Mistero in Rosso
La prima indagine del Commissario Ferrer
Mauro Di Giorgio
Personaggi
Marco Ferrer detto‘Ferrè’ :
Vice Questore Dirigente Commissariato Prati
Aniello Palumbo
Vice di Ferrer Commissariato Prati
Anna Durante
Ispettore Commissariato Prati
Giuseppe ‘Pino’Borghi
Ispettore Commissariato Prati
Ettore De Felice
Ispettore Commissariato Prati
Mario Giorgi
Sovrintendente e ‘Memoria Storica’ del Commissariato Prati
L’Archivista
Commissariato Prati -Fornitore ufficiale di caffè indecente.
Paola Franzini
Medico Legale –relazione complicata con Ferrer.
Eleonora Santini
Pubblico Ministero Procura di Roma
Eraldo Testa
Pubblico Ministero Procura di Roma
Antonio Forte
Commissario Polizia Scientifica
Matteo Lepri detto ‘Lepre’
Squadra Mobile. Dirigente Sezione Omicidi
Ernesto Guidi
Informatore di Ferrer e ladro onesto
Luisa Casta
Giornalista di nera
Benedetto ‘Benny’ Martelli
Coordinatore Palestra Sporting Club Tor di Quinto e Culturista
Fiorenzo Bravi
Trainer palestra Sporting Club Tor di Quinto.
Artour Moudani
Massaggiatore della Palestra, ‘L’uomo dalle grandi mani’
Beatrice Massimi
Consulente Finanziaria, Iscritta al Programma Maratona
Giovanni Terranova
Chirurgo Plastico-Fidanzato di Beatrice.
Fiammetta Giusti
Dirigente Industria Farmaceutica-Iscritta al Programma Maratona
Tommaso Bianchi
Direttore di Banca-Iscritto al Programma Maratona
Rosso.
Rosso è il colore dell’estate.
Della ione.
Di noi.
Di questo tramonto infuocato che scende sulla città, che in questa calda casa che odora d’intimità possiamo solo intuire. Uno dei crepuscoli che abbiamo sognato e immaginato in attimi di pazzia.
E ora le tue parole.
Strane. Irriconoscibili.
Ragione. Raziocinio.
Rosso.
Rosso è anche il colore della mente che pensa. Io non lo voglio, il tuo bel pensare. I logici tasselli della tua vita.
A me lasci solo il Rosso.
Il colore della disperazione. La mia.
Rosso è il colore della pazzia, come quella che abbiamo fatto.
Come quella che ho fatto io, per colpa tua.
Rosso.
Il colore del tuo sangue, che ho visto sgorgare copioso.
Del mare, che avevamo sognato per noi in questa nostra estate, nessuna traccia. Almeno non di quello azzurro, salato.
Qui c’è un altro mare.
Rosso.
Non immaginavo che sarebbe finita così, eppure quel coltello l’ho portato. Avrei potuto lasciarlo a casa. Invece era con me. E quando hai iniziato a parlare avrei voluto fermati. Dirtelo, che non avevi ragione.
Lo sapevo.
Tu inseguivi il tuo sogno. Un sogno borghese.
Io percorrevo i sentieri frondosi delle mie emozioni.
Incompatibili. Avresti dovuto saperlo, capirlo, che senza di te c’era il vuoto.
Peccato per te, per il tuo sogno borghese
Ti ascoltavo e pensavo che avrei potuto farlo.
La speranza. Potevi lasciarmi almeno la speranza. Uno spiraglio.
La speranza è vitale, si vive per un suo soffio.
Ma tu sei sempre stata categorica, nelle tue scelte.
Come vedi, amore mio, ciascuno sceglie. Anche io.
E ora? Sei in terra, in mezzo al mare.
A un mare nel quale non posso affogare.
UNO
Due mesi prima
Alzò il capo temendo, come Gregor Samsa, di vedere il suo ventre trasformato in una massa scura e convessa, con la coperta prossima a cadere per terra; si rinfrancò quando con sollievo vide invece una pancia piatta e un ombelico ben
fatto. Era distesa sul letto appena reduce da un sogno indistinto, dai contorni indefiniti mentre dalla finestra filtrava il primo chiarore dell’alba. Represse uno sbadiglio, finalmente rinfrancata.
Non poteva vedersi la schiena, ma adesso era sicura di non essere distesa su un dorso duro come una corazza ma sulla morbida curva del suo sedere, che scatenava sempre sguardi e pensieri maliziosi. Non avrebbe dovuto riprendere in mano Kafka, leggere “La metamorfosi” di sera può creare brutti scherzi al risveglio, ma su quel libro c’era una dedica a cui teneva e allora andava bene così.
Per sicurezza sollevò le lenzuola, e si rassicurò definitivamente perchè non vide angoscianti sottili zampe d’insetto, ma due gambe muscolose e tornite. Soddisfatta, controllò l’ora, il quadrante luminoso della radiosveglia indicava le cinque e venti.
Era ancora presto, aveva almeno tre ore di sonno e non voleva rinunciarci; l’indomani era giorno di allenamento, voleva presentarsi ben riposata.
Ripensò alla dedica, certo era gratificante ma forse quella persona si stava coinvolgendo troppo. Forse avrebbe dovuto frenarsi ma quella era una vera ione, al momento inarrestabile. Al tempo, avrebbe affrontato il problema al momento giusto, ora voleva solo dormire. Chiuse gli occhi tirandosi la coperta sul collo.
La Palestra. Incontri. La Cena
Beatrice Massimi rallentò fino quasi a fermarsi, prima di svoltare dal
Lungotevere Salvo D’Acquisto a sinistra, entrando con la sua Yaris color panna nello stretto viale che declinava nell’ampio parcheggio adiacente al fiume.
Il grande edificio con la scritta Sporting Club di Tor Quinto era illuminato dal sole, basso sull’orizzonte, che aveva da poco cominciato ad allungare le ombre degli alberi. La serata era fresca, complice l’umidità che saliva dal fiume, e l’aria impregnata dal profumo dei tigli in fiore era l’unico e timido segnale di una primavera per il resto in ritardo. La palestra era adagiata sulla riva sinistra del Tevere, in una zona di Roma ricca di verde, da cui trasudava potere e ricchezza; quello era da sempre il rifugio di professionisti, politici, attori, divi della musica e dello sport; a osservare dall’alto tanta impegnata umanità spiccava, sul vicino Monte Mario, la cupola dorata e sferoidale dell’osservatorio astronomico. Nelle giornate di sole era in grado di rifletterne i raggi, e si dice che qualche pilota di jet la usasse come riferimento per orientarsi nelle giornate di foschia, una sorta di laico minareto senza muezzin. La cupola, lassù esplorava mondi lontani mentre in basso, nella grande città cattiva, si viveva, si amava, si moriva.
Beatrice parcheggiò la macchina, scese e si strinse il bavero del giaccone rabbrividendo, la temperatura non era esattamente primaverile, prese il borsone e si avviò verso l’ingresso della palestra.
Trentadue anni, un fidanzamento solido con un astro nascente della chirurgia plastica, capelli castani, corpo atletico e curato, era molto bella, e alle doti fisiche aggiungeva una classe e un modo di fare che sconcertava gli uomini. Altera, bella e ricca, quindi irraggiungibile per quasi tutti.
Lei era perfettamente consapevole della sua avvenenza, e se nell’adolescenza arrossiva ai commenti degli amici e dei compagni di scuola, crescendo aveva fatto del suo aspetto una corazza. Gli uomini che la giudicavano una preda non fruibile si limitavano a sguardi insistenti, mentre quelli al suo livello erano troppo educati per avvicinarsi. E lei, come molte donne, giocava con l’altro sesso mantenendo un atteggiamento altezzoso e distante ed elargendo sorrisi e
sguardi gravidi di prospettive. Lo Sporting era una conquista recente. Tre mesi prima aveva deciso di cominciare a correre e aveva trovato questa palestra, che offriva un PM, acronimo per Programma Maratona, un pacchetto completo che avrebbe portato i partecipanti, al termine di un severo allenamento, a poter coronare il sogno di partecipare alla più affascinante corsa podistica del mondo: la Maratona di New York; in autunno, la prima domenica di novembre, tra le foglie ingiallite di Central Park e Manhattan e la bellezza struggente della Grande Mela.
Giunta nell’atrio dell’edificio, superò il tornello utilizzando il badge ed entrò nell’ampia reception. Salutò le ragazze al bancone e raggiunse gli spogliatoi situati ai piani inferiori. Indossati un paio di calzoncini corti e le scarpe da jogging, prima di salire al piano superiore, dove era la sala dei tapis roulant, si fermò alle casseforti; ne scelse una libera, mise portafogli e chiavi all’interno, memorizzò la combinazione. Portò con sé il cellulare, suo padre era anziano e avrebbe potuto aver bisogno, in qualunque momento.
La sala era enorme, conteneva circa sessanta postazioni, ognuna con due tappeti messi uno di fronte all’altro e con un televisore a colori programmabile dal display computerizzato. Un’intera parete dell’enorme sala era costituita da un’immensa vetrata con vista sul fiume, che se da un lato prometteva un tramonto da cartolina, dall’altro garantiva un notevole effetto serra, a stento contrastato dai condizionatori che quella sera funzionavano a singhiozzo. Dalla pedana di ciascun tappeto una cuffia permetteva di seguire i programmi TV nella noiosa ora di allenamento.
Beatrice raggiunse i dieci tappeti dedicati al Programma Maratona, dove un tipo sui trenta anni, in pantaloncini corti e maglietta rossa con la scritta in blu Personal Trainer la accolse con un sorriso. - Ciao Fiorenzo, scusa il ritardo.
- Ciao Beatrice, non ti preoccupare, sono solo pochi minuti, li recuperiamo. Sei pronta?
Mentre consegnava il programma di lavoro Beatrice fece scorrere lo sguardo sull’enorme sala.
Pochi i tappeti occupati, del Programma Maratona solo il suo e quello di Tommaso, che salutò, ricambiata con un cenno del capo. Lui era molto avanti nel programma ed era uno di quelli in predicato per partire per New York quello stesso anno. Mentre ne osservava lo splendido fisico, elegantissimo anche nella corsa, represse sorridendo un pensiero di invidia e salì sul suo tappeto. Fiorenzo controllò lo schema di allenamento, ripetendo almeno per la ventesima volta quel gesto con le stesse parole. Non che fosse particolarmente contento di quel lavoro, ma almeno vedeva qualche euro e inoltre quello era il posto giusto per rimorchiare, visto che era gay dichiarato. Alzò gli occhi, trovando Beatrice poco interessante da quel punto di vista.
- Oggi partiamo con sette minuti al o, poi corsa per tre minuti .Ripeti il ciclo per sei volte . Concludiamo con una corsetta leggera per venti minuti.
Salita sul Tappeto, Beatrice cominciò a modificare il programma sul display. Fiorenzo, come mai stasera la palestra è un mortorio? – Sì, è una giornata moscia. Succede sempre cosi, con l’avvicinarsi dell’estate. Oggi ci sei solo te . Comunque, come si dice gli assenti hanno sempre torto. Pensa che oggi è in ritardo anche Fiammetta, lei che è puntuale come un orologio. A proposito, mi ha detto Benny di ricordarti di non mancare alla pizza che faremo giovedì, anzi quando hai finito a da lui per iscriverti.
Il tappeto cominciò a muoversi, per i primi sette minuti di camminata veloce. Beatrice fece un cenno di intesa a Fiorenzo, non prima di essersi guardata, impaziente, nuovamente intorno. Alla sua destra ,a qualche tappeto di distanza, Tommaso, laggiù a sinistra , verso la direzione, la grande vetrata permetteva di intuire, al di là della scrivania, una presenza umana, un cranio calvo che brillava
in lontananza.
Tommaso Bianchi regolò il computer del suo tappeto a rallentare dalla corsa veloce che aveva mantenuto per i precedenti trenta minuti. Ormai era lanciatissimo, aveva raggiunto un livello di resistenza alla corsa notevole avrebbe corso una grande maratona, ma di fronte a quello spettacolo di donna che era appena arrivata in sala, il suo cuore sarebbe andato in tilt. Gli sarebbe scoppiato nel petto, ne era sicuro era meglio rallentare. Prese un asciugamano e si asciugò il sudore. Dalla grande parete a specchio di fronte al suo tappeto poteva ammirarsi, lo faceva molto spesso. Aveva una cura maniacale di se, dimostrava molto meno della sua età e ormai aveva superato abbondantemente i quaranta. La pelle liscia, poche rughe attorno agli occhi, una chioma corvina e fluente, penetranti occhi verdi, erano il suo orgoglioso biglietto da visita. Un fisico scolpito senza dare l’impressione di essere gonfiato artificialmente, neanche un filo di grasso, così come era conscio di essere un uomo di potere e di successo; sapeva parlare, aveva due lauree ed era già direttore di banca e quindi investito del sacro potere di gestire denaro. Quella donna lo faceva impazzire, era bella come il sole, altera e irraggiungibile per quasi tutti, ma non per lui. Aveva due segretarie che si portava a letto e come al solito ciascuna faceva finta di non sapere nulla dell’altra, ma quella donna era un'altra cosa. Mentre correva, sentì salirgli un’erezione, doveva essere qualche residuo del Viagra che aveva assunto il giorno prima. Non che avesse problemi e in genere cercava di evitare incroci strani con le sue amanti, tuttavia era accaduto di portarsele a letto un paio a distanza di poche ore e per andare sul sicuro era ricorso alla pillola blu. Da qualche parte aveva letto che il farmaco miracoloso funzionava solo se avevi uno stimolo sessuale, ed l’affacciarsi anche di Fiammetta in sala tappeti, in aggiunta a quella fata di Beatrice, stava portando il livello del suo testosterone a livelli di guardia. Correre con accanto quelle due grandi fiche di Fiammetta e Beatrice era una tortura, quella palestra era una miniera di gnocche. Lui ne prediligeva una, ma anche l’altra non era male. Magari un giorno se le sarebbe fatte insieme, una cosa alla volta. Controllò l’ora sul display, aveva quasi finito, e a quel punto sarebbe anche ato da quell’idiota del coordinatore, tutto muscoli nei posti sbagliati, pensò malignamente e rarefazione di neuroni, per iscriversi alla cena del corso. Sceso dal tappeto, si dedicò al solito stretching, bevve un lungo sorso di una bevanda energetica e si avviò verso l’ufficio del coordinatore. ando accanto al tappeto dove Beatrice e Fiammetta si stavano allenando, con la coda dell’occhio si inebriò di quella meravigliosa visione. Puntualmente, sentì
qualcosa muoversi nei suoi calzoncini.
Dalla sala della direzione Benny Martelli poteva volgere strategicamente lo sguardo, attraverso la grande vetrata, all’intera sala dei Tapis Roulant compresa la zona del Programma Maratona, l’unica alla quale fosse in realtà interessato.
Beatrice era in lieve ritardo, ma in definitiva era una di quelle che non mancavano mai. In quel momento Fiammetta fece il suo ingresso nella grande sala, si avvicinò al tappeto dove Beatrice stava già da qualche minuto lavorando, si scambiarono qualche parola. Prima di salire a sua volta sul tappeto e cominciare il lavoro, salutò Fiorenzo e consegnò il suo programma di lavoro. Benny abbassò lo sguardo sulla scrivania, e controllò ancora una volta i partecipanti alla cena.
Mancavano i nomi di quelle due, ma soprattutto di una delle due. Sarebbe stato un vero peccato se fosse mancata, pensò, mentre le labbra gli si incresparono in un sorriso.
Il grande orologio digitale che campeggiava sulla sala dei tappeti segnava le venti e due minuti. Beatrice, sudata e accaldata, con l’asciugamano sul collo, scese dalla pedana. – Brava, ce l’abbiamo fatta. Ora bevi piano però, a piccoli sorsi, poi dedicati ad un paio di minuti di stretching. Non dimenticare di andare da Benny. Ci vediamo a cena, allora. -Va bene, grazie Fiorenzo. Fiammetta, io vado da Benny e poi in sala massaggi, che fai, mi raggiungi? Fiammetta Giusti, alta e atletica, all’acme dei due minuti di corsa veloce, con il tappeto regolato a percorrere dodici km/h, annuì senza parlare e fece il cenno convenzionale di ok. Qualche minuto più tardi Beatrice entrava nell’ufficio di Benny Martelli, coordinatore tecnico della palestra nonché fruitore dei suoi servizi in qualità di apionato culturista. Trentasei anni, alto più di un metro e ottanta, era una montagna di muscoli, con i capelli rasati zero per una precoce calvizie. - Ciao Benny, mi ha detto Fiorenzo di are da te.
Seduto all’ampia scrivania Benny alzò gli occhi in modo studiato, cercando di stamparsi sul viso un sorriso credibile.
- Hallo Beatrice. Allora, come va, ce la facciamo per quest’anno?
-Non lo so, ora sono stravolta, ma penso che i venti km potrei anche farli. Scusa l’odore, sono sudatissima.
Osservandola, Benny la trovò radiosa anche dopo un’ ora di corsa. – Don’t worry. Pensa a quanto sei avanti, sono solo tre mesi che ti alleni, poi non dimenticare che oggi ha fatto veramente caldo e abbiamo avuto problemi con i condizionatori. La maratona di New York si svolge a Novembre e farà più fresco, vedrai che disputerai una grande gara. Ti volevo ricordare la cena del corso, ci saremo quasi tutti. Confermi anche tu allora? È per giovedì sera. – Si, non dovrei avere problemi, dove andiamo?
- Al Barcone, una pizzeria qui vicino. Il figlio del proprietario è nostro cliente, ci tratterà bene e dicono che la pizza sia ottima. Ci vediamo giovedì alle otto meno un quarto qui in palestra. Ha confermato anche Tommaso ,però sarete lo stesso quasi tutte donne, noi solo cinque uomini finora. Speriamo si iscriva qualcun altro e cercate di non massacrarci, voi sarete almeno il doppio.
Mentre rispondeva Benny abbassò viso sul foglio che aveva davanti e scrisse il nome di Beatrice in fondo alla lista.
- Va bene, allora ci vediamo giovedì, mi ha detto Fiammetta che probabilmente
verrà anche lei. A proposito, sai se Arthour è libero? Volevo un massaggio ma non ho prenotato. -Sì, l’ho visto poco fa al bar, ora lo chiamo con il cercapersone, tu intanto accomodati in sala massaggi. Diventerai ancora più bella.
Beatrice glissò al complimento di Benny e dopo un cenno di saluto uscì dall’ ufficio, per entrare poco dopo in uno stanzone con un tavolo in legno e candele d’incenso accese. La attendevano trenta minuti di assoluta delizia, grazie ai massaggi di scuola marocchina dell’uomo con le grandi mani.
Arthour Moudani, alla soglia dei quarant’anni, era un uomo felice. Da dodici in Italia, aveva ato la sua infanzia in Marocco, nei sobborghi di Agadir, dove il sole brillava per trecento giorni l’anno; la sua città, ricostruita dopo il terremoto del 1960, ancora piangeva gli oltre quindicimila morti, tra cui anche i suoi nonni. Aveva ancora nella mente il mare, la pianura del fiume Souss e l’albero della vita, l’Argania Spinosa. Non aveva dimenticato i momenti felici della sua adolescenza, ata a eggiare per il deserto con i suoi amici berberi, a dorso di cammello a caccia di conigli selvatici, da cucinare su improvvisati falò e a coglier i frutti dell’albero della vita, per pochi soldi. Begli anni, di gioventù spensierata. Poi la vita aveva presentato il conto, e dopo il servizio militare, a ventidue anni, si era trasferito a Casablanca, dove aveva fatto mille mestieri. Aveva vissuto in quella città per sei anni, poi uno zio emigrato in Italia gli aveva proposto di raggiungerlo, tanto laggiù non ci sarebbe stato futuro per lui e per quelli della sua generazione. Era arrivato a Padova, dove non si era mai sentito a casa, e aveva sperimentato una vita ancora più grama di quella lasciata in Marocco. I lavori che aveva trovato erano tutti molto umili, e il trattamento ai limiti della schiavitù. Ricordava le sveglie al buio, prima dell’alba, il gelo che ti entrava nelle ossa, le ore ate a scaricare cassette al mercato per poche lire. Il freddo, la nebbia e l’umidità erano stati perniciosi per lui. Si era preso due polmoniti, prima di capire che quella città ricca, cinica e fredda era pervasa da un razzismo nemmeno troppo velato. Non faceva per lui, e non solo per il clima. Era fuggito con pochi rimpianti per approdare a Roma, che lo aveva invece folgorato. Luogo meraviglioso, ricco di storia, sole, vita, tante palestre, tante donne e anche tanti uomini desiderosi di bellezza e salute.
Lui aveva sempre praticato massaggi, ma nella sua terra la clientela era scarsa, in pochi potevano permettersi la cura del corpo e per l’antica arte dei massaggi le mani femminili erano quelle predilette.
Roma era diversa, si era sistemato in uno di quei quartieri abitati da persone benestanti, dove la gente era attenta alla cura del proprio corpo. Aveva affittato un’appartamento-studio per i suoi standard quasi lussuoso, guadagnando molto al punto di essere in grado di inviare soldi a sua madre laggiù, nella sua terra. Collaborava con due palestre, riceveva clienti a casa e garantiva anche un servizio a domicilio, con un minimo sovrapprezzo. Aveva con sollievo scoperto che i residenti di quelle zone non badavano a spese. Tra la clientela aveva molte belle donne, e qualcuna gli aveva fatto maliziosamente capire che avrebbe gradito, dopo quello classico, un altro genere di massaggio; lui in silenzio e con umiltà non si era mai tirato indietro. Un fedele servitore , silenzioso e discreto.
Che bel mondo l’occidente, gli infedeli ti offrivano piacere e te lo pagavano pure.
Certo, alla fine avrebbe fatto arrivare la sua ragazza, che lo aspettava in Marocco, fedele come l’Islam prevedeva, ma voleva godere ancora delle delizie di quel mondo dorato, per i doveri c’era sempre tempo; poi, l’olio di Argan, cosi raro e prezioso: ne importava e lo vendeva, e per questo i suoi amici produttori gli garantivano anche una percentuale. Sì, era un uomo felice e realizzato, considerando da dove era partito. Arrivato al bar, ordinò un te freddo alla menta. Stava sorseggiando quella delizia, quando il suo cercapersone suonò.
Controllata la temperatura dell’acqua, Beatrice entrò nella cabina doccia.
Sentiva ancora la pelle calda, i pori dilatati, dopo quella delizia assoluta. Le sembrava quasi di venir meno, la vasodilatazione della corsa, quella del massaggio, ora la doccia bollente. Regolò la temperatura dell’acqua non troppo elevata, per evitare di ritrovarsi in terra. Le mani di Arthour erano un vero orgasmo, quei massaggi riuscivano farla impazzire letteralmente non certo come le mani di Giovanni, che avrebbe sposato solo per sistemarsi e avere un figlio e una vita tranquilla. Giovanni, che non era proprio un gran che a letto. Ricordava con rabbia la sua eiaculazione precoce che la lasciava sempre insoddisfatta e che lui nemmeno riconosceva come un problema. Le loro serate insieme si riducevano a film visti in casa, sdraiati sul divano, come due amici. Niente sesso, tanto se la voglia viene e poi non la soddisfi è meglio lasciarla sopita.
Da qualche mese aveva riscoperto, disperatamente, la masturbazione. Reminiscenze adolescenziali, di quando con il cuscino tra le gambe, a pancia giù nel letto, aveva scoperto la sua sessualità. Poi quella ultima, insperata ione nella quale si era totalmente immersa. Al diavolo l’educazione, i tabù, le convenzioni. Trasgredire la faceva sentire viva, anche se non aveva perso di vista la realtà e restava con i piedi ben piantati in terra. In fondo aveva sempre saputo cosa volere dalla vita, cosa prendere, a cosa rinunciare e soprattutto quando fermarsi. Aveva ben ponderato quel o prima di infilarsi in quella storia, sapeva bene che non era amore, lei non se la sarebbe sentita di rinunciare a Giovanni e al mondo dorato che prometteva di essere la sua vita. Quella era la classica avventura, iniziata come un’amicizia in palestra, poi diventata qualcos’altro, che però ora la stava prendendo più di quello che avrebbe mai pensato. Una storia clandestina, destinata a finire. Si era data anche un termine, la partenza per le vacanze, per il mare azzurro della costa Smeralda.
Sarebbe stata chiara e decisa e avrebbe capito, ne era sicura. Continuò a farsi accarezzare a lungo la pelle dal getto della doccia, godendosi quel momento fino in fondo.
Dopo una ventina di minuti saliva le scale, con il borsone in spalla, per uscire dallo Sporting. Ripensò elettrizzata alla serata che si era programmata, a
Giovanni aveva raccontato la solita balla di una cena con i colleghi della banca. ando di fronte al salone dove aveva lavorato fino a poco prima istintivamente sbirciò dentro. Vide solo Fiorenzo, i tappeti del programma maratona erano ormai deserti. Poi uscì nella sera ormai inoltrata.
Regolato il bilanciere con quaranta chili, Benny Martelli iniziò la sua seduta di allenamento. Mentre sollevava il bilanciere per la sua serie di ripetute, si rese conto che non riusciva a concentrarsi sul lavoro fisico perché i suoi pensieri erano tutti per quella donna. Era una sensazione stupenda, averla incontrata, ed era meraviglioso sentirsela dentro. Ripensando alla sua vita, rivedeva il film di quei quindici anni a Roma, lui che era nato in una città di provincia, emigrato nella metropoli per studiare Architettura, come suo nonno che amava e teneva a quell’unico nipote al punto di incoraggiarlo in quella scelta e mantenendolo nella Capitale per anni. Appena giunto a Roma, era rimasto folgorato, lui cresciuto in provincia, dalla grande città ed era subito scivolato nelle sue tentazioni, trascurando gli studi, perdendosi in quel mondo tentacolare. Gli erano stati tagliati i viveri ma lui aveva scoperto il culturismo e le donne, che aveva cominciato a collezionare in modo maniacale, al posto dei voti sul libretto. Aveva dovuto anche cercarsi un lavoro che gli desse da vivere ed era stato fortunato a trovare quella palestra: lo pagavano e gli permettevano di usufruire gratis della sala pesi. Sentire gli sguardi femminili sul suo corpo e sui suoi muscoli gli regalava sempre brividi di eccitazione. Aveva avuto decine di storie, con donne di ogni età, ragazze affascinate dai suoi bicipiti, donne mature che volevano sentirsi ancora desiderate, in cerca di sensazioni forti; storie testimoniate da quel suo innocente vezzo di collezionare piccoli oggetti delle amanti che si portava a letto, un fermacapelli, un orecchino, una ciocca di capelli, che lui conservava gelosamente. Aveva ormai superato il centinaio di cimeli, che lo aiutavano a ricordare, perché lui non si negava mai, con nessuna, ma questa volta era diverso.
Quello che aveva provato conoscendola era speciale. Continuò a sollevare il bilanciere, doveva fare in fretta perché quella sera l’avrebbe rivista. Si voltò verso la grande vetrata che guardava sull’atrio, e rimase folgorato. Rimase per un lungo attimo attonito, incapace di muoversi. Interruppe l’allenamento, indossò rapidamente la giacca della tuta, si avviò rapidamente verso l’uscita.
Sarebbe stata come sempre una serata elettrizzante pensò quando uscì in quella serata umida e fresca di quella primavera incompiuta.
Fiammetta ridusse dal display la velocità del tappeto, continuando la sua corsa regolare, dondolandosi con le braccia, perfettamente equilibrata sull’ampia pedana. Quel modello rendeva la corsa ancora più facilitata e rilassante, era veramente un tapis roulant superlativo. L’aria condizionata rendeva il microclima perfetto, e la TV nel display rendeva la fatica più sopportabile e meno noiosa. Ti deliziavi con un film, a metà del quale l’allenamento era terminato, e magari avresti fatto un’altra ora di corsa per vedere come andava a finire.
Alta e tonica, Fiammetta Giusti aveva del suo corpo una venerazione assoluta. Lo aveva curato sin da ragazza, e ricordava le corse sui Lungarni o alla Cascine in primavera e in estate, e le palestre che frequentava da sempre. Era un’adoratrice del sole, e aveva permesso alla sua pelle di acquisire una colorazione ambrata, la sua divisa da sempre, rifugiandosi appena poteva sulle rive del Mar Rosso, in Versilia o, nei lunghi inverni fiorentini, nei centri estetici. Era sempre stata scambiata per una mulatta, o una creola, e ora che sfiorava i quaranta la sua pelle pagava lo scotto di anni di disidratazione. A lei non importava, si piaceva così e guadagnava abbastanza da concedersi i più costosi trattamenti estetici.
Ora aveva un altro motivo per sentirsi più bella. Nella sua vita era entrata una persona che la stava sconvolgendo. Non ricordava una sensazione del genere da quando aveva venti anni e aveva scoperto la sua sessualità con quel ragazzo arabo che studiava Medicina e che le aveva fatto conoscere il sesso. Lei vergine, una vergine per bene e di buona famiglia, e spesso ricordava la prima volta che erano stati insieme, era dovuta rimanere a letto per tre giorni, a farsi impacchi e lavande.
Sin dalla prima volta era stato piacere puro, godeva di quella meravigliosa
sensazione di calore che partiva dal pube e le attraversava tutto il corpo, e di quel tranquillo rilassamento che anestetizzava i cattivi pensieri e i problemi. Si sentiva fortunata, almeno ad ascoltare le sue amiche che confessavano di fingere molto spesso.
Ora invece viveva quella intrigante e voluttuosa storia, che stava diventando sempre più coinvolgente. Quella sera avevano organizzato il loro incontro amoroso, e lei non vedeva l’ora, al solo pensiero si sentiva bagnata. Rallentò la velocità del tappeto, per la fase di scarico. Ne approfittò per asciugarsi il sudore, sistemarsi la fascia elastica che le teneva fermi i capelli e bere un sorso d’acqua. Voltandosi verso la sala pesi, sulla destra rispetto alla sua postazione, vide Benny Martelli e i suoi muscoli, le sue spalle enormi, in evidenza sotto la tuta. Bloccò definitivamente il tappeto, discese dalla pedana iniziando la fase di stretching. Non vedeva l’ora di affidarsi alle grandi mani di Arthour e alle delizie dei suoi massaggi, prima di una doccia tonificante, e di una serata indimenticabile.
DUE
Due mesi dopo
La città agonizzava nell’afa. L’estate più calda del secolo stremava chi non aveva cercato di sfuggire al girone infernale che stringeva a morsa l’intera metropoli. La notte, falsa chimera di salvezza, attirava i superstiti con serate nei parchi, cinema all’aperto, pizze e cene sulla spiaggia, mentre negli stradoni di periferia il tempo si consumava tra angurie e moto rombanti. Da qualche parte ululavano sirene di polizia e ambulanze nei pressi di qualche lenzuolo sinistramente steso in terra. Poi le intermittenti luci azzurre si dileguavano nella notte, lasciando dietro di sé paure, attonito dolore e improvvisati altarini.
Puntuale come il sole che nasce, il calore insopportabile tornava a colpire nelle case torride, nei giacigli improvvisati su stretti balconi affacciati su palazzoni di periferia, tra torme di mosche e zanzare. Nei condomini, tra condizionatori rumorosi e rantolanti, la scelta era di non dormire per il caldo o per il rumore. I cani, randagi per censo o da poco diventati tali, ansimavano cercando rifugio nelle fontanelle o negli stagni dei parchi, in attesa di finire nelle gabbie del canile cittadino. Si sudava. Si cominciava usciti dalle docce tiepide di prima mattina, si continuava stipati nei bus e nelle vetture della metro e nelle strade, dove il calore scioglieva l’asfalto. Uniche oasi erano le fontane, quelle nobili delle piazze del centro storico, o le curiose fontanelle di periferia. La canicola stringeva la città in modo democratico, dai grandi quartieri borghesi, svuotati dei ricchi abitanti, ai casermoni popolari delle tristi periferie, scoperchiando odori e sconvolgendo umori. La bruma che evaporava dai parchi, che si alzava dal fiume maestoso che saliva dal mare rendeva la calura e l’afa ancora più asfissiante. Era una torrida estate nella folle, crudele, eterna Città.
Rolex. ione e crudeltà
Giovedì 7 Agosto
I titoli di coda del film scorrevano sul grande schermo al plasma. Disteso sul divano, senza scarpe ma con la camicia stazzonata e la cravatta allentata, Giovanni Terranova aprì gli occhi reprimendo uno sbadiglio.
- Accidenti, mi sono perso la fine del film.
- La fine? Diciamo che hai dormito quasi per tutto il tempo. Praticamente ti sei interessato solo ai titoli d’inizio e di coda. Poi mi devi spiegare come riesci a dormire con la cravatta, mi sento male al solo vederti. Si vede che sei abituato, ti farai certi sonni ai congressi.
Beatrice si alzò, stiracchiandosi. Nonostante fosse in fase di allenamento pesante si sentiva benissimo. Nemmeno un dolorino muscolare, nulla.
- Dai, non esagerare. Queste commedie sono soporifere, mica è colpa mia. Però hai ragione, la prossima volta mi metto in pigiama e pantofole.
Sorrise cercando di infilarsi la camicia nei pantaloni.
– Già, se non sono film di azione coi morti ammazzati non sei contento. Non è necessario, niente pigiama, basta che ti togli la cravatta.
Beatrice spense il televisore sbirciando l’ora e prendendo contemporaneamente in mano le scarpe che erano scivolate sotto il divano.
-E poi sono stanco – riprese Giovanni - mi sarei assopito anche se avessi visto Mission Impossible, questa mattina abbiamo operato dalle sette, sono stato chiuso in sala operatoria dodici ore seduto su quello sgabellino, una vera tortura, ho le vesciche al sedere. Senti, ma che ore abbiamo fatto? -È mezzanotte, forse è il caso che ti avvii – disse lei secca.
-Di dormire qui non se ne parla, vero?
-Non mi pare una buona idea, domani avrai seduta operatoria e devi partire, ti attende un’alzataccia e da qui alla clinica non è vicinissimo. Poi per come mi agito rischi che ti prendo a calci, magari domani sarai pieno di ematomi.
Ultimamente me la sogno anche di notte, questa diavolo di maratona, mi sa che muovo pure le gambe a tempo.
– Sai che novità, la sala operatoria. Mi fai sempre problemi, vorrei capire perché. . Represse un altro sbadiglio e cominciò a infilarsi le scarpe .
-Perché tra i due chi ha la testa sulle spalle sono io, il riposo è importante e non sei più un ragazzino.
Guardati come sbadigli, hai bisogno di dormire e da soli si riposa meglio.
-Già, vorrei vedere quando ci sposeremo.
-Non fammi ridere Giovanni, quando ci sposeremo e avremo un figlio ti troverò a dormire nello sgabuzzino. Non sai quanto può essere irritante un neonato che ti sveglia ogni ora. Beatrice controllò con la coda dell’occhio l’orologio digitale che campeggiava sulla parete sopra il divano.
Mezzanotte e dieci.
-Come sei spoetizzante. Appunto, prima di arrivare a quella tortura gradirei goderti un pochino, no? Indossò la giacca di lino chiaro appesa all’attaccapanni vicino la porta d’ingresso e prese la borsa appoggiata sul mobile di legno nell’atrio.
- La settimana prossima saremo a Porto Cervo, non puoi pazientare? Ora è meglio che vai, è già tardi. E anch’io crollo dal sonno.
- Va bene, me ne vado, hai vinto tu. Che farai domani? Io ho il volo per Verona alle quindici, e uscirò dalla sala operatoria tardi. Spero di muovermi dalla clinica in taxi verso le tredici. . – Farò le solite cose, sistemerò casa, poi andrò in palestra nel pomeriggio, quindi seduta di massaggi e piscina. Domani sera mi troverai a casa come sempre. Una vita da pensionata, praticamente. Chiamami appena hai finito di operare.
- Va bene. Spero solo di ricordare dove ho messo la Smart.
- Sul marciapiede di fronte, cinquanta metri in discesa, prima del benzinaio. - Mi serve già la badante, andiamo bene. Allora ciao.
- Ciao. E vai piano.
Giovanni le diede un rapido bacio sulla guancia e uscì sul pianerottolo, avviandosi verso le scale. Lei lo osservò scendere la prima rampa salutandolo ancora con un gesto prima di chiudere delicatamente la porta. Rimase pochi secondi immobile, ascoltando lo scalpiccio sulle scale, poi si scosse, ritornò nel salone, prese il cellulare dalla borsa, compose un numero.
-Ciao tesoro, abbiamo poco tempo, è appena uscito e mi chiamerà tra poco. Come stai?
Venerdi 8 Agosto
L’uomo in attesa, seduto al tavolino di un bar, aveva appena consumato un toast. Bevve a lunghe sorsate una bevanda energetica, lo sguardo fisso sul portone che s’intravedeva al di là della vetrata del locale. La giornata era come al solito torrida e nonostante l’interno del bar fosse ampiamente climatizzato, l’uomo sudava. Piccole gocce scivolavano dal collo alla schiena, imperlando la polo verde, e si scoprì a pensare che probabilmente emanava un odore assai sgradevole. Lo consolò il pensiero che con quel caldo africano in pochi potevano vantarsi di profumare e sapeva anche bene, magra consolazione, di non sudare per il caldo, perché nel bar il condizionatore faceva ottimamente il suo dovere, ma per la tensione nervosa, l’eccitazione, lo stress di quella situazione che da cinque mesi gli aveva cambiato la vita.
Lei era salita da qualche tempo, almeno un paio d’ore. Aveva parcheggiato la macchina sul lungotevere, bellissima come sempre, e aveva raggiunto il palazzo, con quella sua camminata orgogliosa e aristocratica. Quella era casa di suo padre, non ci viveva, ma ne possedeva le chiavi, e lui quindi conosceva bene anche quell’appartamento. Conosceva tutto di lei, ogni suo respiro. Controllò l’ora, le quindici e quarantacinque. Aveva bisogno di un altro caffè, ordinò il suo solito decaffeinato con dolcificante, lo sorseggiò rapidamente con gli occhi sempre fissi sul portone. Tranne quei cinque minuti nei quali si era assentato per andare in bagno, era stato attento a tutti i movimenti e non aveva visto nessuno. Cominciò a pensare che lei potesse essere uscita proprio in quel breve intervallo, il destino sapeva giocare bene le sue carte. Quell’attesa lo snervava, si stava facendo tardi e non aveva un tempo infinito. Decise di muoversi, pagò e fece una tappa in bagno per lavarsi viso e ascelle e spruzzarsi del deodorante. Erano quasi le sedici quando uscì dal locale ed ebbe la spiacevole sensazione di entrare in un bagno turco. La temperatura sulla strada superava i quaranta, l’escursione termica con l’interno del bar, climatizzato a diciotto gradi, era notevole. Si guardò rapidamente intorno, la strada era deserta. Dopo pochi secondi era già nell’androne e cominciò a salire le scale, raggiungendo rapidamente il terzo piano. La porta blindata in legno pregiato con il numero sei era sulla sinistra. Non incontrò nessuno, sapeva che lo stabile era praticamente disabitato in quelle giornate di agosto. Avvicinò l’orecchio alla porta e provò ad
ascoltare. Dall’interno nessun rumore. Forse lei lo stava aspettando. Prese dal mazzo la chiave giusta, aprì ed entrò, chiudendosi delicatamente la porta alle spalle. Il quadrante luminoso del suo orologio da polso indicava le sedici.
Nella stanza il caldo era asfissiante, ma a loro non importava. Si stringevano sudati, cercandosi con la lingua, baciandosi con una foga che sfiorava la disperazione. Sentiva la sua eccitazione e immersa tra le sue cosce, la baciava, esplorandola e penetrandola. I primi brividi di piacere furono il preludio a un orgasmo squassante, che durò a lungo e le strappò un urlo, e poi ancora un altro, e un altro ancora, sino a sfinirla, tra sudore, saliva e umori, mentre pensò, mi mancheranno amore, senza di te non sarà mai più lo stesso. Dopo un tempo che le sembrò infinito, raggiunse una pace fisica, le membra si rilassarono e fu avvolta da un torpore incantato. Allora giunge il momento della dolcezza, delle carezze, del respiro nei suoi capelli.
Restarono abbracciati a lungo, in silenzio. Poi lei parlò, a lungo, con calma sicura e decisa. Scese dal letto, raggiunse il bagno, si guardò nello specchio. Il viso era scarmigliato, i capelli bagnati e arruffati.
Immagino che avrei bisogno di una doccia, ma non voglio cancellare il tuo odore.
Dopo un attimo sentì i suoi i nel corridoio, la sua presenza dietro di lei.
-Sei qui amore mio, - il suo ultimo pensiero, prima di sprofondare nelle tenebre.
Nel piccolo atrio l’afa e il senso di chiuso rendevano difficile respirare. Rimase immobile, cercando di calmare il crescente senso d’inquietudine che lo stava invadendo, poi mosse qualche o verso il corridoio. La casa era silenziosa e caldissima. Si fece forza, la chiamò per nome, prima sussurrando, poi alzando di pochi decibel il tono della voce. Nessuna risposta. Era giunto in corrispondenza della stanza sulla sinistra, quella che sapeva essere la camera da letto. Si affacciò sull’uscio e rimase impietrito.
Il letto era sfatto le lenzuola, stropicciate e bagnate erano scivolate sul pavimento. Non ebbe modo di osservare gli indumenti intimi e i vestiti che erano sulla sedia, accanto alla parete di destra. Aveva rimosso quella visione, probabilmente. Si appoggiò all’uscio, sentendosi mancare. Chiuse gli occhi. Poi li aprì di nuovo, ma la scena non era cambiata. In preda ad una rabbia crescente sentiva il sudore scendere copioso sulla schiena. Aveva bisogno di bere e di sciacquarsi. Il bagno era distante pochi i. Controllò l’ora, era in ritardo, doveva assolutamente andare, avrebbe avuto modo di razionalizzare e metabolizzare quello che aveva visto.
In pochi i raggiunse la porta del bagno.
Era l’ora del tramonto, la magia della palla incandescente che rendeva omaggio al giorno morente dalla collina del Gianicolo. Una struggente cartolina, un orizzonte fiammeggiante che annunciava l’addio del Dio Sole al suo scempio quotidiano.
Pazientemente in attesa nella sua utilitaria, anonima e rovente, parcheggiata regolarmente sotto una fila di platani, Ernesto Guidi, come tutti, stava sudando.
Nessun privilegio per i ladri d’appartamento, come ovvio poi se scegli una professione che richiede l’uso di jeans elasticizzati e aderenti, per evitare di
impigliarti da qualche parte, polo e scarpe da ginnastica ,di cosa diavolo vuoi lamentarti? La divisa da lavoro del ladro doveva essere deliberatamente comune, quasi sciatta quindi evitare vestiti appariscenti o fuori luogo.
Come il viso. Una faccia da ladro deve essere anonima, non deve rimanere impressa. Naso e orecchie piccole, nessuna cicatrice.
Poi l’atteggiamento, mai sembrare furtivo, ma comportarsi come se fossi di casa nel luogo che devi visitare.
Il suo corredo professionale era completato da un paio di leggeri guanti di cotone posti nella tasca posteriore dei pantaloni e un borsello con all’interno gli attrezzi del mestiere: grimaldelli, chiavi di ogni genere un cacciavite, nastro isolante, una lampada stilo, un coltellino svizzero multi uso - gli svizzeri erano tutti o ladri o boyscout, ne era convinto - ed altre diavolerie elettroniche.
Niente documenti, quelli avrebbe lasciati in macchina, parcheggiata a tre isolati dal condominio che era il suo obiettivo. A un collega era successo di perderli mentre visitava un appartamento, e al suo ritorno aveva trovato gli sbirri a casa, comodamente seduti in salotto ad attenderlo. Meglio non correre rischi quindi, perché alle soglie dei cinquanta anni Ernesto Guidi, cosa eccezionale, era ancora incensurato. Aveva poi della sua professione un concetto nobile e un proprio codice morale: si considerava una specie di Robin Hood che rubava gioielli e Rolex d’oro ai ricchi per trasferirli al povero, cioè lui. E questa non era un’azione peggiore di tante altre che erano considerate normali transazioni di affari, dove il vero furto sono gli interessi.
Le banche rubavano in modo sfacciato e legale, da veri usurai istituzionalizzati, e lui avrebbe volentieri sostituito la parola “furto” con quella di redistribuzione.
Aveva poi una famiglia normale, una moglie e due figlie adolescenti, che lo credevano agente di commercio. Poi a dirla tutta poi non aveva neanche bisogno di farlo, il ladro, la casa era di Edilizia Popolare, ed era stata riscattata, poi c’era lo stipendio della moglie e lui era regolarmente retribuito dallo Stato perché informatore ufficiale della questura, o meglio del Commissariato Prati.
Un informatore sui generis, però. Non faceva mai nomi, ma si preoccupava di prevenire rapine effettuate dalla malavita violenta, quella che sparava. Ci sarebbe scappato il morto negli assalti armati che lui denunciava al suo amico Vicequestore, ormai si sparava come nel far west, da molti anni. Lui si limitava a comunicare l’ora e il giorno, mai i nomi, certe cose nell’ambiente si sanno. Un paio di macchine della polizia davanti alla banca o a scortare il furgone blindato, quindi tutti a casa, con soddisfazione di tutti. Nessuna vedova e nessuno in galera.
Quella dritta su quella collezione di Rolex era troppo invitante, però. aveva già il ricettatore pronto: l’appartamento era vuoto, il proprietario in vacanza in Alto Adige, quindi rischi zero. Nessuna telecamera nella strada né nel palazzo, aveva controllato, e ne avrebbe ricavato minimo quaranta-cinquantamila euro, il che gli avrebbe permesso un gruzzolo da mettere da parte per i tempi grami e vacanze per tutta la famiglia nel mare di Puglia.
Controllò l’ora dall’anonimo orologio plastificato. Le venti e quindici, decise di muoversi. Prese le chiavi dal quadro, le mise sotto il tappetino e uscì dalla macchina, coprendo lo sportello con il corpo e facendo finta di armeggiare con la serratura, prima di mettersi le mani in tasca.
Un classico, niente chiavi della macchina con te, se le perdi sei fottuto, indietro non puoi tornare e la polizia con il telecomando la macchina te la trova subito, e se non hai il telecomando anche l’ispettore più ottuso proverà ad aprire le
automobili parcheggiate nel giro di tre o quattro strade. Il modo migliore per finire dritto in galera. Se te la rubano, e potrebbe succedere, torni a casa in metro.
Si guardò intorno, la strada era deserta, mentre le prime ombre della sera stavano scendendo sulla città, alleviando di poco l’afa asfissiante. Si avviò verso il palazzo e dopo mezzo minuto raggiunse il portone del condominio. Prima di aprire con la chiave si guardò nuovamente intorno.
Nessuno in vista.
Secondo le sue informazioni, l’interno sei avrebbe dovuto essere deserto, ma preferì accertarsene suonando il pulsante del citofono. Dopo trenta secondi di attesa, spinse nuovamente il pulsante. Nessuna risposta.
Attese altri venti secondi prima di aprire la porta. L’appartamento dell’Ingegner Massimi, già amministratore delegato di una multinazionale, vedovo, che in quel preciso momento si sarebbe dovuto trovare a Merano, era al terzo piano. Nessun parente stretto nelle vicinanze, due figli ormai per conto loro. Lavorarsi una delle badanti, conosciuta attraverso l’agenzia interinale che gli aveva procurato il lavoro, gestita da un suo amico, non era stato facile. Era andato tutto liscio, la tipa, rumena o ucraina, insomma di quelle parti, aveva riferito della collezione di Rolex, procurato la chiave della porta e il codice dell’allarme, in cambio di una mancia sostanziosa e di un biglietto in pullman per Bucarest. Se ne sarebbe stata tranquilla, in attesa che le acque si fossero calmate, per poi ritornare dopo ottonove mesi e ricominciare da capo.
Le scale erano deserte, l’intero condominio era vuoto, gli uffici chiusi e gli abitanti in ferie. Il portierato era stato abolito anni prima.
Dopo pochi secondi raggiunse il terzo piano. Ancora una tenue luce filtrava dalle vetrate e questo gli permise di non accendere la lampadina tascabile. Sul pianerottolo si guardò intorno, due le porte in mogano scuro, quella contrassegnata con il sei sulla sinistra. S’infilò i guanti, prese la chiave dal borsello, inserì la chiave nella serratura.
Si accorse subito che la porta non era chiusa a chiave. S’irrigidì e cominciò a riflettere rapidamente. Era una cosa fuori posto e lui, da buon perfezionista, non sopportava le cose fuori dallo schema. Pensò rapidamente, tentato dal lasciar perdere però la situazione era troppo favorevole e a quel punto tanto valeva credere a una dimenticanza, a una coincidenza. Chi era uscito aveva semplicemente dimenticato di chiudere la porta a chiave.
Aprì quindi con cautela sgattaiolando dentro in silenzio e chiudendosi la porta alle spalle accese la torcia. Cercò e trovò il plafond con l’allarme, sul muro a sinistra: la luce era spenta, qualcuno lo aveva disattivato.
Si irrigidì nuovamente, immobile, spalle alla porta. Improvvisamente, come portato da un soffio di vento o da una brezza invisibile, lo avverti distintamente. Nel chiuso dell’angusto vestibolo, arredato con un mobile di legno e con una lampada liberty, la puzza di chiuso della casa era sovrastato da un odore pungente, dolciastro, che Guidi conosceva bene.
L’odore del sangue. Quella casa odorava di morte.
Rimase immobile, respirando piano. Avrebbe dovuto fuggire, lo sapeva, ma era lì per i Rolex e quella molla lo spinse a continuare. E poi alla paura il suo orgoglio anteponeva la sua professionalità, voleva sapere cosa fosse mai
successo in quella casa che considerava suo territorio. Per quella curiosità morbosa che attinge alla paura dell’ignoto ma che ti spinge a cercare sempre il tuo limite, non avrebbe mai lasciato quel lavoro a metà. Mantenendo la lampada davanti a sé si diresse verso il lungo corridoio.
A destra e a sinistra si aprivano alcune porte. Dalla prima a sinistra si apriva la sala da pranzo. La stanza era buia, le persiane chiuse con pesanti tendaggi. Su tutto, un marcato odore di chiuso. Il fascio della lampada esplorò un divano, due poltrone e un lungo tavolo al centro, sulla sinistra un camino e un televisore vecchio tipo, di quelli larghi e spessi, anni settanta.
Il pavimento era ricoperto da un grande tappeto, mentre alla luce della lampada volteggiavano pigri filamenti di polvere. La cucina era sulla destra, anch’essa in penombra. Osservò il lavabo pulito, quasi asettico, un vecchio frigorifero e alcuni pensili di formica chiara, un piccolo tavolo con tre sedie. Una casa antica abitata da una persona anziana, tutto proiettato nel ato.
La stanza successiva sulla sinistra era la camera da letto. Con cautela superò l’uscio, illuminando con il fascio di luce la stanza. Al centro, un letto a due piazze, sfatto, con le lenzuola in terra, stropicciate. Da buon ladro, focalizzò l’attenzione sul mobile di legno stile arte povera sulla sinistra, e sulla vetrina che lo sormontava. Gli orologi erano all’interno, il colore giallo dell’oro brillava alla luce della lampada; si avvicinò, ne prese uno in mano, lo soppesò osservandolo da vicino. Era un Rolex d’oro, un modello di qualche anno prima. Sembrava autentico. Ne vide altri: erano tutti autentici.
Li contò, una decina, certamente un bel bottino, roba da un duecento mila . Li mise tutti nel borsello, proponendosi di controllarli con più attenzione appena uscito. Aprì tutti gli altri cassetti del mobile ma non trovò nulla d’interessante.
Mentre stava per uscire dalla stanza, il fascio della lampada illuminò la sedia e allora li vide. Sparsi su una sedia, un paio di slip, una gonna e una maglietta, e in terra un paio di scarpe basse. Il brivido sulla schiena giunse puntuale.
Rimase immobile. Il silenzio era totale, in lontananza il sordo brontolio del fiume ed il rumore attutito del traffico sul lungotevere. Continuò l’esplorazione, le due porte successive sulla sinistra immettevano in due minuscole stanze, ciascuna con un letto e un comodino. Nulla d’altro, tranne un settimino di stoffa dozzinale. La seconda porta sulla destra, il bagno, era aperta, e alle sue narici giunse nuovamente, questa volta fortissimo, l’odore del sangue.
La morte era in quella stanza.
Cercò di vincere ancora una volta la repulsione e la voglia di fuggire e si avvicinò all’uscio facendo scorrere all’interno il cono di luce della torcia. Alla fioca luce della lampada osservò il lavabo, posto sulla sinistra, mentre la vasca, sormontata da una tenda plastificata che impediva la vista all’interno, era sulla destra. Con la mano cercò l’interruttore, lo accese. Il sangue era ovunque, schizzi e macchie lordavano il lavabo, il vetro e la parete sovrastante, mentre una larga macchia rossa era visibile sul pavimento. Da essa una larga striscia di sangue arrivava alla base della vasca, come se un corpo fosse stato trascinato e chiuso alla vista dalla tenda. L’aria era irrespirabile, l’odore nauseabondo. Rimase impietrito, quasi fosse inchiodato a terra da una forza invisibile. A stento riuscì a reprimere un violento conato di nausea. Poi riprese lucidità e controllo, riuscì a voltarsi e a ripercorrere il lungo corridoio a ritroso, raggiunse la porta, usci sul pianerottolo e le richiuse delicatamente dietro di sé.
Si accertò ancora una volta che nessuno fosse in vista, scese le rampe di scale e tornò con sollievo a respirare aria pura.
Poco dopo entrava nella sua macchina, finalmente al sicuro. Si appoggiò al sedile, chiuse gli occhi, e rimase immobile per un lungo momento.
Poi raccolse la chiave dal pavimento dell’auto, mise in moto, e s’immise nello scarsissimo traffico di quella serata estiva. Pensò rapidamente alla prossima mossa, la cosa più saggia sarebbe stata quella di tornarsene subito a casa. Qualcuno avrebbe scoperto il corpo, perché lui era sicuro che dietro quella tenda ci fosse un cadavere. Probabilmente una donna, aveva trovato abiti femminili, che sarebbero stati scoperti chissà quando. Chi l’aveva massacrata in quel modo avrebbe avuto ottime possibilità di farla franca. Non aveva sentito odore di decomposizione, la donna, ammesso che fosse stata veramente una donna, era morta da poco.
Prima di tornare nella sua casa nel quartiere di Primavalle fermò la macchina di fronte a una cabina telefonica, che conosceva bene e sapeva lontano da telecamere di sorveglianza. Rimase un attimo pensieroso, ancora incerto. Forse non era la mossa giusta, ma lui era un ladro onesto.
Raggiunto il telefono, inserì una moneta e compose un numero che conosceva a memoria.
TRE
Il ritorno. Il nastro giallo. Delitto efferato.
Guidare e fumare il sigaro è sempre stato poco elegante, ma se Hemingway ci andava a caccia, in barca e sembra anche ci scoe, non doveva essere poi un peccato mortale.
In realtà più che altro lo masticavo, quindi non avrei dovuto neanche pormi il problema. Le macchine moderne ti permettevano anche di cambiare stazione radio o CD dal volante, non come quella scatoletta che mi aveva fatto schiantare su un muretto venti anni prima solo per aver distolto gli occhi un attimo per cambiare una cassetta.
Non ero mai andato così vicino alla morte. A parte quella volta che ero scampato a una raffica di mitra, ovviamente, ma per fortuna me l’ero cavata con qualche graffio.
Avevo appena inserito Vieni via con me di Paolo Conte e con il finestrino aperto mi godevo il fresco della sera mentre correvo incontro alle montagne vicine, tra boschi rigogliosi e borghi illuminati, verso le mie meritate ferie. Presi il thermos e mi concessi un sorso di caffè mentre la voce di Conte e il suo swing s’irradiavano nell’abitacolo. Gettai via il sigaro, chiusi il finestrino, alzai il volume, battendo il tempo di quel pezzo stupendo con le mani sul volante. Solo per caso riuscii ad ascoltare, prolungato e insistente, lo squillo del cellulare in sottofondo. Guardai istintivamente l’ora, le ventuno e trenta, e quell’infernale scatoletta plastificata che ci aveva cambiato la vita, quasi sempre in peggio, pensando rapidamente alle varie alternative.
Che fosse una donna era improbabile. L’ultima, Eleonora, si era accasata felicemente con un Pubblico Ministero della procura che la vox populi considerava uno stronzo con la S maiuscola.
Come lei, dovrei aggiungere.
Non lo faccio perché nella fattispecie della telenovela, ammesso che possa
interessare a qualcuno, lo stronzo ero stato io.
E se non era una donna, era il lavoro. E se telefonavano alle nove e mezzo di sera al Vice Questore Aggiunto Dottor Marco Ferrer mentre sta andando in ferie o era una cosa terribilmente seria o miravi a un trasferimento sull’Aspromonte al commissariato di San Luca ammesso che esista. In ogni caso volevo sapere. Forse.
Abbassai il volume dello stereo, presi la scatoletta infernale e risposi minaccioso, senza guardare il numero di chi osava.
Chiunque tu sia, spero abbia un ottimo motivo.
Capo buonasera, sono Palumbo. Scusi la rottura ma siamo in un bel casino, una faccenda del cazzo, se mi a il sismo.
Il mio vice Aniello Palumbo, non poteva essere che lui, ferie fottute e immensa rottura di balle in arrivo. Decisi di giocare all’indignato, ma già sapevo che sarei dovuto uscire al primo casello e tornare a Roma.
Palumbo, è andato a fuoco il commissariato? Nel caso dovresti chiamare i pompieri. Ti ricordo che me ne sto andando in ferie.
Capo, lo so che è in ferie ma qua la faccenda è seria. Ha telefonato in commissariato direttamente il Questore, mi ha detto di dare alla cosa priorità assoluta e di cercarla. - Il questore ? l’otto di agosto? Sarà sicuramente una fregatura. È una fregatura, Palumbo? Facciamo una cosa, ora tolgo la comunicazione e stacco il cellulare così tu racconti al questore che non mi hai trovato.
Capo, quello è capace di mandare una volante al casello di uscita o un elicottero direttamente a prelevarla domani mattina, è uno che non demorde, ha la testa dura. Lei poi in una storia simile ci si rotola dentro e non ne esce finché non l’ha risolta.
Quella carogna del mio vice sapeva sempre come agganciare la mia attenzione. Niente da dire, era in gamba. - Allora racconta, ma sintetico, per favore. E poiché ti sento a tratti cercati un posto migliore per parlare, hai poca linea.
Presi dal thermos un altro sorso di caffè, mentre mi preparavo ad ascoltare la cronaca della fine anticipata delle mie ferie.
Sì capo, mi sono spostato, qui dovrebbe esserci più linea. Allora abbiamo un omicidio, una donna uccisa a coltellate, un macello fatto da uno che sembra il compare di Jack lo squartatore. La morta si chiamava Beatrice Massimi, trentadue anni, aveva la borsa con i documenti. L’abbiamo trovata nell’appartamento del padre, l’Ingegner Massimi, ex Ad di varie multinazionali, in Via Valadier 12, alle spalle di Piazza Cavour. È arrivata in commissariato una telefonata anonima alle venti e trenta da una cabina telefonica sul Lungotevere.
Una voce contraffatta, ci ha detto di andare a quell’indirizzo e ha concluso che era una faccenda per lei. Ha detto proprio così, testuale, questa è roba per il Vicequestore Ferrer. E invece di telefonare al 113 ha chiamato noi. Non le pare insolito? Comunque è un vero casino. La stampa l’ha saputo e ci sta addosso, se becco lo stronzo che arrotonda lo stipendio. - Senti Palù, e la Mobile?
-È questo il punto, la sezione Omicidi è intervenuta, c’è anche il dottor Lepri, ma a lei la vogliono dentro l’indagine, il questore è stato esplicito. Lo immagina cosa vuol dire, credo che abbiano fatto saltare un po’ di culi dalla sedia stasera, la vittima è, come si dice, un morto eccellente, e l’esperto in omicidi lo sanno tutti, anche alla Mobile, è lei. Le castagne dal fuoco quindi le spettano, se risolve a loro il merito, se non risolve è colpa sua. La solita storia. . - Non starai esagerando? - già che c’ero giocavo a fare il modesto, avevo bisogno di
gratificazione, che il mio vice non esitò a elargirmi a piene mani.
- Esagerando? Ma di cosa? L’hanno mandata a Quantico all’FBI in vacanza, sanno bene con chi hanno ha che fare, il suo libro sulla scena del crimine si studia alla scuola di polizia e quando hanno le chiappe che bruciano, si ricordano di lei. Alla Mobile però ci vanno sempre gli stessi. Comunque la scientifica è arrivata, c’è il commissario Forte. Il medico legale sarà qui a momenti e magistrato di turno è avvertito. È il dottor Testa, ma secondo me visto il casino entro domani si muove anche il Procuratore. - Va bene arrivo, dammi mezz’ora.
Chiusi la comunicazione, rimettendo la scatoletta infernale sul sedile. Ripensai a come i cellulari avessero cambiato la vita delle persone, se non fosse esistito o lo avessi dimenticato a casa, non sarei uscito al primo casello per tornarmene mestamente indietro. Non che fossi particolarmente felice di are un mese da solo in eremitaggio tra i monti ma ora che avevo accettato l’idea, tra le altre cose organizzandomi con libri vari e già pregustando accanite partite a tresette con qualche vecchietto del luogo, mi saltava tutto.
Un caso di omicidio però era adrenalina pura, quindi le montagne potevano attendere. Il problema era che io, dopo tre giorni ati lontani dal mio commissariato, ne avevo un bisogno quasi fisico. A volte anticipavo il ritorno dalle vacanze e i miei uomini mi guardavano come un oggetto strano sceso da Marte, ma loro non potevano capire il sottile brivido di piacere e la sensazione di benessere psicofisico che mi provocava tenere la mente impegnata con un caso.
A cinquantatré anni suonati il lavoro aveva su di me un effetto taumaturgico. Mi sparivano come per incanto l’emicrania, la colite, i bruciori di stomaco e anche le fitte alla coscia sinistra, quella che era stata presa a raffiche di mitra; avrei potuto anche non dormire per ore senza avvertire il minimo disturbo. Da quando era finita la breve storia con Eleonora, poi i traumi da weekend erano anche peggiorati. Oramai erano sette mesi che non la vedevo, dopo tre di semi
convivenza. . Il Sostituto Procuratore della Repubblica Eleonora Santini in quel periodo era riuscita a evitarmi sistematicamente, e voci di corridoio la davano ormai tra le braccia di quello stronzo arrivista di Eraldo Testa. Un raccomandatissimo, se al primo incarico era già alla Procura di Roma, uno che mi sarei ritrovato quale PM incaricato dell’inchiesta. Avere una relazione con un magistrato poteva non essere semplice, lo avevo saputo fin dall’inizio ma nemmeno con la precedente, un medico legale, aveva funzionato. E allora probabilmente alla fine il vero problema ero io, con i miei fantasmi, i miei demoni interiori e la mia insoddisfazione esistenziale che nessuna donna sarebbe mai riuscita a lenire.
Era meglio, molto meglio che me ne stessi da solo, a curarmi con le mie dosi quotidiane di ansiolitici, alcool e sigari toscani, unici compagni per le mie serate solitarie.
Intanto mi stavo precipitando sulla scena di un delitto. Cercavo una via di fuga da me stesso, questo è il punto.
Jake Elwood, uno dei Blues Brothers, avrebbe aggiunto: “hai il pieno di benzina e gli occhiali neri, quindi non rompere e guida”.
Dopo essere uscito dall’autostrada e rientrato in direzione Roma, incrementai la velocità al massimo consentito e calcolai che in circa una trentina di minuti sarei arrivato a destinazione. . Il traffico era scarso, qualche macchina si allontanava dalla città per la canonica vacanza di ferragosto e quello in entrata era quasi inesistente.
Stavo attraversando una zona ricca di boschi e le vallate e i paesi che costeggiavano l’autostrada risaltavano al chiarore della luna e delle luci delle case e dei lampioni. Man mano che mi avvicinavo in città scendevo di altitudine,
e i boschi lasciavano spazio a larghe pianure coltivate a grano, già sottoposto a mietitura, e sostituito da terra secca e bruciata dal sole che imperversava impietoso in quell’agosto di fuoco. Ai lati della strada, villette isolate, casolari e paesi arroccati, silenziosi e muti. L’orologio digitale sul cruscotto indicava le ventidue e quindici quando dopo aver percorso il Lungotevere raggiunsi Piazza della Libertà. Via Valadier era a pochi metri, una strada piena di attività commerciali, sulla riva destra del Tevere alle spalle della grande Piazza Cavour e a pochi metri dall’enorme palazzo di marmo bianco sede della Cassazione.
Notai subito il nastro giallo, con la scritta Polizia Giudiziaria e l’agente di guardia, mentre in lontananza le luci blu intermittenti delle volanti illuminavano la notte. Trovai rapidamente parcheggio, scesi dalla macchina, dal portabagagli prelevai un paio di soprascarpe, una mascherina chirurgica, un paio di guanti in lattice e una torcia. L’arrivo della Toyota RAV più nota a Roma tra i cronisti di nera non ò inosservato al gruppetto di persone, una decina, democraticamente divisi tra entrambi i sessi, che sostavano al di qua del nastro giallo, controllati a stento da un ragazzo in divisa che non avevo mai visto. O una nuova leva del mio commissariato, prestato per le ferie, o un giovincello in forza alla Mobile. Come uno sciame d’ape ronza attorno all’alveare, appena mi avvicinai al nastro giallo il gruppo di giornalisti mi circondò all’unisono, e poiché erano tutti vecchi cronisti, qualcuno conosciuto da antichissima data, accettai di buon grado il fuoco di fila delle domande, effettuate più per abitudine che per ottenere una risposta.
Commissario allora, ci dici qualcosa?
Dai commissario, anche la stampa ha i suoi diritti.
La frase standard era questa.
Ragazzi, poiché siete così bene informati, saprete anche che sono in ferie, e solo poiché i miei sono tutti qui, sono ato a salutare. Auguratemi buone vacanze e fatemi are. Grazie… Inseguito dal vociare sommesso di protesta dei giornalisti, mi avviai verso il nastro, teso tra una grondaia e un cassonetto. Questo mi ricordò che avrei dovuto al più presto far setacciare tutti quelli della zona, almeno per un raggio di sei sette isolati, prima che il camion della nettezza urbana fosse ato a svuotarli.
Salutai l’agente di guardia, che scrisse il mio nome su un foglio, ai sotto il nastro e m’incamminai verso le volanti. Arrivato quasi alla loro altezza, da un capannello di persone si distaccò una figura a me familiare.
Capo, da questa parte, ha fatto presto.
Il commissario capo Aniello Palumbo, partenopeo di via Toledo, era da quattro anni il mio braccio destro, e a volte pure il sinistro. Figlio di un sarto dei quartieri Spagnoli, non molto alto, una quarantina d’anni, capelli folti sempre pettinati alla moda, accanito fumatore, gli era rimasta l’idea che l’abito fe il monaco, e quindi vestiva elegante e ricercato anche nelle situazioni estreme. Sospettavo che anche in spiaggia con la moglie indossasse giacca e cravatta, come quella sera. . - Ci sono tutti?
Manca il magistrato ma sta per arrivare, Lepri è su, insieme a Forte, la dottoressa è appena salita. Nel pronunciare questa semplice asserzione Palumbo increspò le labbra in un sorriso, il che fece scattare dentro di me il più classico dei camli.
– La dottoressa? Palù, facciamo a capirci, parliamo del medico legale? Di quel medico legale? Capelli rossi?
- Capo, non mi guardi così, io non ho il potere di scegliere il medico legale, questa ci hanno mandato, che poi è la scelta migliore in tutti i sensi. Un vero piacere per gli occhi. È lei che è una vera chiavica, con rispetto parlando, nei rapporti con le donne. Se ne riuscisse a mantenere una per più di qualche mese, capo. Niente, con tutte litiga. Mi dispiace per lei, ma stasera sono cavoli suoi. Ha tutta la mia solidarietà comunque.
– Palumbo, non girare il coltello nella piaga. Volevo solo sapere chi era per non fare la figura del pirla. Ora lo so, e non ci resta che salire.
Non è bello come spettacolo. Non so lei ma io non mi ci abituo mai. . - Nessuno ci si abitua, almeno non le persone normali. Entrati nel portone, salimmo due rampe di scale, sino ad arrivare sul pianerottolo del terzo piano. La porta dell’interno si era aperta, e sull’uscio una fotoelettrica ne illuminava a giorno l’ingresso. . M’infilai i guanti, indossai mascherina e soprascarpe ed entrai all’interno.
Mi ritrovai in un vestibolo, un piccolo atrio con un mobile di legno basso al di sopra delle quali c’erano alcune cornici con foto ricordo, qualche quadro alle pareti.
L’alogena ammantava di luce asettica la piccola stanza, attenuandone le ombre.
Superato l’atrio, mi avviai verso il corridoio lungo una decina di metri dal quale si aprivano alcune porte. Dalla prima a sinistra uscirono due uomini, con calzari, guanti, mascherine e copri capelli. Il primo era alto, corpulento, sui sessanta anni, in giacca e polo. Ci conoscevamo da oltre venticinque anni, con il Boss indiscusso della Scientifica, il Vicequestore Antonio Forte.
- Ciao Ferrer, so che ti hanno sradicato dalle ferie, io col cazzo che sarei tornato. Comunque qui è un macello, la scena è nel bagno, vai a dare un’occhiata, il medico legale sta lavorando. Stavamo appunto ragionando con Lepri. Ci sono un sacco di tracce, speriamo bene. . - Ciao Forte, lo sai come la penso sulle ferie, quindi va bene cosi. Ne avete ancora per molto? - Sì, dobbiamo ancora darci da fare con le impronte, tanto il Luminol non mi pare abbia senso, la scena come ti ho detto è nel bagno, e di sangue ne abbiamo in abbondanza e tutto visibile; dicono poi che comprometta il test del DNA però veramente qui sembra inutile. Poi non so per quanto ne avrà il medico legale. Vai a dare un’occhiata, tanto lo so che hai stomaco.
Forte era sempre lo stesso, gran lavoratore, serio e concreto, non era cambiato in tutti quegli anni. Anche quella sera avrebbe potuto mandare qualcuno e invece era li, in prima fila. Gran brava persona. L’altro invece non mi era simpatico proprio per niente e la cosa era palesemente reciproca. L’uomo che mi guardava in silenzio, in maniche di camicia, con i capelli precocemente ingrigiti sebbene avesse circa quarantacinque anni, apparentemente senza una goccia di sudore, anch’esso con calzari, mascherina e guanti, era il responsabile della Terza Sezione della Mobile, l’Omicidi, Matteo Lepri, detto “Lepre” per il suo atteggiamento sfuggente.
Era un buon investigatore, niente da dire, ed era considerato il braccio pensante della Mobile, quanto Filippo Mercanti, il capo, ne era la parte politica e di facciata. Peccato che grondasse stronzaggine da tutti i pori.
Ferrer, con tutta la stima, se fosse dipeso da me potevi anche restartene in ferie. Il questore ha deciso diversamente e quindi ti devo tirare dentro, anche se non ne vedo l’utilità. Cerca di collaborare e di lavorare in squadra, se la cosa ti riesce. La cosa migliore era non degnarlo di uno sguardo, quindi continuai a guardare Forte. La situazione era tragicomica, una scena del crimine, due vecchi investigatori che discutevano del delitto e un terzo che sproloquiava su ferie, competenze, diritti e doveri. Il ragazzo non era stupido, certe cose gli uscivano spontaneamente perché era solo stronzo, quindi le idiozie, appena uscite, erano accolte come tali dalla parte del cervello per così dire critica, la quale metteva subito in moto il meccanismo di riserva, quello della fuga, che inviava impulsi ai gruppi muscolari giusti. Infatti senza attendere risposta girò le spalle, compiendo un’ingloriosa uscita di scena e scansando platealmente l’incolpevole Palumbo. Non fargli caso, Lepri è scontroso ma è un bravo cristo. Questi giovani hanno sempre il terrore di essere scavalcati. Sai, alla Mobile si sentono un po’ tutti dei padreterni, lo sai. Forte sorrideva, francamente divertito, in fondo ne aveva visto di cotte e di crude, come me del resto, per scandalizzarsi. Mi piaceva la sua capacità di sdrammatizzare. - Magari non hanno nemmeno tutti i torti. Comunque tu che idea ti sei fatto? - È stata ammazzata in bagno, ora è nella vasca, ma potrebbero avercela messa dopo morta. Nella stanza accanto c’è un letto sfatto che parla di sesso, i vestiti sono sulla sedia, e lei era nuda. Ha scopato, si è alzata, è andata in bagno, lui l’ha seguita e l’ha massacrata, poi l’ha messa nella vasca. Ci sono segni di trascinamento del corpo. Ha usato un coltello, ma sinora non lo abbiamo trovato. Scopri chi si scopava e risolvi il caso. Un'altra cosa, un particolare importante. Sarà stato anche un delitto d’impeto, ma questo macellaio ha avuto il tempo e la lucidità di far sparire il cellulare della vittima. Non lo abbiamo trovato. Però come mossa mi sembra idiota, ai tabulati ci arriviamo comunque e anche alle celle agganciate.
– Beh, chi ha fatto questo non deve brillare per acume, comunque è prematuro, non conosciamo i suoi percorsi mentali, magari una motivazione l’avrà avuta. Non dimenticare i cassonetti, prima che i il camion dell’AMA. Magari il coltello e il telefonino li ha gettati nel primo bidone della spazzatura che ha trovato, anche se io al suo posto avrei allungato fino al parapetto e li avrei buttati nel fiume. Forse è un feticista che ama collezionare i telefonini delle sue vittime, magari ne avrà un cassetto pieno.
Non lo dimentico, appena qui uno si libera lo mando a fare un giro. Poi se facciamo tardi, blocchiamo il camion dell’AMA; s’incazzeranno, ma poi gli a. Se non lo troveremo domani mattina o la palla ai sub, proviamo a controllare i fondali del Tevere, con questo caldo non sarà profondo più di quattro cinque metri. Magari siamo fortunati. Se poi è un seriale, sono cazzi. Ma non credo, sembra un delitto d’impeto e se hanno scopato, si conoscevano. Niente seriale. Ora vatti a fare un giro per la casa e in bagno e a proposito, il medico legale è una tua vecchia conoscenza. Non me la innervosire.
Lo sapevano tutti evidentemente, doveva essere stato il gossip preferito dei poliziotti di Roma la mia storia con il medico legale più ambito della Capitale. Mi immaginavo i commenti. Era giunto il momento di occuparmi del cadavere e anche della suddetta.
Lasciai Forte alle sue diavolerie scientifiche e con Palumbo mi avviai verso la porta successiva, la camera da letto. Era anch’essa illuminata a giorno da un’alogena, notai il letto sfatto e sulla destra una sedia con sopra alcuni indumenti intimi, un paio di slip neri, una gonna chiara, una camicetta verde, e in terra un paio di scarpe basse, di colore marrone. Sulla parete di sinistra, un mobile in legno stile arte povera con una vetrinetta aperta. Nella stanza un agente della scientifica, nella sua tuta bianca, era al lavoro, alla ricerca di reperti utili al DNA con un aspirapolvere, mentre la polverina per le impronte digitali era già stata spruzzata. Dopo un’ultima occhiata alla stanza, continuai a esplorare l’appartamento. Dopo altre due stanze piccole sulla sinistra, che non dovevano essere importanti ai fini della scena del crimine, in fondo al corridoio sulla destra si apriva la porta del bagno.
-Capo, volevo dirle che l’agente che ha trovato il corpo ha scostato la tenda, che quindi era chiusa. Il ragazzo si è sentito male, è svenuto lo abbiamo portato in ospedale per un controllo. È verosimile quindi pensare che chi ha trovato il
corpo non abbia aperto la tenda.
Anche il bagno era illuminato a giorno da una fotoelettrica, e alla asettica luce artificiale osservai a lungo la scena. Il corpo giaceva supino con il volto rivolto verso la porta, adagiato nella vasca da bagno. Dalla mia posizione, cercai di imprimermi nella mente quanti più particolari possibili. Osservai la gola della vittima tagliata da orecchio a orecchio, e mi soffermai a lungo sulla ferita slabbrata: il taglio aveva quasi decapitato il cadavere. La quantità di sangue sembrava tuttavia non abbastanza rispetto a quello che ci si sarebbe atteso da una ferita che aveva sezionato entrambe le carotidi e le giugulari. Una larga macchia rossa era presente sulla regione toracica a livello mammario, a sinistra. Dalla mia posizione, non potevo vedere l’addome, e preferii non avvicinarmi troppo per non inquinare la scena, poiché il pavimento era pieno di sangue .
Solo allora mi accorsi della figura femminile, in camice calzari mascherina e cuffia per capelli, accosciata accanto alla vasca da bagno.
-Dottoressa buonasera, vedo che hai appena cominciato, ti lasciamo lavorare.
-Ma tu non eri in ferie? Speravo per una volta di non incontrarti - rispose senza alzare il viso. - Commissario, mentre lei parla con la dottoressa vado a controllare se il Magistrato è arrivato. - Va bene Palumbo. Ti raggiungo tra poco, grazie. Aspettami pure giù.
Poi mi voltai di nuovo verso di lei.
-Vedi? per fortuna ho un vice discreto, preferisce non assistere al tuo show. Dico sempre quello che penso, e di te penso tutto il peggio possibile.
Preferii non rispondere, anche se cominciavo ad averne abbastanza.
Ma la colpa alla fine era mia, come sempre. Una chiavica, nei rapporti uomodonna, mi aveva elegantemente definito il mio vice, e non aveva tutti i torti.
Paola Franzini era uno degli astri nascenti dell’Istituto di Medicina Legale della Prima Università di Roma. Quarantadue anni, un metro e sessantotto, occhi verde- azzurri, capelli rossi, belle gambe e un fondoschiena notevole. Era un vero schianto. Il carattere era complicato, a detta di quelli che ci avevano provato con risultati men che deludenti.
Dopo una lunga gavetta in una città del nord era stata chiamata a Roma tre anni prima dall’attuale direttore ed era da poco diventata Professore Associato di Medicina Legale. La conoscevo da anni, da quando lei era una giovane specializzanda ed io all’antiterrorismo. Poi, dopo anni di schermaglie e di tira e molla, avevamo rotto gli indugi e lei era venuta a vivere con me, e ci era rimasta quasi due anni. Anche troppo per come la avevo trattata, visto che tra uscite notturne e lavoro, ci incrociavamo raramente perché io avo più tempo in commissariato che con lei. Alla fine si era adeguata e invece di inseguire un fantasma, se ne andava in istituto a fare autopsie. . Ci eravamo scoperti due estranei che vivevano sotto lo stesso tetto e conoscere, un anno prima, Eleonora era stata per me una folgorazione e una liberazione. O almeno cosi avevo creduto.
Quello era il nostro primo incontro dalla nostra separazione, e la sua fisiologica rabbia in parte non mi dispiaceva. Voleva dire che non era stata appagata da nessuno, e all’egolatrico maschilista e stronzo individuo che ero la cosa gratificava pure.
Mi dai qualche anticipazione ?
Niente da fare. Questo è un CR, lo facciamo subito. Saprai tutto domani mattina. Tra gli acronimi in uso tra i medici legali la distinzione tra CS - cadavere Semplice e CR - Cadavere Raccomandato, era ovvia. I CS – barboni, i poveri cristi dimenticati o anche i morti normali, potevano attendere l’autopsia giudiziaria anche qualche giorno.
I CR no. Questi andavano aperti subito
- Non ti pare poco sangue per una quasi decapitata?
Acuta osservazione Sherlock, ma tanto non ti dico nulla. La osservai prendere un termometro e appoggiarlo nella vasca sul cadavere. . -Niente incisione per il termometro nel fegato?
-Come puoi immaginare, non ce n’è bisogno. Il fegato si vede benissimo. Lo scempio dalla gola è continuato in addome. C’è un sacco di rabbia in quest’omicidio, ha continuato a infierire dopo che era morta da un pezzo.
Prese il termometro, lesse la temperatura, la scrisse su un taccuino e si voltò per la prima volta, fissandomi, al di sopra della mascherina, con i suoi occhi verdiazzurri. - Ti trovo bene. Ora sparisci e vai a fare il briefing con i tuoi amici
magistrati mentre io continuo. Dovresti saperlo che non mi piace essere osservata mentre lavoro e non ho cambiato le mie abitudini. Hai avuto un sacco tempo per stare insieme a me ma preferivi la tua stanza al commissariato, te lo sei già dimenticato?
Aveva ragione, come sempre.
Ed ora eccomi ancora una volta a vegliarti, angelo mio, sotto questo luogo che ci ha portato sfortuna. Questa casa austera, che parla di antico e di vecchi rancori mi ha fatto reagire come non avrei mai voluto, amore mio. Se mi avessi detto le stesse cose sulla spiaggia davanti a un tramonto sarebbe stato diverso. Lo sai che non riesco a controllarmi ne avevamo anche parlato.
Ma ora che debbo fare? Solo pensarti e non lasciarti sola. Ed eccomi nuovamente in questa strada maledetta, con tanta gente, il circo si è mobilitato al completo. Ci solo le auto della polizia con i lampeggianti, e queste persone , credo siano giornalisti, fermi dietro questo nastro giallo. Io in mezzo a loro, a mimetizzarmi, pur di non lasciarti sola.
E questo tipo appena sceso da una Toyota, subito circondato dal gruppo, lo chiamano commissario, credo sia l’uomo incaricato di trovarmi.
Non deve accadere, voglio restare in libertà per onorare la tua tomba, venire a parlare con te ogni giorno e non lasciarti mai sola.
Ecco, mi ha appena sfiorato, quest’uomo dal quale mi devo guardare, mentre scivolava in mezzo a noi per salire da te. Io rimarrò ancora qui sotto amore mio voglio assisterti fino all’ultimo, e vedere quando ti porteranno via.
Perché io ci sarò sempre mio tesoro, anche se il nostro mare ci attenderà invano.
QUATTRO
Briefing. Miles Davis. Porto freddo.
Era meglio sparire e lasciarla lavorare, quindi percorsi a ritroso il corridoio e uscii da quella casa. Scesi le tre rampe di scale, mi liberai dei calzari, della mascherina e del copri-capelli, che gettai nella busta apposita preparata della scientifica. La strada era silenziosa, ancora illuminata dalle luci blu delle volanti. Una goccia di sudore mi scivolò giù dai capelli alla schiena, tra le scapole.
Controllai l’ora, erano le ventidue e quarantacinque. A una decina di metri dal portone era parcheggiata un’Audi di colore scuro vicino alla quale notai Lepri, Forte, Palumbo e un uomo alto, con un principio di calvizie, occhiali con montatura di coccodrillo e un volto severo.
Il sostituto procuratore della Repubblica Eraldo Testa non ispirava certo simpatia, ammesso che esista qualche magistrato in grado di farlo.
Secondo me non ce ne sono, almeno non tra quelli che ho conosciuto io. Sono nati tristi e severi. Se ricerchi una foto di quando avevano tre-quattro anni li riconosci perché sono quelli imbronciati. Avete mai sentito un magistrato raccontare una barzelletta? Io mai. Persino i preti le raccontano, ma i magistrati mai.
Forse ero prevenuto, magari a casa quel signore allampanato e serio si trasformava in un viveur allegro e ridanciano. Sui trentacinque, da tre anni in ruolo, primo incarico alla procura di Roma, era evidentemente un predestinato. Dimostrava qualche anno di più, ed io avevo il fondato sospetto di non essere esattamente nelle sue grazie, perché Radio Piazzale Clodio lo considerava ormai in coppia fissa con Eleonora.
Dottor Ferrer, buonasera, c’è anche lei.
Buona sera dottor Testa.
So che è stato appena richiamato dalle ferie, grazie per essere qui. Tra qualche minuto faremo un rapido briefing, vorrei farmi anch’io un’idea di cosa è successo, salirò con il dottor Lepri e il dottor Forte, lei può attenderci qui, solo pochi minuti.
Spariti all’interno del palazzo i tre, guardai il mio vice. L’eleganza era la sua dote migliore, riusciva a non sudare anche con quella tortura di cravatta al collo.
Me la togli una curiosità? Ma tu non sudi mai?
Nemmeno da ragazzo, capo, e a Napoli quando fa caldo si sente.
Io invece sudo al solo pensiero di immaginarmi il sole. Va bene, torniamo a cose più serie. Che idea ti sei fatto?
Di Testa? Non mi faccia parlare.
Ma no, che mi frega di Testa. Simpatico o meno ci dobbiamo lavorare. Dicevo di questo macello.
A prima vista sembra una scopata finita male, come ha detto Forte, lei lo voleva lasciare e lui non ci è stato, l’ha seguita in bagno e l’ha massacrata. Dobbiamo cercare chi si portava a letto mi sembra pure banale come storia.Si conoscevano, quindi dovrebbe essere facile seguire qualche traccia, tabulati o mail. Lei non è convinto?
Non lo so, a prima vista sembra sia andata come hai detto, ma messa così sembra tutto troppo facile. L’assassino non si è preoccupato di mascherare la scena quando ne avrebbe avuto tutto il tempo. Avrebbe potuto rimettere a posto la camera da letto, farci credere ad una rapina finita male. Non ha nemmeno provato a confonderci le idee. Perché?
Capo, e se invece quello che vediamo fosse una messinscena? Se fosse invece un delitto premeditato e questo bastardo ci sta portando verso l’omicidio ionale, verso il raptus? Se la vera sceneggiata fosse invece il letto sfatto, l’intimo sparso sulla scena? – Bravo Palumbo, questa è un’ipotesi intelligente. Guardando la scena di quella stanza da letto credo che nessuno avrebbe potuto crearla con una veridicità simile, per me è troppo reale perché sia stata creata ad arte. L’istinto mi dice che non è teatro. Questo è un omicidio che gronda rabbia, ione e sesso.
Il mio vice stava per replicare, quando Testa, bianco come uno straccio di lino fresco di bucato si catapultò fuori dal portone barcollando visibilmente, seguito da Forte e Lepri. Per sua fortuna riuscì ad avvinghiarsi alla provvidenziale Audi prima di rovinare ingloriosamente in terra. Guardai Forte, aveva ancora la mascherina, ma qualcosa mi diceva che stava sorridendo. . -Oddio, è un omicidio bestiale… non ho mai visto una violenza simile, è terribile.
Represse un conato. Vomitare sarebbe stato troppo per il suo orgoglio. - Sì, è un delitto efferato, particolarmente feroce.
- Efferato a dire poco. Ora qualche minuto insieme per fare il punto della situazione, poi ci vedremo domani, quando avremo i risultati della autopsia, ci possiamo accomodare in macchina, staremo più tranquilli.
Ammirai la capacità di autocontrollo di quell’uomo, s’era già ripreso.
Ci avvicinammo all’Audi, Testa si mise al posto di guida, accendendo il condizionatore, Forte sedette davanti, credo solo per via della mole, io e Lepri dietro. Palumbo rimase fuori, nemmeno troppo a malincuore.
-Scusate la sede poco consona, ma è meglio chiarirci subito. Quest’omicidio ha priorità assoluta su tutto quello che avete in corso, vi voglio sul caso tutti e tre. Mi raccomando, la vittima è una persona molto conosciuta, e figlia di un caro amico del procuratore. Siete tenuti quindi al massimo impegno e sollecitudine. Le indagini sono affidate congiuntamente alla Sezione Omicidi della Mobile e al commissariato Prati nella persona del dottor Ferrer che ha notevole esperienza nel campo. Vi prego di lavorare con costruttivo spirito di collaborazione e di
tenermi informato. Non prendete iniziative autonome, tutto deve essere concordato. Il dottor Lepri si occuperà di un aspetto che riteniamo, il procuratore ed io, importante, ossia quella delle badanti del padre della vittima e del loro entourage, mentre il commissariato Prati affronterà le indagini nell’ambito delle amicizie della vittima. Vista l’importanza delle persone interessate, vi chiedo la massima cautela nell’approcciare a testimoni, alibi, tabulati e tutto quello che riterrete utile. Per le autorizzazioni basta una richiesta via fax e le avrete firmate in pochi minuti. Tutto chiaro? Domande?
Presi la palla al balzo.
- C’è anche la possibilità che si tratti di un maniaco, in questo caso i rapporti con la vittima potrebbero non essere cosi stretti – dissi. - Magari l’ha seguita ed è entrato in qualche modo. Quindi vorrei compiere una ricerca su omicidi simili, con un modus operandi che si avvicina a questo. Ovviamente nessuno di noi deve nemmeno lontanamente nominare la parola “seriale”, ci manca solo di scatenare una psicosi estiva. Pensiamoci però, io non escluderei che chi ha ucciso questa poveretta possa averlo fatto già altre volte.
Nonostante il climatizzatore da poco attivato, il caldo nell’abitacolo era ancora a livelli di guardia. Forte, piegato un giornale, lo stava utilizzando come un ventaglio. Le mie parole furono seguite da qualche secondo di silenzio, unico rumore udibile il ronzio del condizionatore e il fruscio del giornale di Forte. Il primo a rompere il ghiaccio fu Testa, mentre Lepri, che era stato in precedenza assai loquace soprattutto nei miei confronti, si comportava da padre nobile, ascoltando in silenzio. - Speriamo che le cose non stiano come ipotizza il dottor Ferrer , tuttavia non possiamo al momento escludere alcuna pista. Lavorate a trecentosessanta gradi, ripeto, non trascurate nulla, la sola cosa che vi chiedo è di concordare con me ogni mossa. Questa indagine verrà seguita con molta attenzione anche dal Procuratore. Comunque, dottor Forte, appena avrete finito la autorizzo a portare il corpo presso l’istituto di Medicina Legale. L’autopsia verrà eseguita domattina al più presto. L’ultima parola non poteva che essere di Lepri
- E con la stampa come ci comportiamo? Sono stati già avvertiti e ci tampinano. Questi omicidi estivi rimangono sulle prime pagine per settimane visto che non hanno un cavolo da scrivere in questo periodo.
- Dottor Lepri, faremo delle conferenze stampa in questura o in procura sullo stato delle indagini, ma vorrei fosse chiaro che ogni fuga di notizia sarà perseguita rigorosamente. Non voglio gole profonde. Su questo saremo inflessibili. Altre domande?
Rimanemmo tutti in silenzio.
- Bene, allora al lavoro. Se non ci sono altri cose da chiarire, ci diamo appuntamento per domani in procura, quando avremo anche i riscontri medico legali. In linea di massima verso le quindici. Se ci sono spostamenti di orario sarà mia premura avvertirvi tramite la mia segretaria.
Lepri, Forte ed io uscimmo dall’auto, e il sostituto procuratore mise in moto, allontanandosi nella notte in una scia di pestilenziali gas di scarico. In realtà mi ero già abbastanza rotto di quella pantomima col PM, aveva detto le solite cose trite e risapute, tanto per chiacchierare e ribadire la presenza della Procura. Questo era un CR, per dirla alla Paola Franzini, un Caso Raccomandato. Il padre della vittima era amico del procuratore, quindi ci sarebbero stati un bel po’ di teatrini, incontri con la stampa e pepe alle chiappe di chi investigava. Lepri, che lavorando alla Mobile conosceva bene il canovaccio, infatti se ne era stato zitto. Stronzo ma tutt’altro che stupido. Salutai lui e Forte e mi allontanai con il mio vice.
Senti, io me ne vado a casa, tanto qui c’è poco da fare. Segui tu il lavoro e concorda con Forte per i tabulati. Contatta i parenti per il riconoscimento, poi setaccia la vita privata della vittima, amicizie e tutto. Cerchiamo di capire chi era. Non abbiamo nemmeno l’ora del delitto, quindi al momento possiamo fare poco. Solo un lavoro di scrematura. Noi ci vediamo domani in commissariato verso le tredici, vado io a Medicina legale per l’autopsia.
Mentre parlavo ci stavamo avvicinando al nastro giallo, mi resi conto che avrei dovuto affrontare nuovamente la stampa e non ne avevo nessuna voglia.
Dopo il nastro ci sarà l’assalto dei cronisti. Fai una cosa, parlami, di qualsiasi cosa, recita la formazione del Napoli, quello che vuoi, ma fai vedere che parli. Magari non ci interrompono e ci lasciano in pace.
L’espediente non servì perché si erano tutti dileguati, evidentemente a scrivere sul niente per l’edizione del mattino. Salii in macchina, salutai Palumbo e mi avviai verso casa. Attraversai una Roma semideserta, popolata da creature fantasmagoriche che come insetti intorno a falene sostavano intorno a venditori di angurie, creando ingorghi di macchine in doppia e tripla fila, ma formando nell’insieme una bella immagine di vita, socializzazione, allegria. Una città unica al mondo anche per questo. Era circa mezzanotte quando parcheggiai in via Panisperna, nel Rione Monti sotto casa mia. Mentre salivo i cinque piani senza ascensore ripensai a quella povera donna massacrata, agli occhi di Paola, all’incontro con il sostituto procuratore. Quell’uomo non mi piaceva, al di la degli aspetti personali. Era pieno di formalismo, un freddo tecnocrate, pronto a perseguitare i poveri cristi e a chiudere un occhio, anche due, se c’era da toccare qualche ambiente altolocato.
Poi c’era un altro pensiero che mi assillava. Perché io? Perché il mio
commissariato? Questi erano casi da sempre affidati alla sezione Omicidi della Mobile. Ero stato tirato dentro e non ne capivo il motivo. La storia della mia competenza non stava in piedi. Certo, avevo ato anni negli Stati Uniti a studiare serial killer e scene del crimine, ma non pensavo di aver raccolto crediti e benemerenze tali da diventare una specie di supervisore per casi disperati, e in questo Lepri aveva ragione a sentirsi scavalcato o scarsamente considerato. Inoltre, Testa aveva detto che la Mobile avrebbe dovuto indagare sulle badanti, quindi su una pista che era palesemente un vicolo cieco, mentre lasciava a me l’indagine sulla pista vera, quella delle ioni di quella donna.
Perchè? Anche la sezione Omicidi aveva la sua punta di diamante, Lepri era bravo, aveva un’ottima percentuale di casi risolti. Così facendo il PM relegava l’elite della Polizia della città su una pista palesemente fasulla. La faccenda emanava un olezzo di decisione politica e di fregatura ragionata a tavolino. Un modo per farmi fuori, se non riuscivo a inchiodare quel bastardo? Già m’immaginavo il seguito: “Ci scusi, lei ha fallito alla grande, ci serve una testa, ci dispiace, ci sarebbe il commissariato di Mondovì, è un bel posto, le alpi vicine, aria buona, vigneti di Dolcetto, guardi le offriamo anche un corso di Sommelier….” Spedito in quella sonnolenta provincia dove in breve sarei diventato un esperto in corna.
Ma probabilmente stavo sviluppando soltanto un delirio paranoide, qui nessuno mi voleva fare fuori, ero solo troppo stanco.
Raggiunsi il quinto piano con il respiro corto e il braccio indolenzito per il peso del borsone. Entrai in casa, staccai l’allarme e attivai il condizionatore. Non avevo toccato cibo dalla mattina e il mio stomaco me lo stava ricordando. Prima di andare in cucina misi sul piatto Blue in Green, un pezzo di Miles Davis pubblicato nel 1959 con John Coltrane al sax tenore, Bill Evans al piano e Jimmy Cobb alla batteria. Uno di quei pezzi in grado di strapparti l’anima se lo ascolti con l’animo adatto, quello di una sera d’estate solitaria.
Aprii la finestra. La vista spaziava fino ai Fori, a piazza Venezia e al quartiere barocco di Roma, mentre in lontananza brillavano le luci del Gianicolo. Preparai un panino e mi versai un generoso bicchiere di Porto preso dal frigo. Era un’eresia, ne ero consapevole, ma a me il vino portoghese piaceva cosi. L’aria era calda nonostante la notte incipiente. Sorseggiando il vino uscii sul piccolo balcone. Giù nella strada, gruppi di persone eggiavano, vociando e lanciando stridule esplosioni di riso. La movida aveva ormai raggiunto il rione, dove le botteghe degli artigiani avevano lasciato il campo a locali con promesse di ore più o meno felici.
In lontananza, le luci di Roma sembravano lucciole tremolanti. Ripensai a Eleonora, a Paola, e a tutte le donne ate come meteore nella mia esistenza. Avevano forse provato a redimermi prima di fuggire via da me e dai miei veri compagni di vita: alcol, sigaro, solitudine; era quello il mio destino, evidentemente.
In fondo mi piacerebbe morire ascoltando jazz e con un bicchiere di Porto in mano.
Rientrai in casa, mi spogliai e mi sdraiai sul letto. Chiusi gli occhi, alla fine il sonno sarebbe giunto a placare i miei dolori, mentre in sottofondo Miles Davis con la sua tromba ricamava percorsi sonori, ricordandomi che la musica è l’antidoto della disperazione, e il jazz la sua colonna sonora.
CINQUE
9 agosto-Sabato
La scena del crimine
Il sogno era ricorrente.
Era iniziato come un incubo, che mi angosciava e mi terrorizzava, e spesso mi risvegliavo madido di sudore e con il cuore in gola. Poi con gli anni si era trasformato in una scena ormai nota, che io osservavo con distacco, avvertendo solo un senso di fastidio ma nulla di più. Anche quella notte apparve lo scooter bianco, con a bordo due
persone coi caschi integrali, che si affiancava all’alfetta, un cane in mezzo la strada, la moto che sbandava, un mitra . Non c’era il sonoro nel sogno, dei colpi sparati dalla mia Beretta vedevo solo i lampi delle esplosioni, anche della raffica di mitra osservavo un rallentato con i fori di proiettile che si stampavano a raggiera sul vetro antiproiettile dell’Alfetta e sulla mia gamba sinistra. Non provavo dolore, e mi voltavo solo lievemente incuriosito a vedere il fiotto di sangue che sgorgava copioso.
Dall’altra parte della strada c’era la ragazza.
L’inchiesta dirà che la pallottola che la colpì alla colonna vertebrale e la lasciò paralizzata era stata sparata dal mitra. In sogno non la vedevo cadere ma lei mi sorrideva, e mi diceva solo con il labiale: hai visto cosa mi hanno fatto? Era diventata un’onirica routine, e anche il risveglio non ebbe nulla di traumatico, con il trillo della sveglia prolungato e ripetitivo e i raggi del sole che inondavano la stanza. Dopo la doccia, mentre mi asciugavo avvolto nell’accappatoio e con l’aroma di caffè che si diffondeva per la casa, ripensai al programma della giornata. La priorità era l’autopsia, quindi sarei ato a Medicina Legale, però prima avevo un’altra incombenza. Dovevo compiere quello che ormai era diventato un rito o magari solo una faccenda scaramantica, una abitudine ormai
consolidata in tutti gli omicidi sui quali avevo indagato: tornare, da solo, nella casa del delitto, guardarmi intorno, respirare l’atmosfera del luogo, cercare di farmi venire qualche idea.
Come un animale selvatico avvertiva la presenza del cacciatore o di una trappola, io speravo di poter captare la rabbia, la paura e il terrore che impregnavano la scena di una morte violenta. Non che sperassi di essere diventato un medium o di possedere poteri soprannaturali, ma ormai consideravo questa mia piccola mania un vero e proprio atto investigativo entrato stabilmente a far parte del mio metodo di lavoro.
Uscii di casa ed ero appena salito in macchina quando il mio cellulare squillò. Sbirciai il nome sul display: Luisa Casta.
Una mia amica nonché altra ex di rango, diventata nel frattempo una aggressiva e rampante cronista di nera; ora comprendevo anche quella sensazione di déjà-vu provata la sera precedente mentre attraversavo lo sciame di giornalisti. C’era anche lei, evidentemente. Ma non avevo alcuna intenzione di parlarci, almeno per ora.
Da solitario vacanziero nelle ultime ora non avevo fatto che compiere un viaggio a ritroso nella mia turbolenta vita sentimentale: prima Paola, ora Luisa Casta. Per Eleonora, ne ero sicuro, sarebbe stata solo questione di ore.
Faceva bene a ridere Antonio Forte, io ero il principe dei play boy. Da strapazzo, però.
Inserii il vivavoce e chiamai il mio vice.
- Buon giorno, Capo spero che almeno lei abbia ato una buona nottata. - Il vantaggio di essere Vicequestore: quando lo diventerai, dormirai come un pupo anche tu.
Va bene, prima o poi succederà. Vuole sapere le novità?
-Ora dove sei ?
-A casa della vittima, a via della Balduina. La scientifica ha finito ora.
-Raggiungimi in via Valadier, voglio fare uno dei miei sopralluoghi. Poi te ne vai a dormire qualche ora e alle quattordici ci vediamo in Commissariato. Intanto dimmi qualche cosa di più sulla vittima. . – Allora ascolti. Si chiamava, come noto, Beatrice Massimi, trentadue anni, secondogenita dell’ingegner Mario Massimi, in pensione da poco, ex AD di varie multinazionali, negli anni ottanta cresciuto all’ombra dei politici dell’epoca e manager di stato. ato indenne attraverso Mani Pulite, si era riciclato e bene, a quanto pare. Con tutto il contorno, Rotary, beneficienza, amicizie altolocate, soprattutto politiche. La donna era anche lei messa bene. Laurea in Economia alla LUISS, collaborava con le banche come consulente finanziaria, un fidanzamento dorato con un chirurgo plastico, tale Giovanni Terranova. Sportiva, frequentava un circolo sul lungo Tevere dalle parti di Tor di Quinto. Nessun precedente, nessuna ombra nel ato. Un fratello maggiore, Michele Maria, trentacinque anni, single, impiegato alla Presidenza del Consiglio. Ha riconosciuto lui il cadavere della sorella, anche se come da prassi la scientifica ha prelevato impronte e DNA. Gli abbiamo anche fatto fare un sopralluogo per vedere se mancava qualcosa e sembra sparita la collezione di Rolex del padre, una decina di pezzi pregiati, tutti d’oro. Valore sui duecentomila, un ricettatore li compra anche per metà. È un buon movente, coi tempi che corrono. Il medico legale, dopo che lei è andato via, si è sbottonata e ci ha detto cha la vittima è stata uccisa con una sola
coltellata al cuore, le altre sono state inferte quando era già morta. Il resto lo sapremo dopo l’autopsia, compresa l’ora presunta del delitto. L’arma non l’abbiamo trovata e nemmeno il telefonino della vittima. Abbiamo anche setacciato i cassonetti delle vie adiacenti e non abbiamo trovato nulla. Questa mattina i sub avrebbero scandagliato il Tevere come concordato. Comunque il furto come movente regge. Il ladro entra, crede che non ci sia nessuno, trova la vittima, si fa prendere dal panico, la uccide e finge l’omicidio di un maniaco, mettendo in piedi quel teatrino macabro. Questo è quanto.
-Grazie Palù. Però no, non fila. Secondo me il ladro era entrato per rubare, ha scoperto il corpo, anzi non ha nemmeno aperto la tenda, ha solo intuito c’era un cadavere, si è preso i Rolex se ne è andato per poi avvertirci. Pensa che traffico in quella casa, ieri pomeriggio.
-Sì, magari l’ipotesi del furto non regge. Però al momento non possiamo escludere nulla, quindi questo ladro dobbiamo trovarlo, è in ogni caso un testimone importante. Per i tabulati telefonici la scientifica ci farà sapere al più presto. Comunque il fidanzato della vittima era a Verona per un congresso, quindi in primo luogo avrebbe un alibi di ferro e in secondo luogo lei si scopava un altro. Magari il dottor Terranova lo ha saputo ed ha assoldato un killer.
-Palù se avesse scoperto il tradimento della fidanzata la avrebbe semplicemente mandata a quel paese. Sai quante ne trovava. Se la scopri a letto, puoi anche avere il classico raptus, ma non mi pare delitto premeditato e programmato, se non sei un pazzo paranoico. Poi nei delitti di gelosia non si assolda un killer, tranne che in qualche rara eccezione. Probabilmente il fidanzato non sapeva e non c’entra nulla. Comunque non dormire ti fa bene, hai fatto un gran bel lavoro. Ci vediamo tra poco, ok?
Il vice commissario Aniello Palumbo, chiusa la comunicazione, salì in macchina e prese dal cruscotto il piccolo thermos. Era stata un lunga notte, e lui era ancora pieno di adrenalina, ma da buon partenopeo si gustò quell’ultimo caffè.
Salutati i colleghi della Scientifica che a bordo del loro furgone stavano per tornare alla base, mise in moto avviandosi in discesa per via della Balduina.
Ripensava alla sua vita, lui napoletano dei quartieri Spagnoli, le scuole fatte con quei ragazzi che nella vita avrebbero scelto altre strade. Ma a lui piaceva leggere e studiare sin da bambino e spesso, dopo aver aiutato il padre nella sua bottega di sarto, prendeva i libri e si metteva in un angolo. Il padre lo aveva assecondato in questa sua ione, gli aveva permesso di iscriversi al liceo e poi alla facoltà di legge. Se ne era andato relativamente giovane, ma aveva fatto in tempo a vedere il suo Aniello laureato e vincitore del concorso per commissario, e la morte lo aveva colto sereno.
Poi c’era il suo Capo. Sapere che era tornato in pista lo faceva sentire sicuro, lui adorava quell’uomo, lo riteneva una spanna più in alto di tutti, moralmente, umanamente, professionalmente.
E nel suo senso di giustizia. Era stato fregato sul piano della carriera perché non era un raccomandato e non leccava il culo al Questore, ma per lui quell’uomo era il migliore. Come molti individui geniali nella professione aveva un vissuto personale inquieto ma aveva un intuito, una capacità di fare gruppo, di far lavorare tutti con il sorriso sulle labbra, che si trovava difficilmente in giro.
Al Prati erano stati fortunati, davvero. Mentre guidava tra strade semideserte osservò i suoi vestiti stazzonati, frutto della nottata di lavoro. Insopportabile per lui. Nel portabagagli aveva sempre una giacca e una camicia pulita, e due tre cravatte di ricambio, educato come era stato all’eleganza sin da bambino. Veniva da una famiglia di sarti, ì suoi nonni cucivano vestiti per i signori. Loro stavano a via Toledo e sua padre gli raccontava che non era raro osservare le carrozze dei signori arrivare dalle case sul lungomare, quando il Vomero era ancora campagna, e non il quartiere bene di oggi, per fermarsi davanti al loro negozio,
inseguiti dalla curiosità e dall’invidia di tutti.
Lui sin da subito era stato educato all’eleganza, che considerava un valore aggiunto, e a dieci anni sapeva già annodarsi la cravatta. Così come era stato educato a dare del voi, e per questo aveva dovuto combattere una battaglia, desolatamente perduta, con il suo Capo. Ma al tu non era arrivato, su questo si era impuntato e quindi si erano accordati per il lei. E se proprio doveva trovare un difetto al suo capo, oltre ad insistere a farsi dare del tu, era proprio nel vestire. Anche in quel campo era, sempre con rispetto parlando, una vera chiavica, peggio che nei rapporti con le donne. Era il pessimo retaggio del sessantotto, quella rivoluzione borghese fatta da borghesi, che per lui era stata foraggiata dai fabbricanti di eschimo, polo e pelletteria sciatta, per poi trasformarsi in una moda, che aveva portato al casual, ma fatto pagare a caro prezzo.
Un Capo geniale, ma assolutamente privo di senso pratico. Ma a quello, ai turni, alle scartoffie da preparare e far firmare, ci pensava lui, Aniello Palumbo. Erano complementari, quel che mancava al capo abbondava in lui e viceversa. Una squadra perfetta.
Quella notte non aveva avuto tempo di cambiarsi, e forse non valeva la pena di sciupare il vestito di ricambio che aveva nel portabagagli, sarebbe andato direttamente a casa a dormire. Ripensò con dolcezza a Marina, sua moglie, e ai suoi ragazzi, in vacanza a Baia Domizia. Forse dormivano ancora, li avrebbe sentiti più tardi. Con Ferrer in gioco c’erano buone probabilità di trovare l’assassino in tempi rapidi, magari in pochi giorni, e forse per ferragosto li avrebbe raggiunti. Arrivato in vista di via Valadier, parcheggiò e scese dalla macchina.
Roma quella mattina era semideserta, popolata solo da turisti incolonnati dietro dei tipi con un cartello e una bandierina.
Mi facevano pensate al pifferaio magico, ed ero quasi sicuro che se la guida con il cartello avesse raggiunto la banchina del Tevere e si fosse gettato nel fiume, sarebbe stato seguito dall’intera colonna. Tutti in acqua, con le macchine fotografiche al collo a guardare in aria. Quel pensiero mi strappò il primo sorriso della giornata, e speravo ardentemente non fosse l’ultimo. Arrivato in via Valadier, parcheggiai. Il nastro giallo era stato rimosso, nessuno in giro tranne il mio vice, che appoggiato alla volante, mi osservava con una faccia che aveva visto giorni migliori. -Hai già fatto colazione? Ti sei tenuto su a caffè, hai una faccia..
Capo, che volete, alla fine mi faccio trasferire all’ufficio aporti, a meno che voi non mi mansionate un lavoretto otto-quindici, una cosa tranquilla, cosi me ne sto con i ragazzi e mi leggo il Mattino tutti i giorni, ora manco arrivo alla seconda pagina. Colazione l’ho fatta, mentre lei sale io provo a stendermi qualche minuto. Queste sono le chiavi dell’appartamento. - Vice commissario, niente ufficio aporti mi dispiace per te. In compenso, visto che non mi servi, lasciami anche le chiavi dell’appartamento di Beatrice e vattene a dormire, ci vediamo in commissariato. Ricordami solo l’indirizzo.
Via della Balduina 235, interno dodici. Sul citofono c’è scritto Massimi. Le chiavi sono nel mazzo che le ho dato. Ci vediamo più tardi. Grazie e buona caccia!
Lo vidi andare via con un certo sollievo. Palumbo era il mio alter ego, senza di lui mi sentivo perduto e lo volevo in forma. Una dormita me lo avrebbe restituito come nuovo. Aprii il portone e dopo due rampe di scale deserte arrivai al pianerottolo del secondo piano. M’infilai i guanti, staccai i sigilli ed entrai nel piccolo atrio. Nonostante l’ora la casa era in penombra, trovai l’interruttore ed accesi la luce
Indugiai sullo scarno mobilio, sui quadri, sulle fotografie, e mi resi conto che la sera precedente alla piatta luce della lampada alogena molti particolari mi erano sfuggiti. Continuando a visitare la casa raggiunsi il corridoio ed entrai nella prima stanza sulla sinistra, quella dalla quale avevo visto uscire Lepri e Forte. Era la sala da pranzo, una stanza austera con mobilio in arte povera e pesanti tendaggi. Anche questa camera era in penombra, ma nonostante il caldo e l’odore di chiuso fossero insopportabili decisi di non aprire la finestra, trovai anche qui l’interruttore ed accesi la luce.
Posai il mio sguardo sul divano posto sulla sinistra, il grande tavolo al centro, i tappeti sul pavimento, il mobile con pochi liquori nella vetrina. Una normale stanza da pranzo, che sapeva di ato, di vita andata, che non avrebbe più visto bambini correre o sedersi per i compiti al grande tavolo. Quella stanza non mi sembrava rilevante; probabilmente vittima e assassino non vi erano mai entrati. Forse lo aveva fatto il fantomatico ladro, ma ne dubitavo perché quello era un furto su commissione e c’era da scommettere che il nostro Arsenio Lupin sapeva perfettamente dove erano gli orologi.
Tornato nel corridoio, mi concentrai sulla seconda porta a sinistra, la camera da letto. La stanza era invasa dalla luce, le tende erano aperte. Entrai volgendo il mio sguardo all’ambiente: la luce del giorno non riusciva a toglierne l’alone di mistero, non era una semplice camera con un letto sfatto e un materasso appoggiato in terra, ma un ambiente con un fascino malsano.
Rimasi un attimo stordito e una lieve vertigine mi fece barcollare. Osservai la rete composta di doghe di legno mentre sui muri, sulla porta e sulla maniglia, oltre che sul mobile di arte povera posto sulla parete di sinistra, quello che verosimilmente conteneva i Rolex, residui di cianoacrilato, utilizzato per la ricerca d’impronte digitali, brillavano alla luce. In quella stanza la vittima aveva incontrato il suo assassino, ione e sesso ancora aleggiavano nell’aria. Guardandomi intorno, pensai che l’amante di Beatrice potesse esserne stato anche il carnefice. Se avessi dovuto razionalizzare quest’assioma, non ne sarei stato in grado ma io sentivo che era andata così. Non era una messa in scena,
quella stanza grondava di ione, rabbia, sentimenti mal riposti e nuovi rancori.
Dopo un ultimo sguardo in quel luogo dove si era deciso il destino di quella povera donna, continuai la mia esplorazione. Diedi una rapida occhiata ai due piccoli vani sulla sinistra e alla cucina posta a destra, arrivai sull’uscio del bagno. Accesi la luce. Alle mie narici arrivò improvviso e violento l’odore del sangue e di morte che impregnavano l’aria. Quella stanza, dove Beatrice era stata uccisa e dove era stato fatto scempio del suo cadavere, diffondeva il suo sinistro sentore di morte, ma il dramma si era consumato tutto nella camera da letto, era li che aveva incontrato il suo destino, il bagno era stato solo il suo patibolo.
Perché sei venuta fin qui Beatrice, perché non ti ha ammazzata sul letto? Invece ti ha raggiunta e tu non sei fuggita da lui, altrimenti avresti cercato scampo verso l’uscita, verso la porta d’ingresso. No, tu eri ignara del tuo destino, sei tranquillamente venuta in bagno, non ti aspettavi di morire. Cosa gli hai detto su quel letto per scatenarne la furia omicida? Che non volevi più vederlo? Che non te la sentivi di rinunciare al tuo matrimonio? Che era stata solo un’avventura?
Magari ti sei alzata dal letto pensando lui avesse capito. Sei venuta in bagno. Ti sei forse specchiata? Allora ti ha raggiunta e ti ha uccisa qui, davanti allo specchio. Poi ti ha messo nella vasca e ha continuato a massacrarti.
Forse è andata veramente così, Beatrice, o forse no. Forse mi sfugge qualcosa.
Cosa ti hanno fatto, Beatrice? Non meritavi di morire in questa casa dove eri cresciuta bambina, dove avevi giocato con le bambole, dove eri diventata adulta.
Chiusi gli occhi e repentinamente sentii arrivare un senso di stanchezza, di profonda spossatezza, come se fossi reduce da una lunga corsa. Avevo bisogno di aria fresca e dopo un ultimo sguardo al bagno, al sangue rappreso sul pavimento, alla vasca-bara, tornai indietro, raggiunsi la porta dell’appartamento, rimisi i sigilli al loro posto e uscii con sollievo da quel luogo di morte.
SEI
L’ufficio nascosto. L’autopsia. Paola.
Fino a quel momento, Beatrice Massimi era stata un nome e un corpo martoriato senza vita. Ora volevo che diventasse una persona, volevo sapere di lei. Chi era veramente, perché era dovuta finire così.
Avrei dovuto quindi frugare nella sua intimità, immergendomi nel suo mondo. Raggiunto in pochi minuti il civico 235 di via della Balduina, parcheggiai la macchina e mentre uscivo dall’abitacolo alzai gli occhi per avere una visione d’insieme della casa di Beatrice. Era un villino elegante, probabilmente risalente agli anni cinquanta, circondato da un cortile alberato e proprio alla base del Monte Mario. Un tranquillo quartiere borghese, che trasudava solidità economica senza ostentarla. Raggiunsi il portone esterno lo aprii, percorsi il vialetto di pochi metri che attraversava il cortile fino al cancello, entrai nell’androne e con l’ascensore raggiunsi il quarto piano. Non incontrai anima viva, gli abitanti dei quartieri bene della capitale si erano quasi tutti trasferiti in vacanza.
Infilati i guanti e aperta la porta blindata, mi ritrovai in un grande ambiente con un angolo cottura sulla sinistra, un divano, una TV con un grande schermo e una tavola da pranzo. Sul fondo del salone una grande porta finestra irrorava di luce l’ambiente. Sulla parete di destra tre porte, verosimilmente bagno e camere da
letto. Cominciai dalla cucina. Aprii il frigorifero, era pieno di confezioni di latte, succhi di frutta, vasetti di yogurt e acqua minerale. La vaschetta dei surgelati traboccava di confezioni di pesce, ortaggi e minestrone, quello che ti attendi da una persona salutista, nessuna trasgressione, niente salumi, salse o hamburger. In alto notai un forno a microonde, lo standard di chi ha poco tempo da dedicare alla cucina, l’equivalente della pentola a pressione degli anni Settanta. Non trascurai la busta della pattumiera, che trovai sotto il lavabo in un cestello. Il sacchetto era nuovo, probabilmente Beatrice lo aveva svuotato la mattina dell’omicidio, prima di uscire di casa. Anche la lavastoviglie era vuota, pochi piatti erano ad asciugare sopra il lavabo. Controllai tutti i pensili, ma non trovai nulla d’interessante. Qualche scatolame, olio, la moka. I piatti e le pentole erano tutti di tipo comune, niente porcellana, nel complesso una sensazione di semplicità che strideva in parte con lo stato sociale.
Beatrice Massimi era stata una giovane donna sportiva ricca ma non sfacciatamente, con gusti e abitudini alimentari semplici e salutiste. Decisi di controllare il salone, arredato da un divano di velluto color panna di taglio classico. Sollevai i cuscini, ma non trovai nulla di significativo. L’impianto stereo era vicino al televisore, su di un pensile vari CD, soprattutto musica italiana. Mi avvicinai alla finestra, scostai le tende e uscii sul balcone, largo un paio di metri e lungo cinque o sei, dove era stato creato, con una tenda che garantiva un minimo di privacy un piccolo ambiente con un tavolo, un piccolo barbecue, tre sedie per cenare fuori.
Era un luogo tranquillo che si affacciava su un cortile interno ed il rumore della città era attutito dalla lontananza della strada.
Rientrato in casa, mi dedicai all’esplorazione delle tre stanze che si aprivano dal salone sulla parete di destra. La prima era il bagno, un ambiente grande, con vasca idromassaggio e doccia. Aprii il mobiletto accanto al lavabo; nello scomparto superiore numerose confezioni di profumo, prodotti per l’igiene dentaria, il necessario per il trucco, numerosi rossetti con diverse gradazioni, deodoranti, olio di Argan, varie confezioni di assorbenti esterni e di Tampax. In
altri scomparti, prodotti per il water. La camera da letto poi era ampia, con letto matrimoniale e relativa spalliera di ferro, perfettamente in ordine, con lenzuola e una coperta di cotone con immagini floreali. Dalla stanza si aprivano altre due porte, la prima immetteva in un piccolo bagno con cabina doccia, water, bidet e lavabo, un ambiente piccolissimo, scevro da mobilio, con soli asciugamani e un paio di accappatoi di spugna azzurri.
Mi avvicinai alla seconda porta che si apriva nella stanza, era una cabina armadio, con ripostiglio. Accesi la luce, controllai gli abiti nelle spalliere, quasi tutti eleganti, tailleur, un paio di abiti da sera con lustrini. Vi erano anche vestiti leggeri, alcuni cappotti, un paio di giacconi. In un angolo della stanza trovai la scarpiera. All’interno una ventina di scarpe, per lo più a tacco alto da sera, eleganti, ma anche scarpe da jogging.
In un lato della stanza era posizionata una piccola lavatrice e una lavasciuga, con un tavolo da stiro. In un cassetto trovai la biancheria intima, una moltitudine di slip e reggiseni di vari colori e numerose confezioni di calze, velate, a rete, autoreggenti. In un cassetto alcuni pantacollant, magliette a maniche corte, due tute da ginnastica. Sul pavimento una borsa da ginnastica con la scritta Sporting Tor di Quinto. Aprii la borsa, all’interno un lucchetto e una chiave, un beauty con un bagnoschiuma, alcune confezioni di fazzoletti e assorbenti interni. Tornato in camera da letto, mi avvicinai ad una cassettiera situata accanto al letto. Aprii i cassetti, il primo conteneva ricevute di pagamento, bollette, una scatola di metallo con dentro un blocchetto di assegni nuovo.
Avevo quasi finito la mia esplorazione quando mi venne in mente un particolare che non quadrava. Mancava il computer. Beatrice collaborava con banche, si occupava di finanza, e sapevo che lavorava da casa. Quindi un computer doveva esserci, a meno che non lo avesse portato via la scientifica. Mi guardai intorno più attentamente. Ad un tratto fui attratto da un particolare: la parete di sinistra, quella di fronte alla stanza da bagno, era ricoperta da carta da parati. A metà di una striscia si notava una riga verticale, mi avvicinai e, sulla sinistra, a circa un metro di altezza, notai una manopola dello stesso colore della carta. Con la
stanza in penombra non l’avevo notata. Tirai delicatamente la manopola ed entrai in un piccolo vano, illuminato da una lampada che si accese automaticamente all’apertura della porta. La minuscola stanza conteneva un tavolo con un PC portatile collegato a una stampante laser con annesso fax. Un mini ufficio, in pratica. Non toccai nulla, ci avrebbero pensato quelli esperti in quelle faccende. Controllai che non ci fosse altro, richiusi la piccola stanza e composi il numero di Forte, avvisandolo della scoperta.
L’istituto di Medicina Legale dalla Prima Facoltà di Medicina di Roma si trova a ridosso del quartiere di San Lorenzo che io ricordavo sin dai tempi dell’Università pieno di Studenti fuori sede e ribollente di ione politica. Poi nel corso degli anni si era trasformato in una zona da ‘movida’ ricca di discopub, ristoranti, Happy Hours, sale di meditazione, abitazioni ristrutturate con affitti iperbolici.
È stato il primo, storico obitorio giudiziario della città, ma ora la nascita di nuove Università aveva portato a tre il numero delle Medicine Legali. Quindi anche per gli ammazzati, incidentati, suicidati, insomma per chi finiva all’altro mondo in modo violento, esisteva una sorta di decentramento. Io ero però rimasto legato a quell’Istituto, dove avevo assistito a centinaia di autopsie, quando ero all’Antiterrorismo, durante la guerra che aveva infiammato Roma negli anni 80.
Avevo anche rischiato di finire cliente a piedi in avanti dell’istituto e Paola, nelle nostre storiche litigate, ripeteva spesso che non vedeva l’ora di farmela, un’autopsia. Parcheggiata la macchina nel cortile interno, raggiunsi la porta di servizio ed entrai nell’istituto. Salutai il vigilante, presi il personale che era depositato tra quelli dei funzionari di PS e raggiunsi attraverso una stretta rampa di scale le sale autoptiche al primo piano.
La sala riservata alle autopsie giudiziarie costituita da un ampio ambiente refrigerato, con numerosi tavoli in alluminio. Appena entrato, fui investito dal
solito odore di disinfettante e putrefazione, intenso come sempre nonostante l’impianto di aerazione in funzione. Nella sala i tavoli occupati erano tre e notai l’assenza del solito via vai di studenti e specializzandi che in genere affastellavano la sala, rendendola simile a un autobus nell’ora di punta.
Il tavolo che m’interessava era l’ultimo in fondo, dove Paola era al lavoro, insieme al tecnico e al fotografo della Scientifica. Ero ovviamente in ritardo, l’autopsia era cominciata per tempo e il taglio a Y per l’apertura del torace, con l’asportazione dello sterno e dell’addome, sino alla pelvi, era già stato effettuato. Paola stava procedendo alla valutazione degli organi interni. Nulla di clamoroso, in fondo trenta anni fa sarebbe stato un trauma pensare di assistere a una cosa simile mentre oggi i telefilm statunitensi su medici legali d’assalto ti fanno assistere con veridicità impressionante a un’autopsia mentre sei a cena con la famiglia.
Mi avvicinai rimanendo distante dal tavolo per non interferire con il lavoro del fotografo mentre in alto una telecamera riprendeva l’intera scena.
-Buon Giorno a tutti. Dottoressa Franzini, capotecnico, a che punto siamo? ? Ferrer, noi stiamo lavorando per voi se non lo vedi, una volta dimostravi più interesse per i cadaveri a te affidati, eri più puntuale. Se vuoi evitare di assistere alla cosa, puoi chiedere aiuto alle amiche che hai in procura, magari ti danno qualche informazione di seconda mano.
Aveva pronunciato questa tirata coprendo il microfono con le mani, fortunatamente, e come esordio non era male. Quella mattina mi sembrava addirittura più velenosa della sera precedente.
Risposi al cenno di saluto e allo sguardo mortificato del capotecnico Segantini, uno dei veterani dell’Istituto, che voleva dire, scusala Commissà, da un po’ di tempo le gira male, ma la colpa è pure tua, vedi di fare qualcosa che non ne possiamo più.
Preferii tacere. Non sarebbe servito a nulla rispondere alla sua aggressività, era un problema che dovevo risolvere in altro modo. La osservai parlare al microfono mentre esaminava il cuore, la sua voce era un sussurro, a volte scarsamente intellegibile. Rimasi ancora qualche minuto in silenzio a osservare il corpo martoriato di quella donna, maledicendo la malsana consuetudine di non riuscire a distaccarmi emotivamente. Ero fatto così, non potevo farci nulla. Per la maggior parte degli investigatori o per chi lavora con le morti cruente, la vittima doveva rimanere un numero, un caso su cui indagare. Conoscevo colleghi che in sala settoria raccontavano barzellette e ridevano, non per cinismo o mancanza di rispetto, ma solo per distaccarsi e non farsi trascinare dal dolore. Io non ci riuscivo e questo mi distruggeva. Assistere poi all’autopsia di Beatrice subito dopo essermi immerso nel suo mondo, nella sua casa, rendeva la mia pena ancora peggiore. Decisi quindi che sarei andato ad aspettarla nella sua stanza, era la cosa migliore. Mi sarei anche risparmiato il rumore sinistro della sega Stryker e l’apertura del cranio.
E poi avevo bisogno di un caffè. Lanciai un cenno eloquente di saluto e uscii dalla sala. . Mi raggiunse nella sua stanza dopo circa un’ora, trovandomi disteso sul divano a leggere una rivista di Medicina. Era appena uscita dalla doccia, aveva ancora i capelli bagnati e mi sembrò dimagrita rispetto all’ultima volta che la avevo osservata come si deve, ormai un anno prima.
Indossava una gonna gialla sopra il ginocchio e una camicetta verde. La scollatura era generosa, non era da lei, e sospettai fosse uno spettacolo a mio uso e consumo. Guarda cosa ti sei perso, Ferrer.
I suoi occhi verdi-azzurri mi fissarono, ma senza sorridere. Un lieve strato di
rossetto sulle labbra carnose e un semplice filo di trucco completavano l’opera. Era difficile non rimanere incantati, a dire il vero, solo uno stronzo come me, o una chiavica, per dirla alla Palumbo, poteva aver volontariamente rinunciato a quella dea.
Vedo che ti sei messo comodo. Gradisci una bibita? Ti comunico comunque che questa è la mia stanza e tu sei spalmato sul mio divano.
Mentre parlava, ero rimasto sdraiato, lei in piedi appoggiata allo stipite della porta. Non era una posizione adatta, mi sentivo a disagio, mi sovrastava, quindi mi alzai e mi sedetti alla scrivania. . - Quando avrai finito di insultarmi e di umiliarmi davanti a tutto l’Istituto di Medicina Legale e delle Assicurazioni, la Mobile, la Scientifica, i tecnici ed i necrofori della mortuaria me lo farai sapere.
Lei mi aveva imitato e si era seduta, coprendosi gli occhi con le mani intrecciate, in quel gesto carico di timidezza che mi piaceva tanto.
-Tra noi è finita ormai da un anno e mi dispiace molto. Ora quello che ti chiedo è di trattarmi come una persona normale, che non ti è simpatica, certo, ma che non per questo devi provocare e maltrattare appena ne hai la possibilità. Se fino ad ora non ti sei trattenuta, spererei in un futuro migliore. Ora possiamo parlare di lavoro?-
Lei continuò a fissarmi, ferma nella stessa posizione. Poi staccò le mani dal viso e notai che erano lievemente sudate, si spinse sullo schienale della poltrona, assumendo una posizione più rilassata, le mani in grembo. Si chiuse l’ultimo
bottone della camicetta, togliendomi dalla vista lo spettacolo sapientemente orchestrato.
-Va bene, scusami, in effetti non ha nessun senso trattarti così. Avevo altre aspettative, ma questo è un mio problema. Cercherò di controllarmi in futuro.
Rimanemmo qualche secondo a guardarci negli occhi ,e nessuno di noi due abbassò lo sguardo. . – Come è morta, quando e con che cosa è stata uccisa.
-Una coltellata al cuore. Decesso immediato, in pochi secondi. Le altre ferite, quindici compreso il taglio alla gola, sono state tutte inferte post mortem, dopo che il cadavere era già stato posizionato nella vasca. Infatti sono tutte presenti nella regione anteriore del corpo, nessuna dorsalmente. Il killer ha usato un pugnale con due superfici taglienti, quasi uno stiletto lungo circa dieci-dodici centimetri e largo un paio. Ora della morte tra le tredici e trenta e le quattordici e trenta, circa otto nove ore prima del ritrovamento, in base al rigor mortis e alla temperatura. Lo stomaco era vuoto, il contenuto gastrico scarso e poco utile, non aveva pranzato. Se ha avuto un rapporto sessuale, è stato consenziente. Negativa la ricerca di liquido seminale al tampone oro anale vaginale, potrebbe esser stato usato un profilattico, poi portato via. Esami chimici tesi alla ricerca di eventuali residui del lubrificante sono in corso. Secondo me un rapporto sessuale lo ha avuto, ma te lo dico senza alcuna prova, solo per esperienza. Quindi non te lo scrivo. Un coito interrotto, oppure un profilattico. Nessuna gravidanza e nemmeno segni recenti di interruzione di gravidanza. Abbiamo preso i soliti campioni biologici sul corpo sul quale ricercare qualche profilo genetico. Che daranno utili però non appena avrai un indiziato.
Un’ultima cosa, se fossi in te cercherei un mancino, non mi chiedere il motivo
ora, so solo che è mancino questo bastardo. Sarebbe troppo lungo spiegarti perché, lo nel leggerai il rapporto.
Come sempre, era stata rapida, efficiente, concisa. Il finale non poteva che essere velenoso, era una donna da ultima parola.
-Ho saputo che la tua dea si è trovata un nuovo cavaliere in procura. Non mi dispiace e non avevo dubbi, saperti poi tra le braccia di quella statua di ghiaccio mi preoccupava. Ti potevi prendere una polmonite, sai, alla tua età sono pericolose.
-E stai lontano dalle mie specializzande. Se hai bisogno di compagnia la città è piena di escort, tanto i soldi li hai.
Gioco. Partita. Incontro.
SETTE
Il commissariato Prati. Brain Storming. La memoria storica. Nottambuli.
Il Prati non era un cattivo posto per lavorare. Magari non troppo allegro, i commissariati non sono posti divertenti, ma abbastanza tranquillo rispetto alla media. Il quartiere stesso era austero, metteva soggezione con i suoi viali larghi e diritti, pieno di banche, uffici, studi di avvocati e notai, complice la vicinanza del
Tribunale e della Procura. I residenti appartenevano ai ceti sociali più elevati, ma mi ero fatto l’idea che i reali abitanti fossero la moltitudine di avvocati e praticanti. Dal venerdì sera al lunedì mattina, gli studi vuoti e le banche e gli uffici chiusi, coi residenti quasi tutti fuori città per il week end, il quartiere si trasformava nella succursale di un cimitero di campagna. Si ravvivava in parte il sabato pomeriggio per lo shopping e la sera per la presenza di ristoranti, enoteche e pianobar, nonché per il sesso mercenario notturno sul lungotevere. E poi alla domenica, con il delirio della partita allo Stadio Olimpico, ma quella era una questione di ordine pubblico e non riguardava i miei uomini. Il lavoro era sostanzialmente limitato a qualche rapina in banca e a pochi scippi, oltre ovviamente ai furti in casa.
Non era un quartiere da tensioni sociali, fatta eccezione per qualche rara follia occasionale. Quelli che non mancavano erano i suicidi, con una percentuale più alta che nel resto della città. Il denaro, si sa, è il preludio della noia e l’anticamera della depressione.
Seduto alla mia scrivania stavo osservando la stampa di Nottambuli di Edward Hopper, che campeggiava sulla parete di fronte. Un inno alla solitudine e alla malinconia, ma mentre la maggior parte delle persone si identificavano con l’uomo solitario, dipinto di spalle, che osservava la coppia seduta al bancone del bar, io invece mi immedesimavo nel barman, una figura in piena luce, che forse si sentiva non meno triste e solo, e magari gli giravano pure, ma non poteva piangersi addosso perché doveva lavorare, nella fattispecie doveva versare da bere.
In quel momento si materializzò sulla porta il mio vice, in giacca e improbabile cravatta gialla. . - L’ho vista arrivare, capo. Com’è andata alla Medicina Legale? - È andata, poi ti dico. Senti, ma come mai di fronte al commissariato non ho visto le scattanti pantere che tanto infondono sicurezza nei bravi abitanti del quartiere? Tutti in ferie? Dico i miei uomini, non i cittadini.
No, capo, è che il dirigente di questo commissariato, un tipo strano, ha vietato le sgommate, le tre volanti che ci sono rimaste girano per la zona, e qui l’efficienza si respira, non si deve vedere.
-Bene. Ora sì che sono più sollevato. Sei riuscito a dormire? - Sì, giusto un paio d’ore. Spero che quel tipo strano di cui sopra dia il meglio di sé in questo caso e lo risolva rapidamente, così per ferragosto me ne vado a Baia Domizia pure io. I suoi ispettori Borghi e Anna Durante sono in sede e operativi, mentre De Felicis rientra dalle ferie domani. Mi è mancato il cuore di farlo tornare prima. Ho appena terminato il rapporto preliminare sul caso, ora se lo stanno studiando. A proposito, l’ha cercata in commissariato la sua amica giornalista, Luisa Casta. Ha detto che continua a non risponderle, che questo la rende nervosa e quando si innervosisce diventa antipatica. Testuale, mi ha detto di riferire. A lei oneri e onori, capo. La stampa è affare suo. . -Ci penserò dopo alla stampa, grazie. Ora rimedia qualcosa da mangiare e tra dieci minuti tutti da me, dobbiamo fare il punto della situazione. . Dopo pochi minuti sedevano tutti intorno al tavolo della riunioni, gli ispettori Pino Borghi e Anna Durante, il sovrintendente Giorgi io e il mio vice. . Borghi aveva trentacinque anni e un aspetto poco raccomandabile. Una montagna di muscoli per un metro e ottantacinque di altezza, cicatrice sul sopracciglio destro, orecchino alla Corto Maltese e ragnatela tatuata dietro l’orecchio, era completamente calvo per una alopecia nervosa insorta già a venti anni. Proveniva dalla narcotici dove aveva lavorato per anni sotto copertura, poi si era preso una coltellata in una rissa ed era stato costretto a lasciare il lavoro sul campo. Era un vero operativo, il lavoro d’ufficio gli provocava attacchi di orticaria. Anna Durante aveva cominciato come agente semplice, proveniva dalle volanti, dove era rimasta sei anni, e quindi si era sobbarcata una vita fatta di notti in piedi, inseguimenti, appostamenti, posti di blocco, per poi vincere il concorso da Ispettore, studiando nessuno sa quando, visto che la notte lavorava e il giorno avrebbe dovuto dormire. Occhi e capelli scuri, sui quaranta, alta e delicata di lineamenti, doveva aver combattuto con la bilancia sin dall’adolescenza ed ora, complice il nutrimento tipico degli agenti, pizzette e tramezzini, stava perdendo la battaglia. Era anche una specie di mago con i computer, che chissà in quale vita aveva imparato a usare, al punto che la Postale me la chiedeva di continuo.
Radio commissariato la dava ovviamente in tresca fissa con Pino. . –Allora ragazzi, accomodatevi, abbiamo pure le vettovaglie, caffè e tramezzini, ringraziate Giorgi.
Grazie Dottore, i tramezzi li abbiamo fatti noi e pure il caffè con la moka giù in archivio, se fa schifo prendetevela con l’archivista. Trovare un bar aperto d’agosto da queste parti è una missione impossibile.
Mario Giorgi era il veterano del commissariato, un vero archivio vivente, con una memoria fotografica formidabile. Famoso per questa dote anche in Questura, spesso dalla Mobile gli mandavano le immagini delle telecamere di sorveglianza di una banca con le fattezze, spesso superficiali e sfocate, del rapinatore. Lui, con la sua aria da buon papà e con i suoi capelli bianchi, dallo scorcio di un viso, da un tatuaggio o un’andatura sghemba, se uno era schedato, nove volte su dieci te lo pizzicava.
Ormai alle soglie della pensione, era ancora insostituibile, infatti stavano per proporgli un contratto di consulenza, anche se lui avrebbe dato una mano pure gratis. – Bene, speriamo di sopravvivere al caffè dell’archivista, che prima o poi incrimino visto che attenta alle colecisti di tutti voi da anni ormai. Io vi frego perché il caffè me lo faccio da solo. .
Comunque abbiamo una brutta gatta da pelare, un omicidio bestiale, complicato dallo stato sociale della vittima. Roba da ricchi, in pratica, quindi abbiamo il fiato sul collo del Questore, del Procuratore e della stampa.
Avete tutti letto il rapporto preliminare sull’omicidio che vi è stato consegnato, quindi per grandi linee sapete di cosa stiamo parlando. Premetto che quello che dirò mi è stato riferito dal perito che ha eseguito l’autopsia, la dottoressa Franzini.
La donna è morta per una coltellata che le ha lacerato il cuore, praticamente sul colpo. È stata uccisa in bagno davanti al lavabo, poi è stata messa nella vasca da bagno e sono continuate le coltellate, almeno quindici fendenti compreso quello che l’ha quasi decapitata. L’ora della morte è stimata a circa otto o nove ore prima del ritrovamento, quindi tra le tredici e trenta e le quattordici e trenta. Secondo il medico legale ha fatto sesso consenziente, anche se sul corpo non sono state trovate tracce di liquido seminale. Potrebbe aver usato un profilattico. L’arma del delitto, un pugnale di circa dieci-dodici centimetri, non era sulla scena. Palumbo, novità dai sommozzatori? - Nessuna capo, hanno trovato di tutto ma il coltello no, e nemmeno il telefonino. – Chissà dove se ne è liberato. Comunque tutto parla di una storia clandestina. Beatrice ce l’aveva una casa, perché andare dal padre? Per non farsi vedere dai suoi vicini probabilmente. Se mi ate la volgarità, sembra veramente una scopata finita male. Quando ho visitato la scena del crimine, ho provato ad immaginare quello che poteva essere accaduto. Loro erano a letto tranquilli. Poi lei si è alzata e non ha mostrato reazioni di paura, non è fuggita verso la porta d’uscita, ma se ne è andata tranquillamente in bagno. Ignara della sua sorte. Lui l’ha raggiunta e davanti allo specchio l’ha colpita, poi l’ha messa nella vasca e ha continuato a infierire su di lei. Non mi sembra di poter immaginare terze persone su quella scena. Comunque lavoriamo con metodo. Risultano denunce da parte di Beatrice nei confronti di qualcuno?
- No capo, abbiamo controllato al cervellone del Ministero di Interni e Difesa, nessuna denuncia a noi e nemmeno ai Carabinieri
- Ok. La prima cosa da fare è acquisire i tabulati telefonici: è assai probabile che ci troveremo il numero dell’assassino.
- Dovremmo averli in giornata, capo. . – Bene, allora concentriamoci sul fidanzato, Giovanni Terranova. Palù, che mi dici di lui? - Lo abbiamo rintracciato a Verona, dove è arrivato con il volo Alitalia che è partito alle quindici e trenta da Fiumicino. Quindi ha un alibi ineccepibile, considerando
l’ora della morte. . –Sì, l’alibi sembra inattaccabile, ma valutatelo in fretta. Controllate lista di volo e hotel. In teoria potrebbe aver assoldato un killer, ma non ci credo. Di queste cose se ne occuperanno Pino ed Anna. Tra poco ho un incontro con Testa in procura e farò firmare le autorizzazioni. Non dimenticate i controlli bancari di questo Terranova, movimenti sul conto, eventuali rovesci economici, se è assicurato e con chi. Oggi se rifai male un paio di tette gli avvocati sono capaci di rovinarti, magari Beatrice gli aveva fatto un grosso prestito e ora gli aveva chiesto di restituire il malloppo. Era il fidanzato della vittima, bisogna per forza metterlo tra i sospettati. Lo voglio ascoltare possibilmente entro stasera, così come il fratello di Beatrice. Palumbo, altre idee?
- Dovremo considerare l’ambito lavorativo e quello dello svago. Sappiamo che lavorava in casa, quindi sarà difficile ricostruire i suoi rapporti professionali. Poi c’è lo svago, il fratello ci ha detto che frequentava una palestra sul Lungotevere.
– Sì, lo Sporting Club Tor di Quinto, ho trovato il borsone a casa sua. Anche lì dobbiamo mandare qualcuno, magari ci invii De Felice domani. Dobbiamo avere prima i tabulati, però; a questo punto sono la priorità. Qualche domanda, qualche idea… insomma qualcuno che ha già capito chi è stato ? Metto in premio 20 giorni alle Maldive a spese del Ministero degli Interni. . Anna mi fece un timido cenno. . – No, io volevo solo dire… che secondo me dovremmo concentrarci soprattutto sulla palestra. Ragionando da donna, e immedesimandomi nella povera Beatrice, è l’unico luogo dove avrei potuto conoscere un uomo. Sono fidanzata, quindi nelle situazioni sociali sono accompagnata, e quello è il solo luogo che frequento da sola. E poi è un classico, la palestra serve anche a fare conoscenza. - Mi sembra una considerazione sacrosanta, – le risposi - infatti un salto in quella palestra ce lo voglio fare anche io quanto prima. La prima regola è come sempre la semplicità, e questa è decisamente la prima pista da battere. Brava Anna. Altre idee? Pino? - A me, dottore, piace sempre pensare che i primi sospettati siano i familiari. Quindi sarò cattivo ma, escludendo il padre, rimangono solo il fidanzato e, perché no, il fratello. Io indagherei su una possibile questione di soldi, magari c’è qualche testamento in giro. Tipo, il padre ha lasciato tutto alla figlia e il fratello gioca ai cavalli e si ritrova gli strozzini sul collo. . – Tutto giusto Pino, ma qui abbiamo un problema. Per indagare sui conti
bancari ci serve l’autorizzazione del giudice, e poiché l’ingegner Massimi è amico del Procuratore, la vedo dura. Comunque più tardi durante la riunione proverò a sollevare la questione. Ve lo avevo detto che questo è un caso da prendere con le molle. Tu per il momento lascia perdere i conti bancari, ma muoviti cercando di sapere per via informale, per esempio dal catasto, se l’ingegnere ha proprietà ipotecate, e senti nel giro degli informatori se nel mondo del gioco d’azzardo lo conoscono. E se ha precedenti, ovviamente.
Mi pareva di aver detto tutto il necessario.
Bene – ripresi - in attesa dei tabulati direi di concentrarci sulla palestra e sulle eventuali beghe familiari. Ah, un’altra cosa. Dobbiamo rintracciare il misterioso telefonista. La cosa migliore è fare ascoltare a Giorgi la sua voce. Se ha fatto il nostro numero ci conosce, dieci a uno che il nostro computer in carne ed ossa lo individua. . Per ora è tutto, ragazzi. Buon lavoro.
OTTO
Luisa Casta. Riunione in Procura. Eleonora.
L’asfalto era quasi fuso e la temperatura al suolo alle tre di quel pomeriggio rovente doveva essere quella di un forno. Nonostante la Procura della Repubblica fosse distante poche centinaia di metri decisi di evitare il colpo di calore, raggiunsi la mia macchina, misi in moto e accesi il condizionatore. Non utilizzavo mai l’auto di servizio, dopo l’attentato mi era rimasto lo scrupolo e il pensiero che qualcuno avrebbe potuto, a distanza di tanti anni, riprovarci e non volevo avere sulla coscienza un poveraccio di autista. Gli amici che avevo nei Servizi mi avevano rassicurato, ma il pensiero mi era rimasto.
Appena salito in macchina decisi di risolvere almeno il primo problema.
Cercai il numero di Luisa Casta, tanto non sarei stato capace di sfuggirle, sapevo quanto era tenace. Presto me la sarei ritrovata tra i piedi. Mentre attendevo che rispondesse, ripensai ai bei momenti ati insieme, un paio d’anni divisi tra chiacchere in libertà, serate di cene, cinema e sesso.
Un momento sereno della mia esistenza, quando ancora non era popolata da incubi e fantasmi. Lei era sulla trentina, ci eravamo incontrati casualmente ad una mostra, poi aveva confessato di conoscermi di fama e di avere fatto di tutto per incontrarmi. Era fatta così, aggressiva, se voleva una cosa se la prendeva. Mi ricordavo i suoi lunghi capelli neri, la sua carnagione olivastra, il suo sorriso aperto e quella risata contagiosa. Lei critica cinematografica di un quotidiano, io commissario. Il fatto che non si occue di nera era stata per me una condizione imprescindibile al nostro rapporto. Non ero coinvolto sentimentalmente, mi prendevo il meglio e non dovevo decidere nulla.
Una pacchia.
Poi, come spesso succede, le cose belle finiscono, e lei mi aveva presentato il conto.
Insomma, che vuoi fare commissario? Io avrei continuato ma lei, alle soglie di una età critica per una donna, voleva stabilità, eufemismo per indicare convivenza e figli. Quindi arrivederci, è stato bello.
La sua voce interruppe il flusso pericolosamente nostalgico dei miei pensieri. . – Sei tu?
- Lo vedi che, quando la carta stampata chiama, i servitori dello stato non si fanno pregare? Attivai il viva voce, mentre mi immettevo nello scarso traffico cittadino. – Come stai? Ma perché è più facile parlare con il Questore che con te? - Alla prima parte della domanda rispondo: bene, anzi sufficientemente bene. Alla seconda: ma è elementare! I Questori sono prede facili, più vanno sui giornali, più salgono nella considerazione del ministero, più fanno carriera. Io invece vi considero nemici pericolosi. Siamo stati intimi, lo sai come la penso.
- Certo, come potrei averlo dimenticato. Peccato che tu sia un’anima in pena, altrimenti mi sarei dedicata a te. Purtroppo una donna dopo i trentacinque deve darsi una regolata, ci vuole stabilità .Che ancora non ho trovato, vero. Ma per ora va bene così. Basta chiacchiere ora, però. Veniamo alla stridente attualità. Non vuoi dire alla tua vecchia fiamma qualcosa del caso che hai per le mani? All’astro nascente nel panorama degli scribacchini di nera della stampa cittadina, che casualmente è stata anche una mia ex fiamma, non dico un emerito cavolo. Ci sarà una conferenza stampa in giornata, uno di quegli incontri carini nel quale voi domandate e noi rispondiamo, poi voi ribattete e noi puntualizziamo eccetera. In compenso sono certo che il tuo amico questore non si farà pregare e spiffererà un bel po’ di cose. Noi indaghiamo a trecentosessanta gradi, solo questo posso dirti.
- Noi chi, commissario? Il Prati sembra in prima fila. La Mobile si è defilata? Lepri non mi sembra tipo da mollare l’osso.
- È irrilevante chi ci lavora. Indaghiamo parallelamente. Il questore ha deciso di utilizzare la mia esperienza in omicidi, questo delitto è avvenuto nel territorio di competenza del mio commissariato e quindi mi pare sia tutto in regola, non vedo il motivo di farne un affare di stato. –Marco, il problema è che è una decisione anomala, lo sai perfettamente anche tu. –La omicidi è oberata di lavoro, hanno ammazzato un sacco di gente ultimamente, lo sai, quindi hanno bisogno di una mano. E l’hanno chiesta a me. Punto. Il resto è dietrologia, tanto per usare un termine caro a voi della stampa. - Sarà pure come dici tu, commissario, però ci
pare a tutti assai strano. Tu eri pure in ferie. - Complimenti al tuo informatore. Se mi dici chi è gli decurto lo straordinario, tanto lo indennizzi tu. – Sei tu il mio informatore, ieri sera ce lo hai comunicato a noi poveracci in fila dietro a quel nastro giallo, che eri in ferie, e avevi dimenticato di firmare il modulo. Ci hai preso per i fondelli e dovevi vedere gli sguardi dei colleghi, decine di occhi che mi guardavano e pensavano bello stronzo il tuo amico commissario. Puoi dormire sogni tranquilli, i tuoi uomini te li sei scelti a tua immagine, sono stronzi, omertosi e incorruttibili.
- Luisa, cerca di avere pazienza, è una indagine difficile e siamo ancora agli inizi. Saprai le cose a tempo debito. Comunque ti avverto che stai assistendo ad una svolta epocale, alla rivoluzione dei acarte, alla rivolta degli inetti, alla Comune del Commissariato Prati. Tre titoli per un pezzo, pensa. Ora sono in Procura, scusami, ti debbo salutare.
Chiusi la comunicazione senza lasciarle diritto di replica.
Il parcheggio sotterraneo del tribunale era semideserto. Il solito andirivieni di macchine blu con autista, scorte, blindati della penitenziaria , carabinieri, erano ridotti al minimo per l’interruzione di gran parte dell’attività giudiziaria nel mese di agosto. Infatti, a parte qualche processo per direttissima, le cancellerie e gli uffici dei GIP e i sostituti di turno, il rimanente era sostanzialmente chiuso per ferie. L’ufficio del Sostituto Procuratore della Repubblica Eraldo Testa era al quarto piano e quando uscii dal torrido ascensore fui accolto dalla segretaria, una tipa sui trenta, capelli neri a caschetto, occhiali da miope ma con un notevole paio di gambe abbronzate e sode che spuntavano dalla minigonna. Mi scrutò dall’alto in basso, ma quello che vide non dovette soddisfare il suo gusto estetico, visto che il sorriso si trasformò in una specie di ghigno. . - Dottore buongiorno, lei è il primo. Il dottor Testa è in arrivo, il dottor Lepri tarderà qualche minuto, ha appena telefonato. Si accomodi pure.
Mi indicò con la mano la porta della sala riunioni e se ne
tornò alle sua occupazione, la lettura di una rivista di moda. Stavo per entrare nella sala quando quasi mi scontrai con la donna che ne stava uscendo, un paio di occhi verdi che mi scrutarono freddamente. Il Sostituto Procuratore della Repubblica Eleonora Santini, elegantissima e ingioiellata, si limitò a stringere le labbra in una smorfia, una leggera manifestazione di disgusto, quasi avesse visto un iguana verde eggiare sul pavimento .
Mi bloccai e mi spostai di lato per farla are. Anche la frase di prammatica che seguì denotò un certo fastidio per quell’incontro, associato ad un certo imbarazzo. - Ciao Ferrer, avevo dimenticato questa. Ti trovo bene. Ora scusami, vado di fretta. Il dottor Testa arriva tra poco. In bocca a lupo per il caso.
Si allontanò senza voltarsi ed io non potei fare a meno considerare il fatto che avevo la rara capacità di trasformare le donne da dolci creature in freddi esseri privi di umanità. Elucubrando pensieri sempre più cupi entrai nell’ampia e lussuosa sala riunioni, moquette avana e quadri alle pareti. Con l’arrivo del PM, sempre impeccabile nel suo vestito di Armani e di Lepri ebbe inizio l’incontro.
Testa mi chiese notizie delle prime risultanze investigative, soprattutto degli accertamenti autoptici, poi mi consigliò cautela negli approcci con i parenti e gli amici di Beatrice. Firmò le autorizzazioni per gli interrogatori, da compiere con cautela quali persone informate sui fatti per il fidanzato della vittima e il fratello. Mi raccomandò cautela nei rapporti con la stampa e negò decisamente l’autorizzazione a spulciare i conti bancari del fratello di Beatrice.
Muoviamoci con cautela Ferrer, almomento non c’è nulla che parla di un delitto nato nell’ambito familiare ed il procuratore non gradirebbe. Quindi cautela e ancora cautela. Sollecitò la acquisizione dei tabulati telefonici; in questo aveva ragione, suggerendo cautela nella loro valutazione. Poi il cauteloso si decise a congedarmi, con mio sommo piacere, visto che non ne potevo veramente più. -
Dottor Ferrer, alle diciannove in questura il Dottor Lepri terrà una conferenza stampa. Ci sarò anche io in videoconferenza, ovviamente potrà partecipare anche lei. - Preferisco di no, per quell’ora ho convocato il Terranova e il fratello della vittima, se può esentarmi gliene sarei grado. E poi non riusciremmo ad allestire una video conferenza dal commissariato in poche ore. - Male dottor Ferrer, male, la tecnologia è importante. Per questa volta è giustificato, in futuro però gradirei una sua presenza più attiva anche nelle incombenze con la stampa.
Sdraiato sul divanetto della mia stanza, al fresco del condizionatore, mentre fissavo la stampa di Hopper sulla parete di fronte, pensavo che il mio morale stava rapidamente precipitando al di sotto dei classici tacchi, che ero di umore nero e che non me lo potevo permettere. I motivi c’erano tutti, avevo incontrato tutti i miei fallimenti sentimentali in rapida successione, e quel caso non stava andando da nessuna parte. Eravamo a oltre ventiquattro ore dal delitto e non avevo in mano nemmeno uno straccio di indizio.
Non avevo il rapporto di Forte, non c’era traccia dei tabulati telefonici e ancora non avevo ascoltato nessuno. Dovevo smuovere le acque, più il tempo ava e più il colpevole, secondo le statistiche, rischiava di farla franca. Alzai il telefono e chiamai con le linea interna il mio vice. . – Questo caso batte la fiacca e a me girano le palle. Che hai fatto in queste ore di istruttivo e intelligente? Posso avere l’onore di effettuare il primo interrogatorio? Hai i tabulati telefonici? Forte ha trovato un’impronta digitale leggibile e schedata? Hai trovato il misterioso telefonista? Palumbo, che cazzo stai facendo?
-Capo, noi stiamo lavorando. Terranova sarà in commissariato per le diciannove, e stiamo verificando il suo alibi, mentre ho convocato il fratello della vittima per domani alle dieci. Forte l’ho sentito prima, ci sono un mucchio di impronte, ma nessuna al momento risulta schedata. Quindi ci facciamo poco. Al DNA stanno lavorando ma ci vuole tempo e senza un indiziato ci facciamo poco. Dei tabulati si sta occupando la scientifica e non dipendono da noi. Per quanto riguarda il nostro misterioso telefonista, Giorgi non ha dubbi. Dice che dovrebbe fare un salto a trovare il suo amico Guidi.
Ernestino Guidi lo conoscevo praticamente da sempre, si può dire che fossimo cresciuti insieme. Più giovane di me ma di un paio d’anni, avevamo seguito lo stesso percorso scolastico, i giochi di strada, le prime ragazze, insomma insieme avevamo conosciuto il mondo. Poi le nostre strade si erano separate, e per molti anni non avevo avuto di lui che poche e frammentarie notizie. Me lo ero ritrovato in ospedale, lui aveva saputo dell’attentato ed era venuto a trovarmi, ma il mio vecchio amico era ormai scivolato ai margini della società. Era scampato a paio di fallimenti, ad una storia di usura, e mi aveva fatto capire di essere su una brutta china. Mi ero dato da fare per trovargli qualche lavoretto onesto, e ogni tanto lui, che aveva amici in ambienti vicini alla mala, aveva cominciato a armi qualche dritta. Nulla di serio e diretto, però erano notizie affidabili e un paio di rapine eravamo riuscite a prevenirle. Lo avevo inserito stabilmente in conto spesa e riuscivo a argli uno stipendio, attinto da un fondo che gestivo personalmente per gli informatori. Era qualche mese che non lo sentivo, anche se ogni tanto lanciavo un’occhiata distratta agli ordini di cattura, sperando di non trovarcelo sopra. Finora l’aveva scampata ed era ancora incensurato, quindi le sue impronte non erano schedate. Avrei dovuto parlarci e subito, quel cretino si era rimesso fare il ladro in pianta stabile e se Lepri arrivava a lui, avrei potuto fare ben poco. Un discreto bussare alla porta e la massiccia figura di Pino Borghi interruppero il flusso dei miei pensieri.
- Vieni Pino, entra. Lo so che avete avuto poco tempo, ma il professor Terranova tra poco sarà qui per essere interrogato e di lui e dei suoi movimenti non conosco praticamente nulla. Pino si accomodò sulla sedia di fronte la scrivania, estrasse dal borsello un taccuino e cominciò a consultare i suoi appunti. . – Dottore, abbiamo monitorato il viaggio a Verona e sinora non è emerso nulla di strano. È partito con quel volo, insieme a tre colleghi che hanno confermato. Decollo regolare alle ore quindici e trenta, arrivo a Verona alle sedici e trenta circa, poi subito in Hotel, il Jolly. Il check -in risulta effettuato alle diciassette e quindici. I colleghi di Verona sono andati al Jolly, e risulta che lui è stato regolarmente presente sia per la riunione scientifica che per la cena. Rimane una sola possibilità. Anticipando l’ora della morte di un ora, diciamo le dodici e trenta , avrebbe avuto il tempo di prendere un taxi, precipitarsi a Fiumicino e fare in tempo ad imbarcarsi sul volo delle quindici e trenta. Considerando trenta o quaranta minuti di taxi, poteva anche ammazzarla anche verso le quattordici ed
arrivare in tempo. Per questo stiamo contattando le compagnie di taxi, in questo momento se ne sta occupando Anna, per verificare se è partito veramente dalla clinica come lui afferma e sapere possibilmente l’ora della chiamata.
– Sì. teoricamente avrebbe avuto il tempo di farlo, quindi cercate di sapere in fretta. Tra poco lo interrogo, mi serve questa informazione. Anche se continuo a pensare non sia stato lui. Cercate, tu ed Anna, di essere presenti, dovrebbe arrivare per le diciannove.
Il Professor Giovanni Terranova alzò il polso sinistro per controllare l’ora al suo Rolex d’oro. Alto, corporatura atletica con una capigliatura precocemente imbiancata che se da un lato lo invecchiava dall’altro lo rendeva più autorevole, aveva mani quasi femminili con dita lunghe e affusolate, mani da scrittore o da chirurgo, appunto. Indossava pantaloni di cotone color panna, una polo verde e una giacca avana, era perfettamente rasato, e dietro le lenti da miope un paio di occhi azzurri mi fissavano apertamente e con una punta di curiosità mentre mi stringeva la mano. Sedeva nella poltrona di fronte alla mia scrivania, con il busto lievemente piegato in avanti, espressione di comprensibile disagio. Qualche minuto prima Anna Durante mi aveva comunicato di aver identificato il taxi che aveva accompagnato il Terranova a Fiumicino, che la chiamata alla centrale proveniva da Villa Celeste ed era stata effettuata esattamente alle tredici e quindici. La macchina era arrivata in cinque minuti, e alle quattordici erano arrivati al Terminal delle partenze nazionali dell’aeroporto. Il professore aveva un alibi perfetto e con questa informazione appena acquisita iniziai l’interrogatorio. -Professor Terranova, questa incombenza purtroppo è un atto dovuto, visto i rapporti che intercorrevano tra lei e la povera Beatrice, e in questa sede, in accordo con il Sostituto Procuratore della Repubblica dottor Testa, che coordina le indagini, lei viene ascoltato in veste di persona informata dei fatti. Io sono il Vicequestore Marco Ferrer, al momento corresponsabile delle indagini, unitamente al Vicequestore Lepri della Sezione Omicidi della Mobile, e questi sono il commissario capo Palumbo, l’Ispettore Borghi ed il sovraintendente Giorgi. Come può immaginare questo incontro riveste per noi un notevole importanza. . Può iniziare con le sue generalità complete, stato civile e professione, per poi parlarci dei suoi rapporti con la povera Beatrice.
Il Professore inclinò ancora di più il busto in avanti, poi con un ampio e misurato gesto della mano destra si tolse gli occhiali, prima di cominciare a parlare.
- Commissario, lei comprenderà che sono assolutamente turbato da questa tragedia, e collaborerò totalmente per quanto di mia competenza. Mi chiamo Giovanni Terranova nato a Roma, ho quarantacinque anni, risiedo in via della Camilluccia 2450 e sono professore associato di Chirurgia Plastica presso la prima università di Roma, alla Facoltà di Medicina. Svolgo la mia attività in una clinica privata in via della Camilluccia 1700, Villa Celeste. Sono celibe, ho conosciuto Beatrice due anni fa tramite amici comuni e da allora siamo fidanzati ufficialmente. Avevamo progettato di sposarci l’anno prossimo. Con la povera Beatrice ci si vedeva non spessissimo, causa i miei impegni professionali, in genere nei weekend, qualche volta si fermava lei da me, altre volte io da lei. Le mie giornate sono divise tra l’Università e l’attività in clinica e lavoro anche 1314 ore al giorno. Come capirà, lo spazio per la vita privata è purtroppo molto ridotto. . -Va bene professore, veniamo a questi giorni. Quando ha visto per l’ultima volta Beatrice? - Ci siamo visti giovedì sera, il sette di agosto , cioè la sera precedente al… insomma alla sua barbara uccisione. Sono stato a casa sua, abbiamo ato una serata tranquilla, vedendo un film alla televisione. Poi io sono tornato a casa perché l’indomani, in previsione della partenza per Verona, avevo una seduta operatoria in mattinata, e sarei dovuto arrivare alle sette a villa Celeste. L’università è in questo periodo dell’anno chiusa e non ho quindi impegni accademici.
-Mi tolga una curiosità professore, ma anche in questo mese dedicato alle ferie si lavora con la chirurgia plastica?
- Sì, certo, si tratta in genere di plastiche mammarie in pazienti già operate di mastectomia, e poiché la lista d’attesa è lunga, a parte una settimana a ferragosto, questi interventi non sono differibili, per ovvi motivi. Visto che ha sollevato il problema, le dico anche che il convegno di Verona era un incontro della Società Europea di Chirurgia Plastica, una riunione del board editoriale.
Questi convegni vengono effettuati spesso quando gli impegni dei partecipanti è meno gravoso ed è consuetudine effettuarli ad Agosto. Qualche anno fa si sceglievano zone balneari o montane, ma da quando il ministero ha posto il veto si preferiscono sedi meno appetibili, come un Hotel isolato nella periferia di Verona, con la sola compagnia di torme di zanzare. - Va bene professore. Se può, ci dica qualche cosa sul viaggio, sugli orari, sui suoi spostamenti e su quando ha sentito per l’ultima volta Beatrice. . –Abbiamo operato tutta la mattina, alle tredici e quindici ho preso un taxi dalla clinica e alle quattordici ero a Fiumicino. Ho incontrato un paio di colleghi, abbiamo effettuato il check-in insieme e alle quindici e trenta siamo partiti, puntuali. Alle sedici e trenta eravamo a Verona e alle diciassette e dieci circa sono arrivato in hotel. Il tempo di una doccia, poi abbiamo cominciato la riunione, sempre in hotel, e siamo andati avanti fino alle venti. Ero a cena quando sono stato avvertito della tragedia, saranno state le ventidue e trenta. Mi ha avvertito il mio futuro cognato, poi mi avete chiamato anche voi. Beatrice l’avevo sentita verso le tredici, prima di andare in taxi all’aeroporto. Sembrava tranquilla, credo fosse a casa, nel pomeriggio sarebbe andata in palestra, almeno così mi aveva detto la sera precedente.
– Ecco, torniamo un attimo indietro, alla cena a casa di Beatrice, alla serata di giovedì. Ha avuto l’impressione che fosse in qualche misura turbata o tesa? Ha detto o fatto qualcosa fuori dall’ordinario? Lei è la persona che la conosceva meglio, anche un piccolo indizio può aiutarci. - Ma no, mi era sembrata assolutamente normale. Abbiamo cenato tranquillamente, io ero molto stanco, ci siamo rilassati sul divano, insomma una serata normalissima. Lei non aveva programmi, era in ferie e si dedicava solo alla palestra. Tutte le sue amiche erano in vacanza, anche noi saremmo partiti da li a qualche giorno. Avevamo programmato una settimana al mare in Costa Smeralda, dal quattordici al ventidue, poi lei avrebbe raggiunto suo padre a Merano, come ogni anno, ed io sarei tornato a Roma. A volte la gente ci invidia ma facciamo una vita infernale, dettata dagli interventi in clinica, dalle lezioni, dagli esami. È una catena di montaggio. . – Sì, immagino. Ma torniamo a mercoledì, a che ora ha lasciato l’appartamento di Beatrice? - Era circa mezzanotte, forse qualche minuto dopo. A mezzanotte e venti ero a casa. Ci siamo sentiti al cellulare per un saluto. La chiamavo sempre, per rassicurarla. - Quindi le è sembrata normale? Assolutamente. Le ripeto, una tranquilla serata come tante altre. - Che macchina possiede, professore?
Una Audi, una Smart e uno scooter con il quale mi muovo nel traffico, ma giovedì sera ero in Smart. E Beatrice che macchina possedeva? Una Toyota, una City car, anche lei si muoveva meglio nel traffico. Aveva anche una SUV, un Mercedes, ma al momento aveva avuto un problema grosso al motore ed era in riparazione, perciò si muoveva con la Toyota. – Vorremo ricostruire se possibile i movimenti di Beatrice nella giornata di giovedì e soprattutto di venerdì. Ci può aiutare? Commissario, per quel che ne so, si sarebbe divisa tra casa, palestra ed estetista, cose da donne. Non aveva grossi impegni lavorativi: lei era consulente finanziaria e lavorava da casa, ma il settore in questo periodo è fermo, avrebbe ripreso stabilmente a lavorare a settembre. Sapevo che avrebbe continuato ad allenarsi, da qualche mese si era apionata alla corsa, si stava preparando per la maratona di New York. La giornata di giovedì era trascorsa tra palestra e piscina e anche venerdì si era programmata una giornata simile. Mi è sembrata assolutamente normale, solo un po’ stanca per l’allenamento, ma anche soddisfatta per essere arrivata a fare venti chilometri di corsa continua. Venerdì poi, come detto, l’ho sentita verso le tredici prima di andare all’aeroporto, ed era tranquilla. Mi ha detto che sarebbe tornata in palestra e che ci saremmo sentiti in serata. La riunione si è poi protratta, siamo stati impegnati in discussioni anche parecchio accese e ho dimenticato di chiamarla. Lo avrei fatto prima di andare a dormire. Ma purtroppo non ce ne è stato il tempo.
- Beatrice aveva problemi economici? Le ha mai parlato di qualche uomo che la importunava? - No, per niente. Problemi economici non ne aveva. La casa era di proprietà e lei guadagnava bene. Per il resto, certo era bella, ci sono situazioni che una donna quotidianamente affronta. Corteggiatori ne trovi sempre, quando compri il latte o quando vai a lavare la macchina. Ma lei era aristocratica nei modi e praticamente inavvicinabile. Non mi ha mai parlato di problemi. . - Ex fidanzati?
-Un notaio prima di me. Una cosa durata un anno circa. Si chiama Arturo Bello, ma era una storia morta e sepolta.
- Sul piano lavorativo, di cosa si occupava precisamente? - Era consulente di varie banche, poi aveva clienti privati, prendeva una percentuale sui guadagni e aveva un contratto fisso con alcuni istituti. Nel suo lavoro era molto brava, in genere riusciva a prevedere i flussi di interesse. Aveva una capacità innata di capire se un investimento avrebbe fruttato o no. Non so come fe, ma personalmente tutti i soldi che mi aveva fatto investire erano rientrati con interessi assai vantaggiosi. Come le ho detto, in questi giorni era tutto abbastanza fermo. Commissario, mi creda, la donna che ho conosciuto era una persona irreprensibile. Se poi esisteva un’altra Beatrice, io non ne ero a conoscenza, e per come sono andate le cose forse era veramente così. Ma in questo caso la prima persona alla quale lei avrebbe nascosto questo suo alter ego sarei stato proprio io, come è ovvio. . Nella stanza scese il silenzio. Terranova si rimise gli occhiali, incrociò le braccia, portò il busto indietro sulla sedia, in un atteggiamento finalmente rilassato. Aveva ragione, lui sarebbe stato l’ultimo a sapere.
- Professore, per ora credo per ora possa bastare. Se le viene in mente qualche particolare, qualunque cosa, non esiti a contattarci.
– Ed io le sarei grato, commissario, se mi potesse tenere informato sullo stato e sui progressi delle indagini. Vede, qualsiasi cosa possa aver fatto di sbagliato Beatrice, sono convinto che si sia trattato di un momento, una distrazione. Lei mi amava ne sono certo. E non potete immaginare quanto le ero legato e quanto mi mancherà.
Terranova si asciugò le lacrime, e per qualche attimo rimanemmo tutti in silenzio, rispettando il suo dolore e quell’attimo di commozione.
-Scusatemi…
-Non si preoccupi. Ci mancherebbe. Mi dispiace veramente ma questi sono gli aspetti del nostro lavoro che a volte odio. Comunque riguardo alla sua richiesta, la terremo informata sempre entro i limiti del segreto istruttorio, stia tranquillo.-
Giorgi terminò di scrivere al PC la deposizione, la stampò in tre copie e la consegnò al professore . Dopo una rapida lettura, Terranova la firmò con la mano destra. Quando fu uscito, tornò il silenzio nell’ufficio. Alzai gli occhi su Mario Giorgi. In genere dopo ogni interrogatorio chiedevo il suo parere, il mio vice e i miei ispettori lo sapevano e avevano smesso da tempo di essere gelosi o di sentirsi scavalcati. Era quasi un rito scaramantico, ma in verità mi fidavo della sua saggezza ed esperienza. – Dottore, mi sa che questo non c’entra. Anche perché se l’omicidio non è stato premeditato, come sembra, non avrebbe avuto il tempo materiale per organizzarsi la partenza. Non aveva motivo di ucciderla, nemmeno se avesse scoperto un suo tradimento. Non erano sposati e poi lui mi pare pure più ricco. I moventi ionali di fronte ai soldi e al potere si annacquano. È tra i poveri cristi che le ioni sconfinano. Tra i ricchi prevalgono gli interessi. Giorgi aveva ragione, Terranova era fuori gioco, e quella donna custodiva un segreto che fino ad allora era riuscita a nascondere impeccabilmente. Avremmo dovuto ascoltare e verificare, per metodo, anche l’alibi del suo ex, il notaio, anche se quello se ne stava sicuramente ai Caraibi a godersi una vacanza da ricconi.
Congedai tutti e rimasi solo in stanza. L’orologio digitale sul tavolo segnava le venti e trenta. Era stata una lunga giornata, ma c’era un’ultima cosa da fare. Presi il telefonino e digitai un numero.
Nel quartiere periferico di Primavalle, in una modesta casa di edilizia popolare di settanta metri quadrati, abitata l’agente di commercio Ernesto Guidi e dalla sua famiglia, costituita dalla signora Carla e da due ragazze adolescenti, quella sera c’era aria di festa. In frigo facevano la loro figura una guantiera di paste e
una bottiglia di spumante italiano, mentre dalla cucina si diffondeva un invitante profumo di lasagne al forno. Sul tavolo, appena stappata, una bottiglia di Brunello di Montalcino. Ernesto, indossato il vestito buono con la giacca di cotone, camicia e cravatta, era in camera da pranzo, e pensava che forse le cose si stavano mettendo finalmente bene.
Quella infornata di Rolex d’oro era stata una manna dal cielo, il ricettatore aveva sborsato senza fiatare cinquantamila euro e, tolti quei cinque-seimila per vacanze, spese di casa e vestiti, il resto era stato sistemato su prudenti libretti postali. La macchina non l’avrebbe cambiata, almeno per il momento, non voleva elevare troppo il suo tenore di vita, ma l’avrebbe rimessa praticamente a nuovo. Era anche riuscito a prenotare nel Salento dalle parti di Otranto, e il giorno dopo sarebbero tutti volati a Brindisi, e poi fino al villaggio turistico per due settimane di relax.
Si era appena versato un goccio di Martini e stava prendendo una manciata di noccioline americane dalla confezione appena aperta, quando squillò il suo cellulare. Ebbe il netto impulso di non rispondere perché in cuor suo sapeva.
Guardò a lungo il telefonino, prima di decidersi, con un lungo sospiro. . - Pronto.
Stai bene? Fino a qualche secondo fa stavo meglio. Anche tu a Roma ad Agosto, allora.. Che vuoi, non ci sono più le estati di relax di una volta. Ti aspetto dove sai. . –Va bene dammi solo cinque minuti. . Indossata la giacca, uscì di casa e raggiunse a o svelto la cabina telefonica. Era appena arrivato quando la luce accanto al telefono cominciò a lampeggiare. – Ernesto, non ho molto tempo.
-C’è poco da dire, ho avuto una dritta. Ultimamente non me la avo bene, sai
le ragazze crescono, lavori onesti non ce ne sono, e poi chi lo assume uno della mia età? Carla si arrangia ma ultimamente per la crisi non la stanno pagando e quello che mi i tu non è sufficiente. Con la droga non mi mischio per principio, lo sai, quindi occasioni ce ne sono poche. Insomma, non ti dico come ho avuto la notizia di una collezione di Rolex in un appartamento vuoto, una cosa facile. Chiave allarme, tutto regolare, sarei andato sul velluto. Sono arrivato sotto casa verso le venti, minuto più minuto meno. Già alla porta mi sono accorto che qualche cosa non andava, non era chiusa a chiave, non avevano dato le mandate al chiavistello. Appena entrato c’era una seconda stranezza, l’allarme era staccato. A quel punto me ne sarei dovuto andare, ma avevo troppo bisogno di quei Rolex. Poi l’ho sentito. Un odore dolciastro, l’odore del sangue, l’odore della morte. Non so nemmeno io come ce l’ho fatta a muovermi, sono andato in camera da letto e ho trovato i Rolex, li ho presi, poi ho visto la porta del bagno, l’odore sembrava venire da li. Ho la luce e ho visto tutto quel sangue, e la strisciata che andava verso la vasca. Mi sono sentito male, lo sai che il sangue mi ha sempre impressionato, sin da ragazzino. Allora sono scappato via, poi ho deciso che era meglio avvertirvi, se non vi chiamavo io quella poveretta chissà quando la trovavano. - E non hai scostato la tenda, non hai visto nessuno e nessuno ti ha visto. - No, la tenda non l’ho scostata, ho avuto paura, ed è stato meglio, non era un bello spettacolo a quanto dice il giornale. Non ho visto nessuno e nessuno mi ha visto. Sono stato attento a evitare le telecamere, sulla strada non ne troverete, tutte fuori uso e anche la cabina dove ho telefonato era una zona buia, nessuna immagine. -Quanto ci hai fatto?
Venticinquemila. No Ernesto, almeno il doppio. Non ti si può nascondere niente, commissario. Me li farai tenere, spero. . - Ora te ne vai in vacanza, ma tra un paio di mesi un uccellino mi sussurra il nome di un ricettatore, che magari pratica pure usura, che casualmente ha una collezione di Rolex, in genere questi orologi vengono messi in cassaforte per mesi prima di trovare collocazione. Va bene? Cosi al povero ingegnere gli restituiamo il maltolto. Mi aspetto anche un versamento anonimo sostanzioso a qualche ospedale cittadino, Ernesto. Buone vacanze e resta fuori dai guai. A proposito. La Mobile lavora sulle badanti, spero per te che la tipa sia una che tiene la bocca chiusa.
-Lo spero anche io, ora è tornata in Romania, ma non sono tranquillo. Quindi trova al più presto quel macellaio, inchiodalo quel bastardo. . - Ci proverò. Fai buone vacanze, cattivo soggetto.
DIECI
Cena. Moscato di Pantelleria. Chet Baker
Appena uscito dalla doccia mi versai dal frigo un bicchiere di succo d’arancia e avvolto nell’accappatoio mi sdraiai sul divano. Dovevo essere pazzo solo a pensarci.
Erano le ventuno e dieci, non troppo tardi ma nemmeno troppo presto. Un’ora perfetta in una sera d’estate, a meno che tu non abbia intenzione di telefonare a una donna. Cosa che, in quel caso, era una stronzata, un vero autogol. Non si chiama una donna a quell’ora, puoi darle l’impressione di essere un ripiego. Ma se tu sei un Vicequestore che sta indagando su un omicidio, beh, hai poco tempo e nella vita privata ti arrangi.
Ma c’era poco da ragionare, era una follia bella e buona.
Guardai a lungo il telefonino, come se la risposta ai miei dubbi fosse scritta sul display, poi lo presi, cercai nella memoria il suo numero e spinsi il tasto invio. Ascoltai, non ancora convinto, il segnale di libero, e per un attimo ebbi l’impulso di chiudere la comunicazione. Rispose al terzo squillo.
Pronto. Non hai più il mio numero in memoria, evidentemente.
Rimase in silenzio per un lungo momento. Poi rispose, il tono della voce freddo e distante. . – L’uomo del giorno. I brutti pensieri non si eliminano, restano appesi da qualche parte, evidentemente.
– Perché magari non sono un pensiero così brutto, in fondo.
Senti, vieni al dunque, ho caldo, sono stanca e ti ho visto pure troppo per i miei gusti, in queste ore. A cosa debbo il piacere, si fa per dire?
Non avevo pensato nemmeno ad una scusa plausibile, e il brivido che provai non era forse solo per la temperatura di diciotto gradi alla quale avevo programmato il condizionatore. – Niente di particolare, volevo sentirti, in primis per ringraziarti del lavoro che hai svolto come sempre in modo ottimale. Poi pensavo che, se non avevi impegni, potevamo vederci, cenare insieme in un posto tranquillo. Sai, debbo are a riscuotere la mazzetta in un paio di locali e allora…
E allora cosa? Sei veramente pessimo. Ma la tua concezione degli altri qual è? Riempire i tuoi buchi serali? La tua amichetta ti ha mollato e c’è quella buona per tutti i momenti, vero? Sei un presuntuoso pieno di boria, stronzo fino al midollo. Pensi che siamo tutte in tua attesa, manco fossi il messia, e non pensi nemmeno per un attimo che potrei vedere qualcun altro. Quindi, vai a farti fottere.- Rimasi con il telefono in mano incapace di muovermi. Speravo solo di avere abbastanza Porto in frigo eforse era anche il caso di chiedere aiuto al Jazz.
Mi ero appena alzato, con uno sforzo immane dal divano per raggiungere il frigorifero, quando il telefonino cominciò a vibrare. Risposi senza guardare il numero. . -Scusami , forse ho esagerato.. . –Sei tu…
-Certo, chi pensavi fossi? Eri già ato al piano B? -Non ho un piano B, altrimenti …
-Cosi va meglio, mi piace quando sei sincero.
-In ogni caso hai ragione, non avrei dovuto chiamarti, e comunque sono uno che occupa i propri buchi neri con il lavoro, non con le donne. Visto che mi conosci, dovresti saperlo. Anche perché con l’altro sesso non faccio altro che collezionare una cazzata dietro l’altra. A partire da quella megagalattica di un anno fa.
– Ma senti, bene bene, il grande Marco Ferrer che si flagella il petto. Questo lo racconterò alle mie amiche in Sardegna a ferragosto.
- Dobbiamo parlare al cellulare o ci concediamo un vis a-vis? - Non lo so, Vicequestore aggiunto, lei è un animale pericoloso. - Beh, decida in fretta Professoressa, mi sta giusto venendo in mente un piano B niente male. . – E allora guarda, solo per il gusto di rovinartelo e di mandarti in bianco, se tra venti minuti ti vedo sotto casa forse scendo.
Abitava in un elegante condominio in via San Saba, un appartamento ereditato dai nonni in una zona tranquilla, strade larghe, villini signorili, espressione di agiato benessere. Fermai l’auto sotto il civico ventisette, raggiunsi il portone, spinsi il pulsante sul citofono accanto al numero 10 e registrai nella mia mente l’informazione che accanto al numero dell’appartamento non compariva più il
suo cognome. Scese dopo nemmeno un minuto. Indossava un vestito azzurro con gonna sopra il ginocchio, un filo di perle, si era legata i capelli in una coda di cavallo, un filo di trucco ed un rossetto color aragosta ad evidenziare le sue stupende labbra. Era magnifica. Feci un o verso di lei, le presi la mano e la baciai, poi aprii la portiera dal lato del eggero e la feci accomodare. Misi in moto, osservandola di sottecchi. Si era messa comoda, aveva appoggiato la borsa sul sedile posteriore e stava indossando la cintura. L’abitacolo si era riempito del suo profumo mentre si guardava intorno, il busto lievemente in avanti e le mani incrociate sulle ginocchia. – So cosa stai pensando, mi credi se ti dico che non si è seduta nessuna su quel sedile dopo te? E comunque grazie di essere qui.
– Sì ci credo, anche perché il surgelato era tipo da autista anche quando veniva a casa tua o andavate a cena. E comunque ti ricordo che sono qui solo per fotterti il piano B, per farmi invitare a cena e per mandarti in bianco, quindi hai poco da ringraziare. Tu e la tua macchina non mi appartenete più, quindi me ne frego chi ci hai fatto sedere.
Professoressa, hai la tendenza a ripeterti stasera. Comunque, ti contenti di poco. Io sono più nobile, sono qui solo per il piacere di stare con te. . - Ma è giusto, perché io sono una regina rispetto a te che sei uno stronzo maschilista. - Alt, armistizio, pace, seppelliamo l’ascia di guerra?
- Ma sì, pace, va bene. Tanto quello che penso di te lo sai. Allora, dove mi porti? - Che ne dici dello Zodiaco?
- Non credo proprio, sei ripetitivo e stereotipato, visto che ci porti tutte le tue donne. Ti ci ha visto il mio boss con una che dalla descrizione sembrava il surgelato. Ti risparmio i commenti che ha fatto, e quello è un uomo di mondo. Quindi stasera gioco in casa. Hanno aperto da un mese un ristorantino in via Clementina, andiamo li.
- Ogni tuo desiderio è un ordine, ma via Clementina è a due i da casa mia, cosi gioco in casa io. - Certo, ma si va vicino casa tua solo perché cosi posso usufruire del tuo bagno, lo sai che mi fanno schifo i bagni pubblici, ti voglio usare solo come toilette, quello che meriti. - Ho visto che hai tolto il cognome dal citofono.
- Già, non mi pareva igienico sbandierare dove abito, con i tempi che corrono, dopotutto sono una ragazza sola e indifesa, grazie a te e alla tua stronzaggine.
- Hai avuto problemi? Stalking?
- No, ma solo perché ho aumentato la puzza sotto il naso e ho cominciato a tirarmela ancora di più, poi ora sono Professoressa, e un minimo si tengono a distanza. I peggiori sono gli avvocati, non hanno ritegno. Ci provano quasi tutti quelli che incontro e quelli che non lo fanno sono gay. Per fortuna la maggior parte del mio tempo la o con i morti, gli unici dei quali mi fido. . Mentre parlava, eravamo arrivati dalle parti di casa mia. Parcheggiai e scendemmo insieme dalla macchina e non mi sfuggì l’impercettibile sguardo che lei volse verso l’alto, in direzione del mio balcone. Via Clementina distava poche decine di metri e poco dopo eravamo di fronte l’ingresso del locale.
Fiocamente illuminato da due candelabri ai margini dell’ingresso, che avrebbero dovuto nelle intenzioni creare un ambiente più intimo ma che nei fatti lo rendevano solo più macabro, era uno di quei locali sorti come funghi nelle zone della movida. Quella sera era semideserto, c’erano più camerieri e candele che clienti. Il menu offriva piatti regionali siciliani, non precisamente estivi, dalla pasta alla norma a quella con le sarde, dal pesce spada alla caponata, con vini bianchi ad alta gradazione. - Come conosci questo posto? Fammi pensare, ti ci sei fatta portare da uno dei tuoi orrendi spasimanti, visto che è sotto casa mia, per vendicarti? Per spiarmi? - Oltre che egoista e stronzo sei anche ineguagliabilmente egolatrico. Sbagli di grosso. Me lo ha consigliato una coppia di amici, anzi io ho pure detto che essendo nei pressi del tuo appartamento lo avrei evitato accuratamente, e invece…
Va bene, scusami, ma la smettiamo di litigare? Vorrei una serata rilassante, se possibile. Quindi, a te la scelta. Cominciamo col vino? - Cominciamo col vino, ok. Un Corvo bianco gelato. Spero anche che il conto sia adeguato, nel senso di
costoso, così soffri almeno nel portafoglio, visto che al posto dell’anima hai un ferro da stiro. Pasta alla norma, pesce spada arrosto, un cannolo siciliano e un arancino per antipasto. Scusa ma ho carenze d’affetto. . - Va bene, ho capito che non sono in cima alla tua scala dei valori, ma possiamo per un momento evitare sarcasmi e guerre intestine? Io la cazzata che ho fatto con te la sto pagando pesante anche più di te, perché tu hai la rabbia che ti aiuta, io no. Io ho solo rimorsi e rimpianti e non è un bel vivere. Ora ci godiamo questa cena? Dei soldi non ti preoccupare, li ho spesi solo in bottiglie di Porto, sigari toscani e poco altro. Quindi ceniamo in santa pace e mettiamo via per una sera i cattivi pensieri, ti prego. Lei rimase in silenzio, si versò un bicchiere d’acqua, che bevve prima di guardarmi a sua volta. . -Va bene, ma dentro di me, come hai detto, galleggia solo rabbia. Non so nemmeno perché sono qui, o meglio forse lo so, purtroppo. Ti vorrei solo chiedere una cosa, poi non ne parliamo più. Dimmi solo perché ti sei comportato cosi. Parliamone ora, una volta per tutte. . Fui salvato dal cameriere, arrivato con il vino in ghiacciaia e gli antipasti. Dopo la pantomima dell’assaggio, visto che la maggior parte dei clienti riconoscono a malapena se il vino è bianco o rosso, e se sei un sommelier non vai certo a bere lì, facemmo tintinnare i bicchieri, bevendo un sorso. Nel frattempo i miei neuroni lavoravano sodo, e sperai di dire la cosa giusta. . - Perché mi sono comportato così? Non lo so. Vorrei dire che sono fatto così, invece non è vero, perché dopo avere fatto il vuoto intorno a me non faccio altro che pentirmene . Potrei dire di essere un asociale e non è vero neanche questo, mi piace stare con te per esempio. Potrei dire che sono schiavo del lavoro, e forse questo è vero. A volte preferivo l’ufficio a te e sono a volte egoista e non brillo di empatia. - Scusa, ma che c’entrava quella cernia da freezer?
-Non lo so. Pensavo fosse la soluzione al mio malessere e invece evidentemente non era così. Quando mi ha capito, quasi subito, se ne è andata. Io mi sono disperato perché vivo sempre male il distacco, ma dentro di me è stata una liberazione. Almeno potevo soffrire per te e finirmi una bottiglia di Porto a sera in santa pace. . – Sempre il solito, melodrammatico e solitario. Ma ti ci ritrovi tanto in questo privato abominevole? Le domeniche preferivi arle solo come un cane in quel cavolo di commissariato, salvo poi disperarti e attaccarti alla bottiglia quando ti ritrovi solo. Pure santa Maria Goretti ti manderebbe a quel paese alla fine, te ne rendi conto? Io vorrei una vita fatta di normalità, di cose semplici, uscire e camminare per Roma, andare in libreria e al cinema, programmare una vacanza. Avrei voluto fare la spesa, cucinare , lo sai anche tu
che la felicità risiede nella semplicità. Ma per te era solo angoscia tornare a casa e trovarmi in tuta a are l’aspirapolvere. Io vorrei una vita semplice. Non arrivo al tuo livello di interiorità, scusa, allora meglio stare da sola, tanto mi a prima o poi, e forse lo incontro davvero un bravo ragazzo.
La osservai a lungo. Io non ero convinto di volere quella vita, però volevo lei. Ma sapevo anche che se l’avessi avuta nuovamente tra le mani avrei potuto distruggerla di nuovo. Ancora e irrimediabilmente. O forse no, e a quest’ultimo desiderio, a questo pensiero debole mi sarei aggrappato con tutte le mie forze. Ne sono perfettamente cosciente, e la cosa che vorrei di più è risolvere il problema. Sono sette mesi che ci penso. Vorrei un’altra vita e un'altra possibilità, Paola.
Bevvi rapidamente un sorso di vino, evitando di guardarla negli occhi. . – No, non sei pronto, vorresti ma non puoi. E continuo avere paura di te. Fammi bere ora… basta con questi discorsi. Hai ragione voglio distrarmi e sapere che ci sei. Per ora mi sta bene così.
Mi strinse la mano con forza, in modo quasi disperato, mentre sentii le sue gambe avvinghiarsi alle mie.
-E poi, come scopava quella? Che aveva più di me? Ti faceva dei giochetti da impazzire come in quella canzone che ci piaceva tanto ? -Mi avvalgo della facoltà di non rispondere. E tu? Ti sei sollazzata con qualcuno, così, magari per rabbia?-Te lo saresti meritato , la fregatura è che io sono una donna, non un maschilista egocentrico come te. Quindi collego il sesso all’amore, pensa che stronza romanticona che sono. Ma ancora per poco, perchè sento mi sto liberando come una farfalla. Finimmo di cenare in silenzio,lei continuò a stringermi le gambe in modo quasi selvaggio. Alla fine ci eravamo bevuti una bottiglia e mezza in due
di un bianco micidiale per gradazione, due generosi bicchieri di moscato di Pantelleria ad innaffiare i dolci e una grappa ciascuno. Per come riusciva a bere , quando ci si metteva, sembrava avere, anche per via dei capelli rossi, antenati irlandesi. Uscimmo dal locale a mezzanotte meno un quarto. Al momento del conto lei sorrise, pensando di avermi colpito almeno nel portafoglio, come aveva preventivato. Io invece pensavo soddisfatto alla visita che avrei fatto fare presto al quel locale, dove si praticava il furto legalizzato, da parte della finanza. Anzi mi sarei dovuto ricordare di sentire il mio amico capitano, quel posto senza clienti ma con un sacco di camerieri sapeva di riciclaggio. Appena usciti sollevai gli occhi al cielo, le stelle erano coperte da nubi. La serata era afosa, e qualche refolo di vento caldo di scirocco riusciva a scompigliarci i capelli e a far volare polvere e cartacce. Mentre ci dirigevamo verso la macchina, lei mi si strinse ancora addosso. Respirai profondamente tra i suoi capelli, inondandomi le narici con il suo profumo. Eravamo arrivati sotto casa.
-Marco, debbo andare in bagno, saliamo?
-Anche io. Vedi? Una volta si tirava in ballo il bicchiere della staffa, o la collezione di farfalle. Ora stiamo cedendo all’età e all’incontinenza. . - Però mi sa che mi devi reggere perché sono un po’ brilla. E comunque ti mando in bianco lo stesso. Senti come parlo strascicato, mica sarò ubriaca... Non voglio vomitare. - Ma no, ci facciamo un caffè e a tutto.
Stavo ridiventando bugiardo.
Eravamo sdraiati sul letto con la tromba e la voce di Chet Baker in sottofondo. Every time we say goodbye il pezzo tratto dalla canzone di Cole Porter degli anni quaranta che aveva fatto da sottofondo alla mia vita in quell’ultimo anno.
Every time we say goodbye
I die a little
Every time we say goodbye
I wonder why a little
Why the Gods above me
Who must be in the know
Think so little to me
They allow you to go.
La struggente tromba di Chet sembrava inseguire lontane atmosfere, diffondeva solitudine e malinconia. La sua voce, quasi un lamento, colpiva duro. Eravamo insieme ancora una volta, ad occhi chiusi, ad ascoltarci. Lei mi prese la mano, la strinse, potevo sentire il suo respiro e il battito del suo cuore. Poi quel sussurro, appena percettibile. Il momento sognato, atteso, insperato dopo lunghe serate solitarie e rabbiose. Un attimo, la gioia in un momento. In un bisbiglio. . - Ho caldo, spogliami… … Le sfilai delicatamente il vestito. Non portava il reggiseno come avevo intuito e il brivido prolungato sulla mia schiena arrivò puntuale. Con gesti calmi mi spogliai, sdraiandomi accanto a lei. Poi, con un gesto lento, quasi misurato, feci scorrere la mano sulla sua pancia, afferrai il bordo dei suoi slip neri, li feci scorrere in basso sulle cosce e sulle gambe, e li lanciai sulla sedia
vicina. Continuai a carezzarla sulla pancia, sfiorandola, poi cercai le sue labbra, la sua lingua, il suo sapore. Le sfiorai i capezzoli, turgidi ed eccitati, le baciai il collo e il lobo dell’orecchio sinistro. Poi scesi con la bocca sul suo seno, lo baciai a lungo, poi sulla sua pancia e ancora più giù a cercare il suo sesso. La baciai, esplorandola a lungo con la lingua, inebriandomi del suo sapore e del suo profumo. Poi lei mi tirò verso di sé e scese con la bocca sul mio sesso, lo fece sparire nella sua bocca e continuò a lungo. Poi sussurrò dolcemente.
Amore vieni dentro… fatti sentire... Scopami..
La penetrai fino in fondo, continuando a muovermi regolarmente senza strappi, come piaceva a lei. Eravamo entrambi perduti in un mondo ovattato, sublime, unico. Poi ascoltai il suo piacere, intenso e prolungato, le sue unghie sulla mia schiena. La strinsi ancora di più prima di riempirla del mio liquido caldo e di rilassarmi su di lei. Avvinghiati quasi in modo selvaggio assaporavo quel momento perfetto che non aveva uguali. Prima di essere avvolto dal sonno, nella stanza in penombra mi parve di udire in un sommesso sussurro, la sua voce. . . Marco, non farmi più del male, ti prego.
(x) Ogni volta che ci diciamo addio
Muoio un po’
Ogni volta che ci diciamo addio
Mi domando un po’ perché
Perché gli Dei sopra di me
Che dovrebbero essere a conoscenza
Pensano così poco a me
Ti permettono di andare via.
UNDICI
10 Agosto-Domenica
Il temporale. La perizia.
Il temporale giunse repentino, sferzando in quella domenica mattina strade, piazze e vicoli con scrosci di acqua e raffiche di vento. Il suono della sveglia e il rumore della pioggia mi svegliarono di soprassalto, e per un attimo la mia coscienza rimase sospesa, incapace di comprendere.
Poi la vidi. Dormiva al mio fianco avvinghiata al mio braccio, come una bambina si accoccola al suo orsacchiotto di peluche. Alla livida luce dell’aurora, nella penombra della stanza, la linea del suo corpo s’intravedeva appena. Mi fermai ad ascoltare il suo respiro, a osservarla.
Mentre la pioggia non accennava a diminuire d’intensità controllai l’ora. Le sette meno un quarto. Sfilai con dolcezza il braccio, ormai più che indolenzito, provocando un mugolio di disapprovazione. Mi sentivo la testa pesante e non era una sorpresa, dopo l’alcol ingurgitato la sera prima. Preparai e versai il caffè anche per lei, sperando che l’aroma che si diffondeva nella stanza riuscisse nel miracolo di svegliarla. Aveva sempre avuto il sonno pesante, ed anche quella mattina non fece eccezione. Continuò tranquillamente a dormire. La guardai un’ultima volta, e mi resi conto di avere una nuova possibilità, forse l’ultima, per uscire dal baratro della mia solitudine. Chissà se sarei riuscito a coglierla fino in fondo, quella fortunata opportunità.
Poi uscii da casa, cercando di non far troppo rumore.
Era in dormiveglia, ma poteva sentire i suoi movimenti discreti per casa. Stava armeggiando in cucina, e alle sue narici giunse l’aroma del caffè. Quando si avvicinò al letto, lei rimase con gli occhi chiusi, il corpo e la mente ancora invasi dal torpore di quel lungo attimo che precede il risveglio. Poi, il rumore della porta d’ingresso che si chiudeva, la casa nuovamente silenziosa. Solo allora quasi per un riflesso condizionato, aprì gli occhi, si stirò con un gesto lento e non riuscì a trattenere un mugolio di soddisfazione per quella meraviglia inattesa della quale si sentiva invasa e che la lasciava quasi senza respiro. Una sensazione ormai dimenticata, ma finalmente riacquistata; sorrise pensando che forse era vero il pensiero dominante dell’altra metà del cielo, quella maschile, su piacere sessuale e umore femminile.
Certo non era solo questo, perché gli orgasmi non le erano mai mancati e non disdegnava, al contrario di molte donne, la masturbazione. Nelle lunghe serate da single alle quali si era costretta nell’ultimo anno, quello nel quale aveva deciso di maturare il suo lutto per la fine della sua storia con Marco, era stata in grado di regalarsi autentiche delizie. No, non era soltanto una questione di piacere sessuale ma qualcosa di più profondo che le donava quel benessere totale, in quella mattina di pioggia battente, in quella casa che pensava di non rivedere più. Una casa che aveva prima odiato poi rimpianto e desiderato di
nuovo quasi con disperazione.
Ora c’era di nuovo su quel letto, e sentiva che questa volta sarebbe stato diverso, sentiva di averlo riconquistato definitivamente, perché una donna sa. Capisce. Intuisce e non sbaglia. Quell’uomo così sofferto, così complicato, così difficile. Ma anche così tenero e fragile nella disperata ricerca di se stesso. Ora che se lo era ripreso dentro di lei sentiva crescere la voglia di essere cauta , di frenare la folle corsa delle sue emozioni, e non per paura. Sapeva di essere diventata forte, ma aveva un debito verso se stessa ,e lui avrebbe dovuto pagare un pegno per come la aveva trattata, una sorta di rivalsa nei suoi confronti che sentiva di dover soddisfare. Caro Marco Ferrer, mi dovrai sudare ancora.
Sì, sarebbe partita per la Sardegna, si sarebbe concessa una vera vacanza da single. Sorrise alla sua nuova consapevolezza, anche se in quel momento sotto quel lenzuolo, con il suo odore addosso e il suo sapore in bocca, con le sue cose in giro, in quella casa che le stava tornando poco a poco familiare, i sensi e le emozioni le dicevano altro. Ma per una volta avrebbe seguito la ragione. Lui avrebbe risolto il caso, su questo non aveva dubbi. Era bravo davvero. Poi se ne sarebbe tornato nella sua casa di montagna a pensarla e a struggersi. Solo dopo sarebbe iniziata una nuova vita tra di loro. Si alzò, raggiunse il bagno, si guardò allo specchio. La sera prima non si era nemmeno struccata, aveva avuto cose più interessanti alle quali dedicarsi. Mentre si lavava il viso, uno scroscio di pioggia e un tuono scossero i vetri della finestra. Mentre la pioggia continuava a cadere fitta ,accese la moka che Marco aveva preparato per lei. Aprì la finestra, respirando a pieni polmoni quell’aria carica di umido e di elettricità. Mentre si versava il caffè, pensò che aveva voglia di dormire perché erano solo le sette e dieci ed era domenica mattina. Tornata sul letto, cercò di rilassarsi, chiudendo gli occhi. Pensò che era un vero peccato non poter sognare chi desideravi, a comando, altrimenti non avrebbe avuto dubbi.
Quel breve acquazzone estivo aveva trasformato i vicoli del Rione in torrenti di acqua e trasformato l’aria in una densa coltre di umidità. Sarebbe stata ancora una giornata caldissima, umida e afosa in una Roma ormai semideserta.
Arrivato in ufficio, accesi il computer, diedi una rapida lettura ai quotidiani e mi misi ad armeggiare con la moka. Il secondo caffè della giornata, indispensabile per prendere definitivamente coscienza di ciò che mi toccava fare. Poco dopo il profumo si diffondeva per la stanza e con il solito tempismo Palumbo fece il suo ingresso, ovviamente senza bussare. – Capo buon giorno, ce n’è un po’ anche per me?
-Vice commissario, non si bussa quando si irrompe nella stanza del suo superiore? ? Quella mattina indossava una camicia azzurra e una cravatta rossa, era perfettamente rasato ed aveva un’aria fresca e riposata.
– E che busso a fare… tanto la possibilità di trovarla nudo mi pare remota. Il giorno che succederà le darò il benvenuto tra i comuni mortali. Ma tanto lei ha il livello di trasgressione di Maria Teresa di Calcutta.
Un giorno ti stupirò. Mai dare nulla per scontato, e tu che sei uno sbirro con le palle lo dovresti sapere. In quella busta bianca c’è quello che penso? ? Cornettino caldo appena sfornato, alla marmellata. Proviene dal bar sotto casa mia. . – Bene, ci voleva. Per il resto, ti comunico che mi girano e non poco, perché abbiamo un assassino da inchiodare e non abbiamo nemmeno cominciato. Dammi una buona notizia.
– Più di una. Innanzitutto, abbiamo finalmente i tabulati del telefonino della donna, la scientifica sta decrittando i nomi delle persone ai quali sono intestati, in mattinata avremo le generalità. Per le celle agganciate ci vorrà un po’ di tempo. La seconda buona notizia riguarda la perizia medico legale, è arrivata via e-mail. De Felici è rientrato dalle ferie e ho convocato per le dieci lui, Pino ed Anna per fare il punto sull’indagine.
- Bene, cerca di portarmi la perizia intanto, me la voglio studiare.
- È in corso di stampa, ci sono anche le foto della scena del crimine e dell’autopsia, mi dia un quarto d’ora e le porto tutto.
Uscito il mio vice, mi scoprii a controllare l’ora e a far vagare la mente a Paola e alla notte appena ata. Erano le nove meno un quarto, forse dormiva ancora, in fondo era domenica mattina. Però se non la chiamavo subito avrei rischiato di non farlo più, avrei avuto una mattinata piena di lavoro. Meglio essere amorevole e riguardoso, anche rischiando di svegliarla, che are per un superficiale menefreghista. Una sterzata clamorosa, Ferrer che diventa accurato e diligente.
Presi il telefonino e digitai il suo numero. Rispose al terzo squillo. . - Pronto…
- A giudicare dal tono della voce, sei ancora tra le braccia di Morfeo. Scusa se ti ho svegliato ma dovevo chiamarti, altrimenti chissà che avresti pensato di me. Ti avevo portato il caffè, ora sarà freddo.
- Ciao… buon giorno… no, ero sveglia. Il caffè me lo sono bevuto caldo, poi mi sono riaddormentata. Ti ho sentito uscire, da un anno a questa parte mi è tornato il sonno leggero. Stavo pensando. - A cosa mia, meravigliosa dottoressa?
– A cosa? Riflettevo su di noi. . – Un bel pensiero, allora.
- Certo un bel pensiero, però ce ne sono anche altri meno piacevoli. –Mi dai una
anticipazione di quelli antipatici?
- Fai uno sforzo di immaginazione… Penso che forse ho fatto l’ennesima cazzata, mentre tu hai soltanto visto lievitare il tuo ipertrofico ego, visto che ci ricasco sempre, che non dovrei essere qui, ma sola soletta nel mio lettino… salvo poi lamentarmi se mi tratti come hai già fatto. – Beh, vedi le cose da un altro punto di vista, per esempio quello che è solo il nostro destino e che in definitiva siamo fatti per stare insieme nonostante problemi e avversità. Non credi? ? -Forse hai ragione, però io mi sento come una che alla fine cede e te la mette sempre facile. Non avremmo dovuto fare l’amore, il sesso consiglia sempre male, ti fa vedere le cose nel modo sbagliato, non te le debbo dire io queste cose. La nostra questione non è risolta, non possiamo fare finta che non sia successo niente, perché io continuo ad avere rabbia e anche paura, sì, un’ansia terribile di stare male, di soffrire, di essere nuovamente scavalcata. Ci ho messo un anno a tornare ad essere un minimo serena e ora ho il terrore di sprofondare di nuovo. . - Le mie rassicurazioni non contano, vero ?
-Senza offesa, direi di no. È un problema di sensazioni. Non lo so se me la sento ancora di rischiare. A quarantadue anni non voglio sbagliare ancora, e tu non sei esattamente quello di cui mi fido di più. E non contano nemmeno i sentimenti, quelli ci sono altrimenti non sarei qui, io non vado a letto con chi prova a farmi bere. L’alcol lo reggo molto bene. Con te ieri sera ci volevo stare, perché sei importante, perché sono ancora innamorata di te, per rabbia, per farti capire cosa hai perduto, per un sacco di motivi da donna, che tu non puoi capire. E non atteggiarti troppo a play boy, poi alla fine ho deciso io. È sempre la donna che decide. Rimasi in silenzio, immaginandola avvolta nelle lenzuola del mio letto. Aveva ragione, poco da dire.
- Ed ora che farai? - Nulla di più di quello che avevo deciso, me ne vado in Sardegna da sca e Marina, le mie due specializzande. Hanno affittato una casa in Costa Smeralda. Dovrei partire domani come previsto, ho il volo alle diciassette.
- Comunque puoi fermarti quanto vuoi, ti ho anche lasciato le chiavi di casa. Meglio di no, non ci starò troppo qui. In tua assenza mi vengono in mente troppi ricordi, e non mi fare pensare che su questo letto hai scopato con quel surgelato andato a male. – Ecco, non ci pensare.
– I pensieri vagano, lo sai, non si lasciano addomesticare. Ciao, ti abbraccio forte.-
Chiusa la comunicazione, rimasi ancora con il telefono in mano, a pensare al senso di vuoto che avrei provato di nuovo, a breve. Istintivamente controllai il cassetto della scrivania, dove mantenevo per ogni evenienza una confezione di ansiolitico. La osservai per a lungo, poi decisi che per il momento poteva restare dov’era.
L’ispettore Ettore De Felici non era molto alto, non era molto atletico, e non aveva molti capelli. Somigliava a un impiegato del catasto, o ad un professore universitario e quella mattina, dopo due settimane al mare di Ostia con la famiglia, aveva un volto disteso e riposato. Nel complesso emanava tranquillità se non fosse per qualche tic e il vezzo di alzarsi gli occhiali da miope e stropicciarsi in continuazione gli occhi. Credo avesse da poco superato la quarantina, e nonostante l’aspetto dimesso e l’altezza di poco superiore al metro e settanta, sarebbe stato poco intuitivo fidarsi del suo aspetto fisico. Una ventina d’anni prima aveva partecipato alle Olimpiadi ed era arrivato in finale, categoria Judo, dove sembra che fosse stato derubato da una medaglia dagli arbitri e da un giapponese carogna che aveva puntato con successo alla sua caviglia. Lui era una persona fondamentalmente equilibrata e mite, infatti praticava le arti marziali dall’età di dieci anni, ma se provavi ad aggredirlo, magari perché sei grande e grosso e lui no, ti ritrovavi a volare in aria e subito dopo ad atterrare sul pavimento o sull’asfalto con la spalla rotta senza accorgertene. In parecchi ci avevano provato, ed era sempre finita così. A lui dispiaceva, e non riusciva a capacitarsi del perché la gente fosse così stupida e decida di prendersela con quelli più piccoli fisicamente, ed ogni volta che succedeva mi chiedeva un giorno di riposo per riprendersi psicologicamente.
Allora Ettore, era pulito il mare ad Ostia?
Eravamo tutti nella mia stanza, gli ispettori ed il mio vice. Anna e Pino quella mattina avevano la faccia di due che non avevano dormito, probabilmente Radio Commissariato aveva ragione sulla loro relazione.
– Dottore ma io mica ci vado per il mare ad Ostia, solo per le figlie che hanno la comitiva. Con il Tevere che sfocia a tre chilometri c’è poco da essere puliti. Però lo stabilimento ha la piscina e si mangia bene. Io sotto l’ombrellone leggo e mi rilasso. Il problema è che con quello che ho speso avrei portato tutti alle Maldive, pensione completa. . – Bene, ben tornato allora. Sei già stato informato del caso che abbiamo tra le mani?
Sì, dottore, Palumbo mi ha già ragguagliato adeguatamente. Bene. Palù, hai con te la perizia? La perizia e le foto sono in questa busta, mentre ho novità sui tabulati. La scientifica ci ha comunicato due nominativi, due donne, che oltre al fidanzato al padre e al fratello risultano spesso tra i numeri che Beatrice aveva contattato. Una certa Fiammetta Giusti, che risulta iscritta in palestra, e Marisa Belelli che invece la palestra non la frequentava. Le ho contattate e convocate, ma ci vorrà qualche ora perché stanno rientrando dalle ferie, la Giusti dal Circeo e la Belelli da Giulianova. Poi compaiono altri numeri che risultano intestati a varie cabine telefoniche, la Telecom sta lavorando sulle tessere telefoniche. Le cabine sono quasi tutte in zona, perlopiù sul lungotevere. Poi una cosa strana, tra i tabulati compare una utenza intestata ad una pensionata, che risulta deceduta, il cui numero risulta solo per qualche squillo, nessuna conversazione, e sempre con chiamate in anonimo. Questa mi sembra una pista interessante, è l’unica anomalia che abbiamo trovato. A proposito, ci servono le autorizzazioni per gli interrogatori delle due amiche, ho già preparato il fax per il PM, deve solo firmarlo. Abbiamo anche contattato l’ex fidanzato, il notaio Bello, il quale beato
lui è da dieci giorni in barca alle Baleari, rientra a fine mese. Se vuole lo convochiamo capo, ma mi pare inutile. – Anche a me Palù, lasciamolo in pace per il momento. Novità sul computer di Beatrice? ? –Ancora nulla, ci stanno lavorando Scientifica e Postale, ci vorrà qualche giorno. Bene, allora, in attesa di interrogare queste due donne, io mi vorrei leggere in santa pace la perizia. Anna ed Ettore, fatevi un giro sul computer e date un occhiata ai protagonisti di questa vicenda, anche Terranova, l’ex fidanzato, e queste due che dovrò interrogare. Una cosa informale, se risulta qualche cosa, qualche informativa anche pettegolezzi. Anche sul fratello, vediamo se c’è un appiglio di qualsiasi genere da portare a Testa. Un altro luogo da scandagliare è la palestra, ma vorrei farlo io. Se ha incontrato qualcuno, novata su cento lo ha fatto li. Pino rimane in ufficio, sperando che non ci sia qualche altro guaio, a fare la guardia al barile di benzina. Domande? ? – Una, capo. Me le mette subito queste firme per il PM ?
Una volta a Quantico ero stato sottoposto ad un test.
Titolo: “Nel rapporto c’è tutto”. Sottotitolo: “Se non scopri l’assassino è colpa tua”. Quindi se quello uccide ancora, ed è probabile che lo faccia, sentiti responsabile. Il test consisteva nel sottopormi dieci rapporti relativi a omicidi nei quali avevamo il colpevole, tutti rei confessi.
Ebbene, di tutti gli assassini c’era una traccia nei dossier, che se interpretata nel modo giusto avrebbe permesso la scoperta del colpevole. Sempre, in tutti i casi che mi avevano sottoposto. La regola fondamentale era : Tutto quello che ti serve per incastrarlo lo hai sulla scrivania. Con in testa questa convinzione, presi la busta, la aprii ed estrassi le foto della scena del crimine, dell’autopsia e la perizia Medico -Legale.
Comincia dalle foto.
Guardai a lungo le immagini del cadavere nella vasca, numerose foto scattate prima con il grandangolo, poi con lo zoom per evidenziare particolari del corpo e delle ferite. Stesso procedimento per le varie stanze dell’appartamento, in particolare per la camera da letto. Le stesi sul tavolo osservandole a lungo, attentamente, una per una, utilizzando la lente d’ingrandimento e cercando di fissare quanti più particolari possibili. Lo stesso feci con le foto della autopsia, che rivestivano però solo un valore tecnico, di complemento alla perizia. Poi decisi di are alla lettura della relazione peritale, concentrandomi soprattutto selle conclusioni.
RAPPORTO AUTOPTICO RELATIVO ALLA SALMA DI SOGGETTO DI SESSO FEMMINILE DELLA APPARENTE ETA’ DI ANNI 30, IDENTIFICATA COME MASSIMI BEATRICE NATA A ROMA IL
03/06/…
ISPEZIONE ESTERNA
RIGOR MORTIS
AL MOMENTO DELL’ISPEZIONE DELLA SALMA , SUL LUOGO DEL RITROVAMENTO, IL RIGOR MORTIS SI ERA GIA’ STABILITO NEI PICCOLI MUSCOLI, MA NON ANCORA TRA I GRANDI MUSCOLI, AD UN TEMPERATURA AMBIENTALE DI 41 C.TEMPERATURA DEL FEGATO MISURATA 30 gradi C(…..)
CONCLUSIONI
LA VITTIMA E’ STATA ATTINTA DA UNA FERITA DA PUNTA E TAGLIO INFERTA DA UNA ARMA BIANCA, LUNGA CIRCA 12 CM, E LARGA CIRCA 1,5-2 CM, BILAMA, MOLTO TAGLIENTE E COLPITA NELLA REGIONE SOTTOMAMMARIA SN, PENETRANTE NELLA REGIONE ANTERO LATERALE DEL VENTRICOLO DI SINISTRA, NEL SETTO INTERVENTRICOLARE, NEL VENTRICOLO DESTRO, CON LACERAZIONE DELLA PORZIONE INFERIORE DELLA VALVOLA AORTICA E DELLA AORTA ASCENDENTE E DEL TRONCO DELLA ARTERIA POLMONARE, CON CONSEGUENTE EMOPERICARDIO E SHOCK CARDIOGENO. TALE EVENTO HA PROVOCATO L’ARRESTO IMMEDIATO, ENTRO POCHI SECONDI DELLA CIRCOLAZIONE SANGUIGNA ARTERIOSA IN TUTTI I TESSUTI. LE ALTRE FERITE QUINDI SONO STATE INFERTE QUANDO IL SOGGETTO ERA GIA’ DECEDUTO IN ASISTOLIA E CON PRESSIONE ARTERIOSA PROSSIMA ALLO ZERO. SONO CARATTERIZZATE TUTTE, PERTANTO, DA ASSENZA DI SANGUINAMENTO NEI MARGINI DELLE FERITE. IL MODO DI PROCEDERE DELLA LAMA CHE HA INFERTO LA PRIMA FATALE FERITA PENETRANTE NEL CUORE PERMETTE DI RITENERE ALTAMENTE PROBABILE CHE L’ATTINTORE COLPISCA LA VITTIMA DA TERGO, MANTENENDO L’ARMA CON LA PROPRIA MANO SINISTRA. PUR NON ESCLUDENDOSI, IN LINEA TEORICA, CHE L’AGGRESSORE POSSA COLPIRE LA VITTIMA IN POSIZIONE FRONTALE, CON LA MANO DESTRA, LO STUDIO DELLA TRAIETTORIA DEL COLPO RITIENE ASSAI PIU’ PROBABILE L’IPOTESI DI UNA AGGRESSIONE DA TERGO, EFFETTUATA DA UN MANCINO. L’ESAME DELLA SCENA DEL CRIMINE, INFINE, ASSOCIATA AI REPERTI ANATOMO TANANOLOGICI, RITIENE PROBABILE UN EVENTO DELITTUOSO IN DUE TEMPI. IL PRIMO FATALE MOMENTO, VERIFICATOSI PRESSO IL LAVABO, CON LA VITTIMA IN PIEDI, CON IL VOLTO RIVOLTO AL LAVABO. IN QUESTA SEDE VIENE ATTINTA DAL COLPO MORTALE, CON L’ASSALITORE POSIZIONATO IN REGIONE POSTERIORE ALLA VITTIMA, E PORTANDO IL FENDENTE IN SEDE CARDIACA CON LA MANO SINISTRA, DA SINISTRA VERSO DX, FINO AD INFLIGGERE
IL COLPO FATALE. SUCCESSIVAMENTE, LA VITTIMA, CADUTA IN TERRA, VIENE TRASCINATA NELLA VASCA DA BAGNO, LUOGO DEL RITROVAMENTO, E ATTINTA IN QUESTA SEDE DA 11-UNDICIFENDENTI NELLE SEDI GIA’ DESCRITTE, TUTTI EFFETTUATI POSTMORTEM. DURANTE IL RISCONTRO AUTOPTICO TEST RAPIDO PER LA RICERCA DI SPERMA IN CAVITA’ ORO-ANALEVAGINALE RISULTATO NEGATIVO.TEST TOCCICOLOGICO RAPIDO PER ALCOL, OPPIACEI, COCAICA, FENCICLIDINA, ANFETAMINA SONO RISULTATI NEGATIVI.
L’ORA DEL DECESSO, IN BASE AL RIGOR MORTIS, GIA’ INSORTO, ALLA TEMPERATURA AMBIENTALE E A QUELLA INTERNA, VIENE FATTA RISALIRE TRA OTTO E NOVE ORE DAL MOMENTO DEL RILEVAMENTO DELLA TEMPERATURA ( LE ORE 22 30) . SI CONSIDERA ATTENDIBILE QUINDI UN RANGE TEMPORALE COMPRESO TRA LE 13-30 E LE 14-30 DI VENERDI OTTO AGOSTO.
REFERTO VIDIMATO E CONFERMATO DAL PERITO MEDICO – LEGALE INCARICATO DAL SOSTITUTO PROCUTATORE DELLA REPUBBLICA DOTT. TESTA
DOTT.SSA PAOLA FRANZINI
9 AGOSTO
Lessi due volte il referto, conoscevo gran parte di quanto riportato, compresa la conclusione che l’omicida era probabilmente mancino. Decisi quindi di concentrarmi sulla stanza da letto, valutando con attenzione ogni piccolo particolare. Osservai a lungo la sedia con i vestiti di Beatrice, sempre alla ricerca di qualche incongruenza. Ci doveva essere qualche cosa, un indizio, un delitto
lascia sempre una traccia soprattutto se avvenuto d’impeto. Ma dov’era l’errore?
Ero sconfortato, non riuscivo a trovare nulla d’importante: sembrava che l’omicida fosse stato perfetto nel nascondere le tracce. Continuai a guardare le foto alla rinfusa, senza seguire una logica.
Nulla mi colpì di quella sedia sulla quale erano state lasciate alla rinfusa una borsa, un reggiseno, un paio di slip, una gonna, una camicetta e accanto al letto un paio di scarpe. Nulla di quel letto con il materasso ricoperto da lenzuola sfatte, nulla di quella stanza, di quell’ambiente borghese e antico che era stato palcoscenico di un delitto figlio di palestre, corse, voli transoceanici, sesso selvaggio e ioni non risolte.
Poi lo vidi. Finalmente. Chiarissimo.
Mentre osservavo ancora una volta le fotografie, una immagine del pavimento della stanza da letto mi colpì come un pugno nello stomaco. In una foto presa dall’alto si potevano osservare i segni dei quattro piedi del letto, dopo che questo era stato spostato, sul pavimento. Le mattonelle erano piene di polvere e all’incirca a metà del rettangolo immaginario che ha per base i due piedi del letto si notava distintamente una strisciata nella polvere, un segno che non doveva essere li, più o meno sotto il letto. Come se qualcuno avesse messo un oggetto sul pavimento e poi lo avesse tirato via. Rimasi qualche secondo a pensare, poi decisi di tentare la sorte. Presi il telefono, composi il numero di Forte.
- Forte? Ferrer. Scusa se ti rompo. Ce l’hai un minuto? Ascolta, stavo osservando le foto della scena del crimine del delitto Massimi e mi è venuta in mente una cosa. Sul pavimento sotto il letto che è pieno di polvere, non vedo tracce di cianoacrilato. La rete ha le doghe in legno, me le ricordo dalla ispezione e si vedono qui, alla foto n 8. Sono state prese le impronte nella parete di legno delle
doghe che guardano il pavimento? È un punto nascosto, quindi puoi non pensarci. Ma supponiamo per un momento che all’assassino sia sfuggita una scarpa, prima di andare a letto con Beatrice. Al momento di andarsene la cerca ma non la trova perché era scivolata sotto il letto, allora si china, la vede laggiù sotto il letto e cerca di prenderla. Si vede chiaramente una strisciata sulla polvere , nella foto 6, io penso sia il segno lasciato dalla scarpa che viene tirata fuori da dove s’era cacciata. E per fare questo puoi mettere le mani e toccare la parte del materasso in doghe che guarda verso il pavimento. Non hai i guanti, perché è un omicidio d’impeto, ed ecco che fai la cazzata. Magari siamo fortunati e troviamo un’impronta, ed in un luogo difficilmente giustificabile anche se hai frequentato quella casa. Che ne pensi? ?- -Ferrer, ma perché ogni volta che mi chiami mi aumenti il lavoro e le rotture di coglioni? Guarda che non sei a Quantico, e qua non siamo a CSI. La parte inferiore del letto non l’abbiamo controllata, no, così come il soffitto del bagno, della cucina, la facciata della casa eccetera. Però ti concedo che l’idea non è malvagia. Mi devi dare del tempo, la parte inferiore delle doghe te la controllo, ok, ma non stasera. Domani vedo di mandare qualcuno, ti saluto Ferrè. Misi via il telefono sorridendo e ripresi a guardare le foto della scena del crimine. Ricontrollai tutto attentamente, scatto per scatto, ma non trovai altre incongruenze. Dovevo solo attendere, ormai. Forte aveva sbuffato, ma era una volpe nel suo lavoro e aveva capito che quel particolare ci avrebbe potuto consegnare l’assassino su un piatto d’argento. Il suono del telefono interno interruppe i miei pensieri. – Capo, ho qui il fratello della vittima, il signor Massimi. In ritardo di quasi due ore visto che è quasi mezzogiorno e la convocazione era per le dieci, ma vista la situazione converrà non essere troppo fiscali. . –Lo penso anche io. Dai fallo entrare .
Michele Massimi era il prototipo dell’uomo di potere, dall’abbigliamento, elegante e griffato, con un massiccio orologio d’oro al polso sinistro, all’atteggiamento, nervoso, scattante e con lo sguardo sfuggente. Alto e asciutto , con pochi capelli tagliati cortissimi, i tratti regolari, somigliava moltissimo alla sorella defunta. Un giovane rampante che sapeva di esserlo e che non voleva perdere tempo.
Mi scuso per il ritardo ma spero voi della Polizia capirete.
Non ero dentro la vita di mia sorella, so solo che era fidanzata con Giuseppe Terranova, della sua vita so poco. Non ci vedevamo molto spesso. . Non aveva problemi, economici o di altro genere. Nostra madre è mancata cinque anni fa, un male incurabile. Vorremmo la salma indietro per i funerali, che vorremmo effettuare domani. Mio padre è distrutto, sta tornando da Merano ed è un vecchio amico del procuratore .
Nonostante non fosse da escludere a priori, non ce lo vedevo ad ammazzare la sorella. Questione d’istinto. Erano due rampolli senza nessun problema se non quello di godersi la vita. Nessun casino sul lavoro, conti in banca sostanziosi ed entrature negli ambienti che contano.
Non potevo spulciare tra i suoi conti bancari perché quel giovane era insospettabile e nelle grazie del procuratore; ma la cosa non mi sembrava una gran perdita ai fini dell’indagine. Sentivo comunque che le cose si erano finalmente messe in moto, l’inchiesta stava finalmente prendendo corpo, sentivo che le ero finalmente in marcia. Si era fatta praticamente ora di pranzo ma non volevo interrompere la magia di quel momento. Sarei andato avanti con gli interrogatori, a mangiare avremmo pensato dopo. Mi venne stranamente in mente un pensiero: chissà se Forte avrebbe filmato i funerali. Magari si vedeva solo nei film, ma pensai che forse l’assassino non se li sarebbe persi e avrebbe partecipato.
Lui era l’artefice di quello show, non poteva mancare alla sua apoteosi.
Era un dogma da trattato di criminologia.
DODICI
La modella. Gioielli. Unghie laccate di verde.
Fiammetta Giusti sembrava uscita dall’ultima edizione di Miss Caraibi. Sui trentacinque, alta, occhi azzurri, talmente abbronzata da sembrare una mulatta, indossava un vestito con una scollatura stratosferica, nella quale il naufragar poteva anche essere dolce, per dirla con il poeta. I capelli biondi tagliati corti incorniciavano un viso dai tratti delicati e regolari, le dita delle mani erano ornate da numerosi anelli, e sembravano tutt’altro che chincaglieria, mentre le lunghe unghie, unica concessione alla stravaganza, erano laccate di verde. Mentre si accomodava sulla sedia lanciò un sguardo in tralice ad Anna Durante, e quello che vide non dovette soddisfare i suoi gusti, a giudicare dalla smorfia che gli deformò per un attimo i tratti del volto, prima di tornare a depositare il suo sguardo su di me.
Non mi dispiaceva mettere i testimoni a disagio, è una situazione che non puoi controllare e che può innervosirti, e i testimoni nervosi dissimulano meno bene le bugie.
Lanciai uno sguardo ad Anna, dicendole con gli occhi più o meno queste cose, che i miei uomini d'altronde conoscevano bene. Lei sorrise e mi rimandò un lieve cenno di assenso. Controllai che Giorgi fosse pronto per la verbalizzazione, e cominciai l’interrogatorio. . - Signora Giusti, mi scuso per averla convocata, ma capirà le circostanze. Lei è ascoltata quale persona informata sui fatti nell’ambito dell’inchiesta per l’omicidio di Beatrice Massimi. Io sono il Vicequestore Ferrer e questa è l’ispettrice Anna Durante, il sovrintendente Giorgi per la verbalizzazione.
- Capisco benissimo commissario, non si preoccupi.
- Bene. Ci dice allora qualcosa di lei? Età, professione… - Mi chiamo Fiammetta Giusti, ho trentotto anni e sono coordinatrice amministrativa di una società farmaceutica Inglese. Sono bilingue per via di mia madre. Attualmente sono single. Abito in Viale Flaminia 253.
Mentre parlava aveva mantenuto una postura rigida, le mani in grembo e lo sguardo fisso su di me. . - Va bene. Ora, ci può dire qualche cosa dei rapporti tra lei e la povera signora Beatrice? Dai tabulati risulta che vi sentivate spesso. – Sì, da qualche mese. Ci siamo conosciuti a marzo, frequentavamo la stessa palestra, più o meno negli stessi orari, entrambe eravamo apionate di corsa e ci stavamo allenando per la maratona di New York. Se non quest’anno, per l’anno prossimo. - Vi vedevate anche al di fuori della palestra ? - Raramente. Vede commissario, lei era fidanzata e io no, nei weekend assisto i miei genitori, che sono anziani. Una sera abbiamo organizzato una pizza con altre amiche, con gli istruttori e i partecipanti al nostro corso, ma di occasioni per vederci al di fuori della palestra ne avevamo poche. Diciamo che ci sentivamo spesso al telefono, parlavamo della corsa, di come stava andando l’allenamento, di come rispondeva il nostro fisico, di come organizzare il viaggio a New York. Eravamo entrambe molto prese da questa cosa della maratona.
- Le ha mai parlato di qualche problema? Qualsiasi cosa, che so, qualcuno che la importunava, telefonate strane…
- Ma no, assolutamente, nulla di tutto questo. Era una donna serena, con una vita abbastanza ordinaria e orari stabiliti. Stava molto a casa, anche perché aveva la fortuna di averci praticamente un ufficio. Poi il fidanzato nei fine settimana, la palestra e poco altro, credo. - Quando l’ha vista per l’ultima volta ?
- Ci siamo visti in palestra il sabato precedente, la mattina, poi non l’ho più incontrata, so che lei era andata anche il giovedì, il giorno prima di quando… sì, insomma, del suo ritrovamento, ecco. Ma io no, avevo un impegno familiare, una visita specialistica di mia madre. Ci telefonavamo però quasi tutti i giorni.
- L’ultima volta che l’ha sentita telefonicamente?
- Mi pare sia stato giovedì, il giorno prima della sua morte. Sì, giovedì nel tardo pomeriggio, ci eravamo accordate per vederci in palestra il giorno dopo. Mi ha anche detto che era appena rientrata dall’allenamento e che stava preparando la cena per il suo fidanzato. Poi ci siamo sentite anche la sera sul tardi, e in questa occasione mi ha detto che non sarebbe più venuta ad allenarsi il venerdì per un impegno che le era capitato.
– Non ha specificato che tipo di impegno? Ci pensi bene signora Giusti, per noi questo è un punto molto importante.
- No commissario, mi ha detto solo che non sarebbe potuta venire ad allenarsi. Ho pensato ad un impegno da donna, il parrucchiere l’estetista, cose così. So che sarebbe dovuta andare in vacanza dopo qualche giorno e ho pensato a un impegno di questo genere. Noi donne iamo un sacco di tempo a farci belle, sa? Mi ricordo che ho accolto quasi con sollievo il fatto che lei non venisse in palestra, perché non è che andasse molto neanche a me. Non è il massimo allenarsi la settimana di ferragosto. Io preferisco andare a correre nei parchi la mattina, con il fresco. Poi il giorno dopo non l’ho sentita, fino a quando non hanno dato la notizia al notiziario in TV, venerdì notte. - Le è parsa strana quella telefonata? Non so, il tono della voce… – A me è parsa normale, serena, impaziente di partire per le vacanze in Costa Smeralda. Era una donna con la testa sulle spalle, molto concreta e stabile. . - Che lei sappia, Beatrice in palestra aveva qualche altra amicizia? Vedeva e sentiva qualcun altro, oltre lei?
- Non so, noi ci allenavamo insieme, al tapis roulant, c’erano gli istruttori, ma sempre molto indaffarati, tutti ragazzi più giovani. Sugli altri partecipanti al progetto maratona o su altri ospiti della palestra non so dire, perché noi ci allenavamo quasi sempre insieme, facendo coincidere i nostri orari. Ricordo solo
Tommaso, mi pare si chiami Bianchi, uno degli iscritti al Programma Maratona da almeno un anno. In genere qualche volta si allenava nei nostri orari, ma non ho mai avuto sentore che tra lui e Beatrice ci fosse di più di una conoscenza superficiale, un saluto per educazione e basta. Non li ho mai visti insieme , per esempio al Bar ed anche alla cena sul barcone sul Tevere, noi donne avevamo fatto le separatiste. Lui è l’unico uomo che mi viene in mente tra i partecipanti al corso. Mi ricordo che ne parlavamo con invidia proprio perché era molto più avanti di noi nel programma e anche perché sapevamo che era un direttore di banca, quindi vi lascio immaginare i commenti sulle fortune di quel tipo. Anche alla cena non mi ricordo avesse parlato con qualcuno, c’erano quattro o cinque uomini , ma noi donne ci eravamo sedute vicine e ci siamo anche isolate , a dire il vero. Sì, siamo state volutamente snob. Ce ne rendevamo conto, non era facile entrare in confidenza con noi, ma era un modo per non avere scocciature. – Mi scusi se insisto, ma ripensi un attimo alle telefonate di giovedì. Beatrice era normale? Le è parsa tesa? Preoccupata? Le ha parlato di qualcosa che la turbava?
- No, anzi forse anche più allegra del solito. Era su di giri, forse per le vacanze imminenti, mi ha raccontato che aveva preparato una cena vegetariana e abbiamo riso sul fatto che ci stava andando di mezzo il fidanzato, che adorava la carne. Mi ricordo di averle ricordato di non perdere il ritmo della corsa e lei mi ha risposto di stare tranquilla, perché l’hotel dove sarebbero andati in Costa Smeralda aveva una palestra, e si sarebbe allenata anche lì. Insomma cose normali. No, nessuna stranezza, nessuna preoccupazione. –Lei quel tragico venerdì cosa ha fatto, è andata regolarmente in palestra? -Quel giorno già avevo qualche dubbio per via del caldo, io soffro di pressione bassa e per me l’estate è perniciosa, nonostante io sia una adoratrice del sole, quindi ho colto l’occasione e me ne sono rimasta a casa. Se fosse venuta anche Beatrice mi sarei convinta, ma andare da sola non che avessi molta voglia. Quella mattina me ne sono andata a correre a Villa Borghese, per non perdere l’allenamento. verso le sette e mezza, con il fresco, una corsetta di un paio d’ore alle dieci ero già di ritorno. Sono rimasta in casa ho pranzato e nel pomeriggio fino alle sedici e trenta circa ho riposato, poi mi sono messa al computer. Nel tardo pomeriggio sono ata a trovare i miei e la sera sono uscita con alcuni amici a fare una eggiata. Ho sentito la notizia della tragedia al telegiornale della notte.
– Va bene signora, mi sembra sia tutto, ovviamente se le viene in mente qualcos’altro, qualsiasi cosa, anche un particolare che a lei potrebbe sembrare poco significativo, non esiti a contattarci. . Prima di uscire dalla stanza, Fiammetta Giusti lesse la sue deposizione e firmò.
- Anna, cosa ne pensa?
- A parte il fatto che la vita per certa gente è più facile del normale, nulla di particolare. Esistenza tranquilla, ricca e agiata. I problemi per noi comuni mortali sono le bollette e l’assicurazione della macchina, per questi qui sono i tempi della maratona. Lei sembra una modella. Ha notato l’anello all’anulare sinistro? È un diamante e, a giudicare dalla grandezza, è una cosuccia da un ventimila euro.
- Sì, quegli anelli davano l’impressione di essere veri, ma questo non sposta il problema. Siamo in presenza di una vittima benestante che si muoveva in un ambiente di elevato livello economico e su questo non ci piove. Però l’hanno massacrata a coltellate, e non certo per rapinarla. Un’altra cosa, il numero di questo Tommaso Bianchi non compare tra i tabulati dell’utenza della vittima, però entrambi lavoravano in ambito finanziario. Dovrò parlarne con Testa ma forse vale la pena di approfondire. Anna aggiunga anche questo Tommaso Bianchi ai nominativi che le ho chiesto di controllare al Computer, anche per questo tizio una ricerca informale ,vediamo cosa esce fuori.
– Va bene Dottore, Ettore ci se ne sta già occupando, aggiungeremo alla lista anche questo Tommaso. -Vediamo di sentire pure la Belelli, ora. Falla accomodare.
La donna soprappeso con un vestitino giallo che entrò nel mio ufficio, capelli scuri portati lunghi, un viso ovale e un paio di occhiali spessi un dito, era
visibilmente nervosa e scocciata, probabilmente per aver dovuto lasciare in fretta e furia il suo ombrellone su una spiaggia dell’Adriatico ma già prima di cominciare ad interrogarla l’istinto mi diceva che stavo perdendo tempo e lo stavo facendo perdere anche al testimone. Dichiarò di chiamarsi Marisa Belelli, quarantacinque anni, sposata con due figli, di lavorare in banca e di aver conosciuto, per motivi professionale, la vittima circa tre anni prima.
Beatrice collaborava con l’istituto di credito per cui lei lavorava, e da questo era nata una amicizia. No, non aveva idea di chi poteva essere stato a farle del male, lei era cosi dolce e benvoluta, si sapeva che era fidanzata, non si vedevano quasi mai. Lei il giorno dell’omicidio era in vacanza. Era partita il primo di Agosto, eh si, dottore, finalmente una vacanza come si deve, sa andare a luglio e rimanere a ferragosto a Roma non è il massimo.
L’ultima volta che si erano sentite telefonicamente era stato circa due settimane prima, così, solo per un saluto, poi lei la aveva cercata per una faccenda relativa ad un cliente, le pareva il cinque o sei di agosto, una cosa banale, ne avevano approfittato per fare quattro chiacchiere.
No, lei non andava in palestra (e la cosa era piuttosto evidente). No, non le aveva riferito nessun problema, e che problema doveva avere? Bella, ricca, senza figli, si godeva la vita, preoccupazioni zero, quelle sono di noi comuni mortali che non si arriva a pagare le bollette dottore, pure con due stipendi. No, non so se aveva nemici, ma non credo. Sul lavoro? Era molto brava, i soldi che ti faceva investire avevano sempre una buona rendita ed era molto ricercata come consulente finanziaria. Ora posso tornare dai miei figli al mare?
L’orologio digitale sulla mia scrivania segnava le quattordici e quaranta quando il mio vice fece il suo ingresso trionfale con un vassoio di panini e un paio di bottiglie di acqua minerale.
Capo, ci sono un paio di buone notizie. La prima riguarda le vettovaglie, panini e minerale per tutti. La seconda riguarda l’indagine, un paio di cose interessanti che emergono dai tabulati della vittima. Posso? - Palù con un vassoio di panini tu sei il padrone. Mentre li facciamo sparire mi spieghi questa cosa sui tabulati. Si ricorda che quando le ho parlato di un numero che aveva contattato la vittima intestato a una pensionata deceduta? Mi hanno appena telefonato dalla scientifica, sono uscite risultanzeinteressanti proprio per questo numero. La vittima è stata contattata anche la mattina dell’omicidio, è stata chiamata in anonimo, ma si trattava di squilli, chi telefonava non ha mai parlato. Anche le telefonate effettuate nei giorni precedenti, sempre effettuate da questa scheda, erano solo squilli. Come le ho detto si tratta di una scheda intestata a un’anziana deceduta un anno fa, ed attualmente questa utenza risulta inesistente, hanno rimosso anche la batteria perché al momento non aggancia nessuna cella. Questo numero risultava attivo da circa cinque mesi, usato pochissimo, in tutto una decina di volte e sempre per telefonare alla vittima, a volte in anonimo a volte no. Comunque chi chiamava si è ben guardato dal parlare , capo. Telefonava, faceva squillare un paio di volte e poi riattaccava. L’ultimo squillo lo ha fatto alle tredici e trenta del giorno dell’omicidio. . - Potrebbe essere un segnale, quindi. È quello che ho pensato anch’io. Al momento di questa chiamatail telefonino ha agganciato una cella che comprendeva anche Via Valadier, quindi era nelle vicinanze della casa del delitto. Dopo quest’ultimo squillo, dalle quindici e trenta circa,il cellulare si è volatilizzato, non veniva più rilevato da nessuna cella, di conseguenza il misterioso telefonistadeve aver tolto la scheda e la batteria al telefonino,gettandoli da qualche parte . Ovviamente conosciamo il gestore e sappiamo quando e dove è stata rilasciata la tessera. .. –Ovviamente, Forte e i suoi sono efficienti, capo, lo sa bene. È stata rilasciata cinque anni fa in un negozio di telefonia in un centro commerciale alle porte di Frosinone, uno di quei megastore che vendono di tutto e nei quali la gente si infila e a le domeniche pomeriggio. Qualcuno l’avrà presa, magari un conoscente, e l’ha tenuta o rivenduta, lo sa che c’è un mercato fiorente di tessere intestate ad altri. . - Allora dobbiamo indagare da quelle parti, controllare i parenti, i nipoti e non sarà un lavoro semplice noi siamo troppo pochi, quindi se ne deve occupare la Mobile. Palù, avverti Lepri, che ci pensassero loro. Io
intanto me ne vado con l’ispettore Durante a dare un’occhiata a questo Sporting Club. TREDICILa palestra. Il messaggio. Il parcheggio dello Sporting era una grande spianata in terra battuta, semideserta a quell’ora, con una fila di olmi a delimitarne il perimetro verso l’argine del fiume.Parcheggiai la macchina in quel simulacro di ombra, sicuro di ritrovarla rosolata per bene visto che quel pomeriggio era l’anticamera dell’inferno, canicolare e afoso. Raggiungemmo con sollievo la reception, una zona piacevolmente climatizzata, e da dietro il bancone una biondina sui venticinque anni, con una divisa rossa con la scritta SCTQ e un cartellino identificativo, alzò gli occhi, lanciandoci uno sguardo distratto. Buon giorno, sono Chiara. Cosa posso fare per voi? - Buon pomeriggio, signorina. Noi siamo della Polizia, il commissario Ferrer e l’ispettrice Durante. Vorremmo parlare con qualcuno della direzione. . Un lampo di attenzione nello sguardo prima di rispondere, la ragazza era acuta e sveglia. . – Oh, siete qui per la povera Beatrice? Allora potete accomodarvi nell’ufficio del coordinatore, Benny, vi apro subito, ate nel tornello. Vista la posizione e lo sguardo attento non mi sarebbe dispiaciuto fare due chiacchiere anche con quella Chiara, era una ragazza sveglia e il suo lavoro strategico di certo le consentiva di analizzare e osservare tutto quel che succedeva all’interno della palestra. Al momento però avevo altre priorità. Il coordinatore tecnico della palestra era un’esplosione di anabolizzanti. Sui trentacinque, completamente calvo, un paio di occhi azzurri e una certa somiglianza con Lothar, il principe africano amico di Mandrake, ci accolse in un ampio ufficio con vaste vetrate che permettevano una veduta panoramica del fiume e dei suoi argini e su colonie di ratti girovaganti tra buste di rifiuti. Indozzava una polo verde le cui maniche corte a malapena riuscivano a contenere un paio di bicipiti possenti. Oltre che coordinare si dava da fare in sala pesi, evidentemente con profitto.-Buona sera, sono Benny Martelli, responsabile tecnico e coordinatore delle attività di sala. Con chi ho l’onore di conferire? Con il Vicequestore aggiunto Ferrer e l’ispettore Durante, del commissariato Prati. Stiamo effettuando indagini sull’omicidio di una vostra iscritta, vorremmo farle qualche domanda. - La povera Beatrice, certo. Siamo tutti costernati e affranti… - Lei la conosceva? - Of course, come tutti gli iscritti che frequentano assiduamente. – Era iscritta da molto? Lothar prese da un cassetto un foglio di
carta, gli diede una rapida occhiata, prima di metterlo sul tavolo. Guardi commissario, ho controllato oggi. Dal mese di marzo, e veniva almeno quattro volte a settimana. Qualche volta poteva mancare, ma era abbastanza costante. Si limitava al programma maratona, quindi solo corsa sul tappeto e sala massaggi. – E la settimana scorsa, prima di venerdì, quando vi risulta l’ultimo ingresso? - L’ultima volta che è venuta in palestra è stato giovedì mattina alle nove. Siamo sicuri di questo perché gli utenti hanno un badge e gli ingressi sono tutti registrati. Beatrice si fermava per l’ora di corsa, poi abbiamo attività correlate, cura del corpo, estetista, massaggi, e un’altra ora la ava così. Ma lei risultava registrata quasi sempre per il massaggio. - Aveva un istruttore particolare, uno dedicato? - Non uno specifico, noi abbiamo un pool di istruttori sempre presenti. Siamo aperti dalle sette alle ventitré, mentre la domenica chiudiamo alle venti con ma gli istruttori divisi in tre turni. Gli iscritti del programma maratona iniziano un percorso di allenamento al tappeto ruotante che in sette otto mesi garantisce la partecipazione ad una gara di corsa di venti chilometri. Beatrice aveva iniziato un programma di questo genere. Gli istruttori sono tre che ruotano su dodici ore, quindi poteva capitare con uno di questi,indifferentemente. . – Chi di loro è presente ora? Abbiamo due istruttori al momento, ve li mando subito. Lothar alzò il telefono, diede qualche istruzione e dopo pochi attimi si materializzarono due ragazzi. Lothar capì al volo, anche lui era sveglio. Vi lascio la stanza così potete lavorare in pace. Grazie signor Martelli, cominciamo con il primo, l’altro può attendere fuori con lei. Il ragazzo magro sulla trentina, in polo e pantaloncini corti, aveva un atteggiamento nemmeno troppo velatamente effemminato. Fiorenzo Bravi, istruttore di corsa. Lavorava in palestra da due anni. -Conosceva la signora Beatrice? Certo, era una delle iscritte al programma di corsa, lavorava con noi da qualche mese, credo da marzo. Quando l’ha vista personalmente l’ultima volta? Io ero qui sabato due agosto, abbiamo lavorato insieme. Lei risulta presente anche giovedì mattina, il sette, ma io non c’ero. Quindi l’ho vista l’ultima volta
il due di agosto. - Ricorda qualche cosa di particolare,se era nervosa, taciturna, se insomma dava l’idea di avere qualche problema. No assolutamente, nessun problema. Era una persona molto tranquilla. Non mi ricordo nemmeno di averla mai incontrata al bar, che mi pare non frequentasse. Non mi pare di averle mai visto dare confidenza a nessuno, una paio di volte è venuto a prenderla un signore alto e magro con i capelli bianchi e lei lo ha presentato come il fidanzato, il chirurgo plastico. Scusi la franchezza ma anche se avesse un interesse per qualche iscritto avrebbe fatto a meno di farlo notare a tutti frequentandolo qui dentro. Comunque lei stava spesso con Fiammetta e con altre donne che partecipavano al corso. Pensi che anche alla pizza che abbiamo organizzato le donne si erano unite a tavola prendendosi forse qualche occhiata di disappunto per l’atteggiamento separatista, francamente fuori luogo in una cena sociale. Il solo uomo che frequentava assiduamente era il massaggiatore, perché terminava sempre l’allenamento con una seduta di massaggi. - Il massaggiatore è qui? -No commissario, lui viene in genere o di mattina o dipomeriggio, poi si dedica a massaggi in uno studio proprio. Oggi non l’ho visto, poi è domenica e lui la domenica è di riposo. - Ha un nome questo signore ? - Si chiama Arthour Moudani, ci sono i suoi numeri in segreteria, lui ci tiene ad essere sempre reperibile, è molto disponibile. - Va bene, grazie, per ora basta; lei ci è stato utile. Lasci i suoi recapiti all’ispettore Durante e quando esce ci mandi dentro il signor Martelli, per favore. Lothar ci raggiunse dopo un attimo. Nonostante l’aria condizionata, una larga macchia di sudore copriva la polo verde all’altezza delle ascelle e la fronte era imperlata di piccole gocce di sudore. O era il nervosismo, o gli ormoni che generosamente utilizzava. . –Signor Martelli, prima di ascoltare l’altro istruttore vorremmo i nomi di tutti i componenti dello staff con i recapiti, massaggiatore compreso. Mi pare si chiami Arhtour. – Sì commissario, Arthour Moudani è marocchino ma ormai da molti anni in Italia. Non c’è problema, glieli procuro subito. - Va bene, domani mattina l’ispettore Durante tornerà per ascoltare gli altri istruttori e il massaggiatore. Un’altra cosa, avete una telecamera di sorveglianza all’ingresso e nel parcheggio? - Certamente registra su nastro e poi il nastro viene cancellato in automatico dopo tre giorni. - Vorremmo avere comunque la registrazione. Può procurarcela subito? - Certo commissario. In quel momento il mio telefonino di servizio cominciò a squillare. Osservai il numero sul display, era il mio ufficio. Risposi con un senso di lieve apprensione, il mio sesto senso si stava agitando.
Capo, torni subito alla base, è arrivata una letteraanonima,mi pare un vero casino. E si sbrighi. Salutai il coordinatore, prendendo accordi per una nuova nostra visita per ascoltare il resto dei ragazzi dello staff e il massaggiatore, e raggiunsi con Anna Durante la mia macchina, fortunatamente ancora non del tutto fusa. Guidando tra vie rarefatte di auto e pedoni, uniche presenze fisse i venditori di fazzoletti ai semafori, in pochi minuti raggiunsi il commissariato. Irruppi nella mia stanza, dove trovai Palumbo in maniche di camicia e con cravatta di ordinanza, mentre l’orologio digitale sulla mia scrivania segnava le diciassette e trenta. - Scusi se sono entrato ma volevo controllare una cosa su Internet, il mio PC ha il collegamento fuori uso. Guardi cosa è arrivata ieri per posta prioritaria capo. Sulla mia scrivania campeggiava un foglio di carta bianco tipo A4 con la scritta in neretto a caratteri grandi, evidentemente stampato da un computer.
ECCO VOI UN DRUIDO - E questo che cavolo vuol dire Dottore ? – Anna, ne so meno di te. Palumbo, quando è stata spedita? -Il timbro sulla busta riporta la data del 9 agosto, il giorno dell’omicidio. Vabbè, ma come dice Anna, che cavolo vuol dire? Cos’è un druido? Vai su Internet e dai un’occhiata. Già fatto, capo. I druidi erano una specie di sacerdoti della cultura celtica, ne parla Giulio Cesare nel De Bello Gallico. Erano una casta religiosa ma anche consiglieri del Re, e anche giudici. Si occupavano del calendario lunare, e sembra che fero anche dei sacrifici umani, usando però in genere criminali. Erano una via di mezzo tra sacerdoti e maghi. – Aniello, complimenti alla tua memoria. In Italiano però non fila c’è un errore, manca una A, giusto? - Capo, è vero. Ma perché? Forse uno straniero ?Un extra comunitario? Non lo so ma non credo. Magari inciampano nella pronuncia la l’Italiano lo sanno scrivere gli stranieri. Mi viene in mente una cosa. Cerca su internet un programma di anagrammi, forse questo vuole giocare. –Ecco capo sono su Google. Ci sono un sacco di programmi vediamo questo. Dunque.. imposto le prime cinquanta soluzioni ,ora scrivo la frase…e invio..
Dopo qualche attimo ci si gelò il sangue. Sullo schermo , alla soluzione numero tre trovata dal programma di anagrammi spiccava una frase minacciosa: DI NUOVO UCCIDERO Rimanemmo tutti con gli occhi fissi sul monitor, senza avere voglia e coraggio di aprire bocca, per un lungo attimo. Fu Palumbo a rompere il ghiaccio. Siamo fottuti, non può essere un mitomane. E allora è un seriale. Un cazzo di serial killer. La lettera è stata spedita prima della scoperta del corpo di Beatrice, sicuramente nel pomeriggio il timbro postale è del nove agosto. A noi è arrivata ieri pomeriggio, l’ufficio postale ci consegna la posta appena gli arriva, anche il sabato a qualsiasi ora entro le venti, meno la domenica, io l’ho vista per caso poco fa era sulla mia scrivania ma nella concitazione della giornata mi era sfuggita. - Già, questo potrebbe cambiare la carte in tavola. Manda la lettera alla scientifica, io avverto Testa, Lepri e il Questore, questa cosa è troppo grossa per noi. Senti, abbiamo qualche agente libero, con esperienza operativa? -Abbiamo sco Pino, prima dell’Ufficio aporti stava sulle volanti a Palermo. Bene, distaccalo da ora a controllare Fiammetta Giusti. La Belelli se ne sta in ferie a Giulianova, manda un fax o telefona ai nostri da quelle parti e falla mettere sotto protezione . Non credo che possa essere un obiettivo, anche perché non frequentava la palestra, però non si sa mai. No, il bersaglio più logico è la Giusti, ma non possiamo tralasciare nulla. Se questo è pazzo segue percorsi mentali tutti suoi. Copertura di 24 ore. Domani mattina alle otto manda qualcuno in gamba a dargli il cambio. Voglio almeno due ispettori operativi per ogni turno, uno fisso qui, l’altro libero di muoversi. Ferie permessi riposi sono bloccati con effetto immediato. Un’ultima cosa. Questa notizia non deve uscire da qui. Niente stampa. Se arriva solo una parola ai giornali mi incazzo di brutto. Sì, signor Questore, potrebbe essere un mitomane, ma dobbiamo prendere sul serio la minaccia, stiamo sorvegliando tutte le conoscenze della vittima, ora abbiamo messo sotto tutela una amica, quella che vedeva più assiduamente, e ad un'altra in vacanza a Giulianova ci stanno pensando i colleghi del posto. Dovremo fare lo stesso con il gruppo della palestra. Si, domani riunione in procura. Alle 10. Avrei anche bisogno di autorizzare gli straordinari e un collegamento con la Mobile, diventiamo pochi se dobbiamo sorvegliare per ventiquattro ore… si va bene, l’idea del pool mi pare sia l’unica. Certo, con la stampa nessuna parola. A domani allora. Va bene. Arrivederci. Mentre stavo argomentando con il questore, Palumbo era entrato nella stanza con un vassoio di caffè e paste, graditissimi. - Hai precettato anche l’archivista ?
Comunque grazie. Queste sfogliatelle napoletane meritano, non fosse che per il profumo. – Ma quale archivista, Capo, la domenica stacca il telefono e per trovarlo ci vorrebbe un annuncio a ‘’Chi l’ha visto’’. No, è il bar pasticceria di viale Mazzini, gli ho telefonato e hanno mandato un ragazzo. Quelli ci tengono ai buoni rapporti, si dividono tra quelli a cui pagano il pizzo e noi. Non si sa mai. Ci hanno anche trattato bene. Comunque volevo dire che con la signora Giusti è tutto ok. L’agente Pino, quando gliel’ho chiesto, ha fatto un salto dalla sedia, non vedeva l’ora. Ora è in palestra, Pino l’attende fuori. E possiamo stare tranquilli, è un ottimo elemento finito all’ufficio aporti per aver detto una parola di troppo ad un commissario che le mie fonti sono concordi nelclassificare una vera carogna. –Accidenti Palù, hai amici pure alla questura di Palermo? Non ti sapevo cosi importante. –Capo noi delle parti di Via Toledo siamo come in prezzemolo, dove ci mettete stiamo , e sempre alla grande. Pure alla CIA abbiamo agganci. – Va bene così, un pensiero di meno. Come mai non sapevo che il mio commissariato era diventato un colonia punitiva? Comunque fammi avere il fascicolo di questo Pino, se è veramente in gamba mi pare un peccato fargli fare il acarte all’ufficio aporti. In ogni caso voglio una sorveglianza attiva, nessuno a sonnecchiare in macchina. Capo, stia tranquillo, il suo fascicolo l’ho letto io, e mi ero riproposto anche di parlargliene dell’agente Pino. Questo non dorme, è motivato ed era abituato con i mafiosi e i delinquenti dello ZEN. Garantisco io. -Senti Aniello, ma questo qui, secondo te, ammazza o ammazzerà solo donne? - L’ipotesi più probabile, capo. I serial killer se la prendono quasi sempre con le donne, gli uomini sono obiettivi secondari, vengono uccisi perché si trovano insieme a donne, nel luogo e nel momento sbagliato per loro. Lo ha scritto lei, se vuole le cito anche la pagina. – Non c’è n’è bisogno, ti credo sulla parola. Supponiamo però per un momento che questo abbia un movente a noi sconosciuto per prendersela con Fiammetta e con il suo fidanzato. Oppure l’obiettivo principale è il fidanzato e per qualche motivo ha prima ucciso la ragazza .Magari con questo messaggio vuole farci credere di essere un serial killer, mentre invece è un assassino che uccide con un movente ben preciso. La letteratura gialla è piena di questo modello, a partire da Agata Christie. Hai letto The A. B. C. Murders? -No capo, non lo letto. Mi illumina ? – Un giallo istruttivo, non tra i migliori della Christie, ma assolutamente didattico. Un assassino uccide comunicando le iniziali della prossima vittima, e alla fine Hercule Poirot, l’investigatore con la testa quadrata e le piccole cellule grigie, scopre che l’assassino voleva uccidere in realtà solo una delle vittime, e per mandare fumo negli occhi aveva messo in piedi un piano che prevedeva altri omicidi. Un classico, lo studiamo nei corsi di criminologia,
la grandezza della Christie è quella di averci pensato circa ottanta anni prima. Dico che in linea teorica il vero obiettivo potrebbe anche essere una persona vicina alla vittima, per esempio il fidanzato, che quindi dobbiamo proteggere. – Il problema è che non abbiamo chi mandare, gli agenti sono tutti occupati e abbiamo un sacco di gente in ferie. – Allora chiama Lepri, a quest’ora il questore si sarà fatto sentire, vedrai che non farà storie, un agente ce lo distacca. Pensaci tu, io preferisco non sentirlo, mi rovinerebbe la digestione. Dallo sguardo che mi lanciò neanche a lui andava tanto, evidentemente era di digestione debole pure il mio vice. Ma avendo l’anima di uno della Benemerita, uso ad obbedir tacendo, non fece storie e usci per andare a sbrigare la pratica Lepri-Terranova. . L’orologio sul muro indicava le venti e trentaquando mi alzai dalla sedia avvicinandomi alla finestra. La aprii, ormai era quasi sera ed all’esterno l’asfalto e le pareti delle case rigettavano il calore accumulato durante il giorno, rendendo l’aria ancora più irrespirabile. Ragionare sul caldo ed i suoi effetti erano pensieri futili, un viatico della mente, un modo per rilassarmi. Dovevo pensare al caso avevo bisogno di ragionare a mente libera. Ero sicuro che lo avrei fatto meglio fuori da quelle quattro mura. Stavo per uscire quando un discreto bussareprecedette l’ingresso di Anna Durante. -Dottore posso parlarle un attimo? -Certo Anna mi dica pure?-Si ricorda quei controlli che ci aveva chiesto? Su Terranova, il notaio, l’ ex ed il fratello nulla di nulla. Più puliti di un neonato fresco di bagnetto, non un pettegolezzo, nemmeno sul chirurgo. Qualcosa è uscito su quel Tommaso Bianchi, il direttore di banca.-Mi daca tutto.- Quaranta anni ,un vero Tombeur de Femme, ma di quelli seriali, nella banca dove lavora lo conoscono soprattutto per questo aspetto. Capace sul lavoro , ovviamente figlio d’arte e molto ben visto dai vertici aziendali, single, ha due segretarie che si porta a letto entrambe, è cosa nota in banca. Ora è in vacanza, pare sia partito il due di agosto, in moto per un giro in Italia, chissà dove. Sembra che verso ferragosto rientri alla base, cambi compagnia ,lasciando la attuale e caricando l’altra per poi ripartire. Rientro in sede previsto per il ventisette di agosto. Ovviamente incensurato, è stato sfiorato da una storia d’usura che riguardava un funzionario della sua banca il quale negava prestiti e consigliava l’usuraio con il quale era convenzionato, ma ne è uscito pulito. Nessuna traccia di rapporti con la Massimi.Grande utilizzatore di Viagra, la donna delle pulizie ne trova scatole vuote tutti i giorni nel suo cestino. Moto, organo sessuale femminile e soldi. Non ha altri interessi. Mi pare poco interessante .Cosa facciamo?-Se era in giro per l’Italia, per controllare il suo alibi ne debbo parlare con Testa, dobbiamo controllare il telefonino e serve l’autorizzazione del PM che il cauteloso dubito ci darà. Intanto possiamo evitare di proteggerlo visto che vaga in moto in buona
compagnia. Meglio così. Grazie Anna ha fatto un ottimo lavoro.Io me ne vado a casa. Ci vediamo domani.L’ uomo con il coltello in tasca era in attesa, seduto su una panchina. Guardò l’ora, le diciannove e trenta, la zona era assolutamente deserta. Quartiere alto borghese, i residenti in quel giorno di agosto erano tutti nelle più rinomate località di vacanza, non certo a prendere il sole in quel piccolo giardino, corredato di scivoli per bambini e panchine.Non vorrebbe fare quello che ha programmato, ma non può esimersi. Ormai è andato troppo avanti, era quasi alla fine, al penultimo tassello,e dopo quella dolorosa incombenza sarebbe rimasta solo una mossa da fare, poi si sarebbe potuto rilassare. Si alzò, uscì dal giardino, raggiunse il marciapiede opposto. A circa dieci metri, sulla sinistra, una cassetta di metallo con un teschio stampigliato e la scritta ACEA. Si guardò intorno, nessuno in vista, il suo amico era stato preciso nella descrizione. Si avvicinò, prese dalla tasca un temperino e lo inserì al di sotto del coperchio, provò a tirare e al terzo tentativo lo sportellino si aprì. Al di sotto, alcune prese colorate, che controllavano l’illuminazione dei lampioni. Per quello che aveva in mente, era meglio che la strada fosse buia. Staccò le spine, in tutto otto, richiuse lo sportello. Si accertò che nessuno l’avesse visto guardandosi intorno, la strada era assolutamente deserta, poi tornò alla sua panchina. Prese il giornale dalla tasca posteriore del pantaloni, lo aprì si mise a leggere.Ad un frettoloso ante o ad una automobile che fossero in quel momento transitati, sarebbe sembrato un tranquillo ragazzo con un giornale in mano, intento a leggere le notizie sportive di calciomercato, un anonimo superstite di quella estate infuocata. Il peso nella grande tasca dei pantaloni da lavoro che indossava gli ricordava invece una storia diversa e un epilogo in via di definizione, ancora sangue, ancora morte. Represse un conato di nausea ripensando alla sua vita e ai suoi fallimenti, ea quell’ultimo mattone tombale di una storia che non avrebbe voluto vivere. Ma era stato vittima della sua fallimentare personalità. Lo sapeva, ed averne coscienza non rendeva meno penoso il suo vivere. Ma ora c’era dentro e doveva andare avanti, finirla lui quella storia maledetta. Guardò l’ora, le venti e quindici, le prime ombre della sera cominciavano a scendere su una via di San Saba già pericolosamente al buio. Era appena uscita dalla piccola libreria in fondo a via Cavour, in estate aperta fino a mezzanotte, una di quelle chicche che ti fanno benedire di vivere un una metropoli; grande sporca e rumorosa, ma che si fa perdonare concedendoti anche di fare un salto in libreria dopo il cinema o il teatro.Una abitudine di nicchia ma in espansione, se a lei sembrava di vedere sempre più gente come dimostrato dalla fila alla cassa quella sera;con in mano la busta con il libro appena comprato si avviò verso l’incrocio con i Fori Imperiali, alla postazione dei taxi. Il are delle ore la stava facendo vacillare dalla certezza di abbandonare tutto e partire per la Sardegna ,ed in più aveva
dimenticato il carica-batterie per il telefonino a casa. Stava tornando una nomade, ma almeno il necessario per sopravvivere da Marco, il suo Computer, i libro che stava leggendo qualche vestito ed i suoi trucchi gli erano necessari. Aveva anche voglia di sentirlo, ma il suo telefonino era ormai defunto. Dimenticanza imperdonabile, perché in fondo lo sapeva che uscendo con lui non sarebbe tornata a casa a dormire. Dentro di sé lo aveva sempre saputo. Trovò un taxi libero, e dopo nemmeno dieci minuti l’auto svoltava per Via San Saba. Mentre si avvicinavano , si accorse di qualcosa di anomalo. Le prime ombre della sera erano ormai calate e la strada era completamente al buio. Ci mise qualche secondo ad accorgersi che i lampioni erano spenti. Rimase un attimo turbata, poi si rinfrancò. Un guasto evidentemente, succedeva spesso cosa andava a pensare? Scesa dal taxi, raggiunse il portone, lo aprì e accese le luci della scala. Funzionavano perfettamente. Rinfrancata, si rilassò, tra qualche attimo sarebbe stata al sicuro nella sua casa.L’uomo vide arrivare in lontananza una macchina, un taxi riconobbe la luce gialla accesa sul tettuccio dell’auto. Entrò nell’androne che era, come la strada completamente al buio. Controllò l’ora. Le ventuno e dieci. Sentì il taxi fermarsi, sbirciò dalla porta, la vide scendere dall’auto. Sentì i battiti del suo cuore accellerati, lui che era sempre stato bradicardico. Era ora di muoversi. Salì rapidamente le due rampe di scale che lo dividevano dal pianerottolo dell’appartamento, si nascose sulla rampa che portava al piano superiore, prese il paio di guanti in latice che portava in tasca, li indossò con calma. Dalla tasca estrasse il coltello.Cominciò a salire le scale. La luce era programmata per spengersi dopo un minuto, avrebbe fatto in tempo ad entrare in casa. Dalla borsa prese le chiavi, dopo pochi secondi era davanti l’uscio. Improvvisamente la sentì. . Distinta. Impalpabile ma assolutamente reale. Una presenza dietro di sé. Un brivido di terrore la pervase, e prima che potesse voltare fu afferrata da una mano, che le chiuse la bocca impedendole di gridare. Sulla labbra un sapore ed un odore a lei noto,quello dei guanti in latice. La mano la afferrò stretta, lei provò ad urlare, ma la voce gli si strozzò in gola. Poi, fulmineo ma non totalmente inaspettato, fu colpita da un dolore acuto, lacerante sul suo fianco sinistro. Rimase senza fiato. La sua mano sinistra scese sull’addome, sentì il fiotto caldo del suo sangue, le gambe gli cedettero di schianto. Non provava paura, ma un senso di rabbia per lasciare quello che aveva perso e poi ritrovato. Prima di scivolare nel buio il suo ultimo pensiero fu per l’uomo dei suoi sogni. QUATTORDICIVia San Saba. Spleen. Fall. Ancora Sporting Chissà perché dopo avere a lungo agognato il mio ufficio, per me diventato una
specie di rifugio nelle mie angosce domenicali, ora starci mi pesava, mi opprimeva. E impediva alla mia mente di scorrere fluida. Avevo bisogno di aria. Chiusi il PC, lavai la tazza di caffè, un regalo a cui tenevo molto, che recava la scritta Detective Marco Ferrer, FBI-Quantico-Virginia U.S. ed uscii nel corridoio. Palumbo era ancora al telefono nella sua stanza. -Tutto bene con Terranova? Hai sentito Lepri? -Lui no, mi ha fatto parlare con un suo vice, sa capo… le gerarchie... Comunque tutto a posto, anche se abbiamo perso qualche minuto perché la Mobile ha chiesto l’autorizzazione al PM ma entro pochi minuti il Terranova era stato intercettato e messo sotto protezione. Meglio così, noi non avremmo potuto. Una indagine del genere, con tutte queste implicazioni, era al di là delle nostre possibilità operative, specialmente in periodo di ferie. – Che noi siamo pochi lo sappiamo, però mi pare che la collaborazione con la Questura funzioni. Lepri farà pure un sacco di storie ma i problemi poi alla fine li risolve. Senti, io me ne vado a casa, ho bisogno di staccare, lascio il telefono , se ci sono novità chiamamiErano quasi le nove, già sera inoltrata quando raggiunsi la mia macchina. La città si era praticamente svuotata con l’avvicinarsi del ferragosto, la sacra settimana di ferie, per tutti o quasi. Molti anni prima era diverso e ricordavo la città vivibile da metà luglio, con la fine delle scuole. Altri tempi, la crisi aveva modificato tutto. Ora ti rendevi conto che era agosto solo nei quartieri bene e pieni di uffici, come quello del mio commissariato. Bastava uscire dal centro e dirigersi verso la cintura cittadina, dove sorgevano gli enormi casermoni di dieci piani, edilizia anni cinquanta –sessanta, per trovare una città che non andava in vacanza, piena di gente e con il solito traffico infernale, le file ai semafori, i negozi ed i bar aperti. Invecchiavo anch’io evidentemente, insieme alle abitudini di questa metropoli. E soprattutto lasciavo vagare i miei pensieri su temi futili invece di concentrarmi su argomenti più intimi e interessanti. Ma la telefonata della mattina non prevedeva un seguito e di conseguenza avevo cercato di togliermela dalla testa per tutta la giornata.Poi una specie di pensiero molesto, che evidentemente era rimastosottotraccia fino ad allora si fece finalmente vivo tra i meandri della mia coscienza. Una specie di illuminazione. Sobbalzai e dovetti tenere il volante con più forza, perché mi colpì precisa e dolorosa come un pugno nello stomaco. Una elementare considerazione che mi era sfuggita.
Avevo protetto tutti quelli che pensavo potessero essere degli obiettivi, ma a lei non avevo pensato. In fondo era parte dell’inchiesta, molto nota dal punto di vista mediatico, c’erano le sue foto sul giornale, una bella donna e single. Era stata una omissione gravissima. Presi il telefonino, lo misi in viva voce, composi il suo numero. Entrò in funzione la segreteria telefonica. Risponde il numero 3… lasciate un messaggio alla fine delsegnale acustico e ad ogni parola mi sembrò ascoltare il battito del mio cuore. Nonostante non abbia mai sopportato parlare a quelle scatolette infernali, figuriamoci ad un registratore, mi decisi a lasciarle un messaggio. Sono io… mi chiami appena senti il messaggio? Ti prego, è urgente Paola, ti prego richiamami.- Riprovai a comporre nuovamente il numero, ormai ero quasi arrivato sotto casa mia , ma ripartì nuovamente la segreteria. Attaccai senza lasciare un secondo messaggio, fermai la macchina e parcheggiai. Salii le scale rapidamente, infilai la chiave nella serratura, era chiusa con le mandate. Entrai in casa, la controllai rapidamente. Tutto sembrava in ordine, molto di più rispetto allo standard. Ripensai al sinistro messaggio, DI NUOVO UCCIDERO, era stato un altro errore venire lì, avrei dovuto raggiungerla direttamente a casa sua. Pensai rapidamente, forse valeva la pena di mandare una volante, sarebbe arrivata prima. Ebbi un presentimento tutt’altro che rassicurante. Presi il telefonino, chiamai il 113, mi qualificai, ed ebbi la fortuna di incappare in un operatore che aveva lavorato con me, mi riconobbe subito. – Senti, è un’emergenza, fammi fare un controllo rapido da una volante in Via San Saba 27, interno dieci. Non c’è nome sul citofono, solo il numero.E’ l’appartamento della dottoressa Paola Franzini, il medico legale, ne hai una in zona? Fagli fare più casino possibile quando si avvicinano. Io sono li tra dieci minuti. Se hai notizie chiamami a questo numero. . Chiusi la comunicazione e mi precipitai nuovamente giù per le scale verso la macchina. Misi in moto, agganciai la bolla sul tetto e in breve raggiunsi i Fori Imperiali e il Colosseo. Mentre correvo nella notte romana sentivo un senso di oppressione al petto, avevo il respiro corto, un’angoscia crescente. Erano le ventuno e tredici circa, avevo superato il Circo Massimo e la collina di San Saba si stagliava laggiù, nell’oscurità, a poche centinaia di metri. Lo squillo del telefonino mi fece sobbalzare. - Dottore, dalla volante segnalano una donna ferita, sul pianerottolo del secondo piano, il 118 è già stato allertato. Pare sia stata accoltellata e sembra in condizioni critiche. Ho avvisato anche i nostri qui alla Mobile, stanno arrivando. Mi aggrappai con disperazione al volante, sapevo che avrei sbandato nuovamente. Non era quello il momento di recriminare, ma mai come allora sentii tutto il peso della mia vita,
della scia di angoscia e disperazione che mi avevano accompagnato in quegli anni. Curvai a sinistra verso via di San Saba con un lacerante e sinistro stridio di pneumatici, raggiungendo il largo viale in salita, quella sera stranamente al buio. In lontananza, le luci azzurre intermittenti di una volante rendevano l’atmosfera ancora più sinistra.Parcheggiai subito dietro e scesi dalla macchina. La strada era deserta, il silenzio rotto solo dal gracchiare della radio. - Commissario, il mio collega è dentro, il centodiciotto è arrivo. Mi occupo io di accendere la luce delle scale, è programmata per spegnersi dopo un minuto, altrimenti è buio pesto. Feci un cenno di assenso e mi precipitai nell’androne. Appena arrivai sul pianerottolo, la vidi. Giaceva supina e sull’addome una vasta macchia di sangue le inzuppava la camicetta. Accanto a lei era inginocchiato l’agente, che manteneva premuta una maglietta sulla ferita. - Dottore, siamo arrivati con le sirena, sono sceso e mi sono avvicinato al portone, era aperto. Sono salito e l’ho trovata. Era cosi come la vede, non ho visto nessuno uscire. Sta perdendo molto sangue…- Qui ci penso io, tu fai una rapida perquisizione per le scale fino all’attico. Se non hai visto uscire nessuno magari è salito ai piani superiori. E fai attenzione. - Va bene, mi muovo subito. Presi la maglietta, gliela tenni premuta sull’addome, la guardai. Aveva gli occhi socchiusi ed alla tenue luce del neon il volto era pallido. Le presi il polso, e lo sentii flebile e frequente. -Paola, mi senti? Sono io. La voce di lei era un sussurro.- Marco… - Non parlare, l’ambulanza sta arrivando, non ti stancare. Lei sembrò annuire. Poi tornò il silenzio, interrotto solo dal gracchiare della radio, giù nella strada. In lontananza, sommesso, il suono di una sirena. L’ambulanza stava arrivando, per fortuna. Le presi la mano, la mantenni stretta, le sollevai le gambe. Poi tutto accadde rapidamente, la sirena che si fermava, il rassicurante scalpiccio sulle scale, le divise rosse con i catarifrangenti, la flebo, il monitor. Fino alla decisione di intubarla, come meglio possibile, alla luce delle lampade. La misero sulla barella e la trasportarono in qualche modo giù per le scale, fino all’ambulanza. Mi sforzai di uscire dallo stato di prostrazione nel quale ero scivolato e li seguii. Giù in strada, l’ultima visione che ebbi di lei fu la larga macchia di sangue sul suo addome, mentre gli sportelli posteriori dell’ambulanza venivano chiusi. Il furgone bianco e rosso si allontanò veloce nella notte, ululando il suo sinistro lamento. Mi appoggiai alla mia macchina, in mano lo straccio intriso di sangue, mentre il silenzio riempì nuovamente la strada. Cercai di recuperare lucidità, ormai per lei non potevo fare più nulla, dovevo tornare rapidamente in me. Respirai a fondo l’aria fresca della sera, riempiendo i polmoni. Mi sentii subito meglio, e cominciai a ragionare. Le
indagini sarebbero state prese in mano dalla Mobile, ed io avevo poco da fare. Dovevo andare da lei. Mi rivolsi all’agente vicino la volante . . - Scusami, sai chi è il funzionario di turno alla Mobile stanotte? - Il Vicequestore Alberti, dovrebbe essere qui da un momento all’altro. Una buona notizia, Alberti lo conoscevo da anni, un altro povero cristo. Mi ricordavo un uomo corpulento, con folti capelli ingrigiti, un bel viso aperto e sempre sorridente, che a quasi sessant’anni faceva ancora le notti alla Mobile. Una brava persona, uno di quelli che mandano avanti la baracca. Va bene, ascolta. Io vado in ospedale,riferisci al dottor Alberti che il ferito è la dottoressa Franzini il medico legale che ha lavorato sull’omicidio Massimi e che la mano omicida è probabilmente la stessa. Comunque tra poco arriva il vice commissario Palumbo, che coordina con me le indagini sul caso Massimi. Salii in macchina, invertii la marcia, ed in quel momento mi resi conto che non avevo chiesto agli operatori del 118 dove sarebbe stata portata Paola. Sicuramente al San Giovanni, perché era il più vicino. Presi il telefonino e feci il numero di Palumbo. Rispose subito. – Ascolta e non interrompere. Il nostro uomo ha colpito ancora, ha aggredito Paola Franzini perché io sono un cretino casualmente arrivato a fare il Vice Questore. Ora è in ospedale. Vai subito in via San Saba al civico ventisette per parlare con il commissario Alberti che è in arrivo. Spiegagli tutto. E subito vuol dire immediatamente. Portati chi vuoi ma vacci ora. Io intanto vado al San Giovanni. Potrei non avere linea al telefonino, per le urgenze mettiti in contatto col posto di polizia e fammi cercare. Dopo pochi minuti entravo nel parcheggio dell’Ospedale. Alla reception una giovane infermiera, senza un filo di trucco, in divisa candida, alzò gli occhi su di me. Dovevo avere la faccia da sbirro, o era particolarmente sveglia, visto che mi inquadrò immediatamente e mi diede l’informazione che volevo senza che io aprissi bocca. - È in sala operatoria, è stata allertata l’equipe chirurgica dal medico del centodiciotto. È entrata in sala due minuti fa. Dovrebbe darmi le generalità del ferito che era senza documenti. Poi lei può attendere in sala d’aspetto, il bar è chiuso ma ci sono le macchinette se ha bisogno di bere o di un caffè. Già , pensai la avevano registrata come ignota, come si fa in questi casi. Recitai all’infermiera nome cognome, data di nascita e domicilio lasciai anche il numero del mio telefonino. Ringraziai l’infermiera e mi preparai ad una lunga attesa.. Mi venne in mente che avrei dovuto avvertire qualche parente, lei aveva una sorella e i genitori al paese in provincia, ma di loro non avevo alcun recapito. E quindi non avrei potuto fare nulla. Però noi siamo la polizia, quindi presi il telefonino e feci il numero di Palumbo. – Sei arrivato? - Quasi, tra dieci
minuti sono lì. Pino Borghi mi raggiungerà tra poco. . – Senti, mi devi risolvere un problema. Dobbiamo avvertire i parenti di Paola, ma non ho idea di come fare. La sorella si chiama Barbara e vive credo a Rieti ma non conosco il cognome del marito. Ma per te sarà un gioco da ragazzi, sei bravo. Io sono al San Giovanni la dottoressa è in sala operatoria, appena ho notizie ti raggiungo, tu in ogni caso non muoverti prima del mio arrivo. Ciao. Fui svegliato da un incubo, un uomo con un camice e con una sega Stryker stava cercando di aprirmi la testa. Ero disteso su un letto d’acciaio, completamente vestito, sotto al collo la tavoletta di legno che i tecnici usavano per mantenere le spalle in posizione adatta per lo squartamento. Mi svegliai di soprassalto e prima di tornare ad un livello di coscienza adeguato ci misi qualche attimo. Ero seduto al posto di guida della mia macchina, lo schienale in posizione reclinata. Cominciai a ricordare, dopo una mezzoretta ata a ciondolare in sala d’aspetto e dopo aver ingurgitato un paio di tazze di un caffè schifoso avevo deciso di aspettare in macchina, per lo meno sarei stato più comodo. Mi ero addormentato quasi subito per essere svegliato di soprassalto dal rumore della sega. Mi stirai, guardai l’ora, l’orologio digitale del cruscotto indicava l’una eventi. Erano oramai tre ore e venti circa che Paola era in sala operatoria, era ora di tornare in sala d’aspetto. Ero arrivato da non più di cinque minuti quando l’infermiera del gabbiotto, quella sveglia con la divisa linda, entrò nella stanza. . – La paziente è uscita dalla sala operatoria, se mi vuole seguire potrà parlare con il chirurgo che l’ha operata. L’uomo era alto, in camice verde, pochi capelli tagliati corti, magro e con un paio di occhi scuri che mi sembrarono, nonostante l’ora, acuti e vispi. Mi chiese subito se ero un parente. – No, ma sono il suo fidanzato oltre che un Vice Questore. Stiamo cercando di contattare i genitori ma ci vorrà tempo. La Signora è una sua collega, Medico Legale presso l’Università. Cosa mi dice? - La paziente è giunta con un severo stato di shock emorragico con emoperitoneo, cioè sangue nell’addome, che ha richiesto numerose trasfusioni. Questo si è verificato per una lesione alla milza lacerata dalla coltellata che siamo stati costretti ad asportare.L’intestino per fortuna non è stato lesionato. Ora la stiamo portando in radiologia per una Tc e una arteriografia. Comunque attualmente la paziente è stabile, sono esclusi danni cerebrali e renali, speriamo in un rapido recupero. È ancora intubata, la terremo qualche ora in Terapia Intensiva a scopo precauzionale. Scioglieremo la prognosi nelle prossime ore. - Quando pensa che potrà essere in grado di parlare? È stata vittima di una aggressione e potrebbe dare informazioni vitali per trovare chi l’ha ridotta cosi. - Per questa notte non se ne parla, la teniamo sedata e in infusione di morfina, vediamo domani.. Arrivederci commissario. Appena salito in macchina digitai nuovamente il numero di Palumbo. – È appena uscita dalla sala operatoria e ho appena parlato
con il chirurgo. Se la caverà, senza milza, visto che gliela hanno asportata, ma la cosa importante è che vivrà. Questo conta. Senti, qui io non ho più molto da fare quindi vi raggiungo subito, ma prima mandami un agente a piantonare la dottoressa. Ora è in Terapia Intensiva, copertura di ventiquattro ore, uno sveglio che non dormicchi e che non faccia avvicinare nessuno. Chi abbiamo libero? Ora sono quasi le due, chiamo l’agente Salvini che abita vicino l’ospedale e so che la moglie è in vacanza.Io sono qui con Alberti, la aspettiamo. Erano le due ate quando mi fermai sotto casa di Paola. I lampioni erano in funzione e la luce che irrorava la strada contribuiva ad alleviare il senso di paura che mi aveva pervaso solo poche ore prima. Le volanti erano andate via, e riconobbi tra le due macchine in sosta una delle auto del mio commissariato. Sceso dalla macchina, mi avvicinai alle tre persone in piedi al di là del nastro giallo. Notai con piacere l’assenza del circo mediatico, evidentemente o avevano sloggiato o avevano le loro gole profonde in ferie. Riconobbi subito la massiccia figura di Alberti, quella più esile del mio vice, con accanto una montagna di muscoli strizzati dentro una polo gialla. Anche a distanza, Pino Borghi era inconfondibile. Alberti e Palumbo stavano fumando, le braci simile a lucciole giganti. – Ciao Ferrer, come stai? Notte pesante, vedo ma ti trovo bene. Ci stringemmo calorosamente la mano. - Come va, è un sacco di tempo...Con il solito filo di sudore che gli imperlava la fronte , i capelli grigi ancora meno folti dell’ultima volta che lo avevo visto, indossava un vestito color panna, una camicia azzurra con cravatta rossa, allentata, mentre al di sotto della giacca sotto l’ascella sinistra si intuiva il rigonfiamento della fondina. La stretta di mano era decisa e aperta, come la ricordava. Conoscevo quell’uomo da anni e lo avevo sempre paragonato a un caterpillar. Mai in malattia, sempre presente, uno che frequentava la strada e non la segreterie del questore. I poliziotti, ne ero convinto, si dividevano in due categorie. La numero uno, gli sbirri veri, i quali lavorano giorno e notte in questura e sulla strada, e la numero due, i BP o Burocrati Politicizzati secondo un mio acronimo personale, che non sono veri poliziotti, perché li trovavi sistematicamente a conferire con il questore, coi sottosegretari o con i giornalisti. Alla fine i primi sono quelli veramente indispensabili, e a volte non fanno carriera, mentre i secondi finiscono a fare i capi della Mobile o addirittura diventano questori. Antonio Alberti apparteneva alla prima cerchia. Quella che amavo sionatamente. - Certo è un sacco di tempo, un paio d’anni almeno. Ti trovo veramente bene Ferrè e sono contento di trovare te, a quest’ora della notte. Il tuo vice mi ha ragguagliato bene su questa brutta storia. . – Bene Alberti, anche io sono contento di vederti. Il tuo capo ultimamente è più stronzo del solito. . - E quello quando mai ha brillato per simpatia? Si è creato un personaggio. Efficiente e inavvicinabile. Ed io queste cose gliele dico in faccia,
non alle spalle. Lo so che non hai peli sulla lingua. Torniamo a noi allora. Come ti avrà raccontato Palumbo,abbiamo uno che ha già ammazzato una donna, Beatrice Massimi, venerdì scorso. Abbiamo ricevuto un lettera anonima, che abbiamo motivo di ritenere non opera di un mitomane, con la minaccia che avrebbe ucciso ancora. A questo punto abbiamo protetto tutti quelli che ci venivano in mente, il fidanzato e le donne della cerchia di amicizie della vittima, ed invece questo bastardo se l’è presa con Paola Franzini, il medico legale che lavora sul caso e che tu dovresti conoscere bene. È ovviamente anche una stilettata a me, come saprai io e la dottoressa siamo, diciamo, vicini. Fortunatamente è viva anche se ferita seriamente, è uscita da poco dalla sala operatoria, i medici dicono che se la caverà. Io penso sia stato proprio il nostro uomo, lo stesso dell’omicidio Massimi. Domani abbiamo una riunione con il Questore ed il magistrato. Venendo a questa aggressione, quando sono arrivato ho trovato la via al buio. Tutti i lampioni erano fuori uso. Non ti pare sospetto? -Il bastardo che ha aggredito la dottoressa ha manomesso la centralina, quindi appena lo becchiamo si becca pure la premeditazione. Ci ha lavorato la scientifica, impronte un fottio, ma tutte confuse e nessuna utilizzabile,e poi avrà usato i guanti. Abbiamo chiamato il pronto intervento dell’ACEA, che quando chiama la polizia arriva immediatamente, in dieci minuti hanno sistemato la luce. Aveva staccato e tagliato le spine della centralina, laggiù, ad una ventina di metri dall’altra parte della strada. I tecnici mi hanno detto che doveva sapere quello che faceva, non è stato un lavoro semplice. Insomma, mi hanno fatto capire che sicuramente l’ha saputo da qualche tecnico ACEA. Ci lavoreremo, ma la vedo dura. Saranno qualche migliaio. Avete perquisito l’appartamento? Si, nulla di significativo. La dottoressa nemmeno era entrata in casa. La scientifica ha lavorato sul pianerottolo, sulle tracce di sangue e le impronte, ma mi sa che non ne esce nulla. Va bene, io però un’occhiata alla casa la vorrei dare, poi me ne vado a dormire un paio d’ore. Alberti grazie a te e ai tuoi uomini, hanno fatto un gran lavoro, se la dottoressa è viva è merito anche loro. – Le chiavi le ha prese il tuo vice che ti legge nel pensiero. Comunque grazie Ferrè, glielo dirò, ti saluto, e fatti sentire qualche volta.
Alberti salì in macchina e dopo una inversione ad U si allontanò con uno stridore di gomme verso la questura. Rimanemmo qualche secondo senza parlare. Il silenzio della notte era rotto dal miagolio di qualche randagio in cerca di amori notturni. – Avete avvertito Salvini? – chiesi a Pino il quale fino ad allora se ne era stato in disparte. Quando parlano tra loro i commissari gli ispettori si sentono a disagio. Non dovrebbero perchè sono molto più importanti di noi. – Sì Dottore , gli sono girate ma poi ha accettato di buon grado. Tanto era sveglio. Non so se tra gli sbirri prevale l’insonnia o la gastrite. E comunque era una notte in straordinario quindi se sei sveglio tanto vale farti pagare. – Già, le famose malattie professionali dello sbirro. Per me la gastrite gioca un ruolo fondamentale, ed io potrei tenere un seminario all’Università sull’argomento, ne solo l’esempio più fulgido. Senti, domani mattina alle dieci mandagli il cambio. Turni di dodici ore sino a nuovo ordine. Voglio una relazione scritta e contatti per telefono ogni cinque sei ore. Una sorveglianza seria Pino, mi raccomando. . – Dottore garantisco io, dei suoi uomini può fidarsi, stia tranquillo, poi la dottoressa era di casa in commissariato, ci teniamo come ad una di noi, magari torna ad essere nuovamente in giro. - Non potei fare a meno di sorridere, il primo di quella notte del cavolo, si vede che la tensione si stava sciogliendo. Strinsi , o provai a stringere il quasi mezzo metro di spalla del mio Ispettore. -Va bene, grazie. Ora andatevene a dormire qualche ora io faccio un giro rapido disopra. Lasciami la chiave, Palù e buona notte. Erano le tre e un quarto, una notte calda ed afosa, senza vento. Alzando gli occhi al cielo, mi accorsi non c’era la luna. Spenti i lampioni il buio sarebbe stato veramente totale, l’ideale per un agguato. Era stato anche fortunato quell’immenso bastardo che avrebbe meritato di marcire in una cella per molti anni. Entrai nello stabile, accesi la luce sulle scale e raggiunsi l’appartamento di Paola. In terra macchie rossastre, ricoperto con uno strato di segatura. La calura era insopportabile, e nell’aria ristagnava l’odore dolciastro del sangue. Aperta la porta, accesi la luce. Era più di un anno che mancavo da quella casa, e anche quando stavamo insieme non la avevo frequentata molto. Lei era quasi sempre da me, anche per la maggiore vicinanza di casa mia con l’istituto di Medicina Legale. Un appartamento classico, con mobili in arte povera, che lei aveva ereditato con la casa, regalo di sua nonna. Solo la sua stanza era arredata in modo diverso, una libreria moderna, divano in pelle, scrivania, Computer, lampade alogene e un grande televisore.Mi guardai intorno, quella visita notturna cominciava a pesarmi, mi sembrava di profanare una vita già lacerata. Posai lo sguardo sugli oggetti, sui mobili, sui ricordi di una vita. Aprii l’armadio,
pieno zeppo di vestiti, guardai nei cassetti ripieni di biancheria intima, slip e di reggiseni e confezioni di calze, quasi tutte nere. Ma quanto spendono le donne in intimo? In un lato dell’armadio, una borsa. Aprii la lampo, conteneva una tuta, due pantacollant, alcune confezioni di fazzoletti, una di Tampax. Richiusi l’armadio, completai l ‘ispezione con un ultimo sguardo d’insieme alla stanza,quando la mia attenzione venne attratta da una cartolina posta sul tavolo accanto al Computer. La presi in mano, raffigurava la Statua della Libertà, la voltai. Fall in NYCity…freedom in your soul…The first Sunday in November… I’m Waiting for you… Federico 12/5/20..Indirizzata alla Dottoressa Paola Franzini, francobollo statunitense. Datata Dicembre. Gli anglosassoni usano mettere prima il mese e poi il giorno, era in tema con la stagione. Fall, l’autunno, la stagione della caduta delle foglie. Un lampo improvviso mi colpì come se fosse spuntato il sole in quella notte di morte, sangue e solitudine. Autunno a NY city la prima domenica di novembre,libertà nell’anima,ti aspetterò, Federico.Riaprii in fretta e furia l’armadio, trovai la borsa, la tirai fuori, la scritta era sempre in rosso, come la divisa delle impiegate alla reception. Sporting Club Tor di Quinto. Guardai a lungo quella scritta e rimasi per un momento immobile, impietrito. Ancora quella palestra, ancora quel luogo. Se Paola era iscritta al programma maratona dello Sporting allora era stata colpita forse non per colpa mia. Un assassino seriale si accaniva contro i partecipanti al programma? In ogni caso i destini delle due vittime di quella storia si erano in qualche modo incrociati in quella maledetta palestra e questa informazione poneva l’aggressione a Paola in un’altra ottica. Misi la cartolina nel borsello e raggiunsi il bagno. Aprii l’armadio delle scarpe cercai e trovai quelle da footing. Nel ripiano superiore, una serie di confezioni di bagnoschiuma, shampoo, confezione di fazzoletti di carta, assorbenti, ancora Tampax, Olio di Argan, profumi vari, un bottiglia di Olio di Mandorle. Lanciai ancora uno sguardo uno sguardo rapido alla stanza, prima di uscire e are in cucina. Dal frigo presi dell’acqua, ne bevvi un lungo sorso e
mi chiesi se prepararmi un caffè. Decisi per il no, mancava poco all’alba avrei dovuto dormire, anche poche ore. Non mi piaceva quello che stavo facendo, frugando nei cassetti di Paola, nella sua intimità, in quella casa dove avevo cenato varie volte vicino il suo letto dove avevamo fatto l’amore spesso. Ora avevo veramente poco da fare, l’informazione più importante l’avevo ottenuta. Paola frequentava lo Sporting, Il o successivo sarebbe stato quello di parlare con lei, appena possibile. Spensi le luci, mi chiusi la porta alle spalle e uscii nella notte dove l’umidità che saliva dal parco prospiciente aveva attenuato l’afa rendendo quasi piacevole il clima in quelle ore preludio dell’alba. Mentre guidavo verso casa, pensai al grosso punto interrogativo di quella storia: Paola conosceva Beatrice? Evidentemente no, pur se frequentavano la stessa palestra e forse lo stesso programma di preparazione al podismo. Probabilmente l’aveva vista ma sicuramente non ne conosceva il nome, e nello stravolgimento della morte i lineamenti possono alterarsi, anche dalla foto del documento era praticamente irriconoscibile. Paola era all’oscuro dell’indagine, cioè non conosceva i risvolti investigativi, che ponevano lo Sporting al centro di una ipotesi investigativa. Il medico legale si occupava della scena, effettuava l’autopsia e redigeva un referto. Cause e ora di morte. Non partecipava alle indagini e quindi poteva non sapeva che la vittima frequentava lo Sporting, cioè la sua stessa palestra. Se poi l’avesse riconosciuta me avrebbe detto, di questo ero sicuro. Era un’informazione troppo importante e lei ne sarebbe stata conscia. Avevano probabilmente soltanto orari diversi. Forse non era andata nemmeno alla cena del corso. Una serie di circostanze, il classico destino, allora. Non c’era altra cosa da fare che rivoltare come un calzino lo Sporting Club Tor di Quinto, perché quello era il legame tra le vittime. Arrivai sotto casa alle tre e quarantacinque circa e prima di uscire dalla macchina mi venne un dubbio. E se fossi stato anche io un obiettivo? Per un pazzo psicopatico ero perfetto: mediatico, responsabile dell’indagine, legato a Paola. Magari era solo una paranoia notturna, ma tanto valeva prendere qualche precauzione. Presi la Beretta, mi diedi un’occhiata intorno. La strada era deserta, illuminata fiocamente da un lampione. Nessuno in giro nemmeno gli ultimi reduci della movida. Raggiunsi il portone e cominciai a salire, tenendo la pistola sul fianco. Nessuno sulle scale, e nemmeno sul pianerottolo. Aprii la porta di casa, disattivai l’allarme. Controllai rapidamente l’appartamento, che era ovviamente deserto. Già che ero in ballo continuai, portandomi la pistola in bagno, la misi in un ripiano vicino la doccia. Rimasi a lungo sotto il getto di acqua calda , cercando di scacciare le paure e le tensioni di quella notte. Prima di addormentarmi, misi la pistola sul comodino. Era una vita che non lo facevo. Avrei messo in conto anche questo a quell’ombra che si aggirava lì fuori, nei
meandri della notte. QUINDICI Lunedi 11 Agosto La moka. Il nonno di Palumbo. Latte di mandorle Uscii sul balcone con la tazza di caffè fumante in mano, mentre il sole splendeva, inesorabile palla rossastra in cielo, laggiù verso est. La giornata sarebbe stata ancora caldissima e afosa, e già in quelle prime ore la temperatura doveva sfiorare i trenta gradi. Mi ero vestito con la solita polo e con un paio di pantaloni di cotone, e al risveglio, prima di riprendere coscienza del tutto, la presenza della Beretta accanto al cuscino mi aveva fatto ritornare in mente gli avvenimenti di poche ore prima. L’oscura minaccia dell’anagramma inviato per lettera, poi il ferimento di Paola e la scoperta, del tutto fortuita, che anche lei frequentava lo stesso corso di preparazione alla maratona, proprio in quella palestra. Immaginai anche il titolo dell’articolo che Luisa Casta, la mia amica giornalista, avrebbe potuto tirarne fuori: La palestra della morte. Banale ma azzeccato. Mentre lasciavo che la mia mente vagasse liberamente, mi accorsi di un pensiero fastidioso che mi inquietava. C’era qualche cosa che avevo visto o sentito e che non riuscivo a mettere a fuoco, una nota stonata rimasta ad ondeggiare, indefinita, nel mio subconscio. Mi era già successo, e sapevo che la cosa migliore da fare era non pensarci, prima o poi avrei capito. Il problema era il tempo. Non ne avevo. Un assassino aveva già colpito due volte, a distanza di tre giorni. Comportamento anomalo per un seriale, in questo tipo di omicidi la latenza era molto maggiore. Ma non avevo alternative, l’unica cosa che potessi fare era aspettare, se c’era qualche cosa nascosto nel mio subconscio mi sarebbe tornato in mente spontaneamente, ne ero sicuro.Uscii di casa , percorrendo una Roma bellissima e semideserta, raggiungendo in pochi minuti il mio commissariato. Dopo aver salutato il piantone ed un paio di agenti delle volanti, mi rintanai nel mio ufficio. Sollevai il telefono, digitai l’interno di Palumbo. - Ci sei? -Certo, visto che ho saggiato la comodità del divano stanotte. Arrivo subito, metta su la moka che ne abbiamo bisogno. La riunione in procura era alle undici, sicuramente non avrei fatto in tempo a are da Paola in ospedale, ci sarei ato più tardi, nel primo pomeriggio. Palumbo entrò in quel momento, perfettamente vestito alla sua maniera, con un sacchetto in mano. Completo azzurro, camicia bianca e cravatta rossa. – Tu sei l’uomo delle infinite risorse. Dormi sul divano e mi ti presenti vestito di tutto punto, anche se sembri uscito da
una commedia di Eduardo, hai presente un camorrista dei Quartieri Spagnoli? Ma dove ce l’avevi il vestito? - Ma dove vuole che l’avessi? In macchina, e stanotte me lo sono portato in ufficio. Ho anche un cassetto con biancheria varia in ufficio e il necessario per doccia e barba. Lo sa che spesso dormo in ufficio e non sopporterei di non sbarbarmi e non lavarmi. – Versati il caffè dai.In quella busta c’è sempre quello che penso? - Bombe al cioccolato, le ha portate l’archivista, quello bisogna veramente incriminarlo per lesioni colpose, capo. Io non ho fatto in tempo a are in pasticceria visto che ho pernottato sul divano. – Senti, mentre ci strafoghiamo ti debbo dire una cosa importante. Stanotte mentre ispezionavo l’appartamento della dottoressa, ho scoperto che anche lei frequentava quel maledetto corso di preparazione alla maratona di New York. Ho trovato la borsa della palestra con il logo. Quindi verosimilmente frequentava lo stesso corso di Beatrice e gli stessi istruttori. Non penso però la conoscesse, avevano probabilmente orari diversi. Magari l’aveva vista qualche volta, ma nella devastazione della morte i lineamenti del volto si alterano e non l’ha riconosciuta. Comunque ora abbiamo due vittime, tutte e due iscritte a quel corso di preparazione alla maratona. Cosa ne pensi? - Penso che tutto conduce a quella palestra, capo. E che dobbiamo mettere sotto torchio tutti là dentro -E avremmo già dovuto farlo. Ieri ho chiesto al coordinatore, quel Martelli, la lista degli iscritti al programma maratona, sarebbe dovuta are Anna stamane a prenderla, te ne occupi tu? – Certo, ovvio. – Dovrò anche parlare con Forte per far controllare alla scientifica i cellulari di tutti gli iscritti, soprattutto le celle agganciate il giorno dell’omicidio. Non ci fidiamo del fatto che gli eventuali numeri non sono sui tabulati del telefonino di Beatrice, anche se per questo dovrò chiedere l’autorizzazione a Testa. E da questo punto di vista la vedo dura , ho idea che in quella lista ci saranno un bel po’ di figli parenti amanti di papaveri altolocati, sono sicuro che qualcuno di questi si metterà di traverso. – Vedremo, intanto io mi muovo con i tabulati. Capo, però una cosa gliela debbo chiedere. Come ha saputo che la dottoressa frequentava il programma maratona dello Sporting? - Domanda da sbirro vero, Palù. Semplicemente nel perquisire l’appartamento ho trovato questa lettera. Presi la lettera dalla tasca dei pantaloni e la consegnai a Palumbo. – È scritta in inglese capo, non è la mia lingua preferita, io ho studiato se.
-Un amico della dottoressa, tale Federico, lo invita a partecipare la prima domenica di novembre ad un evento a New York, dove dice che potrà ritrovare la libertà nella sua anima, una cosa così.
Poiché la prima domenica di Novembre si corre la maratona di New York ed avendo trovato in un armadio la borsa dello Sporting, ho fatto due più due. Dobbiamo cercare il badge di ingresso in palestra credo sia rimasto a casa della dottoressa. Era la prima cosa che avrei dovuto fare stanotte. Invecchio Palù, inesorabilmente. – Ma no capo, era solo stanco e stressato, e a ragione. Basta controllare sugli elenchi che ci dovrà fornire il coordinatore o più semplicemente chiederlo a lei. – Hai ragione, erò in Ospedale dopo la riunione in Procura sperando sia in condizione di parlare. – Capo, ma questo Federico chi è? Non vorrei fare ipotesi fantasiose ma magari la dottoressa lo ha rifiutato e questo è venuto in Italia e ha fatto una carneficina solo per mascherare il suo vero obiettivo.
Chi è questo Federico non lo so, anche questo mi farò raccontare, comunque preferirei non traumatizzarla con domande delicate. Tanto se è stato lui non scappa. Comunque c’è un’altra cosa che mi disturba. Un particolare che non riesco a mettere a fuoco, qualche cosa che ho visto, una immagine che non riesco a decifrare, che si è messo in un recesso del mio cervello e non vuole andare né su né giù. Questa sensazione me la porto dietro da stanotte. Qualche cosa che ho visto a casa della Franzini. - Capo in questi casi, diceva mio nonno che era un genio e pure un filosofo, bisogna non pensarci. Questa, chiamiamola cosa, troverà da solo il modo per farsi comprendere. I pensieri hanno un’anima e anche a loro non piace stare nascosti a lungo. . – Già, anche perché più ci penso e meno ne esco. Seguirò il consiglio di tuo nonno. Adesso ci prendiamo un altro caffè e me ne vado in Procura. Dammi la fotocopia della lettera del nostro serial killer, vedrai come ci rideranno in faccia il Questore e Testa, da farsi uscire le lacrime Palù, ti ci puoi giocare la tua cravatta da camorrista.
Parcheggiai nel posteggio al piano sotterraneo, a quell’ora semideserto, e con il solito ascensore antidiluviano e torrido raggiunsi l’ufficio di Testa. Quella mattina il circo mediatico era tutto mobilitato e per entrare nell’ufficio del Sostituto dovetti evitare numerosi gruppi di giornalisti e di operatori con le loro telecamere in spalla, simili a bazooka pronti a lanciare le loro granate, tutti assatanati di notizie con le quali riempire le loro prime pagine al posto del solito gossip balneare. Alla fine raggiunsi senza troppi danni la stanza della segretaria. - Dottor Ferrer buongiorno, si accomodi in sala riunione, la stanno aspettando. .
Con un cenno mi indicò la porta dalla quale avevo visto uscire Eleonora Santini, la mega stanza presidenziale delle riunioni del cauteloso megaraccomandato. Il suddetto e Lepri, seduti uno accanto all’altro, erano entrambi vestiti da ‘conferenza stampa’. Testa era fasciato da un completo grigio di Armani, doveva prediligere la moda del Maestro di Piacenza evidentemente ed era fresco di barbiere, mentre Lepri, meno sofisticato, indossava un vestito da grande magazzino. Tuttavia, rispetto agli standard della questura, dove erano famosi per gli abiti stazzonati e le camicie sgualcite, sembrava un lord inglese. Io ero dell’opinione che gli sbirri veri, quelli che correvano a destra e a manca, ando da sedili in pelle di auto a sopralluoghi nei posti più degradati, non potevano per definizione curare l’aspetto fisico. Non erano uomini da sfilata di moda, e nemmeno da conferenze stampe. – Ferrer, stavamo appunto discutendo di queste lettere con il Dottor Testa. Entra, accomodati. Ce la può mostrare per favore?
Dal borsello estrassi una busta con la fotocopia della lettera anonima arrivata il pomeriggio precedente, l’originale era stato consegnato subito alla scientifica. La aprii e posai il foglio sul tavolo.
ECCO VOI UN DRUIDO
- Questa lettera è arrivata sabato pomeriggio con un francobollo di posta prioritaria al Commissariato Prati, verso le sedici. E’ stata spedita venerdì come riportato sul timbro sul francobollo, ma ne ha preso visione il Dottor Palumbo solo nel pomeriggio di ieri, sfortunatamente. Io ero fuori per una valutazione investigativa alla palestra frequentata dalla vittima. Il mio vice mi ha subito contattato, e insieme siamo venuti a capo dell’enigma. È un anagramma.
Posai il foglio con la stampa sul tavolo.
UCCIDERO DI NUOVO
- A questo punto le ipotesi potevano essere quelle di uno squilibrato che ci avvertiva di voler continuare l’opera, o quella di un mitomane. Abbiamo pensato in ogni caso di proteggere immediatamente le persone vicine alla vittima. Le amiche, il fidanzato, soprattutto quelle che erano iscritte in palestra. Poi non riuscendo a contattare la dottoressa Franzini ci siamo messi in allarme ed abbiamo effettuato un controllo a casa sua. Disgraziatamente era troppo tardi. L’abbiamo trovata sulla porta di casa, aggredita a coltellate e gravemente ferita. È stata operata nella notte, ora è fuori pericolo, per fortuna. Abbiamo in seguito scoperto che anche la dottoressa frequentava lo Sporting Club Tor Di Quinto e verosimilmente seguiva lo stesso programma di preparazione al podismo. Ci sembra quindi esista un collegamento concreto tra le due vittime, ossia la palestra. Dobbiamo indagare a fondo in quest’ambito, quindi sul personale, gli istruttori e sugli altri iscritti allo stesso programma. Sarebbe utile per esempio controllare i telefonini degli iscritti in palestra per valutare quali celle abbiano agganciato il giorno dell’omicidio. Due vittime, entrambe nello stesso corso e nello stesso ambiente. Le coincidenze, come sapete, non esistono in criminologia. . I miei due interlocutori, mentre parlavo, erano rimasti freddini, soprattutto Testa, mentre Lepri prendeva appunti dimostrando almeno un minimo di professionalità. Il PM invece sembrava teso come evidenziato dalle mascelle contratte e dalle minute goccioline di sudore che gli si erano materializzate sulla fronte e sul cranio lucido. Stava evidentemente pensando all’esito infausto della sua
germogliante carriera qualora si fosse trovato con questa indagine a disturbare qualche grosso papavero membro di consorterie varie, che poteva servirsi dei servigi della palestra.
Quando prese la parola, non mi stupii per niente del contenuto del suo discorso. . - Dottor Ferrer, questa lettera anonima sembra uscita dal manuale del perfetto mitomane, perché non fornisce alcuna informazione utile a farci capire che chi l’ha scritta sia stato presente sul luogo del delitto. Potrebbe averla scritta chiunque. Le raccomando cautela in questa sua impostazione investigativa, fino a quando non avremo in mano qualche cosa di concreto; non escluderei il furto degenerato in omicidio e quindi la pista delle badanti mi pare ancora valida, questa lettera non l’esclude, anzi sembra un depistaggio. Lo stesso potrebbe dirsi dell’aggressione alla Franzini, effettuato da chi ci vuole far credere che il marcio è in palestra. Voglio sapere chi convoca e mi riservo di autorizzare o meno l’interrogatorio. Del controllo dei telefonini per ora non se ne parla, mi deve portare qualche elemento concreto e per esempio , a quanto ne so, nessun numero di altri partecipanti al corso oltre di quell’amica, la Signora Giusti, compare sui tabulati della vittima. Quindi questo mi sembra un elemento probante per escludere in questa storia gli iscritti in palestra. Non abbiamo alcun elemento per pensare ad un serial killer e non voglio nemmeno sentir nominare questa parola. Pensi invece a un delitto banale, frutto dei soliti, mediocri moventi. Una rapina, gelosia, ione, raptus. Non lo sa che il crimine non è mai nobile? Indaghi su qualche fidanzato respinto… Dottor Lepri, lei con il filone di indagine sulle badanti a che punto è? Lepri alzò gli occhi dai suoi appunti, si mise nervosamente a posto la cravatta, e impiegò qualche secondo a trovare una posizione più consona. Io da parte mia evitai di fargli notare che chi aveva scritto la lettera non avrebbe mai potuto spedirla dopo la scoperta del cadavere e quindi la prova che non era un mitomane era lampante. Ormai Testa era partito in quarta, avrebbe negato anche l’ovvio, evidentemente.
– Ci stiamo lavorando, una delle due badanti è rumena, l’altra moldava. Una terza si è licenziata due mesi fa ed è tornata in Romania. Stiamo indagando sulle rumene, loro non hanno precedenti e sono in regola con il permesso di soggiorno, ma hanno un entourage complesso, lontani cugini, che vanno e
vengono dalla Romania. La polizia di Bucarest collabora ma ci vorrà del tempo. In più hanno un fiorente commercio di telefonini e tessere intestate a nomi fantasiosi. Per la moldava è ancora più complicato perché in Moldavia troviamo meno collaborazione da parte dei colleghi. -Va bene, ma tenete presente che il tempo che abbiamo non è infinito. Il Procuratore segue con attenzione la vicenda e vorrebbe chiuderla in fretta. Mi raccomando, Dottor Ferrer, prudenza nel muovervi nell’ambiente della palestra, non vogliamo che degli innocenti vengano traumatizzati per una faccenda della quale probabilmente sono all’oscuro, quindi ogni mossa investigativa dovrà essere concordata con me. Non voglio solisti in questa faccenda. È tutto chiaro? Bene. Ora concentriamoci sulla conferenza stampa. Questa lettera non dovrà essere divulgata, sarò inflessibile con le fughe di notizie. D’accordo?
La sola cosa sulla quale mi trovavo d’accordo era quella di segretare la lettera. Per il resto ero disgustato dalle solite politiche di palazzo a cui Testa, immancabilmente, si piegava.
Non vedevo l’ora di andarmene.
La conferenza stampa, effettuata con la principale testate giornaliste nazionali, le agenzie di stampa e i network televisivi, seguì la falsariga di quelle precedenti. Le domande erano rivolte prevalentemente a Testa, che riuscì mirabilmente a mantenere, con giravolte dialettiche, le risposte in un limbo inesplicabile.
Le indagini sono a 360 gradi, stiamo lavorando. La dottoressa Franzini? Aggressione a scopo di rapina o assalto sessuale, l’aggressore si è innervosito, ha colpito poi e scappato spaventato dal trambusto. Nessun legame con l’omicidio Massimi. La dottoressa peraltro ora sta bene. Ora fateci lavorare ci aggiorniamo non appena abbiamo novità. Arrivederci buon lavoro.
Ovviamente la stampa non ci stava e cominciò a tempestarlo di domande, alle quali lui rispondeva esattamente come alla precedente, cambiando i termini ma mantenendo lo stesso identico contenuto: il nulla. Io osservavo divertito, e mentre impazzava il fuoco di fila di domande per lo più circostanziate e risposte vaghe e inutili, notai appoggiata alla parete, in disparte, Luisa Casta. Indossava un vestito leggero che le lasciava scoperte una buona parte delle gambe, abbronzatissime. Portava come sempre i lunghi capelli corvini raccolti in una treccia che gli arrivava quasi al seno. Era decisamente un bel vedere, ma la cosa che mi divertì fu il suo sguardo di commiserazione nei confronti di quella pantomima. Da vecchia volpe aveva capito che i suoi colleghi stavano sbattendo contro un muro di gomma e saggiamente si asteneva da quella lotta senza scopo. Mi guardò e mi fece un cenno. Mi avrebbe atteso fuori, fresca e combattiva. Il problema era che in quel momento ne avrei fatto volentieri a meno. Quindi avrei dovuto fuggire prima di essere accalappiato dalla mia cronista di nera preferita. Mi diedi anche la giustificazione che alla bella dottoressa Franzini non sarebbe andato giù che io mi fossi appartato, seppur per motivi innocenti, con una donna giovane e bella. Per cui allo sciogliete le righe della erella di Testa, dopo un cenno di saluto ai due sgattaiolai fuori approfittando della ressa, mi infilai nel primo ascensore libero e raggiunsi rapidamente il parcheggio sotterraneo. Il cellulare squillò mentre stavo percorrendo il lungotevere diretto in ospedale. Controllai il display. Erano le tredici e trenta.
Luisa Casta.
Puntuale come una bolletta. Risposi perché mi sentivo in colpa, in fondo anche lei stava lavorando.
– Pronto.
-Mio bel commissario, perché mi eviti come una appestata? Sei il solo uomo che mi sfugge, in genere i maschi mi si appiccicano come una perla all’ostrica. Che debbo fare con te? Ma non hai visto che poco fa in conferenza stampa non avevo
occhi che per te? ? – I tuoi complimenti e la tua adulazione non attaccano, mia affascinante Luisa. So bene che sei una vedova nera in attesa di colpire. Il tuo interesse per me è solo legato alle informazioni sul caso che vuoi estorcermi e che io mi guardo bene dal darti. Quindi evita di cospargermi di miele. Non ho nulla da aggiungere a quanto detto da Testa in conferenza stampa. . – Vice questore aggiunto, ma quella lei la chiama conferenza stampa? È stata una presa per i fondelli. E lo sa perché è andata avanti così tanto? Perché i miei colleghi giornalisti erano tutti giovani alle prime armi e ancora entusiasti, perché siamo a ferragosto e i volponi della cronaca sono tutti in ferie. Io sono un’eccezione perché, come dovresti sapere, mi piacciono le ferie fuori dalla ressa, settembre o giugno. Altrimenti il tuo PM alla seconda risposta avrebbe parlato al muro, ce ne saremmo andati tutti. Non ci facciamo prendere in giro da un magistrato al primo incarico. Ma vedo che anche tu ti sei uniformato alle indicazioni della Procura, quindi per ora non insisto.
-Ecco, brava, non insistere. Io mi uniformo alla mia coscienza, non al magistrato. Lo sai che queste stronzate mi danno sui nervi, qua è tutta una mascherata. Comunque io ti penso, mia affascinante amica, e appena potrò ti farò fare un tale scoop che stavolta mi diventi redattore capo. Una cosa tipo il nome dell’assassino sparato su nove colonne. Nel frattempo comunque attingete alla fantasia, i lettori a ferragosto spalmati sotto l’ombrellone sono di bocca buona, potete sempre scrivete le solite banalità ad effetto, che so.. il delitto della vasca da bagno è ancora insoluto… oppure sangue a ferragosto… tanto per questo periodo dell’anno una spruzzata di macabro va sempre bene. Vedi tu, arrangiati. E buon ferragosto. . – Ciao commissario, porta i miei saluti alla tua bella dottoressa.
Non lo avrei ovviamente fatto, pensai quando chiusi la
comunicazione.
-Dottore qui è tutto tranquillo, nessun problema. Ho fatto come da protocollo
rapporto al Dottor Palumbo ogni cinque ore circa.
Dell’agente di guardia fuori dal Centro di Rianimazione dell’Ospedale San Giovanni non ricordavo assolutamente il nome.
- Va bene continua così, io provo ad entrare.
Suonai alla porta, mi qualificai e chiesi di parlare con un medico. Dopo circa un minuto mi trovai davanti una dottoressa sui cinquanta, in casacca azzurra con la scritta Anaesthetist Team
Salve, sono la dottoressa De Marinis, lei è qui per la collega operata d’urgenza ieri notte? ? –Sì, sono il commissario Ferrer, responsabile dell’indagine. Vorrei sapere come sta e se è in condizioni di parlare.
-È ancora sedata, quindi non può parlare. Le condizioni sono stabili, comunque, e il decorso post operatorio è normale. Si metta calzari e mascherina, può entrare e vederla qualche minuto.
I dieci letti nel grande stanzone erano separati tra loro da alcuni metri di spazio e circondati da numerosi monitor. Lei era nel secondo letto, vestita solo con un camice verde di carta, i capelli coperti da una cuffia, gli occhi chiusi, il respiro regolare e spontaneo. Rimasi ad osservarla, il volto nella tranquillità del sonno artificiale era sereno; solo le occhiaie che spiccavano sull’incarnato pallido evidenziavano la sofferenza di quelle ultime ore. Cercai di reprimere il groppo alla gola, mi avvicinai e tenni stretta la sua mano sinistra. Rimasi a guardarla senza pensare a nulla, per un lungo momento. Poi le sfiorai la guancia ed uscii dalla stanza senza guardarmi indietro.
L’insegna del bar sul lungo viale alberato colpiva come un’oasi in un deserto. Erano le due ate e la mia gastrite inviava segni inequivocabili: era il momento di uno spuntino. Dentro di me un senso di rabbia e di impotenza avevano sostituito emozione e angoscia, e mi rendevo conto che avrei dovuto lavorare sul mio inconscio per cercare di rimanere equilibrato. Entrai nel locale, semideserto a quell’ora, ordinai un panino al prosciutto e un succo di frutta e mi avvicinai al juke-box, un residuato anni settanta, curiosando tra i titoli. Non trovai niente che stimolasse la mia fantasia, solo canzoni di moda quell’estate. Trovai posto a un tavolino sorseggiando il succo di arancia e addentando il panino al prosciutto con l’intenzione di demolirlo in tempi brevi. Mentre mangiavo, controllai l’ambiente, una sorta di deformazione professionale da sbirro, evidentemente.
Nel bar pochi clienti, al bancone un paio di ragazzi che sorseggiavano una bevanda lattiginosa, mentre leggevano un giornale sportivo. Il mio sguardo si soffermò distrattamente sul bancone, sui bicchieri e sulla bottiglia su di esso appoggiate. Mentre assaporavo il succo di frutta, fui colpito dall’etichetta
LATTE DI MANDORLA
Mi bloccai con il bicchiere a mezz’aria, e come un raggio di sole illumina il buio, il particolare che mi inseguiva e che non riuscivo a focalizzare mi giunse finalmente in mente, come un tappo di sughero esce dall’acqua spinto da una forza invisibile. La mia memoria fotografica fece finalmente i collegamenti giusti, rividi l’armadietto di Beatrice, la presenza di una confezione di olio di Mandorle accanto ad una di olio di Argan, stesse cose viste e immagazzinate in un recesso della memoria quando le avevo trovate nel bagno di Paola. La mia mente mi aveva mandato un input che mi aveva reso inquieto. Era un collegamento tra i due casi, una coincidenza. Quelle che in criminologia non esistono. Dovevo sviluppare quel particolare, trovare una spiegazione. Finii rapidamente il panino e poco dopo in macchina, digitai il numero di Palumbo.
Le cose si erano messe in moto, finalmente. . - Salve capo
- Hai un computer tra le mani ?
- Si… che cosa devo cercare?
- Vai su Google e cercami olio di Argan scritto Ancona-Roma-Genova-AnconaNapoli, come il professore di storia dell’arte ex sindaco di Roma. . - Mai sentito capo ma conosco un pregiudicato detto Arganetto perché alza due quintali solo a braccia.. - Non fare lo spiritoso. Ascolta ho trovato sia sulla prima scena del crimine che a casa di Paola olio di Argan e di mandorle, voglio sapere a cosa servono. - Ma non c’è bisogno di andare su Google… glielo dico io a cosa servono. Con quello che spendo in questi olii per mia moglie…
- Palù e allora dimmelo, a che cazzo servono?
- A fare massaggi servono, pare che rendano la pelle fresca e lucente perché hanno proprietà antiossidanti, insomma quelle stronzate da donna buone solo a farti spendere soldi. - Massaggi? Vuoi dire che lo utilizzavano per massaggiarsi le cosce e la pancia? ? - Si. Come ho sempre saputo, lei in criminologia è un capo stratosferico, ma in cose da donne è ancora all’età della pietra.. si insomma , una chiavica sempre rispettosamente. aspetti sono su Google. Ecco: l’olio di Argan deriva da un albero che si chiama Argania Spinosa, dai noccioli non tostati di questa pianta si ricava un olio cosmetico mentre da quelli tostati viene estratto un olio alimentare. Qui dice che da cento chili di nocciole ricavano un litro d’olio. Quindi la resa è minima e questo lo rende molto raro e costoso, e viene tutto esportato.
- Esportato? Perchè dove cresce quest’ albero?
- Solo in Marocco, precisamente in una zona nel sud ovest. – Ma il massaggiatore della palestra non è del Marocco? - Sì capo, si chiama… aspetti… sì, Arthour Moudani.
- Questa è un’altra coincidenza. Perchè sia Beatrice che Paola avevano in casa un olio per massaggi? In genere per quel che ne sappiamo, ce lo ha detto Fiammetta e anche il coordinatore, Benny Martelli, Beatrice andava a farsi massaggiare dopo la seduta di corsa, in palestra. - Forse si facevano fare anche massaggi a domicilio, o forse si massaggiavano da sole, lo fanno tutte, anche mia moglie.
- Sì è una possibilità. Ma forse Moudani andava a fare massaggi anche a domicilio. Senti, contatta quel Martelli e chiedigli se a lui risulta una cosa del genere. Richiamami subito. Chiusa la comunicazione con il mio vice, mi concentrai su questo nuovo aspetto dell’indagine e sul suo significato. Era stata un falla e un errore da parte mia. Moudani andava interrogato subito era stata una svista imperdonabile. Il cellulare squillò in quel momento. - Capo, Martelli mi ha detto che Moudani era uso fare massaggi anche a domicilio e che sicuramente era andato a casa di Beatrice. Ricorda anche la dottoressa, ma non è cosi sicuro del fatto che sia andato anche a casa sua. Di Beatrice è sicuro, ha assistito alla volta che ne hanno parlato e che si sono accordati.
- Quindi Moudani sapeva dove viveva Beatrice, e quindi possiamo immaginare che abbia saputo anche dove abitava il padre, se si era fissato con questa donna potrebbe averla seguita. Non è nemmeno da escludere che abbia fatto lo stesso con Paola Franzini. Senti, ora questo me lo prelevi e me lo porti in commissariato. Io chiamo Testa, mi faccio firmare il mandato di perquisizione, te lo faccio mandare subito via fax. Andate tu, la Durante, Pino Borghi e due agenti. Mi raccomando. Massima cautela. Ci vediamo in commissariato. Buona caccia. . - Va bene capo, appena abbiamo il fax ci muoviamo. Glielo portiamo
confezione regalo questo tipo, impacchettato per bene.
DICIASSETTE
Località Due Ponti. Moudani. Fioriera di coccio.
Il vice commissario Palumbo attese pazientemente che tutte le scartoffie col timbro della procura uscissero dal fax, li contò, controllò i dati e mise tutto in una cartellina. Si era vestito elegante, come sempre, giacca azzurra di cotone, fazzoletto al taschino, camicia bianca e cravatta rossa, tutto tessuto estivo anche se il vecchio condizionatore che mugolava e latrava in cima alla parete svolgeva il suo compito dignitosamente. A completare il quadro, una sigaretta pendula al lato della bocca. Stava disperatamente cercando di smettere di fumare ma quando era impegnato in una missione operativa, di pari o con la crescita di tensione e nervosismo, non sapeva rinunciare alle sue amate sigarette si, le Gauloises. Seduti di fronte a lui, Pino Borghi e Anna Durante lo osservavano con uno sguardo divertito. . – Scusa, ma nemmeno quando andiamo in azione ti togli quella divisa da camorrista? Il cranio lucido dell’ ispettore, nonostante il clima semiglaciale, era imperlato di goccioline lucide. – Negativo ispettore, è proprio quando vado in azione che mi piace vestirmi bene. Se qualche cosa va storto, voglio morire elegante. Me lo diceva mio nonno, e mi è rimasta questa filosofia. Poi scusa Pino, non vorrei infierire, ma se provassi a vestirti decentemente anche tu saresti non male, mentre adesso, senza offesa..
– Perché, che aspetto ho?
- Diciamo che non vorrei incontrarti in un vicolo buio in una notte di pioggia. Invece vestito carino faresti la tua figura, te lo assicuro. . - Scusa Palumbo, ci spieghi che cosa dobbiamo fare esattamente? – intervenne la Durante.
- Andiamo a prenderci il marocchino, quel Moudani, il massaggiatore della palestra. Probabilmente era stato a casa delle vittime e quindi sapeva dove abitavano. Forse non c’entra nulla, ma al momento non abbiamo altro in mano. È vero che Beatrice è stata assassinata non nel suo appartamento ma in quello del padre, però a questo punto dobbiamo presumere che possa averla seguita, e anche che si sia impossessato delle chiavi per farne una copia. Abbiamo anche il mandato per perquisire l’appartamento. Il Capo dice di fare attenzione, ci portiamo un paio di giubbotti, andiamo noi e gli agenti Pistilli e Nicotra. Abita a Due Ponti, qui vicino, ma direi di muoverci, visto che sono quasi le quattro.
Al civico 1267 di via Due Ponti corrispondeva una palazzina di quattro piani con qualche pretesa di eleganza, circondata da un cortile con aiuole e qualche albero. Parcheggiate le macchine, una Alfetta e una Marea che avevano visto tempi migliori, uscirono tutti sudatissimi dagli abitacoli roventi. Restarono in silenzio, e con un cenno di intesa indossarono i giubbotti antiproiettili presi dal cofano delle auto e le casacche con la scritta Polizia. Palumbo con un cenno diede indicazione all’agente Nicotra di rimanere vicino alle auto, non prima di essersi accertato con un rapido sguardo che la zona fosse sgombra. Anche il villino era tranquillo: quasi tutte le serrande erano abbassate e sembrava del tutto disabitato.
Si avvicinarono al citofono dove erano segnati solo i numeri degli appartamenti, non i nomi. L’interno otto però recava la scritta: STUDIO MASSAGGI.
Palumbo estrasse dalla tasca della giacca un astuccio di pelle con numerosi grimaldelli, controllò il tipo di serratura, e dopo averne scelto uno cominciò ad armeggiare con noncuranza. Ci mise una trentina di secondi, poi un clic annunciò l’apertura del portone. – Accidenti, Palumbo, hai un futuro da ladro assicurato – scherzò Borghi. . - Pure questo ho fatto da giovane, Pino. Adesso silenzio, entriamo, io davanti. . Salirono tre rampe di scale senza incontrare anima viva. Sul pianerottolo dell’ultimo piano si aprivano due porte, l’interno otto era quello di sinistra. Palumbo e Anna si disposero ai lati della porta, mentre Pino e Pistilli rimasero qualche metro indietro, a protezione.
Anna spinse il pulsante del camlo, facendo risuonare un din-don sommesso. Scalpiccio di i dall’interno, prima della voce, incerta e affievolita. - Chi è?
- Il Signor Moudani ?
- Sono io… chi è?
- Polizia, sono il vicecommissario Palumbo del commissariato Prati, vorremmo parlare qualche minuto con lei.
- Polizia? Di che si tratta?
Il tono della voce si era alzato di almeno un tono. - Se ci apre glielo spieghiamo. È un semplice controllo, non si preoccupi. . - Va bene, un attimo solo.
Si aprì il piccolo spazio lasciato libero dalla catenella. Un paio di occhi scuri comparvero al di la della porta.
-Posso vedere le vostre credenziali, prego ?
Con un sospiro Palumbo prese il tesserino e lo tenne alto davanti a sé. . - Non riesco a leggere, è buio. Vi dispiace accendere la luce sulle scale? C’è un
interruttore sotto il camlo.
Anna spinse il pulsante e il pianerottolo si ammantò di una fredda luce al neon. . - Signor Moudani, qui ci facciamo notte.
- Un attimo prego, è mio diritto controllare.
- Controlli pure, ma tenga presente che anche noi conosciamo i nostri diritti ribatté Pino che era notoriamente di maniere spicce e di scarsa pazienza, dalle retrovie di quella improvvisata carovana - E se non ci apre tra dieci secondi apriamo noi. . - Certo, scusate. Entrate pure.
Dopo aver sganciato la catenella, spalancò la porta. L’uomo che comparve sull’uscio era alto, sul metro e novanta, molto magro, capelli scuri corti, spruzzati qua e là di bianco, di una età indefinibile, e con un paio di baffi a incorniciare un volto serio, quasi severo, e grandi mani. Palumbo pensò che la definizione di uomo dalle grandi mani era appropriata per quell’individuo. Indossava un paio di pantaloni di tela rossa e una camicia colorata e ai piedi un paio di scarpe da ginnastica. Entrarono tutti in casa, lasciando l’agente sulla porta secondo una loro procedura ormai consolidata. . - Che vuole la polizia da me?
- Mister, si sieda e se ne stia tranquillo qui con il collega, mentre noi diamo un’occhiata in giro. Borghi e Palumbo ispezionarono rapidamente l’appartamento di tre piccoli vani, di cui uno adibito a studio e zona massaggi, un bagno, un balcone con una porta finestra, che non riservarono sorprese. Oltre a Moudani, non c’era nessuno in casa. . Tornati nel vestibolo, Palumbo estrasse il plico dalla tasca interna della giacca.
- Signor Moudani, abbiamo un mandato di perquisizione firmato dal Sostituto Procuratore Eraldo Testa. Prego, ne può prendere visione. . - Ma cos’è questa storia, di cosa sono accusato?
- Ne parleremo dopo, ora la preghiamo di rimanere seduto a fare compagnia all’agente Pistilli mentre noi procediamo con la perquisizione.
Indossati i guanti, si introdussero nelle stanze verificando il contenuto di armadi e cassetti. Pino Borghi si diresse direttamente in bagno a controllare lo sciacquone. Deformazione professionale di quando lavorava alla narcotici perché quello era il posto preferito dagli spacciatori, un classico. Nella camera da letto Palumbo trovò un computer, lo prese e lo mise in una busta. . – Ispettore, guardi qui cosa ho trovato. Era nel cassetto sotto al lavabo. . Pino comparve sull’uscio visibilmente eccitato con in mano uno straccio aperto nel quale era depositato un pugnale con una lama tagliente, sottile e con un manico di madreperla. – Pino, che culo!
No, non è culo ma arte della perquisizione. Mi sa che chiudiamo il sipario su questo bastardo di marocchino. Mi ci gioco le palle che è l’arma del delitto. . – Ne ha tutta l’aria. Ce lo dirà la scientifica, comunque ora ce lo portiamo in sede e ce lo lavoriamo per bene, tu e Anna continuate la perquisizione, io avverto il capo. Palumbo prese il telefonino e compose il numero di Ferrer. – Capo, caccia grossa, abbiamo trovato un pugnale avvolto in uno straccio, ha tutta l’aria di essere l’arma del delitto. Si.. ce lo portiamo subito in commissariato… a tra poco! Quello che successe immediatamente dopo avvenne molto in fretta. -
-Pugnale? Quale pugnale? Io non ho nessun pugnale! Arthur Moudani improvvisamente si alzò e dall’alto del suo metro e novanta e delle sue enormi mani spinse l’agente Pistilli il quale, preso alla sprovvista ed investito dalla forza di quell’uomo disperato cadde pesantemente sulla schiena, colpendo con la testa un tavolino di marmo e rimanendo stordito per pochi attimi. Questo offrì all’uomo il tempo necessario per lanciarsi verso la finestra dello studio, distante
tre-quattro metri dal piccolo atrio, ed aprirla rapidamente. Furono tutti colti di sorpresa, Palumbo al telefono, Pino Borghi e Anna Durante impegnati ad osservare il pugnale appena ritrovato, ed anche appesantiti nei movimenti dai giubbotti, l’agente Pistilli in terra ancora stordito. Aperta la finestra, Moudani uscì sul piccolo balcone, scavalcò la ringhiera, si aggrappò saldamente con le mani ad essa e si fece scivolare sul balcone del piano sottostante.
L’azione non durò più di più di pochi secondi, e quando Palumbo e gli altri si lanciarono a loro volta verso la finestra, Moudani era già sul balcone del piano inferiore e stava per mettere in atto la stessa manovra per scendere ancora di un piano. La sua mano sinistra, sudata e scivolosa, perse la presa della ringhiera, che era ricoperta da un amano di plastica liscia. Con il peso del corpo tutto sulla mano destra, cercò un disperato appoggio alla cieca con il piede destro. Riuscì a trovare un appiglio, un vaso di fiori che però non resse il peso del corpo dell’uomo e cedette di schianto. La mano perse anch’essa la presa e l’uomo precipitò da un’altezza di otto metri. Durante la caduta, giunto in corrispondenza del primo piano, con la testa batté su una fioriera di coccio. Il collo modificò il proprio angolo rispetto al corpo, provocando la frattura della prima vertebra cervicale e una lesione alta del midollo cervicale. Morì dopo pochi secondi essere atterrato sul cespuglio dell’aiuola.
DICIOTTO
Pianerottolo. Il killer era mancino.
Parcheggiai dietro le volanti, mentre le prime ombre della sera stavano scendendo sul condominio di Via Due Ponti, che ora brulicava di uomini della Mobile e giornalisti regolarmente affollati dietro la fettuccia gialla e tenuti a bada da un agente. Al di là del nastro, su un’aiuola dismessa, spiccava il lenzuolo che ricopriva il corpo di Arthur Moudani, mentre tutto intorno gli agenti della scientifica, con le loro tute bianche, erano al lavoro. Tra i giornalisti riconobbi alcune figure note, tra le quali Luisa Casta. Mentre tutti erano
impegnati a fotografare e a filmare con i telefonini il corpo della vittima, mi infilai nel portone senza che nessuno si accorgesse della mia presenza. Raggiunsi il quarto piano ed entrai nell’appartamento. Nel piccolo atrio, appena superata la porta d’ingresso, la temperatura era insopportabile, ben al di sopra dei quaranta gradi. Seduto su uno sgabello Lepri, in maniche di camicia e con una larga chiazza di sudore sotto le ascelle, si sventolava con una cartellina.
-Ferrè, mi sa che ti debbo fare i complimenti, hai visto giusto. Mi sembra tutto chiaro, il tipo ha ammazzato la Massimi e ha ferito la Franzini, vai a capire il motivo, vistosi scoperto ha tentato una fuga, però poi è scivolato e si è schiantato. I tuoi non potevano farci nulla. Certo lo avrebbero potuto ammanettare ma non gli darei la croce addosso, sembrava un controllo di routine. Gli indizi erano deboli, non potevano immaginare di incappare in un uomo che, vistosi scoperto, ha compiuto un gesto da disperato. Ho portato in procura tutti per le deposizioni. Testa li deve ascoltare separatamente, è stato aperto un procedimento contro ignoti, la solita solfa. Vedrai che si archivia tutto rapidamente. Il questore li ha mandati in ferie tutti e quattro, il tuo vice, i due ispettori e l’agente che era con loro, ma solo ma per due giorni, vedrai che domani è tutto risolto. . - Già, speriamo che la scientifica si sbrighi con il DNA di quel pugnale. Certo che un finale simile non è il massimo della vita per un investigatore. Non sapremo mai un cazzo di niente. - Lo sai meglio di me che i moventi spesso sono poco nobili. Questo è rimasto abbagliato dalla bellezza, dalla classe e dall’agiatezza di quelle donne e qualche rotella si è fusa, magari si è fatto avanti, loro lo hanno mandato a quel paese e minacciato di denunciarlo, vai a capire. Comunque abbiamo il coltello, se come pensiamo è quella l’arma del delitto, inutile farsi ancora seghe mentali su quello che può essere stato il movente. Caso chiuso, morto, seppellito. – Bene, allora me ne potrò andare in ferie, finalmente. Però questa storia mi farà rimanere completamente a corto di uomini, visto che ho perso il mio vice e due ispettori in un colpo solo. Mi è rimasto De Felici ma non posso chiedergli di installarsi in commissariato per due giorni. - E che problema c’è? Te ne presto uno io, finché questo bordello non si placa. Poi verrà quel commissario dall’ufficio aporti a sostituirti, così te ne puoi andare in vacanza pure tu, e magari pure io che qui sto scoppiando dal caldo. A me d’estate mi sale la pressione, mi fa male la testa e mi girano le palle.
-Va bene, grazie Lepri. Io me vado, tanto qui ci siete voi e non ho niente da fare. Me ne torno in commissariato a organizzare i turni.
- Ciao Ferrè, e stammi bene, domani mattina ti mando un ispettore.
Uscii da quel forno crematorio, ridiscesi le scale, dove l’aria un minimo circolava ed uscii dal villino. Prima di andare via volevo però dare un occhiata all’uomo che giaceva morto su quell’aiuola sotto il lenzuolo. Mi infilai con noncuranza nel gruppo di giornalisti, feci finta di non riconoscere Luisa, evitai di rispondere alla raffica di domande che partirono dal gruppone assiepato al di qua del nastro, scivolai al di sotto della fettuccia gialla e mi chinai accanto al lenzuolo. I flashes dei telefonini dei rappresentanti della carta stampata imperversavano, immortalando il Vice Questore aggiunto Ferrer per gli amici Ferrè e da qualche malalingua Fernet nell’atto di sollevare il lenzuolo dell’omicida, a sua volta defunto. Niente male come prima pagina ,obiettivamente.
Facendomi luce con il telefonino fissai Arthur Moudani che mi guardava con i suoi occhi aperti, neri come la pece, il collo piegato in un angolo innaturale. Rimasi un lungo istante ad osservare quel volto, pensando al mistero di quell’uomo e al segreto che si era portato con sé.
Nonostante tutto non potei fare a meno di provare pena per quell’individuo. La morte cancella tutto, sempre, colpe e peccati, e qualunque siano stati ora quell’uomo aveva pagato. Sfracellato su un cortile, da solo, a duemila km dalla sua terra e dai suoi affetti. Forse non avrei dovuto delegare quella operazione ai miei uomini, anche se probabilmente la mia presenza non avrebbe cambiato il destino di quell’uomo. Non era il caso di sobbarcarmi un altro senso di colpa, in quell’indagine ne avevo già troppi. Lanciai un ultimo sguardo a Moudani, quasi volessi imprimermi nella coscienza quei lineamenti deturpati dalla morte, lo ricoprii con il lenzuolo. Ora veramente non avevo più nulla da fare. Era giunto il momento di dedicarmi all’altro, gigantesco, senso di colpa. Quello che giaceva
in un letto d’ospedale.
La dottoressa che venne ad aprire la porta della Rianimazione era la stessa della volta precedente. – Buongiorno commissario. Buone notizie, la collega si è svegliata già da qualche ora, le cose procedono per il meglio bene e domani mattina la trasferiamo in reparto. Può entrare, mi raccomando calzari mascherina e copri-capelli. Ma solo per pochi minuti. . Entrato nella grande sala, mi diressi verso il suo letto. Mentre mi avvicinavo la osservai attentamente. Il viso era rilassato, non c’erano segni di sofferenza. Aveva i capelli raccolti in una treccia e indossava il classico camice verde. Aveva gli occhi socchiusi e non si era accorta di me. – Ciao.
Al suono della mia voce sussultò lievemente, aprì gli occhi e si voltò. I nostri sguardi si incrociarono, e mi parve di notare una luce diversa nei suoi occhi.
- Marco, che fai qui? Non voglio che tu mi veda così…
la sua voce era un sussurro. . Mi avvicinai ancora, le presi la mano. Sentii la sua stretta forte, quasi disperata. . - Veramente ti ho vista anche peggio, ma tu non te ne sei accorta, eri piena di morfina. . –Oddio, ma da quanto tempo sono qui... . Da ieri sera. Come ti senti?
-Non lo so come mi sento. Fisicamente uno straccio, mi fa male tutto, mi tirano i punti, mi gira anche la stanza. La gola mi brucia. Il catetere pure. Moralmente poi, mi sento come una che doveva stare su una spiaggia in Costa Smeralda e invece se ne sta in ospedale, perchè hanno appena provato a sbudellarla.
– Guarda l’aspetto positivo della faccenda. Sei viva e tra un po’ ci starai, su una
spiaggia. E poi ci sono io.
- Ecco, appunto, avevo dimenticato te. Non è che porti sfiga, commissario? Da quando ti ho incontrato mi è successo di tutto… Dai, scusa, non te lo meriti. Però sono incazzata e me la debbo pur prendere con qualcuno.
-Va bene, ti farò da capro espiatorio, si vede che con te debbo espiare ancora molto. Dimmi ancora per quanto, però, non vorrei farlo per il resto dei miei anni.
-Va bene, basta. Non ti crocifiggerò più. Promesso commissario.
- Ti prendo in parola allora. Senti, scusa ma te lo debbo chiedere, cosa è successo? Ricordi nulla?
- Stavo rientrando a casa in taxi, ricordo il buio nella strada, i lampioni tutti fuori uso. Ho pensato fosse una stranezza ma non ci ho fatto caso più di tanto, anche perché la luce della scala funzionava perfettamente. Arrivata di fronte la porta di casa, sul pianerottolo, le chiavi in mano, stavo per aprire, quando ho avvertito una presenza alle mie spalle. Non so perché, avrò sentito un fruscio, un rumore, forse, ma sapevo di non essere sola. Non ho fatto in tempo a voltarmi, ho sentito una mano sulla bocca e poi un dolore intenso sul fianco sinistro, un fiotto caldo di sangue. Poi i ricordi si stemperano, debbo essere svenuta. Mi sono risvegliata qui, un paio d’ore fa. - Ascoltami, la mano che ti ha chiuso la bocca era la destra vero? E sei stata colpita con la sinistra? - Ora che mi ci fai pensare credo di sì, ricordo perfettamente il braccio destro di chi mi stava aggredendo sulla mia spalla destra, e il braccio sinistro che mi colpiva. Teneva il coltello con la mano sinistra quindi credo sia mancino. Prima di perdere conoscenza credo di averti pure sognato, ricordo confusamente delle voci ed una di quelle mi sembrava la tua. . - Non hai sognato, ero io.
– Tu? Ma come facevi ad essere lì?
- Lunga storia, ora non ci pensare, è tutto finito, cerca solo di rimetterti. Avremo tempo per parlare.
- Allora mi hai salvato la vita, commissario. Con la milza frantumata da una pugnalata in genere si muore di shock emorragico, e rapidamente. Se sono arrivata in tempo in sala operatoria vuol dire che qualcuno è arrivato presto, molto presto. Altrimenti non sarei qui a parlare con te. - Sono stati gli agenti del 113 a salvarti, io li ho solo allertati e fatti arrivare da te. Non riuscivo a parlarti, avevi sempre il telefono staccato, da me non c’eri e mi è fortunatamente venuto in mente di controllare casa tua. Io non sarei arrivato rapidamente a allora mi è venuto in mente di allertare il 113 e inviare una volante. Debbo dire che gli agenti sono stati bravissimi. Il 118 è arrivato subito, e ti hanno portato in tempo in sala operatoria.-
Chiuse gli occhi, rimanendo in silenzio. La lasciai tranquilla, continuando a tenerle stretta la mano. Quando parlò ancora, lo fece mantenendo gli occhi chiusi.
– Debbo fuggire da te, commissario. Da quando ti ho rivisto ho avuto solo guai. . Preferisco le mie notti da single, abbracciata al cuscino. Comunque ieri dopo che ci siamo sentiti sono rimasta a casa, ho messo in ordine le tue cose, mi sono inebriata con i tuoi odori, ho ciondolato, mi sono immaginata di stare ancora una volta con te, in quella casa e mi sono trastullata con i ricordi. Ero confusa, non sapevo cosa fare, andar via sarebbe stato un altro distacco, non lo avrei sopportato. La testa mi diceva di partire, di volare in Sardegna, ma qualcosa mi frenava. Ero in bilico, assolutamente incerta. Allora ho deciso di fare un giro per il quartiere, sono uscita verso le diciannove e trenta, ho camminato preso un caffè visitato negozi sono ata in libreria. E ho deciso che non volevo
staccarmi da te. Quindi sarei andata a prendere qualche vestito a casa. Avrei voluto che tu mi avessi trovata, non appena rientrato. Una voglia forte di normalità, Marco. Non mi andava di partire, avrei ato ferragosto con te, sul tuo letto a leggere, mi ero anche rifornita di libri. A cena saremmo andati allo Zodiaco, ti avrei anche fatto giocare in casa. Ero cosi felice. Avevo deciso di telefonare alle mie due amiche in Sardegna per avvertirle che non sarei partita, ma avevo il telefonino con la batteria scarica, ieri sera avevo dimenticato il carica-batterie. - Adesso non parlare, dai, non stancarti, mi racconterai tutto con calma. . – Strano, mi sento anche su di giri… deve essere l’effetto euforizzante della morfina. Però al contempo mi si chiudono gli occhi. Marco, lo hai arrestato? - Sì lo abbiamo preso, ma ora non ti dico nulla. Prima rimettiti. - Va bene. Ora però vai, ho davvero bisogno di dormire.. Rimasi ad osservarla finché non sentii la presa della sua mano perdere di intensità e il respiro diventare regolare. La guardai un’ultima volta, prima di alzarmi ed andare via da lei.
DICIANNOVE
12 agosto. Martedi
L’autopsia. Cannabinoidi. Conferenza stampa. Cioccolatini
Il cornetto alla marmellata caldo al punto giusto e il cappuccino che la ragazza, fossette, occhi azzurri e un bel sorriso, mi mise davanti quella mattina erano decisamente il miglior viatico per iniziare la giornata, che sarebbe stata caratterizzata dalle solite rotture di palle che in genere accompagnavano la fine di una inchiesta, cioè chiacchiere, giornalisti e paroloni elogiativi vuoti come le tasche di un clochard. La notte era stata decente, un sonno ristoratore, ed il risveglio non era stato provocato da usignoli cinguettanti, ma dal meno poetico camion della nettezza urbana che svuotava i cassonetti in via Panisperna. Poco male, le ferie finalmente si avvicinavano e allora di uccellini cinguettanti ne avrei avuto in abbondanza. E, sinceramente, non vedevo l’ora di staccare la spina. Prima però dovevo far are quella giornata e le incombenze che mi
attendevano. Prima fra tutte recuperare i miei uomini dalle grinfie di Testa. Appena salito in macchina feci il primo tentativo. . - Commissario, il dottor Testa ancora non è in ufficio, stanotte ha lavorato fino alle tre. Dovrà essere qui verso le undici. Richiami verso quell’ora. Arrivederci. Non che non me lo aspettassi, ma un tentativo andava fatto. Sapevo benissimo che i magistrati se lavorano fino a tardi si alzano di conseguenza, e quindi la cosa migliore da fare era installarsi in ufficio, in attesa che Testa decidesse cosa fare del mio vice e dei miei ispettori.
Il pensiero che in quel momento poteva starsene abbracciato ad Eleonora mi sfiorò ma non mi fece nessun effetto. Meglio cosi, un problema di meno. In ufficio quella mattina trovai già operativo l’ispettore che mi aveva mandato Lepri, e appena arrivato mi immersi nella lettura dei quotidiani che trovai come al solito sulla mia scrivania.
Le notizie sulla morte di Moudani e sulla soluzione del caso Massimi campeggiavano in prima pagina su tutti i quotidiani nazionali. Alcuni riportavano la foto di Lepri, mentre il giornale di Luisa Casta immortalava il sottoscritto nell’atto di scoprire il lenzuolo che copriva il corpo del marocchino. Dando una rapida letta agli articoli, il merito della soluzione del caso era tutto della Mobile, e la cosa non mi dispiaceva. Nel guardare la foto mi Lepri mi venne in mente di chiamarlo, ero anche curioso di sapere se la scientifica aveva completato gli accertamenti tecnici.
– Ciao Lepri, volevo ringraziarti ancora per l’ispettore che mi hai mandato. Ci sono novità? - Ferrè, ma lo sai che stavo per chiamarti? Ci sono grosse novità, altrochè. La scientifica ha lavorato tutta la notte, il questore e il magistrato hanno messo il classico pepe al culo a Forte. Dunque, il pugnale trovato dal marocchino è l’arma del delitto Massimi. Tracce di sangue della vittima sulla lama, trovate anche se era stata lavata, e corrispondenza assoluta con il DNA della povera Beatrice.
Altre tracce di DNA non ne sono state trovate perché il pugnale è stato pulito, quindi piccole tracce di cellule e sudore non sono state repertate, mentre per una maggiore quantità di sangue è stato possibile risalire al profilo genetico, appunto il DNA di Beatrice Massimi.
Per l’aggressione Franzini ci stanno ancora lavorando, la scientifica è ata a prendere un campione di saliva alla dottoressa in ospedale, quindi la risposta la avremmo tra qualche ora, ma intanto godiamoci questo successo. Abbiamo l’arma del delitto, che incastra il Moudani senza alcun dubbio. Si è visto perduto, ha provato a scappare e si è sfracellato. Fine della storia. Ho avvertito Testa sul telefonino. A proposito, con i tuoi uomini tutto a posto, Testa archivierà, aspetta solo per prassi l’autopsia del marocchino, che ci sarà stamane. Lasciali in ferie ancora oggi e domani rimettili sotto. A proposito, oggi facciamo una conferenza stampa, alle quattordici in questura, sei invitato. E comunque, bravo, si può dire che sia stata una tua intuizione a risolvere il caso. Ci vediamo più tardi Ferrè, stammi bene.
Chiusa la comunicazione, rimasi seduto ad osservare la parete di fronte. Dunque Artour Moudani, il massaggiatore, aveva assassinato Beatrice. Gli avevamo trovato a casa l’arma del delitto, che volevo di più? Su Paola avremmo avuto la conferma a breve, ma dentro di me sapevo che su quel coltello ci sarebbe stato anche il suo DNA. Il caso era chiuso.
Mi alzai dalla poltrona, mi avvicinai alla finestra. Nel farlo avvertii una lieve vertigine, sapevo bene quello che mi stava succedendo. Si stava riaffacciando quel senso di vuoto che si impossessava di me quando qualcosa che mi impegnava fisicamente ed intellettualmente finiva. La solita storia. O forse no. Forse non era la mia solita malinconia cronica, ma il classico tarlo che si stava insinuando in qualche recesso della mia testa per quella soluzione del caso troppo facile e scontata. Per un colpevole perfetto. Un agnello da sacrificare, facile, da manuale.
Dovevo però attenermi ai fatti e questi puntavano inequivocabilmente verso Moudani quale artefice del delitto. Guardai fuori dalla finestra, soffermandomi sulla strada deserta, vuota e triste come mi sentivo io in quel momento, sui rari anti. La suoneria del mio cellulare, l’Ave Maria di Bach-Gounod, mi distolse da quei pensieri tinti.
Sul display il nome di Luisa. Risposi volentieri, stavo scivolando su una china malevola ed era meglio distrarmi con cose futili. . - Ma voi imbrattacarte non andate mai in ferie? Perché non ti fai mandare a Sabaudia, cosi ti fai le vacanze a spese dell’editore e valuti con la tua indiscussa perizia il sedere migliore tra quelli sfoggiati sulla spiaggia? - Marco, mi spieghi questa ironia degna di miglior causa? Guarda che i cittadini hanno diritto a sapere, a mantenersi aggiornati, visto che con le tasse pagano anche il tuo di stipendio. Comunque, buongiorno, visto che nemmeno saluti le amiche. - Hai ragione Luisa. È che ormai ci sentiamo almeno un paio di volte al giorno, manco fossimo fidanzati.
-Tanto tu mi terresti all’oscuro anche se fossimo fidanzati. Come stai commissario? Perché sei tanto nervoso? Eppure si dice che il tuo genio investigativo abbia risolto il caso, anche se sono quelli della Mobile a farsi belli. Tanto lo sanno tutti che Morganti non troverebbe nemmeno un pesce in un acquario, è troppo impegnato a vestirsi e a scegliere giacche. Ti è piaciuta la foto in prima pagina sul giornale di stamane? Comunque ti volevo solo salutare tanto ci vediamo in conferenza stampa, ci sarai vero ?
- Dovrei, mi hanno invitato.
-Bene. Come sta la tua bella dottoressa? Ho saputo che ti è ancora molto vicina, le voci corrono, dottor Ferrer.
- Ora bene ma non certo per merito di quello che l’ha conciata così. Ha subito un
intervento chirurgico delicato ma è fuori pericolo.
- Con una punta di gelosia, ma sono contento per tutti e due, in fondo il bel tenebroso Marco Ferrer, brillante Vice Questore Aggiunto nonché ottimo partito, il single più ambito tra le giornaliste con pruriti post quaranta, non poteva rimanere solo a lungo. La sua bella dottoressa se lo è accalappiato di nuovo.
– Accidenti Luisa mi hai aperto un mondo. Ma veramente tra le giornaliste sono cosi ambito ? Se me lo avessi detto prima.. anzi guarda, mandami la più pruriginosa, sto giusto per andare in ferie e non mi dispiacerebbe avere compagnia.
- Non fare lo spiritoso commissario. Tanto le ho istruite tutte e ti ho fatto terra bruciata. Sono gelosa, lo sai. Comunque, la dai una anticipazione alla tua amichetta? - Dovrei? Tanto alle 14 saprai tutto, non avete mica edizioni pomeridiane. . - Dimentichi quelle online, un bel lancio di agenzia mi farebbe fare un bel etto avanti. - No Luisa, meglio di no, ho il mio vice e gli ispettori ancora sotto inchiesta, non posso rischiare che Testa si incazzi, già non mi può vedere, non voglio avere problemi. Magari a storia finita ti darò le dritte giuste per scrivere un libro, ma per il momento noi non ci siamo sentiti. - Va bene commissario, come vuoi. Non ti dimenticare di me, magari una sera di queste possiamo andare a cena, appena la tua bella si rimette. . - Appena la mia bella si rimette me la porto in vacanza, ammesso che ci voglia ancora stare con me. Ci vediamo più tardi.
Chiusa la comunicazione, assunsi la mia posa da ebete più riuscita in quella mattinata del cavolo, continuando a guardare la parete. Niente da fare, ero stato programmato per rompere i coglioni a me stesso.
Cosa aveva detto Lepri? Che Testa per archiviare avrebbe atteso l’autopsia del
marocchino. Ecco, l’autopsia. Ci dovevo andare. Non potevo trascurare questo aspetto, era la prassi da seguire. Prima di chiudere il caso si esegue l’autopsia. Feci un rapido controllo telefonico, ed ebbi la conferma che l’autopsia era in programma per quella mattina al Policlinico Gemelli. Meno di venti minuti dopo ero nell’edificio che ospitava l’Istituto di Medicina legale. Enrico Ferrante era uno dei tecnici. Lo cercai nella sua stanza.
– Commissario, qual buon vento?
Vento di bolina come sempre, caro Ferranti. Scusa se ti rompo, volevo notizie del riscontro autoptico di Moudani. Hai notizie?
-Certo, il magistrato ci ha chiamato a mezzanotte, voleva l’autopsia già per le nove, io lo avrei mandato dove immagini, ma i medici, sai com’è, li tengono per le palle con le perizie. Quindi abbiamo fatto una alzataccia io e Annibaldi, lo trovi nella sua stanza. . Il dottor Emilio Annibaldi era una vecchia conoscenza, ci eravamo conosciuti sulle scene di morti traumatiche e numerose volte avevo assistito ad autopsie giudiziarie eseguite da lui. Era un uomo sui cinquanta con capelli precocemente ingrigiti, magrissimo grazie alla corsa, era un altro patito di podismo e maratone. . –Ferrè, anche tu al chiodo a Ferragosto. Come stai? Professore, come sai gli assassini a Roma scelgono sempre agosto per agire. A Milano non ammazzano mai di sabato, come recitava il titolo di un vecchio giallo. QQQQqQQui da noi sempre d’agosto. Come sai con il caldo le follie imperversano. Ti rubo pochi minuti. So che hai appena finito il riscontro autoptico di un certo Arthur Moudani, un cittadino marocchino caduto da un balcone ieri sera. Mi dici qualcosa? - Pare che questo cadavere interessi molto, se si è scomodato pure Testa per raccomandarlo, lo ha voluto cotto e mangiato entro le nove. Causa della morte, trauma cranico e alla regione cervicale con frattura del dente dell’epistrofeo e lesione midollare. In pratica si è rotto l’osso del collo. In più varie fratture da caduta al rachide dorso lombare, trauma addominale, rottura di milza, emoperitoneo. Tutte cose che forse, ma non è detto, si sarebbero potute aggiustare con un intervento chirurgico rapido. Ma è morto per la lesione midollare, abbiamo trovato tracce di polvere di coccio sul cranio.
La scientifica ha confermato che corrisponde al materiale con cui è costituito il vaso che sporgeva dal primo piano del palazzo. In pratica cadendo ha sbattuto contro il vaso e gli si è torto il collo. Morte quasi immediata. Nessun altro segno, nessun traumatismo esterno. Per il resto era un uomo sano, nessuna patologia. Nel sangue abbiamo trovato tracce di cannabinoidi. Negative le altre droghe e l’alcol. Questo è quanto, commissario.
La fine di ogni conferenza stampa costituiva per me un sollievo indicibile, e anche questa volta non faceva eccezione. Per l’incontro con la stampa stavolta niente procura, ma la sala conferenza di via San Vitale, sede della questura centrale. Stavo scendendo le scale, ripensando all’orgia di parole e alla erella indecorosa alla quale avevo assistito, ma si sa, gli uomini sono vanitosi, ed era solo un peccato veniale. Ero io che ero sbagliato probabilmente, in fondo aveva ragione Luisa, i cittadini hanno diritto ad entrare nelle notizie, le forze dell’ordine venivano pagate dai contribuenti i quali hanno diritto a sapere. Infatti uno con la mia concezione non avrebbe sfigurato tra i funzionari di polizia Napoleonica o Borbonica, quando non si facevano conferenze stampe anche perché non esisteva una stampa libera.
-Sbirro pensieroso, me lo offri un caffè? Posso prenderti sottobraccio ? Solo per far crepare di invidia un paio di colleghi che mi stanno sulle palle.- Me la trovai alle spalle e poi accanto senza che me ne accorgessi. Luisa Casta era sempre stata bella, ed avanzando con l’età stava decisamente migliorando. Era abbronzatissima, i capelli corvini raccolti in una treccia e il sorriso radioso.
- Certo che te lo offro, mi stavo giusto chiedendo che fine avessi fatto. . -Ti ho osservato bene durante la conferenza stampa, ma lo sai che sei diventato più interessante? Interessante e più bello, merito della tua Paola evidentemente. Eri l’unico che non era in erella e si vedeva lontano un miglio che volevi essere da un'altra parte. Poi il caso lo hai risolto tu, lo sanno tutti. E che cavolo ci stava a fare Filippo Mercante, dalla abbronzatura anzi dalle scottature si capiva benissimo che sino a ieri sera stava in spiaggia a spellarsi. Del caso non sapeva niente era qui solo a farsi fotografare. Come sempre del resto.
-Non lo sai che gli uomini invecchiano meglio? In più voi donne stagionate, sull’orlo dell’inevitabile declino fisico, vi contentate e poiché cercate sicurezza, cercate l’uomo più grande, che per forza di cose dovete vedere bello.
-Vicequestore aggiunto, guarda che io non sono in declino, mia nonna ha 92 anni e una pelle liscissima. Tornando a cose più serie, tutto chiaro quindi, hai trovato l’assassino?- Eravamo entrati nel bar di fronte alla questura. Ordinai due caffè e una brioche per lei. . - Beata te che non ingrassi Luisa..
- Non cambiare discorso…
- Ma che ti devo dire? Hai appena ascoltato la conferenza stampa di chiusura del caso. Quindi riascoltati la registrazione.
– Un colpevole perfetto, Marco.
-Vuoi sapere se sono convinto fino in fondo? Magari no però debbo attenermi ai fatti. . – Bene, allora se hai qualche novità spero sarò la prima a saperla, vero?
Mi baciò sulla guancia.
– Ti vedo impaziente. Vai da lei, noi ci sentiamo con calma. Magari decido veramente di scrivere un libro su questo delitto e ti offro di fare il consulente, a buone vacanze. E grazie per il caffè.
La notte era ata discretamente, gli antidolorifici avevano fatto il loro dovere, il catetere le era stato tolto ed era stata trasferita in reparto, aveva solo qualche fastidio ma non era quello il problema. Era svuotata e depressa, come può esserlo chi è stato appena accoltellato, ma non solo per quello. Aveva seguito il cuore, non la mente ed era tornata sulla decisione di chiudere con gli uomini. Solo amici, interessi, conoscenze, sport, maratona di New York, l’allenamento, la cura del suo corpo, la corsa, le endorfine, insomma la sua nuova vita post Ferrer. Invece ci era ricaduta e non con un uomo qualsiasi; sempre con lo stesso. Certo, dopo di lui aveva provato a vedere altri uomini, ma non era riuscita ad andare al di là di qualche cena fuori. Non aveva interesse per nessuno. Aveva anche provato a crearsi una corazza nei suoi confronti, quando si incontravano sul lavoro lei aveva un atteggiamento duro, sprezzante, ma sapevano entrambi trattarsi di uno scudo di pastafrolla. Prima o poi si sarebbe sbriciolato. Ed ora che era successo, lei si trovava nuovamente sola con le sue paure. Avrebbe dovuto vincere il terrore di ricominciare, ma ora era fragile e ogni decisione sarebbe stata dettata dalla sua insicurezza.
Lo vide entrare dalla porta, con un mazzo di rose rosse e una scatola di cioccolatini. Lo osservò avvicinarsi al letto e sorridergli. Riò mentalmente quello che avrebbe detto, ma prima di cominciare a parlare socchiuse gli occhi e si voltò, distogliendo lo sguardo. Non ci sarebbe riuscita guardando negli occhi l’uomo della sua vita.
VENTI
13 agosto-Mercoledì
La squadra.
Guardandomi allo specchio quella mattina, non potei fare a meno di pensare alla famosa battuta di Groucho Marx, quella che affermava più o meno “eviterei di iscrivermi ad un club che avesse uno come me tra i suoi soci”.
Figuriamoci se una donna potesse aver voglia di are la sua convalescenza con me. Come darle torto? E comunque forse era meglio così, una vacanza solitaria era quello che ci voleva.
Benvenuti nel club degli eremiti. eggiate tra i monti, giri in mountain bike, lettura di un libro spalmato su una amaca, tutto rigorosamente da solo. Unica distrazione al programma qualche partita a tressette con i vecchietti locali, i quali avevano la strabiliante qualità di non parlare o di farlo pochissimo. Una decina di parole in tre ore di partita, all’incirca. Le avevo contate. Con queste premesse, non capivo perché mi ostinavo a innamorarmi delle brave ragazze. Ma non era meglio che me ne stessi per cavoli miei come mi aveva predetto quella cartomante anni prima? Tu rimarrai da solo, era tutto scritto nelle carte. Ed aveva anche aggiunto che mai aveva visto una profezia più chiara e lampante. Forse dovevo portarmi a letto le disperate come me, e basta. Però come al solito ragione e psiche non vanno d’accordo. Mi feci la solita moka, accompagnata da una brioche gigante, tanto ormai con il colesterolo la battaglia era perduta. Un amico medico mi aveva detto di lasciar perdere e di non preoccuparmi, avevo avuto parenti longevi, era quella l’assicurazione sulla vita; e poi ero sopravvissuto ad una raffica di mitra, cosa poteva farmi il colesterolo?
Comunque non era quello il punto. Il problema restava quel tarlo che mi rodeva e che mi rendeva ancora più nervoso di quanto dovrebbe essere uno che è stato appena scaricato dalla propria donna. Avevo anche voglia di rivedere i miei uomini, oramai erano due giorni che non li sentivo, e mi stavo rendendo conto di quanto mi mancassero.
Il tarlo. La perfetta chiusura del caso, la morte di Moudani. Una morte troppo perfetta, arrivata a puntino parallelamente al ritrovamento dell’arma del delitto. Tutto facile, troppo facile. E io delle cose troppo facili avevo da sempre dubitato per istinto.
Arrivai in commissariato verso le nove e trenta, e già nel parcheggio notai l’auto di Palumbo. Ero appena entrato nel mio ufficio che l’elegantone fece il suo ingresso trionfale, ovviamente senza bussare. Aveva l’aria di uno che ha dormito sul divano con i vestiti addosso, ed infatti questi erano particolarmente stazzonati. Evento epocale, era senza cravatta. Le pestilenziali Gauloises facevano bella mostra nel taschino, dietro il fazzoletto quasi bianco. – Permesso…
- È sempre permesso, Palù… come stai? Ci siete tutti?
- No, ci siamo io e De Felice, capo. Ho mandato Pino ed Anna a dormire qualche ora. L’ispettore della mobile rimane fino a stasera, quindi siamo coperti. . Allora entra e mettiti comodo. Ma che hai fatto ai vestiti? Testa vi ha strapazzato per bene vedo. - Neanche tanto, in verità è stato corretto e gentile. Ci ha ascoltati separatamente come da prassi e ci hanno tenuti divisi anche durante il trasferimento e mentre attendevamo di essere interrogati, ma tutto sommato è andata bene. Poi sono tornato a dormire qui e non avevo i vestiti di ricambio. La cravatta me la sono persa in procura e comunque poco male. La sola cosa che mi rode è che quello ci ha fottuto alla grande. Cioè si è fottuto lui, ma è successo
tutto troppo in fretta e non abbiamo fatto in tempo a fermarlo. Ha dimostrato un’agilità sorprendente per un uomo non più giovanissimo e di quella stazza. Comunque abbiamo saputo che è stato lui, l’arma del delitto era quel pugnale. Sì, quella è l’arma del delitto. Lui però ha fatto come Peter Pan , volando dal balcone, e se anche l’avessero incastrato non ci può raccontare più nulla. Io, te lo dico con sincerità, ho un tarlo che mi lavora dentro e non mi rende sereno. No, non sono convinto proprio per niente che lui sia l’assassino. Ma questo Moudani alla fine ce l’ha un alibi? Mi sa che nessuno si è preso la briga di controllare. Facciamolo ora, su. Hai gli atti investigativi su di lui, i turni della palestra, il cellulare… – Io me la sono presa la briga di controllare, capo, almeno per quanto risulta dai turni della palestra. Moudani risulta libero sia il pomeriggio dell’omicidio Massimi, è uscito dalla palestra alle dodici, che la sera del ferimento Franzini, quel giorno ha lavorato fino alle sedici. Dobbiamo ancora valutare i risultati del cellulare, ma a questo punto con il caso chiuso, oberati di lavoro come sono, Forte ci farà una pernacchia. Comunque dobbiamo considerare anche il fatto che se vai ad ammazzare qualcuno non ti porti il cellulare. Ormai i telefilm americani li vedono pure gli assassini. - Vero Palù, vorrà dire che torneremo alle indagini vecchio stampo, pedalare, consumare la suola delle scarpe, cervello e tanto fattore C. Senti, mi è venuta in mente una cosa, un particolare che forse abbiamo trascurato e che è riportato nella perizia autoptica, e che mi ha confermato Paola Franzini, quando mi ha riferito del suo ferimento. Dobbiamo cercare un mancino. . Presi il rapporto autoptico dal cassetto della mia scrivania e cercai le frasi che mi interessavano. . – Ecco, leggi pure.
…IL MODO DI PROCEDERE DELLA LAMA, TENUTO CONTO ANCHE DELLA POSIZIONE DELLA STESSA AL MOMENTO DEL RITROVAMENTO ( FOTO 1-2-3-4-5-6-7-8-9-), PERMETTE DI RITENERE ALTAMENTE PROBABILE CHE L’ATTINTORE MANTENGA L’ARMA CON LA PROPRIA MANO SINISTRA E CON TALE MANO INFERTA I COLPI. L’ESAME DELLA SCENA DEL CRIMINE, INFINE, ASSOCIATA AI…
-Capo è vero, avevo rimosso questo dato, quindi sono uno stronzo, avrei dovuto saperlo prima di andare a prenderlo quel Moudani, che dovevamo cercare un
mancino. - Mi associo anche io alla categoria, Palù ,allora pensaci bene. Qualche indizio sul fatto che potesse essere mancino? - Portava l’orologio a sinistra, di questo sono sicuro. Mi ricordo di aver pensato che se quel massaggiatore abitava in un condominio da ricchi in un quartiere bene, allora avevo sbagliato tutto nella vita. Istintivamente mi è venuta voglia di controllare se per caso si poteva permettere anche un Rolex e ho dato un occhiata all’orologio, e sono certo che lo portava al polso sinistro. . - E non era un Rolex.
-No, era uno Swatch digitale da pochi euro.
-Bene. Vediamo di avere una conferma visiva. Abbiamo una foto del cadavere? Intendo foto riprese o sulla scena o alla Medicina Legale?
-No, è tutto alla Mobile. Però ho un amico che lavora con Forte alla scientifica che mi deve almeno tre favori. -E allora chiamalo, io con Forte non mi posso sbilanciare più di tanto, visto che questo è un supplemento di indagine tra l’abusivo e l’illegale, non autorizzato da nessuno, una specie di gioco intellettuale tra colleghi inqueti. Quindi meglio non lasciare atti ufficiali. Chiama questo tuo amico e inventati qualcosa. E c’è un’altra cosa che vorrei verificare. Prima hai detto che il pomeriggio del delitto Massimi Moudani non era in palestra, e nemmeno il pomeriggio dell’aggressione a Franzini, ma tutto questo ti risulta dal badge? - Badge? No capo, solo i clienti della palestra hanno il badge, quelli dello staff credo firmino, poi il massaggiatore lavorava come libero professionista, non era inserito nello staff , io l’ho saputo dal coordinatore, quel Martelli.
Guardai Palumbo un lungo attimo. Stentavo a credere a quello che mi diceva. Il mio vice si stata rincoglionendo. Senza cravatta perdeva il lume della ragione evidentemente, come Sansone senza i capelli tagliati da Dalila perdeva la forza. – Palù, spero tu stia scherzando. Vuoi dire che abbiamo solo la parola di quel tizio a conferma del mancato alibi di Moudani? Ma come cazzo stiamo lavorando! Se a questo gli hanno messo il coltello in casa ci possiamo attendere
ben altre stronzate sull’alibi, qui tutti quelli che gravitano sulla palestra sono sospettati, a partire da questo Martelli. - Capo ha ragione, ma queste ventiquattro ore in procura mi hanno tolto la concentrazione. Ho avuto un calo di tensione, mi scusi. . - Non ti preoccupare, anche io avevo rimosso l’informazione che l’omicida era mancino. Il fatto che ci hanno offerto su un piatto d’argento l’arma del delitto ci ha fatto perdere di vista la realtà delle cose, che invece vanno in un’altra direzione. - Ma ora come ci muoviamo? L’inchiesta è chiusa. Dobbiamo avvertire il magistrato? Se facciamo fare una figura di merda simile ai conferenzieri di ieri il questore ci leva la pelle e le usa per rivestirci le poltrone del suo ufficio. Se a questo Moudani l’hanno incastrato sputtaniamo tutti, la Mobile, il questore ,il Magistrato. Il capo della Polizia ci manda al commissariato del Gennargentu, e come faccio con i ragazzi e con Marina, debbo ancora pagare il mutuo.. -Impari il sardo e ti dedichi a coltivare il mirto, ma vedrai che qualche cosa ce la inventiamo. La verità è sempre rivoluzionaria, diceva non mi ricordo chi. E poi stai tranquillo, vedrai che nella patria del trasformismo il Questore e Mercanti faranno il salto della quaglia. In pratica un’altra conferenza stampa ..grazie a ulteriori indagini eccetera.. brillantemente portate avanti eccetera.. siamo riusciti ad assicurare eccetera..il vero assassino eccetera. Stai sereno, niente rivestimento di poltrone e niente Gennargentu per noi. Ne usciremo brillantemente anche questa volta. Ora prepariamoci a torchiare questo Benny Martelli. Io provo a sentire chi è di guardia in procura, tu vai a prenderlo. Tira giù dal letto Pino e portalo con te. Quello è grosso.
VENTUNO
Grosso, sudato, incazzato. E mancino.
Benny Martelli era grosso, sudato e visibilmente incazzato. Mi sembrava addirittura più grosso della prima volta che lo avevo incontrato, complice una maglietta stretta che gli fasciava il torace. I fianchi erano stretti o per lo meno sembravano tali in relazione alla larghezza delle spalle. Nonostante il condizionatore, una larga chiazza di sudore segnava la parte anteriore della maglietta e le ascelle ed anche la fronte e la pelle del cranio rasato erano
costellate di goccioline di sudore, segno di palese nervosismo, anche perché la temperatura della stanza avrebbe messo a suo agio un pinguino.
Prima del suo arrivo mi ero fatto coraggio ed avevo chiamato in procura. Ero stato fortunato, il magistrato di turno era il Sostituto Procuratore Paolini, una mia vecchia conoscenza, alle soglie della pensione, che aveva fatto parte del pool anti terrorismo negli anni ottanta. Come molti bravi cristi non facenti parte di alcuna consorteria, era ancora a fare i turni, avendo rifiutato di andare a fare carriera in una provincia sperduta. Lo avevo rapidamente ragguagliato, e poiché se ne fotteva altamente delle conferenze stampa e della conseguenze mi aveva faxato l’autorizzazione all’interrogatorio di Martelli. Potevo andare sul velluto, quindi: ero a posto dal punto di vista legale ed in una botte di ferro.
Nella stanza oltre me e Palumbo c’erano Pino Borghi ed il solito Giorgi a stenografare. Dopo uno sguardo d’intesa con i miei uomini cominciai l’interrogatorio di Lothar. - Signor Martelli, le comunichiamo che lei è convocato come persona informata sui fatti in relazione all’omicidio Massimi, al ferimento Franzini e alla morte accidentale di Arthour Moudani. Questa conversazione verrà registrata e stenografata. Vuole dell’acqua? ? Piccolo impercettibile movimento di Lothar sulla sedia. - No sto bene così.
- Può declinare allora le sue generalità complete, data e luogo di nascita, per favore? ? - Mi chiamo Benedetto Martelli detto Benny, nato ad Ancona il cinque maggio 1973 e residente in Roma in via Pavia 110.
- Ha una casa di proprietà, signor Martelli ?
- No, vivo con due amici in affitto: sono un ex studente fuori sede di architettura. Ho abbandonato gli studi ma vivo ancora nella mia vecchia casa da studente. . Possiede un’automobile ?
- Sì, ho una Punto.
– Di che cosa si occupa?
Altro piccolo movimento sulla sedia, più piccolo del precedente, accompagnato ad uno sbuffo d’impazienza.
– Ma lo sapete, lavoro allo Sporting Club, sono coordinatore dello Staff e anche fruitore dei servizi della palestra, come forse potrete intuire.
Cerchi di evitare i commenti sarcastici. Stiamo registrando dati che sono nuovi per chi ascolta, quindi ci perdoni se dovrà ripetere cose che già ci ha riferito. Mi scusi. Bene, continuiamo allora. Da quanto tempo lavora allo Sporting? - Da 5 anni, prima studiavo.
È sposato, fidanzato? - No, sono single. Ci vuol dire qualcosa sui rapporti che aveva con il defunto Arthour Moudani? Avevamo solo rapporti di lavoro, lui collaborava da quattro anni circa come massaggiatore in palestra, pagava una percentuale a prestazione, lavorava in genere mezza giornata. Inoltre aveva uno studio a casa, a volte i clienti della palestra si servivano dei suoi servizi anche a domicilio. La nostra era una conoscenza superficiale. - Come giustificava la sua presenza in palestra? Aveva un badge, firmava?? Movimento sulla sedia, impercettibile strizzata di occhi. No, nulla. In genere mettevamo noi le presenze, in base agli appuntamenti che prendevamo in direzione.
-Ora faccia attenzione prima di rispondere. Lei ha dichiarato che il giorno otto di agosto, venerdì della scorsa settimana, il signor Moudani ha lavorato fino alle 12.Conferma questa affermazione, ne è proprio sicuro? Spostamento di gluteo della montagna, dal destro al sinistro. – Sì, mi pare di sì, ora non posso ricordare ma se lo ho affermato, sul foglio doveva essere riportato quell’orario.
Per non essere da meno prima di una bugia colossale mi concessi anche io un leggero movimento sulla sedia. – Bene. Cioè male, perchè a noi risulta invece che il signor Moudani venerdì pomeriggio aveva lavorato, abbiamo due testimoni che si sono fatte fare un bel massaggio. Allora, come la mettiamo? ? Strizzata di occhi prolungata, asciugata di rivolo di sudore, cambio di gluteo sulla sedia. -Potrei avere un bicchiere d’acqua ?
-Ma certo.
Mentre versavo l’acqua a quel testimone falso come un soldo bucato, pensai che i criminali occasionali si sciolgono come neve al sole, ben diversamente dai criminali veri. -Allora, vuole rispondere alla domanda?
-In verità non so rispondere… a me sembrava che non ci fosse, sul foglio era scritto cosi, evidentemente mi sbagliavo.
-Signor Martelli, abbiamo molti modi per capire che il Moudani era in palestra, dalla cella del cellulare ai testimoni, due ne abbiamo già. Perchè ha mentito su un particolare cosi importante? ? -Io non ho mentito, ho solo letto così sul foglio.
-Ha letto così? Ha con lei questo foglio?
Altro cambio di gluteo. . –No, non lo trovo più.
-Non lo trova più. Senta, lei sa dove abitava il Moudani? -Abitava? Sì, credo di sì. . –Crede? È mai andato a casa sua?
-No,non mi pare. . Risposta troppo rapida.
-Signor Martelli, guardi che i cellulari lasciano traccia dei suoi spostamenti. Controlleremo i tabulati e le celle, possiamo avere la risposta in due ore, quindi riformulo la domanda. È mai stato a casa del Moudani?
Deglutizione a vuoto.
-Ora che ci penso, una volta, mi pare lunedì..
-Intende il giorno undici agosto? -Sì, dovevo portargli una borsa che aveva dimenticato. –Sia più preciso. A che ora esattamente? -Verso le 12 mi pare.
-Moudani era in casa? -No, ho citofonato ma non mi ha risposto. -Bene, controlleremo dai dati del telefonino suo e del povero Moudani che come saprà lasciano tracce visibili. Lei è mancino signor Martelli? Strizzata di occhi, deglutizione
-Mancino? Sì, cioè, no, voglio dire sono ambidestro. -Vuol dire che scrive indifferentemente con due mani? -Sì, ho imparato da piccolo. -Che cosa ha fatto il pomeriggio di venerdì 8 agosto, diciamo dalle 13 alle 15? Cambio di gluteo, detersione di sudore, prolungata strizzata di occhi? . -Ero al lavoro.
Mio cambio di gluteo, strizzata d’occhio.
- No, non c’era. La scientifica è riuscita nel miracolo di risalire al filmato delle telecamere della palestra di venerdì scorso e si vede chiaramente che lei esce dalla palestra in orari compatibili con l’omicidio. Stiamo valutando le celle telefoniche e tra poco sapremo se è stato dalle parti di via Valadier. Le consigliamo di collaborare, lei è incensurato. Il magistrato ne terrà conto. Vantaggi che perderebbe se attende le prove che pure tra poco avremo. Quindi ci pensi bene e decida per il meglio.
A quel punto Martelli era un blocco di sudore, la palpebra sinistra aveva cominciato a tremare, cosi come il piede sinistro. Manteneva gli occhi bassi. Ad un tratto sollevò il viso, centinaia di goccioline brillavano sulle sue gote. - L’ho trovata già morta. Voglio un avvocato.
VENTIDUE
Carcere di Regina Coeli. Sala colloqui.
Addi 13/8/…
Presa visione dei miei diritti e consapevole del fatto che queste dichiarazioni spontanee potrebbero essere usate in giudizio, desidero liberare la mia coscienza e raccontare quanto è in mia conoscenza degli avvenimenti che hanno portato al decesso della signora Massimi Beatrice. Premetto di aver conosciuto la signora Massimi presso la Palestra Sporting Club Tor di Quinto, dove sono coordinatore tecnico. Mi sono innamorato in modo totale e patologico della signora Beatrice, e ho cominciato una corte discreta, senza ottenere però alcun riscontro. Il fatto di esserle indifferente mi ha fatto uscire di senno, sono diventato pazzo di lei e ho cominciato a seguirla. Non le parlavo mai la seguivo sempre, a volte mi mettevo fuori il suo appartamento e gli andavo semplicemente dietro, ovunque lei andasse, come un’ombra. Era diventata per me una ossessione. Tutto questo è cominciato più o meno nel mese di Marzo. Qualche volta ho anche dormito in macchina sotto casa sua in via della Balduina. Ad un certo punto ho avuto problemi sul lavoro e, per non essere licenziato, ho dovuto diradare questi miei pedinamenti. Spesso la seguivo nei momenti liberi, quando usciva tardi dalla palestra. Ho scoperto che era fidanzata e questo ha acuito ancora la mia fissazione. Premetto che, in qualità di coordinatore della palestra, ero riuscito ad accedere allo spogliatoio femminile, aprire la cassaforte, prendere le chiavi della Massimi, uscire rapidamente dall’edificio e copiare l’intero mazzo di chiavi da un ferramenta, per poi rimettere a posto il mazzo prima che lei tornasse a cambiarsi. Poi tramite un amico che preferisco non citare ho avuto una tessera telefonica intestata ad una signora deceduta, e ho cominciato a telefonarne, sempre in anonimo. Solo per sentire la sua voce, non parlavo mai. Questo è la premessa che spiega il mio disagio mentale. Il giorno otto agosto, venerdì, in tarda mattinata, sono riuscito a liberarmi dal lavoro. Ho raggiunto via della Balduina e mi sono messo sotto casa sua. Non so perché proprio quel giorno, in genere nelle ultime settimane evitavo di attenderla sotto casa. Verso le tredici l’ho vista uscire e prendere la macchina ed ho cominciato a seguirla. Beatrice si è diretta in Via Valadier, alle spalle di Piazza Cavour, dove sapevo abitava il padre. Possedevo anche le chiavi di quella casa, le avevo copiate, e mi ero accertato fossero proprio di quella casa.
Infatti a volte l’avevo seguita anche fin sotto la casa di Via Valadier. Mi ricordo un pomeriggio, lei era salita e dopo poco era uscita con il padre. In quell’occasione ero salito e mi ero accertato che le chiavi aprissero proprio quell’appartamento dove viveva il signor Massimi.
Quella tragica giornata pensavo si trattasse di una visita di cortesia, magari voleva pranzare con suo padre. Lei ha parcheggiato ed è salita in casa. Erano circa le tredici e quindici e avevo fame, per la mia pratica di culturismo necessito di quattromila calorie al giorno, per cui mi sono recato in un bar aperto ad un isolato circa. L’automobile di Beatrice era sempre ferma sotto casa del padre. Mi sono attrezzato per l’attesa, quando ad un tratto mi sono ricordato di un frammento di conversazione ascoltato dalla Massimi, nel quale lei affermava che suo padre sarebbe partito per Merano, come tutti gli anni, verso la fine di luglio per rimanere fuori un mese. A quel punto mi è salita una sorta di gelosia, di terrore, non sapevo cosa fare. Dalla tranquillità di saperla con il padre sono ato al terrore puro di pensarla con un altro uomo. Ripeto ero fuori di me. Ho atteso ancora un tre quarti d’ora, sempre più in preda all’angoscia, poi sono uscito dal bar, avevo il mazzo di chiavi, sono arrivato al portone. Premetto che non avevo visto uscire nessuno dall’appartamento, ed ero sempre rimasto visivamente in contatto con il portone del civico 12 tratte una pausa per andare in bagno. Sono entrato, sono salito al terzo piano, ho ascoltato con l’orecchio appoggiato alla porta, ma dall’interno non veniva alcun suono. Verificato che sulle scale non ci fosse nessuno, ho aperto e sono entrato. L’appartamento era caldissimo, e la casa era pervasa da un odore dolciastro che non riuscivo ad identificare, perchè ho l’olfatto rovinato dagli ormoni che debbo assumere per la mia pratica di culturismo. Davanti a me c’era un corridoio, ho cominciato a percorrerlo, sulla sinistra una camera con un letto sfatto ed i vestiti di Beatrice su una sedia. Sono andato avanti quasi in trance e arrivato sulla porta del bagno l’ho vista. Era stata massacrata a coltellate, le avevano tagliato la gola, era nella vasca da bagno. Sono rimasto impietrito, non sapevo cosa fare, mi è preso un terrore cieco, volevo scappare via. Volevo chiudere la tenda, non lasciarla così alla vista. Però mi sarei sporcato le scarpe allora ho preso in cucina uno straccio e l’ho usato per coprirmi le suole cercando di non toccare il sangue in terra. Allungandomi e posando i piedi appena al di fuori della porta sono riuscito a chiudere la tenda e solo allora mi sono accorto del pugnale. Era in terra vicino la vasca. Non so perché l’ho fatto, l’ho avvolto nello straccio con in quale mi ero coperto i piedi, e sono scappato da quel luogo di morte. Tornato a casa mi sono
lavato, ho pulito e nascosto il pugnale sotto un mattone nel cortile , un nascondiglio sicuro. Non so perché l’ho fatto, ma ho il vezzo di raccogliere cimeli di amiche con le quali sono stato, e ho pensato che volevo avere un ricordo di lei, quindi istintivamente ho raccolto il pugnale e me lo sono portato via. Ho avuto l’accortezza di usare i guanti salendo da Beatrice ne porto sempre un paio con me. Ho pensato che le indagini avrebbero inevitabilmente puntato verso la palestra, e quindi su di me, per cui ho pensato di sviare gli investigatori inviando quel pomeriggio stesso al commissariato di zona, l’indirizzo l’ho trovato su internet, un biglietto con un anagramma delle parole
UCCIDERO DI NUOVO.
Questo al fine di indirizzare gli investigatori verso un serial killer. Allora ho pensato di mettere in scena un’altra aggressione, perché così l’ipotesi del serial killer avrebbe preso maggiore consistenza. Sul giornale avevo letto di questo medico legale donna, che aveva fatto l’autopsia a Beatrice, c’era anche la foto, non mi pareva di conoscerla, solo dopo ho saputo che era una iscritta alla palestra, il nome non mi diceva nulla e dalla foto non la avevo riconosciuta. Io avevo occhi solo per Beatrice e avevo deciso di non contaminare questo amore evitando di soffermarmi sulle altre donne. Quindi anche se frequentava la palestra non ci avevo fatto caso. Un amico alla motorizzazione mi ha fornito il numero di targa ed il tipo di macchina, quindi mi sono messo fuori dell’istituto di Medicina Legale e quando è uscita ho seguito la macchina , conoscevo la targa. Sono rimasto fermo sotto casa sua e quella sera stessa l’ho vista uscire con un uomo che non conoscevo. Poi ho capito trattarsi del dottor Ferrer. Il pomeriggio seguente mi sono ancora appostato sotto casa sua, ma prima ho manomesso la centralina per creare buio nella strada. L’ho vista arrivare in taxi; grazie al mio sabotaggio la zona era buia, i lampioni spenti, sono riuscito a sgattaiolare dentro il portone e a nascondermi sulle scale. La dottoressa si è avvicinata alla porta per aprire, quindi sono uscito dall’ombra, le ho bloccato le labbra con le mani per non farla urlare e l’ho colpita con il coltello. L’ho fatto con la sinistra, pensavo di farle meno male, volevo evitare il fegato, giuro che non volevo ucciderla. Poi sono fuggito. Ho saputo che la dottoressa era stata operata e stava bene e di questo sono stato
veramente contento. Non l’avevo riconosciuta come una delle partecipanti al corso, non sono fisionomista e poi avevo occhi solo per Beatrice.
È stato un errore, ora lo capisco, tutto quello di orrendo che ho fatto ha accentuato l’attenzione sulla palestra, invece di distoglierla. Poi mancava un’ultima cosa, non potevo tenermi il pugnale. Allora ho pensato a Moudani. Per me poteva essere il colpevole perfetto, quindi ho deciso di sviare i sospetti su di lui lasciandogli l’arma del delitto a casa. Ero sicuro che prima o poi avrebbero perquisito la sua casa. Quindi lunedì verso le dodici, sapendo che il marocchino era in palestra, sono uscito, ho raggiunto via due Ponti; sapevo che lui lasciava una chiave sotto lo zerbino per una donna delle pulizie, l’ho presa, mi sono messo i guanti, e ho lasciato il pugnale avvolto in uno straccio in un cassetto. Faccio presente che lo straccio con il quale l’ho avvolto era nuovo, e non si trattava di quello che ho preso sul luogo del delitto Massimi. Quest’ultimo l’ho gettato in un cassonetto in una zona assai distante da casa Moudani. Ribadisco che non ho mai toccato il pugnale a mani nude ma solo con i guanti. Quindi alla fine di questa deposizione spontanea, confesso di aver inquinato le prove, di aver fabbricato prove false contro Moudani, di aver ferito la dottoressa ma di essere totalmente innocente riguardo la morte di Beatrice Massimi, che io adoravo, e che ho trovato priva di vita alle ore sedici circa di venerdì otto agosto, nel bagno di Via Valadier 12.
Durante la mia attesa al di sotto del suddetto appartamento, sulle scale e all’interno dello stesso, dichiaro di non aver notato nessuna persona e di non essere in grado di trovare una spiegazione plausibile al massacro della povera Beatrice né di avere alcun sospetto su chi possa essere stato. Durante il mio appostamento al bar mi sono assentato solo pochi minuti per un bisogno fisiologico. Dichiaro inoltre che la mia mente era offuscata e non ero in grado di agire secondo razionalità, sono pentito di aver fatto del male e voglio pagare il mio debito con la giustizia per riuscire ad avere una nuova possibilità di una vita normale. Le suddette dichiarazioni sono state rese spontaneamente e ringrazio gli inquirenti per avermi trattato con civiltà ed umanità.
In fede
letto e confermato
Benedetto Martelli
VENTITRE’
Salto della Quaglia. Miles Davis. Porto freddo
Era mezzanotte ata quando lasciai il commissariato, in una notte afosa e soffocante come tutta quella storia. La confessione di Martelli aveva scatenato un vespaio, e tutto il gotha investigativo aveva effettuato il previsto salto della Quaglia. Non avevano indetto una conferenza stampa, troppo impegnativa, ma era stato stilato un comunicato stampa nel quale si precisava che, in seguito a ulteriori spunti probatori e bla bla bla, grazie alla intuizione dei vertici investigativi e bla bla bla, si era giunti ad individuare il coordinatore della palestra il quale, messo spalle al muro dallo stringente interrogatorio effettuato dal dottor Marco Ferrer del Commissariato Prati, aveva reso piena confessione eccetera ed era stato ristretto presso il carcere di Regina Coeli con l’imputazione di omicidio, tentato omicidio, vilipendio di cadavere ed altri reati minori. Il PM Testa aveva ribadito che l’imputazione era di omicidio, nessuno avrebbe creduto alla storiella del poverino fuori di testa per amore che arriva sulla scena del crimine a giochi fatti. Era stato lui, punto.
Lei è stato bravo, Ferrer, a crederci ancora e a non mollare ma ora questo è il
nostro uomo, lo abbiamo in pugno. Dispiace per il Moudani, ma se non avesse fatto la cazzata di fuggire svolazzando ora sarebbe libero e tranquillo. Mercanti era ripartito per le ferie ed era stato avvertito telefonicamente sotto l’ombrellone. Una nuova conferenza stampa era fuori luogo, per cui se ne sarebbe rimasto in spiaggia. I miei uomini mi avevano guardato con ammirazione, a Palumbo erano venute quasi le lacrime agli occhi.
- Capo, l’interrogatorio di Martelli era da filmare e fare vedere alle scuole di Polizia. Mai visto nulla di simile, roba da manuale. A me sembrava invece che Martelli non attendesse altro che di liberarsi la coscienza, era incappato in tutti quei tranelli sbirreschi che non avrebbero ingannato nemmeno un borseggiatore alle prime armi. Però il tarlo, in quella notte silenziosa, continuava a lavorare. La storia di Martelli era assolutamente credibile ma ci si stava dimenticando tutti di un particolare. C’era sesso su quel letto e in quella casa, Beatrice aveva fatto l’amore con qualcuno; e questo qualcuno non era stato trovato.
Martelli era fuori da una possibile storia con la vittima, questo era fuori di dubbio perché era solo uno stalker di bassa lega. Finora avevamo sempre pensato che l’omicida fosse l’amante di Beatrice. Perché cambiare idea? La storia di Martelli reggeva, aveva confessato anche l’aggressione di Paola. Certo ammettere un omicidio era un’altra storia, lo sapevo e comunque per il momento poteva bastare così. Che il tarlo continuasse pure a scavare.
Mentre percorrevo il lungotevere mi inebriai del profumo dei tigli, che insieme ai refoli di vento che salivano dal fiume rendevano quella notte piacevole.
Ero stanco di inseguire un fantasma, stanco di combattere con il questore, con il magistrato inquirente, stanco di quell’estate afosa, canicolare, appiccicosa. Mi concessi una lunga doccia rilassante e un bicchiere di Porto ghiacciato. Avevo solo voglia di dormire, il giorno dopo sarei partito, via da quell’incubo metropolitano, dai miei fantasmi, da quella donna che non mi voleva, dal mio inferno interiore. Chiusi gli occhi e mi addormentai quasi subito, avvolto da un
oblio senza sogni.
VENTIQUATTRO
Due mesi dopo
Autunno. Pioggia. Hotel dei Villini
L’autunno non si era fatto attendere, giunto finalmente a mitigare un agosto tra i più caldi del secolo. Settembre era stato fresco, ricco di piogge provenienti dall’atlantico che rovesciavano acqua a catinelle quasi ogni giorno, gli alberi e i parchi della città finalmente grondanti di acqua stavano precocemente ammantandosi dei colori dell’autunno. Me ne stavo in piedi di fronte alla finestra del mio ufficio e guardavo la strada ingolfata di automobili parcheggiate in maniera indegna, e i pochi anti bagnati e infreddoliti, impermeabili ed ombrelli aperti, costretti a slalom tra musi di sghembo e ruote sul marciapiede. Una vista desolante, niente monumenti, nessun tramonto da cartolina, non verde né parchi cittadini, non il fiume maestoso che scorreva poco lontano, ma il muro e le finestre della palazzina di fronte, ingiallita dall’umidità, e finestroni con annessi condizionatori, oltre al parcheggio selvaggio nella strada. Erano le nove e trenta di una giornata uggiosa e piovosa, una di quelle da restarsene a letto. Quella mattina indossavo una polo color aragosta con il simbolo del coccodrillino, regalo del mio amico Ernesto e falsa come una banconota del monopoli. Mi versai il caffè e mi sedetti nella poltrona dietro la mia scrivania. Quell’anno, dopo l’agosto e la fatica del caso Massimi, mi ero concesso quasi un mese e mezzo di ferie, ato a leggere, camminare e giocare a tressette. Del lavoro avevo avuto notizie quasi quotidiane da Palumbo, il quale mi relazionava in maniera a dir poco maniacale. Non stava succedendo nulla di eclatante, le solite cose, file all’ufficio aporti, qualche scippo, le solite rapine in banca, la folla serale nei weekend nei viali a caccia di sesso mercenario, qualche fermo per droga. La solita routine, appunto.
I riflettori sul caso dell’estate si erano spenti, avevo avuto dal Questore un encomio ufficiale, che Palumbo aveva ritirato per me e che aveva insistito per sistemare sulla parete del mio ufficio, accanto alla stampa di Hopper. Un paragone indecoroso, evidentemente, ma il mio vice ci teneva, quindi pazienza. Benny Martelli dal carcere continuava a proclamarsi innocente per l’accusa di omicidio, il gip e il Tribunale della Libertà avevano dato parere sfavorevole alla richiesta di arresti domiciliari, ed era stato rinviato a giudizio per omicidio volontario. La difesa era stata assunta da un principe del Foro, in genere questi casi mediatici si ripagavano con la pubblicità, anche perché dai controlli bancari si era appurato che Martelli non aveva una lira, campava con uno stipendio di seicento euro dei quali trecentocinquanta andavano per l’affitto. Non avevo più visto Paola, e le poche volte che l’avevo sentita telefonicamente non mi era sembrata entusiasta, per cui non avevo insistito. . Dopo essersi fatto annunciare dal solito bussare poco discreto, Palumbo irruppe nella stanza, in divisa d’ordinanza autunnale, giacca di lana color panna, camicia di flanella azzurra, cravatta blu, pantalone scuro, scarponcino con la para, solite mefitiche sigarette nel taschino. . - Capo, disturbo?
- Ma quando mai… vieni, entra. Versati il caffè. – Grazie, ma l’ho appena preso giù dall’archivista.
- Hai fatto testamento?
- Capo, ora gli esce un caffè che è una crema. Merito suo, siccome stavamo sempre sul giornale, e il commissario Prati qui e là e Ferrer qui e là, quello si è fatto bello con i figli che gli hanno regalato una di quelle macchinette che fanno il caffè con le cialde. . Quindi ora il caffè è una meraviglia, il problema è che sono finite le cialde e quelle vanno comprate e costano troppo, e quasi conviene ordinarlo al bar. L’archivista ha organizzato una colletta, ma con i tempi che corrono è andata deserta, quindi ha la macchina non le cialde, stamane ne aveva una e mi sono fatto il caffè ma da domani mi sa che si torna alla ciofeca. - Beh, la mia sforna un caffè delizioso. Palù ma che discorsi frivoli… - Capo, a parte
che il caffè è una cosa seria, e glielo dice uno che viene da Napoli, mica si può sempre parlare di lavoro.
- Comunque, novità recenti?
- Niente, calma piatta, un paio di fermi questa notte per ubriachezza molesta, uno ha aggredito la compagna, un altro ha rapinato una puttana. Dalle camere di sicurezza sono già stati trasferiti in tribunale per il rito direttissimo. Saranno già a casa.
-Va bene, sembra che i problemi della vita che arrivano sistematicamente con la fine delle vacanze impegni anche i delinquenti, magari anche loro debbono pensare alla scuola per i figli, ai libri… - A quello ci pensano le mogli capo, i delinquenti pensano a delinquere, se c’è calma mi aspetto il botto. Magari stanno tramando, che so, una rapinona al blindato portavalori, qui è pieno di banche. . – Bravo commissario capo nonché mio vice, e allora prevenzione, come dicono al ministero. Quindi metti pressione a tutti gli informatori che non sono alle Maldive a godersi i frutti delle rapine che gli facciamo fare impunemente, cioè pochi, se non mi dicono quello che bolle in pentola escono dalla lista e finiscono in galera. Riferisci.
- Va bene capo, gli metto il pepe al culo, stia tranquillo. Poi ci sarebbero alcune carte da firmare, straordinari, mandati per la ditta delle pulizie, cose così. – Queste qui? Ma sono mezzo metro di scartoffie, mi vuoi rovinare la mattina? Lasciali sulla scrivania, ci penso dopo. – Mi scusi, non voglio rompere ma siamo già in ritardo, se non li mando per oggi finisce che i ragazzi non prendono nemmeno quelle due lire di straordinario. - Ho capito, mettile qui e torna tra mezz’ora. Uscito il mio vice, raccolsi il copioso pacco di carte e cominciai a firmare e a timbrare. Avevo sempre odiato la burocrazia e con un ben oliato meccanismo mentale riuscivo a rimandare a data da destinarsi il momento di affrontare quella tortura. Ero circa a metà dell’opera quando le note dell’Ave Maria di Bach mi annunciarono una telefonata in arrivo. Risposi
automaticamente senza guardare il display. -Pronto
-Ciao Vice Questore.
-Paola… -Come stai? Di nuovo sulla breccia per arrestare i cattivi? -Veramente dovrei chiederti io come stai, sono stato uno stronzo, non mi sono nemmeno informato sulla tua convalescenza. Ma temevo di romperti le palle. Riesci a scatenare la mia timidezza. -Non ti sapevo timido. Se non mi hai chiamato vuol dire che non ti andava. Meglio così, lo sai che le cose fatte per dovere non mi piacciono. Quando sei tornato? - Da una decina di giorni, ho pian piano ripreso la normale routine. - Io sono tornata ieri, ma non sono a casa, sono in albergo, non ti avevo detto che ho deciso di mettere in vendita casa mia e ne sto cercando un’altra, non me la sentivo più di vivere lì. Troppi brutti ricordi. .e in un pos De Matteis.ci avevo fatto caso.re questo amore evitando di soffermarmi sulle altre donne.anto m – Assolutamente comprensibile, ma perché in albergo? Potevi stare da me. . - Meglio di no, commissario, tu mi sedurresti dopo due minuti. – Ma no, avrei fatto il bravo. Senti, ti faccio una proposta. Cosa fai a pranzo ? ? Più che una proposta mi pare un invito. Guarda che potrei anche accettare. . Dai, ti o a prendere alla mezza. In quale hotel sei scesa? - Hotel dei Villini, dalle parti di via Nomentana non sapevo quanto sarei rimasta fuori casa e volevo una sistemazione vicino all’università. -Sì so dov’è, ci vediamo alle dodici e trenta. -Va bene, a più tardi allora. Chiusa la comunicazione, il brivido sulla schiena arrivò puntuale. Nella vita occasioni di conoscere donne con lo spessore, la classe, la bellezza interiore ed esteriore di Paola non capitano frequentemente, lo sapevo bene; mi sarei dovuto giocare bene questa occasione alla faccia della cartomante. Diedi un’occhiata all’ora, erano le dieci e trenta. Avevo tutto il tempo. Ripresi in mano le scartoffie, terminai rapidamente di firmarle, prima di alzarmi e raggiungere Palumbo nel suo ufficio. - Le firme che mi hai estorto sono sulla mia scrivania. Se ne ho scordata qualcuna sei autorizzato a continuare, falsificale pure, so che non ti è difficile, e poiché mi è venuta una tendinite alla mano per colpa tua me ne vado al pronto soccorso. Poi oggi piove e poiché sono meteoropatico mi girano pure le palle. Sei pregato di non fare commenti. Se accade qualche catastrofe mi chiami altrimenti te la vedi tu. Ci vediamo domani mattina. Sì, faccio come cazzo mi pare, ma sono Vice Questore aggiunto. Ciao Palù, ti nomino ufficiale in seconda. . –Capo, posso consigliarle un ristorantino?
-Ma che fai, mi spii? ? -Ma quando mai Capo ,avo avanti la porta e ho sentito l’ultima frase. . -Secondo me mi controlli con qualche diavoleria di Forte. Microfoni, cimici, bisogna che faccia bonificare la stanza.. e quale sarebbe il ristorantino? -Da Arturo, in via Cernaia. Ci sono stato con Marina. Se vuole telefono e prenoto? . -Grazie Palù, procedi. Verso le tredici. Siamo in due. -Su questo non avevo dubbi.
Fermai la macchina di fronte all’ingresso dell’Hotel dei Villini, in perfetto orario.
Avevo fatto in tempo a are per casa, fare una doccia, cambiarmi e scegliere un profumo tra un paio di confezioni ancora da aprire che avevo nel cassetto, regali di Paola. Puntualissima, la vidi uscire dalla porta girevole dell’Hotel, più bella di sempre, con il suo impermeabile verde, la gonna scura sotto il ginocchio, il maglione rosso che le avevo regalato io, gli stivali di pelle. Si era tagliata i capelli, ora li portava cortissimi, con un taglio quasi maschile che ne faceva risaltare il profilo. Solo l’incarnato era pallido, ma veniva da una convalescenza sui monti della Ciociaria, non da una vacanza alle Maldive. Era anche dimagrita, e mi resi conto che non la vedevo da almeno due mesi, da quando era ancora distesa in un letto d’ospedale. . Scesi dalla macchina e mi avvicinai. Lei mi sorrise e mi abbracciò forte, stringendomi a sé. Rimanemmo stretti per un lungo attimo, ed io mi inebriai del suo profumo, respirando nei suoi capelli. Sentii le sue braccia stringermi la vita, quasi con disperazione. Un lungo, dolce attimo, solo nostro. Poi ci staccammo, io cercai la sua guancia per baciarla e invece trovai le sue labbra. Un bacio leggero, ma era già qualcosa. Sorrise nuovamente, mentre la guidavo alla portiera lato eggero che le aprii galantemente.
- Vice Questore, apri sempre la portiera della macchina alle tue conquiste? Dall’alto della tua esperienza sai benissimo che non c’è nulla che colpisca più favorevolmente una donna, così facendo sei già a metà dell’opera.
- Non per essere prosaico, ma ci sarebbe il ristorante dove le porti. Se di livello,
costoso e di classe difficilmente ti resistono, anche se non gli apri la portiera. E devi vedere come faccio il baciamano. Ma insomma, scherzi a parte, come stai? Ti trovo bene, forse un po’ troppo dimagrita. - E non so nemmeno perché, dopo l’intervento ho perso tre chili, da mia madre ho mangiato da morire e sono riuscita a perderne altri tre. Altro che maratona di New York. - E le ferite come vanno? Hai fastidio?
- Ma no tutto bene. Il chirurgo… a proposito, un bel tipo, mi ha pure corteggiato, ma tanto lo fa con tutte. Me lo ha confessato la caposala che deve essere gelosa. Il tipo, dicevo, mi ha detto che ha fatto una doppia sutura muscolare, il laparocele dovrebbe essere scongiurato.
- Si sono cicatrizzate bene? Era un taglio profondo.
- Sì, ha dovuto lavorare sull’intero addome, è una classica incisione da laparotomia esplorativa , va dalla parte inferiore dello sterno a sopra al pube. Sempre meglio che farsi fare una incisura ad Y. . -Quindi ora sei senza milza. Ci saranno problemi?
-Ma no. Il vantaggio è che non mi farà male quando corro. -Già, troviamo pure il lato positivo. Senti, hai particolari preferenze per il ristorante? Palumbo mi ha consigliato un locale qui vicino, ha anche prenotato, che poi sennò si offende. . Per me va benissimo, figurati.
Dopo pochi minuti eravamo seduti in una saletta riservata del locale dalle parti di Piazza dell’Esedra. L’arrivo dell’ormai famoso vicequestore Ferrer, annunciato da Palumbo, aveva determinato un’accoglienza da grande occasione, il proprietario a salutare con aperitivi omaggio e foto di rito da appendere sulla parete, due camerieri tutti per noi e verosimile megasconto.
Ovviamente pesce, dall’antipasto alle grigliate, saltando i primi e una bottiglia di Vermentino di Gallura.
- Senti Marco, non abbiamo avuto modo di parlare troppo di quello che è successo. Ti va di affrontare il problema? Ho letto sul giornale che hai arrestato quel Benny Martelli. Anzi più che letto mi sono immersa nella tua agiografia raccontata da quella giornalista, la tua ex, Luisa Casta. Quella secondo me è ancora pazza di te. – Quando mi vuole estorcere notizie si diverte a fare l’innamorata devota, mai fidarsi dei giornalisti. Ed io non lo faccio. La conosco bene, ormai il nostro è un gioco delle parti. Comunque certo, è il caso di parlarne, e allora tanto vale farlo subito. Lo abbiamo arrestato con l’accusa di omicidio e tentato omicidio. Lui ha confessato solo la tua aggressione, mentre riguardo a Beatrice afferma di essere arrivato quando lei era già morta, già accoltellata e ridotta come l’hai vista tu sul tavolo autoptico. Ovviamente il magistrato non gli crede, e sta procedendo anche per l’omicidio Massimi. Questa storia è cominciata e finita in quella palestra. Ci andava la vittima, ci lavorava l’assassino, ci andavi tu . A proposito, l’ho scoperto facendo un sopralluogo a casa tua, ho letto la cartolina del tuo amico Federico e ho visto la borsa.
–Federico. Già, non ti avevo detto nulla, meriti qualche spiegazione. Dopo che tra noi era finita ho ato un periodo cupo, mi sono gettata nel lavoro e ho dovuto anche fare i conti con la sensazione sempre più forte che in me ci fosse qualcosa che non andasse, anche interiormente. Sono andata in analisi, ma lo strizzacervelli, dopo essersi fatto pagare il corrispettivo di un viaggio in prima classe e soggiorno alle Bahamas, mi ha detto che ero a posto e che quello che doveva essere lobotomizzato , testuale, eri tu. Ma anche fisicamente ho avuto le mie insicurezze. Non sai quante volte mi sono messa davanti allo specchio per cercare di capire cosa ci fosse di sbagliato. Poi ad un congresso di Medicina Legale ho conosciuto Federico, un medico italiano che lavora a New York nel campo assicurativo. Lui ha cominciato a corteggiarmi discretamente, ci sono uscita qualche volta ma non c’è stato nulla, io ero ancora legata a te, però lui si era coinvolto e prima di partire ha cominciato a magnificarmi la maratona che si corre a New York convincendomi a partecipare. Finito il congresso se ne è
tornato negli States ma ha continuato a scrivermi e ad invitarmi . Ci ho pensato sopra e ho deciso che impegnarmi in qualche cosa di fisico poteva distrarmi. Non sapendo nemmeno dove cominciare, ho cercato su internet, e ho trovato questo programma maratona allo Sporting Club Tor di Quinto. Ho telefonato, gli orari erano elastici, quindi mi sono iscritta, verso la metà di gennaio. - Quindi da gennaio frequenti lo Sporting club Tor di Quinto. E avevi orari fissi? - In genere ci andavo il pomeriggio verso le diciannove, tre volte a settimana. Mi portavo la borsa, la lasciavo in macchina e quando uscivo dall’istituto andavo in palestra, in genere il martedì il giovedì il venerdì, meno quando ero di turno per la procura. Nei week end, in genere la domenica mattina o qualche volta il sabato verso le quindici, così verso le diciotto ero a casa per prepararmi alla febbre del sabato sera di una single a Roma, sai che goduria, la solita pizza con le amiche o CSI in TV, o magari un CD preso in videoteca. Per incappare in un cretino che decide di accoltellarmi, guarda caso la prima sera che mi era capitato qualcosa di interessante dopo un anno. Che sfiga cronica. - Ti senti meglio se ti dico che mi dispiace? Ecco, mi dispiace. - Lo so che ti dispiace. Però lo dici sempre dopo, potevi pensarci prima di mollarmi per quel surgelato. A proposito, l’hai più vista? - Chi, Eleonora? Mai nemmeno pensata.
- Voglio sperarlo, e poi almeno quello che mi ha ridotto cosi l’hai arrestato... – Se hai letto il resoconto di Luisa Casta saprai tutto. Comunque Martelli ci ha fatto trovare a casa del massaggiatore della palestra l’arma del delitto e del tuo ferimento. Io ero arrivato a Moudani, e questo forse Luisa non lo ha scritto, perché ho trovato Olio di Argan sia a casa di Beatrice che da te. Avevo pensato che eravate clienti del massaggiatore e che poiché effettuava anche sedute a domicilio, avrebbe potuto conoscere dove abitava Beatrice e probabilmente anche tu. Era un collegamento con le vittime che andava verificato. Poi quel povero cristo di Moudani ha fatto una brutta fine, si è sentito giustamente fottuto. Sei marocchino e ti trovano l’arma del delitto a casa, puoi anche reagire male e provare a scappare. Martelli ha quindi sulla coscienza anche quel poveraccio del massaggiatore. Frequentavi anche tu Moudani, vero? - In una delle sedute davanti allo specchio mi è venuto il terrore che tu non mi volessi per la cellulite. – Paola!
- Lo so, è folle, ma nel mio delirio mi è venuto in mente che Eleonora potesse
avere la pelle più liscia della mia.
- Ai pezzi di ghiaccio la pelle rimane ibernata. Lo hai detto tu e comunque non era un fatto fisico. – Ma sì, lo so, ma in quei momenti esci di testa, le pensi tutte. E allora c’era questo massaggiatore, qualche volta, terminato il programma al tappeto ruotante mi facevo fare un massaggio, e lui mi ha consigliato questo olio raro che si forma da una pianta, con proprietà antiossidanti, tra l’altro costosissimo, lo sai commissario quanto mi sei costato dopo che mi hai gettato via come uno straccio usato? Comunque, ho iniziato a seguire il programma di corsa al tappeto, debbo dire molto faticoso, non ce l’avrei fatta per questo autunno.
- Me la togli una curiosità? Veniva a farti massaggi anche a casa? -Ma no, so che lavorava anche a domicilio, però io ho comprato solo l’olio che usavo dopo la doccia. Mai portato nessuno a casa.
-Ascolta, pensa un attimo attentamente prima di rispondere. Visto che frequentavi il programma di corsa, non ti ricordi di aver mai incontrato Beatrice ? - Ci ho pensato molto in vacanza, ma tieni presente che nei cadaveri i tratti del viso cambiano. Ho visto la sua foto sul giornale, e mi pareva di ricordarla, però all’inizio nessuno aveva parlato dello Sporting e che lei frequentasse quella palestra. Anche così di Beatrice ho un ricordo molto sfumato. Non sono una gran fisionomista, mi è venuta in mente quando mi sono ricordata di quella che era sempre con lei e che invece ricordavo benissimo. Quella che sembrava una mulatta.
-Mulatta? Vuoi dire Fiammetta Giusti? - Ecco sì, mi ricordo il nome Fiammetta, allora Beatrice era quella che alla pizza del corso.. … - Cosa? Eri alla pizza del corso? Quella dove c’erano anche gli istruttori e Benny Martelli? - Certo che c’ero. Dimentichi che io avevo un problema con le serate, ero sempre sola. Ogni invito innocente , che non implicasse relazioni con uomini, per me era una manna dal cielo, era un buco nero in meno da riempire. Come puoi immaginare
il giorno a, la notte anche, sono le sere il dramma di noi single, soprattutto nei giorni di festa. Un vero incubo, commissario. E ti ho odiato per questo.
-Non pensare che le mie fossero migliori, quando convivevo con il pensiero di aver sbagliato tutto. Io soffrivo più di te. Tu potevi odiarmi, io me la potevo solo prendere con me stesso. Comunque ascolta, parlami della cena. Cosa ricordi di Fiammetta e Beatrice? Eravate tutte donne o c’era anche qualche uomo?
- Eravamo per la maggior parte donne, una decina. Gli uomini erano quattro o cinque compresi gli istruttori ed il coordinatore. Era un corso frequentato prevalentemente da donne. Doveva essere più o meno fine maggio o i primi di giugno, avevamo organizzato la cena in quel periodo per essere in molti visto che con l’arrivo dell’estate le presenze al corso si sarebbero diradate, per vacanze ed esami all’università. Gli istruttori ci avevano detto che era fisiologico. Mi ricordo anche che non era sabato, mi pare fosse un giovedì. Siamo andati in un locale sul Tevere un barcone, con i tavolini sul ponte. Ricordo anche che nonostante le stufe faceva abbastanza freddo, l’umidità del fiume era micidiale. La pizza però era ottima. -Senti, è importante. Cosa ricordi di Beatrice? Ha parlato con qualcuno? Qualche uomo si è avvicinato? Beatrice ha risposto al cellulare? ? - Marco no, ma cosa dici, nessun uomo si è avvicinato e nessuno avrebbe mai potuto. Sono state tutta la sera a parlare fitto, al punto tale che ci sono stati anche dei commenti sgradevoli. Insomma, era una cena sociale per conoscersi, puoi anche essere lesbica ed essere innamorata, ma allora che siete venute a fare? Quelle due stavano insieme, Marco, lo avevamo capito tutti.
VENTICINQUE
Il polo Tuscolano. Antonio Forte. La mulatta
-Scusate se vi ho strappato al sacrosanto pisolino post prandiale, ma abbiamo
delle novità.
L’orologio digitale sulla mia scrivania indicava le quindici e trenta ed io e Paola eravamo nella mia stanza con Palumbo, Borghi e Anna Durante.
- Debbo dire che solo la mia mente tradizional-bigotta anni settanta mi ha fatto perdere di vista la soluzione, che avevamo a portata di mano. Avremmo chiuso il caso in mezza giornata, se solo avessi avuto un briciolo di intuito. Invece siamo ati per una inchiesta dura, lunga e piena di sangue. Due morti e un ferito vivo per miracolo, la dottoressa qui presente. . – La dottoressa pare un fiore fiorito, altro che viva per miracolo. - Grazie Palumbo, sei gentilissimo.
-Ma le pare, è la pura verità. Capo, tutto bene al ristorante? Guardi che se vi hanno trascurato gli mando la finanza.
- Palù al ristorante tutto bene, si vede che hai l’animo del camorrista. Quando telefoni tu… Comunque, veniamo al caso. Parlando con la dottoressa, ho scoperto che era stata anche una testimone diretta della ormai famosa cena dell’ormai famigerato corso maratona dello Sporting Club, la palestra della morte, come epigrafata dalla stampa, che si è svolta la sera di giovedì otto giugno al ristorante “Al Barcone”. La cena riveste una importanza fondamentale perché vi hanno partecipato la vittima, Beatrice, l’amica e testimone, Fiammetta Giusti, la qui presente dottoressa, e il reo confesso Benny Martelli. La dottoressa ha avuto l’impressione… - Non era un’impressione. Era una certezza, dettata da intuito femminile. Io ho molte amiche lesbiche, sono stato spesso a cena con loro, conosco le sfumature, so riconoscerle. In più, e questa cosa mi è venuta in mente ora, quando siamo usciti ci siamo salutati, io ho cominciato a camminare sul lungotevere per raggiungere la macchina, alzando gli occhi ho visto Fiammetta e Beatrice dall’altro lato della strada, quasi sul marciapiede. Si davano la mano, e ad un tratto si sono abbracciate e baciate sulla bocca. La scena mi è rimasta impressa perché il bacio è durato una manciata di secondi e si è interrotto con il suono del clacson di una macchina. A quel punto si sono
staccate, hanno riso, e mano nella mano hanno continuato a camminare. Nessun dubbio. Tra quelle due donne c’era una storia. Non so da quanto durasse, perché io non le ho mai incontrate al corso, avevamo orari diversi. Ma la sera della pizza è stato tutto chiarissimo. Avrei dovuto dirlo subito, ma ho collegato Beatrice alla palestra solo quando il commissario mi ci ha fatto pensare, e solo attraverso Fiammetta, la quale delle due era la più appariscente. Quando gli ho fatto l’autopsia non l’avevo riconosciuta, e credo di non averne mai saputo il nome. . - Va bene, ci sono domande? ? Anna si avvicinò alla finestra per chiuderla. La pioggia scendeva fitta , con scrosci fragorosi e con il ticchettio continuo delle gocce sui vetri, mentre un lampo seguito da un tuono illuminò per un attimo la stanza.
- Dottore, io avrei un’idea, facciamo una ricerca alla questura di Firenze su questa Fiammetta, magari hanno qualche cosa, sappiamo che è incensurata, ma non si sa mai. Però mi pare che il problema rimanga. Abbiamo un possibile sospetto ma nemmeno lo straccio di una prova. – Mi pare ovvio Anna, ora è il caso di metterla sotto una bella lente di ingrandimento. Occupatene subito e vedi cosa hanno, fermi, pettegolezzi, qualsiasi cosa. Comunque dobbiamo muoverci con cautela, sott’acqua. Questa è una indagine non ufficiale, perché il caso Massimi è chiuso. Sulle prove vediamo, io ho una idea, qualche cosa che avrei dovuto verificare con il commissario Forte e che ho rimosso, vista la confessione di Martelli, che ha fatto are le prove scientifiche in secondo piano.
- Capo, a proposito di Forte, lo sa che quando era in ferie l’ha cercata un paio di volte? Mi è ato di mente, aveva detto che non era urgente. . Già da qualche tempo al mio vice le cose sfuggivano. Evitai di riprenderlo davanti a tutti ma in privato si sarebbe meritato un discorsetto. Presi il telefono e digitai il numero di Antonio Forte. Rispose al terzo squillo.
- Ciao Ferrè, come stai? Tornato dalle ferie? Vacanza lunga quest’anno eh? . Cosa vuoi, dopo un agosto ato tra conferenze stampa ne avevo bisogno. . Ti capisco, al tuo posto avrei fatto lo stesso. Comunque ti avevo cercato. Ti ricordi quella cosa che mi avevi chiesto, quell’accertamento tecnico sulla parte
inferiore delle doghe del letto? Ho qualche novità, se puoi fai un salto qui, meglio non parlarne al telefono. Se arrivi presto ti aspetto. . - Ti stavo per chiedere la stessa cosa. Mi muovo subito. Debbo attraversare Roma con il temporale, spero di arrivare prima di mezzanotte.
– E tu metti la sirena che arrivi prima.
Chiusa la comunicazione, incassai gli sguardi interrogativi dei miei uomini. . Forse siamo ad una svolta. Avevo chiesto alla Scientifica di valutare la eventuale presenza di impronte sulla parte inferiore delle doghe del letto, un’intuizione che mi era venuta studiando le foto della scena del crimine, ben prima del casino con Moudani e Martelli, e avevo dato l’incarico a Forte che mi aveva promesso di occuparsene, anche se si capiva che non ne era entusiasta. Poi l’inchiesta si è chiusa, riaperta e richiusa con l’arresto dell’assassino, e i tempi di Forte si sono diradati di conseguenza, ed anche a me la cosa era ata di mente. Ora abbiamo un sospetto e contemporaneamente Forte mi cerca. Spero che i tasselli si stiano incastrando. Io vado al polo Tuscolano , voi rimanete in commissariato, se ci sono novità con le impronte vi voglio operativi.
Uscimmo accolti da raffiche di pioggia e vento, raggiungemmo la mia macchina dopo una corsa abbracciati sotto un ombrello. - Allora, non vuoi venire a stare da me?
Oggi no, tanto non ci sarai, mi pare di aver capito che hai ripreso in mano l’inchiesta. Se debbo vivere ancora una volta con un senso di precarietà e solitudine, meglio che rimanga in albergo. Risolvi questa storia e poi ne riparliamo. - Va bene, in effetti ci sono sviluppi, vado da Forte proprio per questo, e stasera potrei fare tardi se non nottata.
Dopo una trentina di minuti la depositai nella hall dell’hotel. - Allora ciao, ti
chiamo appena posso.
La vidi allontanarsi stretta nel suo impermeabile bagnato, raggiungere l’ingresso dell’hotel e sparire dalla mia vista. Cercai di scacciare il senso di malessere che stava nuovamente affacciandosi e mi immersi nel traffico infernale di una Roma sferzata da una pioggia incessante. Avrei dovuto attraversare la città per raggiungere il Polo Tuscolano, situato di fronte agli Studi Cinematografici di Cinecittà. Non misi la sirena ma la bolla con il lampeggiante, e utilizzando le corsie riservate a Bus e Taxi ce la feci in un tempo da primato, una quarantina di minuti. Nella traversata, in una città in preda ad un traffico infernale, a ingorghi di auto incastrate tra loro e con un sottofondo di clacson impazziti, brucìai una ventina di semafori rossi e accumulai minimo una decina di multe che avrei provveduto ad inoltrare al questore. Parcheggiai nello spazio riservato, e dopo aver superato i tornelli con il mio badge raggiunsi il quinto piano sede della polizia Scientifica. Trovai il commissario Antonio Forte nella sua stanza. –Ferrè ciao, entra, hai fatto presto. Ci stringemmo la mano con calore. -Già, voglio vedere quante multe ho collezionato, ma stavolta le invio al capo della polizia. Allora questo caso sembra non finire mai.
-Pare una scatola cinese. . -Ti va un caffè?
-E quello non si rifiuta mai, come direbbe il mio vice che di caffè se ne intende. Vedo che anche tu sei fornito di moka. - Certo, e che debbo andare a rovinarmi il fegato con quelle macchinette? Il bar interno non ce lo hanno messo. Sai, la sicurezza… Ora te lo preparo, anzi parliamo mentre lo metto su. . Ti ricordi quella richiesta strana che mi hai fatto, di cercare impronte nella parte inferiore del letto della prima vittima, in Via Valadier? ? - Certo che me lo ricordo, poi però la situazione è cambiata e abbiamo incastrato il presunto assassino.
-Appunto, avevi l’assassino, c’è stata la conferenza stampa, il caso era chiuso. Ed io che cosa dovevo farci con la tua richiesta? Archiviarla pure io, ovvio. -E avresti fatto male.
-Certo, avrei fatto male, ma il mio uomo, che avevo mandato, non è riuscito ad entrare. Problemi con la chiave, un banale contrattempo. Poi ha saputo che l’assassino aveva confessato, si è rilassato e di testa sua ha deciso che non valeva la pena farlo, quell’accertamento tecnico. Poi se n’è andato in ferie e l’ho rivisto una ventina di giorni dopo, quando mi ha finalmente confessato che quelle impronte non le aveva cercate. . -L’hai cazziato spero. . -No. Io preferisco colpirli nel portafoglio. Nemmeno una parola ma tre mesi senza straordinari, e rispedito immediatamente a casa Massimi. Non c’era nessuno perché il padre ha deciso di non voler vivere li, c’è da capirlo, poveraccio. Stavolta il mio uomo ha fatto le cose per benino, ed ha trovato, sulla parte inferiore della doga in legno lucido, due impronte. Ho provato a cercarti, ma tu eri in ferie. Aspetta che verso il caffè, è uscito.
-Impronte chiare?
-Limpide , come in uno stampino
-Degli accertamenti sul DNA si sa nulla? -Quelli sono stati bloccati, sia perché abbiamo già una persona rinviata a giudizio per questo crimine, sia perché costa parecchio e siamo al limite con i finanziamenti. Tanto in sede processuale questi accertamenti andranno ripetuti, in questo modo manteniamo il materiale integro. Poi non sai quanti morti ammazzati ci sono in questa città, e il caso Massimi, ormai risolto, lo abbiamo messo in stand-by. Ovviamente possiamo velocizzare, ma ci deve essere una riapertura dell’inchiesta. . - Senti se ti mando delle impronte da comparare con quelle della doga, quanto ci metti? ? - Abbiamo un programma ultrarapido al computer. Una manciata di secondi. . - Sono quasi le diciassette, ti fermi un paio d’ore per chiudere questo caso?
Uscito dal Polo Tuscolano, telefonai ad Anna Durante istruendola su quello che avrebbe dovuto fare pregandola poi di raggiungermi al più presto. Avevo un paio
d’ore da are, quindi me ne andai a ciondolare nel vicino centro commerciale. Ero in vena di gratificarmi dando fondo alla carta di credito, quindi visitai un negozio di orologi, dove spesi circa cinquecento euro per un cronografo per me e per un modello molto elegante per Paola, e un negozio specializzato il film in DVD. Anche lì non fui parco nello spendere ma almeno mi ero garantito un bel numero di serate e di domeniche pomeriggio a casa, un bel film cura ogni malessere esistenziale. Alla fine dello shopping, me ne tornai al Polo Tuscolano. Avevo appena parcheggiato che una volante si fermò accanto alla mia macchina, ed il viso di Anna Durante che osservai mentre scendeva dalla Pantera per infilarsi nella mia auto era tutto un programma. Sorrideva radiosa.
-Hai fatto presto. Vedo dal tuo viso che porti buone notizie. –Dottore, tutto bene. Gli ho telefonato con la scusa della deposizione da firmare e lei mi ha detto di raggiungerla in palestra. Ha firmato il foglio, che in precedenza avevo ripulito da impronte. Io avevo i guanti, quelli da pioggia, tanto fa freddo, non ho sollevato sospetti. Poi ho messo il foglio nella busta da reperti. È tutto qui. -Va bene. Ora tornate in sede e tenetevi pronti. Io torno da Forte. Incrociate le dita.
Seduto alla scrivania, osservavo il tecnico della scientifica lavorare dall’ampia vetrata che separava l’ufficio del dirigente con uno dei laboratori. Forte voleva avere sempre tutto sotto controllo anche se una tendina alla veneziana poteva garantire la privacy del suo studio. Vidi il tecnico spennelare con una polverina magica il foglio di carta con le impronte da rilevare, isolarle su un nastro adesivo , fotografarle e arle allo scanner. Inserite in un file sul computer, avviò il programma, inserendo l’impronta isolata sotto il letto di Beatrice. Noi potevamo seguire la procedura di identificazione dal computer di Forte. Dopo pochi attimi lo schermo iniziò a lampeggiare la parola “Match” e ad inviare un bip continuo. Positività assoluta, 25 punti di contatto. Sapevo che ne sarebbero bastati molto molto meno. – Ferrè, bingo. Siamo alla ennesima scatola cinese, ora come ti muovi? . -Non lo so, intanto me ne torno in commissariato, poi vedrò. Ti terrò informato. Tu prepara qualche cosa di scritto e inviala via fax in ufficio. Mi potrà servire a breve. Ti saluto e grazie di tutto. . Appena in macchina, telefonai a Palumbo.
-Vice commissario, corrispondenza assoluta. Quindi la abbiamo in pugno. Senti, chi c’è in procura di turno? -C’è ancora una volta il PM Paolini. Si vede che prima della pensione lo stanno spremendo per bene.
-Bene, lo chiamo subito e ti faccio inviare via fax quello che serve. Appena hai tutto me la vai a prendere e me la porti in commissariato. A più tardi
Erano le otto e mezza di sera. Fiammetta Giusti era seduta di fronte a me, nel mio ufficio, insieme ai soliti noti tra i miei uomini: Palumbo, Anna, Pino e Giorgi al computer. Indossava un paio di pantaloni di velluto neri, stivali marroni e una camicia azzurra, e mi sembrava più abbronzata del solito. Il Sostituto Procuratore Paolini di fronte ad una prova schiacciante come una corrispondenza di impronte digitali, una specie di pistola fumante, aveva senza problemi firmato una richiesta di interrogatorio e perquisizione, tuttavia per quest’ultima avevo preferito attendere.
Non mi aspettavo di trovare nulla e avrei messo l’indiziata sulla difensiva con la solita richiesta di avvocato e il diritto di avvalersi della facoltà di non rispondere. Io invece volevo parlarci, quindi avevo preferito un approccio soft.
Erano andati a prenderla a casa e ora era lì davanti a me, con un atteggiamento tranquillo. Solo gli occhi denotavano freddezza e lanciavano lampi di odio. Rispetto al primo interrogatorio mi sembrò invecchiata, ora dimostrava tutti i suoi quarant’anni, se non di più. I capelli sempre biondi, più lunghi rispetto a due mesi prima, gli occhi azzurri, ma le rughe agli angoli degli occhi e della bocca erano più marcate. Al collo una collana di perle, senza orecchini, vari anelli e un bracciale d’argento al polso destro. Sullo stesso polso, un orologio d’oro.
- Signora Giusti, ci scusi se l’abbiamo convocata in modo così improvviso, ma
dobbiamo compiere alcuni riscontri investigativi sull’omicidio Massimi e il ferimento Franzini, e vorremmo ascoltarla come persona informata sui fatti. L’interrogatorio verrà registrato ma non filmato. Siamo presenti, alle ore venti e trentuno del quattordici ottobre, presso il Commissariato Prati il sottoscritto vicequestore aggiunto Marco Ferrer, il vice commissario Palumbo, gli ispettori Pino Borghi e Anna Durante, unitamente al Sovraintendente Giorgi. Davanti a noi è presente la Signora Fiammetta Giusti, che viene ascoltata al momento come persona informata sui fatti. Vuole intanto firmare la liberatoria sulla privacy declinare le sue generalità complete?
La liberatoria sulla privacy era totalmente inventata ma volevo vedere con quale mano firmava. Al momento del primo interrogatorio mi pareva avesse usato la mano destra ma non avendo sospetti su di lei non mi ero soffermato sul particolare. Altro errore che avevo commesso. Lei prese la penna che gli porgevo e firmò ove indicato.
Con la mano sinistra. . - Mi chiamo Fiammetta Giusti, sono nata a Firenze il dodici marzo del ‘69 e sono coordinatrice amministrativa di una società farmaceutica Inglese. Sono bilingue per via di mia madre, la quale è Inglese, e sono single. Abito, sola, in Viale Flaminia 253. Titolo di studio Maturità classica. Sede di lavoro via Barberini 103.
-Possiede una casa di proprietà ?
-Sì, la casa l’ho ereditata da mio nonno, ora è mia.
-Bene, grazie signora Giusti. Noi ci siamo già sentiti in relazione all’omicidio Massimi mi pare il nove o dieci di agosto. Ci vuole chiarire la natura dei suoi rapporti sentimentali, signora? Ha avuto fidanzati, periodi di convivenza…
- Mi scusi ma che attinenza ha questo con…
- Signora questo lo lasci decidere a noi. Se ora vuole rispondere alla domanda.
Movimento sulla sedia, cambio di gluteo, strizzata d’occhi. C’è un’imponente letteratura sulle risposte non verbali agli interrogatori. Esistevano casi ben documentati di movimenti stereotipati che accompagnavano ogni risposta nella quale si mentiva, per esempio strizzare l’occhio destro. Per questo a volte gli interrogatori venivano filmati e riguardati al rallentatore. Erano ovviamente piste su cui lavorare, nessuno di queste corrispondenze tra menzogne e movimenti stereotipati avevano valore probatorio. Io in quella donna notavo solo un nervosismo incipiente e la cosa non mi dispiaceva. - Continuo a non capire quale attinenza abbia questo con la morte della povera Beatrice. Comunque sì, ho avuto alcuni fidanzati in ato. . - Ci può fornire qualche nome ?
.No commissario, sono storie vecchie, queste persone non hanno alcuna attinenza con questo caso, si sono rifatte una vita e non voglio coinvolgerle in alcun modo. - Va bene, ne prendiamo atto. Da quanto tempo vive a Roma signora? - Dal 1994, prima vivevo a Firenze. Mi sono trasferita per lavoro, in contemporanea è mancato mio nonno, mi sono ritrovata questo appartamento e ci sono andata a vivere. - A Firenze abitava sola?
Con i miei fino all’età di circa venti anni, poi mi sono trasferita da alcune amiche. Mi ero iscritta all’università e volevo la mia indipendenza. - Lei è incensurata, signora? Ma sì, certo, lo dovreste sapere. A noi risulta una denuncia, poi archiviata, per una perquisizione a casa di una certa Marina Filippi nel 1991 ed il ritrovamento di un panetto di hashish.
Ricorda? - È stata una stupidata, ero molto giovane. Poi credo che il tutto sia stato archiviato qualche anno dopo quella faccenda.. - Sì, il magistrato aveva poi saggiamente archiviato. Signora, lei ha detto che conosceva Beatrice Massimi da poco tempo, da quando vi eravate iscritte al corso maratona della palestra. . – Certo, dal mese di marzo. La vostra era una frequentazione limitata al corso o avete avuto modo di vedervi anche al di fuori? Ci vedevamo solo in palestra. Siamo uscite con gli altri in occasione della cena organizzata dallo staff. Lei era fidanzata e stava sempre, come è ovvio, con il suo uomo. Queste cose ve le ho già abbondantemente riferite nel mio interrogatorio precedente e sinceramente non vedo il nesso… - Lei è stata mai a casa di Beatrice, signora? Mai, quante volte ve lo debbo ripetere? Mi sto veramente rompendo, commissario. . – E nemmeno in via Valadier? Ma se non sapevo nemmeno che suo padre abitasse in quella via maledetta! . Signora Giusti, le debbo comunicare che la scientifica ci ha recentemente fornito i risultati degli accertamenti tecnici svolti sulla scena del crimine dell’omicidio Massimi riguardo ad una impronta digitale rilevata sul letto, precisamente su una doga di legno che costituisce la rete del letto. Siamo ancora in attesa del rilievo del profilo genetico del DNA rilevato sui genitali della vittima e sull’arma del delitto. Ma arriveranno tra non molto. Fiammetta Giusti non mosse un muscolo, non modificò la sua mimica facciale, rimase immobile. Era una gran giocatrice, sapeva perdere. E aveva capito di aver perso. Nel suoi occhi, fissi su di me, trasudava rabbia repressa e rancore puro. . Ma di certo non mi feci impressionare. Noi crediamo che i rapporti tra lei e Beatrice Massimi siano stati improntati non ad una semplice amicizia ma siano stati ma di natura sentimentale. Lei aveva una relazione con la povera Beatrice. Pensiamo inoltre, e lo possiamo dimostrare, che il giorno dell’omicidio lei era in Via Valadier, e che in quella casa lei ha avuto un incontro di natura sessuale con Beatrice .In quell’occasione ha lasciato l’impronta digitale sulla parte inferiore delle doghe verosimilmente mentre si rivestiva cercando di prendere la sua scarpa, che era scivolata ad di sotto letto, dopo aver compiuto quello scempio nel bagno. A suo carico abbiamo due chiarissime impronte, che la pongono sul luogo del delitto, nonché abbondante
materiale cellulare dal quale è stato estratto il DNA e verrà confrontato con il suo, gli accertamenti sul suo telefonino che come lei saprà ci diranno se lei era in quella zona in quelle ore. Lei il telefono lo aveva nella borsa, perché il suo è stato un delitto d’impeto, non premeditato, anche se aveva un coltello con se. Ma quello penso lo portasse per difesa personale. Glielo chiedo ufficialmente: ha ucciso lei Beatrice Massimi? Fiammetta Giusti continuò a non muovere un muscolo, a rimanere in silenzio e a guardarmi con disprezzo. Riguardo al suo telefonino, attendiamo a breve il responso della sezione scientifica in relazione alla cella telefonica agganciata venerdì otto agosto in prossimità dell’ora del delitto. Ancora silenzio. -Le comunico che lei verrà trattenuta in arresto e formalmente accusata di omicidio volontario con l’aggravante della crudeltà e del vilipendio di cadavere. Le consiglio di collaborare, conviene a tutti, a lei per prima. Il magistrato terrà conto anche di questo, oltre al fatto che il suo è stato probabilmente un delitto non premeditato. Se vuole può consultarsi con un avvocato. Fiammetta annuì, si mosse impercettibilmente sulla sedia, sollevò la gamba sinistra.
VENTISEI
Cronaca di Roma
Un sanguinoso epilogo
Sanguinoso epilogo ieri sera, negli uffici del commissariato Prati, dell’interrogatorio effettuato dal vicequestore aggiunto Marco Ferrer ad una teste ascoltata come persona informata sui fatti in relazione alle indagini sul Giallo dell’Estate, l’atroce assassinio di Beatrice Massimi, ato alle cronache anche come il delitto della Palestra della Morte.
Il caso sembrava essere stato risolto, come è noto con l’arresto e l’incriminazione del coordinatore della palestra, Benedetto ‘Benny’ Martelli. L’interrogatorio stava volgendo al termine, sembra con la clamorosa incriminazione della stessa Fiammetta Giusti per l’omicidio della povera Beatrice Massimi, con movente, da fonti investigative che intendono restare anonime, di tipo ionale, quando si è verificato un epilogo drammatico. Fiammetta Giusti ha improvvisamente estratto un pugnale, e si è gettata sul Vice Questore Ferrer, cercando di colpirlo al cuore. L’attacco a sorpresa e la vicinanza della donna avrebbero avuto probabilmente conseguenze nefaste se l’ispettore Anna Durante non avesse, con mirabile prontezza di riflessi, colpito il braccio della Giusti, riuscendo a deviare la traiettoria dell’attacco, diretto al cuore di Ferrer, il quale è stato quindi colpito nella regione toracica destra. Attendibili fonti investigative riferiscono che il colpo è stato inferto dalla Giusti con la sua mano sinistra essendo la suddetta ambidestra ma prevalentemente mancina.
Fiammetta Giusti è stata bloccata, arrestata e condotta presso la Questura centrale negli uffici della Squadra Mobile, diretta dal Dott. Mercante, che ha ufficialmente preso in mano le indagini del ferimento del Vicequestore Ferrer. Quest’ultimo è stato prontamente condotto da una ambulanza del 118 presso il vicino ospedale Santo Spirito, ove è stato sottoposto nella notte ad un delicato intervento chirurgico ed è attualmente ricoverato presso il Centro di Rianimazione del nosocomio. I medici si sono riservati la prognosi anche se ostentano un cauto ottimismo.
La Giusti è stata formalmente accusata dell’omicidio Massimi, anche sulla base delle risultanze delle perizie scientifiche sulle impronte digitali repertate sulla scena del crimine. La donna è stata pertanto ristretta presso il carcere di Rebibbia, a disposizione della magistratura. Nella edizione di domani continueremo a dare ampio spazio agli inattesi sviluppi della nota vicenda che ha insanguinato questa bollente, in tutti i sensi, estate cittadina.
Luisa Casta
Sala colloqui della Casa Circondariale Rebibbia
PROCURA DELLA REPUBBLICA DI ROMA
Ore 11.30 addi 16-10-20..
Desidero in questa sede rendere piena confessione riguardo all’omicidio da me compiuto nel primo pomeriggio dell’otto di agosto, presso l’appartamento sito in via Valadier 12, appartenente al padre della signora Beatrice Massimi.
Io e Beatrice eravamo amanti, ma non solo. Io ne ero profondamente innamorata, con tutte le difficolta di una simile relazione nel mondo di oggi. La nostra storia era iniziata all’incirca verso la fine del mese di marzo, dopo esserci conosciuti in palestra. È stato un colpo di fulmine, credo per entrambe. Ci vedevamo in genere a casa mia, appena usciti dalla palestra, o in qualche mattina rubata al lavoro, in ogni caso abbiamo mantenuto questa storia segreta per tutti i mesi successivi. Beatrice era fidanzata, ma ero sicura che prima o poi avrebbe fatto il o definitivo di lasciare quel mediocre uomo che frequentava per vivere fino in fondo la sua natura. L’ho sperato fino all’ultimo.
Quel venerdì ci saremmo dovuti vedere, ma lei mi ha chiesto di venire in via Valadier, ed era la prima volta. Sono arrivata ho parcheggiato la macchina distante, sul lungotevere e sono salita in casa verso le tredici e quarantacinque. Siamo subito andati in camera da letto dove abbiamo fatto l’amore. Siamo rimaste abbracciate a lungo, poi lei mi ha chiesto di ascoltare quello che stava per dirmi. Ha parlato mentre io la ascoltavo impietrita. Ricordo le sue parole, con precisione. Non potrei non ricordarle.
“Tesoro, è stato bello ma io voglio una vita normale, dei figli, un uomo, la solidità di una vita borghese…Quindi devo chiederti di sparire dalla mia vita e non farti più vedere. Questa è stata l’ultima volta. Io ti amerò sempre ma cerca di capire.”
Poi nuda com’era si è alzata ed è andata in bagno. Io ero in trance, non capivo più nulla. Come un automa ho preso il pugnale che portavo nella borsa per difesa personale e l’ho raggiunta. Lei era voltata, si guardava nello specchio. Credo che l’ultima immagine che ho avuto di lei viva sia stata un sorriso riflesso dallo specchio. Allora l’ho colpita, con la sinistra, all’altezza del cuore. Lei è caduta, e ho visto un fiotto di sangue sgorgare dalla ferita. Poi l’ho sollevata, e l’ho messa nella vasca. Rantolava e non mi andava di vederla soffrire. A quel punto ho chiuso gli occhi e ho cominciato a colpirla, per non so quante volte. Non ho mai riaperto gli occhi, non ho voluta vederla in quelle condizioni. Mi sono pulita e sciacquata e poi sono uscita dal bagno. Ero in uno stato sognante, un misto di rabbia e dolore per quello che avevo fatto. Ho anche lasciato il pugnale in bagno, mi era caduto e non ho pensato a riprenderlo. Mi sono rivestita, ho cancellato le impronte cercando di ricordarmi dove avevo potuto lasciarle, e sono uscita da quella casa chiudendomi la porta alle spalle. Non mi ha visto nessuno, né ho incontrato anima viva sulle scale e in strada.
Con calma mi sono incamminata verso il lungotevere, ho recuperato la mia macchina e sono tornata a casa. È stato un delitto d’impeto dettato da un momento di rabbia cieca, io amavo molto Beatrice. Sono pentita per quello che ho fatto e per il dolore che ho dato al padre e al fratello di Beatrice nonché al suo fidanzato. Sono pronta a pagare tutte le conseguenze del mio terribile gesto .
Per quanto riguarda il ferimento di quel Vice Questore, invece, non solo non sono pentita ma speravo di riuscire a fare di meglio.
Letto firmato e sottoscritto
Giusti Fiammetta
Epilogo
Il pneumotorace. Il bagno di servizio. Rose rosse
Svegliarsi in un letto di ospedale con il catetere, pieno di tubicini che ti escono dal torace, converrete non sia il massimo della vita.
Se poi aperti gli occhi vi trovate davanti un energumeno in camice azzurro da anestesista, alto un paio di metri che vi sta prendendo a schiaffi, non metterete sicuramente questa tra le vostre giornate fortunate.
- Su commissario, sveglia, un colpo di tosse e un respiro. Tutto bene, stia tranquillo, io sono l’anestesista che l’ha seguita durante l’intervento. Le abbiamo appena tolto l’intubazione tracheale. Lo portiamo in rianimazione per qualche ora ma presto la trasferiamo in reparto. Sentirà la gola pizzicare ma è normale. Le abbiamo messo il catetere, me glielo togliamo domani, stia tranquillo. Non proverà dolore, le stiamo somministrando antidolorifici, e dormirà ancora qualche ora. Le abbiamo suturato una ferita pleuro-polmonare, drenato una raccolta ematica e messo un drenaggio nella pleura. Tra una decina di giorni starà bene. Ora le inizio l’infusione di morfina . . Il monitor lanciava lampi verdastri che accompagnavano il bip del mio battito cardiaco. L’ultimo suono che ascoltai prima di scivolare nell’oblio.
Le prime ombre della sera scendevano su Roma, mentre dai grandi finestroni del vecchio ospedale filtrava il rumore di fondo della città e del traffico sul lungotevere. Ancora prima di aprire le palpebre sentii la mia mano sinistra avvolta in qualche cosa di caldo. Poi aprii gli occhi e ne incrociai un paio verdi– azzurri e un sorriso che ricordavo bene. Rimasi qualche secondo attonito, cercando di capire dove cavolo fossi finito. Poi d’un tratto ricordai.
La lama, estratta da quello stivale, l’urlo di Anna, il dolore intenso al torace, il manico del pugnale che usciva dalla mia pelle, le gambe che venivano meno, il respiro che mi si strozzava in gola, quel fastidioso senso di nausea prima di perdere conoscenza. Ora mi sentivo anestetizzato, nessun dolore e anche una vaga sensazione di euforia. Potenza della morfina.
Alla sinistra del letto, una figura familiare.
Ce ne hai messo di tempo a svegliarti. L’anestesista era preoccupato. Secondo me temeva di avere sbagliato il dosaggio della morfina. Mi ha detto, collega, saturazione di ossigeno buona, non particolarmente miotico ma dorme dalle tre di stanotte, quindi O è troppa la morfina o ha un sonno arretrato dalla notte dei tempi. Se non si sveglia entro venti minuti gli faccio un Narcan. - invece ti ho stretto di più la mano e ti sei svegliato… hai visto? Mi sa che era sonno arretrato. A proposito, mi ha pure corteggiato mentre eri semi comatoso. Ma il giuramento di Ippocrate non lo leggono più? Mi ha chiesto se ero la tua fidanzata. Gli ho detto che sei mio marito, così me lo sono levato dalle scatole. Ciao… Ben svegliato. Come vedi ci siamo dati il cambio. Un vero cavaliere come te non poteva non ricambiare la cortesia. Prima io e ora tu. Vicequestore, sono le diciannove del sedici ottobre, mi dicono che dormi da circa venti ore. Niente male. Stavolta ci siamo andati vicini. A farti l’autopsia, dico. Sai, ho minacciato di volertela fare un sacco di volte ma poi mi pentivo sempre di quello che
dicevo. Mi hai fatto stare quasi tutta la notte in questo ospedale, ho dormito anche io tre-quattro ore, su quella poltrona.
-Ma dove sono? Tu come lo hai saputo?
-Sei al Santo Spirito, ricoverato in chirurgia, dopo il solito aggio di qualche ora in rianimazione. Sei stato operato nella notte. Hai avuto una lesione polmonare, sangue e aria nella pleura, dovrai tenere il drenaggio qualche giorno ma tutto andrà a posto, stai tranquillo. L’ho saputo dalla edizione notturna del telegiornale, ero in albergo allora ho preso un taxi, sono arrivata qui, ma non mi facevano entrare. Ho provato con il solito “lei non sa chi sono io”. In effetti non lo sapevano e non gliene fregava nulla. Allora ho telefonato al mio direttore, che è amico intimo del Direttore Generale della ASL. Il resto lo puoi immaginare. Mi hanno fatto ponti d’oro, volevano farmi assistere all’intervento. Sono rimasta fino alle quattro, poi sono venuti i tuoi uomini, tutti, anche Giorgi. Mi hanno dato il tuo borsello, senza la pistola, che hanno lasciato in ufficio. Io ho preso le chiavi di casa e Anna mi ha riaccompagnato da te. Ho dormito nel tuo letto, stamane ho portato la mia valigia a casa tua, ho preso la mia macchina e da mezzogiorno sono qui a cercare di svegliare il bello addormentato- . - Allora siamo ufficialmente conviventi . . – Convivente non mi pare il termine adatto per una brava ragazza come me. Quindi ho deciso di chiedere ufficialmente la tua mano. Prova a dire di no e io sparirò alla velocità della luce. A proposito, Fiammetta ha confessato, ora è in galera. Ha ucciso per vendetta, perché la povera Beatrice la voleva lasciare. Un raptus, l’ha accoltellata e lasciata in terra. Benny Martelli aveva ragione, l’ha solo trovata nella vasca. I vertici della Questura ano di conferenza stampa in conferenza stampa. Mercanti si deve essere rifatto il guardaroba. E tu sei l’uomo del giorno, commissario. Devi vedere i giornali, la tua ex Luisa Casta ci da giù di brutto. Grazie al genio investigativo di Ferrer , la punta di intelligence della nostra città eccetera… mi sa che quella ancora ti corteggia.
-Chi, Luisa? Ma no, è solo una vecchia amica. - Meglio per te, commissario. Ti comunico che sono di mediocre sopportazione sulle tue storie ate. Ora me ne
vado, tanto tra poco ci sarà un corteo qui, ci sono i tuoi fuori e pure quelli della Mobile. Il Questore, Mercanti e Lepri hanno dato appuntamento ai giornalisti per le diciannove, per uscire sull’edizione di domani . Io ora vado a casa, i tuoi agenti ti faranno da protezione, preferiscono non lasciarti solo. A proposito ho comprato un armadio nuovo, quello che avevi era piccolo per tutti e due. È anche ato un certo Guidi, ha lasciato un pacchetto per te, dice che è una maglietta firmata, ma vera. Chissà che avrà voluto dire, che ci sono pure quelle finte? Aveva le lacrime agli occhi. . Questi fiori sono per te. Vedi di meritarli. Ciao, bello, ci vediamo domani.
La vidi andare via, senza voltarsi, la mano che lanciava un saluto dall’uscio, mentre la sua figura scompariva alla mia vista.
Mi voltai verso sinistra. Uno splendido mazzo di rose rosse era in bella mostra sul comodino, e riempiva la stanza con il suo profumo. In quel momento uno scroscio d’acqua, seguito da un tuono, annunciò un temporale in arrivo. Chiusi gli occhi inebriandomi del profumo dei fiori.
Il brivido sulla schiena non si fece attendere. Qualche cosa di mai provato prima saliva prepotentemente dai recessi della mia mente.
La felicità deve essere qualcosa di simile.