messi a disposizione seggi elettorali dalle autorità preposte a condizione che le schede siano recapitate in tempo presso i seggi elettorali di competenza. I cittadini italiani domiciliati stabilmente all’estero con o senza la famiglia, ma che prestano l’attività lavorativa all’estero e conservano il legame con la propria residenza in Italia dove corrispondono le relative tasse, devono essere considerati in tutti i sensi cittadini italiani con residenza abituale in Italia. I cittadini italiani permangono in maniera continuativa all’estero con o senza doppio aporto, ivi dimoranti stabilmente, che non abbiano rapporti diretto e costante con l’Italia né corrispondono le tasse in essa né residenti reali in Italia, per esercitare il diritto al voto attivo dovrebbero manifestare la propria volontà facendone debita richiesta almeno due anni prima della data delle votazioni.
119. Date elettorali.
Non si può stare sempre in campagna elettorale: le elezioni devono essere tenute in un giorno prefissato per sempre e in contemporanea per tutte le istituzioni.
Le consultazioni elettorali nazionali, locali e referendarie si terranno solo ed esclusivamente la prima domenica del mese di ottobre ed il lunedì seguente. Nei casi di forza maggiore o calamità naturale che abbia impedito lo svolgimento delle consultazioni elettorali in alcune zone, l’autorità competente può disporre secondo la necessità una dilatazione dei tempi e delle modalità per l’esercizio del diritto di voto.
120. Legge elettorale per il Senato.
Il Senato è eletto con il sistema dei collegi attraverso il metodo di assegnazione descritto di seguito con ripartizione esclusivamente tra partiti non essendo consentito al Senato aggregazioni o coalizioni comunque denominate. Elezione per maggioranza. Nei collegi in cui un candidato raggiunge la maggioranza dei voti, è eletto direttamente. Elezione per differenziale inferiore. Il candidato che non raggiunge la maggioranza dei voti per essere eletto, ma ottiene un differenziale di voti minore tra i suoi e quelli necessari per ottenere la maggioranza rispetto al differenziale che lo separa da quelli ottenuti dal candidato classificato dopo di lui, è eletto direttamente. Elezione per opzione. Il candidato che non è eletto direttamente per maggioranza né per differenziale inferiore, ma che ottenga uno scarto differenziale maggiore di otto punti percentuali rispetto al candidato che nel collegio lo segue come secondo classificato, è eletto direttamente se si verifica l’opzione che un ulteriore candidato abbia superato gli otto punti percentuali. Elezione proporzionale. Dopo avere determinato gli aventi diritto all’elezione diretta nel collegio, come dai commi precedenti, sarà redatta una lista in cui nella prima parte saranno iscritti tutti i candidati primi classificati nel collegio non eletti direttamente, nella seconda parte i secondi classificati e così via. L’immissione sarà effettuata in ordine discendente per la maggiore percentuale ottenuta, considerando anche i decimillesimi di punto e in caso di parità si dà la precedenza al più giovane d’età. I seggi
saranno assegnati con una ripartizione proporzionale in relazione a tutti i voti ottenuti tra i partiti a livello nazionale, con la condizione di una delle due seguenti ipotesi da decidere. 1) Calcolando solo i voti relativi ai collegi rimasti vacanti ma non considerando i partiti che non avranno ottenuto la soglia del cinque per cento dei voti a livello nazionale. 2) Calcolando tutti i voti dei partiti compresi quelli dei collegi in cui il candidato sia già stato eletto. Per le minoranze (ad es. quelle etniche) il calcolo del 5% del riferimento nazionale deve essere equiparato sulla delimitazione dei soli collegi nei quali siano stati presentati candidati.
121. Legge elettorale per la Deputazione Parlamentare.
Il sistema elettorale per l’elezione della Deputazione Parlamentare è quello con mini collegi con assegnazione del premio di maggioranza su base proporzionale ripartita tra i partiti o le aggregazioni prefissate. Il partito che sarà il più votato e che supererà la soglia di maggioranza relativa prescritta del 42% dei voti attribuiti a livello nazionale otterrà il premio di maggioranza che consiste nel conseguire l’elezione del 55% dei Deputati. Qualora un partito o una coalizione superi il 60% dei voti gli saranno attribuiti Deputati fino a tale percentuale. Una considerazione a parte occorre fare per il meccanismo elettorale che si adotta. Esso dovrebbe soddisfare l’esigenza di conseguire l’obiettivo di una maggioranza parlamentare omogenea che permetterebbe la stabilità. Dovrebbe consentire, inoltre, l’elezione, nello stesso tempo, di candidati con un consenso territoriale e locale autonomo e proprio, parzialmente svincolati da rigide logiche di partito e dalle sue lobby. Fissati questi obiettivi, sorge spontaneo il suggerimento dell'elaborazione di una legge elettorale con modalità miste non solo per la Camera dei Deputati ma anche per il Senato e, che sommariamente si può intravedere con il seguente schema:
a. si suddivide il territorio nazionale in tanti mini collegi pari a uno per ogni 150 mila abitanti in cui sarà eletto un Deputato fino ad un massimo di 400 unità; b. due mini collegi saranno raggruppati in un collegio per eleggere un Deputato Anziano o Senior che non supererà 200 unità; c. due collegi saranno raggruppati in un collegio senatoriale per l’elezione di un Senatore che non supererà 100 unità. Il cittadino esprimerà il suo voto nel mini collegio e il suo voto varrà anche per il collegio e per quello senatoriale. Risulterà eletto direttamente il candidato Deputato, Deputato Anziano, Senatore che avrà ottenuto la maggioranza dei voti nel proprio mini collegio collegio, o collegio senatoriale. Per tutti i candidati Senatori e Deputati che non avranno ottenuto la maggioranza si provvederà con i criteri seguenti. Per i Senatori saranno determinati gli eletti con le norme già illustrate precedentemente al paragrafo 120. Per i Deputati saranno determinati gli eletti conteggiando tutti i voti avuti da ogni partito a livello nazionale, salve le disposizioni per le quote di garanzia delle minoranze, previa assegnazione del premio di maggioranza. Nel caso nessun partito ottenga il premio di maggioranza ma superi quella del 35% dei voti attribuiti a livello nazionale otterrà che i candidati Deputati Anziani o Senior del partito potranno essere eletti quelli che otterranno il “differenziale inferiore” di cui al precedente paragrafo 120. I Deputati eletti direttamente con le norme precedenti saranno ricompresi nel calcolo degli eletti complessivamente spettanti ad ogni partito comprendendovi le quote del premio di maggioranza. I restanti posti di Deputato comunque da assegnare, anche nell’ipotesi di mancato conseguimento delle predette percentuali del 42% e 35%, saranno attribuiti, all’interno di ogni partito con una lista nazionale, secondo un ordine di graduatoria espressi in percentuale per ogni candidato, considerando anche i decimillesimi di punto, tra i voti ottenuti e gli aventi diritto al voto nei rispettivi collegi assegnandoli fino alla metà ai Deputati Anziani e per i restanti posti ai Deputati dei mini collegi.
È ammessa una singola candidatura alla camera dei Deputati, essendo espressamente vietato candidarsi in diverse circoscrizioni e candidarsi contemporaneamente sia al Senato sia nella Camera. I Deputati che saranno nominati a una qualsiasi carica nel Governo decadono da quella di Deputato e saranno sostituiti dai primi dei non eletti. A qualsiasi titolo l’aver ricoperto cariche nel governo è parificato al mandato parlamentare di Deputato. I partiti possono presentarsi alle elezioni in qualsiasi forma: coalizioni, federazioni, confederazioni, movimenti, raggruppamenti, ecc. Deve essere univoca la quantità dei candidati da mettere in lista sia in un singolo partito sia per aggregazioni diverse. Perciò un solo partito o un’aggregazione di liste ha diritto, nella stessa circoscrizione, ad una quantità di candidati complessivamente identica. Il predetto sistema può essere integrato con l’elezione diretta del Presidente della Repubblica e del Capo del Governo che possono sussistere al vertice della piramide dei mini collegi, dei collegi per i Deputati anziani e dei collegi senatoriali. Cosicché votando per il Deputato del mini collegio il voto va direttamente anche agli altri fino al Presidente. Comunque nel caso che nessun candidato Presidente raggiungesse la maggioranza per essere eletto si potrebbe evitare un doppio turno assegnando il compito di scelta tra i due maggiori candidati più votati ai Senatori e ai Deputati integrati dai Presidenti dei Dipartimenti o delle Regioni. Analogo sistema elettorale può essere adottato anche per le elezioni locali, il principio sarebbe identico: dal consigliere, al Sindaco, al Presidente del Distretto, Dipartimento, oppure Provincia Regione ecc. Schema esemplificativo: 1 Presidente d. Repubblica. 1 Capo d. Governo. 100 Senatori. 200 Deputati Anziani.
400 Deputati. (Mini collegi). (N.B. Si vota solo per il Deputati nel mini collegio e il voto va a tutti i candidati verso il vertice della piramide.). L’ipotesi predetta, come già specificato, contempla l’abolizione delle attuali amministrazioni regionali e relativi componenti elettivi. Inoltre l’elezione diretta del Presidente e del Capo del Governo comporta che non occorre più votare la fiducia al Governo che rimane comunque in carica fino alle successive elezioni. Ipotesi alternativa ai mini collegi. Qualora si volesse gestire le coalizioni con una più ampia partecipazione dei partiti alleati è possibile sostituire i mini collegi con mini liste con preferenze che faranno capo al collegio del Deputato Anziano con la variante però che l’assegnazione dei Deputati non eletti direttamente nel collegio sarà effettuata tutta a favore dei Deputati della mini lista o al limite fifty fifty con quelli dei Deputati anziani.
122. Premio di maggioranza.
Sul premio di maggioranza, sia per il ato che per il futuro, è d’obbligo domandarsi per quale motivo un partito che si presenta in coalizione con altri partiti, vince le elezioni, usufruisce del premio di maggioranza con un sostanzioso incremento di parlamentari eletti e poi in Parlamento esce dalla maggioranza, non entra nel governo e con i parlamentari avuti in più dal premio di maggioranza si colloca in opposizione contro il governo il quale non ha più i parlamentari del premio di maggioranza che dovevano servirgli per governare. Nel nuovo ordinamento un’assegnazione immorale del premio di maggioranza non può né deve più accadere comunque. Volendo adottare una regola che eviti l’inconveniente, si potrebbe ipotizzare che la quantità di parlamentari riservati al premio di maggioranza sia attribuita soltanto al partito o ai partiti che andranno a sostenere il governo e dovranno essere sostituiti qualora un’altra maggioranza in seguito subentrerà al sostegno del governo. Naturalmente il tutto va opportunamente disciplinato in relazione
alle scelte normative che si adotterebbero.
XVI - CAPITOLO
DIRITTI
123. Vantaggio immorale.
Un principio assoluto dovrebbe essere riconosciuto perché nessuno, neanche un familiare o altra persona interessata, deve poter trarre un vantaggio di qualsiasi tipo dal comportamento scientemente pregiudizievole del bene comunitario o individuale, ovvero per i fatti penalmente perseguibili. Altri aspetti di questa stessa medaglia potrebbero essere quelli relativi a episodi anche di natura penale, con conseguenze, oltre che luttuose, cariche di grave disagio per la sussistenza delle persone coinvolte, in cui c’è un colpevole che non è responsabile e quindi non è legalmente perseguibile. Molte volte, oltre al danno c'è la beffa di un risarcimento impossibile da pretendere. In questo caso, se lo Stato sancisce una mancanza di responsabilità, deve contestualmente sostituirsi a risarcire la vittima almeno in buona parte.
124. Diritti quesiti.
I diritti quesiti non possono essere ritenuti tali quando: A) costituendo notevole vantaggio e sperequazione al titolare provocano grave nocumento alla comunità pubblica e alla collettività dei cittadini; B) il popolo decide direttamente nello specifico quali diritti ritenuti quesiti, pertanto non modificabili, possano essere dichiarati ingiusti qualora siano stati
sottoposti alla sua decisione nei limiti e nei termini previsti con il referendum, anche se dovesse essere non consentito dalla Costituzione, poiché una decisione popolare con l’opportuno quorum avrebbe valore superiore alla norma costituzionale del momento.
125. Onere della prova.
Una modifica costituzionale dovrebbe riguardare attualmente l’onere della prova che in giudizio è a carico dell’attore. Nello svolgimento di qualsiasi attività, qualora si verifichi un evento dannoso, l’onere della prova che l’attività stessa non sia responsabile diretta o indiretta del danno deve essere posta a carico del soggetto titolare dell’attività. In questo caso ad esempio non sarà più il lavoratore che deve provare inconfutabilmente che la causa di un suo infortunio è dipendente dall’attività. Non sarà un cittadino che ha subito un danno nell’uso di un qualcosa mal prodotto a dover provare la diretta conseguenza tra l’attività e il danno, ma sarà il titolare dell’attività a dover provare che l’attività non può produrre quel danno. Inoltre, una tale inversione dell’onere della prova dovrà essere applicata sempre di fronte ad una controversia ove ci sia un soggetto debole che ha subito il danno e un soggetto forte titolare dell’attività.
126. Pubblicità.
La trasparenza è la migliore garanzia e alleata contro malaffare, illegalità, sopraffazioni politiche ed amministrative. Per questo motivo occorre che nella pubblica amministrazione, nei politici, loro famigliari ed enturage sia adottato la norma della massima trasparenza, rendendo pubblico o accessibile al pubblico esame e controllo tutto senza esclusioni. È necessario che di analogo obbligo di pubblicità si facciano carico tutte le aziende, attività, amministratori e beneficiari di qualsiasi progetto che ottenga
finanziamenti pubblici, gestisca patrimonio e finanza di cittadini onde evitare che in un contesto di possibile scorretta operazione possa essere arrecato danno a chicchessia.
127. Diritto soggettivo garantito.
Nei rapporti economici e finanziari, di dipendenza lavorativa, nella pubblica amministrazione, nella giustizia ecc. un cittadino si trova molto spesso in situazione di svantaggio con la controparte che è molto più forte di lui anche solo perché ha la conoscenza della burocrazia, delle leggi in modo tale da ergersi in situazione di supremazia culturale che impone al cittadino normale una sudditanza non solo psicologica. Quando poi si scopre che un cittadino ha subito un danno, il più delle volte inaccettabile, molte volte gravemente pregiudizievole, si assiste a giustificazioni quali: “Non ne ha fatto richiesta”, “la legge non ammette ignoranza” ecc. Orbene, quando avviene che il cittadino normale è titolare di un diritto di cui comunque possa fruire e che di tale diritto è a conoscenza la controparte che deve concederglielo e questa non si fa parte diligente a far godere quel diritto al cittadino, fosse anche un’assenza di azione di questi, la controparte deve essere penalmente perseguibile e rispondere del danno arrecato. Naturalmente poi nel parlare di comportamento ingannevole per procurarsi un vantaggio, le pene da applicare alla controparte dovrebbero essere almeno triplicate e non solo e andrebbe messa in condizione di non poter commettere mai più quell’errore o uno simile.
128. Freedom act italiano.
Il tanto invocato "Freedom act" italiano sui redditi pubblici anche per i parenti dei politici non sarebbe sufficiente senza: a) la standardizzazione della documentazione e della contabilità perché tutto sia
comprensibile; b) l’inclusione di tutti i dirigenti e manager pubblici e privati anche delle aziende finanziate dal denaro pubblico o che comunque svolgano un’attività diretta al cittadino; c) consentire l’accertamento della giustificabilità degli arricchimenti e l’eventuale totale sequestro patrimoniale per gli arricchimenti illeciti.
129. Autorizzazioni.
Le autorizzazioni preventive di qualsiasi tipo devono essere tutte abolite. I soggetti che svolgono un’attività o che devono svolgerla sono obbligati a comunicare l’inizio dell’attività al Comune dove insiste l’attività e agli organi della Prefettura. L’attività per la quale non sia stata comunicata l’inizio dell’operatività, se trovata non rispondente agli standard prescritti, o abbia arrecato nocumento alla salute pubblica o alla sicurezza, deve subire il sequestro dell’azienda, del patrimonio e di tutti gli annessi e connessi. Le verifiche sul possesso dei requisiti prescritti per lo svolgimento dei servizi per i quali con le normative precedenti furono previsti un’autorizzazione preventiva sono rifondate e provvederanno esclusivamente al controllo del riscontro del possesso dei requisiti ex post entro trenta giorni dall’inizio dell’attività e dei controlli periodici. Entro sessanta giorni, saranno determinate le attività che dovranno essere preventivamente autorizzate contestualmente all’individuazione dei soggetti che saranno abilitati a controllare soltanto la regolarità e i comportamenti dei controllori addetti alla verifica dei requisiti. Lo svolgimento di un’attività o la prestazione di un servizio senza autorizzazione è lecito salvo che i requisiti e/o quelli necessari alla buona gestione nel rispetto delle norme e del suo spirito, del buon senso e del perseguimento dei fini non arrechino danno alcuno ad altri o alla collettività anche indirettamente ovverosia in diminutio del bene della comunità sociale.
130. Nazionalità.
Nel Diritto, il concetto di nazionalità è ancora confuso e non definito in maniera univoca per cui spesso vi si fa riferimento specie nel settore del pubblico impiego e in altri settori dell’amministrazione pubblica. È necessario che sia adottata una norma ad hoc perché l’accesso a determinate funzioni riservate ai possessori della nazionalità sia chiara e predeterminata, specie se sarà predominante lo ius soli per la cittadinanza. Una norma sulla nazionalità dovrebbe sicuramente comprendere una discendenza da genitori con la nazionalità italiana e dalla nascita sul territorio italiano o ambito parificato. La nazionalità dovrebbe essere senz’altro necessaria per l’accesso all’elettorato ivo per le cariche dell’amministrazione pubblica.
131. Standard sanitario.
Lo standard dei servizi e delle prestazioni sanitarie, socio assistenziali e relative partecipazioni e/o contribuzione alla spesa (ticket) è unica ed uguale per tutti i cittadini nell’intero territorio nazionale. I Ticket sanitari potranno essere proporzionali alle capacità economiche della famiglia debitamente documentate con ISEE o altro strumento che sarà adottato. La suddivisione in fasce di reddito sembrerebbe la cosa più logica ed efficiente da fare per pagare i ticket sanitari. Le forniture e gli approvvigionamenti di apparecchiature, strumenti, materiali di consumo e durevoli delle strutture pubbliche saranno standardizzati e la gestione sarà coordinata da un’agenzia nazionale che determinerà le caratteristiche costruttive e/o organolettiche e il prezzo di riferimento. La stessa agenzia
eseguirà i controlli e i collaudi a campione ex post prima di eseguire i pagamenti e comunque ad esperire le eventuali azioni di risarcimento danni.
XVII - CAPITOLO
ECONOMIA
132. Dividendi degli utili societari.
Molte norme in materia economica e finanziaria dovrebbero essere introdotte al fine di salvaguardare in primis la nazione e i suoi cittadini che non sono tutelati, a causa dell'esistenza di un “mare magnum” di approfittatori che, ledendo i diritti dei singoli, gettano in una situazione di precarietà lo Stato stesso e la sua capacità di sopravvivenza. In una tale situazione, qualche norma semplice ed urgente deve essere introdotta. Gli utili societari possono essere ripartiti ai soci solo dopo aver estinto totalmente i debiti. Le acquisizioni azionarie e simili non possono essere eseguite a mezzo prestito finanziato con debito messo in carico alle ività della società in acquisizione, ma devono essere esclusivamente messe in carico all’acquirente.
133. Fondo salva Stati.
Il fondo salva Stati, finanziato dalla comunità degli Stati, avrebbe ragione di sussistere qualora fosse uno strumento che provvede direttamente a salvaguardare le popolazioni degli Stati in difficoltà e non a tutelare le imprese estere che hanno impiegato le loro risorse in paesi con alto rischio. Sarebbe necessario che il salvataggio fosse suddiviso in due elementi.
Il salvataggio dei crediti in tutto - o meglio - in parte delle aziende che hanno impiegato capitali ad alto rischio nelle nazioni da salvare dovrebbe essere esclusivamente a carico delle nazioni cui appartengono le aziende, previa approvazione della Comunità sia delle tipologie delle misure sia del quantum, per evitare aiuti non permessi alle aziende. La Comunità, invece, con il fondo salva Stati deve farsi carico degli aiuti da elargire alla nazione in difficoltà. Tali aiuti hanno l’obbligo di osservare il principio che essi devono essere direttamente connessi alle persone e alle attività che promuovono la ripresa del benessere comune. Non va trascurato che se si riscontra in corso d’opera che la tipologia dell’aiuto elargito non sta facendo raggiungere gli obiettivi sperati e non lo farà, l’aiuto stesso va senz’altro rimodulato e rivisto.
134. Banca d'Italia.
La Banca d'Italia è la banca centrale dello Stato italiano e dal 1998 è parte integrante del sistema europeo delle banche centrali (SEBC). La Banca d'Italia è un istituto di diritto pubblico ai sensi della legge sulle banche del 1936. Le quote del suo capitale sono per il 94% c.a di proprietà di banche e assicurazioni private, per il 6% c.a di enti pubblici assicurativi (INAIL INPS). Nel 1999 il Senato della Repubblica discusse una proposta di legge, la N.4083, per disciplinare la proprietà della Banca d'Italia e la nomina del Consiglio della Banca d'Italia per far acquisire dallo Stato Italiano tutte le azioni dell'istituto, ma la proposta non fu mai approvata. La Banca d’Italia ancora oggi conserva la sua natura di “Istituto di diritto pubblico”, ma occorre precisare che i suoi soci sono quasi tutte società private alle quali legalmente appartiene, oltre al suo capitale, anche il suo patrimonio: immobili, mobili e preziose collezioni d’arte e di monete. Con regolamento da adottare ai sensi dell’art.17 della legge 23 agosto 1988 n. 400 è stata decisa la modalità di trasferimento, entro tre anni, delle quote del capitale della Banca. A tutt’oggi nulla è stato fatto. Di anni da allora ne sono ati tanti, ma nulla è cambiato, anzi: si è forse chiarito che, se ci sarà il aggio di proprietà, lo Stato dovrà pagare ai proprietari della Banca d’Italia il
controvalore del patrimonio che sarà trasferito? Se quel patrimonio è pubblico – cioè del popolo italiano – non è ora che sia dichiarato ufficialmente del popolo italiano? Non solo: ciò comporterebbe che la quantità di debito pubblico sia inferiore a quello attualmente dichiarato, con le conseguenze relative. Inoltre nessuno potrebbe affermare che il valore delle riserve auree non deve essere considerato, perché la maggioranza delle nazioni dell’area euro neanche ha le riserve o le ha in misura notevolmente inferiore, così come non ha un patrimonio pubblico del livello dell'Italia. Naturalmente, quando si fanno i conti, si calcolano le partite attive e quelle ive per determinare il patrimonio netto. Se altre nazioni non calcolano le partite attive, è perché non lo possono conteggiare, poiché non l’hanno e non perché non si debba fare. Calcolare è una cosa, ma vendere le riserve auree e i gioielli di famiglia del patrimonio italiano oltre alle industrie energetiche e strategiche è tutt’altro: non possiamo farceli soffiare da sotto il naso. In ogni caso, occorre assegnare alla titolarità dello Stato le proprietà della Banca d’Italia e la proprietà della banca stessa. Ciò per evitare che i guadagni della stessa e le quote della Banca d’Italia detenute da altre banche, che costituiscono parte del patrimonio di tali banche, vadano a comporre il capitale di queste, ed essendo parte del capitale sono i titoli di riserva del patrimonio che garantisce i depositi dei clienti. Senza poi considerare che le quote della Banca d’Italia detenute da altre banche dagli Anni ’30 non sarebbero mai state rivalutate e quindi mai considerate ai fini fiscali. Per quanto riguarda gli utili, presumo che le banche detentrici delle quote della Banca d’Italia percepiscano gli utili, o comunque beneficino di utilità comunque assimilabili. Se la Banca d’Italia fosse del popolo come sarebbe possibile ciò?
135. Signoraggio.
Lo Stato, nell’era moderna, assegna alla moneta il valore legale che ne consente la circolazione garantendone il suo valore di scambio, ma ha affidato alle banche centrali il compito di coniare le monete e di stampare la cartamoneta, di mantenere la disponibilità (c.d. offerta) di moneta circolante in quantità sufficiente alle necessità dell’economia, perché si evitino sia l’inflazione con un
eccesso di circolazione monetaria che la deflazione con una scarsa disponibilità finanziaria. Altro compito assegnato alle banche centrali è che esse debbano assicurare l'integrità e l'autenticità delle banconote circolanti. Per tutti questi compiti riscuote un prezzo, il c.d. “ Signoraggio”. Etimologicamente il termine sta ad indicare “guadagno del signore che emette moneta”. Negli Stati moderni in breve accade che le Banche Centrali acquisiscano la merce debito mediante la stampa di banconote, il cui costo di stampa è insignificante, ma con un valore virtuale chiamato nominale che determina il valore della banconota, valore imposto dallo Stato. Avviene che il valore nominale sia attribuito e garantito dallo Stato, ma è la Banca Centrale che beneficia degli interessi pagati per ricevere (acquistare) le banconote. Non ci sarebbe nulla di strano se a ricevere gli interessi fosse lo Stato anche indirettamente con una sua azienda. Il fatto, però, non tollerabile è che le banche centrali non sono di proprietà degli Stati ma di soggetti in gran parte privati.
136. Le riserve auree.
Secondo il bilancio della Banca d'Italia le riserve auree italiane sono di 2.451,1 tonnellate, che hanno un controvalore di circa 109 miliardi di Euro. La riserva aurea italiana è la terza al mondo, dopo quelle di Stati Uniti e Germania. Di chi è l’oro dell’Italia? Non dello Stato italiano a quanto pare.
Elenco delle riserve auree nel mondo espresse in tonnellate:
Nazioni
Tonnellate
Nazioni
Tonnellate
USA
8.133,50
BCE
502,10
Germania
3.401,00
Taiwan
423,60
Italia
2.451,10
Portogallo
382,50
Francia
2.435,40
Venezuela
365,80
Cina
1.054,10
Arabia Saudita
322,90
CH Svizzera
1.040,10
Gran Bretagna
310,30
Russia
830,50
Libano
286,80
Giappone
765,20
Spagna
281,60
Olanda
612,50
Austria
280,00
India
557,70
Belgio
227,50
XVIII - CAPITOLO
CONCLUSIONI
137. Conclusione.
Al termine di questo peregrinar di pensieri fantasiosi sovviene il poeta Tommaso Camla con la sua lirica: DELLA PLEBE
Il popolo è una bestia varia e grossa, ch'ignora le sue forze; e però stassi a pesi e botte di legni e di sassi, guidato da un fanciul che non ha possa,
ch'egli potria disfar con una scossa: ma lo teme e lo serve a tutti si. Né sa quanto è temuto, ché i bombassi fanno un incanto, che i sensi gli ingrossa.
Cosa stupenda! e' s'appicca e imprigiona con le man proprie, e si dà morte e guerra per un carlin di quanti egli al re dona.
Tutto è suo quanto sta fra cielo e terra, ma nol conosce; e, se qualche persona di ciò l'avvisa, e' l'uccide ed atterra.
L’incitamento al riscatto per la libertà perduta dell’uomo - se mai l’abbia avuta è tuttora più che attuale. Ancor oggi l’uomo, per acquisire la piena libertà di cittadinanza nella vita politica, o si disinteressa o eleva una voce così debole e flebile che nessuno la prende in considerazione tale da stupire il poeta e noi per l’immane forza del popolo, pari alla sua stupidità nel non mettere a frutto la sua potenza nel riscatto, proprio con la presa di coscienza e conoscenza della realtà politica che è la sola a potergli restituire un’esistenza degna. Nel concludere l’esposizione di questi confusi pensieri in libera uscita, nel tirare le somme del ragionamento, il percorso di una modifica sostanziale estremamente radicale è certamente difficile sia da intraprendere che via via da portare avanti e men che meno arrivare alla meta, in poco tempo o con una tempistica molto più lunga. In ogni caso, un cammino che non voglia far ricorso alla forza o/e alla violenza non potrà iniziare se non è cambiata la procedura di modifica della Costituzione.
138. Costituzione Italiana: Art. 138
L’art. 138 della Costituzione riguarda la procedura da osservare per la revisione della Costituzione stessa e delle altre leggi costituzionali e sarebbe la base di
partenza di tutto il processo di riforma, se lo si volesse avviare veramente. Infatti, sarebbe veramente favoloso se i politici che si accingono a fare grandi riforme costituzionali (a loro dire, ma nessuno ci crede), per non fare altri danni ai quali non si riesce facilmente a rimediare, si limitassero a riformare la procedura di modifica della Costituzione, inserendo la normativa di modifica diretta da parte del popolo. Basterebbe, per essere soddisfatti in questo momento storico, che fosse inserita all'interno della Costituzione una normativa che consenta ai cittadini di decidere tutte le modifiche costituzionali che vogliono promuovere attraverso i referendum su singole parti della Costituzione con bozze, anche concorrenti tra loro, predisposte dalla mediazione politica o da gruppi di cittadini uniti in aggregazioni sociali civili o con raccolta di firme. Tutte le soluzioni possono essere buone se a decidere sarà soltanto il popolo. La modifica dovrebbe contemplare una norma che permetta al popolo in forma diretta la modifica di ogni norma della Costituzione, nessuna esclusa e che tale procedura sia attivabile in ogni momento e costantemente applicabile nel tempo. Se proprio i politici non sanno come e cosa fare per la democrazia diretta basterebbe copiare la relativa parte della Costituzione della Confederazione Elvetica. Una volta compiuta quest’operazione di base, senza la quale nessuna modifica costituzionale può essere fatta, saranno i cittadini a modificare soprattutto le norme costituzionali, nel corso del tempo e un po’ alla volta. È immaginabile che, nel corso di una decina d’anni, tutte le modifiche costituzionali e delle leggi principali e straordinarie che non sono state effettuate dai politici negli ultimi cinquant’anni saranno decise dai cittadini e con larga partecipazione popolare.
139. Campagna di sensibilizzazione.
Ormai sono maturi i tempi per are da una democrazia rappresentativa, che ormai rappresenta solo i rappresentanti e non i cittadini (occorre sempre ricordare che sono questi la base della democrazia e che devono essere loro a decidere), ad una democrazia avanzata, la sola piena e completa che non ha
bisogno di aggettivi perché sarebbe: DEMOCRAZIA. Punto e basta. Se l’idea che ciò è possibile potesse essere condivisa da alcuni, si porrebbe il problema di lavorare per divulgare e promuovere la sua diffusione, per convincere i più a percorrere la strada della diffusione del pensiero della democrazia punto e basta e della sua conquista e realizzazione. L’autore crede che, per iniziare a smuovere le coscienze di chi ha nelle mani la possibilità di iniziare il processo auspicato, si possa procedere con le seguenti iniziative. Lettera al Presidente. Indirizzare una lettera al Presidente della Repubblica per dire quanti cittadini desiderano essere loro stessi a decidere le sorti della nazione attraverso i referendum, invitandolo ad inviare un messaggio alle Camere ai sensi dell’art. 87 c.2 della Costituzione per perorare l’introduzione della democrazia diretta in Italia. Comitati promotori. Appare indispensabile che i cittadini favorevoli all’iniziativa costituiscano comitati promotori ovunque.
140. Lettera al Presidente.
Testo fac-simile della lettera o comunicazione da inviare al Presidente della Repubblica.
Al Signor Presidente della Repubblica Italiana On.le Giorgio Napolitano
Palazzo del Quirinale 00187 ROMA
Ill.mo Signor Presidente, Mi rivolgo a Lei, che rappresenta tutti gli italiani, per esprimere la mia delusione nei confronti dei rappresentanti politici incapaci di adottare le riforme che avrebbero contribuito meglio al progresso nazionale. I nostri parlamentari hanno abusato della loro rappresentanza senza vincolo di mandato per cui ora i cittadini rivendicano che sia adottata in pieno la democrazia diretta, unitamente alla rappresentanza politica classica. Quale ultima richiesta, Signor Presidente, sono ad invitarLa cortesemente a farsi carico del peso che i cittadini italiani sopportano ormai da troppo tempo. A tal fine, voglia valutare la possibilità di inviare un messaggio alle Camere del Parlamento ai sensi dell’art. 87 c.2 della Costituzione per manifestare la volontà popolare a che sia modificata la Costituzione inserendovi norme idonee e chiaramente fruibili sulla democrazia diretta. Inoltre, voglia promuovere le condizioni le più favorevoli perché a suo tempo sia nominato suo successore un sostenitore della democrazia diretta. Nella speranza che si renda interprete dei sentimenti dei cittadini Le porgo deferenti ossequi. Luogo e data. Firma
141. Procedura per le promozioni e i comitati.
Il cittadino che sia favorevole all’introduzione della democrazia diretta è invitato ad inviare al Presidente della Repubblica una comunicazione dal suo sito ufficiale collegandosi all’indirizzo:
https://servizi.quirinale.it/webmail/
Occorre compilare il Form/modulo relativo con tutti i propri dati personali non escludendo nessuno di quelli obbligatori, inserire nel campo Oggetto della missiva la dicitura: Richiesta della Democrazia Diretta, inserire nel campo testo della missiva il testo del fac-simile della lettera o comunicazione sopra indicato.