Alessandro Spocci
Eroe
EEE-book
Alessandro Spocci, Eroe © Alessandro Spocci
Edizioni Esordienti E-book
Seconda edizione: agosto 2013
ISBN: 9788866901525
Tutti i diritti riservati, per tutti i Paesi.
Al mio babbo...
Si paga alla fine
Le cose succedono, ma c’è una ragione, il giro va avanti senza problemi.
A volte capisci, che tutto è per poco, non c’è soluzione a tutto il tremare.
Ogni ricordo, ogni ceffone, sa dire qualcosa di quello che siamo
cercar la morale a ogni mio sbaglio ma forse sapere
non è così bello.
Io penso che in fondo si paghi alla fine quando Dio fa i suoi conti e decide che è ora.
Io penso che in fondo si paghi alla fine e se hai già pagato si paga ancora.
Capitolo 1
“Oh sì! Oh sì!” “Ancora!” “Ti prego non smettere!” “Ti prego non smettere!”
Non sono molto lucido e mi sto chiedendo anche questa volta di chi sia questo corpo che ha accettato di farsi sbattere come se fosse un oggetto. La canna che ho in mano è finita e ormai non ho più molto da calmarmi. La sbatto con forza sopra al mio letto, come se fosse un gesto naturale nella routine di tutti i miei giorni. Lei è piegata prona davanti a me, ha capelli biondi e ricci, una voce che ho sentito solo durante le grida di piacere e, nonostante tutto, non so nemmeno che faccia abbia. Infilarmi dentro di lei mi dà piacere solo quando il filtro della canna è dentro alla mia bocca. Penso che se al suo posto ci fosse un qualsiasi altro buco non mi renderei conto della differenza. Certe volte davvero non capisco le donne. Come fa una ragazza? Da qui mi sembra carina.
Chissà cosa sta pensando. Come puoi farti trattare in questo modo da uno come me? Mi fa sentire una brutta persona, ma la cosa che più mi sconvolge è sentire che le piace più di quanto piaccia a me. Vivo di questi momenti anche se odio sentirmi in questo modo.
Non sono così da sempre. Fino a qualche anno fa avevo una moglie. Caterina è la cosa più bella che abbia mai avuto e la più importante che abbia mai perso. Ero un poliziotto, di quelli in gamba, ma mi sono infilato in un mondo osceno e macabro che mi ha inghiottito senza possibilità di replica. Non voglio dire che quello che faccio ora non sia divertente o eccitante visto da fuori, ma sento che la mia candela si sta bruciando dai due lati e tutto quello che mi eccitava così tanto prima, ora è solo una malsana abitudine da cui non riesco più a staccarmi. Non faccio più il poliziotto. Sono un eroe secondo molti, non secondo l’unica persona di cui mi sia importato davvero. La mia fortuna è stata avere il coraggio di buttarmi dove gli altri si sono fermati e salvare la vita di un bambino che altrimenti a quest’ora nemmeno esisterebbe. È strano come certe azioni possano cambiare molte vite. Cinque anni fa a Roma è accaduto un episodio di cronaca nera che ha fatto il giro del continente: uno psicopatico di nome Scott Murphy prese in ostaggio una scuola elementare. Le sei maestre che c’erano dentro furono uccise a sangue freddo.
Quando arrivai io fuori dalla scuola c’erano solo genitori disperati in lacrime. Il collega che era con me disse che nel giro di dieci minuti sarebbero arrivati i rinforzi con il negoziatore per poter parlare con Murphy. Ma io l’avevo visto in faccia quello psicopatico, e la gente come lui non lo fa per soldi: divertirsi era il suo unico scopo. Aveva uno sguardo impressionante, fissava le sue vittime per minuti prima di ucciderle. Ho immaginato la sensazione di quei bambini. Forse la loro innocenza sarebbe stata compromessa per sempre in quella giornata così terribile. Non ebbi dubbi. Entrai dal retro della scuola da solo, trascinandomi dietro minacce e ordini da parte del mio superiore perché, a detta sua, stavo mettendo in pericolo la vita dei bambini all’interno dell’edificio. Stronzate! Gli sono arrivato dietro con l’agilità e i movimenti di un felino e non appena l’ho avuto a tiro gli ho sparato alla testa prima ancora che potesse girarsi per accorgersi che c’ero. Ricordo ancora il momento dello sparo. Non avevo mai ucciso una persona. Temevo il rinculo. Ero spaventato dalla possibilità di non colpirlo e prendere per sbaglio il bambino che teneva vicino. Non fu facile la preparazione, ma molto di più l’esecuzione. Ho premuto il grilletto con la mano destra abbracciata dalla sinistra per limitare al minimo le possibilità d’errore.
Nel momento in cui il suo corpo è caduto a terra è come se il male che aveva dentro si fosse volatilizzato. Il suo era solo un cadavere, ora: non era più uno psicopatico, ma solo un morto come tutti gli altri. Ricordo anche l’espressione del bimbo che aveva in braccio. Lui e gli altri 22 seduti terrorizzati all’angolo della classe, erano increduli per aver assistito a un omicidio in diretta, ma erano vivi e questa era l’unica cosa che mi interessava davvero. La cosa che più mi è rimasta impressa è stato il fatto che quel bimbo non si sia messo a piangere. Era visibilmente sconvolto, ma non versò nemmeno una lacrima di fronte a un omicidio. Mi avvicinai a lui. Mi prese per mano prima di lasciarsi prendere in braccio. Non disse una parola ma è come se mi avesse ringraziato con quei due piccoli occhi che ancora non avevano perso la loro innocenza. Probabilmente quello sarà uno dei momenti che non dimenticherò per il resto della vita. Uscimmo dall’edificio insieme, con gli altri bambini terrorizzati subito dietro a noi. Decine di madri e padri scoppiarono in pianti di gioia mentre correvano verso i loro figli che avevano temuto morti per così tanto tempo. Ho ricevuto ringraziamenti, omaggi e pensieri da parte di decine di famiglie, ma tutto questo non ha impedito al mio superiore di sospendermi dal mio lavoro per condotta pericolosa. Mi ricordo ancora cosa disse.
“Non puoi fare sempre di testa tua… E se fossero morti?” Ma quei 23 bambini non erano morti: erano vivi, solamente grazie a me. Lui non lo capiva, o forse era invidioso per non averlo fatto lui. In quel momento, quando capii che obbedire a un ordine era diventato più importante di salvare una vita, decisi di smettere con questa carriera e ricominciare da capo. Consigliato da un amico scrissi un libro su quella vicenda tanto famosa quanto contestata e il mio manoscritto divenne un best seller nel giro di pochi mesi. Guadagnai una marea di soldi, e avrei avuto tutte le risorse per vivere da signore per almeno altri cent’anni. Diventai famoso. Non parlo di quegli squallidi personaggi che si vedono in televisione a fare gli opinionisti alla domenica pomeriggio. Ero cercato da ogni televisione, e il mio libro fu tradotto anche in inglese, se e spagnolo. In un colpo solo avevo sistemato la mia situazione economica, mi sposai con quella che ora è la mia ex moglie Caterina e venni definito come il titolo del mio libro: “Eroe”. Al matrimonio quando le giurai eterno amore mi sentii per la prima volta nella mia vita protetto da tutto quello che c’era fuori. Quella sensazione riesco ancora oggi a immaginarla, ora che lei è lontana e io la posso solo sognare. Era tutto perfetto. L’unica cosa che non avevo considerato è il cambiamento di vita che si può avere a are in quel temporale di momenti. Sia chiaro che io non mi sono mai sentito più importante di quanto non fossi
prima e tanto meno considero chi ha un volto noto come qualcuno di più interessante, però le opportunità intorno a me si moltiplicarono e io cominciai ad abituarmi a vivere in modo diverso. Innanzitutto le donne. Ogni sera in cui mi muovevo per andare a bere qualcosa al bar o semplicemente camminavo per strada, c’erano molte ragazze che mi fermavano, che si mostravano disponibili. Le prime volte mi limitai a firmare autografi e fare fotografie, poi a farmi lasciare numeri di telefono e con il tempo mi sono ritrovato a tradire mia moglie in case diverse tutti i giorni. Mi vergogno profondamente di questo. Forse il mio più grande problema è sempre stato il mio ego. Quando ricevo complimenti sulla mia vita, sulla mia immagine e su quello che ho fatto, il mio ego si gonfia a dismisura e divento così facile da conquistare che mi sento quasi una puttana. Ho sempre sentito il bisogno di essere apprezzato, fin da quando ero bambino e giocavo con gli amici. Ho scelto di fare il poliziotto perché sentivo di onorare la mia vita in quel modo e ho smesso di farlo quando quel mondo di corruzione e burocrazia mi ha disilluso portandomi violentemente alla realtà.
Le donne all’inizio le vedevo diversamente da ora. Ogni donna con cui condividevo un letto, un bacio o anche solo un momento insieme, per quel breve periodo mi riusciva a dare qualcosa di speciale, perché penso di essermi innamorato migliaia di volte di migliaia di donne diverse. Riuscivo a trovare in ogni ragazza un qualcosa di bello che mettevo al centro del mio interesse: lo sguardo, le gambe, il seno, il modo di parlare o di muoversi, il profumo, il sorriso o il modo di truccarsi.
Per me le donne erano tutte speciali. Ora ho perso questa visione. La mia ione è diventata solo un atempo, sono deluso da ogni donna che voglia are del tempo in mia compagnia. Non sono stupide? Come si può uscire con uno come me? Essenzialmente, ormai mi sento una persona vuota e tenuta in vita solo dai miei vizi e dai ricordi della donna che mi ha saputo accettare prima che io la trattassi nell’ultimo modo in cui avrei dovuto. Il bravo poliziotto che faceva le cose a modo suo in nome di ciò che sentiva giusto è diventato uno stronzo viziato che cede a tutte le donne che incontra, che fuma, si droga e beve in quantità spropositata. Anche gli altri vizi ho cominciato a coltivarli dopo il cambio di vita, a parte il fumo che mi accompagna da quando ho quindici anni. Con la droga per fortuna il mio rapporto è solo parziale: dopo un periodo in cui buttavo giù e tiravo su di tutto, ora mi limito solo al fumo e all’erba. Sono stato lasciato da mia moglie dopo qualche mese e nonostante l’abbia trattata in un modo di cui mi vergogno tutt’ora, lei non ha voluto nulla dal mio divorzio, non ha chiesto un solo centesimo e non si è mai più fatta vedere. È sempre stata una persona d’oro, e per qualche momento ho pensato fosse un angelo mandato dal cielo per migliorare la mia vita. Avrei voluto provare ad aggiustare le cose, ma non l’ho mai fatto. Lei era speciale: il più grande manifesto di come fosse la mia vita prima di tutto il resto. Era semplice, di una bellezza fine ed elegante che mi faceva impazzire. Ma soprattutto è l’unica persona di cui io mi sia mai fidato sul serio.
Tutti i soldi del libro li ho spesi in pochi anni, e ora mi ritrovo come una di quelle vecchie celebrità fallite che si buttano via nei vizi della notte e si ritrovano a scopare tutte le sere qualche stupida oca che pensa di ottenere chissà cosa andando con uno come me. Ogni tanto di notte le scrivo un messaggio, provo a chiamarla, ma senza alcun tipo di risposta. Capitano anche sere in cui mi metto sotto casa sua da solo, sulla mia Porsche vecchia di tanti anni, e aspetto. Trascorrono ore senza che succeda nulla, fumo una sigaretta dietro l’altra, ripenso ai tempi ati e alla fine me ne vado con la malinconia di chi ha perso troppo. Il mio bilancio a 42 anni non può essere un granché. Raggiungo l’orgasmo dando l’ultimo tiro della canna che tengo in mano. Le faccio capire con uno schiaffo sul sedere che ho finito. Mi levo il preservativo e vado a prendere la bottiglia di Heineken che ho lasciato aperta mezz’ora fa. Lei rimane a guardarmi come se davvero si aspettasse un qualsiasi tipo di parola da parte mia. Io giuro che questi momenti li cancellerei dalla giornata: vorrei davvero esistesse un modo carino per dirle che vorrei vederla fuori da casa mia in pochi secondi, ma non l’ho mai trovato. La birra ha completamente perso il suo senso. È sgasata e calda. “Sono molto stanco” le dico. “Non posso dormire qui?” “No, è meglio di no…”
“Cinzia!” mi interrompe lei. Sì, non so neppure come cazzo si chiama questa ragazza, vorrei solo che se ne fosse già andata per evitare tutte le frasi che mi vomiterà addosso per cinque minuti, ancora piena di me. “Che stronzo!” mi grida. “Sei un fallito!” “Idiota!” Sapeste quante volte ho sentito queste parole, e ogni volta mi rendo conto che non mi sfiorano nemmeno, come se non me le avessero neanche dette. Si alza con quelle belle tette al vento, che solo ora riesco a notare per davvero. Non mi dispiace nemmeno un po’ per lei. Insomma, sono convinto che, se ti lasci rimorchiare da uno sconosciuto ubriaco in un bar, non puoi pretendere nulla di diverso da questo. Mi danno il disgusto le donne come questa. Penso che abbassino il meraviglioso livello che le donne hanno saputo raggiungere nel mio pensiero. Mi gira la testa e anche a questo sono abituato. Cammino fino al bagno penzolando come un calzino steso al vento. Mi lavo i denti cercando di togliermi il sapore di tutta quella merda che ho buttato giù stasera. Non so neppure se quella ragazza sia già uscita dalla porta o stia ancora sistemando le sue cose. Ora sento il rumore di una zip che si alza. È lei che si allaccia i pantaloni.
Ha uno sguardo cattivo. Penso che se potesse ora mi ammazzerebbe a forza di schiaffi. Io la guardo senza dirle nulla. So come si sente. Ora è il momento in cui si sente trattata come una puttana, in cui la sua autostima è sottozero e vorrebbe un uomo di fianco che le dicesse quanto è divertente e intelligente fuori dalla camera da letto. Le cose bisogna meritarsele. Ogni azione ha una conseguenza e io lo so bene. Mi butto sul letto. La stanza è uno schifo. Non so come ho fatto a ridurmi a vivere qui. Un cazzo di monolocale di quaranta metri, in cui ogni volta trovo qualche oggetto vecchio qua e là. Sono sollevato a sapere che non è mio ma ci vivo in affitto. Tutto il letto è sfatto. Che gran casino. Esce dalla stanza solo ora. Non la saluto, sarebbe solo una presa in giro. Sbatte la porta alle sue spalle. Mentre cerco di capire che ore siano, suona il mio cellulare. “Pronto.” “Pronto!”
Riconosco immediatamente la voce di Fred, un mio vecchio amico inglese con cui ho lavorato per un breve periodo qui a Roma. È una di quelle persone a cui non so dire di no. “Ciao Fred, che cazzo vuoi a quest’ora?” “Sempre molto gentile…” “Non ti ricordavi più i miei modi?” “So che sei un vecchio animale da notte e immaginavo di trovarti sveglio…” “Dimmi.” “Ho bisogno di parlarti di persona, sono a Roma…” “Che ore sono?” “Le cinque…” “Ci vediamo tra mezz’ora per la colazione” gli dico. “Ok.” Mi tiro su dal letto. Apro la finestra per fare entrare un po’ d’aria. Continuo a sentire il mio organismo che si lamenta per quello che ho dentro ma lo ignoro e mi vesto. Prendo la mia maglietta nera e la giacca dello stesso colore che avevo su prima. Mi accendo una sigaretta. C’è odore di sperma. Non dovrei fumare in casa, perché poi lascio odore e non va più via, però è più forte di me.
Esco e chiudo la porta, anche se, secondo me, non serve a nulla: un ladro, solo a vedere la mia stanza da fuori, penserebbe che qualche collega lo abbia già anticipato. È ancora buio. I camioncini della nettezza urbana stanno ando ora a pulire le strade. Se penso che non chiudo occhio da quasi due giorni. Invidio la gente che ha trovato la propria pace. Arrivo davanti al bar e lui è già seduto. “Ciao Ale!” “Ciao Fred.” Mi siedo di fronte. È sempre lui, forse un po’ più vecchio. Ha un fisico importante, da giovane era uno sportivo. Ora ha la pancia e qualche chilo di troppo ma è sempre un bell’uomo: i suoi capelli brizzolati e il modo di vestirsi elegante gli danno fascino. “Allora, come procede la vita da scrittore?” mi domanda. “Parliamo di qualcosa di più interessante…” “Perché?” Gli spiego di tutto lo schifo che ho cominciato a frequentare stando qui. Mi chiede di Caterina, perché lui sa quello che ho provato davvero e, nelle rare occasioni in cui ci vediamo o sentiamo, mi chiede se finalmente la mia anima sia guarita. Ovviamente la mia risposta è sempre negativa, ma è bello sentire qualcuno interessato davvero e mi piace quell’accento da inglese con la puzza sotto al
naso che ha quando domanda. Lo prendo sempre in giro per questo. È sposato con una bellissima donna di cui conservo un ottimo ricordo. Si chiama Sara e, quelle poche volte in cui ho visitato Londra, mi hanno sempre ospitato come se fossi uno di famiglia. È come se lui vivesse in un modo migliore le occasioni che ho avuto io. Sara per lui è tutto e ha saputo tenersela stretta e costruire la sua vita insieme a lei, proprio come avrei voluto fare io. Mi ricordano il periodo in cui stavo con Caterina, le cene insieme, quando lei mi ha letteralmente costretto a prendermi le ferie per andare a visitare Londra, entusiasta all’idea di vedere una città nuova. Ricordo con piacere come andassero d’accordo Caterina e Sara e come fossimo complici tutti e quattro nelle nostre serate lunghe, bagnate da qualche bottiglia di vino rosso. Ho sempre visto Fred come un amico, anche se ci sentiamo solo poche volte nel corso di un anno, ma mi piace pensare che nel momento del bisogno potrò sempre contare su di lui. Caterina lo adorava. Era il mio unico amico con cui andava d’accordo: la faceva sempre ridere, ma non era volgare e le donne questo lo apprezzano. Stasera però non sembra dare molto peso alle mie parole. È preoccupato: glielo leggo in faccia. Si vede che ha bisogno di dirmi qualcosa. “Piuttosto dimmi tu di cosa vuoi parlare.” Cambia tono.
“Ho un problema e ho bisogno di qualcuno con le palle per risolverlo…” “Dimmi.” “A Londra il mio distretto è in crisi…” “Continua.” “Sono sparite quattro prostitute nelle ultime due settimane e crediamo che le scomparse siano collegate tra loro…” “E io cosa c’entro?” “Beh, come poliziotto ufficialmente non posso intervenire in certi ambienti... Posso farlo come privato, ma da solo non posso farcela…” “Mi stai chiedendo di andare a Londra?” “Sì... In fondo ti sarai stufato di scoparti delle italiane tutto il giorno…” “Sei proprio uno stronzo…” “Sapevo di poterci contare…” “Come facciamo solo io e te?” “Ho un infiltrato, uno di cui mi fido…” Se lui si fida so di poter fare lo stesso. “Mi basta così.” “Lo so…” “Quando si parte?” “Anche ora…” “Fammi are a casa a prendere delle cose.” Va bene così.
Sono pronto per partire alla cieca con questo vecchio amico che non vedo da troppi anni e mi ricorda maledettamente il ato che ho buttato via. Ci mettiamo d’accordo di trovarci all’aeroporto tra due ore. Quel bastardo aveva già comprato anche il mio biglietto d’aereo, convinto che avrei accettato. Mi conosce come pochi. Non ho molto da lasciare qui ed è per questo che ho accettato subito, in pochi secondi. A casa riempio una piccola valigia trolley con mutande, calzini e un po’ di fumo, nascosto come si deve. Mi sento uno schifo di quindicenne che fuma gli spinelli in discoteca, ma non riesco a farne a meno. Mi accendo un’altra sigaretta, mi bevo un caffè e me ne vado per chissà quanto da questa casa e da questa città che mi ha succhiato il sangue e mi ha rubato fino in fondo l’anima. Questo è uno di quei momenti in cui mi piacerebbe vedere Caterina, anche solo per un saluto, per informarla che sto andando proprio a Londra, la sua città preferita, ma questa volta senza di lei. Rideva sempre quando incontravamo le guardie della regina. Le osservava per minuti lunghi e rimaneva ogni volta stupita per come riuscivano a stare ferme per tutto quel tempo. Siamo stati a mangiare in ristoranti caratteristici, alcuni romantici a lume di candela, ma anche in “Fish & Chips” o al “Burger King” e lei ha sempre apprezzato tutto. Un’altra cosa che adoravo era il suo modo di non farmi sentire obbligato: al ristorante non l’ho mai fatta pagare in tutti gli anni in cui siamo stati insieme, ma non c’è stata una sola volta in cui non abbia fatto il gesto di tirare fuori il portafogli per chiedermi di poterlo fare lei.
Ogni minima cosa ora mi sembra più grande. Quando la penso non posso far altro che sentirmi un idiota per il modo in cui l’ho persa, ma d’altra parte sono felice che lei abbia avuto l’occasione di vivere la sua vita lontana da me. Non la merito, o almeno non più. Fred è sempre puntuale. Mi aspetta davanti all’ingresso con una ventiquattrore in mano. “Per le armi ti fornisco io lì…” mi dice. “Questa me la porto su” rispondo io tirando fuori dalla tasca la mia pistola di fiducia: una Beretta LR calibro 22. È l’unica cosa che mi è rimasta della mia vita di prima, insieme ai ricordi e ai sensi di colpa, e forse è per questo che ci sono così legato. La prima volta che la usai fu tanti anni fa, non ricordo nemmeno quanti. Feci incidere sull’impugnatura le due iniziali “A C”, dopo la prima volta che conobbi Caterina. A guardarla ora, quei tempi mi paiono ancora più lontani. È l’oggetto a cui tengo di più, l’unico che mi fa sentire ancora un uomo. Lui mi dice di dargliela per i controlli, prima di farmi arrestare. Mi fa ridere il modo in cui si agita. Saliamo sull’aereo. È da una vita che non succede. Mentre ci alziamo velocemente da terra, penso a quanto in questa città non ci sia nessuno a cui interesserà la mia partenza. “Come mai?” gli domando.
“Cosa?” “Come mai ti sei preso questa faccenda così a cuore?” “C’è una mia amica che voglio proteggere…” “Tua moglie immagino non conosca questa tua amica…” “No.” “Capisco.” Un po’ mi dispiace sapere che anche Fred ha delle cose scomode da nascondere alla moglie. Mi sembra di rivedere in lui i miei sbagli e gli auguro con tutto il mio cuore di arrivare a un epilogo diverso. Subito nella mia testa ho collegato il fatto che mi abbia parlato di prostitute, e la cosa non mi piace. Spero non abbia fatto delle stronzate troppo grosse. Di solito non è uno che si va a mettere in situazioni ingestibili, anche se questa volta mi sembra davvero diverso dal solito. Purtroppo, nei rapporti felici è difficile mantenere il giusto equilibrio. Bisogna sempre essere intelligenti nelle proprie azioni e questo l’ho imparato a caro prezzo sulla mia pelle. È caduta anche questa certezza. Non ho voglia comunque di pensarci ora. Riflettere su questo mi fa venire in mente il mio ato e il mio presente, in un paragone impietoso tra il brav’uomo che ero e il disperato di adesso. Ho molto sonno e questo mi aiuta a smettere di pensare. “Ti dovrò dare molte informazioni…” mi dice.
“Ora lasciami dormire…” Gli occhi mi si chiudono da soli dopo la nottata appena trascorsa. Il sedile dell’aereo mi pare più comodo di quanto non sia realmente.
Tentativo di scrittura
Sono eccitato. Mi sono appena svegliato da un sogno erotico che ha lasciato postumi invalidanti per il mio pensiero e il mio modo di vedere le cose. Ho provato come sempre a condividerlo con chi dovrebbe, ma non l’ha capito, o forse semplicemente non le è interessato. E così mi ritrovo nell’ennesima mattina strana, fuori dalle regole, a sentire una ragazza che non è lei, a giocare con la realtà e con i miei sogni, cercando di incastrarli senza mai superare la linea immaginaria dell’errore, ma danzandoci sopra, come un pattinatore sul ghiaccio. Ci sono momenti in cui sento di respirare una libertà virtuale in cui non posso tuffarmi completamente. Soffro, ma lei non c’è, ancora una volta. Per quanto tempo dovrò aspettare? Mi manca la dolcezza, quella che ti fa battere il cuore come un ragazzino dopo un bacio. Ecco forse io sono ancora un ragazzino nella mia testa. Faccio a botte con il mio ego ogni giorno, per stabilire fino a che punto posso spingermi oltre. Non so cosa farò nel mio futuro, e non so neppure se tra due ore sarò di nuovo qui davanti a questo computer, o fuori con qualche ragazza in grado di regalarmi per un attimo qualcosa di simile a quello che cerco. Sento la mia testa che mi abbandona.
Non vorrei essere arrivato a questo. Le ho sempre donato tutto me stesso. Non è servito come speravo. Sta svanendo la mia voglia di scrivere, ma non la mia eccitazione. Spero di essere un uomo migliore di quello che ho dimostrato fino a ora, anche se non è facile, o almeno per me.
Capitolo 2
Arrivo a Londra senza nemmeno accorgermi di aver dormito. C’è un freddo bastardo. Londra è esattamente come me la ricordavo. Migliaia di turisti in festa ed eccitati non si accorgono nemmeno di tutto lo schifo che gira intorno a loro nascosto nel buio delle vie più malfamate. C’è odore di festa anche se io riesco a sentire la puzza di sporco che si nasconde sotto i profumi di marca che vendono in questo posto. La gente si veste con giubbini e cappotti pesanti mentre io ho addosso solo la mia maglietta nera e la giacca che lascia entrare tutto il freddo. Ma è solo questione di abitudine. Non mi mancava affatto questo posto, ora che ci sono arrivato. Fred chiama un taxi e con il are dei metri la gente cambia e di turisti se ne vedono sempre meno. Ci vorrebbe un lanciafiamme per fare piazza pulita in certi luoghi: nei vicoli che stiamo attraversando servirebbe. Quando il taxi si ferma in uno di questi non riesco a spiegarmi come Fred possa avermi portato in un posto del genere. Qui c’è da rischiare la vita a ogni o. Ci sono certi energumeni marocchini e algerini con la fedina penale sporca più delle mie scarpe. Mi guardano con aria di minaccia, come se da un momento all’altro volessero
saltarmi addosso. Sembrano scaricatori di porto o qualcosa del genere. Fred è tranquillo come se si trovasse a casa. Non voglio dire nulla perché penso che la sua tranquillità debba essere giustificata da conoscenze che io ignoro. Continuo a sentirmi osservato. Arriviamo di fronte alla porta di un rudere che difficilmente riuscirei a definire come casa. Ci apre una ragazza: è mora, magra e con la faccia classica della prostituta. Sono sicuro che se l’avessi vista a Buckingham Palace in abito da sera l’avrei riconosciuta comunque in un attimo. Indossa autoreggenti e mutandine nere. Le piccole tette sono completamente scoperte, ma non mi suscita la minima voglia di farci nulla. Mi dà l’idea di essere sporca. Penso che si sia accorta dal mio sguardo del disinteresse nei suoi confronti. Dice qualcosa in inglese a Fred. Lui mi indica e risponde. Non capisco una parola. Vorrei aver studiato inglese. Lo diceva sempre Caterina. Immagino che mi stia presentando. Faccio un cenno con la mano per salutarla.
Entriamo. Tolgo gli occhiali da sole. La casa è estremamente buia. C’è solo una piccola finestra nella sala, troppo poco per pretendere di fare aria in un questo luogo che ha un odore irrespirabile. C’è un’aria pesante, che mi ricorda vagamente quella del mio appartamento a Roma. Quasi mi manca in questo momento. Arriviamo in uno stanzone che dovrebbe, nel loro immaginario, essere una camera da letto. Ci sono tre materassi per terra che occupano quasi tutta la superficie della stanza. Coricata su uno di questi si trova una ragazza bionda, con i capelli che le arrivano alle spalle. Mio Dio che bella. Mi scatena immediatamente una sensazione che non provavo da un po’. Dopo mesi ati a portarmi a casa ragazze, spogliarelliste, e qualunque cosa asse dalle mie parti, avevo perso l’eccitazione pura che sto provando in questo preciso momento. Quando alza lo sguardo prego che non sia la ragazza che va a letto con Fred. Ha addosso solo una canottiera bianca talmente sottile che sotto le si vede ogni forma. Si alza in piedi e lo saluta con un bacio sulla guancia: tiro un sospiro di sollievo. Mi saluta. Parla in italiano nonostante l’inconfondibile accento inglese.
“Piacere Kelly.” “Alessandro.” Fred mi indica e spiega che io sono l’uomo giusto per aiutarle in questa situazione difficile. Non riesco a non guardarle le labbra carnose, gli occhi provocanti, i capezzoli che si appoggiano sulla maglietta, le gambe bianche e belle, e i piedi con lo smalto nero. Ha un seno da lasciare senza fiato. Mi perdo in questi pensieri mentre loro cominciano a parlare, e mi accorgo solo dopo qualche secondo che hanno smesso. “Ehi stai bene?” mi chiede Fred. Gli dico che è tutto ok. Lui spiega ad alta voce di avere paura per la vita della ragazza perché il giro in questi quartieri è molto difficile e uscirne equivale a inimicarsi gente troppo potente per loro. Kelly mi guarda negli occhi e io ogni volta la sto già fissando. Se me lo chiedessero ora non saprei dire come è vestito Fred. Lei va a cambiarsi ed esce lasciandoci in casa come se fossimo suoi parenti. Mi siedo su una delle uniche due sedie. Fred prende dal frigo due lattine di birra e me ne porge una. Comincia a parlare. Mi dice che il quartiere e più in generale tutto il traffico di prostituzione della città è controllato da due personaggi. Il primo è Luis Gordon, un magnaccia inglese.
Lo conoscono tutti. La polizia nemmeno prova più a indagare perché si tratta di un uomo talmente potente da terrorizzare anche la legge. Da come me ne parla Fred è un uomo forte. Si vede che lo rispetta, nonostante sia un criminale. Il suo uomo migliore è Steve Mint, uno smilzo moro con i capelli corti e una velocità micidiale con qualsiasi arma da fuoco, in particolare la sua pistola, stranamente una calibro 22 come la mia. Lo descrive con disprezzo. Io me lo immagino brutto e viscido. “Questo Mint non ti sta particolarmente simpatico vero?” domando a Fred con curiosità pura. “No…” “Perché?” “È un sadico figlio di puttana…” Mi viene il voltastomaco quando mi racconta che Mint tortura le donne prima di farle fuori e scoparci. Delle quattro morte tre erano sotto il controllo di Gordon. Non vorrei essere nei panni di chi gli ha fatto questo scherzo. Non mi cita altri elementi della banda di Gordon, se non Jack Norton, il suo uomo di fiducia. Gli domando incuriosito di Norton. Fred me ne parla usando molti dettagli, ben attento a non farsi ascoltare da nessun altro.
Me lo descrive come un uomo solo, senza nulla al di fuori del lavoro. Ha seguito un addestramento particolare e non risulta in nessun registro il suo legame con la polizia inglese. È infiltrato nella banda di Gordon da quasi tre anni e ha vissuto esperienze indescrivibili dall’inizio della sua missione. Mi impressiono a sentirne parlare. Quell’uomo sta dedicando la sua vita alla pulizia della città, rinnegando di fatto se stesso. Ha trentacinque anni e me lo immagino un po’ come uno di quegli eroi del Far West silenziosi e imprevedibili. Deve avere una forza d’animo spaventosa. Sono curioso di conoscerlo. Ho gli occhi stanchi, non so se per il fumo o le poche ore di sonno degli ultimi giorni trascorsi. Rimango comunque concentrato. L’altro boss si chiama Enrico Galletti, un immigrato italiano che certo non porta una bella immagine del mio paese nel mondo. Questo delinquente è immanicato in crimini di tutti i tipi: omicidi, induzione alla prostituzione, traffici di ogni tipo di droga. È completamente appoggiato dalla polizia londinese che viene pagata in modo cospicuo per girarsi dall’altra parte mentre lui fa fuori uno a uno tutti i principi della legalità di cui si vantano. Galletti ha meno uomini al suo servizio, ma il più pericoloso è sicuramente Lion Koller, uno con cui spero di non avere mai a che fare, anche se so che questo sarà molto difficile. È un gigante di oltre due metri, uno che non a inosservato, ex lottatore di
wrestling e con due arresti alle spalle. Il primo per aver ucciso a mani nude un agente di polizia, il secondo per essere stato coinvolto in un’operazione di trasporto di oltre cinquanta prostitute, quando ancora lavorava per Luis Gordon. Fred mi racconta che realmente le porcate compiute da quell’uomo sono state molte di più di quelle per cui lo hanno arrestato. Dice che lo hanno visto ammazzare due uomini in una rissa al bar, ma nessuno dei presenti ebbe il coraggio di testimoniargli contro. Galletti è il maggior indiziato per quanto riguarda i primi tre omicidi. Le donne in città sono di loro proprietà. Kelly in particolare è comandata da Galletti. Provare a uscire dal giro per lei significa scatenarsi addosso l’ira del mafioso italiano e tutto ciò che ne segue. Capisco che la situazione sia critica ma non mi spavento, anzi continuo a bere la mia birra come se nulla mi turbasse. Mi accendo una sigaretta e la ragazza magra, che ci aveva aperto la porta, mi dice senza troppa gentilezza di uscire e non fare odore dentro casa. Penso che avrei bisogno di regole così ferree nel mio monolocale. Mi accompagna all’uscita. Rimane con me mentre fumo. Ha uno sguardo apparentemente ostile nei miei confronti. Mi dice qualcosa in inglese. Le rispondo dicendo che non la riesco a capire. Lei in un italiano imperfetto mi riesce a dire una frase che non capisco se sia pronunciata in modo ironico o dispregiativo.
“Voi italiani non sapete neanche le lingue…” Spero di non vederla più. Le rispondo in italiano, ma parlo in fretta per essere sicuro che non capisca nemmeno una parola. Lei mi guarda e rientra in casa. Finisco finalmente la mia sigaretta in pace. Dopo un altro quarto d’ora ritorna Kelly. Ora indossa abiti più consoni al freddo che c’è fuori, ma rimane comunque maledettamente sexy. Ha un maglione bianco a collo alto e un paio di jeans ma anche così mi sembra irresistibile. “Ciao.” La saluto nel modo più disinteressato che mi viene. “Ti sono molto grata per quello che stai per fare per me…” Averla così vicina mi fa venire in mente tanti pensieri. “L’importante è che tu alla fine di questa storia rimanga viva…” le dico io cercando di rimanere concentrato. Avrei bisogno di bere un goccio di qualcosa. “Sono fiduciosa…” mi dice ancora. Ha un tono provocante: non capisco se lo stia facendo apposta per vedere le mie reazioni o le venga spontaneo. Vorrei saltarle addosso. Mentre lo dice si avvicina così tanto a me che mi sembra di respirarle in bocca senza però avere il minimo contatto.
Rimango imibile come ho imparato a fare nel corso della mia vita. “Andremo d’accordo, signor Vinci...” Non ho dubbi che sarà così. Lei va in sala. Fred arriva e mi dice che possiamo andarcene. Torno in casa e lascio un bigliettino con il mio numero a Kelly. “Per qualsiasi cosa chiamami…” “Lo farò.” Mi fissa ancora e la cosa mi piace. Sono eccitato e spero che non si veda. Devo uscire da questa stanza o sento che commetterò qualche sciocchezza con questa prostituta. Mi a la mano sul viso. Ride. Penso che abbia capito il mio stato di eccitazione. Sta giocando con me come con un bambino. Mi sento scombussolato. “Andiamo Ale!” mi grida Fred. Gli faccio cenno di sì e non smetto di guardarla. “Penso che tu debba andare…” mi sussurra senza nemmeno voltarsi verso Fred che è sulla porta come un qualsiasi terzo incomodo. “Sì” le rispondo.
Per un attimo ho quasi la sensazione che stia per baciarmi, ma poi si allontana spezzando quella magia dentro la quale mi stavo perdendo. Vado. Mentre ci allontaniamo da lì mi rendo conto che la gente intorno non ci guarda più, come se in quelle poche ore fossimo diventati anche noi parte di quell’ambiente.
Ricordo quando lavorai con Fred a Londra. Fui spedito qui subito dopo il mio intervento nella scuola. Non ero abilitato al servizio ma Fred mi prese sotto la sua ala e mi fece un permesso per portarmi la mia cara pistola. Ne portammo dentro un bel po’ di criminali, anche se con la legge da schifo che c’è al giorno d’oggi rimani dentro più tempo per una guida da ubriaco che non per un omicidio. Il centro di Londra lo vidi poco allora, ma frequentammo la periferia marcia di questa città. Non mi è mai piaciuto il clima qui: troppo freddo e troppe piogge. La città che avevo visitato con Caterina sembrava un’altra rispetto a quella vista con una pistola in tasca. La penso e non potrebbe essere diversamente. Fred intanto continua a camminare fino a un taxi. “Tu starai in un motel qui vicino, pago tutto io…” “Ci mancherebbe altro.” “Non portarci delle puttane che è un posto di classe…” Mi metto a ridere.
“Dato che parli di puttane... Che rapporto hai con Kelly?” Si vede dalla sua espressione che nonostante la nostra amicizia preferirebbe non parlarmene. È costretto e alla fine lo fa comunque. “Sua madre era la mia amante…” “Era?” Assume un tono triste. “Ora è morta…” Adesso sto cominciando a capire molte cose, anche se l’unica cosa che non mi è chiara è il motivo del suo affetto così forte per la figlia di una puttana con cui si è frequentato. Non espongo il mio pensiero. “Mi dispiace... Come è morta?” mi limito a chiedergli. “Overdose.” “Quanto tempo l’hai frequentata?” “Per un anno circa…” “E Sara?” “Ovviamente non sa nulla…” Me lo ricordavo più sincero. “Che figlio di puttana…” “Hai parlato tu…” mi risponde. “Io?”
“Tu che ti sei fatto lasciare da una ragazza perfetta…” “Affondato.” “Hai sbagliato…” “Lo so e non a giorno in cui non pensi a quanto sono stato uno stronzo a perderla…” “Mi dispiace amico…” “Non è colpa tua…” “Lo so infatti è tutta colpa tua!” Il bastardo si mette a ridere e io gli vado dietro. Questo piccolo uomo riesce sempre a farmi ridere anche quando sono incazzato con il mondo. Prende il taxi con me fino al motel. “Ci vediamo domani per cominciare…” “Tu chiamami quando sei pronto…” Quando arrivo in stanza prendo in mano il telefono. Provo a chiamare Caterina. Non è una novità di oggi: da quando ci siamo lasciati cerco regolarmente di sentirla per telefono. Le prime volte rispondeva, ma non avevo mai molto da dirle. Non le ho mai detto di poter cambiare né di sentirmi diverso. Però le ripetevo quanto mi mancasse, e quanto in fondo mi dispie essere diventato questo. Lei piangeva, mi diceva di smetterla di dire così, o altre volte mi chiedeva di
tornare, ma io non l’ho mai ascoltata in nessuna delle due richieste. Sono sempre in questo limbo, indeciso sulla mia vita, a farmi trasportare dagli eventi che mi capitano invece che scegliere di diventare qualcosa di più del bamboccio che mi sento ora. o la vita in questo modo, come Peter Pan, o più verosimilmente come uno stronzo senza più un vero affetto per cui andare avanti. L’ho sempre tenuta accanto a me in qualche modo, a forza di chiamate, di tentativi inutili e anche questo mi fa sentire in colpa. Mi sembrava di impedirle di ricominciare, di voltare pagina e riprovare qualcosa di nuovo lontano da me e dal marcio che mi porto dietro. Fino a quando un giorno ha smesso di rispondere e io sono rimasto completamente da solo, senza l’unica persona che abbia mai amato quando ancora possedevo un’anima. Ma io non ho mai smesso di provare, inutilmente, a risentire la sua voce, a immaginarmi la sua espressione nel momento in cui le parlo. Ovviamente non mi risponde neanche stasera, ma solamente sapere che lei troverà la mia chiamata mi fa sentire meno in colpa con me stesso per quello che le ho fatto. Sarà a casa ora, forse da sola o forse in compagnia di un altro che la fa stare bene come merita. Sarei geloso ma contento per lei. Mi fa piacere che sappia che non l’ho persa perché non l’amavo abbastanza, ma solo perché non sono più pronto a dividermi con nessuno. Mi preparo una delle mie sigarette speciali e me la fumo seduto sul letto. Caterina non sarebbe contenta neanche di questo. È strano come il fumo mi faccia tornare sempre in mente lei.
Bella come la ricordavo, immutata come una fotografia che non cambia mai posizione, colore o espressione. La vorrei anche questa sera. Sono stanco di tutto. Mollerei immediatamente questa città di merda per tornarmene a Roma a fare le stesse cose nel mio monolocale squallido. Non vorrei più vedere le puttane e non vorrei avere a che fare con Gordon e Galletti e lo smilzo e il wrestler e Kelly con quel corpo da favola che ho ancora nella mente. Immagino che cosa le farei se fosse qui. La mia fantasia vola in questi momenti. Non sono abituato a dormire da solo in un motel. Se quella ragazza fosse qui ora credo che impazzirei. Il suo corpo formoso, e quel seno: a ogni minuto la mia eccitazione aumenta a pensarla. Il fumo mi fa brutti scherzi. Non voglio finire a farmi una puttana per cui sto lavorando. Non devo essere coinvolto in nessun altro modo in queste storie. Non è come a Roma: qui sto rischiando grosso, c’è gente che non scherza e devo rimanere concentrato. È un gran peccato perdermi quel corpo. Non voglio più pensarci. Per fortuna sono stanco morto. La mia eccitazione continua a pulsarmi solamente fino a quando non mi
addormento per sfinimento. Ho paura che la potrei anche sognare questa notte: mi ha sconvolto troppo per non lasciare strascichi anche nella mia incoscienza. La ricordo perfettamente come se l’avessi davanti. Sto dando gli ultimi tiri a questo spinello, con la speranza che mi possa tranquillizzare anche se fino a questo momento ha avuto l’effetto contrario sul mio corpo. La situazione comunque è difficile. Mi ritrovo da un giorno all’altro in mezzo al conflitto spietato tra i due boss mafiosi più potenti dello stato. Da domani ci sarò dentro. Rimango solo per Fred. Lui per me l’avrebbe fatto. Chiudo gli occhi non appena finisco di aspirare le mie idee. Mi rimane ancora la prima immagine di Kelly, coricata a pancia in giù sopra quel materasso con le gambe alte che ho notato ancora prima del suo viso. Spengo lo spinello nel portacenere bianco con inciso sopra il logo del motel in cui mi trovo. Spengo la luce e nella stanza entra solo il riflesso di un lampione che si trova sulla strada, esattamente di fronte alla mia finestra. Non mi dà fastidio. Ormai sono abituato a tutto.
Capitolo 3
Non faccio in tempo neanche a mettermi a sognare che vengo svegliato da uno squillo, e poi subito un altro e un altro ancora. Non capisco se si tratti di un sogno o della realtà. Mi sembra di vedere un’ombra muoversi a terra. Mi alzo lentamente, con gli occhi socchiusi. Mi sembra solo un posacenere. Devo piantarla di vivere così: mi sto esaurendo completamente. Rispondo ancora con la testa nel sonno. “Pronto.” È Kelly. Ha una voce bassissima e terrorizzata. Subito non capisco. “C’è qualcuno in casa... Aiutami ti prego!” È come se mi svegliassi solo ora. Le dico di stare tranquilla. Mi vesto in un secondo e prendo la mia calibro 22. Esco di casa di corsa e mi faccio chiamare un taxi. Arriva quasi subito per fortuna.
Ora i pensieri mi invadono nel poco tempo prima di arrivare all’azione. Non uso la mia pistola da così tanto che temo quasi di non esserne più in grado. E se al mio arrivo Kelly fosse già morta? Probabilmente il mio soggiorno londinese finirebbe qui e me ne potrei tornare a Roma anche subito. Avrei voluto chiamare Fred ma non c’è tempo. Devo salvarla. La sua voce al telefono mi ha colpito: ci siamo visti per la prima volta oggi e la prima persona che ha chiamato in una situazione del genere sono stato proprio io. Non deve avere molte persone care. Ora sono completamente sveglio. Mi faccio portare in quella zona abbandonata dal Signore. Per strada non c’è nessuno: sembra di essere nel deserto sopra a un’automobile persa nel deserto. Penso a dove possano essersi cacciati tutti quegli energumeni che ho visto al pomeriggio. Ero convinto che le donne qui fossero protette e nessuno avrebbe avuto il coraggio di andarle a importunare, ma evidentemente sbagliavo. Di fronte a qualcosa di più forte tutta quella gente scappa e tiene la testa bassa. Mi fanno pietà. La casa è là in fondo e la porta è aperta. Mi avvicino cercando di non fare rumore e mi accosto alla porta socchiusa. Sento un urlo femminile: non può che essere Kelly.
Entro sempre in modo silenzioso con la pistola in mano. Alla mia destra vedo un corpo senza vita. Ha il viso coperto di sangue ma capisco in un secondo che si tratta di quella ragazza che mi ha aperto la porta ieri. “Poveraccia” penso tra me e me. Non la tocco, ma mi viene in mente il tono in cui mi ha detto di fumare fuori, quell’aria antipatica che aveva nel parlarmi. Mi sembra ato un minuto da quando l’ho vista in piedi. Non ho un secondo da perdere se non voglio che la piccola Kelly arrivi alla stessa identica fine. Sento le sue grida e questo mi consola perché mi fa capire che è ancora viva. Mi affaccio alla stanza e Kelly è coricata sul materasso mentre lui le punta la pistola in fronte. Il figlio di puttana avrebbe potuto spararle già da qualche minuto, ma è ancora lì, a godere nel vederla piangere e star male. Gente così non merita di esistere. Mi dà le spalle e con un movimento rapido alzo la pistola e lo colpisco alla testa con un solo proiettile. Lei urla. In un secondo il corpo esanime del bastardo cade sul materasso come la carcassa di un animale. È stato più facile e spontaneo di come avevo immaginato. È vero che certe cose non le scordi più: è come andare in bicicletta. “Come stai?” le domando mentre la aiuto ad alzarsi.
Lei piange e mi abbraccia. Mi sento strano, ora che l’adrenalina è ata. Per la prima volta dopo molti anni mi sento di nuovo un buono, l’eroe che ha salvato la scuola, quello che le persone vedono come un punto di riferimento. Durante quell’abbraccio provo un misto di sensazioni completamente in contrasto tra loro. Vorrei dirle una frase per farla star meglio, come farebbe in questo caso Fred, ma dall’altra parte avere il suo corpo addosso mi eccita maledettamente. Le chiedo se conoscesse quell’uomo. “È un uomo di Gordon…” “Cosa ci faceva qui?” “Non lo so.” Penso che potrebbe essere la vendetta della banda di Gordon su Galletti in un continuo gioco al massacro tra loro. Galletti fa fuori delle puttane di Gordon e lui si vendica usando la stessa identica moneta. Le dico che qui non può più stare. “E dove andiamo?” Le allungo una borsa che trovo per terra. Lei la prende e ci mette dentro un po’ di vestiti, un grosso beauty e un orologio azzurro che a occhio e croce non vale molto. “È un regalo…” mi dice senza nemmeno guardarmi. “Di chi?” “Di mia madre…”
Le faccio un sorriso dolce, spontaneo. Prende dal cassetto un plico di banconote. Mentre usciamo dalla porta cerca di non guardare il corpo insanguinato dell’amica stesa a terra. Immagino cosa possa provare a vedere una persona cara con la faccia spappolata da un proiettile. Chissà come reagirei io se al posto di quella ragazza ci fosse stata Caterina. Penso che avrei dato di matto e in pochi minuti sarei andato da Gordon a farlo fuori, a costo di perdere la mia stessa vita. Come si fa a uccidere una donna solo per fare un dispetto a un altro? Chissà cosa pensa Jack Norton, ogni volta in cui si ritrova a dover partecipare, suo malgrado, a queste orrende situazioni. Non c’è tempo per questi viaggi. La porto con me in motel. Il taxi è sempre lì. Avrà sentito gli spari, ma non fa domande, mi chiede solo se voglio tornare al motel in cui mi è venuto a prendere. Gli dico di sì. Il viaggio è silenzioso e nessuno sembra voglia rompere questo momento di quiete dopo la tempesta. Arrivati, lascio una mancia di cinque sterline al taxista. Saliamo in stanza e nemmeno il portiere mi domanda nulla nonostante Kelly sporca di sangue accanto a me. Deve essere all’ordine del giorno.
Non appena chiudo la porta della stanza lei posa la borsa. “Puoi andarti a fare una doccia se credi…” Lei non dice nulla ma mi fa segno di sì con la testa. Quando sento l’acqua scendere in bagno prendo il telefono e chiamo Caterina. Squilla una volta e poi un’altra. Non risponde, come sempre. Sarebbe difficile pensare il contrario, visto che sono le cinque del mattino. Poso il telefono sul comodino. Se sapesse dove sono le piangerebbe il cuore ancora di più, credo. Mi levo solo ora la giacca. Sono sudato. Lo sbalzo di temperatura tra fuori e dentro è notevole. L’acqua smette di scendere. La porta del piccolo bagno si apre ed esce Kelly. Ha l’asciugamano avvolto sul corpo appena sotto l’inizio del seno. Ha un profumo di pulito che non pensavo fosse possibile respirare qui dentro. Rimane fissa sulla porta a guardarmi. Le accenno un sorriso. “Come stai?” le domando. “Così…” “Vuoi qualcosa da bere?”
Mi avvicino al frigo bar e prendo una bottiglietta di whisky per me. “Prendine due…” Le allungo la sua e cominciamo a bere seduti sul letto. Mi preparo una canna e dopo due minuti di lavoro sono già in grado di accenderla e fumarla. Mi rendo conto di essere diventato velocissimo a prepararle. Se penso che appena cinque anni fa non sapevo nemmeno che sapore avesse una di queste. Ho cominciato a fumare con una ragazza che ho conosciuto a Roma quattro lunghi anni fa. Era il periodo più florido per la vendita del mio libro e di conseguenza quello più facile per conoscere ragazze. Stavo ancora con Caterina, allora. Le avevo detto di essere fuori con il mio agente per pubblicizzare il libro e poi sono finito nella stanza di un motel con questa Cassandra che avevo conosciuto poche ore prima. Mi offrì un tiro e alla fine ne fumai una. Mi sentii strano e feci sesso in modo più violento del solito. Per la prima volta nella mia vita trattai una ragazza come un oggetto di piacere, e non come una persona. Fino a quel momento anche le ragazze con cui stavo per una sola notte le trattavo in modo diverso, e invece quella sera cambiò molte cose. Da quando Caterina mi lasciò non seppi più fare a meno di fumare tutti i giorni. Deve essere una specie di punizione divina, anche se non è nulla rispetto a quello che meriterei.
Faccio i primi due tiri e poi la o a lei. L’ho fatta pesante stasera. Lei fa tiri lunghissimi e a tratti mi preoccupo che possa svenirmi tra le braccia. È abituata e si vede. Accavalla quelle bellissime gambe bianche. Con il piede mi sfiora la gamba, probabilmente senza nemmeno rendersene conto subito. Me la ria. La fumo tutta e nel frattempo è lei a rompere il silenzio. “Non sembri un tipo così…” mi dice. “Cosa intendi?” “Che uno come te non ce lo vedo in questo motel, a occuparsi di prostitute e magnaccia…” “L’apparenza inganna…” “Me lo dice sempre anche Fred…” “Fred mi assomiglia molto…” Spengo la cicca nella bottiglietta di whisky vuota. Ne faccio subito su un’altra. Lei in questi tempi morti è capace di stare in silenzio, senza voler per forza dire qualcosa. Mi piace la sua compagnia. Più ano i minuti e più mi preoccupo che finiremo a fare sesso.
Non vorrei, sul serio. Lei è una prostituta, in questo momento rappresenta il mio lavoro, e non ho nemmeno con me i preservativi. Devo resistere anche se l’atmosfera non mi aiuta. Lei è davvero bella. Penso che se mi fe una minima provocazione finirei per cedere. “E lo conosci da tanto Fred?” mi domanda. “Da diversi anni... È quasi un fratello per me…” Parlare forse mi fa bene. “Sì, me lo dice sempre anche lui…” “E tu lo conosci da tanto?” “Non da tanto... So che è una situazione strana…” “Non pensavo questo…” “Beh, comunque lui avrebbe lasciato tutto per mia madre, di questo sono sicura al cento per cento…” Non so cosa risponderle. Penso che conoscendo Fred mai avrebbe lasciato Sara per un’altra donna, per di più prostituta. Lei sembra convinta delle sue parole. Faccio finta di nulla e continuo il mio lavoro. La accendo. “Sei abituato a uccidere persone?”
“È già successo…” “Cosa provi mentre premi il grilletto?” “Provo tante cose, ma non saprei descriverle…” “Provaci…” Faccio il primo tiro anche di questa. “Nell’istante in cui premo il grilletto non provo molto, se non eccitazione, quasi come durante un orgasmo…” Lei sembra eccitata dalle mie parole. “Poi mentre il corpo cade a terra mi immagino se possa avere una famiglia, dei figli, e penso di aver rovinato più di una vita con il mio gesto, però…” “Però?” mi chiede ancora. “Però alla fine mi rendo conto che la morte di questa persona ha reso il mondo un po’ meno schifoso... Come il criminale di prima…” “Sarei morta io ora…” Le o la canna rimasta ormai a metà. “E tu perché fai questo lavoro?” le domando allora io. “Perché ho il corpo per farlo!” “Su questo non ho nemmeno un dubbio…” Sorride. “Non lo so... Ci finisci e lo diventi…” Annuisco. Lei dà l’ultimo tiro e poi spegne.
Nella stanza c’è una cappa di fumo molto densa. È tutto annebbiato anche se forse è più per il fumo che ho dentro che non per quello che c’è fuori. Ecco che ci siamo. Li conosco quei momenti. Con quelle labbra può dirmi quello che vuole. Comincio a rassegnarmi all’idea che non riuscirò mai a resisterle, nemmeno con tutta la mia buona volontà. Non so chi sia, non so se abbia qualche malattia, non so neppure perché sia qui in questo momento o cosa ne penserebbe Fred se sapesse quello che sta per succedere in questa stanza. So solo che qualunque cosa dirà ora io non mi tirerò indietro. “Adesso vuoi scoparmi?” mi domanda. Mi corico sul letto. Voglio che sia lei a farmi fare l’ennesima stronzata di questa vita, voglio sentire tutto il piacere del peccato nelle sue labbra. Mi accarezza la gamba salendo lentamente. Quando arriva al punto giusto comincia a massaggiare con più forza e slaccia il bottone. Tira giù la zip. Mi lascio fare. Lei è bravissima, comincia con la mano e poi continua con la bocca. Lo bacia, lo lecca e lo succhia in un modo assolutamente perfetto. Sento che è troppo brava e la mia eccitazione sta già per giungere al culmine.
La fermo. Mi alzo allora e la prendo per i capelli, ma senza violenza. Lei mi si siede sopra. Mi bacia. L’asciugamano le cade. Ho davanti i suoi seni magnifici. Penso che siano le tette più belle che abbia mai avuto l’occasione di vedere. Mi sento stupido ad aver pensato anche solo per un istante di poter resistere a questa meraviglia. Le tocco lentamente quasi come se volessi far durare il più possibile questa sensazione di piacere inspiegabile. Non mi eccitavo così da chissà quanto. Quando con la mano le tengo forte un seno, abbasso la testa e lo bacio. Prima sopra, poi sotto e girandoci intorno, arrivo piano al capezzolo. Lo ciuccio come un bambino che succhia il latte. Non mi staccherei per niente al mondo. Con l’altra mano inizio a massaggiarla in mezzo alle gambe. Lei comincia a emettere qualche suono. Ansima. Io massaggio sempre più forte e intanto la mia bocca non si è ancora staccata da quel capezzolo. Non posso smettere.
Me lo prende in mano e se lo infila in mezzo alle gambe. Non posso più fare nulla per prevenire problemi. Comincia a muoversi lentamente e mi rendo conto che se non mi stacco dal suo seno potrei venire in pochi secondi. La canna comincia a farmi provare un leggero mal di testa che rende tutto più piacevole. Ogni volta in cui muove quel bacino i suoi seni fanno un movimento leggero e ipnotizzante. Mi sento bene. Spero di restare a questo livello di eccitazione per più tempo che posso. La bacio, e per un attimo mi dimentico del fatto che sia una puttana. In questi istanti è solo Kelly: la ragazza a cui ho appena salvato la vita e che, seduta su di me, mi sta facendo provare qualcosa di incredibile. Non mi controllo più. È lei a capire prima di me il momento in cui alzarsi. Finisce con la mano e intanto mi bacia con quelle labbra carnose e mi accarezza la pelle con i suoi capelli ancora bagnati. Mi sembra di aver fatto sesso per la prima volta nella mia vita. Ci baciamo anche dopo che il mio orgasmo si è esaurito del tutto. Solo dopo diversi minuti lei si alza e va a sciacquarsi in bagno tirandosi dietro l’asciugamano sporco di tutta la mia voglia. o qualche minuto immobile con il fiatone, prima di riprendere possesso delle mie capacità cognitive. Quando ritorna dal bagno sono ancora nella stessa posizione.
Mi ringrazia. “Per cosa?” le domando. La sua risposta mi colpisce. “Per avermi salvato la vita e per non avermi trattata come una puttana anche se lo sono…” Le do un bacio sulla bocca. Non ho bisogno di dirle nulla. La vedo addormentarsi sul mio letto mentre io rimango sveglio ancora un po’ a riflettere su questa situazione del cazzo in cui mi sono voluto cacciare. Ora la sento più personale di prima. Penso che se la madre di Kelly fosse stata come lei, forse a Fred potrebbe davvero essere nata l’idea di lasciare tutto per lei. Non è una puttana come tante che ho conosciuto in ato. Ha uno sguardo diverso, un modo di toccarmi diverso, come se non fosse interessata a cosa rappresento, ma solo a chi sono io. Mi vengono in mente i racconti di Fred su Sara e me lo immagino subito dopo mentre fa sesso con una prostituta di un quartiere squallido. L’ha frequentata per un anno. Non è normale. Una cosa fisica non durerebbe così tanto tempo. Vorrei tanto aver visto almeno una volta sua madre. Fred non è uno stupido e non era nemmeno un infedele: deve esserne valsa davvero la pena. Lei è qui di fianco a dormire, dopo tutto quello che è successo nelle ultime
maledette ore. Per un attimo mi sembrava che qui ci fosse Caterina. Purtroppo non è possibile. Anche se non stiamo più insieme da tanto tempo, mi sembra di averla tradita anche questa volta. Ogni volta in cui cedo al fascino di qualche donna, sento di farle un torto, perché in fondo il mio cuore è sempre suo, anche se il mio corpo non sa resistere alle tentazioni e a questi vizi. Cerco di autoconvincermi che se lei fosse ancora con me forse sarei diverso da come sono ora, anche se mento a me stesso sapendo di mentire. Vivo in un’ipotesi esistenziale, un continuo conflitto interiore che porta il mio essere a scontrarsi con la mia voglia che non mi lascia nemmeno un attimo. Sono a letto con una semi sconosciuta e penso alla mia ex moglie: qualcosa di malato è insito dentro di me. Una volta ho pensato di andare a curarmi: chiedere aiuto a uno psichiatra, a qualche dottore che potesse aiutarmi a venirne fuori, ma per un motivo o per un altro non l’ho mai fatto. Se solo fossi ancora quell’uomo sposato che ho ormai dimenticato da tanto tempo. Il whisky e il fumo cominciano a farmi crollare. Resisto solo pochi minuti e non riesco a pensare alla situazione con la necessaria concentrazione. Avrei voglia di farci sesso di nuovo. Dalle coperte le esce una gamba e io la guardo ogni tre secondi. Cosa diavolo mi sta facendo? Mi sdraio sul letto accanto a lei e mi metto a dormire.
Se non dormo in pochi secondi ho paura di svegliarla e farlo di nuovo. Devo controllarmi. Appoggia il suo piede sulla mia coscia. È un attimo. Non resisto di nuovo, a pochi minuti dall’ultima volta. Mi appoggio su quel bel culo bianco. Penso solo al modo migliore di svegliarla. Comincio ad accarezzarle i fianchi e poi salgo fino al petto. Come già sapevo la mia eccitazione raggiunge il culmine proprio in questo preciso momento. Lei inizia a muoversi. La tocco in mezzo alle gambe, eccitandomi all’idea di sentirla eccitarsi. A ogni secondo trascorso con le dita tra le sue gambe, la sento bagnarsi sempre di più, fino a quando si volta verso di me. La bacio su quelle labbra carnose. “Ma tu chi sei in realtà, Alessandro Vinci?” mi domanda. Io le apro le gambe e mi infilo senza il minimo dubbio. “Secondo te, chi sono?” “Mi fai stare bene…” “Lo so…” Ricomincio da dove avevo lasciato una decina di minuti fa, con la stessa voglia che sentivo prima.
Le piace e questo rende tutto il mio incedere molto più veloce. Mi sento forte. Sono parte di qualcosa. La bacio molto più di quanto non sono stato abituato nel ato recente. Le nostre lingue non si staccano, fino a quando con uno sforzo piacevole mi piego per leccarle il seno. Sono innamorato di questo seno. Le vengo sul corpo, e sulle coperte, dopo una decina di minuti trascorsi con il cuore a mille. Lei sorride. Mi sembra felice di avermi accontentato ancora una volta. Ora finalmente posso stare tranquillo. Ho perso anche la voglia di pensare, e Caterina finalmente è uscita da questa stanza piccola. Domani ci sarà parecchio da fare. Un’altra donna è appena morta e io non ho potuto fare nulla. La vita di questa ragazza meravigliosa è in serio pericolo. Chiudo finalmente gli occhi. “Adesso pensi che potrò dormire?” mi domanda con un tono ironico che non mi aspettavo. “Sì…” “Non sei di molte parole, vero?” “Non è facile per me…” le rispondo.
“Non lo è mai per nessuno…” “Forse hai ragione…” Chiude gli occhi. Non so se le manchi la voglia di parlare, se sia stanca o semplicemente non voglia mettermi in difficoltà, ma non mi chiede più nulla. “Buonanotte…” mi sussurra con quell’accento inglese. Le accarezzo una volta il viso. “Ciao Kelly…” Mi volto dall’altra parte per non rischiare di nuovo di cadere in tentazione. Lascio il telefono , già sicuro che Fred mi chiamerà al mattino presto, appena saputo dell’accaduto. Buonanotte a te, Londra.
Capitolo 4
Mi trovo in un’atmosfera strana. Non distinguo nulla di quello che ho intorno. Eccola lì. Bella come me la ricordavo. Non riesco bene a capire quanto spazio ci sia tra noi. Mi avvicino a i sostenuti ma la distanza non diminuisce. Mi guarda, sorride, come se non mi avesse mai dimenticato. Comincio a correre ma l’immagine non è nitida e io sono sempre troppo lontano per poterla toccare. “Caterina!” “Caterina!” le grido. Lei sembra chiamare il mio nome ma io non sento una parola di quello che dice, come se ci fosse una barriera spessa e invisibile tra di noi. È vestita come l’ultima volta in cui l’ho vista: non posso scordarlo. Un maglione rosa che le ho regalato per una ricorrenza che ora mi sfugge, i jeans a vita bassa che mi piacevano tanto e la sua cuffia nera che non nascondeva completamente i bellissimi capelli. Mi fa impazzire. È tutto questo che mi ha fatto innamorare di lei.
Appare un’ombra. Si ingrandisce sempre di più. Lei urla senza voce, come prima, ma io non riesco con tutte le mie energie ad avvicinarmi abbastanza. L’ombra le è dietro. Le grido di voltarsi ma lei non mi sente. La avvolge e la copre pian piano, e io disperato inciampo in una protuberanza che esce nel terreno. Continuo a guardarla svanire lentamente. Non mi rialzo, non ne sono in grado o forse non lo voglio più fare. L’ombra la assorbe completamente e di lei non mi rimane che quel vuoto buio che ho di fronte ora. Sto male: comincia a mancare l’aria, nonostante lo spazio incontaminato che mi circonda. È tutto rosa, come il suo maglione, con quell’ombra che ancora si allarga, e io non faccio nulla per evitarla, anzi prego perché arrivi presto, perché penso che non mi farà stare peggio di come mi sento ora.
Il telefono mi sveglia con uno squillo. È un sollievo aprire gli occhi. Al terzo rispondo. “Ehi Ale, cosa cazzo è successo ieri sera?” Sono ancora mezzo addormentato. Mi guardo di fianco e vedo Kelly che dorme.
“Cos’hai?” “La sparatoria di ieri sera…” “Kelly è con me…” “Oddio meno male!” Non dico nulla. “Dove sei ora?” mi domanda. “Nel mio motel.” “Ti raggiungo tra dieci minuti…” Nel frattempo mi faccio una doccia, che mai come in questi giorni sembra mancarmi. Ho un odore di sesso sulla maglietta che comincia a infastidirmi. Decido di non svegliare Kelly. Sembra di lavarmi via ogni tipo di brutto pensiero mentre l’acqua scorre incessantemente su tutto il mio corpo. Mi sento rilassato e la testa non mi fa male per la prima volta dopo molti giorni. Quando esco dal bagno, il camlo suona, con un tempismo perfetto. Apro la porta, ancora nudo, con solo l’asciugamano addosso. “Ehi!” “Ciao Ale!” È come se Fred avesse tirato un sospiro di sollievo nel constatare che io e Kelly siamo ancora vivi. “Ma cazzo vestiti…” mi dice voltandosi dall’altra parte.
Non gli do retta e rimango con il solo piccolo asciugamano da lavandino intorno alla vita. Lei si muove e si gira. Apre lentamente gli occhi e si accorge solo dopo pochi secondi della nostra presenza in stanza. “Buongiorno…” “Ciao ragazzi…” Rimane coricata sul letto. “Allora cosa diavolo è successo ieri notte?” Non saprei come spiegarlo in breve, ma per fortuna Kelly mi anticipa quando ancora sto cercando le parole giuste. “Sono entrati in casa mia e hanno ucciso Emily... Stavano per fare lo stesso con me ma per fortuna è arrivato Ale…” “Ho fatto bene a lasciarle il numero…” aggiungo io. Mi pento quasi subito di questa considerazione. Penso di poter dare modo a Fred di pensare a un qualsiasi doppio senso. “Grazie amico…” mi dice lui. Non dico più nulla. Kelly ancora non mi ha guardato stamattina. Si alza dal letto con addosso solo le mutandine e il reggiseno, e mi sento quasi in imbarazzo per lei a vederla girare per casa così, con due uomini accanto. Fred non ci fa caso. Io invece non riesco a non guardarla durante tutto il tragitto dalla stanza alla porta del bagno.
Ci farei sesso immediatamente. Si veste con calma, sapendo di essere guardata, ma senza dire nulla o mostrare il minimo segno di imbarazzo. Decidiamo di uscire dalla stanza e andare a fare colazione in un bar. Questa volta però ci facciamo portare in centro e guardando le facce dei turisti non mi sembra nemmeno di essere nello stesso continente. È tutto così diverso. La gente ha borse di negozi firmati, sono tutti vestiti in bella maniera, o quantomeno in modo normale. Anche il tono in cui parlano è diverso. Le nostre voci si perdono nel chiacchiericcio che ci gira intorno. Persino gli odori sono agli opposti. La puzza di smog mi sembra molto più piacevole di quello che respiravo nella mia stanza. “Prendiamo due succhi di frutta, tre caffè e un piatto di quella cosa lì.” Fred indica verso un vassoio di pancetta e uova e intanto ride per la mia strana ordinazione. “Allora dobbiamo cominciare a parlare di cose importanti…” gli dico. Diventa tutto d’un tratto più serio. “L’uomo che hai ucciso è uno di Gordon.” “Sì, gliel’ho detto…” interviene Kelly. “Dobbiamo fare qualcosa o la prossima volta non saremo così fortunati…” Arrivano i succhi e i caffè.
Ascolto le parole di Fred e mi rendo conto che la sua intenzione è quella di andare a far visita a Gordon. Insomma, niente di speciale: si tratta di andare a cercare il personaggio mafioso più potente di Londra e chiedergli delle spiegazioni. Non capisco come Fred possa essere così sicuro di uscire vivo da questo incontro suicida. Ma io mi fido e so che lo seguirò anche questa volta. E poi c’è di mezzo la vita di una persona a cui tengo. Non mi piace l’idea che Kelly possa venire uccisa. Certo non mi piace l’idea che nessuna donna possa venire uccisa, ma sapendo che si tratta di Kelly ci tengo ancora di più. La calibro 22 ce l’ho sempre con me, anche ora che sono in centro, perché mi fa sentire protetto. Forse è solo una mia mania. “Penso che andare da Gordon sia l’unica cosa da fare” mi dice bevendo il caffè. “E cosa facciamo lì?” “Lo facciamo ragionare…” “Un poliziotto che va da un criminale per farlo ragionare... Sono curioso. Continua, Fred…” “Deve rendersi conto che se ucciderà altre donne continuerà una guerra che lo porterà solo a perdere ancora energie…” “Non penso che ti ascolterà…” “Se non ci ascolterà ci inventeremo qualcosa…” “Lo fai sembrare facile…”
È fantastico. Mi sembra utopia. “Non abbiamo scelta.” “Come sempre…” “Non rischieremo di far saltare la copertura di Jack Norton?” “No... Jack è uno tosto e Gordon si fida di lui.” “Va bene.” Così dopo aver discusso a lungo delle possibilità di ottenere qualcosa con quella visita, decidiamo di andare nel quartiere di Gordon. “Vengo con voi…” interviene Kelly. “Non se ne parla nemmeno…” rispondo seccamente io. Guardo verso Fred cercando un consenso nel suo sguardo. Le dice che è troppo pericoloso. Lei ci mette qualche minuto prima di convincersi che non la porteremo con noi, nonostante la sua stupida insistenza. La riportiamo al motel. Ormai quella è la sua casa. Mi chiedo come possa sentirsi.
L’auto cammina per venti minuti. Arriviamo con l’auto di Fred al posto maledetto. È inquietante.
Ci sono molte persone che fingono indifferenza ma scrutano ogni nostro o, pronti per agire. Fred cammina sicuro. Mi domando a ogni volto quale potrebbe essere il famoso Jack Norton. Mi sembrano tutti così diversi da quelli della gente normale che credo non lo individuerei mai qui in mezzo. I biondi mi sembrano quattro. Sarà uno di quelli, ma lo capirò poi. Fred si avvicina a un energumeno che sta portando sulle spalle dei sacchi grandi pieni di chissà cosa. Ho l’impressione che se fossi arrivato qui da solo ora sarei già ato da qualche secondo a miglior vita. La polizia può arrivare dovunque qui, se sa tenere gli occhi chiusi. “Dobbiamo parlare a Luis Gordon…” “Non so se sai dove ti trovi, nano…” gli risponde l’energumeno. Fred tira fuori il distintivo. “Venti uomini sono pronti a intervenire se provi anche solo a toccare questo corpo nano con le tue mani di merda…” Fred mi fa impazzire quando fa lo spaccone e mente in questo modo spudorato. È bello vedere come riesce a far cambiare idea a energumeni grossi il doppio di lui solo con qualche frase. L’uomo non risponde e fa cenno a un altro seduto dietro. Questo si alza e ci si avvicina. Si parlano in una lingua che potrebbe essere rumena.
Fred attende fiducioso, continuando a fissarli con aria di superiorità. Quello appena arrivato fa cenno di seguirlo. Sembra che non mi abbia neanche visto. Lo seguiamo per due o trecento metri fino a un palazzo alto che da fuori sembra decadente. Ci fa aspettare qualche secondo davanti a una porta e poi ci dice di entrare, sempre a gesti. Io seguo Fred. Seduto su una sedia grande c’è quest’uomo, di cinquanta, massimo cinquantacinque anni. Mi impressionano subito i segni che ha sul viso, come se la pelle fosse scavata da dentro. Non è solo nella stanza. Forse Jack Norton si trova qui dentro. Non voglio fissarne nessuno. “A cosa devo l’onore della visita?” esordisce Gordon con un tono sicuro ma non arrogante. “Sono l’agente Fred Couture…” “E l’altro chi è?” Faccio per rispondere ma Fred mi anticipa. “Un collega.” “Cosa volete?” L’aria qui dentro è pesante.
Ci sono uomini pronti a farci fuori alla minima risposta sbagliata. “Un tuo uomo è stato trovato morto…” Mentre pronuncia questa frase, Fred cammina nella stanza con uno stile tipico di chi sta facendo un interrogatorio. “Non ne so niente…” Il suo tono è arrogante. Sembra ci stia prendendo in giro. Fred si innervosisce. Io sono preoccupato di come potrebbe finire. “Beh, è stato ucciso da qualcuno dopo che ha fatto fuori una prostituta del giro di Galletti.” “Chi sarebbe il mio uomo?” Il suo tono ora è più serio. “Marc Sunderland.” “Non avevo più sue notizie da un po’…” “Ah no?” Fred continua a premere con la sua faccia tosta, facendo diventare la situazione sempre più rischiosa. “Se ho detto no vuol dire che è no... Non mi credete?” La mia mano è vicina alla pistola. La prossima risposta di Fred potrebbe cambiare tutto. Ne ho due dietro, più Gordon davanti.
Non abbiamo molte possibilità di cavarcela se comincia una sparatoria, senza contare le decine di suoi uomini pronti ad aggredirci al minimo rumore udito. Aspetto che Fred apra bocca come si aspetta la notizia più importante della propria vita. “Le credo…” Tiro un sospiro di sollievo. “E da quanto non aveva sue notizie?” Non ho mai tremato come in questa situazione. “Due settimane circa.” Luis Gordon non ha notizie del suo uomo esattamente da quando hanno cominciato a sparire le prostitute. È davvero una strana coincidenza. Per la prima volta da quando sono arrivato penso che Gordon possa davvero essere all’oscuro di tutta questa situazione. “E chi è stato a ucciderlo?” domanda allora. Ricomincio a temere il peggio. Non so come potrebbe reagire Gordon all’idea che un suo uomo sia stato ucciso da me. Potrebbe farmi ammazzare con un solo scrocchio di dita. “Non lo sappiamo.” Fred mente perché non vuole mettermi nei guai. Non si fa mai trovare impreparato. “Non lo sapete?”
“Pensi che stia mentendo?” domanda con lo stesso tono sicuro Fred. “No... Pensavo che voi poliziotti sapeste tutto…” Per un attimo vorrei confessare di essere stato io per fare capire a questo mafioso che sono più pericoloso di quanto possa pensare. Fred rimane sempre tranquillissimo. Io non vengo guardato per un solo secondo. “Adesso se avete finito con le domande potete togliervi dai coglioni…” Avrei voglia di sparargli in testa. “Certo... Abbiamo finito…” risponde. Usciamo dall’edificio scortati dall’uomo di prima. Mentre prendiamo la macchina per andarcene, Fred mi confessa di non credere a una parola di Gordon. “Quello è un figlio di puttana…” “Dici?” “È un mafioso, te lo sei scordato?” “Sì, ma qualcosa non mi convince…” “A me tutto non convince…” Non lo so. Questa volta non sono completamente d’accordo. Per quanto quella persona mi faccia schifo solo a vederla, mi è sembrato sinceramente stupito dopo aver appreso della morte del suo uomo. Quando parleremo con Jack Norton tutto sarà un po’ chiaro.
Gli chiedo quando potremo incontrarlo e lui non mi risponde nemmeno. Desisto subito dalla mia domanda. Mi accendo una sigaretta. “Non mi fumare in macchina, cazzo!” “Dai Fred, solo una…” “Sei un coglione.” “Sono agitato... Mi hai appena fatto conoscere il boss mafioso numero uno d’Inghilterra.” Lui capisce il tono ironico e si mette a ridere. Ha una risata contagiosa e la cosa mi diverte. Ridiamo per due minuti consecutivi. Poi il fulmine improvviso. “Ci hai fatto sesso?” mi domanda. “Cosa?” Non capisco se ho sentito la domanda giusta. “Hai capito.” Non ho mai avuto problemi a parlare di queste cose con lui, ma in questo caso mi sento quasi in imbarazzo, come se facendoci sesso gli avessi mancato di rispetto. “Sì.” “Bravo…” mi dice. Continuo a non capire se sia ironico o serio.
“Ti darebbe qualche problema?” “Secondo te me ne potrebbe dare?” “Non conosco la tua vita a memoria…” “Ehi amico, sto solo scherzando... Non devi sentirti in imbarazzo... Stavo con sua madre, mica con lei.” Scoppia in un’altra delle sue risate. Io non lo seguo stavolta, ma sono contento di sapere che non se l’è presa per quello che è accaduto. “Ti piace?” mi chiede ancora. “È una ragazza particolare” gli rispondo. “Ah sì?” “Sì... Mi piace molto…” Gli parlo della notte trascorsa, senza ovviamente scendere nei dettagli, e lui mi ascolta come se già sapesse tutto quello che ho fatto, pensato e sentito in quei momenti. “E parlami di sua madre…” “Cosa vuoi che ti dica?” “Com’era?” “Era simile a Kelly, non solo fisicamente…” Ha un’espressione riflessiva mentre mi spiega. “Tu davvero pensavi di lasciare Sara per lei?” Diventa se possibile ancora più serio. “Devo risponderti?”
“Io ti ho risposto prima…” “Sì, l’ho pensato…” “Allora doveva essere davvero molto speciale…” È così strano sentirlo parlare in questo modo. Lo ricordavo con Sara come il marito modello, e ora scopro che non solo la tradiva, ma era addirittura disposto a lasciarla per un’altra donna. Deve averle fatto il lavaggio del cervello. “Particolare, come dici tu…” mi risponde. Che meraviglia quella sensazione che ti porta a deragliare dai binari corretti. È un momento unico che sa trasmettere un’adrenalina indescrivibile. “Ti capisco.” Vorrei domandargli con che occhi guarda Sara, se con lei le cose sono sempre le stesse, se sessualmente l’intesa è cambiata, se si sente ancora l’uomo di prima, ma nei suoi occhi spenti e pieni di malinconia trovo già tutte le risposte che mi servono. Non è per nulla diverso da me. Non parliamo più ma c’è una bella atmosfera in questa macchina. C’è una complicità che solo due persone molto simili possono avere. Siamo due perenni insoddisfatti e proprio perché lo siamo entrambi riusciamo a guardarci oltre ai nostri vizi. Abbiamo sempre avuto due donne perfette che in modi diversi abbiamo rovinato, o forse stiamo ancora rovinando. Non conosco al momento una persona più simile a me. A stargli accanto tutti i miei vizi diventano meno ingombranti, le parole e i gesti
più comprensibili. “Sei sempre il solito figlio di puttana a Roma?” Non mi piace essere visto in questo modo, però so il significato che vuole intendere e allora non mi offendo. Mi metto a ridere. Accendo un’altra sigaretta. “Tu cosa dici?” “Vai al diavolo con quelle sigarette…” L’importanza di avere un amico in certi momenti è ancora maggiore. Non mi capita tanto spesso di ridere e scherzare e parlare apertamente negli ultimi tempi. Voglio tornare da Kelly.
Capitolo 5
Mi faccio lasciare davanti al motel a cui mi sto abituando in modo sorprendente. Sta già per venire buio. Mi rendo conto di non aver nemmeno pranzato oggi. Non importa ora perché Kelly è l’unico pensiero in questo momento. Entro in stanza con una delle due chiavi. È in piedi. Si sta vestendo. “Esci?” le domando. “Sì.” “E dove vai?” “A lavorare.” Rimango senza parole a udire questa risposta. “Ma sei matta?” Mi accendo una sigaretta per il nervosismo che mi è salito. “Non posso mica stare in casa tutta la vita…” “Forse non ti rendi conto che ieri sera stavano per ammazzarti!” “Tanto se mi vorranno uccidere lo faranno lo stesso…” “Tu non esci!”
Le sbarro la strada mettendomi davanti a lei. “Se non vado, sarà Galletti a farmi ammazzare…” “Ti prego, ragiona…” “Tu pensi di venire qui e dopo qualche giorno sapere tutto?” Non so cosa rispondere. Sta usando un tono che mi sembra aggressivo. Non l’avevo mai pensata così. Vedere una ragazza che parla della morte come un elemento costante nella sua vita mi fa pensare che sono io quello che non si rende conto della realtà. Sono arrivato in questa città enorme e piena di problemi da solo, con solamente una pistola e tutti i miei vizi, convinto di poter ripulire tutto, come se fossi Dio o veramente un eroe come nel libro. Qui le puttane vengono uccise tutti i giorni e nessuno vuole farci niente e negli sguardi delle persone che incrocio per strada non riesco a distinguere chi non conosce con chi finge di non conoscere. È inutile dannarsi per cambiare una realtà così bastarda e radicata nella testa di chi ci vive. È in questo momento che mi rendo conto di quello che prova Fred: non è importante cambiare le cose. Voglio solo salvare Kelly, e a questo punto sono disposto a rischiare la mia inutile vita per non mollarla in questa merda. “Non ti ammazzerà nessuno!” le grido, quasi come se cercassi di convincere anche me stesso. Lei mi prende la mano, mi si avvicina fino a quando non siamo quasi attaccati. “Io lo so che ci tieni a me, e ti ringrazio, ma qui è così e tu non puoi farci nulla, come non può farci nulla Fred né nessun altro…”
Non voglio credere a queste parole. Da una parte mi consola il suo tono tornato d’un tratto cordiale e dolce. Mi sforzo di rimanere lucido e dire qualcosa prima che lei possa uscire da casa. Mi bacia, in modo veloce, poi a oltre ed esce. Rimango immobile. Ma chi credo di essere? Sono una goccia in questa città, niente di più. La vedo andarsene senza poterle dire nulla di importante per farla restare. Chiamo Fred. “Ehi dimmi, Ale...” “Si tratta di Kelly…” Avverto la paura nel suo respiro. “Le è successo qualcosa?” “È tornata a lavorare…” Lui tira quasi un sospiro di sollievo. “E allora?” Continuo a non capire. Anche lui è maledettamente tranquillo.. “E allora hanno cercato di farla fuori appena ieri notte…” “Stai tranquillo... Questa notte non possono fare nulla…” “Perché?”
“Perché lo so…” Continuo a non capire. Fred mi spiega che non può succedere nulla a Kelly perché per stanotte avrà gli occhi di tutti puntati addosso. Non so come si faccia a trovare una logica in un avvenimento del genere. “La prossima sarà un’altra, non lei...” Questa frase è agghiacciante. Fred sa che ce ne sarà un’altra, ma non può far nulla per intervenire, e sembra quasi abituato a quest’idea. “Sai chi sarà la prossima?” “Non è importante…” “Ti ho fatto una domanda!” “No.” “Non interverremo?” “Non è questo il nostro obiettivo…” “E quando ne faranno fuori un’altra, Kelly sarà di nuovo in pericolo?” “Sì.” “Dobbiamo farla smettere…” “Galletti non lo permetterà…” “Lo pagheremo!” “Non hai idea di cosa stiamo parlando.” Mi sento sempre più fuori da questo mondo.
Sono convinto. Domani andrò da Galletti, con o senza Fred. Chiudo la telefonata dopo pochi minuti e mi metto sul letto. C’è un messaggio sul mio cellulare. È Caterina. “Basta cercarmi.” Lei mi ha scritto. Lo rileggo almeno cinque volte. Sorrido nervoso, mi apro una piccola bottiglietta di Jack Daniels dal frigo bar e comincio a berlo come se fosse acqua. Sento che se morissi ora non gliene importerebbe a nessuno. Era da tanto che non ricevevo un messaggio da parte sua. Nonostante sia stato un messaggio cattivo, forse esasperato, mi sento meglio a sapere che, seppur per un solo secondo, le sono venuto in mente. È strano. Sono pensieroso e non riesco a smettere. Caterina non mi vuole sentire ma questo già lo sapevo. Eppure non so come spiegarlo, ma avevo una piccola idea nella mia testa di lei che prende il telefono e legge con piacere sul display del suo telefono cellulare che l’ho pensata. Sono abituato a stare da solo ultimamente ma troppe cose non mi lasciano tranquillo qui. E Kelly ora si lascerà fare chissà cosa per un po’ di soldi.
Detesto Galletti e tutto ciò che rappresenta. Me lo immagino: brutto, grasso, viscido come una serpe velenosa e maledettamente spavaldo. Mi addormento solo dopo aver ingurgitato parecchio alcol, quando i miei occhi si sono chiusi senza che me ne accorgessi. Della notte non so dire molto. Non mi sono mai svegliato, non ricordo di aver sognato, ma solo i miei occhi pesanti che mi danno fastidio anche mentre sono chiusi. Mi giro nel letto più volte per cercare una posizione comoda che stanotte mi pare un’utopia. Sudo: fa troppo caldo.
Il mio risveglio è naturale, alle otto del mattino. Noto che Kelly è qui accanto. Subito sono sollevato. Guardo il telefono, sperando in non so cosa. Penso a quanti uomini possano averla avuta stanotte. È un’idea che mi dà il voltastomaco. Mi alzo senza svegliarla. Probabilmente si sarà addormentata da poche ore. Fred mi ha spiegato il primo giorno qual è il quartiere di Galletti. È arrivata l’ora. Sento tante cose in questo istante: voglia di non allontanarmi da Kelly, desiderio
di tornare dalla mia Caterina, andare a spaccare la faccia a quel criminale senza un minimo ritegno. Non vorrei trovarmi qui ma ormai è successo. Penso a quella volta tanti anni fa in cui con Caterina, Fred e Sara, siamo stati a mangiare in un ristorante di sushi. Loro tre ne erano entusiasti, mentre io, che facevo fatica a tenere in mano quelle stupide bacchette di legno, non capivo come fe la gente a mangiare un cibo così scadente. Eppure ora quel ristorante di sushi mi manca, mi mancano i discorsi, le risate, i commenti e la serenità che provavo in quei momenti, lontano da tutti i problemi. Sarebbe bello, ora, poter rivivere quelle serate. Parto con il taxi. Non mi aspettavo così questo quartiere. È meno squallido rispetto a quello di Gordon, anche se le facce delle persone che incrocio mi mettono a disagio. Vado dritto verso il palazzo più alto, convinto che lo potrò trovare. È una specie di sensazione istintiva, come se ci fossi già stato qualche altra volta molto tempo fa. I due uomini che ci sono davanti alla porta mi fermano. Devo perdere dieci minuti per convincerli che ho delle cose molto importanti da dire al loro capo. “Questo cerca problemi” mi dice uno avvicinandosi a pochi centimetri da me. Non sono molto in forma e ho paura che non potrebbe finire bene se arrivassimo alle mani. “Devo parlargli di una cosa importante…”
Li vedo ridere di me e guardarmi con facce che fatico a descrivere, tanto mi sembrano brutte. “Perché dovremmo farti entrare?” “Perché altrimenti Galletti ci rimarrà molto male…” Cerco di adottare un tono sicuro. Uso la tecnica di Fred, anche se non sono convincente come lui. Si dicono qualcosa. Lo chiamano e lui dice di farmi entrare. Mi sembra di rivivere la stessa scena del giorno prima con Luis Gordon. Ora però non c’è Fred e mi sento decisamente meno forte. Mi rendo conto della sciocchezza della mia azione poco dopo, quando Galletti mi chiede che cosa voglio, senza nemmeno guardarmi in faccia, ma con l’attenzione rivolta a un plico di banconote da cento alto quasi cinque dita. Non so bene cosa dire, che tono usare, se aspettare che mi guardi o cominciare subito, se essere aggressivo o rispettoso. “Allora chi sei tu?” Mi toglie ogni dubbio e le parole timide e strozzate mi escono da sole. “Mi chiamo Alessandro Vinci.” “Ah un italiano... Bene…” “Sono venuto a parlarle…” Mi accorgo di rivolgermi a lui come uno scolaretto davanti al professore durante un’interrogazione. “Di cosa?”
“Di tutti gli omicidi che avvengono ultimamente…” Non è minimamente agitato dalla mia risposta. “Ne sai qualcosa?” “Sto indagando…” mi limito a rispondere. “Sei un poliziotto?” Questa domanda mi spaventa molto ed è con un grande sollievo che gli rispondo di non esserlo. “No.” “E allora chi cazzo sei?” “Una delle ragazze che lavorano per lei mi è molto cara…” Finalmente mi guarda in faccia. “Continua…” Mi rendo conto di essere in trappola. “Hanno cercato di ucciderla…” “Chi?” “Era uno degli uomini di Luis Gordon.” “Maledetto Gordon…” “Però l’ho fatto fuori e ho salvato la ragazza…” “Bravo, mi hai fatto un bel favore…” Io non so se mi stia prendendo in giro o sia contento di quello che gli ho appena detto. “E da me cosa vorresti?” continua.
“Kelly non può più lavorare in mezzo alla strada altrimenti la prossima volta potrebbe non essere così fortunata…” Galletti scoppia in una risata di gusto, e i due scagnozzi che ha ai lati lo seguono come dei cagnolini. “E io dovrei toglierla dalla strada?” Non rispondo. “Mi hai preso per un benefattore?” “No però…” “Mi hai stufato…” È visibilmente nervoso. “La posso pagare…” Si blocca. “Tu non puoi pagarmi…” Penso di averlo offeso con quest’ultima frase. Fa un cenno ai due uomini che vengono verso di me. Rimango immobile senza arretrare di un solo centimetro. Mi dimeno un po’ come un pesce appena finito nella rete del pescatore, con tutte le forze che ho in corpo, mentre mi afferrano. Mi immobilizzano comunque senza grossi problemi. “Davvero mi dica quanto vuole!” Lui non risponde più. Penso che avrei dovuto ricominciare ad andare in palestra.
Dalla porta d’ingresso della stanza entra un uomo. È enorme. Capisco subito che questo deve essere Lion Koller, il wrestler. È veramente più grosso di quanto non avessi immaginato ad ascoltare la descrizione di Fred. Solo ora che ce l’ho davanti capisco cosa sia la paura. Ha una giacca in pelle, un tatuaggio che gli esce dal collo, che sembra essere molto grande e un’espressione che mi ricorda quella di un pitbull. Non ho molte possibilità ora, tenuto fermo come un salame e con di fronte questo energumeno che con un pugno potrebbe tranquillamente mandarmi al creatore. Mi si mette davanti. In questo momento mi viene in mente Caterina. Forse non è un caso che la mia fine coincida proprio con quel suo messaggio in cui mi chiede di sparire dalla sua vita. Sono in questa situazione per colpa di una puttana di cui conosco appena il nome e probabilmente il mio corpo verrà fatto sparire e nessuno si accorgerà della mia scomparsa. Non me l’aspettavo così il finale. Galletti si alza in piedi. Mi parla con tono di superiorità. Koller si sposta non appena lui mi è di fronte. Sono immobile con tutti i muscoli tirati perché mi aspetto di essere colpito da un momento all’altro. Se fossimo soli io e lui faccia a faccia, sono sicuro che non avrebbe questo
atteggiamento. “Ora ti dico una cosa che non ti ripeterò…” Lo guardo senza dire una parola. “Se questa puttana non sarà in strada tutte le notti come ha fatto fino a ora, morirete tu e lei… Ti è chiaro?” Abbasso lo sguardo. Koller mi tira un pugno sullo stomaco. Provo un dolore lancinante. Galletti mi chiede se ho capito. Faccio segno di sì con la testa. Me ne dà un altro, questa volta in faccia. Sono sicuro che non ha usato nemmeno il cinquanta per cento della sua forza. Esce sangue, ma sono contento di essere vivo. Lion Koller se ne va dalla stanza. Non ha nemmeno detto una parola, ma con la sua presenza mi ha fatto più paura di tutti gli altri. Ascoltare i suoi i allontanarsi mi fa sentire più vicino alla vita. Galletti dice agli altri due di portarmi fuori. “Non farti più vedere, Vinci.” Mi buttano in mezzo alla strada come se fossi un sacco della spazzatura. Ho un dolore infernale all’addome. Faccio quasi fatica a respirare.
Ho il sapore del sangue nella bocca. La mia giacca è sporca di polvere. Mi allontano più in fretta che posso, guardato e deriso da tutti gli energumeni che incrocio. Spero solo di non prenderne ancora. Sono vivo e questo è già importante. Salgo sul taxi. Per fortuna mi ha aspettato. Non dico una parola mentre mi accomodo nel modo meno doloroso possibile. Mi tengo stretta la mano sulla pancia. Sono a pezzi. “Stai bene amico?” mi domanda il taxista. “Sono stato meglio…” “Vuoi che ti porti in ospedale?” “No... Riportami al motel…” Lui mi ascolta senza obiettare. “Uscire vivi da quel quartiere non è facile…” “Me ne sono accorto…” “Quella è proprietà di Galletti…” Continuo a tenermi la mano sull’addome. Il mio viso è sporco di sangue, ma lì non sento neppure il minimo dolore.
“Hai un fazzoletto?” gli domando. “Sì, certo…” Apre il cruscotto e mi porge una scatola di salviette bagnate. “Grazie” Sto male. Il dolore che provo dentro è ancora più forte di quello alla pancia. Fa male sentirsi deboli. Ho sbagliato tutto ad andare lì. Ero davvero convinto di poter cambiare le cose in questo modo. Vorrei non dirlo a Fred perché mi vergogno della situazione di merda in cui sono andato a mettermi. Non è questo il mio primo pensiero. Devo riflettere su come salvare Kelly. Il mio cervello è una centrifuga e ora non riesco a inventare nulla. Qualcosa dovrò fare comunque. Questa città sta vivendo all’oscuro di tutta questa delinquenza di periferia. Penso che la vita sia davvero una giostra. Come sono finito a fare questo? La strada per la mia redenzione è tutta in salita, e io non so nemmeno se sia quella giusta. Voglio scordarmi di tutto. Voglio andar via.
Devo rimanere lucido se voglio restare vivo. Arrivo al mio motel. “Sono novanta sterline.” “Tieni il resto…” Li lascio al taxista, che in questo momento mi sembra quasi la persona più vicina a capirmi. Mi lascia anche il suo bigliettino da visita. Spero che Kelly stia ancora dormendo. Sono stato via solo un’ora e mezza. Apro la porta chiedendomi cosa succederà a rimanere ancora.
Ricordo
Eravamo mano nella mano. Londra, vista insieme, sembrava ancora più affascinante e grande di quanto non sia realmente. Ci affacciavamo per la prima volta nel quartiere di South Kensington, e ricordo ancora i tuoi occhi nel momento in cui arrivammo di fronte a Harrods, il grande magazzino di lusso più famoso d’Europa. Ti dissi almeno una decina di volte che non l’avevo mai sentito nominare nemmeno alla televisione: per quanto ne sapevo, sarebbe potuto essere un negozio o un museo o una chiesa. Camminare tutto il giorno standoti dietro mentre, affamata di cultura e voglia di conoscere, giravi come una trottola da una parte all’altra delle strade, mi sfiniva più di una sparatoria, e il modo in cui ti dicevo di essere stanco ti faceva sorridere. Avevi un sorriso splendido. La tua espressione felice e soddisfatta mi incantò. Era l’unica cosa che mi dava la forza di viaggiare così tanto, in tutti quei luoghi, insieme a te. Ci trovammo in un fiume di persone. Ricordo con una strana chiarezza i volti delle donne che popolavano ogni singola vetrina come se non ne avessero mai vista una prima. Tu mi tenevi per mano e mi portavi ovunque, e io ogni tanto, di fronte a qualche vetrina ti assecondavo, e ti facevo una domanda, e ti chiedevo un bacio come premio ampiamente meritato per averti accompagnata.
Tu mi baciavi in un secondo e mi ringraziavi, ripetutamente. Quei momenti mi facevano capire che anche i crampi alle gambe, la stanchezza, i contatti con le altre persone che mi venivano addosso senza nemmeno accorgersene, erano comunque indimenticabili. Ero con te e vederti felice non aveva prezzo. Entrammo in non so quanti negozi. Volevi a tutti i costi comprare un regalo al figlio di due nostri amici. Mi ritrovai in mezzo a centinaia di bambini, che correvano da uno scaffale all’altro di mensole altissime, in cui ogni giocattolo o pupazzo veniva ripetuto per decine di volte. Gli comprammo un’astronave piena di omini di plastica che rappresentavano qualche super eroe che andava di moda allora. Io vidi che in un angolo c’era un simulatore, per provare alcuni giochi nuovi della Play Station, e tu come una madre, più che una fidanzata, mi aspettasti, mentre facevo una partita. Lo so che mi avrai pensato come un bambino, a perdere dieci minuti della nostra Londra a usare uno stupido videogioco sul calcio, ma non mi dicesti nulla, anzi ricordo le tue risate quando feci gol a un bambino inglese venuto a giocare contro di me. Me ne facesti vedere molti altri di negozi, e, a parte quello di giocattoli, tutti gli altri mi annoiarono da morire. Uno di abbigliamento lo ricordo chiaramente. Restammo lì dentro per quasi un’ora. C’era confusione e tu volevi comprare un vestito da sera. Mi sedetti su una specie di piccolo pouf bianco, posto proprio di fianco al camerino che usavi tu.
Ti guardai entrare e uscire da quel camerino per molte volte, con abiti diversi e di colori diversi, e tu a ogni uscita mi chiedevi cosa ne pensassi io. Per me eri incantevole, ma tu non mi credevi mai. Davi retta alla commessa che ti seguiva, di cui ricordo il corpo troppo magro, che forse metteva in soggezione le clienti. Lei ti indirizzava in modo preciso, ti spiegava in inglese il perché di un colore piuttosto che un altro, di un taglio piuttosto che un altro. Avevo caldo lì dentro, con il mio giubbino invernale comprato in uno stock di un supermercato di Roma. Eravamo proprio diversi. Eppure quando scegliesti il vestito nero che poi tornò a casa con noi, non ebbi dubbi sulla tua scelta. Ti stava benissimo, come nessun altro abito avrebbe potuto: ma forse non sono obiettivo, solo perché ti ci sto immaginando ora. “Tu non sei elegante per i vestiti che porti, ma per il modo in cui li porti…” Te lo dicevo sempre e tu arrossivi. are in taxi e vedere Harrods ora, da solo come un cane, senza la tua mano a consolarmi, non può che farmi male.
Capitolo 6
Un bar del centro è il luogo migliore per non incontrare brutte facce e parlare tranquillamente di quello che è accaduto. Arrivo prima di Fred e così decido di sedermi mentre lo aspetto. Ecco che lo vedo finalmente, dopo qualche minuto di attesa. Si siede anche lui. “Che hai fatto all’occhio?” mi domanda immediatamente. Ho un livido molto evidente sull’occhio, anche se mi fa molto meno male rispetto ai fianchi e all’addome. Sono imbarazzato e non so se dire la verità o inventarmi una bugia. Non ne ho nemmeno una pronta e così sono sincero. “Sono stato da Galletti…” “Cosa? Ma sei impazzito?” La sua reazione è esattamente come me la sono immaginata durante tutta la notte appena trascorsa. Comincio a spiegargli tutto l’accaduto, cercando di soffermarmi il meno possibile sui momenti in cui sono stato pestato. Il mio tono è diverso da come vorrei, quasi intimorito da quello di cui sto parlando con così tanta foga. “Tu non hai idea di cosa sei andato a rischiare!” “Me ne sono reso conto ora…”
“E quindi Kelly deve continuare a stare in strada…” Ha il tono di chi già sapeva. “Te lo aspettavi?” “Ale, sei uscito di testa?” “Perché?” “Perché pretendi che parlando a un boss mafioso tu lo possa convincere a rinunciare al suo profitto?” “Speravo che ragionasse nel suo interesse…” “Il suo interesse non è la vita di Kelly.” “Lo so, hai ragione…” A continuare la conversazione mi sento sempre più stupido. Sono andato a rischiare la mia vita come un pivello qualsiasi. Non avrei mai fatto un errore del genere se non fossi stato così preso da lei, ma ora non devo più pensare a questo. Se voglio veramente salvare la vita a questa ragazza e aiutare il mio amico a scoprire chi è l’assassino, devo restare concentrato e non farmi più prendere da colpi di testa improvvisi. Si siede al tavolo con noi un altro uomo. Ovviamente lo riconosco subito: era nel quartiere di Gordon. “Ho il piacere di presentarti Jack Norton.” Gli porgo la mano e lui me la stringe senza dire una parola. È un uomo medio, uno di quelli che non noterei in mezzo a una strada. Ha occhi azzurri chiarissimi, più di quanto mi ero immaginato dalla descrizione
di Fred. A pensarci adesso, avrei potuto individuarlo l’altro giorno, anche se l’ho visto solo per pochi secondi. “Dicci tutto, Jack” inizia Fred con aria incuriosita. “Stasera tocca a Kelly…” Rimango sorpreso e turbato da questa frase pronunciata con una naturalezza non normale. Sembra un robot. “A che ora?” “eranno all’inizio della serata, quando le puttane cominciano, verso le undici al massimo.” “Come fai a esserne certo?” gli chiedo io, che a ogni momento trascorso mi sento più coinvolto e parallelamente inutile alla discussione. Non mi pare di aver chiesto una sciocchezza. In fondo lui è infiltrato da Gordon e non da Galletti. Lui non risponde direttamente a me. Si volta verso Fred. “Non mi sembra freddo…” “Stai tranquillo, è uno in gamba…” Solo ora si volta verso di me. “Ho saputo della tua visita a Galletti…” “Corrono così in fretta le voci da queste parti?” gli rispondo io, offeso per il modo in cui mi si sta rivolgendo.
“Se vuoi sopravvivere dovrai farti più furbo…” Lo fisso con aria di sfida, come se fossi pronto a colpirlo da un momento all’altro. Fred mi dice di calmarmi. “È ora che vada.” Si alza senza darci il tempo di salutarlo e sparisce in mezzo al fiume di gente che cammina nella via. “È uno stronzo montato.” “Ale stai tranquillo... Non è facile neanche per lui…” “Sarà.” “Stasera cosa facciamo?” mi domanda per cambiare discorso. “Dobbiamo sorprenderli…” “Sorprendere chi?” “Galletti e i suoi.” “Cosa vuoi dire, Ale?” Spiego a Fred un piano che mi è venuto in mente in questo momento. Dovremo stare a casa di Kelly. Arriveranno gli uomini di Galletti e noi saremo preparati. Fred starà dentro la casa con lei e sarà l’esca. Io sarò fuori, nascosto sopra al grande albero che è posizionato a pochi i dall’edificio. A quel punto dovrò solamente essere veloce e maledettamente preciso per colpirli tutti prima che entrino in casa.
“Ma se venissero in dieci come faresti?” “Voi starete nascosti in casa, e tu avrai comunque l’arma carica…” “Sarà un suicidio…” “Hai un’idea migliore?” Fred si mette a ridere e beve dalla bottiglia la sua Budweiser. Mentre parlo del mio piano si avvicinano al tavolo due ragazze. Una delle due si rivolge a me. “Tu non sei Giorgio Vinci?” Fred mi guarda cercando di trattenere una risata. “Lo scrittore?” insiste ancora. Sono due turiste italiane e io, per fortuna o purtroppo, in Italia ho un volto molto noto, anche se spesso sbagliano il mio nome, come in questo caso. “Alessandro... Comunque sono io…” Mi chiede scusa in modo goffo. Rimangono lì in piedi senza molto imbarazzo fino a quando non le invito a bere qualcosa con noi. Si siedono al tavolo. Lo sguardo sorpreso di Fred nel vedere come sia facile per me conoscere ragazze in Italia, mi rimane impresso. “Lo sai che il tuo libro mi è piaciuto molto?” Non credo assolutamente che questa ragazza possa aver letto il mio libro, ma ha un bel viso e io ho voglia di compagnia, prima della serata che mi attende. “Sei in vacanza?” mi chiede.
“Sì, è venuto a trovare questo suo vecchio amico…” interviene Fred che coglie l’occasione per presentarsi. Io non parlo molto e nemmeno è necessario visto che una delle due mi è già attaccata e con la mano ha iniziato ad accarezzarmi la gamba. Fred cerca di sembrare il più a suo agio possibile anche se il fatto di avere due ragazze poco più che ventenni al tavolo in centro a Londra lo agita evidentemente parecchio. Ogni tanto si guarda intorno con la paura che possa are la moglie o qualche altra persona che lo riconosca. Di sicuro non è abituato a una situazione del genere. Quando il mio bicchiere di whisky è finito e la mia voglia di sesso arrivata al suo culmine, propongo in modo neanche troppo gentile di andare a bere qualcosa in un hotel del centro. “In un hotel?” mi domanda una delle due. “Perché, non vi piace?” “Non perdi tempo, scrittore…” Ha uno sguardo malizioso. Sono le sette. Fred interviene. “Ehi Ale, non possiamo.” “Se non vieni, vado da solo…” Mi sta a cuore tutta la situazione, ma ne ho bisogno. Non ho la certezza di farcela, ma non posso privarmi di queste due ragazze ora. Lui sembra perplesso ma alla fine accetta senza troppe storie.
Andiamo tutti e quattro in un hotel. È molto lussuoso e mando Fred alla hall a chiedere la chiave di una stanza. Lui è imbarazzatissimo. Forse con il senno di poi sarebbe stato meglio andare in un motel più semplice e riservato. Saliamo le scale senza dire praticamente una parola e quando finalmente siamo dentro, Fred tira un sospiro di sollievo. La ragazza che mi sta di fianco mi chiede se ho voglia di divertirmi mentre tira fuori dalle mutandine una bustina di polvere bianca. “Brutto vizio” le dico. Fred è già sul letto con l’altra a baciarle il collo e spogliarla con le mani: mi fa senso vederlo. So che in tante cose mi somiglia, ma ogni volta in cui lo vedo in una situazione del genere mi viene in mente Sara che lo aspetta ignara di tutto. La bacia con una foga che non avrei immaginato. Speravo che si fosse salvato almeno lui da tutto questo. È diverso da come lo ricordavo, o forse da come credevo di ricordarlo. “Non pensavo che portassi la prima ragazza che trovi in un hotel di lusso come questo…” mi dice. “Perché, non ti piace?” le rispondo. “Da Alessandro Vinci mi aspettavo qualcosa di diverso…” Cerco di non ascoltarla, altrimenti già ora la butterei fuori dalla stanza. “Cosa c’è, non mi rispondi più?” “Diciamo che non ho più voglia di ascoltarti…”
Mi avvicino a lei. La scruto dalla testa ai piedi. Lei si fa una striscia di quella cocaina. “Cosa c’è, vuoi punirmi per quello che ho detto?” Intanto che dice queste parole si leva i pantaloni e le mutandine bianche. Mi tiro giù i pantaloni. Lei mi dà le spalle. La sculaccio una volta. Fa un gemito di piacere. Gliene do un’altra e lei lo fa di nuovo. Sono già eccitato. La piego in avanti e glielo infilo dentro. Lei mi a la bustina. Avevo promesso di smettere, almeno con questa roba. Penso che dopo dovrò essere lucido. Lei mi dice di prenderla e poi sculacciarla ancora. La apro e ne rovescio un po’ sulla sua schiena. Non lo facevo più da tanto. Mentre continuo a penetrarla senza sosta sistemo meglio che posso la polverina, sulla sua pelle abbronzata e liscia. Do un tiro forte con il naso e inspiro tutta la riga bianca che le ho versato addosso.
Per un attimo ho un blackout come se stessi per perdere i sensi da un momento all’altro. Mi riprendo immediatamente tornando in equilibrio. Sono appena venuto meno alla mia promessa di tanto tempo fa, forse l’unica che ero riuscito ancora a mantenere. Sembra tutto a posto. Mi giro verso Fred che lo sta facendo sull’unico letto della stanza. Lo ascolto in lontananza mentre la scopa con ione. Scoppio a ridere. “Cosa c’è?” mi chiede lei. Non riesco a non guardare il mio amico mentre la tocca con un’eccitazione che solitamente nasconde meglio. Mi stacco da questa. Mi avvicino barcollando verso gli altri due. Mi fermo con i pantaloni calati a guardarli. “Che cazzo c’è, Ale?” Non dico una parola. Mi sembra che qualcosa si muova di fianco a loro. È un peluche, uno di quegli stupidi orsetti vestiti con il costume rosso della guardia della regina. Sta ballando lì di fianco. “Ah ah.” Non riesco a non ridere.
Mi siedo perché fatico a rimanere in piedi. “Ma quanto sei fatto, Vinci?” mi chiama la ragazza, ancora appoggiata al tavolino completamente nuda. Mi si avvicina. Comincia a toccarmi, a pochi centimetri dagli altri due che non si fermano, indifferenti alla nostra presenza. Mi alzo con le poche forze che sento ora. Il mio corpo mi sembra così pesante non appena rimango senza appoggio. Ritorniamo nella stessa posizione di prima. Mi muovo in modo più violento e noto che a lei essere sbattuta piace molto. Penso che stia godendo più di me. La sculaccio ancora. Il mio sguardo non riesce a non cadere su quell’orsetto vestito di rosso, raggiunto in un attimo da un altro uguale ma vestito con l’uniforme blu da poliziotto londinese. Ballano insieme: sono uno so. Lei grida, a ogni colpo sempre più forte. Le metto una mano sul seno e comincio a stringerlo per sentirla meglio. Non ha lontanamente i seni di Kelly. Provo a immaginare lei mentre sto scopando una ragazza di cui non so nemmeno il nome e già non ricordo più il viso. La mia vita è monotona. Gli orsetti si muovono sempre più in fretta e io pure.
Mi scappa ancora una risata. Sono irresistibili. Lei urla, probabilmente così forte che i vicini di stanza staranno sentendo tutto, e ci metto dieci minuti con il cuore che batte a mille, per farla arrivare all’orgasmo. Vengo qualche minuto dopo di lei. È faticoso con questa roba in testa. Appena mi stacco sento l’equilibrio mancare all’improvviso come se fossi stato lanciato da un elicottero senza il paracadute. Sento un tonfo forte, ma nessun dolore. Quando apro gli occhi i due orsetti sono di fianco a me immobili, sdraiati nel freddo del pavimento. Fred è già in bagno a lavarsi. Non mi rendo ancora conto della situazione in cui mi trovo. Mi aiutano ad alzarmi. Mi siedo sul letto, in equilibrio precario. “Tutto ok?” mi domanda una delle due ragazze, non capisco se la mia o l’altra. “Sì.” Ora mi è più chiara la conseguenza di quello che ho fatto. Non sono lucido e la vita di Kelly ancora una volta è nelle mie mani. “Sei fuori, Vinci!” Non rispondo. Intanto spero che Fred sia più carino di me a mandarle via.
Ha già addosso giacca cravatta e pantaloni, tra lo stupore mio e delle ragazze. “Ale siamo in ritardo, vuoi sbrigarti?” mi dice. Rimango serio a fatica. Quella che era con lui, ancora coricata sul letto, completamente nuda, fa uno scatto improvviso. “Vuoi mollarmi qui come una puttana?” Io comincio a prendere i vestiti sparpagliati per la casa. “Ragazze, io e lo scrittore dobbiamo correre via, scusate…” L’altra si veste in fretta. “Andiamocene, ho già capito... Stronzi” “Ma cosa pretendi?” le rispondo io. Lei si volta con uno sguardo arrabbiato e frustrato allo stesso tempo. “Siete venute in un hotel con due uomini appena conosciuti... Che cosa vuoi pretendere?” “Pensavo che fossi un uomo diverso, Vinci…” Escono dalla stanza. “Scrittore, a stare con te finisce sempre male.” Sorrido. Non vorrei fosse così. Lasciamo la stanza anche noi e ci avviamo verso casa di Kelly. Manca ancora un’ora al nostro appuntamento con lei. “Ma stai bene?” mi domanda.
“Sì, perché?” In realtà il mio tono e il mio sguardo direbbero il contrario. Va già meglio di qualche istante fa, ma non mi sento ancora lucido. Ho ritrovato equilibrio e ho poco tempo per tornare a posto. Non so neppure che ore siano. “Ti sei fatto?” “Solo un tiro…” “Cazzo! Ma sei fuori?” “Dovranno cambiare le lenzuola…” gli dico. Mi insulta in modo bonario ancora per un po’. Sto rischiando più di quanto non mi renda conto in questo momento di leggerezza di testa. Tutto mi sembra meno importante ora. Colpire tutti gli uomini di Galletti mi sembra un’utopia in questo momento ma non mi interessa minimamente. Non dovrei essere di questo umore ora. “Con quello che è costata la stanza…” Forse vuole che gli restituisca metà di quello che ha speso per l’hotel. Quando parcheggia la macchina mi chiede, con tono più serio. “Ma tu con Kelly?” “Con Kelly cosa?” “Cosa c’è con lei?”
“L’abbiamo fatto, nient’altro…” “Capisco…” È difficile nascondergli le cose. Posso provare a cambiare discorso, a raccontare qualche bugia, ma mi conosce troppo bene e so che già sa. “Pensi di no?” gli domando. “Sei andato da solo da Galletti e quasi ti facevi ammazzare per lei!” “Mi piace come persona... Tutto qui.” “Chi lo sa…” Mi sorride, con l’aria di chi ha già capito tutto. In fondo lo immagino comportarsi nel mio stesso modo con una Kelly più vecchia di una ventina d’anni. Bussiamo alla porta. Apre lei. La salutiamo e le spieghiamo il piano. Verranno sicuramente dopo le undici e così abbiamo tutto il tempo di mangiare qualcosa dato che sono affamato. È Fred ad andarli a prendere. “Ho paura…” mi confessa non appena restiamo soli. Io le rispondo di stare tranquilla. “Hai un’aria strana…” Anche lei ha notato che non sono lucido: evidentemente non sono così bravo a nasconderlo.
“Nulla, non preoccuparti…” Ovviamente a lei non abbiamo detto del nostro incontro con le due ragazze italiane al bar. Per motivi diversi credo che ci rimarrebbe male: io in questo momento le sono vicino più di chiunque altro, e, se non si tratta di tradimento, è qualcosa di molto simile, anche se non stiamo insieme e la situazione è difficile; Fred invece è per lei l’uomo che ha fatto innamorare sua madre, e sapere che possa andare con altre donne credo che la farebbe stare molto male. Ha il viso di chi ha paura di morire, però mi sembra decisa a cominciare quello che abbiamo tanto studiato. Alle dieci e cinquanta mi vado a mettere sopra l’albero, aiutato da Fred che mi tira su e mi fa da appoggio. Ok, ora va decisamente meglio. Controllo quale sia la posizione migliore per colpire. “In bocca al lupo ragazzi…” “Stai lucido, Ale... Siamo nelle tue mani…” Sento la responsabilità e mi rendo conto che con il are dei minuti le mie condizioni migliorano e ritorno più velocemente del previsto alla normalità. Attendo ancora venti minuti prima che due macchine arrivino. Jack Norton aveva ragione. Si entra in azione. Dalle due auto escono complessivamente sette persone. Uno di loro è Lion Koller. A vederlo provo uno strano mix di rabbia e timore per quello che mi ha fatto il giorno prima.
È arrabbiato e pronto a fare male. Koller e altri due entrano in casa sfondando la porta. Sono veloci a muoversi. Fred e Kelly sono nascosti in camera sotto a un materasso. Fuori sono in quattro, due sulla porta e due poco dietro. Prendo la mira. So che dovrò sparare tutti i quattro colpi in pochi secondi. “Bam Bam” I primi due sono già al creatore. Gli altri due fanno appena in tempo a voltarsi verso gli altri. “Bam” “Bam” Quattro cadaveri in poco meno di dieci secondi. La mia mira e i riflessi sono sempre i migliori e nonostante la situazione difficile ho mantenuto il sangue freddo. Koller e gli altri due non appena sentono gli spari escono dalla casa. Il primo è già sotto tiro, spaesato come una zebra in mezzo alla savana, preda facile per il leone affamato. “Bam” Ne faccio fuori un altro. Fred nel frattempo è uscito dal nascondiglio. Ha la pistola in mano e finisce anche il sesto.
Koller mi individua e comincia a sparare. Ha riflessi velocissimi. Colpisce Fred che è dietro di lui. Rimane a terra ma è solo ferito. Sono stupito dal modo in cui riesca ad agire velocemente nonostante la sua stazza enorme. È un osso ancora più duro di quanto immaginassi. Io scendo alla disperata dall’albero ed evito i primi colpi per miracolo, ma perdo la pistola. Colpisce la pianta per cinque volte e proprio quando mi ha a tiro e preme il grilletto i suoi proiettili sono esauriti. Questo deve essere un segno di Dio. Ho visto, per quei lunghi secondi, la mia vita finire. La mia pistola è troppo lontana da me e così gli corro incontro senza dargli il tempo di caricare di nuovo la sua. Ma Koller è il doppio di me e faceva il wrestler. Non è stata una grande idea. Uso tutta la forza che ho in corpo, in un equilibrio precario e difficile, ma non c’è nulla da fare. Ripenso a quando mi ha colpito nell’edificio in cui stava Galletti. Lo affondo ripetutamente ai fianchi, ma mi sembra di picchiare un muro. Non dà il minimo segno di dolore. Mi colpisce allo stomaco con un pugno e in questo momento mi pare di essere stato investito da un treno a piena velocità.
Finisco almeno cinque metri più indietro, accasciato a terra, con difficoltà palese a respirare. Mi alzo faticosamente e me lo trovo vicino. Riprovo a scalfirlo con gli stessi risultati di prima. Mi sembra che faccia apposta a farsi prendere un po’ per farmi capire la sua forza immensa. Mi rassegno a ogni mio pugno, tutte le volte meno intenso del precedente. Mi prende e comincia a strozzarmi con una forza che non credevo possibile. Non riesco a respirare e mi sento lentamente venir meno. Non riesco a muovere nemmeno un muscolo. Eccolo là l’orsetto peluche. È ancora qui con me. C’è poco da fare in questi casi. Quando cerco di colpirlo per fargli allentare la presa mi sembra di dare un pugno a un pezzo di marmo. Con la forza che mi è rimasta non farei male a nessuno. Quando comincio a socchiudere gli occhi penso che non li aprirò più. A un tratto la stretta si allenta e Koller cade a terra. Kelly con una sedia di legno lo ha colpito in testa. Respiro affannosamente, ancora stordito da prima. Lui si rialza ma questa volta sono più svelto e raccolgo la mia pistola, che mai sembrò così cara. Con la mia mano afferro il fusto smusso della pistola e le iniziali “A C” che mi
emozionano anche in questo momento. Lui si volta verso Kelly, dimenticandosi stupidamente di me. Mentre sta per afferrarla gli sparo a una gamba e dopo all’altra. Crolla di nuovo a terra, questa volta dandomi l’idea che non si alzerà mai più. Ora è lì immobile e non fa più molta paura. Posso calmarmi. Non è più un pericolo. I prossimi minuti dovrebbero essere piacevoli. “Cosa c’è, Teddy Bear?” L’orsetto se la ride. “Che cazzo dici?” mi risponde Koller accasciato a terra con lo sguardo da duro. Il piccolo orsetto mi indica il suo braccio. “Vuoi che gli spari?” Lui non capisce con chi sto parlando. Sparo al suo braccio destro. Lo guardo negli occhi e lui non abbassa lo sguardo. Muove il braccio sinistro in un ultimo disperato tentativo di togliermi la pistola e sopravvivere a una fine che gli appare quanto mai certa. Faccio un o indietro e lo evito. Così è troppo facile. Mi guarda con rabbia e disprezzo, ma non fa trasparire nemmeno per un attimo la paura.
Ho già deciso di sparargli ma vorrei sentirlo implorare pietà prima. Non apre nemmeno bocca. Devo ammettere che questo bestione ha coraggio. Sono pronto a prendermi la mia vendetta, mentre l’orsetto saltella sghignazzando per la situazione. Scappa da ridere anche a me. Non chiude nemmeno gli occhi. Quando premo il grilletto posso scorgere la sua espressione che trattiene il grido e le urla. Non emette suono ma si limita a morire con dignità, come ho visto fare a pochi nella mia vita. Magari in un’altra situazione ci sarei andato d’accordo. Ha avuto per due volte l’occasione di ammazzarmi ma non l’ha sfruttata e ora, strana la vita, è qui a terra esanime, di fronte a me e alla mia calibro 22 ancora caldissima. Sono stato solo molto più fortunato di lui. Così con il cadavere di Koller davanti a me, Kelly che mi abbraccia e Fred ferito alla gamba, sento di aver vinto la mia prima battaglia londinese. Sono ancora vivo, nonostante tutto.
Capitolo 7
Cammino verso la mia auto, parcheggiata per sicurezza qualche via più in là. Questo quartiere è buio e anche se non si vedono a quest’ora altre persone in giro, provo la sensazione di essere osservato. Cerco di arrivarci il più velocemente possibile. Sono sfiancato dallo scontro con Koller. A ogni o penso a quanto sarebbe bello coricarmi su un letto. La vedo finalmente. Tiro fuori in modo frettoloso e impreciso le chiavi dalla tasca della mia giacca nera, sporca dallo scontro appena avuto. Salgo e appoggiarmi al sedile è già un piccolo sollievo. Entro in macchina e vado a prendere Fred. Insieme a Kelly lo aiuto a salire. Lo mettiamo dentro con le gambe stese. “Fai piano cazzo!” Urla e si dimena come un bambino. “Stai tranquillo Fred... Tra un po’ andrà meglio…” gli dice lei. “Non fare il bambino!” è il mio unico commento. So che farlo imprecare contro di me è l’unico modo per fargli soffrire meno il dolore alla gamba.
Lo portiamo in ospedale. Scende accompagnato da Kelly, mentre io cerco un parcheggio. I medici gridano e velocemente lo portano via su una barella. Dopo aver lasciato la macchina in un posto trovato fortunatamente, raggiungo in sala d’attesa Kelly, anche perché non riuscirei a dormire in questo momento. Ho un’adrenalina strana addosso. Nonostante mi senta distrutto fisicamente, sono iperattivo. Non so se sia la cocaina o lo scontro a fuoco appena vissuto, o la paura per le condizioni del mio amico. Mi accendo una sigaretta e, dopo un momento, un’infermiera mi invita senza molta gentilezza a uscire. Rido perché non è la prima persona a dirmelo. Fumo fuori. Penso a quanto sia strana tutta la situazione: continuano a morire prostitute, ma né Gordon né Galletti si tirano indietro. Sembrano due burattini senza cervello che reagiscono solamente a provocazioni continue. Come due bambini che giocano. Io non so chi dei due sia stato il primo a colpire, né la motivazione, ma a questo punto credo sia irrilevante: sono due elementi pericolosi che vanno fermati a ogni costo. Finché non saranno morti entrambi, la vita delle prostitute, ma soprattutto quella di Kelly, saranno in pericolo. Pensare che sarò io a doverci provare mi spaventa molto. Jack Norton è l’unico aiuto su cui possiamo contare per anticipare le mosse dei
due boss, però a me non piace per nulla, nonostante Fred dica che è uno giusto. Forse lui è quello che sta rischiando più di tutti: alla prima mossa sbagliata la sua vita finisce. Forse è pazzo, avvolto nei suoi silenzi. La mia vita è appesa a un filo. Si avvicina alla porta un volto che non mi è nuovo. Fa parte della Londra per bene, non c’è dubbio. Non sono abituato a vederne in questa mia particolare vacanza inglese. Ci vuole qualche secondo prima di riconoscerla. “Sara!” È la moglie di Fred. Deve essere stata avvertita dai medici. La saluto io perché lei non mi riconosce tutta presa dai suoi problemi e dall’ansia delle condizioni del marito. “Ciao Ale!” Mi abbraccia come si abbraccia un vecchio amico. Sono contento di vederla. Non è cambiata minimamente rispetto all’ultima volta in cui l’ho vista. “Come sta Fred?” mi domanda con tono preoccupatissimo. “Gli hanno sparato a una gamba, ma sta bene…” “Gli hanno sparato a una gamba?” Non penso che sia al corrente di tutto quello a cui sta lavorando suo marito.
“Sì un delinquente, ma ora sta bene…” Tira un sospiro di sollievo. Cerco di essere il più rassicurante possibile. “E tu stai bene?” mi chiede con un interesse vero. “Come sempre…” le dico. “Mi è dispiaciuto tanto per te e Caterina…” Le sue parole mi incutono un senso di tenerezza amara, come se per un attimo stessi riguardando la mia vita ata da fuori. “Grazie.” “Sei un brav’uomo e ti rifarai…” Mi piace il tono in cui mi parla. È come se volesse dirmi che sta dalla mia parte. Per un uomo solo e debole come sono io in questo momento è davvero importante. Spengo la sigaretta e la accompagno dentro all’ospedale. Arriviamo in sala d’attesa, dove si trova Kelly. Non so esattamente come comportarmi e così improvviso. Mi avvicino a Kelly e la abbraccio. “Questa è la mia ragazza Kelly!” Penso di non fare una gran figura a mostrarmi come il fidanzato di una ragazza che potrebbe essere mia figlia, ma non mi è venuto in mente nessun altro modo per salvare la faccia a Fred. Sara è stupita.
Kelly capisce al volo e le porge la mano. “Piacere.” È indispettita a conoscere la moglie di Fred, ma è comunque brava a nasconderlo e mostrarsi naturale. D’altronde non posso biasimarla: la donna che ha di fronte è moglie dell’uomo di cui sua madre era innamorata. Mi tiene la mano e il ruolo della fidanzata le riesce molto bene. “E tu cosa fai qui a Londra?” mi domanda. Mi riesce difficile rispondere e devo ricorrere all’ennesima bugia. “A Fred è stato assegnato un caso complicato e mi ha chiesto di venire a dargli una mano…” “Strano non mi ha detto nulla del tuo arrivo…” Vorrei non trovarmi in questa situazione. “Sono arrivato da poco e non sono qui in veste ufficiale, quindi gli ho chiesto io di non parlarne con nessuno…” Dall’espressione sul suo viso mi pare che l’abbia bevuta. Lei continua a farmi domande e io cerco di rispondere senza tradirmi o contraddirmi in alcun modo. Sono teso e la mia condizione di stanchezza e poca lucidità non mi aiuta. Un medico arriva in sala d’attesa e si avvicina a noi. “Potete vederlo.” Penso che sia la cosa migliore che potesse accadere. Sara va di corsa, mentre io e Kelly ci facciamo da parte.
Appena rimaniamo soli, lei mi guarda male. “Non avrei voluto vedere quella donna!” È nervosa e contrariata. “Mi dispiace... Ma non potevo saperlo…” Sento quasi il bisogno di giustificarmi. “Sì lo so…” “Non è facile per me tutto questo…” “Allora tu ora saresti il mio fidanzato?” “Mi sentirei di più un padre per te…” Mi sembra che questa risposta non le sia piaciuta. È bella quando si arrabbia. Mi ignora e capisco che per ora non mi dirà più nemmeno una parola: sono sempre stato bravo a far arrabbiare la gente. Andiamo anche noi nella stanza in cui si trova Fred. “Come stai?” gli domando. “A parte che non sento più la gamba…” “La solita vittima!” Si mette a ridere. “Comunque ho presentato a tua moglie la mia ragazza…” Ho pensato di metterlo subito al corrente della bugia che ho inventato per evitare di far scoprire cose sbagliate a Sara. Lui ha lo sguardo di chi ha appena tirato un sospiro di sollievo.
Noto che Kelly non mi guarda più. Credo che sia ancora infastidita per quello che le ho detto prima. Non so cosa dirle e comunque non lo farei ora. A un tratto Sara rompe il silenzio. “Potreste venire a cena da noi una di queste sere…” Immediatamente io e Fred ci guardiamo. “Adesso vediamo... Non so quanto ci fermeremo…” È la miglior risposta che mi sia venuta in mente. “Ci farebbe molto piacere…” insiste lei. Per fortuna Fred interviene e cambia discorso. Non so se con la gamba ridotta in quello stato potrà seguirmi e aiutarmi a risolvere il nostro problema. Quello che ormai sento come mio. È così strano condividere un momento con queste tre persone. Fred e Sara mi ricordano tante cose, tanti attimi della mia vita che rimpiango ancora adesso. Anche le minime azioni, i più piccoli gesti, sembrano ora qualcosa di eccezionale e irripetibile. Stare con loro mi ricorda inevitabilmente Caterina e tutto quello che ne segue. Quasi li invidio, seppur con tutti i problemi che possono avere ora, e nonostante Fred si sia cacciato in qualcosa di più grande di lui. In fondo sono insieme ed è quello che conta. Lei gli tiene la mano.
Sono sempre teneri da vedere, o forse sono io che ultimamente mi emoziono troppo facilmente. E poi c’è Kelly. È una persona che non pensavo avrei mai trovato. Per lei sto provando delle sensazioni che non provavo più da tempo. Persino in questa stanza di ospedale mi sembra di vivere un momento magico insieme a lei. Quando non mi parla, o è offesa, o mostra un minimo segno di insoddisfazione, io me ne accorgo e la cosa mi dispiace. Vorrei comportarmi bene almeno con lei, per tutto quello che è possibile a un uomo come me. Mi sento di troppo e credo che anche Kelly provi la stessa identica sensazione. Lasciamo Fred e Sara da soli. Dico a Fred che lo chiamerò presto per aggiornarlo sulle prossime mosse da compiere. Kelly saluta in modo gentile Sara e mi segue fuori dalla stanza. Lei, ovviamente ignara di tutto. Ha sempre il suo solito sorriso cortese. L’ospedale mi mette tristezza, ancora più di quello italiano, forse perché non capisco cosa si dicono i dottori e gli infermieri, e che cosa vogliono esattamente quando mi guardano in modo fastidioso e continuo. Respiro volentieri appena esco. Prendo la macchina e Kelly sale, sempre senza dire una parola. “Sei arrabbiata?” “No.”
Il suo tono dice il contrario. Mi sento strano. Non mi piace l’atmosfera che si è creata in questo momento tra di noi. Sembriamo due sconosciuti, e forse in realtà lo siamo. Però quello che si era instaurato in questi giorni insieme era più vero, intenso, ionale di ora. “Se è per quello che ho detto prima, non volevo offenderti…” “Non mi hai offesa!” mi risponde lei. “Comunque con te sto bene…” “Mi fa piacere…” risponde. Non mi darà la soddisfazione di sorridere. Tiene le mani sotto alle gambe per scaldarsi dal freddo che oggi sembra ancora più insopportabile degli altri giorni. Stiamo in silenzio per un po’. L’atmosfera silenziosa e tesa che pensavo non sarebbe più cambiata durante il viaggio, viene spezzata da una domanda che non immaginavo potesse uscire proprio dalle sue belle labbra. “Tu sei sposato?” Mi riesce sempre a sorprendere. Forse si sente trattata come un’amante. “Lo ero…” le rispondo io. “E ora perché non lo sei più?” La mia risposta è banale quanto vera.
“Perché sono stato uno stronzo…” Mi parla come se già sapesse le mie risposte. Probabilmente Fred le ha parlato in modo abbastanza preciso di me, ma questo non mi infastidisce, al contrario mi fa credere che sia una persona di cui fidarsi. “Penso che sia una buona risposta” mi dice. Finalmente mi sembra di vedere un sorriso sulle sue labbra. “E com’era lei?” mi domanda ancora. Mi metto a parlarle di Caterina, di come fosse caratterialmente, e di quanto fosse bella, e addirittura di tutte le volte in cui la chiamo invano e la sogno nelle notti più sole. Lei mi ascolta interessata e nei suoi occhi non c’è traccia di gelosia né di senso di competizione nei suoi confronti. “Ce l’hai ancora in testa?” “È difficile toglierla…” “Allora sei davvero quel romantico che credevo…” Mi piace quando mi fa i complimenti. Ha un accento stupendo. Gliene parlo per qualche minuto, anche se potrei andare avanti davvero per molto di più. Devo smettere di pensare a lei. Se sono arrivato a questo, è solo colpa mia. Caterina è perfetta, come è sempre stata. “E con me invece?”
Questa sua domanda mi spiazza. “Con te cosa?” “Con me come stai?” “Sto bene…” Ancora una volta la sua espressione mi fa capire che non è la risposta che stava aspettando. “Con te sto davvero molto bene, come non pensavo possibile…” aggiungo. Lei rialza lo sguardo su di me. “L’ho capito da come mi guardi…” “E come ti guardo?” le domando con il tono di chi sa già che risposta attendersi. Lei cerca di imitare il mio sguardo mentre sono con lei, e il modo in cui mi muovo, e il modo in cui parlo e mi faccio da parte quando la lascio are. Mi metto a ridere e anche lei non si trattiene più mentre ancora sta finendo di imitarmi. “E così pensi questo di me?” “Sì.” La bacio. Ho voglia di fare l’amore con lei. La porto al mio motel. Non facciamo neanche in tempo a entrare in stanza che già mi è in braccio e mi sbottona la giacca e mi spoglia della maglietta. Su quel letto ci iamo quasi due ore senza neanche che me ne renda conto. L’odore della stanza, la confusione che abbiamo intorno, il ricordo di Caterina,
vengono nascosti per quelle due ore dalla sua bellezza così travolgente. La bacio su tutto il corpo come se non l’avessi mai baciata, come se non la potessi più baciare. Ci teniamo le mani. Non diciamo una parola, respiriamo i nostri odori, la nostra paura. La vivo come se fossimo in un sogno magico e finalmente non proibito. Vorrei sentire questo in ogni giornata di quello che mi rimane da vivere, con questo corpo su di me a farmi provare i piaceri più nascosti. Per tutto questo tempo la mia vita è solo qui. Quando si alza e va in bagno, per la prima volta dopo molti anni non sento il bisogno di bere, né di fumare. Mi sento bene così. E se fosse lei la ragazza che mi può salvare da me stesso? Sarebbe bello cambiare. Mi piacerebbe vivere senza il mal di testa cronico e le occhiaie di chi beve e fuma tutto il giorno, poter essere appagato dalla stessa ragazza, senza andare in giro a vendere quel poco che è rimasto della mia dignità per dieci minuti di sesso; poter dormire di notte senza l’ossessione di Caterina che mi fa ripensare a quanto in realtà io mi stia buttando via. Sarebbe bello, è vero. Mi sentirei una persona finalmente normale. Vorrei qualcuno che mi capisse per come sono. Ecco che esce dal bagno. La guardo con gli stessi occhi di prima.
Penso che lei si renda conto di quello che provo. “Voglio cambiare vita…” mi dice, ancora una volta sorprendendomi. Io, ancora steso su quel letto, la faccio sedere accanto a me. “E cosa vuoi fare?” “Voglio smettere con questo schifo di lavoro, con questi maiali che mi trattano come se fossi una loro proprietà…” “E allora smetti…” “Non è facile…” “Basta volerlo…” “Hai visto che hanno cercato di uccidermi?” “Sì ma hai combattuto e sei ancora viva…” Cerco di far sembrare tutto più facile di quello che è effettivamente. “Partiamo io e te….” L’idea di quello che mi dice mi fa quasi sognare a occhi aperti. Penso già a me con lei in un posto lontano, in cui ricominciare da capo. Forse è il destino ad avermela fatta conoscere proprio qui a Londra, la città che Caterina amava tanto. È così bella anche dopo aver fatto l’amore che non mi pare vera. Non è facile piacermi davvero. “Io con te ci verrei... Ma prima dobbiamo risolvere le cose qui…” “Lo so ma non ce la farai mai contro quelli…” Non voglio rovinare questo momento pensando a Galletti o a Gordon o a tutta
questa faccenda, anche se purtroppo è la mia realtà. Mi accarezza. Non mi sentivo così da tanto. Penso che rimarrei qui con lei per ore. Devo pensare sempre al male purtroppo. Galletti sarà furioso. “Dove ti piacerebbe andare?” mi chiede. “Con te?” “Sì.” “Vorrei andare in un posto romantico, di quelli che non si vedono più…” Lei mi ascolta curiosa e mi domanda se conosco un posto del genere. “Esiste un piccolo paese della Francia... Mont Saint-Michel…” “Non lo conosco…” “Ci sono stato una volta sola nella mia vita... È piccolissimo ma mi è rimasto dentro…” “Perché?” “Perché è uno di quei luoghi romantici che non sembrano nemmeno di questa epoca…” Mi chiede che cosa abbia questo posto di tanto speciale e le racconto di quando ci sono stato tanti anni fa, proprio insieme a Caterina. Le Mont Saint-Michel è un paese d’altri tempi. Mi ha colpito quel piccolo arroccamento di case, e poi il mare che lentamente, ma in modo costante, ne sommerge l’unica parte che lo collega alla terra ferma.
È un paese magico, il posto in cui vorrei scappare per sempre. “E mi ci porterai?” mi domanda allora. “Lo spero davvero…” Stiamo sognando insieme. “Io invece pensavo di trasferirmi in California…” aggiunge. “Non sei romantica…” Mi dà un pizzicotto e si mette a ridere. “Comunque va bene anche la California” le rispondo. Non penso che abbia girato molti posti, e anzi credo che Londra ormai l’abbia legata senza possibilità di fuga a causa di quel maledetto lavoro che la sta uccidendo da dentro. Non merita questo. Mi prende la mano. So già che rimpiangerò questi momenti. Ora la battaglia mi aspetta e non posso tirarmi indietro. La vita di Kelly è completamente nelle mie mani. Stringo forte la sua mano e lei, senza che io dica nulla, capisce che è ora di ricominciare. Si alza e si veste. Devo chiamare Fred. Senza di lui non so bene come muovermi in questa merda e ho paura di fare la cosa sbagliata. Non mi fido nemmeno a lasciare Kelly sola, ma portarla con me sarebbe troppo
pericoloso. “Hai visto il telefono?” Me lo prende lei dal tavolino. Digito il numero di Fred. È staccato. È un brutto orario per chiamarlo. E poi è ancora in ospedale. Decido di aspettare a muovermi. “Restiamo qui…” Lei sembra sollevata a non dover uscire dalla stanza. Telefono a un Take Away per farmi portare del cibo. Quando arrivano gli hamburger, Kelly mangia molto velocemente, come se fosse stata a digiuno per giorni. Mi piace guardarla mangiare. In questo modo semplice e finalmente normale trascorre questa strana giornata con la ragazza che mi fa stare così bene.
Capitolo 8
È un’altra mattina uguale a tutte le altre in terra londinese. Il freddo mi fa ricordare in un istante tutto quello che non mi piace di questa città. Suona il mio cellulare. Questo è il momento in cui mi dimentico di essere un uomo spensierato e ricomincio a rendermi conto di tutta la situazione. Dalla finestra del motel si vedono i raggi del sole che mi danno l’idea di una pulizia e limpidezza lontanissime dalla mia anima. È Fred. “Ehi!” “Come va?” Non ha una voce allegra, ma ormai ci sono abituato. Sono qui da non ricordo quanti giorni e gli argomenti delle nostre conversazioni non sono mai stati molto rilassati. “La gamba meglio, ora cammino con le stampelle…” “Ottimo.” Sapere che si sta rimettendo in forze mi fa sentire più tranquillo perché so che potrò contare su di lui in questa guerra. “Ho novità.” “Buone o cattive?”
“Le novità sono sempre cattive…” “Dimmi.” “Ne è morta un’altra…” Purtroppo sapevo che prima o poi sarebbe arrivata questa notizia. “Quando?” “Stanotte…” “Cazzo.” “Una di Galletti…” Ci mettiamo d’accordo di vederci. Prima di mettere giù il telefono sento la voce di Sara in sottofondo che esorta Fred a invitare me e Kelly a cena. Fred non ne è convinto ma non può fare altro che chiedermelo. “Come faccio, Fred?” “Convincila…” mi dice con un filo di voce riferendosi ovviamente a Kelly. “Ci provo…” “All’una ti aspetto... Grazie…” Metto giù il telefono. Lo poso sul comodino e mi volto verso Kelly che è già sveglia. “Come stai bellezza?” Mi risponde tirandosi la pelle per svegliarsi del tutto. “Bene.”
Mi dà un bacio con la lingua. Non so bene in che modo parlarle dell’invito. So che rovinerò il suo risveglio rilassato, ma d’altronde non ho molto tempo quindi glielo dico nel modo più semplice e spontaneo che mi viene in mente. “Fred mi ha chiesto se andiamo a pranzo da lui…” Lei mi guarda con un’aria un po’ confusa. “Non c’è sua moglie?” “Sì che c’è.” “Non ci penso nemmeno!” Ha il tono convinto che immaginavo. “Fallo per me…” Sbuffa e io insisto. Le prendo la mano, la bacio, glielo richiedo nel modo più dolce e convincente che conosco. Ci metto circa un quarto d’ora a strapparle un sì. “Mi devi un favore…” “Va bene, tienilo in mente!” Mi vesto bene, come di domenica per andare in chiesa. A pensarci bene è da una vita che non vado in chiesa: ci andavo sempre quando ero più piccolo. Io metto per l’occasione una camicia, per la prima volta da quando sono arrivato in Inghilterra: ho una cravatta nera e la mia solita giacca. Lei ha un vestito rosa che posso solo dire starle benissimo.
“Non ti ho mai visto così elegante…” “Sto più comodo con le maglie…” “Peccato perché ti sta bene.” Sembra sincera mentre lo dice, anche se io tendo a non credere mai ai complimenti. Mi dà un altro bacio prima di uscire. All’una in punto siamo davanti alla casa di Fred. Kelly si guarda intorno, un po’ spaesata. Sembra di vedere un pesce fuor d’acqua. Nei quartieri del centro non si sente a casa. “Ciao!” Sara è cordiale e sorridente come sempre. Non penso che Kelly la odi: è solo la situazione che la porta a sentirsi così a disagio, ma in fondo nessuna delle due ne ha colpa. Ci fa accomodare in casa. Porta a far vedere le stanze a Kelly. Non posso neanche immaginare come si possa sentire a vedere il luogo dove Fred vive con la moglie. Sa nascondersi come ho visto fare a poche persone. Ogni momento che trascorro insieme a lei mi slega un po’ di più dalla vita che voglio cambiare. La tavola è imbandita come ai pranzi con i parenti e questa atmosfera di casa mi piace più di quanto mi potessi aspettare.
Sara ha cucinato per noi molti cibi diversi che mangio volentieri. Ogni tanto si lamenta di Fred che non la aiuta per nulla in casa, ma lo fa con il sorriso sulle labbra. Caterina starebbe benissimo ora, se fosse qui. Non parliamo di nulla di serio per tutto il corso del pasto, ma ci divertiamo e respiro una buona aria nonostante i segreti che accompagnano i miei tre compagni di tavolo. Prendo in giro Fred per le sue stampelle e per il modo in cui si è fatto sparare e lui sta al gioco e ride. Sara racconta aneddoti divertenti mentre Kelly rimane silenziosa ad ascoltare come una turista che si trova qui di aggio. Solo quando Sara va a lavare i piatti cominciamo a riflettere sulla situazione critica in cui ci troviamo. Io penso addirittura di risolvere tutto scappando portandomi dietro Kelly, ma Fred vuole arrestare chi uccide i responsabili di tutto questo e non posso abbandonarlo. “Bisogna andare da Gordon” mi dice. “Ancora?” gli rispondo io. “Devi fidarti…” Ha un’aria convinta. “A fare cosa?” “A vendere il nostro aiuto…” “Continua…” Durante tutta la conversazione Kelly non dice una parola, ma mi sta vicina come se fosse davvero la mia fidanzata.
Fred mi espone il suo piano che non mi sembra male. Andremo di nuovo da Luis Gordon, ma questa volta con una proposta che può far comodo anche a lui. “Vi porto un digestivo?” ci domanda Sara indicando verso una mensola in cui tiene diverse bottiglie di amari e whisky. Bevo un Jack Daniels e Fred mi fa compagnia. Ne prendo un altro bicchiere. Mi rendo conto di bere in fretta: deve essere l’abitudine. Mi sento trattato davvero come un signore e ringrazio Sara per la gentilezza. Lei è sempre stata così. Mi dispiace vederla in queste circostanze difficili, ma so di volerle bene come lei ne vuole a me e il resto non è importante. Decidiamo di andare da Gordon dopo pranzo con la macchina di Fred che ovviamente guido io. Saluto Sara, con la strana sensazione che non la rivedrò più. Accompagniamo Kelly al motel. “Mi raccomando, tu non muoverti da qui…” “State attenti…” Mi bacia velocemente e riparto. “Ormai faccio troppe visite ai mafiosi per essere un ex poliziotto…” “Io poliziotto lo sono ancora…” Arriviamo nel quartiere. Parcheggio la macchina nello stesso posto in cui ci aveva lasciato il taxi l’altra
volta. Questa volta sappiamo già dove andare. Gli uomini che l’altra volta ci avevano sbarrato la strada, ora si limitano a guardarci in modo storto. Mi sento più sicuro dell’altra volta e cammino con un o deciso verso l’edificio più alto. Eccoci di nuovo di fronte a lui. È in piedi, con una ragazza molto giovane inginocchiata di fronte a lui. Mi viene il voltastomaco. Quando ci vede le fa segno di smettere, ma senza fretta né imbarazzo. Noi due invece, ancora sul ciglio della porta con quattro dei suoi uomini, lo siamo molto. “A cosa devo questa seconda visita?” Come l’altra volta è Fred a parlare. Scandisce la voce prima di cominciare, come se volesse cambiare definitivamente pensieri. “Siamo venuti a farle una proposta.” “Una proposta? Sentiamo…” Guarda verso i quattro uomini che ci sono appostati vicino alla grande porta della stanza. Sembra di essere in trappola. “Noi pensiamo che Galletti sia il responsabile della morte delle prostitute…” “Vada avanti.”
“Ho pensato che come polizia non troverò mai le prove per incriminarlo, ma l’unica soluzione è eliminare il problema alla radice…” “Mi piace il suo modo di ragionare, ispettore Couture.” Sembra che Fred sia riuscito a trovare una certa intesa con Gordon. In fondo in questo momento il loro obiettivo è lo stesso. “E allora credo che se collaborassimo avremmo vantaggio tutti e due... Non so se mi spiego…” “Si spiega benissimo…” “Lei cosa sa esattamente della strage che sta avvenendo in queste settimane?” Gordon comincia a spiegare quello che sa. Il suo tono è tranquillo, come se stesse parlando del meteo e non di molte donne assassinate. Ci fa accomodare. La prostituta, che nel frattempo si è rivestita, esce dalla stanza facendo rumore con le sue scarpe con i tacchi. Possiamo proseguire. Racconta che delle sue donne sono state trovate morte. Lui non ne sapeva niente e all’inizio non sospettava minimamente chi potesse essere il responsabile. Poi, quando gli uomini di Galletti sono stati visti circolare nella sua zona, ha capito in un istante. E ora con parole molto esplicite ci ha fatto capire che ha cominciato a vendicare il torto subito. “Noi vogliamo Galletti morto…” gli dice Fred, ancora più diretto di prima.
“Non avete alcun impedimento da parte mia…” Si accende un sigaro. “Però lei deve fermare questa strage.” Per la prima volta dall’inizio del dialogo, Gordon e Fred sono in disaccordo su qualcosa. “Come faccio a fermare la strage se lui continua ad asse le mie puttane?” “Lo fermeremo noi…” Luis Gordon prende la decisione in meno di un secondo. “Vi do due giorni per portarmi notizie buone, altrimenti ricomincerò.” Io sono sorpreso da quello che abbiamo ottenuto. Fred sembra soddisfatto della risposta, anche se cerca di non darlo a vedere. Lo salutiamo con una stretta di mano, come si fa tra gentiluomini. Ci accompagnano fuori Steven Mint e un altro degli scagnozzi di Gordon. Saliamo in auto nel modo più disinvolto possibile. Abbiamo appena trattato con un boss mafioso. Ho bisogno di fumare per calmarmi. Con me ho solo le sigarette e così me le faccio bastare. “Ti sei dimenticato il tuo fumo?” mi chiede Fred. “Sì.” “Forse Kelly sta riuscendo veramente a cambiarti…” Do il primo tiro alla mia sigaretta.
“Vorrei che fosse vero…” “Comunque va bene quello che abbiamo ottenuto…” mi confessa con tono orgoglioso. “Ne sei convinto?” “Sì, oggi dovevamo mettere le basi... Lui s fida di Norton e questo ci porterà alla soluzione se resisteremo…” “Lo spero…” “Adesso abbiamo due giorni di tempo per far fuori Galletti…” “E possiamo monitorare le mosse di Gordon tramite Mint…” “Cosa?” Prima di uscire sono riuscito a mettere una cimice sulla camicia di Mint. Quando lo dico a Fred rimane stupito dalla mia mossa inaspettata. “Che figlio di puttana…” “Bisogna sempre essere previdenti…” Sono contento di essere stato utile almeno in questo. Posso dire senza giri di parole che nelle due occasioni in cui siamo stati da Gordon non ho neppure aperto bocca. “Bravo Ale... Allora non sei lo scrittore rincoglionito che dicono in giro…” Mi metto a ridere sentendo queste prese in giro. Mi faccio lasciare al motel. “Ci sentiamo non appena Mint farà la prima mossa…” “Perfetto.”
Ho voglia di farmi uno spinello, di bere un po’ e di fare sesso con Kelly. Cazzo, mi sento in astinenza. Ogni giorno che a mi rendo conto di non cambiare di una virgola e di essere sempre il solito uomo che si butta via. Un momento faccio un o in avanti e senza rendermene conto ritorno al punto di partenza. Non ho voglia di pensarci ora. Salgo le scale. Appena arrivo in stanza lei è lì ad aspettarmi. “Come è andata?” mi chiede. Non ho voglia di raccontarle la storia. Comincio a baciarla e la sbatto sul letto. Non dico nemmeno una parola. Prendo dal frigo bar una bottiglietta a caso. La bevo in tre sorsi. Mi sento così carico ora. La spoglio con violenza. Lei si lascia fare tutto, ma mi accorgo immediatamente che non è trasportata dalla ione dell’ultima volta. La tocco in mezzo alle gambe e sento che è bagnata, che mi vuole. Questo mi basta ora. Muovo velocemente la mia mano, come se volessi guadagnare tempo e arrivare più in fretta al momento più bello.
Lei si lascia fare ogni cosa senza dire una parola. La piego a novanta gradi e con i pantaloni già calati mi infilo dentro di lei con lo stesso bisogno con cui un’ape si infila nell’alveare. La sbatto con violenza e a ogni movimento mi sembra che potrei avere un orgasmo in un secondo. La prendo per i capelli e lei grida, non so più se per il piacere o solo per farmi venire alla svelta. Non mi importa, non ora. Vorrei avere una canna già pronta da fumare adesso. Mi sento male. Ho una sensazione strana allo stomaco. È come se dentro di me fossi completamente vuoto, e a ogni movimento questa sensazione aumenta d’intensità fino a diventare insopportabile per resisterle altro tempo. Ho bisogno di fumare, e di bere ancora. La sbatterei per ore. Non voglio staccarmi da lì, ma non resisto più. Mi alzo dal letto lasciandola prona. Prendo dal frigobar un’altra bottiglietta. La tengo in mano mentre mi rimetto sul letto. Ritorno nella posizione di prima. Bevo come un assetato nel deserto, e intanto continuo il mio movimento. Le ordino di urlare, ormai sopraffatto dall’effetto dell’alcol che sto ingurgitando senza ritegno.
Lei urla. È un grido finto, che non penso le sia venuto bene. Le chiedo di farlo di nuovo, e poi ancora e ancora. La mia libidine sale a ogni urlo, e a ogni movimento, e a ogni goccia a contatto con la mia lingua. La sbatto con ancora più veemenza e mi rendo conto di avere l’orgasmo nel momento in cui sto buttando giù un sorso di vodka liscia. Non ho nemmeno usato il preservativo. Quell’orgasmo è uno dei più violenti che abbia mai avuto. Continuo a tenerla premuta per tutti i secondi necessari, cercando di entrarle con tutto me stesso. Cazzo. Mi sento stupido solo dopo che la sensazione di estasi è svanita del tutto e io ritorno a uno stato di presenza accettabile. Senza neanche guardarla in faccia vado a prendere dalla mia borsa il fumo, avvolto in un piccolo foglio di carta velina. Rollo veloce, mi tremano le mani. Questo battito accelerato del cuore mi continua fino a quando non infilo in bocca la mia creatura e non comincio ad aspirare. Grazie a Dio. Kelly è andata in bagno senza neanche rivolgermi la parola. Mi sento un Dio, ma allo stesso tempo sto di merda. Quando torna in stanza mi guarda storto. “Cosa c’è?”
Anche prima di sentirla rispondere so cosa mi dirà, e il tono in cui me lo dirà, e gli occhi con cui me lo dirà. “Mi hai trattato come una puttana…” Ha ragione. L’ho trattata esattamente per quello che fa. Ho sfogato tutta la mia repressione, e la rabbia e la malinconia, e la mancanza di una vita, con il suo bellissimo corpo. “Non fare così Kelly…” è l’unica cosa che riesco a dirle dopo averla fatta sentire in quel modo. “Io per te sono solo una puttana?” “Perché me lo chiedi?” “Io per te sono solo una puttana?” mi ripete con tono più aggressivo e arrabbiato della prima volta. “No…” le rispondo, con una voce che lascia trasparire il mio stato d’animo e il mio dispiacere. “E allora non trattarmi mai più in questo modo…” Le scende una lacrima dagli occhi. Non volevo farla sentire così. Pian piano sto tornando in me. Odio sentirmi in questo modo e trovarmi in certe situazioni. È dolce in questo momento. Le vado incontro e la abbraccio. Lei mi lascia fare.
“Mi dispiace davvero... Per me sei una persona molto importante…” Non risponde ma rimane abbracciata. “Sono io il problema…” le dico ancora. Mi rendo conto che tutta questa roba mi sta facendo buttare via anche Kelly, la mia seconda occasione. Il suo sguardo mi ha ricordato tanto quello di Caterina quando tornavo a casa ubriaco la notte. Un misto tra paura e ribrezzo, che combatteva con il silenzio. E io neanche mi rendevo conto di come sono andato a perderla. Non la guardavo nemmeno in faccia ma continuavo a uccidermi dentro con tutti i miei peccati. Non meritavo una come Caterina, e allo stesso modo non merito di avere neanche Kelly. Se in questa storia venissi ammazzato da uno dei mafiosi che mi sto inimicando, probabilmente farei un favore a tanta gente. “Eroe”: mi viene da ridere a pensare a come ho voluto intitolare il mio libro, per definire uno come me. Tutto questo mi sta distruggendo e su questo letto, mi accorgo che più di Gordon e Galletti, sono spaventato da me stesso e dal modo in cui sto creando un deserto intorno alla mia persona. Non ho più un’anima.
Un momento che ho saputo vivere
Esco adesso da un albergo a quattro stelle del centro di Roma. Vado verso casa con la testa pesante. Faccio fatica a guidare. Guardo l’ora e mi rendo conto che sono già le dieci. Cazzo. Non dovevo, non oggi almeno. È il suo compleanno. Mi ha lasciato da due anni e nonostante questo riesco ancora a deludermi. Non c’è nessun fiorista aperto a quest’ora. Ho un amico vicino a casa mia. Lo disturberò ma non m’importa neanche un po’. Devo solo trovare il suo numero di telefono sulla rubrica del cellulare. Rischio di andare fuori strada mentre mi distraggo davanti al display. Per fortuna l’ho ripresa in tempo. “Pronto Luca?” “Ciao Ale…” “Scusami per l’ora ma ho bisogno di un favore enorme…” “Dimmi pure amico…”
Gli spiego il problema: ho bisogno di prendere un mazzo di rose rosse da portare a Caterina. Lui non mi dirà di no. L’ho tirato fuori da una brutta situazione solo pochi mesi fa. Mi dice di are dal negozio e io dopo due minuti sono lì. Devo aspettarlo un po’ prima che arrivi. Finalmente lo vedo in lontananza con il suo o svogliato. Apre la serranda. Mi faccio preparare un mazzo di trenta rose rosse. “Quanto ti devo?” “Siamo pari…” “No amico, ti ho fatto scomodare... Voglio pagartele…” Lo convinco dopo il secondo tentativo ad accettare i miei soldi. Gli voglio bene e non voglio approfittarmi del favore che gli ho fatto per farmi regalare le cose. È un brav’uomo e meritava una seconda possibilità. Non sembra nemmeno lui a vederlo ora. Ha tagliato i capelli lunghi e si veste in modo normale. Ha rischiato di perdere tutto con il gioco d’azzardo. Quando giochi tutti i giorni finisci con l’ammalarti, chiedere soldi a chiunque e avere a che fare con gente sbagliata, che non scherza. Ho dovuto indagare in modo privato per un bel po’ di tempo prima di poter portare qualcosa di concreto a un vecchio amico che lavorava con me in polizia,
Marco Falchi. Li ho fatti arrestare. Sono bravo in quello che faccio, o meglio che facevo. Comunque l’importante è che ora lui ha avuto una seconda occasione. Non tutti hanno questa fortuna nella vita. Spero un giorno di riaverne un’altra anch’io. “Allora come te la i?” mi domanda. “Vado avanti... E tu? Giulia sta bene?” “Sì grazie... Aspetta un bambino…” “Wow... Grande o…”“Non so dove sarei ora se non fosse stato per te…” “Probabilmente sottoterra!” “Già…” “Ma ora diventerai un bravo padre come sei diventato un buon marito. Sorride. “E tu? Con Caterina nulla di nuovo?” “Purtroppo no…” “Ma tu sei ancora qui come l’anno scorso…” “È un mio dovere di uomo innamorato…” Mi fa uno sguardo a metà tra il gentile e il comionevole. Non dico più nulla. Tra dieci minuti tornerà a casa dalla sua donna, che lo ha saputo perdonare e ha
accettato di ricominciare insieme a lui. È bello. Mi fa credere che forse i miracoli esistono. Non penso che commetterà più gli stessi errori. Nei suoi occhi vedo ora una consapevolezza diversa, qualcosa che non credo di aver ancora trovato dentro di me. Luca Ghirardi, un uomo diverso. Sono felice di aver in parte contribuito a tutto questo. Finalmente il mazzo di rose è pronto. Me le dà in mano raccomandandosi di fare attenzione. Non sono molto pratico con questa roba. Ride di come le tengo in modo goffo. Lo mando al diavolo, e lui mi apre la porta evitandomi di fare un disastro. Gli lascio cento euro sul bancone. “Grazie davvero amico…” Con questo mazzo enorme mi avvio all’auto e arrivo velocemente sotto casa sua. Prendo il bigliettino e scrivo qualcosa che sia il più sincero e dolce possibile. Non mi riesce difficile e non solo perché sono uno scrittore: non devo far altro che dirle quello che sento. Lo lascio davanti al portone d’ingresso. Le mando un messaggio e le dico di prendere quello che le ho lasciato giù. Mi accerto da una posizione di sicurezza che prenda il mazzo e lo porti in casa.
Non vuole vedermi e non la biasimo. Non merito nulla di diverso. Cosa ho scritto su quel biglietto è superfluo: le mie sono solo parole di un uomo distrutto. Ciò che ricordo più volentieri di tutta quella sera è stato il messaggio che mi ha scritto lei, dopo forse mezz’ora. So che l’ha pensato molto, anche se è la risposta più semplice.
“Grazie Ale…”
Capitolo 9
Mi calmo e comincio a controllare la posizione di Mint. Questo piccolo marchingegno è roba giapponese, tecnologia superavanzata che fatico a capire. So che non può succedere nulla fino a quando il sole è in cielo. Il tono di Gordon sembrava sincero e non penso mentisse. Mettere una cimice addosso a Mint è stata una giusta precauzione ma ho come l’impressione che non succederà nulla, stasera. C’è quiete e la cosa mi innervosisce. Kelly non è di buon umore. È ancora arrabbiata per il mio comportamento di prima e il fatto di non poter mai uscire dalla stanza la rende più nervosa. “Stai bene?” “Sì” mi risponde seccamente. Ho quasi timore a continuare la conversazione. Credo di peggiorare ulteriormente le cose. Mi sento uno stronzo. Me l’ha sempre detto Caterina. Mi ricordo quelle volte in cui lei voleva parlarmi di me, di noi, e di come il nostro rapporto stesse lentamente svanendo, e io troppo preso da me stesso, da quel briciolo di successo.
Ancora non l’ho scordata, e non potrebbe essere altrimenti, anche se non ho fatto nulla per tenermela stretta e trattarla come meritava. Lei era l’unica cosa ancora pulita in tutto questo schifo che è rimasto di me. Mi vergogno di quello che sono diventato. Il pezzo di fumo è ancora sul tavolo della stanza, così lo metto via in modo rapido. Lei mi guarda come se mi volesse giudicare. L’ho delusa davvero. Non le avevo mai visto quello sguardo sul viso, come se non fossi più la persona affascinante di prima, ma solo un idiota irresponsabile che non sa neanche badare a se stesso. Portiamo delle maschere per così tanto tempo che dopo un po’ finiamo per dimenticarci chi siamo davvero, che cosa ci ha portati a tanti problemi e preoccupazioni. Prima o dopo tutto salta fuori sempre, e così il carattere, gli errori e le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. È bello pensare che sia così, anche se nel mio caso è terribilmente difficile. Negli occhi di Kelly rivedo i miei errori, il motivo per cui sono finito qui, e pensare che anche lei cominci a vedermi come sono realmente, mi terrorizza più di qualsiasi arma. Osserva fuori dalla finestra. Mi domando cosa stia pensando, cosa ci sia realmente dietro a questo silenzio estenuante. Non lo so. Mi trovo dentro alla sua testa in questo momento? Lo spero per davvero.
È provocante anche ora che non mi guarda, che finge di non conoscermi, con quel completino nero che mette in risalto tutto ciò di bello che mi fa impazzire del suo corpo. Se non stessimo litigando, probabilmente le chiederei di fare l’amore ora, qui, con tutto quello che ne segue. Non ho mai provato un’attrazione fisica così impressionante in tutta la mia vita, posso giurarlo. Il segnale dice che Mint si trova ancora nel suo quartiere. Prendo dal frigobar una bottiglietta d’acqua. Mi sembra addirittura strano dopo tutto l’alcol che ho ingurgitato prima. Non mi basta lavarmi i denti per togliermi quel sapore pesante che ho in bocca. Accendo la televisione. Cazzo, è tutto in inglese. Kelly mi sembra sorridere. “Allora, ti faccio ancora ridere?” “No.” Torna subito seria. Non mi do per vinto. Mi avvicino con un modo di fare completamente diverso da prima. Lei non vuole avermi vicino e si capisce dal linguaggio del suo corpo, maledettamente bello anche quando è arrabbiata. Mi rassegno. Sono coricato a pancia in su e non mi aspetto che lei mi venga vicino.
Anche se ho dormito pochissimo da quando sono qui non ho per niente sonno, forse per la troppa agitazione. Mi sento in prestito quando sono sveglio e non faccio nulla. Trascorre tutta la giornata prima che io mi muova dalla stanza.
La mia trasmittente comincia a segnalare movimenti di Mint. È ora. Fred deve essere a casa e non voglio chiamarlo, visto anche la condizione della sua gamba. “Senti Kelly io adesso devo andare e non so a cosa vado incontro, né se andrà tutto bene... Mi dispiace se ti ho offesa…” Lei di fronte a questa situazione non può più restarmi indifferente e così mi viene accanto. Mi prende le mani. “Ci tieni a me?” “Sì.” “Tanto da poter cambiare?” Rimango in silenzio qualche istante. Cambiare per me è una parola usata a sproposito almeno un centinaio di volte e non penso di essere mai stato sicuro del suo reale significato. Non vorrei mentirle almeno questa volta. “Te lo dico quando torno…” Lei mi guarda e stacca le sue mani dalle mie.
“Io ti aspetto…” È tutto pazzesco. Mi sembra di vivere una scena di uno di quei film d’amore degli anni cinquanta, quando il protagonista deve lasciare la moglie per andare ad affrontare la sua ultima missione. Io spero con tutto me stesso che questa per me non lo sia, ma mi piace sapere che esiste qualcuno con l’intenzione di aspettarmi. Non è mia moglie, ma è la persona che mi ha conosciuto meglio da cinque anni a questa parte. Con lei sto bene e nessuno può nemmeno rendersi conto di quello che rappresenti ora per me. Non c’è un avversario che non affronterei per salvarle la vita, perché in fondo penso che sarebbe l’unico modo per salvare anche la mia. Sono pronto ancora una volta, senza indietreggiare di un o, senza la minima esternazione di paura, con la voglia di mettere a posto le cose. È il momento di mettere da parte i sentimentalismi e concentrarmi su quello che è il mio vero obiettivo: evitare altro sangue innocente. Vedere Mint che si muove a quest’ora, quando la mezzanotte è ata da un po’, non mi rassicura per niente. Fa un freddo allucinante. Comincio addirittura a pensare che Gordon sia fuori da questa storia. Non riesco a darmi spiegazioni riguardo alla sua posizione: insomma penso che non abbia il minimo interesse a mandare il suo uomo ad ammazzare una prostituta in questo momento, proprio ora che gli abbiamo promesso di far fuori il suo rivale storico. Eppure Steven Mint si sta dirigendo proprio nel vicolo in cui si raggruppa la maggior parte delle prostitute del giro di Galletti.
È tutto molto strano. Seguo le indicazioni dell’apparecchio che tengo con la mano sinistra. Guido senza difficoltà per la Londra deserta di periferia che solo a quest’ora si può osservare. Mi muovo come se vivessi qui da sempre. Finalmente arrivo a una distanza tale da vedere la macchina senza dover ricorrere alla trasmittente. Arriviamo nella via famosa. Ci saranno almeno trenta prostitute ai due lati della strada. Mint accosta. Parla con una di loro. È alta e mi dà l’idea di essere sporca. Ha una carnagione bianchissima e i capelli nerissimi. Mi sembra di vederle dei piercing sul naso e sotto la bocca. Non mi distraggo a guardarla. Non pagherei mai per andare con una ragazza così e mi domando chi diavolo potrebbe farlo. Penso che Kelly non abbia niente a che fare con tutte queste ragazze. Lei non è vestita in questo modo osceno, ha uno sguardo sveglio e non sembra una prostituta. Ho incontrato la migliore di tutta Londra. Mi infastidisce quasi pensare che Kelly possa essere messa sullo stesso piano delle altre da chi a in auto e si ferma a guardarle.
Lei è completamente diversa. La prostituta sale sull’auto. Io li seguo. Percorre vie deserte e piccoli vicoli in quartieri in cui certo non mi sentirei sicuro di notte. Mi domando come faccia una ragazza a fare questo lavoro. Penso a Kelly che si vende a uno sconosciuto e la sola idea mi fa mancare il fiato come se la potessi vedere. Devo stare lucido. Accosta in un’altra via. Escono due uomini grossi, due neri. Mint scende da solo dall’auto. Mi sembra che gli stiano dando delle bustine di droga. Quel bastardo vuole divertirsi completamente. Non va tutto come credevo: uno dei due neri si avvicina a Mint con l’aria arrabbiata, sicuramente non soddisfatta. Lo colpisce con un pugno, mentre l’altro sta fermo dietro. Mint cade contro la macchina: il negro lo prende per la camicia, ma a un tratto si ode uno sparo. Il rumore è stato fortissimo e inaspettato. L’uomo che lo teneva per la camicia crolla a terra. L’altro è incredulo: non penso che sarebbero voluti arrivare alle armi. Si avvicina disperato al compagno, e constata che è morto.
Mint non esita a sparare in testa anche al secondo, il tutto davanti agli occhi della puttana terrorizzata. Riprendono di nuovo la marcia, lasciando i due uomini in mezzo alla strada come sacchi della spazzatura. Non posso far altro che star fermo e continuare nel mio percorso. Come direbbe Fred: “Due criminali in meno.” ano un paio di minuti. Si fermano in un vicolo stretto e isolato. Io spengo l’auto e con o svelto e silenzioso mi avvicino alla loro. La portiera si apre. Mi nascondo dietro a un cassonetto della spazzatura. La prostituta è terrorizzata. Mint scende dall’auto con la pistola in mano. Si porta dietro a un edificio isolato e buio, tenendola per un braccio. Quando si fermano, corro e vado a vedere. Lei è supina per terra. Continuo a spiare. Li sento parlare finalmente. “Su puttana…” Lei gli cala i pantaloni e comincia a succhiarglielo, con la disperazione e il terrore negli occhi. Inspiegabilmente, dopo venti secondi, lui tira fuori la pistola.
“Ti faccio paura, vero?” le dice puntandogliela alla testa. Lei continua a succhiare cercando di non sbagliare nulla. Spara un colpo. Cazzo, l’ha colpita a una gamba. Lei grida dal dolore. “Continua o sei morta…” La puttana ricomincia a succhiare, con il sangue che sul pavimento aumenta a vista d’occhio. Non posso più stare a guardare. Sono a circa dieci metri da me. Mi ha detto Fred che Steven Mint è uno dei più veloci con la pistola, quindi ho un solo colpo per renderlo innocuo altrimenti probabilmente sarò morto. Prendo la mira con quanta più precisione posso. Mi trema leggermente la mano ma cerco con tutta mia concentrazione di tenerla ferma. Esplodo il colpo, ma non mi sento sicuro non appena il proiettile parte. È un secondo. Mi rendo conto di averlo colpito alla mano. La pistola gli cade e lui grida. La puttana si stacca e si allontana il più possibile da lui, strisciando. Non penso si fermerà a ringraziarmi. Mi avvicino a Mint.
È un uomo magrolino, con la faccia scavata e lo sguardo da persona non socievole. “Pensavo che voi non faceste queste cose.” Lui mi guarda senza parlare. Devo ammettere che qui a Londra mi sembra di aver trovato persone più coraggiose di quanto ricordassi. Mi sembra di essere guardato con sorpresa. Nessuno mi ha ancora implorato di non sparare. “Non mi vuoi dire niente?” gli domando. Continua a stare muto. “Lo sai che se non parli sei già morto?” “Tanto lo sarei comunque, e presto toccherà anche a te…” Fa una risata che vuole sembrare divertita, anche se si stringe forte la mano che gli ho colpito. “Io sono quello con la pistola in mano e tu quello con il culo a terra…” “Credi di farmi paura?” “Non lo so dimmelo tu…” “Tu sei nella mia stessa barca…” “Cosa vuoi dire?” Continua a trattarmi come se entrambi avessimo una pistola puntata alla testa, ma non riesco a capirne il motivo. “Che presto toccherà anche a te…” “Perché dovrebbe toccare a me?”
“Perché quando entri in questa merda prima o poi tocca a tutti!” Ride di nuovo. Mi sta prendendo in giro anche se è lui che sta per morire. “Mi dispiace amico ma io sono dall’altra parte…” “Vedo con piacere che non hai ancora capito nulla…” Penso che stia vaneggiando, cercando di farmi paura e guadagnare tempo in attesa di un improbabile colpo di scena che gli possa salvare la vita. Odio questa città. Odio questo psicopatico. Sono stanco di trovarmi in queste situazioni. “Dimmi perché state continuando…” “Uccidimi e finiscila di fare lo sbirro buono…” Non riesco a tirargli fuori una parola in nessun modo. “Ultima possibilità…” Gli dico con tono deciso. “Non hai il coraggio?” Gli sparo all’altro braccio e lui grida per il dolore più forte di prima. “Bastardo!” mi grida. “Ci sono tanti modi per morire…” continuo io, puntando la pistola verso la sua gamba sinistra. “Che cazzo credi di ottenere?” Gli sparo anche alla gamba.
Lo sto torturando come un sadico figlio di puttana che gode a veder soffrire le proprie vittime. Sono convinto che non cederà più. Ma merita molto più di quello che gli sto facendo. “Addio Mint.” Non mi rimane altro che premere il grilletto e ucciderlo. Quando il proiettile gli colpisce la testa facendogli uscire il cervello da dietro, penso di aver appena salvato non solo la puttana di stasera, ma tutte quelle che ho visto in quel vicolo. Adesso la situazione si complica ancora. Ho fatto fuori l’uomo di fiducia di Galletti e poi quello di Gordon. Ci sono dentro fino al collo. La mia posizione è quella di un uomo che si trova nel bel mezzo di una sparatoria e che spera solo di resistere in piedi più a lungo possibile. Mi sento ancora una volta solo, come ogni volta in cui succede qualcosa di nuovo in tutta questa faccenda. Telefono a Fred. “Ehi?” Ha la voce di chi è stato svegliato e la cosa non mi stupisce visto che sono le due di mattina. “Ale?” “Sono io…” Penso di preoccuparlo con questa chiamata inattesa. “Dimmi.”
“Gordon non ha rispettato la parola…” “Cioè?” Ora il suo tono è già più sveglio e presente di prima. “Ha mandato Mint a ucciderne un’altra di Galletti…” “Cosa?” “Ma io l’ho anticipato…” “E?” Sta pendendo dalle mie labbra. “E sono di fronte al mio amico Mint, ma non ha una bella cera…” “Cazzo, l’hai fatto fuori?” “Sono stato costretto…” In realtà avrei potuto chiamare la polizia e lasciare che se ne occuero loro, ma so che la prostituta mai avrebbe testimoniato e lui sarebbe stato libero dopo appena qualche ora. Meglio tagliare i rami marci. Questa mia mentalità mi ha portato a essere quel che sono. Nonostante la droga, l’alcol e tutte le vagine in cui cerco continuamente di entrare senza una tregua, penso di essere stato un bravo poliziotto e di essere ancora una brava persona. “Va bene ho capito... Vattene da lì prima che arrivi qualcuno…” “Certo.” “Domani dobbiamo studiare qualcosa.” So che nonostante il tono, Fred la pensa esattamente come me e al mio posto non
avrebbe avuto dubbi a fare fuori quel bastardo. “Stai attento, amico…” mi dice. “Come sempre.” “A domani.” Parto con la macchina e mi allontano più in fretta possibile da lì. Sto andando forte perché ho voglia di vedere il viso di Kelly. È strano da dire ma ogni volta in cui penso a Kelly, automaticamente mi viene in mente anche Caterina. Non si assomigliano per niente, ma riescono a farmi provare entrambe una sensazione stranissima, come un barlume di speranza in mezzo ai miei problemi. Me la immagino lì nella stanza ad aspettarmi e chiedersi preoccupata se farò ritorno. Penso già a quando mi abbraccerà. Voglio portarla fuori da tutto questo. In fondo non è quello che merita una ragazza giovane e intelligente come lei. Tante volte in certe situazioni ci si finisce senza rendersi conto delle cause, un po’ come mi aveva detto lei la prima volta in cui abbiamo parlato. Di sicuro io in questa situazione mi ci sono infilato per mia volontà e fino a quando non sarà finita, in un senso o nell’altro, non voglio smettere di giocarmi le mie carte migliori. Ho una bottiglietta d’acqua naturale in macchina. Ne bevo un sorso poco prima di arrivare.
Capitolo 10
Quando parcheggio l’auto davanti al motel il mio telefono suona e capisco che è arrivato un messaggio. Lo tiro fuori con la mano dalla tasca sinistra dei miei pantaloni, mentre con la bocca tengo la sigaretta. Il mittente è Caterina. Il battito del mio cuore tutto d’un tratto è più veloce e prima di aprire il messaggio cerco di tranquillizzarmi facendo un respiro molto profondo.
“Mia madre è morta... È giusto dirti che domani ci saranno i funerali qui a Roma…”
Cazzo. Sonia, la madre di Caterina era una persona fantastica. È l’unica di tutta la famiglia che mi ha voluto bene anche dopo il nostro divorzio, e se Caterina è arrivata a mandarmi un messaggio per avvisarmi, vuol dire che davvero con lei c’era un rapporto speciale. Ricordo ancora quando mi invitava a pranzo a casa e rideva sempre a tutte le battute che facevo a Caterina, quando insisteva per farmi mangiare una fetta in più di torta o bere un goccio in più di digestivo. Era malata di tumore da un paio d’anni, e la notizia sicuramente sarà stata nell’aria già da qualche settimana, ma non potevo saperlo. Pensare che sia morta proprio ora che io sono qui lontano a Londra, in mezzo a
questo casino, mi fa dispiacere ancora di più. Vedo morti tutti i giorni, ma la perdita di una persona cara a lei mi distrugge, come se avessi appena perso una parte di me. Non so quanto possa contare per Caterina, ma per sua madre sarebbe stato molto importante la mia presenza al funerale. Mi viene la tentazione di tornare in Italia un paio di giorni. Certo che qui ci sono troppe cose in bilico e da sistemare. Ora la mia vita non è più al sicuro come quando sono arrivato e anche andarsene non penso sia semplicissimo arrivato a questo punto. Forse pensare troppo non mi farà bene. Devo agire d’impulso come ho sempre fatto, senza pensare alle conseguenze dei miei gesti: almeno ora so che sarebbe la cosa giusta. Prendo in mano il telefono e compongo il numero di Caterina. Fa due squilli. “Pronto.” La sua voce è triste: sta piangendo. “Ciao.” “Ciao Ale.” Non so esattamente come iniziare questa conversazione con lei. Non ci scambiamo una parola da chissà quanto. Mi mancava questa voce. “Volevo dirti che mi dispiace molto per Sonia…” “Grazie.”
“Sai che ci ero molto affezionato…” La sento singhiozzare. “Sì, lo so…” Trascorre qualche secondo di silenzio prima che sia lei a pormi la domanda. “Vieni al funerale?” “Sono a Londra in questi giorni…” “Ah, non fa niente.” Capisco dal suo tono quanto sia dispiaciuta. È come se le avessi spezzato l’ultima speranza. “Sto cercando di risolvere un caso molto delicato…” “Sì non ti devi giustificare…” “Se riesco vengo.” So di averla fatta felice con questa frase, anche se il suo orgoglio non le permetterà di dirmelo. “Davvero, non preoccuparti…” “Ci terrei molto a venire…” Forse la sto mettendo in difficoltà. Non sa se la mia sia solo una frase di circostanza, oppure verrò davvero ad assistere al funerale. Devo fare in modo di esserci. Non mi importa ora della situazione in cui mi trovo. Lo devo a Sonia e lo devo a lei.
“Vengo di sicuro” le dico un attimo dopo correggendomi. “Allora va bene... Se non è un problema per te.” “Certo che non lo è... Ti chiamo quando arrivo a Roma…” “Grazie.” “Prego, amore.” La parola amore mi è scappata, forse è la forza dell’abitudine. Non mi dispiace per nulla averlo detto. Lei fa finta di nulla, come pensavo. Salgo in stanza. Kelly è coricata ma non appena sente la porta aprirsi mi guarda. “Ehi, come stai, Ale?” Le dico che va tutto bene e le do un bacio. Mi chiede cosa sia successo in tutte queste ore e così le racconto tutta la storia, il vicolo buio, la morte di Steven Mint, le sue parole prima che gli sparassi, la morte della madre di Caterina. Ho parlato in modo così veloce e disattento che mi sembra quasi di non averle trasmesso nulla dell’accaduto. La morte di Mint mi sembra già distante mesi, anche se l’ho provocata da poco più di un’ora. Nella mia testa ci sono tanti ricordi, non solo di Sonia e della mia simpatia nei suoi confronti, ma più in generale di quei tempi in cui i pranzi insieme ai parenti ci univano come un’unica splendida famiglia. La tavola grande a casa sua era sempre imbandita di decine di piatti, e si rideva, si respirava un’aria vera di casa che negli ultimi tempi ho potuto solo immaginare.
Non ha niente a che vedere con la stanza di questo motel, con la mia vita appesa a un filo. Erano tempi felici, per la mia breve esistenza, in cui sentivo la protezione che tanto mi manca ora. Una meravigliosa vita così nascosta da anni di eccessi e sbagli a ripetizione, come il peggiore dei peccatori. L’orologio scorreva sempre troppo in fretta, lo ricordo bene: il dolce arrivava con la consapevolezza che le nostre risate erano già state abbastanza, almeno per quelle giornate. Fumo un’altra sigaretta in stanza. Sono nervoso e teso. Non so come sarà rivedere quella gente. L’unica persona che mi voleva comunque bene, sarà proprio lei, chiusa in quella bara di legno. E Caterina sarà sempre bellissima, ne sono certo. “E quindi tornerai a Roma?” Con la sua domanda, Kelly interrompe il mio pensare lungo e malinconico. “Sì.” “Ma qui è tutto un casino…” Colgo paura nella sua voce. Penso che pagherebbe qualunque cifra per non vedermi andare via. Probabilmente teme di non rivedermi più, che il ritorno a casa mi farà dimenticare tutto. “Lo so…” mi limito a risponderle.
“Hai ucciso gli uomini migliori dei due boss mafiosi della città, ora non puoi scappare come se nulla fosse e lasciarci in balia degli eventi…” “Non sto scappando... Starò via solo un giorno.” “E io dove vado?” “Ora risolviamo anche questa.” Mi concentro, ma non è facile inventarsi qualcosa, ancora una volta. Riesco a dormire tre ore e arrivare al mattino. La prima cosa che faccio è chiamare Fred per spiegargli la situazione. Gli dico che non posso comportarmi in modo diverso. Devo andare per forza a Roma. Starò via solo un giorno. “E Kelly dove la metti?” “Da te…” “Sei pazzo?” “No.” “Non posso farla dormire qui…” “Dici a tua moglie l’accaduto e le chiedi se potete ospitare la mia ragazza per un giorno…” “Mi metti nella merda…” “Da quando ti conosco siamo sempre nella merda…” Lui non ride alla mia battuta ma so già che accetterà la mia richiesta, come ha sempre fatto.
“Ventiquattro ore, poi vengo a cercarti a Roma.” “Sei un amico…” Lei ha sentito la mia chiamata, ma non è entusiasta. “Allora mi abbandoni?” “Per ventiquattro ore…” Lei si veste controvoglia. La accompagno a casa di Fred. Prima di andare le prometto che tornerò prestissimo. Lei mi guarda con un’espressione particolare: non so se creda davvero a quello che le dico, ma mi fissa come si fissa un sogno, subito dopo il risveglio. Le do un bacio, forse perché me ne sento in dovere, o soltanto per risultare un po’ più credibile ai suoi occhi belli e lucidi. Fred mi dà la mano. “Torna presto, amico…”
È ora. Mi faccio accompagnare da un taxi. Quando sono in aeroporto prendo il primo volo Londra – Roma e mi imbarco dopo un’ora. Spero di non avere nessuno accanto perché questi aerei hanno posti stretti e io sono già abbastanza stanco per dovermi comprimere nel mio piccolo sedile. Purtroppo le mie speranze vengono vanificate cinque minuti prima del decollo. Un uomo sulla cinquantina appoggia la valigia nel ripiano sopra al mio posto.
Si siede qui accanto. Almeno che non sia uno di quelli che parlano con chiunque per are il tempo. Non ho per niente voglia di conoscerlo. Tira fuori dalla sua borsa un libro. Non credevo che Eroe sarebbe stato stampato in russo. L’idea delle mie parole così forti da entrare anche nella testa di una persona che non parla la mia lingua mi crea uno strano senso di appagamento. Il mio ego viene sempre prima di tutto, da una vita. Non è per la fama né per il successo: è solo per me. Per quell’ora non scambio nemmeno una parola con quell’uomo, ma la sensazione di che mi fa provare questa scena mi aiuta. È come riacquistare un po’ di fiducia dopo aver toccato il fondo. È un’ora importante per la mia vita. Dopo l’atterraggio mi stringe la mano, come se avesse capito che quell’uomo di cui stava leggendo sono proprio io. Mi dice una frase in russo che io ovviamente non posso comprendere. Riconosco però il mio nome pronunciato con quell’accento strano. Gli accenno un sorriso di intesa. Quest’uomo sulla cinquantina, alto poco più di me e con questo sguardo nordico e i colori chiari sembra il mio opposto. Ha un aspetto pacioso. Non ha la minima idea di chi sia io realmente e forse è per questo che si sente così contento a vedermi.
Se sapesse che bastardo sono stato nella mia vita forse mi prenderebbe a sberle, proprio come farei io con me stesso tutti i giorni. Ecco che la mia soddisfazione si è trasformata rapidamente in autocommiserazione e rifiuto. Non è una novità per me. Me ne vado. L’idea che tra poco sarò di nuovo accanto a Caterina mi fa sentire maledettamente vivo. Atterro e mi ritrovo a Roma, e tutto è esattamente come l’avevo lasciato pochi giorni fa. Mi faccio portare da un taxi davanti alla chiesa che mi ha detto Caterina per telefono ieri sera. Eccomi arrivato. C’è poca gente, una ventina di persone al massimo. La vedo. È splendida. Ha gli occhi pieni di lacrime ma questo non basta a farmela apparire meno affascinante. Mi viene incontro con un o lento e dubbioso, e io la guardo compiere ogni movimento e mi sembra di memorizzare quei momenti nella testa, come se li potessi ricordare anche in un futuro lontano. Ha quell’eleganza che ho sempre rimpianto con la malinconia delle notti insonni e dei giorni trascorsi inutilmente. “Ciao.” È così strano sentire la sua voce di persona.
Mi fa emozionare molto più di ieri sera per telefono, forse perché a esserle di fronte posso sentirne il profumo, fissare quegli occhi azzurri, quel naso piccolo, gli zigomi, i denti bianchissimi. “Ciao.” “Grazie per essere venuto…” “Non potevo non farcela.” La abbraccio forte, come se le volessi far sentire che io ci sono nonostante i miei sbagli e tutto quello che ci ha separati. Lei mi abbraccia in modo dolcissimo: mi sembra quasi una ragazzina spaesata in questo momento. Vorrei che questo istante durasse per sempre. Quello che c’è tra di noi ora è tutto ciò per cui ho vissuto questo tempo. Non so quante cose le direi, ma tutto mi sembra inappropriato, fuori luogo e con dei seri rischi di rovinare questo abbraccio. Si stacca dopo forse un minuto. Va verso la chiesa e io la seguo senza che mi dica niente. Saluto con il segno della croce il Signore, che a dire la verità non vedevo un po’, e poi rivolgo lo sguardo verso la madre di Caterina che è come se fosse qui con noi in questo momento. Non piango, ma provo una tristezza indescrivibile a pensare che non la potrò rivedere più. I parenti escono e mi accorgo dallo sguardo del padre di Caterina di non essere il benvenuto. Se venisse qui ora a dirmi di andarmene, lo farei senza fiatare. Per fortuna continua la sua camminata dietro alla moglie e io posso rimanere con lei ancora un po’.
Quando tutta la cerimonia è finita e le persone se ne vanno, rimango da solo con Caterina. “Quando riparti?” mi domanda. “Stasera…” “Non sapevo che avessi ricominciato a fare il poliziotto…” Le ultime lacrime si stanno asciugando e il suo tono sta tornando alla normalità. “Non ho ricominciato infatti... Mi ha chiamato Fred per aiutarlo in un caso, ma è tutto un casino più grosso di me…” “Non ti hanno mai spaventato queste cose…” “No, infatti.” “Andrà bene anche stavolta…” È così carina a cercare di rassicurarmi. “Lo spero.” Si accende una sigaretta. “E quando finirà tornerai in Italia o rimarrai lì?” “Non lo so... Non ho molto qui…” “No?” “Qui avevo solo te e poi ti ho persa…” “Non esistono giusto e sbagliato ma solo le conseguenze delle nostre scelte…” Glielo ripetevo sempre. “Ognuno ha quello che si merita…” le dico io. Fa un sorriso e lo faccio anche io.
“E se tornassi in Italia avrei qualche possibilità di ricevere risposta alle mie telefonate?” Non so dove possa avere trovato il coraggio di porle questa domanda, ma ormai è uscita e non posso far altro che attendere la sua risposta. Sono nervoso e mi trema un po’ la gamba. “È difficile dirlo…” Un brivido mi attraversa tutto il corpo e per un istante mi sembra che Caterina sia davvero felice di avermi accanto. Mi avvicino a lei e alle sue labbra. Lei non indietreggia, non dice nulla, rimane immobile. Le do un bacio con tutta la dolcezza e la delicatezza che possiedo. Ho quasi paura ad andarci a contatto all’inizio, e pian piano ci avviciniamo sempre di più con i corpi, con le lingue, con le mani. È un bacio splendido. Provo una sensazione incredibile, forse unica nella mia vita. Mi sento per la prima volta al massimo, perché sto conquistando la cosa più importante che io abbia mai desiderato. In questo momento non m’importa nulla di Fred, di Kelly, dei mafiosi e delle prostitute, e nemmeno dell’alcol, del fumo e del sesso. Voglio rimanere qui. Le nostre labbra non si staccano e attraverso i suoi movimenti rivivo la mia vita e mi rendo conto che anche per lei questo momento rappresenta tutte queste sensazioni. Se mi sparassero ora morirei felice. Caterina è la persona per cui ho sempre lottato, per cui ho vissuto.
L’ho buttata via come solo un idiota come me poteva fare, ma ora eccomi qui, di nuovo. Forse Sonia non sapeva che persino con la sua morte sarebbe riuscita a farmi un dono prezioso, e per questo la adoro, ancora più di prima. Sono felice come credevo non sarei più stato. Quando le nostre bocche si staccano rimane un silenzio di imbarazzo. Devo dire qualcosa. Le prendo la mano. “Io sono ancora innamorato di te…” “Oddio Ale, perché fai così?” Cerca di prendere le distanze, dandomi l’idea di essere pentita per quello che abbiamo appena fatto. “Perché è vero e non posso mentirti…” “Non voglio più soffrire per te…” “Dimmi se mi ami…” “Non voglio più soffrire per te…” “Ti prego! Dimmi se mi ami ancora…” Non mi risponde, ma lo capisco dal modo in cui tiene lo sguardo basso, dall’intensità con cui stringe la mia mano. “Non voglio più farti soffrire…” La bacio di nuovo. Rimaniamo lì in piedi davanti alla chiesa per due ore. Ho le mani congelate, e anche tutto il resto del corpo, ma non ho la minima
intenzione di muovermi da qui. Maledico la giacca leggera che ho addosso con sotto solo la solita maglietta. Sono momenti difficili da spiegare. È tutto esattamente come nei sogni che ho fatto a ripetizione in questi anni. Il rumore di qualche macchina che a non riesce a rovinare l’intreccio dei nostri pensieri, ora vicini come non mai. Dopo un altro bacio lunghissimo e intenso, lei si tira indietro, ancora una volta. “E ora che si fa?” mi domanda. Non ho dubbi su quello che voglio fare della mia vita. “Ora vado a risolvere questa cosa e poi torno da te…” Devo tornare alla mia guerra. Voglio chiudere questo discorso per sempre e poi tornare dalla donna della mia vita: nient’altro conta. Mi accompagna lei all’aeroporto. Il mio volo parte tra poco. È il momento di salutarsi, adesso. “Tornerai?” “Te lo prometto…” Non mi pare possibile essere arrivato a questo. La donna della mia vita che mi aspetta ancora una volta, nonostante tutto quello che le ho fatto. “Allora io sono qui…” mi risponde.
Le faccio un sorriso e la bacio ancora. “Tu risponderai al telefono?” le chiedo. “Promesso.” Sono riuscito a farla sorridere. La guardo un’ultima volta prima di risalire sull’aereo. Durante il decollo mi sembra quasi di poterla vedere, mentre mi saluta per l’ennesima volta. Mi sento un’altra persona dopo appena poche ore. Voglio solo risolvere questo casino e tornare da lei. All’aeroporto di Londra ho un taxi che mi aspetta. o da Fred. “Ale.” È lui. “Allora come è andata?” “Bene.” Nota immediatamente il mio tono completamente diverso da quello che avevo prima di partire. “Sì?” “Torno con Caterina…” Lui mi guarda con un’aria sorpresa. Gli ho parlato poco di lei in questi giorni, ma gli è bastato guardarmi durante il mio percorso per capire che cosa mi mancava davvero.
“Cosa?” “Sì.” “Cazzo, sono felice per te, amico.” Mi batte una pacca sulla spalla. Io sorrido. “Per cosa?” interviene Kelly arrivata in questo momento in giardino. “Nulla” le risponde Fred. Lei non indaga oltre, ma è evidente dall’espressione che porta sul viso che qualcosa la stia turbando. Ci mettiamo dentro a discutere del modo per venire fuori da questa situazione. “Non c’è Sara?” “È a far la spesa.” Significa poter parlare liberamente o quasi. Riflettiamo su tutte le morti, sull’ordine in cui sono avvenute, sui personaggi che abbiamo trovato sui luoghi dei delitti. Arriviamo alla conclusione che probabilmente entrambi i boss stanno continuando la loro guerra a distanza, e poco importa chi sia stato a scagliare la prima pietra. L’unica soluzione a questo enigma è eliminarli tutti e due. Non ho la minima idea di come possano due cittadini normali pensare di poter uccidere i due principali personaggi della malavita di Londra. “Noi non siamo due cittadini normali... Siamo due bastardi che ne hanno ate tante insieme…” Fred cerca sempre di caricarmi come un allenatore con il suo giocatore, ma
questa volta posso percepire la sua preoccupazione ben chiara negli occhi. “Sì ma questa potrebbe essere l’ultima…” gli rispondo io. “Lo dicevamo prima di ogni caso…” “È vero…” Mi metto a ridere e lui mi segue. Kelly in questo momento sembra non centrare nulla con noi due. “Ed è per una giusta causa.” Fred non ha bisogno di convincermi, perché sono già convinto di chiuderla come va chiusa. Accendo ancora una sigaretta, ripensando allo sguardo dolce di Caterina, al ato che credevo di aver perso per sempre. Mi viene in mente il modo in cui fumava la sua sigaretta, l’abbraccio lungo un minuto, ma per me molto di più. È stato un miracolo. Mi sento parte di un miracolo. I suoi occhi sono dentro ai miei ora, e non riesco a non pensarli. Mi manca Roma, ora davvero. Non mi importava nulla della mia vita, avrebbero potuto spararmi e buttare il mio corpo in mare senza farmi versare una lacrima, ma ora no. Adesso sento l’importanza del dono della vita, della meraviglia che quella ragazza è riuscita a trasmettermi ancora. Non voglio morire. Voglio vivere con lei, voglio vivere per lei.
Non so quanto sono diventato forte, ma sono certo che il muro davanti a me è alto e composto di tutti quei vizi che me l’hanno fatta perdere per sempre. La mia guerra la combatto contro me stesso. Non sarà facile battere tutto questo e tornare finalmente dall’unica donna che abbia mai amato. È finita la mia sigaretta, che ho aspirato fino all’ultimo tiro possibile.
Lettera
“Sono sempre convinto che la fede in Dio, nonostante la sua totale falsità, serva un po’ a tutti, anche a me. Quando ero solo un bambino mi domandavo se sarei mai stato obbligato a lasciare questa terra prima o poi, oppure avrei avuto la possibilità di rimanerci per tutto il tempo che volevo. Me ne andavo in chiesa, nei giorni in cui non s’incontra nessuno se non qualche vecchia bigotta inginocchiata in silenzio. Infilavo il dito indice nell’acqua santa, me lo puntavo al cuore e poi cominciavo a parlare da solo, convinto che qualcuno in quel luogo mi stesse a sentire. Quando uscivo mi sentivo un po’ meglio, come se lì dentro avessi parlato con un amico o qualcosa del genere. Crescendo, mi rendevo conto di come stessi diventando egocentrico, di quanto mi interessasse solo ciò che sono io, che faccio io, che sento io. Ho trasformato in competizione qualsiasi aspetto della mia vita, senza più accorgermi dell’importanza di tutti gli sbagli. Ho visto una persona cara andarsene per sempre, troppo presto per chi come me le voleva bene, e ho cominciato a nascondermi dietro a una sicurezza ostentata ma non invincibile. Ecco: invincibile. Mi sono sentito così durante i miei risvegli, forte come sa essere solo chi non ha paura di nulla. Ho cercato l’amore, la felicità e ogni altro stato che mi fe sentire realizzato fino in fondo, arrivando alla conclusione che la mia coperta è troppo corta e da qualche parte bisogna sempre scoprirsi.
A forza di tirarla da tutte le parti ho finito per romperla quella coperta e tutto quello che ci ho trovato fuori non mi è piaciuto per niente. Sto provando a vivere al massimo, cercando per quanto ne sono in grado di eliminare i rimpianti alla radice. Non è semplice ma è l’unico modo in cui riesco a esistere. Sento uno strano buco nello stomaco, ora: è uno di quei giorni in cui il fisico riflette il nero della mia anima. Mi tengo forte con la mano, per cercare il più possibile di attutire il dolore. So che è una cosa eggera, come sempre. Pensare che a ogni istante comincerò a provare un briciolo in meno di dolore, mi aiuta a viverla meglio e più o meno questo è il ragionamento che adotto in ogni situazione della mia vita. Avrei mille momenti da raccontare, che mi farebbero sentire ancora una volta in cima, come ho sempre creduto di meritarmi. Qualsiasi sia la mia forza, dovunque troverò il mio equilibrio, è lì che voglio stare. Avrei molto da dire sulle promesse che Dio non ha mantenuto, ma non mi piace parlare di chi non è presente. Faccio finta di nulla e vado avanti, un po’ più solo ma un po’ più forte, perché è questo che mi porta il mio destino. Voglio osare sempre, e so che non è un male. È un rischio che devo correre per non annegare in una monotonia che mi ucciderebbe pian piano. Ho paura. Ho paura e non potrebbe essere diverso. Me lo sono sempre detto che prima o poi sarebbe finita.
È troppo facile pensarci ora, ora che non c’è più niente da fare. È la solita storia che mi ripeto ogni volta, cercando di imparare qualcosa da questa carcassa che continua a essere la mia vita. Quante donne, quanti volti che ora a distanza di tempo ricordo appena. In ogni ragazza con cui sono stato ho trovato un capello, uno sguardo, una parola che mi ha fatto innamorare pazzamente di lei, anche se solo per pochi secondi. È tutto così ingiusto, in fondo chi sono io per cambiare le cose? Non ho più nemmeno la forza di convincermi con qualcuna delle mie scuse, tanto ora non mi servono a ingannare me stesso. Spero solo che ogni casella torni al suo posto, anche se io non ci sarò, anche se dovrai andare avanti senza di me. In fondo non ho mai meritato tutto quanto, più di quello che i miei falsi sorrisi hanno sempre cercato di dimostrare. Cosa mi rimane di te se non i momenti più belli, quelli più veri, nonostante tutti i segreti e gli errori che non dovevo. Volevo farti questo regalo, e in fondo credo sia il minimo per uno come me, che ha sempre vissuto così, senza darti quello che ho sempre pensato valessi. Non hai cambiato come sono, ma hai cambiato la mia vita e credo che questo sia già tanto. Il bambino che si puntava il dito al cuore è ormai lontano, niente più di un ricordo impersonale che non riesce nemmeno a scaldarmi. Sono arrivato alla conclusione che non credo in Dio, perché credo troppo in me stesso. Non serve farmi ancora male perché prima o poi la fine arriverà per tutti e non ci si può far nulla. Ho amato il modo, l’aspetto e la sostanza di quello che sei, e nonostante questo
non ce l’ho fatta a essere chi avrei voluto, nemmeno per un momento. Chiedere altro tempo sarebbe esagerato quanto inutile. Quelli come me non li cambi, non servono scuse o grandi gesti, anche se in quelli ho sempre dato il massimo, ma si sa, il massimo è relativo quando non sei Dio, e nessuno può cambiare questo. Una vita così non l’avrei immaginata da bambino e in fondo tu sei stata un dono inaspettato, di quelli che non sono facili da gestire con un carattere così, con una vita così, con tutto quello che ne segue. Mi viene voglia di correre via, di stamparmi indelebile questa canzone di Elton John che ancora mi fa compagnia e mi assiste dopo tutti gli errori. E se lasciassi ogni cosa, andassi a cambiare vita e fare ciò che ho sempre sognato fin da piccolo, saresti l’unica cosa di cui sentirei la mancanza. Scusami davvero, anche se non è facile. Dare peso all’esperienza è il metodo di chi sbaglia e in fondo in un modo o nell’altro, come vittime o carnefici tutti sbagliamo qualcosa. Ho venduto l’anima a talmente tante persone che ormai non mi rimane altro che la tua presenza, il tuo ricordo, quel modo che hai di toccarti i capelli e annodarli. Sembri elegante in qualsiasi azione ed è questo che mi è sempre piaciuto di te, come l’odore, la dolcezza e le tue gambe. Non è quel genere di cose che si scrivono in certi momenti, ma è così bello che mi manca tutto il resto. Ogni movimento, gesto, sguardo, e tutta la rabbia con cui mi hai guardato alla fine di tutto, quando hai lasciato il tuo letto di ingenuità e sei salita finalmente su quello di vero che ho cercato di farti capire in mille modi, continuando a inciampare nelle stesse azioni, negli stessi errori che ormai mi hanno coperto del tutto, senza più possibilità di redenzione, se non per il tuo perdono così difficile e insperato che mi fa sentire stupido. Ho perso tutto e le parole sono così vere proprio per questo.
Penso che trascorrerà molto tempo prima di ritornare alla vita, alla convinzione di potermi rialzare dopo ogni stop. Non esiste un’altra te ma lo sapevo anche prima. Valgo così poco in questo momento che probabilmente anche vendere di nuovo la mia anima non mi farebbe star peggio. Sono steso su migliaia di dubbi, di punti di domanda che non so se cancellerò mai più. Per così tanto tempo ho cercato di essere quello che volevi, a volte convincendomi che non esiste alcun ostacolo quando ci credi sul serio, prima di sbattere in modo così violento sulla verità, proprio quella che ho nascosto per non perderti. La canzone è finita forse per la ventesima volta, ma sono stufo di ascoltare le sue parole ricordarmi cosa ho sbagliato e quali sono le conseguenze. Ho fottuto la mia vita, e ora è difficile rimettersi. È come se mi guardassi. Avrei voluto un lieto fine, uno di quelli da ricordare nel tempo, da raccontare ai nipoti, anche se forse a quel tempo non sarò esattamente come ho sognato. Affogo lentamente e ormai non ho più molto da fare. Attendo, come un uomo che è troppo pesante per cercare di restare a galla, e decide di non sforzarsi più. Rimango immobile ad ascoltare le onde che in modo dolce lo scavalcano sempre un po’ di più, fino a non ragionare più. Scorrono nella testa tutte le immagini, i colori di quello che sei stata, che siamo stati. Le giornate sprecate, quelle lontane da tutto, in cui un’ora era un attimo, e quando stavi scomoda mi facevi spostare, e tutto il silenzio irreale che avevamo intorno, e la pioggia di quell’autunno che prendevo fino all’ultima goccia per
stare con te anche solo un minuto, anche solo un bacio. È un crescendo che mi uccide, che mi affoga come un cane, che mi fa soffrire come non credevo fosse possibile. Ti ho creduta esattamente come sei, il massimo. Quando cammini da solo per tutto questo tempo una parte di marcio non ti abbandonerà mai. È un minuto di solitudine a farmi capire la tua importanza, non servono anni, psicologi o parole di conforto. Li maledico quei giorni, perché non è così che dovrebbero andare certe cose, perché non dovremmo sbagliare sempre, perché non esiste una logica in questo schifo che ci circonda. Dov’è Dio? Mi manca, mi manchi tu e niente mi fa star meglio. La bottiglia è già quasi vuota ma non sento meno male, solo un leggero distaccamento dalla realtà che mi ha strozzato con tutto quello che sa offrire. Mi hai visto? Ero qui, qui accanto. Non mi hai dato il tempo di parlare, di spiegare, di guardarti negli occhi prima di morire dentro. Lo sai che ti capisco e l’ho sempre fatto anche se non ho mai cercato di entrare in quella testa così diversa dalla mia, così pura e diversa. Basta pensarti. Non è difficile immaginarti come di solito facevo prima. Non è impossibile venirne fuori anche se non sembra. Parlando con un amico davanti a una birra ho capito che forse sentirsi così male
è ancora poco per quello che sono stato. È così giusto pagare le conseguenze? Mi sembra tutto strano. Un grande uomo è quello che ha dietro una grande donna, e io per forza di cose non lo sono più. Mi piacerebbe sapere che la giustizia esiste sul serio, che un giorno commetterò quell’errore che mi permetterà di pagare tutto quello che merito, senza esclusioni, senza sconti sulla mia pena. Non ricordo più quello che sto scrivendo, come un sogno di notte fonda che lascia solo una sottile scia il mattino seguente, quando ormai la mente sta già pensando a continuare. Mi basta pensarti per sentirmi di nuovo un uomo, per capirmi ancora di più. Ancora no. Non riesco a sentirti. Non so se il destino dell’uomo sia come il mio, quello di chi non si sente mai realizzato, e che cerca di ottenere così tanto qualcosa che alla fine arriva a non rendersi conto della fortuna di averlo conquistato. Tu sei il mio qualcosa più importante, quello speciale per cui ho combattuto con tutto me stesso, come se non fossero esistiti limiti a quello che potevo essere per averti, prima di ritrovarmi in questa stanza, a immaginare il mare in cui non riesco più a specchiarmi, sporco di quello che ho, di quello che sento e probabilmente ormai sono. Si gela. Si sente il tuo essere, ma credo di averlo già pensato prima. È qui in ginocchio di fronte ai miei vizi che chiedo a me stesso la forza di andare avanti, di fingere di non aver mai finto, di levare la maschera che non riesco più a staccare, di amarti come vorrei, come sarebbe giusto.
Dio non esiste ma in caso contrario mi odierebbe per quello che sono, e in fondo mi odio anche io, io che dovrei capirmi, che dovrei tenere duro come un soldato che combatte la sua personale guerra contro se stesso. Guardami ancora negli occhi mentre mento per non perderti più, cercando di trovarmi in quello che ho perso, e che non smetto di sognare tutte le notti come un’ossessione. Tu devi essere la mia ossessione e non voglio perdere un attimo, non voglio dirti che mi dispiace perché non è giusto che finisca così. Affogo lentamente e ormai non ho più molto da fare. Non farmi affogare. Ti prego, non farmi affogare.”
A Caterina... Il tuo Eroe
Capitolo 11
Kelly mi guarda spesso. Sembra più interessata a quello che ho fatto a Roma che non al piano per far fuori chi la vuole uccidere. Non ho il coraggio di affrontare l’argomento con lei. Dirle quello che provo per Caterina mi sembra crudele anche se giusto. Se c’è un grosso difetto che ho sempre avuto è fregarmene dei sentimenti di chiunque mi sta intorno, sia mia moglie o un familiare o un amico o la prima puttana che mi ava per le mani. Sono un egoista. Eppure in questo momento i sentimenti di Kelly mi stanno molto a cuore e mi dispiacerebbe da morire ferirli. Non so davvero come comportarmi. Mi sento un vigliacco. Il piano di Fred è di difficile realizzazione, ma se riusciamo nell’impresa risolviamo tutti i casini. Dovrò andare io da Luis Gordon. “Te la senti, amico?” “Sì.” Siamo io e lui uno di fronte all’altro, forse per l’ultima volta nelle nostre vite. La serata sarà lunga.
“Allora io vado.” Kelly è lì e io la bacio, come se la volessi tenere buona e non darle modo di farmi domande in questo momento. Si lascia fare, ma capisco dall’intensità delle sue labbra che non è come le altre volte nemmeno per lei. “Ciao.” Lei mi abbraccia forte. Mi segue con lo sguardo mentre mi allontano e vado a prendere la macchina parcheggiata là davanti. Salgo e non mi volto. È ora di andare Me ne vado nel quartiere di Luis Gordon, il lato sporco di Londra. Conosco la strada per raggiungerlo. Saprà già della morte di Steven Mint: le notizie corrono davvero veloci da queste parti. Nessuno cerca di fermarmi, e questa volta nemmeno mi sento osservato durante la mia camminata decisa verso l’edificio. La mia voglia di chiudere per sempre questa storia è più forte anche della paura di morire. Ce l’ho di fronte per la terza volta in questi ultimi giorni. Potrebbe farmi ammazzare solo con un cenno della sua mano. Nessuna novità. So che non lo farà. Fred mi ha assicurato che Norton ha già parlato con lui, consigliandogli la stessa
soluzione che io sono qui a proporre. “Chi si rivede…” “La stupisce la mia visita?” “Dopo aver saputo che Steven Mint è stato assassinato in quel vicolo non mi stupisco di nulla…” I miei timori erano fondati: Gordon sa già tutto. Non so esattamente come comportarmi ora. Devo stare tranquillo. Jack Norton è nella stanza con noi, ma so che non alzerebbe un dito se qualcuno provasse ad ammazzarmi. Ha una copertura che non può smascherare per me. Le parole escono dalla mia bocca prima ancora che il cervello rifletta sul loro significato. “Sono stato io…” Non smette di guardarmi. “Lo so.” Non è uno stupido. “Vuole farmi uccidere?” gli domando. “No.” Davo per scontata questa risposta. “Perché non ha rispettato la parola?” “Io l’ho rispettata... Non sapevo dove stesse andando Mint.”
“Cosa?” È questo invece a stupirmi. Non ha motivo di mentirmi ora che sono qui da solo. “Non l’ho mandato io…” “E allora chi?” “Deve essere stato comprato…” “Da chi?” “Da Galletti?” “Ma che motivo avrebbe?” “Vuole creare casino…” Mi fido di lui. “Bisogna uccidere Galletti…” Lui mi guarda con un sorriso che lo fa sembrare quasi un amico. “Lo hai già detto l’altra volta…” “Non posso farcela da solo…” “Cosa vuoi da me?” “Ho bisogno dell’aiuto dei suoi uomini…” “Perché dovrei fidarmi di te?…” Non credo che esista una risposta corretta. “Tu cosa ne pensi, Jack?” gli domanda Gordon. “Non lo so, capo…”
“Prova a sbilanciarti…” Sta andando tutto come prevedeva Fred: Gordon si fida ciecamente di Norton e questa è l’unica speranza che abbiamo. “Io penso che se potremo far fuori quel figlio di puttana di Galletti con tutta la sua banda avremo risolto il nostro problema…” “Quindi tu andresti?” “Se lei me lo chiede, io andrò.” Gordon riflette un attimo. Per la prima volta da quando lo conosco sembra umano e non una macchina con le risposte già pronte ancora prima di ascoltare le domande. “Ti darò i miei uomini…” Cerco di nascondere la mia soddisfazione. “Anche tu Jack…” aggiunge. Con reciproca soddisfazione ci guardiamo a vicenda. Parla un minuto con uno dei due uomini che sono dentro alla stanza con noi. In pochissimo tempo è tutto pronto. Mi fa accompagnare all’uscita dalla sua guardia. “Ammazza quel bastardo Jack” insiste ancora rivolto verso Norton. Lo tratta quasi come un figlio. “Ci provo…” risponde lui con il suo solito tono basso. Luis Gordon: questa persona non mi sta antipatica. È un mafioso, traffica donne e droga, ma ha un carattere che mi piace.
Non ha niente a che vedere con Galletti. Sono stupito quando fuori dall’edificio mi trovo una trentina di uomini armati fino ai denti pronti ad accompagnarmi. Mi sento quasi uno di loro. Io sono in auto da solo. “Ti dispiace se salgo con te?” Faccio segno di sì e così Jack Norton dividerà l’auto con me. Gli altri si dividono in una decina di macchine. Mentre li seguo il mio pensiero va a Caterina e a quel bacio. Non riesco a non pensarci, anche se ora non dovrei. Vorrei solo tornare a casa e lasciarmi alle spalle tutto questo. La rivedo in questa notte, con le lacrime agli occhi. Devo far fuori Galletti. “Allora ci siamo…” gli dico, cercando di sembrargli più concentrato di quello che sono. “Sì.” “Non ti sono simpatico, vero?” “A dire la verità, non capisco ancora come abbia fatto Couture ad affidare una missione del genere a uno come te…” “Perché pensi questo?” “Perché non sei bravo a fingere, e non mi sembri per nulla freddo nelle situazioni che contano…” È arrogante, ma ha una tale tristezza negli occhi che fatico a prendermela con
lui. “Cosa si prova a are tre anni della propria vita in questo modo?” “È l’inferno…” “Lo immagino.” “È come se tutti quei crimini li sentissi anche miei…” Ascolto le sue poche parole con molta attenzione. Lui ha sacrificato ogni cosa per questo momento.
Quando arriviamo nel quartiere non iamo inosservati. Sto seguendo le auto degli altri scagnozzi di Gordon. Gira a destra…” mi dice. Mettono le macchine di fronte all’edificio del mafioso, mentre io mi stacco consigliato da Norton. “Adesso facciamo fuori quel bastardo…” Inoltro un messaggio già impostato a Fred. È il segnale anche per lui. Il piano sta andando esattamente come previsto. Gli uomini di Gordon e quelli Galletti si ritrovano gli uni di fronte agli altri e io ho strada libera. Sento dopo un minuto degli spari. Il rumore è fortissimo e io mi immagino la scena. Le bande dei due più grandi mafiosi della città si stanno sterminando da sole,
con una velocità impressionante. Senza far nulla sto pulendo la città. Fred è davvero geniale. Norton non dice una parola ma mi fa strada. Entriamo indisturbati nell’edificio. Tutti gli uomini di Galletti sono coinvolti in una delle sparatorie più grandi della storia di questa città. Mi sembra di essere in uno di quei film ambientati nel vecchio west, in cui queste carneficine erano all’ordine del giorno. Mi dà piacere sentire i corpi cadere a terra. Se non è giustizia divina, si tratta di qualcosa di molto simile. Sono silenzioso come mai nella mia vita. Davanti alla porta che mi divide da Galletti è rimasto un solo uomo. Norton cerca di arrivargli più vicino possibile e mi fa segno di non muovermi. La guardia è distratta ad ascoltare ciò che sta accadendo fuori e a Jack riesce abbastanza semplice arrivargli alle spalle. Gli stringe le braccia intorno al collo. Lui cerca di liberarsi e si dimena con tutte le forze che può. Per fortuna è piccolo e non riesce a fare nulla. Jack ha lo sguardo di chi si sente già vincente ma non vuol far rumore. È di una precisione rara. Il bamboccio smette di muoversi dopo circa due minuti senza respiro.
Lo appoggia a terra. Sono pronto a prendere di sorpresa Galletti. Prendo un respiro profondo. Norton mi fa segno di procedere. Dietro a questa porta si trova un altro scalino importante per venirne fuori. Entro con uno scatto. Lui è seduto alla sua scrivania davanti a un plico di banconote. Mi dà l’idea di essere un maiale, in questa circostanza ancora più del solito. “Buonasera.” Lui è stupito nel vedermi. Non si aspettava certo la mia visita. Immagino che stesse contando i soldi in attesa di scappare via dal macello che sta succedendo là fuori. Invece io sono qui a rovinargli i piani. Norton mi viene dietro, ma non dice una parola, come se volesse lasciare quest’ultimo atto a me. “Cosa ci fai qui?” All’inizio sembra alterato per la violazione della sua proprietà, ma ben presto, accorgendosi che nessuno dei suoi uomini si trova nelle vicinanze, lascia spazio alla paura. “Sono venuto a salutarti, figlio di puttana…” “Cosa vuoi fare? Ammazzarmi?” “Perché no?”
“Io non c’entro nulla con la storia delle prostitute ammazzate.” Sinceramente non mi importa nulla se sia stato lui a cominciare la strage: una persona come questa va ammazzata per ripulire il mio pianeta. “Non raccontarmi stronzate…” gli urlo. Calcio via una sedia con appoggiati sopra dei documenti. So di fargli paura, vigliacco com’è. “Ha cominciato Luis Gordon, io ho solo risposto a una sua provocazione... Ti prego non ammazzarmi!” È patetico mentre cerca di incolpare Gordon, sperando in cuor suo di salvarsi la vita con queste parole. Norton estrae la sua pistola e spara un colpo, mancandolo volontariamente di pochi centimetri. Lo guardo. Non lo rimprovero, anche se questo momento vorrei averlo tutto per me. “Sai... Pensavo a quando mi hai fatto pestare a sangue dai tuoi uomini…” esclamo con tono ironico. Non sa più come ribattere. “Ti prego, non ammazzarmi” si limita a dirmi. “Non eri così gentile l’altra volta…” Sto pensando che in questo momento, prima di premere il grilletto, mi sento come in quella giornata maledetta in cui ho fatto fuori Scott Murphy. Non l’ho considerato un essere umano, esattamente come non considero Enrico Galletti. L’importante è che questo criminale venga eliminato.
La calibro 22 è pronta. Mi sta chiedendo di agire. Sparo un colpo e lo prendo alla gamba. Jack Norton, sempre dietro di me, fa qualche o in avanti e si siede ad assistere alla scena. Quando ero alla polizia non mi sentivo così sadico: ora non mi basta più eliminare i criminali, ma voglio vederli soffrire, torturarli fino al loro ultimo respiro, perché capiscano quanto male hanno provocato all’umanità. Con tutta la confusione che c’è fuori nessuno si accorgerà di nulla. “Ti prego, non ammazzarmi!” Sparo anche all’altra gamba. Ora comincia a strisciare come un verme sotto al suo tavolo. “Vieni avanti!” urlo. Sono in una fase adrenalinica difficile da comprendere. “Ti prego!” continua lui. Non mi fermerei per niente al mondo. Lo colpisco anche a una spalla. “E se lo risparmiassimo?” interviene con mio stupore Norton. Galletti alza lo sguardo come se avesse appena avvertito in lontananza una speranza di vivere. “Cosa?” rispondo io. Ci guardiamo intensamente, mentre Galletti urla, si dimena e rotola a terra, in un bagno di sangue in cui mi pare affogare sempre di più.
Si trascina fino a pochi metri da me. “Ti prego” ansima ancora, toccando con una mano la scarpa di Jack. Starei qui a vederlo soffrire per ore, ma non c’è tempo. Non è un uomo. Lui lo guarda con disprezzo e pronuncia questa frase. “Meriti una seconda possibilità.” “Grazie!” “Grazie!” dice ancora con la poca voce rimasta. Punta la pistola contro di lui. “Addio, Galletti.” Spara un ultimo colpo in testa e lo manda all’inferno, dove ha sempre meritato di stare. Il suo corpo senza vita rimane immobile, attaccato alla sua scarpa con la mano. “Come mai l’hai voluto illudere?” “Aspettavo da troppo questo momento…” “E ora dobbiamo andarcene…” “Spero solo che Fred abbia fatto il suo dovere…” Ce ne andiamo in fretta dalla stanza, abbandoniamo l’edificio e saliamo sulla mia auto. Non ci sono più rumori. Quando iamo davanti all’edificio, vediamo una cinquantina di corpi senza vita e aleggia un odore di carogna fortissimo.
Si sono uccisi davvero. Non riesco a crederci ma le due bande più pericolose della città di Londra non esistono più. Ci saranno almeno una cinquantina di cadaveri stesi a terra. “Ti eri affezionato a qualcuno di loro?” gli domando. “Erano tutti dei criminali…” “Allora meglio così…” Mi fermo in un parcheggio. Ci resta solo da attendere qualche notizia da Fred. Lui si sarebbe dovuto recare da Gordon proprio in questo lasso di tempo in cui i suoi uomini sono usciti. Quasi mi dispiace per la fine che farà. Non è un viscido maiale come Enrico Galletti. È solo un uomo che ha deciso di stare dalla parte sbagliata. Non so se Jack sarebbe d’accordo con me. Prendo il telefono in preda all’adrenalina. Compongo il numero di Caterina. “Pronto.” “Ale!” “Ehi come stai?” “Bene, ma tu?” “Ho appena fatto il mio dovere... Ora attendo solo che Fred faccia il suo…”
Ho un tono soddisfatto. Lei ha una voce dolcissima. È impossibile non innamorarsi di lei. Vorrei davvero riuscire a rendere con le mie parole quello che provo ascoltando la sua voce. Non è facile, sul serio. Vorrei essere uno scrittore più bravo di così. “Quando torni?” “Presto…” Vorrei che mi credesse. “Promesso?” “Promesso, amore.” Prima di salutarle le dico una frase che mi sembra di non dire da una vita. “Ti amo.” È così strano pronunciare queste parole. Lei le ha capite come nessun’altra ha mai potuto fare. Lei è la mia vita. Metto giù il telefono e mi dirigo verso casa di Fred.
Sara è via stasera e così Kelly è potuta rimanere anche per la notte. Non mi resta nient’altro da fare che attendere e sperare in buone notizie.
Il telefono squilla. Rispondo subito. “Pronto.” “Ehi Ale.” “Fred!” “È andata.” Tiro un sospiro di sollievo. “Davvero?” “Sì.” “Anche la mia è andata…” “Siamo grandi…” “Tra poco arrivo, tu aspettami a casa e raggiungi Kelly…” “Ok.” Metto giù il telefono. “E ora che farai, Norton?” gli chiedo con curiosità spontanea. “Non lo so... Prima di tutto una bella doccia.” Sorrido. “Sono contento di averti conosciuto…” Non risponde ma mi porge la mano. “Ci vediamo, Vinci…” “Addio, Norton.”
Lo guardo scendere dalla macchina e ricomincio a guidare velocemente diretto verso Kelly. I due boss mafiosi sono al creatore adesso. Ho fatto di più io in questi pochi giorni che non l’intera polizia londinese in tanti anni. Forse sono davvero un eroe. Ora c’è il nemico più grande: me stesso. Devo decidere cosa fare della mia vita ora che questa storia è davvero finita. A dire la verità la mia decisione l’ho già presa. Dio mi ha dato una seconda possibilità e non voglio farmela sfuggire. Caterina è ciò che ho sempre sognato. L’ultimo ostacolo è lasciare Kelly, dirle tutto quello che provo, quello che sento, anche se le farà male. Non voglio vederla piangere. Non è stata una puttana come le altre. Io le voglio bene e questo rende il mio coraggio ancora più vacillante. Ho ato quarantadue anni a conoscere persone, e ora mi rendo conto che quelle di cui mi importa veramente si possono contare su una mano. Non è mai facile arrivare a questi momenti. Ho buttato via tutto, da quando sono nato. Sono arrivato davanti a casa ed è il momento di capire che uomo sono. Vorrei solo che non fe così male. Scendo dall’auto e vado incontro all’ultimo episodio della mia storia, del mio
destino, della mia vita.
Capitolo 12
Quando apro la porta provo una sensazione forte, strana. È tutto così irreale. Sono nella casa del mio amico, con una ragazza che per lui ha rappresentato così tanto, e con il pensiero fisso a Caterina che a Roma mi sta aspettando come si aspetta un uomo di ritorno dalla guerra. Posso dire di aver combattuto davvero una guerra. Devo parlarle nel modo più chiaro e sincero possibile. Non voglio che soffra, e a dire la verità non vorrei dover scegliere. Penso che in generale tutte le donne abbiano qualcosa di bello, che sia un tratto del viso, un’espressione, una parte del corpo o un modo di camminare o di parlare, o semplicemente di esserci. Io vedo sempre tutto il bello di ogni donna. Trovare il bello di Kelly non è per niente difficile, anzi. È sensuale, ha labbra carnose, un corpo maledettamente eccitante e un talento innato per il sesso. Mi sono innamorato del suo corpo, anche per questo so che sarà difficile. Caterina è la mia donna. È la persona con cui voglio stare, quella che mi capisce, che mi ha sempre capito, e che in fondo mi ama ancora, nonostante tutto. Entro in casa.
Ho il o di un ladro che cerca di ritardare il più possibile il momento in cui sarà visto. Spero che Fred arrivi presto perché la situazione potrebbe diventare spiacevole tra pochi momenti.
Kelly non è in sala. C’è qualcosa che mi insospettisce. Le luci sono accese e non penso di essere stato così silenzioso da non farmi sentire da lei. Me la ero immaginata in piedi, a fissare la porta d’ingresso, con la voglia intoccabile di vedermi. Salgo le scale, coperto da domande e dubbi. Arrivo nella zona notte, quella in cui ci sono la camera da letto e il bagno. Entrambe le porte sono chiuse. Su quella della camera però non posso non notare un paio di mutandine appese alla maniglia. Comincio a capire un po’ di più. Le prendo in mano e noto immediatamente che sono umide, bagnate. Cazzo. Sono eccitato come non vorrei. Ultima possibilità di rimanere in piedi per vincere la felicità che non so ancora se merito. Le annuso: è odore di lei. Apro la porta che mi divide dalla verità.
Trattengo quasi il fiato quando la vedo. È più bella di quanto potessi immaginare. Rimango fermo come un idiota con in mano le sue mutandine. Penso che lei se la fosse immaginata esattamente così la scena, quando ha deciso di farlo. I suoi capelli biondi sono divisi in due trecce che la fanno sembrare ancora più giovane di quello che è. È coricata a pancia in giù rivolta verso di me. La sua gonnellina da studentessa sarà lunga non più di venti centimetri, e il fatto di sapere che non porta nulla sotto mi eccita ancora di più. La camicetta bianca chiusa solo da un bottone mi lascia vedere i seni grandi e nudi schiacciati contro il materasso. I suoi piedi scalzi si muovono in alto. Prima uno e poi l’altro. Sono ipnotizzato da tutto questo. Penso in un secondo a tutte le posizioni in cui vorrei metterla e mi rendo conto di essere ancora fermo sul ciglio della porta. “Non vieni qui?” mi domanda. Non so come comportarmi. È come se questa fosse la mia ultima prova da superare per arrivare alla redenzione tanto attesa. Caterina è qui nella mia testa, ma Kelly è più di quanto avrei potuto sopportare con tutta la mia buona volontà. Non so cosa fare, ma nel frattempo compio il primo o verso di lei, verso il mio ennesimo errore.
Uno dopo l’altro percorro tutti i secondi necessari per arrivarle accanto. Salgo sul letto e le mie buone intenzioni di mettere tutto a posto vengono immediatamente posticipate. Sono attaccato a quel corpo meraviglioso. Voglio che faccia tutto lei. Sto annegando ancora una volta in tutti i miei errori. Lei non si muove da quella posizione e inizia a sbottonarmi i pantaloni neri e sporchi di quello che è successo là fuori. “Ti piace?” Mi sento in colpa e maledettamente inerme. “Sì” le rispondo. Si alza e comincia a baciarmi. Mi trascina nel letto con lei e in un attimo mi ritrovo in un turbine di ormoni che mi sovrastano il cervello. Le nostre lingue si strofinano senza stancarsi e le mie mani vanno a toccarla in ogni punto di quel corpo così eccitante. La prendo per i fianchi e la piego in avanti. Io le sono dietro a non devo far altro che alzarle la gonna per rientrare nel tunnel della mia vita. Con una mano le afferro le trecce di capelli. Comincio lentamente a muovermi e ogni pochi secondi la sculaccio. Vedo quanto le piace. Non accelero perché mi piace troppo questo momento per farlo terminare.
Sento suonare il cellulare di Kelly. Non me ne frega niente. Lei si ferma. La sua attenzione è stata catturata dal suono. Non voglio smettere. “È importante... Devo rispondere.” Nella tempesta di emozioni ormonali, mi rendo conto con dispiacere che mi devo staccare. Non vorrei davvero. “Vai.” La lascio scendere dal letto e dirigersi verso il telefono. Cammina nell’altra stanza a parlare. Non m’importa sinceramente chi possa essere ad attirare in quel modo la sua attenzione. Sono in piedi con i pantaloni calati ad aspettare. Mi sento un idiota. Comincio a girare per la stanza. Cosa sto facendo? Mi guardo attorno anche perché Kelly non mi dà l’idea di tornare presto. E se me ne andassi? È davvero strano. Sul comodino c’è una foto di Fred e Sara il giorno del loro matrimonio.
Mi sento quasi in colpa a fare sesso in questa stanza. Sulla libreria ci sono molti libri scritti in inglese. Non sarei assolutamente in grado di leggerne nemmeno uno e così mi limito a vedere i titoli, i nomi degli autori e le foto delle copertine. Sono contento di conoscerne la maggior parte, quantomeno di fama. Accanto a un libro di Hemingway c’è un album fotografico. Lo apro senza quasi rendermene conto, preso come sono a ingannare il tempo mentre Kelly è al telefono. Ci sono fotografie vecchie, una del matrimonio di Fred, una di lui da piccolo e un’altra con alle sue spalle una piramide. La mia attenzione viene attratta da una foto di Fred all’età di quindici, forse sedici anni. Ci sono lui, il padre e sulla destra, sempre abbracciato a loro, un altro ragazzino più piccolo. Non sapevo che Fred avesse un fratello. Nelle foto successive lui non appare più, fino a quando non rimango di sasso a vederne una nell’ultima pagina. Fred è fotografato su una barca e accanto a lui c’è l’ultima persona al mondo che mi sarei aspettato. La tiro fuori dalla busta. Sul retro c’è scritta una frase.
“A mio fratello Freddy…”
Firmato: Scott Murphy.
Mi si gela il sangue. Scott Murphy era il fratello di Fred. I pensieri si susseguono veloci nella mia testa. Penso a come diavolo abbia fatto a tenermelo nascosto per tutto questo tempo, a quali intenzioni abbia con me, al motivo per cui abbiano due cognomi diversi, alla ragione della mia presenza a Londra e inevitabilmente a Kelly. Non so se lei sia ignara di tutto o sia un’attrice pagata da lui per raggirarmi e distrarmi. Cazzo. Sento i i avvicinarsi alla porta. Metto via di corsa l’album e poi nascondo la calibro 22 che ho nella tasca sotto al cuscino. Non me ne vado. Voglio giocarmela fino alla fine. La mia eccitazione precedente è completamente cambiata. “Ti sono mancata?” “Chi era?” le chiedo. “Cose private…” taglia corto lei. È tutto diverso da prima. La guardo con occhi diversi e non potrebbe essere altrimenti. L’idea che lei stia cercando di distrarmi mi eccita molto.
Ora non mi sento più la parte forte, ma la vittima che attende ignara di essere finita dal predatore. La lascio fare. Mi stendo sul letto e lei mi spoglia, probabilmente convinta di disarmarmi con la sua seduzione. È meravigliosa. Si muove sopra di me e io non la fermo, anche se so di dovermi aspettare un colpo di scena da un momento all’altro. Si muove lenta come se volesse tenermi al minimo della concentrazione per più tempo possibile. Io mi lascio scopare perché so che è quello che voglio. È in questo momento che capisco di essere morto. Kelly sa farmi star bene. Così bene da farmi perdere la guerra con me stesso. A pensarci è completamente diversa dalle altre puttane che ci sono in giro qui e così mi sento stupido a non essermi reso conto prima della puzza di questa situazione. Fred Couture mi ha fregato. Sento una macchina arrivare. Lei se ne accorge ma fa finta di niente, e anzi comincia a gridare per non farmi ascoltare il pericolo che si avvicina. Me ne accorgo anch’io ma non dico nulla. La sculaccio forte e lei grida ancora più forte. Sono gli ultimi istanti di eccitazione meravigliosa prima di vedere quella porta bianca aprirsi.
Eccolo. “Ale!” “Ciao Fred.” Rimango immobile con Kelly sopra di me. “Allora siamo arrivati alla fine…” gli dico. “Sì, anche se il finale a sorpresa non ti piacerà un granché…” Sorride divertito a vedermi sotto a quella donna, come il primo idiota che si possa trovare in giro. “Hai fantasia…” gli rispondo. Lui estrae la pistola dalla tasca. “Allora, vuoi farmi fuori?” Lui tira fuori una sigaretta dalla tasca con l’altra mano. “Tu lo sai che sei diventato qualcuno uccidendo il mio fratellastro?” “Lo psicopatico della scuola...” Si accende la sigaretta, sempre con la pistola in mano. L’ho innervosito ed è per questo che non mi farà fuori con un colpo solo. “Quello psicopatico figlio di puttana era mio fratello e tu me l’hai portato via…” “Molto commovente…” Fa un tiro molto forte della sua sigaretta. Si sta concentrando per vivere nel modo migliore la sua vendetta così macchinosa e lunga. “Adesso vediamo se ti commuoverai tu…”
Kelly è immobile sopra di me. Non mi guarda negli occhi. Lo so che non è dalla mia parte, ma chissà se le dispiacerà vedermi morto. Sono incredulo a vedere come rimane qui a osservare la situazione tra noi senza dire una parola. “Perché non mi hai ammazzato prima?” gli domando, un po’ per prendere tempo e un po’ per sincera curiosità. In fondo si muore una volta sola ed è giusto conoscerne ogni dettaglio. “Perché mi sei servito…” “Mi fa piacere…” “Grazie a te abbiamo fatto eliminare tra loro le due bande più pericolose della città e abbiamo eliminato i loro capi…” Gli ho risolto uno dei problemi più grandi della sua intera carriera, e questo non è il modo più gentile per ringraziarmi. “E tutte le puttane uccise?” gli domando io. “Ancora non ci sei arrivato? Le prime tre le ho fatte fuori io, poi il resto è venuto da sé…” Quel bastardo ha ucciso delle donne solo per arrivare al suo scopo. Mi fa schifo. L’ho sempre considerato un grande amico e mi pare strano ora vederlo in questo ruolo di psicopatico vendicativo. “Un esempio di poliziotto modello…” “In fondo cos’è la vita di qualche puttana in confronto alla pace della città?” “E al dolce sapore della vendetta…”
Lui sorride, continuando la sua sigaretta. Vorrei fargli ancora molte domande, su come abbia fatto a tenermi nascosto tutto in questi anni, su Sara, che non so più se considerare una vittima all’oscuro di tutto o una complice che mi ha ingannato. “È un peccato farti fuori, Ale... Sei sempre stato uno giusto…” “Io non ho tutta questa voglia di andarmene…” Lui butta la sigaretta nel posacenere alla sua destra. È l’ultimo momento buono per salvarmi. Tiro fuori da sotto il cuscino la mia pistola. Lui è completamente sorpreso dal vedermela in mano. Gli sparo in una frazione di secondo. Lui lascia cadere a terra la pistola, si inginocchia. L’ho colpito al cuore, non ha speranze. Kelly è stata spaventata dal rumore, ma sono ancora dentro di lei, e nessuno dei due sembra intenzionato a muoversi da questa posizione. Lo guardo, dietro alla treccia di Kelly che non mi distrae più. Ansima qualcosa mentre cerca inutilmente di restare vivo. “L’hai voluta tu, amico…” Non capisco quello che sta cercando di dire Ho appena ucciso quello che ho considerato per anni come un grande amico, ma neanche questo riesce a turbarmi. È finita davvero. La mia pistola è ancora caldissima, nella mia mano.
La punto senza molta grinta verso Kelly. Non so se sia una prostituta, un’attrice o chissà cos’altro, ma mi ha fregato, e quasi riusciva a farmi ammazzare. Lei non parla. È così bella. E ora cosa farebbe un eroe? Ucciderebbe una donna? Chiamerebbe la polizia? Tornerebbe dalla sua ex moglie fingendo che nulla sia successo? Quante domande che mi girano per la testa. Devo solo scrivere le ultime righe della mia storia. Non è facile scegliere. “E adesso tocca a te?” le chiedo. Non mi sembra terrorizzata. Sa di essere stupenda. “Devi dirmelo tu…” mi risponde. Non so cosa pensare, non so come agire in quella che posso definire come la situazione più strana di tutta la mia vita. Lei sa come comportarsi invece. Ricomincia a muovere i fianchi. Io mi guardo da fuori. Un uomo senza più valori, né speranza di poter tornare sulla strada che ha
tentato in tutti i modi di riconquistare. Sono arrivato al momento in cui ho capito che per me non c’è più nulla da fare in nessun luogo, Londra, Roma o chissà dove. Non ha importanza il posto in cui me ne andrò, tanto non mi libererò mai di tutto questo. Penso un’ultima volta a Caterina, che sarà a casa ad aspettare me, a sperare in una chiamata, un solo segnale che le faccia capire di non aver sbagliato di nuovo tutto quanto. Lei merita molto più di uno come me, ma questo già lo sapevo. Il mio respiro aumenta d’intensità con il are dei secondi, e i miei pensieri su Caterina si offuscano, come se fossero ubriachi e tutto d’un tratto troppo distanti. Guardo Kelly sopra di me che si morde un labbro e lascia tremare quei seni grandi. È già riuscita a eccitarmi più di prima. Il respiro ha lasciato spazio al mio ansimare e capisco solo ora che non ce la farò a resistere. Ho una pistola in mano che mi dà il potere totale su di lei. “Prendila” le dico. Gliela porgo. Lei la prende in mano. “E tu cosa vuoi farmi?” le domando. Non risponde, ma me la punta alla testa. Le afferro con le mani quel culo bianco e bello, che mi sembra non finire mai. La sculaccio e la guardo in faccia.
Mi fissa con quegli occhi, come se il diavolo con le sue sembianze fosse riuscito a farmi ancora suo. Non capisco dai suoi occhi se la sua intenzione sia quella di spararmi o di farmi godere come voglio. Non posso più lottare. Mi arrendo a tutta questa meraviglia. E così mentre Caterina si allontana ancora, per l’ultima volta, io mi faccio risucchiare dalle fiamme dell’inferno di tutto quello che mi ha rovinato in questi anni. Brucio lentamente e non sento il dolore, ma osservo la sua immagine sempre più confusa, allontanarsi in lacrime. Non è così che volevo finisse, ma si sa che il finale non è mai perfetto. Ripenso al mio lungo viaggio con lei, e non vedo altro che la strada, senza più una persona accanto, senza più una ragione vera. Non la sento, nemmeno sforzandomi con tutto me stesso.
Index
Eroe
Capitolo 1
Tentativo di scrittura
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Ricordo
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Un momento che ho saputo vivere
Capitolo 9
Capitolo 10
Lettera
Capitolo 11
Capitolo 12
Created with Writer2ePub by Luca Calcinai