Marina Rossi
Il sorriso nascosto
Marina Rossi
Il sorriso nascosto
©Marina Rossi
Tutti i diritti riservati
Prima Edizione e-book: novembre 2020
ISBN 9791220216845
Mosaico Edizioni 2020
www.mosaicoedizioni.it
UUID: 40c0a915-144d-4e9f-be09-b1df9a42f7e1
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Indice dei contenuti
Prefazione
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Conclusione
Ringraziamenti
Prefazione
Non so come cominciare a scrivere, ma so che una bambina non sa riconoscere necessariamente ciò che le sta accadendo e non sempre manifesta questi stati d’animo. Per esprimere la tristezza a volte diventavo irritabile oppure molto agitata o iperattiva. Sono le manifestazioni più comuni del dolore. È anche possibile che siano la tristezza o lo scoraggiamento, la riluttanza verso le attività che preferivo. Ad esempio mostravo difficoltà a giocare o tendevo ad abbandonare le attività che amavo alla prima difficoltà. Ancora oggi, nonostante sia una persona adulta, mi ritrovo ad isolarmi o ad essere timida in alcune situazioni, e non riesco a affrontare le situazioni che vivo in quel momento. Questo libro per me è terapeutico, lo sto scrivendo per aiutarmi a lasciarmi il ato alle spalle una volta per tutte. Resterà, ma non così pesantemente. Ho un piccolo sogno: vorrei che diventasse un film (sognare non costa nulla).
Capitolo 1
Tutto è cominciato quando andavo all’asilo. C’era un bambino che aveva grossi problemi a casa, così se la prendeva con la più debole della sua classe, ovvero io. Purtroppo quello che vedeva a casa lo faceva a me, pensando che fosse una cosa normale: in fondo lo facevano mamma e papà, ma quando i genitori fanno certe cose i figli non dovrebbero vedere e nemmeno partecipare. Lui però qualche volta era costretto a vedere: forse credeva che fosse una cosa normale ma non si rendeva conto che mi faceva del male. Gli piaceva toccarmi il seno e accarezzarmi la pancia. Ero disgustata, gli dissi che non volevo ma non capiva, così le prime volte riuscivo a scappare e tornavo dalle suore. Questo succedeva quasi tutti i giorni. In quegli anni, quando riferivi ai grandi i tuoi disagi per alcuni erano giochi da bambini, per altri si trattava solo di sciocchezze infantili. Per chi subiva enormi fastidi e traumi (che ora spero di seppellire!), allora? Purtroppo, però, per Lui arrivò il momento di confrontarsi con suo padre perché il mio era andato a parlarci; gli venne spiegato che queste non sono giochi che si fanno davanti ai figli. Dopo qualche giorno tornò alla carica così per me era finita la pace; si è rivalso e ho scontato quello che è successo a Lui, presi persino le botte, una cosa che fu vista come una piccola zuffa tra bambini. Ogni tanto andavo a nascondermi dentro la casetta di legno che nel giardino dell’asilo, ma serviva a poco; ero più fortunata quando mi veniva la febbre al labbro, allora mi salvavo per una settimana. Ero finalmente un po’ tranquilla. Detestavo quel bambino, ma sfortunatamente per me era nella mia classe... così ho dovuto sopportare Lui e le sue cattiverie per tutto il tempo dell'asilo: toccatine, tirate di capelli, e se reagivo diventava più cattivo; morsi alle spalle o sulla schiena, qualche volta una pizzicata al seno... che male! Ricordare fa ancora male. Il tempo a, si diventa un po’ più grandi e così si comincia la scuola. Si diventa più birichini per alcuni, altri rimangono nella bambagia, altri no. Io sono tra quelli che furono tranquilli. Mi hanno sempre detto che ero come una bambola: restavo dove mi mettevano. Una nuova forma – una nuova serie – di
traumi. Oltre che ad essere il suo oggetto di sfogo per conoscere il corpo di una bambina ero anche la più maltrattata della classe, perché non sapevo difendermi, così nel giro di pochi mesi venivo stuzzicata in bagno per le sue toccatine di piacere. Provai più volte a ribellarmi, lo dicevo alle maestre: mi tirava i capelli, mi diede un pugno in un occhio, mi rubava la merenda e i pastelli, non mi faceva stare attenta in classe; per non parlare degli insulti da parte degli altri compagni. “Sei imbranata”, “Non sai difenderti!”, “No! Non giochi con noi, non ti vogliamo!” I bambini sanno essere molto cattivi. Crescendo i compagni di classe peggioravano, e Lui continuava a divertirsi a mie spese. A volte mi faceva male facendomi nascondere dentro un armadio della scuola: lì non riuscivo nemmeno ad urlare per sfuggire a quelle sue mani viscide e sporche, con le quali continuava ad accarezzare il mio corpo... cercando di ripetere quello che sentiva da suo padre mentre aveva rapporti con la moglie. Mentre tornavo a casa con il pensiero di dirlo ai miei genitori, Lui mi diceva di non dirlo a nessuno altrimenti sarebbe stato peggio. La mia scuola era proprio vicino casa sua. Ci avo davanti tutti i giorni ed era angosciante, tanta era la paura che mi assaliva all’improvviso al pensiero di vederlo uscire da quella porta. Dovevo trovare il modo di parlarne di nuovo con i miei genitori. “Così forse la smette” pensavo, “Se chiedo aiuto capisce che sbaglia”, mi dicevo. Rientro l’indomani a scuola con grande timore a scuola e scopro che non è così. Entro in aula e ci sono le luci spente, le accendo e trovo tutta la classe in cerchio che mi aspetta. Spengono le luci, qualcuno mi toglie lo zaino, qualcuno mi spintona, un altro mi deride. Da quel momento mi sono sentita l’anello debole della classe, quella che potevano deridere e ferire come più faceva comodo a loro. A casa ormai minimizzavano la cosa, dicendo che fossero birichinate, giochi che si fanno tra bambini... nemmeno le maestre vedevano le prese in giro. “Guarda è arrivata la fifona!” “Hai portato la mia merenda?” “Pulisco pulisco che è infetta!” mentre con le mani fingevano di avere uno spray disinfettante. Andavo spesso in bagno per nascondermi, piangendo, in cerca di un po’ di
tranquillità, invece arrivava puntuale Lui a disturbarmi. Mi alzava la maglia ordinandomi di stare zitta, di non urlare. Cercavo di ribellarmi ma era tutto inutile. Mi tirava i capelli, chiusi nel bagno della scuola. Mi bloccava con una mano dietro la schiena e sussurrandomi che ero sua, una sua proprietà, con la sua mano che scivolava nei pantaloni. Presa dalla paura e agghiacciata, in lacrime lasciavo che il mio corpo di circa sette anni, che dovrebbe essere innocente, veniva “violato” da un bambino della mia stessa età... perché questo per Lui era una cosa normale perché in casa sua succedeva di peggio. La sua frustrazione la scaricava su di me. Tornata in classe trovai occhi di bambini divertiti nel prendersi gioco di me, le maestre frustrate perché molto vivaci mentre io ero triste e confusa. Tornai al mio posto e difficilmente proseguii con la lezione. Provavo a concentrarmi ma poco dopo Lui mi portò via i colori che divennero suoi, mi ribellai e alla fine della lezione come sempre mi sbatté contro il muro. Una mano premuta sulla schiena, l’altra al collo, si avvicinò all’orecchio sussurrandomi che tutto era suo e ne faceva ciò che voleva, compresa la sottoscritta. Nel frattempo sentivo scivolare la sua mano sul mio seno scendendo poi verso il ventre, ma fortunatamente si fermò. Ero ancora bloccata per la paura che mi aveva regalato. Ancora una volta. L’ultima di una lunga serie che non accennava a terminare. Tornai a casa a raccontare l’accaduto ai miei, ma visto che per loro erano cose da bambini, con il tempo smisi di parlare, fingendo che tutto andava bene. Anche mia sorella nel frattempo aveva cominciato la scuola. Ne ero molto felice: andavo a vedere come stava ogni volta che potevo, i primi mesi andava tutto bene, poi scoprii che Lui aveva preso di mira anche lei ma era riuscita a ribellarsi rifilandogli un bel morso sul fianco. Per il momento la lasciò stare. Ci riprovò qualche mese dopo, così mi avvicinai a mia sorella; provai ad informarla dicendo che a casa non spiegavo più niente, e da quel giorno cominciai a prenderle anche per proteggere lei. Ogni volta che Lui si avvicinava a mia sorella intervenivo, facevo in modo che non la infastidisse per “accontentarsi” di me. Quando tornai l’indomani c’era il solito benvenuto fatto di spintoni e tirate di capelli, insulti e sgambetti infarciti di soprannomi abbastanza vivaci, come piaceva a loro. Il tutto condito con la finta bomboletta spray per disinfettare ogni cosa. Con il tempo mi ero sempre più isolata mentre subivo le toccatine e i pizzicotti sulla pancia... dovevo accettarli per proteggere mia sorella. Nessuno doveva toccarla. Nel frattempo lei cresceva, il tempo ava e non sapeva
nulla... Alcuni giorni erano abbastanza difficili. Cercavo di proteggerla e qualche volta me la trovavo contro: credeva che non la volessi al mio fianco, invece era per non farle vedere cosa succedeva. Mentre diventava adolescente cominciò a nutrire risentimento nei miei confronti, così mi tenne a debita distanza. Siamo cresciute insieme ma così lontane. Ricordo un pomeriggio ato insieme al parco: abbiamo fatto tante foto, risate a più non posso... il più bello dei miei ricordi. Purtroppo però era anche il momento in cui venivo portata dagli zii, perché la mia sorellina aveva bisogno di cure speciali: a volte faceva dei piccoli ricoveri di due settimane e io diventano di nuovo invisibile. Dagli zii però mi sentivo coccolata: per colazione un menu fantastico tra cappuccino, zabaione, latte e cereali... un sacco di cose buone. Poi si andava a fare le commissioni e si ava anche da una signora anziana che portava sempre i capelli raccolti con uno chignon, i suoi occhi avevano sempre le stelle e un bellissimo sorriso; usciva sempre con un cestino pieno di dolci. Si andava nell'orto e di tutta corsa arrivava Dea, la cagnetta di casa, e visto che avevo paura lei si sedeva sui miei piedi e cominciava a leccarmi, così diventammo amiche. Quando era possibile mia cugina mi aiutava con i compiti: quanta pazienza che ha avuto. Ho un bellissimo ricordo di quando papà mi portava dagli zii, li ringrazio ancora oggi per avermi fatta sentire parte di loro e non solo una nipote. Mi dispiaceva tornare a casa, sapevo che in poche ore sarebbe tornato tutto come prima. Mi mancava tantissimo mia sorella, avrei voluto are più tempo con lei. Oggi è diventata una donna bellissima: ho conosciuto il suo attuale marito, un vecchio compagno di scuola che all’epoca si divertiva a prendermi un po’ in giro, ma con un po’ di fortuna e amore nei confronti di mia sorella ho in parte superato la cosa. A volte riesco a gestirla, a volte no. Ma facciamo un o indietro, fino alle scuole medie, dove ho conosciuto il mio attuale cognato. Anche lì non è stato facile: il bullismo da parte dei ragazzi più grandi, gli insulti dei compagni di classe, l’isolamento dovuto alla classe sociale e i fastidi che mi aspettavano quando si tornava a casa in pullman, con i ragazzi che provano a palpeggiare fingendo di giocare con me con la scusa di conoscere... tutto questo alimentava la paura di una ragazzina ingenua nello stesso corpo di quella che si ritrovava bloccata sul pullman oppure nei bagni della scuola.
Ormai era diventato inutile parlarne a casa, per gli adulti erano ragazzate. Cominciarono i diverbi e incomprensioni adolescenziali tra madre e figlia: mia madre purtroppo non ha mai capito cosa mi succedeva; i miei voti erano appena sufficienti, e quando provavo a impegnarmi o a chiedere un aiuto capitava di sentirmi dire qualche volta: “È inutile che ti spiego! Tanto non capisci”, oppure “Cosa te lo spiego a fare, non capisci niente”, o ancora “Non sei buona a niente!”. Ogni volta che provavo a difendermi anche in casa erano litigate oppure schiaffoni. Troppe, troppe anche le offese, la violenza psicologica che ho dovuto subire, perché non volevo sentirmi schiacciata in casa mia, luogo in cui avrei dovuto sentirmi amata... eppure anche tra quelle mura mi sono sentita dire un po’ di tutto. “Non te lo spiego, tanto non capisci.” “Rifallo, così è tutto sbagliato!” “Non sai fare niente.” “Con te non vengo, mi vergogno!” “Con i miei amici non ti voglio!” “A te non serve!” “Non sei brava a niente!” Queste tristi frasi dette e ridette, sognate anche la notte tra le lacrime, hanno risuonato nella mia mente per tantissimi anni... e qualche volta, quando provo a pensare a momenti felici, mi ritornano in mente.
Capitolo 2
La vita è stata un po’ dura con me, mi ha messo a dura prova. Ero poco più che una ragazzina quando il mio adorato papà si ammalò, e purtroppo, dopo diversi anni di lotta perse la sua battaglia. In quegli anni ho conosciuto un ragazzo: dapprima era il mio migliore amico e confidente, poi con il tempo è diventato il mio compagno e ci siamo amati davvero tanto; eravamo un po’ come Romeo e Giulietta, i genitori si opponevano alla nostra relazione, ma quando hanno imparato a conoscerci hanno capito che noi non giocavamo con i nostri sentimenti. Ci volevamo molto bene, tanto da prometterci a vicenda di essere felici ad ogni costo. Ricordo un tardo pomeriggio in cui me lo sono trovato fuori dal lavoro tutto vestito elegante, con il suo scooter bello ripulito e messo a nuovo. Mi aveva portato al bar lì vicino, era pieno di fiori immerso in un’atmosfera romantica con tanto di musica. Splendido, vero? Io invece ero in jeans, felpa di Lupo Alberto, capelli a coda di cavallo, scarpe da tennis e cicche Brooklyn in bocca, mani sporche di cera, pantaloni ingialliti per il lavoro, e l’immancabile bomber. A ripensarci ora sorrido, ma quella volta avevo il cuore che mi scappava dalle dita. Mi fece sedere al tavolo per cominciare l’aperitivo. Due chiacchiere per scaldare la serata, poi di punto in bianco si è messo in ginocchio, al mio cospetto ha preso una scatolina, l’ha aperta e mi ha detto: “Vuoi diventare la mia fidanzata?”. Rosso come un pomodoro, pieno d’imbarazzo. Era così timido ma gli occhi gli brillavano tantissimo, sembravano un cielo stellato. Mi sembrava di sentire i fuochi d’artificio, farfalle ovunque e fiori che cadevano. Il mio cuore scoppiava dalla gioia, erano anni che aspettavo un simile momento... anzi, in verità erano anni che lo facevo aspettare, però alla fine ho detto di sì. Ebbe così inizio un periodo pieno d’amore e felicità, un grande amore durato diversi anni. Avevamo fatto molti progetti importanti per il nostro futuro, uno dei quali era creare il nostro nido. Un giorno però, mi è arrivata una triste notizia: il mio grande amore ha avuto un brutto incidente... non ce l’ha fatta. Così nel giro di un anno persi il mio caro papà e il mio compagno, a pochi mesi dall’inizio della
nostra convivenza. I nostri bei progetti, volati via con lui. Lo porterò sempre con me in un angolino del mio cuore. Era diventato difficile vivere nel paese dov’ero cresciuta. Mia madre nel frattempo si è rifatta una vita, ha conosciuto una persona che le vuole molto bene e con il dolore nel cuore sono andata a vivere con lei per un paio d’anni. Ora vivo qui, a circa venticinque chilometri dal mare, tra i monti, la magia e l’atmosfera. Dopo qualche anno ho trovato la mia stabilità, anche se non è stato facile. Qui non è proprio una eggiata fidarsi e fare conoscenza con il prossimo: prima di conoscere te vogliono sapere della tua famiglia, e poi forse si avvicinano. È ancora forte il concetto “tra di noi”, ma poi, una volta capito chi sei, diventano un po’ più aperti. È come un albero che fiorisce in primavera, i cui boccioli tra i rami si aprono pian piano; allo stesso modo, la gente del posto si apre con te e con i dovuti tempi riesci ad integrarti, a trovare lavoro e ricominciare a vivere. Con la dovuta calma. Provate a immaginare un albero, forte, sano e ancorato alle sue radici. Queste sono il nostro ato, un’evoluzione metaforica; sono anche il modo per avere la linfa di cui abbiamo bisogno che proviene dalla madre terra, e cresce verso il tronco diventando così una chioma verde e rigogliosa di boccioli abbondanti per poi diventare il nostro futuro pieno di frutti. Simbolo radioso con una forza interiore ben radicata, il tempo ci dona alla sua immagine e da lì possiamo capire cosa vogliamo nel nostro presente e futuro. Ecco perché mi auguro di rimanere qui, per sempre, nella speranza di avere un futuro migliore. Ormai abito qui da diversi anni, tra i monti la magia e il mare, e ho piantato il mio albero... ma ho capito che non è molto stabile. Sicuramente è molto forte, dopo quanto ho ato – e sopportato – tra la mia infanzia e l’adolescenza. Dopo il trasloco, con il tempo ho imparato a conoscere meglio mia madre: siamo diventate buone amiche e confidenti, cosa che prima non riuscivo a fare, ha imparato a conoscermi e a comprendermi; ha imparato ad abbracciarmi, a volermi bene nonostante la mia testa dura. Ora non le do pace, la cerco sempre, anche per una sciocchezza... forse mi approfitto di lei, ma non potrò farlo ancora a lungo. Perciò, finché mia madre camminerà su questa Madre Terra io le romperò le scatole. Cara mamma ti voglio bene.Un abbraccio infinito. Durante la pausa lavorativa che ho preso, soprattutto per i tempi burocratici e i documenti necessari a vivere qui, ho conosciuto persone meravigliose: tra queste
merita un posto d’onore V., una mia cara amica che mi ha aiutata anche a crescere, migliorandomi come persona. Grazie a lei ho anche più fiducia in me stessa. Grazie, V. Ti voglio bene. E non devo dimenticarmi di G., la mia vicina di casa, altra carissima amica: ora ha una bella famiglia e vive ancora lì. Ci vedevamo tutti i giorni e andavamo a fare le nostre eggiate. Una volta ci siamo incamminate verso il centro commerciale al paese vicino, e poco prima di arrivare a destinazione ci siamo imbattute in un orso che scorrazzava nel campo; era enorme, ma fortunatamente era al di là di una recinzione. Ciononostante, abbiamo accelerato il o dopo esserci accorte che ci fissava. Via di corsa, ci siamo fermate solo dopo aver raggiunto – sfinite – il centro commerciale. Fatto il nostro bel giro dovevamo tornare a casa. Un bel respiro e abbiamo ricominciato tutto, attraversando quel tratto di strada nel più divertente de modi. Rido ancora oggi al ricordo di quella giornata ogni volta che o su quella strada. Ti voglio bene, G. Anche quando vado al mare o o davanti a un albergo sorrido perché il mio cuore torna indietro, ricordando un’altra bella esperienza fatta con le mie cuginette. Allora erano bambine, ora sono due belle donne e questo lo porterò con me. In uno dei miei sorrisi nascosti nel cuore. Vi voglio bene.
Capitolo 3
Tra i monti, la magia e il mare, credevo di aver trovato l’amore. Ah, l’amore... una parola bellissima, dovrebbe avere un solo significato ma non è così. Ne ha tanti. Perdonare è una forma d’amore, così come lo è una carezza, un bacio o altro ancora... Perdonare. Ho perdonato tanto, troppo, anche persone che non meritavano tanto. Avevo conosciuto un uomo tra i monti, la magia e il mare: grazie a lui ho potuto ricominciare, all’inizio con tanto entusiasmo... per poi capire che avevo vicino qualcuno che si divertiva con i miei sentimenti. Onestamente ci ho messo degli anni a capirlo, così ho fatto un o in avanti verso la crescita. Le nostre strade si sono divise. Ripensandoci ora potrei quasi ringraziarlo: grazie a lui sono diventata più matura, ho imparato cose nuove. Ho imparato che essere felici dipende da ogni ramo che vogliamo fare sbocciare. Il caso ha voluto che conoscessi il mio ex marito, ora riconosco di essere stata un’oca: volevo credere in una nuova occasione, ma in poco tempo, da persona dolce e romantica quale ero mi sono trasformata in una piantagione di limoni aspri, con qualche pianta di pompelmi amari. Come ogni storia, all’inizio sembrava tutto rose e fiori, una favoletta dove il principe arriva e ti salva, ma ben presto diventò il mio tormento. Pochi anni dopo arrivò la paura di uscire, la mania delle pulizie, nonostante lui fosse sempre al computer o al lavoro, se non tra le braccia di un’altra donna (cosa che poi ovviamente negava). Faceva in modo di isolarmi dalle persone che mi volevano bene; era riuscito a farmi allontanare da molte persone causandomi una depressione molto forte. A causa sua ho perso molti posti di lavoro, e molta fiducia in me stessa. Avevo perso la capacità di reagire alla paura. Mi sentivo distrutta. Mi aveva indotta a fare la cosa peggiore per una donna come me, con tanta voglia di vivere e combattere dopo tutto quello che avevo ato anni prima. Giunse il momento di separarci, e se ne andò via. All’inizio ho sofferto, ma poi ho capito che dovevo combattere... e così è stato. Ho combattuto, e combatto ancora oggi. Durante la procedura legale sono riuscita a dimostrare che mio
marito aveva lavorato in nero diverse volte... lui che voleva da me il mantenimento. Come no! È stata una lunga e dura battaglia durante la quale ho dovuto affrontare alcune false testimonianze contro di me, ma sono riuscita nel mio intento. Il mio avvocato è riuscito a dimostrare la verità, e grazie anche ai suoi consigli ho potuto riprendere in mano la mia vita. Ho cercato aiuto, e l’ho trovato. Con tantissima pazienza e un percorso pieno di crisi depressive, ansie, difficoltà economiche, salite, discese, pianti e risate mi sono rimessa in gioco. Ho vissuto per un paio d’anni da sola in un appartamento ricavato alla meglio, con l’unica compagnia del mio cagnolino. Vi dico solo che per tenere in piedi la credenza della cucina e l’armadio della camera da letto ho dovuto prendere il trapano e fischer da muro, altrimenti mi sarebbero caduti addosso ogni volta che aprivo un’anta. Così ho tirato avanti, tra un fornello malfunzionante, la radio che si accendeva solo se c’era il sole e niente tv. Avevo poco, ma di quel poco ho fatto tesoro. Ero sola. Da me si erano allontanati tutti. È stato un lungo periodo di riflessione, ero crollata in tutti sensi, emotivamente, psicologicamente, distrutta... ma avevo ancora il mio lavoro, il mio cagnolino e sopratutto me stessa. Così, stando lì a riflettere, giorno dopo giorno, ho capito che dovevo fare qualcosa, tenendomi vicino solo chi mi meritava davvero. Con tanta fatica mi sono rialzata in piedi, trovando poi anche un vero appartamento dove andare a vivere. Un giorno al lavoro ho visto una locandina: parlava dello yoga della risata. Mi sono informata, facevano le sessioni vicino casa così ci sono andata. Questa disciplina risale al 1995, inventata a Mumbai in India da un medico con l’aiuto della moglie. Diventato con il tempo un fenomeno globale, oggi esistono migliaia di club in più di settantadue Paesi. Viene praticato un po’ ovunque, negli uffici, nelle aziende, negli ospedali. Un’ottima terapia per il nostro benessere psicofisico. Non sostituisce le medicine, sia chiaro, ma di certo aiuta contro lo stress e gli stati depressivi, rinforza il sistema immunitario. La dieta aiuta a creare uno stato mentale in positivo per riuscire ad affrontare le situazioni negative, migliorando. E così si è più positivi nelle giornate a seguire. V’invito a cercare un club yoga della risata nelle vostre zone. Quando mi sono iscritta allo yoga della risata ero distrutta: non avevo più voglia di ridere o di andare avanti, ne avevo ate troppe... ma grazie a questa terapia mi sono aiutata molto. Ho imparato a gestire l’ansia e vinto la depressione, ho conosciuto persone meravigliose. Sono più ottimista, riesco ad affrontare meglio
tante situazioni. Sto ancora lottando per perdere la paura di stare con le persone, il pensiero ricorrente del rifiuto non mi lascia. Un giorno ci riuscirò.
Capitolo 4
Dopo qualche mese che frequentavo il club dello yoga della risata, ho pensato che potevo essere più felice di quanto credevo, così mi sono permessa di fare conoscenza con una persona sui social. Non riuscivo a crederci, mi ero permessa di fare una cosa simile! Ho fatto bene perché sono stata abbastanza fortunata; ci siamo frequentati per un po’ di tempo e poi, come tutte le coppie, abbiamo cominciato la nostra vita insieme, tra alti e bassi (non ci crediamo alla famiglia del Mulino Bianco). Non dirò il suo vero nome, ma per comodità lo chiamerò Max su queste pagine. Ha qualche anno in più di me, e come me esce da una brutta situazione, così abbiamo unito le nostre forze e cominciato a combattere insieme le nostre battaglie. È stata dura: cinque anni tra ansia e depressione... Max non riusciva a trovare lavoro, crisi difficili... però abbiamo vinto. Cinque anni difficili, finché finalmente nel 2016 non ha trovato lavoro. Io nel frattempo continuavo con il mio, facendo la bidella alle scuole d’infanzia. I bambini, la loro allegria, erano contagiosi. Mi risollevavano sempre il morale, la mia ironia, un po’ di sarcasmo, l’amore e l’affetto di Max. La mia famiglia si è ravvicinata, mia madre ha imparato a capirmi. Una cosa molto importante è il perdonare se stessi. Quando l’ho capito ho vinto anche con il mio divorzio. Ho vinto ogni battaglia, ma mi rimane una paura, quella di un rifiuto, così rimando sempre la voglia di chiamare le persone a me care. Non è orgoglio, con quello non si arriva da nessuna parte, anzi ti ammali e basta. Un giorno Max, tornando dal lavoro, con grande sorpresa mi disse che voleva portarmi fuori. Si cominciava a stare meglio anche economicamente. “Va bene, ma prima devo sentire il medico, c’è qualcosa di strano, ho sempre sonno”. Così feci gli esami del sangue, andai dal medico e uscii con gli occhi lucidi e pieni di gioia. Ero incinta! Mia madre era con me quella mattina, ci siamo guardate negli occhi e ci siamo
date un lungo abbraccio. Sentivo i nostri cuori... un momento magico. Presi fiato e chiamai Max ripetendo a gran voce “Sono incinta! Sono incinta!” Non riuscivo a crederci, anche dopo aver fatto la prima ecografia stentavo a credere di sentire il suo cuoricino. Erano anni che desideravo diventare mamma e quel momento era finalmente arrivato. Ora sono mamma di un bellissimo bambino, ho un compagno un po’ burlone e, tutto sommato, siamo una famiglia abbastanza vivace. Possiamo dire che abbiamo vinto le nostre battaglie. Mamma ha imparato a comprendermi, mia sorella ora mi capisce. Mi sento accettata da tutti coloro che mi vogliono bene, e ora mi aiutano a far tornare il sole quando ho giornate grigie. Qui con la mia famiglia ho anche ritrovato un’amica d’infanzia. Con lei ho ato dei bei momenti quando abitavo in Lombardia, un bel ricordo. Un giorno mi aveva chiesto di accompagnarla al lavoro, avevo uno sgangherato Ciao rosso monosella, ci siamo messe in strada e siamo partite. La strada era piena di buche, rischiavo di perdere per strada la mia amica ad ogni dislivello così dovevo fermarmi, aspettare che si sistemasse e ripartire a tutto gas. Ho perso il conto delle volte che ci siamo fermate, anche solo per ridere. Per arrivare a destinazione dovevamo oltreare anche la ferrovia: un’altra esperienza di volo, almeno per lei, ammetto che correvo un po’. Si era messo anche a piovere. Ad un certo punto, mi sono sentita chiamare tra le risate: mi sono girata e l’ho vista tenersi stretta al sellino con le gambe all'insù e il sedere che quasi toccava la ruota posteriore! Ci siamo fermate e abbiamo riso fino al mal di pancia e poi ripartite. Con grande fatica siamo arrivate a destinazione, un altro bellissimo ricordo che porto nel cuore. Ti voglio bene, S. Max ha imparato che non deve farmi preoccupare, se c’è imprevisto me ne parla; ha imparato a gestire le emozioni, ora ha un posto fisso da diversi anni; Io sono la sua compagna, una moglie, una mamma... qualche volta do i numeri, ma quale donna non lo fa? Quando sono così mi prendo un po’ di tempo per me stessa: mi vedo con una mia carissima amica, facciamo bellissime chiacchierate e risate come solo noi donne sappiamo fare. Poi torno a casa e trovo il mio principino che salta sul letto e ride a più non posso con papà. Max mi guarda negli occhi, i suoi sono pieni di stelle e ridono, forse è stanco della sua giornata di lavoro in fabbrica, ma ha capito che avevo bisogno di
ricaricarmi anch’io. Ci concediamo ancora dieci minuti per giocare tutti insieme scambiandoci piccoli e sfuggenti sguardi mentre il principino gioca stanco e felice. Appena riusciamo a far dormire B. accoccolato tra le mie braccia, la mano di Max raggiunge la mia, e sottovoce ci sussurriamo la buonanotte. Il mio pensiero corre ancora e ricorda che abbiamo messo anche noi insieme il nostro albero della vita: è solo un simbolo, ma con le radici ben affondate nel terreno. Scoprendo la sua fioritura in stelle e sole, il quale la madre terra e il padre cielo sono uniti da un altro seme che presto germoglierà e sarà anch’esso un bellissimo albero della vita. Anche lui farà spuntare i suoi fiori, solo se i nostri saranno nutriti con il nostro amore. E con voi al mio fianco saprò fare cose meravigliose.
Capitolo 5
In questo momento stiamo vivendo un nuovo periodo di guerra. Il nemico non è un uomo né una nazione, è qualcosa di molto più piccolo eppure è altrettanto devastante, fa tremare il mondo intero. Questo nuovo, inatteso nemico ha un nome: COVID-19, ma tutti lo chiamano Coronavirus . Ha fatto la sua comparsa in Cina lo scorso dicembre e in pochi mesi ha raggiunto tutto il mondo infettando migliaia di persone. Ho visto cambiare la routine del mio intero Paese – un intero sistema – nel giro di pochi giorni, a causa delle precauzioni da prendere per limitare la trasmissione del virus. Adottare un’accurata igiene personale, lavarsi spesso le mani, indossare mascherina e guanti quando si esce. Ci vorrà tempo per sviluppare un vaccino; per ora l’unica soluzione possibile è mantenere le distanze tra le persone. Questo periodo di quarantena prosegue, noi lo stiamo vivendo chiusi in casa senza poterci recare al lavoro, senza avere più contatto con i famigliari. Si può uscire solo per fare la spesa, con guanti e mascherina. Ci sono file di persone e attese di ore per riuscire ad entrare nel supermercato o in farmacia, o persino al tabacchino. Ovunque ti giri il paese sembra sospeso, in pausa... una pausa che dura già da tre mesi. Le persone non ce la fanno più a stare in casa; i bambini sono stanchi, non giocano più all’aperto, non vedono più i loro amichetti. B. mi chiedeva sempre di portarlo fuori a giocare ai “vecchi tempi”... mi si stringe il cuore a vederlo così, ma non posso farci niente; qualsiasi uscita ingiustificata comporta una multa di mille euro. Così, con il cuore pieno di lacrime, resti a casa. Siamo arrivati nel mese di maggio. Il nuovo decreto del presidente ci permette di portare fuori i nostri figli per un’ora al massimo; le aziende piano piano riaprono, ma solo con le modalità richieste per la sicurezza. Con calma riapriranno anche i piccoli negozi, ma so che nulla sarà mai più come prima. I contagiati nel mondo superano ad oggi i quattro milioni, mentre i decessi sono più di duecentomila. Il mondo è praticamente in ginocchio, con tutte le conseguenze economiche che questo nuovo, microscopico nemico ha inconsapevolmente scatenato su di noi. È un virus, dopotutto, ha fatto ciò che è nella sua natura... ma ha fatto crollare il nostro castello di carte come nessun
altro. Stanno arrivando le giornate calde e ci organizziamo per far trascorre l’estate a B., con una piscina gonfiabile e tanta scorta di pazienza. Se verrà approvato un decreto che ci consentirà di uscire dalla regione forse andremo in montagna; il mare è da escludere, con le restrizioni ancora in vigore, B. non sa cosa significhi restare sotto l’ombrellone e non avvicinarsi ai giochi... significherebbe farlo soffrire, farlo piangere, illuderlo di divertirsi. Le regole purtroppo sono chiare: non sono possibili gli assembramenti. Pranzi e cene non sono ammessi in spiaggia, i bambini devono restare sotto gli ombrelloni, non possono avvicinarsi tra loro. Si va in spiaggia previo appuntamento per evitare il formarsi di masse. Si paga solo con bancomat o carta di credito. Non si può stare oltre le 23:00, ecc... Questa triste esperienza ha comportato molte conseguenze a tutti. Nel mio caso, è servita a tenermi vicina ai miei cari, ha insegnato a me e Max a conoscerci meglio; abbiamo affrontato tante battaglie, come tutti d’altronde, ma se saremo fortunati ce la faremo. Dovremo riorganizzare tutto quanto, tra il momento di fare la spesa, non andare in panico, mantenere la calma, educare al meglio, rispettare, convivere con la paura e momenti di dolore per i cari che si ammaleranno... perché saranno soli. Isolati. Ma ce la faremo.
Conclusione
Come madre e come donna sto facendo del mio meglio per affrontare questa guerra. La voglio vincere insieme a voi. Scrivere questo libro mi ha fatto bene, mi sento un po’ più leggera: ora il mio ato mi pesa meno, non mi ha lasciato del tutto ma so che al mio fianco ho qualcuno che mi ama davvero e a modo vostro me lo dimostrate. Perdonate i miei sbalzi d’umore. Perdonate il mio chiudermi nel mio mondo. Perdonate se non so portare rancore. Perdonate se non so odiare. Perdonate se sono umile. P erdonate se sono troppo emotiva. Perdonate, perdonatemi. Perdonate anche voi, ma soprattutto... Perdonate voi stessi. Il perdono è una grande forma d’amore.
Ringraziamenti
Ringrazio tutte le persone che mi sono sempre state vicine, nei momenti più difficili della mia vita. Persone che hanno capito il mio stato d’animo anche quando cercavo di ridere mentre i miei occhi erano colmi di dolore e lacrime, grazie a tutti. Un ringraziamento speciale lo voglio rivolgere a me stessa, perché finalmente sono riuscita a vincere ogni mia battaglia. È vero, sono caduta tante volte... ma ora mi sono rialzata. Sono una donna molto più forte. Sono sicurissima di essere una grandissima combattente, una vincente! Sono una persona umile e molto testarda, proprio grazie a quella sono riuscita ad arrivare fino a qui. Questo è il mio secondo libro, e con questo mi aiuto a lasciare dei capitoli della mia vita alle spalle. Ora ci sono giornate piene di risate felici, persone che mi vogliono davvero bene... e quando mi guardo allo specchio i miei occhi non sono più tristi, ma sono pieni d’amore. Grazie a me stessa per il grandissimo lavoro che ho fatto per aiutarmi. Marina Rossi